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LE CARICHE PUBBLICHE ROMANE

A Roma il termine "magistratus" indicava sia la persona che rivestiva una carica pubblica sia la carica stessa. In
età regia i poteri magistratuali appartenevano al rex. Con l'età repubblicana si afferma il sistema magistratuale
quale fondamento costituzionale dello Stato, assieme al Senato e alle assemblee popolari.
In un primo tempo i magistrati supremi (consoli, pretori, censori, dittatori) rappresentavano l'intero Stato,
ricevendo il potere esecutivo dal Senato e dal popolo. Ai magistrati patrizi già nel secolo V a.C. furono
contrapposti altri magistrati plebei, come i tribuni e gli edili.
I magistrati erano tutti eletti per un anno, salvo i censori eletti per 18 mesi ed erano per lo più due per ogni carica.
Alcune cariche erano straordinarie. Il dittatore, ad esempio, non era eletto, ma era nominato in via straordinaria,
in caso di guerra, e non poteva durare in carica più di sei mesi.
Le magistrature erano aperte a tutti i cittadini di pieno diritto e di sesso maschile, ma in pratica vi potevano
accedere solo esponenti delle grandi famiglie che avevano peso nel Senato.
I magistrati svolgevano compiti amministrativi, giudiziari e militari. Quelli superiori, consoli, pretori e dittatori,
avevano l'imperium sancito fino a tarda epoca da una legge emanata dal comizio curiato. Il principio della
collegialità comportante l'intercessio, cioè il diritto di opporsi agli atti del collega, impedì ogni tentativo sovvertitore
della legalità.
Nessuna remunerazione, oltre le indennità per spese militari o di celebrazioni, spettava ai magistrati romani:
ricoprire le cariche pubbliche era considerato un dovere e un onore. Ciò, però, non impedì che i magistrati si
arricchissero con le prede di guerra e le estorsioni ai provinciali.
Quando le campagne di guerra furono condotte in territori lontani, i poteri del magistrato cominciarono ad essere
prorogati oltre l'anno di carica e nacque così l'istituto della promagistratura, la quale neutralizzò gli effetti della
collegialità spianando la strada all'avvento del principato (es: proconsole).
Le magistrature sopravvissero anche in età imperiale, prima con poteri delegati, poi sempre più con compiti
onorifici.
Anche il sistema elettivo durato per qualche tempo finì presto con l'essere abbandonato e la scelta passò
direttamente all'imperatore.
Magistrati minori erano i Questori (amministrazione delle finanze e della città), e gli Edili (archivi dei plebisciti e in
seguito funzione di sorveglianza sui mercati urbani e sugli spettacoli).
I più importanti magistrati della plebe erano i Tribuni della Plebe, eletti in seguito da un Concilio della Plebe.
Erano due e avevano il diritto di veto sulle leggi sfavorevoli al popolo ed erano inviolabili.

I POTERI DELLA REPUBBLICA ROMANA


Impérium: in età repubblicana era il potere degli alti magistrati; c'era l'imperium domi, il potere giudiziario a
Roma; l'imperium militiae, il potere militare fuori della cinta del pomerium, comportava il diritto di auspici dentro e
fuori Roma; di arruolare e comandare l’esercito; di convocare il popolo fuori di Roma nei comizi curiati;
giurisdizione; diritto di coercizione. L’imperium era il diritto supremo dei re, a vita; nel 509 a.C. è diviso tra i
consoli, con la durata della carica per un anno; in casi particolari poteva essere esteso ad un tempo maggiore (ad
es. Publilio Filone nel 327 come proconsole; Cesare per 5 anni).
La potestas era il semplice potere amministrativo.
Tutte le cariche duravano solo un anno eccetto la carica di Censore, che poteva durare fino a 18 mesi, erano
collegiali, ovvero venivano assegnate almeno a due uomini per volta, con possibilità di veto dell’uno sull’altro, ed
erano gratuite.
Mentre i Consoli erano sempre due, gran parte degli altri incarichi erano retti da più di due uomini.

LA MAGISTRATURA ROMANA
Tra i magistrati c’erano quelli dotati di imperium, solo Consoli, Pretori e Dittatori, e quelli sine imperio (senza
impero); i primi erano affiancati dal corpo speciale dei Littori.
Successivamente per amministrare i nuovi territori di conquista o le colonie romane, fu istituito il Proconsole e
il Propretore. Questi rappresentavano il Console e il Pretore ma con poteri più ristretti.
Due Consoli, cui era affidato il comando dell'esercito, e il potere giudiziario.
Nell'antica Roma i consoli (dal latino: consules, "coloro che decidono insieme") erano i due magistrati che, eletti
ogni anno, esercitavano collegialmente il massimo potere civile e militare ed erano quindi dotati
di potestas e imperium. La magistratura del consolato era la più importante tra le magistrature della Repubblica
Romana (immediatamente al di sotto della dittatura, che era però magistratura solo straordinaria). Il termine
derivava, secondo lo stesso Livio, dal dio Conso, una divinità che "dispensava consigli", come dovevano fare i
due massimi magistrati della Repubblica Romana.
L'importanza di tale carica era tale che i nomi dei consoli eletti in un certo anno venivano utilizzati,
tramite eponimia (cioè la designazione dell'anno mediante il nome di uno o più magistrati in carica) , per individuare
quell'anno nel calendario romano. I nomi venivano riportati in un apposito elenco, i fasti consulares, da parte
dei pontefici.
Fu istituita, secondo la tradizione, alla cacciata del regime monarchico dei Tarquini da Roma nel 509 a.C. e alla
fondazione della Repubblica, anche se la storia remota è in parte leggendaria e la successione di consoli non è
continua nel V secolo a.C. I primi consoli a occupare tale carica mantennero tutte le attribuzioni e le insegne
dei re, salvo che non ebbero contemporaneamente i fasces, per non dare l'impressione di un terrore raddoppiato.

