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ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO

Il diritto romano è alla base del diritto moderno, infatti i romani hanno inventato la scienza giuridica ed
hanno, per la prima volta, creato un sistema che collegava le norme tra loro, prima di quest'ultimo c'era
solamente un elenco di norme scollegate tra loro. A Roma nacquero anche i primi giuristi. Giustiniano fu
imperatore d'oriente dal 527 al 565 d.C. Nel 395 l'impero era stato diviso da Teodosio I appena prima della
sua morte avvenuta nello stesso anno e spartito tra Arcadio e Onorio. Dunque, dal 395 si susseguirono vari
imperatori nelle due parti dell’impero. Nell'Impero romano d'Occidente, nel 476 d.C., Odoacre depose
Romolo Augustolo (Augustolo poiché appena quattordicenne. Vuole il caso che l'ultimo imperatore di Roma
si chiamasse come il primo, Romolo, il fondatore). Nell'Impero romano d’Oriente, invece, tra il 527 e il 565
d.C. si colloca il periodo di potere di Giustiniano. La parte orientale dell'impero durerà fino al 1453 d.C. con
la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi Ottomani. Nel 476 d.C., con la deposizione dell'ultimo
imperatore da parte di Odoacre, avviene la fine dell'Impero romano d'Occidente ormai sotto il controllo dei
popoli barbarici: inizia così il periodo dei regni barbarici come i Burgundi, Franchi, Galli, Longobardi,
Sassoni, Alamanni e Visigoti. Parallelamente, Bisanzio (odierna Istanbul) è capitale dell'Impero romano
d'Oriente e Giustiniano ne è l'imperatore. Il 565 rappresenta convenzionalmente la fine della storia romana e
l'inizio del Medioevo che durerà fino al 1492, ma, nonostante ciò, l’impero durerà comunque fino alla
conquista turca avvenuta successivamente.

Giustiniano salì al trono mentre vigevano ancora norme risalenti all'a.C. e nell'Impero romano d'occidente
vigevano i nuovi diritti dei popoli conquistatori.
Giustiniano aveva degli obbiettivi che riuscì parzialmente a mettere in atto:
• Riconquistare l'Occidente
• Riportare il diritto romano in Occidente
Salito al trono riuscirà a riconquistare alcune regioni, impiegando un paio di decenni per l’opera. Altro suo
obbiettivo principale è riordinare il diritto romano poiché troppo complicato: realizzò dunque il Corpus
Iuris Civilis (533-534) composto da 3 parti: Istituzioni (533), Digesto (533), Codex (12 libri, 534). Tutte le
norme che rimanevano fuori dal codice di Giustiniano perdevano efficacia e non risultavano essere più in
vigore. Nel 522 venne promulgata una legge, la Pragmatica Sanzione, su richiesta di Papa Vigilio.
Successivamente, tale richiesta si rivelò fittizia in quanto non era altro che una finzione per permettere
all’imperatore di allargare l’area di influenza del Corpus anche nel neo riconquistato impero d’Occidente.
Tale sanzione venne inviata all'esarcato bizantino di Ravenna. Il contenuto della Pragmatica Sanzione
prevedeva proprio che il diritto romano del Corpus sarebbe da quel momento entrato in vigore anche
nell'Impero d'Occidente riconquistato.
Nel 565 Giustiniano muore e:
• L'impero d'Oriente va avanti con i successori,
• L'impero d'Occidente viene riconquistato dai barbari. Questo segnò la fine definitiva dell'Impero
d’Occidente e da qui il diritto romano venne completamente dimenticato dato che si formeranno dei nuovi
diritti locali.

1088, Bologna: Irnerio, uno studioso di grammatica, si imbattè in un testo giuridico scritto in latino, ignoto,
nessuno lo conosceva. Era una copia del Digesto, la Littera Boloniensis, copia del IX secolo della Littera
Pisana, risalente al VI secolo. La Littera Pisana fu successivamente rubata dai fiorentini nel 1406 e ora si
trova nella biblioteca Laurentina di Firenze ed è chiamata Littera Florentina. Irnerio notò che quella lettera
conteneva un diritto (digesto) nettamente superiore a quello vigente al tempo. Così iniziò i suoi studi,
istituendo una scuola affinchè il diritto del Digesto fosse tramandato dai suoi allievi: Bulgaro, Ugo, Jacopo e
Martino. Questo periodo fu detto rinascita del diritto romano.
Nel XI secolo fu dunque riscoperto il Corpus Iuris Civilis da Irnerio. Così, da Bologna, si crea una
ramificazione che riporta il diritto romano in tutta l'Europa che venne applicato di nuovo e, dall’Europa,
successivamente, si diffuse in tutto il mondo per mezzo delle colonie, seppure riportando alcune differenze.
Nel 1088 a Bologna nacque la prima università che era uno Studium per il diritto romano (da studium
passerà ad universitas). Tra il 1200 e il 1800 questo diritto fu studiato dalle varie correnti dei tempi:
• Umanesimo: esalta il tenore genuino del diritto romano
• Razionalismo: razionalità del diritto
• Giusnaturalismo (1600): esalta la naturalezza del diritto
• Pandettistica: diritto perfettamente in vigore, tanto da considerarlo vigente fino al 1900 (Germania)
Fino al 1800 il diritto romano è in vigore ed è studiato.
Successivamente inizia l'età delle codificazioni, nel 1804, con la pubblicazione del còd civile francese, scritto
da Napoleone Bonaparte. All'interno di tale codice si versò il diritto romano in un "contenitore" nuovo, non
più scritto in latino ma in francese e organizzato per materie, divise in libri con articoli. Si può dire che il
diritto romano rimase in vigore ma sotto il nome di codice civile e non corpus iuris. Il còd civile arrivò anche
in Italia con l'incoronazione di Napoleone a Milano. Dopo la caduta di Bonaparte, tornò in vigore il Corpus
Iuris fino al 1865.
Nel 1865, 4 anni dopo l'Unità d'Italia, viene pubblicato il primo codice civile italiano. Nel 1942 abbiamo il
codice italiano vigente, il secondo, in vigore ancora oggi, fu scritto sotto iniziativa di Mussolini. Nel 1900 fu
pubblicato il codice civile tedesco.
Si parla di Civil Law, diffuso in tutti i paesi che erano stati parte dell'Impero romano. Il Common Law invece
deriva dal diritto romano ma poi se ne allontanò. I diritti indù, islamico e tradizionale cinese non hanno nulla
a che fare con il diritto romano.

• Istituzioni: insegnamento introduttivo (Quintiliano scrisse l'Institutio oratoria), per il diritto romano
significa istituzioni di diritto privato romano ed è diverso dal diritto pubblico (amministrativo e
costituzionale). I diritti romani portavano con loro differenze in base alla zona, infatti, il diritto della città
di Roma era differente dai diritti provinciali.
• Diritto, il Ius: hanno due significati, in senso oggettivo (Law, sistema di norme giuridiche) mentre, in
senso soggettivo (Right, posizione soggettiva giuridica di vantaggio). La parola diritto deriva da derigere,
andare verso la direzione giusta.

La norma giuridica si manifesta attraverso enunciati, ha una precisa funzione e permette di risolvere conflitti
di interesse intersoggettivi. UBI SOCIETAS IBI IUS: il diritto è l'espressione di una società.
Esistono due tipi di norme giuridiche:
• Qualificazione: si trovano negli ordinamenti, danno delle definizioni (di contratti, istituti, etc..) agli
elementi che i consociati utilizzano. Es. Art 1321 del Codice Civile: il contratto è l'accordo di due o più
parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale, infatti, spiega cos'è un
contratto e dunque ne da una definizione.
• Relazione: si caratterizzano per struttura.
Fattispecie ed effetto (fatto che può accadere), detta un effetto dopo che si è composta la fattispecie.
Comando generale ed astratto per la violazione del quale è prevista una sanzione
Es. Art 575 Codice Penale: fattispecie+effetto
Es. Art 2043 Codice Civile: fatto illecito→risarcimento.
Esistono altre norme non giuridiche come le norme morali, religiose (dettano comandamenti, talvolta
prevedono sanzioni in un'esistenza ultraterrena), norme sociali (stato del pre-diritto→cultura della vergogna).
Le norme giuridiche prevedono la coercizione. Nell'antica Roma troviamo norme particolari come, ad
esempio, nel 451/450 a.C. le Leggi delle XII Tavole: si membrum rupsit, ne cum eo pacis, talio esto (latino
arcaico). La sanzione non è inflitta da organi statali ma dal cittadino stesso come vendetta personale, infatti,
le norme giuridiche arcaiche spesso non erano inflitte dallo Stato ma dalla parte lesa stessa rendendo
possibile una vendetta privata regolamentata. In questo versetto vediamo la legge del taglione: chi ha subito
la rottura dell'arto può rompere l'arto a colui che prima glielo aveva spezzato. Lo studioso Edward Hoebel
all'interno della sua opera "Il diritto nelle società primitive" del 1954, da nome a coloro che si vendicavano
privatamente ma in maniera regolamentare: Agente socialmente autorizzato.

• Romano: di Roma antica. Roma nacque dai gemelli Romolo e Remo, secondo la leggenda discendenti
diretti di Enea, eroe dell'Eneide virgiliana e fondatore della città di Albalonga. Circa 200 anni prima, sul
trono troviamo Amulio (cattivo) e Numitore (buono). Il primo cacciò il secondo e ne uccise tutti i figli
tranne una: Rea Silvia. Unitasi con Marte generò i due gemelli fondatori di Roma. Romolo e Remo
uccisero Amulio e permisero il ritorno di Numitore e il 21 aprile del 753 a.C. fondarono l'urbe. Per
scegliere il nome della città avvenne una disputa tra i due fratelli, vinse Romolo che, dopo il fratricidio,
nominò la città, appunto, Roma. Nella realtà l'Italia era già abitata dai popoli preindoeuropei e tra il 3000 e
il 1500 a.C. iniziarono flussi migratori dal centro dell’Asia. Questi ultimi si stanziarono in Europa, alcuni
in Italia come i Sabini, i Sanniti, i Latini etc… Si tratta di popoli molto diversi tra loro ma con radici
linguistiche comuni indoeuropee, l'italiano deriva dunque da quello stesso ceppo. I Latini sono organizzati
in molte diverse città indipendenti: le città stato. Da questo contesto si sviluppa la città di Roma. Roma
nasce probabilmente come colonia di Albalonga per difendersi dai nemici che si trovavano al di là del
Tevere: gli Etruschi. Nella colonia le donne scarseggiavano, così fu organizzata una festa dai Romani e
invitati i Sabini con le loro donne. Avvenne quella notte il famoso ratto delle Sabine: proprio così nasce la
città di Roma, dall'unione di romani e sabini. Infatti il popolo era detto Populus Romanus Quirites
(Popolo romano unito ai sabini). Per tempo Romolo governò a fianco di Tito Tazio, un re Sabino.
Successore di Romolo fu Numa Pompilio, un sabino. Da quel momento iniziò l'alternanza di un re romano
e uno sabino fino al re Tarquinio, nome etrusco, poiché Roma fu invasa dagli Etruschi fino al 509 quando
si rivoltarono e scacciarono gli invasori. Assistiamo così alla fine della monarchia e l'inizio della
Repubblica.

Populus Romanus Quirites, romani e sabini in seguito alla pace


Tra il 753 a.c. e il 565 d.c si sono susseguiti svariati tipi di stato, dal regno, durato fino al 509 a.c., alla
repubblica, durata per 482 anni e infine l’Impero durato fino al 565 d.c. Nel 509 i romani riescono a ribellarsi
agli etruschi: finì così la dominazione etrusca e si passò dal regno (re individuato dal senato per tutta la vita)
alla repubblica (censori/due consoli e /pretori/magistrati minori eletti dal popolo).
Per magistrato, nell’antica Roma, si indicavano i detentori del potere esecutivo, coloro che svolgevano
l’attività di governo in senso lato, oltre a funzioni militari e giurisdizionali. (Non erano giudici)
Nel periodo regio, a Roma, la carica di magistrato era costituita dal re, il rex che deteneva tutto il potere. Nel
periodo repubblicano i magistrati erano molti, acquistavano importanza con il cursus honorum. Nell’Impero,
dopo la vittoria di Azio, Ottaviano Augusto prese il potere e fondò l’impero che durerà per 592 anni.
Ovviamente l’impero è differente dalla Repubblica, i consoli rimangono ma sopra di loro c’è l’imperatore, la
figura più importante. Nel 395 d.c l’impero viene diviso.
L’impero si divide in due sottoperiodi: il principato e il dominato (235 d.c: morte di Alessandro Severo, fine
del principato / dominato è periodo di assolutismo).

Divisione dei 3 periodi di storia costituzionale romana


Arcaica/classica/postclassica sono le 3 epoche per la storia del diritto romano. L’età arcaica si stanzia tra il
753 al 242 a.C., con l’evoluzione del diritto privato che entra nel suo periodo florido e portò al cambiamento
in età classica con la nascita del pretore peregrino. Nel 242 a.C. abbiamo la prima guerra punica, i
Cartaginesi controllavano la Sicilia e con la volontà espansionistica di Roma iniziano le guerre puniche con
la conquista di Sicilia, Corsica, Sardegna, Nord-Africa, Spagna, le nuove province di Roma, territori extra-
italici. Queste espansioni sono molto significative dato che rappresenteranno un grande cambiamento per la
società dell’urbe. Qui nasce la necessità di trovare modalità per gestire i rapporti tra romani e stranieri, nasce
il Pretore peregrino (straniero). Si passa dunque da un’economia ristretta ad un’economia più ampia, nascono
nuovi istituti giuridici, contratti commerciali e così cambiò il diritto privato. Questo fu il periodo di massimo
splendore conclusosi con la morte dell’ultimo della dinastia dei Severi. Il periodo sotto i Severi fu l’apice
dell’età classica, il periodo di sviluppo maggiore del diritto privato romano. (193-235 d.c.)
Segue infine, con la morte di Severo nel 235 d.c., l’eta post-classica caratterizzata dal periodo dell’anarchia
militare, da un impoverimento concettuale e culturale giuridico, dalle invasioni barbariche e dall’inizio del
collasso dell’impero romano. Importante è il fatto che le 3 età romane non corrispondono temporalmente alle
forme di stato nello stesso lasso di tempo.
Fonti del diritto
Il diritto è un sistema di norme: nell’età arcaica è molto povero di livello, quasi elementare, e tende a
diventare sempre più complesso. Nella prima fase del regno contiene poche norme e lo chiamiamo Ius
Quiritium, fu il primo nucleo essenziale del diritto romano e conteneva tra le prime cose la Proprietà
(necessaria in una società appena formata), la Potestà paterna (diritto di famiglia), il Matrimonio (si formano
rapporti tra famiglie diverse e dunque deve essere regolamentato), Famiglia e Successioni. Inizialmente le
famiglie rimanevano chiuse, non si avevano molti rapporti con le altre famiglie. Segue il Ius Civile, il più
importante dell’età arcaica che include tutto il quiritium, era un diritto risevato ai cives, istituti solo per
cittadini, gli stranieri non potevano utilizzarlo ma non era un problema perché non c’erano stranieri al tempo.
Gli scambi avvenivano generalmente fuori dalle città, nelle zone di mercato internazionale dove i romani
avevano i loro contratti con stranieri ma dato che, come già detto, il ius civile era riservato ai cives, era
necessario un diritto differente: fu così istituito il Ius Gentium, il diritto dei popoli, un diritto non scritto
formatosi dalla prassi (quando un romano vendeva a uno straniero utilizzava lo ius che normalmente si
utilizzava per quel negotio, ogni popolo aveva il proprio diritto ma in comune c’era il ius gentium). Le
norme giuridiche, i contratti e tutto il resto fanno parte del ius civile.
Dopo il 242, Roma inizia la sua espansione e gli stranieri delle province si recano all’urbe. C’è dunque
necessità di gestire i rapporti con essi. Iniziano continui e normali scambi tra romani e stranieri all’interno
dello stato. Per risolvere tale problema si istituisce un nuovo magistrato: il pretore peregrino che deve
occuparsi dei rapporti giuridici tra romani e stranieri e tra due stranieri che vivono nello stato romano, ma
anche di creare un nuovo diritto nazionale utilizzabile. Il ius gentium infatti non era adatto poiché
extranazionale e derivante da una prassi. Prima esisteva il pretore urbano che si occupava dei rapporti
giuridici tra due romani ma che non era più abbastanza dato l’arrivo di stranieri. Nasce dunque il Ius
Honorarium (da honos: onore ovvero carica del magistrato, i magistrati e i pretori svolgevano la carica
gratuitamente). Il pretore peregrino inizia così a mettere il ius honorarium in forma scritta (tutti gli ius
precedenti non erano scritti) nell’ Editto del Pretore Peregrino (242), eletto ogni anno, che veniva esposto
al foro per l’anno della carica su tavole di legno. Al cambio del pretore, il nuovo poteva modificare l’editto
del precedente a suo piacimento e per questo rimaneva sempre aggiornato e innovato grazie all’aggiunta
delle novità necessarie.
I Romani tra loro utilizzavano il ius civile, diritto non scritto che si basava sulla consuetudine: un
comportamento protratto nel tempo così a lungo da esser considerato norma giuridica. Un diritto basato sulla
consuetudine ha bisogno di molto tempo per essere aggiornato e dunque il ius honorarium risultò molto più
aggiornato del ius civile. Da qui nasce l’esigenza che anche i romani debbano usare lo ius honorarium, così
anche il pretore urbano, in età classica, inizia a pubblicare il suo Editto del Pretore Urbano prendendo a
modello l’editto del pretore peregrino. Così facendo i romani hanno due diritti alternativi (civile, non scritto
e honorarium, scritto). Un’innovazione introdotta dal pretore urbano nello ius honorarium, dopo un certo
tempo, attraverso la consuetudine, veniva assorbita nel ius civile. Il ius honorarium serviva ad “Adiuvandi,
Supplendi, Corrigendi Iuris Civilis Gratia” (Aiutare, Supplire, Correggere), non era che un mezzo esterno
che permetteva allo ius civile di svilupparsi. L’editto del pretore urbano cambiava ogni anno, si parla di
edictum tralaticium, che si tramanda e al quale si applicano le modifiche necessarie. Dal 130 d.c. siamo in
età classica, l’età del principato. Gli imperatori non videro mai di buon occhio le cariche di pretori e
magistrati così da voler prender loro il controllo dello sviluppo del diritto privato, pertanto nel 130
l’imperatore Adriano stabilisce che l’editto deve essere completamente cristallizzato (cristallizzazione
dell’editto) e questo compito venne affidato al giurista Salvio Giuliano che decise di fissare lo ius
honorarium, senza più aggiornamenti ma senza eliminarlo. Questa è la fine del ius honorarium, si ha dunque
un editto fissato in maniera definitiva: edictum perpetuum. Il ius honorarium è fissato e lentamente il ius
civile lo fagociterà completamente e non si può dunque più sviluppare. In età post-classica torniamo come in
età arcaica ad un codice non più aggiornato.

Fonti di produzione del ius


Parlare di quegli atti o fatti da cui le norme scaturiscono. Da dove vengono le norme del ius?

Età arcaica
La prima fonte sono i mores maiorum, le consuetudini (comportamenti protratti nel tempo così a lungo da
essere considerati norme). Tutto il ius era consuetudine.
Esiste un’altra fonte quasi di completamento ai mores, le leges regiae (leggi dei re), quantitativamente poche
(parliamo di un diritto non scritto), scritte dai re in età regia.
Interpretatio pontificum o giurisprudenza pontificale. I pontefici erano un collegio di sacerdoti che avevano
il monopolio della conoscenza del ius civile, dunque l’unico modo per conoscere il ius era rivolgersi a questi
ultimi. Rappresentano una fonte perché, nell’esercitare la loro funzione di interpretazione dei mores, i
pontefici talvolta, senza dichiararlo espressamente, creavano delle nuove norme attraverso tecniche di
interpretazione che prendevano i mores e li allargavano a comprendere fattispecie nuove non incluse
precedentemente. I pontefici erano tutti patrizi (plebei-patrizi nella Roma arcaica), in età regia soltanto i
patrizi partecipavano all’attività politica della città. I plebei erano esclusi, non potevano rivestire le cariche di
pontefici. Questa divisione sociale creava difficolta nel diritto civile, ad esempio nella risoluzione di
problemi giuridici tra patrizi e plebei. In un contesto come quello della Roma arcaica, i pontefici tendevano a
dare responsi favorevoli alla parte patrizia ma non a quella plebea, e potevano farlo poiché il diritto era non
scritto. La parte plebea era dunque profondamente svantaggiata, mancava la certezza del diritto, ovvero la
possibilità per ogni cittadino di poter consultare la legge.Questa contrapposizione tra plebei e patrizi permase
per tutta la durata dell’età regia e continuò nell’età repubblicana perché i plebei volevano arrivare alle
magistrature, allo stesso tempo avveniva anche lo scontro per arrivare a conoscere il ius in modo certo. Nel
451/450 abbiamo le leggi delle XII tavole: prima redazione scritta dei principali mores. Viene nominato un
collegio di 10 membri (i decemviri) incaricato di redigere in forma scritta i principali mores, sono tutti
patrizi, l’anno successivo si cambia e forse sono entrati nel collegio 3 plebei per redigere le successive 2
tavole. Per 2 anni fu sospesa la magistratura del consolato che poi tornò in vigore. Le XII tavole erano forse
in bronzo, forse in legno, ed andarono perdute nel 387 a.C. durante l’incendio causato dai Galli proveniente
dalle Marche (La città fu salvata dalle oche del Campidoglio). Ci sono giunti dei versetti, non sappiamo
quanti ne abbiamo in percentuale, e sono stati tramandati dagli scrittori (Palingenesi delle XII tavole).
Leggi comiziali, compaiono dal IV secolo le prime. Sono degli atti normativi che vengono approvati dai
comizi centuriati e dai comizi tributi (riunioni del popolo in età repubblicana) in cui il popolo approvava le
leggi proposte dai magistrati. Le leggi comiziali riguardavano il diritto pubblico piuttosto che quello privato,
infatti solo alcune se ne occupavano. Nei comizi c’erano tutti i cittadini ma il voto di ogni cittadino non
aveva lo stesso peso, infatti, il voto dei più ricchi valeva più di quello dei più poveri quindi i patrizi avevano
sempre e comunque la maggioranza seppure in minoranza.
Il 287/286 a.C. è l’anno in cui i plebei riuscirono ad imporre ai patrizi il fatto che anch’essi potevano creare
leggi vincolanti per l’intera popolazione. Prima di ciò si riunivano tutti i plebei nei concili della plebe e
creavano leggi valide solamente per loro. Ma nel 287/286 avviene l’equiparazione dei diritti plebei ai diritti
comiziali, si decise con il Plebi scita, attraverso l’emanazione della lex Hortensia.

Età classica
Le leggi e i plebisciti rimasero anche in età repubblicana ma nacquero delle fonti nuove. Scompare la
interpretatio pontificum, ma intorno al 300 a.C. c’è una violazione del tempio dei pontefici, queste persone si
impadroniscono dei libri dove i pontefici lasciavano i loro responsi e li pubblicano integrando altre norme.
Questi uomini che pubblicarono i libri del ius sono definiti giuristi, che si dedicano allo studio del ius per
cultura, studiare il diritto per renderlo noto per iscritto ai cittadini. Questi nuovi giuristi, che sono dei laici,
hanno privato i pontefici del loro monopolio e si dedicano ad aiutare i cittadini nell’interpretazione del ius
dando un responso scritto e motivato, pubblicavano libri con raccolte di responsi. Questa pratica fu detta
Interpretatio prudentium o giurisprudenza laica: qui nasce la giurisprudenza. Pubblicavano responsi o
trattati sul ius civile, opere non correlate ai responsi singoli, ma un trattato vero e proprio. I giuristi davano
responsi, il giudice tendeva a seguire il responso del giurista (i giudici erano dei privati cittadini, non
professionisti, che seguivano i giuristi, in particolare i responsi di quelli più autorevoli). Qui avviene anche la
laicizzazione della giurisprudenza. Il merito principale della giurisprudenza laica è di aver creato
un’interpretazione del ius tenendo conto anche della ratio di una norma, svilupparono quella che si chiama
l’interpretazione analogica per cui una norma può essere applicata anche a un caso diverso da quello per cui
è stata pensata. Così anche i giuristi crearono un nuovo diritto. Nell’età dell’Impero a partire da Augusto in
poi abbiamo i giuristi più importanti (in particolare nell’età dei Severi). Nell’età Augustea nacquero le due
scuole più importanti di giuristi: Labeone e Capitone ne sono i capostipiti. Labeone ebbe un allievo,
Proculo e da qui il nome della scuola, i Proculiani. Capitone ebbe come allievo Sabino e nacque la scuola
dei Sabiniani. In queste due scuole si portava avanti lo sviluppo del ius civile. Nel II sec. ricordiamo come
giuristi importanti Gaio e Salvio Giuliano. Dell’età dei Severi ricordiamo Paolo, Papiniano e Ulpiano,
autori di opere che saranno poi alla base del digesto di Giustiniano. In età imperiale c’è più controllo della
giurisprudenza e gli imperatori si contrappongono alla leggi comiziali che non esisteranno più, danno ad
alcuni giuristi una sorta di patente, il ius rispondendi che gli permetteva di dare responsi forniti dell’autorità
imperiale, erano quindi considerati più importanti. Giurisprudenza nell’antica Roma indicava l’opera dei
iurisprudentes.

Nel 235 muore Alessandro Severo e inizia un periodo di crisi costituzionale a Roma, chiamato periodo
dell’anarchia Militare (235/284), anno della salita al trono di Diocleziano. Questo è un cinquantennio in cui
si susseguirono colpi di stato di generali l’uno all’altro.
Siamo in età postclassica e si ricorda un solo giurista particolarmente brillante, Modestino: dopo di lui non se
ne ebbero di tale livello. Si continuano ad usare le opere della vecchia giurisprudenza classica, non si creano
più opere rilevanti. Addirittura con una impostazione quasi meccanica bisogna consultare le opere della
giurisprudenza classica perché nell’anno 426 l’imperatore Valentiniano III emanò la legge delle citazioni,
ovvero che si potevano citare le opere solo di 5 giuristi: Gaio, Paolo, Papiniano, Ulpiano e Modestino, che
erano dunque da considerarsi fonti del diritto. Si va incontro ad una grande semplificazione, non si riesce più
a maneggiare tutte le opere provenienti dall’età classica. Se i giuristi dicevano cose diverse, data la presenza
di più scuole di pensiero, si parlava di diritto romano giurisprudenziale classico che era detto controverso.
Nell’età post classica i giudici non sono più in grado di orientarsi così Valentiniano cerca di dare indicazione
e decise di far seguire l’opinione della maggioranza. Le nuove fonti del diritto diventano:
• Editti dei magistrati (ius honorarium) si crea questo nuovo sistema di norme, sistema che termina nel 130
d.C.
• Senatoconsulti, delle leggi approvate dal Senati dall’inizio dell’Impero, a metà dell’età classica
• Costituzioni Imperiali, espressione dell’imperatore in prima persona, emanate dall’imperatore stesso
Senatoconsulti e Costituzioni Imperiali sono nuove fonti del diritto, vanno a sostituire le leggi comiziali e i
plebi siti poichè essendo espressione della repubblica non sono più ammessi, con l’imperatore il popolo non
si riunisce più.

Età postclassica
Dopo la crisi che segue la morte di Alessandro Severo ci sarà l’anarchia militare. In età postclassica non ci
sono più grandi giuristi e gli operatori del diritto faticano a orientarsi fra tutte le fonti di produzioni del
diritto: esse erano infatti molto numerose, esistevano molte costituzioni imperiali e molti senatoconsulti. La
giurisprudenza classica si era mostrata in numerose opere e conteneva materiali casistici che venivano
esaminati e ai quali si dava l’assoluzione. Chi voleva consultare i casi, doveva cercare in numerosi libri. Il
diritto giurisprudenziale classico era diritto controverso, per il quale differenti giuristi davano soluzioni
diverse. Nell’età postclassica non esistono più i giuristi che producono nuove opere e si va incontro ad una
semplificazione, creando raccolte chiamate Collezioni di Leges e iura:
• le leges sono selezioni di costituzioni imperiale, realizzate da privati o dagli imperatori. La prima nel 438
d.C. creata da Teodosio II fu la prima ufficiale, chiamata Codice Teodosiano. In questa raccolta si stabilisce
che tutte le costituzioni escluse da questo Codice smettono di essere valide e vengono perciò abrogate.
• Alcuni privati si occupano di raccogliere casi, in collezioni chiamate iura; vere e proprie antologie di casi
selezionati dalle opere della giurisprudenza classica.
Anche la legge delle citazioni di Valentiniano III impone una semplicazione.

Regni Barbarici
A partire dal V secolo d.C., a seguito delle invasioni dei popoli barbari, si hanno vaste regioni occupate dai
questi ultimi appena arrivati. Questi regni hanno una popolazione mista, barbarica e romana e a capo di ci
sono re barbari: i romani diventano quindi sudditi dei governanti barbarici. Non si può imporre il diritto
barbaro ai romani così come non si può applicare quello romano ai sudditi barbari. Si ha quindi il principio
della personalità del diritto: le due componenti, barbarica e romana, seguono ognuna il proprio diritto. I
sovrani barbari desiderano però controllare il modo in cui i romani vivono: abbiamo quindi una nuova fonte
del diritto, presente nei regni barbarici, chiamata Leggi romano-barbariche: sono raccolte essenziali di
leggi romane realizzate dai sovrani barbari a uso della componente romana dei loro regni. Le leggi romano-
barbariche diventano allora il diritto romano rispettato dalla componente romana in territorio barbarico. Sono
giunte a noi due leggi romano-barbariche una dei Burgundi e una dei Visigoti.

Corpus Iuris Civili (Compilazione Giustinianea): insieme di leges e iura composto da Triboniano, che
costituisce commissioni che si occupano ciascuna di una parte.
Il digesto è una raccolta di iura, ovvero insieme di passi dei giuristi classici. I 2000 libri a cui il digesto è
ispirato sono di fattura classica. Raccolta prevalentemente di casi, ma anche di commento al ius civile. I
passi dei giuristi inseriti nel digesto si chiamano frammenti. Il digesto è la prima compilazione ufficiale di
iura e dispone che da allora in poi gli iura sono solo quelli raccolti nel digesto. Non si possono citare raccolte
risalenti all’età classica ma solo il digesto. Dal 533, pubblicazione del digesto, si smise di copiare e
trasmettere le opere della giurisprudenza classica, a causa del divieto giustinianeo.
Codex, compilazione ufficiale di leges. Il codex è del 534 (la prima del 528). Mentre il digesto è totalmente
nuovo, il codex ha già un precedente nel Codice Teodosiano. Tutte le leges non inserito nel codex sono da
ritenersi non valide.
Istituzioni (4 libri) destinate all’insegnamento nel primo anno. Opera ispirata al manuale di Gaio chiamata
“Istituzioni”.
Novelle (costituzioni imperiali) pubblicate dal 534. Tutte quelle precedenti al 534 sono pubblicate nel
codice.

Fonti di cognizione del ius


Si parla di fonti di cognizione anche per il diritto positivo, attraverso la Gazzetta Ufficiale.
Le diverse fonti sono:
• Epigrafi: iscrizioni su materiale durevole, giunta a noi. Testi di legge scritti su bronzo. Sono materiali
originali dell’epoca, non contaminati da nulla.
• Papiri, ovvero fogli ricavati dal tronco del papiro, coltivato in Egitto. Erano usati per stendere atti tra privati
e anche nella Pubblica Amministrazione. I papiri giunti sono stati ritrovati sotto la sabbia.
• Tradizione manoscritta, meno affidabile ma la maggiore per quantità di materiali. Si fa riferimento a opere
copiate dagli amanuensi durante il Medioevo.
• Fonti non giuridiche o letterarie: opere di scrittori come Cicerone, Livio o Quintiliano. In queste opere
citavano in qualche punto una specifica norma romana. Esistono molti dubbi sulle fonti letterarie.
• Fonti giuridiche, redatte da giuristi e giunte attraverso il Corpus Iuris.
Una copia delle Istituzioni di Gaio è stata scoperta nel 1816, da uno studioso tedesco chiamato Barthold
Niebuhr. La pergamena ritrovata era un palinsesto, ovvero una pelle di bovino usata due volte. La scrittura
sovrastante riportava i salmi di San Girolamo. La prima scrittura era la scrittura integrale delle Istituzioni di
Gaio.
Persone, Famiglia e Matrimonio
La persona è il soggetto di diritto, ovvero come il destinatario delle norme. Esiste una distinzione fra persona
fisica e giuridica: la seconda è una creazione artificiale, una entità che l’ordinamento riconosce come
soggetto di diritto benché non sia una persona fisica (per esempio le società).
I romani non avevano però questo concetto.
Alla persona fisica vengono riconosciute due capacità:
• Giuridica: capacità di essere soggetti di diritti e di obblighi. Per esempio la proprietà.
• Di agire: capacità di disporre dei propri diritti, ovvero capacità di compiere atti validi per l’ordinamento
giuridico. Per esempio stipulare un contratto.
Tutti hanno la capacità giuridica.
I maggiorenni e coloro che sono in grado di intendere e volere hanno invece la capacità di agire.
A Roma non tutti avevano la capacità giuridica.
Teoria dei tre status:
• Status libertatis: in base a questo le persone si dividevano in liberi o schiavi. I liberi si dividevano in:
• Ingenui, ovvero nati liberi
• Liberti, ovvero coloro che erano stati schiavi ma avevano conseguito la libertà
• Status civitatis: in base a questo i liberi possono essere cittadini romani o stranieri.
• Status familiae: per i romani si verificava che fossero soggetti:
• Sui Iuris: persona di proprio diritto, ovvero persona indipendente.
• Alieni Iuris: persona di diritto altrui, ovvero persona dipendenti da un capo.
Il padre (sui iuris) è pater familias, ovvero è un padre che a sua volta non ha un padre e che lo è diventato a
sua volta. Alla morte del pater tutti i figli diventano sui iuris. Il capo è quello da cui si discende.
Pater familias: maschio e sui iuris.
I figli maschi sono allora pater familias. La figlia femmina è invece donna sui iuris.
La capacità giuridica dipendeva dai tre status, in quanto nel diritto romano avevano capacità giuridica solo
chi aveva la pienezza dei tre status, ovvero liberi, cittadini romani, sui iuris.
Avevano la capacità di agire i maschi puberi (al raggiungimento della maturità sessuale, ovvero con la
comparsa di peli nella zona puberale, verificata attraverso la inspectio corporis)
Labeone propone di fissare un’età fissa, ovvero 14 anni per i maschi e 12 anni per le donne (per queste
ultime per il matrimonio) per essere capaci di intendere e volere.

Capacità di agire di diritto pubblico:


• Liberi
• Cittadini
• Maschi
• Adulti (17 anni). La maggiore età per il diritto di voto era sempre stata fissa a 17 anni. Con la stessa età si
poteva entrare nell’esercito. Nei Comizi Centuriati (il più importanti) erano armati.
• Sani di mente
Poteri del paterfamilias (o mancipium, ovvero il complesso dei poteri del pater):
• Patria potestas: ovvero il potere che il padre aveva sui figli e sui nipoti (da nonno paterno).
• Manus: potere che il paterfamilias aveva sulla moglie sua e dei sui figli
• Dominica Potestas: potere sugli schiavi. Era potestas in quanto potere sulle persone, “Dominica” che deriva
da dominium, ovvero sottolineava la natura dello schiavo come una cosa. Erano al contempo cose e persone.
• Dominium ex iure quiritium: Dominio, proprietà secondo il diritto dei quiriti, ovvero i romani.
La donna sui iuris aveva la Dominica Potestas e il Dominium ex iure quiritium.

