Sei sulla pagina 1di 4

LE ORIGINI DI ROMA

Secondo la leggenda, Roma sarebbe stata fondata il 21 aprile del 753 a.C. da Romolo e Remo,
discendenti del mitico Enea che, scampato alla distruzione di Troia, era approdato nel Lazio
seguendo il comando divino di dare vita a una nuova, grande città.
Perciò, secondo la leggenda, Romolo, salito sul colle Palatino, decise di fondare Roma.

La posizione era particolarmente favorevole dal punto di vista economico. Anzitutto, la foce del
Tevere costituiva uno dei pochissimi centri di estrazione del sale presenti nella penisola. Da qui
partiva la cosiddetta “via del sale”, che portava nelle regioni appenniniche interne la preziosa
sostanza, fondamentale per al preparazione e la conservazione degli alimenti. lI fiume, infatti, era
navigabile e si era formato un vero e proprio porto, abbastanza vicino al mare ma ben protetto dalle
incursioni di pirati e predatori.

L’ETà MONARCHICA

La storia di Roma viene tradizionalmente suddivisa in tre periodi:


Età Monarchica: dal 753 a.C. al 509 a. C.
Età Repubblicana: dal 509 a.C. al 31 a. C
Età Imperiale: dal 31 a.C al 476 d. C.

La prima forma di governo di Roma fu la monarchia. In questo periodo, secondo la tradizione,


governarono sette re.

ROMOLO: A Romolo, leggendario fondatore della città, viene attribuita l'originaria fusione di
romani e sabini e il primo tentativo di fissare precisi ordinamenti sociali e politici. A lui risalirebbe
anche la fondazione del Senato (da senex, "vecchio"), l'assemblea dei capi delle famiglie nobili.

NUMA POMPILIO: avrebbe gettato le basi dell'ordinamento religioso romano, creando un insieme
di divinità comuni per i vari gruppi che avevano dato vita ai primi insediamenti.

TULLO OSTILIO: A lui si deve una fase di rafforzamento dei confini e di espansione territoriale,
tramite la guerra vittoriosa controAlba Longa, la cui popolazione venne poi trasferita a Roma.

ANCO MARCIO: portò Roma ad affacciarsi direttamente sul mare, conquistando la zona
dell'attuale città di Ostia, porta di ingresso ai traffici commerciali sul Tirreno. È probabile che in
questa fase sia stato costruito il ponte Sublicio, il primo ponte stabile sul Tevere.

TARQUINIO PRISCO: Con Tarquinio Prisco iniziò il periodo delle opere pubbliche - bonifiche,
creazione del Foro (cioè della piazza del mercato), costruzione del primo sistema fognario, con la
Cloaca massima - e all'organizzazione politica della città.

SERVIO TULLIO: al quale si fa risalire la costruzione di una cinta di mura, dette appunto
"serviane".

TARQUINIO IL SUPERBO: descritto dalla storiografia posteriore come autoritario, violento e


crudele, secondo li prototipo del tiranno greco. Si tratta con ogni probabilità di una figura
leggendaria, le cui caratteristiche negative servirono per far meglio risaltare la grande svolta
rappresentata dal passaggio alla repubblica, che avvenne nel 509 a.C., quando le famiglie nobili
romane cacciarono li re e diedero vita ad una nuova forma di governo.

Roma città aperta


Due considerazioni importanti: la prima è che nel corso dell’età monarchica Roma conobbe una
grande espansione territoriale e un'eccezionale sistemazione urbanistica, che ne fecero la città più
estesa, meglio organizzata e probabilmente più popolosa dell'Italia centrale. La seconda è che la
città venne formandosi attraverso la mescolanza di gruppi umani eterogenei, come i latini, i sabini,
gli etruschi. Fu un luogo di incontro fra genti di varia provenienza e fra diverse culture, alcune
molto progredite, come quella delle città greche delle coste campane e quella etrusca. A differenza
delle pôleis greche, organizzate intorno a un ceppo etnico unitario e molto gelose di tale identità,
Roma si presentò sin dall'inizio come una città "aperta", capace di assorbire sempre nuovi gruppi
all'interno della comunità civica.

