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LEZIONI DI STORIA DEL

DIRITTO ITALIANO I,
PROF.SSA SIGISMONDI.
Università La Sapienza di
Roma, canale M-Z.
Storia Del Diritto Italiano
Università degli Studi di Roma La Sapienza
69 pag.

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STORIA DEL DIRITTO ITALIANO
Prof.ssa Sigismondi

Lezione 1

Nel Medioevo, la principale fonte del diritto è la consuetudine e il ruolo che ha avuto la scienza del diritto:
queste due, forgiate nel medioevo, hanno ricoperto un ruolo centrale anche nei tempi successivi sino alla
codificazione.
La denominazione della materia è “Storia del diritto italiano” in realtà quando si studia la storia del diritto nel
medioevo non si può concentrare l’attenzione soltanto sull’Italia, perché i problemi che trattiamo riguardano
tutte le nazioni e tutti i paesi dell’Europa occidentale.
Il medioevo ha rappresentato un periodo in cui c’è una civiltà europea: vi è una continua circolazione non solo
culturale ma proprio di leggi, consuetudini, opere dottrinali tra tutte le regioni europee.

Cosa si intende per “Medioevo”: è un concetto storiografico relativo, inventato dagli umanisti (uomini di
cultura protagonisti del Rinascimento). I secoli del Medioevo rappresentano un’epoca buia tra lo splendore del
periodo antico e il rinnovato splendore del Rinascimento. È un concetto “relativo” serve essenzialmente agli
studiosi per definire il loro campo d’indagine.

Per quanto riguarda la storia del diritto, il Medioevo si deve far iniziare con la fine dell’Impero Romano
(basso-antico). Se si guarda alle fonti, viene naturale guardare al periodo di Giustiniano (VI secolo d.C); se si
guarda ad alcuni istituti, allora l’inizio del medioevo va ricercato un po' prima. Cristoph Keller scrisse una
storia del medioevo facendola iniziare con Costantino e finire con la caduta di Costantinopoli (1453).
A partire dal III secolo, il diritto Romano diventa un diritto di dimensione mediterraneo-europea (nel 212 viene
estesa la cittadinanza romana a quasi ogni parte dell’Impero.

Vi furono nel periodo tardo imperiale delle trasformazioni del diritto romano:
- una prima fu quella riguardante la figura dell’imperatore (dal principato al dominato). L’imperatore era il
princeps (il primo) ma questa prospettiva cambia dal 3 secolo d.C. perchè i poteri dell’imperatore si ampliarono
a quello che potremmo definire ‘assolutismo. Questo avviene a partire soprattutto da Diocleziano, con il quale
si introduce l’elemento di imperatore come sì dominus ma anche deus, verso il quale i sudditi provano
obbedienza ma anche venerazione (anche con gesti simbolici). Con Costantino questo cambia: la figura
dell’imperatore (con il cristianesimo) non poteva più ammettere natura divina egli diventa il rappresentante
di Dio sulla Terra. Rispetto al periodo romano precedente, l’imperatore è considerato investito di una dignità
superiore rispetto a quella del popolo.

Con Diocleziano (alla fine del 3 sec. d.C), per far fronte ai problemi di gestione di un territorio così ampio,
viene introdotto il sistema tetrarchico:
- il territorio viene diviso in due parti, una parte orientale con capitale Costantinopoli e una occidentale con
capitale prima Roma e poi altre.
- e l’autorità stessa imperiale era divisa in quattro: tra due c.d. augusti (per ogni parte) e ciascuno sceglieva
un vicario (che sarà poi suo successore), i due c.d. cesari. Nonostante la divisione, rimase una concezione
unitaria della maiestas imperiale, tant’è che in alcuni periodi addirittura (es. Costantino e Teodosio I) il potere
è esercitato da un solo imperatore.

In questo territorio enorme (tra oriente e occidente con 114 province), tre gradi gerarchici distinte:
-una militare: basata su vari gradi al culmine i duces e i magistres militum
-una civile: svolgeva tutte le funzioni amministrative e di ordine pubblico, ma anche giudiziarie (sia civili e
penali). Era divisa in vari livelli: cittadini con a capo il defensor civitatis, poi i governatori delle province al di
sopra, al di sopra vi erano le 12 (6 or e 6 occ) diocesi con a capo i vicari, poi le 4 (2 or e 2 occ) prefetture.
(questa prima distinzione tra militare e civile andò con il tempo sfumandosi)
-una con competenze fiscali
Al di sopra di queste tre, vi è la Corte imperiale (imperatore) con poteri di: nomina di tutti questi funzionari;
decisione di tutte le controversie come ultima istanza; l’esercizio del potere legislativo.

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Nel periodo “dominato” vi è semplificazione del sistema delle fonti del diritto romano: quella principale è
quella costituita dalle leggi dell’Imperatore. Nel V secolo la legislazione romana è costituita esclusivamente
da norme imperiale definite nelle fonti con i termini “lex” o “constitutio” prima vi erano diversi tipi di norme
imperiali (di portata generale gli “editti”; di portata specifica i “rescritti” che erano risposte che l’imperatore
dava a casi concreti).
L’imperatore era assistito da funzionari: il più importante è il quaestor sacri palatii (il questore del sacro
palazzo), una sorta di ministro della giustizia (es. Triboniano che aiutò Giustiniano con il Corpus iuris civilii)
poi vi era il magister officiorum, ossia il responsabile della cancelleria dell’impero.

Troviamo una dialettica tra leges (il diritto nuovo che predisponeva gli aggiornamenti necessari
dell’ordinamento) e gli iura (il diritto vecchio, ossia i pareri presi dai giuristi forniti di un’auctoritas, ossia
dello ius respondendum, in virtù del quale il loro parere aveva un valore risolutivo delle questioni) che
caratterizza tutti i secoli del Medioevo.
Rispetto a queste due, la consuetudine rimane una fonte del diritto fondamentale

Si avvertì l’esigenza di riordinare gli iura. Vengono fatti delle epitomi (riassunti di opere precedenti): si parla
di “volgarizzazione” del diritto romano, perché il diritto romano subisce delle alterazioni che nascono dalla
prassi (che avvengono nella vita concreta del diritto) per rispondere alle esigenze della società. I testi classici
vengono modificati per renderli accessibili agli operatori del diritto. Questo tipo di manipolazione agli occhi
dei contemporanei (giuristi del V sec.) non viene vista come “falsificazione”.
Di queste opere ne citiamo solo 3:
- “Pauli receptae sententiae” è un’opera con circa 7 redazioni successive, la prima intorno al 300 d.C, periodo
in cui si cerca di trasferire le opere scritte su papiri su pergamena. Si ipotizza che in questa fase si sia proceduto
a fare delle epitomi delle opere del Giurista Paolo. Nel 506 d.C, questa epitome viene introdotta in una
compilazione visigota (la lex romana visigotorum) e fu utilizzata da Giustiniano nel Digesto.
- un altro giurista che viene epitomato è Ulpiano “Tituli ex corpore Ulpiani”, ossia una volgarizzazione nella
prima metà del 300 che serve a rendere più comprensibile per un pubblico sempre meno raffinato un testo di
Ulpiano, che viene perciò proprio anche travisato
- un altro testo è tratto dalle “Istituzioni” di Gaio, che già di per sè era semplificato, per questo ha avuto un
grande successo, venendo epitomato con il “liber Gaii”, testo usato per la redazione delle “Istituzioni” di
Giustiniano (acquisì dunque valore legislativo).

• In Occidente, nonostante le semplificazioni, si avvertì il bisogno di ordinare la materia degli iura, in


maniera semplificata da un provvedimento legislativo che prese il nome di “legge delle citazioni”: hanno
valore nei processi (valore vincolante) le opinioni concordi di 5 giuristi Gaio, Paolo e Ulpiano +
Papiniano e Modestino. Quando i pareri di questi erano concordi su un punto, acquisivano nel giudizio
valenza vincolante. In caso di discordia, doveva prevalere l’opinione della maggioranza, altrimenti quello
di Papiniano. Inoltre, potevano essere allegati in giudizio altri giuristi purchè citati dai 5 principali e purchè
disponibile il testo originale. Con questa legge si ribadisce l’importanza delle leggi imperiali.
• In Oriente si afferma una specie di “gusto” per la codificazione, con riferimento non ai nostri codici, ma
a delle raccolte di norme vecchie messe in ordine, o cronologico o sistematico, modificate e adattate ai
tempi nuovi (Viorar parlò di “consolidazioni” per definire queste raccolte, ribadendone l’oggetto di norme
antiche).
I primi codici compaiono alla fine del 3 sec. con Diocleziano.
- La prima raccolta prende il nome di Codice gregoriano, viene redatta in Oriente e contenente rescritti
risalenti ad Adriano;
- La seconda è quella di Ermogeniano con leggi risalenti a Diocleziano.
Entrambe le raccolte sono private.

In Oriente, il livello di cultura giuridica era più elevato anche per il fatto che si fece una riforma per regolare
la professione legale (studi quinquennali nelle scuole di diritto es. Beirut e Costantinopoli). A fronte della
legge delle citazioni, in occidente; in oriente, pochi anni dopo, Teodosio II mette in campo una riforma del
diritto che doveva essere ampia: questo progetto (429) prevedeva la raccolta degli iura (non citazioni) e una
raccolta delle leges. In realtà nel 435 il progetto di raccogliere gli iura venne abbandonato (ripreso solo da
Giustiniano con il Digesto) e nel 438 viene promulgato il codice Teodosiano, che è ufficiale a differenza dei
due citati precedentemente, ed è entrato in vigore nel 439. È composto da 16 libri (presentati come una

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continuazione dei codici Ermogeniano e Gregoriano) che contiene solo costituzioni ancora in vigore e che
vengono anche modificate. Teodosio inserisce la legge delle citazioni all’interno della propria raccolta.
Questo codice, benché emanato in Oriente, diviene vigente anche in Occidente con Valentiniano III. Fatto
molto importante perchè questo codice avrà un’influenza per tutto l’alto medioevo.

Leges e iura non esauriscono le fonti vigenti: la fonte primaria era la consuetudine: l’uso ripetuto nel tempo
di un comportamento che nasce dalle esigenze concrete della vita e poi ritenuto legittimo dalla società. Qual
è il rapporto con la legge? Rispondono due testi.
- un primo testo del giurista Salvo Giuliano (2 sec, epoca di imperatore Adriano) che sostiene la superiorità
della consuetudine rispetto alla legge. Una legge può essere abrogata da una consuetudine contraria.
- un secondo testo del 319 dell’imperatore Costantino cambia la prospettiva: la consuetudine non ha scarsa
autorità, però non può superare la ratio iuris o la legge. È valida la consuetudine, ma solo quella praeter
legem.

La consuetudine diventa anche fonte di istituti giuridici molto importanti: es. feudo. A tal proposito, vi fu
polemica alla fine dell’800 tra due storici austriaci, Brunner e Mitteis perché:
- il primo si accorse di divergenza tra diritto romano applicato e quello delle norme (in particolare in occidente)
e usa l’espressione “diritto romano volgare” (degenerazione di quello classico);
- il secondo si occupa di diritti popolari delle regioni orientali dell’impero e si accorse anche qui di quella
divergenza che però attribuisce alla vigenza dei diritti “popolari”, nati dal popolo.

Oggi si ritiene che il diritto volgare non sia una degenerazione, ma che si afferma della prassi in un periodo di
involuzione economica e sociale in occidentale dell’impero: un diritto regolato dalla prassi. Si assiste alla
creazione di nuovi istituti: nasce un altro fenomeno caratteristico del Medioevo, ossia la “privatizzazione”
del potere pubblico, ad esempio nascono due istituti che nascono nel basso medioevo (con germi sviluppati
nell’alto) :
• il colonato: a causa della ridotta disponibilità di schiavi, i proprietari terrieri affiancano alla pars dominica
(terra coltivata da schiavi) una pars colonaria , utilizzando contadini liberi (non schiavi).
Con il tempo a questi coloni vengono imposte limitazioni giuridiche per evitare che abbandonassero il
campo:
- dovevano al signore un censo e prestazioni di opere;
- (fine del III sec.) non possono allontanarsi dalla terra, e se la terra viene venduta, passano alla dipendenza
del terzo proprietario;
- non poteva ricorrere a giustizia imperiale nei confronti del proprietario (a meno che censo sia superiore
a quello dovuto), quindi per tutte le controversie, il contadino doveva rivolgersi al proprietario che diventa
una sorta di autorità giudiziale naturale (ecco perché privatizzazione del potere pubblico);
- ai tempi di Costantino (inizio IV sec.) si prevede che i proprietari possono arrestare i contadini se fuggono
e addirittura tenerli in catene;
- possibilità di riscuotere i tributi dovuti dai contadini allo Stato.
È un esempio di come questo rapporto (proprietario-colono) si trasformò in rapporto di soggezione personale,
non più solo di prestazione un rapporto privatistico diventa sempre più pubblicistico (da questo fatto
derivò la successiva locuzione “servi della gleba”)

• il patronato: fenomeno legato alla pressione fiscale (tributi calcolati in base alle esigenze della società).
Piccoli proprietari cedettero le proprie terre ai proprietari maggiori, continuando a lavorare le terre alle
dipendenze del proprietario, in cambio di difesa dinnanzi agli esattori e di fronte all’autorità
giudiziaria. Questo rapporto fu però spesso fonte di abusi verso i piccoli proprietari.
In Oriente, l’autorità imperiale è più forte, i sovrani cercano però di limitare queste pratiche; in Occidente
non vi è autorità centrale in grado di arginare abusi e quindi insieme alle conseguenze delle c.d. invasioni
germaniche portò a maggiore privatizzazione del potere pubblico.

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Lezione 2

• I regni romano-germanici (o romano-barbarici)

Caratterizzante questo periodo fu l’incontro tra civiltà romana e germanica. Si tratta di civiltà diverse ma con
elementi comuni. Si parla del periodo delle invasioni barbariche. In realtà, no si è trattato prettamente di
invasioni, o comunque si attribuisce una parte di responsabilità nel crollo dell’Impero Romano d’occidente.
Questo è vero ma quando si parla di invasioni non si tratta di popoli che vengono per occupare, in realtà si
trattò più di migrazioni e scorrerie interne. In realtà molte di queste tribù germaniche erano già entrate
all’interno dell’impero, spesso proprio chiamate dagli imperatori per ingaggiarle a difesa dei confini (come
milizie). Col tempo, in alcuni casi queste tribù si ribellarono all’imperatore; in altri casi furono gli imperatori
a venir meno ai patti con questo ma non si tratta quindi di un’inimicizia verso l’impero.
Queste popolazioni originariamente nomadi, si stanziano stabilmente. Questo stanziamento (invasioni
germaniche) in 2 fasi:
- la 1°: regni romano-germanici con popolazioni poco numerose che si stabilisce in un determinato territorio
dell’impero e dà origine ai “regni, tra i più importanti quello visigoto, quello ostrogoto e quello burgundo (vi
fu anche quello dei vandali, o dei franchi)
- la 2° : i popoli ormai stanziati si stabiliscono stabilmente nel territorio conquistato ma con differenza perché
non vengono mantenute le strutture amministrative dell’impero ma tutte le tracce dell’ordinamento precedente
vengono eliminare perché i conquistatori impongo il loro ordinamento.

PRIMA FASE si parla di regni “romano-germanici” perché non viene eliminato l’ordinamento romano e
la popolazione di origine germanica rimane una minoranza. I regni sono 3: visigoti, ostrogoti e burgundi. I
• l regno dei burgundi si forma intorno alla metà del 5 sec. fino al 534, questi arrivano in Gallia come
nemici e nel 437 vennero sconfitti. Dopodiché furono stanziati come milites federati nella regione della
Borgogna (parte sud-orientale francese) e formano un regno: il re Gundobado aveva rapporti di amicizia
con l’impero tant’è che dal re Anastasio ricevette il titolo di patricius. Questo regno ha durata limitata
perché nel 534 vengono sconfitti dai Franchi, che si stanziano nella Gallia.
• Gli ostrogoti si stabiliscono nel territorio italiano e il loro il regno inizia con Teodorico tra 490 e 493.
Teodorico era un generale di origine germanica, re degli ostrogoti, viene mandato in Italia a combattere
Odoacre e lo uccide nel 493 acquisendo il controllo della penisola italiana. Questo regno durò fino al 553,
quando gli ostrogoti vengono sconfitti dalle truppe bizantine mandate da Giustiniano.
• Il regno dei visigoti si crea anch’esso nelle Gallia agli inizi del V sec e ha durata più lunga, finisce nel 507
perché sconfitti dai Franchi e il regno viene trasferito nella penisola iberica e la capitale diviene Toledo.
Vi è una seconda parte del regno che va dal 507 al 511 in Spagna.

Su questi regni vi sono diverse interpretazioni storiografiche. Una tesi di Cortese successivamente accolta
anche da Caravale (da aggiornare nel manuale).

• L’interpretazione storiografica tradizionale: si riteneva concordemente che in questi regni romano-


germanici, la pietra giuridica fosse regolata dal principio di personalità del diritto, ossia che soggetti di
uno stesso ordinamento potevano regolarsi nei rapporti privati secondo leggi diverse (attaccamento alla
persona): es. nel regno visigoto i romani avrebbero continuato ad utilizzare nei rapporti privati il diritto
romano, i visigoti le consuetudini tradizionali (il diritto delle popolazioni germaniche era consuetudinario
senza leggi scritte). È un principio opposto alla territorialità del diritto (oggi vigente, anche se in maniera
attenuata). Nell’impero Carolingio creato dai Franchi del VIII e IX sec. vigerà questo principio ma lì vi
saranno diverse culture e tradizioni, nel caso del regno romano germanico solo due.
La storiografia è partita da alcuni fonti legislative: nel 475 il re dei visigoti Eurico promosse la raccolta di
alcune norme “lex visigotorum” detta anche “codex euricianus”, questa lex sarebbe stata la prima
redazione per iscritto delle consuetudini del popolo visigoto. Lo stesso avvenne nel popolo burgundo, con
una “lex burgundiorum” (circa 480-501). Secondo la storiografia queste raccolte sarebbero state
indirizzate soltanto alla componente germanica della popolazione (principio di personalità del diritto).
Nel 506 il re visigoto promulgò una legge detta “lex romana visigotorum” (detta anche “breviarium
alariciarum”) cosicché nel regno visigoto abbiamo due raccolte. Questa lex è divisa in due parti:
- la prima composta da leges: contiene estratti del codice Teodosiano (1/8);

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- la seconda da iura: contiene le Pauli sententiae e il liber Gaii e alcuni frammenti di Papiniano e qualche
rescritto tratti tra i codici Ermogeniano e Gregoriano.
Le popolazioni visigote erano ariane : l’arianesimo è una forma di cristianesimo eretico portavoce di una
dottrina che negava la natura divina del Figlio. Soltanto il Padre aveva natura divina.
Il re dei visigoti ariano, nel momento in cui doveva affrontare una battaglia con i Franchi, si sarebbe
ingraziato la parte cattolica della popolazione con questa lex romana visigotorum.
Durante il regno di Gundobado, venne emanata una “lex romana burgundiorum”.
Queste norme erano rivolte alla componente romana della popolazione. Quindi: lex visigotorum per la
parte visigota e la lex romana visigotorum per la componente romana della popolazione (principio di
personalità).

• Questa teoria storiografica viene contestata da Cortese, sulla base del contenuto. La lex visigotorum non
contiene norme tratte dai testi del diritto romano, bensì dalla prassi romana volgare. Queste norme non
potevano riguardare soltanto i visigoti perché vi erano norme che riguardavano gli ecclesiastici, gli
ebrei, il commercio, i consorti ecc.
Guardando alla lex romana visigotorum, era diretta a regolare tutte le cause che potevano insorgere non
soltanto riguardando i romani. Problema: allora ci sarebbero state due leggi contenenti entrambe diritto
romano. Cortese ritiene che i visigoti entrati nelle Gallie dovettero necessariamente cominciare a dare
legge romana, necessità di instaurare rapporti giuridici anche con la parte romana della popolazione. Il
testo di riferimento era il codice Teodosiano, che era però un testo troppo complesso per i romani
figuriamoci per le popolazioni germaniche. I visigoti adottarono per la prima volta delle leggi scritte. Da
questo punto di vista la lex visigotorum era rivolta ai visigoti, ma non per contenere soltanto le
consuetudini germaniche (tesi tradizionale), ma anche la prassi romana volgare per regolare i rapporti
con i romani. I romani potevano anch’essi utilizzare la lex visigotorum. Allora quale sarebbe stato il ruolo
della lex romana visigotorum? Sarebbe stato utilizzato, secondo Cortese, per le fattispecie più complicate,
svolgendo così un ruolo sussidiario: colmare le lacune della lex visigotorum. Per Cortese il principio
della personalità tende a separare le varie etnie, mentre l’intento dei visigoti sarebbe stato quello di
conciliare i rapporti con l’impero.
Cortese ci dice che la lex romana visigotorum fosse stata definita “lex mundialis” (Isidoro di Siviglia)
mettendo in evidenza come anche per i visigoti vi sarebbe stata una fiducia verso una visione universale
del diritto domano. Cortese individua nel regno visigoto l’origine della dialettica tra universale (Impero
Romano) e particolare (regno visigoto).

Quando detto per il regno dei visigoti si può applicare anche al regno dei burgundi.

• Teoria tradizionale: principio della personalità del diritto


• Teoria Cortese: nega la vigenza di tale principio, parlando di efficacia territoriale di tutti questi testi

Il fatto che ci fosse una lex visigotorum e una lex romana visigotorum ha indotto gli storici a ritenere che
fossero riferite a soggetti diversi. Cortese smentisce questa tesi.

Il regno ostrogoto d’Italia non rientra in questo schema della storiografia tradizionale perché non ha una
doppia legislazione, ha solo l’“Editto di Teodorico”. Alcuni studiosi hanno messo in dubbio l’attribuzione a
questo re, perchè non sarebbe Teodorico re degli ostrogoti ma Teodorico visigoto fratello di Eurico. La
conclusione accolta è che questo testo si può attribuire all’Italia (e quindi a Teodorico ostrogoto) perché ci
sono riferimenti a realtà italiane. Inoltre, tracce di questo testo si trovano nella documentazione italiana
dell’alto medioevo. Teodorico uccise Odoacre e diede vita al regno ostrogoto. Arrivano come milites federati
e poi si trasformarono in cittadini stanziati. Venne istituito uno speciale magistrato “comes gotorum” (il conte
dei goti), questo non giudicava secondo le consuetudini ostrogote essendo indirizzato a entrambe le
componenti, gota e romana. Il testo di Teodorico contiene norme di diritto romano, soprattutto parafrasi,
sempre tratte da codice teodosiano, poi codice ermogeniano e gregoriano (leges) e Paulii sententiae (iura).

La legislazione di questo periodo:


Lex visigotorum; Lex romana visigotorum (raccoglie testi nella forma originale)
Lex burgundiorum; Lex romana burgundiorum (non originale ma parafrasi)
Editto di Teodorico (non originale ma parafrasi)

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Tutti questi testi non contengono norme nuove, ma si limitano a raccogliere le norme del diritto romano già
contenute in questi testi.
Abbiamo parlato della legislazione, ora parliamo dell’ordinamento giuridico.

Una parte della storiografia affermava che, una volta stanziatasi, i regni avrebbero imitato la sovranità romana.
I re germanici chiedono e ottengono dall’imperatore d’oriente il titolo militare di “patricius purpureus”
(parente fittizio dell’imperatore). Gli storici hanno pensato che questo facesse diventare il re il capo della
burocrazia bizantina nel suo regno, in realtà il re non era per i goti una figura con poteri particolari e distinto
da quello del popolo. Il fatto di ottenere dall’imperatore il patriziato purpureo (designare come parente fittizio
dell’imperatore) poteva avere importanza su due piani per i re: dare un ruolo di particolare importanza
all’interno della comunità germanica, distinguendo il rex e la sua famiglia dalle famiglie degli altri capi
militari. Questo facilitava il tentativo del re di mantenere il titolo all’interno della sua famiglia (non essendo
la carica ereditaria), distinguendolo dai capi militari.

I gruppi su cui si basava la comunità germanica erano: la famiglia, il seguito militare e l’esercito (quest’ultimo
era l’elemento importante).
La famiglia era composta da marito, moglie e figli e anche i servi o i semiliberi che vivevano con loro. Il
carattere militare della società distingueva figli maschi e figlie femmine. Le figlie femmine non avevano la
piena capacità d’agire, solo i figli maschi combattevano.
Il sistema giudiziario germanico era basato su giustizia privata basato sull’istituto della faida: prevedeva una
forma di vendetta privata (la famiglia poteva infliggere lo stesso danno al colpevole o a un membro della sua
famiglia). La faida aveva lo scopo di ripristinare equilibrio tra le varie famiglie, ripristinando così anche
l’armonia dell’esercito in battaglia. Successivamente, anziché arrecare danno si poteva ricevere pagamento di
una somma di denaro “guidigildro” (o compositio). Questo sistema della faida funzionava bene se però era
noto il colpevole; in caso di incertezza: ci si rivolgeva alla comunità e tramite questa si svolgeva il c.d.
“giudizio di Dio”, la divinità tramite una prova doveva indicare chi era il colpevole; la prova era o singola
(ordalìa = es. camminare sulla brace) o tramite duello giudiziario (le due parti combattevano tra di loro, il
vincitore era l’innocente). Questa prova avveniva o davanti all’assemblea o di fronte ai capi militari. Queste
autorità con funzione di “giudice” avevano in realtà solo a funzione dichiarativa dell’esito della prova.
L’esercito germanico vedeva a capo il re (non era una carica ereditaria, veniva scelto in occasione delle
battaglie). In battaglia vi erano il decario, il centenario, il millenario (a carico di 10,100,1000 persone). Questi
capi militari divennero guida delle autorità germaniche, nel momento in cui le popolazioni germaniche da
popoli nomadi si stanziarono all’interno dei confini dell’impero. Così come il re che prima dell’insediamento
non era sempre presente ed essenziale ma solo in caso di guerra, anche le altre autorità militari assunsero un
compito di guida della comunità germanica anche in tempo di pace. Tra i compiti che assunsero vi era anche
la funzione di “giudice” meramente dichiarativa e non costitutiva.

Lezione 3

La Chiesa come ordinamento giuridico

L’Editto di Costantino concede ai Cristiani libertà di culto, nonché legittimità all’organizzazione della
Chiesa, che diventa “ordinamento giuridico”. Un ordinamento particolare: i suoi fedeli erano sia fedeli sia
sudditi dell’Impero. Le norme vengono prodotte i una prima fase nei Concili (assemblee di vescovi). Quelli
ecumenici (o universali) si tengono a partire dal V secolo e si tengono per tutto il periodo del basso e alto
medioevo esclusivamente in Medioriente, sotto la diretta influenza dell’imperatore bizantino. Al Concilio di
Micea del 325, Costantino partecipa a queste assemblee nelle quali gli argomenti discussi erano
principalmente teologici.
A questo Concilio viene precisato il dogma contro l’eresia, abbracciando la teoria della “consubstantia” delle
due nature del padre e del figlio (il dogma della trinità solo nella 2 metà del IV sec).
La natura della Chiesa si considera una istituzione all’interno dell’impero con struttura gerarchica che vede
a capo, da un lato, il vescovo di Roma, dall’altro i padri patriarchi.
Importanti erano i vescovi, a capo delle diocesi. Il vescovo veniva scelto dal clero e dai fedeli. I membri del
clero si riunivano nei concili, ecumenici (universali) o locali.

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Il concilio aveva anche funzioni giudiziarie perchè decideva sentenze che riguardavano vescovi tra loro o
vescovi e diocesi. Roma, Antiochia e Alessandria erano le città più importanti alle quali si aggiunse ben presto
Costantinopoli.
La Chiesa diviene titolare di patrimonio.

Costantino tra il 318 e 321 concesse ai vescovi numerosi privilegi:


• il privilegio del foro (esser giudicati da altri vescovi);
• la “episcopalis audientia” (dà possibilità alle parti di non essere giudicate da giudice civile ma invece dal
vescovo);
• la possibilità di liberare gli schiavi con l’istituto della “manomissio in ecclesia”, che richiama la
manomissio inter amicos.
• Il diritto per le singole chiese di ricevere dei legati o di essere nominate eredi. Questo diede inizio a quel
fenomeno di documenti di donationes pro an (i fedeli facevano legati a istituzioni religiose allo scopo di
procurarsi la salvezza).
• La legislazione imperiale diede ai vescovi alcune potestà pubbliche (intese come autorità di guida delle
città anche al di l delle sue prerogative ecclesiastiche) soprattutto in Occidente.

Accanto all’Editto di Costantino, fu importante anche l’Editto di Tessalonica, emanato da Teodosio I il


Grande, con il quale la religione cattolica diviene religione di Stato, ossia giuridicamente obbligatoria per
tutti. Il testo dell’editto viene inserito nell’ultimo libro del Codice Teodosiano (si ricordi: Teodosio II) e in
apertura del codice di Giustiniano.

Il Concilio di Calcedonia nel 451 mette sullo stesso livello Roma e Costantinopoli; invece il vescovo di
Roma sosteneva il primato della sede romana per ragioni ideologiche (vi era stata investitura di Cristo nei
confronti di Pietro). Questo è un problema è proprio un problema di tipo giuridico per quanto riguarda le fonti
normative del diritto canonico.
Gli imperatori orientali spesso ingeriscono sulle questioni di fede che riguardano aspetti teologici. Questa
tendenza viene definita “cesaropapismo” che, invece, la Chiesa occidentale (il pontefice romano) cercano di
limitare e combattere. Un esempio lo abbiamo con una lettera di cui autore è Papa Gelasio (ricopre carica
492-496) diretta all’imperatore Anastasio (che appoggiava teorie eretiche) con cui affermò il primato di sede
romano e il c.d. “principio gelasiano” secondo cui vanno separati l’autorità del papa (potere spirituale) e la
potestà dell’imperatore (potere temporale).

La chiesa diviene produttrice di norme giuridiche: prodotte essenzialmente (vedi supra) nei concili perché
si occupavano oltre che di questioni di fede anche di questioni organizzative e giuridiche. Per la Chiesa il
diritto non era solo umano, ma soprattutto divino.

Il diritto divino è composto:


• dalle Sacre Scritture (vecchio e nuovo testamento);
• e dalla traditio (insegnamenti cristiani): “divina” (trasmessi da Gesù) oppure “umana” (insegnamenti di
apostoli e padri della Chiesa).
• e dal diritto naturale, ordine che Dio aveva stabilito al momento della Creazione.

Il diritto umano si distingueva in:


• temporale: quello romano, le leggi imperiali, le consuetudini germaniche e così via.
• ecclesiastico: prende il nome di “canonico”. Termine viene dal greco kanòn e in latino regula. Sono le
norme che regolano la vita della Chiesa e che riguardano tutte le norme (emanate sia dai concili sia dai
papi).

Le norme dei vescovi di Roma furono designate con il termine di “epistoles decretales” e poi semplicemente
“decretales”.
Riconoscere un potere normativo al vescovo di Roma era conseguenza del fatto che si accettava il primato
della sede romana. Questo era però messo in discussione, e nel 451 (visto sopra) negato in Oriente, mentre
invece affermato in Oriente. Quindi questo potere normativo papale non venne riconosciuto in Oriente e i
decretales non avevano dunque vigore in Oriente.

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Tutta questa concezione diritto umano/divino comportava la necessità di armonia tra le varie parti: le norme
temporali comunque non potevano porsi in contrasto con le norme divine e nemmeno con quelle stabilite
dall’Istituzione della Chiesa (diritto umano ecclesiastico). Era una visione unitaria del diritto in cui occorreva
armonia.
A un certo punto, si cominciò ad accumulare produzione normativa, oltretutto quelli universali emanati in
Oriente e scritti in greco. Vi fu necessità di tradurli, dapprima, in latino. Si cominciarono a fare “collezioni”
inizialmente solo dai canoni emanati nei concili. Vi è la “Prisca” del V sec: un tal monaco Dionigi ebbe questa
raccolta tra le mani scrisse che non era soddisfatto di questa precedente traduzione, ecco perché “Prisca”.
Dopo Gelasio, oltre ai canoni, cominciarono ad essere inserite nelle raccolte anche le norme papali
(decretales). Le più importanti sono:
• la “Collezione Dionisiana” (da Dionigi tra fine V sec e VI): composta da
1) 50 canoni degli apostoli
2) traduzioni in latino dei concili orientali più importanti
3) vengono introdotte 38 decretali dei pontefici (dal 384 al 498) fino ad Anastasio II.
Questa diventa la collezione canonica più diffusa e sancì primato della sede romana. Ebbe vita lunga
perché quando Carlo Magno venne a Roma, il papa Adriano I, gli offrì in dono questa collezione che
prese poi il nome di “collezione Dionisio-Adriana”. Nell’802 questo testo venne approvato come testo
ufficiale della Chiesa Franca.
• la “Collezione Isidoriana” (perché attribuita a Isidoro di Siviglia, arcivescovo, autore di diverse opere la
più importante sono le “Etimologie” e la sua prefazione è simile alla collectio Ispana e alcuni hanno
pensato che l’autore fosse lo stesso) o Ispana (perché redatta in Spagna) è un testo di alto livello e molto
nota e diffusa. Ebbe varie redazioni: una prima in ordine cronologico, le altre in ordine sistematico, tenendo
conto delle materie trattate.