Status libertatis
In base a questo status i romani dividevano le persone il liberi e schiavi.
• In età arcaica gli schiavi erano pochi. Roma era infatti un piccolo borgo di pastori. Qui gli schiavi erano
una discreta fonte di valore economico.
Le fonti di schiavitù:
• Catture in guerra: nella fase arcaica gli schiavi erano pochi perché erano poche le guerre combattute.
• Nascita da madre schiava.
Se un figlio nasceva da due persone sposate, il figlio seguiva lo status del padre al momento del
concepimento.
Se invece nasceva da una donna non sposata, seguiva lo status della madre al momento della nascita.
Se un figlio nasceva dal matrimonio, per il diritto romano esisteva una presunzione per cui il marito era il
padre del figlio. In altre parole, se c’è matrimonio l’ordinamento rintraccia il padre.
Se la donna non è sposata, il diritto non riesce a dettare in termini oggettivi chi è il padre.
Gli schiavi non potevano contrarre matrimonio, ne tra di loro ne fra liberi e schiavi. Una donna schiava che
partoriva non era sposata.
• Vendita trans Tiberim: romani diventavano schiavi in Patria.
I. Infrequens: ovvero colui che rifiutava l’arruolamento militare
II. Incensus: colui che non si faceva censire al censimento (usato per determinare i tributi)
III. Il debitore insolvente, ovvero colui che aveva contratto debiti con qualche concittadino. In quanto fallito
veniva ridotto in schiavitù dai suoi creditori.
In realtà una regola sosteneva che nessun romano poteva essere tenuto schiavo in patria. Pertanto un romano
diventato schiavo non poteva restare a Roma. Lo schiavo romano doveva essere venduto trans Tiberim,
ovvero agli Etruschi, al di là del Tevere.
Poteva accadere che i romani schiavi all’estero venissero liberati. Acquistavano allora la libertà e la
cittadinanza. Questo processo veniva chiamato postliminium (da post - limes). Egli riacquistava tutti i diritti
persi. Non riacquistava però tre cose:
I. Matrimonio: finiva il matrimonio di prima ma poteva risposarsi
II. Possesso (non è la proprietà), ovvero un potere sulle cose indipendente dalla proprietà
III. Patria potestas sui figli
Gli schiavi erano cose, non erano soggetti di diritto, non erano persone ma oggetti di diritto. Gli schiavi non
aveva capacità giuridica (es. non avevano un patrimonio) ma avevano non la piena capacità di agire (ovvero
chi ha anche la capacità giuridica) ma potevano essere incaricati, se maschi, puberi e sani di mente, dal pater
per compiere atti sul patrimonio dello stesso pater (es. vendita di un cavallo). Gli schiavi avevano quindi una
limitata capacità di agire (ovvero non hanno capacità giuridica). Anche i figli, sottoposti al pater, se maschi,
puberi e sani di mente, avevano limitata capacità di agire. Il pater poteva far lavorare, uccidere, vendere e
liberare gli schiavi. Poteva anche accadere che ci fosse incertezza giuridica sullo status di una persona. Come
poteva accadere il contrario, ovvero di uno schiavo che viveva da libero, dopo essere scappato dal pater. Il
padrone poteva intentare causa contro questo schiavo e farla ricondurre allo status di schiavitù (processo di
libertà). La persona, il cui stato era contestato, aveva bisogno di qualcuno che lo rappresentasse. La persona
di cui si dibatteva era oggetto e non soggetto del processo, non era quindi parte processuale. Quel qualcuno
che doveva rappresentarlo era chiamato adsertor libertatis. Se un uomo viveva da libero e qualcuno diceva
che in realtà era schiavo, egli doveva dotarsi di un adsertor libertatis. Il padrone doveva citare in giudizio
l’adsertor libertatis davanti al pretore.
Quest’ultimo rinviava le parti davanti ai giudici:
• Da libero a schiavo: i giudici errano decemviri stlitibus iudicandis (erano magistrati di basso rango,
stavano al di sotto dei questori)
• Da schiavo a libero: il pretore le mandava ad altri giudici, 5 o 7 privati cittadini da lui nominati, chiamati
recuperatores. Lo schiavo, in questo modo, recuperava la libertà.
Il processo era bifasico, la prima parte si svolgeva davanti al pretore, la seconda davanti ai giudici.
Il padrone poteva liberare il proprio schiavo con atti chiamati manomissioni (civili). Erano tre e avevano una
caratteristica comune. Esse conferivano contestualmente la libertà e la cittadinanza. Lo schiavo liberato con
manomissione civile acquisiva libertà e cittadinanza.
• Manumissio testamento: il paterfamilias libertà lo schiavo nel suo testamento. Aveva effetto soltanto dopo
la morte del pater. Il testamento era inizialmente orale fatto davanti al Comizi Curiati.
• Manumissio censu: fa riferimento al censimento, compiuto dai censori ogni 5 anni. Censivano le persone e
serviva a stabilire a inserirli nelle classi di reddito per il pagamento delle imposte. Il padrone poteva
chiedere l’iscrizione dello schiavo nelle liste del censimento. In tal modo diventava uomo libero.
• Manumissio vindicta (finto processo di libertà). Applicazione del vero processo di libertà ma finto. Il pater
doveva trovare un amico che fungesse da adsertor libertatis e lo citasse in giudizio davanti al pretore,
sostenendo che quest’uomo era in realtà libero. Il padrone, convenuto in giudizio, non si oppone. A questo
punto, il pretore non mandava le parti dai recuperatores. Il processo quindi terminava con la proclamazione
della vittoria al adsertor libertatis. Il pretore toccava quindi lo schiavo con una bacchetta, chiamata
vindicta, e lo rendeva libero.

Età classica: gli schiavi diventano qui molto numerosi perché Roma ha cominciato una grande espansione.
Affluiscono schiavi da ogni parte, anche terre lontane. Ci sono ricchi latifondisti che avevano anche migliaia
di schiavi.
Le fonti della schiavitù rimangono le stesse. Per il favor libertatis, si stabilisce che se una donna è libera o al
momento del concepimento o al momento della nascita allora il figlio è libero.
L’avere una moltitudine di schiavi, fa sì che molti pater liberano schiavi. Le manomissioni sono allora molto
più frequenti. Si sviluppano nuove manomissioni, chiamate informali (rispetto a quelle civili, più
complicate).
Manomissioni informali:
• Inter amicos: tra gli amici come testimoni, il padrone libera lo schiavo
• Per epistulam: il padrone scriveva una lettera allo schiavo per liberarlo
• Per mensam: il padrone invitava a mangiare con i familiari lo schiavo che diventava libero.
• In ecclesia, solo con il diffondersi del cristianesimo.
Queste manomissioni non venivano contemplate dal ius civile.

Manomissioni informali (non riconosciute dal Ius Civile)


• Inter amico
• Per epistulam
• Per mensam
Non avevano potere giuridico, quindi gli schiavi liberati in maniera informale non diventavano cittadini e il
padrone poteva ripensarci data la mancanza di rilevanza giudiziaria. C’era una situazione di incertezza
aggravata dal grande numero di scavi liberati in maniera informale.
Problema: Morantes il Libertate, persone che si trovavano in uno stato di fatto di libertà, non in uno stato
giuridico di libertà. Questa situazione di incertezza richiedeva di essere regolata.
I sec a.C. - Vennero riconosciute da un pretore come Manomiss. Pretorie, manomissioni regolate dal Ius
Honorarium. Nuovo tipo valido e riconosciuto dall’ordinamento romano. Il pretore dispose attraverso l’editto
che queste manomissioni erano irrevocabili, lo schiavo era definitivamente liberato. (Denegatio Actionis)
Il pretore non si occupò di stabilire nulla in merito allo status civitatis dei liberti. Quelli manomessi con
manomissione civile avevano la cittadinanza romana, quelli informali che cittadinanza avevano? Erano in
una condizione di apolidia. Questa situazione venne poi regolamentata con la Lex Iunia Norbana (19 d.C)
sotto Tiberio. Si tratta di una legge comiziale (una delle ultime) che stabilì la condizione dei manomessi in
maniera informale - erano Latini Iuniani (non erano Romani, ma Latini). (Iuniani perché regolamentati dalla
Lex Iunia). Era una condizione particolare: non avevano diritti politici, erano esclusi dalla città, erano liberi
ma non entravano nel corpo dei cittadini. Vivunt ut liberi, moriuntur ut servi, questa era la loro condizione,
vivevano da liberi ma morivano da schiavi: non potevano fare testamento e al momento della morte la loro
eredità non si trasmetteva ai figli, tornavano fittiziamente alla condizione prima della manomissione. Tutta la
sua eredità andava al padrone, il Lex Padrone, il Patrono (colui che libera uno schiavo). Rapporto schiavo-
padrone era rapporto di Patronato. Per i latini iuniani l’eredità andava al patrono, per i manomessi civili
andava ai figli o legittima successione, solo in caso di assenza di eredi naturali andava al patrono. Il rapporto
di patronato restava per certi versi anche dopo la manomissione.

Limiti alle manomissioni civili


Moda della manomissione in età augustea 27-14, Augusto sviluppa una politica demografica, voleva che
aumentassero i cittadini romani (matrimonio+figli) per nascita, non per manomissione. Voleva che si
mettessero dei limiti alle manomissioni civili poiché i liberti non erano più quelli dell’età arcaica, tutti
originari di luoghi limitrofi a Roma, conoscevano la cultura romana, stessa lingua, stesso olimpo, stesso
diritto, si integravano perfettamente. I liberti di età augustea venivano invece da luoghi lontani ed erano
profondamente diversi dai romani, venivano dalle periferie (nord-africa, Spagna, vicino oriente, Europa
orientale), non conoscono la cultura e il diritto, non sono della stessa etnia e tutto ciò era visto come un
connotato molto negativo. Di qui l’approvazione in età augustea di leggi limitatrici delle manomissioni civili:
Lex Fufia Caninia (2 a.C.- Fufio e Caninio) e Lex Aelia Sentia (4 d.C.). Queste leggi limitava le
manomissioni civili, non pretorie! Le pretorie infatti non creavano problemi, i liberati latini non vivevano
neppure nella città di Roma e dunque non necessitavano di leggi limitatrici. Erano delle leggi comiziali.
Lex Fufia Caninia: limita le manomissioni testamentarie. Mette proporzione tra gli schiavi che uno ha e
quelli che può manomettere. Se uno ha 2-10 schiavi può liberarle la metà, se uno ne ha 100-500 può
liberarne 1/5 (un quinto). Questa legge era una Lex Perfecta, legge che prevedeva la sanzione della nullità
per gli atti compiuti in violazione di quanto previsto.
Lex Aelia Sentia (4 d.C.). Perchè la manomissione fosse valida il padrone (dominus) doveva avere almeno
20 anni e lo schiavo (servus) almeno 30 anni. Questa era una Lex Imperfecta, non prevedeva la nullità ma
prevedeva un effetto diverso da quello normale, cioè che i manomessi in violazione della legge fossero liberi
ma non ottenessero la cittadinanza romana, sarebbero dunque diventati Latini Aeliani.
Al contempo, in età classica, si dettano anche leggi per migliorare la condizione degli schiavi:
• Non può abbandonarlo
• Non può ucciderlo
• Divieto di farli combattere
• Divieto di prostituzione
Quando c’è una famiglia di fatto di schiavi (per contubernium, non matrimonio) non era possibile separarla,
si devono vendere insieme
Si rafforza la componente umana, inizia a venir meno la loro condizione di res.
In età classica avvengono 2 fatti che modificano la schiavitù: terminano le conquiste di Roma, non conquista
più nulla e quindi non c’è più afflusso di nuovi schiavi a Roma e arriva una nuova religione: il cristianesimo.
Tale religione si diffonde di fatto nell’Impero Romano dal IV secolo con Costantino. Il cristianesimo diceva
che si è tutti uguali e dunque appena i padroni si convertivano liberavano i propri schiavi, non potevano
tenerli. Si arriva dunque al punto in cui non ci sono più schiavi a Roma e si fa difficoltà a trovare la
manodopera. Si inizia dunque a ricorrere a persone libere che iniziano a lavorare ma con salario, manodopera
salariata. Coloro che lavoravano salariati nei latifondi acquistavano una nuova condizione, quella di coloni
ed erano considerati inseparabili dalla terra che coltivavano, non possono essere venduti separatamente dalla
terra, diventavano appendici della terra. La paga era stabilita centralmente dall’imperatore. Era una
condizione ereditaria, madre colona padre non colono figlio colono. Una volta finito il Colonato (tardo-
antico) non bastava la manomissione, occorreva che venisse loro donata la terra sulla quale lavoravano,
difficilmente realizzabile. Più tardi sarebbero potuti essere liberati se investiti da una certa carica
ecclesiastica della chiesa cristiana. Accade poi che i grandi latifondisti continuavano a mantenere i loro
coloni (servi terrae in lat. medievale) e con l’avvento del feudalesimo diventano i servi della gleba.

Status Civitatis
Si distinguevano in cittadini romani e stranieri. Si era cittadini romani per nascita da coppia di romani o per
nascita da donna romana o per manomissioni civili o ancora con concessioni (o a intere città, a interi popoli o
a singoli individui). I cittadini romani avevano dei diritti in più: il voto, partecipazione alla vita politica,
potevano fare appello al popolo in seguito a condanne (provocatio ad populum), gli alleati non avevano
beneficio dalle guerre di conquista combattute a fianco dei romani.

Principali momenti di concessione della cittadinanza romana


90 a.C. Lex Iulia de civitate: cittadinanza a tutta l’Italia (dovevano prestate gli eserciti a Roma e non
ricevevano nulla indietro - Guerra Sociale per ottenere la cittadinanza, gli Italici ottennero la cittadinanza)
212 d.C. Editto di Caracalla (o Constitutio Antoniana de civitate): cittadinanza a tutto l’impero. Era una
costituzione imperiale e dunque costituiva una fonte del diritto.

I Latini
Diverse categorie di latini:
• Prisci (Lega latina, 493-338 a.C.), erano i primi abitanti del Lazio. Romani e latini ebbero da sempre
rapporti e fin dalla sua età arcaica detenne l’egemonia della zona. In questo contesto Roma riconobbe agli
altri latini la condizione di stranieri privilegiati che avevano privilegi rispetto ad altri stranieri. Con questi
latini Roma creò una lega, la Lega latina, che prevedeva che Romani e Latini si dessero aiuto nelle guerre
di conquista (che faceva solo Roma) e di difesa. Nel 338 scoppia la guerra latina, Roma vince e tratta
differentemente i latini. Dopo il 338 questi latini Prisci (i primi-prius) diminuiscono molto.
• Coloniarii, quando esisteva, la lega latina (V e IV sec.) fondava colonie in Italia a scopo di espansione,
controllo del territorio e popolamento. Queste colonie erano fondate in collaborazione tra Romani e Latini
e si chiamavano colonie latine e gli abitanti si chiamavano coloni latini. In queste colonie ci sono sia coloni
latini che romani, quelli romani perdevano la cittadinanza romana e diventavano latini coloniarii. Con la
fine della lega latina Roma va avanti da sola a creare colonie latine. Andavano perché ottenevano terre ma
perdevano la cittadinanza. I Romani non fondavano solo colonie latine ma anche romane, le prime in cui le
persone che andavano diventavano latine, le seconde dove andavano solo romani che non perdevano la
cittadinanza. Colonie latine per popolamento, circa 6000 persone, le colonie romane (circa 300 famiglie)
avevano lo scopo di difesa militare.
• Iuniani, coloro che erano manomessi con manumissione pretoria e dunque rimanevano latini
• Aeliani, manomessi in violazione della Lex Aelia Sentia.

Quali erano i diritti dei Latini?


• Ius migrandi (prisci e coloniarii), diritto di trasferirsi a Roma diventando cittadini romani. La legge
prevedeva che i coloniarii avevano il diritto di lasciare la colonia ma doveva lasciare un erede (figlio) nella
colonia.
• Ius suffragi (prisci e coloniarii) diritto di voto nei comizi quando si trovavano a Roma. Tutti i latini
votavano in una sola centuria e dunque il loro voto era ininfluente.
• Ius conubii (prisci e coloniarii) diritto di sposare romani o romane
• Ius commercii (prisci, coloniarii, Iuniani e Aeliani) diritto di fare la mancipatio, la capacità di partecipare
agli istituti del ius civile, non completamente ma in buona parte. Potevano fare i processi civili senza il
bisogno di essere assistiti da un romano.
La mancipatio è il negozio giuridico più importante del ius civile romano, quello che serviva ad acquistare la
proprietà delle Res màncipi: le cose con maggiore valore economico e sociale nel quadro dell’economia della
Roma arcaica, un piccolo borgo di pastori e agricoltori.
Res mancipa:
• Terre in suolo italico
• Schiavi
• Animali da tiro e da soma, buoi che tiravano l’aratro e gli animali cui si poteva portare in groppa il peso:
cavalli, asini, muli
• Servitù prediali rustiche: es. diritto di passare attraverso il fondo del vicino, erano considerate molto
importanti dalla società romana arcaica.

La mancipatio: svolgimento
C’era il venditore (mancipio dans) e c’era l’acquirente (mancipio accìpiens) nel suo mancipium. Poi c’era
colui che teneva la bilancia (libripens) per pesare i lingotti di bronzo. Anche con l’introduzione delle monete,
senza libripens, la mancipatio sarebbe stata considerata nulla. Nelle donazioni si metteva sulla bilancia si
metteva simbolicamente un piccolo pezzo di bronzo (radunculum). In più occorrevano 5 testimoni che
dovevano essere cittadini romani, uomini e puberi che dovevano testimoniare che una res mancipi passava di
mano, servivano per dare pubblicità all’atto.

Res màncipi, tutto ciò che non era màncipi si chiamava Res nec màncipi.
Res màncipi si trasferiva con la mancipatio e con un altro negozio, in iure cessio. La in iure cessio è un finto
processo di proprietà che trasferiva la proprietà. Azione di rivendita della proprietà (rei vindicatio). E’ un
finto processo che finge una rei vindicatio, fatto a scopo del trasferimento di una proprietà, che avveniva
davanti ad un pretore.
Per le res nec màncipi il trasferimento della proprietà avveniva in due modi: c’è la traditio che consisteva
nella consegna di una cosa all’altro in cambio di un prezzo o quando avveniva una donazione. Si dice che la
traditio è un negozio causale, se fatta a scopo di vendita o donazione. Era un negozio di Ius Civile e Ius
Gentium Oltre la traditio si utilizzava che la in iure cessio che si svolgeva allo stesso modo.

Status familiae
La struttura della famiglia prevedeva un pater, che era sui iuris, e i figli, che erano alieni iuris. Poniamo il
caso che i figli appartenenti alla famiglia siano tre. Alla morte del pater si avevano tre eredi.
La famiglia si definisce familia proprio iure, ovvero la famiglia in cui si ha un soggetto sui iuris ed
eventualmente i suoi sottoposti. Alla morte del pater, quante familiae proprio iure? Per la proprietà transitiva
avremo così tre familiae proprio iure. Se la donna si sposa, va a suggellarsi al marito e la familia proprio iure
si estingue. La donna sui iuris viene definita da Gaio: “caput et fini”. Se il marito muore, lei diventerà sui
iuris. Se una donna senza essere sposata genera un figlio, il figlio è sottoposto alla propria patria potestas: è
un soggetto sui iuris, nasce pater familias.

Tutte le familiae proprio iure, che in origine erano assoggettate a un solo pater, costituiscono la familia
communi iure. Per quanto riguarda la parentela vi era la adgnatio e la cognatio.
• Adgnatio: era la parentela che aveva rilevanza per il diritto; esistevano due tipi di agnazione:
• in linea retta: legava un ascendente a un discendente ed ogni passaggio generazionale rappresentava un
grado.
Esempio: il padre e i figli di primo grado, padre e nipoti in secondo grado e così via.
• in linea collaterale: lega persone che discendono da uno stesso pater, allora abbiamo i due fratelli. I gradi
in questo caso vengono calcolati salendo al più vicino capostipite comune e si discende al grado
successivo. Ogni passaggio rappresenta un grado.
Esempio: due fratelli sono agnati in secondo grado.
Per l’agnazione il massimo grado è il sesto, poiché è il limite massimo della parentela. Dopo la morte del
pater, i familiari continuano ad essere agnati. Tutti gli agnati costituivano una grande famiglia. L’agnazione
si trasmette per linea maschile. Quando una donna si sposava, rompeva il legame agnatizio, cioè usciva
dalla famiglia proprio iure e andava a sottoporsi alla manus di suo marito. Il figlio diventava agnato della
famiglia di lui. Il padre trasmetteva l’agnazione ai suoi figli naturali. L’agnato prossimo era quello più
vicino.

Cognatio: non aveva rilevanza per il diritto. Era la parentela di sangue, che si trasmette come la intendiamo
noi oggi. Esiste una cognatio in linea retta e in linea collaterale.
Quando una donna si sposava, avveniva la rottura del legame agnatizio. In tal modo, usciva dalla famiglia
proprio iure alla quale apparteneva e andava a sottoporsi alla manus del marito. Diventava agnata di suo
marito. L’eventuale figlio generato dalla donna sposata diventava agnato non della famiglia di lei, ma della
famiglia di lui. L’adgnatio si trasmetteva in linea paterna. La donna era agnata di tutti, ma non trasmetteva
questo vincolo al figlio. Nel caso in cui una donna non sposata partorisse un figlio, il pargolo sarebbe stato
agnato di nessuno. Talvolta la cognatio e la adgnatio coincidevano, in altri casi però no.

Patria potestas
Nella familia proprio iure il padre aveva potere sia sui figli che sui nipoti. Essa comprendeva quattro poteri
principali:
• Accettare o esporre i figli: potere in origine illimitato ma risulta dalle fonti che il potere era illimitato.
Infatti, una lex regia stabilì che il pater potesse abbandonare soltanto le figlie femmine successive alla
prima. Se avesse abbandonato maschi o la prima femmine sarebbe andato incontro a sanzione. Qual è la
ragione? La ratio. Roma era una civitas auscesens. Allora i maschi servivano alla civitas per il ruolo che
avrebbero avuto da grandi. Non si poteva pensare che il padre abbandonasse tutte le femmine, quindi ecco
che abbiamo l’obbligo per i padri di tenere la prima figlia femmina.
• Diritto di vita e di morte sui propri figli: potere non illimitato. Precisamente si potevano uccidere i figli
maschi, qualora avessero attentato alla costituzione. In questo caso il pater non era solo un pater, ma
un’autorità investita dal potere di uccidere un cittadino che minacciava la società. In questo modo andava a
colmare un vuoto. Per le femmine è differente. In questo caso il padre poteva uccidere le proprie figlie
qualora avessero perduto la pudicizia senza essere sposate. Era considerato un disonore e il pater aveva il
potere, il diritto di uccidere le figlie femmine.
• Scegliere il coniuge dei propri figli e figlie: si dice che nel diritto romano non si sposavano in due ma in
quattro. Occorreva il consenso sia dei due nubendi che dei patres. I matrimoni romani erano combinati
dalle famiglie.
• Ius vendendi: diritto di vendere i propri figli. Il pater poteva vendere i figli e le figlie, perché aveva
bisogno di soldi. I figli quindi erano considerati merce. Si vendevano attraverso la mancipatio. Si poteva
acquistare come una persona in mancipio. Non diventava suo figlio, perché la patria potestas continuava ad
esistere. Si dice che genericamente si trovava nel suo mancipium. L’acquirente acquistava il figlio altrui,
ma poteva anche liberarla. In quest’ultimo caso, il figlio manimesso dall’acquirente tornava sotto la patria
potestas del padre, il quale avrebbe potuto venderlo ancora. Poteva rivenderlo più volte. Poteva accadere
che un pater avesse dei debiti con un altro pater. Poteva infatti avere un accordo -> figlio lavorava finchè il
debito non fosse saldato e poi il pater ritornava dal suo pater. Questo accadeva perché non vi era
manodopera. Tuttavia, nelle XII tavole era prevista una norma che diceva: “Si pater filium ter vendum duit,
filius a parte liber esto.” Questo è un limite alla vendita illimitata del figlio. Alla terza vendita, veniva
estinta la patria potestas. Restava quindi da capire dopo quante vendite venivano liberate le figlie femmine.
La norma parla di filius, quindi non specifica la situazione delle figlie. La giurisprudenza pontificale
interpretò questa norma e, visto che parlava solo di figli maschi, la norma non comprendeva le figlie
femmine. In realtà i pontefici dissero che per le figlie femmine bastava solo una vendita per estinguere la
patria potestas.

Modalità di acquisto della patria potestas


Il pater acquistava la patria potestas alla nascita dal matrimonio, purché fossero trascorsi sette mersi
dall’inizio del matrimonio o fossero trascorsi non oltre i dieci mesi dalla donna divorziata. Il figlio veniva
cresciuto dal padre. Si poteva acquistare per adozione. Due tipi di adozione: abrogatio e adoptio.
• Abrogatio: adozione di un pater da parte di un altro pater. Il pater adottato perdeva lo stato di sui iuris e
diventava alieni iuris. Cosa faceva fare a un pater di farsi adottare? L’adottante doveva aver compiuto 60
anni e inoltre doveva essere senza figli. Serviva a dare una discendenza all’adottante. Quando moriva il
pater 1, il pater 2 diventava sui iuris. Gli atti di abrogatio si svolgevano dinnanzi i comizi curati. Essi si
occupavano di alcuni atti di diritto privato (= abrogatio e testamento). Un uomo senza figli avrebbe scelto i
suoi eredi con il testamento. La differenza tra abrogatio e testamento è che la prima è immediata e avviene
in vita, la seconda comportava l’estinzione di una familia proprio iure. Era un atto che riteneva una certa
pubblicità.
• Adoptio: era l’adozione di un figlio altrui da parte di un pater. Qui non occorreva che l’adottante fosse
senza figli, ma bastava che fosse pubere. Egli doveva essere più anziano dell’adottato, che poteva essere
pubere o impubere. L’adoptio comportava che il figlio adottato uscisse e rompesse il legame d’origine con
la sua famiglia di origine. Si estingueva la patria potestas del pater e ricostituirsi quella del nuovo pater.
Come si estingueva la patria potestas? Bisognava vendere per tre volte il figlio. L’adoptio si costituiva di
un meccanismo complesso che comprendeva la perdita della patria potestas del pater 1 e la costituzione di
quella di pater 2. Si faceva una prima mancipatio. Pater 1 faceva una prima manomissione. L’atto
continuava, perché si faceva una seconda mancipatio e pater 1 faceva una seconda manomissione. Allora
pater 2 faceva la terza mancipatio, in tal modo perdeva la patria potestas. Non era ancora acquisita la patria
potestas dal pater 1. Infine, si parla di in iure cessio, ovvero un finto processo di proprietà. L’adoptio si
componeva di due fasi: 1) TRIPLICE MANCIPATIO + DUPLICE MANUMISSIO; 2) IN IURE CESSIO
(finto processo). A questo punto la adoptio era completata. In questo caso, la adgnatio e la cognatio non
coincidono.

Come si estingueva la patria potestas?


• La morte del pater
• La vendita del figlio per tre volte
• La schiavitù: caduta del padre o del figlio in schiavitù.
• Mutamento di cittadinanza (pater o filius)
• Emancipazione (emancipatio) del figlio cioè la liberazione volontaria da parte di un pater del figlio e lo
rendeva soggetto sui iuris. Un pater ha due figli e ne vuole emancipare uno. Solo attraverso tre vendite
poteva estinguere la patria potestas. È un atto che non può compiere da solo, ma ha bisogno di un vero
amico. Quest’ultimo lo aiuterà a fare la prima vendita, una prima mancipatio. Pater 1 acquista il figlio
come persona in mancipio. Pater 1 lo respinge (manumissio). Il pater 2 lo vende nuovamente (pater 1 fa
un’altra mancipatio). Pater 2 vende nuovamente il figlio e cade la patria potestas. Pater 1 potrebbe vendere
per una terza volta il figlio, che quindi diventerebbe sui iuris, ma fa una remancipatio. Solo a questo punto
pater 2, che ritrova il figlio come persona in mancipio, procederà alla manomissione finale, quindi il figlio
viene manomesso. Quindi si compone di 2 fasi: 1) TRIPLICE MANCIPATIO + DUPLICE
MANUMISSIO + REMANCIPATIO; 2) MANUMISSIO DEL PATER.
Il pater che voleva emancipare un figlio voleva mantenere un rapporto che si chiamava rapporto di
patronato. Il pater aveva su suo figlio manomesso delle pretese. Il padre che vuole emancipare il figlio
deve essere un vero amico. In questo caso il pater 2 si metteva d'accordo con il pater 1 per poter mantenere
il rapporto di patronato

Capitis deminutio
In correlazione con i tre stati abbiamo tre capitis deminutio:
• Maxima: perdita dello status libertatis;
• Media: perdita dello status civitatis, quindi la persona cambiava la cittadinanza;
• Minima: vi erano tre casi differenti:
• caso dell’abrogatio.
• un soggetto sui iuris che diventa alieni iuris.
Esempio: quando una donna sui iuris si sposa, da sui iuris diventa alieni iuris.
• caso della emancipatio: figlio 1 emancipato dal padre. Benché da alieni iuris diventi sui iuris, egli è
escluso dalla famiglia. Va a perdere il legame agnatizio.

Teoria della tensione: i figli nutrivano in generale un certo risentimento per la condizione nella quale si
trovavano in base alle norme del diritto romano. Al contempo i padri avevano paura che i figli li uccidessero.
Questo indusse i romani ad inventare una pena particolarmente cruenta e spettacolare per punire chi avesse
ucciso i padri. La pena veniva chiamata poena cullei: si inserivano i figli all’interno di un sacco di pelle con
un cane, un gallo, una vipera e una scimmia. Il sacco veniva attaccato ad un bue nero e doveva attraversare la
città di Roma. Dopodiché doveva essere buttato nel Tevere, al fine di essere scaricato nel mare ed evitare il
contatto con la terra. Non si sa precisamente da dove venissero prese le scimmie.
Richard Saller ha fatto uno studio sull’età a cui i romani si sposavano. Egli ha constatato che in Età classica i
romani maschi si sposavano non all’età della pubertà, ma attorno al 30 anni. Le donne invece intorno ai 20.
L’età media del tempo era attorno ai 50 anni. Se i romani cominciavano a filiare a 30 anni, i padri non
vedevano mai i figli sposati. Il modello della famiglia patriarcale quindi viene messo in discussione.
Cantarella sostiene che la teoria della tensione non deve essere abbandonata, poiché ancora in età classica il
padre aveva diritto di vita e di morte sui figli, i figli non avevano capacità patrimoniale, e i padri dovevano
ancora prestare il consenso al matrimonio dei figli.
La limitata capacità di agire dei figli e degli schiavi
Avevano capacità di agire limitata solo i figli e gli schiavi puberi e sani di mente.
• Responsabilità per fatti di natura criminale: erano puniti con pene pubbliche inflitte dallo stato. I figli e gli
schiavi erano personalmente responsabili.
• Responsabilità di natura penale: atti che rientravano nello ius civile e costringevano il trasgressore a pagare
una pena pecuniaria. Erano:
• Furto
• Rapina
• Lesioni fisiche
• Danneggiamento delle cose altrui
Erano i quattro delitti previsti dallo ius civile e comportavano una pena pecuniaria (da cui il termine penale).
I figli e gli schiavi, non avendo un patrimonio, non ne rispondevano personalmente. Era quindi il pater a
rispondere, sempre: doveva pagare la pena con il proprio patrimonio.Tuttavia, poiché le pene potevano
essere elevate, il pater poteva non pagare la pena. Talvolta la pena era superiore al valore stesso dello schiavo
che commetteva il delitto, ed era quindi prevista la possibilità che il pater si sottraesse consegnando con
mancipatio il figlio o lo schiavo al soggetto leso. Questo è il principio della nossalità (da noxa=danno).
• Responsabilità civile: es. un figlio sperperava un prestito richiesto alla banca per un’attività
imprenditoriale, nel gioco. Il banchiere, dopo essere andato dal figlio, che non deteneva alcun patrimonio,
andava dal pater.
• La regola generale, nell’età arcaica, sosteneva che le obbligazioni contratte con i figli erano obbligazioni
naturali, ovvero particolari obbligazioni per cui se il pater non voleva pagare non poteva essere citato in
giudizio o condannato. Se voleva pagava, e una volta che avesse pagato però non avrebbe potuto più
richiedere il pagamento (si dice ripetere il pagamento). Le obbligazioni naturali sono contrapposte a quelle
civili, nelle quali il debitore è costretto a pagare. Il figlio, per pagare il debito contratto, avevano quindi
esigenza di entrare in possesso del patrimonio e procedevano al parricidio.
• Alla fine dell’età repubblicana, con i mores, la regola è cambiata. Le obbligazioni contratte dai figli sono
obbligazioni civili, ma il vincolo non era esecutivo finchè fosse esistita la patria potestas. Finché il padre
era vivo l’obbligazione sussisteva ma non era esecutiva. L’obbligazione sarebbe diventata civile una volta
che il pater fosse morto. Il figlio avrebbe ereditato e il creditore avrebbe potuto citarlo in giudizio. In
questo modo i padri credevano di essersi messi al sicuro dai parricidi. C’erano però creditori che non
aspettavano e volevano subito il denaro prestato. Un caso famoso vide un figlio che aveva contratto un
debito e i debitori pressavano per vedere indietro il debito. Egli uccise il padre. Si svolse nel 70 d.C.. Il
figlio si chiamava Macedone. Il fatto destò sconcerto e dovette intervenire il Senato, che aveva il potere di
emanare atti normativi. Venne emanato il “Senato Consulto Macedoniano”: si disponeva che venisse
ripristinata la disciplina precedente.
Per i redditi di natura non penale esisteva la possibilità che fosse il padre ad incaricare il figlio o lo schiavo
ad agire per lui. Si aveva quindi una regola particolare. In questi casi il pater era responsabile: si parla di
responsabilità adiettizia (da aggiungere). La responsabilità del pater si aggiungeva a quella del figlio o dello
schiavo. Non è propriamente corretto dire che si aggiunge, poiché quella del padre è l’unica responsabilità.
Essa sorgerva in due casi:
• Quando il pater aveva preposto lo schiavo o il figlio ad eseguire una specifica attività. Si dice con
praepositio. Il pater metteva a capo di una certa attività un figlio o uno schiavo. Succedeva che lo schiavo
fosse messo a capo di un’impresa. Il creditore avrebbe quindi potuto citare in giudizio il pater. Il creditore
che avesse contratto un credito con uno schiavo o un figlio avrebbe potuto appellarsi ad una delle seguenti
azioni:
• Actio exercitoria: crediti venutisi a creare con un’impresa marittima
• Actio institoria: riguardava l’impresa terrestre
Il pater era esposto ad una responsabilità illimitata, ovvero rispondeva con tutto il patrimonio ai debiti
contratti dal figlio o dallo schiavo.
• Quando il padre dava al figlio o allo schiavo assegnava un patrimonio per l’esercizio di un’impresa o altri
scopi, si dice preculium. In questo caso la responsabilità limitata. Avveniva quando il pater assegnava al
figlio o allo schiavo un peculium, ovvero un insieme di beni o denaro che il pater, se voleva, poteva
assegnare al figlio o allo schiavo per varie ragioni. Al figlio poteva darlo anche per ragioni personali (ad
esempio avere un po’ di autonomia). Agli schiavi e ai figli poteva essere affidato invece per svolgere
un’attività imprenditoriale. Nel peculio si inserivano beni o denaro che erano impresa. I peculio potevano
essere:
• Peculium profeticium: era quello normale, affidato dal padre allo schiavo o al figlio. C’era denaro o beni,
immobili e mobili. Era amministrato dal figlio o dallo schiavo ma non era di loro proprietà, ma restava di
proprietà del pater, il quale poteva anche revocarlo.
• Peculium castrense: deriva da castra, ovvero acccampamento militare. Era il peculio nel quale
confluivano i compensi che i figli ricevevano per l’attività militare, da quando i soldati cominciarono ad
essere pagati, attorno al 100 a.C. La proprietà rimaneva comunque del pater. La peculiarità è che il figlio
ne poteva disporre solo per testamento.
• Peculium quasi castrense: quando nell’impero si sviluppò la burocrazia imperiale, cioè
un’organizzazione alle dipendenze dello Stato. Erano stipendiati e i loro proventi finivano in questo
peculio.
Quando uno schiavo o un figlio avevano un peculio, l’azione da intraprendere in caso di debiti contratti era
l’actio de peculio: il padre risponde per i debiti contratti dal figlio o dallo schiavo. Il creditore intentava
un’actio de peculio quando figlio e schiavo avevano ricevuto dal padre un peculio. Faceva sorgere una
responabilità limitata, ovvvero il padre rispondeva entro i limiti del peculio. Il peculio si comportava come se
fosse un patrimonio seperato. Qualora fosse fallita l’impresa sarebbe fallito il patrimonio del peculio, ma non
avrebbe intaccato il patrimonio del pater. Si parla di responsabilità limitata. E di autonomia patrimoniale
perfetta: i debiti non contagiano il patrimonio personale del pater.
Quando i romani volevano limitare la responsabilità, seguivano la via dell’attribuzione del peculio allo
schiavo o al figlio.
Questa azione di attribuzione di un peculio era usata anche in imprese collettive, non solo individuali. La
particolarità interessante era che il peculio era usato anche quando più persone volevano gestire un’impresa.
I romani non avevano il modello di società. Essi acquistavano uno schiavo in comune, in comproprietà. Lo
compravano con mancipatio e i 6 padroni erano proprietari di 1/6 dello schiavo. Ognuno conferiva 1/6 del
peculio. Lo schiavo diventava quindi uno schiavo manager. Egli poteva a sua volta poteva conferire dei
sotto-peculi a schiavi che facevano parte del peculio. Dal peculio madre si potevano staccare sotto-peculi
affidati a schiavi vicari. Questi ultimi potevano essere amministratori di peculi. Se falliva il peculio dello
schiavo vicari, non andava ad intaccare quello madre. Se fosse fallito anche il peculio madre, questo non
avrebbe intaccato la proprietà privata dei sei imprenditori. Quando uno schiavo vicario contraeva
obbligazioni ne rispondevano i padroni, che potevano essere chiamato in giudizio con l’actio de peculio.
Dovevano però rispondere con il solo peculio versato allo schiavo vicario. Se questo sotto-peculio era
insufficiente, non ne risponde nessuno e fallisce l’impresa. I creditori si soddisfacevano con la vendita
dell’impresa stessa.

