Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Ottaviano tornò in Italia nel 29 a.C., venendo festeggiato con tre trionfi: per le
campagne dalmatiche (35-33 a.C.), per la vittoria ad Azio (31 a.C.) e per la
conquista dell’Egitto (30 a.C.).
Tra il 30 e il 27 a.C. si cominciarono a delineare i punti fissi dell’impostazione
del progetto ottavianeo del ritorno alla normalità.
Nel 31-23 a.C. Ottaviano mantenne il consolato, con una posizione
preminente fino al 28 a.C., e condividendo la carica con un sostenitore fidato.
Il processo che condusse alla legittimazione dell’imperium cominciò però solo
nel 27 a.C., quando Ottaviano ottenne il settimo consolato (assieme all’amico
Agrippa): in una seduta del 13 Gennaio infatti, Augusto decise di rinunciare a
tutti i poteri straordinari, accettando un imperium proconsolare solo sulle
province non pacificate (Spagna, Egitto, Cipro, Siria, Gallia e Cilicia).
Qualche giorno dopo il senato lo nominò ‘’Augusto’’ (dal verbo ‘’augere’’, che
significa ‘’innalzare’’), un titolo che insisteva di più sulla dimensione sacrale
che su quella religiosa di Ottaviano.
Oltre a ciò Augusto veniva onorato con una corona di foglie di quercia e
l’onore di uno scudo d’oro (appeso in senato) su cui erano incise le virtù del
princeps: virtù, clemenza, giustizia e pietà verso gli dei e verso la patria.
Dopo il 27 a.C. si deve usare come fonte principale per la vicenda lo stesso
Augusto, autore di un documento intitolato come ‘’Res gestae’’, un testamento
politico che venne fatto affiggere in numerose città dell’Impero.
Ottaviano ricorda come egli fu ‘’superiore a tutti per autorità, pur non possedendo
un potere superiore a quelli che mi furono colleghi nelle magistrature’’: si deve
notare come venga posto l’accento sulla natura carismatica che l’autore
evidentemente si attribuiva.
L’architettura istituzionale creata da Ottaviano si ispirò alla tradizionale
prudenza e al compromesso del senato repubblicano; senza dimenticare che
da esso traeva origine il seme delle guerre civili.
Con il nuovo assetto istituzionale veniva meno la soluzione istituzionale della
città-Stato: il principe diveniva il punto di riferimento ed equilibrio delle
componenti della nuova realtà (in cui era chiaro che il benessere di Roma
dipendesse da quello delle province).
1.3 LA CRISI DEL 23 a.C.
Il periodo 26-23 a.C. è quello della svolta definitiva (Augusto fu eletto console
dall’ottava all’undicesima volta): prima vennero pacificate Spagna e Gallia,
dove Augusto si recò di persona e sconfisse gli Austuri e i Cantabri.
Con questa azione egli consolidava il legame con i veterani e i governatori di
quelle province: ancora negli anni seguenti egli alternerà periodi triennali
nelle province, a periodi biennali a Roma.
In questo modo egli dava l’impressione che nulla fosse cambiato: a Roma
regnavano il popolo/il senato/i magistrati, fuori lui; nel 23 a.C. vi fu però un
momento di grande difficoltà: Augusto, in quel momento in Spagna, si
ammalò gravemente, una situazione che aprì il problema della successione.
Augusto infatti, pur non avendo formalizzato il suo potere personale, aveva
dato vita ad una soluzione in cui solo questa modalità avrebbe avuto senso.
La morte di Augusto nel 23 a.C. avrebbe potuto dunque aprire una
problematica complessa: egli non aveva eredi maschi, ma solo la figlia Giulia
(maggiore), avuta da Scribonia, che assieme a suo genero Marcello era il
fulcro delle speranze augustee.
Tuttavia Marcello morì, e Giulia divenne moglie di Agrippa, che dunque
diveniva un possibile erede; furono in sostanza le circostanze a determinare
la sostanza dei poteri imperiali.
Essi si basavano in sostanza su due poteri repubblicani: il primo era
l’imperium procunsolare, con cui Augusto (dal 31 a.C.) poteva intervenire in
tutte le province (dal 27 a.C. anche in quelle riservate al popolo).
L’altro potere era la tribunicia potestas, con cui poteva intervenire all’interno
della politica romana (convocare comizi e godere dell’inviolabilità); a ciò si
aggiunse la possibilità di convocare il senato.
Si tratta in sostanza di due poteri compatibili con la tradizione repubblicana,
ad essere incompatibile con essa era però il detenerli assieme; la carica di
console divenne invece una prerogativa dell’aristocrazia senatoria (nel 5 d.C.,
con la nascita dei consoli ‘’suffetti’’ essi aumentavano di numero).
Le elezioni erano invece controllate, dal 27 a.C., tramite la nominatio
(accettazione della candidatura da parte del principe) e la commendatio
(raccomandazione del principe).
Il nuovo sistema di compromesso (che poteva dirsi completato nel 5 d.C.)
teneva conto anche dell’assemblea popolare, a cui fu riservato un ruolo
marginale (i comizi ratificavano i candidati scelti da dieci apposite centurie
miste di cavalieri e senatori, che li designavano con l’appoggio imperiale).