LA SOCIETà ROMANA

- La famiglia e il suo capo

Le strutture portanti della società nella Roma arcaica erano la familia e la gens. La familia era il
nucleo sociale più piccolo, che comprendeva tutti coloro che erano soggetti all'autorità del maschio
più anziano, il pater familias, vale a dire la moglie, i figli, i nipoti e anche gli schiavi. Si trattava
dunque di una famiglia patriarcale, fondata sul dominio del componente maschile: le donne, al
momento del matrimonio, passavano sotto l'autorità del pater familias, cioè del marito. Tale autorità
era pressoché assoluta, e si esercitava non solo sule persone ma anche sui beni. Il pater familias
amministrava tutte le questioni inerenti al gruppo familiare, a cominciare dal fatto che, alla nascita
di un figlio, poteva decidere se riconoscerlo o abbandonarlo; stabiliva l'impiego del patrimonio di
famiglia; decideva chi si dovesse sposare, e con chi; assegnava ai figli i beni di cui potevano
disporre; pare che, almeno nella fase più arcaica, avesse persino potere di vita e di morte sui
membri della sua famiglia. Si trattava di rapporti familiari caratterizzati da un fortissimo
autoritarismo, che tuttavia romani consideravano una virtù fondamentale per la compattezza e la
coesione della società.

- La gens e i suoi clienti

La gens (al plurale, gentes) era costituita da un gruppo di più famiglie che discendevano (o
ritenevano di discendere) da antenati comuni, portavano lo stesso nome (gens Iulia, gens Claudia e
così via), osservavano culti particolari e celebravano feste e cerimonie in comune. Tutti i suoi
membri, i gentili, avevano obblighi di aiuto reciproco. Non esisteva un "capo" della gens, ma erano
i pater familias a prendere deliberazioni vincolanti per tuti. Nell'età monarchica e nei primi secoli
della repubblica i membri della gens condividevano anche il possesso di pascoli e terreni, poiché la
terra era di proprietà comune. Facevano parte della gens anche i clienti (clientes), persone di
condizione libera (quindi non schiavi) che godevano della protezione di uno dei membri della gens,
detto patrono. In cambio, i clienti gli assicuravano fedeltà e servigi di ordine economico (come il
lavoro nei campi) e militare: i clienti costituivano infatti la forza militare che la gens impiegava
nelle razzie o nelle guerre.

- Patrizi e plebei
L'insieme dei cittadini romani costituiva il popolo romano. Di esso facevano parte sia gli individui
appartenenti a una gens, sia quelli che ne erano privi. Questo ci conduce a una distinzione sociale di
grande importanza nella società romana: quella fra patrizi (da patres, "padri") e plebei (da plebs,
"moltitudine"). Con li primo termine si indicava l'aristocrazia romana, cioè gli appartenenti alle
gentes più antiche “quelli che avevano un cognome famoso”. Era il gruppo sociale che deteneva li
potere politico e monopolizzava le funzioni statali: solo i patrizi potevano far parte del Senato,
comandare l'esercito, celebrare iriti religiosi.
I plebei costituivano un gruppo sociale molto eterogeneo:ne facevano parte contadini,
commercianti, artigiani; spesso erano poveri, ma non mancavano fra loro i benestanti. Ciò che li
accomunava era il fatto di essere esclusi dai diritti politici e dal governo della città.

L’ORGANIZZAZIONE TERRITORIALE

Roma si guardò bene dal far entrare a forza le città e i popoli vinti nello stato romano, cosa che
l'avrebbe costretta ad esercitare un controllo diretto estremamente oneroso. Essa diede vita, invece,
ad un sistema flessibile di rapporti basato su un principio fondamentale: ottenere il consenso dei
potenti delle diverse città, facendo comprendere loro che esse avevano tutto l'interesse a
"comportarsi bene", cioè a restare fedeli ai vincitori, non solo per evitare dure punizioni, ma anche
per partecipare con profitto ai successi di Roma.
L'Italia romana non era dunque organizzata in modo unitario, ma secondo tre tipologie principali:
. i municipi;
. le città alleate o federate;
. le colonie, distinte in romane e latine.