Matrimonio
Il matrimonio è un’unione fra due individui di sesso diverso. Storicamente, in particolare in riferimento ai
diritti dell’antichità, il matrimonio serviva a consentire alla coppia di avere figli legittimi. La differenza fra
figli legittimi e naturali (nati fuori dal matrimonio) era che i primi erano inseriti nella famiglia proprio iure. I
figli naturali invece non erano assoggettati alla patria potestas ne del padre, ne del padre della madre.
Fino a qualche anno fa questa distinzione era valida anche in italia. Esisteva l’art. 74 del C.C. Italiano che
faceva riferimento solamente ai figli legittimi. La legge n. 219 del 2012 introduce un importante elemento
riguardante i figli naturali: essi sono equiparati completamente con i figli legittimi (comparazione totale fra
filiazione legittima e naturale). Già con la riforma del diritto di famiglia del 1975 aveva abolito numerose
differenza fra figli legittimi e naturali. Per esempio, i figli naturali ereditavano dai genitori ma non dai
parenti dei genitori (per esempio dai nonni). Quando morivano i genitori, i figli legittimi potevano escludere
dalla eredità i figli naturali, liquidandoli con una somma di denaro.

Età arcaica
Nel diritto romano la situazione è quella che avevamo noi prima delle riforme. Il matrimonio si chiamava
iustae nuptiae, disciplinato dal ius civile.
Il matrimonio romano serviva per formare una famiglia. Serviva a regolare i rapporti economici e ad
includere i figli nati all’interno della coppia nella famiglia.
Il matrimonio si fondava su due elementi. Oggi invece è necessario un atto, un negozio giuridico, che
costituisce un matrimonio. Per il Concordato tra Stato e Chiesa Cattolica anche i ministri di culto sono
autorizzati a celebrare matrimoni che hanno valore per l’ordinamento giuridico.
Il matrimonio romano non si basava su un atto costitutivo iniziale. Perché il matrimonio esistesse servivano
due elementi:
• Coabitazione dei coniugi
• Affectio maritalis: era l’intenzione dei due coniugi di considerarsi marito e moglie.
Non esisteva alcun atto giuridico da compiere per stabilirne la validità. Il matrimonio romano era quindi
qualcosa di simile alla convivenza ma in più doveva avere l’intenzione di considerarsi marito e moglie (in
assenza di questa intenzione era concubinato).
Considerando l’età arcaica è necessario aggiungere che il matrimonio era sempre cum manu, ovvero
comportava che la moglie uscisse dalla sua famiglia d’origine ed entrasse nella famiglia del marito. Se il
marito era alieni iuris, il pater era il padre del marito. La donna non era più agnata della sua famiglia, ma
rimaneva cognata.Costituiva quindi un nuovo legame agnatizio con la famiglia del marito. Se la donna era
sui iuris andava comunque a sottoporsi al marito. La donna, fosse stata sui o alieni iuris, subiva comunque
una capitus deminuito minima.
Il matrimonio romano aveva quindi un effetto ben preciso, ovvero il passaggio della donna da una famiglia a
un’altra. Il passaggio avveniva attraverso un atto chiamato conventio in manum. Avveniva, solitamente, con
il compimento di due atti:
• Confarreatio: negozio giuridico con il quale la donna passava dalla famiglia originaria a quella del marito.
due nubendi dovevano recarsi innanzi a due sacerdoti, il Pontefice Massimo (capo del collegio che doveva
interpretare le norme), Flamen Dialis o Flamine, ovvero il supremo sacerdone di Giove. Dovevano inoltre
esserci 10 testimoni, cittadini romani e puberi. A questo punto i due nubendi si sedevano davanti ad un
altare, seduto su una seduta coperta da pelli di pecora, si stringevano la ano, compivano tre giri intorno
all’altare, la sposa possedeva un vestito tradizionale di colore rosso (chiamato flammeum). Dicevano
inoltre parole solenni. Si concludeva con un ultimo atto, ovvero con lo spezzare una focaccia di farro
(Giove farreo era appunto colui che proteggeva il farro).
• Coemptio: era un’applicazione della mancipatio, fatta a scopo dell’acquisto della manus. Il marito o il
padre del marito (se il marito era alieni iuris) con il pater della donna o, se la donna era alieni iuris, con un
tutore. L’acquisto non era della donna, ma della manus, ovvero del potere su di lei. Per l’interpretazione
pontificale del versetto delle XII tavole bastava una sola vendita per l’estinzione della patria potestas sulle
donne.
La confarreatio e la coemptio non sono gli atti costitutivi del matrimonio, ma sono atti che coincidevano con
l’inizio del matrimonio. Erano bensì atti che servivano a fare acquistare al marito o al padre del marito la
manus sulla donna. Il matrimonio era una cosa che coincideva con questi atti.

Manus (conventio in manum)


• Confarreatio, perlopiù utilizzato dai patrizi
• Coemptio, plebei
• Usus

Prova definitiva che il matrimonio non si basava sulla conventio in manum è che il matrimonio poteva
iniziare ancora prima si compissero confarreatio e coemptio, coabitando. Il matrimonio romano antico era
sempre cum manum e il marito dovesse acquistare la mano. L’acquisto della manus avveniva con l’usus,
sorta di uso capione, avveniva se non erano state fatte o invalidate le coemptio e confarreatio. Quindi il
matrimonio iniziava ma non era completo. L’usu capione è il possesso protratto nel tempo di una res, oggi si
compie in 10 (cose immobili) o 20 (cose mobili) anni. Un’applicazione speciale si chiamava usus e
riguardava la coabitazione dei due coniugi: dopo 1 anno di convivenza il coniuge compiva l’acquisto della
manus della coniuge. Uno studioso francese (Dumezill) ha detto che l’usus era il matrimonio dei guerrieri, la
coemptio dei contadini e la confarreatio dei ricchi.

Effetti della conventio in manum


La donna andava a sottoporsi al marito in una condizione di loco filie (figlia del marito dal punto di vista
della parentela giuridica) per il marito e condizione di (loco sororis) sorella per il figlio. Qui parliamo di
adgnatio e i coniugi non sono cognati. Per il suocero invece era nipote (loco

La dote, serviva a sostenere economicamente i due sposi ma aveva anche un’altra funzione: di compensare
parzialmente la donna dalla perdita dell’eredità del pater ma che non otteneva uscendo dal suo originale
nucleo. La donna era assoggettata al potere di un nuovo uomo.

L’ordinamento fissava che la donna potesse essere uccida se:


• La sposa avesse commesso adulterio flagrante (donna scoperta in un rapporto sessuale con un uomo
diverso da suo marito)
• Avesse bevuto del vino, ritenevano infatti che facesse abortire ma in realtà era perché l’ebbrezza avrebbe
tolto alla donna i freni inibitori e dunque avrebbe potuto commettere adulterio. (ius osculi-diritto di bacio
per verificare lo stato della donna)

Matrimonio vero e proprio che serviva a far nascere figli legittimi e poteva essere preceduto da un
fidanzamento (sponsalia) che fino all’età di Augusto potevano far nascere delle obbligazione economiche nei
confronti di chi non voleva sposarsi.

Presupposti per il matrimonio:


• I due fossero puberi (12 anni femmina e 14 maschio)
• Sanità mentale (se dopo il matrimonio sopraggiungeva insanità mentale il matrimonio rimaneva valido)
• Stato di libertà, gli schiavi non si sposavano ma costituivano famiglie di fatto che si chiamavano
contubernium
• Occorreva la cittadinanza o lo status di latini (prisci o coloniarii)
• Occorreva non ci fosse agnatio il linea retta o collaterale entro il quarto grado o cognatio.
• Fino al 445 occorreva che i due coniugi fossero della stessa classe sociale e ciò fu abolito con il plebiscito
Canuleio (445 a.C.) che diceva che potevano sposarsi persone di classi sociali diverse. Ciò permise un po’
di interazione tra le due classi che fino a quel momento erano rimaste completamente separate.
• Il consenso dei rispettivi patres poiché potevano opporsi al matrimonio dei figli. Serviva un vero e proprio
consenso di 4 persone: i due coniugi e i patres.

In età arcaica esisteva il divorzio ma non era possibile per volontà della donna poiché era una subordinata. Il
divorzio era possibile unicamente per volontà del marito, si parla di ripudio e lui poteva ripudiare la moglie,
poteva dirle Vade foras! Res tuas tibi habeto! Si poteva ripudiare senza giusta causa ma si incorreva in una
sanzione che era perdita del suo matrimonio: per metà andava alla donna e per metà veniva cofiscato dallo
stato.
Giuste cause:
• La donna avesse avvelenato la prole
• La donna avesse commesso adulterio non flagrante
• Sottratto le chiavi della cantina

Età classica
Novità a Roma, progressiva e crescente emancipazione femminile. Le donne aspirano a crescente libertà e
ciò le portò a iniziare a rifiutare il matrimonio cum manu. Si resero conto che al matrimonio il padre era già
vecchio e non avrebbe vissuto ancora molto e quindi persa la patria potestas non avrebbe preso l’eredità.
Restavano dunque nella patria potestas e non si voleva assoggettare al marito. Siamo all’origine del
matrimonio sine manu e i giuristi si inventano il trinoctium: la donna che si sposava non faceva né conf che
coemp. ma andava a convivere e la convivenza si interrompeva per 3 notti (la donna tornava da suo padre ,
dai fratelli) ogni anno e dopo i 3 giorni tornava dalla famiglia del marito. Questo alle origine, dopo infatti
non si faceva più, le donne alla morte dei loro padri diventano sui iuris e sposate e si arricchiscono, gli
uomini non volevano che le donne ostentassero.

Leggi sull’ostentazione del lusso:


• Lex Oppia (215 a.C.): legge suntuaria sul lusso, le donne non possono indossare più di mezza oncia d’oro:
gr. 1,16, fu abolita 20 anni dopo.
• Lex Voconia (169 a.C.): le donne non possono essere eredi da chi è in prima classe di censo. I romani
erano divisi in 5 classi di censo e le donne non potevano essere eredi per testamento della I classe ma
potevano prendere l’eredità paterna.

Matrimonio in età classica, si passa al m. sine manu a causa dell’emancipazione femminile. Dal 27 al 14 a.C.
troviamo l’età augustea dove abbiamo alcune importanti leggi in materia di matrimonio ed adulterio

Legislazione Augustea in materia di matrimonio


• Matrimonio
• Lex Iulia de maritandis ordinibus (18 a.C.)
• Lex Papia Poppaea (9 d.C.)
Con queste leggi voleva indurre le persone a generare più figli romani. Diceva che tutti gli uomini di eta
compresa tra i 25-60 anni e le donne tra i 20-50 dovevano sposarsi. Se non si sposavano erano chiamati
caelibes. I caelibes non potevano ricevere eredità. Coloro che si sposavano ma non avevano figli erano
chiamati orbi e questo comportava che si potesse acquisire solo la metà dell’eredità a loro indirizzata. Le
donne sposate sine manu che avessero generato 3 figli (se ingenue) o 4 figli (se liberte) erano esonerate dalla
tutela e andavano ad acquistare la capacità di agire e di essere esonerate dalla tutela (generalmente avevano
bisogno di un tutore).
• Adulterio
• Lex Iulia de adulteriis (18 a.C.)
Adulterio è nel mondo romano il comportamento della moglie che avesse rapporti sessuali con uomini oltre
il marito, questo valeva solo per la moglie poiché il marito era libero di avere rapporti con altre donne, era
perfettamente lecito. Un uomo non poteva avere rapporti con una donna sposata. Nel 18 a.C. Augusto
dispose che l’adulterio diventava un crimine e non doveva più essere gestito all’interno della famiglia,
diventava reato pubblico punito dallo stato. Augusto creò un apposito tribunale. La legge dispose che ogni
qual volta vi sia un adulterio, il marito e il padre della donna avevano l’obbligo di denunciare la donna (e
l’amante) al tribunale istituito da Augusto, altrimenti rischiavano essi stessi di essere portati in giudizio con
l’accusa di sfruttamento della prostituzione. Avevano 60 giorni di tempo, gli estranei avevano 4 mesi per
denunciare. Pena per i due amanti era la relegatio in insula su due isole diverse (una per la donna e una per
l’amante), era una pena pubblica e le donne adultere venivano generalmente mandate all’isola di Ventotene,
c’erano solo donne. La sfortuna di Augusto fu proprio che la figlia, Iulia, fu una delle prime ad essere
mandate sull’isola. Solo il pater conservava il diritto di uccidere gli amanti, doveva ucciderli per forza
entrambi, sia la figlia che l’amante, il marito invece non aveva più il diritto di uccidere (ius occidendi) la
moglie ma, se il tradimento era flagrante, poteva uccidere l’amante della moglie solo se quest’ultimo
apparteneva ad uno status sociale basso (come gli infami, per infamia non avevano più diritti politici). La
legge non fu apprezzata perché i romani erano abituati a gestire la situazione nel privato, renderla pubblica
creava disagio, ci furono molte riforme perché la tradizione era quella di uccidere le mogli. Nel II sec. d.C.
Antonino Pio dispose che il marito che avesse ucciso la moglie avrebbe subito una pena più lieve rispetto a
quella dell’omicidio (che era la condanna a morte), sarebbero stati condannati ai lavori a vita o alla relegatio
in insula rispetto alla loro condizione sociale. Dopo Antonino Pio ci furono Marco Aurelio e Commodo (suo
figlio) pena minore se non aveva i requisiti della lex Iulia, non morte ma esilio. Successivamente ci fu la lex
Romana dei Burgundi che disciplinava i Romani nel regno barbarico dei Burgundi e diceva che il marito
tradito poteva uccidere la moglie scoperta in flagrante purché colta nella casa matrimoniale. Giustiniano,
infine, legato al diritto classico, disposa con una novella (la novella 117) che il marito non poteva mai
uccidere la moglie (ristabilì la norma augustea) pero sull’amante si inventa una regola nuova cioè che si
poteva uccidere l’amante previe 3 diffide scritte. Questa norma fu oggetto di molte ironie. Omicidio per
causa d’onore era un tipo di omicidio disposto nel nostro codice penale (codice Rocco, 1942), non più in
vigore e diceva che la propria moglie, figlia, sorella e il complice di queste sarebbero incorsi in una pena che
era inferiore (dai 3 ai 5 anni) a quella del normale omicidio (non inferiore ad anni 21) perché la norma si
ricollegava alla tradizione romanistica.

Età postclassica (III sec. d.C.)


Influenzato dalla dottrina del Cristo che si inizia a diffondere dapprima come una stravaganza orientale e non
attecchì subito come religione (Nerone e la persecuzione). La diffusione inizia nel III sec. ed influenzò molto
il diritto privato. I cristiani credevano che il matrimonio andasse compiuto come un atto religioso,
manifestazione iniziale della volontà. Il divorzio era ormai possibile per volontà di entrambi i coniugi, la
donna era ormai parigrado del marito. Le giuste cause del divorzio erano: per il marito: l’adulterio della
moglie, condanna della moglie per avvelenamento, se la moglie fa la mezzana (gestisce un bordello); per la
moglie: se il marito la costringesse a prostituirsi, il marito condannato per omicidio e dall’età postclassica
anche se il marito avesse tenuto una concubina fissa in casa. Economicamente, nel divorzio, con giusta causa
il marito può tenersi la dote, invece, senza giusta causa, deve restituire la dote, idem per la moglie.

Persone sottoposte a tutela


Le persone sui iuris impuberi e anche le persone sui iuris donne erano sottoposti a tutela.
• Minori sui iuris (femmine fino a 12 anni, maschi fino a 14)
• Donne puberi sui iuris

Il tutore
• Tutore legittimo (adgnatus proximus)
• Testamentario (il pater poteva prevedere un tutore testamentario per i figli)
In età arcaica se qualcuno non aveva un agnato prossimo che altro non aveva un tutore ma era tutelato dalla
gens (famiglie che avevano in comune un lontano capostipite)
• Atiliano (da lex Atilia, III sec. a.C.) era nominato dal pretore per chi non avesse un tutore
Poteri del tutore: nell’eta arcaica il tutore aveva una proprieta funzionale, nell’età classica, invece, aveva per
gli infantes (coloro che non parlano, non può compiere atto giuridico) il potere di gestio del patrimonio
mentre, per l’infantia maiores (dai 7 anni in su) poteva fare l’auctoritas, gli atti compiuti dai inf.maior. erano
atti esistenti ma non validi perché incompleti dato che mancava la capacità di agire e potevano diventare
validi con l’approvazione del tutore e questa approvazione era chiamata auctoritas.

Tutela sulle donne (tutela muliebre)


Sulle donne puberi sui iuris il tutore non aveva la gestio ma la auctoritas, la donna poteva compiere atti da
sola ma il tutore doveva approvare i suoi atti. In età arcaica, quando cera solo il ius civile, le donne erano
considerate incapaci di agire ma quando si passò all’età classica abbiamo una novità, la comparsa del ius
honorarium, per il quale erano capaci di agire. In età classica si diffonde la prassi per la quale le donne
possono scegliersi il tutore al posto del tutore legittimo, Claudio abolì poi il tutore legittimo per le donne. Le
donne non sono private del controllo del patrimonio ma il tutore valicava i loro atti. Augusto esonerò dalla
tutela le donne con 3/4 figli (non avevano bisogno del tutore optivo). In età postclassica scompare
completamente la tutela sulle donne, addirittura si ha la madre possibile tutrice con approvazione imperiale.
Persone sottoposte a curatela (Cura), gli incapaci di intendere e di volere
Hanno un patrimonio ma non possono amministrarlo, erano i furiosi sui iuris (pazzi) e i pròdigi sui iuris
(affetti da prodigalità, coloro che non sanno amministrare il loro patrimonio). Queste due categorie
necessitavano di un aiuto. Era il pretore che stabiliva se qualcuno avesse o meno bisogno di un aiuto con un
provvedimento che si chiamava interdictio. La loro tutela era differente da quella destinata a impuberi e
donne, loro avevano un curatore che era in origine l’agnato prossimo poi un curatore di nomina pretoria.
Tutela e curatela dell’agnato prossimo erano potestative (queste persone avevano interesse anche personale
ad un’ottima gestione del patrimonio) , quelle di nomina pretoria invece erano protettive (avevano interesse
di gestir bene il patrimonio poiché avevano un incarico dato dal magistrato)

Lex laetoria de circumscriptione adulescentium


Introdotta nel III sec. per i maschi sui iuris di età tra i 14 e i 25 anni che per lo ius civile avevano capacità
giuridica e la capacità di agire. Nel corso del III sec. I romani iniziarono a dubitare che i ragazzi di 14 anni
fossero in grado di agire e fu approvata una legge sulla circonvenzione degli adolescenti ovvero sul raggiro.
La legge in origine riguardava un effettivo raggiro degli adolescenti che potevano fare in modo che l’atto da
loro compiuto non fosse vincolante. Interpretazione estensiva: i giovani potevano sempre tirarsi indietro da
qualsiasi atto o negozio che avessero compiuto anche se non vi era stato un vero e proprio raggiro. Questa
disciplina fu creata per i veri e propri raggiri ma poi permise agli adolescenti di pentirsi sempre. Potevano
farlo a meno che avessero compiuto l’atto assistiti da un curatore che prima di questa legge non era previsto.
Si disse dunque che queste persone compivano atti senza la presenza di un curatore avrebbero potuto
sottrarsi, anche se l’atto non era stato causato da un vero imbroglio.
Potevano: Restituitio in integrum
• Caso 1 - es. un 15enne che vende la propria casa al prezzo x, l’aveva consegnata e aveva incassato il
prezzo e il negozio era stato concluso. Se senza curatore avrebbe potuto ricorrere al pretore e chiedere un
atto, la restitutio in integrum, ovvero che avrebbe potuto sciogliere il contratto da lui concluso. La restitutio
avrebbe riportato il tutto al prima della conclusione del contratto di compravendita, lui poteva restituire i
soldi incassati e poteva farsi restituire casa come se l’atto non fosse stato eseguito. Periodo di scadenza era
un anno, attraverso il pretore siamo nel campo del ius honorarium.
• Caso 2 - Qualora il giovane si fosse accordato sulla compravendita della casa ma il contratto non fosse
ancora stato eseguito: il giovane possedeva ancora la casa, essendosi pentito dell’atto compiuto non
avrebbe dovuto fare nulla ma poteva accadere che il compratore lo chiamasse a giudizio per la mancata
esecuzione dell’atto per soddisfare se stesso. La legge tutelava il giovane con una difesa processuale per
opporsi, questo strumento offerto dal pretore si chiamava exceptio (difesa) legis Laetoriae in virtù della
quale poteva sottrarsi all’esecuzione. Così il giovane avrebbe mantenuto la proprietà della sua casa.
Il giovane poteva fare tutto ciò se senza la supervisione di un curatore, un uomo con più di 25 anni e scelto
dal giovane, avere un curatore non era obbligatorio. Benché il curatore non fosse obbligatorio era necessario,
i giovani erano capaci di agire ma con la possibilità di rescindere gli atti compiuti.
Il Processo
Procedimento che lo stato mette a disposizione dei cittadini per risolvere tra loro conflitti di interesse
intersoggettivi che siano tra loro sorti. Il processo consente alle parti di litigare in giudizio in modo che ci sia
una persona che stabilisca chi ha ragione e chi torto. Esistono due tipi di processo: civile e penale (che i
romani chiamavano criminale) con il quale l’ordinamento stabiliva chi avesse commesso reati pubblici puniti
dallo stato.
Il processo si basa sulla giurisdizione (iuris dictio che deriva da ius dicere, individuazione della norma
giuridica che serve a risolvere il caso.) Esistono due tipi di giurisdizione:
• Volontaria: organo giurisdizionale che applica le norme quando le parti chiedono di applicare la norma
come ad esempio la nomina del tutore, non c’è un processo e le parti non sono contrapposte.
• Contenziosa: quella che regola le liti, c’è processo che può essere penale o civile. (rexius o criminale).
La iuris dictio era esercitata dal Rex, in età arcaica abbiamo i consoli e dal 367 il pretore ha la giurisdizione,
siamo sempre in età arcaica ma quasi al suo termine.
Il processo civile si divide in:
• Processo civile di Cognizione, mira a stabilire se ha ragione l’attore (colui che agisce, chiede che il
convenuto sia condannato a fare qualcosa) o il convenuto (è stato chiamato, era chiamato reus). Si
stabilisce se il convenuto debba essere condannato o assolto. Può avere più gradi di giudizio (primo,
secondo e terzo) e all’ultimo si arriva alla sentenza definita: se il convenuto è assolto non accade nulla ma
se il convenuto è condannato, se fa tutto spontaneamente non accade nulla ma se non vuole farlo
autonomamente accade che l’attore deve iniziare un processo di esecuzione e l’esecuzione della sentenza
avviene attraverso procedure sorvegliate dall’organo giurisdizionale che sovrintenderà l’esecuzione.
• Processo civile di Esecuzione, non si va a vedere se la pretesa dell’attore era giustificata (ne bis in idem), si
era arrivati in sentenza definitiva, non è un appello (se vi è, è nel processo di cognizione). Verifica che sia
stata emessa una sentenza di cognizione ma senza esecuzione e si controlla che avvenga quest’ultima,
controllata dagli organi dello stato, in generale dall’organo che detiene la giurisdizione.

Processo di età arcaica (bifasico)


Per legis actiones (azioni della legge), esisteva un singolo grado di giudizio, non c’erano appelli nel processo
di cognizione e la sentenza era direttamente definitiva. Le leggi arcaiche seguivano le leggi delle XII tavole,
portatrici delle leggi dei mores e le azioni (actio) erano lo strumento che l’attore usava, infatti, per citare in
giudizio il convenuto, si chiamava con l’actio, strumento giuridico che ha a disposizione l’attore per
chiamare in giudizio il convenuto, dirgli cosa vuole da lui. L’azione delle legis actione è intesa come capacità
di chiamare in giudizio qualcuno, intesa diversamente dalla nostra azione, infatti si configurava come una
frase che doveva essere recitata davanti al magistrato dall’attore al convenuto, l’actio era un testo e a seconda
dello scopo che l’attore mirava a realizzare doveva utilizzare un determinata azione. Il convenuto se vuole si
difende altrimenti no, e se non si difende riconosce che l’attore ha ragione e perde eseguendo ciò che l’attore
vuole. Se non vuole abbiamo l’eccezione (exceptio), difesa che il convenuto contrappone all’attore. Abbiamo
più fasi:
• La fase in iure (certa verba, parole che si dovevano pronunciare in iure, davanti al magistrato). Finito ciò il
magistrato mandava le parti davanti al giudice che era un privato cittadino, non un professionista che
poteva essere scelto in accordo tra le parti o dal magistrato.
• La fase in iudicio (apud iudicem), le parti dovevano dimostrare di avere ragione e il giudice emanava
sentenza, la scelta era tutta del giudice, uomo incaricato dal magistrato.

Legis actiones di cognizione

Legis actio sacramento:


• In rem: serve a far valere in giudizio diritti reali (diritti assoluti, possono esser fatti valere verso
chiunque)
• In personam: serva a far valere in giudizio diritti di credito, lui mi è debitore di tot.
I)Vindicatio - II) Contravindicatio, I) io dico che questa cosa è mia secondo il diritto dei quiriti,
formula della legis actio sacramento. II) ridire la frase. La cosa in giudizio doveva essere presente.
Entrambe le parti dicevano la formula e a questo punto dovevano manum conserere e poi dovevano
passare al sacramento, un giuramento scommessa, cioè le parti dovevano giurare entrambe di avere
ragione ma al contempo dovevano versare al magistrato un quantitativo di animali che erano stabiliti in
base al valore della causa. C’era un valore di riferimento (10 buoi) e si doveva stabilire se l’oggetto
valesse meno di 10 buoi o di più. Così le parti dovevano depositare per il primo caso 5 pecore ciascuno,
per il secondo entrambi dovevano versare 5 buoi. Quando si passò alla moneta si avevano gli assi (50
assi < 1000 assi > 500 assi). A questo punto la causa poteva andare avanti. Il pretore aveva finito il suo
compito (fine fase in iure) e le parti venivano mandate davanti al giudice e nel frattempo l’oggetto
conteso veniva affidato a una delle due parti (possesso interinale) nell’attesa che si arrivasse a sentenza
(Generalmente era affidato a chi aveva più possibilità di vincere). La parte che vinceva il processo
accettava il bene conteso e poteva ritirare ciò che aveva depositato al momento del sacramento (animali
o assi), il perdente perdeva sia l’oggetto conteso che gli animali consegnati. Era dunque un processo
particolarmente oneroso. Il diritto antico era profondamente contaminato dalla religione, infatti gli
animali depositati nel sacramentum venivano offerte agli dei. La parte che aveva fatto il giuramento falso
perdeva la lite ma avrebbe dovuto perdere ciò che aveva depositato e dunque avrebbe dovuto sacrificare i
suoi animali per placare l’ira divina. La legis actio aveva un difetto secondo i romani poiché c’era
appunto la perdita di animali onerosa.
Consentire ai cittadini di litigare in giudizio evitando il sacramentum, si ha così il processo della
laicizzazione del diritto: Si crea una nuova legis actio di cognizione laica, la legis actio per iudicis arbitrive
postulationem (legis actio con la quale si chiede al magistrato la nomina di un giudice o arbitro). Questa
nuova legis actio non prevedeva un giuramento e dunque assicurava di evitare perdite ulteriori alla causa.
Questa legis actio è attestata già nelle XII tavole (451). Aveva un limite che la vecchia legis actio non aveva,
ovvero copriva solamente due tipi di liti, non era generale: era utilizzata per crediti nati da sponsio e per le
liti divisorie.
• Crediti da sponsio: la sponsio era uno dei più antichi contratti romani, era un contratto verbale con cui un
soggetto prometteva a un altro di fare o dare qualcosa, si perfezionava con una domanda e una risposta: il
creditore domandava Spondes? al debitore e il debitore rispondeva Spondeo, poi il contratto era concluso.
Poteva essere oggetto di sponsio sia prestazioni di dare e di fare, andava bene su qualsiasi oggetto. Siamo
nel campo delle liti in personam.
• Liti divisorie: erano e sono liti che possono sorgere tra comproprietari (es. caso degli schiavi in comune,
caso dei coeredi…) che non riescono a gestire beni in comune. In questi casi avviene un processo di lite
divisoria, le parti vanno davanti al magistrato e chiedono che lui risolva la divisione.
Per le liti riguardanti i crediti veniva nominato un giudice, per le liti divisorie veniva nominato un arbitro. Il
giudice era un qualunque privato cittadino, l’arbitro era sempre un privato cittadino ma doveva avere
specifiche competenze tecniche in base alla res che andava divisa (es. divisione del terreno -> cittadino che
se ne intendeva di agrimensura).
C’è poi una terza legis actio di cognizione, la legis actio per condictionem, introdotta nel III sec. a.C. e siamo
quindi all’inizio dell’età classica. Anch’essa era laica e specifica, non generale, copriva solo un piccolo
spettro di liti. Oggetto di questa legis actio erano le liti riguardanti liti di crediti di certa pecunia o crediti di
certa res.
• Certa pecunia: oggetto era una somma di denaro
• Certa res: una determinata cosa
Siamo nel campo delle liti in personam. Questi crediti potevano nascere da qualsiasi altra fonte e contratto,
non era limitativa come la legis actio per iudicis arbitrive postulationem. Con l’introduzione delle legis
actione numero 2 e 3 le parti potevano evitare il sacramentum, tuttavia restavano fuori alcune liti per le quali
queste legislationes non erano adatte come le liti in rem che dovevano essere ancora risolte con
sacramentum. Le parti che avessero voluto litigare su un diritto reale avrebbero dovuto continuare ad usare la
legis actio sacramentum in rem. Per ovviare a questo inconveniente fu inventato uno stratagemma che
consentiva ai cittadini di usare questi due legis actione anche per le liti in rem ovvero convertendola in una
lite in personam. Questo era possibile con l’agere in rem per sponsionem, inventato dai giuristi per poter
usare le legis actiones laiche. La conversione funzionava così: es. Tizio e Caio litigano sulla proprietà di
Stico lo schiavo, entrambe le parti vogliono evitare il sacramento e quindi si mettevano d’accordo e
compivano una sponsio pregiudiziale ovvero Tizio, che voleva citare Caio in giudizio, domandava a Caio
(sponsio condizionata): Prometti di darmi 25 sesterzi se lo schiavo è di mia proprietà? (Si homo de quo
agitur ex iure Quiritium meus est, sestertium xxv nummorum dare spondes?) . La sponsio era conclusa. C’era
un’obbligazione condizionata. Le parti erano d’accordo. 25 sesterzi erano una somma molto bassa, i soldi
non interessavano alle parti ma lo facevano per utilizzare la legis actio in personam. Le parti andavano
davanti al magistrato e si utilizzavano una delle due ultime legis actio laiche. Il giudice doveva stabilire se lo
schiavo era o meno di Tizio, la sentenza finale formalmente era sui 25 sesterzi ma sostanzialmente il giudice
andava a stabilire di chi era lo schiavo e quindi andava a stabilire la proprietà della res.

La sentenza stabiliva di chi era una cosa, dopo di che avveniva l’esecuzione. Il condannato doveva eseguire
la prestazione per la quale era stato condannato. Se eseguiva spontaneamente doveva farlo entro 30 giorni,
altrimenti avveniva il processo di esecuzione che non era biascio (non si andava davanti al giudice)
attraverso le legis actiones di esecuzione (non sono un appello, non si rivaluta il caso). Il magistrato si
occupava di verificare che ci fosse una sentenza non adempiuta e allora dava il via all’esecuzione.
Si svolgeva sulla persona, il vincitore andava dal condannato e se lui continuava a non eseguire la sentenza
esercitava nei suoi confronti la legis actio per manus iniectionem (manus iniectio, si utilizzava tra i privati),
cioè gli metteva le mani addosso, poteva utilizzare violenza, e se lo portava a casa e lo chiudeva in cantina,
doveva alimentarlo (dosi stabilite dalle XII tavole) e lo teneva li per 60 giorni. In questi 60 giorni doveva
esporlo 3 volte al mercato per dare modo ai parenti di pagare per lui o anche che qualcuno andasse a
sostituirsi a lui (vindex) e il valore della condanna sarebbe raddoppiato. Finiti i 60 giorni se nessuno aveva
pagato per lui il vincitore poteva soddisfarsi sul debitore insolvente e ridurlo in schiavitù. La regola impediva
che un romano fosse tenuto schiavo in patria e per questo il debitore insolvente era venduto trans tiberi
perché non poteva essere schiavo a Roma. Il creditore poteva anche ucciderlo, se i creditori erano più di uno
questi potevano ucciderlo e farlo a pezzi (partes secanto-tagliare a pezzi, scritto sulle XII tavole, in
particolare in base al credito dato ogni creditore si doveva prendere una percentuale del corpo pari al denaro
prestato).
C’era poi la legis actio per pignoris capionem (pignoris capio, era in uso per i creditori dello stato), erano
ovvero autorizzati a prendere i beni della civitas che erano custoditi nell’erario ed erano loro dati dai
questori. Era in uso per i pubblicani, coloro che riscuotevano le tasse, che non potevano usare la manus
iniectionem, avrebbero espropriato i debitori dei beni che servivano a coprire le tasse che dovevano pagare.