1.4 IL PERFEZIONAMENTO DELLA POSIZIONE DI PREMINENZA
3) Quaestor, carica che aveva diverse forme: quaestor urbanus (tesoriere del
senato), quaestor propraetore provinciae (amministrazione finanziaria delle
province del popolo romano), quaestor principis (portavoce dell’imperatore
presso il senato), quaestor consulis (portavoce del console presso il senato).
7) Consul, una carica che in età imperiale poteva essere ordinaria oppure
suffetta (termine con cui si indicava il console che entravano in carica nel
corso dell’anno sostituendo quelli ordinari).
8) Anche gli ex consoli erano chiamati a rivestire alcune funzioni proprie del
loro rango: legatus Augusti pro praetore (governatore di una delle più
importanti province imperiali), proconsul (governatore di una delle più
importanti province del popolo romano), praefectus Urbis.
1.8 LA SUCCESSIONE
I poteri che Augusto aveva ricevuto dal senato , non potevano semplicemente
essere trasferiti ad un’altra persona: da qui il problema della successione,
aggravato ulteriormente dalla mancanza di figli maschi (c’era infatti solo la
figlia Giulia).
Per far sì che il potere rimanesse all’interno della propria famiglia, Augusto
portò avanti una campagna propagandistica in cui essa era inclusa: riprese la
consuetudine aristocratica della lode rivolta agli antenati, si presentò come
pater familias osservatore delle tradizioni e allargò il prestigio personale anche
ad amici e collaboratori.
Un ruolo centrale venne assunto dalla domus principis, che gli consentiva di
trasferire al proprio erede il prestigio e le clientele che aveva ottenuto; a ciò si
devono aggiungere i meriti ottenuti anche dai membri della famiglia e dagli
amici a lui vicini.
Essere vicino ad Augusto significava in primo luogo, e questo valse
soprattutto per coloro che di volta in volta assunsero il ruolo di ‘’erede
designato’’, una carriera politico-militare accelerata e di successo.
Il primo personaggio che Augusto selezionò come erede fu il genero
Marcello, che aveva sposato sua figlia Giulia: egli morì nel 23 a.C., proprio
dopo che il princeps si riprese dalla malattia che lo aveva colpito in Spagna.
Giulia fu poi data in sposa ad Agrippa, il grande generale e riorganizzatore
urbano di Roma; egli ebbe da Giulia due figli (Caio e Lucio Cesare, nati nel 17
a.C. e adottati dal princeps), ma morì nel 12 a.C.
Augusto si volse allora ai due figli avuti dalla moglie Livia durante il primo
matrimonio, Tiberio e Druso (costui morto nel 9 a.C. in Germania).
Tiberio, che aveva sposato Vipsania (figlia del primo matrimonio di Agrippa),
fu costretto a divorziare da questa e a sposare Giulia nell’11 a.C.; egli ottenne
due volte il consolato e celebrò un trionfo nel 7 a.C. e l’anno seguente
ottenne la tribunicia potestas.
In seguito si autoesiliò a Rodi, forse perché contrariato dal rapporto
privilegiato che Augusto instaurò con i figli di Agrippa, che però morirono
nel 2 d.C. e nel 4 d.C.
Nel 2 d.C. Tiberio tornò a Rome e sciolse il matrimonio con Giulia, coinvolta
in uno scandalo per i numerosi amanti e condannato all’esilio dal padre
(Augusto aveva introdotto leggi moralizzanti).
Augusto pretese da Tiberio che questi adottasse Germanico, figlio del fratello
Druso e di Antonia (figlia di Marco Antonio e Ottavia); lo stesso Tiberio aveva
un figlio di nome Druso (detto minore per distinguerlo dallo zio).
Tiberiò adottò Germanico nel 4 d.C. e contemporaneamente Augusto adottò
Tiberio , a cui furono attribuiti in seguito la potestà tribunicia e l’imperium
proconsolare: in questo modo alla morte di Augusto vi era una persona con
pari poteri militari e civili.
Tiberio (42 a.C.-37 d.C.), imperatore tra il 14-37 d.C., viene ricordato con una
certa ostilità nelle fonti filosenatorie: Tacito nel II secolo d.C. in particolare
offre di lui un ritratto molto negativo.
In realtà il governo di Tiberio fu una positiva prosecuzione del principato
augusteo, infatti esattamente come il padre adottivo il nuovo imperatore
cercò di rispettare le forme di governo repubblicane valorizzate da Augusto.
La storiografia odierna cerca dunque di discostarsi dalle fonti tradizionali,
per dare valore anche alla ricostruzione di uno storico messo in secondo
piano come Velleio Patercolo, che loda l’attenta gestione dello Stato del
successore di Augusto.
Tiberio fu un amministratore capace, deciso nell’affrontare anche momenti di
gravi difficoltà economiche; tra l’altro durante il suo principato venne portato
a termine il passaggio delle votazioni dai comizi a partecipazione popolare al
senato.
Lungo tutto il corso della propria vicenda al potere, Tiberio fu costretto ad
affrontare una netta opposizione del Senato, che rivendicava la sua
tradizionale libertas.
All’inizio del suo governo si verificò una stabilizzazione della frontiera
renana, dove Tiberio si accontentò della vittoria su Arminio (16 d.C.).
