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Riassunto DI Istituzioni DI Diritto Romano

Istituzioni di Diritto Romano - Ag ( Università degli Studi di Bari Aldo Moro)

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RIASSUNTO DI ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO


INTRODUZIONE CAPITOLO 1
1. Il Corpus Iuris Civilis tra storia e sistema
Il Corpus Iuris Civilis per gli Umanisti fu il risultato del lavoro di maestri bizantini incaricati
da Giustiniano di realizzare un’impresa eccezionale. L’obiettivo dell’Imperatore era quello
della restaurazione politica e militare dell’Impero e della riconquista dell’Italia; grazie alla
monarchia universale che si reggeva sulla forza degli eserciti del 530 d.C.
Il progetto cominciò a prendere forma poco dopo l’ascesa al potere di Giustiniano nel 527 d.C.
Una nuova raccolta di costituzioni imperiali venne ordinata nel febbraio del 528 d.C. e
condotta a termine nell’aprile del 529 d.C; si componeva di “leges” tratte dai codici
precedenti (Gregoriano, Ermogeniano, Teodosiano) e di alcune costituzioni successive. Il
Novus Codex Iustinianus è un frammento dell’indice riportato in un papiro egiziano. Tra il
529 e il 530 d.C. l’Imperatore Giustiniano era intervenuto a dirimere varie controversie
giuridiche sorte tra gli antichi giuristi, e alla fine aveva emanato alcune costituzioni, da lui
stesso chiamate Quinquaginta decisiones grazie alla compilazione del digesto di testi
originari (Costituzione Cordi). Gli iura sono una nuova raccolta di brani giurisprudenziali
impiegati nella prassi giudiziaria e nelle scuole. Il progetto si avviò nel dicembre del 530, allo
scopo di sostituire l’uso diretto delle opere classiche, secondo i parametri imposti dalla
vecchia legge delle citazioni. Nel dicembre del 16 dicembre 533 fu pubblicata la raccolta
chiamata Digesta ( dal latino digerere, raccogliere) o Pandette(dal greci pandéchomai,
mettere insieme), divisa in 50 libri, che prese il posto dei testi. Le institutiones divise in 4
libri che sostituiva l’opera di Gaio; oltre alla funzione didattica, era applicabile nella prassi
giudiziaria ed era quindi anch’esso fonte di diritto. La nuova stesura del codice di Giustiniano
pubblicata nel 534 d.C. divisa in 12 libri, nota con il nome di Codex repetitae praelectionis.
Fino alla morte di Giustiniano nel 565 d.C. vennero emanate altre leggi, le Novellae, alcune
delle quali riformarono in profondità alcuni settori del diritto privato. Digesta, Institutiones,
Codex repetitae praelectionis e Novellae formano le varie parti del Corpus Iuris Civilis,
pervenute attraverso tradizioni manoscritte indipendenti. Per il Digesto sono conservati due
manoscritti fondamentali: il primo, del VI secolo (litera Florentina), cronologicamente vicino
agli anni della stesura; il secondo meno antico venne adoperato dalla scuola di Bologna(litera
Bononiensis o Vulgata) , dopo il rinascimento degli studi giuridici, intorno alla fine del
secolo XI. Le Institutiones e il Codex repetitae praelectionis sono manoscritti databili tra il IX e
XII secolo; delle Novellae esistono varie collezioni in latino e greco, tra le quali maggior
importanza riveste la Marciana, contenente 168 costituzioni (alcune posteriori a
Giustiniano). L’impresa codificatoria fu realizzata dal funzionario Triboniano, di alcuni
professori delle scuole di diritto di Costantino e Berito, ricordiamo i nomi di Teofilo, Doroteo,
Anatolio, e di alcuni avvocati che esercitavano l’arte forense presso il tribunale del
Praefectus praetorio Orientis. Iura e leges ricevevano un riconoscimento ufficiale a
prescindere dall’origine, sia l’uno che l’altro erano norme volute dall’imperatore come fonte di
diritto vigente. Nel Digesto rivivono i nomi e gli orientamenti di imperatori e giuristi.
L’Imperatore attribuiva ai membri della commissione il potere d’intervenire sui testi antichi
con tagli e aggiunte, le interpolazioni allo scopo di aggiornare il diritto, metterlo al passo
con i tempi, comporlo in una unità organica e coerente. Giustiniano dichiara quia multa et
maxima sunt, quae propter utilitatem rerum transformata sunt, sono le cose che sono state
trasformate per l’utilità generale. Il giurista tedesco Friedrich Puchta riassumeva con parole
significative un concetto radicato, mediante il ricorso a una metafora di stampo naturalistico:
il diritto romano come elemento di vita introdotto nel nostro organismo ed assimilato con le
nostre esigenze. I veteres hanno contribuito alla formazione di una coscienza giuridica per la
Pandettistica. Tra la fine dell’800, il giurista austriaco Ludwig Mitteis affermava che il diritto
romano costituiva il sistema di diritto privato assoluto armonicamente in sé completo. Nella
seconda metà del 500’ con Ugo Donello(Hugues Doneau): i suoi Commentarii de iure
civili, in 28 libri furono pubblicati la prima volta negli ultimi due decenni, dichiarando per
esplicito, in apertura dell’opera, di volersi svincolare dall’autorità di Giuliano e di Giustiniano.
Donello scriveva che il legislatore impone la norma, ma il sistema appartiene alla scienza
giuridica e ne costituisce l’essenza. Il filo conduttore che lega Donello alla Scuola storica
fiorita in Germania tre secoli dopo. L’opera di Friedrich Carl von Savigny nelle pagine

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iniziali del System è un’opera sistematica che riguarda una struttura fatta di istituti e di
rapporti tra istituti, composti in modo organico e non in base a relazioni astratte, spesso frutto
di una logica arbitraria. Con l’entrata in vigore del codice civile tedesco, il 1° gennaio del
1900, cessa in Germania la vigenza del diritto romano. Con l’ausilio degli strumenti offerti
dalla filologia giuridica, si tende a distinguere nei testi tramandati dal Corpus Iuris Civilis le
linee originarie del pensiero classico, operate sui testi ancor prima di Giustiniano.
2. Fonti del diritto in età arcaica e repubblicana
I pagi sono villaggi formati da contadini e agricoltori, legati da comuni interessi economici e
pratiche rituali e di culto. Guidata da un capo, il Rex con l’ausilio di un consiglio di anziani, i
patres sono il primo nucleo del senato ispirate all’assoluto rispetto per gli avi(antenati). Nel
tradizionalismo arcaico, i cittadini ritengono fondamentali valori come l’osservanza dei mores
maiorum, gli usi degli antenati. I membri della comunità, i cives, osservano una fitta di rete
di precetti in cui si può scorgere il nucleo originario del Ius, legato alla sfera magico-sacrale
del Fas. Il controllo dei cittadini è affidato ai pontefici-sacerdoti, ai quali spettano compiti
fondamentali: organizzano il calendario, stabiliscono i giorni fasti e nefasti, elaborano formule
propiziatorie per le invocazione degli dèi, curano i rituali sacri; in quanto custodi della
memoria collettiva, registrano gli eventi più importanti(carestie o eclissi) In Roma ci
garantiscono la pax deorum e interpretano i voleri degli dèi, fungendo da intermediari con i
concittadini; dalla etimologia di pontifex, costruttore di ponti (da pontem e facere), ovvero
colui che è in grado di aprirsi una strada delle foreste. I pontefici sono esperti ciò che è lecito
(fas) e ciò che non lo è (nefas). In primo luogo pontefici elaborano verbali e le pratiche rituali,
che i cittadini devono compiere affinché si producano determinati effetti; in secondo luogo
mettono al servizio dei cittadini la loro sapientia, lo strumento di comunicazione è la risposta
pontificale data al cittadino chiamato “responsum”. Il responsum di una carica sacerdotale
è dotato allo stesso tempo di autorità e di autorevolezza in cui si concentra la conoscenza del
divino e dell’umano; il Ius scaturisce dai mores, remote costumanze che nella convinzione
fondata sulla natura delle cose. Per tutta l’epoca regia, dalla mitica fondazione ad opera di
Romolo (754 o 753 a.C.) fino alla cacciata dell’ultimo re, Tarquinio il Superbo, avvenuta agli
inizi del VI secolo a.C., l’ordinamento giuridico di Roma si fonda sui mores. Le leges regiae
sono complessi normativi che si sarebbero stati emanati dai monarchi succeduti nel governo-
sabina, gli ultimi tre stirpe etrusca). I precetti consuetudinari danno luogo a fenomeni di
recezione da parte del rex, emanando ordinanze di contenuto identico ai mores, allo scopo di
rafforzarne il valore giuridico. Il patres familiarum è l’ascesa al potere di nuovi ceti
emergenti, le minores, slegate dalle antiche aristocrazie gentilizie. Dopo l’espulsione di
Tarquinio il Superbo e dei suoi figli, in seguito alla grave offesa arrecata a Lucrezia e la
conseguente rivolta dei cittadini romani, nel 509 a.C. s’instaura l’ordinamento repubblicano
con i primi due consoli, Bruto e Collatino. Il passaggio dal governo di un solo uomo a quello di
una coppia di magistrati, i consules (detti anche praetores), ipotizzano che la transizione alla
nuova forma di organizzazione politico-istituzionale. Le XII tavole è un complesso normativo
composto da una commissione di dieci uomini, i decemviri legibus scribundis , noto con il
nome di Legge delle XII tavole. Le XII tavole sono un codice che venne emanato negli anni
centrali del V° secolo, tra il 451 e il 450 a.C., dai precetti normativi di carattere generale e
uniforme. Le disposizioni si limitavano a raccogliere le regole consuetudinarie e costumanze
tra i cittadini in una società primitiva caratterizzata dal lavoro agricolo e da nuclei familiari
autarchici ; ma la novità assoluta fu la scrittura, che attribuì certezza alle norme da
osservare. Agli inizi del IV° secolo nel 390 a.C., il codice inciso su tavole lignee o bronzee,
andò perduto a causa di un incendio, durante il sacco della città ad opera dei Galli. I precetti
favoriscono la memorizzazione immediata, chiamata memo-tecnica un’arte dominata dalla
oralità e dall’economia dei mezzi scrittorii. Grazie alle XII tavole comincia a svilupparsi una
interpretatio, da parte dei pontefici, successivamente ad opera dei giuristi laici, finalizzata
da un lato a trarre dagli antichi precetti una nuova linfa per l’attività respondente, dall’altro
alla creazione di discipline adeguate. Il popolo si riunisce in assemblee cittadine, tra cui le più
importanti sono i comitia centuriata, che assumono un ruolo centrale per molti aspetti della
vita politica di Roma, avendo originarie funzioni militari e legislativa. Divisi in 5 classi in base
alla ricchezza posseduta, i cittadini riuniti nel comitiatus maximus votano le leggi su
proposta(rogatio) del magistrato; se approvate prendono il nome di leges rogatae. Compiti

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analoghi vengono assegnati ai comitia tributa. Con la lex si riconosce al popolo la potestà di
iubēre(ordinare), tra la Repubblica e il Principato, Ateio Capitone afferma che la legge è il
comando generale del popolo o della plebe su proposta magistratuale. Il giurista estendesse
tale potestà alla plebe, ricordando l’equiparazione alle leggi dei plebisciti, le delibere della
plebe avvenuta nel 287 a.C. con la lex Hortensia. Il pretore, eletto annualmente nei comitia
centuriata, era titolare di Imperium alla pari dei consoli, pur se con minore potestà date le sue
competenze specifiche; venne istituito, con le leges Liciniae Sextiae nel 367 a.C.
Alla figura del praetor urbanus, preposto alla giurisdizione tra cittadini, fu affiancata nel 242
a.C. quella del praetor peregrinus, creata per far fronte alle sempre più frequenti controversie
tra cittadini e stranieri, dovute alla crescente espansione di Roma. Tra il II e il I° secolo a.C.
all’inizio dell’anno di carica il pretore è titolare come gli altri magistrati del Ius Edicendi
,ossia della facoltà di emanare disposizioni, pubblicava nel foro il programma annuale della
sua giurisdizione(actiones, exceptiones, in integrum restitutiones, curationes) da impiegare
per far valere diritti e poteri, o per osservare obblighi e doveri. La peculiarità di tali previsioni
sta nel fatto che il pretore che avrebbe fornito tutela giudiziaria a coloro che gliene avessero
fatto richiesta, concedendo precisi rimedi processuali di varia natura in base alle circostanze
del caso. L’edictum perpetuum resta in vigore per tutto il periodo annuale di esercizio della
carica, anzi si aggiornava anno dopo anno. Le disposizioni che si trasmettevano da pretore a
pretore (edictum tralaticium), il pretore adottava statuizioni non al momento in cui entrava
in carica, se si presentava la necessità di risolvere casi non previsti, il magistrato poteva
provvedere all’emissione di un edictum repentìnum (emesso nel corso dell’anno). Ius
Honorarium è il diritto nascente dalla carica magistratuale. Ius Honorarium fu quello di
“aiutare”, integrare o correggere il diritto civile per il pubblico interesse. Ius civile è formato
dagli antichi mores, dalle XII tavole e dalla interpretatio pontificale, dai responsa dei giuristi,
dalle leges comiziali e dai plebisciti; dall’altro il Ius Honorarium che agiva direttamente sul
piano processuale offrendo non solo ai cives(cittadini romani) ma anche agli stranieri un
efficace protezione giudiziaria. Ius gentium è il diritto delle genti, quella parte di Ius
Honorarium applicabile anche ai peregrini. Il senatoconsulta e le delibere senatorie erano
fonti di produzioni, alle quali si attribuì un’efficacia normativa, in quanto fissavano indirizzi
politico-giuridici vincolanti direttamente solo i magistrati titolari della iurisdictio. Wolfang
Kunkel scrive il coesistere di strati giuridici è il risultato di una crescita naturale, solo
raramente intralciata da una pianificazione razionale.
3.Fonti del diritto in età imperiale
Il 13 gennaio del 27 a.C. Ottaviano dichiara in senato di voler deporre il comando in quanto
l’opera di pacificazione di Roma era stata da lui condotta a termine, dopo i terribili anni di
violenze e di guerre civili in cui erano stati assassinati Cesare, alle idi di marzo del 44 a.C. e
Cicerone, nel dicembre del 43. La grande battaglia navale di Azio del 31 a.C. si era conclusa
con la rovinosa sconfitta di Antonio e il suicidio di costui e della regina Cleopatra. Il 16 gennaio
si svolge una nuova seduta in senato, e ad Ottaviano è conferito il titolo di Augustus. Nasce il
principato. L’auctoritas è l’autorevolezza del principe. Augusto procede formalmente solo
alla restaurazione del precedente regime. Il nuovo potere è il princeps, il primo cittadino,
appare come colui che è stato chiamato alle sorte e dagli dèi a sostenere il rinato ordine
repubblicano. Dopo la morte di Augusto, avvenuta nel 14 d.C., con Tiberio e gli altri principi
che si succedono al governo di Roma, si assesta il regime da poco instaurato. Nascono nuove
figure di funzionari che dipendono dal principe, e delle casse finanziarie, con la creazione di
una struttura parallela amministrata dall’Imperatore, il fiscus, che si affianca all’aerarium
populi romani risalente alla Repubblica. L’ultima legge comiziale conosciuta è approvata sotto
Nerva, tra il 96 e il 98; l’editto pretorio si cristallizza in un assetto stabile qualche decennio
più tardi, con Adriano, che governa tra il 117 e il 138; il senato è ormai sotto il controllo
imperiale. Il senato fu l’influenza esercitata dal principe, che a partire dal II secolo invalse
l’uso, durante le sedute senatorie, di approvare le proposte normative (orationes) avanzate o
sostenute da costui, il reale testo normativo era costituito non dalla delibera senatoria ma
dalla volontà tesa manifesta nella oratio principis. Nella funzione della cura legum et
morum attribuita ad Augusto la facoltà di indirizzare proposte di leggi popolari e di delibere
senatorie rispettivamente ai comizi e al senato. Un prezioso testo epigrafico rinvenuto a
Roma nel 1347 da Cola di Rienzo: si tratta della lex de imperio Vespasiani, attestante il

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conferimento del potere al principe da parte di popolo e senato. Il documento attribuiva a


Vespasiano, che governò Roma tra il 69 e il 79, vari poteri( tra cui il diritto di concludere
trattati internazionali e convocare il senato). L’Imperatore agiva nell’interesse supremo della
res pubblica; questa sua attività poteva tradursi nell’adozione di misure normative. Alcuni noti
giuristi avrebbero giustificato tale visione “autocratica” mediante il ricorso ad una presunta
delega(ovviamente una finzione) conferita all’imperatore dalla legge. I provvedimenti
normativi, le constitutiones, che il principe aveva la facoltà di emanare al popolo, in primo
luogo gli edicta che dovevano valere per tutto l’Impero; in secondo luogo i mandata,
istruzioni inviate ai funzionari dell’amministrazione imperiale. I decreta erano le sentenze
emanate nell’esercizio della funzione giurisdizione, svolta dal principe, in materia sia penale
che civile; i rescripta erano le risposte date alle richieste di privati, che si erano rivolti
all’Imperatore con libelli o preces per ottenere da lui un parere su una questione di diritto, nel
corso di un processo o al fine di promuoverlo. Infine le epistulae, sono i pareri scritti,
anch’essi vincolanti, dati a magistrati e funzionari imperiali in risposta a quesiti giuridici
sottoposti da costoro al principe. Nei primi due secoli e mezzo dell’età imperiale l’ordinamento
romano si regge in sostanza, sulle constitutiones principum e sui responsa prudentium,
le risposte o parei dei giuristi. I responsa prudentium furono espressione di una
straordinaria attività di interpretazione prudentium del Ius civile e del Ius Honorarium,
tendenti a risolvere i molteplici problemi nascenti da casi pratici. In tale prospettiva si
comprende come la interpretatio prudentium come insieme di opinioni consolidate. I
giuristi autorevoli furono chiamati a far parte del consilium principis. Nel suo manuale Gaio
descriveva le fonti che componevano i iura populi romani: leggi, plebisciti, senatoconsulti,
costituzioni imperiali, editti magistratuali, risposte dei giuristi; e precisava che le risposte dei
giuristi erano i pareri e le opinioni di coloro ai quali era stato concesso di costruire il diritto,
Gaio ricordava anche un rescritto adrianeo, per il quale il giudice sarebbe stato libero di
scegliere a propria discrezione. La prassi del responso cede il passo a quella del parere
concesso dagli uffici della burocrazia centrale; il fenomeno si manifesta in pieno con
Diocleziano. Il giurista tedesco Fritz Schulz osserva che il radicale cambiamento della
struttura della scienza giuridica romana fu dovuto alla tendenza innata di ogni burocrazia a
concentrare lo sviluppo del diritto nel monopolio di un ufficio centrale, assicurandone per
mezzo di un’efficace azione di controllo. Il ius controversum è sostituito dal ius receptum. Tra
queste operette ricordiamo i Fragmenta Vaticana, conservati in un palinsesto della
Biblioteca Vaticana, e la Mosaicarum et Romanarum legum, Collatio detta anche Lex Dei:
entrambi consistono in raccolte di brani di giuristi (iura) e di leggi imperiali(leges). Esistono
poi trattatelli composti con materiali provenienti da giuristi classici, i Tituli ex corpore
Ulpiani, le Pauli sententiae, l’Epitome Gai, sono riassunti semplificati, anche talvolta
parafrasati. I Fragmenta Augustodunensia, sono una parafrasi con commento delle
Istituzioni di Gaio, rinvenuta in un palinsesto della biblioteca di Autun e opera di un ignoto
maestro di origine occidentale. Gli Scholia Sinaitica, scoperti in un monastero sul monte
Sinai e provenienti forse dalla scuola di Berito, costituiscono un insieme di scolii e chiose in
lingua greca XXXV-XXXVIII del commentario ad Sabinum di Ulpiano. Infine, la Consultatio
veteris cuiasdam costituisce un parere formulato da un anonimo giureconsulto della fine del V
secolo d.C., che per il suo scritto servì di alcune costituzioni imperiali e delle Pauli Sententiae.
I testi dei giuristi (iura) erano usati nella prassi giudiziaria come fonti del diritto insieme alle
costituzioni imperiali. Le opinioni degli antichi prudentes avevano lo stesso valore delle
norme imperiali e potevano essere invocate nel corso di un processo, al fine di ottenere dal
giudice una pronuncia conforme alle ragioni fatte valere dalle parti. Una legge proveniente
dalla cancelleria di Valentiano III venne emanata il 7 novembre del 426 allo scopo di
riordinare la prassi della recitatio, si stabilì quali fossero i giuristi le cui opere potevano
essere usate nei tribunali. Dalla fine del III secolo si assiste anche ad alcune iniziative,
prima ad opere dei privati, poi degli imperatori, tendenti alla raccolta di fonte di produzione
chiamate leges. Due compilazioni private di costituzioni, entrambe realizzate sotto
Diocleziano, sono i Codici Gregoriano ed Ermogeniano, attraverso le leggi romano-
barbariche. Il codice Gregoriano raccoglie rescritti da Settimo Severo in poi (forse anche da
Adriano), Il codice Ermogeniano raccoglie un gruppo di rescritti dioclezianei degli anni 293-
294. Il Codice Teodosiano è la prima raccolta ufficiale di costituzioni imperiali che venne

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pubblicata nel 438 d.C. Nel 429 d.C. Teodosio II aveva nominato una commissione per
l’attuazione di un grandioso progetto, che prevedeva la stesura di due codici: nel primo, che
avrebbe dovuto avere finalità didattiche, sarebbe rientrate le norme da Costantino in poi. Nel
secondo avrebbero dovuto trovare posto solo le norme in vigore, tratte dal primo codice e dai
precedenti, il Gregoriano e L’Ermogeniano, e si stabilì che la stesura avvenisse anche con
l’aiuto delle opere dei giuristi classici. Il Codex Theodosianus avrebbe dovuto indicare a tutti
le condotte da seguire e quelle da evitare. Nel 435 d.C. fu approvato un progetto più limitato
attribuendo alla nuova forma commissione l’incarico di raccogliere in un codice unico tutte le
norme generali da Costantino in poi. I responsa prudentium (sono i scritti dei giuristi). Dal
primo gennaio del 439 d.C. il nuovo codice entrò ufficialmente in vigore d’Oriente e in
Occidente. Dopo la sua pubblicazione furono emanate altre costituzioni dallo stesso Teodosio
II, le Novellae Theodosianae; altre novellae sono di Valentiniano III verso raccolte non ufficiali.
Gli indirizzi teodosiani tendenti a concentrare il potere normativo nella persona
dell’imperatore furono proseguiti da Giustiniano. Il Digesto venne annunciato il 15 dicembre
del 530 con la Constitutio Deo Auctore, si rendeva noto al mondo bizantino l’intento di
costruire un monumentale edificio, che avrebbe escluso per sempre il ricorso a testi diversi da
quelli inclusi nella grandiosa antologia. Il pensiero dei prudentes andava selezionato,
corretto e recepito in un unico contenitore ufficiale, l’unico al quale sarebbe stato lecito
riconoscere la forza di un diritto in vigore. Tre anni dopo, il 16 dicembre del 533, Giustiniano
proclamò che la sua impresa era compiuta e ritornava sul punto già affrontato tre anni prima,
in un punto cruciale della Constitutio Tanta, che esclusivamente alla Augusta auctoritas
era concesso sia creare sia interpretare leggi. La verbositas offuscava i contenuti del diritto,
il quale veniva racchiuso in unico grande contenitore. Il Digesto è una raccolta di brani di
giuristi classici che venne attribuita la patente di diritto ufficiale del mondo bizantino.
IUS CONTROVERSUM
Chiamiamo diritto controverso, quando all’interno di un ordinamento giuridico in vigore si
contrappongono, intorno ad un problema, punti di vista differenti. Andreas Bertalan
Schwarz, un grande storico del diritto della prima metà del secolo, definì il Ius Controversum.
Un diritto instabile e iperstabile allo stesso tempo, nella visione di Dieter Norr, perché non era
sicuro che un dato indirizzo espresso da un giurista trovasse applicazione in casi analoghi; ma
per la medesima ragione “iperstabile”. La funzione principale del giurista è quella << di
dare responsi>>, respondēre. L’àgere è l’agire processuale, in cui i giuristi elaborano le
formule necessarie per l’introduzione e lo svolgimento del giudizio; nell’Enchiridion, un
operetta scritta nel II d.C. da Sesto Pomponio, in cui si delineano i tratti salienti della storia
della magistratura e della giurisprudenza. Il cavēre consiste invece nell’allestire i congegni
verbali necessari ai privati per compiere affari e concludere contratti. Il
respondēre(rispondere) è per l’esperto di diritto, esponente di un ceto di notabili e di
un’oligarchia politico-economica, una funzione aristocratica e, insieme, un dovere civico: egli
pone la sua sapienza al servizio di comunità, quanto gli serve per intraprendere carriere
pubbliche, il cursus honorum. Il giureconsulto appare circondato da clientes(clienti) e
discepoli. I suoi responsa formano, attraverso l’apprendimento orale e discussione, nuove
generazioni di giuristi, ai quali il maestro non trasmette un corpo di dottrine, ma le tecniche di
un sapere ermetico e i modi per fare diritto. Il respondēre è l’analisi del casi e della quaestio
da esso generata. Il giureconsulto non tende a costruire un apparato di precetti, persegue
quotidianamente il bonum et aequum mediante il ricorso a valori pure metagiuridici. Nella
Roma antica, il giurista è onnipresente, notava Jhering; davvero egli appare un “interprete”
( da inter-pres, mediatore,negoziatore) tra il vecchio e il nuovo. Il lavoro del giureconsulto
mira all’individuazione del probabile, del verisimile, mai del verum in assoluto, nella
consapevolezza che tutto è perfettibile e che nessuna soluzione è mai quella definitiva. Perciò
la sua interpretatio è essa stessa del diritto civile e può consolidarsi nel tempo. La soluzione
elaborata dal giureconsulto era immersa in un circuito di opinioni e di valutazioni tecniche:
un sapere specialistico, in cui l’autorevolezza andava necessariamente intesa come capacità
di resistenza, nella dialettica potenzialmente inesauribile dell’Applikation. Il diritto
controverso costituisce applicabile in tutte le opinioni, anche se, per ipotesi, eventualmente
tra loro in contrasto. Ulpiano dice “come la conoscenza delle cose divine e umane, la scienza
del giusto e dell’ingiusto, la giurisprudenza si spiega lungo tutto l’arco della storia di Roma,

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dai responsa dei giuristi pontefici e dalla interpretatio svolta sulle XII tavole fino ai grandi
maestri dell’età severiana. Il Primo giurista fu Publio Papirio, che compose una raccolta delle
leggi regie, e del suo allievo Appio Claudio il decemviro, che contribuì alla stesura delle XII
tavole. Appio Claudio il Cieco(Centemmanus), censore nel 312 d.C. e due volte console, al
quale si deve la realizzazione di grandi opere pubbliche, come la Via Appia, che collegava
Roma a Capua e a Benevento. Fu autore di un’opera dal titolo De usurpationibus. Tiberio
Coruncanio, console nel 280 d.C. e pontefice massimo nel 254,ebbe il merito di rompere la
segretezza del collegio pontificale. Si verifica così la laicizzazione del sapere giuridico. Le XII
Tavole saranno oggetto, per opera di Sesto Elio Peto Cato, console nel 198 a.C. di un
commento sistematico diviso in tre parti chiamato appunto Tripertita: nella prima il testo
normativo, nella seconda l’interpretazione compiuta dal giurista, nella terza i formulari delle
legis actiones. Publio Mucio Scevola, console nel 133 a.C. e consigliere di Tiberio Gracco;
Giunio Bruto, pretore intorno al 140 a.C. autore di responsa stesi in forma dialogica; Manio
Manilio, console nel 149 a.C. autore di alcuni libri iuris civilis e di una raccolta di formulari
negoziali e processuali. Secondo Pomponio sono visti come coloro che fondarono il <<diritto
civile>>; il verbo fundare(fondare) è qui adoperato nel senso di dare. Quinto Mucio Scevola
il Pontefice, console nel 95 a.C., scrisse 18 libri di diritto civile << in una disposizione ordinata
per generi>>, secondo quanto narra da Pomponio, e fu il primo a fare impiego dall’arte
diairetica, ordinando il diritto in genera et species. Servio Sulpicio Rufo, console nel 51 a.C.
e abilissimo oratore, che sottopose ad analisi critica il commentario civilistico di Quinto Mucio,
in un’opera dal titolo significativo, Reprehensa Scaevolae capita (o Notata Mucii). Secondo
Cicerone , Servio appare come colui che era stato in grado di trasformare il diritto in ars, in
un insieme ordinato di conoscenze messe in pratica per un fine utile alla vita. La iuris
scientia è un’arte, che consisteva nel distribuire in parti l’intera materia, mediante
l’interpretazione. Molti responsa severiani sono noti per il tramite dei Digesta di Alfeno
Varo, allievo di Servio e consul suffectus nel 39 a.C. Il giurista autorevolissimo di età augustea
fu Marco Antistio Labeone, rivestì la carica di pretore ma rifiutò quella di console offerta da
Augusto; scelse la strada dell’allontanamento dalla vita pubblica, dedicandosi esclusivamente
allo studio e all’insegnamento del diritto. Fondò la scuola dei Proculiani (dal nome dell’allievo
Proculo); i suoi interessi culturali spaziarono dalla grammatica alla dialettica e alla letteratura,
innovando attraverso una vastissima produzione letteraria, la scienza del diritto. Con Ateio
Capitone, autore, tra l’altro, di libri di diritto pontificale. Capitone sostenne il Principato e
fondò l’altra influente scuola dei Sabiniani, chiamata così dal nome del discepolo Masurio
Sabino, giurista di umili origini, insignito del ius respondendi dall’imperatore Tiberio. I libri
tres iuris civilis di Sabino furono alla base delle successive trattazioni civilistiche. Tra il I e il
II secolo d.C. vive il giurista di età antonina Sesto Pedio, che si dedica soprattutto allo studio
di tematiche contrattuali. Secondo Sesto Pedio la “conventio” è l’accordo delle parti che
era l’elemento cardine su cui si fondavano non solo i contratti consensuali ma anche quelli re,
verbis e litteris. Il consilium degli Imperatori Adriano, intorno al 130 d.C. affida il compito di
stendere il testo definitivo dell’editto perpetuo. Gaio è conosciuto solo con il prenome e
probabilmente di origine provinciale, autore del celebre manuale di Institutiones in 4 libri, al
quale s’ispireranno 4 secoli dopo, i commissari giustinianei per la redazione delle Istituzioni.
Inoltre, grazie al ritrovamento, avvenuto nel 1816 nella Biblioteca Capitolare di Verona, di
Gaio è l’unico della giurisprudenza classica pervenuto al di fuori della compilazione
giustinianea, ad eccezione di una serie di frammenti papiracei e pergamenacei contenenti
varie testimonianze. Tra gli altri giuristi dell’epoca ricordiamo Giuvenzio Celso, autore di 39
libri di Digesta; Sesto Cecilio Africano, discepolo di Giuliano; Volusio Meciano, maestro di
diritto di Marco Aurelio; Ulpio Marcello membro del consilium di Antonino Pio e di Marco
Aurelio; Sesto Pomponio, dedicato all’insegnamento e autore tra l’altro dell’Enchiridion. Con
l’epoca dei Severi, tra il 193 e il 235 d.C., fiorisce l’ultima grande stagione del pensiero
giuridico romano: come diceva Savigny, il “tempo classico” della giurisprudenza. Papiniano
venne ucciso da Caracalla nel 212, per aver rifiutato secondo la tradizione di giustificare
dinanzi al Senato e al Popolo l’omicidio, ordinato dall’Imperatore, del fratello di costui, Geta.
Papiniano scrisse, tra l’altro, libri di quaestiones, responsa, definitiones. Ulpiano tentò di
porre un freno allo strapotere politico-militare dei pretoriani, perciò venne assassinato dai
pretoriani nel 223 d.C. Dalle opere ulpianee è tratto circa un terzo dei testi raccolti nel

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Digesto. Altri giuristi del tempo furono Elio Marciano, che probabilmente fece parte della
cancelleria imperiale, tra le cui opere ricordiamo il De cognitionibus, una trattazione unitaria
del processo cognitorio; infine Modestino, allievo di Ulpiano, morto intorno al 240 d.C. Gli
ultimi giuristi menzionati nel Digesto sono Arcadio Carisio ed Ermogeniano, di cui è lo stesso
autore del Codex Hermogenianus. I trattati civilistici, commentarii al ius civile chiamati ad
Quintum Mucium e ad Sabinum, in quanto si pongono nell’alveo di una possente tradizione
scientifica, che annovera appunto Quinto Mucio e Masurio Sabino tra i suoi esponenti più
autorevoli. I commentari ad edictum, finalizzati alla illustrazione e interpretazione del testo
edittale del pretore e di altri magistrati. I 90 libri di Digesta scritti da Giuliano, in cui
l’indagine spazia dall’analisi dell’editto pretorio a quella di varie leggi e senatoconsulti. I
responsa non costituivano l’unica forma di comunicazione in origine svolta in un contesto
orale, successivamente oggetto di rielaborazione per iscritto che il giureconsulto poteva
instaurare con chi ne sollecitava la consulenza. Sono documentari infatti Libri epistularum.
La produzione di opere di natura didattica: scrissero libri di Institutiones giuristi come
Gaio, Fiorentino, Marciano, Paolo, Ulpiano(quest’ultimo compose istituzionale in due libri, in
cui si avverte una prospettiva giusnaturalistica). I Severi, nel periodo della giurisprudenza
burocratica, fiorì la letteratura giuspubblicitistica, in cui l’analisi si concentrava sugli officia dei
magistrati cittadini e su quelli dei prefetti e dei governatori provinciali.
IL PROCESSO PRIVATO CAPITOLO II
1. NOZIONI GENERALI
1a. La realizzazione del diritto
Ciò che caratterizza l’ordinamento giuridico(cioè il diritto che regola la vita di una data
comunità) è la coattività. I meccanismi idonei a comporre le controversie e ad attuare il
potere d’azione dell’avente diritto nei confronti sono stati sin dall’antichità individuati nel
processo giurisdizionale. Il contenuto delle XII tavole rivela che già nel V secolo a.C. i Romani
concepivano l’ordinamento giuridico come un “sistema organico”, organico idoneo a
regolare i principali aspetti della vita sociale dei cives, mediante i mezzi di difesa, riconosciuti
e di sanzioni degli imperativi (di fare o di non fare) posti dalle norme. Al fine di attivare
l’antico processo privato, l’interessato aveva l’onere di esercitare l’azione. Il giurista, il
magistrato e il giudice dovevano trovare la norma che regolamentava la fattispecie ipotetica
poi verificatasi nella realtà e quindi applicarla. Quando mancava una norma volta a
disciplinare la fattispecie verificata nella realtà, il magistrato e il giudice, con il supporto del
giureconsulto, dovevano trovare la regola applicabile al caso concreto, svolgendo una
interpretazione delle norme che fosse “estensiva” cioè di assegnare ai verba legis un
significato più ampio di quello strettamente letterale, oppure “analogica” dell’interprete
mirava all’individuazione della volontà presunta, non espressa dal legislatore, mediante
l’applicazione per la regolamentazione di una fattispecie analoga. Dove poi il giurista, il
magistrato, il giudice avessero constatato l’assenza, la fattispecie concreta, essi dovevano
concludere che il comportamento era lecito, non vietato dal diritto. Al fine di ottenere
“l’accertamento” circa la liceità o la illiceità di una altrui condotta umana, il cittadino romano
che ritenesse di avere subito una violazione di un diritto, egli doveva rivolgersi agli organi
preposti all’amministrazione della giustizia( nella fase monarchica il rex, affinché questi
effettuassero, un accertamento del diritto vantato e del quale si lamentava la violazione.
1b. Il diritto soggettivo e l’azione: ius e actio
Negli ordinamenti giuridici moderni e contemporanei, l’azione processuale viene concepita per
tutelare un ‘diritto soggettivo’ riconosciuto dal diritto positivo. Per ‘azione processuale’, nel
campo del processo privato, s’intende la dichiarazione effettuata da chi agisce in giudizio
(attore) nei confronti della persona recalcitrante (convenuto) circa la titolarità di un ‘potere
d’azione’ nei suoi confronti. Possiamo dedurre dai Digesti giustinianei, che i giuristi romani e
le disposizioni normative trascuravano l’irrilevanza del diritto soggettivo, preferendo il
rapporto giuridico dal punto di vista dell’azione (actio). Actio in rem o actio in personam sono
le espressioni nelle fonti romane che indicano, il diritto assoluto e il diritto relativo: habere
actionem per avere il diritto. La tripartizione Gaiana in personae, res, actiones, intesi come
diritti soggettivi. La tipicità delle azioni ad ogni situazione soggettiva attiva per es. il
dominium, la patria potestas, l’usufrutto, faceva riscontro un rimedio processuale,
caratterizzato da denominazione particolare es. actio furti, vindicatio usufructus, conditio