La compilazione Giustinianea (Corpus iuris civilis)

Giustiniano sale al trono nel VI sec. era nato nell’Illirico dove la lingua madre era latina (ecco perché sempre
legato alla tradizione di Roma). Non appena imperatore mette in atto progetti ambiziosi volti a restaurare
grandezza di Roma antica:
• riconquista della parte occidentale dell’Impero (in mano ai regni germanici): dà inizio ad una guerra
(gravoso sia da punto di vista militare sia finanziario) e manda Bellisario a conquistare prima regni in
africa poi riparte e mandato a combattere gli ostrogoti in Italia. È l’inizio di un lungo conflitto che portò
nel 553 alla sconfitta degli ostrogoti, dopo 18 anni di Guerra. L’Italia ritorna sotto l’impero bizantino. Però
soltanto l’Italia, destino separato da altre regioni occidentale.
• Lotta alle eresie: sconfiggere definitivamente l’arianesimo
• Riforma del materiale giuridico (leges e iura): in realtà il primo progetto è quello di mettere ordine
soltanto nelle leggi imperiali.
1. Nel febbraio del 528 con una costituzione, Giustiniano annuncia l’intenzione di compilare un codice
di leges per ridurre lunghezza delle cause e nomina commissione presieduta da Triboniano con
l’incarico di prendere il materiale dai codici disponibili (Gregoriano, Ermogeniano e teodosiano) e
integrare con successiva legislazione imperiale. Commissione composta anche da Giovanni di
Cappadocia (quaestor sacri palatii) da Teofilo. Un anno dopo nell’aprile 529 viene pubblicato testo di
“Novus Iustinianum Codex”. È diviso in 12 libri e raccoglie le costituzioni imperiali emanate sia da
Giustiniano che dai suoi predecessori. Noi non abbiamo il testo ma solo l’indice (in realtà poi abbiamo
la seconda redazione, vedi punto 4).
2. Il testo contiene anche la legge delle citazioni, questo vuol dire che Giustiniano non voleva
inizialmente concentrarsi sugli iura, in realtà subito dopo inizia un’altra impresa che è quella di riunire
e riordinare gli iura. Triboniano viene incaricato di occuparsi della redazione di questo testo e ancora
una volta Giustiniano annuncia la sua intenzione con una costituzione imperiale “Deo auctore” del
dicembre del 530. Triboniano da magister officiorum (cancelleria imperiale) dopo la redazione diventa
‘quaestor sacri palatii’. Questo materiale veniva anche in parte modificato, oltre che riordinato.
Giustiniano dà a Triboniano il compito di riunire il materiale in un solo libro. Lavoro portato a termine
in un periodo molto breve: nel dicembre del 533 con la costituzione Tanta entra in vigore, promulgato
dall’imperatore, il “Digesto” (o Digesta, o Pandetta in greco), che contiene 50 libri con10.000

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frammenti di 40 giuristi diversi (dal I al IV sec.). è ancora inspiegabile il metodo adottato, data la
brevità del tempo di realizzazione.
3. Sempre nel novembre del 533 viene promulgata altra opera: le “Istituzioni” composta solo da 4 libri.
Costituiscono un manuale istituzionale del diritto per offrire agli studenti un primo approccio sui
concetti fondamentali. La materia è divisa in 3 parti: res, personae, actiones. Questa tripartizione la
ritroviamo anche nel codice napoleonico. Si riferiscono alle Istituzioni di Gaio (III sec.) . anche questo
testo viene emanato, pur essendo scolastico, dall’imperatore, quindi oltre alla natura didattica ha anche
natura di legge.
4. Nello stesso periodo vi era stata con legge (“Omnem”) una riforma degli studi giuridici, prevedendo
che si possa insegnare solo in due scuole: Costantinopoli e Berito (odierna Beirut). Nel 534 Giustiniano
pubblica nuova edizione del codice “Codex repetitae praelectionis”. Va a sostituire la prima edizione.
Infatti, noi non abbiano neanche il testo della prima edizione
5. Nel 565 le leggi emanate da Giustiniano (tra 535 e 565) vengono raccolte nelle “Novallae
costitutionaes”, scritte in greco. La raccolta greca con 168 costituzioni circolò solo in oriente; in
occidente due raccolte: (1) l’epitome Iulianii (con 124 costituzioni) parafrasato in latino e (2)
l’Autenticum in latino, considerato più affidabile del primo.

Tutto questo è il CORPUS IURIS CIVILIS: Organicità di questa raccolta che da un lato, tramanda e salva il
patrimonio della dottrina dei giuristi romani, dall’altro lo modifica sia in per esigenze pratiche sia perché il
diritto romano classico era in alcuni punti in contrasto con quello del tempo.

Lezione 4

Che cosa succede nel frattempo in Italia? Abbiamo detto che accanto questo progetto legislativo, c’era come
progetto anche la riconquista delle terre occidentali dell’impero (che però riguardò soltanto la penisola
italiana, nel 553 la conquista si porta a termine). A questo punto emana per nel il 14/08 del 554 la “Pragmatica
sanctio pro petione Virgilii” (ossia applicando il Corpus iuris civili per i popoli conquistati), una sorta di testo
unico che regola il passaggio dell’Italia dai Goti ai bizantini. Era formata da 27 disposizioni che regolavano
questa fase di passaggio, ad esempio eliminando una serie di norme gotiche emanate nel frattempo oppure a
reintegrare nei loro possedimenti alcuni romani che erano stati spodestati dai Goti, veniva riordinata
l’amministrazione e viene emanato per la parte occidentale dell’impero l’insieme del Corpus Iuris. Quindi
l’Italia viene onorato il diritto giustinianeo, ma in Spagna e nelle altre regioni europee si continua ad utilizzare
il codice teodosiano, fino a quando nel XII secolo ci sarà una rinascita degli studi giuridici e il giustinianeo
penetrerà nella Francia meridionale.

La tradizione manoscritta dei testi del Corpus Iuris Civilis (il Codice (nella seconda edizione), il Digesto, le
Istituzioni e le Novelle) è tutta di epoca medievale, con due eccezioni:
• I frammenti veronesi del Codice (conservati a Verona) testimoniano che il codice è composto di 12 libri,
ossia che i primi 9 e gli ultimi 3 (norme riferite alla burocrazia bizantina e che in occidente non avevano
applicazione e ben presto circolarono separati con la denominazione di “tres libri”) fossero
originariamente previsti insieme.
• Littera pisana o Littera florentina: il manoscritto che conteneva questa redazione del Digesto era
conservato a Pisa e trasferito poi a Firenze, quando Pisa venne conquistata. Il contenuto è una redazione
del Digesto fatta risalire dalla metà del VI secolo agli inizi del VII secolo. Non è uscito dalla cancelleria
di Giustiniano, ma è un testo comunque vicino a Giustiniano di cui non sappiamo il luogo della redazione.
Non fu quello alla base del testo che circolò per tutto il medioevo che invece fu una redazione con il nome
di “Divulgata”.

Parlando della fortuna della compilazione giustinianea nel corso dell’alto medioevo vediamo che il Digesto
venne ben presto accantonato:
• l’ultimo riferimento è in una lettera del 603 del papa Gregorio magno scritta a un certo Giovanni che
doveva andare in Spagna e nel dargli le istruzioni, il papa fa riferimento proprio a norme contenute nel
Digesto. È l’ultima volta in cui viene citato. Ricomparirà soltanto nell’ XI secolo.
• Il testo che ebbe più fortuna furono le Institutiones, che non erano soltanto un manuale ma una legge.

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• Epitome Codicis conteneva soltanto i primi 9 libri del codice. Raccolta, rimasta in uso fino al 12° sec.,
nella quale circolava il codice giustinianeo, mutilato delle costituzioni più lunghe e di quelle scritte in
greco. Finiva così per contenere la sesta parte delle costituzioni del codice.
• Le novelle circolano o epitomate

L’ invasione dei Longobardi in Italia fa parte di una nuova ondata di invasioni barbariche (+Franchi nelle
Gallie ed Anglosassoni in Inghilterra): nei territori conquistati vengono modificati gli assetti sociali e gli
ordinamenti giuridici. Viene introdotta l’organizzazione del popolo conquistatore, non c’è più quella
convivenza che caratterizzata i regni romano-barbarici. È una conquista più pesante: i popoli danno anche il
nome alla terra conquistata. Si parla di Lombardia (dai lombardi), la Francia (dai franchi). Si pensa che i
Longobardi siano partiti dalla Pannonia (attuale Ungheria) nel 568 e arrivati in Italia nel 569. Con il loro arrivo,
vi è fase nuova della storia italiana:
• si spezza il rapporto dell’Italia con l’impero: i longobardi non cercarono mai una legittimazione
dall’imperatore bizantino;
• inizia la divisione politica dell’Italia (terminata solo nel 1800): i Longobardi si stanziarono in Italia
settentrionale (tranne Liguria), vi era poi striscia di territorio comprensiva di Roma rimasta ai Bizantini, e
poi sempre in mano all’impero bizantino gran parte dell’Italia meridionale (Puglia, Calabria, Sicilia e costa
campana):

Inizialmente longobardi rimangono in Pannonia in qualità di alleati dell’impero, avendo prestato i propri
servizi militari all’impero bizantino. Arrivano poi in Italia non incontrando una vera resistenza, per i primi tre
anni e si installano in Italia con questo metodo: man mano che l’esercito avanza, un contingente alle
dipendenze di un “dux” si stanzia in un determinato territorio (il primo fu il Gisulfo, nipote di Alboino, re dei
longobardi). I ducati longobardi furono circa 30, invece al centro e al sud vennero creati altri due, quello di
Spoleto e quello di Benevento, che però conservarono sempre una certa autonomia. In seguito a congiura,
Alboino venne assassinato, seguì Clefi, anche lui assassinato. Il popolo rimase senza una guida unitaria per
più di 10 anni. Nei popoli germanici, ricordiamo, era la suprema carica militare che rispetto ai duchi non aveva
superiorità ma era invece il primo tra i tanti e aveva competenze soprattutto in tempo di guerra. I ducati
longobardi andarono avanti per più di 10 anni, fino anche nel 584 venne eletto un nuovo re, il figlio di Clefi,
scelto dai duchi e non per diritto ereditario, Autari.
Autari può essere considerato colui che ha fondato il regno longobardo perché riesce a creare una struttura
politica unitaria e indipendente rispetto ai ducati. Riesce a ottenere dai duchi la cessione di una metà del loro
patrimonio fondiario (unico modo per un sovrano medievale di esercitare un potere efficace): quindi nei
territori dei ducati si creano due masse di terre:
• la curtis ducalis, affidata al duca;
• la curtis regia, affidata al “gastaldo”, un agente del re.

NB: Non si crea nel regno longobardo una rete di uffici organizzati, ecco perché il controllo sul regno avviene
tramite i patrimoni fondiari.

Diritto longobardo

I longobardi si regolavano con le consuetudini, le “cawarfidae”. Queste consuetudini vengono messe per
iscritto nel 643, con un testo che si deve al re longobardo Rotari, con l’Editto di Rotari emanato in una fase
di guerra che Rotari condusse contro i Bizantini. Rotari, una volta vinto, ha approfittato dell’esercito vittorioso
riunito per emanare questo editto. A quanto pare, tra i liberi che formavano l’esercito si erano manifestate delle
differenze che avevano portato a disagio dei ceti inferiori che lamentavano eccessive esazioni.
Nel prologo dell’editto, le parole di Rotari “per le continue fatiche dei poveri, così come anche per le eccessive
esazioni da parte di chi ha maggior potere ” fanno emergere questa divisione con chiarezza. Nell’epilogo
dell’edito si dichiara di mettere per iscritto le consuetudini longobarde (che fino a quel momento non erano
mai state messe per iscritto) e in parte anche modificarle.
Si è pensato che Rotari avesse scritto l’editto e che questo fosse entrata in vigore dopo l’approvazione
dell’esercito, sulla base dell’interpretazione della parola “gairethinx” (da gaire "lancia", e thinx "adunanza",
che indica il carattere strettamente militare dell'assemblea stessa costituita dagli esercitali o arimanni, cioè da
coloro che impugnavano le armi.

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Nel testo dell’Editto di Rotari, tra prologo ed epilogo, si fa riferimento a situazione particolare che riguarda la
promulgazione dell’editto: si fa riferimento al rito del gairethinx, questo termine è stato interpretato come
testimonianza che all’epoca di Rotari l’editto fosse entrato in vigore in seguito all’approvazione da parte
dell’assemblea popolare (esercito in armi), si pensò che si facesse riferimento a rito (far rumore con le armi
per approvazione) già descritto da Tacito con l’opera “Germania” nel 98 d.C.
In realtà questo rito del gairethinx no lo ritroviamo in questa forma ma soltanto in fattispecie di diritto privato:
es. liberazione dei servi. Era un rito che serviva a dare stabilità ad un atto giuridico. Ed è probabilmente questo
il significato rendere “firma et stabilis” la norma contenuta nell’Editto di Rotari.
Questo gairethinx era più un rito che serviva a dare stabilità e certezza alla legge, nel momento in cui Rotari
la pubblicava di fronte all’esercito: rendeva quindi la legge irrevocabile.

Quasi metà del testo dell’editto era costituita dalle “compositiones” dei reati: ossia stabilivano quanto si
doveva pagare in base al danno recato. Quello che fa Rotari è di fissare, per legge, una volta per tutte: se non
era fissata, chi aveva più potere poteva imporre alla parte debole una compositio eccessiva. Quindi, fissandole
minuziosamente, si proteggevano gli uomini liberi da esazioni eccessive. Questo tariffario cambia non solo in
base al tipo di reato, ma anche in base al rango della persona offesa (lo status sociale di chi riceve l’offesa).
In realtà il diritto longobardo era abbastanza mite, molto raramente prevedeva pene corporali (era molto peggio
il diritto bizantino): i pochi casi in cui compaiono pene corporali, si tratta di pene derivanti dal diritto romano
o da quello bizantino (es. il taglio della mano), addirittura l’omicidio era punito con solo pagamento di denaro
(il guidrigildo).
Il fatto di dare un prezzo a un corpo di un uomo (aestimatio corporsi) era inammissibile già per i romani; per
i longobardi il guidrigildo non era però il prezzo del corpo ma il valore dello status sociale.
Inoltre, le donne non avevano il loro guidrigildo: si veniva punite con il guidrigildo corrispondente a quello
del fratello o del padre.
In molti casi, la compositio non va solo all’offeso: ma per metà all’offeso e alla sua famiglia, e per metà alla
curtis regia (interesse pubblico).
I longobardi, rispetto alle altre popolazioni germaniche, usano sì il duello e poco le ordalie. Accanto a queste
usano il giuramento: si faceva giurare l’imputato insieme a un gruppo di soggetti, i c.d. “coniuratores” (o
“sacramentales”) con un giuramento de credulitate. Ossia i soggetti non erano testimoni, giuravano non sui
fatti ma sull’affidabilità dell’imputato.
L’uso del duello verrà ripreso dalla dinastia Sassone, con Ottone I.

Lezione 5

In alcuni casi Rotari dice anche che ha aumentato le compositiones previste tradizionalmente: il suo scopo era
quello di evitare faide ed inimicizie tra le famiglie che componevano la popolazione. Anche il processo rimane
di stampo germanico: duello e molto raramente l’ordalia, prova nel quale si sarebbe manifestato il giudizio di
dio per individuare colpevole ed innocente.

Nel corso del regno longobardo troviamo varie testimonianze di diffidenze nei confronti del giudizio di Dio e
del duello. Venivano introdotti nell’ordinamento alcuni istituti del diritto romano: piccole modifiche,
Cortese parla di “timida tendenza alla romanizzazione”. Questo avviene con il riferimento nel processo anche
ad altri tipi di prove (rispetto a duello e ordalia): la testimonianza o l’uso del documento. Grimoaldo
introduce poi la rappresentazione, altro istituto romano.

Altro aspetto è il formalismo del mondo giuridico germanico (non solo longobardo):
• per il passaggio di un bene, era necessario un passaggio materiale. Alcune di queste formalità vennero
semplificate (es. consegnare una zolla di terra, non l’intera terra), ma mai eliminate. Siamo distanti dal
mondo romano in cui era il consenso delle parti a contare.
• Il longobardo “si obbligava” con una cerimonia chiamata wadia, o wadiatio: prevedeva che il debitore
cedesse al creditore le proprie armi.

Una fase nuova nel regno longobardo si ha nella prima metà dell’VIII secolo, con il regno di Liutprando,
autore di numerosi editti nei quali risaltano due aspetti:

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• una maggiore integrazione tra parte romana e parte germanica della popolazione. Vi sarà anche
maggior utilizzo del diritto romano;
• Liutprando è un re cattolico e l’avvicinamento alla Chiesa cattolica, che in una prima fase delle invasioni
si trovava in crisi, porta anche a maggiore apertura verso il diritto romano, adoperato dalla Chiesa (sposa
romana che sposa germano, soggetta a diritto romano).

C’è una norma dell’Editto di Liutprando del 727 molto nota, è il capitolo 91 conosciuto come il capito “de
scribis” (sugli scribani). Si fa riferimento a un accordo giuridico per il quale si utilizza la redazione di un
documento. Si dice che ciascuna delle parti dell’accordo può acconsentire a “subdiscendere de lege sua”
(“fuoriuscire dalla propria legge”) cioè accettare di regolarsi secondo la legge dell’altra parte. Questa è una
testimonianza dell’avvicinamento tra le due componenti: accordi stipulati tra longobardi e romani dove si dà
a entrambe le parti la possibilità di decidere secondo quale delle due leggi regolare il rapporto.
Cortese, su questo articolo, ha delle perplessità: ritiene che in Italia, il diritto romano abbia sempre avuto
valenza più pregnante rispetto a semplice legge personale.
Altro importante capitolo è il 6, con numerose norme a favore della Chiesa: le donationes pro anima, lasciare
parte delle proprie sostanza a una chiesa o a un monastero.
Con Liutprando quindi abbiamo vigenza del principio della personalità del diritto, incidenza del diritto romano
e della Chiesa.

Non bisogna dimenticare che anche nel regno longobardo, la principale fonte di diritto rimane la consuetudine.
Durante il regno longobardo vi furono importanti modifiche in via consuetudinaria: la più importante,
l’introduzione della signoria fondiaria, nata per consuetudine. La nascita di nuove consuetudini non abroga
quelle precedenti: possono rimanere quiescenti ed essere richiamate o portate in vita, quando qualcuno abbia
bisogno di appellarsi ad esse.
Si diffonde forma di sfruttamento della terra basata su esigenza di economia chiusa: si parla di “economia
curtense” la curtis era un’unità produttiva (oggi diremmo azienda agricola). La curtis era l’evoluzione della
villa romana.
Come funzionava? Il territorio che faceva capo alla curtis, era diviso in due parti?
• Una pars dominica: la parte coltivata direttamente dai familiari del signore (coloro che vivevano nella sua
casa, non solo parenti)
• L’altra parte veniva divisa in piccoli appezzamenti di terra più piccoli, i mansi, si parla di “pars
massaricia” o “massaricium”. Questi venivano dati in concessione ai contadini. Essendo un istituto
consuetudinario, acquistò caratteristiche diverse nei vari territori. I contadini dovevano dare parte del
raccolto al signore, e inoltre dovevano al signore anche prestazioni personali al signore “corvèes”.
Sia il signore fondiario sia il contadino erano uomini liberi: nell’ambito della signoria fondiaria la novità è che
si crea un rapporto di soggezione personale tra uomini liberi, che poi all’interno dell’ordinamento avevano la
stessa posizione (aspetto in comune con il colonato del basso medioevo: lì esigenza di proteggere manodopera
schiavile, qui esigenza di economia chiusa; lì erano i contadini a cedere le proprie terre e a riprenderle come
coloni, qui non c’erano ingerenze dello Stato. )
Al signore fondiario spettava una potestà di banno (di comando).
Il signore era competente per controversie nell’ambito dell’amministrazione e nella giustizia. Questa corte
signorile andò ad affiancarsi alla corte tradizionale germanica, in alcuni casi andando proprio a sostituirla.
L’espressione signoria fondiaria non si ritrova nelle fonti, è coniata dalla storiografia.

L’espansione araba nel Mediterraneo avrebbe limitato fortemente i commerci e quindi imposto una economia
chiusa, basata sul sistema della signoria fondiaria. Questa teoria di Pirenne è stata ridimensionata: la signoria
fondiaria era già affermata da tempo. Già nel VII secolo, la signoria fondiaria era diffusa in tutte le regioni
dell’Europa, non però totalizzante: continuarono a persistere anche altre forme di proprietà, che prendono il
nome di “allodi”, dove il rapporto proprietario-coltivare non aveva aspetti di soggezione personale.

In alcuni casi anche un signore fondiario poteva aver bisogno di protezione (pag.112):
- anche la Chiesa aveva dei patrimoni fondiari ricorreva a un altro signore fondiario, laico ad esempio, che
sarebbe potuto intervenire con le armi, l’advocatus.
- caso della chiesa privata, le terre erano amministrate con poteri signorili dall’ecclesiastico, ma il signore si
riservava poteri di intervento.

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Nella signoria fondiaria: il dominus è il proprietario della terra sul quale esercita la potestà di banno
Nella signoria territoriale: il dominus non ha la titolarità della terra.

Lezione 6

Regno longobardo finisce nel 774. Fu la chiesa ad individuare nella dinastia Carolingia, che regnava sui
franchi, un appoggio in sostituzione di quella che era stata l’autorità dell’impero d’Oriente.
La convivenza tra longobardi e chiesa si era guastata quando Liutprando aveva conquistato l’esarcato (con
Ravenna e Roma), pur non arrivando a Roma ma a Sutri, il Papa si sentì minacciato. L’iconoclastia, il rifiuto
delle immagini, aveva portato ad obbligo di rimuovere immagini dalle chiese e aveva portato grossi problemi
con il papato. Quanto intorno al 751 Ravenna cade nelle mani dei Longobardi, il Papa Stefano II chiede aiuto
ai Franchi per riconquistare i territori presi. Comincia un rapporto privilegiato con la dinastia Carolingia e la
Chiesa di Roma (papa Pipino).

Ci occupiamo dell’aspetto istituzionale e giuridico dell’Impero Carolingio.


Concetto fondamentale sul manuale: la storiografia ha interpretato regno Carolingio come evoluzione dei regni
germanici verso una forma monarco-centrica ritenere che Carlo Magno avesse dato vita a governo unitario
e centralizzato, dando alle terre dell’impero una serie di magistrature stabili con il sovrano al vertice. Per
governare questo territorio molto ampio, Carlo Magno avrebbe creato un apparato burocratico formato da
magistrature stabili, con un ruolo molto importante riservato anche ai conti. In realtà il conte era una figura
tipica del popolo dei Franchi (non in quello longobardo). Una interpretazione storiografica ha voluto vedere
in questi conti l’istituzione di amministrazione che faceva capo a re ma sono letture che applicano dei principi
che non si adattano all’epoca, i conti rimangono autorità popolari, anche se più volte richiamate dal sovrano
all’adempimento dei propri compiti. alle figure dei conti tradizionali, vi erano poi altre figure i missi dominici,
che invece erano rappresentanti del sovrano, che avevano anche la funzione di controllare i conti e i vescovi.
Mentre il conte presiedeva una popolare, i missi entravano nel merito delle inchieste ed emanavano sentenze
con valore costitutivo. L’articolazione in contee si è avuta anche nelle regioni periferiche, chiamate non contee
ma marche, sottoposte all’autorità di un marchio o margravio. A differenza dei conti, gli scabini erano esperti
di diritto ed affiancavano i conti.
Altra novità: Sacramento dell’unzione regia già precedentemente Carlo Magno aveva ricevuto da parte del
papa, con questa, la fonte dell’autorità monarchica non sarebbe stata più il popolo, ma Dio.

non una evoluzione che porti a mutamento della funzione del sovrano, ma un esercizio efficace di questa
funzione da parte di Carlo Magno con attenzione all’amministrazione della giustizia e la legislazione

Continuità dell’ordinamento germanico: le funzioni dei conti


- il conte non era rappresentante del sovrano, ma era una carica specifica del popolo franco.
- il conte non è una novità introdotta da Carlo Magno, era già presente, ed era una carica militare; la differenza
è che questi conti non avevano una competenza sul territorio.
- il conte assume anche funzioni nell’ambito della giustizia e dell’amministrazione vera novità: Carlo Magno
esercita in maniera efficace la funzione di garantire il rispetto del diritto, richiamando anche i conti al rispetto
delle norme tradizionali.

I missi dominici rappresentano invece una novità, sono una magistratura nuova introdotta da Carlo Magno e
incaricata dal sovrano di accertarsi che i meccanismi della giustizia vengano rispettati e che vengano applicate
le norme consuetudinarie. Carlo Mafn
Differenza: il conto è un’autorità del popolo esercito; i missi dominici non si limitavano a dichiarare l’esito di
una prova ma avviano inchiesta (non sentenza con solo valore dichiarativo, come per ordinamenti germanici,
in cui il giudice si limitava a dichiarare il risultato della prova di Dio), emanavo delle decisioni costitutive che
incidevano sul merito.

Carlo Magno riesce a svolgere in maniera efficace il ruolo di tutelare il diritto: per fare questo, da un
lato, richiama i conti ai loro doveri; altre volte, inviando dei propri agenti, i missi, che possono condurre
un’inchiesta ed emanare decisione costitutiva. Ma non è che il Conte emana la sentenza, è lo stesso missus
che può agire da giudice è un agente del sovrano.

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Lo stesso obbiettivo, di tutela del diritto, avviene anche tramite la legislazione.
NB: Nella concezione medievale di sovranità, nulla assomigliava alla separazione dei poteri di Montesquieu.
Sia l’amministrazione che la legislazione erano due facce della stessa medaglia: tutelare il diritto, prerogativa
del sovrano.
Carlo Magno fece numerosi interventi legislativi anche nei confronti degli altri popoli. Vige il principio di
personalità del diritto, nella sua originaria funzione (non convivenza di due popoli), ma per la convivenza di
tante etnie, ognuna portatrice di un proprio diritto.
L’intervento avviene tramite i Capitolaria, leggi fatte di capitoli.
Ve ne furono tipi diversi:
• ecclesiastici sono moltissimi e controllano i sovrani carolingi.
• mondani, che riguardavano le materie temporali;
• missorum, norme destinate ai missi, regolando i loro compiti;
• legibus addenda, sono sulle leggi popolari delle popolazioni germaniche (applicazione principio della
personalità del diritto).
• Potevano essere sia particolari, sia “Capitularia generalia”, rivolte a tutti i sudditi dell’impero

Le norme vennero raccolte nel “Capitolare italicum” utilizzato ed aggiornato fino all’XI sec, questo si andò
ad accordare all’Edictum regum longobardorum.

Le “professiones iuris”, presso i longobardi non erano molto diffuse e quelle poche che si trovano sono falsi,
erano invece diffuse durante il periodo carolingio. Quando un notaio stipulava un atto, la parte poteva dire qual
era la propria legge nazionale (principio personalità). Nel documento c’era una esplicita citazione della legge
che si sarebbe dovuta applicare in giudizio.

Altra testimonianza del principio di personalità, il vescovo di Lione Agobardo scrive una lettera indirizzata al
figlio di Carlo magno (morto nell’814), Ludovico il Pio, che se 5 persone si ritrovavano in una stanza, si
sarebbero regolate ognuna con una legge diversa, questo contrasta con il fatto di essere tutti figli della
chiesa proposta tutti quanti devono essere sottoposti alla legge dell’impero.

Nonostante gli interventi legislativi, grande importanza conservò la consuetudine IL FEUDO


Il feudo è un istituto che segna la storia di alcuni paesi fino alla codificazione (inizio 800), quindi per
lunghissimo secolo.
È un termine utilizzato nell’uso comune (feudalesimo).
• Bloch parla di “società feudale”, accezione ampia si fa riferimento a un sistema in cui il potere pubblico
è frammentato, e in cui si è instaurata una scala gerarchica di rapporti di dipendenza personale. Si diffonde
tra X e XII secolo.
• Accezione meno ampia insieme di istituzioni che creano obblighi di obbedienza e di servizio da parte
di un uomo libero (vassallo) nei confronti di un altro uomo libero (signore, dominus). A questo servizio
corrisponde obbligo del signore di mantenimento del vassallo. Soltanto questa seconda accezione, più
tecnica e meno ampia, è quella di cui ci occupiamo strettamente giuridica.
Rito con cui si instaura rapporto vassallatico: davanti ai testimoni si fronteggiavano due personaggi, il primo
a testa nuda e disarmato mette le mani giunte su quelle del secondo, poi giura toccando con la mano destro un
vangelo o reliquia di rimanere fedele.

Quando nasce istituto feudale? Alcuni giuristi intravedono le radici del feudo nella clientela dei romani; un
altro francese come derivante dall’ordinamento Franco (al tempo dei merolingi). Ei longobardi avrebbero poi
portato il feudo in Italia. Si è concordi nel dire che l’istituto feudale si vada formando nel periodo carolingio.
Anche il termine feudo (come la signoria fondiaria) non lo ritroviamo indicato nelle fonti.

Alcuni aspetti del feudo li ritroviamo nella lex visigotorum: troviamo in questo testo riferimento a uomini
armati (buccellari) al servizio di altri uomini in cambio di protezione. Si dirà poi “qui est in patrocinio” altro
istituto tra liberi. Quindi forse il patrocinio si era andato evolvendo sino a riprendere questo tipo di rapporto.
Inoltre, il patrocinio si instaurava con il rito della commendatio, un soggetto mette le mani giunte nelle mani
del signore giurandogli fedeltà, spesso ricompensata con doni (es. terra). Questi elementi ritroviamo nel diritto
precedente e nel periodo carolingio questi elementi si riuniscono insieme.

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Vi era, durante periodo carolingio, necessità di compensare i signori del regno che avevano aiutato in battaglia
i carolingi. Come? Concedendo loro delle terre. Venne poi introdotto uso di fare concessioni di terre limitate
nel tempo, che erano legate alla vita o del concessionario o del concedente. Le terre della chiesa venivano
spesso concesse temporalmente (“precaria”) perché non erano definitive, già a partire dai merolingi.
Quando Carlo Magno sale al trono il vassallaggio e il beneficio si erano già uniti (nelle fonti spesso insieme)
e a questi si aggiunge la fidelitas, il giuramento di fedeltà. Questo sistema si diffuse con il tempo all’interno
delle grandi signorie: questi rapporti feudali servivano per creare collegamenti tra varie signorie.

DIFFERENZA SIGNORIA FONDIARIA E FEUDO : nella signoria fondiaria abbiamo rapporto tra signore e
dei contadini (per la coltivazione della terra); nel feudo i rapporti non riguardano contadini, ma signori tra di
loro, anzi inizialmente il re e i signori, poi signori più grandi con altri meno potenti e l’oggetto del rapporto
non è la coltivazione della terra ma la prestazione di un servizio, originariamente militare. La terra in questo
caso è la remunerazione del servizio. Il vassallo non coltivava la terra.

Elementi costitutivi del rapporto feudale (devono esserci necessariamente tutti):


1. ELEMENTO PERSONALE: la fidelitas, il rapporto instaurato con il giuramento, è un elemento
essenziale però non esclusiva di questo rapporto. L’utilizzo del giuramento di fedeltà era molto diffuso,
anche Carlo Magno ne fa uso con popolazioni che gli giurano fedeltà. Questo crea un obbligo di tipo
morale (essere fedele/prestare protezione). Si unisce al rito dell’accomendatio (visto prima)
2. ELEMENTO REALE: il beneficio, la concessione patrimoniale della terra, non è una alienazione
definitiva, ma concessione con durata temporanea (su esempio di quelle terre ecclesiastiche). Lo scopo era
di “remunerazione” di un servizio, che era all’inizio di tipo militare
3. ELEMENTO NEGATIVO: l’immunità. È negativo perché non è concessione di qualche potere, ma nel
fatto che il sovrano nel momento in cui concedeva la terra, aveva l’impegno di non ingerirsi nella gestione
della terra data in feudo (es. non esercitare diritti quali esazione delle tasse, non amministrare giustizia in
quelle terre).

Siccome la produzione economica del periodo si basava sull’ordinamento curtense, il vassallo che riceve la
terra esercita tutti quei poteri che spettavano al signore fondiario potestà di tipo signorile.

Il rapporto prevedeva poi OBBLIGHI:


- per il vassallo: il consilium, il dovere di affiancare il signore nelle decisioni più importanti (anche nelle corti
di giustizia); l’auxilium, era il servizio militare e con il passare del tempo poteva essere sostituita dal
pagamento di scutagium, ossia una somma di denaro. All’interno dell’auxilium, vi era anche la previsione di
alcune situazioni in cui vassallo doveva agare somma di denaro al signore (quando figlio primogenito del
signore diviene cavaliere (per comprare armatura ecc); la figlia primogenita del signore si sposa (per la dote);
il signore diviene prigioniero in guerra (per riscatto); vi era poi clausola generale in cui i contributi erano
previsti nei casi in cui il signore si fosse trovato in situazione di necessità (guerre, calamità naturali).
- per il signore: protezione e mantenimento. Quest’ultimo avveniva in due modi: “vassi casati”, se con la
terra”; oppure accoglierlo nella propria casa “vassi non casati”. Il sistema classico è il primo.

Lezione 7

Possiamo individuare delle tappe della storia del feudo:


• la prima è quella delle origini del feudo, in cui elementi già esistenti confluiscono insieme (personale ecc.)
e vedono protagonisti personaggi di rango elevato
• il secondo periodo (fine IX sec - prima metà XI sec) in cui presero forma alcuni elementi che danno le
fattezze definitive all’istituto feudale, viene fissato il vocabolario feudale.
Tema dell’ereditarietà dei feudi l’evoluzione del tempo portò verso una stabilizzazione del feudo nelle
mani di una stessa famiglia.
Il Capitolare di Quierzy, non è corretto parlare di ereditarietà perché non vi è passaggio automatico: se
il conte muore, quale sarà destino delle terre a lui affidate in feudo? Si crea un’amministrazione
temporanea fino a che la notizia giunge all’imperatore. Il sovrano si impegna di istaurare con figlio del
defunto lo stesso rapporto con il padre. Però non si parla di ereditarietà perché non è automatismo
(“nessuno si irriti se affideremo la medesima contea a un altro, che a noi piaccia”).

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Una vera ereditarietà si avrà nel 1037 con l’ “Edictum de beneficiis” (“Constitutio de Feudiis”, vedi
moodle), non in Francia ma in Italia, dove l’imperatore è Corrado II che scende in Italia, che emana un
editto rispondendo alle richieste dei milites. I milites sono milizie cittadine che prestavano i loro servizi
militari. Nelle fonti, emerge che questi venivano spesso ingaggiati da vescovi e conti in cambio di doni.
Si cominciò a delineare nel feudo quasi un nesso contrattuale tra le prestazioni e un’unione di
vassallaggio e benefici. Mentre all’inizio l’accento era posto più sull’elemento personale, qui vediamo
che l’accento è più sull’elemento patrimoniale (reale). Il feudo diventa un diritto reale (ius in re aliena).
Questo passaggio è fondamentale nella storia del feudo.

L’editto, contenuto: nessun signore poteva sottrare al vassallo (miles) la terra (beneficio), semmai lo
perdeva per propria colpa, ponendo in essere un comportamento dannoso verso il signore. Questa colpa
deve essere accertata in un giudizio di pari: corte feudale composta da soggetti di stesso rango
dell’imputato.
Alla morte del vassallo, gli succedono i figli o i nipoti o i fratelli (viene introdotta ereditarietà). Nessun
signore, inoltre, poteva cambiare il beneficio del vassallo senza il consenso di questo.
Si allenta il rapporto tra prestazione del beneficio e controprestazione del servizio militare: infatti può
essere privato del beneficio solo per sua colpa e non anche se non presta il servizio militare.

Questo editto viene inserito nel “Capitolare Italicum”. Proprio in Italia, in particolare Milano, si
cominciarono a fare raccolte delle consuetudini feudali.

Alcuni vedono con questo Editto, l’inizio di differenziazione tra feudo italiano e francese (feudo italiano la
patrimonialità; feudo francese rapporto personale. In realtà entrambi gli aspetti li ritroviamo sia nel primo
che nel secondo feudo.
L’ordinamento feudale non si diffonde in maniera uniforme: in Francia molto diffuso; meno diffuso in
Germania e Italia (laddove vi erano tradizioni giuridiche che riprendevano maggiormente il diritto romano).