Un momento di grave tensione fu però determinato dalla morte di
Germanico nel 19 d.C. ad Antiochia, avvenuta in circostanze sospette.
Germanico, a differenza di Tiberio, viene ricordato come ‘’bello e valoroso
senza paragoni’’: per questo motivo l’erede di Augusto lo inviò in Asia, dove
condivise il comando dell’esercito con il proconsole Calpurnio Pisone, che lo
avvelenò.
La morte di Germanico aprì anche un momento di grave tensione tra
Agrippina Maggiore (moglie di Germanico) e Tiberio, causato dal problema
della successione.
Morto Germanico il potere sarebbe dovuto passare a Druso Minore (figlio di
Tiberio), che però morì nel 23 d.C., o ad un uno dei figli di Germanico e
Agrippina.
Il momento decisivo nella storia del principato di Tiberio è senza dubbio
rappresentato dalla scalata al potere del prefetto del pretorio Seiano, un
discendente di cavalieri che concentrò le truppe pretoriane, sparse da
Augusto per il Lazio, a Roma.
Tiberio nel 26 d.C. decise di lasciare Roma per rifugiarsi a Capri, presso la
monumentale villa Iovis: da questo momento Seiano monopolizzò i contatti
tra l’imperatore e Roma, dominando la politica di Roma dalla morte della
sposa di Augusto, Livia (29 d.C.).
Seiano cercò anche di inserirsi nella contesa per la successione: chiese infatti
di sposare Livilla figlia di Tiberio, inoltre condivise con quest’ultimo il
consolato nel 31 d.C., pur non appartenendo al rango senatorio.
Nello stesso anno dichiarò Agrippina Maggiore nemico pubblico: la moglie
di Germanico venne così imprigionata insieme ai figli, accusati di tramare
contro l’imperatore.
La madre di Germanico, Antonia, risvegliò infine Tiberio dal torpore,
spingendolo a processare e giustiziare Seiano.
Gli eventi successivi furono particolarmente infelici: si moltiplicarono, negli
ultimi anni al potere di Tiberio, le condanne contro senatori per lesa maestà; i
sostenitori di Seiano vennero eliminati; Agrippina Maggiore si suicidò e tutti i
suoi figli, tranne Caligola, vennero uccisi.
Tiberio nominò quest’ultimo e il figlio di suo figlio Druso Minore, Tiberio
Gemello, eredi congiunti.
Morto Tiberio nel 37 d.C., il senato e il prefetto del pretorio Macrone, fecero sì
che fosse Caligola ad impossessarsi del potere; il nuovo imperatore promise
di adottare Gemello, ma nello stesso anno lo fece uccidere.
Caligola (12-41 a.C.), imperatore tra il 37-41 d.C., rimase al potere per un
tempo molto breve, e del suo regno si ricordano soprattutto le stravaganze e i
giudizi ostili della storiografia tradizionale.
Caligola (da ‘’piccola Caliga’’, nome delle calzature dei legionari, soprannome
datogli dai soldati del padre) salì al potere tra l’entusiasmo della plebe, che
ancora ricordavano con affetto il valoroso Germanico.
Il senato lo accolse in maniera più fredda, e in effetti molto ostile è la
valutazione che lo storico filosenatorio Svetonio da di lui: un tiranno folle,
che spese tutto il denaro accumulato da Tiberio inaugurando una politica di
donativi e spettacoli, un uomo poco interessato alla politica, ma desideroso di
accrescere il proprio potere personale.
L’inclinazione al dispotismo di Caligola viene giustificata nelle fonti dalla
presenza di una malattia mentale, anche se forse si dovrebbe sostenere che fu
l’influenza ‘’antoniana’’, sensibile al modello orientale, a far emergere una
concezione dispotica della monarchia.
In questo modo assumono un significato nuovo le numerose esecuzioni
ordinate dal nuovo principe, che fece uccidere lo stesso Macrone.
Caligola fece uccidere Tolemeo re di Mauritania (40 d.C.), che era l’ultimo
discendente di Marco Antonio e Cleopatra: infatti egli era figlio di Cleopatra
Selene, moglie della regina d’Egitto e del triumviro.
La morte del re diede inizio ad una guerra che si concluse solo al tempo di
Claudio, con l’annessione del Regno di Mauritania a Roma.
Ad Oriente Caligola ricostruì i defunti regni cuscinetto dipendenti da Roma:
allargò i possedimenti in Galilea dell’amico Erode Agrippa, consegnò la
Commagene (divenuta provincia sotto Tiberio) ad un sovrano cliente.
Complesso fu il rapporto con gli Ebrei: Caligola infatti pose una propria
statua nel Tempio di Gerusalemme, un atto ritenuto sacrilego dai locali, che si
prepararono alla rivolta e allo scontro con le comunità greche.
Per evitare questo cataclisma, i pretoriani lo assassinarono nel 41 d.C.: questi
eventi sono riportati con precisione dallo storico romano-giudaico Flavio
Giuseppe e dal filosofo ebreo di Alessandria Filone (egli, che si trovava a
Roma per chiedere la tutela dei diritti degli Ebrei alessandrini, lasciò un
proprio resoconto).
Il principato di Caligola aveva dunque dimostrato le possibili derive
dispotiche del potere monarchico.
