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510-509 A.C.

è il termine di inizio della repubblica, che è l’anno in cui viene ordinata


una congiura (ordinazio memoria) a Tarquinio il Superbo .

( Nella datazione, dobbiamo indicare due anni perché quelli romani non
corrispondono a quelli solari nostri. )

Il 31 A.C. è il termine di fine, nonché l’anno della battaglia di Fazio, fine del
trumvirato, Giulio Cesare Ottaviano distrugge la flotta di Marco Antonio e Cleopatra.

La res pubblica ha come amministratori due consoli con carica 1 anno, magistrati
che hanno il compito di orientare la repubblica. Hanno l’imperium (comando
militare). Il dictator veniva nominato in periodi di gravi difficoltà e aveva anch’esso il
comando militare, durava 6 mesi ed era un magistrato straordinario. All’inizio c’era
solo un pretore, aveva il potere giudiziario, poi diventano due e avevano l’imperium.

Poi ci sono i censori, i questori e gli edili.

 I censori dovevano censire le famiglie di Roma e vigilare sulla condotta


pubblica dei cittadini più importanti, come i senatori;
 I questori erano destinati al controllo delle finanze pubbliche, controllavano
la cassa dello stato;
 Gli edili, avevano la cura urbis: la gestione delle strade cittadine, dei bagni
pubblici e degli edifici; la seconda era la cura annonae: la gestione dei
mercati, e infine la terza non era altro che la cura ludorum: la gestione dei
giochi pubblici e circensi.

Il senato aveva potere consultivo, cioè votare leggi e approvare dicisioni, eleggere
consoli ecc.

Da Romolo esistono fino a Servio Tullio i comizi curiati, poi persistono anche nell’età
repubblicana i comizi centuriati, un’assemblea suddivisa per centurie in base alla
ricchezza (Comitia Populi Centuriata),senza dubbio la più importante dal punto di
vista delle competenze; vi si raccoglievano tutti i cittadini romani, patrizi o plebei che
fossero, per esercitare i loro diritti politici e contribuire a determinare la vita dello
Stato.

A quest'assemblea furono demandati i maggiori compiti di governo, il cui esercizio


era riservato al popolo, (populus da intendersi chi era presente all'interno
dell'esercito, quindi chi si poteva permettere un'armatura), che consistevano
principalmente nell'elezione delle magistrature maggiori (censura, consolato,
pretura), nella legislazione (spesso in comunione col senato) e nella dichiarazione di
guerre.

La civiltà romana si basa sul diritto, a differenza di quella greca che si basa sulla
filosofia.

La giurisprudenza, non ha valore di legge è solo l’interpretazione;

la LEX, ha valore e viene radificata, non esiste l’abrogazione.

Oltre i comizi centuriati, c’erano ancora i comizi curiati e tributi, anche se con
compiti diversi.

 La curia in epoca repubblicana sembra si trasformò in un'assemblea con


funzioni legislative, elettorali e giuridiche. Una delle prime funzioni attribuite
fu la Provocatio ad populum, ossia la possibilità che potesse essere
trasformata in altra pena la pena capitale di un condannato a morte. I Comizi
curiati approvavano le leggi, eleggevano i consoli, e cercavano di risolvere i
casi giudiziari. I consoli presiedevano sempre questo genere di assemblea. E
mentre i plebei potevano partecipare a questa assemblea, solo i patrizi
potevano votare.
 La Comitia Populi Tributa, più comunemente note come Comizi tributi,
comprendevano sia patrizi che plebei, distribuiti territorialmente in
trentacinque tribù, nelle quali tutti i cittadini romani venivano collocati per
scopi elettorali e amministrativi. Come per i comizi centuriati il voto era
indiretto, con un voto assegnato ad ogni tribù.

Più avanti ci saranno i concili della plebe.

Le leggi delle 12 tavole (duodecim tabulae) sono un corpo di leggi compilato nel 451-
450 a.C. dai decemviri legibus scribundis, contenenti regole di diritto privato e
pubblico. Rappresentano una tra le prime codificazioni scritte del diritto romano, se
si considerano le più antiche mores e lex regia. Non si conosce il testo completo.
Sotto l'aspetto della storia del diritto romano, le Tavole costituiscono la prima
redazione scritta di leggi nella storia di Roma.

Poi furono istituiti gli edili:

 I patrizi erano i patres, i «padri» fondatori della città. Essi discendevano dalle
famiglie più antiche che per prime avevano occupato i sette colli e si erano
appropriate dei terreni migliori. Formavano un gruppo ristretto e
impenetrabile, l’aristocrazia.
 I plebei facevano parte della plebs o plebe, un termine che significava
«moltitudine». Erano immigrati laziali arrivati dopo la fondazione di Roma e
avevano quindi dovuto accontentarsi, se fortunati, dei campi meno redditizi.