CONDIZIONI DI ELEGGIBILITÀ
Il consolato fu il normale punto d'arrivo del cursus honorum, la sequenza di incarichi perseguiti dai Romani
ambiziosi.
Durante la repubblica, con la promulgazione della Lex Villia annalis del 180 a.C. l'età minima per l'elezione a
console venne fissata a 40 anni per i patrizi e a 42 per i plebei, mentre nel periodo precedente si registrano
elezioni alla carica anche molto più precoci (es:Marco Valerio Corvo, console per la prima volta nel 349 a.C.
all'età di soli 23 anni e che entro i 40 anni fu console per ben quattro volte). Anche successivamente alla Lex
Villia annalis si videro diverse eccezioni alla sua applicazione, compresa quella dell'età minima (es: Publio
Cornelio Scipione Emiliano, console a 38 anni; Gneo Pompeo Magno, console a 36 anni; Gaio Mario il Giovane,
console a circa 26 anni). Nel periodo imperiale, quando la carica aveva oramai perso quasi interamente la propria
funzione pratica, il consolato venne conferito senza più applicare rigorosamente i limiti di età.
Allo stesso modo secondo la Lex Villia annalis doveva intercorrere un periodo minimo di 10 anni prima di essere
rieletto nuovamente console, limite che non esisteva precedentemente e che venne frequentemente ignorato nel
periodo della fine della Repubblica, a partire da Gaio Mario, sei volte console in otto anni, fino a Gaio Giulio
Cesare, quattro volte console in cinque anni.
I consoli venivano eletti dal popolo riunito nei comizi centuriati. Durante i periodi di guerra, il criterio primario di
scelta del console era l'abilità militare e la reputazione, ma in tutti i casi la selezione era connotata politicamente.
Inizialmente solo i patrizi potevano divenire consoli. Con le cosiddette Leges Liciniae Sextiae (367 a.C.), i plebei
ottennero il diritto a eleggerne uno; il primo console plebeo fu Lucio Sestio, nel 366 a.C.

COMPETENZE E POTERI
I due consoli della Repubblica erano i più alti in grado tra i magistrati ordinari. Le competenze consolari
investivano tutto l'agire pubblico, in pace come in guerra, compreso il fatto di introdurre le ambascerie di re e
principi stranieri davanti al Senato. Nei fatti, tutti i poteri non appannaggio del Senato o di altri magistrati erano in
capo ai due consoli. Dopo la loro elezione ottenevano l'imperium dall'assemblea.
Potevano proporre al Senato gli affari urgenti per la discussione e facevano eseguire i Senatus consulta.
Il console era a capo del governo romano e, poiché rappresentava la massima autorità di governo, anche di tutta
una serie di funzionari e magistrati della pubblica amministrazione, a cui erano delegate varie funzioni. I consoli
convocavano e presiedevano le adunanze del Senato romano (ius agendi cum patribus) e le assemblee
cittadine (comizi centuriati) del popolo (ius agendi cum populo), avendo la responsabilità ultima di far rispettare le
politiche e le leggi adottate da entrambe le istituzioni.
Il console era anche il capo della diplomazia romana, potendo effettuare affari con le popolazioni straniere e
facilitando le interazioni tra gli ambasciatori stranieri e il Senato. A fronte di un ordine da parte del Senato, i
consoli divenivano responsabili di fare le leve e di scegliere gli uomini più idonei, di imporre agli alleati le loro
decisioni, di nominare i tribuni militari, e di avere il comando "pressoché assoluto" dell'esercito. I consoli,
disponendo della suprema autorità in campo militare, dovevano essere dotati di risorse finanziarie adeguate da
parte del Senato per condurre e mantenere i loro eserciti, ed erano autorizzati a spendere il pubblico denaro nella
misura in cui credevano più opportuna. Per questo motivo avevano al loro fianco un quaestor urbanus, che
eseguiva puntualmente i loro ordini. Mentre era all'estero, il console aveva un potere assoluto sui suoi soldati e
sulle province romane, potendo punire chiunque tra i soldati in servizio effettivo. Era, quindi, incaricato sia dei
doveri religiosi sia di quelli militari; la lettura degli auspici era un passo essenziale prima di condurre l'esercito in
battaglia.
ORNAMENTI CONSOLARI
Gli ornamenti consolari sono gli attributi distintivi che contraddistinguono un console in carica, o un ex-console,
tra la folla urbana. Manifestazione del suo imperium, essi sono il retaggio del periodo regio ed etrusco iniziale.
Segni esteriori della dignità consolare erano la toga praetexta, abito bianco con orlo di porpora, in città,
il paludamentum di porpora in guerra e nel trionfo, la sella curule (sedia portatile di avorio), dodici littori (guardie
del re) portanti fasces di verghe e, fuori del pomerium, fasces con scuri.
TITOLARITÀ, AUTONOMIA E COLLEGIALITÀ
Ognuno dei due consoli era titolare del potere nella sua interezza e poteva esercitarlo in via del tutto autonoma,
salva la facoltà del collega di porre il veto (intercessio). Per evitare possibili inconvenienti, si escogitarono diversi
sistemi, grazie ai quali - in forza di un accordo politico tra i due - certi periodi o in determinati settori di attività un
solo console esercitava effettivamente il potere, senza che l'altro ponesse il veto. Il più noto è quello dei turni, in
base al quale i due consoli dividevano l'anno in periodi - in genere mensili - in cui si alternavano nel disbrigo degli
affari civili (nell'esercizio del comando militare, nel caso in cui entrambi i consoli fossero alla guida dell'esercito, i
turni erano giornalieri).
Un altro sistema era quello che si basava sulla ripartizione delle competenze tra i consoli eletti, in base al quale
ciascuno dei due esercitava in maniera esclusiva alcuni poteri. È comunque importante sottolineare che la
divisione di competenze o i turni di esercizio non interessava alcune forme di esercizio del potere (come le
proposte di legge).