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certae eccetera. Sussisteva una correlazione tra situazione giuridica soggettiva e uno
strumento giudiziario. La patria potestas, la manus e il mancipium, comprendevano il mezzo
processuale per ridurre all’obbedienza il civis riottoso. Possiamo interpretare concetto di
diritto soggettivo, due diversi sistemi giuridici dell’ordinamento giuridico romano: lo ius civile
e lo ius honorarium. Per lo ius civile, al civis ‘spettava’ (actio competit) l’applicazione del
magistrato, dell’azione tipica, cioè per quella fattispecie e si parlava di actionem competere o
actionem habere, per lo ius honorarium dipendeva da una concessione ex novo (actio datur)
da parte del magistrato, basata su valutazioni insidicabili (actionem dare). Il pretore poteva
negare l’azione di (diritto soggettivo) riconosciuta dallo ius civile, accordarla anche se non
tutelata dallo ius civile. Nella fasi della Repubblica e del Principato si sviluppò la concessione
dell’azione da parte del pretore, prevista da una norma disattesa dal pretore mediante un
‘diniego dell’azione giurisdizionale’ (denegatio actionis). Ius (diritto), non aveva il significato di
diritto soggettivo ma, indicava invece il diritto oggettivo, cioè la norma e la forma plurale iura
designava il comportamento delle norme. Nel processo privato romano anteriore alle
cognitiones imperiali, ius indicava la prima fase del processo, la fase in iure che si svolgeva
dinanzi al magistrato, in questo contesto il vocabolo ius si designava il luogo dove si svolgeva
il processo. Il termine actio, così come il moderno ‘azione’, può assumere diversi significati
tecnici. Azione in senso materialeè il potere di fare valere in giudizio il proprio diritto al
titolare di un diritto soggettivo. Azione processuale è il potere riconosciuto dall’individuo per
ottenere una pronunzia circa la fondatezza o infondatezza della propria domanda. Giustiniano
definiva l’azione processuale come il diritto (ius) di perseguire in giudizio ciò che spetta
(ovvero, l’oggetto del diritto soggettivo). L’azione era dunque un potere (ius). Azione
dichiarativaaccertamento di una situazione giuridica soggettiva controversa a individuare la
sanzione applicabile a chi abbia violato la norma. Azione esecutiva applicazione materiale
della sanzione comminata dal legislatore. Azione cautelareeffettuazione di attività
precauzionali, in vista di un successivo procedimento. La persona che esercitava l’azione era
denominata actor (colui che agisce), la persona chiamata in giudizio dall’attore (convenuto)
veniva qualificata reus, invece reo indica la persona di cui già si sia accertata la responsabilità
a seguito di un processo penale. L’attore viene indicato con il nome Aulus Agerius (le due a
iniziali indicano is quit agit, chi agisce in giudizio), il reus, invece con il nome Numerius
Negidius (is quit negat, cioè colui che nega le pretese dell’attore). Per azione privata prevista
dallo ius civile l’interessato doveva affermare che il soggetto passivo non aveva adempiuto
alla condotta prescritta e chiedere pertanto che si applicassero le sanzioni previste da
quell’ordinamento (ius civile). Per azione privata prevista dallo ius honorarium erano previste
delle sanzioni dall’editto pretorio nei confronti della persona inadempiente rispetto a un dato
rapporto. La sanzione è la conseguenza giuridica comminata dall’ordinamento nei confronti di
un soggetto inadempiente. La sanzione può essere reipersecutoria, intesa cioè a conseguire la
cosa stessa o il suo controvalore, mediante restituzione o risarcimento; penale, mirata alla
punizione del reus. Le sanzioni erano comminate da norme civilistiche (si pensi al furtum,
illecito penale) o da clausole dell’editto pretorio, o da leggi (per es. la legge Aelia Sentia
sanciva la invalidità della manomissione dello schiavo attuata in frode ai creditori).
1c. Autotutela e tutela statale dei diritti.
Per autotutela o autodifesa privata intendiamo la reazione non disciplinata e non sorretta
dagli organi dello stato. Nell’antico diritto romano i patres erano autorizzati dalla norma
civilistica posta dalle XII tavole ad applicare la legge del taglione, cagionando, all’autore di
una lesione personale che avesse dato luogo alla rottura o alla perdita di un arto, la stessa
lesione, a meno che non fosse risarcito. In assenza di uno Stato gli individui vittime di una
offesa reagiscono personalmente nei confronti dell’aggressore (autotutela o difesa privata).
Alle origini, la debolezza delle strutture statali nei confronti di gentes e familiae non consentì
l’affermazione di un processo affidato ad organi pubblici e rimasero a lungo operanti da un
lato l’autotutela per l’offese, dall’altro lato il tribunale domestico, presieduto dal pater familias
e composto dai più anziani nel cui alveo si sanzionavano gli illeciti commessi all’interno della
famiglia o della gens. Il rex e in seguito i consoli si arrogarono il compito di regolare
pacificamente le controversie insorgenti tra i privati; ma si trattò di una evoluzione assai
lenta. Questa è la ragione per cui, e alcuni meccanismi processuali romani riflettevano il
retaggio(eredità) dell’antica difesa privata. Si pensò alla manus iniectio stragiudiziale ed

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esecutiva, o all’impiego della forza consentito al derubato per catturare il ladro colto in
flagrante (fur manifestus). Cicerone, nel de legibus, fu già esplicito al riguardo: nulla è più
pericoloso per i popoli e più contrario al diritto e alle leggi, meno civile e umano in una società
evoluta, del ricorso alla violenza. Queste sono le tappe essenziali del graduale passaggio della
difesa privata alla tutela statale dei diritti. Nello stesso periodo in cui Cicerone scriveva nel de
legibus si varava una cospicua legislazione volta a sanzionare duramente il ricorso alla forza
o alla violenza (vis). In particolare la lex Plautia dell’80 o 70’ a.C. e la lex Iulia de vi publica e
de vi privata del 17 a.C. a sancire l’illiceità di una parte almeno degli atti di autotutela. Una
costituzione imperiale del 389 d.C., poi accolta nel Codice giustinianeo come diritto vigente
nel VI sec., previde la perdita della lite e della parte processuale che, prima della decisione del
giudice, si impossessasse con la forza di un immobile posseduto da altri. Il giurista Modestino
attesta che i creditori i quali avessero scelto l’esercizio arbitrario, avrebbero subito
l’imputazione di crimen vis(crimine di violenza), con conseguente condanna alla confisca
della terza parte del patrimonio e al marchio dell’infamia. Nella prima metà del IV sec. d.C., si
avversò anche una forma di autotutela che, la clausola vitii contentiva al possessore vittima di
una usurpazione del possesso effettuata ai suoi danni vi, clam, precario, di riprendersi con la
forza il bene del quale fosse stato spossessato, vietata da Costantino ( e poi da Giustiniano) e
la soppressione della clausola vitii. Rimase invece lecita l’autodifesa se integrante la legittima
difesa (altresì detta resistenza o giustizia privata difensiva), consistente nel contrastare, con
la violenza, la violenza altrui: vim vi repellere licet (è lecito respingere la violenza con la
violenza). La violenza fu enunciata dal giureconsulto Cassio a proposito dell’interdictum de vi.
1d. L’amministrazione della giustizia in Roma
Iurisdictio, da ius dicere (dire, affermare il diritto), si indicava la funzione dell’amministrazione
della giustizia, che spettava al rex e poi, in età repubblicana in Roma - ai consoli, ai pretori,
agli edili curuli; in provincia, la iurisdictio spettava ai governatori. La iurisdictio investiti ai
suddetti magistrati consisteva nel potere-dovere a questi conferito di inquadrare la lite e di
dichiarare la sanzione applicabile. Prima dell’avvento delle cognizioni imperiali (cognitiones
extra ordinem), il processo era bifasico; il magistrato svolgeva le sue funzioni soltanto nella
prima fase del processo, la fase in iure. Il potere di iurisdictio, di dicere ius, nulla aveva a che
fare con la pronuncia della sentenza. Tutto cambiò con le procedure extra ordinem e il
processo divenne unitario e gestito da unico funzionario-giudice, inoltre la iurisdictio fu
riconosciuta all’Imperatore e poi al praefectus praetorio, al praefectus urbi, al prases
provinciae, al vicarius e in ambito ecclesiastico, venne investito di iurisdictio il Vescovo, in
relazione all’episcopalis audientia. La iurisdictio si configurò come il potere del giudicante
di affermare il diritto da applicare al caso. In Roma, agli organi a cui era affidata la iurisdictio
non veniva richiesta una preparazione specifica nelle materie giuridiche. In età monarchica a
presiedere i più antichi processi era il rex e più tardi, nel corso della fase repubblicana, la
carica di console, di pretore, di edile etc, furono soltanto ambite tappe del cursus honorum,
dunque della carriera politica. In età imperiale, magistrati e funzionari nominati
dall’Imperatori ed esperti di diritto. Ecco la ragione per cui i magistrati e giudici ebbero
sempre la necessità di essere assistiti da un consiglio (consilium) di giurisperiti, che
intervenivano come consulenti. Con l’avvento delle cognitiones extra ordinem e la consulenza
svolta dai giurisperiti fu assunta dagli scrinia (uffici) della cancelleria imperiale e in altra
parte dal consilium principis( poi evoluto nel consistorium imperiale). Nell’età più antica
spettava al collegio pontificale redigere il calendario dei dies fasti( cioè i giudizi presieduti dal
magistrato) e dies nefasti ( in cui era vietato ogni giudizio). Il processo romano si svolgeva tra
l’alba e mezzogiorno(meridies), la successiva fase apud iudicem, avere luogo anche nei dies
nefasti e durare fino al tramonto; dove tale non si raggiungesse la fase apud iudicem si
svolgeva nel comitium o nel forum. In età tardoimperiale aveva luogo nel secretarium (o
secretum). Altra caratteristica del processo romano più antico fu l’oralità. Soltanto nella
media età repubblicana si diffuse l’uso di redigere per iscritto alcuni atti, quali lo iudicium
pubblicana e la sentenza dello iudex. Per le cognitiones extra ordinem.
1e.Processo di cognizione, di esecuzione, cautelare
Il processo di diritto privato relativo a tutte le controversie che coinvolgevano gli interessi dei
singoli e processo di diritto pubblico, relativo invece alla repressione dei soli illeciti che,
ledevano gli interessi dell’intera comunità. Il processo penale (rientrante del diritto privato e

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relativo alla commissione di delicta: furtum, iniuria, damnum iniuria datum, rapina) e processo
criminale rientrante del diritto pubblico e relativo alla commissione di illeciti di crimina:
parricidium, maiestas, repetundae, vis). Questi processi si svolgevano davanti a differenti
organi giurisdizionali, distinguendo pertanto tra iudicia privata o civiliter agere e iudicia
publica o criminaliter agere. Si ebbe una diversità tra crimina e delicta: gli illeciti penali
furono tutti giudicati dai medesimi organi pubblici. L’odierna amministrazione si distingue tra
processo civile ( cui è riconosciuta la funzione di attuare i diritti soggettivi dei privati),
processo penale e processo amministrativo (inteso a regolare i rapporti tra privati e organi
dello Stato o altre pubbliche autorità). Il processo di cognizione o accertamento) si promuove
con una azione di accertamento e mira alla verifica e dichiarazione autoritaria può essere: di
mero accertamento di una situazione di fatto o di diritto, oppure volto a un accertamento con
condanna del soccombente o ancora di accertamento con effetti costitutivi, come nel caso
dell’antica tutela extra ordinem della libertas fideicommissaria o nel caso
dell’annullamento di un atto). Il processo di esecuzione è preceduto da un processo di
accertamento- è promosso da una azione esecutiva e mira all’attuazione della sanzione
prevista. Il processo di cautelare promosso da un’azione cautelare serve infatti al
conseguimento di misure di garanzia preventiva rispetto ad una successiva, decisione di un
processo di cognizione. Il processo giurisdizionale è il meccanismo con cui lo Stato,
l’osservanza delle norme giuridiche, irrogando sanzioni. La procedura è il modus
procedendi, cioè il sistema procedurale del processo, le regole che governano le attività
processuali necessarie e ai fini per il processo. Il procedimento consiste in una concatenazione
di atti giuridici volta ad ottenere un dato provvedimento giurisdizionale.
1f. Sviluppo storico del processo privato romano
I tre sistemi processuali
Il primo processo privato romano fu il processo per legis actiones, poi la procedura
formulare (processo per formulas, o per concepta verba), sviluppata nell’ambito dello ius
honorarium, deputato alla soluzione delle liti tra e con stranieri, ma in seguito fu esteso ai
cittadini romani nel II sec. a.C., divenendo il processo civile ordinario in forza della lex Iulia
iudiciorum privatorum del 17 a.C. Nello stesso periodo, le cognitiones extra ordinem
prevalsero sul processo formulare. Il processo formulare venne abolito per legge soltanto nel
343 d.C.
Ordo e cognitio extra ordinem
Si impone una prima distinzione tra procedura ordinaria (ordo iudiciorum privatorum, iudicia
ordinaria) e procedura straordinaria extraordinaria cognitio, cognitiones extra ordinem).
L’ordo (procedura ordinaria) includeva le procedure proprie della tradizione, che si
identificavano nelle procedure per legis actiones e nelle procedure per formulas. Le
cognitiones extra ordinem si distinguevano dalle preesistenti procedure facenti capo all’ordo,
in quanto si svolgevano interamente dinanzi al magistrato.
2. Legis actiònes
2a. Lege agere: caratteri e struttura delle cinque azioni di ‘ legge.
Le legis actiones costituirono la più antica forma processuale del diritto romano. Le ‘azioni di
legge’ erano così denominate sia perché erano state introdotte dalla legge più precisamente
dalle leggi delle XII Tavole
Del V secolo a.C. e da leggi successive. Gaio precisa che le legis actiones erano 5:
- legis actio sacramento;
- legis actio per iùdicis arbitrìve postulatiònem ;
- legis actio per condictiònem ;
- legis actio per mànus iniectiònem;
- legis actio per pìgnoris capiònem.
Le prime tre erano azioni di accertamento, diviso in fase in iure e in fase apud iudicem; le
ultime due erano invece azioni esecutive di una sentenza già pronunciata non aveva luogo la
fase apud iudicem. La legis actio sacramento in rem e la pignori capio rivelano la differenza
tra processo di cognizione e processo di esecuzione . Caratteristiche di tutte le legis actiones
erano:
a) il formalismo orale;
b) la tipicità delle azioni.

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Le legis actiones più antiche furono una di accertamento, la legis actio sacramenti in rem, e
una esecutiva, la manus iniectio, entrambe connesse alla prassi dell’autotutela. Le due fasi
del processo di cognizione sono :
- fase in iure (davanti al magistrato);
- fase apud iudicem ( anche detta in iudicio),(davanti al giudice privato).
La fase in iure delle legis actiones in età monarchica veniva gestita dal rex, in età
repubblicana dai consoli a partire dal 367 a.C. dal pretore urbano( praetor urbanus). La
procedura relativa alle prime 3 azioni prevedeva:
a) la introduzione del procedimento in iure mediante la chiamata i giudizio del convenuto
(in ius vocatio);
b) lo svolgimento della fase in iure del processo;
c) lo svolgimento della fase apud iudicem (presso il giudice).
Nella fase in iure si doveva impostare la controversia e pronunciare i certa verba prescritti
per le singole azioni. L’introduzione del procedimento in iure consisteva nella in ius vocatio del
reus, e l'intimazione a recarsi davanti a un magistrato munito di iurisdictio fatta dall'attore al
convenuto. La fase in iure aveva lo scopo di fissare, con certezza e precisione, i termini della
controversia, ed esigeva, di conseguenza, la necessaria presenza di entrambe le parti:
spettava all’attore condurre dinanzi al magistrato la controparte ( convenuto) nel caso anche
con la forza, effettuava la manus iniectio stragiudiziale, cioè fisicamente afferrava il reus e lo
trascinava in giudizio, l’unica possibilità per sottrarsi alla manus iniectio per il convenuto era
presentare una vindex, cioè una persona di sicura solvibilità, al fine di sottrarsi all’azione
esecutiva. Davanti al magistrato, l’attore affermava solennemente il suo diritto. L’elemento
fondamentale della fase in iure era lo scambio tra le parti di formule solenni(certa verba),
incompatibili tra loro (in quanto l’una affermava il diritto, l’altra lo negava). Necessaria era la
presenza delle parti e di un magistrato che avesse giurisdizione, ovvero la "iurisdictio". Ad
essere ammessi in giudizio, nel ruolo di attore o convenuto, erano i cittadini romani, liberi e
sui iuris. Gli incapaci erano sostituiti dal loro tutor o curator. Se il fondamento del diritto
affermato dall’attore appariva evidente, si poteva quindi passare all’esecuzione, con la
conseguenza che l’attore poteva impossessarsi della cosa o del debitore. Se le parti non
raggiungevano alcun accordo, il magistrato procedeva alla nomina del giudice privato e si
apriva la seconda fase del processo, àpud iùdicem , alla fine del quale veniva emanata la
sentenza. La fase àpud iùdicem Il magistrato rimetteva le parti dinanzi ad un iùdex
privàtus (da lui scelto) il quale, ascoltate le loro ragioni ed esaminati i mezzi di prova,
emetteva la sua sententia, oralmente.
Nella fase apud iudicem non era più necessaria la presenza di entrambe le parti: la sentenza,
in assenza di una parte, interveniva ugualmente ed era sfavorevole a questa. L’ufficio di
giudice poteva essere affidato ad una persona sola o ad un collegio: nel primo caso, il giudice
era nominato dal magistrato di volta in volta; nel secondo caso il collegio decideva un numero
indefinito di controversie, avendo in determinate materie, competenze generali:
— in materia di libertà, erano competenti i decèmviri stlìtibus iudicàndis;
— in materia di eredità e di proprietà, erano competenti i centumviri.
Nel caso fosse stata esperita la legis actio sacramènti, il giudice si limitava a dire quale
delle parti avesse ragione, dichiarando, cioè, quale sacramentum (giuramento) fosse iustum:
il giudice pronunciava un accertamento e non una condanna. Diversamente, nelle altre legis
actiones dichiarative il giudice condannava, vale a dire ordinava al convenuto di tenere un
dato comportamento. Se il convenuto non ottemperava alla sentenza, intervenivano
senz’altro misure esecutive; con l’actio in rem il convenuto perdeva il possesso della cosa in
favore dell’avversario; con l’actio in personam era soggetto alla immediata esecuzione
personale.
2b. Lègis àctio sacramènto
La Lègis àctio sacramènto (azione di legge con il giuramento sacrale) aveva origini molto
antiche, e poteva essere esercitata a difesa di ogni diritto per il quale non fosse
specificatamente prevista una procedura diversa: era cioè un’actio generalis. Come è
possibile desumere dalla descrizione Gaiana, contenuta nelle Institutiones, essa consisteva
in una sorta di scommessa fatta dalle parti in lite. Essa si caratterizzava per :
a) le affermazioni formali e solenni ( certa verba,

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b) il sacramentum, cioè quel giuramento in nome della divinità.


Fissati, i termini della controversia, una volta effettuato il sacramèntum, occorreva stabilire
chi dei due contendenti, giurando il falso, aveva turbato la pax deorum, mettendo a
repentaglio la sicurezza dell’intera civitas, così da pagare in favore dell’erario una determinata
somma in caso di soccombenza; toccava poi ad un iùdex, nominato dal magistrato dinanzi a
cui si svolgeva la fase in iure, stabilire quale delle parti avesse ragione e quale avesse, invece,
dolosamente promesso la somma.
Si distinguevano una Lègis àctio sacramènto in rem (con la quale si faceva valere un diritto
reale su una cosa, costituendo oggetto del contendere la titolarità di un diritto su una res) ed
una Lègis àctio sacramènto in personam (nella quale oggetto del contendere era
l’esistenza o meno, a carico del convenuto, di una obbligazione).
• Legis actio sacramenti in rem consisteva, nella fase in iure, in una vindicatio (rivendica)
effettuata dalle parti in causa, le quali pretendevano entrambe di essere proprietarie di una
cosa o di una persona sottoposta ( schiavo, fondo…). Attore e convenuto comparivano dinanzi
al magistrato portando la cosa controversa( res litigiosa) o una parte simbolica di essa, se si
trattava di cosa non trasportabile. L’attore, tenendo in mano una verga (festùca), toccava la
cosa e pronunciava la frase “hunc ego hòminem ex iùre Quirìtium meum esse aio secundum
suam causam. Sicut dixi, ecce tibi vindìcta impòsui” (affermo solennemente che questo
schiavo mi appartiene per diritto quiritario, in conformità alla sua destinazione. Ecco, così
come ho dichiarato, ti impongo la mia vindicta); contestualmente toccava la cosa con
la festuca, operando la vindicàtio. Come spiega Gaio, poiché la festuca rappresentava la
lancia di guerra, questo atto simboleggiava l’occupazione bellica e, quindi, nel toccare la cosa
con la festuca, l’attore manifestava simbolicamente il suo diritto di piena proprietà sulla cosa:
in epoca più antica, infatti, il diritto tipico di proprietà era quello sulle cose prese al nemico. A
questo punto due erano le possibilità. Se il convenuto non compiva alcuna dichiarazione
contraria, la cosa restava definitivamente in proprietà dell’attore (a questa forma, si ricorse
molto spesso per trasmettere i beni oggetto di compravendita).
Se, invece, il convenuto compiva la stessa dichiarazione ed eseguiva gli stessi atti compiuti
già dall’attore, operando la vindicatio contraria, sorgeva la controversia vera e propria. In
questo caso il magistrato intimava ad entrambe le parti di abbandonare la cosa contesa
(c.d. lis, pronunciando la frase: “mìttite ambo rem”); a ciò seguiva la reciproca scommessa —
la somma oggetto della sfida si chiamava sacramentum (e dava nome alla procedura in
esame). Il magistrato investito della controversia poteva assegnare il possesso interinale
sulla res oggetto del giudizio (vindicias dicere) alla parte che a suo avviso vantasse una
pretesa in apparenza fondata la restituzione della res e dei frutti, in caso di soccombenza del
possessore interinale (poco probabile, alla luce di quanto detto, ma sempre in teoria possibile)
era garantita attraverso la nomina di garanti (c.d. prædes lìtis et vindiciàrum rispettivamente,
per la res e per i frutti). Una volta individuato il giudice, la fase in iure si avviava alla sua
conclusione e davanti al magistrato in questa fase avveniva la litis contestatio fase interna
alla fase in iure nel processo che consisteva nello scambio tra le parti di dichiarazioni solenni,
incompatibili tra loro, avveniva alla presenza di testimoni, era duplice:
- determinava l'oggetto del processo, in maniera tale che si formava la preclusione di
ripetere la lite sullo stesso rapporto;
- impegnava le parti alla soluzione della lite mediante sentenza.
Successivamente, nominato il iudex, si passava alla fase àpud iùdicem, nella quale ciascuna
parte produceva le prove che intendeva porre a sostegno della sua tesi, ed il giudice, dopo
averle valutate, emetteva la sua sententia, con la quale, risolvendo il tema oggetto della
controversia, proclamava quale dei sacramenta fosse iùstum e quale iniustum. Poiché
la summa sacramenti era promessa da tutte e due le parti, pur dovendo essere pagata solo
da chi perdeva la causa, si richiedeva che ognuna presentasse dei garanti per il futuro
eventuale pagamento (i prædes sacramenti che prestavano garanzia davanti al magistrato);
la somma era poi devoluta ad una cassa pubblica.
• Legis actio sacramenti in persònam
Assai simile alla legis actio sacramenti in rem era la (—).
Il creditore e il debitore convenivano in iure: dinanzi al magistrato il creditore, rivolgendosi al
debitore, affermava il proprio diritto e l’esistenza di un credito verso il convenuto.

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Il convenuto poteva tacere, nel qual caso risultava definitivamente accertato il suo debito,
o contestare il diritto azionato: in questo caso il creditore lo provocava al sacramentum.
A differenza della legis actio sacramenti in rem, in cui le parti affermavano per sé lo stesso
diritto, nella (—) una parte affermava il credito e l’altra lo negava. Inoltre mancava la fase di
attribuzione del possesso interinale, non essendoci una res oggetto della controversia. La
sfida al sacramentum, peraltro, permaneva e di conseguenza era necessaria sempre
l’indicazione dei prædes sacramenti. Una distinzione importante era quella tra il ruolo
dell’attore, che si affermava creditore e il convenuto che negava di essere debitore.
2c. Legis actio per iùdicis arbitrìve postulatiònem
La (—) costituì una semplificazione della legis actio per sacramèntum . Essa fu introdotta
dalla legge delle XII Tavole ed aveva un campo di applicazione ben delineato, si esercitava
quando:
a) La lite verteva su una sponsio ( la forma religiosa e più antica della stipulatio);
b) Si doveva procedere alla divisione di un patrimonio ereditario fra i coeredi, con àctio
familiæ erciscùndæ ;
c) In forza della Lex Licinia si chiedeva lo scioglimento di una comunione e ottenere la
regolamentazione dei confini (actio fìnium regundòrum).
Nella fase in iùre le parti, l’attore affermava la propria pretesa e, nel caso di contestazione
del convenuto, si rivolgeva tanto a lui che al pretore chiedendo a questi di nominare
un iudex che decidesse la controversia. La procedura si caratterizzava per il fatto che,
eliminata la sfida al sacramentum, l’attore, dopo aver ribadito la sua domanda, e dopo aver
ricevuto il diniego del convenuto, chiedeva immediatamente la nomina dell’iùdex o
dell’àrbiter che avrebbe deciso la questione, secondo le disposizioni della Lex Pinaria entro
30 giorni. In queste ultime due ipotesi, il giudice aveva poteri più ampi di quelli solitamente
riconosciutigli, e perciò era chiamato arbiter: la legis actio fu, così, denominata (—). Questa
legge consentì alla giurisprudenza laica di elaborare un nuovo congegno processuale idoneo,
estendendo la tutela giurisdizionale a fattispecie non previste dalla legge, tale meccanismo
assunse il nome di agere per sponsionem. La somma così promessa, la summa
sponsionis, era inizialmente poenalis (penale)e poteva essere reciprocamente promessa
da entrambi i litiganti.gaio ricorda una Lex Crepereia che aveva fissato l’ammontare del
somma da promettere tramite sponsio.
2d. Lègis actio per condictiònem
Introdotta, come riferisce Gaio , da una lex Silia del III sec. a.C. per l’accertamento di crediti
di somme certe di danaro, fu estesa, da una successiva lex Calpurnia, ai crediti di cosa
determinata. La condìctio costituì probabilmente un adattamento della legis actio
sacramènti, in quanto sostituì il pagamento della somma di danaro all’erario con il pagamento
di una penale al vincitore. Come precisa Gaio il verbo condicere evoluto nella lingua latina
in denuntiare ( intimare), quindi la condictio era dunque l’intimazione rivolta dall’attore al
convenuto a ricomparire dinnanzi al magistrato per il 30°giorno. La procedura era molto simile
a quella della legis actio sacramenti. L’attore affermava davanti al convenuto che questi era
debitore verso di lui di una data somma di danaro e gli chiedeva di riconoscere il suo
debito. Se il convenuto negava, l’attore lo invitava a comparire nel trentesimo giorno davanti
al pretore per la nomina del giudice: di solito il convenuto per evitare
la condictio provvedeva a pagare il dèbitum. I vantaggi offerti da questa legge erano:
a) Il credito non derivante da sponsio era inapplicabile con la possibilità di evitare il
sacramentum;
b) Assenza della formula dell’azione di un richiamo all’atto;
L ’intervallo dei 30 giorni era utile a consentire un accordo che evitasse la prosecuzione del
processo.
2e. Lègis àctio per mànus iniectiònem
La manus iniectio fu la più antica delle legis actiones e costituì il primo esempio di azione
esecutiva generale. Suo presupposto era il mancato pagamento da parte del convenuto di
una somma di danaro, a cui era tenuto per una causa certa ed indiscutibile. Il caso tipico fu
quello relativo alle somme dovute a seguito di accertamento giudiziale (“manus iniectio
iudicati”); a questa ipotesi furono in seguito equiparati altri casi di crediti ben accertati, ad es.
crediti basati su una confessio in iure, per i quali si parlò di “manus iniectio pro iudicato”.

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Il creditore, trascorsi 30 giorni (dìes iusti) dalla sentenza che aveva riconosciuto il suo diritto,
conduceva, anche con la forza, nuovamente in ius il debitore insolvente e dinanzi al
magistrato lo afferrava pronunciando la frase: “quod tu mihi iudicàtus es sestèrtium decem
mila, quando non solvìsti, ob eam rem ego tibi sestertium decem mila iudicati manum inìcio”
(poiché sei stato condannato a pagarmi diecimila sesterzi e non l’hai fatto, io compio su di te
la manus iniectio per diecimila sesterzi). Il condannato non poteva respingere la manus
iniectio, ma solo offrire un vindex per contestare le ragioni del creditore. Se però
il vindex risultava sconfitto, il debitore era condannato al pagamento del doppio del dovuto.
Se non era presentato il vindex, il magistrato confermava la dichiarazione del creditore
mediante l’addìctio. Il creditore aveva diritto di condurre il debitore presso la sua abitazione
e di tenerlo legato per 60 giorni, durante i quali doveva presentarlo in pubblico in tre mercati
consecutivi per venderlo, dichiarando l’esistenza del debito e il suo ammontare. ( soltanto nel
326 a.C. la Lex Poetelia Papiria de nexis vietò l’uso delle catene per i prigionieri per i
debiti). Trascorsi i 60 giorni senza alcun esito positivo, il debitore poteva essere ucciso o
venduto fuori del territorio romano(trans Tìberim) ossia al di là del Tevere e, se vi erano più
creditori, in base alle XII Tavole poteva essere ucciso: il suo corpo diviso tra gli stessi
creditori.
Col tempo la manus iniectio andò sempre più trasformandosi da processo esecutivo in
processo dichiarativo: al debitore fu concessa la possibilità di respingere la manus iniectio e
di iniziare un giudizio per accertarne la legittimità (depèllere manum et pro se lege àgere:
c.d. manus iniectio pura). Una lex Vallia de manus iniectione, della metà del II sec a.C.,
fece della manus iniectio pura la regola, lasciando sopravvivere la vecchia procedura per il
solo caso di esecuzione del giudicato, ed estese la facoltà a tutti i debitori esecutati di
difendersi con l’effetto della litiscrescenza ( obbligo di pagare il doppio in caso di insuccesso).
2f. Lègis àctio per pìgnoris capiònem
Gaio riferisce che già i mores predecemvirali prevedevano alcune ipotesi di pignoramento,
mirate all’esecuzione; le XII Tavole aggiunsero altre ipotesi di pignoris capio, dando vita alla
legis actio per pignoris capionem. La Lègis àctio per pìgnoris capiònem era una forma di
esecuzione sui beni del debitore, eseguita senza bisogno di un precedente giudicato: essa fu
utilizzata solo per crediti di carattere pubblicistico (es. il credito dell’esattore di imposta).
La (—) si celebrava anche in assenza dell’avversario e non richiedeva la presenza di un
magistrato; consisteva nell’atto del creditore che si impadroniva di una o più cose del
debitore inadempiente, pronunciando cèrta sollèmnia vèrba, per soddisfare il proprio credito.
Gaio ricorda alcuni casi in cui si ricorreva a tale azione:
— i soldati potevano agire con la pignoris càpio contro colui che era tenuto a pagar loro lo
stipendio (æs militare) o a fornir loro le vettovaglie;
— i publicani potevano agire con la pignoris capio contro i debitori di imposte al fine di
riscuotere il vectìgal dai privati contribuenti, in base a un provvedimento del censore (lex
censoria).
L’appartenenza della (—) al novero delle legis actiones fu molto discussa dai giuristi romani
poiché essa poteva essere celebrata fuori del tribunale ed anche nei dìes nefàsti (non
propizi, nei quali non si amministrava giustizia); la necessità di pronunciare certa
verba (formule solenni) indusse a preferire l’opinione affermativa.
3. PROCESSO FORMULARE
3a. Dalle ‘azioni di legge’ al processo per formulas
Le procedure formulari così dette in quanto implicavano il ricorso alle formule edittali, cioè
con il termine ‘formula’ si denominò anche il contenuto dell’atto scritto che in concreto
concludeva la fase in iure ( formula iudicii). Nel PROCESSO PER FORMULAS non si litiga più
per Certa Verba ma per CONCEPTA VERBA, le parole della formula devono essere adottate
caso per caso con riguardo alla singola controversia. (Nelle Legis Actiones ci sono 5 schemi: 3
azioni di cognizione e 2 di esecuzione, ed in queste devono rientrare tutte le fattispecie
possibili e regolate con regolate con estrema rigidità dei formulari). Nel Processo Per Formulas
c’è un solo schema adattabile quasi ad ogni situazione concreta, tale schema corrisponde alla
struttura della FORMULA. La FORMULA è il momento centrale del processo a cui dà il nome.
Essa ha la funzione di indicare al giudice privato i criteri in base ai quali deve procedere alla
soluzione della controversia. Accanto alla locuzione agere per formulas , ricorre anche agere

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per concepta verba, cioè litigare mediante ricorso a regole di giudizio. il processo formulare si
diffuse in Roma a partire dal III sec. a.C., ma inizialmente riguardava soltanto li liti con e tra
stranieri. Era riservato ai soli cives, gli stranieri (peregrini) non potevano accedere al
processo per legis actiones, né il ruolo di attori, né di convenuti. Una soluzione al problema
dei frequenti rapporti commerciali che interessavano Roma fu la concessione ai socii Latini
dello ius commercii(diritto di commerciare ), che implicava la facoltà di utilizzare gli atti
negoziali dello ius civile e forse anche quella di ricorrere alla tutela delle Legis actiones, però,
non vi partecipavano gli altri peregrini. Quando fu istituita la pretura ( nel 367 a.C., creazione
del primo praetor minor)le liti tra mercanti romani e stranieri si erano moltiplicate, il pretore
allora adotta un meccanismo processuale, suggerito dalla giurisprudenza: la fictio civitas
(finzione di cittadinanza romana), che si faceva ricorso quando si presentavano in iure due
litiganti, di cui uno fosse peregrinus(straniero) non dotato di ius commercii. La tecnica
finzionistica adoperata dal pretore urbano non riuscì più a fronteggiare le controversie
creatosi, così nel 242 a.C. fu istituito il secondo pretore. I due pretori, che duravano in carica
un anno, furono così distinti:
a) Pretore peregrino o pretore degli stranieri ( praetor peregrinus), cui venne affidato
il nuovo compito di statuire il diritto tra stranieri e tra romani e stranieri;
b) Pretore urbano (praetor urbanus), il quale continuò ad esercitare la sua iurisdictio
tra cittadini romani.
Lo strumento operativo dei due pretori fu costituito dall’editto, che i magistrati dovevano
emanare all’inizio dell’anno di carica, che consisteva in una sorta di programma di governo, i
pretori non potevano introdurre disposizioni di carattere normativo (diritto sostanziale), ma
soltanto enunciare i criteri. Gli editti pretori contenevano le relative formule che il pretore
avrebbe adoperato al fine di dicere ius. Il contenuto di tutti gli editti pretori costituì diritto, ius,
più precisamente ius honorarium, cioè diritto derivante dall’honos(onore) di cui erano
insigniti i pretori. La Lex Cornelia de iursdictione del 67 a.C. stabilì che i magistrati
dovessero attenersi a quanto da loro stessi disposto con il proprio edictum perpetuum. Ciò
che escludeva la lex Cornelia era che il pretore esercitasse la sua iurisdictio in contraddizione
con quanto stabilito nell’editto perpetuo. L’editto del pretore urbano era basato sulla civilistica
e doveva essere applicato lo ius civile. La iurisdictio del pretore urbano ricalcava le
disposizioni decemvirali e delle leges publicae. L’editto del pretore peregrino permaneva
l’inapplicabilità delle legis actiones agli stranieri e occorreva superare l’espediente della fictio
civitatis. Per amministrare la giustizia nei processi tra peregrini, il praetor peregrinus, doveva
introdurre nuove procedure a chi fosse privo di cittadinanza romana così, raggiunse la finalità
proposta. L’editto perpetuo, cioè l’editto che si emanava all’inizio dell’anno di carica e che
restava in vigore fino allo scadere del mandato magistratuale, consentiva infatti la previsione
di strumenti processuali nuovi e diversi rispetto alle vecchie ‘azioni di legge’. Il praetor
peregrinus promise di dicere ius nei processi tra stranieri o tra cittadini romani e peregrini, e
promise tutela giurisdizionale mediante azioni e numerosi altri strumenti processuali, ed
introdusse nell’ordinamento giuridico romano schemi negoziali non inclusi nello ius civile,
quali la emptio venditio(compravendita), la locatio conductio(locazione), il
mandatum(mandato), la societas(società). Inoltre il pretore peregrino aveva il compito di:
a) Esercitare la iurisdictio peregrina diversa da quello dello ius civile;
b) Esercitare la iuridisctio secondo procedure differenti dalle legis actiones;
c) Non negare protezione giurisdizionale a schemi negoziali.
Per ‘iudicium decretale’ si intende la formula di giudizio che il pretore poteva emanare con
decreto ogniqualvolta gli fosse sottoposta in concreto una situazione giuridica che egli
ritenesse degna di tutela, benché non fosse stata già prevista dal proprio editto perpetuo. Con
l’edictum repentinum il giusdicente poteva invece integrare l’editto perpetuo e tutelare una
situazione a tenore di ius honorarium. Gli edicta repentina potevano essere emanati anche
dal pretore urbano. L’operato del peregrino iniziato nel 242 a.C. era:
1) L’individuazione delle situazioni giuridiche (diritto sostanziale) da tutelare in sede
giurisdizionale;
2) L’introduzione di nuove procedure giurisdizionale accessibili agli stranieri(diritto
processuale).
Le nuove situazioni giuridiche furono:

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- la stipulatio iuris gentium (la stipulazione degli stranieri);


- i contratti consensuali di compravendita (emptio venditio);
- locazione (locatio conductio);
- mandato (mandatum) ;
- società ( societas).
Il nuovo modus agendi, indicato nelle fonti come agere per formulas o agere per concepta
verba (processo formulare), si differenziava dalle tradizionali legis actiones riservate ai cives
romani, con cui si svolgeva la fase in iure del processo di accertamento. A differenza di quanto
succedeva a tenore di ius civile per i Romani , nel sistema del diritto pretorio l’azione non
spettava (actio competit) all’attore, ma era concessione da parte del magistrato. L’intero
contenuto dell’editto peregrino, non trovava il suo basamento nei mores, ma nell’imperium
magistratuale. Nell’ambito dello ius honorarium la buona fede venne intesa in senso
oggettivo, e cioè come correttezza nella vita di relazione. L’aequitas, ‘equità’ nel campo
dello ius honorarium era l’equilibrio tra le prestazioni, adeguamento al senso del
giusto(aequum)nel comune sentire. L’autonomia del pretore peregrino finì per segnare un
solco tra ius civile e ius honorarium. Inizialmente l’operato del praetor peregrinus si configurò
come parallelo al sistema dello ius civile, in quanto volto a offrire agli stranieri una tutela
giurisdizionale, con il passare degli anni l’innovazione della iuridictio peregrina si accentuò. Il
giurista Marciano qualificò il diritto pretorio (ius honorarium) come la viva vox iuris civilis(voce
viva del diritto civile) per significare come lo ius honorarium avesse consentito allo ius civiles
di continuare a comunicare con una società in continua evoluzione. Il passo successivo fu
quello della correzione del vecchio ius civile in base ai valori di buona fede ed equità. Le legis
actiones vennero in odio ai cives, perciò la lex Aebutia, intorno al 130 a.C. consentì ai
cittadini romani la scelta tra le legis actiones e il processo formulare. Il principio de éadem re
ne sti actio ( non si ammette azione per una lite sulla quale si sia già avviato un altro
processo) fu suggerito per evitare il conflitto tra i giudicati. Il pretore urbano era tenuto a
celebrare processi con il rito formulare, quando i cives Romani presero a servirsi del processo
formulare per tutelare i diritti riconosciuti dallo ius civile e tutelati con le legis actiones,
divenne necessario inserire nell’editto pretorio talune formulae. Questo fenomeno dell’editto
di entrambi i pretori accelerò il processo tra l’antico diritto basato sui mores lo ius civile da
un lato e lo ius honorarium dall’altro. Nell’età della legge Ebuzia (130 a.C. circa) era stata
abolita la legis actio per condictionem. Nel 17 a.C. la legge Giulia soppresse le altre azioni di
legge. Il ricorso alle procedure formulari divenne obbligatorio nel momento in cui verificava
l’avvento delle procedure extra ordinem, gestite dai funzionari nominati dal princeps. La
procedura per concepta verba venne utilizzata in tutta Italia ( nei municipia e nelle
coloniae). I magistrati dotati di iurisdictio continuarono ad essere i due pretori, urbano e
peregrino. A Roma la iurisdictio era riconosciuta anche agli edili curili in connessione con le
operazioni commerciali che si svolgevano nei mercati. Verso la fine del I sec. a.C. e III d.C. il
processo formulare si perfezionò, determinante fu la stabilizzazione del testo dell’editto
pretorio fatto da Adriano nonché opera di ‘codificazione dell’editto perpetuo, ossia di irrigidire
il diritto pretorio e obliterare le vecchie procedure dell’ordo. Le nuove cognizioni imperiali si
rifacevano in parte ai modus agendi e agli schemi delle azioni formulari. La scienza del
Principato si basò sull’operato dei giureconsulti dell’ultima fase repubblicana, di reciproci
rapporti tra ius civile e ius honorarium. Nell’era volgare si approdò alla vera
dicotomia(divisione) tra ius civile ( diritto della tradizione) e ius honorarium (diritto pretorio).
Lo ius civile destinato a divenire sinonimo di formalismo e rigore, lo ius honorarium, visto
come innovativo secondo i valori condivisi dell’equità e della buona fede. La relazione tra il
vecchio ius civile e lo ius praetorium veniva individuata dai giureconsulti:
a) In termini di integrazione e aggiornamento dello ius civile da parte dello ius
honorarium;
b) In funzione di correzione dello ius civile.
3b. Instaurazione del processo formulare e fase in iure
Il processo di cognizione restò diviso in due fasi, la fase in iure e la fase apud iudicem. Una
delle principali caratteristiche del processo formulare fu la sua iniziale limitazione alle
procedure di accertamento, in quanto il pretore peregrino si avvalse di esecuzione basate più
sull’imperium che sulla iurisdictio. L’imperium includeva poteri che il pretore esplicava