Processo in età classica


Questo nuovo tipo di processo compare nel 242 a.C. presso il tribunale del pretore peregrino. Gaio dice che
nel III sec. avviene la magna turba peregrinorum, grande afflusso di stranieri. Le legis actiones non erano
utilizzabili per gli stranieri perché si basavano su certa verba (parole solenni di un latino arcaico da dire in
giudizio) che gli stranieri non conoscevano. Perciò il Pretore peregrino inventò un nuovo processo: le parti
litiganti andavano davanti al pretore peregrino ed esponevano con parole loro qual era la materia del
contende ma bisognava creare il testo dell’azione che era redatto dal pretore peregrino con parole che lui
concepiva in quel momento, dette concepta verba (parole che erano in quel momento messe insieme) che
formavano la formula. Questo processo è detto formulare, più facile per le parti perché avevano minore
possibilità di errore davanti al magistrato data la mancanza di parole immutabili (bastava sbagliare una
parola e si perdeva la causa, i certa verba in odium venerunt). Nel 130 a.C. anche il pretore urbano iniziò a
consentire ai cittadini di usare il processo formulare attraverso la Lex Aebutia. Da questo momento è
possibile utilizzare il processo formulare anche per i cittadini romani che potevano scegliere cosa utilizzare.
Nel 17 a.C. nel periodo Augusteo abbiamo la lex Iulia iudiciorum privatorum che abolì le legis actiones e
rese obbligatorio per i romani il processo formulare. Col processo formulare abbiamo sempre le azioni che
però non sono più 3 ma molte di più. Le formule erano racchiuse nell’editto che era un elenco di formule,
dapprima nell’editto del pretore peregrino e dal 130 anche in quello del pretore urbano. Nell’editto trovano
spazio formule per nuovi contratti che nascono in età classica e non esistevano in età arcaica, ad esempio la
locazione che nasce nel III sec ed è recepito dal pretore urbano solo nel II, nascono quindi nuove
controversie e dunque, di conseguenza, nuove formule.
L’editto del pretore in che modo funzionava? Cosa conteneva? Non conteneva norme come i moderni codici
che prevede norme definitorie e dispositive. Nel diritto romano classico quando nasceva un nuovo istituto
nasceva attraverso l’editto che conteneva esclusivamente formule, mai norme di definizione, il pretore
scriveva nell’editto la formula necessaria per il determinato caso (es. formula locatore e formula conduttore).
Era la giurisprudenza a dare le definizioni.
Le formule erano tipiche perchè erano tipici sia i diritti reali che i diritti di credito, ai nostri tempi non esiste
la tipicità dei diritti di credito. A Roma non era ammesso che le parti si inventassero contratti atipici, infatti
non avevano formula e non sarebbero potuti esistere. Nel processo formulare la condanna poteva essere solo
pecuniaria, non esisteva quella che noi chiamiamo condanna in forma specifica come la prestazione di dare o
di fare una certa res. Si ipotizza che ciò fosse legato al fatto che il giudice fosse un privato cittadino e quindi
non avesse il diritto di condannare in forma specifica, ma non vi è nulla di certo. La condanna pecuniaria non
era basata sul semplice valore di mercato della res ma si stabiliva il prezzo in maniera soggettiva, chiedendo
all’attore che valore avesse per lui il res specifico. Il processo si concludeva con sentenza di assoluzione o
condanna del convenuto, ma non dell’attore. Si poteva concedere o meno la formula al convenuto. Il pretore
la concepiva al momento, scriveva su delle tavolette cerate (2 tavole di legno scavate con l’incavo riempito
di cera e unite da una cerniera) la formula che veniva concepita caso per caso. Scritta la formula le tavole
venivano chiuse con un sigillo per impedire che venissero manomesse e venivano consegnate all’attore che
le portava al giudice.
La formula conteneva alcune parti: ci troviamo nella fase in iure
Praescriptio pro reo/pro actore - Demonstratio (Posto che/Poichè) (quando c’era) - Intentio (Se è vero) -
Exceptio (Se non è vero) - Arbitratus de restituendo (A meno che non restituisca spontaneamente) -
Taxatio (Entro il limite di) - Fictio (Fingendo di) - Condemnatio (Lo condanno/Lo assolvo)
Intentio - Adiudicatio (processi divisori)
• Demonstratio, non era sempre presente nelle formule e precedeva la intentio, quando c’era, e serviva a
spiegare le ragioni dell’intentio (Caso della formula del deposito: Tizio ha depositato il cavallo, se è vero
che Caio deve dare il cavallo a Tizio, tu, giudice, condanna Caio a pagare a Tizio il valore economico del
cavallo altrimenti assolvilo.)
• Intentio, parte più importante della formula. Era quella parte che conteneva la pretesa dell’attore al
convenuto e veniva espressa in forma ipotetica. Iniziava con le parole latine “si parent” (se è vero che…)
• Condemnatio, era quella parte della formula con cui il pretore ordina al giudice di condannare o assolvere
il convenuto. "Se è vero quello che c’è nell’intentio condanna Caio, se non è vero assolvi Caio”.
• Exceptio, è la difesa del convenuto che si oppone alla pretesa dell’attore. E’ strutturata come una
condizione negativa che, se vera, è in grado di bloccare la intentio. La exceptio si collocava tra intentio e
condemnatio. Per avere condanna deve essere vera la intentio e falsa la exceptio.
• Arbitratus de restituendo, correttivi al problema della condanna esclusivamente pecuniaria. Tuttavia si
poteva mettere nella formula questa parte che prevedeva che la condanna avesse luogo a meno che il
convenuto non restituisse spontaneamente la res all’attore. Il pretore puo prevedere che il convenuto sia
condannato a meno che non restituisca la res. (Se è vero che Tizio ha depositato la res presso Caio, a meno
che Caio non restituisca la res spontaneamente, condanna Caio.) Anche questa parte era tra Exceptio e
Condemnatio.
• Taxatio, è un altro correttivo legato alla condanna pecuniaria. Il valore della res era stabilito
soggettivamente dall’attore e il pretore poteva mettere un limite all’ammontare della condanna pecuniaria
attraverso questa parte della formula che precedeva la condemnatio (Entro il limite di x sesterzi, tu giudice
condanna Caio)
• Fictio, (finzione) quella parte della formula con cui il pretore ordinava al giudice di fingere come esistente
nella realtà qualcosa che in realtà non esisteva, oppure che fosse accaduto qualcosa che nella realtà non era
accaduto oppure al contrario di fingere che non fosse accaduto qualcosa che in realtà era accaduto. Il
giudice era obbligato a fingere. (es. la capitis deminutio.)
• Praescriptio pro reo, parte che stava in testa alla formula prima della demonstratio, era una difesa
preliminare del convenuto, la exceptio era una difesa di fatto mentre questa era una prescrizione
preliminare che avrebbe impedito l’esame della causa, un’eccezione procedurale che il reo usava quando
riteneva che l’attore avesse impostato male la causa e quindi scelto la formula sbagliata. Se fondata
bloccava la causa e l’attore perdeva.
• Praescriptio pro actore, serviva a circoscrivere meglio la pretesa dell’attore e non sarebbe stato possibile
spiegare meglio nell’intentio
• Adiudicatio, parte che si aveva soltanto nei processi divisori, assegnazione in parti del bene che viene
divisori. Nei processi divisori la formula è composta solo da intentio ed adiudicatio.
+ Trasposizione dei soggetti (non fa parte della formula), meccanismo processuale per il quale nella intentio
è indicato il nome di una persona come colui che ha contratto il debito ma cambia il soggetto da intentio a
condemnatio (es. Caio ha il debito ma lo risana Sempronio). Avviene solitamente nelle azioni adietizzie,
ovvero quando il padre dava incarico al figlio o lo schiavo di fare quello che doveva fare lui.

Azioni significa parlare di formule dato che ogni azione aveva una formula e ogni formula aveva azioni.
Le azione erano numerose tanti quanti i diritti reali.

Classificazione delle azioni


Una prima è tra azioni civili e pretorie. Le prime si chiamavano anche in ius conceptae, servivano a tutelare
in giudizio diritti del ius civile, le seconde erano in qualche modo di creazione pretoria (aveva ruolo l’attività
del pretore). Le civili si dividevano in sudicia stricta e i di buona fede. Nel primo il giudice teneva conto dei
vizi, violenza e dolo della volontà dei soggetti solo se fatti valere dal convenuto per via di exceptio, nei
secondi il giudice poteva autonomamente tener conto di violenza e dolo anche se questo non era stato
espressamente dedotto dal convenuto in fase in iure. Le azioni pretorie si dividevano in utili e in factum. Le
seconde erano azioni la cui formula non riguardava diritti basati sul ius civile ma riguardava diritti nuovi che
erano stati riconosciuti dal pretore per la prima volta esclusivamente nell’ambito del ius honorarium. Man
mano che si entra nell’età classica nascono diritti nuovi che vengono dal pretore ed erano riconosciuti
inserendo formule nell’editto (es. locazione). Le prime erano perlopiù formule in ius modificate dal pretore e
dopo che avevano subito la modifica pretoria non erano più civili ma pretorie. Le utili erano di due tipi:
ficticiae e con trasposizione dei soggetti. Le prime contenevano una parte della formula, la fictio. La seconda
non era parte della formula, era solo una modifica dei soggetti, e quando era presente la formula civile
diventava pretoria.
• Azioni civili-pretorie
• Azioni in ius e in factum conceptae
• Iudicia stricta e iudicia di buona fede
• Azioni in rem e in personam; in rem servivano a far valere diritti reali e in personam per far valere in
giudizio diritti di credito
• Iudicia legitima e iudicia imperio continentia, la prima erano processi che si svolgevano a Roma tra due
parti litiganti di cittadinanza romana e con un giudice cittadino romano e avevano una durata massima di
18 mesi e trovavano regolamentazione nella legge ovvero nell’antico ordine romano, se mancava una di
queste condizioni allora il processo non era legittimo ed entrava nella categoria degli iudicia imperio
continentia; il secondo trovava giustificazione e dipendevano dall’imperium del magistrato, potevano
durare al massimo entro il periodo di durata dell’imperium di quel magistrato
• Azioni penali e reipersecutorie

Azioni Penali, erano le azioni che erano intentare dai soggetti lesi dai quattro delicta (furto, rapina,
danneggiamento e iniuria) contro l’autore del delitto per ottenere il pagamento pecuniario della pena. I
quattro delicta erano dei reati che non erano puniti dallo stato con processo pubblico (quelli si chiamavano
crimina) ma erano sempre dei reati che erano puniti dal soggetto leso con un processo formulare. Per avere
commesso il delitto si era obbligati a pagare una pena (somma di denaro) al soggetto leso, per questo si parla
di azioni penali. La pena era una punizione ed era richiesta dalla parte lesa a colui che aveva commesso il
delitto chiamandolo in giudizio attraverso formule. Tutte le azioni che non erano penali erano reipersecutorie
(es. rei vindicatio). Le azioni penali avevano alcune caratteristiche:
• Intrasmissibilità passiva, passivo è il debitore e attivo è il creditore. Quando vi era un debitore, il creditore
lo condannava per actio furti e doveva pagare una pena del quadruplo del valore della cosa rubata e
restituire il bene rubato. Per farsi ridare il bene il derubato utilizzava la rei vendicatio. Se moriva il ladro
lasciava un’eredità che rimaneva agli eredi ma nell’eredità c’è l’attivo e il passivo (crediti e debiti di natura
persecutoria, non penale) e i debiti penali si estinguevano con la morte. L’actio furti non si trasmette quindi
agli eredi. Nel caso di un oggetto invece il soggetto derubato potrà agire con rei vendicatio (persecutorio) e
riprendere il bene ereditato dagli ereditieri del ladro.
• Cumulatività attiva e passiva, si cumulava la pena sia dal lato attivo che passivo. Quando vi erano più
soggetti lesi o più autori del delitti ciascuno di loro aveva diritto all’intera pena. (3 ladri rubano un cavallo
che vale 100. Il derubato riceverà 400x3=1200)
• Nossalità, il pater poteva sottrarsi dalla pena consegnando il figlio o lo schiavo.

Mezzi integrativi del processo formulare, servivano ad aiutare lo svolgimento del processo
• Missio in bona, provvedimento con cui il magistrato autorizzava un soggetto su sua richiesta a immettersi
nel possesso dei beni (bona) di un’altra persona e poteva accadere a scopo di tutela del patrimonio
(cautelare) oppure poteva accadere a scopo coercitivo, ancora come misura preparatoria per un’altra
misura.
• Stipulationes pretoriae, erano particolari stipulationes (la stipulatio era il nome con cui in età classica si
chiamava la sponsio) indotte dal pretore, una delle due parti viene obbligata dal pretore, con cui un
soggetto prometteva ad un altro soggetto di pagare una somma di denaro o tenere un certo comportamento.
Se non accettavano si passava alla missino in bona. (es. cautio damni infecti)
• Restitutio in integrum, non era un mezzo a se stante, era uno scopo che si raggiungeva con vari mezzi
processuali che servivano ad attuare la restituito in integrum. Gli strumenti che servivano potevano essere
o una actio ficticia, una exceptio o una denegatio actionis, attraverso questi strumenti il pretore, per mezzo
del ius honorarium, interveniva per rescindere un atto che per il ius civile sarebbe stato pienamente valido.
L’atto veniva rescisso e quindi non produceva i suoi effetti e quindi si ripristinava la situazione anteriore al
momento in cui era stato compito l’atto o il negozio giuridico, era come se non fosse stato compiuto e tutti
gli effetti che ne derivavano non avvenivano. Denegatio actionis, procedimento con il cui il magistrato
nella fase in iure denegava l’azione ovvero non concedeva l’azione, era uno strumento generale che si
utilizza anche per la restitutio in integrum.
• Interdetti (interdicta), indicava un provvedimento. Erano ordini emanati dal pretore affinché alcuni soggetti
mantenessero un determinato comportamento nei confronti di altri soggetti per richiesta di questi ultimi.
Accadeva per condotte non prescritte per lo ius civile e per le quali non si sarebbe potuti procedere con
processo civile. Si trovavano nell’editto. Erano fondamentalmente di tre tipi: proibitori, esibitori (ordinare
a qualcuno di esibire un documento, es. fase apud iudicem di un processo), restitutori (obbligare qualcuno
a restituire qualcosa). Avevano particolare importanza per l’ager publicus (terre che Roma aveva
conquistato ai nemici durante una guerra e che restavano terre pubbliche, non erano assegnate in proprietà
privata ma venivano date in godimento ai privati, in possesso che non è proprietà. Se un certo trova la sua
terra occupata non può fare una rei vindicatio ma trova una tutela attraverso la via interdettale, poteva
chiedere al pretore un interdetto per farsi restituire la terra. C’erano tre categorie di interdetti possessori:
per l’acquisto del possesso, mantenere e recuperare. La concessione degli interdetti avveniva senza
contraddittorio perché il convenuto non è presente, è solo una parte che va dal pretore e chiede l’interdetto
nei confronti dell’altra parte e il pretore concede l’interdetto per inaudita altera partes. Se il destinatario
dell’interdetto non obbediva all’ordine pretorio succedeva che chi aveva chiesto l’interdetto poteva iniziare
un processo ex interdicto nei confronti dell’altra parte. Iniziava un processo che avrebbe portato alla
condanna pecuniaria del convenuto se questo non avesse obbedito all’interdetto qualora l’interdetto fosse
stato ritenuto valido.

Processo di età post-classica


Legis actiones → Processo formulare → Cognitio extra ordinem.
La cognitio extra ordinem nasce in età augustea. Nel 27 Augusto divenne imperatore, si fece nominare
princeps senatus e da li inizia lo smantellamento degli ordini reppublicani, in particolare le magistrature
repubblicani per poi assegnare questi istituti ai burocrati, esponenti della burocrazia che viene messa in piedi
dagli imperatori. Essendo diventato imperatore si arroga il potere di giudicare nelle cause civili, cioè
consente a due persone che devono litigare in giudizio di rivolgersi a lui anziché al pretore e Augusto si
occuperà del processo emettendo anche una sentenza valida per l’ordinamento giuridico. E’ dunque qualcosa
che nasce dalla prassi e non c’è un anno preciso di inizio, convenzionalmente si indica all’anno 0. Non si
tratta di un processo utilizzabile da tutti i cittadini, è ad uso della nobiltà e di intimi dell’imperatore. Questo
nasce informalmente ma poi, essendo continuato anche dai predecessori di Augusto, diventa un rito
processuale de facto che prende il nome di cognitio extra ordinem. E’ nata la cognitio extra ordinem anche
per il processo criminale negli stessi anni. Esiste ancora il processo formulare che è nel pieno del suo vigore.
Vi è un periodo in cui i due tipi di processo coesistono e chiunque può decidere quale utilizzare, come prima
era accaduto tra legis actiones e processo formulare. Il processo formulare rimane perfettamente vitale fino
alla morte di Alessandro Severo, dopo la sua morte invece, dati i periodi di crisi, il processo formulare,
benché non abolito, non fu quasi più utilizzato. Il p. Formulare fu abolito formalmente da una costituzione
imperiale del 342 creata da Costante e Costanzo, figli di Costantino.
La prima novità del processo c.e.o. non è più bifasico ma monofasico, si svolge tutto interamente davanti ad
un unico giudice che dapprima è l’imperatore in prima persona, poi, dati i tanti processi, inizia un’opera di
delegazione di giudici professionisti che vengono dislocati nel territorio nei tribunali e che fanno i giudici di
lavoro. Il nome di questo nuovo processo significa che si svolge al di fuori dell’ordo che è un elenco ordinato
di giudici, pubblicato assieme all’editto, che sarebbero stati i giudici dei vari processi che avrebbe instaurato.
C’erano due modi per nominare un giudice: scelto di comune accordo al di fuori dell’ordo, se non erano
d’accordo il giudice era scelto dal pretore prendendolo dall’ordo. I giudici di questo ordine non c’entrano più
con l’ordo ma sono veri e propri professionisti.
Novità della cognitio è lo svolgimento del processo, la chiamata in giudizio avviene con un atto scritto, l’atto
di citazione (libellus conventionis), non più oralmente. L’attore lasciava l’atto al giudice che poi sarà
consegnato al convenuto dai collaboratori del giudice. Il processo poteva svolgersi anche senza la presenza
del convenuto, il convenuto assente è chiamato Contumax (contumacia). Essendo il convenuto contumace è
più difficile che venga assolto. Contumax deriva dal verbo contemnere che aveva tra i vari significati
offendere in quanto offendeva il giudice, e dunque il rappresentante dell’imperatore, con la propria assenza.
Altra novità è che la sentenza del giudice non era definitiva ma era possibile l’appello, la sentenza decideva
ma non in modo definitivo. Esistevano sul territorio oltre ai giudici di primo livello altri di secondo livelli
detti giudici di appello nelle città più importanti. Chi perdeva la causa in primo grado aveva un periodo
molto breve (circa 5 giorni, Giustiniano li aumenterà a 10) per interporre l’appello che doveva essere
presentato con un atto (libellus appelatorius) presso il giudice di primo grado che lo aveva condannato. Con
Giustiniano esisteva anche un terzo appello che avveniva a Costantinopoli davanti all’imperatore stesso e
poteva essere fatto solo da chi avesse vinto il primo grado e perso il secondo. L’esecuzione non era attuata
dall’attore ma dal giudice, da ausiliari del giudice. La parte che vinceva si rivolgeva al giudice e quest’ultimo
inviava suoi ausiliari a prendere beni dal condannato per dare soddisfazione alla parte che aveva vinto. Il
nostro processo moderno deriva dal diritto romano classico perché giustiziano nel corpus iuris ha messo
diritto classico mentre dal punto di vista processuale il nostro deriva dal processo post-classico.
Il negozio giuridico
Fatti, sono accadimenti naturali che possono assumere rilevanza giuridica. Tra tutti i fatti c’è un sottogruppo
che è quello degli atti, dei comportamenti umani, fatti compiuti dall’uomo. Possono essere atti normali o atti
giuridici. I negozi giuridici sono una particolare categoria di atti, sono atti giuridici in cui la volontà del
soggetto che li compie non è solo sull’atto in sè ma anche sulle sue conseguenze giuridiche, è un atto mirato
a raggiungere un determinato scopo, si dice anche sia un atto di autonomia privata o manifestazione di
volontà. Esistono negozi giuridici diversi in base al:
• Numero dei soggetti: unilaterali (testamento), bilaterali (contratto), plurilaterali (contratto di società).
Esempi di negozi giuridici del diritto romano sono la mancipatio, traditio, adrogatio, adoptio, confarreatio
e coemptio, manumissio.
• Negozi giuridici inter vivos e mortis causa (es. testamenti e collegati)
• Negozi a titolo oneroso (compravendita) e a titolo gratuito (donazione)
• Negozi a effetti reali e negozi a effetti obbligatori, i primi sono negozi che hanno l’effetto di trasferire la
proprietà delle res, si tratta di un effetto automatico e conclusosi il negozio la proprietà passa dall’uno
all’altro; i secondi non fanno passare la proprietà dei res ma fanno sorgere obbligazioni in capo alle parti,
ad esempio la sponsio e stipulatio, perlopiù si tratta di contratti.
• Negozi di ius civile (traditio, manumissio, mancipatio, sponsio…) e negozi di ius honorarium
(manomissioni pretorie), negozi di ius gentium (stipulatio e traditio)
I romani non conoscevano una definizione di negozio giuridico, non ne avevano sviluppato una categoria
vera e propria.
Presupposto del negozio giuridico era che il soggetto avesse la capacità di agire. Un soggetto poteva farsi
rappresentare. Oggi abbiamo la rappresentanza diretta (la procura) e indiretta (si realizza con un contratto: il
mandato - mandante è il rappresentato e mandatario è il rappresentante). La prima è quando si agisce per
nome e per conto del rappresentato, nel momento in cui il rappresentante compie il negozio gli effetti si
vanno ad attivare subito sul rappresentato. La seconda invece è la medesima ma gli effetti del negozio si
attivano sul rappresentante che poi avrà l’obbligo di trasferire gli effetti sul rappresentato.
A Roma non avevano il concetto di rappresentanza diretta, in campo processuale conoscevano la
rappresentanza tramite il cognitor. C’erano però due tipi di rappresentanza indiretta: volontaria, attraverso il
mandato o legale, quella di tutori e curatori.
Il negozio per esistere deve avere il presupposto e degli elementi essenziali:
• Manifestazione di volontà: il negozio giuridico vi è basato, può essere recettizia e non recettizia (es.
rinuncia all’eredità). Nel primo caso è valido solo se raggiunge a conoscenza un altro o più altre persone,
nel secondo caso quando è valida per gol negozio giuridico anche se la manifestazione di volontà non è
arrivata a nessun’altra persona. La volontà deve essere interpretata, può accadere che un testo contrattuale
abbia più di un significato o immaginiamo che io sia proprietario di due terreni e che io ne venda uno, si fa
il contratto dove si scrive che il venditore vende un terreno al compratore. Il problema è che il venditore ha
due terreni e c’è ovviamente un significato ambiguo, si è venduto il campo A o il campo B? Bisogna quindi
saper interpretare la volontà. C’è a tutti gli effetti un problema interpretativo ed è impossibile da chiarire.
Altro caso è se una delle due parti comprende male, se possiedo due terreni vicini al Tevere (uno più vicino
uno meno) e vendo quello più vicino può esserci anche qui un problema di interpretazione e
oggettivamente non si sa chi ha ragione. Occorre dunque che la manifestazione di volontà sia chiara, la
carenza di quest’ultima comporta la nullità del negozio stesso. Si può tentare di salvare l’atto con
significato ambiguo in due modi
• Se c’è interpretazione soggettiva concorde prevale su quella oggettiva
• Essere in buona fede, prevale l’interpretazione in buona fede
• Prevale l’interpretazione utile a salvare il negozio piuttosto che quella che lo renderebbe nullo
• Nei negozi a titolo gratuito il negozio è sempre interpretato in senso meno gravoso per l’onerato.
• Causa: è la funzione sociale oggettiva del negozio giuridico, scopo pratico tipico del negozio. La causa va
tenuta distinta dai motivi che sono gli scopi soggettivi (come esempio: sono proprietario di una Ford Ka
verde e decido di venderla a 1000 euro perché rotta. In questo caso la causa del negozio è il prezzo di 1000
euro) per cui i soggetti compiono i negozi giuridici. In base alla causa si dividono in:
• Causali: la causa traspare dalla struttura del negozio
• Astratti: la causa non traspare dalla struttura del negozio, non è detto che non ci sia. Oggi giorno i più
famosi sono la cambiale e l’assegno.
In età arcaica il negozio causale più famoso è la mancipatio, anche la traditio. Negozi astratti erano sponsio e
stipulatio.
• Contenuto od oggetto: oggetto del negozio che deve essere possibile (possibile altrimenti nullità), lecito
(lecito altrimenti nullo), determinato o determinante.
• Forma (elemento speciale, l’ordinamento deve prevedere la forma come elemento essenziale per il negozio
giuridico): i romani non avevano la forma scritta ma avevano altre forme essenziali che erano rituali ed
andavano rispettate.

La nullità vuol dire che il negozio non produce effetti o meglio se anche li stesse producendo si può agire in
giudizio perché il giudici annulli il negozio giuridico. Rientrano nell’invalidità:
• Nullità: è la forma più grave di invalidità, il negozio non produce effetti e nasce nullo per l’assenza di un
elemento essenziale che fa nascere il negozio nullo ab origine. La nullità può essere fatta valere in
giudizio, il giudice deve proclamare la nullità. Può essere fatta valere sempre e anche da terzi con interesse
che il negozio venga dichiarato nullo.
• Annullabilità: è un caso meno grave di invalidità in quanto non deriva dall’assenza di elementi
fondamentali ma può derivare anche da errore, violenza o dolo subiti da una parte. Non è nullo dall’inizio
ma può essere annullato anche successivamente. Può essere richiesta solo dalla parte del negozio che ha
subito il dolo o la violenza che è incorsa nell’errore. Ha scadenza, può essere annullata solo nell’arco di 5
anni.
Così è oggi, i romani non avevano questa distinzione e parlavano genericamente di invalidità, dicevano che
l’atto era nullo. Possiamo dire che l’assenza di un elemento essenziale rende il negozio nullo anche per i
romani. Si distinguono dagli elementi fondamentali quelli accidentali che possono esistere o non esistere,
essere previsti o meno dalle parti. Se vi sono se ne deve tenere conto.
Il più importante tra gli elementi accidentali è la I) condizione: un fatto futuro, che non si sa se si
verificherà o meno, e oggettivamente incerto al quale si subordina il prodursi o il venire meno degli effetti
del negozio giuridico. Può essere:
• Sospensiva: è un fatto futuro e incerto al verificarsi del quale si realizzeranno gli effetti del negozio. Es:
prometto di darti 100 se la nave verrà dall’Asia. E’ un fatto incerto (potrebbe non arrivare) e futuro. Non si
compie un atto di compravendita puro ma condizionato, ovvero sottoposto a condizione sospensiva. Si dice
che le parti concludono il negozio, non si sa se la condiziona si verificherà o meno e dunque la condizione
pende, e finché la condizione pende il negozio è sospeso in quando le obbligazioni per le parti sono
sospese. Il negozio, anche se sospeso, è valido, non è un caso di invalidità ma si dice che il negozio è
momentaneamente inefficace, non produce la sua efficacia. La condizione sospensiva può verificarsi o
meno:
• Se non si verifica il negozio non produce efficacia ma non è invalido, semplicemente è destinato a
restare definitivamente inefficace e non produrre effetti.
• Se si verifica la condizione evidentemente il negozio produrrà la sua efficacia, sempre che sia valido.
Esempio di condizione sospensiva positiva, cioè che gli effetti si producono se si verifica un fatto. Può
esistere anche una condizione sospensiva negativa: prometto di darti 100 se la nave non verrà dall’Asia.
Negativa perché gli effetti si producono se non si verificherà un determinato fatto. Il negozio è dunque
sospeso fino a quando non viene appurato che non si è verificata un certa condizione.
• Casuale: dipende dal caso e non dalla volontà delle parti.
• Potestativa: dipende dalla volontà di una delle parti: prometto di affittarti la mia casa a y se mi trasferirò
a x. Sono io che decido se trasferirmi: è un fatto futuro incerto, ma se dovesse succedere affitterò a te la
casa. Questa è una condizione sospensiva potestativa attiva. Può esserci anche negativa. Prometto di fare
x se non ti trasferirai da y. Se non avviene il fatto allora si realizza l’effetto. Abbiamo una condizione
sospensiva potestativa passiva.
• Meramente potestativa: pagherò se vorrò. E’ la condizione che rende il negozio nullo.
• Impossibile: parimenti alla condizione meramente potestativa, rende il negozio nullo perché impossibile.
• Negativa: crea problemi, es: ti darò 100 se non manometterai lo schiavo Stico. C’è la condizione
negativa sospensiva potestativa. Per verificare ad esempio che una persona non si trasferisca mai da
Roma, ad esempio, bisogna aspettare il momento della morte della parte del negozio per essere certi che
la condizione non si verificherà. A questo fu data soluzione da un giurista: Quinto Mucio Scevola che si
inventò la cautio Muciana che era una promessa. Diceva che un negozio sottoposto a condizione
sospensiva potestativa negativa doveva essere attuata subito.
• Risolutiva: provoca il venir meno degli effetti del negozio. Se si verificherà la condizione risolutiva, verrà
meno l’effetto del negozio. E’ il contrario della sospensiva. Se il negozio è sottoposto a condizione
risolutiva, il negozio è immediatamente efficace. Il verificarsi dell’azione fa venir meno l’efficacia del
negozio. Il negozio sottoposto a condizione risolutiva è immediatamente efficace ed è risolto e quindi da
efficace diventa inefficace.
I romani non conoscevano la condizione risolutiva però talvolta ne avevano bisogno per i negozi. Quando ne
avevano bisogno facevano un negozio puro, ovvero non sottoposto a condizione. Es. Compro la seta e la
pago. Per la risoluzione aggiungevano al negozio un patto risolutivo che è un accordo che risolve il negozio.
A Roma facevano il negozio puro e un patto risolutivo che era però sospeso (sottoposto a condizione
sospensiva) e diventava efficace se avveniva la condizione, ad esempio se arrivava la nave dall’Asia. Se
arriva la nave dall’Asia si verifica la condizione sospensiva, il patto risolutivo diventava efficace e si risolve
va il negozio. La cautio Muciana è molto simile ad una condizione risolutiva e di fatto la realizza.

Oltre alla condizione c’era il II) termine: è certo che si verificherà ma non si sa quando. Es. prometto di
venderti la casa di nonna quando la erediterò, è certo che lei muoia ma è incerto il quando. Può anche esserci
anche un termine a tutti gli effetti.
Altro elemento accidentale era il III) modo: non è una controprestazione ma è un piccolo onere che grava su
chi è beneficiario di un atto di liberalità.

Vizi della volontà


• Errore: al giorno d’oggi la parte di negozio che commette un errore cioè conclude un negozio ma si è
sbagliato, se non avesse compiuto quell’errore però non avrebbe concluso il negozio. Non c’è una regola
per l’errore, entriamo nel terreno dell’annullabilità, sempre nel campo dell’invalidità. L’ordinamento
stabilisce quando l’errore provoca annullabilità o meno ma l’errore va comunicato entro i 5 anni
dall’attivazione. Es. mi vendono un anello di ottone spacciandolo per oro. Torno indietro e chiedo
l’annullamento. Per l’annullamento bisogna I) che l’errore sia essenziale, cioè che senza quell’errore la
persona non avrebbe concluso il negozio e II) bisogna che l’errore sia riconoscibile ovvero che è un errore
che l’altra parte avrebbe dovuto riconoscere utilizzando la normale diligenza. Se l’errore ha questi due
requisiti si può annullare il negozio. Il diritto romano riteneva che il negozio in caso di errore fosse
invalido per il ius civile se l’errore era sulla qualità della res o sulle qualità della persona.
• Violenza: è la minaccia, non la violenza fisica.
• Dolo: è l’imbroglio.
L’errore è autoprodotto dalla parte che è caduta in errore e invece violenza e dolo sono eteroprodotti. Il ius
civile non contemplava violenza e dolo perché non esistevano nel diritto arcaico. Violenza e dolo entrarono a
far parte del ius romano in età classica con l’editto del pretore attraverso la exceptio: una exceptio metus e
una exceptio doli inserendo anche le actio metus e actio doli.

Definizione delle obbligazione nelle istituzioni di Giustiniano


L’obbligazione è, nelle istituzioni di Giustiniano alla fine della storia romana (533, stesso anno di
pubblicazione del digesto), definita come: “obligatio est iuris vinculum, quo necessitate adstringimur,
alicuius solvendae rei, secundum nostrae civitatis iura.” Si parla di vincolo giuridico, ovvero un legame, una
catena ma, evidentemente, si parla di una catena in senso metaforico che lega le due parti della obbligazione
che sono il debitore e il creditore. Si parla di solvere, ovvero sciogliere e indica lo svolgimento di una
prestazione. Nel cod. civ. Non esiste una definizione vera e propria ma noi potremmo dire che la obbl. È un
rapporto in cui un soggetto detto debitore è tenuto a una certa prestazione nei confronti di un altro soggetto
detto debitore. Dal latino obligatio si evidenzia solo il lato negativo della obbligazione, che è un legame tra
cred. e deb. Il debitore ha un obbligo, un debito e la corrisponde posizione del creditore è il diritto di credito,
diritto soggettivo relativo, non assoluto, diritto per cui ad essere obbligata è solo una persona determinata. La
tutela di cui gode il creditore è una tutela per via di actio in personam, a differenza dei diritti reali dove c’è
actio in rem. Nel diritto di creditore la prescrizione del debitore è l’adempimento della prestazione, un
comportamento positivo, cioè che la realizzazione del credito passa di necessità attraverso un
comportamento positivo del debitore. Nel credito il debitore deve avere com portamento positivo, nei diritti
reali non è richiesta collaborazione di alcuno. Contrario di adempimento è l’inadempimento, se il debitore
non soddisfa il creditore.
• Imputabile, provoca responsabilità. Se qualcuno non adempie le proprie responsabilità porta che il
debitore è assoggettato ad una sanzione. Scissione logica fra debito e responsabilità, sono due momenti
diversi: il debito è a monte, sussiste dall’inizio; la responsabilità è a valle. La sanzione per debitore
inadempiente: si avvia una procedura giudiziaria, viene condannato e inizia una procedura esecutiva
destinata a concludersi con l’assoggettamento della persona o del patrimonio del debitore alla potestà del
creditore. Ci sono dunque due tipi di sanzione: assoggettamento personale o patrimoniale. Nell’età del
processo formulare l’assoggettamento è patrimoniale, prima era assoggettamento personale, il creditore
poteva anche uccidere il debitore inadempiente.
• Non imputabile, estinzione della obbligazione, se l’adempimento diventa impossibile il debitore viene
liberato e basta.
Il vincolo, che dapprima è solo potenziale, a seguito della responsabilità, del processo e dell’esecuzione
diventerà reale.
Nella prima fase dell’età arcaica l’obbligazione non era da vincolo potenziale, che sorge invece nel corso
dell’età arcaica in modo graduale e si sviluppò pienamente nel corso dell’età classica.
L’obligatio originaria è quella che chiamiamo obligatio da vincolo reale/materiale/attuale, sono sinonimi, il
debitore è subito vincolato al creditore, il vincolo era reale dall’inizio, appena sorge l’applicazione, è subito
soggetto all’autorità del creditore. Il vincolo si scioglieva quando il debitore pagava, si dice solutio. Le
obbligazioni in età arcaica non erano molto diffuse, non erano note, il ricorso ai crediti erano molto rari.
Assoggettamento immediato del debitore. Questo vincolo reale sorgeva da:
• Atto illecito, si parla di illeciti privati, illeciti che sono distinti dai crimini. Il confine tra delitti e crimini si
è cristallizzato in età classica con la distinzione dei 4 delitti. L’unico tipo di reazione per chi violava i
principi dello stato era la vendetta, il pater familia offeso si vendicava con pena corporale contro chi
compieva il delitto. Colui che commette un delitto è immediatamente assoggettato, ecco il vincolo
materiale. Situazione di responsabilità, si salta il primo passaggio, quello del debito. Nulla vietava che
l’offeso fosse obbligato a vendicarsi, se l’offensore offriva una composizione pecuniaria allora l’offeso
poteva desistere dalla vendetta ma questa era una libera scelta. Risale al periodo delle XII tavole. Per
alcuni delitti passa il principio per cui l’offeso non può più rifiutare la composizione pecuniaria, il soggetto
offensore pagava ciò che lo sottraeva alla pena corporale. Siamo nel concetto del riscatto. Il denaro che
serve a sottrarre il soggetto offensore dalla pena corporale è detto poena. Primo passaggio nel quale il
soggetto leso assoggetta l’offensore, vincolo materiale e proposta pecuniaria, la civitas decide.
• Atto lecito, si ritiene sia sorta successivamente all’atto illecito.
• Il nexum era un negozio giuridico, un prestito di denaro o metallo che fungeva da merce di scambio
come il bronzo. Era un negozio per aes et libram, si compiva con uso di bronzo e bilancia. Dovevano
esserci 5 testimoni romani puberi e la bilancia, oggetto del nexum era il prestito di danaro o bronzo e si
chiedeva il prestito ad un altro pater. Al passaggio del denaro c’era il rituale per aes et libram,
l’assoggettamento del debitore al creditore che lo teneva a sé vincolato, c’era subito il vincolo attuale. Il
debitore vincolato era detto nexus. Il debitore era vincolato finché col suo lavoro non si fosse auto
riscattato oppure fino a quando i suoi parenti non avessero trovato modo di restituire la somma.
Occorreva, per riscattarlo, compiere alla presenza di un libripens e di 5 testimoni la solutio per aes et
libram, da una parte c’è il riscatto e dall’altro il nexus liberato. I nexi erano perlopiù plebei. Il nexum fu
abolito nel 326 a.C. da una legge: la Lex Petelia Papiria (326) che stabilì l’abolizione del nexum e quindi
la liberazione di tutti i nexi. Per i plebei fu ritenuta tappa fondamentale per la loro libertà.
• I vades (o il vas), siamo nel processo arcaico per legis actiones, erano persone che garantivano in caso di
udienza di rinvio (fase apud iudicem) il convenuto si sarebbe presentato al giudice. Se la prima udienza
otteneva un rinvio poteva accadere che il convenuto sparisse, per evitare ciò il convenuto era legato
all’attore. Per restare libero doveva offrire un vas, il garante che andava immediatamente assoggettato
all’attore al posto del convenuto. Se nell’udienza non compariva il convenuto, il vas subiva la sua
condanna. Sono dei garanti che garantiscono per debiti altrui.
• I praedes, dubbio se erano person immediatamente assoggettati o meno. Li troviamo nella legis actio
sacramento in rem. Il pretore assegnava il possesso interinale a colui che aveva più possibilità di vincere.
Praedes litis et vindiciarum, coloro che garantivano sulla restituzione della res da parte di colui che
aveva il possesso interinale e delle vindicae.