La Secessio plebis o secessione della plebe, fu una forma di lotta politica adottata
dalla plebe romana, tra il V ed il III secolo a.C., per ottenere una parificazione di
diritti con i patrizi.

Nel 287 a.C. Ortensio,con il supporto di Curio Dentato, promulgò una legge, la
Lex Hortensia de plebiscitiis, che stabiliva che le decisioni, e quindi le leggi, decise
delle assemblee plebee valevano per tutti i cittadini romani, quindi anche per i
patrizi.

Questa legge eliminò quella che era oramai l'unica disparità politica rimasta fra le
due classi, chiudendo, dopo circa duecento anni di lotte, il Conflitto degli Ordini.
Questo evento, anche se è ben lungo dal risolvere tutte le disuguaglianze
economiche e sociali fra patrizi e plebei, segnò comunque una svolta importante
nella storia della democrazia romana in quanto diede luogo al formarsi di un nuovo
tipo di nobiltà patrizio-plebea che, consentendo una continuità nel governo della
repubblica, ne costituirà uno dei principali elementi di forza nella sua espansione
economica e militare.

La politica espansionistica portò Roma a diventare la potenza egemone dell’Italia


centro-meridionale. La prima fase la collochiamo nel V secolo a.C. e prevedeva,
oltre al sistema citato in precedenza, l’annessione dei nuovi territori che
diventavano ager publicus (l’insieme di porzioni di territorio di proprietà dello
stato), mentre i nemici sconfitti potevano essere ridotti in schiavitù, sottomessi o,
attraverso un trattato chiamato foedus Cassianum (imposto nel 493 a.C. da Spurio
Cassio) ,con il quale i cittadini venivano riconosciuti con cittadinanza romana ma
senza diritti politici, però garantendo loro protezione militare. Questa strategia e la
riappacificazione con le altre città latine, permise a Roma di sottomettere i territori
del centro-meridione tra il IV e il III secolo a.C. Infatti, i Romani sconfissero, grazie
alla Lega Latina, le civiltà di equi, volsci e sabini. Ma dopo la vittoria i latini non
vollero più rispettare il patto poiché Roma era l'unica a detenere il controllo della
Lega. Così si formò una coalizione antiromana delle città latine (340 a.C.), che le
costrinse a chiedere la pace e nel 338 a.C., si determinò lo scioglimento della lega
latina e l’abolizione del foedus Cassianus . Per continuare il loro progetto di
espansione nell’Italia meridionale i Romani dovettero affrontare i popoli che si
trovavano nella dorsale appenninica, in particolare quella dei Sanniti, difatti tra il
343 e il 290 a.C. Roma combattè le ‘’tre guerre sannitiche’’.

1. La prima guerra sannitica durò dal 343 a.C. al 341 a.C. I Sanniti invasero la
città di Capua che chiese aiuto a Roma. Quest’ultima, che nel 354 a.C. aveva
stipulato con i Sanniti un trattato di non belligeranza, non intervenne. Allora la
città di Capua si consegnò nelle mani di Roma, mediante l'istituto del dedizio,
ovvero la città si poneva sotto il potere normativo di Roma. A questo punto fu
costretta ad intervenire in difesa di Capua e scoppiò la prima guerra sannitica,
che non portò nessun esito decisivo, ma intensificò negli anni successivi
l’ingenerenza romana in Campania.
2. Due furono gli episodi che determinarono lo scoppio del conflitto: la
fondazione, da parte di Roma, della colonia di Fregelle nel 328 a.C., nella valle
del Liri e l'occupazione di Napoli nel 326 a.C. In questo modo i Sanniti
vedevano ostacolata ogni possibilità di espansione verso la costa. Per questo
motivo, nel 326 a.C., i Sanniti ripresero a combattere contro i Romani dando
inizio alla seconda guerra sannitica che durò 22 anni: dal 326 al 304 a.C. La
seconda guerra sannitica vide alternarsi vittorie dei Sanniti e vittorie dei
Romani. I Romani erano più abili in pianura, mentre i Sanniti erano molto forti
in montagna data la loro maggiore conoscenza di questi territori. Una
importante vittoria dei Sanniti fu quella delle Forche Caudine, una valle nei
pressi dell'attuale Benevento dove, nel 321 a.C. l'esercito romano fu
imbottigliato. I Romani furono disarmati e costretti a passare sotto un gioco
formato da tre lance incrociate, in segno di sottomissione essendo costretti ad
abbassare la schiena di fronte ai vincitori. Dopo tale battaglia vi fu un periodo
di tregua durante il quale i Romani:
 apportarono alcune modifiche al proprio esercito in modo da renderlo
più agile;
 intrapresero una vasta azione diplomatica con le popolazioni che
circondavano i Sanniti in modo da accerchiarli;
 fondarono la colonia di Lucera proprio alle spalle dei Sanniti;
 costruirono la via Appia, la prima di una vasta rete di strade. Essa
permetteva ai Romani una grande rapidità di movimento per le truppe
e per i rifornimenti.
3. Per i Sanniti la sconfitta di Boiano significava non avere più alcuna possibilità
di espansione in pianura. Per questa ragione i Sanniti si allearono con quei
popoli che si sentivano minacciati dall'espansione dei Romani, ovvero gli
Etruschi, gli Umbri e i Galli. In questo modo fu creata una grande coalizione
anti-romana che determinò lo scoppio della terza guerra sannitica. La terza
guerra sannitica durò 9 anni: dal 298 al 290 a.C. Etruschi e Galli attaccarono i
Romani da nord, mentre i Sanniti li attaccarono da sud. L'esercito romano era
numericamente inferiore e subì alcune sconfitte iniziali, ma successivamente
riuscì ad evitare che gli eserciti nemici si ricongiungessero. Lo scontro decisivo
si svolse a Sentino, in Umbria, nel 295 a.C. Si trattò di una battaglia molto
violenta che causò moltissimi morti e vide la definitiva vittoria di Roma. La
vittoria romana ebbe come conseguenza che Roma riuscì a stipulare degli
accordi di pace separati con i vari popoli della coalizione. Solo i Sanniti
continuarono la guerra contro i Romani. Nel 290 a.C. Roma attaccò i Sanniti
nel loro territorio sconfiggendoli definitivamente. Questa vittoria segnò l'inizio
del dominio di Roma su tutta la penisola, ad eccezione della città di Taranto.
La Repubblica romana era riuscita a legare a sé tutta l'Italia centro-
meridionale, dall'altezza di Pisa e Rimini fino a Reggio Calabria.