POTERI STRAORDINARI
In via eccezionale i consoli potevano ricevere dal Senato i pieni poteri: il provvedimento era chiamato Senatus
consultum de re publica defendenda. Successivamente Marco Tullio Cicerone, durante il suo consolato, a seguito
della rivolta di Lucio Sergio Catilina, lo rinominò Senatus consultum ultimum, estremo provvedimento del Senato,
e la formula era:
(LA) «Caveant consules ne quid detrimenti res publica capiat»
(IT) «Provvedano i consoli affinché lo stato non abbia alcun danno.»
A tale formula si ricorse poche volte:
➔ nella prima metà del II secolo a.C. per regolamentare i misteri bacchici a Roma,

➔ durante la scalata al potere di Gaio Gracco, nel 121 a.C.,

➔ in occasione della marcia su Roma di Lepido nel 77 a.C.,

➔ della congiura di Catilina nel 63 a.C.,

➔ quando Gaio Giulio Cesare attraversò il Rubicone nel 49 a.C.

DURATA E SOSTITUTI
I consoli erano eletti ogni anno (dalle calende di gennaio di ogni anno a dicembre) dai comizi centuriati. La
campagna elettorale si svolgeva nell'estate dell'anno precedente, Cesare fu eletto nel luglio del 60 a.C. per il 59 e
quindi dovette rinunciare al trionfo per essere presente fisicamente a Roma senza armi. I due consoli
erano eponimi, ossia l'anno di servizio era conosciuto con i loro nomi. Ad esempio, il 59 a.C. per i Romani era
quello del "consolato di Cesare e Bibulo", poiché i due consoli erano Gaio Giulio Cesare e Marco Calpurnio
Bibulo (anche se il partito di Cesare dominò la vita pubblica impedendo a Bibulo di esercitare il proprio mandato
tanto che l'anno fu ironicamente chiamato "il consolato di Giulio e Cesare").
Se un console decedeva durante il suo mandato (fatto non raro quando i consoli erano in battaglia alla testa
dell'esercito), si eleggeva un sostituto, che era chiamato "console suffetto" (consul suffectus in latino), per
completare la durata del mandato.
Una volta terminato il mandato, deteneva il titolo onorifico di "consulare" in Senato, ma doveva attendere dieci
anni prima di poter essere rieletto nuovamente al consolato.

Il Pontifex Maximus era a capo di tutti i pontefici, o sacerdoti, di qualsiasi divinità.


Egli nominava anche le Vestali, i Flamini e il Rex Sacrorum, sacerdote al quale erano affidate le funzioni religiose
compiute un tempo dai re.
Il pontefice era un sacerdote della Religione romana. L'etimologia della parola pontifex (pontem facere) significa
"costruttore di ponti", è erroneamente attribuito al fatto che in Grecia ci fossero i sacerdoti gephyraei, con lo
stesso significato di "costruttore di ponti". Il che deriverebbe dal fatto che in Tessaglia le immagini degli Dei
venissero poste sopra il ponte sul fiume Peneo (Peneus). I gephyraei erano una famiglia, forse un clan, e non
una casta.
Inoltre i sacerdoti greci adoravano Dei sul ponte, non costruivano ponti. Viceversa l'arte di costruire ponti, i
Romani l'appresero dagli Etruschi.
Il Pontifex era l'artefice di ponti, colui che sa costruire i ponti, attraverso installazioni di legno su cui si ponevano
le pietre rastremate e infine il cuneo centrale. Il legno, curvato a caldo e opportunamente legato, veniva posto in
loco dove si doveva montare l'arco, e sopra questo si ponevano le pietre leggermente rastremate con il lato più
stretto verso il suolo. Infine una pietra più grossa e più rastremata delle altre, detta cuneo, si poneva sul culmine
dell'arco, ora il tutto si teneva per forza di gravità che scaricava sui pilastri laterali, e il legno veniva tolto.
Il segreto dell'arco su cui si basava la costruzione di ponti e acquedotti, derivava dal popolo etrusco, tramandato
attraverso una casta che si trasmetteva l'arte di costruire e di organizzare le cose sacre. Così come il cuneo
sosteneva l'arco, il pontifex maximus sosteneva l'arco religioso della cura dei vari Dei. La corporazione dei
costruttori di ponti scorse nell'architettura di questi un'espressione divina, per cui i costruttori di ponti furono
riveriti come sapienti e collegati col divino.
Il capo dei pontefici, dopo una fase più arcaica in cui il re era contemporaneamente il sacerdote, divenne il Rex
Sacrorum, l'addetto al culto e alle feste religiose, il cui compito principale era quello di indicare e suggerire, alle
autorità e ai privati, il modo corretto per adempiere agli obblighi religiosi affinché fosse salvaguardata la Pax
Deorum. Secondo alcuni invece fu creato alla caduta dei re di Roma, per sostituire il compito sacro dei re.
Comunque sia, alla caduta della monarchia o prima, i Romani separarono il potere sacro da quello profano,
principio alla base di ogni vera civiltà. Anche quando, durante l'impero, la figura dell'imperatore venne divinizzata,
i due poteri non coincisero. Con rare eccezioni, gli imperatori intervennero solo per modificare alcune leggi minori
o per guidare virtualmente in una cerimonia, senza mai sottrarre culto agli Dei esistenti. La divinizzazione di un
imperatore non lo equiparava agli altri Dei, né li sostituiva. Nella mentalità romana era equiparabile a un eroe,
ovvero a un semidio.
L'antico sacerdote non era l'interprete dei testi sacri, a meno che si trattasse di oracoli o prodigi accaduti, in
qualità però di custodi delle volontà divine e dell'ordine dell'Urbe, era interprete della giustizia e del rispetto del
diritto. Potevano pertanto pronunciarsi in una questione di diritto o di applicazione della legge.
La nomina dei pontifices avveniva o per cooptatio o per captio.
La captio avveniva sulla base del potere imperiale del pontifex maximus e doveva assolutamente essere
accettata anche contro la volontà del prescelto, solo per le vestali potevano esserci validi motivi per rifiutare, in
quanto era rigorosamente richiesta la verginità. Riguardava vestali, flamines e rex.
La cooptatio riguardava tutti gli altri sacerdoti, eletti in modo che ogni membro del sacerdozio proponesse il
nome di un candidato sotto giuramento di voler nominare solo il più degno.
Poi venne introdotta la nominatio, in cui si sceglieva, tra tanti candidati proposti dai sacerdoti, per mano del
pontifex Maximus. L’istituzione del collegio dei pontefici, inizialmente e fino al 300 a.c. in numero di cinque, fu
istituito da re Numa Pompilio, il riformatore della religione romana. L'interpretatio pontificum (interpretazione
pontificale) dava pertanto al pontefice un'autorità che a volte limitava il potere del re.