Fonti delle obbligazioni


Gaio (II sec d.C.) scrisse le Institutiones, libro scolastico, in cui parla delle fonti delle obbligazioni, al suo
periodo erano obbl. potenziali. Gaio dice che le obbligazioni nascono dal contratto o dal delitto (atto lecito e
atto illecito). Gaio capì che qualcosa rimaneva fuori dalla bipartizione delle institutiones. Abbiamo delle
fattispecie che rientrano nelle obbligazioni ma non nei contratti e nel delitto e sono:
• Indebiti solutio, richiedere un pagamento
• Effusum vel deiectum, versato o lanciato o che cade da una casa senza che sia stato l’abitante a versare/
lanciare la cosa, ne risponde l’abitante della casa per responsabilità oggettiva diremmo oggi.
Gaio riscrisse dunque una seconda edizione dove rimedita il contenuto: Res Cottidianae o Aurea, giunge a un
tripartizione:
• Contratti
• Delitti
• + Variae causarum figurae.
Nel digesto ci è giunto il pezzetto delle res cottidianae dove Gaio espone la tripartizione Gaiana.
Giustiniano nelle sue Institutiones, per larga parte ispirate a quelle di Gaio ma con differenze, nel 533.
Troviamo 4 fonti di obbligazione:
• Contratto
• Delitto
• Quasi contratti, atti che sono più simili al contratto
• Quasi delitti, atti che sono più simili al delitto
Questa è la quadripartizione Giustinianea delle fonti delle obbligazioni.
Si passa quindi da una bipartizione ad una tripartizione ed infine ad una quadripartizione. Art 1173 cod. civ.
ad oggi, le obbligazioni nascono dal contratto, da atto illecito o da qualunque altro atto o fatto idoneo a
produrle in conformità dell’ordinamento giuridico. Il nostro codice va quindi a riprendere la tripartizione
Gaiana.

• Contratto: i giuristi romani hanno lasciato alcune definizioni, una risale a Labeone vissuto in età augustea e
disse che il contratto era il gesto sinallagmatico (insieme di prestazione e di controprestazione). Quella di
Labeone era una proposta di individuare solo atti sinallagmatici come contratti. Un altro tentativo fu quello
di Sesto Pedio, giurista vissuto nel II sec. d.C., che disse che il contratto era fonte di obbligazione se vi era,
alla base dell’atto, il consenso ovvero l’accordo della volontà delle parti. Era, anche questa, una
definizione che non rispecchia la tradizione del ius civile perché per quest’ultimo erano considerati
contratti quelli che erano perfezionati da parole solenni. Anche quello di Pedio era un tentativo di
circoscrivere i contratti senza rispettare la definizione civilista. Per la definizione di contratto romano
dobbiamo rifarci a Gaio con il principio della tipicità, ovvero solo i contratti che erano atto lecito o tipico
per il quale esiste un’azione giudiziaria nell’editto del pretore. I contratti romani erano dunque tipici, in
numero chiuso, non esisteva a Roma il principio dell’atipicità, per loro erano contratti solo quelli tipici. I
contratti erano classificati in:
• Verbali, solenni con pronuncia di verba, di frasi solenni. La pronuncia faceva sorgere l’obbl.
• Reali, solenni dopo la consegna di una res
• Letterali, si perfezionavano con la scrittura di parole.
• Consensuali, sono solo un piccolo gruppo, erano 4 contratti.
Obligationes verbis, re, litteris, consensu contractae, espressione latina che individua le 4 categorie di
contratto.
I verbali e i reali sono sorti in età arcaica (verbali-sponsio, reali-mutuo), superamento della concezione
dell’obbligazione da vincolo reale. I contratti consensuali sono sorti ai tempi del pretore peregrino, ultimi
quelli letterali. (Verbali-Reali-Consensuali-Letterali)

Contratti Verbali
Sponsio: primo contratto romano assieme al mutuo (reale), nato in età arcaica. L’ordinamento collegò la
nascita di un vincolo giuridico: l’obbligazione. La sponsio aveva carattere religioso, (da spendein in greco:
libare) infatti il rapporto tra religione e diritto era molto stretto. Era utilizzata anche per la promessa
matrimoniale, trattati internazionali, era un giuramento agli dei. Subì anch’essa un processo di laicizzazione
che risulta già concluso al tempo delle XII tavole. La sponsio era costituita da una domanda e da un
congruente risposta (“Spondes mihi centum dari?” “Spondeo”). Era un contratto formale perché si
perfezionava con la pronuncia dei verba, oltre ad essere formale era anche verbale. La sponsio era anche un
contratto tipico, la tipicità atteneva alla forma ma non al contenuto che invece era libero, qualsiasi tipo di
prestazione poteva essere infatti dedotta in una sponsio. E’ un contratto, un negozio giuridico dunque, e in
quanto negozio giuridico era riservato ai cives, arcaico negozio di ius civile. Quando in età classica
aumentano gli stranieri a Roma, il diritto romano si deve inventare una sponsio utilizzabile anche dagli
stranieri. In età classica appare dunque la stipulatio che è la sponsio classica e che la andrà a sostituire.
Anche la stipulatio era un contratto verbale. Si discute sul significato di stipulatio, secondo Isidoro di
Siviglia viene da stipula, bacchetta di legno che al momento del contratto veniva spezzata e tenuta dalle due
parti a scopo probatorio. La stipulatio era una sponsio che era di ius civile ma al contempo di ius gentium,
rientrava in quell’intersezione tra i due ius. E’ negozio civile in quanto a effetti ma negozio di gentium per
quanto riguarda l’utilizzabilità. La stipulatio era meno formale, si utilizzava verbi più liberi come promitto,
facio, etc. L’obbligazione nasceva anche qui dopo la pronuncia dei verba ma c’era più libertà nella scelta dei
vocaboli. Il consenso nella sponsio e nella stipulatio: all’inizio la sponsio produceva i suoi effetti se le
formalità verbali erano state rispettate, solo successivamente, durante l’età classica, si affermò il principio
per cui la stipulatio non era valida senza il consenso. Era un contratto unilaterale, ovvero in cui le
obbligazione sorgono a carica di soltanto una parte e non di tutte e due: le parti si chiamavano stipulator e
promissor, il primo ha solo il diritto di credito, il secondo ha il diritto di debito e solo lui ha l’obbligazione.
Come contratto è unilaterale ma come negozio giuridico è bilaterale in quanto abbiamo due parti. La
stipulatio era inoltre un contratto astratto, la causa è lo scopo pratico tipico del negozio giuridico: se traspare
è detto causale, se non traspare era astratto. Nella stipulatio la causa non traspare dalla forma quindi è
astratto, al momento della promessa la causa non era dichiarata, tanto che, anche se tale motivo fosse venuto
a mancare, per il ius civile, la prestazione era egualmente dovuta.
Azione che tutelavano il promissor: l’inadempimento potevano causare la chiamata in giudizio, in età arcaica
poteva essere citato con legis actio sacramento in personam, legis actio per iudicis arbitrive postulationes o
legis actio per conditionem. Poi col processo formulare si hanno le actio certae creditae pecuniae o actio ex
stipulatu. La stipulatio poteva essere anche fatta per garanzia, si poteva aggiungere un secondo promittente
(Adpromissor) con un solo stipulator e stipulante (Adstipulator) con un unico promissor che erano garanti
della prestazione del primo. La stipulatio era un atto orale, poneva quindi dei problemi probatori.
Nel periodo post-classico al documento che era nato con finalità probatorie si finì per riconoscere piena
validità sia che le solennità avessero o meno avuto luogo. Nel 472, l’imperatore d’Oriente, Leone ammise la
validità di una stipulatio scritta che fosse stata scritta con qualunque espressione verbale, anche senza
domanda e risposta. Giustiniano nel corpus iuris civilis riaffermò la necessità della pronuncia delle parole
solenni, rinnega quindi quanto detto da Leone e quanto ormai entrano nella prassi in quanto la stipulatio
ormai si faceva scritta. La presunzione della pronunzia delle parole non è assoluta, può essere superata dalla
prova che le parti non siano state presenti nella stessa località il giorno in cui il documento è stato redatto,
quindi i verba devono essere pronunziate e se c’è un documento scritto fa presumere che le parole siano state
pronunziate ma questa presunzione può essere superata se riesce a dimostrare che lui e lo stipulante si
trovavano in due diverse città nel giorno e luogo in cui è stato creata la stipulatio.

Contratti reali
I contratti reali vengono chiamati in questo modo perché si perfezionavano con la dazione di una res (da cui
deriva il termine “reale”).
I contratti reali più diffusi sono il mutuo e il deposito.
Mutuo -> contratto reale più antico, la cui origine è l’età arcaica, così come la sponsio. Sono i primi due
contratti con l’obbligazione da vincolo potenziale e non reale. Il mutuo è per eccellenza il contratto reale
unilaterale, per cui una parte, detta mutuante, consegna all’altra, detta mutuatario, una somma di danaro o di
altre cose fungibili, con l’impegno del mutuatario di restituire al mutuante altrettanto dello stesso genere =>
tantundem (tantum + idem), quindi un’eguale quantità della cosa ricevuta. Come abbiamo visto, vi sono due
parti:
- mutuante → quello che dà cose fungibili;
- mutuatario → quello che riceve cose fungibili.
Le cose fungibili sono cose sostituibili dà altri beni dello stesso genere. Il danaro è il bene fungibile per
eccellenza. Prima del danaro, il mutuo si usava per derrate alimentari, che venivano prestate e poi, alla
scadenza, devono essere restituite altre cose equivalenti.
Il mutuo è chiamato prestito di consumo. È un contratto reale, perché si perfezionava con la consegna.
Infatti, la dazione della res faceva sorgere il contratto. Le obbligazioni sorgono soltanto per il mutuatario,
quindi è un contratto reale, unilaterale e causale. È causale perché la causa traspare dal negozio. Il
mutuatario, infatti, deve dare ciò che ha ricevuto (= causa). Il mutuatario era proprietario della cosa che il
mutuante gli forniva, in quanto poteva consumare il bene.
Per quanto riguarda le azioni, ogni contratto ne è provvisto. In tal modo si crea un legame tra azione e
contratto. Quali sono le azioni del mutuo? Il mutuo nasce al tempo delle legis actiones, che servivano per il
mutuante. Egli poteva utilizzare la legis actio sacramentum in personam contro il mutuatario, in quanto
agisce per un diritto di credito. Non può agire per la legis actio sacramentum in rem perché non si tratta di un
diritto reale. Per quanto riguarda le legis actiones laiche, si utilizzava la legis actio per condictionem.
Qual è la formula del mutuo? La formula del mutuo si chiama condictio ovvero l’azione generale con cui un
soggetto può agire per riavere indietro il bene. La condictio non viene utilizzata solo per il mutuo, ma anche
per la indebiti solutio. Nel processo formulare il mutuante agiva con il mutuatario con la condictio. In essa,
vi era l’intentio, nella quale vi era la somma che il mutuante aveva dato in prestito e nella condamnatio il
mutuatario era condannato a quella somma.
Il mutuo era un contratto essenzialmente gratuito, ovvero gratuito nella sua essenza, quindi non poteva che
essere gratuito per una ragione tecnica con cui era fatta la formula. Infatti, nella intentio e nella condamnatio
vi era la somma che il mutuante aveva dato in prestito. Eventuali interessi non erano coperti dalla formula
del mutuo, poiché in essa il creditore poteva indicare soltanto la somma data in prestito. Se avesse indicato di
più, quindi anche gli interessi, egli avrebbe compiuto la pluris petitio, cioè avrebbe chiesto più del dovuto e
quindi avrebbe perso la causa. Questo non vuol dire che i romani non prestassero a interessi i loro soldi.
Allora come facevano a prevedere gli interessi se il mutuo era essenzialmente gratuito? Facevano il mutuo e
poi, a latere del mutuo, prevedevano gli interessi con un altro contratto separato, ossia la stipulatio usurarum
(dal lat. usurae = interessi). La stipulatio era un contratto a parte, era scollegato dal mutuo, cioè uno prestava
una somma di danaro e l’altro prometteva attraverso la stipulatio di pagare una percentuale annua. Si tratta di
un contratto astratto, non aveva causa. Se il mutuatario non pagava né il mutuo né il prestito, il mutuante
doveva agire contro di lui con due azioni diverse: la conditio per il mutuo e l’actio ex stipulatum per gli
interessi.
Un caso particolare di mutuo era il foenus nauticum cioè prestito che chiedevano i marinai. In questo tipo di
prestito, il rischio che si perdesse l’oggetto del mutuo era a carico del creditore. Quest’ultimo, in cambio
dell’assunzione del rischio, godeva di interessi particolarmente elevati (fungevano quindi da assicurazione).
È un istituto che deriva dalla Grecia, infatti viene conosciuto quando nel 146 a.C. i romani conquistarono la
penisola greca.
Deposito: depositante consegna una cosa mobile e infungibile al depositario e quest’ultimo deve conservarla
e restituirla decorso un certo termine o a richiesta. Abbiamo quindi depositante e depositario. La cosa in
questo caso è mobile, ma infungibile. Al termine contrattuale previsto, quindi, il depositario deve restituire
l’oggetto in questione e non un oggetto simile. Si tratta di un contratto reale, quindi si perfeziona con la
dazione. Ancora oggi si tratta di un contratto reale.
Ad esempio: se vado alla stazione e deposito la mia valigia, il depositario deve restituirmi la mia valigia, non
un’altra.
Il depositario la res, ma non la considera propria. Quindi, in che rapporto è il depositario con la res? Si trova
in rapporto di detenzione. Il detentore, infatti, è colui che ha la res ma riconosce che è altrui, non la considera
propria. Non può usare la res, in quanto può essere convenuto con azione di furto per il valore della res, per
la pena prevista dal furto. Un furto particolare del depositario è il furto d’uso. Il deposito romano era
essenzialmente gratuito, quindi il depositante poteva agire contro il depositario soltanto per avere la res che
aveva depositato. Non esiste il compenso: vi è l’obbligazione del depositario di dare la res al depositante, ma
non esiste che il depositante dovesse dare un compenso al depositario.
Non si tratta di un contratto unilaterale né bilaterale, è imperfettamente bilaterale. Questo perché c’era una
delle obbligazioni che sorgeva sempre, ovvero quella del depositario. Esistevano anche delle obbligazioni
eventuali, che sorgevano a carico del depositante nei confronti del depositario. Che cosa il depositante poteva
essere costretto a dare al depositario, se non esisteva un compenso? Il depositante poteva essere obbligato a
pagare al depositario le spese che questi avesse sostenuto per il deposito. Non è detto che ci siano sempre
questo tipo di spese. Esempio: se il depositante deposita il cavallo al depositario perché va in vacanza per un
mese, è chiaro che il depositario deve spendere per il mangime, per la cura in generale.
Riguardo le azioni, il deposito sorge in età classica, quindi in età formulare. Vi sono due formule per il
deposito: actio depositi diretta, ovvero la formula del depositante contro il depositario per farsi ridare la res, e
l’actio depositi contraria, azione eventuale che prevede il depositario contro il depositante nel caso in cui egli
abbia sostenuto delle spese.
Esistono casi di deposito necessario/miserabile. Riguardava il caso di chi depositava la res in caso di
calamità naturali, private. Si tratta di un deposito indotto da particolari situazioni di emergenza. Siccome in
questo caso il depositario si trovava ad approfittare di una situazione particolarmente grave, nel caso in cui
non avveniva la restituzione per dolo, era responsabile e doveva pagare una somma pecuniaria doppia.
Un secondo sottotipo di deposito era il deposito ad sequestrem, ovvero il sequestro. Era un deposito
giudiziale, cioè, quando era incerta la proprietà della res e quindi si esprimeva la rei vindicatio, le parti
potevano accordarsi, nel senso che la res venisse data in deposito per suo terzo pendente la lite, quindi per
tutto il tempo in cui la lite fosse rimasta pendente. Si chiamava del deposito giudiziale durante il processo in
rem in attesa della sentenza. La particolarità di questo deposito è che si riteneva che il depositario avesse non
la semplice detenzione della res, come nel deposito normale e necessario, ma si riteneva avesse anche il
possesso. Aveva quindi una posizione più forte, poiché poteva essere tutelata dagli interdetti possessori.
In età repubblicana, si pose un dubbio per un terzo tipo di deposito: deposito di danaro in banca. In questo
periodo, età tardo repubblicana, il danaro si diffonde e con esso le banche. I cittadini romani che
possedevano il danaro o lo tenevano in casa o lo davano in deposito in banca (scelta più diffusa). Il contratto
che fa il cittadino verso il suo banchiere è un contratto di deposito? Il deposito è un contratto per cui il
depositante deve riavere la res depositata, ma il danaro non è infungibile. Infatti, il banchiere appena riceve il
denaro depositato è prestarlo a qualcuno a interessi. I giuristi romani quindi cominciarono a discutere se il
deposito di denaro fosse un contratto di deposito. Vi erano due opinioni nella giurisprudenza romana:
secondo alcuni giuristi il deposito di danaro era un contratto di mutuo, quindi il depositante dovrà agire
contro il banchiere con conditio; mentre altri sostenevano che il deposito di danaro fosse un contratto di
deposito, anche se la res è un bene fungibile. questo perché nel mutuo il danaro viene dato su richiesta di chi
lo riceve. In questo caso, però, avviene il contrario, cioè è colui che ha il denaro che chiede di poterlo
depositare. Quindi, la logica è opposta rispetto a quella del mutuo.
Alla fine, prevalse l’opinione per la quale il deposito di denaro fosse un contratto di deposito. Si tratta di un
deposito irregolare.

Comodato: contratto con cui il comodante consegna al comodatario una cosa inconsumabile, perché la usi e
la restituisca nelle stesse condizioni in cui la ha ricevuta. È un contratto fatto apposta per prestare la res,
quindi in questo è simile al mutuo, ma è diverso per la natura della res. Se nel mutuo la res è consumabile,
nel comodato deve essere inconsumabile. Può essere una cosa mobile o immobile. Se si tratta di una cosa
mobile deve essere inconsumabile. Il mutuo è un prestito di consumo, mentre il comodato è un prestito
d’uso. Il consumatario deve restituire la cosa nelle stesse condizioni in cui l’ha ricevuta, salvo il naturale
deperimento d’uso. Potrebbe esistere anche un comodato di cose consumabili, in casi particolari, ma non
possono essere consumati nuovamente => comodato ad pompam vel ostentationem.
Esempio: cesto di frutta dato per addobbare la casa, quindi come forma di ostentazione.
Si tratta di un contratto gratuito, reale e imperfettamente bilaterale, come il deposito. Hanno qualcosa di
simile: in entrambi i casi si riceve una res che deve essere restituita e il contratto è gratuito. La differenza sta
nel fatto che il depositario non la può usare, perché commette furto d’uso, mentre il comodatario la riceva
apposta per poterla utilizzare. Però anche il comodato, come il deposito, è imperfettamente bilaterale. Non a
caso vi è l’obbligazione principale del comodatario, il quale deve restituire la res alla scadenza del prestito.
Qual è l’azione del comodante? Rimborsare le spese del comodatario, così come nel deposito. Questi
contratti differiscono perché, mentre nel deposito tutte le spese gravano sul comodatario, nel comodato il
comodante rimborsa solo le spese straordinarie e non quelle ordinarie, che quindi gravano sul comodatario.
L’azione del comodante si chiama actio comodati diretta, mentre quella del comodatario è l’actio comodati
contraria.

Pegno: istituto strano nel diritto romano, perché è sia un diritto reale di garanzia (= il creditore riceve una res
con una dazione e riceve la cosa in pegno. Se il debitore non pagherà, il creditore si soddisferà sulla cosa
ricevuta in pegno) sia un contratto. Nel diritto romano si può parlare di pegno anche per i beni immobili. È
diritto reale, poiché il creditore pignoratizio ha un diritto reale sulla res. Il pegno può essere anche contratto
reale, perché dalla dazione della res sorgevano le obbligazioni delle parti:
• Obbligazione principale in relazione al pegno era quella del creditore. Nel caso in cui il debitore paga
l’oggetto del mutuo, il creditore pignoratizio, che ha ricevuto il mutuo, ha l’obbligo di ridare la res. Il
pegno ha una sua vita autonoma. Se il debito non è pagato, il creditore si soddisfa sulla res: questo non è
un obbligo ma un diritto.
• L’obbligazione del debitore è pagare le spese straordinarie che il creditore ha sostenuto durante la
possessione del bene. Il debitore ha l’azione di pegno diretta contro il creditore per farsi dare la res.

Contratti reali
Contratti che si perfezionano con la dazione della res.
• Mutuo
• Deposito, contratto imperfettamente bilaterale
• necessario
• ad sequestrem
• irregolare
• Comodato
Pegno, è un diritto reale di garanzia ma anche un contratto. Era contratto imperfettamente bilaterale

Fiducia cum amico e cum creditore.


Si pone su un piano differente perché la fiducia è molto più antica, è il più antico istituto. Infatti la fiducia ha
origine in età arcaica, era un negozio arcaico del ius civile che sarebbe poi stato sostituito dal pegno, dal
deposito e dal comodato. Diventa contratto solo in età classica. Con la fiducia il fiduciante trasferiva al
fiduciario la proprietà di una cosa mediante mancipatio o in iure cessio col patto che verificatesi certe
condizioni la stessa cosa sarebbe stata ritrasferita in proprietà al fiduciante. Questo patto si chiamava pactum
fiducia, era un rapporto completamente basato sulla fiducia tra persone perché non c’erano obbligazioni. Era
fattibile in età arcaica perché c’erano pochi patres che si conoscevano, ma con l’accrescersi della popolazioni
non era più ottimale e dunque vennero introdotti il deposito, il comodato e il pegno. Quando la fiducia era
violata non c’era sanzione giuridica, i romani pensavano che sarebbero incorsi in sanzione divina. Esistevano
due tipi di fiducia:
• Cum amico: era quella che era il progenitore dei futuri deposito e comodato, si ricorreva a questa per gli
scopi che si sarebbero raggiunti con comodato e deposito. La cosa veniva data o per prestito d’uso o
custodia. Si differenziano dal comodato e deposito per:
• Doveva fare mancipatio, non si limitava a fare traditio ovvero la semplice consegna senza passaggio di
proprietà. Doveva trasferire la proprietà con mancipatio o in iure cessio perché si parla di un diritto
arcaico e di quando non esistevano ancora i contratti. Il fiduciario diventava proprietario.
• Il fiduciante richiedeva la res e il fiduciario avrebbe dovuto fare una mancipatio al contrario, ma dato
che non esisteva un contratto non c’era un’azione. Non c’era obbligazione, il fiduciario non era
obbligato a restituire la res. Il fiduciante, in caso di mancata restituzione, non avrebbe potuto fare
nulla.
• Cum creditore: era l’antecedente del pegno, trasferiva la proprietà della cosa oggetto di pegno e si
aspettava che una volta pagato il mutuo il creditore gli ritrasferisse la proprietà dell’oggetto.
In età classica la fiducia continua ad esistere, è scarsamente impiegata ma non è abolita. A metà età classica
(tempi di Augusto) viene introdotta nell’editto un’azione in personam (actio fiducia che era un’azione
infamante, il fiduciario che non restituiva la res riceveva l’infamia) per il fiduciante contro il fiduciario.

Contratti consensuali
Erano quei contratti che si perfezionavano con il semplice consenso ovvero con l’accordo. Contratti
informali per cui bastava il consenso perché il contratto iniziasse ad esistere. Erano contratti tipici che si
potevano concludere per scopi economici e sociali garantiti dall’ordinamento. Nascono dapprima per uso dei
peregrini (ius gentium - ius honorarium peregrini III sec - ius honorarium pretore urbano II sec - ius civile I
sec).
• Emptio venditio, la compravendita consensuale. Prima si faceva con negozi giuridici ad effetti reali
(mancipatio - traditio) ovvero che hanno l’effetto di trasferire la proprietà, erano delle compravendite reali
non consensuali, nel senso che si aveva il contestuale scambio tra cosa venduta e prezzo, non erano fonte
di obbligazione perché non erano contratti. Si usava il sistema dell’accordo che ha dato origine al contratto
di compravendita consensuale (età classica). Era un accordo in forza del quale un venditore si obbligava a
trasferire il pacifico godimento di una res e il compratore si obbligava a versargli come corrispettivo il
denaro. C’è il concetto dell’obbligazione, non c’è compravendita reale, è un accordo che non va realizzato
al momento. Il venditore in forza dell’accordo si obbligava a trasferire il pacifico godimento, ovvero il
possesso. Non c’era effetto reale ovvero non aveva l’effetto di trasferire la proprietà. La nostra
compravendita è un contratto consensuale ad effetti reale (art. 1470 cod. civ.), dal semplice consenso si
verifica il passaggio della proprietà anche se la cosa non è stata consegnata, se il compratore non ha pagato
il prezzo. In diritto romano la differenza è che in quest’ultimo negozio aveva effetti obbligatori. Gli oggetti
della compravendita erano la Merx, la merce o il Pretium, il prezzo.
• La merx doveva essere una cosa determinata o determinabile, corporale, deve avere valore economico.
Si possono vendere cose future, si parla di emptio spei (prezzo totale) o emptio rei sperate (prezzo al
kg), vendita della speranza, ad esempio la vendita del raccolto.
• Il pretium. La compravendita è contratto sinallagmatico cioè ci sono prestazione e controprestazione,
una è la consegna della merx e l’altra è il prezzo. Siamo in età classica quindi si utilizza il denaro.
actio empti - compratore; actio venditi - venditore.
Se la res è nec mancipi il venditore è obbligato a consegnare con traditio e a quel punto c’è il passaggio di
proprietà. Nel caso in cui la res sia mancipi, si fa la traditio, ma la proprietà si acquista con usucapione,
cioè ci metteva un anno per le cose mobili, due anni per le cose immobili.
Il venditore era obbligato a consegnare la res ma anche a garantire contro l’evizione e i vizi occulti.
• si ha evizione quando qualcuno acquista una res che gli viene consegnata e dopo di che arriva un terzo che
intenta rei vindicatio nei confronti dell’acquirente e vince quindi porta via la res all’acquirente. Il venditore
gli ha venduto una res di cui non era proprietario e quindi il compratore ha subito evizione. Il compratore
poteva agire contro il venditore con actio empti contro il venditore per ottenere indietro il doppio del
prezzo pagato o se dimostrava di aver subito ulteriori danni otteneva anche di più.
• i vizi occulti, io vendo un bene che ha dei vizi ma non te lo dico perché altrimenti non lo compri.
Esistevano due casi: nelle compravendite del pretore peregrino si otteneva il rimborso del doppio, nelle
compravendita al mercato il processo bifasico si svolgeva la prima parte davanti all’edile curule e il
compratore del bene viziato poteva citare il venditore con azione aestimatoria o quanti minoris (entro 1
anno, poteva a sua scelta intentare questa chiedendo una riduzione del prezzo pagato in considerazione del
vizio presentato dalla res) o redhibitoria (entro i 6 mesi dalla compravendita, poteva chiedete indietro il
prezzo del bene comprato restituendo il bene).
Art 1492 del cod.civ. parla della compravendita di beni viziati.

• Locatio conductio, contratto di locazione. Locazione è il contratto consensuale con cui il locatore si
obbliga a trasferire al conduttore per un certo periodo di tempo con il pagamento di una mercede.
L’obbligazione principale è che il locatore è obbligato a trasferire qualcosa per un certo periodo di tempo.
Esistono 3 tipi di questo contratto, in alcuni casi paga il conduttore, in altri il locatore.
• Locatio rei, qui il locatore si obbligava a trasferire al conduttore il godimento temporaneo di una cosa
in cambio di un corrispettivo in denaro. Paga il conduttore il canone di locazione, poteva essere una
tantum o periodico. Si poteva fare per uno schiavo, un cavallo, una res. Il conduttore si obbliga a
pagare la merces. Qui è un contratto sinallagmatico, tutte e due le parti si obbligano. La differenza con
la compravendita è perché il passaggio di godimento è per sempre, nella locatio rei il godimento è
temporaneo. Da questo contratto deriva il nostro contratto di locazione.
• Locatio operis, qui il locatore si impegnava a trasferire una cosa al conduttore affinché il conduttore
svolgesse su di essa una certa attività lavorativa per raggiungere un certo risultato. La mercede qui era
pagata dl locatore che dava la res per un periodo di tempo, il conduttore vi svolgeva un’attività
lavorativa e il locatore la riceveva lavorata. L’obbligazione del conduttore è lavorare la res e restituirla
al locatore dopo la lavorazione, l’obbligazione del locatore è consegnare la res e pagare il lavoro del
conduttore. Al giorno d’oggi tale attività non fa parte delle locazione ma dell’appalto. Oggetto qui è la
rei che dopo essere stata lavorata diventa opus. (es. Locatore da un blocco di marmo affinché il
conduttore ne ricavi una statua)
• Locatio operarum, una persona si obbligava a mettere a disposizione la propria attività lavorativa per
un certo tempo al locatore indipendentemente dal raggiungimento di uno specifico risultato e in
cambio riceveva la mercede. L’oggetto di questa locatio non è una res fisica, in latino erano chiamate
opere ovvero l’attività lavorativa. Ad oggi questo contratto è un contratto di lavoro, in particolare il
lavoro subordinato che dai romani era regolato dalla locatio operarum. La mercede è pagata dal
conduttore. Qui il locatore è il lavoratore, il conduttore è il datore di lavoro.
Essendo un contratto bilaterale abbiamo 2 azione, locatore contro conduttore ha actio locati, il conduttore
contro locatore ha actio conducti.

• Societas, impegno assunto da una o più persone di mettere in comune beni o attività lavorative per ottenere
un risultato vantaggioso. Si tratta di un contratto plurilaterale e le parti devono fare conferimenti, ovvero
conferire qualcosa alla società. Alla fine, se sarà stato raggiunto il risultato, si dividono i profitti, altrimenti
dividono tra loro le perdite. L’accordo sociale stabilisce il modo in cui i soci divideranno profitti o perdite.
La società romana non aveva rilevanza esterna, la nostra società è una persona giuridica che può essere
centro di imputazione di interessi, ha diritti, doveri e un proprio patrimonio distinto da quello dei soci. A
Roma la società non era persona, era solo un accordo tra i soci in base al quale i soci dovevano dividersi
profitti o perdite ma non aveva alcuna rilevanza con i terzi. Actio pro socio, azione edittale di un socio per
agire contro un altro socio in merito alla divisione dei profitti. Es. Caio chiede un prestito per la società
composta da lui e Tizio ma in caso di mancata restituzione del prestito il creditore potrà agire solo contro
Caio perché la società non ha rilevanza esterna. Caio chiederà poi a Tizio la metà altrimenti Caio potrebbe
agire con actio pro socio contro Tizio. Le obbligazione nascono solo per il socio che ha contratto il debito,
si procederà esternamente con la divisione. La società romana si basava col consenso che doveva protrarsi
per tutto il tempo della società (es. affectio maritalis), si parla di affectio societatis che deve durare per
tutto il tempo di durata della società. La società si poteva sciogliere per recesso unilaterale, di un solo
socio, che faceva venire meno le obbligazioni sociali future, rimaneva però obbligato a perfezionare le
obbligazioni passate. Oppure poteva sciogliersi per: morte di un socio, capitis deminutio, fallimento
bonorum venditio di un socio.
• Societas omnium bonorum, costituivano una comproprietà di tutti i beni dell’uno e dell’altro
• Societas unius negotiationis, una società per un singolo negozio, per una singola attività.

• Mandato, o mandatum, il mandante incaricava il mandatario di compiere una certa attività e il


mandatario si impegnava a svolgerla gratuitamente. Se il mandatario riceveva retribuzione non si tratta più
di mandato ma di locatio. C’è un obbligazione del mandatario che si obbliga a svolgere l’attività e
soprattutto si obbliga a trasferire gli effetti di quella attività al mandante. Il mandante era un rappresentante
indiretto (es. Mandatario va a comprare una res per il mandante, dopo averla comprata dovrà fare la
mancipatio al mandante per trasferire la proprietà.) Il mandante, verso il mandatario, ha l’obbligazione di
rimborsare eventuali spese. Il mandato era un contratto essenzialmente gratuito ma andavano rimborsate le
spese. Questo contratto è imperfettamente bilaterale, non sinallagmatico: actio mandati diretta (mandante)
e actio mandati contraria (mandatario). [Se il soggetto finisce con -ario avrà l’azione contraria.] Il contratto
finiva per morte o capitis deminutio di uno dei due.

Contratti letterali
• Nomina trans(-)scripticia, perché era trascritta. Actio certae creaditae pecuniae o certae rei. Per entrambi i
nomi derivano dalla transscriptio, trascrizione di dati su un libro che si chiamava codex accepti et expensi
che era il libro più importante della contabilità domestica sul quale il pater familias registrava le entrate e
le uscite. Tale libro aveva due colonne: una per le acceptum (le entrate) e l’altra per l’expensum (le uscite).
Entrambi i contratti fanno riferimento alle trascrizioni che si compivano su tale libro. Nelle uscite si
scrivevano i crediti ad esempio.
• Transscriptio a re in personam, il pater familis che fosse già creditore di una somma di denaro per
contratto consensuale, d’accordo col proprio debitore registrava nell’acceptum quanto dovutogli come
se l’avesse incassato. Al contempo, nell’expensum, scriveva quella stessa somma come se l’avesse
data a mutuo al debitore. (es. Pf vende a Tizio il cavallo a 100 -compravendita consensuale-, ha
consegnato il cavallo ed attende il pagamento: nel codex indicherà nelle uscite 100 per emptio venditio
a Tizio, nell’attesa che quest’ultimo saldi il debito. Qui si crea il contratto letterale poiché il pater
familias indicava 100 nell’acceptum come se Tizio avesse già pagato. Indicava poi 100 dato a mutuo a
Tizio sulle uscite. All’inizio Tizio doveva 100 al pf a titolo di compravendita, dopo la transscriptio a re
in personam ora Tizio deve 100 al pf come mutuo, cambia quindi il titolo in base al quale Tizio deve
100 al pf. Oltre al titolo cambia che la prima obbligazione è stata estinta, seppur fittizia, e c’è una
nuova obbligazione a titolo di mutuo: è stata fatta quindi una novazione oggettiva, la vecchia
obbligazione è stat estinta e c’è una nuova obbligazione. A questo punto, se Tizio non paga, non sarà
più compravendita, si tratterà di una nuova obbligazione. Serviva quindi a dare titolo formale a un
debito nato da contratto consensuale. Se vi erano garanti che garantivano 100 con questa novazione le
garanzie erano tutte cancellate. La nuova obbligazione nasceva da contratto letterale. Le annotazioni
con la prima obbligazione per mutuo, non contratto consensuale, erano dette nomina arcaria e avevano
solo funzione probatoria.
• Transscriptio a persona in personam, il pater familias, avendone avuta delega dal proprio debitore
segnava nella colonna delle entrate la somma che quello gli doveva come se l’avesse già incassata e la
annotava a carico di un altro. (es. il Pf ha dato 100 a Tizio, segna nelle uscite. Indica nelle entrate la
somma come se l’avesse incassata da Tizio e la indicava nuovamente nelle uscite a carico di un terzo,
Caio. Qui cambia il debitore, l’obbligazione era di Tizio che è debitore nella colonna dei crediti,
dopodiché l’obbligazione passa a Caio. Questo serviva a trasferire una obbligazione da una persona ad
un’altra secondo un fenomeno che si chiama delegazione. Naturalmente tutti dovevano essere
d’accordo, creditore e debitori. Questa realizzava la novazione soggettiva, serviva a cambiare uno dei
soggetti, tizio è estromesso ed esce dal rapporto obbligatorio, al suo posto c’è Caio, si chiama
delegazione di debito, delegazione passiva. Perché Caio si obbliga? Perché è probabile che Caio abbia
un debito di 100 nei confronti di Tizio, quindi non si fa pagare il debito per poi darlo al pf ma fa pagare
direttamente il pf, serviva sempre però il consenso del pater familias.