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attraverso l’inflizione di pene pecuniarie (mulctae dictio) o l’ordine di pignoris capio. Per lo
svolgimento del processo di accertamento per formulas era necessario che l’interessato:
a) Comunicasse l’azione esperita alla persona che intendeva citare in giudizio;
b) Compisse l’atto privato della vocatio in ius (cioè la citazione in giudizio, detta anche
denuntiatio litis)
Se la persona chiamata in giudizio si rifiutava di comparire, nella procedura formulare si
ricorreva al vecchio sistema della ductio previsto dalle legis actiones, il convenuto poteva
offrire un vindex (garante solvibile, oppure il convenuto poteva effettuare mediante
stipulatio, una promessa stragiudiziale ( vadimonium extraiudiciale) di pagamento di una
penale per l’ipotesi di una sua mancata comparizione in iure nella data stabilita. Questo
vadimonio consisteva in un accordo stragiudiziale tra attore e convenuto circa il momento
esatto della comparizione. La violazione dell’impegno avrebbe esposto il convenuto all’actio
ex stipulatu, mentre il rifiuto in un’azione penale in factum nei confronti del recalcitrante.
Qualora il convenuto non fosse poi comparso neppure a seguito di tale azione penale, sarebbe
stato considerato latitante (latitans, cioè assente per propria colpa), colpito da missio in
bona pretoria e conseguente vendita all’asta dei beni (bonorum venditio). Le parti processuali
erano ( adversarii, partes, litigatores) gli stessi protagonisti del rapporto litigioso. Il processo
formulare poteva svolgersi in relazione a liti insorte:
a) Tra due stranieri a Roma (inter peregrinos in urbe Roma);
b) Tra un cittadino romano e uno straniero (inter cives et peregrinus).
La idoneità a presentarsi dinanzi al magistrato veniva espressa mediante il verbo postulare
(presentare istanze) e si distingueva il postulare pro se (presentare istanze in giudizio nel
proprio interesse) dal postulare pro aliis (presentare istanze in giudizio per conto di altri).Gli
schiavi, alcuni stranieri e i figli soggetti alla patria potestas, erano esclusi dalla possibilità di
postulare e sostituiti dal loro tutore o curatore. Era vietato postulare pro se nella fase in iure
anche ai sordi e ai minori di 17 anni, non si consentiva di postulare pro aliis ai ciechi, alle
donne e agli infames, venivano sostituiti da un maschio idoneo a postulare pro aliis. La
sostituzione processuale si rendeva al populus Romanus, i municipia, le coloniae, i
collegia. Parti processuali erano l’attore e il convenuto, qualora risultassero accomunate dal
medesimo interesse, era loro consentito agire congiuntamente nel litisconsorzio(consortium
eiusdem litis) attivo o passivo. Il (defensor) era frequente nel processo criminale. Nella prassi
forense era usuale la presentazione in giudizio di un responsum favorevole. L’editto pretorio
prevedeva che nel processo formulare i litiganti potessero optare per una sostituzione
volontaria, decidendo di farsi sostituire da un cognitor o da un procurator. La differenza nelle
legis actiones consisteva che non fosse ammessa la sostituzione volontaria. Nelle procedure
formulari non potevano farsi rappresentare in giudizio le persone colpite da ignominia o da
infamia. Il cognitor (conoscitore, conoscente) era la persona di notoria onestà e di solida
posizione economica, che la parte processuale nominava in iure come proprio sostituto. Il
cognitor agiva in nome e per conto del sostituto, come rappresentante diretto. La sua figura
fu poi sostituita da quella del procurator. Nel processo formulare la sostituzione volontaria
poteva realizzarsi anche mediante un procurator omnium bonorum (amministratore generale)
o un procurator ad litem ( che era invece un mandatario dell’attore o del convenuto,
incaricato come procuratore speciale, si differenziavano dal cognitor in quanto si
presentavano solo in iure. Il procurator agiva per conto della parte processuale, ma in nome
proprio come rappresentante indiretto. Se il procurator intendeva sostituire l’attore, l’editto
pretorio gli imponeva di rivalere il convenuto soccombente. La stipulatio in questione aveva il
nome di cautio ratam rem dominum habiturum. Quando invece il procurator dichiarava di
volere sostituire il convenuto, il pretore chiedeva al sostituto di prestare la cautio iudicatum
solvi. La violazione dell’impegno implicava la legittimazione passiva all’actio ex stipulatu.
Affinchè il procedimento in iure avesse inizio occorreva la comparizione delle parti e dovevano
partecipare alla conceptio verborum, cioè all’elaborazione dello iudicium (atto scritto
contenente l’inquadramento giuridico della lite), che costituiva un ‘accordo a tre’ tra le parti e
il magistrato, coincidente con la litis contestatio. I pretori inserirono nei loro editti una serie di
sanzioni atte a svolgere una funzione deterrente nei confronti dell’indefensio. Se si trattava di
actiones in rem, l’indefensio del convenuto implicava a vantaggio dell’attore la concessione di
un interdictum quem fundum. Nelle actiones in personam, il magistrato poteva rinchiudere il

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convenuto inerte nel proprio carcere privato (duci iubere), se si trattava di magistrato fornito
di imperium, mediante la missio in bona era possibile dare l’avvio ad una esecuzione
patrimoniale. Una volta presentatisi i contendenti in iure, il primo atto era costituito da una
editio actionis, questa volta formale, su cui fondava la richiesta l’azione processuale
esercitata. Dopo l’editio actionis aveva luogo il contraddittorio fra le parti, aveva la funzione di
chiarire i fatti controversi tra le parti. Il magistrato esercitava la sua causae cognitio, cioè il
controllo sulle situazioni di fatto addotte al fine di verificare se queste fossero in astratto
meritevoli di tutela. La Denegatio actionis era il rifiuto che il magistrato a seguito del
contradditorio tra le parti e poteva ‘negare l’azione’, qualora la ritenesse:
a) Improcedibile sul piano formale;
b) Oppure, benché procedibile infondata o iniqua;
La confessio in iure era una confessione con cui il convenuto riconosceva il buon fondamento
della pretesa vantata dall’attore. Se la confessione riguardava un credito di denaro, l’attore
passava alla fase esecutiva. Se non aveva ad oggetto una somma di denaro si rendeva
necessario un processo promosso con l’actio ex confessione, per determinare la somma da
pagare (litis aestimatio). Collegata con la confessione era la interrogatio in iure
(interrogazione al cospetto del magistrato), che mirava a stabilire se il convenuto era l’erede
del debitore, serviva all’attore per identificare il legittimato passivo all’azione nossale,
interrogava il convenuto, per conseguenza, lo iudicium veniva formulato dal magistrato con
formula ficticia. La controversia poteva essere troncata dallo iusiurandum in iure, un
giuramento di carattere religioso e giuridico, effettuato dinanzi al magistrato. Il giuramento
era utilizzato anche al fine di evitare le liti temerarie, cioè intraprese per spirito di litigiosità o
con eccessiva leggerezza. Il magistrato decideva se accogliere la richiesta dell’attore o del
convenuto di imporre alla controparte uno iusiurandum calumniae giuramento con cui con cui
si impegnava a pagare una somma di denaro qualora avesse perso la causa. In caso di
giuramento volontario (iusiurandum voluntarium), aveva effetto soltanto il giuramento
prestato. Mentre chi rifiutava di giurare non subiva sanzioni e si procedeva alla litis
contestatio. La prima fase del processo si svolgeva in iure e si concludeva nel giorno stesso
del suo inizio. La cautio iudicio sisti era la garanzia prestata dal convenuto denominata
vadimonium e non va confuso con il vadimonio giudiziale che era invece inteso a ottenere la
prima comparizione in iure del convenuto. Il vadimonio giudiziale era una stipulatio avente ad
oggetto la ricomparizione in giudizio il pagamento della summa vadimoni, somma che l’editto
pretorio aveva fissato nella metà del valore della controversia. In caso di rifiuto di stipulare il
vadimonium, il convenuto considerato indefensus, si esponeva alla missio in bona. La fase
finale del procedimento in iure prendeva il nome di litis contestatio. La litis contestatio del
processo formulare coincideva con lo iudicium, cioè dell’atto scritto che riassumeva
l’inquadramento giuridico della controversia, e le parti lo accettavano(dictare et accipere
iudicium). Lo iudicium consisteva nell‘oggetto dell’accettazione delle parti, ovvero la regola
di giudizio, istruzioni scritte rilasciate dal magistrato, che la parte interessata (l’attore) doveva
consegnare al giudice per ottenere l’emanazione della sentenza. La regola del giudizio era un
atto scritto. Secondo Gaio era necessario che ogni iudicium si componesse di:
1) Datio iudicis con il connesso iussum iudicandi;
2) Demonstratio;
3) La intentio;
4) Condemnatio ed eventualmente la adiuticatio.
La datio iudicis, detta anche iudicis nominatio, consisteva nella nomina del giudice (iudex
privatus, un cittadino privato), o dei recuperatores (collegio di giudici privati) destinatari dello
iudicium formulare. Una volta indicato il nominativo, nello iudicium formulare, l’ordine di
emanare la sentenza (iussum iudicandi). Con la demonstratio (descrizione) si esponeva in
modo succinto il fatto, la res de qua agitur, ovvero il rapporto giuridico su cui si era accesa la
controversia. La demonstratio non costituiva una parte dello iudicium, ma precedeva
l’intentio. La demonstratio era in prevalenza presente nella actiones in personam con
intentio incerta, mancava invece negli iudicia relativi ad actiones in rem. L’intentio era la
parte della formula (pars formulae) in cui l’attore racchiudeva la propria pretesa nei confronti
del convenuto. La intentio non poteva mancare dallo iudicium, essa poteva essere certa o
incerta. Certa era in genere l’intentio nelle actiones in rem, perché era di regola l’oggetto del

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diritto vantato dall’attore e nelle actiones in personam civili relative ad obbligazioni del
convenuto di dare una cosa o una somma di denaro. L’intentio era incerta quando il
giudicante doveva quantificare la summa condemnationis o, accertare l’estensione del diritto
affermato parte attrice. La adiudicatio e/o la condemantio costituivano le parti finali della
formula. La pars con cui si concludeva il testo della formula era la condemnatio, per
condemnatio va intesa la parte dello iudicium formulare con cui il magistrato conferisce al
giudice il potere di condannare o di assolvere. Prive di condemnatio erano soltanto le formule
dei giudizi divisori e le formulae praeiudiciales. La condemnatio poteva essere certa o incerta.
Era certa se nella formula era fissata la somma di denaro cui il convenuto doveva essere
condannato, era incerta quando l’ammontare della somma di condanna doveva essere
determinato dal giudice. Al giudice era possibile di determinare l’ammontare della condanna
pecuniaria considerando, il valore che la cosa litigiosa aveva al momento della litis
contestatio (est), al momento della sentenza (erit), al momento precedente alla litis
contestatio (fuit). In ipotesi di condemnatio incerta relativa alle actiones in personam con
intentio incerta, in cui la condemnatio era formulata con riferimento (Numerio Negidio deve
fare o dare a vantaggio di Aulo Agerio). Infine, l’editto pretorio prevedeva che il magistrato
potesse porre in favore del convenuto, una taxatio, cioè un limite, un tetto massimo non
superabile dal giudice nel determinare l’ammontare della condanna pecuniaria. Finalità di
questo beneficium fu quella di evitare al soccombente un rovinoso processo esecutivo per
insolvenza e l’ulteriore conseguenza dell’infamia. La condemnatio non era di regola presente
nei giudizi divisori, era la adiudicatio (aggiudicazione) a non potere mancare nei giudizi
divisori, in quanto con tale clausola il magistrato conferiva al giudice il potere-dovere di
attribuire a ciascuno le parti spettanti della cosa litigiosa. La condemnatio poteva non
comparire nello iudicium formulare soltanto quando al suo posto vi era la clausola della
adiudicatio. Le formulae praeiudiciales (azioni di accertamento), consistevano in iudicia
formulari con cui il magistrato invitava il giudice ad effettuare un mero accertamento senza
pronunciare la sentenza. Alcuni esempi sono , l’invito rivolto dal magistrato al giudice di
accertare lo stato di libero e l’ammontare della dote. Con lo scopo di fare risaltare il caso
concreto nei suoi specifici caratteri i pretori arricchirono gli schemi delle formule-tipo,
aggiungendo ulteriori clausole a vantaggio dell’attore o del convenuto, un esempio erano
l’exceptio e la praescriptio, la prima concessa a richiesta e in favore del convenuto, la
seconda a vantaggio dell’attore. La clausola dell’exceptio (eccezione) veniva collocata subito
dopo l’intentio e costituiva un particolare mezzo di difesa del convenuto. Mediante l’exceptio il
convenuto non si limitava a negare quando asserito dall’attore il giudice aveva il compito di
verificare l’accertamento del buon fondamento delle pretese del richiedente, questo
accertamento costituiva l’oggetto dell’officium iudicis, ovvero i compiti assegnati al
giudicante. L’origine storica dell’exceptio è da individuarsi nel diritto pretorio, ossia quella di
correggere le iniquità indotte dall’estremo formalismo dell’antico ius civile. L’exceptio non era
necessaria quando l’azione esperita dall’attore dava luogo ad uno iudicium bonae fidei,
perché tutte le circostanze potevano essere fatte al giudicante nella fase apud iudicem.
L’exceptio era una ‘difesa tecnica’ una clausola scritta inserita nello iudicium formulare per lo
più di stretto diritto (stricti iuris), avente lo scopo di bloccare l’azione esercitata dall’attore.
L’exceptio si prospettava come:
a) Una riserva rispetto all’ipotesi di fondatezza delle pretese dell’attore;
b) Una condizione rispetto alla sentenza di condanna.
Una volta corredata di exceptio, la formula risultava così composta: dai i fatti
(demonstratio), e pretese (intentio). Le eccezioni più frequenti furono l’exceptio doli e
l’exceptio pacti conventi. Vi erano eccezioni dilatorie (dilatoriae , dette anche temporales) o
perentorie cioè mortifere ( peremptoriae, dette anche perpetuae). Perpetue o mortifere
corrispondevano a una circostanza che il convenuto poteva opporre all’attore ottenendo
l’assoluzione; temporali o dilatorie erano invece le eccezioni che potevano essere sollevate
soltanto in dati periodi di tempo, oppure nei confronti di persone determinate. Una eccezione
dilatoria (temporale) può essere quella fondata su di un pactum de non petendo con cui il
creditore sia impegnato a non richiedere la prestazione prima di un certo periodo di tempo.
Esempio di eccezione perentoria (perpetua) si può fondata su un pactum de non
petendo, il creditore non richiede più la prestazione al debitore. In favore dell’attore era

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prevista dall’editto pretorio una parte accessoria della formula, si trattava della replicatio
(replica) detta anche duplicatio, con cui l’attore poteva ribattere al convenuto circa i contenuti
dell’exceptio. La concomitanza tra exceptio e replicatio ( o duplicatio) dava luogo ad uno
iudicum formulato. A sua volta il convenuto poteva contestare la replicatio dell’attore,
chiedendo al magistrato una triplicatio e così di seguito. Altra parte non essenziale delle
formula era la praescriptio(premessa o prescrizione), nelle due varianti della praescriptio pro
reo (premessa in favore del convenuto) e della praescriptio pro actore (premessa in
favore dell’attore). La prima era una clausola che il magistrato inseriva nella formula, a
vantaggio del convenuto. Con la praescriptio pro reo si assolveva dunque la funzione pratica
della denegatio actionis magistratuale. Il termine praescriptio derivava da prae- scribere
( scrivere prima), la praescriptio precedeva l’intentio,. Ovvero l’esposizione delle ragioni
dell’attore. La praescriptio pro reo fu sostituita dall’exceptio. La longi temporis praescriptio
era un istituto del diritto processuale. Non si può escludere che la denominazione longi
temporis praescriptio fosse stata coniata proprio con riferimento all’antica praescriptio delle
procedure formulari. Una volta tramontante le praescriptiones pro reo, in quanto sostituite
dalle ex ceptiones restavano solo le praescriptiones pro auctore , clausole apposte nella parte
iniziale della formula a vantaggio dell’attore. La praescriptio limita in questa fattispecie
l’estinzione dell’obbligazione alle sole rate venute a scadenza e non pagate. La litis
contestatio dava luogo alla res in iudicium deducta anche detta res iudicanda (questione
giudicanda). Le conseguenze della litis contestatio erano triplici: effetti sia conservativi, sia
modificativi, sia estintivi.
La litis contestazione fissava il rapporto giuridico controverso, rendendo lo iudicium e la res in
iudicium deducta immodificabili, nello iudicium tale effetto c.d conservativo implicava
l’irrilevanza di eventi successivi. Accanto a tale effetti conservativi si producevano ipso iure
effetti estintivi e modificativi. Con la litiscontestazione in determinati processi actio
consumitur affermavano i giuristi, l’azione si consuma, viene meno. In ipotesi di actio in
personam con intentio in ius concepta e di iudicium legitum, la litis contestatio doveva far
scartare c.d consumazione processuale e non si poteva più riproporre l’azione, con la
conseguente estinzione ipso iure del diritto di credito fatto valere all’attore. Nel I d.C. fu
oggetto di controversia giurisprudenziale la questione della soluzione o condanna del
convenuto che aveva seguito la sua prestazione nei confronti dell’attore dopo la litis
contestatio, il giudice avrebbe dovuto condannarlo, la tesi sostenuta dai Proculiani, i
Sabiniani per contro ritennero che il contenuto fosse assolto in qualunque tipo di giudizio. la
consumazione processuale operava ipso iure, ciò significa che se l’attore riproneva l’azione, il
magistrato rilevava d’ufficio la consumazione dell’azione e la dichiarava in procedibile. La litis
contestatio non poteva estinguere né diritti reali né rapporti non conosciuti dal ius civile. La
pluris petitio (richieste eccessive) da parte dell’attore, quest’ultimo incorreva in questa
qualora nella intentio della formula inserisse una richiesta superiore a quanto li spettava. Si
verificava un pluris petere per quattro aspetti: RE, TEMPORE, LOCO, CAUSA. In tutti questi
casi, se veniva inserita nella intentio dello iudicium la pluris petitio l’attore non poteva più le
proprie pretese. Per tanto avendo chiesto più di quanto avrebbe avuto diritto l’attore perdeva
la lite e il convenuto andava assolto. Dal momento della litis contestazione cominciavano a
decorrere i tempi ai fini della mors liti (perenzione d’istanza o forse estinzione del processo):
la fase apud iudicem doveva concludersi entro 18 mesi dalla litis contestatio, se lo iudicium
era legitum, entro l’anno di carica del magistrato che aveva emanato, in ipotesi di iudicium
imperio continens. Decorsi questi termini si verificava afferma Gaio, la mors litis(morte della
lite). Per mors litis si intendeva una mera perenzione d’istanza la translatio iudicii consisteva
nella sostituzione in una delle parti in causa con altra persona: il successore universale, il
rappresentante processuale(cognitor), il pater familias al posto del figlio convenuto in giudizio.
Secondo Paolo, il magistrato che aveva impartito lo iussum iudicandi poteva in qualsiasi
momento sospendere o solvere il processo.
3.c Fase apud iudicem
Il procedimento in iudicio, anche detto apud iudicem concludeva il processo. La sentenza
doveva essere emessa entro 18 mesi per gli iudicia legittima ed entro l’anno magistratuale
per gli iudicia imperio continentia, pena la mors litis. A differenza della fase in iure, nella fase
apud iudicem non era indispensabile la presenza di entrambi le parti. Il compito fondamentale

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del giudice (officium iudicis) era quello di esaminare le prove addotte dalle parti in ordine ai
fatti e ai rapporti giuridici menzionati nello iudicium formulare, in ipotesi di iudicium stricti
iuris. Anche il giuramento e la confessione apud iudicem venivano ammessi. Il rilievo
giuridico rivestiva invece il giuramento estimatorio, ovvero la stima della cosa litigiosa sotto
giuramento. A differenza della fase in iure, in cui il giusdicente inquadrava la lite nei suoi
esatti termini tecnico-giuridici, la fase apud iudicem era affidata ai maestri dell’arte retorica,
ben più che ai tecnici del diritto. Le prove processuali venivano studiate (tra i greci, in
particolare Aristotele) e dai retori (Cicerone, Quintiliano). La tecnica giuridica ebbe un
notevole peso sull’onere probatorio (onus probandi). L’onere probatorio grava su chi
afferma, non su chi nega. Il giudice, al fine di chiarirsi le idee e di acquisire maggiori elementi
tecnici, poteva sollecitare il parere di giureconsulti di sua fiducia. Il giudice doveva elaborare
la sentenza (di assoluzione o di condanna) e quindi proclamarla (prolatio sententiae).
Mediante giuramento, egli poteva affermare dinanzi al magistrato il “non liquet” (la
questione non mi è chiara), e si provvedeva quindi alla sostituzione dello iudex con il
procedimento della mutatio iudicis. La clausola dello iudicium contrarium, la quale consentiva
al giudice di infliggere una condanna pecuniaria all’attore, in favore del convenuto assoluto.
Una clausola può inserire nella formula:
1) dell’actio iniuriarum
2) dell’azione promossa
3) dell’azione esperita
Il giudice emanava una sentenza di condanna, questa era pecuniaria. Nella indicazione della
summa condemnationis il giudice doveva strettamente attenersi alle istruzioni ricevute con
lo iudicium formulare. La sentenza del giudice aveva generalmente forma scritta (ad
probationem, non ad substantiam). La possibilità di appellare alla sentenza fu prevista solo
nelle cognitiones extra ordinem. La possibilità di appellare alla sentenza fu prevista solo nelle
cognitiones la sentenza era irrevocabile dallo iudex. Gli effetti della sentenza erano molteplici.
In caso di condanna il convenuto, era tenuto a pagare al primo l’ammontare della
condemnatio (iudicatum facere o potere) e questa obbligazione veniva tutelata mediante
l’actio iudicati. Nei confronti dei terzi, il regolamento restava privo di effetti. Conseguenza
della sentenza (di assoluzione o di condanna) era la res iudicata, che implicava la preclusione
processuale in ordine alla eadem res. Si parlava perciò di auctoritas rei iudicatae. All’attore
che avesse tentato di chiedere ugualmente l’azione, il magistrato avrebbe risposto con una
denegatio actionis, oppure inserendo nella formula l’exeptio rei iudicatae in favore del
convenuto, che avrebbe conseguito l’assoluzione.
3d. L’esecuzione forzata della sentenza di condanna
A seguito della sentenza di condanna, il convenuto soccombente risultava obbligato al
pagamento della summa condemnationis. Qualora non pagasse, l’attore era tenuto ad
attendere trenta giorni dopo la pronunzia della sentenza, prima di dare inizio al procedimento
che avrebbe trasformato la sentenza in un “titolo esecutivo”, legittimamente l’esecuzione
forzata. Decorso un mese, l’attore doveva esercitare una nuova azione di accertamento,
l’actio iudicati. L’azione serviva ad aprire le porte all’esecuzione, ma si svolgeva come ogni
altra azione di cognizione. In caso di contestazione da parte del convenuto, si doveva
addivenire a litis contestazione, da parte del damnatus prendeva il nome di infitiatio. Si
verificava così il fenomeno della litis crescenza. Il rischio legato alla contestazione della
invalidità della sentenza era elevato, perciò il convenuto nell’actio iudicati di solito preferiva
non difendersi, quando sapeva di trovarsi dalla parte del torto. Il processo formulare
attraversò due diverse fasi:
L’esecuzione forzata conservò i suoi caratteri originari di esecuzione personale e della
esecuzione patrimoniale. Il procedimento magistratuale di autorizzazione alla ductio aveva il
nome di addictio (assegnazione). Dopo l’età augustea, l’esecuzione personale (manus
iniectio) non venne quasi più praticata. Si preferiva ormai il sistema della esecuzione
patrimoniale, affermando grazie agli editti pretori. Nell’ambito dello ius honorarium, a partire
dal II a.C. si prese ad evitare la vecchia ductio, iniziandosi a dare piuttosto la preferenza alla
esecuzione sui beni del debitore all’acquirente, il bonorum sector, il quale acquistava sui beni
dell’espropriato il dominium ex iure Quiritium. La procedura di bonorum venditio cominciava
con la richiesta (postulatio) rivolta al magistrato da parte del creditore che fosse uscito

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vittorioso anche dall’actio iudicati di autorizzare l’immissione nel possesso (missio in bona),
anche se assente, latitante, indefensus. La missio in bona assolveva a due funzioni: la
preparazione della vendita dei beni del debitore. La funzione cautelare che tendeva la missio
in bona affine al moderno “sequestro conservativo”. Una volta impossessatosi dei beni, il
creditore o un apposito curator bonorum nominato dal magistrato doveva effettuare
l’inventario dei beni e renderlo pubblico (proscriptio bonorum) per ben trenta giorni
(quindici, invece, se il debitore era morto). Scaduto il termine per la proscriptio e persistendo
l’insolvenza del debitore, nominavano tra di loro, un magister bonorum, al quale era
affidato l’incarico di vendere all’asta il patrimonio in blocco (bonorum venditio). Alla vendita si
procedeva senza indugio, a meno che l’esecutato non fosse un pupillus. Dove non
sussistessero valide ragioni per procrastinare la vendita, il magister bonorum redigeva la lex
venditionis, il quale autorizzava la vendita dei beni (bonorum venditio). La venditio si
svolgeva secondo le modalità della vendita all’asta e quindi il patrimonio veniva aggiudicato
al migliore offerente. I giureconsulti e l’editto pretorio a distinguere i creditori privilegiati, cioè
muniti di un privilegium esigendi, da tutti gli altri, denominati dalla tarda giurisprudenza
creditori chirografari(chirographarii), così in quanto in possesso di un mero documento
attestante il credito
(chirographum). Si consideravano creditori privilegiati il fisco e le comunità locali. Il
magister bonorum doveva aver cura, nella redazione della lex venditionis, di elencare tutti i
creditori e l’ammontare dei loro crediti, distinguendo i privilegiati dai chirografari. Una volta
conclusa la vendita del magister bonorum, il debitore risultava espropriato di tutti i suoi beni e
marchiato dall’infamia, così da trovarsi in una condizione di “morte civile”. Entro trenta giorni
dalla vendita, l’acquirente detto (bonorum emptor), l’assegnazione dei beni divenendo
dell’intero patrimonio, in guisa di successore pretorio universale. L’attore vittorioso e i
creditori potevano convenire in giudizio il bonorum emptor quale successore pretorio
dell’espropriato. Trattandosi di una successiva disciplinata non dallo ius civile, ma dal diritto
onorario, anche la relativa tutela giurisdizionale era di origine pretoria. Per regolare i rapporti
tra il bonorum emptor e i creditori dell’esecutato, il pretore dava una formula con
trasposizione di soggetti, scrivendo nella intentio il nome del debitore originario e nella
condemnatio il nome del bonorum emptor. Tale adattamento, precisa Gaio, fu escogitato, dal
pretore Publio Rutilio, e prese perciò il nome di formula Rutiliana. Il debitore originario era
morto, in quanto tale tenuto al pagamento dei debiti ereditari; tale formula prese il nome di
formula Serviana. Con l’actio Rutiliana il bonorum emptor poteva agire al posto
dell’espropriato nei confronti dei suoi debitori. Con l’actio Serviana, l’emptor chiedeva la
finzione della sua qualifica di erede. Se poi il bonorum emptor perdeva il possesso poteva
rivendicarlo con l’actio Publiciana o avvalersi dell’interdictum possessorium di carattere
restitutorio. Una lex Iulia de bonis cedendis del I sec. a.C. consentì al debitore che fosse
incorso nell’insolvenza senza sua colpa di evitare la grave congruenza dell’infamia. L’editto
pretorio non prevedeva l’infamia in caso di morte del debitore, nei confronti del suo erede, se
era un bambino tanto piccolo da non essere ancora in grado di parlare (infans) e fosse privo
di tutore, oppure se si trattava di un furiosus o di un prodigus privi di curatore. Anche per gli
incapaci privi di un rappresentante e per i debitori di rango senatorio, fu prevista la diversa
procedura della bonorum distractio (vendita parcellare). Questa procedura della distractio
bonorum, sorta come disciplina privilegiata per determinare categorie di persone.
3e. Le azioni e la loro classificazione nelle procedure per formulas
Con il termine actio, nel processo formulare, ogni attività svolta dall’attore per promuovere e
portare avanti il processo. Habere actionem, “avere l’azione era appunto l’espressione
usata dai giuristi romani al fine di indicare il “potere di esercitare l’azione e di svolgere le
relative attività processuale, si aveva l’azione quando se i fatti risultavano veri in quanto
dinanzi al giudice (res facti). Mentre ciascuna legis actio coincideva con una procedura tipica
(modus agendi). Nel processo formulare ogni azione formulare (actio) risultava intesa alla
tutela di una situazione giuridica, indicata dalla formula, inserita nell’editto del pretore, o degli
edili curuli, o del governatore provinciale. Tutte le azioni erano elencate nell’editto del
magistrato e collegate a uno schema formulare. Il fondamento delle azioni ( e delle
corrispondenti formule) poteva essere lo ius civile, oppure lo ius honorarium. Il processo
doveva seguire alcuni schemi, in rispondenza al principio della tipicità delle azioni. La

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giurisprudenza romana sottopose ad attento studio questo complesso di formule, di qui anche
la formazione di una serie di distinzioni e classificazioni degli schemi processuali. La
distinzione fondamentale rimase quella, tra actiones in rem e actiones in personam dette
anche condictiones, termine derivato dalla vecchia legis actio per condictionem. Nel II sec.
d.C., Gaio così definiva tale partizione fra actiones in rem e actiones in personam. L’azione
contro la persona è quella con cui agiamo nei confronti di chi sia obbligato verso di noi o per
contratto. L’azione relativa alla cosa è quella con cui affermiamo che una cosa corporale è
nostra. Le azioni miste (actiones mixtae) erano: a) le azioni divisorie b) le azioni nossali
(actiones noxales) c) l’actio quod metus causa. Il diritto giustinianeo annoverò tra le azioni
miste anche la petizione di eredità (hereditatis petitio). Le azioni si distinguevano anche in
reipersecutorie, penali, miste. Le azioni Reipersecutorie sono le azioni intese a conseguire il
controvalore della res litigiosa o potevano derivare ex re o ex contractu. Le azioni Penali
erano le azioni caratterizzate da una funzione afflittiva e punitiva nei riguardi del
responsabile. Tali azioni derivano dalla commissione di un delictum (illecito penale privato).
La condanna pecuniaria nelle azioni penali aveva ad oggetto il pagamento di un’ammenda
pecuniaria, una poema (“penale”), percepita dal soggetto offeso, la condemnatio era pertanto
in duplum o in triplum o addiritura in quadruplum rispetto al valore della res sottratta.
L’azione penale poteva concorrere a cumularsi con l’azione reipersecutoria. Giustiniano parlò
al riguardo di “azioni miste”, secondo quanto già aveva affermato Gaio: a seguito di un’actio
mixta, il convenuto, se condannato, con il pagamento della summa condemnatiocito penale,
sia per il pregiudizio patrimoniale cagionato. Alcune azioni penali e qualificare dagli interpreti
medioevali actiones vindictam spirantes, affermava il giurista romano Paolo più alla vendetta
che non alla condanna pecuniaria in sé. Actione civiles erano quelle che risultavano
fondate nello ius civile e dunque volte alla tutela di situazioni protette con legis actiones. Le
azioni onorarie erano inserite nell’editto perpetuo allo scopo di predisporre una tutela per
situazioni soggettive non riconosciute affatto dallo ius civile. La dactio actionis
( concessione dell’azione processuale) si collegava ad una delle clausole dell’editto
pretorio. Si aveva allora un’actio ex edicto (azione edittale). Le azioni onorarie erano in
factum conceptae o in ius conceptae. Le azioni onorarie erano in factum se riferite a un
rapporto di fatto, secondo Gaio l’azione onoraria includeva la sola menzione del rapporto di
fatto cui il pretore includeva intendeva offrire tutela e la condemnatio; le azioni onorarie erano
in ius conceptae se la situazione soggettiva cui il magistrato offriva era tutelata dallo ius
civile. Le azioni onorarie in ius conceptae erano accomunate dalle azioni utili (actiones
utiles), in quanto contenenti: o la finzione di un requisito civilistico (actiones ficticiae), o
una trasposizione di persone ( actiones adiecticiae qualitatis), o una imitazione estensiva di
azioni preesistenti (actiones exemplum). Le azioni utili erano azioni affini ad altre già
contemplate dallo ius civile, il magistrato modificava la formula originaria al fine di poterla
utilizzare anche per altre fattispecie simili. Le azioni utili con finzione di un requisito civilistico
consistevano in azioni onorarie la cui formula (formula ficticia) conteneva l’invito rivolto al
magistrato al giudicante. Le azioni con finzione di cittadinanza (fictio civitatis), in cui si
fingeva che l’attore o il convenuto fosse un cittadino romano e non uno straniero. L’actio
Publiciana, con la quale il pretore invitava il giudice a fingere che l’attore fosse divenuto
dominus a seguito del decorso del tempus ad usucapionem. La trasposizione di persone in
un fascio di azioni onorarie, dette azioni adiettizie in quanto caratterizzate da formule
(formulae tralaticiae) contenenti l’invito al giudice di emanare la sentenza dopo avere
accertato il rapporto, non tra le sole parti processuali (attore e convenuto) ma anche tra una
di queste(servus o filius). Esempio di azione a trasposizione di soggetti, accanto alle azioni
adiecticiae qualitatis, fu l’actio Rutiliana. Le azioni onorarie in ius potevano realizzare una
imitazione o applicazione estensiva di un’azione preesistente; esse venivano perciò
denominate actiones ad exemplum. Emblematiche, furono: l’actio utilis ad exemplum
rei vindicationis, promessa dall’editto provinciale al titolare della possessio vel
ususfructus; l’actio ad exemplum legis Aquiliae, la quale, a differenza della actio civilis
legis Aquiliae, consentiva di promuovere il processo anche ad altri soggetti, tra cui il
possessore di buona fede, l’usufruttuario, l’usuario, il locatario, il comodatario; in Italia
applicarono il rimedio dell’actio legis Aquiliae. Nel 1804 in occasione della redazione del
Codice Napoleone al principio dell’obbligo generale del risarcimento del danno ( in Italia, art.

