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_Capitolo_1 1. Quali sono gli storici antichi giunti fino a noi che in modo più diffuso raccontano le origini di
Roma, e le loro narrazioni sono fedegne o a quali problemi di veridicità sono esposte?
Gli storici antichi principali sono Tito Livio, Diodoro Siculo e Dionigi di Alicarnasso. Le loro narrazioni però hanno
alcuni limiti:
1. tutti vivono in età cesariano-augustea e quindi raccontano un'epoca passata attraverso le parole di altri;
2. Diodoro e Dionigi essendo di provenienza greca non riescono ad attribuire una motivazione oggettiva al successo di
Roma, quindi lo giustificano dicendo che la sua grandezza è dovuta alla sua origine come "colonia" della cultura greca;
3. Molti degli eventi rilevanti della storia antica sono in realtà retrodatazioni fatte da figure socio- politiche di prestigio
allo scopo di legittimare azioni politiche (che altrimenti sarebbero state obiettate) o conferire lustro maggiore ai propri
antenati;
4. Non ci sono sufficienti fonti sulla Roma delle origini, quindi le nostre conoscenze sono supposizioni ricostruite sulla
base dell'archeologia.
1. Quali sono le caratteristiche degli insediamenti nel Lazio antico fra X e IX sec. a.C. ?
Le comunità che abitavano il Lazio antico erano di etnia paleo-latina, di ceppo indoeuropeo. Si trattava di piccoli
insediamenti di estensione fra i 5 e i 10 ettari, ubicati sempre in altura (in quanto la pianura era occupata da paludi
insalubri). Le abitazioni erano costruite in materiale leggero e deperibile, essendo le comunità di carattere semi-nomade.
Ai piedi delle alture erano invece lasciati i cimiteri. L'economia era di tipo silvo-pastorale (le forme di sussistenza erano
caccia, allevamento e coltivazione del farro). La silva era il luogo sacro per queste comunità, tanto che i primi sovrani si
sarebbero chiamati Silvii ed in effetti abbiamo una vasta gamma di sostantivi legati all'ambiente del bosco, segno
appunto della grande importanza ad esso attribuita. Si può ritenere che ci fosse un re-sacerdote che governasse sulla
comunità e sul bosco sacro.
Non sembrano esserci prove di una proprietà privata o di una netta differenziazione sociale, vista l'univocità dei
ritrovamenti nella tombe. Probabilmente si trattava di una società egualitaria il cui bene comune era l'ager publicus, il
suolo pubblico conquistato e condiviso per il pascolo del bestiame.
1. Cos'è il pomerio e come sembra essere presente nella leggenda della fondazione di Roma?
Il pomerio è il limite perimetrale della città, invalicabile con armi. Il mito della fondazione di Roma (collocata da Marco
Terenzio Varrone nel 753 a.C.) narra di una coppia di fratelli, Romolo e Remo, i quali si sarebbero insediati il primo sul
colle Palatino (soprannominato Roma) ed il secondo sull'Aventino (soprannominato Remonia). I due si sarebbero
affidati agli auspicia degli Dei per scegliere quale dei due avrebbe rivendicato la propria superiorità e quindi sovranità.
Per primo Remo avrebbe avvistato il volo di 6 avvoltoi, per secondo Romolo di 12 uccelli. Entrambi reclamarono chi
per il primato temporale, chi per quello numerico, la propria sovranità. Durante la fondazione Remo sarebbe stato
ucciso dal gemello per averlo provocato, attraversando il confine di Roma (pomerio). Per alcuni questo viene vito come
un rito di sangue, inaugirale per la fondazione della città. 5. In cosa consiste l'ipotesi del sinecismo di Roma? Alcuni
sostengono l'ipotesi per cui Roma sarebbe nata dal sinecimo, ovvero dall'aggregazione di comunità pre-esistenti,
provenienti dai 3 colli (Palatino, Esquilino e Celio).