Esistevano dichiarazioni scritte con cui un soggetto riconosceva un proprio debito nei confronti di un altro
soggetto oppure gli prometteva una certa prestazione. Queste erano:
• Chirographa, se erano in un unico esemplare
• Syngraphae, erano scritte insieme da due parti ed erano in doppio esemplare.
Queste dichiarazioni erano in uso nelle province orientali dell’impero in cui si parlava greco e in queste
province si riteneva che fossero fonte di obbligazione. (Grecia, l’Oriente, Asia Minore)
Per il diritto romano puro queste non erano contratti tipici né fonte di obbligazione. Le obbligazioni
nascevano dalla stipulatio, non dalla scrittura. Tuttavia, nel V secolo anche la stipulatio acquistò la forma
scritta e divenne libera nella espressione verbale significa che ci sarà una coincidenza tra stipulatio scritta e
le dichiarazioni scritte utilizzate in oriente. Quindi il diritto romano aveva accettato che la stipulatio
diventasse scritto ed era dunque diventata uguale a chirographa e syngraphae.

Ogni contratto era tutelato dalla sua azione→principio della tipicità


Come, nel corso del tempo, la tipicità contrattuale sia stata attenuata, si parla di un lento e progressivo
tentativo che non portò mai ad un completo superamento della tipicità. Ogni contratto aveva una propria
rigidità che non permetteva modifiche allo schema contrattuale. Nel 472 l’imperatore leone ammise il
completo superamento del formalismo della stipulatio si raggiunse qui, per la stipulatio, la fine della tipicità
in quanto potevano avere qualsiasi contenuto e forma. Giustiniano tornerà poi un po’ indietro affermando che
bisognava continuare con l’arcaico tipo di stipulatio, dunque con domanda e risposta. Era quindi diventato
atipico ed era unilaterale e non permetteva alle parti di inventare schemi bilaterali tipici. I contratto
sinallagmatici erano solo locazione e compravendita che erano però rigidamente tipici. I romani non giunsero
mai alla tipicità nei contratti sinallagmatici.
Ci sono state delle convenzioni atipiche che hanno cominciato a godere di qualche tutela, convenzioni
atipiche in cui una delle parti avesse per prima eseguito la propria prestazione. Il giurista Paolo le
schematizzò così:
• Do ut des, scambio tra due res - non era un contratto tipico né era vincolante, era un accordo senza valore
giuridico in cui due parti si obbligavano consensualmente a fare uno scambio di questo tipo. Non era tipico
e quindi non c’era azione per costringere la parte che non rispettava l’accordo. Era nullo, cadeva. (Se le
parti scambiavano una res per ricevere danaro abbiamo un contratto di compravendita, con piena validità
ed obbligazioni annesse)
• Do ut facias, accordo con cui una parte si obbliga a dare una res e l’altra si obbliga a fare qualcosa, c’è un
aprestazione di dare contro una di fare: Anche questo non era vincolante
• Facio ut des, io mi impegno a fare qualcosa e tu ti impegni e dare qualcosa, non è tipico né vincolante né
consensuale.
• Facio ut facias, io mi obbligo a fare una cosa e tu ti obblighi a farne un’altra, atipico, non vincolante.
(Faccio affinché tu faccia)
I romani non giunsero mai a dare valore vincolante a queste convenzioni atipiche. Si parla di un accordo in
cui le parti si obbligavano a fare qualcosa ma nessuno è obbligato all’adempimento.
Questa è la situazione di età classica.
Il diritto romano riconobbe valore a questi 4 casi se una delle due parti avesse eseguito prima la propria
prestazione
• Do ut des-Do ut facias, uno da il cavallo l’altro non vuole più dare il bue. C’è un accordo ma uno dei due
ha adempiuto per primo ma l’altro si ritira. Chi ha eseguito per primo la prestazione non può, per i principi
del diritto romano, obbligare l’altra parte in quanto non c’è contratto. Il primo ha però adempiuto e dunque
può farsi ridare indietro il cavallo secondo il principio della condictio, l’azione generale di ripetizione
dell’indebito. (indebiti solutio) C’era un obbligazione senza contratto.
• Facio ut des-Facio ut facias, io faccio una cosa ma tu no, cosa posso fare? non sei obbligato da contratto e
non c’è azione nell’editto ma non posso farmi ridare la fatica e il tempo. Qui c’è prestazione senza motivo
e si poteva utilizzare l’actio de dolo, ovvero pagare per via economica la prestazione che l’altro aveva
eseguito. Siamo in ambito extracontrattuale.
Così fu fino al II sec. d.C, poi cambiò con l’arrivo del giurista Aristone che introdusse un’innovazione.
Affermò il principio per cui dalle convenzioni atipiche rientranti in questi 4 schemi di cui fosse stata eseguita
la prima prestazione, derivasse una obbligazione civile alla controprestazione. Se vuole una parte può
costringere l’altra all’adempimento con l’introduzione nell’editto di una nuova azione: actio praescriptis
verbis che aveva a disposizione colui che avesse eseguito una prima prestazione nello schema di accordi di
do ut des, do ut faciam, etc… Non solo poteva agire con conditio o actio de dolo ma anche con actio
preaescriptis verbi. Da questo momento, quei 4 schemi erano diventati contratti ma non consensuali perché
non basta il mero accordo, serve anche che una parte abbia per primo adempiuto. Si chiama a.p.v perché era
un’azione civile in personam in cui l’intentio era preceduta da una praescriptio pro actore.

L’actio de dolo poi sparisce dato il suo carattere sussidiario e dunque non serviva più, la condictio invece
rimane, non è abolita in relazione a queste fattispecie. Chi ha adempiuto per primo aveva alternativa, poteva
optare di agire con uno dei due modi. Tutto ciò riconduce all’art. 1453 del cod. civ.
Questi contratti non rientrano tra i vecchi contratti del diritto romano e non avevano nome edittale. Per
questo, quando nel VI sec. un giurista bizantino, collaboratore di Giustiniano, Stefano, prendendo spunto dai
testi classici che parlavano di tali convenzioni prive di nome edittale li chiamò anonyma synallagmata (in
greco) e in italiano presero il nome di contratti innominati. [Sono contratti solo se una delle due parti ha
adempiuto per prima]. Alcuni di questi contratti innominati ebbero nel tempo grande importanza e per noi
sono contratti tipici.
• Permuta è il do ut des, ci furono problemi giurisdizionali per la definizione della permuta (sabiniani -
contratto che rientrava nella compravendita- e proculiani -per Celso non poteva rientrare nella
compravendita- la soluzione finale che prevalse fu quella di riconoscere nella permuta un contratto
innominato, per cui se nessuno aveva adempiuto il contratto era nullo, solo se uno dei due avesse
adempiuto per primo questo avrebbe avuto a disposizione alla a.p.v). La permuta, al giorno d’oggi, è un
contratto consensuale.
• Aestimatum, è il contratto più importante ed è il contratto estimatori. Un contraente dava all’altro una cosa
stabilendone il valore, l’altro assumeva l’impegno o di restituire il ricavato nei limiti della stima dopo aver
venduto la cosa o di restituire la stessa cosa. E’ il contratto che fanno tutti i negozianti, si tratta del conto-
vendita.
• Transazione, è un contratto fondamentale ed è il contratto con cui le parti facendosi reciproche concessioni
prevengono l’insorgere di una lite o pongono fine ad una lira tra loro già insorta. (art. 1965 cod. civ.)
• Precario, era la concessione diun bene immobile da un soggetto all’altro perché questo ne godesse
gratuitamente e lo restituisse a semplice richiesta (prende nome dalle praeces, le preghiere). In origine era
gratuito, è un istituto molto antico, è un ng non un contratto. il precario risaliva all’età arcaica, è più antico
del comodato e non c’era azione (non è contratto). In età giustinianea il precario venne incluso nei contratti
innominato perché c’era un do ut des e quindi si poteva utilizzare l’a.p.v. Il precario venne poi tutelato con
azione che era l’a.p.v.
Pacta
Non erano contratti, erano i semplici accordi che non rientravano in alcun tipo contrattuale, non
corrispondevano ad uno schema contrattuale tipico. Non erano fonte di obbligazione. La loro origine era nel
campo del diritto penale perché ritroviamo il patto a proposito della iniuria già nelle XII tavole (si membrium
rupsit…). [si dice la pactio, il pactum] Il patto serve ad evitare la vendetta privata.Nel campo del diritto
privato si potevano fare dei fatti come il do ut des, che era un nudo patto. Il nudo patto non era quindi fonte
di obbligazione ed era regolato dalla norma: nuda pactio obligationem non parit sed parit exceptionem.
Aveva valore dal punto di vista della eccezione, la sua validità era attestata dall’eccezione.
Pactum de non petendo, il patto per cui un creditore rimetteva il proprio debitore. Se fatto il patto il creditore
chiama in giudizio il debitore per concludere il pagamento, il debitore poteva opporsi per exceptio pacti
conventi. C’era solo un caso che poi venne riconosciuto in età classica in cui i pacta adiecta in continenti
erano contratto. Erano dei patti che accedevano ad un contratto consensuale.

Patti pretori
Si chiamano così ma non erano dei patti, il nome è equivoco. Erano dei contratti che furono riconosciuti
come tipici soltanto sul versante del ius honorarium e non transitarono mai nel campo del ius civili.
Andrebbero chiamati contratti pretori anche se non è nome ufficiale. Siamo ancora nel campo delle fonti
delle obbligazioni contrattuali.
• Constitutum debiti: promessa informale di adempiere un precedente debito entro un termine perentorio. Il
debito poteva essere proprio o altrui (funzione di garanzia). Generava azione, non realizzava una
novazione e dunque non faceva estinguere il precedente debito sostituendolo con uno nuovo (come
avveniva nei contratti letterali), bensì si aggiungeva, si dilazionava. Pertanto se il creditore avesse agito
contro il debitore per il debito precedente senza rispettare quanto previsto dal constitutum debiti
(dilazionava), il debitore si sarebbe potuto difendere con exceptio.
• Receptum arbitrii, era l’assunzione da parte di una persona di giudicare una controversia tra due altre
persone e di fungere dunque da arbitro (l’arbitrato serviva a risolvere una controversia senza andare in
giudizio). Non dava luogo a immediata esecuzione ma faceva sorgere un’obbligazione nei confronti delle
parti. Era semplicemente l’atto con cui l’arbitro assumeva l’incarico di fare l’arbitrato. Se non avesse
svolto l’arbitrato avrebbe dovuto pagare una multa.
• Receptum argentarii, era l’impegno di un banchiere (argentarius) di pagare una somma per un cliente, ad
esempio un debito.
• Recepta nautarum, cauponum, stabulariorum, erano degli impegni che assumevano gli armatori di navi,
albergatori e stallieri, per danni che avessero avuto a subire i loro clienti o ospiti per colpa di terzi. Con
questi recepta questi 3 gruppi si obbligavano a rimborsare qualsiasi perdita subita dai loro avventori.
Questa responsabilità era in origine illimitata, poi da Labeone fu ridotta al caso della loro colpa, iniziarono
a rispondere solo qualora ciò fosse dipeso da una loro responsabilità.

Quasi contratti
I quasi contratti sono fonti di obbligazione
• Indebiti solutio, era il pagamento dell’indebito. E’ sfornito di causa e chi ha compiuto pagamento indebito
può farsi rimborsare. Si usa la condictio.
• Negotiorum gestio, gestione d’affari altrui: il gestore d’affari altrui è colui che si occupa di beni o azioni di
un altro e la norma dice che: ci sono le due parti (dominus e gestore) e il dominus è obbligato a rimborsare
le spese al gestore quando la gestione sia stata almeno iniziata utilmente anche se poi l’esito finale sia stato
inutile. Il gestore deve aver fatto almeno all’inizio la cosa giusta e deve portare a termine la gestione. La
prima cosa che deve fare il gestore è trasferire gli effetti dell’atto da lui compiuto al dominus, come, ad
esempio, per il mandatario. Se il gestore non porta a compimento la gestione può essere citato in giudizio
per actio negotiorum gestorum directa.
I Delitti
I. Furto
II. Rapina
III. Iniuria
IV. Damnum Iniuria Datum

Sono fonte di obbligazione e nella classificazione sono la terza fonte. Sono atti illeciti volontari riprovati dal
diritto privato, non dall’ambito del diritto pubblico che invece punisce i crimina. Volontari significa che in
partenza vi è un dolo (intenzione) e in alcuni delitti si ammise anche la colpa (negligenza, imperizia,
imprudenza) come elemento soggettivo. Dal compimento del delitto nasceva l’obbligo di pagare una pena.

Furto e rapina
• Furto: è la sottrazione di cosa mobile altrui (da ferre, prendere).
• Manifestum, caso di furto flagrante: se il ladro è colto in flagranza dal derubato. Per il ladro sorgeva
l’obbligazione di pagare una pena. Qualunque diritto fa nascere l’obbligazione di pagare una pena
pecuniaria, non di risarcire. La pena si quantifica nel quadruplo, il ladro doveva pagare il quadruplo del
valore della cosa rubata a titolo di pena e veniva convenuto con actio furti per il pagamento. In più era
convenuto per rei vendicatio in quanto doveva restituire la cosa.
Esisteva una procedura che serviva a imporre la pena del quadruplo per il furto non flagrante, era una
procedura arcaica che poi scompare e si chiamava: quaestio lance licioque, se il derubato trovava la refurtiva
compiuta in casa del sospettato da parte del derubato ma il derubato doveva entrare con autorizzazione in
casa del sospettato completamente nudo con un perizoma (licium) e tenendo in mano un piatto vuoto (lanx).
La nudità serviva ad evitare che il derubato nascondesse la refurtiva e la lasciasse nella casa del sospettato.
Questa pratica sparisce abbastanza presto.
• Nec Manifestum, il ladro non era colto in flagranza e pagava il doppio del valore della cosa rubata.
• Conceptum, in cui la pena era del triplo e di cui rispondeva colui a casa del quale fosse stata trovava la
refurtiva anche se ormai senza la procedura della questio lance licioque.
• Oblatum, punito con pena del triplo rispondeva chi avesse nascosto la refurtiva presso altri che avrebbero
risposto di furtum conceptum.
• Prohibitum, di cui rispondeva chi avesse impedito la ricerca della refurtiva in casa propria. Questa
persona rispondeva di una pena del quadruplo, era considerata una fattispecie di furto.
Il caso più importante di furto era quello flagrante, si arrivava alla pena del quadruplo con la cattura del ladro
che doveva essere scoperto e preso dal derubato, solo in quel caso sarebbe potuto essere citato in giudizio e
pagare una pena del quadruplo. Questo poneva alcune difficoltà per il caso che il furto fosse stato commesso
con violenza. Il furto violento dovrebbe essere una fattispecie più grave del furto senza violenza, però per il
sistema tradizionale del diritto romano in realtà il furto aggravato da violenza finiva per far pagare la pena
del doppio perché normalmente chi subisce furto violento non riusciva a catturare il ladro e dunque non
riusciva ad arrivare alla pena del quadruplo. Gli anni 70 a.C. sono anni nei quali si verificano furti commessi
con violenza da parte di schiavi armati che scappavano dai padroni ed andavano a derubare, esempio è la
rivolta di Spartaco (73 a.C.) domata da Crasso e Spartaco finì crocifisso insieme agli altri schiavi.
• Questo stato di cose imperfetto fu risolto dal pretore Lucullo nel 76 a.C. che istituì un nuovo delitto
chiamato rapina, ovvero furto commesso con violenza nel 76 a.C. e stabilì la pena del quadruplo per
quest’ultima. La pena per rapina non era cumulabile con la rei vindicatio, in quanto la include: era per 3/4
penale e per 1/4 aveva natura rei perscutoria. L’actio della rapina si chiamava: actio vi bonorum raptorum.
Non si ha un quadruplo perfetto ma comunque c’è un miglioramento rispetto alla condizione precedente.

L’iniuria
L’iniuria sono gli atti dolosi e ingiusti di violenza fisica alle persone. E’ molto antica e inizialmente era
punita con la vendetta privata, al tempo delle XII tavole era regolata dalla legge del taglione. Il soggetto leso
era però libero di decidere se accettare o meno la proposta economica che gli giungeva dall’offensore, in
ogni caso le due parti stringevano un patto con il quale si accettava la pena (il denaro) e rinunziava alla
vendetta privata. L’ultima fase, successiva alle XII tavole, la vendetta privata è abolita. Così nasce il delitto
del diritto privato che prevede la pena. L’ammontare della vendetta privata era:
• Os fractum: caso più gravo di lesione, la pena era di 300 assi per la frattura di un uomo libero; 150 assi per
la frattura di uno schiavo.
• Altre offese: c’era una pena fissa di 25 assi.
L’asse era la più antica moneta romano e si parla di una moneta non coniata, erano assi di bronzo pesati di
volta in volta e ogni asso aveva il peso di 8kg. La pena era fissa, fissata dall’ordinamento, diversa quindi
dalla pena del furto dove la pena era variabile, in multiplo. Il problema delle pene fisse era che incorrevano
in svalutazione finanziaria e quindi il valore della pena rischia di diminuire. Infatti, Gellio, un letterato
vissuto nel II sec. d.C., racconta una storia avvenuta nel III sec. a.C. accaduta a Lucio Verazio. Quest’ultimo
schiaffeggiava i passanti e il suo schiavo dava agli schiaffeggiati 25 assi l’uno dato che, in seguito a
svalutazione, erano diventati monete di poco valore.
L’azione contro questi delitti era l’actio iniuriam. Tutte le azioni penali erano caratterizzate dalla
intrasmissibilità passiva, quando il debitore moriva la pena non passava agli eredi.
L’actio iniuriarum era intrasmissibile sia per parte attiva che passiva, l’erede di un soggetto leso non poteva
agire per avere la pena da chi aveva commesso il delitto. Era azione penale.
Dal II sec. a.C., dato che l’astio iniuriarum non funzionava più a causa della svalutazione, fu introdotta una
nuova actio: l’actio iniuriarum aestimatoria, dove la pena era valutata dal giudice caso per caso e c’era un
limite massimo prestabilito. Per svolgere questa actio furono ritenuti adatti i recuperatores che stabilivano la
pena entro i limit della taxatio.
Nell’81 a.C., anno della costituzione Sillana (81-79), Silla rese l’iniuria un crimen solo per i casi più gravi
come la rottura dell’arto e dunque fu punito attraverso il processo criminale (pubblico), solo i casi meno
gravi di iniuria erano ancora regolati dal processo privato. Durante l’età classica, l’iniuria, nata per le lesioni
fisiche, venne estesa anche alle offese morali come l’insulto che venne assoggettato alla disciplina dell’astio
iniuriarum aestimatoria.

Il damnum iniuria datum (Il danneggiamento)


Il danneggiamento doloso di cose altrui venne disciplinato come delitto unitario nel III sec a.C. da un
plebiscito che fu chiamato Lex Aquilia de Damno. Questo plebiscito conteneva tre capita:
1. Uccisione di schiavi e di pecudes, che erano alcuni animali considerati importanti (l’elenco era più
ampio rispetto a quello delle res mancipi). Furono ritenuti animali importanti tutti i bovini, gli ovini, i
caprini, gli equini e i suini.
2. Adstipulator froda stipulator, il secondo creditore aggiunto della stipulatio che frodava lo stipulator.
3. Ferimenti e uccisioni minori, danneggiamenti di cose: ferimento di schiavi e pecudes, ferimenti e
uccisione di animali non pecudes e anche il danneggiamento di cose inanimate.
Il secondo capitolo cadde presto in desuetudine, disse Gaio, in quanto non in linea con gli altri capita.
• La pena per il primo capitolo era commisurata al valore massimo che la cosa avesse avuto nell’ultimo
anno. Infatti il valore della cosa cambiava durante l’anno, ad esempio il valore di uno schiavo.
• Per il terzo capitolo la pena era commisurata al valore massimo che la cosa avesse avuto nell’ultimo mese.
L’azione era detta: actio legis Aquiliae, rispondeva ai requisiti delle azioni penali ed era nossale. Da un punto
di vista formale era un’azione penale, ma dal punto di vista sostanziale la pena non era una punizione, ma
piuttosto sembra un risarcimento. Dal punto di vista dei giuristi questa actio era l’azione meno penale, infatti,
in età giustinianea, nelle Istituzioni, questa legge fu detta da Giustiniano rei persecutoria o mista, non più
inclusa tra le azioni penali. Salvio Giuliano disse quale fosse il senso della valutazione dell’ultimo anno o
mese, la reputava una cosa arcaica e con lui cambiò il criterio di valutazione: il criterio deve essere
l’interesse dell’attore all’integrità della cosa. La pena del danno deve coprire il valore che la res ha in quel
momento, questo è il criterio alla base del nostro art. 2043. Ci sono sia danni subiti che subendi in merito al
danno, ovvero quelli futuri. Es. il pater ha lasciato l’eredità allo schiavo, questo schiavo, che vale 100, esce
per andare ad ereditare i 100000, viene investito e il padrone ha perduto lo schiavo Stico e anche la
possibilità di ereditare. Così colui che investe lo schiavo dovrà risarcire sia i 100 del valore dello schiavo sia
i 100000 dell’eredità. Nel I sec. a.C. si distingue il delitto doloso dal colposo, quindi c’è l’obbligo di pagare
la pena sia in caso di danneggiamento doloso che colposo. L’ultimo cambiamento fu il danno per omissione,
cioè il comportamento di chi non causa il danno ma non impedisce che questo si realizzi.

Quasi delitti
• Effusum vel deiectum, versato o lanciato: fa riferimento a oggetti che siano stati lanciati o lasciati cadere
da un piano alto di un edificio o che siano caduti da soli ma non si sa chi lo abbia lanciato. Ne risponde
l’abitante della casa: per danni a persone la pena è stabilita da un giudice, per l’uccisione di un uomo libero
c’era pena fissa di 50 aurei.
• Positum aut suspensum, cose messe in modo pericoloso sul davanzale di una finestra, crea dunque un
pericolo. Qualunque azione poteva agire contro l’abitante per costringerlo a pagare una pena fissa che in
età giustinianea era di 10 aurei. L’abitante rispondeva sia che avesse messo lui la cosa o altri, ne
rispondeva l’attuale abitante.
• Actiones adversus nautas, caupones, stabularios: la loro responsabilità divenne penale, il soggetto che
viaggiava in una nave o era ospite in un albergo o aveva il cavallo presso una stalla poteva agire contro
l’imprenditore per ottenere una pena corrispondente ai danni subiti da lui o dalle sue cose.
Tutti e tre i quasi delitti avevano in comune l’elemento soggettivo: responsabilità oggettiva che deriva da un
legame oggettivo che la persona ha con il luogo dal quale è promanata la causa del danno.
• Iudex qui litem siam fecit, giudice che giudicasse malamente per imperizia o per dolo poteva essere citato
in giudizio dalle due parti litiganti, pena decisa dal giudice secondo equità.

Estinzione delle obbligazioni


Il modo generale di estinzione è l’adempimento della prestazione prevista dal rapporto obbligatorio. La
prestazione poteva consistere in dare-facere-praestare:
• Dare, trasferire la proprietà o altro diritto reale.
• Facere, qualsiasi comportamento diverso dal dare, fare qualcosa di qualsiasi genere.
• Praestare, in diritto romano indicava il garantire, qualcuno che si fa garante di un’altra persona, rappresenta
la garanzia. Nelle fonti il verbo praestare è utilizzato in senso atecnico anche per indicare il dare o il facere.
La prestazione deve essere suscettibile di valutazione economica, piuttosto quanto perde l’attore se non
riceve quella prestazione, deve dunque avere carattere patrimoniale per cui se il debitore non adempie sarà
sempre possibile costringerlo a pagare una somma per adempiere la prestazione. In secondo luogo la
prestazione deve essere possibile, se non è possibile il negozio è nullo. Se l’obbligazione è impossible sin
dall’inizio il negozio è nullo, se diventa impossibile per colpa del debitore allora quest’ultimo dovrà risarcire
il danno. Ci sono due tipi di impossibilità: materiale e giuridica (es. bene che non esiste/vendo un uomo
libero pensando sia uno schiavo). Se l’obbligazione fosse illecita si basa sul negozio nullo. L’oggetto della
prestazione deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile. L’adempimento deve essere fatto per
intero, non può essere parziale perché il creditore può sempre rifiutare l’adempimento parziale. Il debitore
può anche proporre al creditore una prestazione piuttosto che un’altra, o il pagamento piuttosto della
prestazione (datio in solutum). Se non c’è un termine, l’adempimento può essere preteso subito. Oggi
l’adempimento va svolto presso il domicilio del creditore, nel diritto romano, invece, il creditore doveva
andare a esigere la prestazione presso il luogo del debitore. L’adempimento estingue in linea di massimo
l’obbligazione, è la prima, più frequente e più importante modalità di estinzione. Ma in età arcaica
l’adempimento da solo non era sufficiente, infatti era affiancato dal nexum: il debitore andava a vincolarsi
presso il debitore e rimaneva dal suo creditore. Il debitore veniva poi liberato per solutio per aes et libram.
C’era dunque adempimento e solutio. Per la sponsio in età arcaica, quanto per la stipulatio poi,
l’adempimento non era sufficiente, occorreva l’acceptilatio: un gesto simmetrico alla sponsio e stipulatio,
cioè il debitore domandava al creditore: Hai ricevuto? E il creditore rispondeva: Ho ricevuto. Ancora in età
classica l’obbligazione sorta da questi contratti necessitava di acceptilatio per l’estinzione completa.

Secondo modo di estinzione è la remissione, l’atto con cui il creditore rinuncia a esigere il proprio credito.
Per liberare il debitore servivano atti giuridici:
• Solutio per aes et libram, da sola era sufficiente per estinguere l’obbligazione, così il creditore liberava il
proprio debitore e quest’ultimo era liberato senza che fosse fatto adempimento.
• Acceptilatio, come modo di remissione era generale, si utilizzava per tutte le obbligazione tranne il nexum.
Era un atto formale, il creditore diceva di aver ricevuto anche se in realtà non era vero, era sufficiente per
la remissione. L’acceptilatio era il modo generale di estinzione delle obbligazioni per il ius civile.
• Pactum de non petendo, patto tra le parti con cui le parti si accordano su qualcosa, il patto generava
eccezione e non obbligazione. Era un accordo con cui il creditore si impegna con il debitore a non
pretendere la prestazione. Se il creditore cambiava idea e citava in giudizio il debitore per inadempimento,
il debitore poteva difendersi con exceptum pacti. Il debitore era tutelato per via di eccezione.
L’obbligazione qui continuava ad esistere ma non era più possibile chiedere l’adempimento.

Esistevano altri modi di estinzione, non tutti generali, alcuni erano solo per alcuni tipi di obbligazione.
Questi sono fatto che vanno oltre l’azione umana.
Altri fatti estintivi delle obbligazione:
• Impossibilità oggettiva sopravvenuta non imputabile al debitore: la prestazione può diventare impossibile
dopo che il contratto è stato concluso. Diventa impossibile ma non si parla di impossibilità originaria,
l’obbligazione è estinta se la prestazione oggettiva diventa impossibile dopo la conclusione del contratto.
• Decorso del tempo, la prescrizione, modo generale di estinzione ad oggi. Le obbligazioni oggi si
prescrivono in 10 anni, 5 anni per atto illecito. In diritto romano la prescrizione nasce in età classica per le
azioni penali in factum, ad esempio la rapina, che si prescriveva in un anno. La prescrizione di 30 anni fu
introdotta nel 424 dall’imperatore Teodosio II per tutte le azioni rei persecutorie.
• Morte del debitore soltanto per le obbligazioni penali.
• Morte del creditore, soltanto per l’iniuria perchè era un delitto inizialmente punito con la vendetta che era
personale, questa pena poteva andare solo a lui non ai suoi eredi.
• Capitis deminutio, maxima, media e minima, estingueva tutte le obbligazioni e il creditore non poteva fare
nulla. Su questo intervenne il pretore che dispose che la capitis deminutio minima estinguesse le
obbligazioni solo per il ius civile ma non honorarium e quindi bisognava rispondere ai debiti del diritto
pretorio.
• Recesso unilaterale, estingueva le obbligazioni future sorte da società e mandato, non quelle passate.
• Contrarius consensus, è un modo di estinzione che vale solo per le obbligazione nate da contratto
consensuale, queste potevano estinguersi per mutuo reciproco di senso. Entrambe le parti, insieme,
decidevano di tirarsi indietro se nessuno dei due prima avesse già adempiuto.
• Compensazione, quando due persone sono reciprocamente debitore e creditore dell’altro. In questo caso ci
son due prestazioni contrarie che sono omogenee i due debiti si estinguono automaticamente, è detta
compensazione legale (è oggi in vigore). Devono essere omogenei, ad esempio devono entrambi avere
debito pecuniario, o oggetto per oggetto. I romani avevano solo la compensazione giudiziale che poteva
fare solo il giudice, esisteva soltanto se vi erano due crediti derivanti dalla medesima causa. La condanna
era sempre pecuniaria. La compensazione poteva anche essere parziale.
• Confusione, quando debitore e creditore vanno a coincidere nella stessa persona. Io devo 100 a Tizio, Tizio
muore e io sono il suo erede. L’obbligazione è estinta per confusione.
• Concursus causarum, si verificava quando il creditore di una cosa determinata dopo che l’obbligazione
fosse sorta avesse conseguito la stessa cosa ad altro titolo cioè per altra via. L’obbligazione si estingueva
solo se entrambe le cause erano lucrative e non se una causa era lucrativa e l’altra onerosa. Tizio dovrebbe
consegnare a Caio una casa perché Tizio riceve un’eredità e il defunto gli dice di lasciare quella casa a
Caio, questo è un legato testamentario. Dunque Tizio è obbligato a dare la casa a Caio e quest’ultimo si
aspetta la casa. Questa è una causa lucrativa dato che va ad arricchire Caio. Sempronio va da Caio a dargli
la casa e Caio si ritrova quel bene che avrebbe dovuto ricevere gratuitamente da Caio ma da Sempronio.
Qui l’obbligazione di Tizio è estinta in quanto quello specifico bene è comunque arrivato a Caio e con
causa lucrativa. Si chiama concorso delle cause, due cause lucrative hanno concorso ed hanno raggiunto il
risultato.
• Noxae deditio, la dazione a nossa del figlio o dello schiavo che avesse contratto un’obbligazione penale.

Novazione
Si estingue una vecchia obbligazione che si sostituisce con una nuova. Occorre che l’obbligazione che va a
sostituire quella estinta abbia rispetto a quella qualcosa di diverso e nuovo ed è dunque necessario l’animus
novandi delle parti. Possono esserci due tipi di novazione:
• Oggettiva, l’elemento nuovo è costituito dalla causa. Si va ad estinguere un’obbligazione contratta con il
consenso o con la dazione di una res (obbl. reale) e se ne costituisce una obbligazione verbale con
stipulatio. L’elemento di novità poteva anche essere costituito da variazioni ad esempio l’aggiunta di
condizioni (sospensiva, risolutiva), l’aggiunta di termini o di garanzie personali o reali che si aggiungono
con novazione, o viceversa si potevano togliere condizioni, termini o garanzie. Un caso particolare fu
quella che inventò il giurista Aquilio Gallo nel I sec. a.C. ovvero la stipulatio aquiliana, quando ci sono due
persone che hanno tra loro una moltitudine di rapporti di credito o debito, che hanno tra loro una
complessità di rapporti (es. tutore nei confronti del tutelato), tutti i crediti/debiti precedenti erano estinti e
venivano riportati in una più grande e singola obbligazione con una grande stipulatio.
• Soggettiva, l’elemento di novità è nei soggetti, cambia il debitore o il creditore. Quando il debitore cambia
avviene un fenomeno che si chiama delegazione di debito (rapp. delegante-delegatario). Quando il
creditore cambia si ha una delegazione di credito.

Tipi di obbligazioni
In base alla prestazione:
• Divisibili e indivisibili, es. l’obbligazione di dare è divisibile, di fare è indivisibile.
• Alternative o semplici. Si definiscono alternative le obbligazioni che prevedono come oggetto due o più
prestazioni alternative e il debitore è liberato con l’adempimento di una sola di esse (es. dalla stipulatio
come prometto di darti lo schiavo o di pagare 100, vi sono due prestazioni alternative). Bisogna sapere a
chi spetta la scelta di una delle alternative: la regola dice che se nulla è precisato dalle parti la scelta spetta
al debitore, se nulla è precisato dal rapporto obbligatorio la scelta spetta al debitore. In ogni caso il debitore
non è obbligato a comunicare la scelta al creditore, fino al momento dell’adempimento è libero di cambiare
idea. Le parti nell’ambito dell’autonomia negoziale possono lasciare la scelta al creditore. Qui la scelta del
creditore è irrevocabile e deve comunicare subito quale delle prestazioni desidera ricevere dal debitore. La
scelta può anche essere lasciata ad un terzo ed è irrevocabile dal momento in cui viene comunicata alle
parti. Le obbligazioni normali si definiscono semplici. Le alternative pongono problemi maggiori in tema
di impossibilità oggettiva sopravvenuta della prestazione (se il debitore rende impossibile la prestazione
deve risarcire il danno, perpetuatio obligationis, se la cosa diventa oggettivamente impossibile allora sarà
liberato). Se una delle due prestazioni diventa impossibile: Caso 1) che la scelta spetti al debitore,
l’impossibilità sopravvenuta di una prestazione concentra l’obbligazione sull’altra. Caso 2) Se la scelta
spetta al creditore, es. sceglie di avere uno schiavo ma lo schiavo muore allora l’obbligazione si estingue e
il debitore sarà liberato poichè l’obbligazione alternativa scelta dal creditore diventa semplice. Ma se il
creditore deve ancora scegliere tra due prestazioni alternative e una è divenuta impossibile, l’obbligazione
si concentra sulla prestazione superstite. Ma se una è diventata impossibile per colpa del debitore prima
della decisione del creditore, in questo caso il credito può scegliere se accontentarsi della prestazione
superstite o se vuole il valore economico della prestazione divenuta impossibile per colpa del debitore,
ovvero richiedere un risarcimento.
• Generiche o specifiche, nelle generiche la prestazione ha ad oggetto cose individuate soltanto nel genere,
meglio se oltre genere e quantità si precisi anche la qualità (10l di vino + Sabino) perché se l’oggetto è
indeterminato il negozio è nullo per indeterminatezza. Il genus è alla base delle obbligazioni generiche, il
genus poteva essere più o meno ampio (es. ti vendo 10 quintali di grano Italiano, piuttosto ampio/ti vendo
uno dei miei 10 schiavi, genere più ristretto). Quando il genere è piuttosto ristretto si tende a confonderle
con le alternative (es. ho 2 schiavi e ti vendo uno dei due, è obbligazione generica perché la scelta è tra due
oggetti dello stesso genere, fosse stata alternativa la scelta sarebbe stata tra due prestazioni diverse). Si dice
che genus non perit, ovvero che le obbligazione generiche non possano estinguersi per impossibilità
sopravvenuta, ma se il genere è piuttosto ristretto può sopravvenire impossibilità (es. ho 10 pecore,
muoiono tutte e quindi genus perit e l’obbligazione è estinta per impossibilità sopravvenuta). La scelta, se
nulla è precisato, spetta al debitore altrimenti la scelta può spettare anche al creditore.