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2043 c.c). Le azioni onorarie erano “temporanee”, nel senso che la loro concessione
dipendeva dalla durata in carica del magistrato che le aveva inserite nel suo editto. Per
Iudicia legitima si intendevano gli iudicia introdotti o comunque previsti da leges publicae,
per arbitria honoraria quegli iudicia escogitati e concessi dai pretori. La legge di Augusto
riferì la distinzione in oggetto alla struttura di ciascuno iudicium conceptum e poi la applicò ad
ogni genere di azione formulare (in rem e in personam, civile e onoraria). Gli iudicia furono
considerati legitima, cioè conformi alla legge Giulia, se rispondenti al concorso di tre requisiti:
1) svolgimento della lite tra soli cives Romani; 2) celebrazione del processo a Roma; 3)
rimessione della decisione a un giudice unico e cittadino romano. Se di queste condizioni non
sussistesse, perché lo iudicium era non legitimum. Se a giudicare fosse stato un giudice
peregrinus o il giudizio si qualificava iudicium imperio continens, in quanto esso risultava
“contenuto” nell’Imperium del magistrato. La legge Giulia previde che la fase apud iudicem
dovesse concludersi un ben circoscritto periodo di tempo, da computarsi dalla data dello
iussum iudicandi. Una volta scaduti i termini fissati dalla legge Giulia scattava la sanzione
della mors litis (morte della lite o perenzione d’istanza). Per gli iudica legitima la mors
litis si verificava il giudicante non emanava la sentenza entro diciotto mesi di iudicium imperio
continens, il giudice doveva sentenziare prima che scadesse l’anno di carica del magistrato.
La differenza tra le due contrapposizioni: azioni temporanee/azioni perpetue, giudizi
legittimi/giudizi imperio continentia: l’esercizio dell’azione, atteneva ai tempi
legislativamente fissati per la perenzione d’istanza, in ordine a un processo già iniziato. Le
azioni di stretto diritto erano sempre e soltanto azioni in personam. Si caratterizzavano per
uno iudicium che indicava persino l’importo pecuniario della eventuale condanna. Nelle
azioni di buona fede, il magistrato aveva l’incarico di applicare i principi di equità (aequitas)
e di buona fede; compito del giudice era quindi stabilire, se il convenuto fosse tenuto a dare o
a fare. Gli iudicia delle azioni di buona fede attenevano ad azioni onorarie (non civiles) in
personam. L’interesse positivo era se la litis aestimatio corrispondeva all’interesse
dell’attore all’adempimento. Nell’ambito dei iudicia bonae fidei si affermò anche il criterio
dell’interesse negativo, cui si faceva ricorso quando si voleva fare valere la responsabilità del
convenuto per dolus in contrahendo. Gli iudicia bonae fidei attenevano alle seguenti azioni:
actio empti e actio venditi (azioni nascenti dalla compravendita consensuale), actio locati e
actio conducti (azioni nascenti dal contratto di locazione), actio mandati (azione
nascente dal contratto di mandato), actio pro socio (azione nascente dal contratto
di società), actio tutelae (azione relativa alla gestione della tutela), actio fiduciae
(azione relativa ai trasferimenti fiduciari della proprietà). Nel II d.C., Gaio aggiungeva
cinque azioni: actio negotiorum gestorum(azione relativa alla gestione spontanea di
affari altrui), actio depositi (azione nascente dal contratto di deposito), actio
commodati( azione nascente dal contratto di comodato), actio rei uxoriae (azione
per la restituzione della dote), actio aestimatoria(azione nascente dal contratto
estimatorio). Giustiniano inserì anche l’actio pigneraticia(l’azione volta a ottenere la
riconsegna del pegno), l’actio familiae erciscundae(azione per la divisione del
patrimonio ereditario fra coeredi),l’actio communi dividundo (azione per la
divisione della comunione), l’actio de permutatione (azione nascente dal contratto
di permuta), l’actio praescriptis verbis (azione esercitabile dal contraente che
avesse eseguito la propria prestazione, per ottenere la controprestazione) e infine
persino l’hereditatis petitio (petizione di eredità), precedentemente qualificata actio
in rem, considerata di actio mixta (in rem e in personam).
Dalle azioni in bonum et aequum conceptae affidavano il giudice il potere di determinare
l’ammontare della condanna pecuniaria secondo equità, erano: l’actio funeraria (concessa
dal magistrato a chi avesse spontaneamente pagato le spese funerarie, l’actio sepulchri
violati (azione esperita dal titolare del sepolcro violato), l’actio iniuriarum
aestimatoria (azione per la stima dei danni prodotti), l’actio deffusis vel deiectis
(azione concessa contro l’autore ). Le azioni arbitrarie dette (actiones per formulam
arbitratiam o iudicia arbitraria) davano luogo ad uno iudicium con cui il magistrato
incaricava il giudice, che si convincesse del torto del convenuto; prima di emanare la
sentenza di condanna, e di porgli e di ripristinare (restituére) la situazione giuridica alterata,
costituiva appunto l’arbitrium de restituendo. Le procedure formali contemplavano azioni

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arbitrarie sia in rem sia in personam. Le azioni private (actiones privatae), così dette
perché concesse ai singoli individui al fine di tutelare in sede giurisdizionale i propri interessi.
Actiones populares (azioni popolari, dette anche “azioni a legittimazione generale”,
che erano le azioni riconosciute a qualunque cittadino (quivis de populo) per la tutela di
interessi di pubblica rilevanza. L’azione popolare spettava in primo luogo alla vittima
dell’illecito. Tra siffatte azioni “a legittimazione generale” vanno ricordate soprattutto
l’actio ex lege Laetoria de circumscriptione adulescentium (azione penale
esercitabile nei confronti di chi avesse operato a una circonvenzione di minore di
25 anni), l’actio de effusis vel deiectis (anch’essa penale, data contro l’abitante di
un edificio da cui fosse caduto un oggetto), l’actio de posito vel suspenso(azione
penale esperibile nei confronti dell’abitante).
3f. I mezzi ausiliari delle procedure formulari (magis imperii quam iurisdictionis)
A due lacune della procedura formulare posero rimedio le misssiones in possessionem,
erano misure cautelari in vista di una esecuzione patrimoniale. Decreta erano i
provvedimenti autoritativi cui il pretore ricorreva, avvalendosi dell’Imperium, qualora fosse
opportuno adottare misure “positive” (ordine di “fare qualcosa”): l’esibizione in iure di
una persona o di un oggetto. Gli interdicta per il loro contenuto di ordine più spesso
“negativo” (ordine di non fare qualcosa). L’interdictum consistevano in un ordine pretorio, in
una ordinanza di urgenza, con cui ingiungeva all’avversario di tenere determinati
comportamenti. La ratio di ingiuntivi di urgenza era rimedio a una situazione che rischiava
altrimenti di pregiudicarsi in tempi brevi. Si distinguevano in: interdicta adipiscendae
possessionis (interdetti volti all’acquisto del possesso, come l’interdictum quorum
bonorum, nel campo delle successioni), interdicta retinendae possessionis (interdetti volti
alla conservazione del possesso, come l’uti possidetis e l’utrubi), interdicta
recuperandae possessionis (interdetti volti al recupero del possesso, gli interdetti, così
come i decreta, erano emanati già nel periodo delle legis actiones. L’ordine interdittale
veniva emesso dal pretore senza procedere ad una causae cognitio. L’interdictum rientrava
interdetti esibitori( interdicta exhibitoria), interdetti restitutori (interdicta restitutoria),
interdetti proibitori ( interdicta prohibitoria). Gli interdetti esibitori ingiungevano al
destinatario dell’ordine l’esibizione in giudizio (in iure). Con gli interdetti restitutori si
ordinava l’immediato ripristino della situazione di fatto alterata dal destinatario
dell’ingiunzione. Proibitori erano infine gli interdetti con cui il magistrato ordinava di astenersi
da un dato comportamento; la formula vim fieri veto ( vieto l’uso della forza), serviva a
proibire l’attuazione di un comportamento violento, detti uti possidetis e utrubi, si proibiva
lo spoglio violento del possesso. Interdicta duplicia(ordini interdittali doppi). era la
possibilità che il magistrato, al fine di non indulgere in indagini troppo approfondite, rivolgesse
l’ordine interdittale a entrambe le parti interessate. L’actio ex interdictio è l’azione
esercitabile del soggetto che avesse ottenuto la concessione di i un interdictum nei confronti
della controparte, se quest’ultimo non avesse rispettato le prescrizioni contenute
nell’interdictum. La stipulatio praetoria fungeva da “mezzo di pressione” e serviva a
indurre il promittente ad effettuare l’attività richiesta, o ad astenersi dal compiere l’attività
non voluta, o ancora ad evitare il verificarsi del danno temuto dal postulante. Si intendeva per
in integrum restitutio quel provvedimento magistratuale idoneo a ripristinare sul piano
dello ius honorarium lo stato di diritto anteriore rispetto a un determinato fatto o atto, che il
pretore fa in faceva in tal modo risultare rescissum (rescisso). La ratio consisteva nella
opportunità di “invalidare” i fatti giuridici che compromettessero situazioni giuridiche
soggettive. Il provvedimento di in integrum restitutio (restituzione nello stato pristino)
veniva adottato dal pretore previa causae cognitio datio actionis e si innestava in un vero
e proprio processo di accertamento. Un’apposita clausola edittale, consentiva al pretore di
accordare la restitutio in casi non contemplati nell’editto, dove una iusta causa lo rendesse
opportuno. Le conseguenze della in integrum restitutio erano duplici. Il restitus in iintegrum
veniva in concreto reintegrato nella situazione anteatta, non potevano essere esperite con
successo le azioni altrimenti spettanti. La materia delle restitutiones, costituiva uno degli
ambiti in cui risaltava la funzione alternativa e dirompente dello ius honorarium rispetto allo
ius civile. Una volta superata questa dicotomia, la restitutio in integrum svolse la funzione
del moderno “annullamento di fatti o atti giuridici formalmente validi, ma iniqui. Missio in

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rem e Missio in bona erano dunque provvedimenti autoritativi pretori, che potevano essere
adottati nelle ipotesi previste dall’editto. Le missiones avevano secondo Gaio e Ulpiano
varie possibili finalità: a) stimolare o realizzare una esecuzione patrimoniale; b) adempiere a
una funzione cautelare (missio in possessionem rei servandae causa) c) realizzare la
successione mortis causa pretora. La missio aveva finalità e cautelare e introduttiva,
rispetto alla esecuzione patrimoniale della sentenza (venditio bonorum), lo scopo della
datio era la concessione del possesso para-ereditario di un patrimonio. La datio bonorum
possessionis era il provvedimento con cui il pretore concedeva a taluni soggetti il potere di
possedere il compendio ereditario e di disporre dell’intero patrimonio del defunto come se
fossero stati suoi eredi (loco heredum).
III Le Persone
1. La soggettività giuridica: concezioni antiche e moderne
L’espressione “soggetto di diritto” è un’invenzione moderna, Hans Kelsen osservava che la
persona è “personificazione”, cioè il mezzo adoperato per imputare, le condotte previste dalle
norme. Le dottrine illuministiche distinguevano nell’uomo due dimensioni: l’una fisica, l’altra
giuridica, consentiva di cogliere la soggettività umana sub specie iuris, cioè dal punto di
vista specialistico del diritto. L’idea della Pandettistica tedesca e in particolare da Berhard
Windscheid, afferma che l’esistenza di una sfera giuridica soggettiva dipendeva dalle scelte
compiute dall’ordinamento. Dai romani non venne mai elaborata la nozione di soggetto di
diritto: per secoli il subiectus fu colui che veniva sottoposto a misure di coercizione fisica
esercitate da un potere esterno. I romani divisero gli individui in liberi e schiavi. Gaio avrebbe
inteso affermare che questa divisio era valida nell’ottica del diritto, ma non in quella
“naturalistica”, entro la quale invece tutte la personae erano uguali. In origine il termine
latino persona significava “maschera teatrale”. Il termine caput, che viene impiegato,
indifferentemente per il libero o lo schiavo, nel senso di individuo. In qualche caso, si parla di
servile caput o di liberum caput. In un passo delle Institutiones di Giustiniano leggiamo,
con riguardo allo schiavo, che esso nullum caput habuit, letteralmente non ha capo , non
può considerarsi individuo, ciò avvicinando il senso di caput al concetto moderno di capacità.
Con capacitas si indica la possibilità di ricevere per via di successione mortis causa, con
capax il potere di acquistare un credito o di ricevere pagamento. Il pater familias: uomo
libero(liber), cittadino romano (civis romanus), sui iuris(“di proprio diritto, ossia senza
ascendenti maschi vivi che esercitino su di lui la potestà”). I poteri di cui gode il pater familias
riguardano i traffici commerciali e connesse attività negoziali (ius commercii), alla sfera
testamentaria, con il diritto di istituire eredi di essere a sua volta istituito erede (testamenti
factio attiva e passiva); dalla titolarità di diritto reali alle potestà familiari. La potestas
esercitata su figli e schiavi costituiva un potere, da ricondurre sotto il suo dominio, i filli iusti
o legitimi o da un lato, i servi dall’altro. In essa rientravano anche la possibilità di punire i
sottoposti il persino con la morte- il terribile diritto di vita e di morte, il ius vitae ac necis- il
ius exponendi, la facoltà di escludere il figlio della propria comunità domestica. Il
conubium(connubio) è la facoltà di prendere moglie secondo diritto. Hanno il connubio i
cittadini romani con i cittadini romani: tuttavia, con i Latini e gli stranieri solo qualora sia stato
concesso, il connubio è connaturato alla condizione di civis. In età adulta i filii familias, allo
stesso modo dei patres, possono partecipare alle assemblee, hanno diritto di voto(ius
suffragii), possono candidarsi alle elezioni e ricoprire cariche pubbliche (ius honorum). Il
diritto pubblico è ciò che attiene all’assetto organizzativo della comunità romana, il diritto
privato ciò che concerne l’interesse dei singoli. Vi sono infatti alcune cose utili sotto il profilo
pubblico.
L’acquisizione di condizione di soggetto di diritto, avviene per tutti all’atto della nascita.
Quando si parla della nascita biologica su cui si fonda la personalità umana secondo il diritto,
occorre tener presente che si tratta di un principio, affermato in molti stati dopo un lungo
travaglio. I soggetti che diamo noi alla parola sono esclusivamente i liberi: gli schiavi non sono
soggetti bensì oggetti, pur se oggetti parlanti. È negata la soggettività quando il neonato non
appaia possedere sembianze umane,(il caso dovuto a gravissime deformazioni fisiche). Il
monstrum (chiamato pure portentum o prodigium) poteva essere ucciso impunemente dal
padre, venivano affogati nell’acqua con il pregiudizio, che occorreva discernere tra il sano e
l’inutile. In alternativa, il monstrum poteva essere abbondonato a se stesso secondo l’antica

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prassi della expositio che avrebbe condotto al medesimo risultato, la morte dell’esposto per
denutrizione. Al neonato libero per condizione giuridica e con fattezze umane si riconosce la
qualità di soggetto purché sia vivo all’atto del parto. Secondo i Proculiani, la vitalità del
neonato era accertata mediante l’emissione di pianti, per i Sabiniani bastava invece un
qualsiasi movimento corporeo o anche il solo respiro. In ipotesi specifiche si dava importanza
non al momento della nascita ma del concepimento: il curator ventris, che aveva il compito
di controllare il regolamento andamento di una gestazione nell’ipotesi di divorzio. La
gravidanza e il parto nell’interesse del padre. Il nascituro era giuridicamente considerato
come se fosse già nato: una finzione che consentiva di imputare una serie di effetti favorevoli,
come l’acquisto di beni per donazione o per successione ereditaria. Fino al parto, il curator
amministrava i beni spettanti al nascituro, si occupava di crediti e debiti ereditari alla nascita,
in tutti i rapporti sarebbero stati trasmessi al neonato. Due punti importanti della realtà
giuridica romana. Il primo consiste nella produzione di effetti giuridici per mezzo di una fictio.
Si “finge” qualcosa per giungere ad un risultato. Il secondo riguarda lo sdoppiamento
concettuale, tra la titolarità astratta di rapporti giuridici e la capacità di “agire” in concreto. Il
nascituro rappresenta un caso estremo, in quanto essere non ancora nato. Gli infantes,
minori che non hanno compiuto ancora il settimo anno, totalmente privi di capacità, perché
mancanti di facoltà intellettive, e quelli infantia maiores, tra i sette anni e il raggiungimento
della pubertà., considerati parzialmente capaci. Si giunge poi alla pubertà. Concepita come
capacità fisiologica alla procreazione, a tale fase la donna perviene al compimento del
dodicesimo anno; da parte dei Sabiniani si riteneva necessaria una inspectio corporis da
effettuarsi caso per caso, mentre secondo i Proculiani la pubertà maschile si raggiungeva ad
un’età fissa, quattordici anni. Raggiunta la pubertà si è capaci di compiere validatamente atti
giuridici. Si è ancora adolescenti e probabilmente inesperti; a protezione dei minores viginti
quinque annis, una lex Laetoria de circumscriptione aduscentium del III° secolo a.C.
stabilì due rimedi (oltre ad una pena pecuniaria a carico dell’autore dell’illecito): un’eccezione
(exceptio legis Laetoriae) in favore del minore, qualora fosse stato convenuto in giudizio,
da chi lo aveva raggirato; e una restituzione , che concedeva al minore frodato la restitutio
in integrum, in pratica l’annullamento dell’atto concluso.
2. Le nozioni di status e di capitis deminutio: lo status libertatis
Tra i vari significati del termine status, uno riguarda gli individui e la posizione occupata in un
contesto per il diritto. L’espressione status personarum , alla lettera lo “Stato” delle
persone, indica una posizione che si traduce in una specifica condizione giuridica. Costui può
essere, libero o schiavo, cittadino o straniero. Status libertatis indica la condizione di libero
o di schiavo; status civitatis la posizione occupata da taluno nell’ambito della comunità
civica; status familiae la situazione di un membro della famiglia all’interno del gruppo
familiare. Secondo Callistrato rappresenta uno status l’existimatio (stima, onorabilità
sociale), che viene messo quando taluno sia colpito da infamia o perda la libertà. La capitis
deminutio, è la diminuzione di capacità, con cui s’intende la diminuzione che, per varie
ragioni, può intervenire sullo status personarum producendo conseguenze sulla “capacità”. In
origine la locazione capitis deminutio si riferisse non al singolo ma al gruppo di
appartenenza. In base al diritto civile la diminuzione di capacità è equiparata alla morte,
afferma Gaio. La deminutio può riguardare la libertà (capitis deminutio maxima), la
cittadinanza (capitis deminutio media), la posizione in ambito familiare (capitis
deminutio minima). Vi sono tre specie di diminuzione di capacità, massima, media e
minima; sono quelle che abbiamo, libertà, cittadinanza e famiglia. Pertanto, se le perdiamo
tutte, cioè sia la libertà sia la cittadinanza ma conserviamo la libertà, la diminuzione di
capacità è media; minima invece se si mantengono libertà e cittadinanza e muta solo la
famiglia. Cominciamo con la capitis deminutio maxima, corrispondente alla perdita dello
status libertatis, si definita come la forma più grave di deminutio, in quanto chi perde la
libertà è privato della qualità di cittadino e di membro della propria famiglia. Le cause della
schiavitù secondo il ius gentium erano innanzitutto la prigionia per cattura di nemici in
guerra (captivitas) e la nascita da madre schiava al momento del parto. Anche un cittadino
romano poteva generare schiavi: nel caso di unione sessuale tra uomo libero e schiava
valeva il principio del parto da schiava. I figli nati dalla relazione erano schiavi e di proprietà
del padrone della madre. Era libero il figlio di una schiava che fosse stata libera in qualsiasi

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momento, nell’arco temporale dal concepimento al parto. Il debitore che non avesse onorato i
propri debiti poteva essere venduto come schiavo; la stessa sorte, con provvedimento di
coercitio toccava al (disertore o renitente alla leva militare, infrequens) o al censimento
(incensus). Tramonta il principio per cui il cittadino non può essere servus in territorio
romano e ad esempio il caso del falso schiavo. L’editto pretorio colpisce la frode, negando la
possibilità di ripristino della libertà in fattispecie è sanzionata dal senatoconsulto Claudiano
del 52 d.C., la donna libera che prosegua nella relazione con uno schiavo nonostante la
volontà contraria del dominus. Sono considerati schiavi della pena (servi poenae) i liberi
condannati a morte o ai lavori forzati. I servi lavorano nei campi e vivono nella familia
patriarcale, il cui nerbo è costituito dalla figura del pater familias agricoltore. Il senatoconsulto
Silaniano stabilì una feroce presunzione di colpevolezza: qualora un dominus fosse stato
ucciso, si presumeva che tutti gli schiavi viventi in casi di costui fossero colpevoli, non avendo
difeso il padrone, per cui dovevano essere torturati e uccisi. Lo schiavo non era soggetto di
diritti ed era sottoposto al potere del dominus. Il servus non aveva diritti successori, non era
capace di relazioni familiari né di autonomia negoziale, non poteva agire o difendersi in
giudizio. Nell’ipotesi in cui avesse recato danni a terzi, il padrone poteva scegliere di darlo a
nossa (noxae deditio), di abbandonarlo cioè all’offeso affinché quest’ultimo potesse esercitare
su di lui la vendetta. In caso di fuga lo schiavo poteva essere punito duramente e marchiato a
fuoco con la effe, che stava per fugitivus. L’accertamento della violenza perpetrata nei
confronti del servus intolerabilis saevitia dominorum, intollerabile crudeltà dei padroni, la
chiamerà Giustiniano porta alla vendita forzata del medesimo. In età imperiale si consente al
servus, di ricorrere alle vie giudiziarie per ottenere extra ordinem una pronuncia favorevole
all’acquisto della libertà. Sempre extra ordinem è possibile accertare lo status di libero o
schiavo. Nelle legis actio sacramento in rem: a colui che affermava la libertà dell’individuo
si opponeva chi dichiarava di esserne proprietario (vindicatio in servitutem). Dal punto di
vista patrimoniale, si riconobbe al servus la possibilità di amministrare, il peculium, formato
dai frutti del proprio lavoro o corrisposti per liberalità dal dominus o da terzi. Il peculium era
di proprietà del padrone, che poteva revocarlo in qualsiasi momento. Gaio divide i liberi in due
categorie: i nati liberi, detti ingenui, e nati servi, chiamati libertini. La manumissio è l’atto
con cui il dominus concede la libertà al proprio schiavo: appartiene al ius gentium. Il diritto
civile conosce tre forme solenni di dichiarazione dello schiavo. La prima è la manomissione
testamentaria (testamento). La liberazione avveniva tramite una disposizione testamentaria
con cui il dominus esprimeva la volontà che il proprio servus fosse libero ed erede, ovvero
libero. La seconda forma è la manumissio vindicta. Si tratta di finto processo di libertà, che
si svolge dinanzi al magistrato, mediante un rito che prevede gesti formali. Prende il nome
dalla vindicta, dinanzi al magistrato e alla presenza del dominus. Le parole sono le seguenti:
Hunc ego hominem liberum esse aio ex iure Quritium, affermò che questo uomo è
libero secondo il diritto dei Quiriti. La terza forma, la manumissio censu, consiste nel
registrare lo schiavo nella liste dei cittadini romani, su autorizzazione (iussum) del padrone,
come persona di condizione libera dell’atto del censimento (census) della popolazione, che
avveniva a cura dei censori ogni 5 anni. Altri modi con cui il dominus poteva esprimere
l’intenzione di liberare lo schiavo. Era possibile manifestare tale intento in via informale, tra
amici (inter amicos) o nel corso di un banchetto ( per mensam) o per lettera (per
epistulam): il servus acquistava di fatto la libertà pur restando schiavo secondo il diritto
civile. La condizione sconosciuta di questi schiavi, liberi di fatto ma non di diritto, venne
disciplinata dalla lex Iunia Norbana del 19 d.C., che li equiparava ai Latini coloniarii:
acquistavano la libertà ma non la cittadinanza romana, al posto della quale ero loro attribuita
quella latina. I Latini Iuniani, avevano il ius commercii. Prima della lex Iunia erano state
emanate altre importanti disposizioni tendenti, a limitare le manomissioni allo scopo di
impedire l’accesso di schiavi alla cittadinanza romana. Si tratta di due leggi augustee, la lex
Fufia Caninia del 2 a.C. e la lex Aelia Sentia del 4 d.C. La prima stabiliva che le manomissioni
testamentarie potessero avvenire solo nominando gli schiavi da liberare, la seconda che la
manomissione non fosse effettuata in frode ai creditori o in favore di schiavi di età inferiore ai
trenta, gli schiavi manomessi erano chiamati Latini Aeliani e godevano di una libertà di
fatto, allo stesso modo dei servi liberati in tal modo informale. Si afferma sempre più la prassi

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giudiziaria delle libertates fideicommisae, manomissioni disposte dal testatore con la


preghiera all’erede di liberare lo schiavo.
La manumissio in ecclesiis: la liberazione dello schiavo avviene con la dichiarazione del
proprietario resa dinanzi alla comunità di fedeli e in presenza dell’autorità ecclesiastica. Un
modo singolare di acquisto della libertà, è rappresentato dal riscatto dello schiavo per mezzo
del proprio danaro (emptio suis nummis), detto pure compera vendita, a volte chiamata
nelle fonti imaginaria venditio: il dominus servi è il venditore e un estraneo funge da
acquirente dello schiavo. In sostanza lo schiavo si liberava dalla propria condizione, contando
sul peculio di cui era possessore di fatto. Una volta liberati si diventa liberti o libertini: l’ex
schiavo è detto libertus in rapporto al suo patrono (patronus), libertinus in confronto con
chi dalla nascita ha goduto della libertà. L’ossequio (obsequium) dovuto dal liberto al
patrono importa, obblighi precisi: il divieto di intentare azioni giudiziarie contro il patrono,
l’obbligo di prestare in favore quest’ultimo elargizioni e donativi (dona), ovvero operae,
servizi e lavori di varia natura, dalle operae officiales (servizi domestici) a quelle fabriles
(prestazioni di manodopera). Il servus giura di eseguire quanto promette; dopo la liberazione
con una promessa formale( iusiurandum liberti) prestata da un uomo ora libero. Se il liberto
non esegue quanto promesso, si può ripristinare lo stato schiavile precedente. In quanto
appartenente al ius gentium , la schiavitù per prigionia di guerra colpisce non solo gli
stranieri catturati dai romani, ma anche i romani catturati dai nemici. Il postliminium o
espressioneius postliminii ( da post-linem, il diritto del dopo-confine) si indica l’effetto
principale conseguente al ritorno in patria del cittadino romano già servus hostium: la
reintegrazione nella titolarità dei diritti di cui egli godeva prima della prigionia. Se poi il
riscatto dalla prigionia fosse avvenuto con pagamento di denaro da parte di un terzo
(redemptio ab hostibus), colui che era stato riscattato restava sottoposto al potere di
costui fino quando non gli avesse rimborsato il prezzo versato. Un grave problema doveva
presentarsi qualora il prigioniero romano avesse fatto testamento. Il problema fu risolto
attraverso una finzione introdotta da una legge emanata agli inizi del I sec a.C. (fictio legis
Corneliae): allo scopo di conservare efficacia alle disposizioni di ultima volontà del defunto, si
stabilì che il prigioniero fosse da considerarsi morto al momento della cattura, quando era
ancora libero e cittadino romano.
3. Cittadini e stranieri: lo status civitatis
Tra cittadini e stranieri le differenze di trattamento giuridico sono nette. Ai primi è riservato il
ius civile, appunto il diritto dei cives, ai secondi, nelle relazioni intercorrenti con i romani o
tra di loro, si applica il ius gentium, il diritto delle genti. Si afferma a Roma, probabilmente
nel I secolo a.C., il sistema onomastico basato sui tria nomina: il praenomen, corrispondente
al nostro cognome personale o di battesimo, assegnato con la nascita; il nomen identificabile
con il nostro cognome, e indica perciò una familia in senso ampio (in origine una gens); il
cognonem, appellativo attribuito a un individuo per i suoi tratti fisici. Tra il nomen e
cognonem appare inserito, a volte, il nome del padre, seguito da filius. Il census prevede
verifiche quinquennali effettuate su tutta la popolazione romana a cura dei censores,
magistrati istituito nel 443 a.C. I comportamenti contrari ai mores erano annotati in appositi
registri e portavano alla ignominia o infamia della persona. L’acquisto della cittadinanza è
applicato in presenza di iustum matrimonium, che presuppone il conubium: la cittadinanza
romana del padre regolarmente sposato all’atto del concepimento. Da un lato numerose
comunità civiche furono trasformate in municipia; ai loro abitanti si concesse la cittadinanza
romana, dall’altro si crearono nuove comunità civiche, le coloniae; anche in tal caso, di solito
ai residenti si attribuiva la cittadinanza. La lex Plautia dell’89 a.C., emanata dopo le forti
pressioni esercitate dai popoli italici alleati di Roma per ottenere la cittadinanza, che fece
cadere le precedenti disposizioni restrittive e concesse la cittadinanza agli italici che ne
avessero fatto richiesta entro 60 giorni. Il processo inverso consiste nella perdita della
cittadinanza: è la capitis deminutio minor sive media, dell’aquae et ignis interdictio.
La diminuzione di capacità è minore o media quando si perde la cittadinanza romana ma
si conserva la libertà; il che si verifica per colui che viene interdetto dall’acqua e dal fuoco. La
perdita della cittadinanza si produceva automaticamente a causa della perdita della libertà, il
romano diveniva peregrinus, non possedeva il conubium e il commercium, e non poteva
compiere i gesta per aes et libram, gli antichi negozi conclusi per mezzo del bronzo e della

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bilancia come la mancipatio e il nexum. La conclusione del trattato di questi centri urbani
sono i civitates liberae et fonderatae. Si affiancano altri tipi di comunità: quelle non strette
da alleanza con Roma, le civitates sine foedere liberae; sono le comunità riconosciute di
fatto autonome, le civitates autonome di fatto. Una distinzione è tra peregrini alicuius
civitatis, di una data città alla quale Roma riconoscesse o concedesse autonomia anche se
solo informale, i peregrini nullius civitatis, autorità romane potevano intervenire secondo
opportunità. I peregrini dediticii, membri di comunità civiche assoggettate da Roma e non
più ricostituite. Si chiamano peregrini deditizi coloro che, prese le armi, combatterono
contro il popolo romano, ma poi sconfitti si arresero. I rapporti tra romani e peregrini erano
disciplinati dal ius gentium. La tutela processuale era data dalla giurisdizione pretoria ( è del
242 a.C. l’istituzione del praetor peregrinus), in territorio extra-italico invece dal
governatore provinciale. Nel 493 a.C. un trattato, il foedus Cassianum, si stabiliva che per la
disciplina delle relazioni intercorrenti tra membri di diverse comunità civiche che dovesse
valere il diritto del luogo in cui era sorto un dato rapporto. I principali diritti erano il ius
commercii e il ius conubii. I Latini prisci possedevano inoltre il ius migrandi, il diritto di
acquistare la cittadinanza romana. Dopo la guerra del 340-338 a.C. intrapresa dalla Lega
Latina. Soltanto alcune città latine conservarono i diritti di commercium e conubium previsti
dal foedus, le restanti vennero trasformate in municipia. La seconda categoria è costituita
dai Latini dai Latini coloniarii, membri delle colone latine fondate da Roma dopo il 338 a.C., ai
quali si riconobbero il commercium e talvolta il conubium; altri diritti concessi erano il ius
suffragii, il diritto di votare in una tribù estratta a sorte, e il ius honorum, il diritto di
diventare cittadini romani per aver ricoperto una carica magistratuale. Equiparati a costoro,
erano i Latini Iuniani ed Aeliani, schiavi manomessi in violazione di leggi. Il 212 si è tutti
cittadini: perché si è sotto il governo di un unico imperatore.
4. Persone sui iuris e alieni iuris: Lo status familiae
Lo status familiae indica la condizione giuridica propria dei membri costituita intorno ad un
capofamiglia vivente, il pater familias. Si distinguono persone sui iuris e alieni iuris. Sui
iuris, di proprio diritto, cioè pienamente autonomo, non sottoposto ad altrui il potere è il
pater familias; alieni iuris, di diritto altrui, sono i restanti membri. Ulpiano riassume:
Chiamiamo famiglia di proprio diritto quelle persone, che sono soggette per natura o per
diritto ad una sola potestà. La frase (personae) natura aut iure subiectae esprime il vincolo
di soggezione derivante dalla discendenza di sangue (natura)o dal diritto di (iure), il
dominium sui servi o la manus sulla moglie. Anche la donna libera e cittadina può essere
sui iuris se non sia sottoposta ad altri, a volte chiamata, mater familias. Nella condizione di
sui iuris, la donna non può porre da sola atti rilevanti per il diritto, né a lei sono
giuridicamente assoggettati i figli: è membro unico, capo e fine della propria famiglia. Al
contrario, vale per l’uomo, è consentito al pater familias tutto ciò che non sia vietato, ed è il
pater familias a costituire il punto di riferimento delle discipline dettate dal ius civile e dal
ius honorarium, con la morte del pater familias che cessa il vincolo potestativo sui filii,
con il mutamento dello status familiae che da alieni iuris diventano sui iuris e a loro volta
patres costituendo una nuova familia proprio iure, il decesso del pater familias produce
altre conseguenze diventa sui iuris; le mogli dei figli, qualora fossero state nella manus del
suocero, dopo il decesso passano nella manus dei rispettivi mariti. Il vincolo di sangue che
sostituisca un regime di comproprietà tra i figli (ora sui iuris), prende il nome di consortium
ercto non cito (consorzio che non tollera divisione). Viene formulata una tripartizione sulla
base del potere paterno, la potestas si esercita sugli schiavi e sui figli, la manus investe le
donne libere, entrate a far parte della familia del pater, il mancipium si esercita sulle persone
libere vendute al pater per mezzo di mancipatio. Il mancipium trovava fondamento nella
vendita di un filius ad una soggezione particolare sul figlio: dopo un certo tempo il filius in
mancipio (detto anche in causa mancipii) era rimancipato al pater e rientrava così nella
familia originaria. In alternativa, egli avrebbe potuto essere manomesso: non sarebbe
diventato sui iuris. Dal mancipium poteva derivare anche da altre situazioni: erano in
mancipio il figlio adottato da altri e colui che, essendosi reso colpevole di un illecito, fosse
stato a “nossa” (noxae deditio), cioè consegnato dal pater all’offeso. La noxae deditio
liberava il titolare della potestà sul figlio ( o sullo schiavo). Infine, era in mancipio la donna
sottoposta a manus, che fosse stata mancipata per essere manomessa e di divenire così sui

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iuris. I soggetti in mancipio diventano immediatamente sui iuris qualora vengano


manomessi in forma solenne (vindicta, testamento, censu).
5. Soggettività limitata: persone sui iuris incapaci di compiere atti giuridici
Secondo alcuni studiosi la soggettività limitata è la capacità giuridica ma non quella d’agire.
Tutela e cura sono le figure che, furono praticate per venire incontro ad esigenze e problemi
derivanti dalla carenza di facoltà intellettive nei cittadini sui iuris. Tutela e cura si distinguono
in varie specie: la prima riguarda l’impubere (tutela pupilli o impuberis) e la donna (tutela
mulieris), la seconda il minore di 25 anni pubere (cura minoris), il pazzo (cura furiosi) e il
prodigo (cura prodigi). Al tutore compete l’auctoritatis interpositio, l’assenso agli atti
compiuti dal pupillo. Nel corso dei secoli viene meno il carattere potestativo e si fa sempre più
spazio la funzione protettiva. La configurazione originaria quale potestà emerge nella tutela
legitima, che compete, agli adgnati proximi e in mancanza ai gentiles, chiamati alla
successione legittima del pater. Il tutore legittimo dev’essere maschio, cittadino, pubere e sui
iuris. Se vi sono più adgnati del medesimo grado, tutti sono tutores legitimi
dell’impubere(chiamato anche pupillo). I liberti impuberi e le liberte hanno per tutore il
patronus. Altra forma assai antica di tutela, è quella testamentaria: in essa il carattere
potestativo si attenua e vi si affianca la funzione protettiva. È il pater familias a disporre, in
previsione della propria morte, la nomina di un tutore per il figlio impubere con apposita
disposizione contenuta nel testamento. Se il tutore sia stato prescelto dal pater, non si farà
luogo alla tutela legitima. La forma più recente è la tutela dativa, introdotta dalla lex Atilia,
più tardi estesa alle province dalla lex Iulia et Titia. In assenza di tutori testamentari o
legittimi, la nomina del tutore spettava al pretore urbano a Roma, al governatore in provincia.
Con la tutela dativa si afferma il fine di proteggere il pupillo: è considerata un munus, un
officium da svolgersi nell’interesse esclusivo di costui. La tutela, come Servio dice la
definisce, è la potestà concessa e riconosciuta dal diritto civile. Due sono i compiti essenziali
del tutore: la vigilanza sull’educazione e formazione intellettuale dell’impubere e
l’amministrazione del patrimonio lasciato dal pater deceduto. Se si tratta di un infans, il
tutore gestirà in proprio le attività patrimoniali all’infans contro e favore di costui, il pretore
concede azioni utili (actiones utiles). La tutela poteva essere svolta da più individui: in tal
caso l’auctoritatis interpositio andava prestata da tutti, salvo che si trattasse di tutori,
scelti previa indagine (inquisitio) del pretore. Dall’oratio Severi del 195 d.C., che introdusse
il divieto di alienazione e pignoramento dei fondi rustici e suburbani (praedia rustica vel
suburbana) del pupillo, in città (praedia urbana). Per gli atti compiuti nel corso della gestione
il tutore risponde di dolo e colpa. In alcuni casi, il tutore testamentario presta la satisdatio
rem pupilli salvam fore, una promessa solenne resa in forma di stipulatio, che prevede
l’intervento di garanti. I mezzi processuali per l’accertamento di eventuali illeciti si
distinguono secondo il tipo di tutela: contro il tutore legittimo può esercitarsi, al termine
dell’ufficio, l’actio rationibus distrahendis, tendente alla condanna per il doppio del valore
dei beni sottratti al patrimonio pupillare; contro il tutore testamentario sospettato di frode,
chiunque può agire con l’accusatio suspecti tutoris; contro il tutore dativo è esperibile
l’actio tutelae fondata sulla violazione della bona fides. Nel processo cognitorio, l’actio
rationibus distrahendis è diretta a punire eventuali furti commessi dal tutore, l’accusatio
suspecti tutoris a rimuovere il medesimo dell’ufficio, l’actio tutelae ad ottenere il
rendiconto finale. Oltre che sugli impuberi sia maschi che femmine, la tutela grava sulle
donne sui iuris. Gaio osservava che il richiamo alla levitas animi costituiva una
giustificazione più artificiosa che reale. Non sembra sussistere alcuna ragione valida per
mantenere sotto tutela le donne di età matura. Questa forma di tutela è tendenzialmente
perpetua. Sono esentate le donne che abbiano ottenuto il ius liberorum. Optio tutoris, su
autorizzazione maritale alla moglie era data la facoltà di scegliersi qualora il decesso del
marito fossero divenute sui iuris una persona di loro fiducia(tutor optivus). Era consentito
alla donna sottrarsi ad una tutela agnatizia indesiderata per mezzo della coemptio fiduciae
causa: tramite la mancipatio acquistava la manus sulla donna una persona da lei prescelta,
che lo manometteva diventandone tutor fiduciarius. La Lèx Vocònia Legge emanata nel
169 a.C.; con le leges Furia (200 a.C.) e Falcidia (40 a.C.) regolò la materia dei legati. Non solo
limitò la capacità delle donne di ricevere per testamento, ma stabilì anche che l’erede non
potesse ricevere meno del legatario. La cura (o curatio) è prevista per alcune patologie

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mentali che siano presenti in un individuo sui iuris adulto. Si tratta di due vizi psichici tra loro
ben distinti: insania di mente da un lato, tendenza allo sperpero (prodigalità) dall’altro. Il
provvedimento di interdictio non è considerato necessario per l’ipotesi della follia. Il folle non
può compiere alcun negozio, perché non comprende ciò che fa. La cura nasce come potestà,
spettante agli adgnati o ai gentiles secondo una norma delle XII tavole. Alla cura legittima si
affianca quella dativa, in cui è il magistrato a nominare il curatore. La cura minorum viginti
quinque annis, tendente alla difesa dei minori di 25 anni da eventuali raggiri posti in essere,
approfittando della giovane età ed inesperienza, dalla controparte nella conclusione legis
Laetoriae e la restitutio in integrum. Vi sono circostanze che impediscono a persone sui
iuris la titolarità o il compimento di atti giuridici. Quanto alle condizioni personali, lo stato di
plebeo impediva il matrimonio con chi fosse di estrazione patrizia; nel 445 a.C. il divieto fu
abolito con la lex Canuleia. Addicti erano gli individui condannati per debiti, contro i quali
fosse stata avviata la procedura esecutiva della manus iniectio. Nexi erano invece i soggetti
che a causa del debito contratto si erano dati in pegno al creditore. Sia gli addicti che i nexi
continuavano a godere della propria condizione soggettiva di liberi, che le XII tavole
dichiaravano intestabilis non poteva cioè prestare o ricevere testimonianza in atti negoziali
legati al formalismo arcaico l’individuo che, avendo partecipato ad atti librali, si fosse poi
rifiutato di testimoniare. L’editto pretorio stabiliva il divieto di postulare pro aliis a carico delle
persone dichiarate ignominiosae o infames, tra cui i condannati in processi criminali e in
processi privati da delictum o da rapporti implicanti una violazione della fides. A parte il
rispetto della memoria del defunto, avevo lo scopo di evitare la turbatio sanguinis, di
evitare incertezze circa la paternità del feto nei mesi successivi alla morte del primo rango. Il
colonato produce effetti sulla capacità delle persone, nel senso che esse sono formalmente
libere e capaci di contrarre il matrimonio, possedere beni e compiere altre attività, senza
possibilità di abbandonarlo. Si diventa coloni per nascita o per aver vissuto in tale condizione
per 30 anni. Le disposizioni introdotte da Galerio nel 311 riprese, stabilirono la libertà di culto
per tutte le religioni, compresa quella cristiana. La cristianizzazione dell’impero si concluse
con il passaggio ufficiale al monoteismo cristiano, voluto e attuato da Teodosio I con il noto
editto del 380. Per coloro che non osservano la disciplina stabilita dall’ortodossia cristiana
viene stabilita, l’incapacità di fare testamento e di donare, e per converso di ricevere beni in
eredità o in donazione.
6.Persone alieno iuri subiectae considerate in grado di compiere atti giuridici
Le persone alieni iuris, sono incapaci di possedere diritti e di disporne, acquistare beni,
assumere obbligazioni, attuare assetti negoziali. La distinzione tra ius civile e ius
honorarium, diede rilievo all’agire del servus e del filius familias. Per il diritto civile i servi
e i filii familias potevano avvantaggiare con la propria attività, perciò assumeva rilievo
giuridico, il dominus o il pater, incrementandone la posizione patrimoniale. La valutazione è
fatta dal diritto onorario. La responsabilità del dominus o del pater per gli atti compiuti dai
sottoposti, che imputando in capo all’avente potestà non solo gli atti favorevoli come voleva il
diritto civile ma si aveva una forma di decrementi patrimoniali. Actiones adiecticiae
qualitatis furono chiamati i mezzi processuali concessi ai terzi, che con gli schiavi e i figli
avessero concluso.
Le ipotesi sono tassative:
a) actio exercitoria, in tema di attività commerciale marittima: l’azione può essere esperita
contro l’armatore, l’exercitor, che abbia preposto un servus o un filius al comando di una
nave (magister navis).
In virtù del rapporto di praepositio che lega il preponente al preposto.
b) actio institoria, in tema di attività commerciale terreste. Anche qui vi è un rapporto di
praepositio che lega il preponente, dominus o pater, al preposto servus o filius, che prende
il nome di institor. Si parla di actio quasi institoria, quando il preposto all’attività d’impresa sia
un procuratore generale del preponente.
c) actio de peculio, esperibile contro il dominus o pater, nei limiti dell’attivo del peculium a
disposizione del servus o filius, dai terzi che abbiano concluso affari con costoro. Il peculio è
calcolato detraendo le somme di cui il debitore nei confronti del titolare della potestà su di
lui.Il peculium adventicium, formato da elargizioni provenienti dalla madre o dai parenti in
linea materna.