A succedere a Caligola fu suo zio Claudio (10 a.C.-54 d.C.), imperatore tra il
41-54 d.C., fratello di Germanico scelto dagli assassini dell’imperatore in
quanto ritenuto manipolabile.
Come per Caligola, anche per Claudio non si può parlare di simpatia delle
fonti nei suoi confronti: egli viene ritratto come un debole, un inetto, uno
sciocco interessato solo alle cose erudite.
Claudio in realtà, oltre a mostrare rispetto per il senato, fu anche capace di
razionalizzare lo Stato: l’amministrazione venne divisa in quattro grandi
uffici, un segretariato generale, un ufficio per le finanze (a patrimonio), uno
per le suppliche (ab epistulis) e uno per l’istruzione dei processi da tenersi
davanti all’imperatore (a libellis).
Questi quattro uffici vennero affidati a quattro liberti fedeli a Claudio; per
questo motivo il suo impero è ricordato come ‘’il regno dei liberti’’.
Claudio attuò anche una razionalizzazione dei servizi, andando a migliorare
l’approvvigionamento granario e idrico di Roma: venne costruito un porto
con alto tonnellaggio ad Ostia, modernizzò il sistema della distribuzione
agraria (la cui responsabilità fu probabilmente sottratta al prefetto
dell’annona).
Ottenne poi, tramite un grande orazione, la possibilità per i notabili della
Gallia Comata di entrare in senato; fece inoltre costruire un grande numero di
colonie (in Britannia, in Germania, in Mauritania), inoltre concesse (come
sappiamo da un’iscrizione nota come Tabula Clesiana di Cles, vicino Trento) la
cittadinanza ad alcune popolazioni alpine e anche a numerosi militari a fine
servizio.
Affrontò poi la guerra in Mauritania aperta da Caligola: organizzò il regno
occupato in due province affidate a procuratori equestri; andò poi a
modificare l’assetto orientale lasciato dal suo predecessore, tutelando sia le
πολεις greche che le comunità ebraiche.
Sempre per prevenire possibili disordini Claudio decise anche di espellere
gli Ebrei da Roma nel 49 d.C.
L’impresa militare più importante fu senza dubbio la conquista della
Britannia meridionale nel 43 d.C., dove venne formata una provincia.
La caratteristica principale del regno di Claudio è il numero degli intrighi di
corte: lui stesso aveva sposato in terze nozze la dissoluta Messalina, che
venne messa morte nel 48 d.C. in quanto accusata di tramare contro il marito.
L’imperatore si risposò con Agrippina Minore, sua nipote, di cui adottò il
figlio avuto nel precedente matrimonio,Nerone: proprio per garantire a
questo la successione, ella assassinò Claudio nel 54 d.C.
2.5 LA SOCIETÀ IMPERIALE
Alla base della concezione antica della società vi era la differenza dello status
giuridico delle persone, lo stesso Augusto aveva infatti differenziato i ceti
dirigenti dello Stato, ma allo stesso tempo si era occupato di definire i
rapporti fra tutte le parti della società e i meccanismi di ascesa sociale.
La schiavitù era senza dubbio un fenomeno diffusissimo della società e
dell’economia a partire dalla tarda Repubblica; un fenomeno di cui è difficile
ricostruire la grandezza (c’è chi sostiene che il 40% della popolazione
dell’Italia fosse in schiavitù).
Grandi quantità di schiavi erano impiegati nell’ambito dell’agricoltura, anche
se nel corso degli anni il numero si ridusse per fare spazio all’utilizzo di
liberi coloni; ovviamente gli schiavi erano utilizzati anche in altri ambiti, si
pensi agli schiavi greci (maestri, massaggiatori, segretari ecc..).
Un ruolo molto importante era ricoperto dalla familia Caesaris, gli schiavi
imperiali, di solito impiegati nella gestione amministrativa e finanziaria: essi
potevano raggiungere un alto livello di ricchezza e di potere, cosa che però
non gli garantiva un nuovo status sociale.
Nel mondo romano ricchezza e potere non davano accesso a un ceto
superiore, lo schiavo che otteneva la libertà rimaneva legato al suo ex
padrone (gli schiavi attraverso i soldi fatti durante le loro mansioni, il
peculium, potevano affrancarsi).
Inoltre i liberti avevano delle limitazioni per quanto riguardava la vita
pubblica e l’accesso alle magistrature sia a Roma che nei municipi.
I liberti, soprattutto nel I secolo d.C., furono il ceto più attivo a livello
economico in diversi settori: commercio/artigianato/servizi; essi potevano
raggiungere anche delle mansioni molto elevate a livello sociale.
Nella casa imperiale lo spirito d’iniziativa dei liberti i espresse poi ai massimi
livelli: si pensi alla vicenda dei liberti di Claudio, Narcisso/Callisto/Pallante/
Polibio, che vennero posti al vertice dei nuovi servizi amministrativi.
Un altro gruppo molto importante era quello dei provinciali liberi, una
categoria molto articolata, che comprendeva gli abitanti delle πολεις greche, i
nomadi del deserto e persino gli abitanti dei villaggi della Britannia.
Come sappiamo dalla lettera che Claudio inviò agli abitanti di Alessandria: la
prova che l’imperatore aveva il potere di intervenire nelle questioni relative
allo status e ai privilegi dei diversi gruppi cittadini.