La fusione delle varie comunità sarebbe stata favorita dalla vantaggiosa ubicazione morfologico-tropica dell'Urbe, la
quale si trovava in una posizione facilmente difendibile, vicina al corso del Tevere ed in
corrispondenza della Via Salaria. Roma sorse al crocevia di vie di comunicazione, funzionale allo scambio di merci, che
si irradiava via terra e via fiume:
1. Nord: Etruschi 2. Est: Sabini e Umbri 3. Sub: Magna Grecia
1. Quali nuove conoscenze i fecero strada nel Lazio antico dell'VIII sec. a.C. e da chi furono introdotte?
Le innovazioni dell'VIII sec. a.C. sarebbero dovute a numerose influenze: italiche, etrusche, greche. Annoveriamo:
Instaurazione di mega-insediamenti Sfruttamento delle risorse minerarie ed esportazione dei prodotti metallurgici
finiti Costruzione di strutture difensive Colture di vite ed ulivo Introduzione della scrittura
1. Qual'è il più antico documento scritto finora rinvenuto in Italia e dov'è stato rinvenuto?
Si tratta di un'iscrizione graffita a cotto, scritta in alfabeto probabilmente greco, su un vaso da fiasco. Iscrizione
ricondotta al primo quarto dell'VIII sec. a.C. e ritrovata nel 1984 nella necropoli di Osteria dell'Osca (18 km da Roma),
corrispondente all'antico insediamento dei Gabi. _ Capitolo_2
1. Quali riti, istituzioni, cerimonie, documenti epigrafici confermano l'esistenza della monarchia in Roma?
Riti: la presenza nel calendario in corrispondenza di 24 Marzo e 24 Maggio della sigla QRCF (quando rex comitavit
fas), cioè quando il re convoca il popolo in assemblea. Cerimonie: la cerimonia del regifugium, cioè il sacrificio
compiuto il 24 Febbraio, a seguito del quale il re deve fuggire rapidamente. Istituzioni: la presenza del palazzo Regia,
sede del sovrano, pontefice massimo; l'interregnum, istituto cui si ricorre tra un regno e l'altro i occasione della morte
del sovrano. Documenti epigrafici: il cippo del foro romano fa menzione dell'interregnum.
Funzioni religiose: presiedere ai riti collettivi, trarre gli auspici, fissare il calendario (e comunicarlo tramite il kalator).
Comando dell'esercito (imperium). Arbitrio di politica interna ed estera.
1. Amministrazione della giustizia, cioè giudicare e decretare sanzioni disciplinari, decidere di vita, morte e libertà degli
imputati, concedere l'appello dell'imputato al popolo per chiedere la concessione della grazia.Quali altre istituzioni o
assemblee sono documentate nella Roma monarchica?
Il senato: riuniva (100) capi famiglia, patres, come consiglieri del re (si distinguevano per anzianità e autorevolezza);
non poteva promuovere iniziative politiche, ma doveva fornire assenso o dissenso in caso di contingente bellico;
nominava l'interrex; poteva deliberare assieme all'assemblea dei cittadini, populus, sulle proposte del re. Il popolo:
diviso in 3 tribù, ciascuna divisa in 10 curie, ciascuna divisa in una centuria (100 cavalieri) e 1000 fanti. La somma
delle curie costituiva il comizi curiati, i quali decidevano in merito al diritto familiare (adozioni, testamenti) e religioso
(detestatio).
1. Quali prove militano a favore della multietnicità della Roma delle origini?
Romolo per popolare la città nascente avrebbe concesso diritto di asilo ai popoli italici, per poter risiedere nel nuovo
insediamento, condividendo diritti politici e bottini di guerra. Il ratto delle Sabine: attraverso i matrimoni misti si
pervenne alla fusione tra Latini e Sabini, confermata dall'alternanza di sovrani di entrambe le etnie. Il V re di Roma,
Tarquinio Prisco, era di origine etrusca.
1. Quali nuovi saperi furono introdotti in Roma al tempo dei Tarquini e come cambiò il volto urbanistico della città?
Il popolo etrusco "importato" dai Tarquini era costituito da artigiani, mercanti, costruttori, medici ed esperti religiosi.