• Accenno della differenza tra feudo e signoria fondiaria

La confusione in realtà nasce già nelle fonti giuridiche dell’età moderna (non nell’alto medioevo): la
terminologia feudale usata in senso improprio:
• Il termine ‘vassallo’ oltre ad indicare il signore che presta servizio; viene adoperato anche per indicare i
contadini. Si confondono così diritti feudali e diritti signorili.
• Nel ‘700, nell’ambito dell’illuminismo, si criticano tutti quei casi in cui vi erano soggetti liberi subordinati
ad altri soggetti liberi, es. si criticano le giurisdizioni signorili (signori che avevano la competenza di
giudicare anche penalmente nei confronti di altri soggetti liberi, ossia contadini che vivevano nelle loro
terre) e per criticarli si imputavano al feudalesimo le colpe della signoria
• Altri malintesi li troviamo negli storici influenzati dalle idee marxiste.

La signoria fondiaria nasce prima del feudo, sopravvive pure in parte al feudo e si diffonde in area più vasta.
Il feudalesimo è meno radicato nella terra rispetto alla signoria fondiaria. Perché allora molti li confondono?
Perché il signore che riceveva un feudo da parte del sovrano, lo utilizzava con il criterio della signoria
fondiaria (una parte la teneva per sè, e il resto la dava ai contadini).

• La signoria territoriale

Alla morte di Carlo Magno, il governo dell’impero così efficiente viene meno. L’impero viene diviso tra i figli
di CM in tre parti; poi sopravvengono lotte intestine e poi gli stessi tre regni finiscono per perdere l’importanza.
Alla disgregazione dell’impero carolingio seguono invasioni scandinave e ungheresi e in Europa meridionale
le invasioni saracene. I sovrani non son più in grado di garantire difesa dei sudditi.
Cominciano ad affermarsi unità istituzionali minori (ducati, in Germania; contee, in Francia). Emerge in questi
territori, tra fine IX sec e X sec, un altro istituto consuetudinario che è quello della signoria territoriale, per:
• difendere i confini dalle incursioni all’esterno;
• garantire la giustizia all’interno.
Si sviluppa il fenomeno dell’incastellamento: vengono costruiti villaggi fortificati e dove c’è castello c’è
signoria territoriale (non però il contrario, anche signori senza castello).

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Qual è differenza tra signore territoriale e signore fondiario?
Il signore territoriale è colui che ha i mezzi per garantire difesa all’interno e giustizia all’interno. La
ricchezza era data dalla terra il signore territoriale non poteva non essere uno dei maggiori signori fondiari
del territorio. Ma, il signore territoriale svolgeva la sua attività su un territorio più vasto rispetto a quello di cui
era proprietario. Mentre come signore fondiario esplicava poteri di banno soltanto su soggetti che abitano
sulle sue terre; come signore territoriale le sue funzioni si estendevano anche a soggetti che abitano al di
fuori delle sue terre.
La signoria territoriale si estende su molte terre che non competono economicamente al signore fondiario;
costruisce un dominio compatto facendo perno sui principali nuclei fondiari signorili, rinunciando al controllo
politico sui nuclei fondiari troppo decentrati.

Lezione 8

Il concetto di ‘signoria’ è legato, nella signoria fondiaria, alla proprietà di un bene immobile.
Anche il signore territoriale gode di poteri che però non solo legati alla proprietà de bene, ma legati alla
capacità del signore di fare fronte ad alcune esigenze (difesa, giustizia).

I poteri dei signori territoriali sono posseduti in piena proprietà (fanno parte del patrimonio) e come tali,
possono essere ceduti.
Quali sono questi poteri?
• iurisdictio: accezione più ampia di ‘giurisdizione’, perché non è soltanto amministrare giustizia ma anche
potere di fare le leggi. Nel caso dei signori (fondiario, territoriale e feudale) vuol dire potere di redimere
le controversie. Il signore la esercitava assistito da giudici esperti delle norme consuetudinarie.
L’estensione di questo potere poteva variare a seconda delle situazioni. In genere erano escluse le cause
penali maggiori.
• districtio: il c.d. potere di “banno”, ossia di comando. È il potere coercitivo che il signore aveva sui
residenti, ossia il potere di imporre tributi.

Qual è la fonte di questi poteri?


Nel feudo, la concessione della terra non era una compravendita, perché non c’era il prezzo né il passaggio
della proprietà (che rimane in capo al signore feudale). Che figura è quindi? Uno ius in re aliena, in cui c’è
contitolarità sullo stesso bene tra signore feudale e vassallo. Si può semmai paragonare all’usufrutto, ma
comunque non adatta perché il beneficio feudale non si riesce a inserire bene tra le categorie dei diritti reali. Il
vassallo riceveva il beneficio. Su questa terra, il vassallo poteva godere tutti i diritti di godimento ecc., però il
vassallo poteva anche esercitare dei poteri che il diritto romano faceva rientrare nella sfera di quei poteri
destinati agli organi pubblici (poteri non solo privatistici ma anche pubblicistici). I destinatari di questi poteri
del vassallo non erano le cose, ma i residenti.
L’interpretazione tradizionale è stata quella di considerare questi poteri come frutto di una delega fatta
dall’alto, dallo Stato. Nei confronti dei residenti, esercita gli stessi poteri del signore fondiario. Quindi la
titolarità dei poteri non opera in virtù di una delega, ma semplicemente per la titolarità della terra. Ecco
perché la visione piramidale (vassalli- valvassori- valvassini) è stata superata. Nell’ ‘800 in un periodo di
concezione dello Stato che deteneva il monopolio dei poteri pubblici, si parlò di superamento del
“particolarismo giuridico”. In quell’ottica si è cercato di leggere secondo categorie in voga anche il passato,
ritenendo che i poteri pubblici dovevano derivare dall’alto. Invece adesso la storiografia riconosce che non
c’era alcuna delega di poteri dall’altro; che la titolarità di questi poteri era legata al possesso della terra (che
poteva essere proprietà ma non necessariamente).

Tra X e XII secolo si assiste a riemersione in vari settori del diritto romano.

Ad un certo punto si evolvono situazioni economiche e sociali, per cui quel diritto romano messo da parte,
ritorna. In Italia la fonte principale del diritto rimane la consuetudine in forma orale ma anche in forma scritta.
Anche per il diritto romano la fonte prevalente era la consuetudine.

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Si evolve in questi secoli il diritto romano. Nei testi o negli atti giuridici si trova a volte il riferimento generico
“lex romana”, per rivolgersi generalmente alla tradizione giuridica romana.
Ambito processuale
Mentre in oriente rimangono scuole di diritto, in Occidente questo non avviene. Questo non vuol dire che non
siano rimasti soggetti operatori di diritto (es. giudici) si ricorreva alle persone anziane, o a testimoni.
Il termine “placitum” (es. Placito di Marturi, veditelo bene, il giudice decide una controversia sulla base di
un passo di Ulpiano contenuto nel Digesto, quindi sulla base del diritto romano; oppure Placito di Garfagnolo)
indicava sia il processo decisionale sia il documento che lo attestava.
La presenza eventuale del re, ci fa vedere che ancora in questa fase (X-XI sec) non c’erano diversi gradi di
giudizio, ma il re giudicava occasionalmente senza che ci fosse gerarchia.
Mentre per la popolazione germanica si continuano ad utilizzare il duello e l’ordalia ed eventualmente il
processo. Per la popolazione romana si tendeva ad utilizzare prove diverse: es. testimonianza, confessione e
documento negoziale.

A redigere i documenti vi erano due categorie:


- o ecclesiastici; che redigevano dei documenti negoziali
- o notai; l’autorità che dava al documento derivava dalla sapienza tecnica dello stesso e non dal fatto di essere
un pubblico ufficiale.
Il documento, nel processo, poteva essere messo in discussione da una testimonianza o addirittura da un duello;
quindi utilizzato come le altre prove (non ha particolare forza).

Nel regno italico vi erano soggetti esperti di diritto. Presso il palazzo regio di Pavia, vi era corte era composta
anche da notai e potevano dare ai documenti una pubblica fides.
Questo ha fatto pensare all’esistenza di una scuola di diritto. È una cultura giuridica non contenuta in libri, ma
in documenti.
Mentre nel periodo longobardo, i documenti che ci sono rimasti non presentano formule; verso la fine X secolo
(e soprattutto XI) questa situazione cambia perché in molte parti del regno Italico, i notai, nel redigere i
documenti cominciano a usare formule tratte dal diritto romano. Vediamo emergere il diritto romano nei
documenti redatti dai notai.

Novità importante per due aspetti:


• si utilizzano i formulari;
• emerge la necessità di ordinare e normalizzare i negozi giuridici, quindi si utilizzano gli schemi formulari
romani, ma in questi vengono inserite le consuetudini locali. Si utilizza cioè il diritto romano per
inquadrare le consuetudini.
La “glossa” è un’annotazione che veniva fatta al testo. Primo accenno di un commento sulle singole parti della
compilazione giustinianea. Questo genere avrà grandissima importanza. La prima scuola di giuristi medievale
del 12 sec. prenderà il nome di scuola dei glossatori.

Accanto al diritto romano, vi è lavoro anche sul diritto longobardo-franco:


- il Liber legis Langobardorum (noto con il nome di liber Papiensis, cioè libro di Pavia), una raccolta di
legislazione longobarda-franca vigente per le regioni del regno italico. Nel Liber Papiensis le norme sono
poste in ordine cronologico. Su quest’opera venne fatto un lavoro di esegesi con la “Expositio ad librum
Papiensem” (spiegazione al libro di Pavia) riferendosi a giuristi antichi e moderni, non per aspetto
generazionale ma di attitudine di interpretazione del diritto. Ecco perché si pensò che a Pavia vi fosse una
scuola del diritto (vari indizi ma non prove effettive). Inoltre, da questa Expositio emerge la circostanza che i
giuristi longobardi conoscevano il diritto romano, vi sono infatti riferimenti al Digesto, al Codex alle Novelle
e alle Istituzioni (il diritto romano veniva utilizzato per interpretare il diritto longobardo). Si comincia a
intravedere il fenomeno del concetto di diritto romano come “diritto comune” a tutte le popolazioni,
indipendentemente dal territorio, con ruolo sussidiario di integrazione.
- Lombarda, il materiale è lo stesso ma le norme sono in ordine sistematico.

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Lezione 9

Placito di Marturi e di Garfagnolo. Il processo avviene davanti a un ‘missus’ della contessa Beatrice.
Pepo era un nome evocativo: delle fonti indicano in un certo Pepo colui che a Bologna iniziò ad insegnare un
certo diritto.

Il monastero produce una cartula, ossia un documento negoziale dal quale risultava che quei beni erano stati
concessi al Monastero.
Sigizio obietta che era passato il termine di prescrizione. Secondo il monastero la prescrizione si era interrotta,
perché il monastero aveva fatto ricorso più volte. Nella slide c’è richiamo al Digesto, anche se in modo
generico.
Questo è un caso molto noto e anche importante per la riemersione del Digesto.

Abbiamo però altri esempi, in cui vediamo che non era così comune ricorrere al diritto romano.
Vediamo ora il “Placito di Garfagnolo” (1098)
Gli uomini delle valli andarono dalla contessa Matilde (di Canossa) e dissero di essere stati ingiustamente
spogliati. Perciò la contessa Matilde investì della questione Bono, giudice di Nonantola, e lo stesso Ubaldo,
perché ricercassero la verità e avvertissero entrambe le parti perché fossero pronti al duello.
Radunate le parti i giudici, l’abate mostrò i provvedimenti regi che rendevano nota l’appartenenza delle terre
alla chiesa e mostrarono la legge del serenissimo imperatore Giustiniano. Qui, si deve decidere sulla base
delle prove presentate e la prova imposta alle parti è quella del duello. Pur di non adoperare il duello, rinuncia
alle proprie pretese.
Inizia il duello che poi si trasforma in una rissa e entrambe le parti dichiarano di aver riportato la vittoria.
Tant’è che lo stesso giudice che aveva richiesto il duello dichiara che l’esito della lite rimaneva dubbio. Il
giudice non è così in grado di emettere una sentenza.

Vediamo la differenza tra i due processi, in questo secondo siamo ancora nell’applicazione del diritto
germanico (duello) che prevale sugli altri tipi di prove.

• La riforma della Chiesa (Riforma gregoriana)

Le fonti del diritto canonico erano da un lato le norme approvate nei concili (‘canoni’); dall’altro, le norme
emanate dai pontefici (riguardante soltanto la Chiesa di Roma), con il nome di decretali.
Poi vengono fatti anche altri tipi di testi canonistici, per esempio, uno interessante è quello chiamato liber
diurnus pontificalis: è un formulario che raccoglie tutti gli schemi degli atti redatti dalla cancelleria pontificia.
Per quanto riguarda il diritto ‘penale’ canonico: nell’alto medioevo si diffondono anche i libri penitentiales
(elenco dei peccati con le relative penitenze). A partire dal IX sec. si diffondono altri tipi di collezioni
canoniche, con una caratteristica: quella di non riunire soltanto materiale autentico, ma anche testi falsi
costruiti appositamente c.d. “falsificazioni franche”: i capitolari di Benedetto Levita; le decretali pseudo
isidoriane. L’obiettivo delle decretali pseudo isidoriane è quello di sostenere il primato del papa di Roma
rispetto alle altre cariche ecclesiastiche diffuse sul territorio. Questo testo conteneva la c.d. Donazione di
Costantino (Constituto costantinii). Anche questo era un testo falso. Secondo il testo, Costantino avrebbe
traslocato in Oriente e poi avrebbe donato al papa un territorio molto ampio e concesso al papa un utilizzo
delle insegne imperiali. Documento totalmente falso che ebbe tuttavia circolazione notevole. Ne sono rimasti
tanti manoscritti.

Un’altra collezione canonica è la “Collectio Anselmo dedicata”, dedicata al vescovo di Milano Anselmo,
composta verso fine 9 sec. e inizio 10. Questa contiene anche testi romani di diritto giustinianeo.
Un’altra ancora “Liber de synodalibus causis” di Reginone di Prum.
Reazione all’interno della Chiesa avviene dagli ambienti dei monasteri, in particolare quello di Cluny
Riforma di Cluny.
Questo movimento di riforma si estese anche all’XI sec. anche a di fuori dei monasteri e pervadono tutta la
Chiesa. Le ingerenze che la chiesa subiva non erano solo quelle dei signori laici (fondiari e territoriali) ma
anche imperiali.

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La Chiesa inizia un percorso di riforma allo scopo di liberarsi di questa situazione di inclusione all’interno
dell’ordinamento imperiale. Tutto questo movimento (dell’XI secolo) prende il nome di “lotta delle
investiture”: il problema di fondo era la potestà di concedere l’investitura del beneficio ecclesiastico a colui
che era titolare della dignità ecclesiastica, potestà invece reclamata dagli imperatori.
Nel 1508 il Papa Nicolò II, decide di modificare le modalità con cui si procedeva all’elezione del pontefice:
viene cancellata l’azione diretta della nobiltà romana e viene affidata la scelta del pontefice ai vescovi
cardinali.
Per la prima volta questa modalità di scelta del papa viene modificata.
La conseguenza di questa riforma si riflette sul diritto canonico: il proliferare di nuove collezioni normative:
1. Il Decreto di Bucardo (vescovo di Worms) composto di 20 libri che trattano:
- la gerarchia;
- i beni ecclesiastici;
- i sacramenti;
- i peccati;
- i sovrani e le alte sfere del potere temporale.

Dalla metà del secolo XI (Collezione in 74 titoli e Collezione di Anselmo da Lucca), altre collezioni canoniche
con alcuni elementi in comune:
1. L’esaltazione del potere del papa;
2. I beni della chiesa debbano essere esenti da ingerenti laici
3. Il ripudio del duello e delle ordalie
4. Vengono definiti i sacramenti
5. Si comincia a parlare della legittimità della guerra

- Collezione in 74 titoli: la prima raccolta canonica italiana dell’XI secolo.

- il Dicatus papae: è testo contenuto in un foglio intercalato tra le lettre del 3 e 4 marzo 1075 nel registro di
papa Gregorio VII. Quest’ultimo era salito al potere nel 1073. È composto di 27 proposizioni: si pensò a titoli
di collezione canonica.
L’obiettivo del testo è affermare il primato della Chiesa e del Papa, ponendo l’imperatore in una posizione
subordinata.
Alcune di queste proposizioni 2. “il pontefice romano sia l’unico ad essere chiamato di diritto universale”; 4.
“in qualunque concilio, il suo legato (inviato del papa), anche di rango inferiore, ha autorità superiore a quella
dei vescovi”; 12. “A lui è permesso deporre gli imperatori”; 27. “egli può sciogliere dal giuramento di fedeltà
i sudditi nei confronti dell’imperatore”.
Con questo documento, abbiamo l’affermazione più forte della potestà del papa. Il periodo più duro della lotta
delle investiture.
Nel 1076 Gregorio VII scomunica Enrico IV l’imperatore.

- Questa ideologia la ritroviamo nella Collezione di Anselmo da Lucca. In maniera più chiara viene presentato
il programma politico di Gregorio VII.
In questo testo troviamo riferimento a due Novelle (compilazione giustinanea) prese dall’Authenticum (e non
prese dall’epitome Iuliani).

Il Digesto viene utilizzato da Ivo di Chartres (vescovo francese nato a Chartres) al quale sono attribuite tre
collezioni:
1. Decretum,
2. Panormia (è l’unica attribuzione sicura)
3. Tripartita.

È stato messo in dubbio. Quella che certamente a lui attribuibile è la Panormia. Le sue collezioni riprendono i
temi della riforma ma in maniera più pacata (il momento dello scontro più duro era passato) viene utilizzato
molto il decreto di Burcardo di Worms, vengono ridimensionate le tesi assolutistiche di Gregorio (es potere
del legato papale), si riconosce anche l’efficacia normativa delle norme emanate da principi laici in materia
ecclesiastica (purché non siano contrarie al dettato dei canoni).

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Importante: nelle collezioni di Ivo vi è un grande utilizzo del diritto romano e in particolare del Digesto egli
infatti aveva soggiornato a Roma nel XI secolo.
Altro testo composto a Roma è il Policarpo (inizi del XII secolo): ha più una coloritura teologica che giuridica,
ma è importante per l’utilizzo del diritto romano (vi sono riferimenti a tutte le componenti della composizione
giustinianea).
Anche nella Chiesa c’erano posizioni diverse Collezione di Farfa: rappresenta una sorta di resistenza perché
non utilizza i decretali dei papi riformatori, non parla di simonia Farfa era un’abbazia filoimperiale.
Collectio britannica: (così definita poiché è attualmente conservata presso il British Museum) composta a
Roma durante il pontificato di Urbano II contiene 93 frammenti del Digesto su materie che interessavano la
Chiesa, sono citati correttamente e non in maniera vaga.
Grazie ad essa, sappiamo con certezza che negli archivi romani durante il pontificato di Gregorio VII e dei
suoi successori venne fuori almeno la prima parte del Digesto (i frammenti appartengono ai primi 24 libri).
Questi frammenti hanno particolare valenza filologica: sappiamo che la Littera pisana fosse l’unico archetipo
esistente del Digesto, in realtà studiando questi frammenti risulta che ci fu un altro esemplare del Digesto e si
è ipotizzato che sia stato quello citato da Gregorio Magno del 603.

Lezione 10

Assistiamo al passaggio dall’alto al basso medioevo.


Rinascita degli studi giuridici, riguardante un po' tutti i campi. Vi è anche una ripresa culturale più generale.
Il XXII secolo rappresenta infatti una svolta, in particolare per gli studi di diritto.
Perché questo?
Finora si è detto che buona parte del diritto giustinianeo sia stato poi messo da parte perché troppo complicato
per una società che era basata su economica chiusa.
Quelle parti della compilazione troppo sofisticate vengono ora ritirate fuori perché regolano alcuni istituti:
necessità di regolare nuovi rapporti tra cittadini, regolare contratti e obbligazioni che esulano dalle
concessioni fondiarie. Separazione tra diritto pubblico e diritto privato.
Fino al XXII sec. il diritto non era materia a sè stante. Vi erano a Costantinopoli e Beirut scuole di diritto, in
Oriente no. L’insegnamento superiore era monopolio della Chiesa, presso i monasteri nelle aree rurali, e nelle
città presso le chiese cattedrali (sedi vescovili) e si basava sulle arti liberali:
• trivium: grammatica, retorica e dialettica
• quadrivium: aritmetica, geometria, astronomia e musica.
(distinzione derivante da Marziano Capella che aveva scritto opera di racconto mitologico in cui si parlava di
7 ancelle del dio apollo: le arti liberali)
Il Capitolare Olonese ci dà una prima prova di scuole ufficiali che insegnavano arti liberali.

Ci sono state scuole di diritto prima di quella di Bologna? Secondo alcuni solo insegnamenti privati a Roma e
a Ravenna.
Tutte queste ipotesi si basano su un testo di Odofredo Denari, professore di Bologna del XIII sec. che
raccontava ai suoi studenti delle storie relative alla scuola di Bologna, tra aneddoti e vicende realmente reali.
Primo brano: “studium” è termine riferito alle università. Lo studio fu prima a Roma e poi per guerre nelle
Marche fu distrutto e portato a Ravenna (Pentapoli: Ravenna fino ad Ancora) poi dopo la morte di Carlo fu
trasferito a Bologna e furono portati anche i libri: il Codice di Giustiniano, il Digesto (indicato con sigla ff.)
vecchio e nuovo e le Istituzioni. Poi fu trovato l’inforziato (un’altra parte del Digesto); poi i Tre libri (rivedi
codice di Giustiniano) con materie legate alla burocrazia bizantina; e per ultimo l’Autenticum (l’ultimo libro
della compilazione giustinianea, ossia le Novelle). Questi libri sono arrivati separatamente.
notizie: esistenza di insegnamenti a Roma e Ravenna; e che insegnamento è legato a compilazione di
Giustiniano.

Secondo brano: il primo che insegnò in questa città il diritto, dandogli lustro, è stato Dominus (termine che
in questo caso identifica il maestro) Irnerio. Lui prima insegnava le arti liberali, era professore di arti liberali.
Prima di lui, c’era un Pepo che però non ha lasciato fama. Irnerio, invece, ebbe grande fama e fu il primo che
fece glosse ai nostri libri.

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notizie:
- presenza di Pepo e la sua esistenza come insegnante. Nel Placito di Marturi si parlava di “Pepo legis doctor”
ma non sappiamo se è lo stesso di Bologna. Abbiamo diversi personaggi di nome Pepo ma è probabile che
siano la stessa figura. In realtà si pensa che questo Pepo sia un ecclesiastico.
- noi sappiamo molto poco della vita di Irnerio. Cominciò a studiare il contenuto dei testi giustinianei e di
trasmettere l’opera a discepoli. Come affronta questi testi?
In un altro testo di Burchardo di Biberach che diceva che il nome Irnerio derivava dal tedesco Wernerius
(non certo, però perché Irnerio stesso si definisce di Bologna). È importante sapere il nome perché le sigle dei
giuristi erano utilizzate per firmare le glosse. Nel testo Burchardo dice che Irnerio rinnovò i libri della legge
compilati da Giustiniano su richiesta della contessa Matilde di Canossa (la figlia di Beatrice presente nel
Placito di Marturi) inserendo in alcuni punti delle parole. Dal testo sembra emergere una richiesta di intervento
di tipo filologico.

Il risultato della sua opera filologica I Libri legales di Irnerio (=ossia il Corpus Iuris civilis riordinato da
Irnerio e dai suoi studenti in forma diversa):
1. Digestum vetus (libri 1-24)
2. Infortiatum (libri 25-38)
3. Digestum novum (libri 39-50)
4. Codex (libri 1-9)
5. Volumen:
- Institutiones
- Tres libri Codicis (libri 10-12)
- Authenticum (9 collationes)
- Libri feudorum (decima collatio).

Irnerio non si fidava della traduzione dell’Authenticum, non lo riteneva affidabile. Quindi non era stato
accolto nei libri legales, all’inizio. Però comunque era una raccolta normativa giustinianea vigente. Quindi
Irnerio prende delle parti dell’Autentichum, e le appone nel testo del codice. Queste apposizioni di Irnerio
all’interno del Codice—vennero chiamate “autenticae”. Poi in una fase successiva venne inserito nel Volumen
e quindi all’interno dei libri legales.

- Irnerio ebbe contatti con l’ambiente notarile.


- Irnerio non fu autore di un formulario come si dice, ma di certo lo fu della formula dell’ “enfiteusi”.
- Dal 1116 fu giudice, nel 1118 Enrico V manda Irnerio a Roma.
- è stato poi scomunicato
- lo ritroviamo nel 1125 in un arbitrato, dopodichè non ne abbiamo più notizie.

Quali opere ci sono rimaste di Irnerio? Di lui non abbiamo nessuna opera se non delle glosse che sono sue
sicuramente, perché portano la sua sigla.
- causidicus
- iudex
- legum doctor

Lezione 11

I libri legales prendono in questo periodo la nominazione di “Corpus Iuris Civilis” (perché lo vedono come
un’opera completa organica e sua interna coerenza e dotata di particolare auctoritas). Si utilizza un genere
letterario che è quello della glossa. La scuola di giuristi che inizia con Irnerio prende il nome di “Scuola dei
glossatori”. L’insegnamento di Irnerio, pur nascendo da iniziativa privata, ebbe così tanta fama da far
diventare Bologna il centro degli studi giuridici e la sede della prima Università.
L’oggetto dello studio dei giuristi della Scuola dei glossatori fu quasi completamente la Compilazione
Giustinianea.

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Per i giuristi del XXII sec. la compilazione giustinianea non era un monumento storico, era un testo normativo
immediatamente vigente, e considerato oltre che vigente, organico.
In realtà al di là delle apparenze non era organico, perché presentava al suo interno delle antinomie.
I glossatori si rendono conto della presenza di antinomie e devono sviluppare tecniche esegetiche per poter
continuare ad utilizzare il Corpus come testo normativo. Queste tecniche esegetiche sono tipiche della cultura
medievale:
• a cominciare dal genere letterario della GLOSSA, non è creata da questi giuristi, ma forma letteraria già
utilizzata per studiare anche testi non giuridici, come quelli Biblici.
La glossa era una forma di spiegazione del testo realizzata con una annotazione al testo studiato, è una
nota esplicativa che chiarisce o singola parola o intero passo. Il fine della glossa era quello di dare
spiegazione linguistica o grammaticale. La glossa è interlineare o marginale.
Il testo delle glosse è sempre legato alla parte del Corpus cui si riferisce, questo anche quando poi con
l’invenzione della stampa verranno stampate a partire dal 1468.
(Vediamo la slide di un manoscritto del sec. XIV (1300) che contiene le Institutiones, in cui, anche se in
una fase molto più evoluta di quelle iniziali, vediamo un esempio di glossa. Il testo viene scritto in due
colonne al centro del foglio e accanto vengono apposte delle lettere di richiamo ‘reclamatio’ messe
accanto al testo).
Evoluzione:
1. Prima di arrivare a questa evoluta fase, si partiva inizialmente da glossa intesa come chiarimento
grammaticale.
2. Successivamente, nella glossa vennero elencate anche le fonti, citando i passi simili (similia) o contrari
a quel testo (glossa contraria).
3. Si diffuse poi un altro tipo di glossa, quella di tipo interpretativo. Si traduce in una trasformazione
grafica: non basta più l’interlinea, ci vuole uno spazio più ampio e per questo si passa alla glossa
‘marginale’, che però è sempre posta accanto al testo. Lo scopo non è più spiegare parole, ma quello
di descrivere il contenuto normativo del testo giustinianeo.
4. Si passa poi dalle singole glosse, alle composizioni di glosse. Infatti, questi testi passavano di mano in
mano, e tutti mettevano le proprie annotazioni su uno stesso manoscritto. Le glosse si vanno
accumulando sui singoli fogli: glosse di più giuristi anche appartenenti a generazioni distinte. Questo
fatto fa sì che il manoscritto venga copiato non solo il testo giustinianeo ma anche le annotazioni che
si sono accumulate. Si crea una “stratificazione” di glosse sui singoli manoscritti, che talvolta è
accidentale e casuale. Dalle composizioni di glosse casuali, si formano invece “apparati di glosse”, in
cui il numero e l’ordine delle glosse è previsto in maniera rigorosa e trascritto da un manoscritto
all’altro.
NB: Nonostante l’evoluzione, la glossa è sempre legata al testo del Corpus cui si riferisce, grande differenza
con la scuola successiva dei commentatori.

Dai diversi tipi di glosse che abbiamo visto, nascono generi letterari autonomi rispetto alle glosse:
• Le SUMMAE: si cominciano a mettere insieme tutte le parti del Corpus con contenuto affine. Queste
raccolte si chiamano summule, diminutivo di summe, sono formalmente glosse ma più autonome rispetto
al testo. Segnano il passaggio dalla glossa alla summa. Le troviamo a partire dalla metà del XII sec. e
prescindono completamente dal testo legale.
Danno interpretazione sistematica del contenuto di Codice o le Institutiones, il Digesto era troppo
complicato. Sono il primo segno di crisi della glossa. Questo genere letterario lo troviamo diffuso, ma
NON a Bologna.
• Le QUAESTIONES . La questio nasce dall’abitudine dei glossatori di accostare passi del Corpus Iuris
tra loro contradditori. Questo tipo di glossa, le solutiones contrariorum, conserva l’aspetto esteriore della
glossa, ma dal punto di vista del contenuto mette insieme fonti contrarie e cerca di darne una soluzione,
quindi supera lo stretto riferirsi al testo

1. Queste quaestiones erano dette legitimae perchè il problema nasceva dalla legge (Corpus iuris).
Alle opinioni, pro e contra, il giurista aggiungeva la solutio, per mostrare agli studenti come conciliare
l’aporia contenuta nel sistema.

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2. Questo genere si sviluppò nella Scuola: il maestro presentava un caso e chiedeva agli studenti di trovare
una soluzione (fuori orario scolastico di regola il sabato). Non erano quaestiones legittime ma disputate o
de facto, partivano da un fatto concreto e non dalla legge.
3. Il passo successivo fu quello di trarre la quaestio dalla realtà, casi realmente avvenuti quaestiones ex
facto emergente.

I glossatori utilizzarono, oltre alla glossa, altre forme (la summa e la quaestio) che partono dall’elaborazione
delle glosse ma si svincolano completamente dal testo giustinianeo.

A Bologna Irnerio comincia ad insegnare diritto, però nel corso del secolo, centro di insegnamenti di Diritto
si svilupparono anche fuori da Bologna si parla di c.d. “SCUOLE MINORI”, in realtà minori non è inteso
in senso qualitativo, ma è in rapporto a Bologna che è stata vista dalla storiografia per lungo tempo come unico
luogo di insegnamento del diritto.
• Questi centri erano in Italia settentrionale e in Francia meridionale (Provenza).
• Scuole di diritto si diffusero poi anche in Inghilterra. Un glossatore, Vacario, si traferì in Inghilterra,
insegnò ad Oxford il diritto romano e scrisse un’opera che era un’antologia di brani presi dal Digesto e dal
Codice, detto “Liber pauperum” (libro dei poveri, scritto per gli studenti poveri di diritto romano a
Oxford detti poi pauperiste.
• Queste scuole extrabolognesi avevano in comune (1) legami con le scuole di arti liberali e il fatto di
mostrare una (2) maggiore attenzione per la pratica, e quindi una maggiore attenzione al processo. La
chiesa era contraria al processo germanico (duello, giuramento, compositiones) quindi il fatto di riprendere
il diritto romano anche da un punto di vista processuale aveva un significato anche in questo senso. Legata
all’attenzione alla pratica vi fu attenzione ad un altro diritto, il diritto feudale. Venne studiato fino alla
fine del XII sec.
• Attenzione alla pratica la mostrò Pillio Da Medicina che insegnò in un altro centro importantissimo,
Modena. Prima insegnava a Bologna, poi il comune di Modena aveva cercato di attrarlo lì, il comune di
Bologna aveva cercato di bloccare questo esodo, ma non riuscì. Pillio, tra i maestri italiani, è uno di quelli
che utilizza ampiamente la forma delle quaestiones, perché vuole portare avanti una riforma della didattica
(non serve imparare a memoria il Corpus, lo studio deve basarsi più sul ragionamento). Scrive un “libellus
disputatorius”, successivamente editata per la Scuola e per gli studenti, utilizzando il metodo dei brocardi
(confronto tesi pro e contra).

Lezione 12

Pillio è il primo a scrivere un apparato di glosse e una summa ai libri feudorum. Il diritto feudale era formato
da insieme di consuetudini feudali accumulate nel tempo, cui si erano aggiunti editti imperiali.
Pillio affronta i libri feudorum, contenenti queste consuetudini, con gli stessi strumenti utilizzati per il Corpus
Iuris Civilis: la summa e la glossa.
Il diritto feudale viene quindi attratto nella sfera del diritto romano.

I libri feudorum, raccolgono le consuetudine feudali:


• un primo nucleo è costituito da due lettere scritte da Oberto dall’Orto, giudice milanese, in risposta al
figlio Anselmo che studiava diritto a Bologna (non si sa se vero) e si stupiva che il diritto feudale venisse
ignorato per questo nelle lettere inseriva delle consuetudini feudali. Si parla di “redazione obertina” (o
“redazione antica” che tuttavia contiene anche scritti di altri giudici.
• a queste consuetudini si aggiunsero le costituzioni di Federico Barbarossa, le sue norme furono
paragonate alle costituzioni imperiali contenute nel Corpus.
• Seguì una redazione ardizzoniana (si dice da Jacopo d’Ardizzone ma in realtà ipotesi errata)
• Di questi libri feudorum venne fatta un’ultima redazione, redazione accursiana o vulgata (a proposito
del Digesto e a proposito dei libri feudorum). Questa redazione viene inserita da Ugolino De Presbiteri
come ultima parte delle novelle giustinianee, come decima collatio, al termine dell’Authenticum.

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Svolta: consuetudini feudali (non più oggetto di studio longobardistico) ma entrano nell’orbita del diritto
romano.