In base al numero di debitori o creditori:


• Parziarie, ci sono più debitori o più creditori. Se ci sono più debitori qualsiasi debitore può essere chiamato
a pagare/eseguire parte del debito. Se ci sono due creditori ciascun creditore può chiedere una parte al
debitore e non tutto. Nell’eredità l’obbligazione è sempre parziaria, quando muore un pater e lascia crediti
o debiti, questi passano in modo parziario agli eredi.
• Solidali elettive, ci sono più debitori o creditori e la prestazione, se ci sono più debitori ciascuno può essere
chiamato a pagare l’intero. Solidale perché c’è solidarietà ovvero che ciascuno dei debitori può essere
tenuto a pagare il solidum ovvero l’intero; elettiva perché il creditore sceglie a quale dei due debitori
chiedere l’adempimento. Oppure possono esserci più creditori ed un debitore, il debitore può scegliere di
pagare l’intero a uno o all’altro dei debitori. Se ci sono più creditori si chiamerà solidarietà elettiva attiva,
se contrario solidarietà elettiva passiva. Le solidali elettive in generale nascono dai contratti con più
debitori o creditori, ad esempio una stipulatio con due promittenti o due stipulanti.
• Solidali cumulative, se ci sono più debitori ciascun debitore deve pagare l’intero. Idem se ci sono più
creditori, con un debitore tutti i creditori possono pretendere l’intero. Le obbligazioni cumulative nascono
dai delitti, quando vi è un delitto l’obbligazione è solidale cumulativa.

In base alle azioni:


• Civili, obbligazioni tutelate con azioni civili
• Pretorie, obbligazioni tutelate con azioni pretorie
• Esistono obbligazioni naturali.

Diritti reali
Si chiamano anche diritti assoluti, sono diritti sulle res, nel senso che possono essere goduti dal titolare senza
il bisogno della collaborazione di alcuno. Si differenzia dai diritti di credito perché il titolare per soddisfarsi
ha bisogno della collaborazione del debitore. Il titolare può far valere il diritto nei confronti di chiunque, è
opponibile ergo omnes. Si dividono in due grandi classi:
• Diritti reali di godimento, erano in numero chiuso e ancora oggi lo sono, sono tipici.
• Proprietà
• Diritti reali minori di godimento o limitati o su cosa altrui, sono rimasti gli stessi da Roma ad oggi: le
servitù prediali, usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi e superficie.
• Diritti reali di garanzia, beni assoggettati al creditore in garanzia del debitore. Il proprietario rimane
proprietario ma il creditore ha su quel bene un diritto di garanzia
• Pegno, beni mobili
• Ipoteca, beni immobili

Esistono diversi tipi di res, erano classificate per:


• Res divini et humani iuris, le prime si dividono in cose sacre, religiose e sante. Le cose sacre erano le cose
dedicate agli dei del cielo, gli dei superi, ed erano i templi e altri luoghi di culto che si erigono verso l’alto;
le cose religiose erano dedicate agli dei inferi ed erano le tombe che si protendono nel sottosuolo; le cose
sante erano le mura e le porte della città.
• Res publicae et privatae, le pubbliche sono della società le private appartengono a private. La destinazione
d’uso delle cose può subire cambiamento da parte degli organi amministrativi. C’è una categoria, res
communes omnium, parte delle res pubbliche, dove le res sono pubbliche e comuni a tutti gli esseri viventi
ed erano l’aria, il mare e il lido del mare. A me piace Samuele.
• Res in commercio et extra commercium, le cose in commercio erano disponibili nel commercio tra privati
e le extra commercio non sono disponibili nel commercio tra privati e sono le cose di diritto divino e le
cose pubbliche.
• Res corporali e incorporali, le prime sono le res, le seconde sono i diritti reali su cosa altrui (usufrutto,
enfiteusi etc..).
• Res divisibili et indivisibili, le prime sono quelle divisibile senza comprometterne l’utilità, le seconde non
possono essere divise.
• Res fungibili et infungibili, il primo è un bene che è sostituibile da un bene dello stesso genere, il secondo
no.
• Res consumabili et inconsumabili, le prime si consumano con l’uso, le seconde no.
• Res mancipi e nec mancipi, le prime erano animali da tiro e da soma, terra in suolo italico, schiavi, servitù
prediali rustiche.

La proprietà
E’ definita come il diritto di godere e disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo. In diritto romano
c’erano quattro tipi di proprietà:
• Civile, proprietà del ius civile: dominium ex iure quiritium
• Pretoria, disciplinata dal pretore con l’editto, proprietà del ius honorarium: in bonis habere
• Peregrina, proprietà degli stranieri che non avevano accesso ai primi due tipi di proprietà.
• Provinciale, proprietà sulla terra in provincia che aveva un regime a parte.

Modi di acquisto della proprietà


• A titolo originario: si ha quando non vi è passaggio di proprietà volontariamente da uno all’altro, il più
antico dovrebbe essere l’acquisto del bottino di guerra.
• Occupazione: occupazione delle res nullius ovvero delle cose di nessuno, si parla generalmente di
caccia, pesca, l’acquisto di queste cose avveniva con la semplice occupazione. Si potevano acquistare
anche le cose derelictae solo se erano cose nec mancipi. Se un soggetto abbandonava una res mancipi
continuava ad esserne proprietario e chi ne prendeva il possesso non ne diventava proprietario
automaticamente ma lo sarebbe diventato attraverso usu capione.
• Tesoro: deposito di monete o beni di valore del quale si era persa memoria, la proprietà del tesoro
ritrovato era del proprietario del terreno dove era ritrovato ma l’imperatore Adriano cambiò la norma
stabilendo che la proprietà del tesoro spettava metà al proprietario del terreno e metà allo scopritore.
• Accessione: è l’unione di cose di proprietari diverse che vengono unite a formare una cosa sola. Era un
modo di acquisto solo se le due cose unite erano cose ormai diventate inseparabili e in tal caso il
proprietario della cosa principale acquistava la proprietà della cosa accessoria. Non si riesce più a
tornare alla situazione originaria: es. statua di bronzo alla quale viene unito mediante fusione un
braccio ricavato dal bronzo altrui; la fusione rende impossibile riportate l’oggetto allo stato originale:
non si hanno più due oggetti ma un unico manufatto. Inaedificatio, costruzione di un edificio su un
terreno altrui, colui che con materiali propri costruisce su un terreno non suo; in questo caso l’edificio
appartiene al proprietario del terreno.
• Specificazione: quando qualcuno usa del materiale altrui per ricavarne un manufatto, lavora della
materia altrui e ne ricava una res nuova. La nuova res appartiene a: disputa tra sabiniani e proculiani, i
primi dicevano che doveva appartene al proprietario della materia, i secondi il contrario. Il giurista
Paolo stabilì poi che la proprietà spettava al proprietario della materia se la res poteva essere
ripristinata allo stato originario. Se non era possibile, la proprietà era dello specificatore che avrebbe
dovuto pagare un indennizzo.
• Alluvione e avulsione: il fiume va ad accrescere l’estensione delle rive, si parla di incrementi fluviali:
si ha la prima quando questo incremento è lento nel tempo e non è percepibile a vista, la seconda
quando un grosso pezzo di terra portato dal fiume si va ad attaccare ad una riva estendendone la
superficie.
• Confusione e commistione: solidi e liquidi di proprietari diversi che vengono mescolati. In questo caso
si creava comproprietà per quote ideali della nuova fusione dei beni che si era realizzata in proporzione
della quantità di materia che gli era finita in confusione.
• Adiudicatio: si ha un bene comune che viene diviso, la lite divisoria non aveva condemnatio. Le quote
ideali si assegnavano in parti fisiche.
• Litis aestimatio, la condanna era sempre pecuniaria. La res diventava di proprietà del soggetto
condannato e che aveva pagato la pena pecuniaria

• A titolo derivativo: la proprietà è trasmessa volontariamente da un soggetto all’altro.


• Mancipatio, era un negozio per aes et libram, è un negozio che nasce come causale, finalizzato al
trasferimento delle res, ed è una compravendita reale, nella quale si verifica lo scambio contestuale fra
res e prezzo.
• Traditio, di res mancipi a seguito di una compravendita consensuale, sarà acquistata per usucapione; di
una res nec mancipi non tutte le tradito fanno passare la proprietà
• In iure cessio
• Usucapione, acquisto della proprietà attraverso il possesso protratto nel tempo. Oggi si fonda su due
elementi: il possesso e il tempo. Il possesso, cioè il potere che ha su una res chi se ne considera
proprietario anche senza esserlo e si differenzia dalla detenzione. I detentori erano colore che avevano
la cosa ma non la proprietà. Attraverso un certo periodo di tempo il possessore diventerà proprietario
della res. Questo tempo è oggi sulle cose immobili di 20 anni e sulle cose mobili di 10 anni. Anche il
ladro è possessore ma di mala fede e per il nostro ordinamento il ladro usucapisce. Non importa se il
possesso è di buona o malafede, basta il possesso ed il tempo. Però nel nostro ordinamento il
possessore di malafede usucapisce le cose mobili in un tempo che l’ordinamento stabilisce di 20 anni.
Per le cose mobili oggi non c’è differenza tra possessore di mala o buonafede. L’usucapione oggi si
configura come modalità di acquisto a titolo originario. In diritto romano, l’usucapione, era molto
diverso e si basava su cinque elementi: res habilis, che la res fosse di suo, per sua natura, suscettibile di
usucapione (c’erano cose usucapibili e cose non usucapibili) e le cose non habilis erano le cose rubate.
La proprietà del proprietario che aveva subito furto durava in eterno, nessuno avrebbe potuto
acquistarne la proprietà. Altra condizione necessaria era la possessio, era uguale tra Roma ed oggi ed
era il possesso che si fondava sull’avere la cosa e l’intenzione di considerarsene proprietario. Non
possono mai usucapire i detentori, i comodatari, i depositari. Altra condizione era il tempus,
indispensabile come lo è per noi oggi, ma era un tempo diverso: per le cose mobili di 1 anno e di 2
anni per le cose immobili. Ancora, il titulus, totalmente sconosciuta per l’ordinamento moderno, era
una giusta causa che portasse all’usucapione. I titoli validi erano pro emptore, pro donato, pro dote e
pro derelicto. Il primo riguardava il caso di colui che avesse acquistato una res mancipi con il contratto
di emptio venditio e la cosa gli fosse stata consegnata attraverso traditio, senza mancipatio, acquistava
la proprietà della res con usucapione; il secondo era a titolo di donazione di una res mancipi fatta con
traditio… Oltre a questi titoli tipici, ultimo elemento necessario, era la bona fides, fa riferimento a chi
acquistasse una cosa a non domino, ovvero da chi non ne era proprietario purché non si trattasse di
cosa rubata. Chi acquistava una cosa una cosa in buona fede ne diventava proprietario anche se il
debitore non ne era il proprietario. Chi acquistava una res mobile o immobile da chi non ne era
proprietario diventava proprietario per usucapione.

Proprietà civile, il proprietario ha il potere di godere della cosa in modo pieno ed esclusivo, può alienarla.
Oggetto della proprietà sono le res, le terre italiche erano res mancipi, le terre provinciali non potevano
essere oggetto di dominium ex iure quiritium, erano oggetto della proprietà provinciale. Diocleziano fu
imperatore fino al 305 e nel 292 stabilì per primo che si dovesse pagare un contributo sulle proprietà in terre
italiche, da allora vennero tassate le terre che fino a quel momento erano sempre state esenti da tributo. La
proprietà si estendeva usque ad sidera usque ad inferos, chi possedeva la terra era proprietario di tutto ciò,
fino all’infinito, che si trovava sopra o sotto. Oggi abbiamo la proprietà per piani orizzontali, a Roma ciò non
era possibile, la proprietà di un edificio a più piani doveva essere di un unico proprietario. Il proprietario
della res incontrava dei limiti ovviamente: ad esempio venne limitato il suo diritto di abusare della propria
cosa, c’era un divieto sulle emissioni, oppure c’erano atti di emulazione (atti che un soggetto fa sul proprio
fondo che servono solo a disturbare i vicini). Oggi abbiamo il divieto degli atti di emulazione (art. 833).

C’erano delle azioni, proprie per ogni diritto. Anche i diritti reali ne avevano. C’era la rei vindicatio, per
recuperare la cosa che era azione generale, ce ne erano altre più specifiche: l’actio finium regundorum,
l’azione di regolamento di confini, azione per definire appunto i confini tra due vicini, era un’azione
regolativa e non di condanna, servivano solo a fare una dichiarazione che regolamentasse diversi rapporti,
un’altra era l’actio acquae pluviae arcendae, per rimuovere l’acqua piovana usata da chi aveva problemi con
vicini per questo motivo (azione in personam, faceva sorgere obbligazione propter rem); actio negatoria che
regola le immissioni, se le parti vogliono possono tra loro accordarsi perché uno possa fare immissione ma
per questo è necessario istituire una servitù, le due parti in accordo decidono di istituire tale accordo, l’actio
negatoria, azione che serviva a far dichiarare dal giudice che non esistesse alcuna servitù che permetteva a
Tizio di immettersi. Cautio damni infecti, il proprietario di un fondo che si sentiva minacciato dalla
possibilità di crollo dell’edificio del vicino e chiedeva che il pretore ordinasse al proprietario dell’edificio
pericolante di fare una stipulazione pretoria dove si obbligava a risarcire eventuali danni. Poi c’è la operi s
novi nuntiatio, non è un’azione ma è un mezzo integrativo ma se il vicino inizia opere che il vicino reputa
lesive, può andare dal vicino e fare la denuncia di opera nuova.

Proprietà pretoria (in bonis habere)


In latino era chiamata in bonis habere. Riguardava un caso molto specifico, il caso di chi avesse acquistato
una res mancipi (es. animali, schiavi) con emptio venditio però non seguito da mancipatio in iure cessio ma
solo con la traditio. Avrebbe acquistato la proprietà della res con usucapione che però necessitava di tempo.
La res, nel periodo di stallo tra vendita e attesa del passaggio di proprietà, di chi era? La proprietà, finché non
è usucapita, rimane al venditore. Ciò pone un problema generale ovvero la tutela del compratore che ha
comprato una res, l’ha pagata ma non la possiede subito. Il problema è che tale compratore può perdere il
possesso della res, l’acquirente prima di usucapire andava tutelato e perciò si è creata una actio, l’actio
publiciana, pensata da Publicio vissuto nel I sec. a.C. e dunque da questo momento inizia la tutela per gli
acquirenti in attesa di usucapire. Quest’actio era una rei vindicatio la cui formula conteneva una fictio,
ovvero una finzione, il pretore ordina al giudice di fingere che fosse già decorso il tempo dell’usucapione
ecco che l’acquirente era legittimato ad agire e poteva fare una rei vindicatio ficticia che prende il nome di
actio publiciana. L’actio publiciana è molto importante perché racchiude in sé elementi determinanti per il
diritto romano. Altro problema può essere che il venditore dopo aver consegnato la res dopo compravendita
intenti lui la rei vindicatio in mala fede, per tutelare il compratore si utilizzava la exceptio rei venditae et
traditae, la cosa viene venduta e consegnata e quindi si è tutelati da una rei vindicatio del venditore che
nonostante sia ancora il reale proprietario ogni sua azione per cancellare la compravendita sarà bloccata da
questa particolare exceptio.
La proprietà pretoria è dunque un istituto che va a tutelare la compravendita di beni res mancipi quando era
svolto con emptio venditio e traditio. E’ dunque una proprietà che dura per un periodo limitato, è temporanea
e può durare al massimo in 2 anni e poi si converte in dominium ex iure quiritium.

Gli stranieri a Roma esistevano da età antica e mano a mano il loro numero cresceva, questi ultimi non
avevano il dominium ex iure quiritium in quanto istituto del ius civile unicamente per cittadini romani.
Nonostante ciò gli stranieri potevano vendere e comprare e la loro proprietà è equivalente dal punto di vista
del contenuto al dominium ex iure quiritium ma è una proprietà per gli stranieri ed era tutelata dall’editto del
pretore peregrino. La loro proprietà si chiamava proprietà peregrina e si utilizzava una rei vindicatio presa
dall’editto del pretore peregrino. Gli stranieri non facevano mancipatio ne in iure cessio ma usavano la
traditio perché era di ius civile e di ius gentium. Gli stranieri per commerciare con i romani utilizzavano la
traditio che funzionava benissimo per il trasferimento di res mancipi o nec mancipi. Dapprima la emptio
venditio appare per gli stranieri nell’editto del pretore peregrino, poi entra nel diritto romano. Per il
passaggio della proprietà si ha per i romani la proprietà pretoria che va a risolvere il problema.

Proprietà provinciale, riguarda soltanto la terra provinciale che aveva regime diverso dalla terra italica. La
terra provinciale non era oggetto di dominium ex iure quiritium ed erano le terre di territori che i romani ad
un certo punto hanno conquistato in blocco (Sicilia nel 342). Nelle province abitavano i provinciali, gli
indigeni che vivevano lì prima della conquista e che avevano le terre in proprietà privata secondo il loro
ordinamento tradizionale. Con la conquista romana sparisce il diritto locale che viene completamente abolito
e a quel punto i romani lasciavano le proprietà agli indigeni abitanti ma cambiavano la proprietà che
diventava proprietà provinciale secondo il diritto romano. Col passaggio alla proprietà provinciale si ha la
tassazione, nell’impero tale tassazione ha due nomi diversi a seconda che le province fossero senatorie
(dipendenti dal senato, uniche province fino all’impero) o imperiali. Nelle prime la tassa annuale era
chiamata stipendium, invece nelle seconde si chiamava tributum. Le terre provinciali erano considerate res
nec mancipi. La usucapione è diversa in terra provinciale, si chiamava longi temporis praescriptio, bastavano
possesso e tempo ovvero chi prendeva possesso di una terra anche senza un titolo poteva usucapirla. Il vero
proprietario provinciale poteva intentare rei vindicatio provinciale e l’occupante poteva utilizzare la longi
temporis preascriptio (era di 10 anni se il possessore attuale ed il vecchio proprietario provinciale abitavano
nella stessa città, era di 20 anni se il proprietario abitava da un’altra parte) per bloccare la rei vindicatio. [Si
tende a riassumere così: Il tempo della prescrizione era di 10 anni tra presenti e di 20 anni tra assenti.]

Comproprietà
Cosortium ercto non cito, regime della comproprietà in età arcaica. Significa un dominio, un consorzio a
dominio non diviso [ercto è latino arcaico e significa dominio]. Noi possiamo chiamarla proprietà plurima
integrale ovvero che ciascun comproprietario era considerato proprietario dell’intero bene. Si formava
comproprietà con la successione ereditaria ad esempio. Un solo di coloro che eredita può alienare il bene e la
compravendita rimane perfettamente valida, ovviamente dovrà dividere l’incasso ma questo tipo di proprietà
ci dice che ognuno può disporre della res in modo esclusivo. Tale concetto è superato in età classica ed è
sostituito dal communio pro indiviso che è la nostra comproprietà e la chiamiamo una comproprietà per
quote ideali che può derivare fondamentalmente da due ragioni: può esistere comproprietà volontaria ovvero
quello che deriva dalla volontà delle parti che decidono di rendere comuni dei beni oppure incidentale
ovvero che no dipende dalla volontà e quindi può derivare da eredita o confusione o commistione. La
differenza è che ciascuno dei comproprietari non è più considerato proprietario dell’intero come per noi oggi
ma ciascuna parte acquista una quota ideale che nel caso di tre figli che ereditano sarà di 1/3 pro capite. Si
usano atti di gestione dei beni comuni, esisteva il diritto di veto e ciascuno che non era d’accordo poteva
bloccare la decisione degli altri. Nel momento in cui non is trovava un accordo si procedeva con la divisione
del bene e il giudice divideva in parti fisiche il bene comune. La vendita dei beni comuni: ogni proprietario
può disporre unicamente della sua quota ideale.

Diritti reali minori su cosa altrui, c’è una res di un proprietario e c’è un’altra persona che gode di un altro
diritto reale sulla stressa res.

Diritti reali di godimento erano le servitù prediali, l’usufrutto, la superficie e l’enfiteusi.


• Servitù prediali, l’aggettivo prediale deriva da praedium e significa fondo sono dunque servitù su fondi. Si
può definire come un peso che è apposto sopra un fondo a vantaggio di un altro fondo e lega quindi tra loro

A B

due fondi. I due fondi si chiamano fondo servente e fondo dominante. In alternativa alla servitù può essere
sottoscritta un’obbligazione con la quale un proprietario si impegna a far passare l’altra parte: rapporto
personale. E’ un diritto reale che riguarda i fondi, riguarda solo gli immobili. Viene realtà sia dal lato
servente che dominante, la servitù segue il fondo chiunque ne sia il proprietario. Una volta che la servitù
sia stata costituita diventa una cosa oggettiva. Qui abbiamo il concetto di doppia realità. Se B vendesse a
Tizio il fondo, il signor A non potrebbe impedire a Tizio il passaggio che invece aveva stipulato con B. La
servitù esiste oggettivamente. A potrebbe chiedere risarcimento al venditore in quanto sul suo fondo viene
istituita una servitù non esistente al momento della vendita. Nasce in età arcaica, sono l’unico diritto reale
che sorge in età arcaica. Tutti gli altri appaiono in età classica se non postclassica. Erano tipiche, il numero
era chiuso e con il tempo vengono create altre servitù, sempre tipiche, e si ammette anche, per temperare il
limite della tipicità, che i diritti spettanti al titolare del fondo servente possano essere elasticamente
definiti. La fascia di terreno attraverso la quale avveniva il passaggio doveva essere zona di comproprietà,
in età classica le servitù vengono considerate res incorporales.
• Sevitù prediali Rustiche: nate tra fondi di campagna. Considerate res incorporales mancipi, sono le più
antiche servitù prediali risalenti all’età arcaica. Sono stabilite dall’ordinamento e il fondo servente deve
sopportare qualcosa del fondo dominante.
• Iter: è la servitù di passaggio a piedi, il proprietario di fondo dominante ha il diritto di passare a piedi
sul fondo servente.
• Actus: è una servitù maggiore perché comprende il passaggio anche del bestiame oltre all’iter.
• Via: diritto di passare oltre che a piedi, oltre che col bestiame, anche con il carro. Questa era una
servitù ancora più grande perché il carro aveva bisogno di una strada e dunque il titolare del fondo
dominante ha diritto proprio di operare su fondo servente per costruirsi una strada.
• Aquaeductus: diritto di far passare una condotta d’acqua e anche qui si ha la possibilità di costruire
qualcosa, attraverso la quale l’acqua viene fatta passare per arrivare al fondo dominante.
A partire dall’età classica vediamo inseriti nuovi modelli di servitù rustiche sempre mancipi
• Servitù di pascolo: far pascolare una mandria
• Di abbeverata: se vi fosse uno stagno o lago all’interno di un fondo, si permetteva al proprietario del
fondo dominante di portare il bestiame ad abbeverarsi.
• Di raccogliere la legna, la calce, la sabbia…:servitù di compiere altre attività sul fondo servente.
Tutte queste servitù avevano in comune la caratteristica di essere servitù positive, cioè che il proprietario del
fondo dominante ha il diritto di fare qualcosa sul fondo servente.
• A partire dall’età classica si verifica a Roma un fenomeno di inurbamento della città che porterà anche
all’insorgere di altri diritti reali di godimento su cosa altrui. La crescita della città con palazzi vicini tra
loro fa sorgere l’esigenza di creare nuove servitù: le servitù prediali Urbane. Queste sono nec mancipi e
comporta una variazione in merito alla costituzione delle servitù.
• Di cloaca: la cloaca era la fogna ed esistevano a Roma cloache pubbliche lungo o al di sotto delle
strade principali ma ciascun privato doveva provvedere all’allacciamento delle propria cloaca privata a
quella pubblica. Se la proprietà si affacciava su una strada non c’erano problemi ma se vi erano fondi
intermedi bisognava passare attraverso questi fondi.
• Di gocciolamento, di fumo, di rumori, di lapilli ecc.: se si vuole svolgere attività produttiva che include
emissioni moleste, queste sono possibili solo in possesso di una servitù prediali di questo genere (es.
lavanderia che lascia sgocciolare i panni sul fondo vicino).
• Servitus tigni immittendi: di appoggiare una trave sul fondo vicino.
• Servitus altius non tollendi, questa è una servitù prediale urbana negativa. E’ una servitù di non sopra
elevazione, per cui il servente non può costruire sul suo fondo un edificio che superi una certa altezza.

Modi di costituzione delle servitù prediali


• Esclusivi per res mancipi: servitù rustiche. Si istituisce o con mancipatio o con in iure cessio, cioè vuol dire
che i due creano l’accordo, fanno la mancipatio, il fondo servente si può far pagare e il fondo dominante lo
paga. Uguale per la in iure cessio. Oggetto della mancipatio è la apposizione di una servitù su un fondo che
da quel momento sarà considerato servente.
• Esclusivi per res nec mancipi: servitù urbana. Si fa solo con in iure cessio, sono res incorporales e perciò
non si può fare con traditio.

Esistono altri modi che valgono per tutti i tipi di servitù prediale:
• Deductio, ovvero la deduzione da mancipatio o da in iure cessio. Proprietario di due fondi ne vende una
parte ma di quella ne trattiene la servitù. Appena lo vende mette la servitù, succede quando c’è un terreno
che è di un unico proprietario.
• Legato testamentario: il testatore proprietario di un grande fondo lascia in eredità il fondo a diverse
persone ma prevedendo che A debba concedere la servitù a favore degli altri. La servitù è costituita dal
legato, colore che ereditano non solo obbligati ad apporla perché c’è già. Se non accettavano la servitù
dovevano rifiutare l’eredità.
• Provvedimento giudiziale nei processi divisori (adiudicatio): è il giudice con la sentenza che costituisce la
servitù del bene che viene diviso in parti.
Ci sono poi modi che non servono a costituire la servitù:
• Traditio, nè per res mancipi che per res nec mancipi.
• Usucapione: oggi è possibile costituire una servitù per usucapione, ma devono essere servitù apparenti
ovvero che devono prevedere una costruzione fisica che duri per almeno 20 anni; a Roma non era
possibile, fu approvata una legge nel I sec. a.C., la Lex Scribonia.
• Destinazione del padre di famiglia: i romani non l’avevano, ma noi si ed è che se un fondo non è collegato
ala strada avrà la servitù di passaggio automatica.
• Coattive: sempre presenti nel nostro ordinamento e non in quello romano.

Principi generali delle servitù prediali


La servitù è prediale ovvero tra fondi, è oggettiva perché non lega i soggetti ma gli oggetti. La servitù dura in
eterno ma può terminare quando:
• C’è rinuncia del titolare del fondo dominante
• C’è non uso biennale, se una servitù non è usata per due anni è come se si verificasse un usucapione e la
servitù si estingue. Ancora oggi abbiamo questo modo di estinzione.
• C’è confusione, nemini res sua servit, non può esistere servitù all’interno di uno stesso fondo. La servitù
richiede che ci siano due fondi di due proprietari diversi.
La servitù non è vendibile separatamente dal fondo.
La servitù non può consistere in un fare: servitus in faciendo consistere nequit. Al proprietario del fondo
servente si può chiedere di subire, di lasciar fare, c’è solo un’eccezione ovvero quella della trave: qui il
titolare del fondo servente è obbligato a tenere in piedi l’edificio.
Inoltre non è necessario che i fondi siano consecutivi.
Azioni a tutela della servitù
Vi è un fondo dominante B che deve agire contro A perché impedisce la servitù, dicendo di avere una servitù
costituita con un atto X, dimostrandola. L’actio era la vindicatio servitutis o actio confessoria, ovvero una rei
vindicatio delle servitù per rivendicarla e sconfessare il proprietario del fondo servente.
C’è anche l’azione opposta ovvero qualcuno che dice a chi non ha servitù di non fare determinate cose:
questa actio si chiama actio negatoria servitutis.

• Usufrutto, III sec a.C. Art 981 del cod. civ., l’usufrutto è oggi il diritto di usare la cosa altrui e di farne
propri i frutti con il limite del rispetto della destinazione economica del bene. Ovvero che c’è una scissione
fra il diritto di proprietà e di usare la res per farne propri i frutti. Il proprietario ha il diritto di usare la res
ma con l’usufrutto il proprietario ha la nuda proprietà, cioè non può usare la res. L’usufrutto ha un limite e
con la fine del diritto di usufrutto la proprietà tornerà al proprietario che possederà piena proprietà. Ius
alieni rebus utendi fruendi salva rerum substantia, definizione data dal giurista Paolo ed è il ius di usare le
cose altrui e di farne propri i frutti senza cambiare la destinazione economica del bene ovvero con il limite
di rispetto della sostanza del bene. Notiamo dunque eche la natura dell’usufrutto non è cambiata affatto, è
rimasto lo stesso diritto. L’usufrutto nacque in età romana per un preciso motivo, sorse quando si istituì il
matrimonio sine manu (III sec. a.C.). Prima il matrimonio era cum manu, e la successione non dava alcun
problema.Con il matrimonio sine manu la moglie non esce più dalla famiglia d’origine e rimane fuori dalla
famiglia del marito e del figlio. In questo caso la moglie non avrebbe ereditato ma il marito poteva redigere
il testamento e decidere di lasciarle una parte di eredità. Alla morte della donna l’eredità sarebbe poi andata
all’agnato di grado più vicino. Tale problema fu risolto con l’invenzione dell’usufrutto, che nacque
appositamente per questo scopo. Il marito prima di morire dispone nel testamento che la proprietà del suo
patrimonio vada per eredità al figlio ma dispone con legato su una parte che la moglie abbia l’usufrutto.
L’usufrutto poteva essere previsto a tempo oppure al massimo per la vita dell’usufruttuario e quindi alla
morte della moglie il figlio passava da avere la nuda proprietà alla piena proprietà e cosi ci si assicurava
che nulla sarebbe passato ai familiari della donna.

L’usufrutto è nato nell’ambito della successione ereditaria e si costituiva con legato testamentario, oppure
con atto tra vivi con in iure cessio. Terzo modo è deductio dalla mancipatio: una persona proprietaria di un
bene, trasferisce quindi la nuda proprietà trattenendo per sé l’usufrutto.
L’usufruttuario ha un diritto reale ovvero opponibile erga omnes, es. morisse il nudo proprietario quella
proprietà si erediterebbe nuda. Anche l’usufruttuario può alienare l’usufrutto, una volta alienato rimane tarato
sulla durata della vita del primo usufruttuario. L’azione che consente di recuperare la res è la vindicatio
ususfructus. L’usufrutto ha per oggetto cose inconsumabili ma ad un certo punto la giurisprudenza ha posto
come oggetto di usufrutto anche le cose consumabili, si parla di quasi usufrutto.
Si estingue per morte, per termine, anche per non uso biennale nel caso degli immobili o annuale nel caso di
beni mobili, oppure per rinunzia, per perimento della cosa.
Esistono due fattispecie minori:
• Uso, diritto di usare una cosa senza farne proprio i frutti, l’usuario può usare la cosa e può fare propri
soltanto quei frutti che servono per la sua sussistenza e quella della sua famiglia, gli altri frutti spettano
al proprietario. L’uso riguarda i terreni.
• L’altro è l’abitazione ed è equivalente all’uso ma riguarda le abitazioni, chi ha diritto di abitazione può
usare la casa ma senza farne propri i frutti e quindi non può darla in locazione, si ha diritto di abitazione
e dunque di utilizzarla. Se la desse in locazione i frutti civili andrebbero subito al proprietario e
l’abitazione si estinguerebbe per non uso.

• Superficie, deriva de superficies che non indica l’area di un terreno, infatti in latino indica ciò che sta sopra
l’area (super+facies): ad esempio gli edifici. Il principio è superficies solo cedit, quindi l’edificio che
accede al suolo per principio di accessione. Tutto ciò non creò problemi a Roma fino al I sec. a.C. quando
nacque la superficie. A Roma inizialmente si avevano le domus, case che si estendevano in orizzontale. Dal
I sec. Iniziarono a spostare le ville fuori dalla città e a costruire al loro posto le insulae ovvero edifici con
più piani (insula perché la strada girava attorno a tutto l’edificio). Il proprietario del suolo sul quale aveva
costruito l’insula dà in locazione gli appartamenti e gli abitanti avevano a loro difesa la actio conducti, ad
esempio se un terzo disturbava il conduttore poteva utilizzare tale actio. Non si ha diritto reale ma si ha
locazione. Il proprietario poteva anche decidere di vendere gli appartamenti, il contratto è quello di
compravendita, la emptio venditio. Coloro che acquistavano gli appartamenti non diventavano proprietari
perché la emptio venditio non trasmetteva la proprietà, non passava in alcun caso perché non avevano la
proprietà della superficie. Essi avevano acquistato non la proprietà ma il diritto perpetuo di godimento. Ad
un certo punto il pretore introdusse nell’editto un interdetto che permetteva, finché gli acquirenti erano
nell’appartamento, di opporsi a quanti avessero impedito il pieno godimento: era l’interdictum de
superficiebus. Mancava ancora la piena tutela per agire nei confronti dei terzi: se un acquirente aveva
perduto il possesso dell’appartamento non avrebbe potuto utilizzare alcuna azione, poteva solo usare
l’actio empti ma non poteva agire verso il terzo. Anche per questo problema il pretore introdusse nel I sec.
a.C. l’ actio in rem de superficie in factum basata sul diritto pretorio, ovvero l’acquirente di un
appartamento avrebbe potuto agire contro chiunque avesse il godimento dell’appartamento, verso chiunque
gli avesse sottratto il bene. Il diritto di superficie è eterno, è ereditabile ed alienabile. Il diritto di superficie
esiste fino a quando esiste l’edificio, ovvero il bene su cui si ha il diritto.

• Enfiteusi, ha un lontano antecedente storico che ha rappresentato il modello sono gli acri vectigales, erano
delle porzioni di terre pubbliche di proprietà del popolo romano. Queste terre, fin dal IV sec. a.C. erano
assegnate in godimento ai privati dietro pagamento di un tributo periodico fisso, il vectigal. Per riceverli in
godimento bisognava essere benestanti, in possesso di un certo numero di schiavi/bestiame. Il possesso era
a tempo indeterminato e perciò potevano alienare le terre a qualcuno che sarebbe solo subentrato
continuando a pagare il vectigal, oppure passavano in eredità. Chi non avesse pagato avrebbe perduto la
concessione. I possessori furono tutelati con azioni in factum analoghe alla rei vindicatio e benché non fu
mai diritto reale aveva delle evidenti somiglianze. Scomparirono in età post classica ma nacquero altri tipi
e si parlò di ius perpetuum o emphyteuticum. Tale regime fu esteso anche alle terre dei privati e non più
solo a quelle pubbliche. Privati si fa riferimento a grandi latifondisti che non riuscivano a sfruttare
pienamente i propri campi poiché non possedevano abbastanza manodopera, quindi venne esteso anche ai
rapporti tra privati l’istituto dell’enfiteusi. Ciò fu disciplinato da Zenone, imperatore d’oriente, che ricoprì
la sua carica mentre in occidente finiva l’impero, siamo intorno all’anno 476 d.C., con una costituzione
imperiale. Questi latifondisti per evitare che il campo diventasse incolto poteva costituire un diritto reale di
godimento che è l’enfiteusi. In lingua greca (in oriente si parlava greco) era enfhyteusis, enfiteusi è dunque
una latinizzazione. Un proprietario poteva dare in cessione all’enfiteuta con l’obbligo di coltivare e
migliorare il fondo e pagare un canone annuo che era piuttosto basso e perlopiù in natura. Si parla di diritto
reale su cosa altrui, la proprietà restava al proprietario ma su di essa si instaurava il diritto reale altrui.
L’enfitetuta aveva quindi due obblighi di fare nei confronti del proprietario del fondo. L’enfitesui era
generalmente prevista per una durata di un numero di anni molto elevato per dare tempo alla persona di
migliorare il fondo, più spesso era a titolo perpetuo. Durava quindi finché l’enfiteuta avesse rispettato i
propri obblighi, inoltre l’enfitetuta poteva alienare il diritto reale di godimento ma prima doveva notificare
al concedente la sua volontà che aveva diritto di prelazione, in ogni caso avrebbe dovuto versare il
laudemio (2%) del prezzo ricavato dalla vendita dell’enfiteusi al proprietario.