Il princeps poteva promuovere i ceti dirigenti cittadini o intere città
concedendo la cittadinanza romana ai singoli individui , per meriti , o a
categorie di persona.
Coloro che ottenevano la cittadinanza romana si trovavano ad avere una
condizione privilegiata: i cittadini romani erano esentati dalle tasse e da
obblighi che gravavano invece sui provinciali.
Un volta ottenuta la cittadinanza, anche per i provinciali il passo successivo
di promozione sociale era l’accesso alle classi dell’ordo senatorius e della
carriera equestre.
Per arrivare a ciò era però indispensabile l’intervento dell’imperatore, si pensi
all’intervento di Claudio per la classe dirigente della Gallia Comata; allo
stesso tempo il servizio militare era uno strumento utile per attuare una
scalata sociale efficace.
L’esercito rimase a lungo il fattore di promozione sociale più efficace: i
veterani delle legioni, sopratutto se avevano raggiunto la posizione di
sottufficiali, entravano a far parte delle élite municipali e acquisivano
prestigio per se’ e per la propria famiglia, cosa che garantiva a loro e ai loro
figli la possibilità di rivestire magistrature locali.
Con Nerone (37-68 d.C.), imperatore tra il 54-68 d.C., il principato venne
impostato su delle premesse diametralmente opposte a quelle elaborate da
Augusto.
In un certo senso con Nerone divenne evidente la debolezza dei residui del
potere repubblicano, che già avevano potuto poco al tempo del dispotismo
senza criterio di Caligola.
Questa trasformazione è evidente già nel 55 d.C., quando Seneca compone il
De clementia, opera dedicata a Nerone in cui viene indicato il comportamento
ideale del principe, che deve comportarsi secondo virtus e clementia.
Per Seneca l’ideologia augustea, basata sul permanere di responsabilità di
governo in mano a senato e popolo, non era più possibile in alcun modo.
La prima fase del principato neroniano fu caratterizzata dall’influsso positivo
che sul sovrano avevano Seneca e il prefetto del pretorio Afranio Burro, che
spinsero il giovane principe a cercare l’intesa con il senato.
Nel corso del tempo però Nerone si distaccò da questa prospettiva, adottando
un’idea teocratica e assoluta del potere imperiale, influenzata senza dubbio
dal suo amore per la Grecia e l’Egitto: la monarchia egiziana e quelle
ellenistiche gli fornirono in qualche modo il modello a cui rifarsi.
Nerone si rese dunque protagonista di gesti propagandistici clamorosi, come
l’esenzione fiscale concessa all’intera Grecia: mosse come questa riscuotevano
grande riscontro tra la plebe, che apprezzava lo spirito demagogico del
sovrano.
Nerone si macchiò anche di gravi delitti: nel 54 d.C. uccise Britannico, figlio
di Claudio e Messalina (suo fratellastro per adozione); nel 59 d.C. uccise la
madre Agrippina poiché ostacolava la sua relazione con Poppea Sabina e si
opponeva al desiderio del figlio di divorziare da Ottavia, figlia di Claudio.
Nel 62 d.C. Nerone divorziò infine da Ottavia e sposò Poppea; sempre in
quest’anno cominciarono i numerosissimi processi per lesa maestà, che
portarono alla morte di numerosi senatori.
Il dispotismo neroniano toccò però il suo apice con l’incendio di Roma del 64
d.C., di cui furono incolpati i cristiani e che eliminò un altro grande numero
di senatori.
Nonostante non si possa per certo attribuire lo scoppio dell’incendio al
principe, è invece chiaro che dopo questo egli fu costretto ad affrontare
numerose questioni, anche di natura economica.
Nel 64 d.C. Nerone, per far fronte alla tragedia, decise di ridurre il peso e il
fino della moneta d’argento, il ‘’denario’’, un provvedimento che aveva come
fine il rinnovamento edilizio e la costruzione della ‘’domus aurea’’, l’enorme
palazzo imperiale voluto da Nerone nel centro di Roma.
La situazione nelle provincie non era certo meno tesa: nel 60 d.C. scoppiò una
rivolta in Britannia; nel 66 d.C., dopo aver deciso di confiscare parte del
Tempio di Gerusalemme, scoppiò una rivolta anche in Giudea.
Per sopperire alle spese di queste dure campagne, Nerone cominciò a
confiscare proprietà ai senatori condannati: per questo motivo alcuni di loro
complottarono alle sue spalle.
La celebre ‘’congiura dei Pisoni’’, risalente al 65 d.C. e guidata da Lucio
Calpurnio Pisone, coinvolse numerosi membri delle élite.
Ad Oriente Nerone ottenne invece qualche vittoria: il generale Domizio
Corbulone riuscì a sconfiggere i Parti e a riportare l’Armenia sotto l’influenza
romana (nel 66 d.C. Nerone incoronò Tiridate come re d’Armenia).
Nerone partì poi per la Grecia, dove partecipò e vinse qualche premio per il
proprio talento artistico negli agoni delle varie città, ma soprattutto dichiarò,
a Corinto, l’autonomia di tutte le città greche.
Nel frattempo era scoppiata una nuova rivolta giudaica, sedata stavolta dalla
truppe del legato della Syria, Maciano, e da quelle di Vespasiano.