Vediamo un aspetto che non è sul Caravale: esempio di come i giuristi medievali utilizzarono il diritto
romano anche per regolare realtà diversa

A Pillio si deve la distinzione nell’ambito della proprietà tra dominio diretto e dominio utile. Oggi parliamo
di diritti reali su cosa altrui, che però non era presente nel diritto romano. La categoria ‘iuria in re aliena’ viene
elaborata da giuristi francesi e poi utilizzata a partire dal 700. Fino a quel momento, però, si utilizzava
distinzione di Pillio tra dominio diretto e dominio utile, che ritroviamo nei libri feudorum.
Nella redazione obertina, si parlava di un vassallo che aveva ricevuto una terra in beneficio e Oberto dice che
questo vassallo poteva esperire la rei vindicatio, in realtà nel diritto romano questa azione era attribuita al
proprietario per recuperare un bene che gli fosse stato sottratto: la terminologia di Oberto è imprecisa perché
colui che riceveva il beneficio (vassallo) non era proprietario.
Partendo da questo testo di Oberto, Pillio, che conosceva meglio i testi giustinianei, parte da questo punto per
utilizzare un procedimento analogico (prevede che possano esperirsi azioni anche in situazioni in cui queste
non erano previste: utilizza l’es. della actio legis aquiliae che tutelava chi aveva subito un danno materiale
ai propri beni, poteva però esserci anche il caso di danneggiamento subito ma non fisicamente, ad es. bestiame
che muore perché lasciato senza cibo. Allora il pretore aveva creato un’azione a somiglianza della prima che
era definita actio legis aquiliae utilis : non era giusto lasciare senza tutela quei casi di danno non materiale
che non rientravano nell’actio legis aquiliae.

Pillio dice che ci sono casi del diritto romano in cui un’azione si può estendere anche a situazioni
originariamente non previste.
Allo stesso modo, vi sono delle concessioni di bene che sono talmente ampie che meritano una tutela, anche
eventualmente tramite una fictio: nel caso del feudo, si finge che il vassallo sia un proprietario, gli si dà la
possibilità di esperire un’azione di rei vindicatio, definita perciò “utile”.

PILLIO “Teoria del dominio diviso”


Ci sono due soggetti che possono entrambi esperire la rei vindicatio, riservata dal diritto romano al
proprietario:
- un dominus diretto il signore feudale;
- un dominus utile il vassallo.
(In termini moderni, è come se il dominio diretto fosse la nuda proprietà)

Pillio utilizza da un lato il diritto giustinianeo per regolare il feudo, istituto sconosciuto al diritto romano;
dall’altro i libri feudorum e da quanto scritto da Oberto (con terminologia imprecisa).

Fuori da Bologna, la scuola di diritto conobbe delle novità sia nei generi utilizzati sia nella didattica che
soltanto agli inizi del XIII sec. furono portate a Bologna.
A Bologna si continuò ad utilizzare la glossa, utile inizialmente alle esigenze del giurista, ora stava stretto alle
nuove esigenze.
Si arrivò ad una operazione finale di riordino e selezione delle glosse che portò alla Magna Glossa o Glossa
Ordinaria. Il giurista si chiama Accursio, il quale raccogliendo il meglio della tradizione dei glossatori
bolognesi prepara questa Glossa ordinaria composta quasi da 97.000 glosse legate a tutte le parti della
Compilazione giustinianea e i Libri legales.
Questa glossa si aggancia ai libri legales: da questo momento in poi questi vengono dovunque accompagnati
dalla glossa accursiana.
Questa novità incise non solo sull’insegnamento del diritto, ma anche sulla pratica.
Quando verrà inventata la stampa, uno dei primi testi fu quello dei libri legales, perché aveva un suo mercato,
e ovviamente erano accompagnati dalla glossa di Accursio.

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• Nascita dell’Università

Ai professori di diritto veniva attribuito i titoli di domini ≠ dai magistri, titolo che invece era attribuito ai
professori di arti liberali. Gli studenti erano indicati come soci.
Nessun documento ci dice la nascita dell’università di Bologna, la data 1088 venne indicata da Carducci.
Sicuramente vi fu a Bologna, l’insegnamento del diritto di Irnerio. Era però un insegnamento privato.
Una prima fase dell’insegnamento è quindi totalmente privata. In questi anni si forma il Comune. C’era
convivenza tra Comune cittadino che si andava formando e l’insegnamento.

Federico Barbarossa chiese a due allievi di Irnerio, di precisare i diritti spettanti all’imperatore. Quindi
vediamo contatti diretti tra imperatore e maestri della scuola Bolognese .In quella occasione Federico
Barbarossa “Costituzione Habita” prevede dei privilegi per maestri e studenti delle scuole di diritto . Questa
costituzione venne inserita nell’Autentica del Corpus.
PRIVILEGI:
- gli studenti delle scuole di diritto erano sottratti alla giurisdizione ordinaria, e potevano essere giudicati dai
loro docenti.
- libertà di movimento su tutto il territorio dell’impero;
- liberati dal diritto di rappresaglia (che gravava sugli stranieri del comune)
La prima forma di organizzazione che si crea è quella degli studenti, si organizzano nelle universitates (il
termine indica infatti l’insieme degli studenti e non i corsi di studi).
Gli studenti tendevano a dividersi sulla base del luogo di provenienza, in nationes. Ognuna aveva un proprio
rector. Queste nationes erano divise tra 2 universitates:
- gli studenti ultramontani (al di là delle Alpi)
- gli studenti citramontani (studenti italiani divisi in 4 nationes:campani, toscani, lombardi, romani).

A partire dal 1219, in seguito a scontri tra Comune e studenti, Onorio III stabilì che a concedere il dottorato
(titolo finale) fosse a Bologna l’arcidiacono della Cattedrale.

Finora abbiamo parlato di università di scuole di diritto a Bologna, nata su iniziativa privata.
Un’altra importante università nasce su iniziativa del sovrano: l’Università di Napoli Federico II, costui nel
1224 scrive delle lettere in cui stabilisce l’organizzazione degli studi di diritti e gli inizi delle lezioni il 29
settembre. Nasce quindi come università pubblica.
Federico II chiama ad insegnare a Napoli professori provenienti principalmente da Bologna.
A Napoli si insegna comunque il diritto romano: infatti, pur essendo Federico II un re-legislatore, eppure
nell’università da lui fondata non è previsto insegnamento del diritto regio, ma solo del diritto romano.
Questo per 2 motivi:
- vitale importanza del diritto romano;
- nel diritto romano erano descritti i poteri del princeps, vi era definizione dei poteri pubblici spettanti al
sovrano e che Federico II voleva rivendicare.

Lezione 13

Nel testo delle slides, Burcardo, quasi facendo un parallelismo, introduce accanto al dominus Irnerio il
magister Graziano. Questo riunì canoni e decretali (due fonti principali del diritto della Chiesa umano) in
un’unica opera, aggiungendovi qui e lì autorità dei padri della Chiesa.
Già a partire dal VI sec. si erano fatte raccolte di diritto canonico, con grande fioritura poi nell’XI sec. in
concomitanza con la Riforma Gregoriana.
Ora siamo invece nel XII sec. in un periodo di grandi cambiamenti anche da punto di vista di insegnamento
del diritto. Un fenomeno importante come la rinascita degli studi ha come riscontro la rinascita
dell’insegnamento del diritto canonico, avviene proprio per merito di Graziano.
Pietro Abelardo scrive un’opera molto innovativa intitolata “Sic et non”, quasi scandalosa: cambia il modo
di approcciarsi alle Sacre Scritture, mettendo in evidenza le contraddizioni insite al loro interno, utilizzando
un metodo dialettico.

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Non sappiamo se graziano abbia conosciuto Abelardo, però fa un’operazione a lui simile: mette in evidenza le
contraddizioni interne al diritto canonico. Però il suo intento è quello di conciliare le differenze nell’opera
“Concordia discordantium canonum”, ben presto conosciuta prima con Decreta, poi Decretum.

Chi era Graziano:


Graziano era un monaco benedettino. Ipotizziamo che a Bologna abbia insegnato le arte liberali (ecco perché
magister, e non dominus). Insegnò diritto canonico. Una sola notizia certa risale al 1143, dove a Venezia nella
cattedrale si san marco ci fu una riunione in cui si chiese parere ai giuristi in tema di tasse (decime
ecclesiastiche) e a questo incontro furono chiamati Graziano, Gualfredo, Mosè.

L’opera Concordia discordantium canonum – Decretum


1. Prima parte divisa in 101 distinctiones, a loro volta divise in capitoli
2. Seconda parte divisa in 36 causae dedicate a temi vari (diritto penale, processuale, patrimonio
ecclesiastico, matrimonio) e divise in quaestiones e poi in capitoli ad ogni quaestio Graziano illustra le
sue soluzioni con i suoi dicta.
3. Terza parte suddivisa in sole 5 distinctiones (trattato sui sacramenti).

L’intento di Graziano è quello di risolvere le inevitabili contraddizioni presenti nel Corpus. Il Decretum ebbe
da subito un successo enorme, nonostante non sia opera di grandissimo livello. La storiografia tradizionale
dava a Graziano il merito di aver distinto la teologia dal diritto (costituendo prima raccolta dell’ordinamento
giuridico della chiesa): in realtà l’opera non è così innovatrice, intanto perché lui non parte da 0 prendendo il
materiale da raccolti precedenti; ma perché anche l’opera di Ivo di Chartres aveva preso in considerazione le
contraddizioni del diritto canonico.
La fama > valore della sua opera. Questo perché il Decretum divenne oggetto di studio, questo contribuì al
suo grande successo, diventando la base per la costruzione di un Corpus Iuris Canonici a somiglianza del
Corpus di Giustiniano.
Nonostante la fama, rimase sempre una raccolta privata e non ufficiale.

Come avvenne per Irnerio, anche l’insegnamento di Graziano diede origine a una scuola: la Scuola dei
Decretisti. Questi utilizzano le stesse tecniche esegetiche e stessi generi letterari dei Glossatori: la glossa e la
summa. Bisogna aspettare il 1216 per avere un apparato di glosse fatto da Giovanni Teutonico. I decretisti
utilizzano però maggiormente il genere della summa, c’è meno bisogno di usare le glosse perché il materiale
del Decretum è più vicino e comprensibile ai tempi di studio dei decretisti (a differenza di Corpus Iuris).

Il Decreto di Graziano ebbe grande successo ma conobbe anche rapido invecchiamento, perché la Chiesa
andava avanti. Soprattutto la legislazione pontificia conobbe un grande incremento (avvenimenti importanti:
1179 importante concilio Lateranense III in cui vennero prese decisioni importanti come quella di affidare
elezione del papa ai cardinali, non novità questo già nel 1958 con Nicolò II, però l’elezione era lì riservata solo
ai cardinali-vescovi, qui con Alessandro III, si estende a tutti i cardinali con necessario quorum di 2/3). Vi fu
poi incremento di decretali pontificie. Necessità di integrare il Decretum.
Vennero fatte così altre compilazioni, ne ricordiamo 5 definite “Quinque compilationes antiquae”:
contenevano decretali chiamati extravagantes, perché vagavano fuori dal Decreto di Graziano:
1. La Prima compilazione detta “Breviarium extravagantium” (1190-1191) redatta da Bernardo Balbi
da Pavia, professore a Bologna di diritto canonico.
Bernardo dà alla raccolta un ordine sistematico: iudex (organizzazione tribunali e autorità giudiziarie)
iudicium (processo)
clerus, (diritti e privilegi clero)
connubia, (matrimonio e diritto di famiglia)
crimen. (materie di diritto penale canonico)
2. La Terza compilazione antiqua ,è però la seconda in ordine cronologico, 1209. Fu voluta da papa
Innocenzo III e redatta da Pietro Collevaccino da Benevento, fu la prima collezione ufficiale del diritto
della Chiesa. Venne anche inviata alla Scuola di Bologna con una certezza di autenticità, era una forma
di pubblicazione del testo diversa dalla promulgazione, che serviva a garantire che il testo inviato era
conforme a quello contenuto nella cancelleria del papa.

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3. La Seconda compilazione antiqua, è chiamata seconda perché pur essendo la terza in ordine
cronologico, contiene decretali di pontefici predecessori di Innocenzo III. Redatta intorno al 1210-
1212. È una raccolta privata a cura di Giovanni di Galles, professore a Bologna.
4. La Compilatio quarta (intorno al 1216) raccolta da Giovanni Teutonico, autore della Glossa
‘ordinaria’ al Decreto di Graziano. Contiene 71 canoni del IV Concilio Lateranense, cui vengono
aggiunti altri 104 decretali dello stesso Innocenzo III (decretali letti all’interno del Concilio).
5. La Compilatio quinta (1224?) redatta da Tancredi, arcidiacono e rettore, ossia sorta di cancelliere,
dello studium di Bologna, su ordine di papa Onorio III. Raccoglie decretali dello stesso. Nel 1226 fu
inviata a studenti e maestri degli studia di Bologna e di Padova.

Tutto questo processo sfocia in un’ulteriore iniziativa, stavolta ufficiale, che porta alla redazione del
“Decretales Gregorii IX” o “Liber extravagantium” o “Liber Extra”.
Questo testo viene fatto su iniziativa del papa che incarica nel 1230 Raimondo de Penafort, domenicano
spagnolo e prof. Di diritto canonico. Contiene le decretali contenute nelle 5 compilationes antiquae (materiale
organizzato secondo lo schema visto prima iudex ecc.) e quello dello stesso Gregorio IX.

Promulgato da Gregorio IX con la bolla (=decretale) Rex Pacificus, vieta di ricorrere ad altre raccolte e di
redigerne senza l’autorizzazione della Chiesa efficacia esclusiva.

Il diritto romano nel Liber Extra non è dir.rom. giustinianeo, ma teodosiano, provenendo Raimondo dalla
Spagna dove si usava la lex romana visigotorum (regno visigoto-spagnolo) e il codice teodosiano era in essa
tramandato. In parte derivante anche dall’Epitome Iuliani.

Alla fine del secolo, su iniziativa di Bonifacio VIII, viene promulgato il Liber Sextus (3/3/1298) contenente
le decretali successive al Liber Extra. Il nome indica il fatto che segue le 5 precedenti, doveva essere
un’aggiunta.
Abroga le raccolte ufficiali intermedie (Innocenzo IV, Gregorio X, Niccolò III).
Contiene alla fine un titolo “de regulis iuris” a imitazione di quello che chiudeva il Digesto, la redazione venne
affidata non a un canonista ma ad un civilista Dino del Mugello (si dice insegnò a Roma).

Nel 1309 trasferimento sede papale, da Roma ad Avignone fino al 1378. I pontificati avignonesi sono più
moderati da un punto di vista politico.
Uno dei primi papi avignonesi è Clemente V, cura una propria raccolta di decretali, ma non fa in tempo a
promulgarla. Così il suo successore Giovanni XXII la pubblica, con il nome di “Clementine” è l’ultima
raccolta ufficiale di norme pontificie, cioè continua la legislazione ma non in raccolte.
Importante è la clementina Saepe che fissa le regole del processo sommario (più snello e breve).

Privatamente (quindi non ufficiali) raccolta di Giovanni XIII, “Extravagantes”.

Nel 1500 Giovanni Chappuis fece un CORPUS IURIS CANONICI, diviene il testo di riferimento ufficiale
della Chiesa, 6 libri:
1. Il Decretum di Graziano
2. Il Liber Extra di Gregorio IX
3. Il Liber Sextus di Bonifacio VIII
4. Le Clementine di Clemente V
5. Le Extravagantes di Giovanni XII
6. Le Extravagantes communes (decretali tra il tardo 200 e tardo 500 raccolte dallo stesso Chappuis)

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Lezione 14

• Rinascita cittadina (fenomeno europeo) e ordinamenti comunali (nell’Italia centro settentrionale)

Il fenomeno della rinascita cittadina si colloca tra seconda metà XI sec e XII sec, più precoce in Italia centro-
settentrionale, più tardo nelle altre regioni europee. Non è fenomeno isolato: questo periodo è fecondo di novità
facenti parte di unico fenomeno denominato: rinascimento medievale.

I cambiamenti sono generali e riguardato tutti gli aspetti della vita associata.
Per quanto riguarda la Chiesa, c’è grande fenomeno della Riforma Gregoriana; per quanto riguarda la vita
culturale, ad esempio fioriscono lingue volgari; ci sono tecniche artigianali nuove; innovazioni riguardanti
agricoltura; crescita dei commerci; crescita demografica.

Questo fenomeno comporta una concentrazione demografica nelle città, assente nei periodi dell’alto
medioevo. Questo in Italia comporta divisione: parte centro-settentrionale vedrà sviluppo ordinamenti
comunali; nell’altra parte il Regno di Sicilia.
L’ordinamento comunale delle regioni italiani centro settentrionali ha attivato da sempre interesse degli
storici: fiorire di città in un territorio relativamente piccolo, che hanno rivendicato un’autonomia
amplissima fino a comportarsi come vere e proprie città-stato.
Varie teorie sull’origine dei comuni:
• conflitto campagna-città, tesi non accolta
• alcuni hanno voluto vedere continuità con strutture municipali del tardo Impero Romano (i collegia) in
realtà tesi non può essere accolta perché mentre i collegia erano strutture pubbliche, il fenomeno
associativo comunale nasce spontaneamente (non imposizioni pubbliche)
• secondo altri da un generale spirito associativo
• altri hanno richiamato la persistenza del governo vescovile: il vescovo aveva ricevuto delle competenze
dagli imperatori nel periodo del tardo impero anche riguardanti la vita civile della città e poi durante il
periodo post-carolingio i vescovi avevano assunto nelle città un ruolo importante, al di là del loro compito
ecclesiastico. Questo avvenne non ovunque: di più in Lombardia, meno in Toscana (signori canossa);
• Si sosteneva che l’espansione araba del mediterraneo avrebbe messo fine a scambi commerciali a lunga
distanza, incentivando la necessità di ricorrere a economica chiusa. Pirenne sostenne che questo problema
sarebbe stato eliminato proprio con la sconfitta degli Arabi e quindi la ripresa delle rotte commerciali del
Mediterraneo.

L’origine dei Comuni è strettamente legata alla signoria fondiaria.


Con il nuovo millennio, questo sistema di economia curtense conosce uno sviluppo dovuto ai cambiamenti
economici:
• Incremento demografico spinge a coltivare nuove terre
• Utilizzo di strumenti tecnici più avanzati: es. aratro pesante.
• Prodotto oltre le misure del mero sostentamento, quindi messo sul mercato.
Questi elementi influiscono sull’istituto della signoria fondiaria, perché:
• all’interno della SF vi è una riduzione della pars dominica e un aumento dei mansi
• aumento condizione dei contadini, con riduzione delle corvèes.
• A questo però fa fronte un aumento dei poteri di banno del signore.
• Signori fondiari più potenti e signori territoriali cercano di estendere il loro domino fondiario a
scapito di proprietari di allodi e signori fondiari minori.

In questo contesto si sviluppa il COMUNE, perché i signori fondiari minori, oggetto delle mire dei signori
fondiari e signori territoriali maggiori, sono meno propensi a cedere una parte del prodotto delle loro terre,
cercando così di trattenere il profitto. Per questo si uniscono tra loro per ottenere insieme quello che da soli
non avrebbero potuto ottenere. Per far fronte alle necessità che emergono con evoluzione di signoria fondiaria,
cercano di associarsi tramite la formazione di accordi giurati che nelle fonti prendono spesso il nome di
coniurationes.
L’esempio classico è quello di Genova, perché è rimasto un documento che attesta un accordo giurato tra
signori e abitanti della città , risalente al 1099, denominato “Compagna Communis”.

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È difficile definire esattamente cosa fosse il Comune: alcuni hanno detto che era un’associazione di tante
presenti sul territorio. In una prima fase, è vero che il comune si sviluppa in una città, ma non esclude ogni
altra autorità all’interno del territorio cittadino. Quando si affermano questi accordi giurati, allo stesso
tempo continuano a funzionare le autorità precedenti quali ad es. vescovo; missi imperiali.
Allo stesso tempo, l’accordo non comprende tutti coloro che vivono in città: il Comune (almeno per tutto il
XII sec.) è un Comune aristocratico, oligarchico. I membri del comune, inizialmente, non sono i cittadini.
Erano perciò famiglie aristocratiche, in alcuni casi anche grandi mercanti e banchieri, quasi mai artigiani o
commercianti. Vi erano quindi realtà che vivono nella città ma che non fanno parte del comune. Bisognerà
aspettare il XIII sec. per il Comune di popolo.
Sono poi completamente fuori dal Comune coloro che vivono in città ma non hanno beni.
Il Comune nasce quindi come un ordinamento signorile ed esercita il proprio potere come qualsiasi signore
territoriale: la differenza è che mentre il signore territoriale è un singolo, nel Comune il potere spetta ad
un’insieme di famiglie signorili.
Poi, la città si afferma come territorio di libertà.
Si diceva che le caratteristiche della città fossero:
1. Libertà: la libertà non deve essere intesa in senso politico ma in senso economico. Il potere politico
spettava a pochi, ma la libertà economica era per tutti coloro che vivessero all’interno della città (detto
tedesco “l’aria di città rende liberi”).
2. Pace: il comune rappresenta un’oasi di pace, signori si impegnano ad evitare i conflitti;
3. Diritto particolare: in ogni città si crea un patrimonio di consuetudini cittadine. Solo nel ‘200 i comuni
cominceranno a metterle per iscritto
4. Organizzazione: rimane fluida per molti decenni, già però troviamo all’inizio alcune figure di magistrati
con il nome di “consoli” (nome evocativo di antichità romana). I consoli rappresentano le varie famiglie
che hanno dato origine al comune.
Si tratta di una magistratura collegiale (mai numero dispari), quando vi era una parità di voti si ricorreva
spesso a un arbitro esterno. Tra i consoli si differenziano alcuni consoli con competenze specifiche
nell’amministrazione della giustizia “consules de iustitia”. Questi però non erano dei giuristi, ricorrevano
perciò all’ausilio di maestri di diritto (a Bologna insegnavano diritto) nel caso di controversie complesse,
chiedono a loro un parere, un “consilium sapientis iudiciale” (diverso da parere dato al privato). Parere
vincolante per il giudice, quindi anche per le parti.
Un consiglio ristretto affianca i consoli i c.d. Consiglio di credenza. Venne poi creata un’Assemblea
generale, individui maschi delle famiglie comunali (non tutta la città) che si riuniva per prendere le
decisioni più importanti ma anche per approvare nuove norme. La forma di governo del Comune nel
XII sec. è quella consolare basata su: console; consiglio ristretto e assemblea generale.
A un certo punto i consoli vengono sostituiti dalla figura del podestà.

Nel comune si creano le “consorterie”, che erano una sorta di famiglia allargata di gruppi familiare
aristocratici che cominciarono poi ad accogliere anche soggetti esterni alla famiglia ma entrati in contatto con
questi, costituendone una sorta di clientela. In molti luoghi, queste consorterie si diedero un capo, “rector”.
Queste consorterie caratterizzarono il comune per tutto il XII sec, finchè l’armonia tra questi gruppi consortili
venne meno negli ultimi decenni del secolo, quando le consorterie si trasformano in fazioni, cominciando a
combattere tra di loro. Era il segno della crisi dell’originario ordinamento comunale e alla fine del XII sec.
comincia ad essere affiancato da un altro tipo di ordinamento.

Queste città entrano presto in conflitto con la figura dell’Imperatore dal Sacro Romano Impero, conflitto
che sfocia in guerra quando Imperatore (1152) diventa Federico I, detto Federico Barbarossa.
Costui vuole rivendicare nei confronti di queste città, le prerogative dell’Imperatore, che non possono essere
esercitate dai Comuni. Federico barbarossa prende Milano, nel 1167 si crea la Lega Lombarda, città alleate
in funzione antimperiale. La lega sconfigge a Legnano Federico, sempre nello stesso anno. Costui è costretto
ad arrivare ad una pace sotto forma di concessione in realtà trattato, “Pace di Costanza” del 1183, questo
documento è importante perché imperatore riconosce le prerogative dei Comuni, e un primo riconoscimento
delle consuetudini. Successivamente venne attratta nel Corpus Iuris Civilis, anche se questo far riferimento a
una concessione imperiale era pericolo perché l’imperatore poteva anche in un secondo tempo revocarla; è
però significativo perché testimonia che queste realtà di Italia centro-settentrionale, non rinnegarono mai la
superiorità (formale) dell’autorità imperiale. (ma poi pretendono di esercitare le proprie prerogative,
autonomamente).

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Il Comune, fin dall’origine nasce legato alle terre e alla campagna che lo circondava, dopodiché come qualsiasi
altro signore, quindi cerca di espandere la propria potestà nel territorio circostante. Era necessario per vari
motivi:
• per garantire alla città un rifornimento di beni necessari per abitanti;
• per garantirsi il controllo delle vie di comunicazione a tutela del commercio;
• tendenza propria anche di altri signori territoriali, si comporta come un signore territoriale che però nel
momento in cui ottiene controllo, rispetta l’autonomia.

Lezione 15

Gli ordinamenti comunali nell’Italia centro settentrionale si sviluppano non in assenza di un’autorità superiore
alla propria, dato che tutte riconoscevamo come superiore o l’imperatore o il papa (“terre ecclesie”).
Ogni comune si sviluppa in modi e tempi diversi, vi sono però alcuni elementi in comune, visti ieri. Vi è
un’eccezione: città di Venezia.
Venezia faceva parte del ducato bizantino e aveva conservato delle forme istituzionali che non abbiamo
trattato:
- il doge;
- il maggior consiglio;
- il minor consiglio;
- il concio.
Anche a Venezia si riscontra però un’evoluzione del governo in senso oligarchico. Vi sono perciò famiglie che
danno origine al Comune Veneciarum.

Quindi a Venezia il comune prende forme completamente diverse.


L’ordinamento comunale delle regioni centro-settentrionali rappresenta la forma più ampia di potere delle città
perché mette insieme due aspetti: libertà (economica) e autonomia/autogoverno (rispetto alla superiore
potestà di riferimento) ciò distingue i comuni dell’Italia centro-settentrionale dalle città che si sviluppano
negli altri paesi europei e da quello che succede nell’Italia meridionale.
Potere autonomo delle città nelle regioni centro settentrionali dell’Italia ≠ nelle altre regioni europee dove si
ha rinascita cittadina rimane più stretto il legame degli ordinamenti cittadini con signorie fondiarie in questo
secondo caso vi è un governo cittadino non autonomo ma basato su diarchia.
Intorno a metà del XII secolo gli scontri all’interno delle città tra comune e le autorità che precedentemente
avevano esercitato il potere ordinamento comunale cerca di concentrare su di sé tutti i poteri della città
(prima condivisi). Ma non esaurisce tutto lo spazio associativo all’interno della città (“comune è una
corporazione tra tante”).
Non tutti gli abitanti della città sono soggetti dell’ordinamento giuridico comunale esclusi dal “comune
civitatis” ma non esclusi dalla vita cittadina.
All’interno del comune sorgono delle associazioni che riuniscono soggetti di varia provenienza, alcune sono
le consorterie (associazioni gentilizie) iniziano a darsi struttura interna e partecipano alla vita cittadina. Con
il passare del tempo nel corso XII secolo esse tendono a trasformarsi in fazioni. Altri ceti sociali si riuniscono
in altre forme associative: es corporazioni arti e mestieri riunivano tutti coloro che esercitavano una
determinata arte. Soltanto i titolari dell’impresa facevano parte della corporazione. La corporazione regola
l’attività economica, serve a tutelarne lo svolgimento ma finisce per crearne dei monopoli (si diedero norme e
si cominciò a definire il modo in cui l’attività si doveva svolgere).
Quando si formano universitates di studenti a Bologna alcuni ne contestano la formazione perché paragonano
gli studenti di diritto agli apprendisti (che non facevano parte delle corporazioni).
Tra le prime associazioni che riguardano giuristi: quella dei notai e poi quella dei giudici.
Alla fine del XII secolo c’è un passaggio i magistrati comunali cominciano ad avere caratteri pubblici più
decisi rispetto alla prima fase: alla fine del XII secolo vengono costituiti gli “officia” vi è un potere
normativo da parte del comune.
Una delle caratteristiche degli ordinamenti cittadini era il diritto particolare ancora prima quindi che i
comuni esercitassero regolarmente il potere normativo esistevano comunque delle norme comuni a coloro che
abitavano le città (consuetudini). Quando si afferma un vero e proprio potere normativo, l’esercizio di tale
potere viene visto come uno degli aspetti più importanti dell’indipendenza dei comuni.

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Alla base delle norme comunali vi saranno sempre le consuetudini (che sono di ciascuna città) non sono però
tanto diversi da città a città alla base vi erano comunque le consuetudini territoriali dell’Italia centro-
settentrionale che avevano come base il diritto romano.
Inoltre, i problemi di cui ci si doveva occupare all’interno delle città erano gli stessi: come organizzare potere
pubblico, problemi relativi ai mercati (città erano centri commerciali), manutenzione delle strade, problemi di
sicurezza, igiene. Riscontriamo quindi un’omogeneità di istituti.
Il destino delle consuetudini è di confluire in un testo più ampio lo statuto del comune.
I “brevia” erano giuramenti prestati dai consoli (e poi anche di altri magistrati comunali) nel momento in cui
assumevano incarico, cui corrispondeva il “breve” del popolo (con cui questo si impegnava a rispettare le
prerogative del console) norme con contenuto pubblicistico. Questi testi inizialmente erano in prima
persona, poi si passò alla terza persona e divennero una sorta di manuale dell’organigramma e della struttura
istituzionale del comune.

Con il tempo le consuetudini e brevia si fusero insieme confluirono nello statuto. Il termine richiama gli
“statuta” che erano le deliberazioni prese dall’assembla cittadina (vincolanti per tutti gli abitanti della città)
la quale aveva la funzione di approvare le norme comunali proposte dai consoli. Lo statuto designa l’intero
complesso della normativa comunale. Le singole norme contengono la loro natura originale all’interno dello
statuto (consuetudini, brevia, statuta) l’unione delle 3 parti avvenne nel corso del XIII secolo.
Perché il termine “statuto”?
Il termine “statuto” si contrappone al termine “lex”. Perché non viene chiamato legge comunale? I comuni
non disconoscono l’esistenza sopra di sé di un superior (in questo caso o imperatore o papa), la lex è il termine
che indica le norme emanate dall’imperatore e ha un valore universale come universale è la potestà imperiale.
Lo statuto invece ha un valore particolare e non cancella la lex.
Lo statuto però si differenzia anche dalle consuetudini (che si formano a seguito di comportamento ripetuto
nel tempo) esso si forma nel modo in cui l’ordinamento del comune prevede. Lo statuto è approvato da
organi nel comune.
In realtà esso poneva dei problemi di interpretazione veniva sempre accostato alla consuetudine.
I giuristi medievali studiavano diritto romano giustinianeo in cui le fonti del diritto erano la lex
dell’imperatore, gli iura e la consuetudine. Si pongono quindi il problema di fondo di identificare quale natura
attribuire a questo statuto e della legittimità stessa dei comuni ad emanare statuti.
Lo statuto divenne simbolo della libertà del comune in particolare dopo la PACE DI COSTANZA (trattato
tra imperatore Federico I di Svevia e i comuni che facevano parte della Lega Lombarda vi è il riconoscimento
da parte di Federico ai comuni di una serie di prerogative tra cui quella per cui i comuni possono applicare le
loro consuetudini nell’amministrazione della giustizia). Dopo la pace di Costanza si iniziò a mettere per iscritto
le consuetudini.
Il fatto che le consuetudini, i brevia e gli statuti si ritrovino all’interno dello stesso testo trova un’eccezione a
Pisa dove le consuetudini e norme emanate da assemblea cittadina rimangono distinte: confluiscono in due
testi distinti “constitutum usus” (raccolta consuetudini) e “constitutum legis” (raccolta statuti).
Si previdero anche modi in cui il testo potesse essere modificato e si individuarono delle magistrature apposite
(“statutari”).

Due sistemi per redazione degli statuti: in alcuni casi, coloro che erano addetti alla redazione vennero messi in
isolamento in modo da non subire influenze, altrove si adottò il sistema di consentire ai cittadini di contribuire
a identificare le norme consuetudinarie.
Del testo statutario una volta definito una copia conservata nel comune (aveva importanza enorme).
Nel corso del 1200 lo statuto assume una forma definita divisione i 4 o 5 libri:
primo comprendeva brevia materia: magistrature comunali
uno su materia civilistica (norme sostanziali e processuali)
terzo su materia penalistica (norme sostanziali e processuali)
due libri finali: uno “Liber extraordinariorum” materie attinenti alla convivenza nella città e l’altro
“damnorum darotorum” (danni dati) [capiamo che nessuna città nasce separata da campagna]
danneggiamenti che animali o persone potevano arrecare alle coltivazioni e dovuti alla convivenza sullo
stesso territorio di agricoltura e bestiame. Veniva disciplinata una procedura specifica con norme
particolari. Il rapporto con il contado è connaturato alla città. I primi due a volte venivano riuniti in uno
solo.
Alla metà del XII secolo redazione definitiva del testo statutario.

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Vi è problema di fondo legato all’interpretazione dello statuto nel confronto con legislazione giustinianea a
partire dalla metà del 200 due teorie per legittimare la potestas statuendi dei comuni (sono contemporanee):
- della “permissio” la potestas si doveva far risalire alla pace di Costanza. Questa teoria presentava
problemi: la pace di Costanza riguardava solo i comuni della Lega Lombarda e poi c’era un problema
politico (se l’interesse dei comuni era di difendersi da intromissioni imperiali se la potestas derivava da
una concessione dell’imperatore egli l’avrebbe potuta revocare)
- della “iurisdictio” altra fonte di legittimità individuata nell’ordinamento stesso del comune. Il termine
“iurisdictio” ha un’accezione più ampia di giurisdizione/amministrazione della giustizia comprende
anche la possibilità di emanare norme giuridiche (non vi è idea di separazione dei poteri). La teoria si basa
sull’evidenza che esistessero diversi tipi di iurisdictiones (da quella massima dell’imperatore a quella
minima del signore fondiario) il termine designa quindi l’ordinamento giuridico ciascun
ordinamento giuridico aveva in sé legittimazione ad emanare norme. La legittimazione non andava
cercata fuori ma nello stesso fatto dell’esistenza del comune e dell’esercizio del potere pubblico.
Questa teoria fu ripresa da Bartolo da Sassoferrato, esponente della scuola dei commentatori ha spiegato
che la iurisdictio era un attributo stabile di ogni ordinamento particolare).
Poi venne ripresa dall’allievo di Bartolo Baldo degli Ubaldi che espose la teoria in termini diversi per
lui era legittimo qualsiasi ordinamento di fatto funzionante (ciò che contava era l’esercizio di fatto dei
poteri normativi).

A mano a mano che si stabilizza l’ordinamento comunale, la giurisdizione comunale cancella e sostituisce le
giurisdizioni precedenti legate all’ordinamento degli uomini liberi

Rapporto tra statuto e legge:


Nel giudizio Si deve applicare innanzitutto lo statuto. Nel caso in cui non esso non contenga la disciplina il
giudice deve applicare le consuetudini non rientrate nel testo statutario.
Solo in caso di lacuna dell’ordinamento comunale va applicato il diritto comune (diritto romano e diritto
canonico) questo era possibile perché la base di fondo degli statuti e del diritto romano era la stessa.
Avviene quasi da per tutto con due eccezioni:
- Pisa era previsto che i giudici dovessero giudicare secondo la norma comunale ma in mancanza doveva
applicare quello che gli fosse sembrato più giusto (equità)
- Venezia (lo stesso di Pisa sono entrambe città marinare)

Lezione 16

PACE DI COSTANZA 1183 epilogo della lotta tra Federico Barbarossa e i comuni.