LA DURATA DEL SACERDOZIO


La dignità sacerdotale era conferita a vita. Essa si perdeva, eccetto che per gli augures e i fratres Arvales, solo
per una condanna penale con la perdita dei diritti civili. Ogni membro del collegio pontificale poteva però essere
dimesso dal pontifex maximus per gravi offese all’ordinamento sacrale. Una rinuncia volontaria alla dignità
sacerdotale si sa solo per i Salii che entravano in altro sacerdozio, ma le vestali potevano dimettersi dopo un
periodo di servizio di trent’anni. Per la dignità sacerdotale occorreva l'integrità fisica, anche una piaga poteva
impedire il sacerdozio. Occorreva inoltre il possesso dei diritti civili, cioè essere nato libero; solo fra i Luperci si
trovano dei liberti prima della riforma augustea. Augusto accettò invece tra le vestali anche le figlie di liberti
contrariamente alla norma tramandata da Gellio. Solo per le vestali era prescritta una determinata età: per
assumere la carica esse dovevano avere come minimo 6 anni e al massimo 10. Anche nei Salii furono presi dei
giovani, come le vestali. Tutti gli altri sacerdozi, nel vecchio stato che privilegiava i casati nobili, hanno
probabilmente preteso una discendenza patrizia come premessa per l’assunzione. Sono rimasti sempre patrizi il
rex, i tre grandi flamines, ai quali si aggiungono poi i flamines divorum, e i Salii. I plebei ottennero l’accesso ai
sacerdozi con la Lex Ogulnia dell’anno 300, con la quale cinque dei 9 posti del pontificato e dell’augurato vennero
riservati ai plebei. In epoca imperiale da uomini di rango senatorio vengono occupati i quattro grandi collegi e le
sodalità, compresa quella per il culto dell’imperatore, ma senza i Luperci che, con i pontifices minores, flamines
minores, tubicines e gli antichi culti municipali, spettano ai cavalieri (senatorii Laurentes Larinates ).

I DIRITTI SACERDOTALI
In certe circostanze era lecita la riunione di parecchi sacerdozi in una sola mano (cumulatio). Era proibito rivestire
contemporaneamente due sacerdozi appartenenti al collegio pontificale. I sacerdoti avevano l'esenzione militare
e lo ius publice epulandi, cioè del diritto di banchettare a spese dello stato nelle festività del loro Dio. I Flamen
Dialis avevano seggio in senato.
Solo i Flamen Dialis e le virgines Vestales avevano l'accompagno di un lictor a testa.
Il Pontifex Maximus, presidente e rappresentante del collegio, ancora verso la fine della repubblica rivestiva il
quinto posto del potere sacerdotale, venendo dopo il Rex Sacrorum ed i tre Flamini maggiori: il Dialis, il Martialis
ed il Quirinalis.
Pian piano il potere del Pontifex Maximus sostituì quello del Rex Sacrorum assumendo giurisdizione sui Flamini e
sulle Vestali. Tutto il collegio aveva diritto alla toga praetexta, ai littori ed alla sella curulis. Molte delle pronunce
pontificali sono state tramandate oralmente per molto tempo, fino ad essere inserite, in una sorta di
giurisprudenza, nella legge delle XII tavole nel 451-450 a.C.
Per quanto concerne la nomina dei pontefici veniva usato il sistema della cooptatio fino al 104 a.c., quando la
legge Domizia introdusse l’elezione popolare.
Soprattutto il Pontefice Maximo vegliava affinchè i sacrifici e le cerimonie fossero svolte correttamente, per il
principio secondo cui gli Dei si ritenevano soddisfatti se venivano salvaguardate le prescrizioni nei loro confronti,
mentre poco riguardava il buon comportamento degli uomini, a meno che non compissero sacrilegi. In questo
caso il crimine riguardava tutti, nel senso che occorreva una purificazione collettiva.