Per rafforzare il proprio potere, fondò delle colonie, costituite da un gruppo di


cittadini romani o latini ai quali veniva assegnato un territorio sottratto ai nemici, in
modo che essi vi potessero fondare una nuova città. Le colonie erano indipendenti,
avevano proprie leggi e propri magistrati. Se gli abitanti delle colonie erano cittadini
romani, essi godevano degli stessi diritti di coloro che abitavano nella città di Roma.
Lo scopo della fondazione di queste colonie era quello di controllare i territori
conquistati.

La provincia romana dopo gli ampliamenti del territorio della Repubblica tra la fine
del III e il II secolo a.C., passò gradualmente a significare non più la sfera di
competenza di un magistrato, ove egli potesse dispiegare il suo imperium (potere),
ma il territorio sottomesso sul quale questi esercitava i propri poteri, al di fuori
dell'Italia romana. Nelle province romane l'amministrazione e il governo sono
affidate ai proconsoli e propretori,il cui mandato in carica viene spesso prolungato
nel tempo.
La sicilia è la prima provincia romana ed è annessa come provincia nel 241 a.C.

Il municipio si basava sull'idea di attribuire la cittadinanza romana agli abitanti delle


città conquistate. I centri urbani mantennero la propria autonomia amministrativa e
municipali continuarono essere cittadini delle loro città, con i propri magistrati: in
più divennero anche cittadini romani.

Le città federate, erano le comunità politiche indipendenti legati a Roma da trattati


di alleanza. Sono in rari casi vi furono alleanze paritarie nelle quali Roma lascio alla
controparte piena libertà politica in cambio del solo impegno alla difesa reciproca. In
alcune città Roma collocò propri contingenti militari, imponendone la presenza
oppure dietro richiesta della città stessa.

Le guerre puniche furono tre guerre combattute fra Roma e Cartagine tra il III e II
secolo a.C. e scoppiate per motivi politici, economici e per le ambizioni di dominio
del Mediterraneo dei due popoli contendenti. Le tre guerre si risolsero con la
supremazia di Roma sul mar Mediterraneo e con la totale sconfitta di Cartagine che,
secondo la leggenda, fu cosparsa di sale per non farci crescere più nulla.

Nel IV e III secolo a.C. i Greci persero potere al contrario di Roma che, da piccola
potenza italica, era divenuta una forza politico-militare nel Mediterraneo.

Fra Roma e Cartagine, città quasi coetanee, sorsero i primi attriti inizialmente gestiti
con dei trattati per regolare le reciproche sfere di influenza. Tra questi, il più
importante fu quello del 279 a.C. che vide Roma e Cartagine alleate contro Pirro, re
dell'Epiro, chiamato in Italia dalla città di Taranto contro i Romani e poi in Sicilia da
Siracusa contro i Cartaginesi.