Riconoscimento delle consuetudini : comporta la messa per iscritto delle consuetudini che andarono a
confluire nello Statuto (non è concessione vera e propria, quasi un riconoscimento di uno stato di fatto:
riconosce quello che già si era prodotto all’interno dei Comuni, ossia gli riconosce prerogative che di fatto
questi già esercitavano tra le quali quelle di darsi proprie consuetudini).

Vediamo un singolo Breve (il breve era il giuramento che il console faceva al momento di prendere l’incarico
di rispettare una serie di norme): Breve del comune di Genova del 1157. Il giuramento contiene, di fatto,
l’organizzazione del comune.
“Io giuro a onore di Dio la Compagna per quattro anni” rivedi “Compagna Communis” del 1099, vedi
supra.
“Nel presente anno avrò 4 consoli per il comune e 8 per i placiti”: carica di 6 mesi o di 1 anno come in questo
caso.
Il contenuto di questi giuramenti pass dalla 1° alla 3° persona e vengono inseriti all’interno dello Statuto.

Consorterie: alleanze tra famiglie dotate di statuti e strutture di governo.

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Alla fine del XII sec. la compattezza iniziale si sfalda e anche la popolazione che vive in città è cambiata:
fenomeno di inurbamento che riguarda sia signori fondiari sia semplici contadini. Le famiglie signorili che si
trasferiscono in città vogliono anch’esse chiamate a far parte del governo della città: le famiglie originarie
vanno a far parte di consorterie. Queste sono alleanze tra famiglie che si vanno a dare al proprio interno delle
istituzioni a somiglianza di quelle comunali.

Alla fine del XII sec superamento della forma di governo consolare e passaggio a quella podestarile.
PODESTA’ al posto dei consoli.
Il podestà:
• non sostituisce dappertutto la forma consolare: in alcune città si alternano consoli e podestà.
• È un solo magistrato, si supera la forma collegiale dei consoli
• Aveva il compito di garantire il rispetto del diritto vigente nel comune e di mediare i conflitti interni
• Doveva venire da una città diversa come garanzia di imparzialità
• Venivano scelti tra i nobili delle aristocrazie amiche delle città vicine, in fazioni politiche alleate, il
che rendeva difficile che si mantenesse al di sopra delle parti.
• Il governo podestarile, lodato dai contemporanei e criticato dagli storici, espresse comunque
l’interesse delle consorterie al mantenimento dell’unità comunale.
• Era però debole o tutt’altro che imparziale, perché scelto

Questo periodo del podestà coincide con quello in cui vengono messi per iscritto gli statuti.

Questa fu comunque una fase di passaggio: la presenza del podestà era un tentativo di far sopravvivere il Primo
Comune.

Mentre all’inizio del 200 non sono più solo le famiglie signorili a voler condividere il governo della città, ma
si fa avanti un altro soggetto politico, che è quello del POPOLO .
Il popolo era comunque una elìte rispetto alla popolazione del comune:
- erano esclusi coloro che non facevano parte della città
- esclusi coloro che non avevano beni immobiliari
- esclusi coloro che svolgevano alcuni lavori (attori, marinai, ortolani, bovari, pescatori, ecc.)
Era quindi composto da ceti abbienti.

Tutti questi gruppi familiari, tra fine XII e inizio XIII, si uniscono in un’associazione che prende il nome di
“Comune di Popolo”.
All’interno delle mura cittadine convincono:
- il Comune consolare oligarchico
- il Comune del popolo

Membri del Comune di Popolo:


- capitano del popolo: che affiancava i podestà cittadini. Probabilmente il nome di “Capitano del Popolo”
deriva dai capitani imperiali istituiti da Federico II. Con questo rappresentava dualismo tra impero e città, ora
tra popolo e oligarchia.
- Anziani.

Per una fase, la città ha quindi 2 governi, è però una fase transitoria.

Nel corso del 200 i ceti popolari cominciano a prevalere un po’ in tutti i comuni, questo avveniva in 2 modi:
- o con alleanza tra consorteria aristocratica e popolo (Lombardia, Veneto, Emilia, Firenze).
- il popolo riesce a prendere il potere lasciando fuori quasi tutto il potere dell’antica oligarchia (es. Bologna,
Perugia, Modena)

Con il Comune di popolo, finisce il Primo comune. Non finisce quindi con l’avvento del Podestà.
Il popolo rappresenta coloro che erano estranei all’oligarchia del primo comune: non è possibile distinguere
mestieri e famiglie titolari di fondi, perché in entrambi i casi si possedeva un fondo.
La razione dei popolari contro i magnati non aveva connotazione democratiche: non tutti partecipavano (elìte)

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• Sistema del diritto comune

È il frutto di teorizzazioni avvenute negli anni ’30 del ‘900. Il principale teorizzatore è Francesco Calasso.
Prima di vedere questo sistema, questa teorizzazione dobbiamo definire prima che cosa sia il diritto comune.
Il diritto comune è un diritto valido per tutti i soggetti ma che non pretende di essere unico: è un concetto
relativo.
Infatti, negli ordinamenti medievali, il diritto comune si pone in rapporto dialettico (a differenza del diritto
unico) con quelli che sono i diritti particolari (di singole comunità o singoli soggetti): in latino, lo “ius
commune”, e i diritti particolari, gli “iura propria”.
In Italia, il diritto comune è stato rappresentato per lunghi secoli essenzialmente dal diritto romano.
Questa esigenza di diritto comune non era solo di ordinamenti in Italia, ma anche altrove:
- anche in Francia vi è un droit commun (o coutumier)
- anche in Inghilterra abbiamo un diritto accostabile al comune, il “common law” che non va tradotto con
legge, ma con diritto. Non vuol dire che le norme di common law siano norme di diritto romano, ma perché è
un diritto valido per tutti i soggetti, formato dalle consuetudini comuni del diritto inglese.

Questi 3 diritti si caratterizzavano per elementi in comune:


• il fatto di essere in una posizione di superiorità rispetto ai diritti particolari
• il fatto di esprimere l’esigenza degli ordinamenti medievali di un diritto certo e stabile (ciascun
ordinamento particolare era pieno di lacune e non consentiva di risolvere tutte le controversie)
• il fatto che si tratta di un concetto relativo, che si pone necessariamente in dialettica con gli ordinamenti
particolari (differisce in questo dal diritto unico).

L’idea di un diritto comune è stata superata solo dalla codificazione (in Italia e in Francia).

Adesso, chiarito il concetto di ‘diritto comune’, vediamo il Sistema di diritto comune (anni ’30 del 900).

Il sistema di diritto comune è una costruzione storiografica elaborata a partire inizialmente da Ermini e poi da
Calasso. Questa teoria storiografica legava l’esistenza di un sistema (di diritto comune) alla realtà istituzionale
del Sacro Romano Impero l’impero era un ordinamento universale e come tale è rappresentato da un diritto
universale, quale il diritto romano (in comune carattere di universalità).
Oltre ad essere universale, allo stesso modo è bifronte: perché allo stesso tempo spirituale/temporale.
Proprio per il fatto di essere bifronte, l’ordinamento richiedeva la compresenza 2 diritti:
• il diritto romano, per le materie temporali;
• il diritto canonico, per le materie spirituali.

Questa ricostruzione parla di “sistema” perché secondo questa i giuristi medievali avrebbero considerato il
diritto romano come diritto comune e avrebbero affiancato al diritto romano il diritto canonico.
Così facendo, il diritto romano e il diritto canonico avrebbe costituito l’utrumque ius: i due diritti che
avrebbero costituito il diritto comune a tutti i popoli dell’impero.
L’unità imperiale coesisteva con le realtà particolari, e allo stesso modo il diritto imperiale (romano e poi
romano-canonico) coesisteva con gli iura propria per questo tra il primo e i secondi vi sarebbe stato un
rapporto gerarchico: dal particolare all’universale (questo sarebbe il sistema cui secondo la teoria facevano
applicazione i giuristi medievali).

Questa ricostruzione aveva un grande pregio: presentava in maniera organica il diritto medievale
riconosceva al diritto medievale una sua coerenza interna.
La teoria di Calasso consentiva di individuare la coerenza dell’ordine medievale (conferma la lettura unitaria
prevista dalla visione pandettistica per l’ordinamento romano) e serviva a rivalutare anche la stessa materia,
nei confronti delle altre materie e in particolare dell’ordinamento romano.

Secondo Calasso, questo sistema sarebbe stato in vigore non soltanto in Italia, ma in tutti i paesi europei che
facevano parte dell’impero e avrebbe funzionato dal XII sec. fino alla codificazione.

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Però non è che si poteva non vedere l’evoluzione nella storia del diritto, quindi Calasso aveva individuato 3
fasi del diritto comune:
1. diritto comune assoluto, XII e XIII sec, caratterizzata da prevalenza del diritto romano rispetto ai diritti
particolari;
2. diritto comune sussidiario, XIV e XV sec, funzionamento vero e proprio del sistema di diritto comune
tramite la gerarchia;
3. diritto comune particolare, dal XVI fino al XIX sec (codificazione), perché vigente in quanto accettato
come tale dai vari sovrani nazionali.

Questa teoria ha dominato la storia giuridica italiana per decenni.


Poi, questa impostazione ha cominciato a ricevere delle critiche da parte di altri storici del diritto, quando è
entrata in crisi anche l’impostazione sistematica del diritto vigente:

Critiche:
• Impostazione territorialistica del diritto comune, presentato infatti come diritto delle regioni comprese nel
Sacro Romano Impero. In realtà, dal XII sec alla fine del XV sec. il diritto comune non è vigente proprio
nel paese in cui aveva sede il Sacro Romano Impero ossia la Germania;
• Il legame tra diritto romano e canonico non era sempre possibile: il canonico in quanto diritto della Chiesa
era vigente anche laddove non era vigente il romano, es. Inghilterra;
• Differenza tra fonti dei due diritti: il primo si basava sul testo giustinianeo; i testi del diritto canonico si
vanno formando soltanto a partire dal XII sec;
• La stessa espressione utrumque ius è caricata di valenza eccessiva: non va intesa come vigenza di entrambi
i diritti, ma riferita nel senso di corso di studi, cioè che si studiavano entrambi i diritti e si diveniva dottori
in entrambi (“doctores in utroque iure”);
• Astuti ha negato la presenza di un sistema adoperato dai giuristi medievali e ha messo in evidenza come
la rinascita degli studi giuridici sia avvenuta per la capacità del diritto romano di dare risposta a delle
esigenze della vita economica e sociale. Nei giuristi medievali quindi non vi era idea di diritto comune,
ma soltanto l’applicazione di un principio ermeneutico di interpretazione del diritto: cioè che la norma
speciale deroga alla norma generale. I giuristi medievali avrebbero usato perciò il diritto romano solo
quando utile a questo fine, tramite l’applicazione di questo criterio.
• La potestà regia in età moderna era più importante rispetto a quella medievale. anche nel XVI sec si assiste
ad aumento della legislazione regia, questa rimane però secondaria rispetto alle altre fonti giuridiche, sia
locali che comuni.
• Soltanto negli anni ’70 del 1200 compare l’espressione nelle fonti di diritto comune (invece secondo la
storiografia diceva XII sec).

Queste critiche dimostrano che non si può parlare di un vero e proprio diritto comune.

Lezione 17

Calasso dice che già si faceva applicazione di questo sistema nel XII secolo, in realtà la stessa espressione di
“diritto comune” la ritroviamo negli scritti di Bartolo, giurista del 300, quindi XIV sec, appartenente alla
scuola dei commentatori ed è il primo ad adottare questa formula. Quindi questa idea è maturata in epoca più
tarda rispetto a quella prevista da Calasso. In realtà, questa idea si affermò poi soprattutto nell’età moderna.

Possiamo riprendere alcune osservazioni già fatte, Cortese con quella sua idea della valenza universale del
diritto romano ci dà una traccia: secondo Cortese ci sarebbe stata una elevazione graduale del Corpus Iuris
a diritto comune che però è tarda. Però come ci si è arrivati? Secondo Cortese ha radici antiche:
• es 619 Concilio di Siviglia: si fa ricorso al diritto romano contenuto nel Breviarum Alariciarum, ci si
riferisce al diritto Romano come “lex mundialis”. Cortese ci dice che questa fede nell’universalità del
diritto romano era tipica dei visigoti.
• E poi nel rapporto tra lex romana visigotorum e lex visigotorum, avevamo visto la visione tradizionale che
metteva in evidenza la vigenza del principio della personalità del diritto (l.r.v in vigore per parte romana
e l.v. in vigore) cortese ha però proposto interpretazione diversa negando che in quel periodo fosse già
vigente la visione universale del diritto. Cortese vede vigenza territoriale basata su dialettica universale-

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nazionale. E intravede in questo periodo il seme del sistema del diritto comune, perché questo prevede che
ci siano ordinamenti particolari legati a singole realtà, ma insufficienti a regolare tutto; e poi invece una
legge universale rappresentata dalla legge romana. Questo incontro secondo cortese si sarebbe creato già
nel periodo dei regni romani germanici.
• Nell’impero carolingio vi è convivenza tra più leggi regolata da principio di personalità del diritto. Lettera
di Agobardo, all’inizio IX sec., a Ludovico il pio, e si lamenta del fatto che se 5 persone si trovano insieme
in una stanza ognuna si regolerà secondo legge diversa anche se tutte e 5 sono riunite nell’unica chiesa di
cristo. Agobardo nel criticare questa situazione proponeva che tutte fossero sottoposte all’unica legge
dell’impero, in quel caso però la legge franca (il diritto franco non era assolutamente in grado di svolgere
questo ruolo unificatore).
• Sempre in contesto carolingio, XIII sec, lettera di Catulfo indirizzata a Carlo Magno, si parla di “lex totius
mundi”
• Nella fase di disgregazione dell’impero carolingio, furono compilate delle raccolte di testi di diritto
canonico falsificate, nel IX sec., una di queste attribuita al monaco Benedetto de Vita, in cui c’è espressione
in cui si proclama universalità del diritto romano “est omnium humanorum mater legum”.

Vediamo vari passi di un percorso che parte dal regno visigotico e prosegue nell’alto medioevo e nel periodo
carolingio e post, in cui il diritto romano (in questa zona, si ricordi, non è romano giustinianeo, ma
teodosiano) viene visto come poter esercitare quella funzione sussidiaria, di colmare le lacune dei diritti
particolari, che verrà svolta dal diritto comune.
Già c’è idea di dialettica tra universale e particolare.

Questa idea serviva a far convivere 2 principi opposti: personalità del diritto e territorialità del diritto.
Questo lo vediamo in un altro documento, XIII sec. e poi inserito nel Capitolare Italicum, in cui si elencano
materie in cui diritto franco e longobardo entravano in conflitto e vigeva principio della personalità. Poi però
si dice, dopo aver elencato questi casi, che in tutti gli altri si applica la legge comune, intesa però non come
diritto romano ma la legge che Carlo Magno aveva aggiunto all’editto (editto romano Langobadorum).
Anche qui si evoca dialettica, ma in questo caso non è diritto romano ma diritto regio.

Il fatto che questa teorizzazione del sistema sia avvenuta molto dopo, rispetto a quanto citato da Calasso, la
ritroviamo anche in un’ operetta “quaestiones sulle sottigliezza del diritto”, in cui si fa riferimento alla
necessità di un diritto che sia unico, a fronte della vigenza di diritti particolari. Si fa riferimento sì al diritto
romano, però non visto come comune, ma come unico diritto.

Vediamo le motivazioni della ripresa degli studi giuridici nel XII sec. e del legame con questa vigenza del
diritto comune (vari fermenti già nell’alto medioevo): ripresa commerci; rinascita della città
Studiare il diritto giustinianeo serviva ad elaborare categorie giuridiche (in particolare dal Digesto), queste non
erano solo estratte ma servivano ad inquadrarvi le situazioni concrete del XII sec., che ricevevano così ordine.
Allo stesso tempo, cercano di ricostruire la disciplina di vari istituti giuridici: vanno a cercare l norme che lo
riguardano nelle varie parti del Corpus Iuris Civilis.
Qual era l’elemento centrale nel diritto romano che ne favorisce il recupero nella rinascita: la regolazione del
dominium (la proprietà). Nel diritto medievale, il “dominus” si arricchisce di tanti significati: signore
territoriale, fondiario, professore di diritto ecc. invece nel diritto romano è il proprietario, e viene regolato in
modo tale da prevede ampia libertà del patrimonio e libera successione.

In una fase come quella del XII sec. completamente nuova, vi fu necessità di precisare le forme e i contenuti
del diritto di dominium che spettava ai soggetti liberi: innanzitutto, quello fondiario (qui collegamento con
rinascita cittadina che è legata allo sviluppo della signoria fondiaria).
Quindi, i glossatori studiano il diritto romano non solo per erudizione ma sono legati alla vita concreta
del diritto e lo fanno per rispondere ad esigenze concrete (es. Irnerio era giudice).
Alla fine del XII sec., cominciano poi ad occuparsi di altri ordinamenti come quello delle signorie o quello
feudale (ricordiamo che Libri Feudorum inseriti nel Corpus); ma anche di consuetudini del luogo non ancora
inserite nei Libri Feudorum, perché rimanevano sempre in vigore le consuetudini tradizionali degli uomini
liberi.

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Astuti ha messo in evidenza come i glossatori non abbiano presto indistintamente qualsiasi materia contenuta
all’interno del Corpus: hanno tralasciato tutto ciò che oramai era superato, utilizzano norme che possono essere
funzionali alla prassi quotidiana del diritto.
Studi recepiti dalla prassi: lo vediamo anche dalla documentazione notarile.

I glossatori svolgono un’opera di sistemazione e semplificazione del diritto tradizionale. Non vuol dire
che le consuetudini non ricomprese nel diritto romano fossero tralasciate (es. wadia).

Rapporto pensato da Calasso tra diritto romano (r-canonico) e diritti particolari: è stato visto, nella teoria del
sistema, come rapporto gerarchico (da norma particolare a norma generale). Però bisogna fare ulteriore critica
alla teoria del sistema del diritto comune: nella descrizione di Calasso questo rapporto è identificato come tra
ordinamento unitario e ordinamenti particolari territoriali (es. gli statuti dei comuni), ma questo rapporto non
riguardava solo ordinamenti territoriali ma anche norme consuetudinarie locali.
Anche al di fuori di quei territori in cui diritto romano era vigente ebbe però importanza, altrimenti non ci
spieghiamo l’affluenza enorme di studenti a Bologna. Es. diritto romano non era vigente né in Francia (se non
in parte meridionale, paesi di diritto scritto) né in Inghilterra (anche se in entrambi paesi vigeva il diritto
canonico, i due diritti erano totalmente distinti, quindi viene meno idea di utrumque ius). Lo studio del diritto
romano era utile anche laddove il diritto romano non era vigente.
Altro es. Henry Bracton studia a Bologna con Azzone, poi tornò in Inghilterra e fu il primo a preparare una
prima redazione delle leggi e consuetudini inglesi (diverse da diritto romano ma studiate con quelle stesse
tecniche interpretative apprese a Bologna).

• Formazione di ordinamenti monarchici unitari

Nell’Italia centro-settentrionale pluralismo di ordinamenti autonomi; nel Meridione invece ordinamenti


monarchici unitari.
CONTESTO: Le regioni meridionali erano rimaste sotto il dominio bizantino che però nel tempo si era fatto
abbastanza lontano e inefficiente, teoricamente dopo l’anno Mille, nell’Italia meridionale, c’era magistrature
con il nome di catepani, funzionari imperiali bizantini, questi non era in grado di garantire autorità regia, se
non in una parte ristretta dell’Italia Meridionale (Calabria e Puglia); altrove invece si erano affermate signorie
locali. Vi erano anche ducati longobardi, a Capua Benevento e Salerno. Anche ordinamento monastico, con
Abbazia di Monte cassino e poi Sicilia era occupata dagli Arabi.

Alla luce di questo contesto, invasione dei Normanni nell’XI secolo (Normandia regione nord della Francia).
È certo che molti degli immigrati normanni erano nobili fuori legge in patria. Di questi non tutti erano
Normanni, pur essendo comunque Franchi.
Una signoria normanna ebbe come centro Aversa (vicino Caserta) e il titolare di questa signoria divenne conte
di Aversa. Si affermò su tutte le famiglie normanne, una, quella di Altavilla, il cui capostipite era Tancredi.
Un ruolo importante ebbero poi i suoi figli, tra questi Guglielmo (Braccio di Ferro) che ottenne anche lui il
titolo di conte.
Il titolo di conte nell’ordinamento germanico era una carica data dal basso e che rappresentava una carica
dell’ordinamento popolare-militare; anche i Normanni si stanziano con il metodo germanico, e questo titolo di
conte era appunto un titolo militare.
Il principe di Salerno, Guaimaro IV, gli concesse nel 1042, la contea di Melfi; lui però era già conte, allora il
Principe ripartì il territorio tra 12 capi militari normanni.
Importante conseguenza dell’espansione normanna, fu l’introduzione del diritto feudale: essendo il feudo
un istituto che si era diffuso nei territori che avevano fatto parte dell’Impero carolingio.
Nel 1059 venne concesso a un altro figlio di Tancredi, Roberto il Guiscardo, da parte del papa (sul libro dice
Leone ma è Niccolò II), il titolo di duca. Che c’entrava il papa? La nomina di duca è una concessione feudale
vassallatica, quindi il papa opera come signore feudale. A concederla era il papa (autorità universale), perché
si trattava di una legittimazione delle loro conquiste. Erano infatti terre che lo stesso duca (titolo che si era
attribuito quindi da solo) aveva già conquistato, quindi non era proprio una concessone, semmai una
legittimazione. Roberto il Guiscardo nel 1057 aveva iniziato a combattere nel 1077 aveva spazzato via
definitivamente il dominio bizantino dall’Italia Meridionale.
Un altro fratello, Ruggero I combatte gli Arabi in Sicilia, riuscendo a spazzare via anche questi (Noto è
l’ultimo baluardo musulmano).

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I vari fratelli avevano assunto la titolarità di vari territori: diversi Principati e separati. Fino a che Ruggero II,
figlio del I, riuscì a costituire un unico dominio sul quale gli venne riconosciute il titolo di re nel 1130. Nel
1130 la notte di Natale, venne incoronato dall’arcivescovo di Palermo re di Sicilia. Innocenzo II nel 1139
confermò questa carica.

Accanto alla carica regia, vi fu un’altra concessione importane fatta ancora prima, infatti nel 1098, il papa
Urbano II concesse al conte Ruggero I e a suo figlio la legazia apostolica (legato apostolico era un incarico
dato esclusivamente ad ecclesiastici perché rappresentante del papa). Quindi è un caso nuovo, perché la
concessione è fatta ad un laico. Non sappiamo con esattezza se quella del papa sia stata modalità per
riconoscere uno stato di fatto o se in virtù delle grandi benemerenze di Ruggero agli occhi della chiesa
(sconfitto l’Islam) aveva giustificato la concessione di una tale carica; o se dieci anni prima vi sia stata la
nomina di un legato a un ecclesiastico che abbia portato però a conflitti con Ruggero.
La bolla con cui venne concessa questa legazia era stata smarrita e ritrovata poi solo intorno al 400. La
concessione stessa venne messa in discussione ad un certo punto, perché certamente non era stata fatta in modo
perpetuo ma limitata a Ruggero, invece questa concessione non venne mai meno e venne esercitata non solo
da Normanni, svevi, aragonesi, borboni… solo i Savoia nel 1871 con la legge delle guarentigie vi rinunciarono.
In effetti Ruggero I, si occupò di affari ecclesiastici.

Diverse modalità di conquista tra Italia meridionale e Sicilia diversità sugli ordinamenti.
• Nella parte peninsulare la concessione delle terre riguardò non solo il conte, ma pluralità di capi
normanni. La funzione del conte e del duca era poi quella di coordinare tutte queste strutture dando un
senso comune al loro intervento. Quindi sono un signore territoriale ma tra tanti.
• Nella parte insulare, invece, man mano che i Normanni avanzano da Est verso Ovest, Ruggero, in ogni
parte conquistata, tiene per sè la maggior parte dei domini conquistati. Al termine della conquista, quindi,
dappertutto egli è non solo autorità superiore, ma anche principale signore fondiario in ogni zona. Questo
avviene tramite la costruzione di castelli e la divisione delle terre tra i vincitori che rispettava questo
principio: lasciare la parte maggiore delle terre a Ruggero. Quindi in Sicilia, maggior compattezza.
Dopo il 1030 Ruggero II cercò di estendere questa compattezza anche al resto dell’Italia Meridionale.

Ruggero II emanò anche un corpo di leggi che rappresenta una novità nel panorama della legislazione
medievale. Nel 1140 ad Ariano, egli in una assemblea o assise emana “le Assise di Ariano”. Queste sono circa
40 leggi che rappresentano novità: la prima volta che un sovrano promulga delle leggi non per precisare
consuetudini già vigente, ma per modificare il diritto vigente nel regno.
Da questo punto di vista, sono una novità rispetto ai vari complessi normativi medievali che quasi sempre
erano raccolte di consuetudini vigenti messe per iscritto, che sì voleva dire precisare e modificare, ma pur
sempre lavorare su un materiale già esistente. Invece nel caso delle Assise è il sovrano che promulga delle
leggi ex novo per modificare il diritto previgente.
All’interno del Proemio, egli afferma di intervenire per fare giustizia.
Egli agisce in primo luogo sulle consuetudini: vengono eliminate tutte quelle inique e superate. Nel “De legum
interpretatione” tutte quelle che contrastavano “manifestissime” con le leggi regie. Il riferimento al diritto
romano non è solo quello giustinianeo, ma soprattutto al diritto bizantino.

Nuova gerarchia:
Prima si applicano le leggi regie
Poi le consuetudini locali
Poi le due leggi: romana e longobarda (bizantino e longobardo) non c’è ancora concezione del diritto comune
così come l’aveva teorizzata Calasso.

Sotto Gugliemo II, viene redatto il “catalogus baronum” registro in cui si elencano tutte le signorie dell’Italia
meridionale, distinti tra tenentes in capite (vassalli diretti del re) i tenentes in servizio (i vassalli dei vassalli).
Questo dimostra che in Sicilia vi era una vera e propria piramide feudale (non ci stupisce perché lo si ritrova
in Inghilterra) usata dal re normanno per controllare la composizione delle signorie territoriale che formavano
il regno.

Quando muore Guglielmo II, senza eredi, finisce il regno normanno (varie vicende che porteranno a dinastia
sveva Federico II).

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Lezione 18

Diversa entità dello sviluppo tra Italia meridionale e centro-settentrionale: si pensava che le meridionali
avessero avuto sviluppo inferiore, anche proprio da un punto di vista economico. Alleanza tra monarchia
normanna e compagnie settentrionali avrebbe costituito un freno economico per il meridione: secondo alcuni
era questa l’origine della discrepanza. Questa lettura non può essere accettata: la monarchia medievale non era
tale da condizionare l’economia e perché l’economia dipendeva anche dall’interna produzione agraria.. Il fatto
di avere questi accordi era una circostanza abbastanza comune nei regni europei, ma questo non influisce sullo
sviluppo dell’economia.
Quello che avvenne nell’Italia meridionale è l’affermazione di una monarchia particolarmente efficiente nello
svolgere le funzioni di autorità: nella tutela degli ordinamenti vigenti nel regno.
Cercarono alleanza e appoggio nella monarchia: forma di governo diversa le magistrature a capo della città
erano ricoperte da soggetti scelti dai cittadini ma nominate dal re.

• Ordinamento unitario inglese

Non andremo in ordine cronologico, ma esponiamo quelle che sono adesso le caratteristiche di Common Law.
Civil law (diritto codificato)
Common law

Quali sono le differenze fondamentali tra questi sistemi di diritti?


L’autore belga Raoul C.van Caenegem mette in confronto sei aree principali in cui a suo parere il common
e il civil law confliggono.

1) Common law non codificato


COMMON LAW
• Il common law inglese è ancora non codificato. Anche negli USA non lo è, però mentre in Inghilterra non
esiste nemmeno una Costituzione scritta (esiste ma non scritta); invece negli USA c’è una Costituzione
scritta che è stata anzi la prima costituzione scritta e precedente il codice civile francese del 1804.
• In Inghilterra esistono collezioni di leggi alcuni Acts del Parlamento che disciplinano specifici settori che
possono essere considerati codificazioni parziali (Sales Act e Married women’s Property Act)
• In diversi periodi, si tentò di giungere ad una codificazione del diritto penale (1878, 1980): nella maggior
parte dei casi non vi è pena prestabilita, ed è il giudice che basandosi caso per caso, decide la pena da
comminare al colpevole. È evidente che arrivare ad una codificazione vuol dire limitare l’azione del
giudice.
DIRITTO CONTINENTALE (codificato)
• Codificazione
• 1804 Code civil in Francia (con Napoleone si arrivò dopo lunga crisi finalmente alla codificazione non
solo del diritto civile, ma di tutti i rami del diritto; l’influenza del codice napoleonico prima, e poi
l’influenza austriaca del codice del 1811 portò ad un processo di codificazione in tutti i paesi europei nel
corso dell’800, fino al 1900 quando venne approvato il codice civile tedesco).

2) Diritto pubblico e diritto privato


DIRITTO CONTINENTALE
• Nel diritto romano vi era netta distinzione tra ius privatum, che si applicava ai rapporti fra cittadini, e ius
publicum, che si applicava allo Stato e ai suoi organi;
• Questa distinzione si perse all’inizio del Medioevo per poi riemergere quando il Corpus iuris fu riscoperto
e studiato a Bologna;
• Comunque, secondo la dottrina, il diritto privato rimase il diritto per antonomasia fino al XVIII sec. es.
diritto penale era considerato poco più che un elenco di crimi con le rispettive pene. Per un cambiamento
di mentalità bisognerà aspettare almeno il 700 e in particolare l’Illuminismo quando il diritto penale venne
studiato per portare alla luce altri problemi es. Cesare Beccaria.
COMMON LAW
• Nel common law questa distinzione non esiste

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• Il common law è ritenuto indivisibile e si applica sia agli organi di governo che ai cittadini
• Non esistono tribunali amministrativi separati per gli illeciti dell’amministrazione e corti ordinarie per la
cittadinanza.
3) Prestigio dei giudici inglesi
DIRITTO CONINENTALE
• Nel continente, i tribunali sono privi di individualità ed i giudici sono stati descritti come persone fungibili
tra di loro. Possono essere sostituiti, ma non hanno un ruolo personale. Anche se, se guardiamo alla storia
recente, vi sono stati alcuni cambiamenti e situazioni di avvicinamento riguardante non tanto i giudici
quanto i pubblici ministeri (ne conosciamo i nomi) soprattutto nel periodo di Mani Pulite. Qui l’evoluzione
dell’ordinamento spetta al legislatore.
COMMON LAW
• I giudici di common law rivestono un ruolo molto personale, i loro nomi sono noti al pubblico e le loro
‘opinioni dissenzienti’ vengono messe per iscritte, pubblicate e discusse. Può accadere che un’opinione
minoritaria in una certa fase storica possa poi con il tempo affermarsi e venire accolta. Qui l’evoluzione
dell’ordinamento è lasciata proprio ai giudici.
4) Prestigio del professore continentale
COMMON LAW:
• Nei paesi di common law i giudici sono gli oracoli del diritto
• In Inghilterra alla metà del XIX secolo non vi era un insegnamento organizzato del diritto inglese: non
c’erano facoltà di diritto. Manca insegnamento del common law. Non era necessario studiare diritto per
poi svolgere professione di giudice e di avvocato: era una sapienza che si acquisiva con la pratica. Oxford
creò una scuola di giurisprudenza e storia moderna nel 1850, poi un’autonoma Scuola di giurisprudenza
nel 1871
DIRITTO CONTINENTALE
• Nei paesi di civil law i creatori di diritto sono stati per secoli i giuristi dotto guidati da professori delle
facoltà di giurisprudenza
• In Germania prassi dell’ Aktenversendung: un tribunale che doveva fronteggiare una complessa
questione giuridica consultava i professori di una scuola di diritto e riceveva da loro un’opinione
vincolante.
5) Processo accusatorio e processo inquisitorio
DIRITTO CONTINENTALE
• Sotto l’influenza del processo romano-canonico (XII sec., basato essenzialmente sul processo
inquisitorio), il ruolo del giudice divenne più rilevante, prima nei tribunali ecclesiastici, poi anche in quelli
laici. Il giudice protagonista sia della fase di inquisitio, sia del giudizio vero e proprio.
• Il giudice interviene attivamente ex officio per scoprire la verità.
COMMON LAW
• Il processo non è inquisitorio ma accusatorio che considera il giudizio come un dibattimento orale tra le
parti ed è condotto da loro.
• Il giudice è un arbitro che garantisce la correttezza del procedimento in generale ma non prende iniziative.
Salvo alcune eccezioni previste con il tempo.
6) Diritto sostanziale e procedura
DIRITTO CONTINENTALE
• Nei paesi di civil law netta distinzione fra norme sostanziali e forme processuali
• I romani non avevano mai visto la procedura come una branca del diritto separata. In questo semmai
era più simile al Common Law (actiones)
• Lo studio della procedura come disciplina autonoma cominciò nel XII sec (processo romano-canonico,
ordines iudiciarii operette scritte da giuristi medievali, dove cercavano all’interno del Corpus quelle
norme di contenuto di procedura e le misero insieme in queste raccolte che però rimasero basilari.
Solo nel XIII sec. Gugliemo Durante scrisse e si occupò, professore e giudice, di procedura.
COMMON LAW
• Storicamente nel common law (così come nel diritto romano classico) procedura e diritto sostanziale
erano inseparabili.
• Il ricorrente poteva scegliere fra un determinato numero di writs (=breve) quello più adatto e ciò
deteriminava l’evoluzione della causa nelle sue forme (ogni writ era diverso dall’altro). Questo sistema
dei writs inizia proprio tra l’XI e il XII sec.

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• Questo sistema dei writs continuò a dominare nel diritto inglese fino al XIX sec. fino a quando nel
1852-1854 Common law Procedure Acts.

Facciamo ora dei grandi passi indietro.