Edili: costituiti da due Edili Plebei, eletti annualmente dai plebei riuniti in Comitia Tributa, e due Edili
Curuli scelti tra i patrizi.
Censori: erano due e venivano eletti dai Comizi Centuriati. I censori romani furono magistrati incaricati, a partire
dal 444 a.C. (in precedenza l'incarico spettava ai consoli), dell'esecuzione della censura("censimento"),
operazione con la quale si registravano i cittadini romani e le loro proprietà. Con l'inclusione in questa lista si
diventava cittadino romano e contribuente, cioè soggetto al pagamento delle tasse. I censori erano eletti in due
dai Comizi centuriati.
Questori: erano quattro, due con funzioni di magistrati e due per il controllo del tesoro pubblico.
Tribuni della Plebe: questa carica fu creata nel 494 a. C. I tribuni della plebe erano eletti dal Concilio della
Plebe, dotati della sacrosanctitas, cioè sacri e inviolabili. Lo Stato aveva il dovere di difendere i Tribuni da
qualsiasi tipo di minaccia fisica, e garantiva loro il diritto di difendere un cittadino plebeo accusato da un
magistrato patrizio. Ebbero inoltre lo Ius intercessionis, il diritto di veto sospensivo contro provvedimenti che
danneggiassero i diritti della plebe. A partire dal 450 a.C. il numero dei Tribuni fu elevato a dieci.
EPOCA REPUBBLICANA
Fu creata nel 494 a.C., quando i plebei di Roma avevano abbandonato in massa la città, ritirandosi sul Monte
Sacro, accettando di rientrare solo quando i patrizi avessero dato il loro consenso alla creazione di una carica
pubblica che avesse il carattere di assoluta inviolabilità e sacralità, caratteristiche sintetizzate dal termine
latino sacrosanctitas, cosicchè che chiunque toccasse il tribuno diventasse sacer agli dei inferi, quindi passibile di
pena capitale. Questo significava che lo Stato si assumeva il dovere di difendere i tribuni da qualsiasi tipo di
minaccia fisica. Il tribuno aveva il diritto di presiedere i concilia plebis (ius agendi cum plebe) e, in epoca più
tarda, il diritto di convocare il senato (ius senatus habendi). I tribuni della plebe non avevano alcun potere al di
fuori delle mura della città, tranne quando, con gli altri magistrati romani, si recavano sul monte Albano per i
sacrifici, comuni ai Latini, a Giove. Fino al 421 a.C. il tribunato fu l'unica magistratura a cui i plebei potevano
accedere e che, naturalmente, era a essi riservata. Per contro negli ultimi periodi della repubblica questa carica
aveva assunto un'importanza e un potere talmente grandi che alcuni patrizi ricorsero a espedienti per riuscire a
conseguirla. I tribuni avevano inoltre il potere di irrogare la pena capitale a chiunque ostacolasse o interferisse
con lo svolgimento delle loro mansioni, sentenza di morte che veniva solitamente eseguita mediante lancio
dalla Rupe Tarpea. Questi sacri poteri dei tribuni furono a più riprese sanciti e confermati in occasione di solenni
riunioni plenarie di tutto il popolo plebeo.
SENATO
I Senatori erano gli unici ad avere cariche a vita, per cui era l'organo più potente. Aveva poteri simili a quelli avuti
nella monarchia, era costituito da 300 membri, capi delle famiglie patrizie (Patres) ed ex consoli (Consulares).
Dovevano essere consultati prima di promuovere una legge. Avevano un potere vincolante anche sulle
Assemblee Popolari e i magistrati. Si riunivano nella Curia.
Il termine "senato" deriva dal latino senex, che significa anziano, perché i membri del senato erano inizialmente i
più vecchi del popolo romano. Secondo la tradizione, il senato di Romolo, era composto da 100 membri patrizi,
che formavano il "consiglio degli anziani", solo maschi dotati di esperienza e saggezza, simile all'ordinamento
tribale. Per tradizione fu Romolo ad istituire un senato di 100 membri, diviso in dieci decuriae, che dovevano
contare in origine ciascuna dieci membri e sempre 100 membri avevano i senati delle città fondate da Roma. Ma
il numero normale dei senatori in età storica è di 300, numero pertinente all'età regia con tre tribù e trenta curie.
Le prime famiglie romane (gentes) erano formate da un'aggregazione di famiglie sotto un comune patriarca,
chiamato pater. Ognuno dei pater, considerati capostipiti delle varie famiglie, formarono il consiglio federale
chiamato Senato che elesse un re. Quando questi moriva, il potere tornava ai patres che eleggevano un altro re.
Il Senatore dell'età regia ebbe, almeno con i primi quattro re, il potere esecutivo durante l'interregnum, fu
consigliere del re e funzionò da legislatore insieme al popolo di Roma. Vi erano due categorie di senatori: i
"patres" cioè i patrizi e i loro discendenti, appartenenti al Senato primevo, e i "conscripti", aggregati in un secondo
tempo. L'originario senato romano venne dunque reclutato solo fra il patriziato, ma i plebei sarebbero entrati a far
parte del senato, per alcune fonti, già al tempo di Servio Tullio, o al più tardi nel primo anno della repubblica.
Comunque, l'ammissione dei plebei alle magistrature, avvenuta nella metà del sec. V a.C., non comportò l'entrata
di plebei in senato in forma paritaria. I patrizi continuarono a ratificare le deliberazioni dell'assemblea popolare, e
l'assunzione per turno dell'impero nell'interregnum. Mentre i patrizi erano i 'patres', i senatori plebei erano i 'patres
conscripti'.
Durante i primi regni, la più importante funzione del Senato fu di eleggere il re. Il periodo tra la morte del
precedente sovrano e l'elezione del successivo era chiamata 'interregnum'. Quando un re moriva, un senatore
nominava un candidato che potesse succedere al re. Il Senato doveva approvare la nomina, per poi essere
sottoposto all'elezione davanti al popolo e infine il Senato ne ratificava l'elezione. Così il re veniva eletto dal
popolo, ma su indicazione del Senato.
Inoltre il senato fungeva da consigliere del re, consiglio non vincolante ma sempre importante. Inoltre le leggi
erano affidate al re che però doveva coinvolgere il senato e il popolo attraverso i comitia curiata.
La nomina dei senatori spettava al re o al magistrato supremo, ma una legge comiziale romana alla
fine del IV secolo a.C., attribuì ai censori il diritto di redigere la lista dei senatori (prerogativa fino allora dei
consoli), e stabilì che la scelta avvenisse egualmente tra patrizi e plebei, assicurando il seggio da un lustrum
censorio (cinque anni) a un altro.
La carica di senatore veniva conferita dal rex (re) in età monarchica ed era vitalizia.
In età repubblicana il Senato divenne l'organo fondamentale della Repubblica nel 509 a.c. Uno dei primi
provvedimenti del primo console romano, Lucio Giunio Bruto, fu quello di rinforzare il senato molto ridotto dalle
continue esecuzioni dell'ultimo re, portandone il totale a trecento, e nominando quali nuovi senatori i personaggi
più in vista anche dell'ordine equestre.
Silla raddoppiò il numero dei senatori portandoli a 600, che Cesare accrebbe ancora a circa 900 e i triumviri a
mille e più. Augusto ritornò alla cifra di 600. La carica di senatore veniva conferita dal console in età repubblicana
ed era vitalizia.
I senatori plebei avevano dapprima solo il diritto di voto, ma quando aderirono alle magistrature superiori, tutti
coloro che avevano rivestito magistrature poterono parlare e dibattere in senato. Quando poi la magistratura