Mentre quest’ultimo riduceva al mal partito gli Ebrei, scoppiò nel 67-68 d.C.
una rivolta in Gallia Lugdunensis guidata dal legato Cneo Giulio Vindice.
Sedata velocemente questa rivolta, ne scoppiarono delle altre, guidate: dal
governatore della Spagna (Servio Sulpicio Galba), dal governatore
dell’Africa e dalle truppe sul Reno.
Nerone venne abbandonato persino dai pretoriano; in questo modo il senato
poté dichiararlo ‘’hostis publicus’’ e riconoscere Galba come nuovo princeps.
A quel punto Nerone non poté fare altro che suicidarsi: con lui finivano le
vicende al potere per la famiglia Giulio-Claudia, la cui reale colpa fu quella di
non aver indicato un metodo di selezione dell’erede (un problema, quello
dell’ascensore sociale)che fece rievocare i giorni delle guerre civili.
3) L’ANNO DEI QUATTRO IMPERATORI E I FLAVI
I tre imperatori della dinastia flavia ebbero indole molto diversa tra di loro,
tuttavia ad accomunarli fu senza dubbio il rigido impegno
nell’amministrazione.
Il principato di Vespasiano portò ad una grande razionalizzazione del potere
imperiale e nel consolidamento definitivo dell’Impero come l’istituzione;
importante è in questo senso il fatto che già nel 71 d.C. si associò al potere il
figlio Tito con il titolo di Cesare.
L’autorità del nuovo principe venne sancita da un decreto del senato noto
come lex de imperio Vespasiani, di cui possediamo una copia (ai musei
Capitolini) su una tavola di bronzo.
Nel decreto si ricordano tutti i poteri in possesso del principe, anche se in
realtà dovremmo guardare ad esso come ad una ricapitolazione delle
prerogative dell’imperatore acquisite da Augusto e dai suoi successori.
‘’Diritto di convocare il senato, concludere trattato, a trattare e fare qualunque cosa
divina, pubblica e privata egli pensi utile allo Stato’’.
Vespasiano fronteggiò il grave deficit nel bilancio causato dalle folli ed enormi
spese di Nerone e dalle guerre civili: egli dimostrò di essere un ottimo
amministratore, riuscendo a stabilizzare la situazione.
In seguito estese ai cavalieri la responsabilità di alcuni uffici, che vennero tolti
ai liberti, fece fronte alla crisi del reclutamento, dovuta alle condizioni di
crisi socio-economiche d’Italia.
Vespasiano favorì poi l’estensione della cittadinanza ai provinciali e reclutò
sempre più legionari dalle provincie: questa politica di integrazione tocco il
proprio apice con l’estensione del diritto latino alle città peregrine della
Spagna e con l’immissione in senato di numerosi esponenti delle èlite
provinciali.
Il denaro per la ricostruzione del Campidoglio (distrutto al tempo dei conflitti
tra i sostenitori di Vitellio e quelli di Vespasiano) e per la costruzione del
Colosseo e del Foro della pace provennero soprattutto dal bottino di guerra,
specialmente di quella giudaica.
Nel 70 d.C. Tito si impadronì di Gerusalemme e ne distrusse il tempio; gli
ultimi focolai di rivolta furono spenti nel 73/74 d.C., quando venne presa la
fortezza di Masada.
I difensori della cittadella, per non farsi catturare dai Romani, si uccisero:
questo racconta lo storico Flavio Giuseppe, un ribelle catturato e passato poi
dalla parte dei Romani (Vespasiano gli concesse la cittadinanza).
Vespasiano sconfisse anche il capo batavo Giulio Civile, che nel 70 d.C. aveva
dato vita ad un impero gallico che occupava la valle del Reno, da Magonza al
mare.
Venne anche estese l’influenza romana sul Danubio e in Britannia: in
quest’ultima in particolare venne ripresa la politica di espansione territoriale,
portata a compimento da Cneo Giulio Agricola (40-93 d.C.) al tempo di
Domiziano.
In Germania vennero invece occupati gli acri decumates, lungo il corso dei
fiumi Reno e Danubio, che servirono come base (ai tempi di Domiziano) per
la costruzione delle fortificazioni del limes germanico.
In Oriente venne invece abbandonata la politica dei regni clienti: il nuovo
imperatore si preoccupò di aggregare questi territori allo Stato riducendoli a
province.
Vespasiano godette in generale di un certo consenso, l’unico vero elemento di
opposizione era rappresentato da filosofi cinici e stoici, come lo stoico Elvidio
Prisco (allontanato da Roma), ostili al principato ereditario.
Tito (39-81 d.C.), imperatore tra il 79-81 d.C., venne avvicinato al potere dal
padre secondo la modalità che aveva progettato Augusto: aveva svolto alcune
magistrature, era stato prefetto del pretorio, nel 71 d.C. aveva ottenuto
l’imperium proconsolare e la tribunicia potestas.
Succeduto senza problemi al padre nel 79 d.C., il breve regno di Tito (indicato
dagli antichi come ‘’amore e delizia del genere umano’’), fu caratterizzato da
gravi calamità naturali: l’eruzione del Vesuvio che distrusse le città di
Pompei ed Ercolano; costò la vita anche al naturalista Plinio il Vecchio.