Tractatus de legibus et consuetudinibus regni Anglie, composto tra 1187 e 1189 da Ranulf de Glanfill. ci dà
un primo quadro scritto del common law.
Dal 1066 ha inizio con Guglielmo un regno normanno, diverso da quello Siciliano, in comune hanno due
novità:
- i sovrani riescono a svolgere la loro potestà unitaria in maniera particolarmente efficiente, riuscirono a
riservarsi una quota importante di terre;
- la rilevanza dell’ordinamento feudale.
Quando scrive Ranulf la situazione è diversa : a causa dei matrimoni tra anglosassoni e normanni, le due etnie
si erano ormai fuse e le loro consuetudini non erano più separate common law
Cos’era il common law: l’ordinamento consuetudinario di tutti i liberi facenti parte della comunità
inglese. Era un diritto comune, ma non unico, dato che affiancato da vari ordinamenti: signorile, cittadino
feudale, ecclesiastico.
(in inglese “civil law” fa riferimento al diritto romano).

Nella prima metà del XII sec. tra il 1110 e il 1135 vi è sul trono il re Enrico I. Durante il suo regno vengono
promulgate le “Leges Henrici I” che erano consuetudini: emerge una prerogativa regia, il suo intervento nella
giustizia:
- per i reati più gravi (es. omicidio, incendio ecc)
-anche quei reati che andavano contro la persona del re e la sua famiglia
- reati che andavano contro i beni demaniali del demanio regio
In più, anche al di fuori di questi casi, il suddito può rivolgersi alla giustizia regia (caso di delegata giustizia)
se non è riuscito ad avere giustizia dalla corte competente, tramite i writs. Due tipi di writs:
1. Writs esecutivi per ottenere la restituzione dei beni
2. Writs of rights (Breve de recto): legato ai casi di delegata giustizia

Vennero poi istituiti dei giudici regi, sia stabili sia itineranti, che dovevano occuparsi dei casi spettanti alal
giustizia regia.

Ne 1154 sale al trono il nipote, Enrico II, proprio nel suo regno, seconda metà del II secolo, si cominciarono a
definire i casi di common law. I primi 5 casi hanno in comune la tutela del possesso fondiario:
1. Utrum (Assise di Clarendon 1164): riguardava il problema se una terra fosse un beneficio ecclesiastico
oppure un feudo laico.
2. Novel disseisin (Assise di Clarendon 1166): vuol dire “nuovo spossessamento”, che si presume
illecito. Il libero suddito, possessore di una terra avuta in concessione da signore fondiario, se signore
fondiario gliela toglie in maniera illegittima, il libero può rivolgersi alla giustizia regia. È una novità
perché queste controversie interne alla signoria fondiaria spettavano alla corte signorile. Ricorre al
sovrano, riceve un writ, che viene inviato allo sceriffo della contea. Lo sceriffo riunisce una giuria di
12 uomini liberi, i quali hanno il compito di stabilire se le pretese del ricorrente sono fondante o no.
Se lo sono, il ricorrente viene reimmesso nel possesso della sua terra. Un’altra novità di questa
procedura è che tutto avviene tramite svolgimento di una inquisitio e non applicando procedure
ordaliche ancora utilizzate.
3. Mort d’ancestor (Accise di Northampton 1176): la stessa tutela si dà anche all’erede di una terra, figlio
di un uomo che aveva avuto in concessione la terra, e poi l’erede se ne vede privato in maniera
illegittima.
4. Darrein presentment
5. Praecipe

Il significato di questa tutela fornita dal re ai sudditi tramite giustizia regia non è quello di esautorare
gli ordinamenti particolari, ma di garantirne il corretto funzionamento. Infatti, dopo la pronuncia
della giuria, veniva ordinato infatti poi alla corte competente di emanare la sentenza sul caso.

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Decisione più generale consentito a tutti. Nel 1179 Assise di Windsor: un libero possessore di beni
allodiali poteva rifiutare di difendersi con la procedura ordalica davanti a una corte popolare e scegliere
una corte regia.
Lo statuto di Westiminster del 1285 precisò in modo formale i writs in vigore detti (de curso) e tentò di
frenare, senza però riuscirci, la definizione di nuovi casi. (statute= decisione del Parlamento, e non statuo)

Tra il XII e il XIII sec. dalla indistinta Curia regis di origine normanna nascono 3 corti centrali di giustizia:
1. Corte dello Scacchiere: già si andava formando con Enrico I. Competente soprattutto in materia
fiscale (gli sceriffi dovevano al sovrano una somma corrispondente alle entrate dei benefici regi e poi
in due occasioni dovevano presentare alla Corte e pagare quanto dovuto, questi pagamenti avvenivano
su un tavolo ricoperto da tovaglia a scacchi, serviva a calcolare tipo abaco) ma anche, dalla fine del
XII sec., sui casi di common law.
2. Corte del King’s Bench: che seguiva il monarca nei suoi spostamenti e giudicava alla sua presenza.
Si parla di spostamenti perché i sovrani inglesi, da parte paterna Enrico II aveva ereditato enormi
possedimenti su territorio francese, quindi si viaggiava spesso tra questi due territori. Questa corte
giudicava alla presenza del re.
3. Corte dei Common Pleas: a differenza della precedente, era una corte stabile alla quale soprattutto si
deve l’affermazione del common law.

Il common law si impose in virtù dell’originale sviluppo giurisprudenziale impresso al diritto dalle corti di
giustizia del sovrano, corti le cui sentenze erano intese come atto enunciativo di una preesistente
consuetudine.

Lezione 19

Parliamo del Regno di Sicilia

il regno normanno alla fine del XII secolo si conclude con la morte di Guglielmo II Il regno diviene
oggetto di contesa tra Costanza di Altavilla, figlia di Ruggero II, e Tancredi, suo nipote. Vi è unione nella
figura del sovrano tra Sacro Romano Impero e Regno di Sicilia. Una volta conquistato e ottenuto il Regno di
Sicilia, Enrico VI muore e poco dopo anche Costanza. Lasciano un erede che è Federico II, fatto incoronare re
di Sicilia da bambino, viene affidato alla tutela del papa che è Innocenzo III. Questo rafforza dominio feudale
della Santa sede ma indebolisce il regno che per più di 10 anni si trova senza una guida sicura, si apre spazio
per gli ordinamenti locali.
Intanto Federico II a 14 anni diviene maggiorenne e nel 1212 diviene re di Germania, torna in Italia e nel 1220
viene incoronato Imperatore. Dopodiché scende in Italia meridionale e inizia un Regno.
Dobbiamo distinguere infatti Federico II:
- come Imperatore
- come Re di Sicilia.

Il suo regno ha ricevuto giudizi diversi:


- alcuni l’hanno qualificato con termini entusiastici come stupore del mondo.
- altri l’hanno identificato con l’anticristo con il diavolo (per il fatto che a un certo punto entrò in rotta di
collisione con la Chiesa.

La storiografia ha esaltato le novità del regno di Federico II natura innovativa delle sue leggi. Questa tesi
ha radici risalenti:
- sia al ‘700 (illuminismo) in cui vi era stata un’esaltazione della monarchia sveva e normanna messa a
confronto con quella che era la situazione del regno borbonico del tempo. Autori illuministici del 700
presentavano ai borboni come un esempio da seguire.
- sia nell’800 in cui si era affermato lo Stato di diritto, che considerava la legge come unica fonte di diritto. Si
diceva che Federico II era stato in grado di accentrare il potere legislativo nelle sue mani.

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Invece, di recente, una biografia di Federico II di Davide Abulafia, storico inglese che ha scritto “Federico II,
un imperatore medievale”. Questo testo è stato tradotto in Italia nel 1990.
Questo libro ha proposto un’interpretazione diversa rispetto a quella dominante fino a quel momento, cercando
di smitizzare il personaggio: non precursore di idee ma come un sovrano medievale, che cercò di dare risposte
ai problemi del suo tempo.
A Capua nel 1220 tiene un’assemblea generale in cui approva alcune costituzioni regie, che prendono il nome
di Assise di Capua. Riafferma le prerogative regie per una serie di diritti reali. L’intento è quello di restaurare
l’ordinamento normanno ed eliminare tutti gli usi contrari a questo.

1° intervento riorganizzazione degli Uffici.


Federico II si dedica a organizzare in modo efficace i suoi funzionari regi:
- grande camerario, guida finanziaria del regno
- corte di controllo contabile, magistri rationales
Vi era un’imposta generale che predeva il nome di collecta, e un’altra della adhoa (che di fatto era lo
scutagium).

Ambito della Difesa militare: costruisce una serie di castelli che gli consentono di controllare il territorio (es.
Castel del Monte)

Ambito della Giustizia: la caratteristica di Federico II è quella di essere in grado di esercitare funzioni di
signoria territoriale in ogni regione del suo regno. La funzione principale è proprio quella di tutelare la
giustizia, ossia sia svolgere funzioni di giudice sia di emanare delle norme giuridiche.
Egli promulga il “Liber Augustalis” (egli era infatti un imperatore) ma non viene emanato per l’impero, ma
soltanto per il regno di Sicilia quindi egli dice che il Liber non vale per tutti i suoi domini ma solo per il Regno
di Sicilia, nonostante il nome. Perché è quella parte delle terre che sembra avere il maggior bisogno di
intervento circa la giustizia, a causa delle turbolenze durante la sua maggiore età (come dice nel proemio)

Nel Proemio importanza della giustizia regia. Dice che è stato Dio stesso ad avere dato al sovrano il compito
di tutelare il diritto vigente nel territorio del Regno e per fare ciò ha anche la potestà di sostituire usi superati
con regole eque. Vengono abrogate non solo le leggi, ma anche le consuetudini in contrato con le costituzioni
regie emanate con Federico II.
- Se ci ricordiamo quanto detto quando abbiamo parlato delle Assise di Ariano, anche lì c’era una norma
emanata da Ruggero II, che disponeva che gli usi restavano in vigore se non in “manifestissime” in contrasto,
cambia solo il modo in cui il concetto viene esposto ma non tanto il contenuto.
- La promulgazione di norme nuove (Liber Augustalis) e l’eliminazione di antichi usi sono proprio parte
integrante dell’autorità giudiziaria del sovrano medievale, non è una novità
Non è matrice accentratrice, assolutista di stampo moderno, ma concretizza dei doveri del sovrano
medievale (no principio di separazione dei poteri che non apparteneva a concezione medievale della
sovranità).

Contenuto della legislazione:


- Definizione di un settore di giustizia riservato esclusivamente al sovrano, in particolare per
quanto riguarda il diritto penale in passato era stata enucleata una lista di reati rilevanti sotto
profilo dell’ordine pubblico sia per mantenimento della pace la competenza veniva sottratta a
ordinamenti particolari e riservata a corti regie. Con Federico II vengono incluse anche alcune
fattispecie di competenza delle corti ecclesiastiche e regolate dal diritto canonico. I giudici regi
amministravano anche la giustizia civile (parallelismo con Inghilterra procedura inquisitoria e
viene abbandonata a procedura ordalica).
Chi è preposto all’amministrazione della giustizia? Ruolo dei giustizieri viene confermato e
viene messo a capo il gran giustiziere. Nelle città competenza spettava ai baiuli che operavano
insieme ai giudici cittadini. Giustizia regia arrivava in tutte le province del regno
- Consuetudini mantenute se non in contrasto con leggi regie.
Su questo aspetto c’è una costituzione che ha avuta grande celebrità per l’interpretazione che ne
ha dato la storiografia (anche se ci sono state evoluzioni) costituzione puritatem: oggetto di
studio perché contiene la gerarchia delle fonti che giudici regi erano tenuti ad applicare:
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secondo le nostre costituzioni regie, in mancanza secondo le consuetudini approvate e infine
secondo iura communia/diritti comuni. Ma quali erano gli iura communia? “Longobardorum
et romanorum” diritto longobardo e diritto romano. Secondo questo testo il diritto longobardo
e quello romano andavano applicati secondo il principio di personalità del diritto (qualitas
litiganti).
Essa fa vedere che la gerarchia delle fonti di Calasso non funzionava nell’Italia meridionale
(avrebbe dovuto essere consuetudini-leggi regie-diritto comune) qui diritto regio è diritto
immediatamente vigente.
Calasso si è posto un altro problema: definizione di iura communia legata a diritto romano e
longobardo e non canonico inammissibile per vari motivi:
1. perché secondo Calasso in ogni ordinamento ci possono essere molti diritti speciali ma un
solo diritto comune la convivenza del diritto romano e canonico è ammissibile perché
erano distinte le materie (temporali e spirituali); questo non era possibile per longobardo e
romano.
2. In più questo riferimento alla qualitas litiganti non può essere ammesso nel 1200. Quindi
Calasso risolse il problema: riferimento alla qualitas era riferimento che riguardava
l’applicazione del diritto longobardo ma non come diritto comune bensì come diritto
territoriale il termine “iura communia” è usato qui atecnicamente.
Questa norma smentisce la vigenza del sistema del diritto comune in Italia meridionale. si deve
ricordare che effettivamente il diritto longobardo continuò ad essere vigente (ma era molto
trasformato rispetto al passato) si formano i domini di Benevento e Salerno che rimangono
separati dal nucleo del regno e sopravvivono alla fine del regno longobardo e sono all’origine
della diffusione delle norme longobarde in Italia meridionale ancora vigente nel 200 per
materia delle successione feudali regolate da diritto longobardo non a causa della persona ma
a causa della cosa.
È stata fatta nel 1996 in Germania un’edizione critica del Liber augustalis da parte di Sturnet
dove è stato dimostrato che questo passaggio non era contenuto nel testo originario di questa
costituzione ma venne inserito nel testo successivamente.
Dopo la promulgazione del 1231 il Liber, infatti, ha subito dei cambiamenti: vennero inserite
norme successive di Federico II e ci sono stati inserimenti successivi allo stesso Federico II.
Sturner ha ipotizzato che questo inserimento sia del 1246. In realtà Cortese non è convinto di
questa datazione perché successivamente del testo è stata fatta una glossa ordinaria da Marino
da Caramanico. La glossa venne compila tra 1278 e 1285 non vi è il riferimento al passaggio
in esame e questo è strano. Secondo cortese interpolazione, quindi, è successiva alla glossa
ordinaria risalirebbe alla fine del 200.
Andrea Bonello si occupa del liber scrive opera su differenze tra diritto romano e diritto
longobardo quando parla del rapporto tra i due definisce il diritto longobardo come diritto
speciale che deroga a quello romano.
Questo passo non è attribuibile a Federico II ma è successivo (fine del 200) riferimento a
vigenza del diritto longobardo che vi era nell’Italia meridionale. L’importanza della norma è
nel ribadire che le costituzione regie si applicano in prima battuta e non sono sussidiarie
rispetto a consuetudini.
- Altri campi di intervento del Liber augustalis ordinamento feudale (disciplina aspetti su
successione dei feudi), municipale (Federico II abroga forme di governo cittadino che si erano
affermate nel periodo di lontananza del regno simili a quelli dell’Italia settentrionale. Elimina
ogni tentativo di governo autonomo in ogni città soltanto il baiulo di nomina regia anche se
scelto dai cittadini), ecclesiastico.
Il regno di Federico II appartiene in tutto e per tutto al periodo medievale ma particolare
capacità di svolgere aspetti rientranti nella sua potestà unitaria (dotandosi di strumenti fiscali
efficienti).

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Convocazione due volte l’anno di un assemblea che riuniva sia città demaniali sia grandi signori sia
dignitari ecclesiastici, con duplice funzione:
- Esaminare lamentele avanzate dai rappresentati contro abusi di funzionari regi
- Prestare il consenso a esazione della “collecta” imposta che comporta una violazione delle
libertà tradizionali richiedeva approvazione dei soggetti sui quali gravava.
Fondazione Università di Napoli: nasce come università di professori, si studiava il diritto romano
giustinianeo (fino al 1200 il diritto insegnato era il diritto bizantino). C’è contraddizione: nello
studium si studiava il diritto romano giustinianeo però non si insegna il diritto regio (di grande
importanza) influisce sulle fortune dello studium.
Fase di contrasto tra Federico II e città tra cui Bologna instaurazione dell’università a Napoli come
segno di rottura.
In una prima fase quest’università non ebbe grande fortuna insegnamento del diritto regio e del
diritto longobardo (conosce una vivacità nell’Italia meridionale) fuori dalle università (era una
necessità pratica).
Carlo di Tocco: seconda metà del XII secolo. Studia a Piacenza quando torna nell’Italia meridionale
scrive un apparato di glosse alla Lombarda nel quale utilizza principi romanistici poteva essere
utile per tribunali e forse per scuola di diritto longobardo.
Andrea Bonello la sua opera era dedicata agli studenti napoletani (riguardava la differenza tra diritto
romano e longobardo). Inizia tradizione del genere delle differenze.
Questo non vuol dire che studio del diritto romano non avesse importanza diritto romano come
fonte di principi giuridici e di logica giuridica che consentiva di interpretare norme di altri
ordinamenti.

Lezione 20

L’ordinamento di Federico II dapprima continua con i figli, poi però cambia in alcuni aspetti con la conquista
del regno da parte degli Angioini, nel 1266. Il sovrano diviene Carlo I d’Angiò e inizialmente anche il re
angioino conserva la stessa organizzazione degli uffici regi che era stata stabilita dei tempi di Federico II:
tuttavia alcuni incarichi delle province vengono affidati a nobili francesi e poi anche alcuni importanti baroni
titolari di signorie e feudi vengono sostituiti da nobili francesi.
Ciò che caratterizza questo periodo è la continua richiesta della collecta, senza assenso dei partecipanti alle
assemblee. Federico II aveva introdotto un tipo nel 1234 di assemblea, nella quale, riunita 2 volte all’anno, tra
le altre cose si dava anche approvazione alla richiesta di questa colletta. Questa consuetudine venne violata da
Carlo I, perché cominciarono a chiedere la collecta senza riunire queste assemblee generali: provocò
scontento fino al 1282 alla rivolta dei “vespri siciliani” che comportò la cacciata della dinastia angioina dal
trono siciliano, perché incapace di svolgere i compiti di un sovrano (tutela giustizia e ordinamenti).
2 conseguenze:
• Al suo posto viene chiamato Pietro III d’Aragona (cambio dinastia)
• Si spezza unità del regno fondata dai normanni. In Sicilia, altra dinastia quella degli aragonesi; nella zona
continentale ancora gli angioini. Il trattato di Caltabellotta sancì in via definitiva la separazione (citra
Farum e ultra Farum).

Nel regno citra Farum (zona peninsulare) vi fu un’evoluzione dell’ordinamento del regno verso una maggiore
potestà degli ordinamenti particolari. Nel 1283 vennero emanati i Capitoli di S. Martino, che :
- riconobbero alla Chiesa e ai signori laici delle potestà più estese rispetto all’ordinamento normanno-svevo.
Per quanto riguarda ordinamento feudale, con gli angioini, il controllo della monarchia sui vassalli si allenta
di molto:
- ai signori feudali viene dato il diritto di esigere un sussidio straordinario in caso di necessità dai vassalli;
- giudicati soltanto da corte composta da signori di pari grado
- ridotto servizio militare che i signori feudali che dovevano al re
- viene ridotto l’ambito della prerogativa penale riservata al sovrano (soltanto reati di sangue) mentre gli altri
reati passano alla competenza di giudici signorili. (grande novità rispetto all’ordinamento svevo)

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Nel 1285, vi fu un altro provvedimento, stavolta non del re ma del papa, una “Costitutio super ordinationis
regni siciliae” papale, che si spiega perché in quel momento Onorio III era reggente per il figlio di Carlo I,
Carlo II, che era prigioniero.

Nel periodo angioino si applica anche alle città meridionali la forma di governo diarchica
rappresentante del re e magistrati eletti dalla comunità. Questa forma sarebbe stata più rispettosa delle
autonomie cittadine.
Nello stesso periodo cominciano ad essere approvati nelle città del meridione testi degli statuti
(fenomeno successivo rispetto Italia settentrionale). Perché avviene in questo momento? La redazione
degli statuti diventa importante in un periodo in cui le consuetudini locali erano minacciate dalla
crescente influenza dei grandi signori limitrofi alle città.
Ancora nel 300 c’è l’espansione degli ordinamenti signorili ed ecclesiastici, rinuncia della monarchia
ad esercitare alcune competenze giurisdizionali.
Cessazione delle corti provinciali la monarchia non è più in grado a far funzionare corti competenti
per città spazio a corti dei signori.
Si diffondono invece altre corti di giustizia centralizzate che si formano nella capitale del regno e
agiscono e funzionano presso il sovrano avranno importanza nel corso dell’età moderna
(acquisiranno delle nuove competenze). A Napoli ricordiamo la Magna regia curia della Vicaria
(istituita in momento in cui il sovrano si era allontanato dal regno e aveva lasciato il figlio come
vicario) e la Magna curia regia.
Una tendenza simile al regno angioino la riscontriamo nel regno aragonese/ultra farum: gli spagnoli
portano al loro seguito grandi signori spagnoli cui la monarchia fa grandi concessioni sia dal punto
di vista territoriale sia dal punto di vista dell’amministrazione della giustizia.
[Conquista del regno siciliano da parte di Ruggero conservava territori in ogni area dell’isola]
Questo rapporto di domini regi e domini signorili si va rovesciando diminuisce demanio regio. Nel
1286 il capitolo Volentes di Federico III elimina l’assenso regio alla vendita dei benefici feudali (era
elemento importante perché consentiva al re di controllare l’ordinamento feudale). Accentua il
processo di patrimonializzazione del feudo i feudi divennero patrimoni che potevano essere
liberamenti ceduti. Anche in questo vi è un rovesciamento della politica dei sovrani normanni.
All’interno del territorio siciliano si formano grandi contee di fatto immuni dalla potestà regia che
finirono per occupare il territorio.
Lo stesso atteggiamento ha la monarchia nei confronti dell’ordinamento ecclesiastico.
Nel 1296 Federico III dispone che ogni anno si riunisca assemblea generale (“Parlamento”)
composta da alti dignitari del regno, rappresentanti di città con la funzione di prendere decisioni su
problemi del regno. Tuttavia, esso era diverso dall’assemblea istituita da Federico II sia dal
Parlamento inglese non costituisce una corte di giustizia regia (≠quello inglese), non si possono
presentare delle lagnanze ma rappresenta il tentativo dei nobili e del clero di partecipare attivamente
alla politica del re. Venne diviso in tre bracci che a differenza delle camere del parlamento francese
non costituivano delle corti di giustizia nobiltà, clero e città demaniali.
Questa divisione che avviene nel medioevo rimane fino all’età moderna, solo nel 1734 quando
finiscono nelle mani della dinastia dei Borboni verranno unificati (Regno delle due Sicilie) non dal
punto di vista istituzionale ma semplicemente perché riuniti sotto la stessa dinastia.

FRANCIA

È importante perché le caratteristiche di questo regno avranno influenza poi per portare agli inizi dell’800 alla
codificazione francese. Fu il primo paese ad abrogare il diritto previgente nelle materie che fecero parte del
primo codice civile deve risolvere il problema della divisione giuridica del suo territorio

Passo indietro al XII sec.

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A differenza degli ordinamenti monarchici inglese e Italia meridionale, il re di Francia è sovrano per almeno
un secolo debole.
Agni inizi del XII sec. la carica era ancora elettiva ma veniva attribuita regolarmente alla dinastia dei capetingi.
Quando si parlava di regnum francae si faceva riferimento a una zona limitata (Ile de France).
La corte regia aveva potestà giurisdizionali limitate.

Tra la fine del XII sec. e primi decenni del XIV sec. cambiano le cose, in vari campi:
- da un punto di visto economico, è un periodo di espansione. Anche in Francia, assistiamo a evoluzione della
signoria fondiaria. Vi fu modifica della divisione interna delle terre della signoria fondiaria e una riduzione
della pars dominica e un aumento dei mansi (e riduzione delle corvèes).
- allo stesso tempo si affermano anche altri istituti nati per consuetudini diversi dalla signoria fondiaria, come
le censive (sansiv) che sono concessioni agrarie precarie, ma diverse dal feudo, perché non prevedevano il
rapporto personale e di vassallaggio e avvenivano in cambio del pagamento di un censo.
- tendenza dei maggiori signori fondiari ad ampliare la loro potestà bannale

In Francia, vi era la presenza di grandi principati che avevano estensione ampia, i cui titolari erano spesso più
potenti dello stesso re di Francia.
Inoltre, in questo periodo, l’ordinamento feudale era diffuso, però a differenza del regno di sicilia e inglese,
qui non divenne mai uno strumento utilizzato dal sovrano per governare: rimane disciplina dei rapporti tra
signori fondiari.

Si verifica in questo periodo diffusione anche del diritto romano.

Cartografo Henri Klimrach: primo ad aver fatto cartografia della Francia che distingueva paesi di diritto
scritto (parte marroncina, sud) e paesi di diritto consuetudinario (parte bianca, nord)
Nella parte marrone, radici fondati dal diritto romano non era il diritto giustinianeo, ma il diritto teodosiano
passato attraverso la lex romana visigotorum. In queste regioni, la prassi comincia a recepire anche
l’inquadramento che la dottrina bolognese comincia a fare basato sul diritto giustinianeo.
Invece, nelle altre regioni (bianca) non c’era tradizione di diritto romano, la tradizione romanistica precedente
era stata cancellata e sostituita dalle consuetudini.

Nelle regioni di diritto scritto, il diritto è sempre basato sulle consuetudini, la differenza è che queste si basano
sulla prassi romanistica.
Ecco perché nella prassi meridionale si formarono presto delle scuole di diritto romano (Piacentino vi fondò
scuola a Montpellier).
Lo studio del diritto romano serviva ad inquadrare la prassi giuridica in categorie ben definite desunte dal
diritto romano: questo era quindi possibile perché consuetudini erano di radice romanistica.
NB: Abbiamo però visto che a Bologna vennero anche però studenti delle regioni della Francia settentrionale,
perché comunque serviva utilizzare il diritto romano perché dava categorie esegetiche ben definite.

Le consuetudini erano comuni soltanto a livello regionale.

Nel 1235 Gregorio IX autorizza l’insegnamento del diritto romano a Orlèans Scuola di Orlèans. Mentre
Tolosa era zona di diritto scritto, Orlèans si trovava in un territorio di diritto consuetudinario. Nonostante ciò
questa Università ebbe particolare fortuna.
Nomi dei principali esponenti di questa scuola:
- Jacques de Revigny
- Pierre de Belleperche
Questo insegnamento del diritto romano ad Orlèans aveva diversi significati: uno era formare dei funzionari
regi che potessero essere impiegati nell’amministrazione del Regno.
Questa scuola non poteva inquadrare il diritto locale, di tradizione germanica, né servì a superare quest’ultima,
ma a offrire degli strumenti di letture, delle categorie, che servivano a comprendere le consuetudini locali.

Sorge problema: droit commun problema di individuare diritto comune francese


Nel 500 i giuristi danno risposte diverse:
- alcuni parlano di principi generali tratti dalle consuetudini francesi, però vago

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- altri fanno riferimento alla consuetudine di Parigi, si dice che siccome questa è vigente in un territorio vasto
come quello dell’Ile de France e sottoposta di tribunale prestigioso, allora questa potrebbe secondo alcuni
giuristi svolgere questo ruolo di diritto comune francese.

Bisogna dire che c’è una resistenza della monarchia francese verso l’accettazione del diritto romano come
comune. Nel 1312 Fillipo il Bello dice in un’ordinanza “regnum nostrum consuetudine moribusque praecipue,
non iure scripto regitur” Il regno si regge sulle consuetudini e sugli usi, non sul diritto scritto.
Il diritto romano non è vigente nel regno di Francia in quanto tale, è vero che al sud i sudditi osservano uno
ius scritto, ma il re vede il diritto romano perchè permesso dal re come consuetudine locale e non come autorità
di un testo scritto.
Non è vigente di pe sè, ma lo sono le consuetudini che sono nate prendendolo a modello.

il diritto romano in francia si può studiare (Tranne che a Parigi) ma perché serve ad acquisire una raffinata
tecnica giuridica e ad apprendere principi di equità e di giustizia. Il diritto romano può ricevere applicazione
non ratione imperi, sed imperio rationis- non a causa dell’impero ma per il comando della ragione.

Questo non vuol dire che il droit commun non fosse familiare in Francia (con ruolo sussidiario, non unico
ecc.), ma non viene identificato con il diritto romano come in Italia, ma si faceva scaturire o dalle consuetudini
o più tardi dal diritto regio.

Raccolte scritte di consuetudini locali. Sono raccolte privati e prendono il nome di “coutumiers”.
1. Très anciens coutumiers del Normandie, 1199 e1229, prima in latino poi in francesce
2. Grand coutumiers de Normandie, 1250, prima in latino poi in francese
Queste erano raccolte di consuetudini della Normandia
3. Les coutumes de Clermont en beauvaisi, regione di Beavè, sec. XIII, l’autore è Philippe de Beaumanoir.
In questa raccolta si parla di diritto comune francese tratto dai principi consuetudinari.

Nel 1454 con l’Ordinanza di Montils-les-Tours: Il re carlo VII ordina che tutte le consuetudini regionali
fossero messe per iscritto.
Bisognerà aspettare però 50 anni affinchè il re riprese questa iniziativa nel XVI sec.

Non vi fu però un programma simile nei paesi di diritto scritto, perché qui non vi fu esigenza il riferimento
era il Corpus Iuris.

Quindi si assiste a una inversione di situazioni: testi scritti al nord, e usi regionali comuni al sud.

Lezione 21

Riprendiamo discorso FRANCIA.


Citazione di Voltaire, tratta dal suo Dizionario Filosofico (XVIII sec), non facendo una descrizione storica,
dice: “si dice che ci sono 144 consuetudini in Francia che hanno forze di legge. Sono quasi tutte differenti. Un
uomo che viaggia qui cambia legge tanto quanto cambia i cavalli di posta. Non c’è alcuna consuetudine che
non abbia molti commentatori e tutti di pensiero diverso. Che Dio abbia pietà di noi.”
Voltaire usa tono critico e anche sarcastico della vigenza di numerose consuetudini.

Dalla fine del XII alla metà del XIV espansione dell’autorità regia che va di pari passo con espansione del
demanio regio. All’inizio era invece il re di Francia era un signore territoriale, debole a partire dalla fin
del XII sec, riesce ad espandere la sua autorità, in maniera differenziata nei vari territori.

Però mentre in Inghilterra e in Sicilia, i sovrani avevano delle signorie territoriali in maniera uniforme su tutto
il territorio, l’evoluzione fu diversa in Francia: le forme dell’espansione furono diverse, furono 3:

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1. in alcune regioni, il sovrano sostituì il signore territoriale precedente (es. Normandia).
2. In altre, dove non era riuscito ad esercitare autorità unitaria per la presenza di una dinastia principesca
potente sul territorio, vi fu legame personale tra re di Francia e principe, che poteva anche seguire
le regole feudali
3. Il caso dell’appannaggio: il re affidava il territorio recuperato a membri della sua famiglia e questo
andava a costituire una signoria, con durata limitata alla vita del concessionario o continuare per la
sua linea di successione maschile.
Soltanto nel 1. poteva svolgere autorità unitaria.

Per quanto riguarda modalità di gestione del patrimonio regio: anche in Francia si creò corte regia “curia in
compositis”, simile alla corte dello Scacchiere (ma competente solo per le terre demaniali gestite direttamente
dal sovrano e non su tutto il territorio).

Tra le novità di questa fase di espansione vi è anche la giustizia. Il fatto di avere buona gestione patrimoniale
poteva gestire in maniera efficiente anche giustizia si afferma procedura inquisitoriale (abbandonando
giudizio di Dio e ordalia). Prima solo nelle corti regie, poi con il re Luigi IX impose a tutte le corti di abolire
procedura ordalica tra il 1254 e il 1260.

Queste disposizioni di Luigi IX dicevano che in caso di denegata giustizia, le comunità potevano ricorrere alla
curia regis centrale, una corte che risiedeva stabilmente a Parigi (poi vennero creati anche anche altrove, ma
quello a Parigi rimase il più importane) e che nel corso del 200 cominciò ad essere designata con il termine di
Parlamentum (significato più generico rispetto a quello di oggi, è tribunale non assemblea legislativa né
riuniva le comunità o i grandi signori, ). Nel 300, con Filippo IV il Bello, il Parlamento acquistò una precisa
articolazione su 3 diverse Camere:
1. Grande Camera: competente per vari tipi di vertenze, nel penale per i reati maggiori, poi cause insorte
tra comunità e signori, o tra signori laici, o laici ed ecclesiastici. Tutte cause che vedevano contrapposti
ordinamenti particolari.
2. Camera delle inchieste: giudicava cause di rilievo minuto, ma aveva competenza limitate alle cause
di diritto consuetudinario. Mentre quelle basate sul diritto scritto (dir. romano) proposte da regioni di
Francia meridionale, venivano esaminate prima da un Uditore del diritto scritto poi dal 1306 venne
istituita una seconda Camera delle Inchieste.
3. Camera delle richieste: anche questa venne sdoppiata, ma in langue d’oc e d’oil, esaminava richieste
di giudizio dei ricorrenti che volevano adire la giustizia regia e che venivano quindi presentate al
Parlamento.

Membri di questo Parlamento non dovevano essere nobili o ecclesiastici, ma esperti di diritto il parlamento
acquista fisionomia caratteristica di tribunale competente di giustizia regia composto da esperti di diritto scelti
dal re. Il re esercitava tramite il parlamento la sua potestà di giustizia unitaria solo per il tramite di esponenti
da lui scelti, e non di ordinamenti particolari.

Le sentenze del Parlamento arrèts.


Avevano un’auctoritas simile alle ordinanze del sovrano.
• Arrèts de règlement tra le sentenze vi potevano essere alcune pronunce che non si limitavano a regolare
questione singola, ma questione più generale, con natura sostanzialmente legislativa (generale)
• Arrèts de principe fine a lungo dibattito giuridico e orientavano l’interpretazione di una regola
giuridica
• Interinazione: registrazione delle lettere patenti e delle ordinanze generali del re (doveva essere registrata
dai Parlamenti che dovevano inserirla nei registri, solo così l’ordinanza regia entrava in vigore potere
di rallentare l’entrata in vigore di queste norme, grande potere).

Quali sono i limiti della giustizia regia?


- il Parlamento di Parigi aveva limiti territoriali, non riguardava tutte le regioni che facevano capo all’autorità
unitaria del re di Francia, ma solo quelli che rientravano nella sua signora territoriale.

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- limiti di contenuto, non era stata definita una prerogativa regia (cosa che accadde invece sia in Inghilterra
sia in Sicilia). L’intervento del Parlamento aveva un carattere più generale, dipendeva dalla libera scelta dei
ricorrenti che potevano ritenere più utile affidarsi alla giustizia regia, ma non prerogativa.
- i Parlamenti francesi non avevano competenza circa l’approvazione di tributi straordinarie. Con Filippo IV
venivano riunite in questi casi altre assemblee degli Stati gli Stati generali (diversi dai Parlamenti, che
avevano invece il ruolo di tribunali). Erano quelle assemblee che vedevano la riunione dei rappresentanti degli
ordinamenti particolari. (Qui però non hanno ancora la denominazione e la conformazione definita che avranno
in età moderna).

Torniamo in INGHILTERRA.