divenne obbligatoria per adire al ruolo, patrizi e plebei ebbero i medesimi diritti in senato.
Durante la Repubblica solo i magistrati potevano adire al senato, prima vi furono ammessi solo i censori, i consoli
e i pretori, poi anche gli ex edili, gli ex tribuni della plebe e gli ex questori. Ogni cinque anni i censori redigevano
la lista dei senatori, integrando i posti vacanti e, in rari casi, espellendo gli indegni. Dopo la terribile disfatta di
Canne dove perirono novanta senatori, l'organico del senato venne completato con 197 uomini presi anche
dall'ordine equestre.
Il Senato romano si poteva riunire solo a Roma, o entro il primo miglio dalla città, in luoghi consacrati e pubblici,
solitamente nella Curia, che si trovava nel foro romano; le cerimonie per il nuovo anno avvenivano nel tempio di
Giove Ottimo Massimo mentre le decisioni belliche avvenivano nel tempio di Bellona. La riunione richiedeva
auspici favorevoli, che venivano presi dal presidente.
Venivano usate anche la Curia Hostilia sul Comizio e la Curia Calabra sul Campidoglio, ciascuna con il relativo
senaculum; Cesare e Augusto innalzarono poi la Curia Julia nel Foro. Fuori del pomerio c'era un senaculum
presso il campo di Marte; più tardi servivano il teatro di Pompeo e il portico di Ottavia.
La convocazione si faceva in età più antica per mezzo di araldi, poi per edictum o in caso d'urgenza con avviso
personale a ogni senatore, indicando il luogo e l'ora della seduta, che doveva iniziare fra il sorgere e il tramonto
del sole (più spesso al sorgere del sole); non s'indicava invece l'ordine del giorno, tranne nel caso che si dovesse
discutere della situazione politica in generale (de re publica).
Nelle riunioni il senato di solito teneva conto dei comizi popolari, che richiedevano la presenza dei magistrati
pena la nullità del senatoconsulto. Dopo Silla, il senato poteva vietare la convocazione dei comizi in un dato
giorno, riservandolo alla seduta del senato.
Le sedute si tenevano in locale chiuso ma a porte aperte e i tribuni della plebe avevano in antico il diritto di porre i
loro scanni nel vestibolo per ascoltare le deliberazioni; quivi potevano stare anche i figli e i nipoti dei senatori, ma
non altri cittadini.
Persone estranee al senato erano ammesse solo in via eccezionale, e lo stesso personale subalterno dei
magistrati ne era escluso; poi si ammise la presenza di littori e scribi. Solo l'imperatore poteva farsi
accompagnare da subalterni e da ufficiali della guardia.
Le sedute non erano pubbliche e i senatori potevano anche essere richiesti di tenere il segreto. Spettava al
presidente mantenere l'ordine nel locale dell'adunanza. In fondo all'aula, di fronte alla porta d'ingresso, si
collocavano le sedie curuli dei magistrati o i banchi dei tribuni, se questi presiedevano; i senatori sedevano sui
loro banchi disposti ai due lati della sala, lasciando in mezzo una corsia libera. Sotto la repubblica non v'erano
posti fissi; v'erano invece sotto l'impero.
Non era imposto alcun limite di tempo agli oratori, i quali potevano, a scopo di ostruzionismo, tirare in lungo un
discorso sino alla fine della seduta.
I POTERI DEL SENATO IN ERA REPUBBLICANA
- il potere consultivo, cioè di essere consultato prima di far passare una legge;
- di controllare i collegi sacerdotali e fondare i templi;
- di controllare l'imperium militiae;
- autorizzare la leva,
- di controllare le operazioni belliche rifornendo le legioni di grano, paghe e vestiario;
- prorogare la carica ai comandanti, trascorso l 'anno consolare, o inviarne un altro;
- assegnare il trionfo o l'ovazione ai comandanti vittoriosi;
- siglare accordi di pace e trattati;
- dichiarare guerra;
- ricevere le sottomissioni di popoli stranieri;
- inviare ambasciatori per risolvere controversie o dare suggerimenti;
- deliberare la fondazione di colonie;
- controllare l'operato dei magistrati;
- discutere e approvare i progetti di legge da sottoporre ai comizi;
- promulgare i senatoconsulto;
- decidere sui reati commessi nella parte italica dell’Impero che necessitassero di inchiesta da parte della Res
publica, come i tradimenti, le cospirazioni, gli avvelenamenti e gli assassinii; quando un privato o una città in Italia
avesse bisogno di una mediazione di pace o richiedesse un intervento contro danni subiti, o per una domanda
d’aiuto o protezione;
- nominare la maggior numero di giudici tra i membri del senato, nei processi civili, pubblici o privati di particolare
gravità (solo in quel processo);
- controllare l'aerarium con entrate e uscite. I questori non potevano effettuare spese pubbliche senza aver
ottenuto il decreto del senato, a eccezione di quelle richieste dai consoli;
- controllare e dare il benestare sul capitolo di spesa che i censori stabilivano ogni cinque anni per la riparazione
e la costruzione di edifici pubblici;
- concedere la qualifica di legatus ad un senatore che si recava nelle province dandogli diritto a uno speciale
trattamento.
SENATUS CONSULTUM - S.C.
Il senato era di norma convocato e presieduto da un console o da un pretore, lo ius agendi cum patribus. Nella
deliberazione dei comizi il magistrato doveva portare alla cittadinanza la proposta relativa (ferre ad populum) e,
se la cittadinanza acconsentiva, doveva riportare la deliberazione al Senato (referre ad senatum) e chiederne la
ratifica. La votazione per giungere al senatoconsulto avveniva in quattro fasi:
1. Formulazione della questione da parte del presidente;
2. Chiamata di ogni senatore perché esprimesse la sua opinione;
3. Formulazione della questione da parte del presidente in base alle opinioni udite;
4. Votazione sulla questione.
I senatori favorevoli alla proposta da votare sedevano da un lato e quelli contrari dall'altro, per cui si diceva:
"pedibus in sententiam ire" e qui non era ammesso il veto dei tribuni della plebe. In seguito alla lex Publilia
Philonis del 339 a.c. il senato non poté più decidere ma solo dare un parere preventivo non vincolante.
Sugli importanti reati contro la Res publica però, per i quali era prevista la pena di morte, era il popolo a decidere
il preliminare "senatus consultum". Infatti se anche uno solo dei tribuni della plebe avesse opposto il veto, il
Senato non solo non avrebbe potuto nemmeno riunirsi. Il senato-consulto dava poi luogo a una relazione che
veniva custodita nell'aerarium posto nel tempio di Saturno dove si tenevano i bilanci, il tesoro e l'archivio di Stato.
SENATUS CONSULTUM ULTIMUM - SCU
Il "Senatus Consultum Ultimum" ovvero "Ultima decisione del Senato", o anche il "Senatus consultum de re
publica defendenda" ovvero "Decisione del Senato per la difesa della repubblica" era un decreto senatorio
emesso in caso di emergenza che fu tipico dell'ultima fase della Repubblica.
Il senatus consultum ultimum era la "legge marziale" (o "Legge di Marte") che ancora oggi si chiama così, e
veniva promulgato in caso di pericolo e necessità molto gravi: i magistrati erano autorizzati a procedere
immediatamente, venivano sospese tutte le garanzie costituzionali, come l'inviolabilità dei tribuni della plebe e la
"provocatio ad populum". Con l'avvento del principato, il Senato perse la facoltà del consultum.