La popolarità di Tito, anche nelle fonti, è dovuta probabilmente ad una
politica di munificenza, giustificata da questi eventi catastrofici.
Nerva (30-98 d.C.), imperatore tra il 96-98 d.C., venne scelto come successore
di Domiziano, e nel suo biennio al potere egli restaurò le prerogative del
senato e tentò di riassestare gli equilibri interni.
Le fonti per questo periodo sono in realtà molto limitate: oltre all’opera dello
storico severiano Cassio Dione, alcuni passi di Plinio il Giovane, epitomi di
storia romana del IV secolo d.C. e i messaggi propagandistici sulle monete
(fonte straordinariamente importante per la vicenda di Nerva).
La prima preoccupazione di Nerva fu quella di scongiurare il pericolo
dell’anarchia: egli ricevette i giuramenti di fedeltà delle truppe provinciali, ed
in seguito abolì le severe disposizioni di Domiziano.
L’accusa di lesa maestà venne sospesa e i delatori sotto il regno di Domiziano
avevano causato processi e condanne subirono la pena capitale.
Nerva cercò poi di riassestare la situazione politico-finanziaria di Roma e
dell’Italia: venne votata una legge agraria per assegnare ai cittadini
nullatenenti e venne probabilmente varato anche il programma delle
‘’istituzioni alimentari’’, di cui però si hanno le prime testimonianze solo
sotto Traiano.
Questo programma consisteva in prestiti concessi dallo Stato agli
agricoltori, che ne beneficiavano accettando di ipotecare i propri terreni;
l’interesse dell’ipoteca veniva versato ai municipi locali o ad appositi
funzionari e serviva per sostentare i bambini bisognosi: si arrivava così ad un
netto miglioramento della produttività dei fondi sia un sostegno alle famiglie
per contrastare la tendenza in atto al calo demografico.
Nerva trasferì poi alla cassa imperiale il cursus publicus, cioè del
mantenimento delle strade e delle stazioni di cambio per i messaggeri
imperiali.
Altri provvedimenti votati all’utilità pubblica furono quelli legati alla
riorganizzazione del sistema di approvvigionamento idrico di Roma, affidati
a Sesto Giulio Frontino, i cui scritti relativi agli acquedotti di Roma sono
giunti sino a noi.
Nel 97 d.C. si manifestarono però i primi sintomi di crisi: si trattava di
problemi economici e politico-militari.
Gli sgravi fiscali introdotti da Nerva non rimediarono la pressione tributaria
che aveva contraddistinto la dinastia Flavia, bensì aumentarono le difficoltà
economiche.
Sul fronte politico invece vi era la pressione dei pretoriani, che spinsero
Nerva ad eliminare gli assassini di Domiziano, ovvero le persone che avevano
garantito all’imperatore il suo titolo.
Per questo motivo il sovrano decise di associare al potere un personaggio che
avrebbe avuto l’influenza militare per controllare i pretoriani: il senatore di
origine ispanica Marco Ulpio Traiano, che nel 97 d.C. era governatore della
Germania Superiore.
Alla morte di Nerva nel 98 d.C., Traiano salì al potere con l’appoggio e la
ratifica del senato; il nuovo sovrano eliminò subito il prefetto del pretorio.
Traiano (53-117 d.C.), imperatore tra il 98-117 d.C., al momento della sua
proclamazione imperiale si trovava ancora sul fronte renano, dove rimase
fino al 99 d.C. per completare il consolidamento del limes.
Nella personalità di Triano si fondevano, esattamente come in Augusto,
esperienza militare e senso di appartenenza al senato: per questo motivo egli
incarnava le caratteristiche dell’optimus princeps (un sovrano sottomesso alle
leggi, virtuoso e rispettato dall’esercito).
Le fonti letterarie su Traiano appartengono tutte ad un ambiente favorevole,
quello senatorio: nei frammenti del libro 68 dell’opera di Cassio Dione
(conservati nell’epitome bizantina di Xifilino) e nel Panegirico di Plinio il
Giovane il successore di Nerva viene ricordato come un sovrano capace.
Plinio, che ricorda Traiano come ‘’uno di noi’’ (un senatore), pronuncia il
Panegirico di fronte al senato nel 100 d.C.: in esso si augura che il nuovo
principe sappia instaurare un rapporto di concordia con l’aristocrazia e il ceto
equestre, e che allo stesso tempo possieda virtù che giustifichino la sua
posizione.
Traiano viene spesso ricordato come un generale dell’età repubblicana, e
questo perché l’espansione territoriale è senza dubbio l’obiettivo principale
della sua politica.
Traiano portò avanti due campagne daciche (101-102 e 105-106 d.C.), i cui
momenti salienti sono riportati nella Colonna traiana collocata nel nuovo Foro
costruito dall’imperatore (nel Panegirico alcune allusioni ci fanno credere che
il senato fosse favorevole a queste azioni).
Le campagne di Traiano, in Dacia e in Oriente, non furono probabilmente
delle soluzioni pensate a tavolino per risolvere la questione economica; anche
perché il problema di Decebalo era molto reale, egli minacciava il limes del
Danubio.
La Dacia venne ridotta a provincia, la popolazione deportata o costretta ad
abbandonare i propri territori; la regione venne velocemente popolata da
numerosi coloni provenienti da varie parti dell’Impero.