La prima delle tre guerre puniche ebbe inizio nel 264 a.C. Roma voleva espandersi
nel mar Mediterraneo; entrò quindi in contrasto con Cartagine, che aveva il
controllo dei commerci marittimi. Roma dotò le proprie navi di ponti mobili, i corvi,
per agganciare la nave nemica e combattere a corpo a corpo sull’altra nave. Roma
vinse la prima guerra punica con la vittoria vicino alle isole Egadi, nel mare della
Sicilia. Conquistò così la Sicilia e costrinse Cartagine a cedere anche la Corsica e la
Sardegna.

La seconda delle tre guerre puniche ebbe inizio nel 218 a.C.
Il generale cartaginese Annibale varcò le Alpi con decine di elefanti e scese in Italia.
Sconfisse più volte i Romani e giunse in Puglia, dove, a Canne (oggi chiamata Canne
della Battaglia), riportò una grande vittoria (216 a.C.).

I Romani allora si riorganizzarono e inviarono in Africa le truppe guidate da Publio


Cornelio Scipione. Annibale fu quindi costretto a lasciare l’Italia per andare a
difendere Cartagine.

La vittoria definitiva su Annibale ebbe luogo il 18 ottobre del 202 a.C. a Zama.
Annibale si rifugiò in Oriente, dove tentò senza fortuna di suscitare nuove guerre
contro Roma, mentre Scipione a Roma celebrò un grandioso Trionfo e prese il
soprannome onorifico di Africano.I Cartaginesi furono sconfitti e costretti a cedere
tutte le loro colonie in Spagna.

La Seconda guerra punica si era conclusa con un accordo di pace. L’accordo vietava a
Cartagine di fare guerre, anche in Africa, senza il consenso romano.I Cartaginesi,
però, furono attaccati dal regno della Numidia e per difendersi violarono l’accordo.
Allora i Romani dichiararono guerra a Cartagine. La Terza guerra punica ebbe inizio
nel 149 a.C. Comandati da Scipione Emiliano, dopo un assedio di tre anni, nella
primavera del 146 a.C., i Romani conquistarono la città. I Cartaginesi che si arresero
furono venduti come schiavi, mentre la città fu saccheggiata e distrutta.

Le guerre macedoniche sono le tre guerre sostenute da Roma contro il Regno di


Macedonia, tra il 215 a.C. e il 148 a.C. La prima guerra macedonica (215-205 a.C.)
scoppiò in relazione alle vicende della seconda guerra punica.

Subito dopo la battaglia di Canne, infatti, sembrandogli la Repubblica romana


sull’orlo del tracollo, Filippo V di Macedonia strinse un’alleanza con Annibale.

Roma reagì chiamando a raccolta i vari nemici che Filippo aveva sia in Grecia (primi
fra tutti la Lega etolica) sia in Asia Minore, come il regno di Pergamo; i Romani non
poterono intervenire con forze rilevanti perché duramente impegnati da Annibale in
Italia.
La prima delle tre guerre macedoniche si concluse con la pace di Fenice (205 a.C)

Pochi anni dopo, Filippo V di Macedonia avviò una politica di espansione in Asia
Minore. Aggredì infatti il regno di Pergamo, già alleato di Roma, e penetrò in Grecia,
tentando la conquista di Atene (200 a.C.). Ebbe così inizio la seconda guerra
macedonica. Il comando delle forze romane fu affidato a Tito Quinzio Flaminio,
giovane esponente del circolo degli Scipioni. La guerra culminò nella battaglia di
Cinoscefale (197 a.C.), in Tessaglia. Il sovrano macedone perse tutti i territori esterni
alla Macedonia, consegnò la flotta e pagò una forte indennità. Filippo V di
Macedonia morì e gli successe il figlio Perseo che nel 171 a.C. iniziò una nuova
guerra contro Roma, la terza delle tre guerre macedoniche. Per qualche anno, i
Macedoni riuscirono a resistere, ma nel 168 a.C. il comando delle forze romane
passò a Lucio Emilio Paolo, il figlio di quel console che era caduto durante la
battaglia di Canne. Nella battaglia di Pidna i Macedoni furono sbaragliati. Perseo fu
esibito in catene durante il trionfo del suo vincitore e morì in prigionia qualche anno
dopo.Le città greche colpevoli di aver appoggiato il re macedone subirono delle
riduzioni territoriali; parte dei loro abitanti furono deportati; un migliaio tra i loro
cittadini più illustri conseganti in ostaggio a Roma. Vent’anni più tardi, dopo la
repressione di una ribellione, la Macedonia divenne provincia romana (148 a.C.).
Con essa, l’intera Grecia entrò a far parte stabilmente dei domini romani.