N.B. I senatori (dapprima solo patrizi, poi anche i plebei) a seconda delle magistrature precedenti erano divisi in
(dai più importanti): - il princeps senatus (primo senatore, titolo attribuito dai censori al più autorevole dei
senatori), i censorii (censori, che potevano escludere i senatori indegni attraverso apposito iudicium e relativa
nota censoria), i consulares (consolari), i praetorii (pretori), gli aedilicii (edilizi), i tribunicii (tribun), i quaestorii
(questori).

In età imperiale i senatori indossavano la tunica con il laticlavio, la striscia di porpora applicata sulla tunica
bianca, ma più larga di quella dei cavalieri, e il calceus senatorius (o calceus mulleus o solea), di solito rossa, alta
e legata alla gamba con quattro corregge nere e una fibbia d'avorio (lunula).
Questo calzare spettava in origine ai senatori patrizi, poi anche ai plebei che avevano gestito magistrature curuli
e fu infine adottato da tutti i senatori. Dal sec. II a.C. i senatori portavano l'anulus aureus, l'anello d'oro, uso che si
estese poi ai cavalieri. I senatori assistevano da posti riservati alle cerimonie religiose e ai ludi e dal 194 a.C.
ebbero diritto a seggi separati nei teatri e, più tardi, anche nel circo; sedevano a tavole particolari nei pubblici
banchetti.
Con Augusto, l'imperatore e il Senato avevano teoricamente gli stessi poteri, ma in realtà chi gestiva il potere era
l'imperatore. Durante il governo dei primi imperatori, i poteri legislativi, giudiziari ed elettorali furono trasferiti dalle
assemblee al Senato.
Durante le riunioni del senato l'imperatore si sedeva tra i due Consoli e di solito agiva come il presidente della
riunione. I Senatori di rango più alto parlavano prima di quelli di rango basso, anche se l'imperatore poteva
parlare in qualsiasi momento. Oltre all'imperatore, anche i consoli ed i pretori potevano presiedere il Senato che
solitamente si riuniva nella Curia Iulia, alle calende (1° giorno del mese) e alle Idi (15° giorno), sebbene gli
incontri programmati si fissavano a settembre e ottobre.
La maggior parte dei disegni di legge presentati al Senato erano esposti dall'imperatore, che nominava una
commissione per il disegno di legge. Poiché nessun senatore poteva candidarsi alle magistrature senza
l'approvazione dell'imperatore, i senatori di solito non votavano contro le leggi da lui presentate. Se un senatore
disapprovava un disegno di legge, evitava la riunione del Senato nel giorno della votazione.
L'imperatore sceglieva un Questore per compilare gli atti del Senato nell' "acta senatus", che comprendeva
proposte di legge, documenti ufficiali e sintesi dei discorsi fatti in Senato. Il documento veniva archiviato, ma
alcune parti venivano pubblicate nell' "Acta diurna", che veniva distribuito al popolo.
Gli acta diurna, creati da Giulio Cesare, erano notizie giudiziarie, decreti imperiali, del Senato romano e dei
magistrati, ma pure annunci di nascita, di matrimonio e di morte, insomma il giornale dell'epoca. Il voto segreto
esisteva ma venne adottato solo in casi eccezionali sotto l'impero, per votazioni elettorali o di giurisdizione
criminale.