La possibilità di sfruttare le miniere della Dacia portò ad una maggiore
circolazione di metallo prezioso: questa immissione contribuì ad avvicinare il
valore reale del denario d’argento al suo valore nominale in rapporto con
l’oro e dunque a garantire la stabilità di questa moneta.
Traiano si interessò anche alla frontiera orientale: concluse le campagne
daciche, Traiano occupò il territorio dei Nabatei (in cui vi erano le città di
Petra e Bostra, importanti centri commerciali): venne così dedotta la
provincia d’Arabia (odierna Giordania).
Nel 114 d.C. Traiano avviò anche una campagna contro i Parti, che portò
all’occupazione dell’Armenia, dell’Assiria e della Mesopotamia: la stessa
Ctesifonte, capitale dei Parti, venne presa.
Nessuna di queste conquiste, eccetto la Dacia, sopravvisse per più di un
secolo e mezzo: Traiano infatti fu costretto ad abbandonare le nuove
conquiste a causa di una rivolta degli Ebrei che si era estesa fino a Cirene;
l’imperatore morì in Cilicia nel 117 d.C.
Le truppe proclamarono imperatore Publio Elio Adriano, un parente
spagnolo dell’imperatore, che forse lo stesso Traiano adottò in punto di morte
(secondo alcune fonti l’adozione sarebbe stata completata dalla moglie del
defunto, Plotina, che tenne segreta qualche giorno la morte del marito).
Il regno traianeo si interessò anche ai bisogni dell’Italia e dell’Impero: egli
diede un’attuazione effettiva ai sussidi alimentari ideati da Nerva (ciò ci viene
testimoniato da due notevoli testi epigrafici: uno a Veleia, appennino
piacentino, e uno vicino a Benevento).
Questa tendenza alla beneficenza viene confermata anche dall’epistolario di
Plinio, lui stesso costruttore a sue spese di una scuola nella propria città
natale (Como).
Antonino Pio (86-161 d.C.), imperatore tra il 138-161 d.C., portò avanti
l’opera di consolidamento avviata da Adriano, rinunciando però ai grandi
viaggi attraverso l’Impero.
La vicenda di Antonino Pio fu caratterizzata da una grande tranquillità: il
principe era benvoluto dal senato (riuscì a far divinizzare Adriano), il
patrimonio venne ben amministrato, non vi furono minacce alla sicurezza;
uniche note militari furono una rivolta in Mauretania e lo spostamento del
vallo (‘’vallo di Antonino Pio’’) britannico più a nord, nella Scozia meridionale.
Durante il regno di Antonino Pio il retore greco Elio Aristide scrisse un elogio
dell’Impero Romano, descritto come un governo ideale dell’universo.
- Municipi: città che Roma ha elevato dal precedente status peregrino, agli
abitanti di questi era concesso il diritto latino o quello romano; un esempio di
municipio è Italica, fondata in Spagna nel III secolo a.C., che divenne
municipio sotto Cesare.
Marco Aurelio (121-180 d.C.), imperatore tra il 161-180 d.C., succedette senza
incontrare problematiche ad Antonino Pio; non sembra che fosse previsto che
egli dividesse il potere con il fratello adottivo Lucio Vero.
Si tratta dunque della prima forma di ‘’doppio Principato’’ della storia della
Roma imperiale.
All’inizio del proprio regno Marco Aurelio si mosse verso Oriente per
combattere i Parti: la guerra venne vinta da Lucio Vero nel 166 d.C., tuttavia
dalla Partia le legioni portarono con se’ la peste.
La frontiera settentrionale , rimasta sguarnita , venne superata dai Barbari del
Nord: le popolazioni dei Quadi e dei Marcomanni.
Superato il Danubio, questi invasero la Pannonia, la Rezia e il Norico,
giungendo ad assediare Aquileia; da questo momento i due imperatori
furono impegnati quasi esclusivamente sulla frontiera danubiana.
Per rispondere all’emergenza venne costituita la praetura Italiae et Alpium,
la ‘’difesa avanzata dell’Italia e delle Alpi’’.
Nonostante Lucio Vero morì nel 169 d.C. mentre tornava dall’Illirico, Marco
Aurelio riuscì dopo dieci anni di campagne a frenare la pressione dei popoli
esterni, ricacciati a Nord del Danubio nel 175 d.C. (le sue imprese sono incise
sulla sua colonna in piazza Colonna a Roma).
Un momento molto complesso fu senza dubbio rappresentato dalla rivolta
del governatore della Siria Avidio Cassio, che però venne ucciso dalle sue
truppe.
Marco Aurelio, seguace della filosofia stoica, è autore di una stupenda opera
filosofica intitolata Τα εις αυτον (‘’Meditazioni per se’ stesso’’), in cui si riflette
sul dovere verso i sudditi e su altri temi universali.
Marco Aurelio fu anche il sovrano che reintrodusse il principio dinastico,
visto che nominò come erede l’indegno figlio Commodo, coreggente già nel
177 d.C.
Marco Aurelio morì infine a Vindobona nel 180 d.C.; si deve ricordare che fu
proprio durante il suo regno che avvenne la tragica vicenda dei ‘’martiri di
Lione’’, che vennero dati in pasto ai leoni.