Alla fine del II secolo a.C. Roma dominava su tutto il Mediterraneo. Le nuove
conquiste territoriali ebbero grandi ripercussioni sulla vita politica ed economica
romana.Le continue guerre avevano tenuto i piccoli proprietari lontani dalle loro
terre per lungo tempo e al loro ritorno, una buona parte di essi non disponeva dei
mezzi finanziari occorrenti a rendere nuovamente coltivabili i propri terreni. Gran
parte di questi contadini si vide costretta a vendere le proprie terre ai grandi
proprietari, finendo in tale modo con l’ingrossare le file dei nullatenenti. Per loro era
anche impossibile trovare un altro lavoro per la concorrenza costituita dai
numerosissimi schiavi giunti a Roma in seguito alle nuove conquiste, che
costituivano un inesauribile risorsa di manodopera a costo zero. Questa schiera di
derelitti abbandonava quindi le campagne recandosi a Roma dove ingrossava le fila
dei disoccupati. Negli ultimi decenni si era formata una nuova classe di cittadini: i
cavalieri, cittadini di origine non nobile arricchitisi con il commercio o con l’esazione
delle imposte nelle provincie. Sfruttavano la loro ricchezza per avere sempre più
voce in capitolo nella vita politica della capitale e per intavolare alleanze con i
senatori al fine di difendere i propri privilegi a danno della plebe. Nel 133 a. C.
Tiberio viene eletto tribuno della plebe e propone una riforma (ovviamente
partorita insieme ad altri) stabilendo di fissare in 50 iugeri la terra pubblica che
poteva restare nelle mani di un privato ( fino a quel momento fissata in 500 iugeri,
circa 125 ettari). Si poteva arrivare a un massimo di 1000 iugeri qualora si avesse più
di un figlio. La restituzione allo Stato della parte eccedente sarebbe servita a
ridistribuire le aree recuperate ai cittadini poveri. La legge non sfavoriva totalmente
i proprietari più ricchi, perché prevedeva che gli espropriati avessero in piena
proprietà, e non in concessione, le terre rimaste loro dopo la decurtazione; i
beneficiari del provvedimento avrebbero a loro volta usufruito della proprietà delle
loro parcelle in modo netto e inalienabile.

I senatori, grandi latifondisti, iniziarono una forte opposizione che denigrava


l’operato di Tiberio proponendolo come uomo avido di potere desideroso di divenir
tiranno.

Presentata all’assemblea della plebe la riforma si scontra con l’intercessione del


tribuno Marco Ottavio (accordatosi coi senatori) che chiede il diritto tribunizio di
veto non permettendo l’approvazione della legge. Tiberio propone di abrogare i
poteri del tribuno, violando la costituzione romana, ottenendo la destituzione di
Marco Ottavio e l’approvazione della legge che fu chiamata Lex Sempronia.

Un’altra mossa anticostituzionale di Tiberio fu quella di proporsi come tribuno nel


132 a. C., un anno dopo la sua carica. Ciò gli valse l’accusa di voler istaurare un
regime tirannico e la morte: nel corso di una sommossa venne assassinato insieme a
300 seguaci e i loro corpi gettati nel Tevere.
Nel 123 a. C. viene eletto tribuno della plebe Caio Gracco, fratello di Tiberio. Egli si
fece portavoce della ridistribuzione di terre pubbliche agli alleati degli italici, detti
socii. Nel 133 a.C. era morto Attalo III, ultimo re di Pergamo, che aveva lasciato ai
romani il proprio regno, poco dopo organizzato nella provincia d’Asia.

Caio sfruttò l’occasione per finanziare la Lex frumentaria: la vendita di frumento a


basso prezzo alla plebe urbana. Così facendo si garantiva il voto dei proletari di
Roma, categoria fino a quel momento manipolata dalla classe senatoria attraverso
rapporti di clientela. Ai cavalieri concesse la possibilità di riscuotere le imposte della
provincia d’Asia. Infine, concesse la cittadinanza romana a tutti quelli che
possedevano la cittadinanza latina e concesse quella latina a tutti gli italici, così da
impedire l’alleanza di quest’ultimi con l’oligarchia senatoria contro la sua proposta
agraria che aveva tra i propositi quello di colonizzare il territorio di Cartagine.Nel
121 a.C. Caio Gracco non riottenne il titolo di tribuno della plebe durante l’elezione
(sarebbe stato il terzo, il secondo lo ebbe nel 122). Privo di protezione fugge e
preferisce farsi uccidere da un servo che cadere nelle mani dell’opposizione. Ne
consegue che la riforma agraria dei Gracchi è in parte distrutta: Secondo alcuni
storici però la Lex agraria ha contribuito a ricostruire piccole aziende agricole.Con gli
avvenimenti avvenuti dal 133 al 121 a. C. iniziarono a venir fuori due partiti destinati
a segnare la storia romana fino alla fine della repubblica: i populares e gli optimates.
I populares, ovvero i popolari, sono i difensori delle cause del popolo e dei suoi
interessi, saranno gli eredi dei Gracchi e sostenitori del principio democratico della
sovranità popolare e della necessità di una riforma agraria; gli optimates, ovvero gli
ottimati, ( i “buoni” nella terminologia fatta propria dall’oligarchia) difenderanno
invece il potere politico esclusivo della nobiltà senatoria e saranno ostili nei
confronti di qualsiasi ipotesi di redistribuzione delle terre.