GIULIO CESARE
Cesare odiava il senato per la loro arroganza, per cui li subissò di senatori plebei. Quando poi creò senatori dei
cittadini romani delle province sollevò molte proteste, sicché i primi imperatori, per evitare reazioni, rifiutarono il
seggio senatorio a cittadini nativi della Gallia. Ma l'assimilazione dell'Italia a Roma e poi delle provincie all'Italia
ebbe per conseguenza che il senato divenne da romano ad italico e poi imperiale. Cesare non fu mai imperatore.
AUGUSTO
Augusto, il primo imperatore, ridusse il senato a 600 membri, attraverso le riforme per cui un senatore doveva
essere un cittadino di nascita libera e con reddito di almeno 1.000.000 di sesterzi.
Per essere ammessi nel senato si richiedeva originariamente il patriziato, poi l'ingenuità (nato libero), cives
romanus e onorabilità piena (certe professioni e certe condanne escludevano dal senato) e una condizione
sociale elevata. Augusto vietò ai senatori matrimoni con liberte.
In pratica si poteva arrivare alla Questura solo tramite elezioni effettuate tra cittadini di rango senatorio, per cui
figlio di un senatore. Se non era di rango senatorio occorreva che l'imperatore desse il permesso per candidarsi
alla Questura, o emanasse un decreto per portare l'individuo al Senato (la adlectio).
Augusto concesse i contrassegni esteriori dei senatori anche ai loro figli, che erano obbligati ad aspirare alle
magistrature repubblicane a essi riservate, salvo il caso di speciali concessioni del principe a persone che non
appartenevano all'ordine senatorio.
Inoltre assegnò al senato l'amministrazione ordinaria sulle province che non richiedevano presidio di forze armate
(province senatorie) e disponeva dell'erario pubblico alimentato dai redditi di queste province.
Affidò la gestione dell'erario a magistrati presi dal senato ma eletti da lui. Escluse il senato dalla politica estera, la
cui direzione fu assunta da lui stesso, e la quasi totale eliminazione dalla formazione dell'esercito e
dall'amministrazione finanziaria, le attività che avevano costituito le basi della potenza del senato repubblicano.
TIBERIO
L'imperatore Tiberio trasferì tutti poteri elettorali dalle assemblee al Senato, ma con l'approvazione
dell'imperatore prima della formalizzazione dell'elezione. Anche gli imperatori potevano, per quanto in via
straordinaria, far entrare direttamente nel senato personaggi che non avevano sostenuto la magistratura
richiesta. Il senato ottenne da Tiberio il diritto di nomina dei magistrati in rappresentanza del popolo.
TRAIANO
Traiano dispose che una parte del patrimonio dei senatori consistesse in fondi situati in Italia.
DIOCLEZIANO
Nel 300 d.C. sancì il diritto dell'imperatore di assumere il potere anche senza il consenso del Senato. Pose poi
fine ai poteri autonomi legislativi, giudiziari o elettorali del Senato, che mantenne i suoi poteri legislativi sui giochi
pubblici a Roma, conservò il potere di indagare sui casi di tradimento e quello di eleggere alcuni magistrati, ma
solo con il permesso dell'imperatore. Il Senato rimase l'ultimo baluardo della religione romana di fronte
all'imposizione del cristianesimo reso obbligatorio dagli imperatori, e più volte tentò, ma inutilmente di ottenere il
ritorno dell'Altare della Vittoria (rimosso precedentemente da Costanzo II) alla curia.
LA CADUTA DELL'IMPERO D'OCCIDENTE
Dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente il Senato continuò a riunirsi sotto il capo barbaro Odoacre e poi
sotto Teodorico il Grande, re degli Ostrogoti. L'autorità del Senato fu aumentata dai capi barbari e spesso il
princeps senatus era il fedele servitore del capo barbaro.
La coesistenza pacifica di romani e barbari nel Senato continuò fino all'avvento del capo ostrogoto Teodato che,
ribellandosi all'imperatore Giustiniano I, catturò i senatori come ostaggi. Diversi senatori furono giustiziati nel 552
a.C. come vendetta per la morte del re ostrogoto Totila. Poi Roma venne riconquistata dall'Impero bizantino ed il
Senato venne ricostituito, ma molti senatori erano stati uccisi e molti di coloro che erano fuggiti in Oriente
scelsero di rimanere lì grazie ad una legislazione favorevole proposta dall'imperatore Giustiniano, che tuttavia
abolì quasi tutti gli uffici senatoriali in Italia. Nel 578 e nel 580, il Senato mandò dei messaggeri a Costantinopoli
con 3.000 libbre d'oro come omaggio al nuovo imperatore Tiberio II Costantino insieme ad una richiesta di aiuto
contro i Longobardi che avevano invaso l'Italia, ma inutilmente, perchè le truppe di Tiberio II vennero
sconfitte.Papa Gregorio I, in un sermone del 593, si lamentava della scomparsa quasi totale dell'ordine senatorio.
Il senato dovette estinguersi nel 630, quando la Curia fu trasformata in chiesa da papa Onorio I. Il Senato
continuò ad esistere a Costantinopoli, capitale dell'Impero romano d'Oriente, fino a che scomparve nella metà del
XIV secolo.

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