Innovazioni:
Canalizzazione delle acque -> rete fognaria (Cloaca Maxima) Agricoltura protagonista dell'economia
Sedentarizzazione e monumentalizzazione di abitazioni ed edifici
Foro (piazza del mercato pavimentata) Regia (sede del sovrano, affacciata sul Foro) Comitium (sede di riunione
del popolo) Curia Hostilia (sede di riunione del senato) Negozi e tabernae Domus (abitazioni private) Templi
(di Vesta, Mater Matuta e Fortuna) Circo Massimo (nella valle tra Aventino e Palatino) Via Sacra (Foro -
Campidoglio) Foro Boario (vicino al Tevere)
1. Quali riforme sono attribuite a Servio Tullio e quali sono ritenute fedegne?
Allargare i nuclei con accesso alla politica, aggiungendo un principio non più gentilizio, ma timocratico (economico,
censitario) - Riforma censitaria. Definizione amministrativa non più per famiglia, ma per domicilio. Riforma
dell'esercito (fanteria oplitica che combatteva a ranghi serrati). 7. Quali erano le caratteristiche del nuovo esercito
serviano? Ogni cittadino definiva qualitativamente il suo impegno bellico sulla base della personale capacità
patrimoniale; infatti doveva provvedere personalmente al proprio equipaggiamento e a maggiore armamento
corrispondeva maggiore coinvolgimento in battaglia e di conseguenza maggiori onori e ricchezze. La popolazione era
divisa in:
170 centurie di fanti, divise in 5 classi: I classe, 80 centurie II classe, 20 centurie III classe, 20 centurie IV
classe, 20 centurie V classe, 30 centurie
(Ciascuna classe era divisa in Iuniores, di età compresa tra 17 e 46 anni, e Seniores, di età compresa tra 46 e 60 anni).
La sua immagine è tipicamente associata a quella del tiranno. Egli è associato alla storia dello stupro di Lucrezia, capro
espiatorio dell'insurrezione del popolo contro la dominazione etrusca e contro il potere monocratico (509 a.C.).
_Capitolo_3
Nell'ultimo decennio del Vi sec. a.C. in tutto il Mediterraneo occidentale si consumò una lotta per il controllo della rotta
commerciale tirrenica fra tre elementi etnici: quello etrusco, quello fenicio-punico e quello greco. Gli Etruschi
risultarono soccombenti e si ritirarono dalla Campania e dal Lazio meridionale, imboccando una strada di progressivo
declino della loro egemonia territoriale.
1. Il primo trattato tra Roma e Cartagine: chi lo preparò, chi lo siglò, in quale anno e quali furono i contenuti?
Roma intavolò trattative per stringere un trattato inter-statale con Cartagine, che venne però siglato solo dopo
l'allontanamento di Tarquinio il Superbo da Roma, nel 509 a.C. Al suo interno Roma vedeva riconosciuto il suo
controllo sul territorio del Lazio Antico (e del Lazio costiero), ove i Cartaginesi non potevano pernottare armati o
installare presidi, ma rinunciava nel contempo all'espansione nel mare Tirreno.
1. Quali furono le magistrature di transizione che sono attestate tra fine VI e inizio V secolo a.C. ? Quali sparirono e
quali si consolidarono?
Tra fine IV e inizio V secolo prende avvio una lunga fase di sperimentazione istituzionale; sono attestate alcune figure
magistratuali non ben definite, tra cui:
Il re addetto al sacro (rex sacrum), privato di potere militare e civile; Il kalator, che da principale collaboratore del
sovrano etrusco, si limitò a svolgere mansioni
subalterne legate alla comunicazione pubblica delle date calendariali; Il mastarna, carica latina di magister populi
(capo del popolo in armi); Il pretore, avente una posizione di vertice in ambito militare; I consoli (nel numero di
2), che progressivamente si affermano in ambito esecutivo, col compito di
esercitare il comando civile all'interno al pomerio e militare al suo esterno; col diritto di convocare il senato, indire e
sovrintendere i comizi centuriati, parlare al popolo durante i concioni, eseguire le cerimonie propiziatorie e guidare
l'esercito in guerra.
Di queste figure vediamo sopravvivere quasi esclusivamente consoli e pretori. 1. Quali sono i principi che connotano le
istituzioni repubblicane?
Separazione dei poteri Durata temporanea delle cariche Carattere collegiale delle magistrature Scelta su base
elettiva
1. Quali città e con che mezzi contese a Roma l'egemonia sulla Lega Latina? Dove si consumò il conflitto e con quale
esito?