Il fallimento della riforma agraria aveva reso difficile reperire soldati dato che
potevano entrare a far parte dell'esercito solamente i possidenti.

Inoltre, coloro che potevano essere arruolati, perché possedevano delle terre,
non vedevano di buon occhio questa possibilità che avrebbe fatto correre loro il
rischio di mandare in rovina il proprio patrimonio a causa delle lunghe assenze,
come era accaduto in passato.
Caio Mario pensò di risolvere il problema attraverso una riforma del
reclutamento.

Questa riforma, per colmare i vuoti che si erano venuti a formare nell'esercito,
prevedeva l'arruolamento dei proletari.

In pratica, i proletari che lo desideravano potevano, in modo volontario e


retribuito, entrare nell'esercito per 16 anni.

In questo modo si venne ad avere un esercito formato dasoldati di mestiere, in


altre parole un esercito di professionisti.

Questo cambiamento nell'esercito romano iniziò al tempo della guerra contro


Giugurta, durante la quale Caio Mario iniziò a reclutare, per la prima volta, dei
proletari nell'esercito.

Le conseguenze di questo profondo cambiamento furono diverse:

da un punto di vista militare, si venne ad avere un esercito più uniforme.


Sparirono tipi di armamenti diversi a seconda delle condizioni economiche dei
soldati. Inoltre, i soldati, essendo questo il loro mestiere, erano meglio
addestrati;

dal punto di vista sociale, la riforma consentiva di d risolvere il problema della


disoccupazione per molti proletari che, non solo erano retribuiti per il loro
servizio, ma speravano anche di potersi dividere un buon bottino di guerra in
caso di vittoria;

da un punto di vista politico, i nuovi soldati erano attaccati solamente al


comandante che li aveva reclutati e ai suoi interessi e non più al bene dello Stato.
In questo modo l'esercito divenne sempre più un esercito personale dei vari
comandati che utilizzarono tale potere per affermarsi anche in campo politico. In
questo modo si ponevano le basi per la supremazia dei comandanti, cosa che il
Senato aveva cercato di evitare dalla seconda guerra punica in poi. Di
conseguenza, l'avversione del Senato nei confronti delle leggi agrarie finì per
favorire il passaggio dalla repubblica all'impero.
Il
partito aristocratico pensò di contrastare il crescente prestigio di Mario puntando su Lucio
Cornelio Silla.
Chi era Lucio Cornelio Silla?

Lucio Cornelio Silla era un giovane nobile, estremamente ambizioso, che si era già fatto notare
durante la guerra contro Giugurta.

Silla fu eletto console nell'88 a.C. e, l'anno successivo, divenne pro-console della provincia di Asia.

Cosa stava accadendo, nel frattempo, nel Ponto?

Mitridate VI, re del Ponto, era salito al trono nel 120 a.C. a soli 12 anni.

Egli era un accanito nemico dei Romani.

Una volta allargati i suoi domini sulle coste del Mar Nero, si alleò con il re dell'Armenia e occupò la
Cappadocia.

Roma ordinò a Mitridate di abbandonare i territori occupati ma, poiché era impegnata nella guerra
sociale, non poté inviare le proprie truppe sul posto per risolvere in modo adeguato il problema.

Una volta ultimata la guerra sociale, il Senato romano affidò a Silla il comando dell'esercito con il
compito di combattere Mitridate.

Mario e il partito popolare non accettarono la scelta di nominare Silla come capo dell'esercito. Di
conseguenza scoppiarono una serie di tumulti che si conclusero con la revoca del comando
dell'esercito a Silla e il suo conferimento a Mario.

Silla, appresa la notizia della revoca del suo comando, marciò con l'esercito destinato alla
spedizione, su Roma. La città fu sconvolta da una guerra civile che si concluse con Silla che si
impadronì della città e Mario, che privo di forze armate, fu costretto a fuggire in Africa nell'88 a.C.

Con il gesto di Silla, per la prima volta, un comandante metteva l'esercito al servizio dei propri
interessi personali compiendo un atto rivoluzionario che mai si sarebbe potuto pensare prima e
aprendo la strada alle guerre civili.

Quando la situazione a Roma si normalizzò, Silla riprese la guerra in Oriente.