Con Enrico I e poi II, si sviluppano i primi casi di common law e parallelamente le forme di intervento di
giustizia regia.

Dalla fine del XII sec. fi fu espansione delle signorie fondiarie: ma con aumento della pars dominica e una
riduzione dei mansi. Aumenta anche la manodopera salariata pagata dal signore per coltivare questa pars.
Modifiche sulla gestione del patrimonio regio.

Nuove forme organizzative della giustizia regia. Vi era stata fase di crisi in cui Riccardo I era stato lontano dal
regno perché impegnato in crociata,
Dagli ultimi anni di Riccardo I, questa organizzazione delle corti regie assume configurazione La Corte dello
Scacchiere si articolò in modo diverso: nacque da questa una corte nuova, quella dei Common Pleas,
competente per i casi di commo law, formata da esperti giuristi. Gia con Enrico I, questa espressione indicava
quelle vertenze per le quali il giudice dell’ordinamento particolare non avesse reso giustizia oppure sì ma in
modo inadeguato, in questi casi di common Pleas, il libero poteva rivolgersi alla giustizia regia. Questa Corte
era stabile composta non più da familiare e seguaci del sovrano, ma da giudici. La curia regis aveva assunto 3
forme diverse:
- quella tradizionale, King’s Bench;
- la Corte dello Scacchiere;
- Corte dei Common Pleas.

Questa articolazione dimostra che erano frequenti casi in cui le comunità si rivolgevano alla giustizia regia.

MAGNA CHARTA.

Corrisponde al regno del fratello di Riccardo I, Giovanni senza Terra (così chiamato perché perse le terre
francesi, entrambi figli di Enrico II), ma semi anche nel regno di Riccardo i: hanno difficoltà nei loro regni ad
accrescere le loro entrate patrimoniali. Il problema vero era la difesa dell’enorme patrimonio che possedevano
sul territorio francese, che avevano ereditato (Normandia, zona sud-occidentale, Britannia ecc.) vi furono
numerosi tributi straordinari. Riccardo chiese a tutti i liberi, e sul suo esempio anche Giovanni.
Inoltre, Giovanni chiese il tallagium (taglia in italiano) che era un tributo imposto con la forza, e andava al di
là delle prestazioni fissate dalla consuetudine ed era richiesto ai soli abitanti delle terre demaniali. Ma non si
limitò a loro: si rivolse spesso ai suoi vassalli (auxilium) chiedendo ripetutamente sussidio straordinario e
aumentando il valore dello scutagium. Il problema è che li richiede ripetutamente e superando all’ammontare
previsto dalla consuetudine.

Questo provoca delle ribellioni, sia dai signori, sia da parte della Chiesa, sia dai baroni ( nel 1212 ci fu congiura
dei baroni del Galles che contestavano proprio l’atteggiamento dei sovrano che avevano nei confronti dei
baroni ribelli, dato che agivano in maniera dura procedendo anche a sottrazioni di terre).
Nel 1213, Giovanni senza terra va in Francia per difendere i domini territoriali, questa spedizion è contestata
perché dicono di non essere obbligati a contribuire alla difesa dei territori francesi (esclusa la Normandia che
era la loro terra di origine). La spedizione avvenne ma fu disastrosa, nel 1214 battaglia di Bovin (a Luglio)
vinta dai francesi che comportò la perdita da parte di Giovanni di tutti i territori francesi.
Ad ottobre, Giovanni tenta di riscuotere lo scutagium da parte di quei baroni che non avevano contribuito alla.
Spedizione: tentativo comporta ulteriori rivolte e farà sì che i baroni si uniscano con un giuramento
(coniuratio)nella quale vengono coinvolti anche grandi signori ecclesiastici e rappresentanti città di Londra

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presentato queste richieste nel testo “Articuli Baronum” 48 capitoli poi inclusi nel testo della Magna Charta
(63 capitoli) in cui sono riprese queste richieste e poi integrate.

Nel 1215 si arriva alla promulgazione da parte del re della Magna Charta: è un trattato di pace, anche se
promulgata dal sovrano in prima persona.
Nel giugno del 1215 si arriva alla promulgazione da parte del re della Magna Charta è un trattato di pace
tra il re (G.) e i baroni ribelli che aveva lo scopo di porre fine al contrasto tra sovrano e baroni. Con la magna
charta il re accoglie le richieste dei baroni: contestavano il fatto di non aver rispettato antiche consuetudini
dell’ordinamento inglese chiedono di eliminare modifiche introdotte alle consuetudini unilateralmente dal
sovrano.
La Magna Charta ancora oggi può essere prodotta in giudizio.
Il sovrano nel mettere per iscritto il riconoscimento delle consuetudini vigenti in Inghilterra, riconosce di essere
sottoposto a delle norme scritte (riconosce di essere sub legibus) autorità sovrano subordinata alle norme
della tradizione contenute nella Magna carta.
La Magna Charta viene concessa in perpetuum (il sovrano vincolava non solo se stesso ma anche i suoi
successori).
Il punto fondamentale delle richieste: il sovrano aveva richiesto contribuzione straordinaria ripetutamente e
aveva modificato gli ordinamenti consuetudinari contributo straordinario ripetuto nel tempo poteva divenire
per consuetudine ordinario.
Ciò avrebbe equiparato i signori ad un libero sottoposto ad autorità bannale di un signore. Pagare contributi
così alti avrebbe significato versare una parte della loro rendita patrimoniale limitazione della loro (dei
baroni) libertas tradizionale. Quindi i baroni chiedono che vengano messi per iscritto tutti i diritti vigenti
per i vari ordinamenti si impegnarono e chiesero impegno del sovrano.
La Magna Charta ha due caratteristiche: è documento di conservazione (conferma consuetudini vigenti) ma
presenta novità rispetto al passato.
• Capitolo 12 si fa riferimento ai contributi dovuti dai vassalli; i baroni contestano non il fatto che il re
abbia la facoltà di richiedere auxilium o scutagium in casi straordinari ma vogliono essere chiamati a dare
il loro consenso (nel caso in cui non si tratti di uno dei casi previsti dalla consuetudine). Si contesta anche
il fatto che ammontare dell’auxilium deve rientrare nelle consuetudini e non va aumentato in modo
unilaterale da parte del re.
• Capitolo 39 tutela il suddito inglese nei confronti di provvedimenti restrittivi della libertà personale
in questo risiede il fondamento di un principio fondamentale (habeas corpus) ma l’insieme dei due capitoli
(12 e 39) è stato visto come fondamento del principio del “no taxation without representation” e del
principio del giusto processo/“due process” (principi a fondamento del costituzionalismo inglese)
• Capitolo 61 c’è una novità: il sovrano per la prima volta è soggetto ad una corte giudicante composta da
25 baroni. La dottrina successiva vi ha visto addirittura il fondamento di un diritto di resistenza spettante
ai sudditi nel momento in cui il sovrano violi il diritto. Vi è altro aspetto: affermazione di un principio di
maggioranza (ciò che avrà ordinato la maggioranza è come se avessero deciso tutti)

Lezione 22

Duplice significato: ribadire quali erano le consuetudini del popolo inglese violate dai sovrani; introdurre
alcune novità.
Tra queste, la possibilità per il sovrano di essere giudicato da un gruppo di 25 baroni nel caso in cui lui o i suoi
agenti avessero violato gli impegni presi (cap.61) poi nelle successive conferme della Magna Charta questo
aspetto venne contestato ed eliminato.

Queste norme passarono dallo stato orale a quello scritto, con la Magna Charta, vengono fissate nel tempo.

Giovanni Senza Terra muore nel 1216, inizia una nuova fase: sale al trono Enrico III (ancora bambino) e
comincia una fase fino agli anni ’70 di grande trasformazione economica.
L’accresciuta produzione economica comportò trasformazioni negli ordinamenti particolari:

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1. i borghi chiesero una maggiore autonomia rispetto all’autorità signorile e anche un governo libero,
ossia da magistrati eletti dalla cittadinanza.
2. vi fu miglioramento della gestione patrimoniale regia: cambiamenti legati alla figura degli sceriffi. Lo
sceriffo rispondeva alla corte dello Scacchiere, quando, in seguito a sdoppiamento, quest’ultima
rimase competente per le questioni contabili, si enucleò un’altra corte stabile che giudicava alla
presenza del sovrano che prende il nome di King’s Bench (composta da giudici esperti di diritto).
3. Signori volevano massimizzare le entrate: per farlo aumentavano le potestà bannali ridotte le libertà
garantite dalla consuetudine, dando luogo a rivolte. Si venne a creare una situazione che portò a sconto
tra le comunità del regno nei confronti del signore. Nel 1258 vi fu rivolta che portò all’approvazione
del testo “Provisions of Oxford”, provvedimenti presi in una riunione della magna curia, 3 principali:
i. Formazione di consiglio regio (che esisteva ma era composto da personaggi scelti dal sovrano) con la
novità che si stabilì la composizione: gran giustiziere e tesoriere e anche però 15 componenti scelti da
4 elettori, 2 scelti dal re e 2 dai magnati. Quindi era formato da soggetti in parte scelti dai grandi signori.
ii. Si stabilisce che la magna curia doveva riunirsi 3 volte all’anno obbligatoriamente per esaminare
questioni degli ordinamenti particolari
iii. Fu istituita una commissione con il compito di ricevere le lamentele delle comunità contro le violazioni
commesse da agenti regi e dovevano presentare queste lamentele ai giudici itineranti

Sono provvedimenti che hanno sempre a che fare con la giustizia regia: giudici itineranti e magna
curia (quest’ultima diveniva da corte saltuaria a ordinaria).

Era la conferma dell’importanza della magna curia in virtù della Magna Charta (quindi non era una novità
nelle Provisions).
- la Magna Charta prevedeva che in caso di sussidi straordinari, occorreva consenso della magna curia
- poi evoluzione: assemblea assunse importanza perché era stata riunita anche in caso di imposizioni
eccezionali gravanti non solo sui vassalli ma su tutti i soggetti liberi (caso non previsto dalla Charta).
- e infine, con i Provvedimenti vi fu un’ulteriore novità: di riunirla 3 volte l’anno (oltre che quindi in casi
eccezionali)

Tuttavia, questi provvedimenti di Oxford durarono poco: una parte, quella relativa al consiglio regio, durò
pochi anni, nel 1265 Enrico III lo abolì e ripristinò il carattere eccezionale della magna curia. Rimase invece
quella parte che prevedeva che vi fossero delle commissioni cui presentare le lagnanze, ma con. Novità: le
comunità invitate a presentare le loro lagnanze direttamente alla Magna Curia.

Nel 1268 Enrico III invitò i rappresentanti di 27 città e borghi per discutere la definizione dei loro diritti (vi
erano scontri politici che rendevano necessario al sovrano trattare con i rappresentanti delle comunità). Questo
invito divenne poi una consuetudine che si ripeté anche nei successivi anni. Alla magna curia era composta
dai grandi del regno laici ed ecclesiastici, i rappresentanti non facevano parte in senso stresso dell’assemblea,
ma avevano un ruolo importante:
- presentavano lagnanza
- venivano ascoltati sulle richieste di tributo straordinario.

In questa fase, aumentano i casi di common law: si riorganizzano le corti centrali regie. Con lo Statuto di
Westminster del 1285 si cerca di bloccare l’aumento dei writs: si definiscono allora i brevia de curso, i writs
in vigore, vietando che a questi se ne possano aggiungere altri, autorizzando a creare nuovi solo se si possa
applicare a un caso particolare la disciplina di un writ già esistente per analogia (brevia in consimili causa).
Non fu in grado di rallentare la creazione di writ si crea una corte che giudicava in base ad equità e non solo
in base alla giustizia

Magna Curia, composizione della fine del ‘200:


- il re con i suoi ministri e le sue corti di giustizia
- i magnati laici
- titolari di elevate cariche ecclesiastiche

Alle riunioni dell’assemblea, il sovrano invitva anche i rappresentanti delle comunità di contea: si riunivano
separatamente dalla magna curia (articolazione attuale di “camera dei lord” e “camera dei comuni”).

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Avevano il compito di valutare se le decisioni del parlamento rispettavano le tradizioni, poi anche in generale
occasione di presentare i casi di violazione dei diritti di comunità dagli agenti regi.

Nel corso del 300 venne anche definita una procedura, con cui il Parlamento si doveva riunire, un modus
tenendi parlamentum.

Si precisarono competenze del Parlamento importanti decisioni fiscali: tributi gravanti su tutti i liberi; la
taglia; i dazi sulla lana.

Nel 1376, il camerario regio Lord Latimer venne accusato di aver violato il diritto delle comunità. La camera
dei comuni presentò questa accusa portata poi davanti alla Camera dei Lord che funzionò come una vera e
propria corte di giustizia: le richieste furono accolte e il tesoriere condannato. Caso di “impeachment” di un
ministro regio (procedura: una camera accusa e una giudica).

Il Parlamento acquisì poi prerogativa di emanare provvedimenti legislativi, gli “statutes”.


Attenzione al diverso significato:
- in Italia, sono la raccolta delle norme dei Comuni;
- qui sono i provvedimenti legislativi approvati dal Parlamento;
- differenza anche rispetto a Parlamento di Parigi che conserva compito di tribunale e corte di giustizia, non è
quindi un’assemblea che legifera (come quella inglese).
Non venivano visti come qualcosa di nuovo, ma considerati come provvedimenti che si limitavano a dichiarare
delle norme di common law. Rendevano chiara una disciplina consuetudinaria o poco precisa o rimasta
sottotraccia fino a quel momento.
Si affiancano alle sentenze dei giudici inglesi, nel ruolo di evoluzione del common law, il quale da questo
momento comprende:
- sia le consuetudini comuni
- sia quanto stabilito dalle sentenze delel corti regie centrali
- sia quanto fissato negli statutes del parlamento, che rappresentano il “diritto scritto” all’interno del common
law.

Si affermavano, in Inghilterra, anche delle corti seguivano il civil law, in base al diritto romano (diverse quindi
sia da quelle che seguivano common law, sia da quella che seguiva l’equità) ed erano :
- le corti ecclesiastiche, la Chiesa utilizzava il diritto romano;
- la corte dell’ammiragliato, competente per fatti avvenuti all’infuori del territorio inglese, o ai non inglesi
all’interno del territorio, dato che il common law era soltanto per i sudditi inglesi
- la Star Chamber, si occupava di diritto penale (inizi del ‘500) e utilizzava il diritto romano-canonico, e in
particolare utilizzavano non le procedure dei writs ma quella prevista dal processo romano-canonico.
L’esistenza di questi tribunali spiega che in Inghilterra vi fossero anche giuristi di civil law: civil lawyers (che
ebbero però sempre una importanza minore all’interno dell’ordinamento inglese, ed erano giuristi che
studiavano nelle università).

Considerazioni su common law: anche qui si viene a creare un diritto comune specifico per gli abitanti del
regno, ma con differenze
• non era costituito da leggi regie (in questo simile a quello francese), ma usi e consuetudini seguiti dalla
popolazione.
• però mentre in Francia, il diritto consuetudinario comune era regionale, in Inghilterra era nazionale (in
questo simile a quello meridionale, dove però il diritto valido per tutti era quello regio).
• inoltre, il diritto comune inglese non era sussidiario, non integrava le consuetudini locali (ad differenza
di Francia) ma si applicava in prima battuta (come avveniva in Italia).
• rispetto al diritto comune romano-canonico, il common law non forniva categorie interpretative.

PROCESSO ROMANO-CANONICO

Si afferma dapprima nelle corti ecclesiastiche, poi in quelle laiche. Nelle prime è già applicata prima del XII
sec. mentre ci vorrà tempo perché venne recepita nelle seconde, sostituendo le tradizioni germaniche.

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Cosa aveva accelerato nelle corti canoniche l’accoglienza di una nuova procedura? Innanzitutto, il rifiuto delle
procedure ordaliche previste dal processo germanico. Con Papa Alessandro III nel 1171 in una decretale inviata
al vescovo di Uppsala condanna apertamente il processo basato sull’ordalia (ferro rovente e acqua bollente).
Poi il Concilio lateranense terzo, qualche anno dopo, aveva condannato anche i duelli.

A fronte di questo, si formulò un processo diverso da quello germanico: un processo scritto, riservato ai tecnici
del diritto. Prove documentarie e testimoniali.
Questa riforma comportò serie di conseguenze, tra cui:
-si poteva ricorrere qui in appello (istituto già previsto dal diritto romano), non previsto nel processo
germanico.

Questo nuovo processo adoperato innanzitutto nelle corte ecclesiastiche, dai vicari (giuristi che fecero sì che
nelle corti ecclesiastiche di tutta Europa si cominciò ad applicare una procedura uniforme).

Questo non avvenne però in tutti gli ordinamenti laici: in alcuni casi, dove vi furono dei re in grado di
intervenire e porre rimedio alle strutture del processo germanico, il processo romano canonico non si affermò
(es. in Inghilterra, dove sovrani erano intervenuti con introduzione dei casi di common law).

Corti centrali si affermano anche nell’ambito del papato.

Come si struttura processo?

I giuristi studiano diritto giustinianeo (non diritto romano classico che è più simile al common law actiones:
tutela dei singoli diritti prevedeva anche le forme della loro difesa giudiziaria): i glossatori non prevedono una
precisa disciplina di difesa per i vari istituti/diritti separazione aspetti processuali e sostanziali.
I glossatori recuperano le parti del Corpus in cui si parlava del processo e formano uno schema di procedura
giudiziaria che può essere recepito da ogni corte. Il processo giustinianeo dava rilievo al giudice doveva
giungere a verità e decideva con sentenza contro la quale era ammesso appello.
Il processo romano canonico è processo di tipo inquisitorio al giudice spettava la ricostruzione degli
avvenimenti, si serviva di prove che erano divise in:
- probationes plenae : (documenti, testimonianze di più testimoni) permettevano al giudice di arrivare ad
accertamento dei fatti
- probationes semiplenae non decisive che andavano utilizzate secondo alcune regole (dovevano concorrere
più prove o ad una semipiena si doveva accompagnare il giuramento).
Processo scritto=ordo iudiciarius
Inquisitio= inchiesta. Il giudice aveva un ruolo anche proprio nell’iniziativa processuale era il giudice che
dava inizio al processo o perché aveva ricevuto un’accusa o perché aveva ricevuto una notitia criminis.

Vi è una sentenza costitutiva a fronte di quella meramente dichiarativa del processo germanico.
Il processo germanico era accusatorio (il giudice era arbitro e l’iniziativa processuale spettava alla parte). La
differenza si lega al fatto che gli ordinamenti territoriali avevano un maggiore interesse a questo processo
inquisitorio dove la tutela della giustizia veniva assunta come compito precipuo dell’autorità pubblica.
Avvenne in particolare nei comuni italiani (anche se ancora nel 300 alcuni statuti prevedevano duelli
giudiziari) durante il governo podestarile. I podestà affidavano il compito di amministrare la giustizia a giudici
esperti e laureati nelle università.
Il processo inquisitorio venne molto utilizzato nella fase di affermazione del comune di popolo e delle lotte tra
fazioni era più funzionale alla repressione della criminalità.

Si afferma anche sulla base di decretali papali emessi nel periodo della lotta contro albigesi per perseguire
l’eresia catara si afferma la necessità di predisporre commissioni speciali con poteri particolari questo dà
impulso alla forma del processo inquisitorio.
Era più funzionale nell’accusatorio l’accusa poteva essere ritirata per paura di vendetta. Questo non avviene
con il processo inquisitorio che però poteva dare facilmente adito ad abusi di poteri (avvenne durante le lotte
tra fazioni nel comune).
È funzionale anche al rafforzamento del potere pubblico che caratterizza il periodo di lotta politica del 300.

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Un aspetto negativo è l’affermazione tra le prove della tortura giudiziaria (è una tortura ufficiale condotta su
ordine del giudice alla presenza del notaio che verbalizza le risposte) non era una pena ma un mezzo per
arrivare alla regina delle prove piene ovvero la confessione dell’imputato. Non era applicata solo all’imputato
ma anche ai testimoni reticenti. I giuristi poi precisarono casi in cui non poteva essere utilizzata
(“cautele”) opere ad essa dedicate: “de tormentiis” o “de quaestionis”.

Nell’opera di Alberto da Gandino giurista pratico (non professore) il quale fa in varie città l’assessore di
podestà (giudice) e poi podestà a Fermo. Scrive un’opera “de maleficiis” su diritto penale contiene anche
una parte (de tormentiis), una sorte di trattato a sé.
La tortura esisteva anche nel diritto romano dove erano previste esenzioni che poi saranno previste anche da
giuristi medievali:
- alcune legate a stato fisico (fanciulli, vecchi, donne incinte)
- e poi altre legate alla dignitas e al ruolo sociale dell’imputato (erano esclusi i nobili, gli ecclesiastici,
doctores).

Accanto alla procedura dell’ordo iudiciarus si afferma un processo più breve processo sommario. Introdotto
da decretale di Clemente V Clementina saepe: viene delineato un procedimento che eliminava lungaggini
del processo; ordinariamente e originariamente applicato ai casi di arbitrato e poi esteso alle corti.
Ricorre in questi casi una formula si procede “simpliciter et de plano ac sine strepitu et figura iudicii”
Poteva essere limitata la possibilità di presentare eccezioni o si poteva ridurre il contraddittorio tra le parti.

Lezione 23

Riprendiamo discorso.

Decretale “ratio iuris” di Giovanni XII che istituisce la “Sacra Rota”, nel 1331 (ma nome successivo”: è
l’unico tribunale medievale che ha continuato a funzionare ininterrottamente fino ai giorni nostri.
Questo tribunale pontificio fu importante:
- era un tribunale collegiale, formato dai giudici auditores;
- giàdopo 5 anni (già nel 13335-1336), abbiamo già delle raccolte di decisioni di questo tribunale (già c’erano
altri tribunali che raccoglievano le discussioni relative alle cause, qui qualcosa di più: si cominciarono a
mettere per iscritto le motivazioni delle decisioni più rilevanti dei tribunali).
- sono però raccolte indicative, si differenziano dalla dottrina perché raccolte di opinioni giudiziarie;

Nel medioevo le sentenze non erano motivate, qui invece raccolta di decisioni e non di sentenze: non c’era il
dispositivo della sentenza, ma le riflessioni giuridiche dei giudici.

Procedura della Sacra Rota:


la Sacra Rota era composta da giudici esperti di diritto: per ogni caso, era indicato un relatore che raccoglieva
sulla causa i pareri scritti dei colleghi. Questo garantiva un’elevata qualità della sentenza, derivava
dall’incontro di opinioni scientifiche. Inoltre, rendeva più rapido e naturale il passaggio a una raccolta scritta
di queste Decisiones.

Le decisioni non contengono il fatto, ma la motivazione in diritto: sono dei pareri basati su rationes e principi
teorici, scientificamente elaborato. Uguali a pareri dei giuristi, ma venivano da giudici esperti di diritto membri
di importante tribunale.

Questo tipo di raccolta di decisioni inaugurata dalla Sacra Rota costituisce un modello per gli altri tribunali,
(grandi tribunali)
- es. Parlamento di Parigi comincia a raccogliere le proprie decisioni, arretes;
- le decisioni del Delfinato, ossia il Parlamento di Grenoble, acquisirono importanza nel 400 perché vi fu una
raccolta che ebbe un grande successo perché nel 1490 venne stampata (l’invenzione della stampa ebbe una
grande importanza sia per le decisiones sia per i pareri dei giuristi);

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- il Sacro Regio Consiglio di Napoli (anche se ormai fine medioevo inizio età moderna) a metà del 400
riorganizzato dal re Alfonso d’Aragona, nel 1495 fu chiamato a far parte di questo tribunale il giurista Matteo
D’Afflitto, inizialmente segretario del tribunale con il compito di redigere le sentenze, nel 1509 pubblicò
raccolta di decisiones del Sacro Consiglio: prima raccolta di decisiones in Italia.

Queste decisioni vennero utilizzate anche al di là del caso concreto, anche al di fuori dell’ordinamento in
cui operava il tribunale:
- le raccolte di Matteo D’Afflitto circolarono anche al di fuori del Regno di Napoli;
- così come quelle della Sacra Rota utilizzate anche al di fuori dello Stato Pontificio;
- anche quelle del delfinato utilizzate al di fuori del regno di Francia.

Queste decisioni erano però solo indicative, non erano vincolanti. Erano sì autorevoli perché venivano da
tecnici specializzati nei tribunali, ma non vincolanti.

Questi tribunali assunsero importanza nell’età moderna: a partire dal 500 questi tribunali centrali vennero
creati dai sovrani dove non esistevano con nome diversi (rote, senati, consigli ecc.) la storiografia ha dato il
nome di “Grandi tribunali” o “Supremi tribunali”. Il numero delle raccolte di giurisprudenza, grazie anche alla
stampa, si diffonde tantissimo: affiancandosi o contrapponendosi alle opere dottrinali, non vi è vero e proprio
contrasto ma semmai una circolarità tra il contributo dei giuristi e quello dei giudici (dottrina e giurisprudenza).

COMMENTATORI

La prima scuola era quella dei glossatori, a partire da Irnerio, che termina con l’opera di Accursio.
Dopo Accursio vi fu una fase in cui i giuristi si occuparono per lo più all’esame di argomenti singoli con
attenzione alla prassi (statuti, processo, arte notarile), detti “postaccursiani” tra questi, Alberto da Gandino,
studioso di diritto statutario; Guglielmo Durante, diritto processuale.
Adoperavano il genere del tractatus: intesa come monografia in senso moderno, opera scientifica dedicata a
un tema specifico composta da un solo autore (in realtà è difficile definire il modello di trattato medievale,
perché spesso furono gli editori a ridare il nome di tractatus alle opere di questi giuristi; in realtà più che
monografie erano raccolte di quaestiones, e questo faceva sì che queste opere potessero essere facilmente
integrate da materiale proveniente da autori diversi).

Excursus sulle quaestiones: genere utilizzato dai glossatori con varie declinazioni:
- il primo tipo sono le “q. legittime” basate sulla lex, servivano a coordinare le fonti giustinianee mettendo
insieme passi discordanti tra loro con l’obiettivo di metterli d’accordo;
- poi le “q. de facto”, i maestri le utilizzavano a lezione. Non si contrapponevano più i passi del corpus, ma
argomenti legati a qualche fattispecie pratica. Il maestro assegnava la difesa di un’opinione e dell’altra, questi
avrebbero poi discusso, al di fuori della lezione ordinaria, e poi il maestro dava la soluzione. Serviva poi a
legare l’insegnamento all’applicazione pratica delle norme (“q. ex facto emergentes”: consente di occuparsi
anche di aspetti pratici del diritto)
Metodo utilizzato anche nel XIII sec. quando si fa strada un’interpretazione del Corpus più creativa: utilizzato
per costruire il diritto nuovo (idea di sussidiarietà del diritto romano).
Nella seconda metà del 200 e inizi del 300 si assiste a trasformazione del diritto romano in diritto comune.

Calasso aveva parlato di sistema di diritto comune già per il XII sec. (prevedendo comune delle differenze: tre
fasi). In realtà questa avviene in questo periodo il diritto romano diviene sempre meno un diritto da applicare
immediatamente e sempre di più un deposito di principi giuridici.
Questo avviene ovunque, ma in modo più evidente nei paesi dove il diritto romano non era la base del diritto
consuetudinario (non nell’Italia), ad esempio in Francia (diritto romano usato come ratio scritta).

Torniamo alle quaestiones: in questo periodo si passa a un’interpretazione più creativa del diritto. Questo
avverrà con i commentatori, tuttavia già i glossatori con Pillio da medicina, aveva utilizzato tecniche nuove e
generi nuovi, proprio come le quaestiones e aveva fatto uso di una una tecnica dell’argomentazione giuridica
che sarà fondamentale poi nella metodologia dei commentatori: de similibus ad similia, procedimento
analogico.

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Pillio da Medicina: ubi est eadem ratio, ibi idem ius quando la stessa ratio governa più fattispecie occorre
applicare a tutte l’identico regime normativo (uso dell’argomentum a simili). Riprende la paritas delle cause
di Cicerone, lui diceva che dove vi erano casi uguali dovevano esserci paria iuria; qui Pillio utilizza un
principio simile a questo ma non esattamente lo stesso, non fa più riferimento alla parità delle cause, ma alla
similitudo delle fattispecie. Conseguenza: la norma può essere applicata non solo al caso previsto
espressamente dalla legge ma anche a quei casi non previsti dalla legge ma nei quali il giurista riscontra la
stessa ratio.
Questo consente di dilatare l’ambito di applicazione della norma giuridica procedimento analogico,
argumentum simili, tecnica che ebbe particolare diffusione con i commentatori che la utilizzarono per qualcosa
di nuovo, per far dire al Corpus Iuris qualcosa che non era scritto.

Origine della scuola dei commentatori (italiana) ebbe però un’origine francese.
Nel 1235 Gregorio IX autorizza l’insegnamento del diritto romano a Orlèans (invece tempo prima Onorio III
aveva vietato insegnamento del diritto romano a Parigi).
Questa scuola vide l’insegnamento di giuristi italiani che prima avevano studiato a Bologna e poi attivi ad
Orlèans: tra questi Guido de Cumis e Pietro Peregrossi (allievi rispettivamente di Jacopo Balduini di Odofredo,
portatore di un metodo contrapposto all’insegnamento di Accursio).
Orlèans si trovava nella Francia settentrionale, diritto consuetudinario, dove non vigeva il diritto romano.
Il papa autorizza quindi questo insegnamento in una regione di droit coutumier: il diritto romano era utilizzato
perché serviva anche per gli studi canonistici, gestione affari della Chiesa e utile alla formazione di uomini
della chiesa che poi rivestivano cariche importanti nella gerarchia del regno.

Principali professori di Orlèans (e poi entrambi divenuti vescovi):


• Jacques de Revigny:
- autore di lecturae, a differenza della glossa e altri generi che prevedevano la presenza del testo giustinianeo,
qui scompare il testo giustinianeo della legge, rimane solo un lemma ossia la prima o le prime parole della
legge cui segue il commento che però è opera dell’autore.
- Utilizzò poi anche il genere delle quaestiones
- Scrisse anche un dictionarium iuris, di carattere tecnico.
- Formulò la teoria della persona rappresentata” una delle prima configurazioni dello Stato come persona
giuridica (come fictio iuris). Anche l’Impero come la Chiesa è persona astratta e immortale. L’imperatore
quindi quando sale al trono è un semplice amministratore, non si appropria delle prerogative (potestà e
patrimonio) dell’Impero, ma sono dell’impero (lui si limita a gestirle).
• Pierre de Belleperche:
- diviene principale consigliere del re Filippo IV il Bello per poi divenire ‘cancelliere’ di Francia.
- anche lui autore di lecturae, soprattutto su Codice e su Digesto; e di quaestiones
- autore di repetitiones: rappresenta un ponte tra la glossa e il commento, perché erano più brevi, avvenivano
al di fuori dell’orario ordinario di lezioni, avevano ad oggetto un passo della compilazione giustinianea; il
contenuto veniva analizzato come se fosse una monografia. Era genere già adoperato a Bologna ma grande
successo ad Orlèans.
Orlèans: solo insegnamento di diritto?
Rapporto con le arti e con la teologia: sappiamo che vicino vi era importante monastero domenicano. I
domenicani erano legati alla figura di S.Tommaso.
Alla fine del XII sec., vi è un avvenimento fondamentale per la cultura, la riapparizione dei testi aristotelici,
che arrivano in Occidente tramite due strade:
- dalla Spagna, con il filtro della cultura araba;
- dopo le crociate, dalla Grecia.
La filosofia aristotelica suscitò delle preoccupazioni nell’ambito della Chiesa, però siccome grande attrazione
culturale, la Chiesa preferì accoglierla e scendere a patti correctio dei testi aristotelici, (1231 Gregorio IX)
adattandolo ai tempi nuovi (proprio S.Tommaso se ne occupò, che studia Aristotele e utilizzando il sistema
aristotelico dà definizione razionale al pensiero cristiano).

Adozione pensiero dialettico grande novità del XIII sec. nelle scuole di teologia, la più importante a Parigi.

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Esigenza di conciliare tradizione con il pensiero dell’uomo la scoperta dei testi aristotelici consentì proprio
di fare questo passo. Teologica divenne scienza del dogma, non mera esegesi delle Sacre Scritture, proprio
grazie al metodo dialettico “scolastico”, perché il più diffuso delle scuole teologiche

Il metodo dei commentatori è stato definito come un metodo dialettico-aristotelico. In realtà non era novità,
già i glossatori avevano fatto uso della dialettica.

Il metodo dei commentatori viene definito dialettico in realtà non è una novità: utilizzato in parte
dai glossatori ma la scoperta della logica nova portò a utilizzo crescente delle opere di Aristotele a
partire dalla metà del 200.
Già i glossatori avevano utilizzato tecniche dialettiche: tra queste c’era l’oppositio contrariorum
mettere vicino delle contraddizioni del Corpus perché questo consentiva di comprendere meglio i
testi (tenendo conto delle sue contraddizioni) utilizzata anche da Graziano e Abelardo.
Cosa succede con i commentatori? Accanto alle oppositiones dei contraria viene dato spazio al
metodo della coniuncto rationum anziché limitarsi a opporre principi contraddittori venivano
collegate fattispecie simili per creare nuovi istituti. Non solo soluzione di problemi ma anche
creazione di nuovi istituti. Il metodo della coniunctio non bastava a creare nuovo diritto non
consentiva di andare al di là della littera del testo. Ciò era possibile invece se si utilizzava anche il
collegamento tra principi giuridici oltre a quello tra fattispecie. Si cominciò ad utilizzare sempre di
più il metodo analogico interpretazione estensiva Non coniunctio rationum ma extensio de
similibus ad similia questo portò ad accelerare il distacco della ratio legis dai verba, dalle parole,
dalla lettera del testo. Il concetto di similitudine è abbastanza elastico e dipende dalla sensibilità
dell’interprete.
Il metodo dialettico consentì di allentare moltissimo i legami tra i verba e la ratio.
Questo metodo consentì di costruire istituti nuovi non contemplati da norme giustinianee.
È per questo che si guarda al diritto romano non soltanto come insieme di norme ma come insieme
di rationes (la ratio è un’astrazione mentale che crea il giurista) consentirono di superare diritto
romano e di agganciarlo a ordinamenti autonomi. Questo portò ad affermazione del diritto romano
come diritto comune.
Cino personaggio importante. Sicuramente nelle opere fa riferimenti alla Francia ma non fu
personalmente in Francia. Ascoltò una repetitio tenuta da Pierre de Bellerpeche a Bologna (in
occasione del primo giubileo indetto da Bonifacio VIII). Era di famiglia magnatizia, fu esiliato da
Pistoia. Ebbe posizione filoimperiale inizialmente e poi in fase successiva cambiò idea e lo troviamo
allineato su posizioni più vicine a quelle della Chiesa.
Tra 1331-3 insegnò a Siena, Napoli e Perugia.
È l’iniziatore e il fondatore della scuola di Commentatori.
Opera maggiore commentario sul codice ”Lectura super codice”. Nonostante il titolo non è
un’opera composta durante e per l’insegnamento ma è invece un vero e proprio commentario.
Vi sono opere di minore importanza.
LEZIONE 24

I due obiettivi dei commentatori: ricerca del senso e enucleare norme nuove.