I conflitti della fine del VI secolo con Sabini e Volsci (stanziati sull'Appennino Laziale) provocarono la perdita di
egemonia di Roma su numerose comunità. Intorno al 495 i Sabini giunsero ad interrompere la percorribilità della Via
Salaria e quindi il commercio verso il centro Italia. I Volsci conquistarono la città di Terracina, impedendo le
comunicazione tra Roma e la Campania e quindi le importazioni provenienti dalle colonie magno-greche. Furono quindi
minacciati gli scambi commerciali romani sia verso nord che verso sud. La reazione di Roma si ebbe attraverso:
L'edificazione di templi dedicati a divinità, volte alla risoluzione di problemi contestuali; La guerra contro la
coalizione latina e contro la città etrusca di Veio
L'evocatio è il rito attraverso il quale Roma rivolge una preghiera ad una divinità straniera (del nemico) offrendo un
tributo in cambio della vittoria; in questo modo la divinità viene integrata a quelle romane e così la sua cultura genitrice
(strategia di integrazione delle popolazioni vinte).
1. In quante fasi si articolò lo scontro con Veio? Per quali motivi scoppiò la guerra? Chi fu il conquistatore di Veio?
Quali esiti ebbe la guerra?
Lo scontro con Veio si articola in 3 fasi: 480-477, 437-426, 406-396. L'inizio della guerra si deve a Veio, che a causa
della contrazione dei commerci di Roma dovuta alle incursioni di Sabini e Volsci si era messa in concorrenza con
l'Urbe. La causa contingente del conflitto fu rappresentata dal controllo della cittadina di Fidene, la cui posizione sulla
via Salaria ne faceva la chiave strategica per lo smercio dei prodotti vero il centro Italia ed era contesa perciò da
entrambe le città. L'esito finale della battaglia (articolata in una iniziale sconfitta di Roma presso il fiume Cremera,
seguito dalla conquista romana di Fidene) è l'espugnazione romana di Veio tramite la costruzione di una gallerie
sotterranea, architettata da Marco Furio Camillo. Veio una volta conquistata venne rasa al suolo ed il suo territorio
divenne ager publicus; per gli Etruschi la sconfitta segnò un'ulteriore tappa del loro declino, mentre per Roma
significava riconquistare il controllo della Lega Latina. _Capitolo_4
Nella struttura statale di Roma, il nucleo centrale componente la società era la famiglia e al capo della famiglia c'era il
pater familias, il quale esercitava su tutti la sua autorità, patria potestas. Egli presiedeva il culto degli antenati, sacra
familiae, era il rappresentante della sua famiglia nei confronti della socità, aveva diritto di vita e morte sui suoi
familiari, ma anche della loro libertà (poteva ad esempio decidere di venderli come schiavi).
In età arcaica i nexi erano gli schiavi divenuti tali per colpa dei debiti e che quindi si sottomettevano al proprio
beneficiario fino a che egli non avesse considerato il debito assolto. Poi c'erano gli schiavi divenuti tali perchè erano
stati venduti dal capo famiglia, oppure che erano stati catturati in guerra, oppure ancora perchè semplicemente erano
nati in casa da altri schiavi (e venivano detti vernae). Gli schiavi potevano essere manomessi, cioè sciolti dalla servitù
verso il loro padrone e diventare cos' liberti; anche in seguito alla manomissione mantenevano comunque stretti rapporti
verso il loro patrono e dovevano dimostrargli rispetto e solidarietà.
1. Quali erano i privilegi di cui godevano i patrizi e quale la piattaforma di rivendicazione dei plebei?
I patrizi erano gli unici a poter trarre gli auspici e poiché gli auspici erano necessariamente preliminari a qualsiasi
decisione politico-militare, i patrizi erano gli unici a poter accedere alle magistrature repubblicane. Nella partizione dei
bottini di guerra potevano ottenere quote superiori a quelle dei plebei e per questo motivo potevano fare da creditori e
quindi tendenzialmente assoggetarre più nexi. I patrizi erano quindi grandi proprietari terrieri strettamente legati alla
memoria della propria gens ed identificabili tramite alcuni simboli, tra cui l'equipaggiamento militare (che era a spese
del cittadino). All'inizio del V secolo a.C. si radicalizzò uno scontro tra le due parti ed alla base delle rivendicazioni dei
plebei c'erano l'abolizione del nexum, l'equa spartizione dei bottini di guerra e l'ammissione dei plebei alle magistrature.