Essa si concluse con la sconfitta di Mitridate VI.

La pace fu firmata, a Dardano, nell'84 a.C. e al re del Ponto fu imposto di:

restituire le terre conquistate;

consegnare le navi;

pagare una somma di denaro.

Cosa stava accadendo nel frattempo a Roma?

Nel frattempo a Roma il partito popolare si era risollevato e Mario era tornato a Roma dall'Africa.

Iniziarono, così, delle atroci persecuzioni nei confronti degli aristocratici.

Ma la morte improvvisa di Mario, nell'86 a.C., lasciò il partito popolare privo di un capo e la città in
preda a lotte violente.

Cosa fece, allora, Silla?

Silla, nell'82 a.C., tornò a Roma a capo dell'esercito e si fece proclamare dittatore a tempo
indeterminato con ampi poteri legislativi.

In cosa consistevano le liste di proscrizione?

Subito dopo Silla emanò le liste di proscrizione o tavole di proscrizione.


Esse erano liste contenenti i nomi di tutti coloro che avevano appoggiato Mario.

Costoro erano posti fuori legge, il che significava che chiunque li trovava poteva ucciderli, senza
bisogno di alcun processo. Inoltre i loro beni venivano confiscati dallo Stato.

Chiunque dava ospitalità o aiuto ai proscritti poteva essere ucciso.

I discendenti dei proscritti non potevano accedere a cariche pubbliche.

Per effetto delle liste di proscrizione molti furono inseriti in tali elenchi ed uccisi ingiustamente
solamente per vendetta personale. Si creò un clima di terrore. I seguaci di Mario che riuscirono a
fuggire erano costretti a vivere nascosti e in povertà.

Inoltre, i simpatizzanti di Silla, finirono spesso col comprare a poco prezzo i beni che lo Stato aveva
confiscato ai proscritti.

La riforma sillana fu una riforma dello Stato effettuata secondo gli interessi degli ottimati con
l'obiettivo di rafforzare il potere del Senato ed allontanare le minacce alla sua autorità.

La riforma:

prevedeva un preciso e severo cursus honorum per accedere al consolato;

stabiliva che i pretori e i consoli dovevano restare durante il primo anno di carica in Italia.
Solamente nel secondo anno potevano essere inviati dal Senato nelle province come proconsoli e
propretori, rispettivamente per governale e per guidare le legioni lì stanziate. In questo modo Silla
volle impedire quello che aveva fatto lui, cioè ricorrere alle forze armate nella lotta politica;

elevava il numero dei pretori ad 8 in modo che vi fossero più ex magistrati che potessero andare
ad amministrare le province evitando la concentrazione del potere nelle mani di uno solo;

toglieva ai cavalieri il compito di amministrare la giustizia prevedendo la creazione di giurie penali


formate solamente da senatori. Così facendo anche l'autorità giudiziaria veniva accentrata nelle
mani del Senato;

aumentava il numero dei senatori da 300 a 600 includendo anche i cavalieri. In questo modo,
includendoli nel Senato li portò dalla parte dell'aristocrazia isolando la plebe;

toglieva ai tribuni il diritto di convocare il popolo e parlare nelle assemblee. Ad essi restava
solamente la possibilità di porre il veto sulle leggi, ma anche tale diritto veniva limitato: i tribuni
erano soggetti a multe in caso di interventi accertati come inopportuni. Inoltre chi veniva eletto
tribuno non poteva più accedere ad altre cariche pubbliche. In questo modo si toglieva ogni
interesse nei confronti di tale carica;

ampliava il confine intorno a Roma, nel quale era considerato sacrilego introdurre armi e persone
armate. In questo modo Silla sperava di evitare che altri si impossessassero di Roma con la forza,
dato che l'ampiezza della barriera sacrale avrebbe consentito al Senato di preparare un'adeguata
difesa in caso contrario.

Un altro provvedimento preso da Silla fu quello di dare, ad ognuno dei suoi fedeli soldati, che
avevano avuto un ruolo determinante nella sua ascesa al potere, un piccolo campicello.Questo
fece tornare l'Italia a riempirsi di piccole proprietà terriere coltivate da uomini liberi.

La dittatura di Silla si concluse nel 79 a.C. quando lui stesso decise di lasciare la carica e di ritirarsi a
vita privata.

Questa scelta forse maturò per motivi di salute o forse perché il dittatore riteneva di aver portato
ormai a termine la sua opera di restaurazione.

Nel 78 a.C. Silla morì.

Da questo momento in poi , la storia di Roma non sarà più caratterizzata dal contrasto tra due
partiti opposti, ma dalla lotta aperta tra due capi, che si appoggeranno sì a gruppi politici
contrastanti, ma soprattutto alle forze militari.