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d) actio tributoria, l’ipotesi è che il peculio sia servito allo schiavo o la figlio per svolgere
un’attività commerciale autorizzata dall’avente potestà, per cui quest’ultimo perde la facoltà
di detrarre dal peculio.
e) actio quod iussu, fondata sull’autorizzazione (iussum) data dal dominus o dal pater al
terzo di concludere affari.
f) actio de in rem verso, esperibile in assenza di altri mezzi processuali. L’azione è
strutturata in modo da avere una formula unica, ma comprendente la possibilità di una
condanna duplice.
7. Soggetti diversi dalle persone fisiche
L’eredità giacente (hereditas iacens) è un complesso di beni e diritti componenti il
patrimonio ereditario, che restava privo di soggetti in capo a chi gli subentrava, l’erede. Tale
patrimonio veniva configurato come res nullius, cosa di nessuno. I nomi collettivi indicavano
complessi di individui e di beni, ad esempio il populus romanus, res publica, civitas,
familia, gens, collegia, municipia, coloniae. Secondo Ulpiano la nozione di universitas,
si distingue tra i diritti dell’insieme in sé considerato e i diritti dei singoli che lo compongono.
Ulpiano precisa che non importa che i membri della collettività restino gli stessi, o che ne
resti solo una parte, o che tutti cambino, ciò che conta, è che l’universitas possa
unitariamente essere considerata, centro di rapporti instaurati con i terzi. L’universitas può
vantare, gli obblighi cui deve sottostare, i rapporti che può instaurare. Nel mondo bizantino si
giunse a indicare con il termine universitas qualsiasi fenomeno associativo. Le associazioni
sono costituite da un complesso organizzato di individui tendenti all’attuazione di fini comuni,
le fondazioni da un patrimonio da devolvere a beneficio diversi dai fondatori. Nel populus
Romanus si concentrano le varie forme di governo succeduti a Roma in un arco temporale di
molti secoli. In età arcaica il rex, rappresenta la nascente istituzione politica ed è il referente
diretto di rapporti giuridici. Nell’età repubblicana, i compiti di amministrazione sono svolti da
apparati di uomini e mezzi, costituenti autonomi centri d’imputazione. In epoca imperiale il
populus può possedere un patrimonio, esercitate diritti, assumere obbligazioni, essere
istituito erede. Le civitates comprendono i municipia e le coloniae. Le civitates possono
essere destinatarie di legati o fedecommessi, ma non ricevere per un testamento. Il Fiscus
Caesaris: in origine patrimonio privato del principe dall’aerarium populi Romani. Di solito
si reggono su uno statuto (lex collegii) che ne disciplina il funzionamento. In età augustea fu
emanata, la lex Iulia de collegiis, vennero sciolte d’imperio sette sospettate di tramare
contro il principe, si stabilì che le nuove dovessero essere autorizzate dal senato o dal
principe. La legge ebbe effetto di attribuire soggettività autonoma solo a talune formazioni;
quelle autorizzate che divennero titolari di diritti e di ricevere per testamento, contrarre
obbligazioni di stare in giudizio. le chiese tendono, dopo l’editto di Milano del 313, a divenire
istituzioni stabili dotate di una propria struttura materiale, sorgono le piae causae, si tratta di
patrimoni destinati a scopi di beneficenza, spesso devoluti in virtù di testamento o donazione
ad alcune istituzioni ecclesiali.

IV. LA FAMIGLIA E IL MATRIMONIO


1. Familia communi iure, rapporti di parentela, gens.
Con il termine familia si indica una comunità di persone legate da vincoli di sangue o di diritto
alla figura di un capo, il pater familias. Con riferimento al patrimonio del de cuius, cioè al
complesso di beni e diritti oggetto di successione mortis causa, a volte come sinonimo di
gens. La familia proprio iure è composta da coloro che si trovano sotto la potestà di un
pater vivente e che spesso, vivono all’interno del focolare domestico: moglie, figli legittimi o
adottivi, nipoti, mogli dei figli o dei nipoti , adrogati, schiavi, persone in mancipio. La familia
communi iure, è formata dai liberi attualmente sui iuris, essendo deceduto il capofamiglia,
ma che sarebbero sotto la potestà di costui se egli fosse ancora in vita. Secondo Ulpiano la
familia proprio iure è composta da più persone, che sono soggette ad un’unica potestà , la
familia communi iure quella composta da tutti gli adgnati, che furono sotto un’unica
potestà. Il consortium ercto non cito consentiva di mantenere intatta l’unione familiare
senza procedere alla divisione del patrimonio paterno. Caduto il consorzio domestico e di
conseguenza la comunione forzata sui beni del pater defunto, resta il vincolo tra ascendenti e
discendenti da iustae nuptiae. Il legame giuridico tram le generazioni all’interno di una

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famiglia è l’adgnatio: una forma di parentela civile basata sulla soggezione alla medesima
potestà, gli adottivi e gli adrogati, sono legati tra di loro. Il rapporto di parentela fondato
soltanto sul sangue si chiama cognatio naturalis, che unisce i figli o le figlie alla madre e ai
parenti in linea materna. La parentela legittima è quella che congiunge le persone in linea
maschile. Si parla di cognatio recta per indicare la parentela in linea retta, cioè tra
ascendenti e discendenti, e di cognatio transversa per quella in linea collaterale, che lega
gli appartenenti a rami diversi della medesima famiglia. I gradi della parentela si computano
in base al nesso tra le generazioni di una stessa famiglia, risalendo fino al capostipite per poi
discendere sull’altro versante. Esempio: la parentela tra nonno e nipote è di secondo grado, in
quanto due sono i nessi generazionali in linea retta ( figlio-padre, padre-nonno) eccetera…
L’affinità (adfnitas) è invece il legame intercorrente tra uno dei coniugi e i parenti dell’altro. La
familia romana forma una comunità di tipo patriarcale, un nucleo forte e coeso di persone
che vivono intorno al suo capo. La gens si distingue dalla familia communi iure, i vincoli di
appartenenza si vanno allentando e del capostipite si conserva solo un vago ricordo. La gens
si forma e si consolida con il proliferare di nuclei familiari originati da un unico pater.
2. Familia proprio iure:il pater e le sue potestà.
Il pater familias è il dominus, appare quale padre-padrone nei confronti di moglie, figli
legittimi e adottivi, nuore, nipoti, schiavi e persone in mancipio. La coercitio domestica è il
ricorso a mezzi di correzione e punizione corporali, inflitti sui figli e in particolare sugli schiavi.
I limiti che vennero introdotti nel corso dei secoli, al fine di evitare eccessi e degenerazioni:
- Ius exponendi, è la facoltà di esporre di abbandonare il neonato;
- Ius vendendi, è il diritto di vendita del sottoposto, all’uopo lo strumento giuridico era
la mancipatio;
- Ius noxae dandi, è il diritto di dare a nossa per consentire che il sottoposto fosse
punito dal terzo;
- Ius vitae ac necis, è il diritto di vita e di morte, che colpiva tutti i sottoposti in base al
giudizio del pater.
In epoca imperiale furono introdotte norme di favore per i sottoposti , Costantino dispose a
carico del padre omicida la terribile pena del sacco, la poena cullei, il reo era rinchiuso in un
sacco di cuoio insieme con alcuni animali vivi e gettato nel fiume. Vi è l’esigenza che ogni
cittadino si adoperi affinché i suoi culti familiari vengano trasmessi alle generazioni
successive, di conseguenza, l’heres designato come successore è considerato custode e
gestore non solo del patrimonio familiare, bensì anche e soprattutto dei sacri riti
familiari(sacra privata perpetua manento). I gesta per aes et libram, arcaici atti rituali
conclusi mediante il bronzo e la bilancia. Con i gesta per aes et libram, allo scambio serviva la
mancipatio, con cui si trasferiva la proprietà di una res mancipi previo pagamento del prezzo,
rappresentato dal bronzo pesato, con il nexum si costituiva un vincolo obbligatorio su se
stessi o su persone sotto potestà, e con la solutio per aes et libram lo si scioglieva. Al rito
della pesatura del bronzo si accompagnava la pronuncia di formule solenni. Nei confronti
degli schiavi liberati (ora liberti), il, pater acquistava la veste di patronus, i clientes,
individui o interi gruppi familiari estranei alla gens per il fatto di essere stranieri o per altre
ragioni, dichiaravano obbedienza al pater e si ponevano al suo servizio, ottenendo in cambio
protezione. Il patronus era tenuto a prestare assistenza ai suoi clinetes in forza della fides.
La sacertà è da intendersi con riferimento alla sanzione comminata verso il patrono, che con
la sua fraus aveva violato la fides dovuta al cliente. I potestas, manus, mancipium erano
relativi alla trattazione delle personae alieni iuris, si precisa che sotto la potestà erano i figli e
gli schiavi, sotto la mano le donne che attraverso il matrimonio erano divenute parte della
famiglia, sotto il mancipio coloro che fossero considerati al pari degli schiavi, servorum loco
habentur.
3. Acquisto e perdita della patria potestas.
L’acquisto e la perdita della potestà paterna derivano dal verificarsi di taluni eventi. L’acquisto
della potestà paterna sui nati da giuste nozze è l’esistenza di un matrimonio legittimo
( iustae nuptiae). Il filius familias seguirà la condizione giuridica del padre al momento del
concepimento. Secondo l’autorevole opinione di Ippocrate, è risaputo che il parto diviene
maturo dal settimo mese, pertanto è da ritenersi figlio legittimo chi nasca da giuste nozze al
settimo mese. Al figlio nato fuori al di fuori di giuste nozze, non sorgono ne la patria potestà

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ne vincoli parentali con la familia del pater, perché i nati in tale condizione potrebbero essere
frutto di relazioni adulterine o incestuose e per il diritto sono illegittimi e chiamati vulgo
quaesiti o concepti, di conseguenza il neonato è sui iuris perché segue la condizione
materna. Tollere liberum era la cerimonia con cui il padre, abbracciando il neonato o tramite
altre manifestazioni di affetto, manifestava l’intento di accoglierlo in famiglia. L’acquisto della
potestà in favore del pater si produce anche per effetto di vetuste forme negoziali come
l’adrogatio, l’adoptio e la conventio in manum. L’adrogatio consisteva in una cerimonia
sacrale che si svolgeva dinanzi ai comitia curiata, alla presenza e sotto la direzione del
pontefice massimo(del rex in epoca più risalente). Dinanzi all’assemblea curiata più tardi,
decaduti i comizi, alla presenza di 30 lictores, comparivano i due soggetti interessati,
arrogante e arrogando, entrambi erano sui iuris, cittadini romani maschi e puberi, venivano
interrogati circa la volontà rispettiva di arrogare e di essere arrogati. Adrogatio per
rescriptum principis la decisione era rimessa alla discrezionalità dell’imperatore. Con
l’intento di punire eventuali abusi nell’esercizio del ius vendendi, una norma stabilì che se il
padre avesse venduto per tre volte il figlio, costui sarebbe stato libero dalla potestà paterna.
L’emancipatio comprendeva sette atti formali:
- Primo atto, la vendita del figlio con una mancipatio;
- Secondo atto, la manumissio vindicta fatta dall’acquirente fiduciario;
- Terzo atto, una nuova vendita da parte del padre;
- Quarto atto, una manomissione da parte del fiduciario;
- Quinto atto, una mancipatio compiuto dal padre;
- Sesto atto, il padre invece di manometterlo rimancipa il figlio;
- Settimo atto, una manomissione del padre con cui il sottoposto a mancipium è libero in
quanto emancipato.
Alla fine del V secolo l’imperatore Anastasio introduce la c.d. emancipatio per rescriptum
principis (detta anche emancipatio Anastasiana) che consente l’emancipazione tramite un
provvedimento imperiale. L’adoptio nasce con il fine di consentire lo spostamento di forza-
lavoro da una famiglia all’altra. A differenza dell’adrogatio, essa può riguardare solo persone
alieni iuris, sulle quali si trasferisce la potestà dal padre naturale a quello adottivo. Verso la
fine dell’epoca classica si stabilisce ai fini dell’adozione, il criterio della dichiarazione
congiunta. Possono adottare solo i padri, non le madri di famiglia. Possono essere adottati sia
maschi che femmine, di età pubere o no, purché di età inferiore a quella dell’adottante:
adoptio naturam imitatur. Con l’adozione cessano i rapporti di adgnatio con i parenti della
famiglia naturale, permangono invece quelli di cognatio; sorgono nuovi vincoli di parentela
civile con gli adgnati dell’adottante. Il modo di acquisto della potestà è la legitimatio, una
forma di riconoscimento dei figli naturali e illegittimi. Le possibilità ammesse sono le seguenti:
a) Legitmatio per subsequens matrimonium, risulta possibile sposare la donna,
procedendo alla regolarizzazione dei figli avuti da costei;
b) Legitimatio per oblationem curiae, i figli legittimandi devono essere dotati dal
padre naturali, attraverso donazioni o per testamento;
c) Legitimatio per rescriptum principis, in assenza di figli legittimi, ammessa quando
impossibile la legitimatio per subsequens matrimonium, su provvedimento
dell’imperatore.
La perdita della patria potestà poteva derivare o da accadimenti naturali come la morte, o dal
compimento di atti negoziali collegabili ad un’ipotesi di capitis deminutio( minima, media,
maxima) in capo al precedente titolare di potestà, non doveva essere necessariamente
minima, avveniva il mutamento dello status familiae, media (perdita della cittadinanza) o
maxima (perdita della libertà). L’ingresso della donna in una nuova famiglia sotto la potestà
del marito, o dell’ascendente sui iuris, produceva l’estinzione della potestà precedente.
4. La concezione romana del matrimonio; requisiti ed effetti.
Il matrimonio consiste nella relazione tra uomo e donna, instaurata con una manifestazione
iniziale di volontà, caratterizzata dall’affectio e dalla comunione di vita in base ai requisiti
voluti dall’ordinamento. L’acquisto della potestà è l’acquisto della manus, che si verifica
all’atto in cui il matrimonio inizia. La forma più antica di matrimonio è la cum manu, alla sua
costituzione non può non essere accompagnato un nuovo vincolo potestativo sulla sposa in
sostituzione del vecchio vincolo. Alla base del rapporto matrimoniale vi è l’affectio
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maritalis, la volontà degli sposi di vivere insieme formando un nucleo familiare, senza
affectio vi è il concubinato, con effetti giuridici diversi. Le nozze consistono nell’unione di
uomo e donna e nel consorzio della vita intera comunione di diritto divino e umano. I modi di
costituzione del matrimonium cum manu sono 3:
a) Conferreatio, il rito nuziale più antico che consiste in una cerimonia religiosa che
avviene alla presenza del pontifex maximus, del Flamen Dialis ( il sacerdote di Giove) e
di 10 testimoni.;
b) Coemptio, l’atto riflette lo schema dell’arcaico trasferimento di proprietà, la donna
viene mancipata dal padre al nuovo capofamiglia. L’atto è qualificato come imaginaria
venditio, perché renderebbe costei n manciopio e non in manu, per questo la
vendita è imaginaria.;
c) Usus, consiste nella convivenza protratta almeno per un anno, produce l’acquisto
automatico della manu in favore del marito. L’usus fu impiegato in mancanza di
conferratio o coemptio per sanare i vizi di forma.
Le XII Tavole consentivano di evitare l’acquisto del potere sulla donna solo attraverso
l’usurpatio trinociti, (l’interruzione delle tre notti): la moglie si allontanava per 3 giorni
consecutivi dalla casa coniugale, evitando così di essere sottoposta alla potestà maritale. La
pratica del matrimonio sine manu, era fondato sulla esclusiva volontà dei nubendi di
instaurare il rapporto e proseguirlo, una volta ammessa la possibilità di sposarsi senza
necessità della manus, si consolidò l’idea, che tale rapporto si fondasse sull’affectio. Il
matrimonio era spesso preceduto da un periodo di fidanzamento, durante il quale poteva
essere prestata una promessa solenne di contrarre le nozze, in origine nella forma della
sponsio, da cui il nome di sponsalia(promessa di fidanzamento), deriva da spondendo
(promettere), infatti era costume tra gli antichi impegnarsi promettendo che avrebbero preso
moglie. Tale promessa consisteva nell’assunzione di una pronuncia di parole che seguivano un
formulario prestabilito dell’obbligo di pagare una somma di denaro qualora non si celebrasse il
matrimonio, nel caso d’inadempimento si procedeva con l’azione giudiziaria. Si prevedeva
l’infamia per chi contraeva sponsali o si sposava con altri, senza aver sciolto il fidanzamento
esiste. Il conubium è la capacità di prendere moglie secondo il diritto, solo in presenza di
questo requisito si può parlare di giuste nozze, è giusto il matrimonio, se tra coloro che
contraggono le nozze vi sia capacità matrimoniale. L’assenza di conubium si traduce in un
impedimento alla possibilità di contrarre un matrimonio valido secondo l’ordinamento romano.
Gli impedimenti possono essere assoluti o relativi secondo si riferiscano alla generale
incapacità di sposarsi, gli assoluti derivano da cause naturali o da ragioni strettamente
giuridiche, l’età, infatti per avere il conobium occorre essere puberi. Altro requisito imposto
dalla natura è l’assenza di furor, di follia, in quanto l’insania mentale impedisce la formazione
del consenso. A matrimonio concluso un altro impedimento naturale è l’incapacità di atti
sessuali spado in caso d’impotenza maschile. I nubendi devono possedere lo status
libertatis e civitatis: occorre essere liberi e cittadini. Perciò in origine possono sposarsi solo
i cittadini tra loro, essendo esclusi i matrimonio misti , non solo tra romani e stranieri, ma
anche tra patrizi e plebei. Quest’ultimo divieto venne presto abolito dalla Lex Canuleia del
445 a.C.. Il conubium fu poi concesso sempre più frequente agli stranieri, sia a persone
singole sia agli abitanti di città latine e peregrine. Era mermesso di risposarsi il vedevo e il
divorziato, ma la donna vedova doveva rispettare un arco temporali di circa 10 mesi prima del
nuovo matrimonio il c.d. tempus lugendi, il tempo del dolore, per evitare la turbatio
sanguinis, ( commistione del sangue), lo stato possibile di incertezza circa l’attribuzione
della paternità ( se del primo o del secondo marito) sul figlio eventualmente concepito. In
questo periodo. Gli impedimenti relativi, riguardano solo determinate categorie di persone,
il principale è dato dalla sussistenza di relazioni di parentela o di affinità, sia in linea maschile
che femminile. Sono vietate le nozze tra ascendenti e discendenti all’infinito, in epoca arcaica
entro il settimo ( ossia fino ai procugini), in età classica entro il terzo grado( cioè tra zio o zia
e nipote, poi entro il quarto. Altri impedimenti relativi erano quelli dettati da differenze di ceto
o dalla carica ricoperta. Non tutti questi ultimi divieti importavano l’invalidità delle nozze
talvolta erano solo previste delle sanzioni a carico dei trasgressori. L’affectio maritalis
possiamo definirla come una serie di fenomeni rilevanti da cui è possibile desumere l’honor
matrimonii, ossia la sussistenza di un rapporto di coniugio e non di altro genere, ad es. Il

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concubinato. L’affectio maritalis, viene concepita non solo quale sacramento, ma anche e
soprattutto quale elemento giuridico che necessita di un’autonoma volontà riconoscibile. Una
deroga notevole al principio di libertà del consenso fu poi introdotta dalla legislazione
matrimoniale augustea, che consta di una serie di leggi, la Lex Iulia de maritandis
ordinibus del 18 a.C. e la Lex Papia Poppaea del 9 d.C. indicate dai giuristi nel loro
insieme con il nome di lex (o leges) Iulia et Papia. I caelibes, erano i non
coniugati(celibi), gli orbi erano gli sposati senza figli. I celibi non potevano ricevere eredità e
legati, gli orbi solo la metà di quanto loro devoluto. I vantaggi per i coniugi con prole erano
dati da agevolazioni come l’esenzione da munera pubblici [Oneri pubblici] e la possibilità di
percorrere più facilmente il cursus honorum e la donna per la concessione del ius
liberorum. L’effetto principale derivante dal iustum matrimonium è costituito dalla
legittimità della prole nata dall’unione coniugale, assoggettata alla potestà del pater
familias. Nell’ipotesi di adulterio della moglie, costei è sottoposta a pene pubbliche, il
marito a parte la facoltà di uccidere l’amante, è obbligato a ripudiarla e a promuovere contro
di lei l’accusa privilegiata di adulterio. Invece per l’uomo l’adulterio da luogo solo a sanzioni
patrimoniali. Al marito cui sono stati sottratti beni dalla moglie, avrà a disposizione un’azione
actio rerum amatarum, azione per le cose sottratte. I coniugi non possono essere obbligati
a testimoniare l’uno contro l’altro o esercitare tra loro azioni infamanti( c.d. beneficium
competentiae).
5. Il regime giuridico patrimoniale.
La dos era costituita da un complesso di beni appartenenti alla donna o alla sua famiglia di
origine, entrati ora a far parte del patrimonio del nuovo pater familias per effetto dell’acquisto
della manus su di lei. La dote può essere conferita o dal pater familias della donna qualora
sia alieni iuris oppure dalla donna medesima, se sui iuris , o da terzi ( dos adventicia,
avventizia, perché viene dall’esterno). La dote può avere ad oggetto diritti reali o di credito,
singole cose o interi patrimoni, limitarsi alla cessione del godimento e della disponibilità
materiale dei beni oppure trasferirne la titolarità o anche consistere nella rimessione di debiti.
Per costituire la dote vi sono varie possibilità:
- Dotis datio, con cui si cedono materialmente gli oggetti dotali;
- Dotis promissio, una promessa solenne;
- Dotis dictio, una dichiarazione prestata nella forma della stipulatio.
Il marito , nel momento in cui riceveva la dote si obbligava alla restituzione, se e quando le
nozze avessero fine con una promessa in forma di stipulatio, chiamata cautio de dote
restituenda, in tal caso la dos prendeva il nome di dos recepticia, ‘recettizia’, perché
destinata a ritornare alla donna. Il pretore in favore della moglie usò l’actio rei uxoriae,
improntata a principi di equità e buona fede, elencata tra i bonae fidei iudicia. La restituzione
era chiesta dalla donna medesima, se sui iuris, o dal pater familias di origine se alieni iuris. In
epoca tarda s’introdussero altre azioni dirette alla restituzione: l’actio praescriptis verbis,
l’azione nascente dalle parole stabilite. L’actio ex stipulatu, detta anche actio de dote, se
vi fosse stata una promessa formale di restituzione da parte del marito. Il regime patrimoniale
riconosceva al marito di trattenere (retentio) una parte della res uxoria per motivi previsti.
Con la Lex Iulia de adulteriis s’introdusse, il divieto per il marito di vendere o ipotecare
fondi italici senza il consenso della moglie, divieto esteso in seguito a qualsiasi immobile. Alla
fine dell’età repubblicana si afferma il principio del divieto delle donazione fra coniugi allo
scopo di evitare arricchimenti eccessivi in favore di uno o dell’altro, ciò interessava le ipotesi
di matrimonio sine manu. Le donazioni tra i fidanzati prima delle nozze ( donationes ante
nuptias), esse erano guardate con favore dall’ordinamento perché offrivano una certa
protezione economica alla donna poi andata in sposa, in caso di decesso del coniuge o di
divorzio. I beni personali della moglie che non siano trasferiti in dote al marito sono detti
extra dotem, ‘ al di fuori della dote’, di essi è titolare la donna, ma l’amministrazione comete
al marito.
6. Lo scioglimento del matrimonio.
Lo scioglimento del iustum matrimonium si verifica per il venir meno dell’affectio maritalis
da parte di entrambi i coniugi o di uno solo (divortium), per morte o riduzione in schiavitù del
cittadino romano in territorio nemico (captivitas), infine per qualche altra causa. Divortium,
da divertere,” dividersi separarsi”, è il termine ricorrente nelle fonti per indicare lo

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scioglimento delle nozze in seguito al venir meno della volontà di proseguire nel rapporto di
coniugio. Se la volontà di rompere l’unione proviene da uno solo, si parla di repudium, una
dichiarazione unilaterale, usata anche per far cessare il fidanzamento. In origine il ripudio era
una facoltà che poteva essere esercita solo dall’uomo, con il diffondersi del matrimonio sine
manu, se ne poteva avvalere anche la donna. Per dichiarare il divorzio, cessa la convivenza
purché tale effetto corrisponda ad un intento serio. Secondo una prescrizione della Lex Iulia
de adulteriis, il ripudio va comunicato all’altro coniuge in presenza di 7 testimoni, cittadini
romani e puberi. L’ipotesi più risalente nel tempo, per il decorso degli effetti civili del divorzio
non basta la separazione di fatto dei coniugi, ma occorre estinguere la manus sulla donna. Si
effettua perciò la diffareatio nel caso di precedente confarreatio, la remancipatio, il
ritrasferimento della potestà sulla donna può anche essere mancipata ad un terzo di fiducia.
Non sarà lecito in assenza di una iusta causa, che in pratica consiste in determinate
condotte guardate con particolare disfavore dall’ordinamento. Alcune iustae causae sono
comuni ai coniugi, altre riguardano soltanto l’uomo o la donna. Giuste cause di divorzio,
comuni a entrambi sono l’aver attentato alla vita dell’altro coniuge o partecipato a congiure
contro l’imperatore; riguardano invece unicamente la marito la relazione continua di costui
con altra donna, l’induzione della moglie a prostituirsi, la falsa accusa di adulterio contro
costei. Lecito è anche il divorzio causato da ragioni oggettive, come l’impotenza, il voto di
castità, l’assenza del marito fatto prigioniero in guerra per oltre 5 anni senza che se ne abbia
notizia. Altra causa di scioglimento del matrimonio è la morte del coniuge, evento naturale cui
l’ordinamento giuridico equiparava la caduta in schiavitù del nemico. Lo scioglimento
avveniva in ipso iure e per evitarne gli effetti e sul presupposto che fosse sussistito ancora
l’affectio maritalis si doveva ripristinare al convivenza tra i due.
7. Concubinato, incestum, unioni omosessuali, contubernium.
Per concubinato s’intende una convivenza stabile tra due persone di sesso diverso che non
possano, o non vogliano essere uniti in matrimonio. I due conviventi possono essere sforniti di
conubium dunque impossibilitati a sposarsi. Il concubinato non dava luogo a conseguenze
giuridiche di rilievo a meno che non si configurasse l’adulterium o lo stuprum, situazioni
valutate come crimini dalla Lex Iulia de adulteriis, il primo consisteva nella relazione con
donna sposata, il secondo con donna vedova o nubile di onesta condizione. I crimini da vincoli
di parentela o di affinità, in tal caso si aveva un incestum punibile solo se ricorrevano i
presupposti dello stupro o dell’adulterio. Lo stupro era punito con la confisca di metà del
patrimonio e la relegatio in insulam, l’adulterio con le sanzioni di cui si è già parlato. La
pratica del concubinato era lecita in base alla normativa augustea non potevano contrarsi
nozze legittime con donne di bassa condizione sociale, per cui le relazioni stabili con le
appartenenti a tali categorie erano tutte valutate come concubinato. Una Lex Scantinia,
emanata intorno alla metà del II secolo a.C., persegue penalmente chi abbia indotto altri a
rapporti omosessuali, e punisce anche colui che abbia concesso a tale scopo l’uso della
propria abitazione il contubernium (contubernio)consiste nella relazione tra due schiavi
ovvero tra una persona libera e una si stato servile, poteva dar luogo alla perdita della libertà
e alla riduzione in schiavitù della persona libera. Il contubernium tra persone di condizione
servile dipende dalla volontà dell‘unico dominus di entrambi (ovvero dei domini rispettivi, se
di proprietà diversa). CAPITOLO : V NEGOTIA GERERE
1.Fatti e atti giuridici. Il rapporto giuridico
Uno dei pilastri della cultura giuridica moderna è costituito dall’autonomia relativa del diritto,
s’spira alla ferrea esigenza che il diritto debba essere il più possibile scevro da
condizionamenti esterni. La cultura giuridica occidentale è debitrice verso l’esperienza
intellettuale fiorita a Roma nei primi secoli della Repubblica, fu lì che prese vita l’idea di
tenere separato il diritto da altre ideologie e discipline precettive di natura ben diversa,
intorno alla metà dell’800 Kirchmann esprimeva che” bastavano poche parole nuove del
legislatore a interrompere, per sempre, la continuità della tradizione giuridica”. I fatti
giuridici sono accadimenti naturali, che l'ordinamento prende in considerazione perché
ritenuti produttivi di determinati effetti giuridici.(1) il fatto giuridico in senso ampio, è
qualsiasi fatto umano o naturale produttivo di conseguenze giuridiche. Ci sono una serie di
fatti che non sono giuridicamente rilevante, per ex. un soggetto legge, dorme ecc. Il
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problema, individuare quando un atto è rilevante, e saperlo collegare all’interno di una


categoria giuridica, perché a ciascuna si ricollegano determinate conseguenze giuridiche.
Innanzi tutto tra i fatti giuridici distinguiamo il fatto giuridico in senso stretto e l’atto giuridico
in senso ampio o lato. (2) il fatto giuridico in senso stretto, essendo una sotto categoria
del fatto giuridico in senso ampio, comporta il collegarsi di conseguenze giuridiche. Esso
comprende i fatti naturali, e i fatti umani. La caratteristica del fatto naturale , è che la volontà
del soggetto non rileva ai fini della produzione di conseguenze. Esempio: la morte, è un fatto
naturale, l’effetto giuridico che si ricollega è l’apertura della successione, e questo non
dipende dalla volontà del soggetto. Il computo del tempo è l’attività del tempo. Quali sono i
compiti del computo del tempo? L’acquisto dell’età pubere all’acquisto del diritto di
proprietà. Computo naturale, da un preciso momento del giorno iniziale ad un altro preciso
momento del giorno finale; computo civile si parte dalla mezzanotte del giorno iniziale e
facendo scadere il conto alla mezzanotte del giorno finale, la giurisprudenza romana
considerava il termine compiuto non con la fine ma con l’inizio dell’ultimo giorno, nel tempo
continuo si tengono in conto tutti i giorni che trascorrono. Gli atti giuridici sono
comportamenti umani consapevoli, produttivi di effetti giuridici.
 Gli atti giuridici possono essere:
o Atti leciti: consentiti dall’ordinamento; la categoria più importante è quella dei
NEGOZI GIURIDICI. Sono volontari.
o Atti illeciti: vietati dall’ordinamento, ma anche questi fatti giuridici sono
volontari (obbligazioni).
 Negozi giuridici sono delle manifestazioni di volontà da parte dei privati dirette al
conseguimento di risultati definibili in termini di acquisto, perdita, modificazione.
La teorizzazione moderna del Savigny alla pandettistica parlava dei negozi giuridici alla
estinzione di volontà. I giuristi romani si occuparono di una determinata “fattispecie”
concreta. Partendo dall’individuazione delle fonti giurisprudenziali. Secondo la volontà sia
dichiarata si distinguono negozi dichiarativi e non dichiarativi, si hanno poi negozi unilaterali e
bilaterali, secondo che la volontà necessaria alla conclusione provenga da una sola parte. Si
distinguono atti negoziali inter vivos e mortis causa, secondo che l’atto debba produrre i
suoi effetti durante la vita delle parti oppure dopo la morte. Gli atti in cui vantaggi e svantaggi
sussistono per entrambe le parti (c.d. negozi a titolo oneroso, es. la compravendita ), e atti in
cui l’incremento patrimoniale si verifica solo in favore di un soggetto e corrisponde una
perdita per l’altro (c.d. negozi a titolo gratuito es. la donazione). Nelle fonti giurisprudenziali
negotium significa semplicemente ‘affare’. Il negotia gerere, esprimeva l’idea di un forte
nesso tra l’attività economica e l’uso di molteplici schemi negoziali predisposti dal diritto. I
servi negotiatores sono coloro che sono stati preposti all’esercizio di attività economiche,
allo scopo di comprare o di locare. Altrove si precisa che il pazzo non può gestire alcun
negozio, in quanto non comprende ciò che fa.
2. Formalismo e tipicità.
Si definisce formalismo l’impiego sistematico di specifiche procedure necessarie per
produrre effetti giuridici. le forme consistono in schemi, di parole certe e solenni, certa et
sollemnia verba, insomma un rito gestuale ed orale, nella storia di Roma regolato dai mores
e controllato dai giuristi pontefici. L’uso delle forme obbediva dallo scambio economico alla
tutela del credito. In età arcaica sono destinati gli atti librali, i negozi conclusi per aes et
libram, per mezzo del bronzo e della bilancia, si tratta dei 3 gesta della mancipatio ( per il
trasferimento di titolarità su una res), del nexum (per la costituzione di un vincolo
obbligatorio), della solutio per as et libram (per lo scioglimento del medesimo). La
dichiarazione orale di una o più parti, la nuncupatio è sufficiente a creare effetti giuridici,
fenomeno chiamato ‘uso performativo’ del linguaggio. A tali negozi occorre aggiungere la in
iure cessio, finto processo che si svolge dinanzi al magistrato, la sponsio(scambio solenne
di domanda e risposta, finalizzata a creare un vincolo contrario, alla sponsio in grado di
estinguere il medesimo vincolo. Altri ancora riguardano il matrimonio (confarreatio e
coemptio),la famiglia (adrogatio), la successione morits causa (testamentutm calatis
comitiis e cretio). Il negozio formale è tipico in quanto rientra in uno dei tipi previsti e
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disciplinati dall’ordinamento, ed astratto in quanto prescinde dalle funzioni economico-sociali.