1. Cosa è la secessione e quali gli obbiettivi raggiunti dei plebei dopo la prima secessione?
1. 494 - 367 a.C: strategia dell'alterità, cioè la secessione, che consisteva nel rifiuto da parte dei plebei di prendere parte
alla vita religiosa e ai riti collettivi, compromettendo il favore degli dei.
2. 367 - 287 a.C: strategia della parificazione ed integrazione, che si attuò con il rientro dei plebei dopo l'ottenimento di:
possibilità di riunirsi in un'assemblea (conciclium plebis), le cui deliberazioni (plebiscita) sarebbero state vincolanti per
i solo plebei e che ogni anno poteva eleggere delle cariche magistraturali plebee (in particolare 2 edili); istituzione di
tribuni della plebe.
3. Quali erano i poteri dei tribuni della plebe? Di quale garanzia godevano tali magistrati? I tribuni della plebe erano
eletti nel concilium, aventi il compito di interagire e mantenere i contatti con i patrizi e aventi il diritto di inviolabilità
(sacrosanctitas) visto il loro esporsi in prima persona contro gli oppositori politici (e chiunque attentasse alla vita di un
tribuno della plebe diveniva vittima sacrificale). Oltre alla sacrosanctitas i tribuni della plebe godevano di altri due
diritti: lo ius auxilii, cioè il diritto di prestare assistenza giudiziaria in caso di abuso dei patrizi nei confronti dei plebei;
lo ius intercedendi, cioè il diritto di veto, per il quale bastava che un solo tribuno si opponesse alla deliberazione di un
magistrato patrizio, perchè questa venisse annullata.
Le leggi Licinie Sestie intervenivano in merito a 3 problemi: abolizione del nexum, l'equa spartizione dei bottini di
guerra e l'accesso al consolato:
Il nexum non venne abolito, ma furono elaborate forme di rateizzazione del debito in tre parti; Si deliberò che
nessun cittadino romano potesse possedere più di 500 iugeri di ager publicus; Venne sottratto il potere consolare ai
tribuni militari e si ripristinò il consolato, ma a condizione che
1. Quando e con quale legge si mise fine al conflitto fra patrizi e plebei?
Nel 326 a.C. la legge Petelia Papiria abrogò il nexum, liberando tutti gli schiavi per debiti. Nel 300 a.C. la legge Valeria
sul diritto di appello, stabiliva che ciascun cittadino romano condannato a morte dal pretore potesse appellarsi
all'assemblea popolare. La legge Ogulnia aprì ai plebei l'accesso al pontificato. Nel 287 a.C. la legge Ortensia stabiliva
che i plebisciti fossero vincolanti anche per i patrizi.
1. Da chi era composta la nobiltà senatoria e chi erano gli "uomini nuovi"?
La nobiltà senatoria era composta da patrizi e plebei che avessero ricoperto le magistrature superiori, cioè pretura e
consolato. Gli homines novi erano quelli che non potevano contare su predecessori che avessero già ricoperto queste
cariche e che quindi dovevano farsi strada raggiungendo una soglia patrimoniale adeguata ed ottenere l'appoggio di
quegli esponenti della nobiltà che ne avrebbero agevolato l'accesso alle magistrature elettive. _Capitolo_5
1. Il primo sacco di Roma: quando si verificò e chi ne fu il protagonista? Da dove provenivano gli invasori? Quale
scenario internazionale fece da sfondo all'incursione nemica?
Nel IV secolo a.C si avviarono l'accordo tra gli ordini patrizio e plebeo e la revisione dell'ordinamento sociale arcaico.