- I municipi, un'idea innovativa


I municipi erano città che venivano incorporate nello stato romano ma che conservavano la
possibilità di governarsi da sé, con autorità proprie.
Queste città avevano l'obbligo di versare a Roma tasse per le spese militari e di fornire contingenti
di soldati. Agli abitanti dei municipi veniva concessa la cittadinanza romana: erano quindi al tempo
stesso cittadini romani e cittadini della loro patria originaria. Alcuni municipi ottennero una
cittadinanza piena, inclusi li diritto di voto nei comizi e la possibilità di accedere alle cariche
pubbliche. Altri ebbero una cittadinanza solo parziale: potevano, per esempio, commerciare o
contrarre matrimonio con cittadini romani. La cittadinanza poteva però diventare piena in caso di
particolari benemerenze delle città in questione.
In ogni caso, i municipi furono un'istituzione veramente innovativa per l'antichità: essa si basava
infatti sull'idea di utilizzare al cittadinanza non come strumento di esclusione dai diritti di chi non
facesse parte del corpo originario della città, com'era per esempio in Grecia, ma come strumento di
inclusione sociale, di aggregazione di genti diverse nello stato.
Inoltre, ammettendo la doppia cittadinanza, i romani rovesciarono un principio fondamentale del
mondo antico, quello secondo cui un individuo poteva avere la cittadinanza di un solo stato.

- Alleati, o meglio subordinati


Gil alleati, o federati, erano popoli e città con cui Roma aveva stipulato dei trattati di alleanza.
Restavano indipendenti e non erano soggetti a tributi, ma avevano l'obbligo di fornire a Roma aiuti
militari in caso di guerra; obbligo che non aveva invece Roma nei loro confronti. In alcuni casi il
patto di alleanza prevedeva esplicitamente la superiorità di Roma, a volte invece le due città erano
uguali. In entrambi i casi, in realtà,si trattava di alleanze assai sbilanciate a vantaggio di Roma. Le
città alleate non potevano svolgere una politica autonoma ed erano di fatto obbligate ad avere gli
stessi amici e nemici di Roma.

- Le colonie, pezzi di Roma fuori Roma


La vera struttura portante del dominio romano in Italia erano però le colonie, formate da nuclei di
militari trasferiti per controllare i territori di recente conquista. Si trattava di una vera e propria
estensione di Roma nelle regioni periferiche. Esse assolvevano a importanti funzioni sociali e
politiche: assorbivano l'eccesso di popolazione, permettevano di distribuire terre ai cittadini più
poveri, assicuravano la presenza romana in aree periferiche. Esistevano due ti pidi colonie: le
colonie romane, che godevano di tutti i diritti politici, e le colonie latine (composte di cittadini delle
città latine),che godevano solo di alcuni diritti civili.
FORZA E CONSENSO

La conquista dell'Italia fu accompagnata da terribili violenze, veri e propri massacri, deportazioni; e


certamente veniva usato il pugno di ferro contro chi si ribellava o non rispettava i patti di alleanza.
Ma Roma, in generale, non adottò una politica di cieco sfruttamento dei popoli vinti: anche la
requisizione dei territori agricoli conquistati fu effettuata con una certa moderazione, evitando che
fra gli italici si creassero masse di contadini poveri senza terra, pericolose per la stabilità del potere
romano.
Naturalmente, sempre di dominio si trattava, esercitato mescolando accortezza politica e forza
militare nell'esclusivo interesse di Roma. "Dividi e comanda" (divide et impera) è il famoso
principio cui si ispirava la politica romana: la disparità di trattamento fra i popoli sottomessi,
suscitando rivalità e reciproche gelosie, rendeva più difficile fare alleanze contro Roma e
trasformava quelli che erano stati premiati con la cittadinanza o altre concessioni in fedeli
sostenitori della potenza romana.

Potrebbero piacerti anche