Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
I PRETENDENTI AL RUOLO
Dopo la violenta eliminazione di Cesare (44 a.C.) quanti avevano
puntato su una restaurazione della repubblica dovettero arrendersi.
Appena due giorni dopo la morte di Cesare, il console e fidato
collaboratore di Cesare Marco Antonio, fece appello ai sentimenti dei
ceti popolari, tanto che alcuni corsero all’abitazione di Bruto con
l’intento di dargli fuoco. In quanto console, Antonio era tra i più
gettonati a raccogliere l’eredità politica di Cesare, ma egli non era
l’unico. Poco dopo le Idi di Marzo era sbarcato in Italia dall’Oriente il
pronipote di Giulio Cesare, Gaio Ottavio. Avendo Cesare riconosciuto
Gaio Ottavio come suo figlio adottivo, il suo nome venne cambiato
in Gaio Giulio Cesare Ottaviano. Il fatto di essere stato adottato da
Giulio Cesare faceva di Gaio Ottavio un possibile successore politico
di Cesare.
LA MARCIA SU ROMA
Nell’estate del 43 a.C. una delegazione di soldati si presentò in
senato per chiedere la designazione di Ottaviano a console. Respinta
la richiesta da parte del senato, Ottaviano varcò il Rubicone e giuns
a Roma con le sue truppe, il 19/08/43 a.C.; il giorno dopo, il popolo
riunito in assemblea elesse Ottaviano console alla scandalosa età di
20 anni, ben distanti dai 43 previsti dalla legislazione di Silla. Il
neoeletto cercò l’alleanza di Antonio e di un altro ex Cesariano,
Marco Emilio Lepido: Ottaviano aveva infatti capito che un accordo
con Antonio era per lui più conveniente rispetto ad una nuova
guerra civile.
IL SECONDO TRIUMVIRATO
I tre generali si incontrarono a Bologna e stipularono un accordo
passato alla storia con il nome di Secondo Triumvirato. A differenza
del precedente, si trattava di una vera e propria magistratura dalla
durata quinquennale e con pieni poteri di governo. Secondo la legge
istitutiva, varata nel 43 a.C., i triumviri avrebbero dovuto occuparsi
di riformare lo stato. Le prime mosse dei nuovi triumviri furono
l’istituzione di nuove liste di proscrizione, contro gli assassini di
Cesare e contro la parte filorepubblicana del ceto dirigente romano.
LA BATTAGLIA DI AZIO
Nel 37 a.C. il triumvirato venne prorogato per altri 5 anni, ma nel 33
a.C. i rapporti fra Antonio e Ottaviano erano diventati ormai troppo
tesi. Lo scontro finale avvenne nel 31 a.C. ad Azio. Antonio
combatteva al fianco delle forze navali di Cleopatra, circostanza che
permise a Ottaviano di presentare il conflitto non come guerra civile,
ma come guerra legittima contro un nemico esterno. La battaglia si
concluse con la vittoria delle forze di Ottaviano. Antonio e Cleopatra
cercarono rifugio in Egitto, dove si suicidarono l’anno successivo. Fu
eliminato anche Cesarione, figlio naturale di Cesare e Cleopatra. Nel
30 a.C. Ottaviano entra da vincitore ad Alessandria, rendendo di
fatto l’Egitto parte dell’Impero Romano. Lepido, invece, era
talmente innocuo che poté morire di vecchiaia vent’anni più tardi.
Ottaviano venne quindi a ritrovarsi nella stessa posizione del proprio
padre adottivo 15 anni prima. A 32 anni si era liberato di tutti i
propri avversari. Egli governerà fino alla sua morte, avvenuta nel 14
d.C.
LA RIVOLUZIONE PRUDENTE
LA RIORGANIZZAZIONE DELL’ESERCITO
Dopo la battaglia di Azio, Augusto dovette affrontare il problema
dell’esercito, divenuto ormai economicamente insostenibile per
Roma. Furono congedati 300.000 veterani, ai quali furono date terre
in Italia e province. Le legioni, che prima della battaglia di Azio
arrivarono fino a 60, furono ridotte a 28, e da quel momento furono
costituite da soldati volontari. Gli ufficiali venivano trasferiti
frequentemente, in modo che non si creassero legami troppo stretti
con le truppe. Alle legioni si affiancarono truppe ausiliarie, costituite
da provinciali, che a fine servizio venivano ripagati con la
cittadinanza. Il compito di presidiare il territorio di Roma era invece
affidato ai pretoriani, tutti cives Romani, che avevano una paga più
alta e condizioni migliori rispetto ai legionari.