Questo secolo inizia con un importante successo militare: la conquista di Veio. Nel 390 a.C però Roma viene occupata
da un contingente di Galli Senoni al seguito del capo Brenno. La tribù era stata l'ultima a stanziarsi in Italia nel Piceno,
a seguito di un imponente movimento di popoli celtici penetrati a forza nella pianura padana, sbaragliando la resistenza
di Etruschi e Liguri e venendo respinti solo dai Veneti. L'esercito romano fu sbaragliato il 18 luglio (che divenne giorno
nefasto) lungo il fiume Allia, quindi i cittadini dell'Urbe vennero evacuati per lo più a Veio, così che la città fu
completamente occupata (a eccezione del Campidoglio), saccheggiata, e data alle fiamme. Brenno lasciò la città solo la
riscossione di un'ingente somma d'oro. Tuttavia la banda di celti non avrebbe mai agito di propria iniziativa, dato che i
Galli figuravano come mercenari del tiranno greco Dionigi I di Siracusa. In seguito a questo episodio i
cittadini dell'Urbe furono tanto traumatizzati dal temere che un simile avvenimento potesse ripresentarsi che
annualmente offrirono in sacrificio due Galli e due Greci. 2. In cosa consistette il fenomeno della colonizzazione e quali
furono le due forme che assunse in Roma? Per Roma la colonizzazione era un atto ufficiale dello stato, strumento di
dominio ed espansione militare.
Adsignatio: assegnazione in proprietà ai cittadini romani di appezzamenti terrieri a titolo individuale. Gli assegnatari
rimanevano sotto la giurisdizione di Roma.
Deductio: insediamento di cittadini in un territorio per fondare una nuova città. Gli assegnatari risultavano
organizzati in una comunità auto-amministrata. Queste colonie erano spesso collocate in punti vulnerabili agli attacchi
nemici ed assumevano il compito di organizzare l'arruolamento per proteggere il territorio.
1. Quali tipi di rapporti inter-statali Roma adottò dopo la vittoria nella grande guerra latina?
Vennero impostati strumenti federativi di differente natura: Roma non siglò più un unico trattato con tutte le
popolazioni, ma strinse rapporti diplomatici individuali e differenziati per ogni singola comunità, secondo un'articolata
gerarchia in cui ogni alleato poteva progredire o retrocedere a seconda della sua lealtà. Nacque così la Confederazione
Italica.
Colonie di diritto romano: comunità aventi piena cittadinanza, ius suffragii, ius commerci, ius connubii, ius migrandi,
ma territori di espansione ridotta.
Colonie di diritto latino: comunità aventi ius commercii, ius connubii, ius migrandii, ma nessun accesso alle
magistrature o diritto di voto, in quanto non hanno la cittadinanza romana (anche se possono ottenerla); possiedono però
vasti territori, perchè non sono parte dell'ager publicus di Roma; servizio militare obbligatorio (forniscono le truppe di
latinitas ed attraverso il congedo con onore al termine della lega possono ottenere la cittadinanza romana).
Nel IV secolo a.C Roma scelse di allearsi con le colonie greche dell'Italia meridionale, perchè si considerava legata ad
esse per una profonda affinità culturale (al contrario rispetto alle comunità semi-nomadi dell'entroterra). Il conflitto si
svolse nella seconda metà del IV secolo a.C e i sanniti furono il popolo che con maggiore ostinazione si oppose alla
Repubblica. Le guerre sannitiche si articolarono in 3 fasi:
1. 343 - 341 a.C: Roma intervenne in favore della città greca di Capua, insidiata dalle ricorrenti incursioni dei popoli
della montagna che volevano occuparla. Dato che Roma da poco aveva stretto un trattato di alleanza coi Sanniti, tentò la
via diplomatica, ottenendo la deditio (resa incondizionata) di Capua, che venne incorporata nello stato romano. Roma
ritenne di non compromettere la pax deorum quando quindi rispose ai Sanniti in seguito ad una loro ennesima
occupazione.
2. 326 .304 a.C: analoga era la situazione della città greca di Napoli, dove le occupazioni degli Osci che si opponevano
alle élite greche filo-romane. Roma dopo aver liberato la città si spinse verso i monti, con l'intenzione di stanare i
Sanniti, ma subì una clamorosa sconfitta nel 321, quando la legione fu intrappolata e costretta alla resa. Tuttavia riuscì
ad ottenere decisive vittorie che indussero i Sanniti a chiedere la pace.