Nel I secolo a.C. la Repubblica è minacciata da scontri fra due fazioni: gli Optimates e i Populares

Alcuni generali molto ambizioni approfittano di questi scontri per aumentare il proprio potere
personale. Fra questi, abbiamo Crasso, Pompeo e Cesare, il primo triumvirato.

Grasso e Pompeo appoggiavano il partito degli optimates mentre Cesare, esponente della nobiltà,
era schierato con i populares. Fra i tre, alla fine del I secolo, Cesare riscosse molto successo
mettendo in ombra gli altri due a tal punto che nel 60 a.C. Crasso, Pompeo e Cesare si allearono e
costituirono un triumvirato cioè un accordo privato che impegnava i tre alleati ad aiutarsi
reciprocamente per raggiungere i rispettivi obiettivi ed in pratica per ottenere e spartirsi il
controllo delle più importanti cariche senza che il Senato avesse deliberato nulla. A Cesare
interessava il consolato, Pompeo voleva le terre per i veterani e Crasso richiedeva alcuni vantaggi
per la classe dei cavalieri di cui faceva parte.

L’anno dopo (59 a.C.), Cesare, con l’appoggio degli altri due, diventa console, iniziando così la sua
marcia verso il potere, e ordinò che ai veterani di Pompeo fossero distribuite gratuitamente delle
terre, anche se il Senato era contrario. Al termine del consolato, Cesare scelse di governare due
province: la Gallia Cisalpina (al di qua delle Alpi, Italia settentrionale odierna) e la Gallia
Narbonense (Francia meridionale odierna). Scelse queste due regioni per i motivi seguenti: la
Gallia Cisalpina era vicina a Roma e quindi gli avrebbe permesso di tenere sotto controllo la
situazione della capitale, la Gallia Narbonense costituiva un punto di appoggio per iniziare la
conquista di tutta la Gallia. Infatti dal 58 al 57 a. C Cesare sottomise tutta la Gallia, dimostrandosi
così un grande condottiero.
A questo punto, il Senato temeva che Cesare, rientrando da vincitore in Italia con le sue legioni,
volesse impadronirsi del potere con la forza e contava sulla presenza di Pompeo (Crasso nel
frattempo era morto nella guerra contro i Parti che lo avevano ucciso versandogli in gola dell’oro
fuso). Pompeo suggerì al Senato di dire a Cesare che se voleva essere eletto console, avrebbe
dovuto rientrare a Roma senza esercito, cioè come un cittadino privato qualsiasi. Cesare, invece,
attraversò il fiume Rubicone con il suo esercito, pronunciando la famosa frase “Alea jacta est”. Era
l’inizio della guerra civile.

Nel 48 a.C., Cesare sconfisse Pompeo nella battaglia di Farsalo che fuggì in Egitto dove fu catturato
dal re Tolomeo ed ucciso. Dopo aver deposto il re Tolomeo, Cesare nominò regina d’ Egitto
Cleopatra di cui si innamorò e da cui ebbe un figlio, Cesarione, quindi proseguì nelle sue guerre in
Asia contro Farnace, figlio di Mitridate ed in Africa contro il re della Numidia che aveva accolto gli
ultimi optimates seguaci di Pompeo.

A questo punto, ormai, Cesare era il padrone di Roma. La Repubblica esisteva ancora, ma solo
formalmente perché Cesare era il capo politico, militare e religioso e dopo le vittorie si fece
nominare dittatore a vita facendosi anche attribuire l’inviolabilità che fino ad allora era riservata ai
tribuni della plebe. Bisogna però riconoscere, che il suo governo fu moderato; infatti permise agli
esiliati di rientrare a Roma, concesse la cittadinanza romana agli abitanti della Gallia Cisalpina,
cercò di eliminare la miseria e lottò contro la disoccupazione.

Cesare era molto amato dal popolo, tuttavia la sua politica gli aveva procurato anche tanti nemici
fra cui gli aristocratici e i repubblicani. I primi, che avevano perso i loro poteri di un tempo,
temevano che Cesare volesse trasformare Roma in una monarchia di tipo orientale, come quella di
Egitto; i secondi accusavano Cesare di aver privato Roma delle libertà ed è per questo che ordirono
una congiura per ucciderlo. Infatti, il 15 marzo del 44 a.C. (per il calendario romano le idi di marzo),
Cesare fu affrontato in Senato da un gruppo di congiurati capeggiato da Bruto e da Cassio e cadde
sotto ventitré colpi di pugnale.

I congiurati furono costretti a fuggire e le loro case bruciate ; i disordini aumentarono quando si
seppe che Cesare, nel testamento, aveva lasciato una somma di denaro ad ogni membro del
proletariato urbano e ai legionari. A questo punto era chiaro che la Repubblica non avrebbe
potuto essere restaurata.

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