IL FRONTE SPAGNOLO
La politica estera di Augusto fu indirizzata più verso il
consolidamento dei confini esistenti che verso l’ampliamento delle
conquiste. Grande impegno fu speso nella sottomissione della
penisola iberica, un’area mai completamente conquistata a causa
delle resistenze dei popoli locali. La campagna si concluse con
successo nel 19 a.C.
UN MAGISTRATO SPECIALE
Per tutta l’età giulio-claudia i poteri del principe restarono invariati.
L’insieme di privilegi che Augusto aveva accumulato nel tempo, si
trasformò in un pacchetto che il nuovo principe otteneva dal Senato.
In questo modo, l’ambiguità del principato restava in piedi:
l’imperatore era un magistrato speciale, al quale il senato conferiva
poteri speciali, ma che in teoria era un esponente del Senato stesso.
LA STORIOGRAFIA DI OPPOSIZIONE
A questi imperatori assolutistici gli storici latini attribuirono
comportamenti folli e gesti di inaudita crudeltà, anche nella loro vita
privata. Tuttavia, si pensa non ci sia molto di vero nel racconto di
questi storici, considerando che erano tutti senatori e che dunque
finivano per farsi influenzare dal rapporto che l’imperatore ebbe con
il Senato. In realtà, dietro l’assolutismo di queste figure si evinceva
una scelta politica ben precisa: liberare il potere del principe da
qualsiasi vincolo, eliminando il Senato per favorire una monarchia
piena ed esplicita.
LA DINASTIA GIULIO-CLAUDIA
TIBERIO
La successione di Tiberio Claudio Nerone (14-37 d.C.) era stata
preparata da Augusto per molto tempo, prima attraverso il
matrimonio con la figlia, poi con la progressiva concessione di poteri
e infine con l’adozione, e per queste prerogative il suo accesso al
potere avvenne senza particolari turbamenti.
Sul piano della politica interna, il principe fu un buon
amministratore, puntando a contenere la spesa pubblica e a limitare
gli episodi di corruzione e di malgoverno delle provincie.
Per quanto riguarda la politica estera, Tiberio evitò pericolose
campagne di espansione, puntando soprattutto a stabilizzare i
confini. Egli potè contare sulla collaborazione del nipote Germanico,
che operò con successo sia contro i Germani che contro i Parti, sui
confini romani. Purtroppo Germanico, adottato da Tiberio per
volontà di Augusto, morì in circostanze ignote nel 19 d.C.
Sul piano dei rapporti con il Senato, dopo un iniziale periodo di
accordo, la situazione precipitò, portando Tiberio a ritirarsi a Capri,
nel 27 d.C., lasciando Roma nelle mani del suo prefetto del pretorio
Seiano. Questi sfruttò la situazione di vuoto di potere per tentare un
colpo di stato. Scoperto da Tiberio, venne ucciso nel 31 d.C.,
aprendo ad un periodo di diffidenza da parte del principe che istituì
molte liste di proscrizione, facendo assassinare molte persone con
l’accusa di lesa maestà. Morì nel 37 d.C. a Capri, dove si era ritirato
10 anni prima, non prima di aver nominato suoi eredi i nipoti Gaio
Cesare e Tiberio Gemello.
CALIGOLA
Dei due fu Gaio Cesare a prendere il potere. Con l’avvento del
nuovo principe, detto Caligola (37-41 d.C.) per l’abitudine che aveva
in età infantile di indossare i calzari militari (caligae) si manifestò
una tendenza verso una gestione autocratica del potere.
Inizialmente sostenuto dal Senato, Caligola si orientò verso forme di
culto della personalità, imponendo addirittura un cerimoniale che
imponesse l’obbligo di inchinarsi dinanzi all’imperatore e chiedendo
la collocazione di una stata che lo ritraeva nel tempio di
Gerusalemme, azione che lo mise in conflitto con la comunità
ebraica. Caligola cercò di assicurarsi il consenso della plebe romana,
attraverso l’organizzazione di costosi spettacoli e giochi; questa
politica ebbe però l’effetto di svuotare le casse dello stato e quindi
rese necessaria l’imposizione di nuovi tributi e tasse da pagare.
Anche la politica estera di Caligola di dimostrò abbastanza
fallimentare. Nel 40 d.C. Caligola mise in piedi un corpo di
spedizione che avrebbe dovuto invadere e conquistare la Britannia,
ma la campagna non fu mai avviata. L’anno successivo fu una
congiura ordinata dai pretoriani ad assassinare Caligola e a imporre
il fratello Claudio come suo successore.