Dal commercio internazionale nascono i negozi del ius gentium, caratterizzati dall’accordo
delle parti quale requisito necessario e sufficiente a costituire il vincolo obbligatorio. Il
formalismo si avvia al declino mentre resiste la tipicità. Compravendita, locazione, mandato,
società non sono formali ma sono tipici, la loro struttura è regolata dal diritto e tutti i negozi
sono tipici anche se non tutti sono formali. Max Weber afferma che il diritto è una scienza
logico-razionale in grado di elaborare forme concettuali astratte, esprime discipline informate
a criteri di prevedibilità e certezza nell’applicazione ed eguaglianza nel trattamento. Il
pensiero tecnico occidentale che viene dal diritto romano è la giurisprudenza.
3. L’atto giuridico privato.
3a. Elementi costitutivi.
Requisiti, o elementi sono quelli che ne compongono la struttura, alcuni sono essenziali, ciò
necessari affinché il negozio giuridico non sia nullo, ritroviamo anche elementi accidentali,
cioè elementi la cui mancanza non intacca la validità del negozio. Da entrambi si distinguono
gli elementi c.d. naturali, non sono elementi ma effetti e consistono nelle conseguenze che
derivano dal negozio concluso, riguardano non la struttura giuridica dell’atto negoziale, ma la
sua efficacia. I singoli elementi essenziali si distinguono in :
a) Soggetti;
b) Volontà;
c) Forma;
d) Causa;
e) Oggetto.
a) Non può esistere un atto negoziale senza uno o più soggetti, devono avere taluni
requisiti, occorre essere sui iuris, maschi e puberi e non presentare patologie mentali
o caratteriali ( come la prodigalità). La c.d. legittimazione negoziale è l’idoneità di un
soggetto a porre in quel dato negozio, solo se possieda determinati requisiti. La parte
esprime la posizione ricoperta all’interno della struttura dell’atto, il soggetto indica
un’entità partecipante alla realizzazione del negozio, questa una distinzione moderna
appunto tra parte e soggetto. Un esempio quello della mancipatio, se due sono i
proprietari della res in comune di cui trasferiscono il dominium, e uno l’acquirente, le
parti sono due e i soggetti tre. Con riguardo alla manifestazione/dichiarazione i negozi
potevano essere:
 Unilaterali: a manifestare la volontà deriva da una sola parte (testamento)
 Bilaterali: convergono manifestazioni di volontà tra 2 parti (contratti)
 Plurilaterali: convergono manifestazioni di 3 o più parti (societas);
b) Per il perfezionamento del negozio è necessaria la volontà dev’essere frutto di scelte
varie, formata in modo libero, non frutto di pressioni esterne( si cade altrimenti in un
vizio della volontà);
c) Alla volontà si lega la forma, ossia modo in cui essa si esterna, e costituisce il veicolo
necessario affinché una data volontà sia compresa secondo i parametri dettati dal
comune intendimento. La forma è propria solo di alcuni negozi (c.d. formali)
caratterizzati dal compimento che prevedono sia gesti che formule orali, si parla in tal
caso di forma vincolata. Dai negozi formali si distinguono quelli non formali (detti
anche a forma libera), esempio i pacta, accordi tra soggetti in grado di produrre
obbligazioni, rientrati nella previsione edittale del pretore, in genere tutelati con la
concessione di un’eccezione. Se il pactum non presenta caratteristiche tali da meritare
protezione giudiziaria, è detto nudum, da esso non può nascere un’obbligazione. La
forma dei negozi conosce l’importanza del testo scritto, la testatio, documento redatto
in presenza di testimoni, si riportavano le dichiarazioni e le attività svolte dalle parti, il
documento consisteva in due o tre tavolette lignee. Un altro tipo documento, il c.d.
chirographum, di origine ellenistica, in cui il soggetto stendeva personalmente il
testo, il valore probatorio era dato dalla scrittura di propria mano. Il ruolo ad
probationem svolto dal documento fino alla fine dell’età classica si esaurisce. Nel 472
una costituzione dell’imperatore Leone I stabilisce che i negozi giuridici devono essere
redatti per iscritto, il valore diviene ad substantiam;

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d) La causa la causa è l’elemento essenziale del negozio. La causa del mutuo è nel
prestito di denaro da restituire a scadenza fissa o su richiesta del mutuante, quella
della compravendita consiste nello scambio di cosa contro prezzo, nella emptio-
venditio come contratto, lo scambio tra la disponibilità della res e il pagamento del
valore economico di essa. Nel negozio unilaterale come il testamento, la causa è
nell’attribuzione del titolo di heres e nella successione universale in favore di costui. Si
distinguono negozi casuali e astratti, nei negozi casuali la funzione è tipizzata per
ciascun negozio per cui gli effetti voluti si producono automaticamente in base al tipo
negoziale prescelto, nei negozi astratti ciò non può accadere, dal momento che sono
svincolati da una funzione predeterminata, chiamati anche negozi a causa variabile.
Attraverso i rimedi dello ius honorarium, che al convenuto in giudizio in base all’azione
civile, in sé fondata fornisce un exceptio (c.d. exceptio doli), mentre per i negozi
formali traslativi della proprietà, mancipatio e in iure cessio, si ammette verso la fine
dell’età repubblicana un’azione (c.d. condictio sine causa), diretta al ritrasferimento
della proprietà della res in favore dell’alienante e contro l’acquirente e contro
l’acquirente;

e) L’oggetto del negozio è costituito dalla res da un oggetto e un altro, individuabile nella
prestazione (unilaterale o bilaterale) di dare o fare, di non dare o non fare, chiamato
anche contenuto negoziale.
3b. Elementi accidentali.
Accanto agli elementi essenziali, ciò necessari affinché il negozio giuridico non sia nullo,
ritroviamo anche elementi accidentali, sono quelli che esistono per volontà delle parti, essi
sono: Condizione, Termine, Modus (onere);
La Condizione è una clausola che indica un evento futuro ed incerto, da cui dipendono gli
effetti del negozio, indica sia la causa che l’evento in sé. La condicio che significa “patto”,
‘accordo’, da cum dicere ‘dire insieme’, a proposito della liberazione di schiavi, che un
servo venisse liberato a condizione che all’erede fosse dato del denaro, il negozio appare
condizionato quando la sua efficacia è subordinata. Dunque la condizione è la pattuizione
che corrisponde di tipo economico agli altri contraenti. L’efficacia del negozio è sospesa
(condizione sospensiva) ti darò cento se giungerà la nave dall’Asia. Si distinguono due
differenti condizioni la condicio pendet la condizione è incerta se si verificherà, la condicio
extat in uno stato di certezza esempio la nave è giunta. La condizione risolutiva il negozio
comincia a produrre gli effetti giuridici e potrà subentrare un effetto successivo e il negozio
non avrà più alcun effetto quindi è nullo. Praticata dai romani fu la in diem addictio, era
l’aggiunta di denaro entro un dato giorno, in effetti si trattava di un esempio di condizione
risolutiva, in se inammissibile. Actus legitimi erano dei negozi che non prevedevano
l’aggiunta di condizioni. Nel caso venivano inserite, comportava l’invalidità del negozio. Tali
negozi erano:
1. la mancipatio
2. la in iure cessio
3. l’acceptilatio
4. l’aditio hereditastis.
La condizione impossibile, l’intero negozio nullo oppure la condizione è nulla. La
compravendita presenta le clausole. La Lex Commissoria è la clausola accessoria del
contratto di compravendita (emptio venditio), in base al quale le parti si accordavano
affinché il venditore potesse recedere unilateralmente dell’impegno assunto, pretendendo dal
compratore la restituzione della cosa, se non avesse pagato il prezzo entro il termine
prestabilito. Il pactum era un accordo, o convenzione, tra due o più soggetti che interveniva
allo scopo di regolare una situazione di comune interesse. Il pactum adièctum, cioè di una
clausola accessoria apposta ai negozi giuridici. Il pactum legitimum, cioè di un atto
produttivo di conseguenze giuridiche in base ad una lex. Altra clausola aggiunta fu ad una
emptio venditio fu il pactum displicentiae, la vendita è immediamente efficace, ma si
avrà come non conclusa quando il compratore non gradisce il bene acquistato. Il contratto si

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dice misto quando risulta dalla fusione delle cause di due o più negozi tipici. Gli elementi
essenziali causa, forma e oggetto, se mancano questi elementi essenziali il contratto non
esiste. Il vincolo obbligatorio si costituisce attraverso i modi la res e il consenso. La condizione
sospensiva abbiamo da una parte dove si costituisce il vincolo e l’efficacia. Se la condizione
non si realizza il negozio non esiste. Se la condizione si realizza produce l’efficacia. Se si
realizza quell’evento, l’efficacia continua. Se non si realizza il negozio non esiste più. La
compravendita ha efficacia se al compratore non gli piace il contratto è nullo. I contratti misti
c’è la combinazione delle parti. Il negozio o nasce perché deve continuare o perché è
posticipato per la sua efficacia differita (condizione sospensiva). Il contratto di
compravendita c’è la possibilità di venir meno dell’efficacia il contratto può decadere oppure
no. I romani concepiscono due negozi: la compravendita non è sottoposta a nessuna
condizione. Il patto di risoluzione è sottoposta a condizione. La clausola è l’accordo delle parti
che il compratore depone. Il contratto di compravendita è un contratto di risoluzione. Il patto
della risoluzione ad oggetto, la risoluzione di quel contratto è quindi una risoluzione sospesa.
La risoluzione avrà la sua efficacia. Per realizzare lo scopo di una compravendita risolutiva i
romani concepiscono:
1) Il primo atto è la compravendita normale, non sottoposta a nessuna condizione;
2) Il secondo atto riguarda l’accordo della volontà dei contraenti, se si trattasse di una
semplice compravendita;
3) Il terzo atto riguarda una compravendita normale, si ha un secondo negozio e un patto
per il quale ha per oggetto eventuale risoluzione dell’accordo del primo contratto.
L’interpretazione dell’atto è la necessità di dare un senso alle reali intenzioni del soggetto o
dei soggetti agenti, mettere a fuoco è il compito dell’interprete. La manifestazione è una
dichiarazione. Esiste la teoria dell’affidamento far sì che ogni volontà del soggetto che egli
manifesta. Nella teoria dell’affidamento si contrappone la teoria della volontà Willensdogma.
I Willensdogma prevale in epoca bizantina, nelle concezioni greche si giarda il processo di
volontà dell’individuo. Le clausole d’origine tra volontà e dichiarazione:
a) Al vizio della volontà del contraente si è riconoscibile rispetto al
negozio giuridico che è stato concluso.
Le fonti giurisprudenziali parlano dei vizi di invalidità. I negozi romani sono tipici. I bizantini
danno rilievo al processo interno dalla manifestazione di chi sostiene l’invalidità diversa.
L’intelligenza del contesto inserisce una determinata clausola all’interno del documento,
ovvero il principio della conservazione, se si da un danno nullo si cerca di dare un significato
in modo da salvaguardare la vitalità dell’efficacia. Quando si trattava di correggere la volontà
in modo da conservare i vizi, si parlava di volontà correttiva. La volontà è incivile quando
riguarda l’intera legge ma, si sofferma a un singolo particolare. La regola è ciò che riassume
una determinata cosa per volontà delle parti. Invalido è ciò che non ha validità. L’invalidità è
una categoria generale. L’annullabilità e la validità rientrano nell’invalidità. L’efficacia
comprende anche l’invalidità del negozio giuridico. Quando mancano gli elementi essenziali
del negozio giuridico abbiamo la nullità. L’inefficacia si ha quando il negozio giuridico sia
valido e non produce i suoi effetti. La nullità non sarà più ex tunc (dal momento in cui è
sorto), ma sarà ex nunc cioè efficace al momento stesso. Il debitore poteva negare l’azione
al creditore che fosse invalido. La nullità ha per essenza. I contratti formali devono concludersi
per quella determinata forma. In mancanza di una causa si tratta di negozi causali. I negozi
astratti sono quei negozi che non hanno la causa, se viene a mancare questa causa il
contratto è nullo. A differenza del negozio valido ed efficace, quello invalido è inefficace. La
nullità dell’atto ab origine, si ha per il difetto di un elemento essenziale. Esistono poi le
condizioni illecite (contra legem), le turpi (contra bonos mores), e quelle impossibili
che non possono mai verificarsi, sono pure le condizioni impossibili, aventi ad oggetto per loro
natura insuscettibili di rapporti privati, come le res extra commercium. La simulazione è
l’accordo tra due soggetti. Il negozio (simulazione) assoluto quando i due contraenti non
volevano concludere nessun negozio con la nullità. Il negozio oggettivo, i due contraenti
volevano concludere con la nullità il negozio. Il negozio relativo quando si voleva un negozio
diverso. La teoria classica è la tutela dei terzi che contrappone la teoria giustinianea, ma mira
a tutelare la volontà individuale. La riserva mentale è il processo dell’individuo. La riserva
mentale è un’emergenza della controparte di chi ha un riserva mentale e quindi ha una cosa

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in comune per un suo fine illecito. L’errore è un vizio. L’errore è una falsa rappresentazione
della situazione reale. L’errore ostativo cade nella dichiarazione. L’errore vizio è l’errore
interno, e si manifesta nella volontà. Error in negotio è l’errore nel tipo di contrattazione del
negozio. Error in substantia riguarda la res. Error iuris non porta alla nullità del negozio
giuridico. L’errore essenziale che verte su un elemento senza alcuna importanza. L’errore oltre
determinato da un falso processo di volontà e può essere determinato dal dolo e violenza. Il
dolo è il raggiro. Secondo Labeone il dolo è ogni astuzia diretta a raggirare la controparte. La
violenza è una vis absoluta (fisica), ad esempio il pugno afferrato da chi esercita la violenza
tramite forza fisica. La violenza vis absoluta non produce alcuna conseguenza giuridica. La
violenza Vis compulsìva cioè la violenza morale che consiste nella minaccia seria (serius),
di un male ingiusto e notevole, fatto a se stesso o dai propri familiari. Esempio se io sono
stato costretto concludo quell’atto, il brocardo è espressione di una sapienza giuridica. La
restitutio in integrum ( ripristino della situazione inziale) consiste nel ripristino di una
situazione precedentemente modificata da un fatto o un atto giuridico. Actio metus, serve a
far dichiarare la nullità di quel negozio giuridico. L’exceptio metus, è opponibile al soggetto
che pretendesse l’esecuzione di un negozio giuridico di cui il consenso era stato estorto( da
una delle parti all’altra con violenza). La restitutio in integrum è il particolare rimedio
apprestato in favore della vittima di violenza morale, volto ad eliminare gli effetti del negozio
giuridico concluso con il suo consenso. Àctio quod mètus causa (azione per violenza
morale), è l’azione concessa in favore del soggetto che si era indotto a contrarre perché
psichicamente oppresso da violenza morale (si sostiene, infatti, che il termine metus
indicasse in senso passivo lo spavento provocato dalla vis, cioè dalla violenza). La patologia
del negozio giuridico consiste che c’è una divergenza tra quello che viene dichiarato dalla
manifestazione di ella volontà e quello dell’animus, cioè la volontà. L’errore è una falsa
rappresentazione della realtà dovuto al processo punitivo. L’errore ostativo è l’errore che
riguarda la volontà. La regola generale che l’errore per essere rilevante : deve essere
essenziale e riconoscibile alla società. L’errore può consistere in una violenza che qualsiasi
errore può dare luogo all’inefficacia del luogo stesso. L’elemento accidentale più importante è
la condizione. L’istituto che da luogo al rimedio la cautio Muciana, si riproduce attraverso
una finzione. L’ipotesi è quella del legato (lascito testamentario) sottoposto a condizione
sospensiva, potestativa e negativa. La condizione sospensiva sospende il tempo. Il testatore
poteva lasciare il lascito mortis causa, durante la morte ad esempio se farai quel
determinato lavoro. La condizione potestativa è quella che si manifesta sulla volontà dello
schiavo. La condizione negativa si tratta di un lascito che il soggetto non deve realizzare una
determinata attività positiva ma negativa. Il lascito deve avvenire in atto di vita (atto inter
vivos), esempio io ti lascio questo lascito (donazione) se tu non ti sposerai, la condizione
potestativa dipende dalla volontà del beneficiario, la condizione sarebbe irrealizzabile. Il
problema dei giuristi è che il beneficiario potesse avere questo lascito dimostrativo, il fatto di
non fare qualcosa quando il soggetto è indisposto a farlo, quando muore. Quinto Mucio
Scevola ha realizzato la Cautio Muciana, il beneficiario lascia la Cautio, è una
stipulatio(promessa)nel caso in cui faccia l’attività che li era stata proibita di quel lascito
stesso. La Cautio Muciana è la soluzione tramite la Fictio, il beneficiario si finge senza
infrangere quel divieto e si accontenta purché si presti la Cautio Muciana. Esempio: ti
istituisco l’erede se accetterai, si tratta di una prescrizione fissata dall’ordinamento giuridico
romano consente all’erede di accettare. L’erede stesso decide se accettare o meno. Altro
esempio, ti darò 100 se toccherai il cielo con il dito è una condizione impossibile, la
disposizione di ultima volontà posta come clausola del negozio stesso(il negozio viene
considerato puro). Il termine in cui l’efficacia del negozio è basato sulla scadenza è un
evento futuro e certo, dai quale decorre l’efficacia del negozio, es. ti darò 100 nel 2045. La
differenza con la condizione è nella certezza del momento in cui l’atto inizierà a produrre i
suoi effetti o cesserà di produrli. Il termine non è opponibile agli actus legitimi a pena di
nullità dell’intero negozio, è usato spesso nei contratti di locazione, società, mutuo e
comodato. Il modus è la realizzazione di una determinata prestazione, è una clausola tenuta
a sottoporre un negozio di liberalità ad un determinato servizio. Il modus è l’onere che viene
imposto ad un determinato soggetto che possa raggiungere quel determinato lascito. Il
pretore poteva intervenire con un ordine al beneficiario con la restituzione del lascito.

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La condictio è la richiesta di restituzione che faceva l’autore della liberalità; aveva questa
forma causa data causa non secuta è la causa del modus stesso che non era stato
adempiuto.
In epoca giustinianea la praescriptis verbis è l’azione nascente dalle parole che sono state
pronunciate al lascito.
La rappresentanza è una figura giuridica .
Il principio fondamentale della rappresentanza è l’attività che agisce in nome e per conto
l’interesse proprio e quindi provvede per sé ,uno dei presupposti insieme alla capacità d’agire
rispetto ad un’attività.
Il conubium è la capacità di porre in rilievo il merito dell’attività negoziale.
La legittimazione che riguarda la capacità del soggetto per la realizzazione del negozio
giuridico.
 LA RAPPRESENTANZA
 IL CONTRATTO DI COMPRAVENDITA
 IL SOGGETTO CHE AGISCE PER CONTO E PER NOME È IL VENDITORE.
La compravendita si realizza nel momento in cui l’effetto traslativo è la traditio (Consegna).
Si ha rappresentanza quando l’atto è compiuto da un soggetto diverso da quello in favore,
si ha una scissione tra i due soggetti, il primo chi lo possiede, il secondo è il destinatario,
rappresentante e rappresentato).
Il rappresentante del compratore (RC) che sta nello stesso luogo del venditore deve
acquistare la RES nelle sue mani, il compratore agisce per conto del compratore stesso.
Nel diritto antico non era possibile la rappresentanza diretta come la presenza del soggetto
che gli stava alle spalle. Il divieto della rappresentanza diretta era necessario per una doppia
compravendita perché questa rappresentanza non era conosciuta. La rappresentanza è
l’esistenza di una rappresentanza diretta.
Il rappresentante ad esempio lo schiavo agisce per conto e per nome altrui(proprio). Il
rappresentante del compratore deve trasmetterlo al compratore stesso. Secondo Ulpiano il
procuratore è colui che amministra affari altrui su mandato del titolare.
Il procuratore poteva essere di 2 tipi:
 il procurator unius rei o negotiationis per un solo affare.
 Il procurator omnium bonorum o rerum per tutte le cose.
Il procurator ad litem per tutti i patrimoni, era il soggetto nominato dalla parte come
proprio rappresentante in una controversia giuridica; la nomina poteva avvenire, senza il
ricorso a formule prestabilite, con un semplice mandato, pur se in assenza o all’insaputa
dell’avversario.
La rappresentanza indiretta (inter) (chiamata anche gestoria), è la posizione gestoria
che un soggetto si interpone tra compratore e venditore per realizzare una vendita senza
apparire come rappresentanza.
La rappresentanza indiretta vale per una rappresentanza volontaria. La rappresentanza
è volta alla rappresentanza diretta. La rappresentanza legale sono i tutori(furiosus, pubili e
incapaci) e curatori.
La rappresentanza legale è la rappresentanza diretta ma per un soggetto superiore.
“Gaio dice che il principio della rappresentanza è quello che noi non possiamo acquistare, ma
ci sono casi invece che si può realizzare l’acquisto”.
Il dominus è il signore del negozio giuridico(gli schiavi o figli). Gli schiavi possono acquistare
la rappresentanza perché agiscono con la manus di questa potestà che incombe su di loro
(alieni iuris).
Per quanto riguarda i debiti provoca una sorta di indebitamento qui c’è bisogno della
rappresentanza indiretta.
Le actiones adiecticiae qualitatis non nasce dal rappresentato o rappresentante è l’azione
che il terzo è venuto a contatto per il figlio o padre. Il giurista Gaio, nel suo manuale di
Istituzioni, nel IV libro, descrive in maniera semplice e concisa le principali caratteristiche di
queste azioni, dette successivamente con una denominazione non romana “azioni di qualità
aggiuntiva”, actiones adiecticiae qualitatis.Il pubere era protetto dal tutore per un
acquisto di beni immobili.
1) L’agire del servus (persone incapaci)

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2) Il dominus (il padre)


Esempio: il terzo abbia comprato una produzione di cereali, il servus ha impegnato il dominus,
invece devono partire 10 quintali di grano del capitale stesso.
Il terzo può adottare un actio adiecticiae qualitatis. Il servo era il rappresentato diretto,
quindi il terzo agirà nella intentio ed esprimerà la pretesa per cui il soggetto è entrato in
vincolo.
La condemnatio, il terzo dice che il dominus verrà condannato. Il terzo ha contrastato con il
servus. L’azione fondata dal peculium del servus. Oppure se il servo promette i soldi il
terzo, agirà con l’azione adiecticiae qualitatis. In epoca severiana si afferma con le
actiones utiles(azioni utili), quando il pretore inizia le azioni alle stessa maniera dei
procuratores.
“Papiniano dice che i giuristi conoscevano già la rappresentanza diretta”. Papiniano si rende
conto dell’artificiosità di questi valori di beni cioè la possibilità di concedere queste azioni utili.
Papiniano dice che le Àctio institòria concedano l’azione quando c’è il servus o terzo vi sia
il procurator. Il rapporto poteva trovar fondamento in svariate cause:
- In un atto unilaterale del dominus (iussum praepositio)
- Nella volontà del dominus(non prohibente domino)
- Con la successiva ratifica (ratihabitio) di costui
Il nuncius intermediario serviva a trasmettere una data volontà negoziale, non era ammesso
nei negozi a forma solenne. Anche il servus e il filius familias non erano procuratores in
quanto organi della comunità domestica, tramite loro era possibile effettuare la mancipatio o
la stipulatio.
CAPITOLO 6: Forme di appartenenza dei beni: diritti reali e possesso.

1. La res, nozione giuridica


L’art. 810 cod. civ. definisce non la nozione di cose bensì la nozione di bene , è qualsiasi
cosa che sia suscettibile di favorire oggetto di rapporti giuridici. L’art. 810 cod. civ dispone
che sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti cioè le res che non costituiscono
beni proprio perché nessuno intervenisse a farlo oggetto di un proprio diritto. La nozione di
bene esprime un vantaggio del patrimonio che è del bene stesso. La nozione di bene è
sconosciuta ai romani, ai quali parlavano della res, che tutte le cose sono res. Il pater
familias e i figli sono oggetti del rapporto potestativo. L’oggetto di diritto è formato da res.
Res soli sono le cose del suolo, i beni immobili o le ceterae res cioè le cose che non sono
immobili, soprattutto che riguardano il tempo che intercorre l’usucapione. L’usucapione è il
modo di acquisto tra titolo originario e titolo gratuito. Gli schiavi sono delle res oppure delle
cose animate o cose differenti dalle cose immobili. La res mancipi sono gli strumenti di
lavoro di contadino, ad es. il fondo che viene esercitato dal pastore(fondi siti sul suolo italico).
Le res mancipi sono le cose più importanti e fondamentali nella condizione, ove fanno parte
gli animali che vengono domati attraverso un gioco o alla soma. Le classificazioni delle res
mancipi e res nec mancipi furono soppresse da Giustiniano nel 531 d.C. La res nec
mancipi, appartenevano tutti glia altri beni meno importanti agricoli e pastorali. Potevano
sussistere cose nec mancipi che avevano più valore rispetto alla res mancipi. Il patrimonio è
favorito da tuti gli oggetti. Res in patrimonio è il patrimonio che può essere acquistato da
tutti. Res extra patrimonium sono tutte le cose che non possono appartenere ai rapporti
privatistici, ma appartengono all’intera comunità. Res humani iuris sono le cose dei diritti
umani. Il pater nasce come tempio pagano. Res commercium il commercio sono le cose
suscettibili di essere commerciate. Res extra commercium sono tutte le cose non
commerciabili. Res sacrae cioè sono le cose consacrate alla divinità. Res religiosae è la
particolare categoria di res divini iuris comprendente tutte le cose destinate al culto dei
defunti come i sacri sepolcri e gli oggetti destinati all’ornamento del cadavere. Res
communes omnium sono il mare, l’aria quelle cose che sono non suscettibili perché non è
possibile soggiogare i beni di qualcuno. Secondo Gaio le res corporales sono tutti quei beni
che possono essere toccati attraverso il tatto come i fondi, gli schiavi, le vesti l’oro, res
incorporales sono tutti quei beni che non possono essere toccati(i beni incorporali sono
quasi infiniti e molteplici e rientrano in tutti quei beni i quali sono visti nella loro nozione
giuridica ad es. il diritto l’eredità, il diritto di usufrutto, servitù prediali e obbligazioni. Res

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incoporales riguardano la nozione giuridica di hereditas nel suo legame. La singola res
appartenente al patrimonio è una res corporales. L’heres è il continuatore della persona
defunta , ma era il continuatore della persona spirituale, ed esprimeva un determinato
compromesso di cui sarà ereditato un nuovo erede. Es. Se la proprietà in se sull’orologio è un
oggetto dove io posso esercitare la mia proprietà. Tutti i diritti che nascono, che si trattengono
all’uomo sono figure giuridiche. Il diritto di proprietà è una res corporalis tangibile, il
mutuo, la locazione , il pegno, l’ipoteca e il comodato. Il comodato è un prestito d’uso. La
locazione è un diritto di obbligazione ed è anche un contratto consensuale. L’usufrutto è un
diritto reale. Gaio quando fa la distinzione fra res corporales e res corporalis, mette la
proprietà corporlares cioè confonde la proprietà. Gaio afferma che alcune res sono
corporee altre incorporee, l’eredità è il diritto di usufrutto e le obbligazioni contratte in
qualsiasi modo, afferma inoltre che è incorporale il diritto di successione. Gaio confonde in se
il diritto di proprietà con l’oggetto della proprietà stessa. L’heres(erede) era colui che
subentrava nell’intero complesso del de cuius o in una quota. Il de cuius è il defunto
(titolare) di un complesso di situazione giuridiche attive e passive trasmissibile a titolo di
successione mortis causa. Res fungibili sono le cose che si possono misurare non nella
loro species, ma nella loro misura. Res infungibili sono tutti gli altri beni che non sono
sostituibili con altra cose, sono fine a se stessi nella loro concreta individualità. La fungibilità e
l’infungibilità sono sempre una nozione relativa che riguarda l’assetto d’interesse fungibili ed
infungibili. Ad. Es. l’esonero di responsabilità di colui che deve adempiere una determinata
merce(merces) vuol dire che lo schiavo stesso consegnato al compratore ( traditio), questo
schiavo perisce per un maremoto si tratta di un bene infungibile, il responsabile sarà il
proprietario di un evento a causa fortuito. Se io invece stavo trattando un bene fungibile, per
principio fondamentale il brocardo o genere non perisce mai o la perdita dello schiavo
comune. I beni consumabili sono quei beni utilizzabili una sola volta, ad es. il denaro. I beni
consumabili sono beni i quali non suscettibili di un uso ripetuto. I beni inconsumabili
definiti anche come deteriorabili sono tutti quei beni deteriorabili tramite l’uso. Le cose
divisibili sono quelle cose suscettibili di frazionamento. Le cose indivisibili sono le cose che
non sono suscettibili di frazionamento ad esempio lo schiavo. Le cose indivisibili facevano
parte del consortium dei fratelli coeredi che i fratelli diventavano comunisti della cosa in
comune. I corpi semplici sono tutti quei corpi formati da una sola eredità. I corpi composti
sono tutti quei corpi composti da più cose. L’universitas Res è l’università delle cose ad
esempio il gregge è composto da più beni(le singole entità). Instrumentum fundi è lo
strumento del fondo ad esercitare l’attività dell’agricoltore.
 I Fructus sono i frutti che derivano dall’attività del contadino. i frutti:
o i Romani consideravano i frutti i frutti naturali delle piante e degli animali.
o Punto di vista del diritto: erano frutti quando venivano separati dalla cosa
madre, perché prima della separazione erano considerati partes e non erano
giuridicamente autonomi.
o Erano considerati frutti le attività lavorative dei servi (operae servorum)
Il Partus Ancillae è il parto dello schiava, è un bene indivisibile. Il principio fondamentale
che esiste in epoca romana “ qui colui che utilizza del proprio diritto non deve utilizzare il
diritto altrui”. Gli atti emulativi sono quegli atti di fondo che io posso compiere con il mio
vicino. Il Brocardo Romano, il soggetto può esercitare queste attività in epoca moderna.
Iura in Re sono i diritti sulla cosa. I diritti reali appartenevano alla sfera del diritto
soggettivo.
Il diritto di proprietà è visto come diritto sacro e inviolabile. L’ordinamento giuridico si vede in
una prospettiva processualistica. La distinzione che contrappone i diritti reali ai diritti di
obbligazione viene espresso al modulo di processo che si dividono in :
 l’actio in rem è l’azione esperibile a tutela di un diritto reale, detta anche (rei
vindicatio), se a difesa della proprietà, se a difesa della servitù, se a tutela
dell’usufructus.
 L’actio in personam è l’azione finalizzata alla tutela dei diritti relativi, ossia dei diritti
ad obbligationes ex contractu.
Iura in Re il diritto non è mai un soggetto fisico che si pone con la cosa. Nei diritti di
obbligazioni esprimono l’obbligo di una persona nei confronti di un’altra persona. Il diritto di

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proprietà è riconosciuta il di diritto di contro proprietà che è diviso a Roma. Il diritto di


usufrutto è il diritto di utilizzare i frutti, e di percepire i beni. Il diritto di usufrutto cesserà
quando non ci sarà più il soggetto che utilizzerà questi beni. Il diritto di proprietà è il diritto
di utilizzare quel bene. Il diritto elastico ammette che vi sia delle comprensioni e viene
esercitato nella sua espansione. Nella locazione entriamo nel campo dei diritti
dell’obbligazione, il proprietario(locatore) decide di dare la RES all’affittuario(locatario). La
possibilità di godimento è favore allo stato potenziale. Il diritto di proprietà si ripristina per
intero. Sullo stesso bene possono sussistere più beni. Ad esempio l’usufrutto o le servitù
prediali. Il diritto che si esercita sulla RES da parte del locatario per coloro che non sono
usufruttuari c’è soltanto un obbligo, è l’obbligo di astenersi alla RES. “Ciascun deve esercitare
il diritto rispetto ai propri limiti”. Essere legittimati vuol dire essere” titolari ambulatori”.
Gli obblighi che esistono su un determinato terreno si trasmettono ai successivi con il
passaggio della proprietà stessa. La servitù riguarda un diritto reale ben preciso quindi i
fondi urbani. Le servitù sono delle situazioni di vantaggio costituite a favore altrui a carico
del fondo altrui.
ESEMPIO:
LE SERVITÚ PREDIALI
Il fondo è confinante con la stradina. Il fondo A si può passare attraversando il fondo B, si può
pensare di passare al fondo C ma la strada è la più lunga. La servitù è il diritto di passare un
fondo su un altro fondo.
 Si crea questo concetto di servitù che si esprimerà al concetto di passaggio della servitù.
La servitù è la proprietà a favore del proprietario A in modo tale di consentire al A di
andarci a lavorare. La servitù è la destinazione del buon padre di famiglia. Ad un certo
punto il proprietario A muore e decide di lasciare il fondo al figlio e quindi si crea la
situazione dei 2 fondi. Se non ci sarebbe stata la servitù non si sarebbero sfruttati questi
fondi, questo consisteva nel passaggio nel 1 A-C si smaterializza. Alcuni storici pensano che
la proprietà è una cosa incorporia cioè costituita dalla res corporales. L’obbligo negativo è il
diritto di esercizio in favore di altri. Il fondo servente è il fondo che serve al servo. La servitù
è l’attività oggettiva servente. Le servitù si trasferiscono con i terreni. Servitutes
prætòriæ( sevitù pretorie) Particolare categoria di servitù irregolari nella quale
rientravano le servitù non protette dal iùs civile [vedi] e tutelate solo dal pretore.
Servitutes irregolari Particolare categoria di servitù prediali nella quale rientravano tutte
le servitù che si distinguevano, sotto qualche profilo, dalle servitù prediali disciplinate
dal iùs civile. Estinzione: le servitù si estinguevano per:
o Confusione: i due fondi appartenevano allo stesso proprietario
o Rinuncia
o Non usus: mancato esercizio continuato per 2 anni.
La traditio e la vendita con l’usus sono utilizzati nel tempo dell’usucapione. L’usucapione si
trasforma in proprietà. L’ambulatorietà è relativa alla RES ai quali potevano sussistere i
diritti reali.
IURA(DIRITTI) IN RE ALIENA DIVERSI(SULLA COSA MA DIVERSI.
Gli agri vectigales:
 Le terre pubbliche che erano date in concessione ai privati erano dette agri vectigales, dal
nome vectigal (imposta, tassa), che era il canone periodico che i concessionari erano
tenuti a pagare come corrispettivo.
 I concessionari furono chiamati “possessores” ed erano tutelati con interdicta.
 Le concessioni erano a termine: 5 anni quelle censorie; 100 anni le altre
 Le concessioni erano revocabili (annullabili) per mancato pagamento del canone.
 Il pretore riconobbe tramite azione reale (in factum) per il recupero del possesso: si parlò
di ius in agro vectigali.
 Era trasmissibile per mortis causa e inter vivos.

 I diritti reali di godimento sono quelli diversi dalla proprietà che un soggetto può
godere del bene stesso(l’uso, l’enfiteusi, l’abitazione, l’usufrutto, superficie, servitù). Modi
di estinzione dell’usufrutto :
 L’usufrutto si estingueva per morte dell’usufruttuario

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 Ma poteva estinguersi anche prima della morte dell’usufruttuario:


o Con l’avveramento della condizione risolutiva
o Scadenza del termine finale contemplato nell’atto costitutivo.
o Per perimento della cosa
o È stata mutata la destinazione economica (mutatio rei)
o Per rinuncia
o Per consolidazione: quando il proprietario acquistava l’usufrutto o quando
l’usufruttuario acquistava la proprietà
o Per il non usus: 1 anno beni mobili, 2 anni beni immobili
Il quasi usufrutto:
☻ un senatoconsulto riconobbe come possibili oggetti di usufrutto tutte le cose che a quel
patrimonio appartenessero e quindi:
 denaro
 altre cose consumabili
delle cose consumabili il legatario avrebbe acquistato la proprietà.
☻ Questo si chiama: quasi usufrutto.
I diritti di garanzia sono il diritto di pegno e d’ipoteca. Il diritto di proprietà è la signoria
esclusiva su una determinata RES. La proprietà quirites cioè dagli abitanti del Lazio. Il
dominium ex iure quiritium esprime l’affermazione di diritti di proprietà dove lo Stato non
può intervenire. Il dominium ex iure Quiritium:
o Era solo per i cittadini romani
o Ad oggetto potevano esserci le res corporalis, che potevano essere sia
mancipi sia nec mancipi, sia mobili sia immobili.
L’usucapione è la possibilità di acquistare il bene attraverso l’usus. L’azione che avrebbe
potuto esercitare il possessore vi è la possibilità di esercitare l’actio Publiciana, è l’azione
a tutela della proprietà nei confronti dei terzi che vantino di quel bene. La proprietà
provinciale è la divisione dell’impero Romano D’Occidente e Oriente. Le provincie
senatorie dove l’imperatore non aveva l’interesse di porre proprietà provinciale, pretoria e
ambulatoria si fondano nell’età Giustinianea. Ripartizione della proprietà che non avviene
nella proprietà provinciale. Stipendium vel tributum era così definito in diritto romano il
tributo pagato dai privati cui era concesso il godimento dei fundi stipendiàrii. L’epoca tarda
è l’epoca di Costantino cioè da Diocleziano in poi. La proprietà pretoria è nata dal pretore
ad esempio l’emancipatio. La traditio simbolica:
- Dare cause è colui che trasferisce la cosa.
- Avere cause è colui che recepisce il tizio.
Il pretore in bonis habere, senza emancipatio, è l’acquisto della proprietà di colui che si
era falsamente dichiarato proprietario. Il pretore in bonis habere consiste nella
concessione di una exceptio rei vindicatio cioè un eccezione della cosa venduta e consegnata.
La proprietà pretoria è una situazione che si crea di un determinato bene a favore di un
altro soggetto (è una posizione transitoria). I modi di acquisto della proprietà sono tutti
quei modi fatti giuridici che determinano la proprietà stessa.
“Per modi di acquisto della proprietà si intendono quei fatti cui l’ordinamento
attribuisce l’effetto di determinare l’acquisto del dominio”.
L’occupazione consiste nella presa di possesso di una cosa che sia di nessuno , o perché
non ha mai avuto proprietario (res nullius), con l’intento di farla propria. L’accessio
costituiva l’incorporazione di una cosa economica meno importante (cosa accessoria) in
un’altra di maggiore rilievo economico (cosa principale), con la conseguenza che il
proprietario della cosa principale acquistava la proprietà della cosa accessoria, in virtù della
incorporazione. Superfìcies(Superficie) è il diritto reale di godimento su cosa altrui in virtù
del quale un soggetto diverso, dal proprietario del fondo, poteva costruire e mantenere in
proprietà una costruzione su un suolo altrui. Per superficies i giuristi romani intesero
tutto ciò che per opera dell’uomo veniva a trovarsi sotto il suolo. Gaio attesta
l’esistenza di un antico principio generale, forse derivato dai diritti greci, che recitava
superficies solo cedit (ciò che si trova sulla superficie accede al suolo): per cui il dominio
attraeva a sé tutto ciò che si incorporasse alla cosa. Àctio ad exhibèndum [Azione
esibitoria] è l’azione esperibile, prima ancora di esercitare la rèi vindicàtio , dal proprietario

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che rivendicasse la proprietà di una cosa, ogni qualvolta essa fosse stata nascosta; si trattava
di una actio in personam arbitraria.
L’alluvio(alluvione) è una forma di acquisto a titolo originario derivante dalla accessione di
immobile ad immobile. Con alluvio si intende l'insensibile e progressivo incremento portato
dalle acque ad un fondo; il proprietario del fondo acquista la proprietà di tali incrementi di
terreno (art. 941 c.c.).
L’acquisto derivativo è la derivazione dell’acquisto del precedente titolare. L’acquisto a
titolo originario(occupazione, l’alluvio, l’animus dereliquendi, ferruminatio,
accessio, scriptura, pictura, frutti, tesoro ). si ha anche quando comunque vi era stata
una titolarità.
L’animus derelinquendi ad esempio Ciascun è occupato ad impadronirselo di quel libro.
L’animus derelinquendi è la porzione del litorale marino su cui un privato avesse edificato.
L’avulsione(avulsio) era un accrescimento sensibile (incrementum patens) che consiste
nel distacco da un fondo, per opera di fiumi o torrenti, di una parte considerevole di
terreno che si unisce ad altro fondo: il proprietario del fondo accresciuto ne acquista la
proprietà, ma è tenuto ad indennizzare il proprietario che ha subìto la diminuzione. La
ferruminatio (saldatura) consisteva nella congiunzione autogena, cioè diretta, tra due
soggetti dello stesso metallo, per esempio la statua di bronzo, senza aggiunta di sostanze
diverse.
La scriptura (scrittura) è il modo di acquisto a titolo originario del domìnium ex iùre
Quirìtium , rientrante nell’ambito dell’accessione di cosa mobile a cosa mobile. In
particolare, si riteneva che il proprietario delle cose sulle quali un terzo avesse scritto
(pergamene, papiri) acquistava la proprietà delle sostanze usate per scrivere (inchiostro,
cera), e, con esse, dello scritto. La pictura (pittura) fu invece oggetto di vivaci controversie
giurisprudenziali. La pittura Giustiniano sarebbe ridicolo che ad una vile tavola dovesse
accedere l'opera di un celebrato artista.i frutti: essi possono essere fatti propri solo con la
raccolta degli stessi da chi possieda in buona fede la cosa fruttifera. Il tesoro era definito già
in un testo di Paolo come " una somma di denaro nascosta da gran tempo, della quale non si
ricorda più nessuno, tanto che può considerarsi senza proprietario”. Come lascia intendere
Giustiniano, c'erano state delle questioni per stabilire a chi appartenesse la cosa nascosta,
che fosse stata ritrovata. L'imperatore Adriano l'aveva comunque attribuita per metà allo
scopritore e per metà al proprietario del suolo.
Specificazione
Modo di acquisto a titolo originario della proprietà.
La specificazione si ha quando si crea, mediante il lavoro, una nuova cosa con materia
appartenente ad altri (es.: con legno altrui ci si costruisce una barca). In tal caso il codice
vigente (a differenza del precedente, che invece dava prevalenza alla proprietà) dà valore
all'elemento del lavoro: il fondamento dell'acquisto della proprietà è dato dal lavoro umano.
Pertanto, la proprietà della cosa così ottenuta:
— spetta, di regola, a colui che ha compiuto il lavoro (cd. specificatore), previo pagamento
del valore della materia;
— spetta, invece, al proprietario della materia se il valore di essa è di molto superiore al
valore della mano d'opera (previo pagamento del prezzo di quest'ultima).
La confusio(confusione) è il modo d’acquisto della proprietà a titolo originario [art. 939 c.c.].
La confusione consisteva nella mescolanza di più corpi solidi o liquidi, in modo tale che non
si verificasse né accessione né specificazione , in quanto il tutto non era cosa che poteva
essere distinta dalle parti componenti: ad es., si pensi al caso in cui venivano mescolate due o
più quantità di vino.
Unione e Commistione
È uno dei modi di acquisto della proprietà a titolo originario.
Si verifica quando due o più cose mobili appartenenti a diversi proprietari, vengono ad unirsi
in modo tale da formare una cosa sola e non è possibile separarle senza danno; in particolare,
si ha unione quando le cose unite non perdono la loro individualità, mentre si
ha commistione quando le cose unite non sono più distinguibili (art. 939 c.c.). Per i romani
l’occupazione si poteva realizzare anche rispetto agli neonati.
Il padre esercitava IUS DICERE Ad esempio il neonato che veniva abbandonato.