Caratteristiche:
- maggior attenzione ai diritti particolari (feudale, statutario, prassi notarile ecc.)
- grande diffusione in occidente
- effettiva integrazione dei due diritti romano e canonico: giuristi civilisti che si occupano anche del diritto
canonico, mentre i canonisti utilizzano già da tempo il diritto romano

Crisi dello studio di Bologna.

Grande importanza Pisa, Firenze.

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Università di Perugia nel 1308.
Vi insegnò Cino, quindi divenne sede importante della scuola dei commentatori.

Principali esponenti:
- Bartolo da Sassoferrato: vive tra 1313-14 fino al 1357. Visse poco, ma in quest’arco di tempo acquisì una
fama enorme, forse il giurista più celebre di tutti i tempi. Nacque a Sassoferrato, nelle Marche. Studiò a Perugia
con Cino da Pistoia. Nel 1344 acquisì titolo di dottore. Poi carriera nelle magistrature comunali di varie città
(come era frequente per vari giuristi) assessori a Todi e poi a Pisa, qui iniziò ad insegnare nelle università.
Poi da Pisa passò a Perugia dove ininterrottamente continuò ad insegnare.
Con la stampa, gli editori del 500 attribuirono a Bartolo una mole di opere abbastanza incredibile: perquanto
geniale, non poteva aver scritto così tanto. Però già il fatto che abbiano pensato di attribuirgliele, ci testimonia
la sua importanza e celebrità.
- già negli ultimi anni della sua vita aveva raggiunto questa grande fama, venne infatti mandato come
ambasciatore del comune di Pisa presso Carlo IV imperatore che lo nominò suo consigliere;
- però questa fama divenne smisurata dopo la morte;
- in età moderna: nel 500 venne creata a Padova una cattedra dove bisognava studiare ed esaminare insieme
il testo del diritto romano giustinianeo, Accursio con la magna glossa, e l’opera di Bartolo (considerata alla
stregua della magna glossa, necessaria cioè per comprendere il diritto romano).
La venerazione delle successive generazioni di studenti del diritto è dimostrata dal detto: “nemo bonus íurista
nisi sit bartolista” (non può essere un buon giurista chi non sia un bartolista) il termine “bartolista”
(=commentatore) in età moderna cominciò ad avere accezione negativa.

Bartolo scrisse dei “trattatelli” su alcune costituzioni imperiali sul bando: era un nuovo istituto giuridico che
si affermò proprio nella situazione di lotte intestine tra fazioni all’interno dei comuni. La fazione vincente
stabiliva che i capi della fazione avversa dovessero lasciare la città. Era una specie di “esilio” ma con delle
differenze perché chi era bandito era anche sottoposto ad altri tipi di restrizioni.
Bartolo scrive poi un trattato sulle rappresaglie.
E scrive anche sulla tirannia con il “De Tyrannis”: vuole capire come fosse avvenuta l’affermazione dei
signori, da un punto di vista giuridico. Per lui è una deformazione della iurisdictio: la iurisdictio nel linguaggio
medievale non è solo amministrare la giustizia ma un vero potere pubblico autonomo. Il tiranno è un omologo
in negativo di iudex.

Nel periodo in cui lui scrive, metà del 1300:


- vediamo il funzionamento del sistema di diritto comune: non solo diritto romano sussidiario nei confronti dei
diritti particolari, ma anche come miniera di principi giuridici;
- lui fa riferimento alle potestà universali, papato e impero, riceve privilegi dall’imperatore però l’impero non
era più quello di Barbarossa del XII sec, né di Federico II, ma era ormai più una forma astratta a cui le fazioni
dei comuni si richiamavano, piuttosto che un’istituzione capace di intervenire concretamente. Bartolo
conosceva Dante.

Nel suo insegnamento a Perugia ebbe allievo importante che fu Baldo degli Ubaldi (1320-1400). Era di
Perugia, di famiglia nobile.
- Fu un grande autore di consilia: era un genere letterario che si stava affermando soprattutto in questo periodo
(lui dice che si è arricchito soprattutto sui pareri in tema di sostituzione ereditaria).
- Scrive lecturae sui libri legales e feudi
Con Baldo abbiamo il primo esempio di grande giurista che è allo stesso tempo civilista e canonista. Fa anche
commento alle decretali del Liber Extra, sul liber sextus e anche sulle clementine.
Era il più filosofo dei giuristi: il ragionamento giuridico era fatto sulla base di rationes (più aperto ad apporti
esterni anche filosofici)

I consilia sono i parei dei giuristi. L’uso di rivolgersi ad un giurista è antichissimo ed attuale. Per i romani vi
era lo ius respondendi.
L’attività consulente poteva essere richiesta da autorità pubblica o anche da privato:
• su richiesta di autorità pubblica: abbiamo visto che i primi consilia furono quelli richiesti dai consoli
all’interno dei comuni, i consilia sapientis iudicialia, parere poi vincolante accolto dal giudice cittadino.

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• Su richiesta di privati: accanto a questa attività si sviluppò anche un’attività consultiva invece richiesta
dalle parti o di un processo o al di fuori di questo. Erano pareri caratterizzati da imparzialità, i c.d. “consilia
sapientis pro veritate”. Questa seconda categoria di pareri ebbe grande diffusione nell’evoluzione del
diritto comune alcuni storici hanno parlato del 400 come “età dei consigliatori”.
Si differenziano dai documenti presentati dagli avvocati nel processo, le “allegationes” che per definizione
erano evidentemente pro parte, quelli “pro veritate” non erano pro parte: però dato che veniva pagato,
non si può pensare ad una totale imparzialità.

Era un genere letterario non del tutto nuovo, ma la cui importanza si consolidò proprio all’epoca di Baldo e
poi grande diffusione, grazie a stampa, tra 400 e 500.
Un’altra conseguenza della stampa: questi consilia sapientis pro veritate circolavano anche prima con una certa
selezione.

Il parere del giurista dava soluzione alla controversia utilizzando 3 argomentazioni:


- ex lege: sulla base della legge
- ex rationibus: sulla base della ratio (sui principi giuridici che i commentatori estrapolavano dal testo del
diritto romano)
- ex auctoritate: non l’autorità della legge, ma sulla base dell’autorità del giurista, oppure sulla base della
“comune opinione” dei giuristi (argumentum ab auctoritate, diverrà sempre più importante, quello che la
maggior parte dei giuristi).

**

Torniamo all’evoluzione del Comune podestà signorie.

Podestà:
- poteri: rappresentanza città all’esterno, comando esercito, presidenza assemblee cittadine, presidenza corti di
giustizia.
- sollecitò la formazione di statuti.
- quando venivano chiamati in un comune, non arrivavano da soli, si portavano un loro seguito di giudici,
notai, guardie e altre figure;
- si valutava se l’operato del podestà fosse stato conforme o meno al diritto, nel sindacato. Se si riscontrata
illegittimo il podestà era sottoposto a sanzioni. Il sindaco era come un procuratore della città: agiva
nell’interesse della città si vede che vi è una chiara coscienza della personalità del comune.
- esaurito l’incarico in una città, poteva svolgere l’incarico in un’altra città (circolazione dei podestà, e
unificazione della cultura politica nell’Italia centro settentrionale).

LEZIONE 25

Guelfi e ghibellini
- guelfi: i partigiani del papa
- ghibellini: quelli dell’imperatore

Bartolo scrive proprio un trattato su di loro, spiegando che si trattava non tanto in una scelta tra una delle due
quanto di “affectiones” diventano di fatto due partiti politici.

Ulteriore trasformazione delle elìte: sia fratture nella classe dei magnati sia fratture in quella dei popolari
rimescolamento di nuove fazioni.

L’ordinamento comunale continua a sussistere e ad essere come sempre un ordinamento unitario con al suo
interno ordinamenti particolari.
Gli ordinamenti comunali erano caratterizzati da una struttura oligarchica:
- sia all’inizio corrispondente alle famiglie aristocratiche;

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- sia poi anche nel comune di popolo comunque l’ordinamento comunale è sempre espressione della fazione
che conquista il potere. Si hanno in questo periodo, inoltre, si trovano alleanze tra ordinamenti particolari di
comuni diversi, sulla base di interessi reciproci.

Questa contrapposizione, tra popolo (sempre inteso non democratico) e magnati, in una prima fase corrisponde
a un contrasto tra diversi ceti sociali, poi si trasforma in una lotta tra partiti politici: es. nobili nelle file dei
popolari, o delle fazioni composte sia di magnati che di popolari che combattono con fazioni composte in
modo simili.

Ghibellini: rappresentanti delle vecchie classi dirigenti del comune


Guelfi: popolo che si opponeva all’impero con l’appoggio del papato
È una semplificazione, ma tutto sommato veritiera

Tutte queste lotte interne si rispecchiano negli statuti, così come in queste ritroviamo il passaggio alle
signorie, avvenuto con la prevalenza di una consorteria su tutti gli altri ordinamenti particolari. Il signore si
impadroniva degli uffici comunali e li utilizzava per propri scopi, esercitando un potere maggiore e diverso
rispetto a quello previsto dall’ordinamento comunale(es. negli anni ’40 del 200 in Lombardia, a Cremona, c’è
un signore che si fa eleggere come “podestà perpetuo” che è una contraddizione).
Già prima un signore affermò a Verona il suo potere, prima appoggiato dalla seconda Lega Lombarda e poi da
Federico II, Ezelino da Romano estese il suo potere in Veneto. Il fratello Alberto da Romano fu signore di
Treviso per più di 20 anni.
In un’opera di Odofredo, lui cita proprio questi due fratelli come i prototipi del tiranno (era una fase precoce
rispetto alla affermazione delle signorie). Infatti, gli storici parlando per questi due fratelli di forme di governo
“pre-signorile”, che tuttavia dimostrano che tra fine 200 l’intensificarsi delle lotte favorì la formazione delle
signorie in quasi tutti i Comuni.

Bartolo scrisse un trattato “De Tyranno”, poco prima della sua morte. E apre questo trattato dicendo “Oggi
l’Italia è tutta piena di tiranni” (stessa osservazione che fece Dante nel Purgatorio, e anche Giovanni d’Andrea
aveva considerato che “l’Italia era una costellazione di Tiranni”).
Per Bartolo, vi sono forme di governo illegale (“qui non iure principatur”), si diveniva tiranno in vari modi:
- defectu tituli, in mancanza di un titolo;
- ex parte exercitii, legato all’esercizio del potere oltre i limiti o in vista di un interesse proprio.

L’acquisizione del potere avviene a volte in seguito a atto formale (con delibera che poteva essere revocata) a
volte di fatto.
La legittimità/illegittimità del potere si misurava dapprima in base all’ordinamento comunale, poi
legittimità/ illegittimità non più considerata in relazione all’ordinamento comunale.
Questo avviene quando si affermerà un nuovo istituto VICARIATO. L’autorità del signore non è più
legittimata dall’ordinamento comunale, ma nel provvedimento dell’imperatore (e nessun Comune disconosce
la sua autorità). Signore diviene autorità distinta rispetto al Comune.

Vantaggi:
- signori trovano legittimazione al loro potere arbitrium.
- imperatore (ruolo marginale) otteneva riconoscimento della propria autorità.

Con questo istituto del vicariato, cominciano a formarsi nuove strutture di governo dipendenti dal signore
e che non cancellano quelle dell’ordinamento comunale, ma si forma una corte sovraordinata rispetto
all’ordinamento comunale.
Si modifica il rapporto tra città e il contado: prima è il Comune che si imponeva sul contado con accordi
con i comuni rurali e con le signorie della zona, ed era un rapporto che aveva origine o dalla stipulazione di
una sottomissione o utilizzando i magistrati comunali per governare anche i comuni rurali della zona. Questo
rapporto diretto degli ordinamenti particolari del contado con il comune salta: viene sostituito da un rapporto
diretto tra questi e i signori, non c’è più l’intermediazione del Comune, che diviene un ordinamento
particolare della signoria tra tanti. È il signore che si fa garante della giustizia e della difesa e della tutela dei
diritti di questi ordinamenti particolari.

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***

Il potere di arbitrium va connesso ad altri due concetti plenitudo potestatis e absolutio legibus.
La plenitudo potestatis secondo i romani era espressione di un potere svincolato dal rispetto del diritto e una
caratteristica di questa era la “solutio legibus”.
I giuristi medievali si posero il problema di equiparazione dei re all’imperatore: dell’applicazione di alcuni re
dei principi validi dell’imperatore.

I giuristi medievali studiano il diritto giustinianeo e già loro si erano posti il problema se l’imperatore fosse
tenuto a rispettare le leggi emanate dagli imperatori a lui precedenti o no (era tenuto a rispettare poi le norme
di legge da lui stesso emanate?) absolutio legibus?
Era una questione importante perché dalla risposta dipendeva la possibilità o meno di utilizzare la legge
imperiale per far evolvere il diritto.
I giuristi romani che si erano già posti questo problema avevano dato una risposta molto precisa: princeps
legibus solutus est (Ulpiano). Questa risposta poneva però altro problema quello di incertezza del diritto
(perché emanava norme ma poi non era tenuto ad osservarle).
Teodosio e Valentiniano, con costituzione Digna Vox, avevano detto che non era tenuto a osservare norme
tenute dai suoi predecessori, ma comunque tenuto a seguirne il dettato.
I giuristi medievali, pur partendo da queste visioni del diritto romano, tentano di tentare delle strade per dire
che l’imperatore era spiritualmente tenuto all’osservanza delle leggi.
Già Isidoro di Siviglia aveva detto che il termine “rex” veniva non solo dal verbo regere ma anche da avverbio
recte (già nel VI sec. si cercava di individuare un momento etico nell’esercizio della sovranità).

Stessa strada che usano i giuristi del XII per limitare lo strapotere del princeps: dato che era impossibile
teorizzare un obbligo giuridico del princeps di essere alligatus, perché da un lato era vietato da Ulpiano, e la
costituzione Digna Vox dall’altro, per questi i giuristi tentarono strade diverse.
Azzone, infatti, dice è vero che l’imperatore non può imporre (un pari non ha potere su un altro pari) però
poteva indurre i successori a rispettare le leggi con la persuasione, utilizzando vari argomenti:
- il richiamo alla lex regia de imperio: ossia la legge in base alla quale il popolo romano aveva ceduto il proprio
potere all’imperatore, fondamento della potestà imperiale;
- il rispetto delle leggi è una virtù d’animo.
Altri giuristi cambiano strada J. De Revigny fa riferimento alla honestas.
La soluzione del problema venne proposta da S.Tommaso. egli distingue all’interno della norma 2 forze
diverse:
- l’imperatore è sciolto dal rispetto della vis coactiva: era l’autorità cogente del testo legislativo (il precetto
della norma).
- l’imperatore si sottoponeva con la sua volontà alla vis directiva: è il principio che aveva ispirato il legislatore,
la c.d. ratio legis.
Tendenza che non venne seguita però dalla dottrina che insiste soprattutto su un dovere morale del principe.

Rapporto princeps-ius

Non è ammissibile per i giuristi medievali concepire che il principe sia sciolto dall’osservanza
dell’ordinamento giuridico.

Concetto di “plena potestas”, lo ritroviamo dapprima nelle fonti canonistiche, anche se le radici sono nel
periodo della riforma gregoriana (riconosciuta al papa). Nel XII sec. alcuni giuristi cominciano a parlare di
“plena potestas” in riferimento al potere papale di concedere delle dispense (potere di dispensare= di creare
situazioni giuridiche diverse da quelle dell’ordinamento). Questo potere di dispensa era giustificato
dall’aequitas (papa interveniva quando norme generali ingiuste, anche contra legem).
Questo concetto si estese poi anche nel pensiero dei civilisti, i quali cercano anche qui di limitare lo strapotere
dell’imperatore. È questo un concetto anch’esso collegato alla funzione di giustizia che spettava sia al papa sia
all’imperatore, fondato sulla divisione tra ordinamento particolare e universale:
- imperatore e papa avevano plena potestas, potevano cioè intervenire anche negli ordinamenti particolari;
- i soggetti a capo di ordinamento particolare avevano una potestas limitata al loro specifico ordinamento.

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LEZIONE 26

Due giuristi meridionali:

• Marino da Caramanico (giurista meridionale autore della glossa al Liber Augustalis) si occupa della
potestà monarchica e individua 3 componenti:
- potestà legislativa;
- amministrazione della giustizia, ultima istanza;
- insieme dei diritti demaniali e fiscali
• Un altro giurista meridionale, un commentatore, Luca da Penne, che scrive un commentario ai Tres Libri
(in realtà Andrea Bonello, sempre meridionale, aveva dedicato una lectura ai Tres Libri, tema quindi già
ripreso), ritiene che anche la disciplina contenuta in questi tre libri doveva essere presa in considerazione
come diritto vigente e quindi andavano anch’essi studiati. Soprattutto si occupa della funzione del monarca
(ovviamente il riferimento nei Tres libri era l’imperatore), lui invece ha presente il re di Sicilia. Nei Tres
libri si afferma che la plena potestas spettava al princeps e non poteva essere alienata. Poteva cederne
l’esercizio ad altri, ma questi dovevano comunque svolgerlo in nome e per conto dell’imperatore. Era una
precisazione volta a salvaguardare le potestà regie dai nobili.

Le funzioni della monarchia: difesa della pace, legata alla iurisdictio.

Anche i glossatori avevano legato potestas e imperio alla iurisdictio (che spettava a chi disponesse dei primi
due, superiorità e comando): nel XIII sec. si arriva a identificazione tra potestas e iurisdictio e infatti nella
magna glossa di Accursio “potestatem id est (cioè) iurisdictionem”. L’imperatore era colui che aveva la più
elevata iurisdictio la sua sentenza era definitiva (era il grado più alto di giustizia).

Sia Irnerio (XII sec.) sia poi Bartolo (XIV sec.) dicono che i titolari della iurisdictio dovevano applicare il
diritto vigente, quindi rendere giustizia. Entrambi aggiungono che oltre allo “ius dicere” c’è anche il problema
di “aequitatem statuere”: non si deve limitare a difendere il diritto vigente, ma deve anche tener conto
dell’equità, nell’applicare il diritto vigente il titolare della iurisdictio si deve preoccupare anche
dell’evoluzione del diritto.

Cos’è l’equità (aequitas): principio razionale ed etico che risiede non nella norma in sè, ma nella fattispecie
concreta, nel fatto. Costantino, in una costituzione, diceva “in tutte le cose doveva prevalere l’equità”, legge
imprecisa perché non definiva il concetto di equità, che se non precisata diviene molto sfuggente e pericolosa.
Il ricorso all’equità può essere previsto anche direttamente dalla norma, previsto dal legislatore.
La norma può però portare, nel caso concreto, a un’ingiustizia.

Non è un concetto solo medievale:


• Es. art. 1277 c.c. parla del “debito pecuniario” e fa riferimento nel pagamento al valore “nominale”, però
se avevo dato in prestito nel 1970 una somma di 100 lire e le restituisco nel 1980, periodo in cui ci fu
grande svalutazione che ha fatto sì che quel valore nominale fosse molto diverso nel corso del decennio.
Letteralmente la norma è rispettata, però concretamente è stato restitutio molto meno di valore rispetto a
quanto ho prestato.
Equità è dunque la giustizia del caso singolo.
L’ordinamento non prevede però un ricorso alla equità perché lederebbe la certezza del diritto, ma preferisce
accettare il rischio di situazioni ingiuste piuttosto che sacrificare l’applicazione del diritto.
• Altro es. 1374 richiama la legge, ma anche gli usi e l’equità: in questo caso il ricorso all’equità è
ammissibile.

Usato anche nel medioevo:


- già nelle scuole liberali, si faceva riferimento a una frase di Cicerone sulla paritas delle causae. L’aequitas
era accostata all’aequalitas.
- in altri trattati del XII sec. si avvicina il concetto alla corrispondenza dell’atto giuridico con la sua causa
naturale.

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- una summa del XII sec. “summa Trecensis” (città di Troyes in Francia) con autore ignoto, attribuzione a
Irnerio respinta, probabilmente seconda metà XII. Troviamo distinzione tra aequitas rudis (quella non espressa
alla base delle norme) e aequitas constituta (che ha trovato manifestazione nella norma).
Secondo i medievali, l’ aequitas rudis era una vena (o avena) di argento in una miniera mista a terra, l’argento
deve essere estratto ripultio e trasformato in un oggetto prezioso. Si trova nel mondo dei fatti e deve essere
trasformata in norma positiva dal legislatore.

Già tra i glossatori allievi di Irnerio, contrasto tra ius et aequitas: Bulgaro (prevale certezza del diritto) e
Martino (prevale equità).

Per i giuristi, l’equità è il fondamento etico di giustizia della norma giuridica: constituta, quando la regola si
trasforma in un comando tramite atto di volontà del legislatore.
Giudice può trovarsi davanti a scelta: norma vigente inadatta o disattendere lettera della norma ma ottenere
soluzione adatta al caso concreto.
I giuristi medievali ritengono che l’amministrazione della giustizia non può mai prescindere del tutto
dall’equità: i giudici devono comunque tenerla presente. C’è però un giudice che ha una possibilità ulteriore:
il princeps può trasformare questa esigenza di giustizia in una norma positiva, può fare una nuova legge,
a quel punto poi tutti i giudici avrebbero applicato tale norma.
Si ha avvicinamento tra ius et aequitas ci riporta al concetto di potere legislativo del princeps come una
forma di giustizia. Anzi, la prima diveniva una conseguenza della seconda.
“Lex”: prima deliberazione approvata dal popolo romano valida per tutti, poi plebiscito e senatoconsulto, e
infine atti normativi disposti dall’imperatore.
Accursio precisa, non qualsiasi volontà dell’imperatore ha valore di legge: ma solo se disposizione generale e
comune.
Poi anche le sentenze definitive e inappellabili dell’imperatore (la legge e giustizia sono strettamente legate).
Storiografia ha individuato in una formula la base della teoria della sovranità “rex superiorem non
recognoscens, in regno suo est imperatore”. All’inizio formula ricondotta a Bartolo, poi polemica di Calasso
per capire dove avesse origine, alcuni dicevano che era formula nata in Francia nel ‘200.
Calasso che ha dedicato a questa formula proprio un libro (scritta durante la 2° guerra mondiale), segnalò che
anche i giuristi meridionali si erano occupati di questa formula dandone una interpretazione più adatta al regno
di Sicilia.
Gli storici più recenti hanno ridimensionato l’importanza della formula.
Nel corpus iuris solo imperatore, contrasto con realtà.
Nei fatti sostanziale eguaglianza tra re e imperatore diffusa già nel XII, però bisognava dare un fondamento
giuridico a questa affermazione. I giuristi cominciarono a trovare delle soluzioni più tecniche.
Una di queste da Alano: si riferiva al re di Francia e riprendeva questa affermazione contenuta in una decretale
di Innocenzo III, ambito canonistico.

LEZIONE 27

Per i glossatori e commentatori il corpus iuris era considerato dai giuristi un diritto immediatamente vigente;
con l’umanesimo giuridici l’oggetto è lo stesso, il diritto romano giustinianeo, ma considerato come un diritto
storico (e non un complesso normativo vigente).

Per gli uomini del Medioevo, il diritto giustinianeo era un insieme di regole da scoprire: abbiamo visto che
non era concezione statica, anche il giurista medievale non si limitava a recepire ciò che vi era scritto perché
comunque sia i glossatori che i commentatori utilizzarono anche in modo creativo il diritto giustinianeo.

Gli uomini del rinascimento cominciavano ad avere una prospettiva diversa:


- diritto romano giustinianeo: non più come opera che non poteva essere discussa
- diritto canonico: c’erano problemi aggiuntivi perché si andava affermando la riforma protestante in alcuni
paesi quindi il canonico non poteva più avere quell’importanza che aveva in precedenza. E anche nei paesi
cattolici comunque vi era un “processo di laicizzazione” del diritto che comunque porta a diversa visione del
diritto canonico.

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Accusano poi i giuristi medievali di:
- ignoranza
- di essersi allontanata dalla lettera del testo

Quindi diversa lettura delle fonti romane.

I consilia dei giuristi del ‘400 insieme all’affermazione che va avanzando e diventerà poi importanza nel ‘500
delle decisiones dei “Grandi Tribunali” fanno sì che il diritto comune diventi un diritto soprattutto
giurisprudenziale dominato dalle opinioni dei commentatori.
Argomenti ab auctoritate e opinio communis erano destinati al foro, con la conseguenza che nel 400 il diritto
era diventato una tecnica.

Infatti, 2 caratteristiche della cultura giuridica del ‘400 (giuristi umanisti solo nel 500):
1. peso crescente dell’interpretazione (opiniones dei dottori e decisiones tribunali) rispetto alla lettera della
norma giuridica
2. la specializzazione del diritto che si va identificando con la pratica forense)

A questo l’umanesimo reagisce con un ritorno alla filologia. Nel 400 vi fu però una reazione di fronte a
questa situazione e al distacco sempre maggiore dal testo giustinianeo: si reagisce con un ritorno alla filologia
(soprattutto in ambienti letterali).
Questa attenzione alle parole, ai verba, al greco (i glossatori e commentatori non lo conoscevano).

Queste novità fanno fatica ad attecchire tra i giuristi, all’inizio infatti umanesimo si sviluppa fuori dalle scuole:
dapprima nelle corti. Poi tramite signori entrano anche nelle università e soprattutto, nel ‘400, nelle facoltà di
arti (meno prestigiose di quelle giuridiche, professori pagati meno).
Le prime critiche degli umanisti avvennero nell’ambito delle arti, soprattutto letterati: qui umanesimo precoce,
già nel ‘300, in realtà anche nell’ambito giuridico c’erano giuristi che erano anche letterati ma mai giuristi
umanisti (non applicavano il metodo umanistico).
Per lungo tempo vi fu mancanza di integrazione tra le due culture: quella umanistica e quella giuridica solo
nel ‘500 si può parlare di umanesimo giuridico.

Francesco Petrarca era un letterato che aveva iniziato a studiare giurisprudenza, poi studi abbandonati, però
conosceva il diritto: diede un consiglio ai giuristi, quello di studiare le origini del diritto, e di farlo non a fini
eruditi ma per sfruttare le fonti romane nella pratica (valutare la prassi in prospettiva storica).
Molti giuristi lo conobbero, ma nessuno accolse questo consiglio: che consisteva nel ritorno alla filologia. Nel
campo delle metodologie giuridiche poteva rappresentare un passo indietro.

Le due principali caratteristiche dell’umanesimo:


- attenzione all’analisi filologica del testo;
- la prospettiva storica
Che differenziano umanesimo giuridico dai precedenti indirizzi, quello dei glossatori e quello dei
commentatori.

Se la prospettiva storica (già consigliata da Petrarca) venne attuata molto dopo dai giuristi; gli umanisti,
inizialmente letterati, invece, furono i primi a considerare in prospettiva storica il Corpus iuris cominciarono
a studiarlo come un documento dell’antichità (non come diritto vigente).

Critiche dei letterati nei confronti dei giuristi medievali: Lorenzo Valla paragona i giuristi classici (Paolo,
Ulpiano ecc.) vengono chiamati “cigni” mentre Accursio e Bartolo “oche”, che neanche parlano in latino ma
lingua barbara.

Edizione critica del Digesto, edizione Vulgata messa a confronto con la littera pisana o florentina
(conservata prima ad Amalfi, poi a Pisa, poi Firenze), la più antica redazione del Digesto che possediamo che
gli umanisti tennero in gran conto come una testimonianza più vicina a Giustiniano, secondo alcuni
erroneamente uscita dalla sua cancelleria.

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Viene costruito un tabernacolo nel palazzo dei Priori, e lì riposta la copia della Littera pisana o florentina, da
quel momento interesse grande nei confronti di questo testo. Il testo era già conosciuto, però non era stato
utilizzato perché nelle mani di Irnerio erano venute altre redazioni del Digesto, e qui manoscritti basati sulla
redazione della Vulgata avevano cominciato a circolare.
Invece gli umanisti la ripresero pensando fosse il testo originale di Giustiniano, ponendola a paragone con
la Vulgata, che venne criticata.
Negli ultimi anni del ‘400 Angelo Poliziano iniziò a mettere a confronto le due edizioni, poi lui morì e
l’iniziativa fu ripresa da Ludovico Bolognini che però non riuscì a portare avanti questo progetto.

Necessità di una edizione critica del Digesto: i giuristi medievali avevano costruito teorie su passi e parole
del testo giustinianeo (magna glossa era insieme di Accursio legate strettamente al testo), che magari non erano
neanche presente nella littera florentina.

Agli inizi del ‘500 cominciarono ad essere dei giuristi che utilizzarono il metodo umanistico, soltanto dagli
inizi del 16esimo secolo si può parlare di “umanesimo giuridico”. Triade di giuristi umanisti:
- uno francese Budeo (italianizzato, originale è “budè”)
- uno tedesco Zasio (italianizzato, orginiale è “zasi”)
- uno italiano, Alciato

ALCIATO non era un uomo di lettere ma un giurista milanese.


- Ha contribuito alla diffusione del metodo umanistico in Europa.
- Critica i consilia espressione del metodo dialettico dei commentatori, ormai superato. Anche se critico nei
confronti dei commentatori, Alciato era un giurista: non fa polemiche accese come quelle dei letterati, lui
stesso utilizza commenti e consilia, però aveva una formazione basata sulla grammatica (scuole di arti) quindi
grande conoscenza dei classici latini e greci ed era esperto di filologia; soltanto in secondo momento studiò
giurisprudenza (che studiò con metodo dialettico, ma questo non cambiò la sua originaria formazione es
annotazioni storico filologiche sul codice giustinianeo).
- Fece anche l’avvocato, si laureò a Ferrara e iniziò a lavorare come avvocato esperienza importante: utilizzò
il metodo dei commentatori fondamentale per la vita pratica.
- Poi chiamato ad insegnare in Francia, ad Avignone, e lì gli si chiedeva di utilizzare ancora il metodo
dialettico.
- il grande cambiamento avvenne quando nel 1529 e 1533 venne chiamato ad insegnare a Bourges, città del
centro della Francia, dove vi era uno studio che divenne il centro più importante di studi giuridici in Europa
proprio con Alciato (tra gli allievi, Calvino).
Questo successo fece parlare di “mos gallicus iura docendi” (anche scuola culta), insegnamento degli
umanisti francesi. Le università italiane rimasero legate al metodo tradizionale dialettico, mos italicus iura
docendi (visto come retaggio del passato, in confronto all’innovazione francese).

Spiegazione del successo francese:


• Il fatto che il diritto giustinianeo non fosse immediatamente vigente faceva sì che non vi fosse nulla che
ostacolasse le novità dell’umanesimo giuridico. Ostacoli che invece troviamo in Italia (persistenza mos
italicum).
• però non basta, bisogna spiegare anche quale era la situazione giuridica e politica della Francia in quel
tempo vi era stata affermazione di monarchia unitaria. I re di Francia avevano negato ogni legame tra
Regno di Francia e Sacro Romano Impero, rivendicando indipendenza del Regno. Il metodo degli umanisti
storico- filologico si rivelava più adatto agli stati monarchici (francesi), dato che non avevano mai accolto
il sistema del diritto comune. Quest’ultimo era molto legato alla situazione dell’Italia.
In Francia e negli altri regni (tranne Germania che invece applicò diritto comune, “tribunale camerale” si
va verso la formazione di un diritto nazionale processo qui avviato e poi terminato con la codificazione.
Philippe de beaumanoir aveva parlato di “droit commun”, ma riferendosi a qualcosa di diverso dal diritto
comune: un diritto nazionale francese basato sulle consuetudini (e non diritto romano).

Nel 500 un importante giurista francese umanista Hotman scrive nel 1567 un’opera che si intitola
“Antitribonien”, opera scritta in francese (re Francesco I ordina che atti pubblici e privati venissero redatti in
francese”. Triboniano era collaboratore, poi quaestor sacri palatii, di Giustiniano. In questa opera Triboniano
è oggetto di aspra invettiva.

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• una parte di critica nei confronti del diritto giustinianeo e dell’opera di Triboniano (era un diritto inutile
e non poteva nemmeno considerarsi come deposito di equità perché elaborato per difendere interessi di
classe specifica, la borghesia romana). Svaluta il diritto romano, non più utile praticamente, è solo un
diritto storico.
• seconda parte propositiva, nel senso di creare un diritto nazionale francese. A fronte di queste critiche al
diritto romano, Hotman esalta il diritto consuetudinario francese, che era invece fonte vitale tipicamente
francese (importanza autonomia diritto francese). Siccome però questo diritto era disperso, Hotman fa
proposta pratica: propone che il cancelliere istituisse una commissione composta da giuristi ed esperti
negli affari di stato, e questa avrebbe dovuto elaborare un Codice del diritto francese:
- basato su consuetudini ma anche su materiali tratti da prassi, filosofia, e anche dagli stessi giustinianei
(quindi non proprio messi da parte);
- Scritta in francese
- sia diritto pubblico sia privato.
In realtà non grande novità, proposta che troviamo in altri autori.

ITALIA: A fronte dell’indirizzo dell’umanesimo giuridico francese, anche in Italia vi furono figure che
tengono conto delle novità degli studi giuridici Alberico Gentili (che poi insegnerà ad Oxford). Nelle sue
opere riconosce critiche al metodo dei commentatori e alle carenze culturali dei giuristi; però ritiene che non
si possa abbandonare del tutto il metodo dialettico. Attività del giurista: legare norme romane alla pratica del
tempo, in Italia era sicuramente più funzionale il vecchio metodo dei commentatori, perché a differenza
Francia, l’Italia non era unita ma frammentata in più ordinamenti, non vi era ideologia unitaria. Né vi era
possibilità di portare a termine opera di unificazione giuridica. In questo quadro il diritto romano dava una
certa uniformità giuridica, essendo vigente in più ordinamenti.

Anche in Francia, tuttavia, vi fu corrente di umanisti francesi che non disdegnavano del tutto il diritto romano:
alcuni giuristi prendono in considerazione le Istitutiones di Giustiniano. Mentre la distribuzione delle materie
del Codex e Digesto era oggetto di critica, non era considerata basata né sul diritto romano classico, né
rispondeva a esigenze di sistematicità: esigenze che invece si ritrovano nelle Istituzioni che erano divise in
personae, res e actiones (schema delle Istituzioni di Gaio), schema semplice e chiaro in cui inserire trattazione
del diritto vigente e consentiva ordine di trattazione in cui la persona avesse la preminenza.
Schema che fu alla base del Code civil napoleonico.

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