Diritti reali di garanzia


Sono diritti reali su una res che si istituiscono in funzione di un credito. Nella garanzia personale non c’è una
res ma una persona, obbligazione solidale elettiva, questa si chiamava fideiussione e si faceva con stipulatio.
In età classica si hanno queste due strade di garanzia per il debito. In età classica non esistevano e dunque si
utilizzava per garantire contro i debiti la fiducia cum creditore che è l’antenato dei diritti reali di garanzia.
Nei diritti reali di garanzia si parla di diritto su cosa altrui, infatti il debitore, diversamente dalla fiducia,
rimaneva proprietario della res.
• Pignus datum, sorge nel III sec. a.C. e con questo si ha il superamento della fiducia cum creditore o cum
amico. Una cosa veniva consegnata al creditore affinché egli la tenesse fin quando il suo credito non fosse
stato soddisfatto. Era realizzato mediante dazione e quindi traditio che in questo caso prende il nome di
datio pignoris. Il creditore otteneva il possesso della res, non era semplice detentore in quanto possedeva
un diritto reale. Oggetto potevano essere sia cose mobili che immobili e si poteva dare in pegno sia cosa
mobile mancipi o nec mancipi oppure un terreno (differenza con il nostro regime). Nascevano da questo
rapporto delle obbligazioni riferite esclusivamente alla res: il creditore pignoratizio ha l’obbligazione
principale ovvero di restituire l’oggetto appena saldato il debito. Per il debitore pignoratizio era pagare la
varie spese, era un’obbligazione eventuale poiché non in tutte le detenzioni c’erano delle spese. Il creditore
non usucapiva, non poteva neanche usare la res, se la usava commetteva furto d’uso. Se la cosa era
fruttifera poteva percepire i frutti durante il possesso però doveva imputarli (sottrarli) dal debito. Il patto di
anticresi per cui il creditore poteva percepire i frutti senza doverli conteggiare togliendoli dal debito. Se
non prevista il creditore è obbligato a imputare i frutti a titolo di interessi.

Non era un istituto perfetto perché potevano esserci persone che non avessero disponibilità di cose da dare in
pegno e le cose che avevano erano necessarie per produrre il reddito. Questo problema si pose nel II sec. a.C.
quando i contadini senza proprietà di terra decidevano di prendere in locazione un terreno. Questi contadini
avevano da dare in garanzia le cose necessarie a lavorare la terra. Se il debitore desse in garanzia le sue cose
poi non potrebbe più coltivare la terra e di conseguenza pagare il canone. Questi animali/schiavi/attrezzi che
i contadini si portavano nei campi che prendevano in locazione si chiamavano invecta et illata. Qui il pignus
datum, ovviamente, non può funzionare e così fu inventato dalla giurisprudenza un nuovo tipo di pegno più
moderno rispetto al precedente: il pignus conventum che prende il nome dalla conventio pignoris, ovvero
l’accordo. Non c’era consegna dei beni dal debitore al creditore ma i beni sarebbero rimasti nel possesso del
debitore ma c’era un accordo che diceva che in caso di eventuale inadempimento il debitore avrebbe
consegnato queste cose al creditore. Il debitore ha il vantaggio che le cose oggetto di pegno restano nel suo
possesso. Questa nuova disciplina ha bisogno di un completamento perché serviva uno strumento di tutela
per il creditore nel caso in cui il debitore non consegni le res. La tutela per il creditore pignoratizio si ha nel I
sec. a.C. quando nell’editto compare uno strumento a loro tutela: l’interdictum salvianum, prese il nome da
un pretore, Salvio, attraverso il quale il creditore era autorizzato dal pretore a prendere possesso anche con la
forza delle res assoggettate dal debitore a pignus conventum. L’interdetto ha un limite poiché funziona se il
debitore ha le cose, può verificarsi che il debitore abbia alienato le res. Fu creata perciò un’azione nel 51 a.C.
da Servio, un pretore: l’actio serviana, in factum e in rem, ed era dunque opponibile erga omnes e qualora il
creditore avesse venduto i beni, il debitore avrebbe potuto recuperarlo da chiunque. Il terzo potrà poi agire
per evizione nei confronti del venditore chiedendo il danno corrispondente. A quel punto il creditore ha
acquistato il possesso sulla res e si soddisfaceva sul bene.
Entrambi i tipi di pegno potevano avere ad oggetto sia cose mobili che cose immobili. Inizialmente il
conventum era solo per cose mobili ma poi ci si rese conto che il pignus conventum funzionava molto
meglio su beni immobili poiché la res non poteva essere fatta sparire. Il pignus conventum prese in oriente il
nome di hypoteca in greco.

Come si soddisfava il creditore una volta ottenuto il possesso della res?


Età repubblicana, all’inizio della storia del pegno, il creditore poteva solo trattenere la cosa finche il debitore
non avesse adempiuto. Era anche ammesso il patto commissorio, aggiunto alla costituzione del pegno, che
diceva che in caso di inadempimento il creditore avrebbe acquistato la proprietà del bene pignorato. Questo
doveva essere previsto espressamente dalle parti. Tale patto fu vietato da Costantino (IV sec. d.C.) perchè
ritenuto particolarmente gravoso per i debitori. Fu previsto che il creditore dovesse necessariamente vendere
il bene dato che normalmente l’oggetto in pegno non aveva lo stesso valore del debito, poteva averlo
superiore. Perciò era costretto a vendere la res e restituire al debitore il superfluum.

Possesso (art. 1140 c.c. norma di definizione)


Non è definito come un diritto mentre la proprietà è il diritto di godere e disporre. Il possesso è il potere di
chi si comporta da titolare di un diritto reale, svolge un’attività come se fosse proprietario ma non è
necessario che lo sia. Chiunque abbia un diritto reale o pur non avendolo si comporta da titolare è
considerato possessore dall’ordinamento. Quindi si dice che il possesso sia un potere di fatto di chi si
comporta da proprietario. Il possesso si compone di due parti: il corpus e l’animus domini (quando ha
l’oggetto e si considera possessore nel suo animo). Se ha la res ma non si considera possessore del diritto si
dice che ha la mera detenzione. Il detentore ha solo corpus ma non animus. Bisogna che l’animus ci sia dal
momento iniziale del possesso perché se uno inizia come detentore non può decidere di avere l’animus.
Quindi non si può convertire la detenzione in possesso. Il proprietario che tiene la sua res è certamente
possessore così come lo è il non proprietario che è possessore in buona fede. Anche il ladro è possessore, non
riconosce che c’è l’esistenza del proprietario, lui è possessore in mala fede. Il possesso ha la sua origine in
relazione alla concessione delle terre pubbliche in godimento, perché non avevano la proprietà ma il
possesso. Il possesso non è tutelato da azione, solo i diritti sono tutelati da azione. La tutela dei possessori
avviene per via interdittale, contro i terzi e talvolta contro il proprietario per evitare che i rapporti tra privati
scadano nella violenza incontrollata. Il proprietario non sempre può togliere al possessore la cosa con la
forza. Il possesso si acquista o per traditio o per occupazione di cose abbandonate, benché sia una situazione
di fatto talvolta il possesso viene mantenuto anche se non c’è relazione fisica.

Tutela del possesso


Avviene per interdetti possessori: esistono 3 categorie
• Adipiscendae possessionis, per l’acquisto del possesso. Interdetto con il quale qualcuno è autorizzato a
prendere il possesso della res presso qualcun altro anche con la forza. Es. l’interdetto salviano. Rientra tra
gli interdetti ma non tutela chi è già possessore, consente solo a qualcuno di diventare possessore.
• Retinendae possessionis, servono a mantenere il possesso. Qualcuno che il possesso ed è molestato nel
godimento del suo possesso da qualcuno che cerca di portargli via il possesso. Questo non accadeva
sempre, ci sono casi in cui la molestia può continuare.
• Uti possidetis, interdetto possessorio per i possessori di immobili. Il possessore molestato non
sempre poteva utilizzare l’interdetto. Il pretore ordinava al molestatore di far cessare la molestia
purché l’attuale possessore non gli avesse tolto il possesso con violenza o clandestinità nel corso
dell’ultimo anno. Se questo era invece accaduto, il pretore non lo tutelava e il molestatore aveva il
diritto di riprendersi il suo possesso anche con la forza. Passato un anno il derubato doveva far
cessare la molestia, anche il ladro è dunque tutelato. (art. 1170 c.c. oggi il possesso è tutelato da
un’azione che si chiama manutenzione)
• Utrubi, per i possessori di cose mobili. Tutelava non l’attuale possessore ma colui che in un anno
avesse posseduto per più tempo, purché non avesse acquistato il possesso con violenza o in modo
clandestino.
• Recuperandae possessionis, servivano a recuperare il possesso. Il possessore aveva diritto a recuperare il
possesso:
• Unde vi, il possessore che veniva spossessato con violenza entro un anno dalla violenza subita
otteneva dal pretore di potersi riprendere anche con la forza il possesso purché egli non avesse
acquistato il possesso con violenza o clandestinità nei confronti della controparte.
• De vi armata, riguardava lo spossessamento compiuto da banda armata, era dato a chi avesse subito
lo spoglio anche se avesse tolto il possesso a chi glielo aveva tolto in modo violento o clandestino.
Entro l’anno era sempre tutelato, anche se l’aveva acquistato in modo violento o clandestino.

Donazione
E’ un atto di liberalità e per noi è un contratto. In diritto romano la particolarità della donazione è che la
donazione non era un autonomo negozio giuridico a sé stante e tanto meno un contratto, per loro era un fine
che poteva essere raggiunto in diversi modi con vari negozi: ad esempio se la res era mancipi si poteva fare
con mancipatio senza pagamento di prezzo, con in iure cessio, con traditio se la cosa era nec mancipi. Queste
azioni gratuite permettevano di fare donazione, che poteva anche essere fatta con stipulatio con cui il
promittente si impegnava a trasferire la proprietà. Rientra nella donazione anche la remissione del debito
fatta con acceptilatio o con pactum de non petendo e dunque rientravano nella finalità della donazione. La
donazione può porre problemi in relazione ai familiari del donante che possono da questa subire una lesione
perché il donante va a sottrarre qualcosa dal patrimonio che un giorno sarà l’eredità dei propri familiari. Fu
approvata una legge comiziale in merito, nota come lex cincia nel 204 a.C. che prevedeva che ci fosse un
valore massimo delle donazioni perché esse fossero consentite: il valore massimo stabilito era di 500 assi. La
lex cincia era una lex imperfecta ovvero leggi che non prevedono una sanzione, perciò per le donazioni
compiute oltre il 500esimo asse erano considerate comunque valide, non potevano essere rese nulle dal
parente del donante. Disponeva ancora la lex che se la donazione era stata solo promessa con stipulatio ma
non effettuata oltre il limite dei 500 assi non poteva essere pretesa in giudizio dal donatario. Furono poi
vietate le donazioni fra marito e moglie e per queste fu prevista la nullità.
Successioni
La successione è quando una persona succede a un’altra persona in un singolo diritto o più diritti o in tutti i
rapporti attivi o passivi. Una successione avviene per due circostanze fondamentali:
• Inter vivos, un vivo succede a un altro vivo nei diritti o nei rapporti.
• A titolo particolare, un soggetto vivo subentra in un singolo rapporto che era di un altro soggetto
ancora vivo. Accade quando ad esempio c’è la cessione del debito, del credito o diritti reali.
• A titolo universale, un vivo subentra in tutti i rapporti attivi e passivi dell’altro.
• Mortis causa, un vivo succede a un morto. L’erede è successore a titolo universale e subentra in tutti i
rapporti attivi e passivi. Il defunto è chiamato “de cuius” ovvero is de cuius ereditate agitur, cioè colui
della quale eredità si tratta.
• A titolo particolare, l’erede succede in un singolo diritto. Accade solo in alcuni testamenti in cui ci
sono legati. I legatari sono dei successori a titolo particolare, coloro che succedono in un solo bene del
de cuius. Se non c’è testamento i legati non possono esistere.
• A titolo universale, è successione ereditaria. Ci sono più eredi che prendono sia il passivo che l’attivo.
• Intestata o legittima, è la successione che ha luogo quando non vi è testamento, legittima ovvero è
la legge a decidere chi saranno gli eredi del de cuius.
• Testamentaria
• Contro il testamento, quando il testamento non è fatto molto bene e quindi è corretto dai giudici.
Questo tipo si ha dall’età classica.

Età arcaica
→Successione intestata o legittima (ab intestato)
Muore una persona e l’eredità, in assenza di testamento, va in primo luogo ai sui, poi agli agnati e in terzo
luogo ai gentiles. Sui, se non ci sono sui agli agnati e cosi via.
• Sui, sono coloro che erano direttamente sottoposti alla patria potestas del pater familias quindi in primo
luogo i sui erano i figli. Una donna sui iuris non può avere sui. I sui erano successori a titolo universale. La
successione dei sui avviene per stirpes. Nel caso che il pater muoia ed uno dei figli è premorto ma ha dei
figli vivi, a chi va l’eredità? Va ai sui, e dunque nel caso avesse 2 figli vivi ed 1 morto che ha 2 figli vivi
erediteranno i 2 figli vivi del pater e i 2 figli vivi del premorto ereditano per stirpes, non per capita (teste),
ovvero subentrano nella quota che sarebbe stata del loro padre e quindi le stirpi sono 3 e l’eredità si
dividerà secondo le 3 stirpi: figlio 1 ha 1/3, figlio 2 ha 1/3 e i figli del figlio premorto avranno 1/3 e quindi
i nipoti del pater avranno 1/6 a testa. Le classi dei succesibili sono sui, adgnati e gentiles. I sui erano eredi
necessari, erano eredi necessariamente e automaticamente alla morte del padre e quindi i sui non avevano
bisogno di accettare l’eredità, erano eredi in automatico. Quando non esistevano i debiti (parte dell’età
arcaica) era considerato vantaggioso ma poi, con la nascita dei debiti, questi non potevano rifiutare
l’eredità e si trovavano costretti ad ereditare i debiti del padre. Se un padre moriva senza sui:
• Adgnati, fino al VI grado. Esempio: il pater era morto e muore un figlio che non ha sui. La legge dice che
la sua eredità andrà agli adgnati ovvero andrà all’agnato di grado più vicino ed esclude quelli di grado più
lontano. In questo caso gli eredi del defunto figlio 1 saranno i due fratelli. Altra ipotesi è muore il pater che
ha 2 figli e una figlia: muore figlio 2 che ha 2 figli e poi muore figlio 1 che nel frattempo era diventato
pater familias. In questo caso nella successione degli agnati non c’è la successione per stirpe e quindi alla
morte di figlio 1 l’eredità va alla sorella e i 2 figli di figlio 2 non ereditano nulla. Non è obbligatorio
accettare agli agnati, se vogliono accettano altrimenti no. Quando un soggetto eredita può non accettare i
debiti perché si crea la fusione tra il patrimonio del vivo e l’eredità e quindi gli agnati sono già sui iuris.
Succede che se l’eredità è passiva si crea la fusione e i debiti vanno a gravare sul suo patrimonio. Se non ci
sono agnati:
• Gentiles, erano un grande gruppo di famiglie che ritenevano di avere un lontano capostipite comune. Non
rispondevano ad ulteriori debiti. Per i gentiles non accadeva la fusione, utilizzavano tutti insieme i beni
ereditati.

→Successione civile
Testamento calati comìtiis, era il testamento che si faceva davanti ai comizi curiati riuniti, non centuriati e
tributi che is occupavano dell’approvazione delle leggi. Il testamento era orale e pubblico, non c’era
segretezza e non poteva fare testamento chi aveva dei sui perché erano eredi necessari. Il problema era che i
comizi si riunivano il 24 marzo e il 24 maggio, solo 2 volte l’anno e questo era un problema per i soldati che
partivano e volevano fare testamento ma non potevano. Per questo fu inventato il testamento in procinctu
che era possibile fare per i soldati che dovevano partire per la guerra. Era sempre orale e pubblico e si faceva
davanti ai commilitoni che partivano per la guerra o altri che non partivano. Restava il problema per tutti gli
altri che volevano fare testamento, allora si creò un problema che fu risolto con l’invenzione da parte della
giurisprudenza pontificale di un modo per disporre della propria successione pur senza la possibilità di fare
testamento, venne utilizzata allo scopo una particolare mancipatio: la mancipatio familiae, famiglia intesa
come patrimonio (mancipatio di tutto il proprio patrimonio). Non era un testamento, era una mancipatio con
cui, una persona che avrebbe voluto fare testamento ma non poteva, trasferiva la proprietà di tutto il suo
patrimonio a un fiduciario che poteva essere un amico il quale si impegnava moralmente, dopo la morte del
mancipio dans, a trasferire il patrimonio alle persone indicategli dal mancipio dans. Bisognava fidarsi perché
il fiduciario non aveva alcun obbligo giuridico. Era questo l’unico modo quando non era possibile fare
testamento. Non si sa se il mancipio dans mantenesse almeno il possesso della cosa. Non c’era alcun prezzo.
Da qui deriva il testamento di età classica che era il testamentum per aes et libram.

Età classica
Sulla successione intestata non ci sono novità, prevede le stesse classi di eredi. La successione testamentaria
si, scompaiono i testamenti arcaici e anche la mancipatio familiae perché è nato il nuovo testamento: quello
per aes et libram. E’ un negozio con l’uso del bronzo e della bilancia. Derivava dalla mancipatio e in
origine era anch’esso orale, il testatore dichiarava le sue ultime volontà e dichiarava chi volesse fossero gli
eredi non più davanti a tutto il popolo ma davanti a 5 testimoni, al libripens e una sesta persona: il mancipio
accipiens. In questo modo il testatore dichiarava gli eredi, la novità è che questo testamento diventa scritto e
dunque segreto, il testatore non comunica più chi sono gli eredi ma si limita a dire davanti ai testimoni le
tavole di legno cerate testamentarie chiuse con il testamento all’interno. I testimoni assistono solamente al
rituale ma nessuno sa il contenuto, mettono il loro sigillo di cera sulla chiusura delle tavole. Era comunque
necessaria la forma, pena la nullità. Il testamento è un negozio giuridico formale che prevede il rituale per
aes et libram completo e formale.
• Testamenti factio attiva: quali erano le novità. Prima potevano fare testamento solo i maschi perché solo
loro potevano entrare nei comizi e ora potevano fare testamento oltre ai maschi romani, liberi, puberi e sui
iuris anche le donne purché fossero sui iuris, puberi ma con l’ausilio del tutore. Altra novità è che potevano
fare testamento anche coloro che avevano sui, che rimanevano eredi necessari ma era possibile fare
testamento, nasce infatti un nuovo istituto che è la diseredazione: possono fare testamento anche coloro
abbiamo dei sui purchè all’inizio del testamento diseredino questi sui perchè se un pater all’inizio del
testamento scrive che li disereda è come se non li avesse.
• Testamenti factio passiva: chi può essere istituito erede. Potevano essere eredi tutti i cittadini, uomini,
donne, puberi, impuberi, sui iuris o alieni iuris, ma gli eredi testamentari sono eredi volontari e devono
accettare l’eredità. Si potevano istituire eredi anche degli schiavi, sia altrui, e potevano accettare solo con
l’autorizzazione del padrone, sia propri a una condizione: che questi venissero manomessi nel testamento.
Questi schiavi erano eredi necessari come i sui. Abbiamo due categorie di eredi: sui et necessari e necessari
(schiavi manomessi). Si istituivano eredi i propri schiavi perché per i romani era una vergogna morire
senza eredi e se un pater aveva l’eredità passiva aveva il timore che nessuno l’avrebbe accettata e quindi
istituiva erede il proprio schiavo e quest’ultimo era necessario e quindi non poteva rifiutare. Dopo di che lo
schiavo aveva un’eredità passiva, andava in fallimento e rifiniva come schiavo.

Il contenuto del testamento classico


Il testamento è un negozio giuridico contenitore che contiene altri negozi ovvero: a pena di nullità deve
contenere la heredis institutio (la istituzione di erede), negozio giuridico fondamentale. Il testamento è fatto
con lo scopo primario di contenere gli eredi (uno o più di uno) che prenderanno attivo e passivo. In italiano si
chiama istituzione di erede che è la base e non può mancare. Il testatore può decidere le quote. Se il pater ha
dei sui, la heredis institutio deve essere preceduta da exheredatio, la diseredazione. Il testamento può anche
contenere i legati testamentari, le manomissioni e le sostituzioni, cioè se un erede è già morto o si rifiuta e
si nomina un sostituto.
• Exheredatio, inventata dai giuristi classici per consentire di fare testamento a chi ha dei sui che non
possono essere omessi (in latino praeteriti cioè dimenticati). Devono assolutamente essere nominati. I
maschi sui eredi necessari devono essere diseredati per nome uno per uno. Se non sono nominati sono stati
dimenticati e un figlio preterito può impugnare il testamento e farlo annullare dai giudici e una volta che è
annullato a causa del suus si apre la successione intestata e il figlio dimenticato si troverà erede. Le
femmine e i nipoti venivano diseredati collettivamente con la clausola inter ceteros. C’era una clausola di
stile
• Heredis institutio, era formale e doveva essere espressa con le parole “Titius heres esto”. Dice Gaio che la
h.i. era caput et fundamentum totius testamenti, ovvero il capo e il fondamento di tutto il testamento. Se
mancava il testamento era nullo.
• Sostituzioni, ce ne erano due tipi:
• Volgare, l’unica che esiste ancora oggi e la chiamiamo sostituzione testamentaria. E’ la nomina di un
sostituto all’erede se l’erede istituito premuore o non accetta.
• Pupillare, oggi non esiste. Riguarda il caso di un testatore che istituisca erede del testamento il proprio
figlio impubere. Il problema che si pone il padre è che il figlio possa a sua volta morire prima di aver
raggiunto la pubertà e quindi prima di aver potuto fare testamento. Il pater vuole che l’eredità non
arrivi agli agnati, allora si preoccupa di nominare un sostituto pupillare, ovvero l’erede di suo figlio
eventualmente morto impubere.
C’è una differenza sostanziale tra i due: il sostituto volgare è erede diretto del de cuius, quello pupillare non è
erede del de cuius ma è erede del figlio del de cuius morto impubere.

Accettazione di eredità
I sui erano eredi necessari (necessariamente ed automaticamente) così gli schiavi manomessi del testatore.
Tutti gli altri erano eredi non necessari
• Eredi sui et necessarii e necessarii: l’accettazione non era necessaria, questi erano eredi automaticamente,
non dovevano compiere alcun atto di accettazione.
• Eredi volontari (adgnati e tutti gli altri eredi diversi dai sui e dagli schiavi manomessi): dovevano fare
un’accettazione formale che si compiva davanti al pretore e si chiamava cretio che doveva essere compiuta
entro 100 giorni dalla morte del de cuius. Utile per evitare di accettare un’eredità passiva. Se un erede
volontario non fa la cretio in una successione intestata, in questo caso l’eredità viene delata agli adgnati di
grado successivo e così via. Nella successione testamentaria, se l’erede volontario testamentario non
accetta, potrebbe esserci un sostituto e se neanche quest’ultimo accetta si apre la successione intestata.
Oppure possono fare pro herede gestio e si limitano a prendere possesso dell’eredità.

L’accettazione automatica dell’eredità creava problemi per gli eredi necessari. In età arcaica, data l’assenza
dei debiti, era un vantaggio ma poi con la loro comparsa divenne sconveniente. Intervenne il pretore che
introdusse in età repubblicana un beneficio nell’editto: beneficium abstinenti per gli heredes sui, loro erano
eredi ma l’eredità restava divisa dal loro patrimonio, non avveniva la fusione dei patrimoni. Il problema c’era
anche per i necessarii: nasce la separatio bonorum per i necessarii. Giustiniano unì le due cose e creò il
beneficium inventarii: esiste ancora oggi e quando qualcuno è erede di qualcuno non sa se accettare o meno
può accettare col beneficio di inventario che a Roma veniva chiesto ai magistrati. Significa che accettava
l’eredità ma che rimaneva separata dal patrimonio dell’erede per un periodo in cui l’erede fa appunto
l’inventario: guarda ed esamina cosa c’è nell’eredità. A quel punto, dopo aver fatto l’inventario, decide se
accettare definitivamente o non accettare l’eredità. Se l’accetta a quel punto c’è la fusione tra il patrimonio
del de cuius e dell’erede, altrimenti, se non accetta l’eredità rimane per conto suo.

Azione generale per la eredità


• Può esserci qualcuno che dice di essere erede testamentario del defunto però vede che l’eredità è nelle
mani dei figli del de cuius. L’azione generale era la hereditatis petitio che intentava causa al possessore
dell’eredità. In italiano si dice petizione di eredità e questi processi erano ritenuti molto importanti dai
romani. La prima fase era apud iudicem, la seconda fase si svolgeva davanti al collegio dei centumviri che
si occupavano di cause di eredità.

Problemi della successione del ius civile


Tra il I sec a.C. e I sec d.C. I romani si accorsero che c’erano alcuni problemi e delle ingiustizie. Il primo
problema fu quello della diseredazione dei sui che, benché riconosciuta dalla giurisprudenza, configurava
una grande ingiustizia. Tale problema inizio ad essere percepito nella società. Un secondo problema era il
fatto che non ci fosse l’obbligo di lasciare nulla ai parenti prossimi che, anzi, potevano essere completamente
esclusi. Altro problema era il fatto che gli emancipati non ereditavano dal padre dato che gli emancipati
erano fuori dalla patria potestas e non erano sui. Ancora, nei matrimoni sine manu non c’era più eredità
perchè non c’era rapporto che portasse alla successione ereditaria tra i coniugi. Poi, se la madre è sposata
sine manu, non c’è eredità tra madre e figli e viceversa. Se il matrimonio è cum manu i figli sono eredi della
madre in qualità di agnati (eredi di secondo grado). Altro problema è che ereditano gli agnati ma non i
cognati anche se sono di pari grado. Il pretore si occupò dei problemi dal 3 al 6, dei primi 3 problemi invece
si occuparono i centumviri.
• I problemi dal 3 al 6 riguardano tutti la successione intestata. Intervenne il pretore il quale escogito e
introdusse nell’editto una eredità intestata pretoria alternativa a quella civile. In latino si chiama bonorum
possessio sine tabulis. Il pretore propose nell’editto delle nuovi classi di successibili:
• Unde liberi, al primo posto: sono tutti i figli, sia quelli sui che gli emancipati che però non ereditano a
parità di condizione. Gli emancipati infatti essendo diventati sui iuris hanno avuto modo, a differenza dei
sui, di farsi un proprio patrimonio. Quindi, gli emancipati, se vogliono ereditare, devono fare la
collazione (collatio). In automatico si apre la successione del ius civile però, se l’emancipato vuole, può
chiedere che il pretore disponga la successione pretoria. A quel punto il pretore dispone la bonorum
possessio sine tabulis. Bisogna che l’emancipato chieda l’eredità intestata pretoria. Per accedere alla
bonorum possessio l’emancipato dovrà fare collazione ovvero creare la somma tra il patrimonio del de
cuius e dell’emancipato e su quel totale si apre la successione che andrà divisa tra i figli. Non sempre
conviene fare collatio ai figli emancipati.
• Unde legitimi, al secondo posto: sono gli adgnati. Se non ci sono agnati entro il sesto grado l’eredità va
ai:
• Unde cognati, al terzo posto: parenti di sangue che non sono adgnati. Madre e figlio sono tra loro cognati
e, dunque, ereditano in terza classe.
• Unde vir et uxor, al quarto posto: il marito può ereditare dalla moglie e viceversa, prima non era
possibile. Qui era prevista dall’editto ma non è altamente probabilmente in quanto la moglie eredita in
quarta classe e dunque se il marito non ha figli, agnati o cognati.
Questo è quanto fece il pretore per correggere la successione civile.

Il pretore crea poi la bonorum possessio secundum tabulas, chiamata anche testamento pretorio. Il testamento
era per aes et libram, altamente formale, nel quale dovevano essere presenti i testimonio, mancipio accipiens
e libripens. Erano tutte formalità inutili in quanto il contenuto del testamento non era pubblico e nessuno dei
presenti al momento conosceva il contenuto. Compivano un rituale che non aveva più utilità ma che, per il
ius civile, ciò era indispensabile. Siamo ormai nel I sec. a.C. e il pretore dice che il testamento diventava
valido anche senza cerimonia per aes et libram ma era necessario il sigillo di sette testimoni che potevano
essere chiamati anche individualmente. Questo testamento era nullo per il ius civile ma valido per il diritto
pretorio. Se i sui diseredati chiamano la nullità del testamento in quanto manca la cerimonia per aes et
libram, i sui perdono poiché vanno davanti al pretore che farà una denegatio actionis.

C’è un terzo tipo di bonorum possessio: la bonorum possessio contra tabulas che va a tutelare una categoria
molto limitata di persone ovvero gli emancipati preteriti. C’è un testamento e ci sono dei figli emancipati ma
che erano preteriti ovvero non erano nominati nel testamento. La preterizione dei sui portava alla nullità del
testamento e si apriva la successione intestata, i figli sui doveva essere o istituiti eredi o diseredati ma non
potevano non essere nominati. Ciò riguardava solo i sui poiché il ius civile non considerava gli emancipati, è
il pretore che se ne interessa. Per il pretore non possono essere preteriti né i sui che gli emancipati, se
preteriti possono chiedere la bonorum possessio contra tabulas ovvero richiedere la successione intestata.

Successione necessaria del ius civile


Nel I sec a.C. accade che i figli diseredati iniziano a intentare una eredità petitio contro gli eredi testamentari,
non avevano una valida ragione perchè il testamento del pater era valido. Potevano fare eredità dispetitio
sulla base del fatto che il pater quando diseredava i sui non poteva che essere pazzo. La prova della sua
pazzia era il fatto che avesse diseredato i suoi figli e un testamento fatto da un pazzo non poteva che essere
atto nullo. Il pretore avrebbe potuto subire bloccare queste cause ma lui lasciò che passò alla fase apud
iudicem e neppure i centumviri bloccarono la cosa. In questi testamenti si disse che il pater oltre ad essere
pazzo non aveva usato pietas nei confronti dei figli (officium pietatis). Allora si partì con la hereditatis petitio
da cui derivo apposita azione: la querela inofficiosi testamenti, in quanto contrari all’officium, con cui i figli
diseredati attaccavano il testamento paterno e dovevano dimostrare di aver trattato bene il pater altrimenti
avrebbero perso, qualora lo avessero dimostrato ottenevano la nullità e l’apertura della successione intestata.
Si affermò poi il principio per cui i figli potevano fare querela contro gli eredi testamentari qualora fossero
stati completamente diseredati o fossero stati istituiti eredi per meno di 1/4 di quanto gli sarebbe spettato in
base alla successione intestata. Se l’asse era 100 e il figlio era uno solo avrebbe dovuto ricevere il 25% e il
75% restante avrebbe potuto darlo a chi voleva. Il figlio che faceva querela chiedeva l’apertura per intero
della successione intestata e il figlio avrebbe ricevuto il 100%. Si parla di successione necessaria per gli eredi
che ottengono il 100%. Il figlio che avesse avuto almeno 1/4 il figlio non poteva fare querela e doveva tenere
quello ma se avesse ottenuto nulla o meno di 1/4 era legittimato ad intentare querela. Questa incongruenza fu
risolta da Giustiniano che aggiunse l’actio ad implendam legitimam che diceva che il figlio che avesse avuto
meno di 1/4 non otteneva la nullità dell’intero testamento ma aveva diritto di arrivare alla quota (la legitima)
di 1/4 di quanto gli sarebbe aspettato in base alla successione intestata, è l’astio che serviva a riempire la
legittima. Così il figlio che ha avuto 24 può fare l’actio per arrivare a 25, Giustiniano ottenne così un
risultato più equo rispetto a quello della querela classica. Fu poi possibile fare querela anche ai genitori o ai
fratelli del de cuius. Quindi figli, genitori e fratelli del de cuius erano abilitati ad intentare la querela. Il
nostro codice tiene delle quote dette o di riserva o di legittima ovvero il testatore deve riservare certe quote a
genitori e prossimi, se non lo fa i parenti possono riempire la legittima in loro spettanza. La diseredazione
oggi non esiste più, se un padre fa testamento e non lascia nulla i figli possono agire con l’azione di
riduzione con la quale vanno a ridurre ciò che è stato lasciato agli eredi testamentari per ottenere la loro
quota di riserva.
Ci sono delle prime modifiche al ius civile nel II sec. d.C. Nella successione pretoria abbiamo figli sui e non
sui, agnati, cognati e marito e moglie. Il ius civile recepì alla fine l’innovazione pretoria, infatti nel senato
consulto tertulliano del II sec. d.C. la madre diventava erede del figlio dopo i sui, dopo il padre e dopo i
fratelli ma con precedenza su tutti gli altri (la madre ereditava come cognata). Sempre nel II sec. d.C. un altro
senato consulto, quello orifiziano, stabilì che i figli fossero eredi della propria madre in primo grado.

Età post-classica
Successione Intestata Giustinianea
Non esiste più il diritto pretorio, esiste solo il ius civile dal 130 in quanto i due si sono fusi. Abbiamo quindi
un’unica successione che li mette insieme in un unico ordine di eredi.
• In prima classe ci sono i figli che ereditano sia dal padre che dalla madre. Se i figli fossero premorti e ci
fossero nipoti erediterebbero i nipoti per stirpes.
• In seconda classe ereditano gli ascendenti (genitori, nonni), i fratelli e sorelle germani (coloro che hanno
in comune entrambi i genitori) del defunto. Se non ci sono ne figli ne ascendenti ne fratelli:
• In terza classe ereditano i consanguinei, ovvero fratelli con padre in comune, e gli uterini, fratelli per
madre comune. Se hanno lasciato figli succedono questi ultimi per stirpes.
• In quarta classe l’eredità andrà ai cognati, non ci sono più gli agnati. I cognati sono parenti entro il sesto
grado.
• In ultima classe ereditano marito o moglie.
• Se non c’è nessuna delle classi precedenti, l’eredità andrà al fisco, ovvero allo stato, che ovviamente non si
fa carico dei debiti.

Successione Testamentaria Giustinianea


Nel III sec. d.C., l’imperatore Valentiniano III ammise la validità del testamento olografo, ovvero scritto tutto
di pugno dal testatore. Ancora oggi il testamento olografo è valido. Giustiniano rimase ancorato al
testamento pretorio, era un purista, e disse che per essere valido serviva ancora il sigillo dei sette testimoni.
In età giustinianea si poteva fare il testamento pubblico fatto davanti ad un pubblico ufficiale che era reso
pubblico alla morte del testatore. Anche questo testamento è valido ancora oggi.

Successione a titolo particolare: i legati


I legati sono disposizioni contenute nel testamento con cui il testatore dispone che un singolo cespite (bene)
debba andare ad una certa persona andando quindi a sottrarre tale bene dall’eredità. Il legatario può ricevere
solo un diritto reale, non un debito. I legati si dividono in:
• Ad effetti reali:
• Per vindicationem: uno specifico bene nel momento in cui l’erede testamentario acquista l’eredità,
immediatamente si verifica l’effetto reale, ovvero il bene oggetto di legato diventa di proprietà del
legatario senza che lui faccia nulla. Il legatario non è un erede, è soltanto legatario di quello specifico
bene.
• Per praeceptionem: anche questo è ad effetti reali ma qui il legatario è uno dei coeredi, si può fare solo
se ci sono più eredi. Si specifica che uno degli eredi è legatario di un bene che deve essere detratto
dall’asse prima di essere diviso tra i coeredi.
• A effetti obbligatori: il legatario ha un credito nei confronti degli eredi
• Per damnationem: nel momento in cui l’erede accetta l’eredità il bene non diventa direttamente del
legatario ma diventa dell’erede e l’erede sarà obbligato a trasferirlo al legatario. L’erede ha una
obbligazione.
• Sinendi modo: è ad effetti obbligatori e la differenza che c’è con il legato per damnationem è molto
tenue ed è che nel primo l’erede è obbligato a consegnare al legatario con traditio, nel secondo l’erede
è obbligato a permettere (sinere) che il legatario prenda la res.

I legati possono avere anche degli effetti collaterali nel senso che il testatore può sovraccaricare di legati
l’erede. Questo problema fu risolto nell’anno 40 a.C. con una legge che si chiamò lex falcidia e stabili che i
legati non potessero gravare per più di 3/4 dell’asse ereditario sugli eredi, quindi 1/4 dell’asse doveva essere
lasciato all’erede. Se il testatore avesse ecceduto nei legati quello che sarebbe successo era che secondo la
legge i legati che superavano i 3/4 erano nulli e si dice venissero falcidiati.

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