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I modi di acquisto sono i fatti giuridici che determinano la proprietà. L’acquisto a titolo
derivativo presuppone la derivazione alla proprietà data causa è il trasferente avente causa, è
colui che riceve il finto processo dinanzi al tribunale IURE IN CESSIO perché abbiamo 2
soggetti perché quello nuovo esercita la formula rivendicatoria cioè vengono pronunciate da
colui che non ha alcun titolo della RES, affermo che questa cosa è mia secondo il diritto dei
quiriti. Il sacramentum è una sorta di scommessa.
Il finto processo è un accordo tra i soggetti nel senso che l’avente causa deve ritornare il
nuovo titolare della RES. L’emancipatio è la presenza della res.
I modi di acquisto a titolo derivativo
La mancipatio era un atto solenne, cioè un atto la cui validità dipendeva dall’esatto
adempimento delle forme imposte dall’ordinamento giuridico. La Mancipatio era un negozio
per l’alienazione del dominium ex iure Quiritium sulle res mancipi (ma poteva essere
utilizzata anche per trasferire la proprietà sulle res nec mancipi), che si svolgeva alla
presenza di cinque testimoni che fossero cittadini romani e puberi; vi doveva essere anche un
sesto personaggio, il libripens, che teneva la bilancia (libra) per pesare il bronzo non
coniato, l’alienante (mancipio dans) e l’acquirente (mancipio accipiens).
Caratteristiche della “mancipatio”
In epoca classica la Mancipatio era un negozio astratto che si utilizzava per varie finalità:
per trasferire una res a titolo oneroso, e allora l’acquirente trasferiva il denaro all’alienante;
per un’attribuzione a titolo gratuito, nel quale caso l’acquirente versava una monetina
(vendita nummo uno, in caso di donazione). Secondo Gaio la mancipatio è una vendita
immaginaria : ed anche questo è un diritto proprio dei cittadini romani ; la cosa si svolge così :
Predisposti non meno di cinque testimoni cittadini romani puberi e inoltre un altro della stessa
condizione (cioè libero) che tiene la bilancia, e viene chiamato libripens, quello che riceve
con mancipatio tenendo la cosa dice così : « affermo che questo schiavo è mio secondo il
diritto dei Quiriti e che è comprato da me con questo bronzo e questa bilancia di bronzo »;
quindi batte la bilancia con il bronzo e dà l’aes a quello dal quale riceve con mancipatio, in
luogo del prezzo. 120. In questo modo vengono mancipati sia gli schiavi che i liberi.
Obblighi derivanti dalla “mancipatio”
Dalla Mancipatio derivava l’obligatio auctoritatis (cioè obbligazione di garanzia), a carico
dell’alienante, cioè se si presentava un terzo asserendo di essere il proprietario della cosa e
ne faceva la reivindicatio prima che questa fosse stata usucapita dal mancipio accipiens,
questo poteva chiedere l’intervento dell’alienante perché intervenisse in giudizio, per
dimostrare di essere stato il vero proprietario della res (= auctoritatem praestare).Se
l’alienante rifiutava di presentarsi o l’acquirente risultava soccombente, subendo così
l’evizione del bene acquistato, poteva esercitare contro l’alienante l’actio auctoritatis,
in duplum, per ottenere il doppio del valore della cosa o del prezzo pagato
In iure cessio
in iure cessio (cessione, cioè l’atto di ritirarsi davanti al magistrato, in giudizio), valeva per il
trasferimento del dominium sia su res mancipi sia su res nec mancipi; era un’utilizzazione
della rei vindicatio:
di fronte all’acquirente che compiva la rivendica della res, l’alienante invece di fare la sua
contro rivendica taceva, si tirava indietro, quindi il magistrato poteva solo dichiarare accertata
l’appartenenza della res all’acquirente e farne l’addictio (assegnazione).Sia
la mancipatio che la in iure cessio erano negozi astratti, cioè producevano effetti
indipendentemente da una ragione economica.
Erano tutti e due senza corrispettivo, infatti a parte i casi di donazione, si compivano negozi
separati per il pagamento di un prezzo ( es. con la traditio). Le Familiae Emptor era il
soggetto che acquistava in blocco il patrimonio cioè il mancipium dans accipiens. La
traditio è un atto neutro (negozio astratto) per diventare un negozio astratto deve essere
accompagnato da una giusta causa.
La traditio a differenza della mancipatio e della iure in cessio, era figura iuris gentium
legata allo ius naturae. La causa legittima si ha quando il soggetto riceve senza il titolo in
richiesta del trasferimento del bene in cui non esistesse la causa. Il negozio per errore
negoziale, quando il negozio è nullo. La condictio serve per la restituzione della RES.
Esistono altri tipi di traditio.

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Traditio in bonis habere:


La traditio (ex iusta causa): era la consegna della cosa da un soggetto ad un altro;
determinava il trasferimento del dominium civilistico solo se sussistevano dei requisiti della
cosa trasferita:
1. Che fosse una res nec mancipi
2. che fosse nel dominium dell’alienante
3. che il tradente volesse trasferirla nel dominium dell’accipiente e che questi volesse
accettarla
4. che esistesse una circostanza che giustificava, secondo l’ordinamento, tale
trasferimento(=iusta causa traditionis).
In bonis habere
Poteva avvenire che una res mancipi (per esempio, uno schiavo) fosse trasferita con traditio
invece che con la mancipatio o la iure in cessio . Il pretore ritenne equo tutelare chi avesse
correttamente acquistato lo schiavo (l’in bonis habens) ma non ne fosse diventato
proprietario in quanto non era decorso il tempo sufficiente per usucapirlo (due anni), e si fosse
trovato di fronte alla reivindicatio del dominus ex iure Quiritium. La rappresentazione
del dominium ex iure Quiritium come potere assoluto e limitato:
 Il dominium ex iure Quiritium poteva avere come oggetto sia un bene
mobile sia un bene immobile.
 Per quanto riguarda i contenuti, il dominium era rappresentato come un
potere assoluto e illimitato: da qui l’idea della proprietà [ius utendi et
abutendi re sua – diritto di usare ed abusare della propria cosa ].
 La proprietà civile immobiliare era esente dai tributi (solo con
Diocleziano nel 292).
2  Il dominio quiritario sugli immobili si estendeva illimitatamente sia in
altezza sia in profondità: “Sino alle stelle e sino agli inferi” . I modi di
acquisto:
 dominium ex iure Quiritium si acquistava in relazione al tipo di
cittadino:
 romano
 oppure peregrino(non cittadino romano)
 furono qualificati come:
 ius civile
 ius gentium
 i modi di acquisto possono essere:
 a titolo originario: prescindono da ogni relazione tra chi
acquista e il precedente proprietario, perché possono avere ad
oggetto una cosa di nessuno o una cosa altrui. (occupazione,
accensione, specificazione).
 a titolo derivativo: il modo di acquisto dipende dalla trasmissione
che ne fa il titolare, cioè c’è una concessione tra chi trasmette e chi acquista.
La comproprietà
1 Il consortium “ercto non cito”: Come una comproprietà: si traduceva con “dominio non
diviso”; si costituiva:
 Automaticamente: morte del pater familias tra le heredes sui
 Tra estranei: mediante il ricorso a una legis actio.
 Questo “consorzio” era caratterizzato da:
 Ciascun consorte avrebbe potuto senza il concorso di altri
consorti a gestire / fruire /alienare e disporne per l’intero ma con
effetti verso tutti gli appartenenti al consortium.
 Era in sostanza una “proprietà plurima integrale”: ogni
partecipante alla comunione era considerato proprietario
dell’intero.
2 La communio di proprietà:
 Altro tipo di comproprietà: era la comunione dei beni che poteva
essere:

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 Volontaria: costituita per volontà degli stessi comproprietari


 Incidentale: prescinde dalla volontà dei partecipanti alla
communio (communio incidens)
 Diverge dalla consortium perché:
 Ciascun partecipante (socius) era titolare di una quota del
bene; era una frazione del diritto di proprietà (pars pro
indiviso) e non dell’intero bene.
 Ogni socius poteva alienare/usufrutto/pegno senza il
consenso degli altri comproprietari solo la propria quota e
nulla di più.
 Ogni socius partecipava alle spese nella misura della
propria quota e di conseguenza anche i frutti e i danni
provocati a terzi erano rapportati.
 Ius prohibendi: diritto di proibire; in caso di innovazione della
cosa comune spettava a ciascun dei contitolari il diritto di veto (ius
prohibendi)
 Ius adcrescendi: diritto di accrescimento; tale diritto comportava
che se un socius avesse rinunziato alla sua quota, questa si
sarebbe accresciuta agli altri soci: a ciascuno in proporzione del
suo diritto sulla cosa comune.
 Manumissio del servo comune: liberazione dello schiavo. Non
rende libero il servo ma dà luogo all’accrescimento in favore di
altri comproprietari: lo schiavo avrebbe acquistato la libertà solo
se tutti i comproprietari avessero compiuto l’atto di affrancazione
(liberazione)
 L’actio communi dividundo: era il rimedio per la divisione dei
beni comuni.
La traditio longa manu consisteva nella consegna non della cosa che si intendeva
trasferire, ma di un simbolo di essa, cioè di un soggetto diverso che però la rappresentava. La
traditio brevi manu è un modo di acquisto derivativo del possesso in cui la trasmissione del
possesso stesso avviene senza la consegna della cosa: ciò accade quando colui che acquista il
possesso di una cosa ne abbia già la detenzione (per esempio, una persona acquista un
immobile che già detiene per effetto di un contratto di locazione). La proprietà provinciale
è l’indicazione della manus per individuare le norme. Il constitutum possessorium è la
traditio in manum nel quale il proprietario del bene cede la proprietà sulla RES e continua
lui ad avere la RES a titolo diverso della proprietà.
Il constitutum possessorium che viene costituito il possesso, è uno stato di fatto che
corrisponde al diritto di proprietà. La traditio symbolica nel senso quando un bene veniva
trasferito da un oggetto a un altro e si trasferiva simbolicamente una singola parte. I modi di
acquisto a titolo originario:
L’animus derelinquendi è l’animus di abbandonare il bene.
L’adiudicatio(giudicazione) è una res in proprietà di più persone romano il consortium dei
fratelli coeredi erano gli oggetti divisibili ed oggetti indivisibili.
La litis Aestimatio nasce dalla necessaria dalla peculiarità della condanna.
La litis Aestimatio è la stima della lite nel senso per un principio consolidato nel processo
formulare, era la condanna che non avviene al magistrato per la restituzione dei 2 soggetti.
Nel processo formulare la condanna è pecuniaria. La litis Aestimatio è un modo di acquisto
a titolo originario, il soccombente si tiene la RES su di sé e ne diventa proprietario a titolo
originario sul bene.
L’occupazione è la proprietà nuova sulla RES. L’occupazione si ha nelle cose di nessuno,
cose che in una visione moderna non sarebbero di nessuno.
I giuristi interpretano nelle fonti questo atto, nell’abbandonare una RES in una traditio
incertam
Personam, in una persona che non conosce.
Questa forma trova un riflesso anche di esporre i propri figli, “tollere” è il libero vuol dire
togliere il figlio suo. Ius exponendi è il diritto di abbandonare il neonato nel suo destino.

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L’inventio Thesauri è la scoperta di un tesoro e avveniva in epoca romana proprio per la


frequenza della guerra e i cittadini nascondevano il tesoro sottoterra.
La proprietà del tesoro o gli eredi che hanno nascosto questo bene, e l’altra parte del
ritrovatore.
Gli incrementi fluviali sono quelli incrementi che si realizzano in profondità degli elementi.
L’isola nata in fiume, queste isole potevano rimanere suscettibili per anni e per scopi agricoli.
Nella proprietà di fondi, l’isola viene divisa in parti. L’alluvione è l’incremento impredicibile di
una parte di terreno proprio perché il fiume porta nuove detriti e il fondo del fiume cresce.
L’alluvione è il distacco terreste che viene trasportato a valle e viene al fiume. L’aevus
derectus, il fiume abbandona il vecchio corso e scorre in corso nuovo. I fenomeni di
accessione cioè di produzione di RES che accendono ad altre RES. L’acquisto dei frutti
come l’enfiteutica è l’usucapione simili all’accessione.
La specificazione è l’acquisto a titolo originario che vi sia la rinascita di una RES nuova.
L’usucapione consiste nell’acquisto compenso nel diritto di proprietà su un determinato
bene.
L’usucapione presenta caratteristiche né del titolo originario né a titolo derivativo.
L’usucapione prende in uso cioè in bonis habere è l’in bonis habere ed è dettato dalle XII
tavole per i beni mobili 1 anno per i beni immobili 2 anni. Esiste un modo di acquisto cioè
l’usucapione è quel acquisto della proprietà che viene mediante l’uso del bene.
L’acquisto della proprietà della RES in manus della donna avviene attraverso l’usus.
Il Brocardo è una formula breve che racchiude titulus, fides, possessus, tempus, non tutti i
beni sono suscettibili attraverso l’uso. I beni pubblici fanno parte del patrimonio indisponibili
dello Stato.
Il titulus “ se io sono in malafede so benissimo che quel immobile legittimo non posso
sostenere di avere decorso quel bene. Il titulus è la situazione idonea all’acquisto di un titolo
astratto di quel bene.
Il pretore concede in caso di traditio un regime giuridico di quel bene e potrò difendermi
mediante di exceptio. Il fides è la buonafede iniziale di acquistare il bene. La malafides
interviene in un momento successivo. La possessio è l’usus del bene ovvero il possesso
prolungato nel tempo.
Il pretore dice se qualcuno è stato consegnato in giusta causa vuol dire che c’è un titolo
idoneo alla giusta causa, quindi è l’acquisto che ha venduto in buona fede.
Se il bene venga richiesto dal vero proprietario, sarà il dominus a richiedere il bene del vero
proprietario.
Il pretore dice concederò il giudizio contro il soggetto che ha acquistato il bene che non è
stato usucapito.
Il commento di Ulpiano dice che il pretore non è stato ancora usucapito perché se è contrario,
se il bene è stato usucapito diventerà proprietario attraverso l’usucapione. “USURECEPTIO”
è un usucapione di più beni e si compie in un anno e si basa sulla fiducia. USUCAPIONE è il
modo di acquisto attraverso l’usus della proprietà. USURECEPTIO è una forma semplice di
usucapione, il quale consentiva di riacquistare in tempi brevi un bene che già era stato
proprio, ma che poi era stato trasferito ad altri per finalità del tutto particolari. La fiducia è un
istituto che riguardava il rapporto di reciproca fiducia. La fiducia concreditore è l’addicente
del pegno. La proprietà di questo bene possa soltanto per la garanzia di quel bene.
La fiducia( ex fiducia cum amico e cum creditore) era un usucapione di “favore”,
riconosciuta al soggetto che avesse effettuato una mancipatio fiduciaria di un bene o nei
confronti di un creditore, a titolo di garanzia per un debito da pagare, o a un amico, affinché
custodisse il bene. Il pactum fiduciae era un accordo d’onore con il quale, il fiduciario
(creditore o amico) si impegnava a trasferire il bene, una volta verificato il l’evento per il
quale la mancipazione fiduciaria era stata effettuata. L’usureceptio aveva luogo anche nelle
diverse ipotesi che la cosa mancipata fiduciae causa rimanesse materialmente nella
disponibilità del fiduciante,(sebbene il diritto di proprietà fosse stato trasferito con la
mancipatio fiduciaria). La lex Atinia del II sec. a.C. e la lex Plautia del I sec. a.C. ( la cui
disposizione fu ripetuta nella legge Giulia de vi augustea) rientreranno previgenti divieti di
acquisire mediante usus, rispettivamente, le cose furtive ( tra cui in antico si annoveravano
anche gli immobili usurpati e le cose possedute con violenza. La lex Scribonia del I sec. che

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sancì l’inusucapibilità delle servitù. L’usus era il modo di sanare ogni alienazione invalida.
L’usucapio pro herede si compiva invece in favore di chi si appropriava dei beni ereditari
nell’ipotesi in cui un erede non vi fosse o, pur essendoci non si fosse immesso nel possesso
del patrimonio del de cuius. I giureconsulti romani denominavano l’interruzione usurpatio,
che si verificava quando il possesso andava perduto, il che poteva da svariate cause, per
esempio da una espulsione violenta dell’immobile posseduto(deiectio). I cittadini romani
trasferivano la loro proprietà ad amici perché temevano di essere uccisi e abbiamo l’istituto
cum amico. La fiducia è il trasferimento della proprietà transitoria. L’usureceptio si ha
quando non c’è il trasferimento di questi beni. Il soggetto può appropriarsi di quei beni di cui
non ha più il titolo. Per acquistare la proprietà sui beni avrà bisogno dello scopo fiduciario e ne
diventa proprietario. L’usureceptio è un riacquisto violento di un soggetto che si era
spogliato con l’istituto di fiducia. Ulpiano dice nessuno può trasferire ad altri il diritto maggiore
o la (titolarità) altrimenti no. La praescriptio è la situazione del proprietario di non perdere
l’usus. Nella praescriptio abbiamo il soggetto che si colloca di solito tra i 30-40 anni, è di
origine greca e si afferma come istituto in epoca tarda e porta alla perdita del diritto di
proprietà di un altro soggetto che è in possesso. Il decorso del tempo serve a vedere se il
soggetto interessa o no. La difesa della proprietà significa che uno dei cardini mezzi necessari
è la proprietà. La rei vendicatio in cui era antica la legge actio sacramentum. La rei
vendicatio serve a difesa per la proprietà dopo essere stata sottratta ad altri. I mezzi
giudiziari servono alle turbative di fatto. La denuntia di nuova opera serve a recare il danno
che il proprietario presti una promessa. La denuntia di tenuta serve a procurare un danno ad
es. il crollo dell’abitazione. L’interdictum è la richiesta al pretore che emanasse ad altri
soggetti un’azione in maniera violenta. L’Àctio aquæ pluviæ arcèndæ [Azione per
trattenere l’acqua piovana] è l’azione che serve per impedire il corso artificiale delle acque
tendente a far si che l’azione avvenga naturalmente. L’actio rei vendicatio è l’azione
tendente a negare un diritto di passaggio a favore di un altro. L’usucapione si può avere
anche a diritti reali diversi della proprietà (iura alieni). Il proprietario del fondo che acquista il
fondo fa l’actio negatoria che sarà risolta dal giudice negando quel fondo. Un’altra zione è
l’azione data dalla divisione di fondi mediante l’azione dei confini. I diritti reali diversi dalla
proprietà sono: l’usufrutto e le servitù prediali. Ulpiano parla dei diritti reali da intendere. Il
proprietario può utilizzare i frutti perciò questo potere sta nella proprietà. Ulpiano afferma che
soltanto il soggetto a se stesso può influire i frutti, mentre il padrone non può percepire i suoi
frutti perché sono di colui che ha la proprietà, non ha un diritto di percepire il diritto separato;
egli stesso può usufruire del proprio bene. (Il soggetto usucapionario può utilizzare i suoi
bene? No, soltanto i diritti reali diversi dalla proprietà.). Ulpiano parla dell’actio negatoria
servitus è l’azione del proprietario di negare l’azione di passaggio. Marciano riporta tutte le
categorie dei diritti reali diverse dalla proprietà alle servitù. Secondo Marciano l’usufrutto è
una proprietà personale. Marciano guarda l’usufrutto come servitù personale. (usufrutto e
uso) sono i diritti che nella res sono attribuiti a persone ordinate. Ulpiano parla delle servitù
rustiche che attengono i territori agricoli in virtù dei territori urbani. nell’elenco delle antiche
res mancipi le più antiche servitù prediali, furono quelle di passaggio ritroviamo appunto
:l’iter (sentiero da percorrere a piedi o a cavallo), la via (ampia strada percorribile da carri),
l’actus (tratturo per la conduzione di bestiame o carri), l’aquaeductus(canali idonei allo
scorrimento di acque di afflusso o di deflusso), essi davano luogo a diritti di usufruire del
fondo altrui. L’iter permetteva al proprietario del fondo dominante(praedium) di percorrere
a piedi o a cavallo il vicino fondo servente, la via consentiva al proprietario di un fondo di
trasportare materiali, l’actus conferiva il diritto di fare attraversare al proprio bestiame l’altrui
fondo servente, l’aquaeductus consisteva nel diritto di far scorrere l’acqua attraverso un
immobile altrui. Possiamo ipotizzare che questi elementi non fossero ancora servitù prediali
ma parcelle di proprietà sul praedium del vicino, erano beni di proprietà del titolare del fondo
dominante. La servitù è un peso che consiste a un fondo servente che è titolare della servitù.
Le res mancipi sono le servitù rustiche, mentre le res nec mancipi sono le servitù urbane.
La servitù non può consistere in un’attività di fare, il proprietario è tenuto a patire un’attività
altrui. L’utilità oggettiva è una caratteristica della servitù, perché permette la coltivazione e
l’accesso ad un abitante di un fondo. Il servente riceve una certa somma che serviva alla
servitù. La servitù deve essere costituita favore di un soggetto e a sfavore di un altro

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soggetto, es. il pater dispone di un bene che viene dato a tizio, tizio acquista la proprietà e
quindi la servitù di passaggio deve essere esercitata dal fratello. Se si tratta di una res
mancipi o in iure cessio, sarà il magistrato a creare una servitù di passaggio. L’usufrutto
consiste nell’utilizzo e nella percezione dei frutti dell’usufruttario in rerum substantia. Il
giurista Paolo definì l’istituto come il diritto di usare e fruire della cosa altrui, facendone salva
la sostanza. Jus utendi fruendi et abutendi Facoltà del proprietario di usare la cosa in
modo pieno ed esclusivo (art. 832 c.c.), il che implica anche la possibilità di decidere se e
come usarla, di trasformarla e, al limite, di distruggerla. L’usufruttario non ha lo ius
abutendi ma può solo utilizzare il bene. Il proprietario ha lo ius abutendi e l’usufruttuario
ha l’inammissibilità e l’usufrutto può esistere in cose suscettibili. L’usufrutto è un bene
inconsumabile. La superficie è la divisione del fondo. L’enfiteusi e la superficie sono due
diritti illimitati. L’enfiteusi è la possibilità di godere il fondo e di pagare un canone con
l’intesa che l’enfiteutica possa richiedere il riscatto del fondo. Il diritto di proprietà in età
romana si fonda fino agli inferi e sotto le sotto le stelle. Il diritto di superfice comprime questa
proprietà creando dei vincoli. I diritti reali di garanzie sono : il pegno e l’ipoteca. Gaio
afferma che il pignus (pegno) viene da a pugno cioè è l’atto materiale che prende una
determinata res. Le cose in pegno sono consegnate attraverso la manus. I contratti reali si
perfezionano con la res che vengono consegnati da un soggetto ad un altro. Il soggetto che
consegna è il debitore, che consegna una cosa in ostaggio rispetto al pagamento di un delitto
nei confronti di un altro soggetto. Il soggetto che trasferisce il bene è il debitore, mentre il
creditore ha il possesso del bene. Può essere ritenuto vero ad alcuni il pegno che si costituisce
per nature di cose mobili. L’ipoteca si costituisce di cose immobili. I beni immobili registrati ad
es. come macchine non possono essere trasferiti. Nei beni mobili si accende il pegno in quelli
immobili l’ipoteca. Ad entrambi gli istituti servono per l’inadempimento del debito. Il debitore
ha il potere di appropriarsi del bene, mentre il creditore ha soltanto lo ius distrahendi cioè di
vendere quel determinato ben fino al concorso che il debitore deve dare ( cioè una somma di
denaro). Il patto commissorio e il ius vendendi:
 Patto commissorio: in caso di inadempimento del debitore, il creditore
avrebbe acquistato la proprietà del bene pignorato. Costantino lo vietò.
 Patto ius vendendi: si dava la facoltà al creditore di vendere la cosa,
soddisfarsi col ricavato e restituire al debitore quanto eventualmente
sopravanzato. Era il più praticato e a fine età classica si ritenne tacitamente
stabilito in ogni dazione (consegna) e convenzione di pegno.
Estinzione:Il pegno si estingueva con:
o l’estinzione del debito
o per effetto dell’adempimento
o per perimento della cosa che ne era oggetto
o per confusione
o per vendita
o per inadempimento
o rinuncia del creditore
La fiducia è un contratto antico:
- fiducia cum amico;
- fiducia cum creditore;
erano due contratti reali.
Il pegno traeva fiducia con il debitore e si basava sulla fides, dalla necessità di salvaguardare
l’interesse del creditore e dell’inadempimento del debitore. Il pegno agevolava il commercio
tra debitori e creditori. L’ipoteca si chiama pignus conventum vuol dire il pegno che è stato
pattuito attraverso un accordo accompagnato da un accordo che si fa valere solo dagli
immobili. Si poteva costituire il pegno anche attraverso una legis actio per pignoris
capionem, il creditore poteva soddisfarsi del proprio creditore nei confronti del debitore. Il
possesso è una signoria di fatto, cioè non è un diritto(sono degli iura che sovrastano
determinati beni). La detenzione è il tener la cosa presso di se con la consapevolezza che il
bene è di altri. La compravendita o locazione, il compratore ha il possesso di quel bene ed è il
titolare. Egli è il possessore del bene e ad usucapiònem dà luogo all’acquisto del proprio
bene. L’affittuario o locatario, sono dei detentori del bene, hanno la consapevolezza che il

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bene è di altri, pagano una merces ovvero il canone di un affitto. Il possessio viene definito
la signoria del bene che non corrisponde alla proprietà in uno dei casi è proprio del pegno in
cui il creditore pignoratizio ha il possesso del bene, nel senso che il bene è di proprietà del
debitore fino a quando il debitore non paghi, egli tiene il bene presso di se finché non viene
soddisfatto dal debitore. L’actio sacramentum in rem in cui i due contendenti si sfidano per
vantarsi del proprio bene. Il possesso titolo provvisorio a uno o l’altro dei due contendenti il
possesso interviene soltanto con la sentenza. Il possesso ad interdicta che viene concesso a
tutti i due i possessori, questo possessio viene difesa attraverso degli interdicta, che sono
degli ordini magistratuali in cui gli ordini tendono a definire. Interdictum recuperàndæ
possessiònis [Interdetto per recuperare il possesso] si tratta di recuperare la res al
possessore con il quale il possessore si difende con l’interdetto de vi relativo alla forza. La
possessio ad usucapionem cioè all’intero di questi possessori vi è la categoria vi è il
possesso che viene dato a iustia causa che sia valido, e abbiamo un titulus e la buona
fides. Possessio pro alièno Particolare forma di possessio naturàlis caratterizzata dalla
consapevolezza della possibilità che un altro soggetto potesse vantare diritti sulla res oggetto
del possesso e chiederne prima o poi la restituzione. Possessio pro suo Particolare forma
di possessio naturalis, caratterizzata dal fatto di essere esercitata (a torto od a ragione),
allo scopo di mantenere per sempre la cosa per sé, negando che altri possano vantare diritti
su di essa. La quasi possessio:
 Chi esercitava usufrutto o servitù non furono ritenuti possessori : non possedevano la
cosa perché il possesso restava al nudo proprietario ( in caso di usufrutto) e al proprietario
del fondo servente ( per quanto riguarda la servitù). Tali erano chiamati “quasi possessio”.
Gli interdetti possessori:
 I soggetti ai quali si riconosce la possessio erano tutelati mediante interdicta.
 Gli interdetti possessori potevano essere volti a:
o Conservare il possesso (retinendae possessionis):
o Recupero del possesso (reciperandae possessionis).
 L’interdictum uti possidetis:
o Il più antico
o Riguardava gli immobili e serviva a far cessare turbative e molestie
o Doveva essere attuato entro l’anno da queste
o Prevaleva quello dei due litiganti che possedeva la cosa in modo non
violento (vi), non clandestino (clam), non precario (precario dans) rispetto
all’avversario; costui insomma possedeva l’immobile senza vizi.
o Il precario era un comodato nel quale non era stabilito il termine di
scadenza, e prevedeva che il bene dato in godimento possa essere
richiesto in restituzione in qualsiasi momento dal concedente (chi dà in
affitto un fondo).
 L’interdictum utrubi:
o Si applicava a schiavi, animali, e altre cose mobili
o Prevaleva non tanto il possessore attuale (come nell’interdictum uti
possidetis) ma chi tra i 2 litiganti che aveva posseduto la cosa per maggior
tempo durante l’ultimo anno.
 L’interdictum unde vi:
o Riguardava solo i beni immobili
o Si dava entro l’anno alla persona che avesse subito spoglio violento del
possesso ed era volto al recupero del possesso perduto.
o Era restitutorio.
 L’interdictum de vi armata:
o Era restitutorio e senza limiti di tempo
o Spettava alla vittima di uno spoglio violento contro chi lo spoglio avesse
commesso avvalendosi di una banda armata.
Il titulus è l’esistenza di un titolo idoneo nel caso di un contratto di compravendita.
L’acquisto a non dominium vuol dire colui che non è proprietario. Il corpore possidere
vuol dire possedere per mezzo del corpo. L’animus possidendi si tratta di un gerundio è
l’intenzione di possedere. Il possessio come stato di fatto continua con l’animus

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possidendi a meno in uno stato iniziale. Acquisto,conservazione e perdita del


possesso:
o Acquisto: il possesso di una res si acquistava dal momento in cui una persona, con
l’animus possidenti, aveva la possibilità di disporne (quindi anche il corpus). Si poteva
acquistare tramite traditio.
o Conservazione: finché, la disponibilità di disporne (corpus), perdurava senza smettere
l’animus.
o Perdita: quando veniva meno la possibilità di disporne della cosa (corpus) e l’animus
possidenti, o anche soltanto l’una o l’altra.
Riassunto Capitolo VII Obbligazioni

Le obbligazioni sono una branca di diritti. I diritti assoluti sono i diritti reali di alcuni soggetti
su determinati RES. I diritti reali sono i diritti verso determinati soggetti.
L’obligatio è un vincolo corporale che aveva avuto il debitore nei confronti del creditore. I
nexi Papiria abolita dai nexi. L’ordinamento giuridico predispone determinati mezzi per
questo vincolo. La cognitio extra ordinem si qualifica per la manu militare attraverso la
forza punica. In età più risalente il termine obligatio possedeva un altro significato: come si
desume dall’etimologia di obligatus,(da ob-ligatus), essere legato a causa di), il vincolo era
materiale, nel senso che il debitore non avesse adempiuto era fisicamente sottoposto alla
potestà del creditore, posto in condizione di semi-schiavitù: un profilo che equiparava le
personae alle res obligatae. L’obligatio è il vincolo giuridico imposto al debitore, avente ad
oggetto una prestazione da eseguire in favore del creditore; nell’ipotesi dell’inadempimento si
produrrà una lesione dell’aspettativa creditoria; di cui il soggetto passivo dovrà rispondere. La
definizione di obligatio viene data dalle istituzioni di Giustiniano, (obligatio est iuris
vinculum quo, necessitate, adstringimur alicuius solvendae rei, secundum nostrae
civitatis iura) è una locuzione latina ed un brocardo che si trova in Giustiniano ,Istituzioni:
"L'obbligazione è un vincolo giuridico, in forza del quale si può costringere taluno
all'adempimento di una prestazione, secondo le leggi del nostro Stato ". Il nexum è colui che
viene posto come ostaggio. L’addictus [Schiavo per debiti] è il debitore insolvente caduto in
mano al proprio creditore, a seguito dell’assegnazione del magistrato, in sede di mànus
inièctio ; la figura era tipica del diritto arcaico. Il nexum e rapporto di addictus sono
situazioni che danno restrizioni materiali e vanno a finire sotto la potestà del debitore.
Giustiniano vive nel VI secolo a.C. Il vincolo giuridico (vinculum iuris) si esprime attraverso
la necessità dell’ordinamento giuridico di coalizione o di scegliere la cosa pattuita.
L’obbligazione può costituire anche un obbligazione di non “facere” cioè nella fattispecie.
La patrimonialità della prestazione si può pattuire la prestazione delle parti. La prestazione
illecita è la prestazione contro i buoni costumi. Secondo Giustiniano la patrimonialità della
prestazione sono i diritti della nostra civiltà. Paolo parla delle obbligazioni ad substantiam si
preoccupa di definire l’istituito, a che cosa serve l’obbligazione?
L’oggetto dell’obbligazione(prestazione) può consistere in un dare o in un fare oppure di un
prestare, perché può consistere anche in un non facere(cioè di non fare), il prestatum è il
prestare di una propria opera che può costituire in un non facere. L’obligatio è il vincolo
delle parti, oppure nasce da una sola parte. L’essere obbligati si trasferisce dagli delicta. I
delicta sono quelle fattispecie di crimine. Ci sono fattispecie che non presuppongono i
crimini, ma sono una via di mezzo tra le obbligazioni contrattuali e i crimini questi sono i
delicta. I 4 tipi di delicta: il furto, la rapina, il iura e il danneggiamento creato con la lex
Aquilia. Qual è la differenza tra un delictum e l’obbligazione contrattuale? È la mancanza
di un consenso. Gaio dice che ogni obbligazione nasce o da un contratto oppure da un delitto.
Secondo Gaio le obbligazioni nascono dal contratto o dal delitto che nascesse da un accordo
o di volere costituire un vincolo. Il colpevole veniva punito con la pena. Lo Stato interviene
nella cognitio extra ordinem. Il furto è il rubare. La rapina è la sanzione violenta di una
cosa. L’ingiuria può essere lo schiaffo o un ingiuria verbale. Il danneggiamento è previsto
dalla lex Aquilia. L’actio furti manifesti prevedeva un multiplo, ad esempio se io realizzo un
contratto voglio quel vincolo che ne consegue. La fonte è la causa dell’obbligazione.Extra
contractum-Extra delitto. O dal contratto o dal delitto.
Nei delicta non c’era una persecuzione pubblica ma privata. Il soggetto subiva un danno da

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terzi. L’idea della legge del taglione è basata sulla proporzionalità (occhio per occhio e
dente per dente), riguarda un lesione proporzionata a quella ricevuta. Le parti possono
accordarsi su una somma per titolo di ristoro per recare l’offesa. Le XII tavole prevedono se
succederà il taglione almeno ché le parti non si mettevano d’accordo allora si applicherà la
legge del taglione. La Di partizione di Gaio “ogni obbligazione può derivare dal delitto o da
rapina, contratto (rem, verbis,consegna,litteris). L’obbligazione nasce dal delitto quando
si realizza dalla volontà dell’interessato. L’obbligazione nasce dal contratto quando si
realizza contro la volontà dell’interessato. Le obbligazioni nascenti sono le obbligazioni
contrattuali oppure possono trovare le loro radici nel diritto pretore actiones ovvero
concesso dal pretore che ha ipotizzato nell’editto. Secondo Gaio la sistematica trova il
perfezionamento in un’epoca successiva.
La Tripartizione sia di Gaio ma composta in epoca posta classica. L’obbligazione non è
un’opera di Gaio ma composta in epoca post classica. Secondo Gaio le obbligazioni nascono
o dal contratto o dal maleficio(delitto) oppure da varie figure delle cause di ciascun delitto.
1)Categoria di delitto:
negotiorum gestio è la gestione di affare altrui. Ad esempio io sto passando dal terreno del
mio vicino e vedo che questo terreno si sta esiccando e allora prendo l’acqua e innaffiò le
piante, si di una tratta una locatio conductio sono i contratti che necessitano della
prestazione. La locatio operis è l’obbligazione non contrattuale ma da atto lecito.Gaio nei
libri dice che l’obbligazione nasce dal contratto o dal delitto. Nell’età Giustinianea questa
Tripartizione diventa una Quadripartizione secondo i giustinianei l’obbligatio è la
mancanza del consenso. I quasi delitto sono delle attività pretorie ad esempio l’actio
sponsio. Le obbligazioni non contrattuali, non c’è il contratto ma da atto lecito. Il legato per
dannazione(per damnatiònem) all’erede poteva essere aggravato di un legato di ultima
volontà e che condannava il legatario a darlo in proprietà, vuol dire che l’eredità è gravata dal
legato. Il legato di cui dispone il lascito di un altro testatore. Il pagamento indebito(solutio
indebiti) è "l'esecuzione di una prestazione non dovuta". Nel mutuo il soggetto che riceve i
soldi pensa invece che si tratti di una donazione. Nasce l’obbligo di restituire ciò che non era
dovuto dall’accordo ma nasce invece un obbligo per la mancanza di comprensione di quel atto
chiamata obbligazione da atto lecito. La tutela testamentaria è data dal testamentario. La
tutela dativa vuole che lo zio del pupillo diventa tutore. Il contractus è il participio che viene
da contrarre. Il contractus è un vincolo consensualmente realizzabile. L’idea dell’accordo
nell’età severiana non è quella iniziale, ma è un idea di stringere quel vincolo che obbliga
quella cosa senza accordo. Secondo Gaio il contratto in sé è qualcosa che non si stringeva
consensualmente e poteva stringere le obbligazioni non contrattuali. L’idea di contratto di
Gaio è diversa da quella che si reca successivamente. Datio rei è la consegna della cosa
conclusa per mezzo della cosa. I contratti litteris sono i contratti conclusi per mezzo delle
scritture o letterali. I contratti verbis sono i contratti conclusi per mezzo delle parole
pronunciate. I contratti formali sono quelli verbis o litteris attraverso una forma verbale o
ad substàntiam. I contratti sono unilaterali o bilaterali a seconda della prestazione di
una sola persona (locatio conductio). Imperfettamente bilaterali perché comportano
realizzazione di un affare giuridico(mandato). I contratti reali(obligationes re
contractae) sono quei contratti che si perfezionano con il passaggio del bene. Il mutuo ha
oggetto fungibile e si trasferisce il bene. Nella fiducia si trasferiva la proprietà. La fiducia
cum amico abbiamo l’azione fiduciaria da terzi. Il deposito in cui i soggetti depositano è
obbligato a tenere l’oggetto presso di sé. Il comodante è chi da, il comodatario è chi riceve,
il comodato è un prestito d’uso. La caratteristica più importante del mutuo è la gratuità, non
sono ammessi gli interessi e si pattuiscono in aggiunta al mutuo con la Stipulatio
usurarum aggiunta. Il mutuo non produce interesse, se il mutuatario restituisca la
actiones adiecticiae qualitatis. Il Fènus nàuticum è il prestito marittimo, in questo
contratto si trovano le radici di assicurazione. Nel Fènus nàuticum succede che l’impresa
finanziava il trasporto marittimo. Il mutuante corrisponde al mutuatario colui che esercita
l’azione è colui che riceve i soldi cioè il Fènus nàuticum. Caso mai la nave perisce per colpa
dei pirati o delle tempeste, quindi se la nave non arriva a destinazione. L’ Exèrcitor nàvis
era colui che esercitava un’attività di trasporto. L’ Exèrcitor nàvis trattiene presso di sé la
somma ricevuta. In caso di destinazione della nave l’ Exèrcitor nàvis deve restituire la

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somma di denaro. Il deposito è costituito dalla datio della cosa e della detenzione, è un
contratto unilaterale di restituire il bene al depositario, depositante. Il contratto sorge nel
momento in cui il deponente da la cosa al depositario. Il deposito irregolare è il deposito che
ha i beni fungibili perché è il depositario che può costituire questi beni e restituirli. Differenza
tra deposito e muto? È l’utilità dei contraenti. Nel deposito l’utilitas è dalla parte del
deponente. Nel mutuo l’utilitas è dalla parte del mutuatario. I contratti innominati sono i
contratti atipici che non hanno un nome. I contratti innominati sono legati tra loro e
dall’origine sinallagma che può essere genetica perché una prestazione è legata da una
all’altra funzionale che via una controprestazione. In realtà si guarda alla prestazione iniziale.
L’obbligo della controprestazione nasce dall’aver eseguito. Per i romani il contratto c’è,
quando c’è l’accordo, soprattutto i romani danno importanza al vincolo obbligatorio quindi nel
passaggio della cosa. I contratti innominati consistono nel passaggio della prestazione iniziale.
La domanda tende a far si che il servizio venga pattuito. I contratti formali verbis sono
quelli caratterizzati dalla pronuncia di parole, mentre i contratti letteris sono quelli
caratterizzati dallo scritto litteris. La promissio o dote liberti è un giuramento che viene
richiesto lo schiavo liberato, prima si fa giurare lo schiavo al fas ( religione) una volta che egli
ha promesso dovrà pronunciare la promissio rispetto all’ex dominus. La praediatura
(praedes), il praes detto da colui che voleva ottenere questo obbligo praes sum rispetto alla
domanda. L’atto deve comprendere domanda e risposta pronunziata. Praedes sacramenti
tra due soggetti per la controversia. La sponsio nasce come assunzione di un obbligo di
garanzia. La promessa copre la causa del perché, del quale è stato assunto questo obbligo
(negozio astratto). Il documento a Roma ha una funzione probatoria (ad probationem), ma
ha un valore sostanziale ab substantia. La costituzione antoniana del 212 il diritto romano
diventa diritto greco. Iudicium è un contratto formale scelto dal pretore, nel suo editto, viene
proposta all’attore al convenuto con l’autorizzazione magistratuale. L’attore può commettere
la replica al convenuto questa è la dialettica procedurale. Iudicium estingue tutte le
obbligazioni precedenti, ormai gli obblighi sono sul iudicium.
Il receptum è un istituto del Diritto romano che indicava un patto protetto da un editto
pretorio.
Il receptum prevedeva 3 sottocategorie:
 receptum argentarii, con cui un banchiere si prestava ad assumere a suo carico il
debito di un cliente verso terzi
 receptum nautarum, cauponum, stabulariorumque, col il quale il comandante di
una nave (nauta), un albergatore (caupo) o uno stalliere (stabularius) si assumeva
l'onere di ripagare eventuali danni della mercanzia.
 receptum arbitrii, patto con il quale un arbitro prometteva di emettere una sentenza
per dirimere una disputa tra due litiganti interessati a chiudere brevemente la contesa.
La compravendita a Roma ha efficacia obbligatoria significa che il venditore si obbliga di
consegnare la merce al compratore.
La compravendita (emptio venditio) era il contratto consensuale con cui un contraente, il
venditore (venditor), si obbligava nei confronti della controparte, il compratore (emptor), a
consegnargli una cosa mobile o immobile( se mobile detta merx, merce), mentre il
compratore si obbligava a sua volta nei confronti del venditore a dargli una somma di denaro,
il prezzo (pretium). Secondo i Proculiani il pretium poteva essere costituito dalla pecunia.
Ogni merce viene valutato corrispondente al bisogno come denaro.
Ogni merce può tradursi nel valore di qualunque altra merce. Secondo i Sabiniani se c’è la
corrispondenza tra compratore e venditore il pretium può essere costituito dalla permuta per
la compravendita.
L’efficacia obbligatoria per quanto riguarda la compravendita. Il contratto di compravendita
affonda nello ius gentium, come una sorta di contrattazione dei mercati internazionali. Nella
compravendita si trasferiva il possesso. Una caratteristica del contratto di compravendita è
riassunta dal Brocardo, è il rischio del compratore non della consegna, della res dal momento
che forma il consenso, il rischio del perimento del bene si trasferisce al compratore. Il
perimento della merce passa al compratore.
Elementi naturali sono derogabili dalla volontà delle parti. I due obblighi che gravano sul
venditore del passaggio del possesso:

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-Garanzia per evizione: il venditore garantisce la piena proprietà del bene. Il compratore
risponde per una terza azione.
- Garanzia per vizi occulti nel senso che tutti i vizi vanno dichiarati al momento.
L’azione Redibitoria Azione affine a quella æstimatòria o quanti minòris , concessa dagli
edili curuli in ordine alle vendite di schiavi ed animali in pubblici mercati.
L’azione Aestimatoria è l’azione tendente non alla restituzione ma alla riduzione del prezzo.
Fanno parte della compravendita anche le clausole.
Locatio conductio è un contratto consensuale-bilaterale, il locator è colui che mette a
disposizione della res, il conductor è colui che mette in godimento la res.
Non abbiamo un solo tipo di locazione .
Locatio rei era quel particolare tipo di locatio-conductio , nel quale il locatore si
impegnava ad assicurare al conduttore il godimento di una cosa mobile o immobile, per un
certo periodo di tempo, dietro il pagamento di un corrispettivo (mèrces).
Locatio operarum è la locazione della forza lavoro e non è molto diffuso a Roma e
comprende la manodopera schiavile. La locatio operum è definita in termini moderni come
lavoro subordinato.
Locatio operis è un istituto del diritto romano caratterizzato dal lavoro, da parte di un
soggetto (cd. artifex), di trasformazione su materie prime in beni di utilità per il locatore,
contro pagamento di un corrispettivo.
La Romanistica in genere pensa colui che loca può locare o la propria res o se deve essere
goduta da altri oppure il caso di una locatio operis è l’artifex che lavora e si inverte il lavoro
che deve ricevere la merce del locatore.
Nella Romanistica Tradizionale, il locatore è fornitore dell’opera.
Nelle fonti, il verbo locare è riferito al proprietario della res ha il diritto della merce e che deve
dare al conduttore. Il soggetto che dà la cosa deve ricevere la merce in caso di locatio operis.
La societas è il contratto con cui due o più persone per svolgere in patrimonio l’esercizio di
un’attività economica. La societas òmnium bonòrum che riguarda tutti i beni posseduti dai
soci.
Socìetas unìus rèi o negotiatiònis [Società per un solo affare]
è il particolare tipo di società contratta per il compimento di uno o più operazioni di un certo
tipo di attività economica.
Il mandatum(mandato) è un contratto consensuale per mezzo del quale un soggetto
(mandatario) assume per nome e per conto altrui(mandante).
Ma questo soggetto svolge per conto altrui o per nome altrui?
(Per conto altrui), A Roma non c’è la rappresentanza diretta. A Roma non c’è la possibilità
dello svolgimento della proprietà.
Le obbligazioni non contrattuali da atto lecito sono le obbligazioni che non derivano da
contratto.
Negotiòrum gèstio, un soggetto si inserisce nella gestione di un affare altrui.
Ànimus alièna negòtia gerèndi [Volontà di gestire negozi giuridici altrui] è la gestione
dell’affare altrui.
La Pollicitatio erano delle promesse e venivano fatte dalla sfera sacrale.
La Pollicitatio(Promessa unilaterale) è una obbligazione non contrattuale da atto lecito e
rientra tra le (obbligazioni nascenti da quasi-contratto).
La tutela è una fonte di obblighi non contrattuali.
Indebiti solutio è un caso particolare di fonte obblighi, abbiamo i soggetti in cui uno pensa
di essere debitore l’altro creditore. Il creditore che riceva i soldi se sapesse che non deve
prendere i soldi altrimenti sarebbe un ladro. Il pagamento dell’indebito, il presunto debitore
deve restituire i soldi.
In seguito fu invece introdotta, anche per il furto flagrante, un azione che portava solo alla
condanna ad una pena pecuniaria nel quadruplo del valore della cosa rubata. Per gli altri tipi
di furto, del resto, la pena era sempre stata pecuniaria, e precisamente ne ldoppio per
il furto non flagrante, nel triplo per il conceptum o l’oblatum e nel quadruplo per
il prohibitum.
L'azione nascente dal furto (actio furti) spettava a chi, proprietario o meno della cosa,
avesse interesse a che la cosa stessa non venisse rubata.

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Le obbligazioni da delitto:
-La Rapina è la sottrazione che avviene con violenza.
Rapina e Furto danno luogo all’actio bonorum.
-Il Furto consisteva nella sottrazione non violenta e contro la volontà del suo detentore di
una cosa mobile, oppure di un animale o di uno schiavo.
Le actiones utiles sono le azioni che fuoriuscivano e che avevano gli stessi elementi dalla
Lex Aquilia.
-L’iniuria(ingiuria) è un’offesa verbale o una lesione fisica che dava luogo alla sanzione a
pena fissa di assi.
-Il (danneggiamento) La lex Aquilia, aveva introdotto una nuova figura di
delictum, costituita dal danneggiamento o damnum iniuria datum.
Questa legge aveva tre capitoli, di cui, tuttavia, il secondo restò presto senza applicazione.
Quanto agli altri due capitoli, il primo sanzionava l'uccisione di uno schiavo o di un capo di
bestiame altrui . Quanto alla pena, la legge la commisurava almassimo valore avuto dallo
schiavo o dal quadrupede nell'ultimo anno.Il terzo capitolo della lex Aquilia sanzionava,
invece, ogni altro danno, ovverosia il ferimento di uno schiavo o di un quadrupede
nonché l'uccisione o il ferimento di qualsiasi altro animale, come pure la distruzione o il
deterioramento di una cosa inanimata.
L’obbligazione quasi delitto si tratta di quattro ipotesi, in cui l'azione era stata data dal
pretore e che quindi, secondo alcuni, si contrapporrebbero ai veri delitti visti fin qui,
considerati come delitti dello ius civile.
I criteri di responsabilità:
Il Dolo (vizio di volontà) rilevante quale vizio della volontà nella conclusione di un negozio
giuridico (in conficièndo negotio) si connotava quale dòlus malus e consisteva nel
comportamento inescusabilmente malizioso, fatto di raggiri e artifizi, di un soggetto
( decèptor) nei riguardi di un altro soggetto (decèptus) con cui fosse in trattative o in
rapporti giuridici, allo scopo e con gli effetti di indurlo ad un’azione pregiudizievole dei propri
interessi. Diverso dal dolus malus era il dolus bonus, che consisteva in una tollerabile
abilità (fatta eventualmente di piccoli, innocui espedienti) nel curare i propri interessi e non
costituiva vizio della volontà.
L’esperienza del dolo (nella forma di dolus malus) quale vizio della volontà negoziale è frutto
della giurisprudenza preclassica e classica, che distinse tra:
— dolo determinante (càusam dans), che comportava la nullità del negozio, in quanto
determinava nel contraente una falsa rappresentazione della realtà, che, fuorviandolo, lo
induceva alla conclusione di un contratto.
— dolo incidente (ìncidens), che induceva la controparte alla stipulazione di un contratto a
condizioni diverse da quelle volute.
In diritto romano arcaico, il termine colpa indicava un fatto in sé stesso illecito.
La colpa può essere anche lievissima. Un debitore è responsabile nei confronti del creditore,
significa che deve adempiere ad esempio la statua è andata perduta. Le cause sono di
esonero per caso fortuito. La responsabilità del depositario è legata al dolo, non è
responsabile, se la responsabilità è avvenuta per colpa. Nel comodato abbiamo l’utilitas che
si ampia e comprende anche la colpa.
La diligenza è il criterio del buon padre di famiglia.
La colpa grave viene equiparata al Dolo. La responsabilità extracontrattuale si situa anche a
tutto ciò che non è contratto. Dolo eventuale ad esempio se uno spara in mezzo alla folla
abbiamo il transito penale.
L’estinzione dell’obbligazione è il modo in cui un obbligazione si estingue. Per i romani
l’estinzione dell’obbligazione dipende dal modo in cui si contrae l’obbligazione.
La stipulatio è un contratto formale che dipende dallo scambio di domanda e risposta.
I casi di scioglimento dell’obbligazione:
La compensazione si ha quando due soggetti sono debitori e creditori tra di loro.
La compensazione è l’equiparazione di quanto deve uno e l’altro.
CAPITOLO 8 : SUCCESSIONI

Il fenomeno della successione:

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L’eredità è la successione nella situazione giuridica complessiva del defunto. Il termine


successio indica il subentrare di un determinato soggetto nella situazione giuridica
complessiva di un altro soggetto. La successione può riguardare:
 Situazioni giuridiche attive: diritti soggettivi
 Situazioni giuridiche passive: doveri giuridici
 In particolare: proprietà, crediti e debiti
Dante causa: chi trasmette
Successore o avente causa: è la persona alla quale si trasmette (acquistava a titolo
derivativo)
La successione può essere:
 A titolo universale: in universum ius; se il successore subentra per l’intero
o per una quota di posizioni giuridiche (trasmissibili) che faceva capo ad altri.
 A titolo particolare: in singular res; se il successore subentra per l’intero o
per una quota al posto di altra persona in singole e determinate posizioni giuridiche
soggettive.
La successione può aver luogo:
 Inter vivos: in dipendenza di un negozio tra vivi
 Mortis causa: in dipendenza alla morte del titolare dei diritti e doveri che
passano al successore (a causa di morte)
Oggi: la sola successione universale è solo quella a causa di morte. Ma nel diritto romano
successioni universali potevano accadere anche inter vivos. Gaio parla anzitutto della
successione che si verificava nel caso di bonorum venditio,ossia di vendita in blocco di tutto
il patrimonio di un soggetto. La successione universale mortis causa secondo lo ius
civile. Concetti e principi fondamentali:
Nello ius civile, i successori mortis causa a titolo universale erano gli “eredi” (heredes).
Hereditas: era il complesso di situazioni giuridiche soggettive che facevano capo al defunto
(dante causa) e che passavano agli eredi. L’acquisto dell’hereditas da parte degli eredi
presupponeva la “delazione ereditaria” (era la chiamata all’eredità) che coincideva con la
morte del dante causa. La delazione poteva essere:
 Testamentaria: in forza di un testamento valido ed efficace (ex
testamento)
 Legittima: direttamente in forza di legge (ex lege): è la successione ab
intestato (letteralmente, successione intestata; intestatus era chi non aveva fatto testamento)
o Una volta deferita l’eredità, il chiamato diventava heres automaticamente
o a volte per accettazione (aditio – azione per entrare in possesso di una eredità)
o Una volta acquistata la qualità di erede non era possibile né perderla né
cederla.
o Intrasmissibilità della delazione ereditaria: se il chiamato all’eredità moriva
prima di aver accettato, i loro eredi non avrebbero potuto a loro volta accettare e acquistare
l’eredità. La regola subì in età postclassica cambianti per ragioni di equità. Successivamente
Giustiniano introdusse la transmissio Iustinianea, riconoscendo agli eredi del chiamato di
acquistare in vece sua l’eredità.
o Capacità di trasmettere e acquistare di ereditando ed eredi:
 Principio generale: sia l’ereditando che gli eredi dovevano essere in
possesso di capacità giuridica; dovevano essere persone libere, cittadine romane e sui iuris.
 Successione ad intestato: la capacità giuridica in capo:
 all’ereditando doveva sussistere al tempo della morte
 agli heredes doveva sussistere al tempo della delazione e
dell’accettazione
 Successione testamentaria: era la capacità testamenti factio:
 Capacità di fare testamento (testamenti factio attiva); si richiedeva anche
la capacità di agire.
 Capacità di acquistare in forza del testamento (testamenti factio passiva)
 Gli eredi potevano anche essere:
 Eredi schiavi
 Filii familias altrui

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 Gli incapaci non erano chiamati all’eredità né testamentaria né ab


intestato.
 In caso vi era un erede incapace, veniva chiamato al suo posto il
substitutus (secondo erede o sostituto?). La quota dell’incapace andava ad accrescere
l’eredità degli altri eredi.
 Se il testatore era in difetto di testamenti factio attiva il testamento era
nullo.
o Capacitas e legislazione caducaria (abrogare):
 Leges Iulia de maritandis ordinibus e Papia Poppaea: parlarono di
capacitas (diritto ad ereditare) e di capere con riguardo ai caelibes (celibi) e agli orbi
disponendo un regime tutto proprio per quanto riguarda i beni ereditati:
 Caelibes: i non coniugati in età matrimoniale
 Orbi: coniugati senza figli
 Ad entrambi si negò la capacità di acquistare per testamento.
 La capacitas doveva esserci alla morte del testatore: ma per i caelibes
avrebbero potuto conseguirla nei 100 giorni successivi.
 Tutto ciò che non era acquistato dai “non capaces” si accresceva in favore
dei coeredi che fossero ascendenti o discendenti del testatore.
 Se mancavo i discendenti o gli ascendenti del testatore, il testamento
diventava caducum (la metà dell’eredità che perdevano gli sposati senza prole); in assenza,
all’aerarium populi Romani. In età classica l’erario fu sostituito dal fisco.
 212-217 d.C.: l’imperatore Antonio Caracalla modificò le leggi augustee
per incrementare il patrimonio pubblico. La quota vacante caducum doveva essere devoluta
al fisco come anche altri privilegi degli eredi.
 Durante il Basso Impero (avvento del Cristianesimo) le legis Iulia e Papia
furono abrogate e tornò in vigore lo ius antiquum (diritto antico, il regime precedente alle
leggi augustee).
o Indegnità a succedere:
 Sia il senatoconsulti che le costituzioni imperiali andarono sanzionando
con l’indegnità di chi si ritenessero indigni (non meritevoli) di subentrare al defunto iure
ereditario, sia ab intestato sia ex testamento.
 Gli indegni non furono ritenuti incapaci di acquistare iure ereditario ma ciò
che acquistavano a questo titolo veniva rivendicato extra ordinem dall’aerarium populi
Romani e, dall’età classica avanza, dal fisco.
 Gli indegni:
 Una volta divenuti heredes restavano tali ma non poteva esercitare le
azioni ereditarie perché erano negate dal pretore
 Erano:
o L’uccisore dell’ereditando
o Chi avesse impedito all’ereditando di testare
o Chi impugnasse il testamento come falso
o I rei d’adulterio (colpevole di tradimento)…
o L’acquisto dell’eredità:
 GLI EREDI NECESSARI:
 Heredes necessariii
 Sui e schiavi manomessi nel testamento dal dominus come eredi
 Erano necessari perché automaticamente e necessariamente divenivano
eredi con la morte dell’ereditando
 I sui erano i familiari immediatamente soggetti alla potestas
dell’ereditando al tempo della sua morte; erano in sostanza: filii e filiae familia e donne in
manus.
 Tali familiari avevano qualifica di sui sia nella successione legittima sia in
quella testamentaria.
 Ad avere heres sui avrebbe potuto essere solo un ereditando maschio.
 Una volta divenuti eredi subentravano si nell’attivo che nel passivo:
o Se il passivo > dell’attivo: rischiavano gravi conseguenze esecutive

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o Dall’ultima repubblica: il pretore concesse agli eredi il beneficium


abstinendi perché essi potessero evitare la proscriptio. A volte infatti l’ereditando metteva nel
testamento un proprio schiavo rendendolo erede, diventando così servo heres necessarius.
 GLI EREDI VOLONTARI:
 I non sui dell’ereditando erano eredi volontari, detti anche heredes
extranei.
 Diventavano eredi con l’accettazione o con l”adizione”(atto con cui l’erede
dichiara di accettare un’eredità) – aditio – la quale poteva avere luogo :
o Mediante cretio (accettazione dell’eredità)
o Mediante pro herede gestio
 La cretio: era un atto formale che si effettuava con la pronunzia di parole
determinate che esprimevano la volontà di accettare l’eredità.
 La pro herede gestio: era un’accettazione tacita dell’eredità che
consisteva in comportamenti che mostravano senza possibilità di equivoci la volontà di
accettare: erano atti di gestione del patrimonio del defunto (es. esigere crediti, pagare debiti
ereditari)
 Sparì la cretio e rimase solo la pro herede gestio.
 La fusione dei patrimoni: i rimedi
o Con la successione, il patrimonio ereditato si univa al patrimonio
dell’erede/i.
o Quando, però, l’ hereditas era damnosa (il passivo ereditario superava
l’attivo) gli eredi volontari si sottraevano dall’adizione. In questo modo i creditori ereditari non
avrebbero potuto agire sul patrimonio del defunto. I classici trovarono delle soluzioni:
o L ’hereditas:
 Secondo lo ius civile era l’oggetto della successione universale mortis
causa.
 I giuristi romani la qualificarono hereditas universitas: complesso unitariamente
considerato
 di corpora : beni di proprietà
 e iura: crediti e debiti
 I romani concepirono l ’hereditas come ius avente ad oggetto la stessa universitas e di
sé spettante a quanti avessero la qualità di heres.
 L ’hereditas comprendeva situazioni soggettive trasmissibili che facevano capo al
defunto al tempo della sua morte.
 Non entravano a far parte dell’ hereditas ma si estinguevano con la morte del titolare le
potestà familiari, tutela e curatela.
 La potestà sui servi si trasmetteva insieme col dominium su di essi.
o L’ hereditas petitio:
 L’azione per la tutela dell’ hereditas era la vindicatio hereditatis, detta anche
hereditas petitio.
o La coeredità:
 Comunione di eredità
 Ha il regime giuridico simile a quello della comunione di proprietà: ogni erede era
titolare di una quota ideale con diritti e doveri analoghi a quelli del comproprietario sul
bene comune.
 Ius adcrescendi: diritto di accrescimento; 1 o più contitolari in proporzione alla propria
quota in alcuni casi acquistavano automaticamente la quota di un altro contitolare.
L’accrescimento accadeva quando uno dei chiamati all’eredità per incapacità/rinunzia /
altro non divenisse coerede. Era un procedimento automatico.
 Divisione dell’eredità:
 Erano esclusi debiti e crediti ereditari: perché si imputavano direttamente ai coeredi in
proporzione alla loro quota.
 Le obbligazioni:
 Se divisibili: attive o passive, seguivano il regime delle obbligazioni parziarie
 Se indivisibili: regime delle obbligazioni solidali elettive
 L’azione propria per la divisione dell’eredità era “l’actio familiae erciscundae”.

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procedura:
 Il giudice (arbiter) procedeva alla distribuzione dei fonti di reddito (cespiti) ereditari in
più lotti, tanti quante le quote ereditarie, e poi mediante adiudicatio li aggiudicava ai
partecipanti alla divisione, trasferendo effetti della proprietà ed altri diritti reali.
La successione universale mortis causa secondo il diritto pretorio. La bonorum
possessio:
 Ultima età repubblicana: si sviluppò a Roma un sistema di successione universale
mortis causa pretorio, che si attuava mediante la concessione della bonorum possessio.
 Tale sistema pretorio non era opposto a quello dello ius civile, ma era volto a
correggerlo, ad agevolare l’applicazione o a integrarlo, dipendeva dalle situazioni.
 La genesi:
 Le origini risalgono al dicere vindicias, con cui il magistrato nella legis actio sacramenti
in rem assegnava ad una delle due parti il possesso provvisorio della cosa in
contestazione.
 Anche nell’età preclassica, stessa prassi, con eccezione che il pretore vi provvedeva
solo quando sorgeva la questione quale delle due parti fosse effettivamente nel
possesso dell’eredità. ecco allora che il pretore in questi casi interveniva con
l’assegnazione della “bonorum possessio” in favore della persona che riteneva più
probabile erede o dava maggiori garanzie per la restituzione in caso di soccombenza.
 Nella tarda età repubblicana, andò perdendo la sua originaria valenza: negli editti dei
pretori vennero indicati quali erano i soggetti e il preciso ordine avrebbero dato la
bonorum possessio.
 Lo stato giuridico dei bonorum possessores:
 Distinzione tra bonorum possessio ed erede:
 Bonorum possessio: era il successore universale iure praetorio
 Erede: successore universale secondo lo ius civile.
 Heredes e bonorum possessores:
 La bonorum possessio era spesso concessa anche a soggetti che erano al contempo
eredi iure civili. Tali soggetti avrebbero avuto convenienza a conseguire la doppia
qualifica di “heredes” e di “bonorum possessores” perché si sarebbero avvalsi
all’occorrenza anche dei rimedi giudiziari di per sé spettanti ai bonorum possessores. In
questo caso la bonorum possessio sarebbe stata “adiudivandi iuris civilis gratia”
 Ma la bonorum possessio poteva essere data ai soggetti che non erano eredi perché:
o A volte in assenza di eredi civili
o Altre volte a preferenza di essi
Il caso: supponendo che il bonorum possessor avesse preso possesso dell’eredità e non
avendo contemporaneamente la qualifica di erede, quale sarebbe stato l’esito del giudizio se
egli fosse stato convenuto con la petizione di eredità da un erede a sua volta privo di
qualifica di bonorum possessor? Nel conflitto, chi prevaleva l’ heres o il bonorum possessor?
 In un primo tempo: tali questioni furono risolte sempre in favore dell’erede civile
 Poi, si distinse caso per caso apparendo ingiusto che l’erede prevalesse
comunque sul bonorum possessor.
 Successivamente, in favore del bonorum possessor.
 La giurisprudenza usò distinguere:
 Bonorum possessor cum re: in caso di conflitto il
bonorum possessor prevaleva sull’erede civile
 Bonorum possessor sine re: in caso di conflitto
l’erede civile prevaleva sul bonorum possessor
 Delazione: denuncia, accusa
☺ Anche per il diritto pretorio, la delazione era
 Testamentaria: bonorum possessio secundum tabulas (secondo il testamento)
 Ab intestato: bonorum possessio sine tabulas (senza il testamento)
 bonorum possessio contra tabulas (contro il testamento)
☺ con un’apposita clausola edittale, la edictum successorium, la chiamata dei
successibili (persona avente diritto ad una successione) aveva luogo secondo criteri
diversi da quelli dello ius civile:

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 i successibili erano chiamati per categoria come nello ius civile, ma la


delazione nel bonorum possessio era limitata nel tempo
 agli appartenenti a ciascuna categoria era assegnato un termine per
essere ammessi alla bonorum
 se l’avessero fatto decorrere inutilmente l’istanza sarebbe stata loro
vietata e alla bonorum sarebbero stati chiamati agli appartenenti alla
categoria successiva.
 La collazione: collatio (paragone, comparazione, riscontro)
☺ Ebbe origine nella bonorum possessio e si distinse in due specie:
 Collatio bonorum: erano chiamati in primo luogo i liberi (sia sui che figli
emancipati); il pretore si preoccupò della disparità di trattamento che si sarebbe
potuta creare tra i sui e figli emancipati. Morto il padre, gli acquisti di sui
rientrano nella massa ereditaria e sarebbero stati divisi tra sui ed emancipati, ma
gli acquisti degli emancipati no. Il pretore addossò ai figli emancipati l’onere di
procedere a collatio bonorum in modo che del loro patrimonio personale se
n’avvantaggiassero anche i sui che avevano conseguito la bonorum possessio.
 Collatio dotis: era anche di origine pretoria, riguardava la figlia cui il padre
avesse costituito dote e alla quale in caso di scioglimento del matrimonio
sarebbero stati di norma restituiti i beni dotali. La dote consiste in una o più
cose o diritti che la moglie, suo padre o un terzo conferivano in vista o
in occasione del matrimonio al marito. Viene prevista la dote perché il
matrimonio ha funzione sociale, e aveva quindi tutta una serie di utilità. Quindi
sarebbe andato tutto alla figlia. Ma il pretore stabilì l’onere della collatio dotis a
carico della figlia , garantendo parità di trattamenti tra fratelli e sorelle.
 Durante il periodo postclassico e giustinianeo confluirono in un unico istituto: la
collatio descendentium.
 Il fedecommesso universale:
 Dava luogo a successione mortis causa anche il fedecommesso universale
 Il fedecommesso: antico istituto del diritto successorio che faceva obbligo all’erede di
conservare e trasmettere tutta l’eredità o parte di essa al successivo erede.
 La successione universale ab intestato:
 In difetto di testamento valido ed efficace si apriva la successione ab intestato.
 Regola: Il momento della delazione ab intestato era lo stesso della morte
dell’ereditando.
 Eccezione: se nella successione civile il testamento valido non diventava efficace per
mancata accettazione degli eredi volontari, gli eredi ab intestato erano chiamati
all’eredità al momento della certezza che non sarebbero venuti alla successione gli
eredi testamentari. Analogamente nella successione pretoria: i successibili pretori
ab intestato erano chiamati alla bonorum possessio secondo testamento e si dava la
possibilità di delazioni successive.
 La successione universale ab intestato secondo il ius civile:
 Alla successione universale ab intestato (in assenza quindi di testamento) erano
chiamati nell’ordine, secondo la legge delle XII Tavole,:
1. i sui: le persone libere che al tempo della morte dell’ereditando erano
assoggettate alla sua potestas o manus, le stesse che in conseguenza della
sua morte avrebbero cessato di essere alieni sui per diventare sui iuris, quindi
erano:
a. figli in potestate (maschi e femmine)
b. figli nati da iusta nuptiae (matrimonio) e adottivi
c. la moglie purché in manu del marito
d. i nipoti figli del figlio premorto
e. postumi sui (non ancora nati ma concepiti al tempo della morte del
pater familias).
Ad ogni sui spettava una quota. Solo un ereditando di sesso maschile avrebbe potuto avere
sui heredes: alla successione ab intestato delle donne erano chiamati direttamente gli agnati.
2. gli agnati: persone libere discendenti in linea maschile da un capostipite

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comune di sesso maschile. Erano in sostanza parenti in linea secondaria e


maschile. Tali persone erano chiamate alla successione ab intestato senza
limiti di grado. Le donne non oltre il 2° grado. Se c’erano più agnati dello
stesso grado, venivano alla successione per quote uguali. Gli agnati erano
eredi volontari.
3. i gentiles: erano gli appartenenti alla stessa gens ( stirpe, razza)
dell’ereditando. Erano anche loro eredi volontari. I gentili erano chiamati
all’eredità solo in mancanza di agnati.
 La successione universale ab intestato secondo il diritto pretorio:
 Con il graduale indebolirsi della società romana arcaica, il sistema della successione ab
intestato del ius civile apparve iniquo e lacunoso. A correggere il sistema provvide il
regime pretorio della bonorum possessio sine tabulis, alla quale erano chiamati:
1. i liberi: era la classe rappresentata dai sui, dai figli emancipati e dai figli
dati in adozione. Se premorti, dai loro discendenti.
2. i legitimi: sui, agnati, gentiles, patrono e parens manumissor.
3. i cognati: era costituita dai parenti di sangue, non oltre il 6° grado.
4. vir et uxor: erano chiamati reciprocamente marito e moglie.
 Il sistema pretorio presupponeva il sistema civilistico e lo integrava e lo correggeva.
 Il senatoconsulti Tertulliano e Orfiziano:
 Tali senatoconsulti migliorarono la reciproca posizione successoria tra madre e figli.
Poiché, i senatoconsulti erano fonte di ius civile, madre e figli sarebbero divenuti
“eredi”, e come tali ammessi pure alla bonorum possessio ab intestato nella classe dei
legitimi.
 L’eredità vacante:
 Quando nessun erede acquistava l’eredità, i creditori del defunto avevano via libera per
procedere ad esecuzione patrimoniale. Nell’ipotesi in cui non si fosse fatto avanti
nessun creditore ereditario, la lex Iulia, stabilì che l’eredità vacante andasse all’erario
(successivamente al fisco con Caracalla)
 Il testamento:
 La chiamata all’eredità o alla bonorum possessio poteva avere luogo in forza di
testamento, e la delazione testamentaria prevaleva di norma su quella ab intestato.
 Il testamento era:
 Atto unilaterale
 Mortis causa
 Personalissimo
 Revocabile sino all’ultimo istante di vita
 Era un atto con il quale un soggetto (il testatore) disponeva delle proprie
sostanze per il tempo dopo la sua morte
 Poteva contenere più negozi: istituzioni di erede, legati, manomissioni,…
 L’istituzione dell’erede (heredis institutio) non poteva mancare pena
nullità del contratto.
 Testamentum: deriva da testes, testimoni, infatti tra le formalità richieste
vi era la presenza di testimoni.
Il testamento era l’atto più importante che un cittadino potesse compiere come privato.
 Il testamento civile:
o testamentum calatis comitiis fu il primo testamento riconosciuto
Era un atto formale che si compiva oralmente dinanzi ai comitia
curiata.
o Successivamente, vi fu il testamentum in procinctu: per esigenze
militari
o Questi 2 testamenti caddero in desuetudine e la giurisprudenza
pontificale fece ricorso a due nuove soluzioni:
- mancipatio familiae : era un negozio fiduciario con cui il testatore trasferiva il proprio
patrimonio (familia intesa in senso patrimoniale) a persona di fiducia, il familiae
emptor. In seno alla mancipatio, il mancipio dans affidava al mancipatio emptor
l’incarico di trasferire, subito dopo la morte dello stesso mancipio dans, i singoli cespiti

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alle persone da lui indicate.


- testamentum per aes et libram: la prima giurisprudenza laica trasformò la
mancipatio familiae in testamentum per aes et libram (o testamento librale). Si trattava
di un mancipatio familiae ma il mancipatio emptor recitava una formula contenente il
vero scopo dell’atto, mentre il testatore pronunciava le sue ultime volontà con un
preciso formulario. La pronuncia orale del testatore era detta nuncupatio. Ma ben
presto la nuncupatio venne adottata solo per enunciare le volontà del testatore, mentre
per indicare le disposizioni e le persone che ne sarebbero state destinatarie si faceva
rinvio a ciò che era scritto di suo pugno nelle tavolette cerate (tabulae ceraeque). Il
testamento per aes et libram poteva essere compiuto tutto oralmente.
 Il testamento pretorio:
 L’editto pretorio prevedeva una bonorum possessio secundum tabulus: per
essa il pretore esigeva un documento scritto, chiuso e sigillato con il
contrassegno (signum) di 7 testimoni: era il testamento pretorio.
 Numero dei testimoni: il testamento pretorio richiamava il testamento per
aes et libram perché: 5 testimoni + 1 libripens + 1 familiae emptor.
 Il testatore chiudeva il tabulae facendo apporre all’esterno le firme dei 7
testimoni, in modo tale che tale testamento sarebbe stato valido in iure civili
e in iure praetorio.
 In età postclassica il testamento civile fu assimilato a quello pretorio.
 Il testamento: invalidità e revoca
 Invalidità:
 Inosservanza delle formalità
 Incapacità del testatore
 Vizio di forma dell’istituzione dell’erede
 Incapacità degli eredi istituiti
 Invalidità dopo la perfezione: sopravvenuta incapacità del testatore
o degli eredi istituiti, sopravvenienza di un figlio, revoca.
 Sopravvenienza di figli: il testamento perdeva validità per il
venire all’improvviso di un figlio dopo il perfezionamento del testamento;
ciò accadeva anche per il sopraggiungere di un postumo (successivo alla
morte).
 Revoca: il testamento era revocabile; nello iure civile, era revocato
solo per effetto di un nuovo testamento. Il testamento per aes et libram
sarebbe stato valido anche se il testatore avesse rotto i sigilli del tabulae
ceraeque cancellando tutto o in parte il contenuto, persino se avesse
distrutto il testamento. Pure in iure pretorio un nuovo testamento avrebbe
revocato il precedente, ma il pretore considerò la scrittura e le garanzie
essenziali perché una volta che il testatore avesse distrutto il documento o
i sigilli avrebbe dato la bonorum possessio sine tabulis ai successibili
pretori ab intestato.
 La istituzione di erede:
 L’istituzione dell’erede poteva essere contenuta soltanto nel testamento (heredis
institutio).
 Fu qualificata dai giuristi “caput et fundamentum totius testamenti”[inizio e
fondamento di tutto il testamento]
 Caput: perché il testamento doveva iniziare con la heredis institutio, ma tale regole
perse valore con Giustiniano
 Fundamentum: perché nessun testamento era valido senza l’istituzione di un erede
 L’istituzione dell’erede doveva essere fatta in modo esplicito con la qualifica di heres e
con il verbo essere “Titius heres est”[tizio è l’erede]. Tale forma fu abolita da Costanzo
che dispose che la forma poteva essere qualunque purché il testatore dichiarava in
modo inequivocabile l’erede.
 L’istituzione dell’erede poteva essere:
☺ Cum modo
☺ Cum libertate

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☺ Cum cretione
 Poteva essere istituite eredi 1 o + persone:
 Unico erede: erede per intero (ex asse)
 Più eredi: eredi per una quota espressa in dodicesimi (unciae).
 Heredis institutio ex certa re: l’istituzione di erede ex certa re
significava attribuire ad un erede un singolo bene determinato. Ma
sarebbe stato nullo. Dall’età classica si adottò tale sistema per i casi di più
eredi per tenere maggior conto della volontà del testatore.
 La sostituzione volgare: substitutio vulgaris
 Era un’istituzione di erede sotto condizione sospensiva che il primo istituito fosse
 premorto allo stesso testatore
 non avesse accettato l’eredità
 la sua istituzione senza effetti
 il chiamato all’eredità in subordine rispetto al primo istituito si disse “sostituto”
(substitutus)
 La sostituzione pupillare: substitutio pupillaris
 Tale sostituzione presupponeva che Il testatore doveva istituire erede un discendente
soggetto alla sua immediata potestas.
 Tale sostituzione consisteva nell’istituzione di un erede al pupillo qualora questi fosse
morto ancora impubere (che non ha ancora raggiunto l’adolescenza) e quindi
nell’impossibilità di fare testamento.
 In sostanza, il testatore nominava un erede al proprio discendente facendo in sostanza
testamento al suo posto. Era un eccezione al principio del testamento “atto
personalissimo”.
 I legati:
 Il testamento oltre a contenere l’istituzione di erede poteva contenere disposizioni a
titolo particolare: tra esse i legati.
 Attraverso i legati, il testatore attribuiva alle persone indicate “i legatari” singoli beni o
diritti sottraendoli dagli eredi. Tale diritto fu riconosciuto dalla giurisprudenza
pontificale.
 I quattuor genera legatorum: i giuristi romani individuarono 4 tipi di legati:
 Legato per vindicationem: doveva essere disposto con le parole “do
lego” + indicazione dell’ oggetto + destinatario. Aveva effetti reali e
doveva avere ad oggetto i beni propri del testatore.
 Legato per damnationem: doveva essere disposto con le parole “heres
meus damnas esto” + persona del legatario + oggetto. Il testatore
faceva in tal modo carico all’erede di fare o di dare una prestazione alla
persona indicata. Potevano essere cose del testatore, dell’erede o di
terzi.
 Legato sinendi modo: era disposto con parole “heres meus damnas-
obbligato - esto”integrata con l’imposizione all’erede di consentire che il
legatario esempio prendesse possesso di una cosa determinata. Questo
doveva appartenere o al testatore o all’erede.
 Legato per praeceptionem: era disposto con parole “praecipito” (far
cadere) preceduto dal nome del legatario e dall’oggetto. Poteva essere
disposto in favore di un erede e solo cose del testatore.
 Il senatoconsulto Neroniano, le riforme postclassiche e l’unificazione dei tipi
di legato:
 Con troppi tipi di legato e di conseguenza forme e regimi giuridici diversi, il senato
consulto di Nerone adottò in larga scala il legato per damnationem perché aveva più
applicazioni. Ma la vera unificazione avvenne con Giustiniano che:
☺ riconobbe gli effetti obbligatori ai legati
☺ riconoscimento degli effetti reali
☺ riconoscimento doppia tutela: reale e obbligatoria.
 I legatari e gli onerati:
 La testamenti factio passiva si esigeva sugli eredi istituiti e sui legatari. L’onere dei

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legatari gravava sugli eredi, non oltre però l’attivo ereditario. Più eredi istituiti: il
testatore avrebbe potuto porre il legato a carico di:
 1 solo
 alcuni di essi
 I legatari: il momento dell’acquisto
 I legati avevano effetti dal momento in cui l’erede onerato acquistava l’eredità e quindi
al momento della morte del testatore (erede necessario) o al momento
dell’accettazione dell’eredità (erede volontario).
 Morte del testatore: dies cedens
 I legatari: invalidità, inefficacia e revoca
 Invalidità:
 Regula Catoniana: il legato invalido al tempo della realizzazione
del testamento restava invalido pure se prima della morte del testatore la
causa d’invalidità fosse cessata.
 Revoca: il legato era soggetto a revoca dal testatore; la revoca
aveva luogo con la evoca stessa del testamento; dall’età classica, la
revoca del legato poteva avvenire anche successivamente al
perfezionamento del testamento.
 Altre possibili disposizioni testamentarie:
 Il testamento poteva contenere:
☺ Manumissio testamento: manumissioni, il testatore dava la libertà
ad un proprio servo.
☺ Tutoris datio: il testatore nominava il tutore di un proprio discendente
(eventuale o adottivo) immediatamente soggetto alla sua potestas.
 I fedecommessi:
☺ Il testatore poteva raccomandare informalmente all’erede di compiere
una prestazione determinata in favore della persona indicata nel
testamento.
☺ Il fedecommesso non doveva essere disposto in forma imperativa;
poteva essere disposto nel testamento, nel codicillo, oralmente, con un
cenno di assenso, in forma espressa o tacita
☺ Fedecommessi di libertà: mediante fedecommesso poteva essere
disposta la libertà di un servo
☺ Fedecommessi particolari: erano fedecommessi che avevano come
possibili oggetti oltre che la libertà anche prestazioni analoghe a quelle
dei legati
☺ Fedecommessi universali: si faceva carico all’erede di trasmettere ad
altri dopo averla acquistata l’intera eredità o una quota di essa.

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