[egli fece nominare un cavallo senatore, in segno di non rispetto
verso la classe senatoria del tempo. Questo gesto delineava anche il
suo carattere e la sua psiche, poco stabili]
CLAUDIO
Claudio (41 d.C., 54 d.C.), avendo vissuto alla corte imperiale
sempre in posizione defilata, senza coinvolgimento
nell’amministrazione statale, venne visto come l’uomo perfetto dai
pretoriani, essendo considerato facilmente manipolabile, visti i
trascorsi.
Ciò nonostante, Claudio si dimostrò un ottimo amministratore e un
politico lungimirante.
Sul piano della politica estera, Claudio procedette, nel 43 d.C., alla
conquista della Britannia centro-meridionale e ad un processo di
romanizzazione della Gallia, tramite la creazione di colonie di
veterani, l’estensione della cittadinanza a numerose comunità e
l’integrazione delle sue classi dirigenti in Senato.
A questo si accompagnò, in politica interna, un’attenta
amministrazione delle finanze statali, che risanò il buco finanziario
del periodo di Caligola. Tutto ciò non impedì tuttavia il varo di un
programma di opere pubbliche comprendente, tra l’altro, la
costruzione del porto di Ostia e la realizzazione di nuovi acquedotti.
Claudio infine spinse molto per la creazione di una burocrazia di
corte, formata da cavalieri e liberti, allo scopo di garantirsene
maggiore fedeltà.
Nonostante queste importanti realizzazioni, gli storici
rappresentarono Claudio come una figura debole, succube della
volontà altrui, principalmente della moglie Messalina prima, e della
ambiziosa e spregiudicata seconda moglie Agrippina dopo.
Quest’ultima lo convinse ad adottare il suo primo figlio Nerone,
nonostante Claudio avesse già un figlio, Britannico. Agrippina,
infine, avvelenò Claudio e fece assassinare Britannico nel 54 d.C.,
spianando così la strada verso il trono al figlio Nerone. [si dice che
Agrippina di mattina facesse l’imperatrice, comandando Claudio
come un burattino e che fosse anche una ninfomane]
NERONE
Salito al potere appena diciassettenne, Nerone (54-68 d.C.) fu
guidato nei primi anni del suo regno dal prefetto Afranio Burro e dal
filosofo Seneca. Secondo gli storici una forte influenza era giocata
dal ruolo della madre Agrippina che ne aveva spregiudicatamente
promosso l’ascesa e che ora sarebbe stata pronta a far valere il
proprio potere. Dopo il quinquennio felice (54-59 d.C.),
caratterizzato da un ottimo rapporto con il senato, emerse la
tendenza di Nerone ad una gestione autoritaria e assoluta del
potere: egli diventò insofferente nei confronti di qualsiasi
indirizzamento da parte di terzi della sua attività politica. Per questo
eliminò prima la madre Agrippina e poi fece allontanare Seneca, che
fu costretto a darsi la morte con l’accusa di aver aderito alla
Congiura dei Pisoni, volta ad abbattere Nerone, repressa nel 65 d.C.
in un bagno di sangue [si diede la morte in un simposio letterario,
dove si taglia le vene e continua a parlare di filosofia fino alla
morte]. La figura del principe era molto popolare presso la plebe
grazie ai sontuosi giochi da lui organizzati, a cui l’imperatore stesso
partecipava. Un comportamento inaccettabile per l’aristocrazia
romana.
Nel 64 d.C. un incendio devastante rase al suolo quasi tutto il centro
storico di Roma. Sin da subito Nerone venne sospettato di aver
appiccato l’incendio, anche se egli accusò la comunità cristiana di
aver appiccato le fiamme. Nerone sfruttò gli enormi spazi lasciati
vuoti dall’incendio per costruire la Domus Aurea, costruzione che
avrebbe dovuto essere la sua dimora personale. Uno sfoggio di
arroganza che incrinò il rapporto del principe con i ceti popolari e
che causò una grave crisi finanziaria.
Quanto alla politica estera, Nerone ottenne una vittoria rispetto alla
repressione di una vasta insurrezione iniziata in Giudea nel 66 d.C.,
inviando sul fronte colui che pochissimi anni dopo sarebbe diventato
imperatore: Vespasiano. Nel 68 d.C. Nerone, dopo essere stato
dichiarato nemico pubblico, si suicidò. [nel 68 d.C., alla morte di
Nerone, il Senato istituì un Damnatio Memoriae contro Nerone: il
provvedimento era atto a far cancellare tutto ciò che di materiale
aveva fatto Nerone. La Domus Aurea, non ancora ultimata, venne
quindi rasa al suolo, così come il Colosso, nome dato all’immensa
statua di Nerone presente nella Domus Aurea]