3. 298 - 290 a.C: tuttavia l'eccessiva aggressività colonizzatrice di Roma aveva generato ostilità fra i popoli dell'Italia
centrale; così una coalizione di Sanniti Galli Senoni, Umbri ed Etruschi si oppose a Roma. La battaglia decisiva fu
presso Sentino nel 295, dove ritiratisi Ubri ed Etruschi i Romani riuscirono a sconfiggere Galli e Sanniti. Gli ultimi 5
anni del conflitto furono impiegati per rastrellamenti nella valle per vincere la resistenza. Il territorio dei Galli enoni fu
requisito e confiscato, Umbri ed Etruchi ottennero condizioni favorevoli di resa e i Sanniti mantennero la loro integrità
territoriale.
Le colonie, utili per circondare i Sanniti e assicurare rifornimenti alle legioni. Gli insediamenti di diritto latino, per
ostacolare le alleanze. Le colonie romane, per consentire gli approvvigionamenti ai romani ed ostacolare i
collegamenti con la Campania. Il rinnovo del trattato con Cartagine, per proteggersi da assalti via mare. La
predisposizione della viabilità marina e terrestre. L'adeguamento del numero di effettivi, delle strategie e
dell'armamento dell'esercito, attraverso una
La legione venne spezzata da un'articolazione orizzontale ad una anche verticale. Ognuna delle linee (astati, principi,
triari) fu frazionata in 10 manipoli, cui fu aggiunta una coorte (erano esclusi da questa divisione veliti e cavalieri). La
legione poteva quindi dividersi in articolazioni autonome, capaci di fronteggiare la guerriglia in montagna. I consoli
spesso guidavano due legioni ciascuno. L'ufficialità era guidata dai tribuni soldati (6 per legione, eletti annualmente dai
comizi centuriati), coadiuvati dai centurioni (aventi una posizione intermedia tra ufficiali e sotto-ufficiali e aventi una
carica a vita). A fianco delle legioni romane combattevano quelle ausiliarie degli alleati italici. _Capitolo_6
1. Su quali valori, nell'ottica dei protagonisti, si basava l'espansionismo romano? Quali vantaggi traevano da esso le
singole componenti della società romana: ceti dirigenti, ceto medio, proletariato, alleati?
Il forte impulso espansionistico di Roma vedeva nella guerra la convergenza di tutti gli stari sociali. Le guerre di Roma
erano sempre bella iusta, avvallate dagli dei e l'impero poggiava su dei valori etici: il diritto feziale giustificava solo le
guerre difensive; l'equità nei rapporti inter-statali; la clemenza nei rapporti coi vinti; la lealtà nei rapporti coi vinti. La
guerra era uno strumento di arricchimento per tutta la comunità: classe dirigente, ceto medio, proletariato urbano e
contadino, alleati italici:
Classe dirigente: vedeva un rafforzamento nella propria posizione di prestigio politico ed in termini di bottino ed
estensione clientelare. (In casso di esito vittorioso in guerra, il senato accordava al comandante e al suo esercito l'onore
del trionfo; questo attribuiva al vincitore popolarità e autorevolezza, che si traducevano nella prosecuzione della propria
carriera politica. Il vincitore poteva avanzare proposte in senato in merito all'utilizzo del bottino di guerra, ad esempio il
ringraziamento della divinità, poteva proporre di trasformare in colonia il territorio sconfitto, per poi trasformare i suo
abitanti in clienti in quanto il vincitore diventava mezzo di comunicazione con l'Urbe e quindi protettore del territorio;
in questo modo gli aristocratici cominciarono ad avere clientele anche al di fuori di Roma)
Ceto medio: i profitti della guerra consentivano di aprire nuovi mercati, dove esportare i prodotti finiti ed importare
le materie prime.
Il proletariato urbano e contadino: faceva sentire le proprie necessità attraverso il rapporto clientelare. I ceti
subalterni spesso erano avvantaggiati perchè il profitto di guerra spesso comportava la distribuzione di territori o la
deduzione di colonie.
Gli alleati intervenivano fornendo gli auxilia e quindi potevano partecipare alla deduzione di colonie di diritto latino
e quindi espandersi a loro volta (questo consentiva una forte coesione tra i contraenti dell'alleanza).Cause, modalità e
conseguenze della guerra contro Tarantini.
Tra 282 e 275 a.C si svolse la guerra con Taranto, la più importante città magno-greca d'Italia, che voleva salvaguardare
la propria indipendenza contro le pressioni indigene, ma anche il proprio ruolo egemonico sulle altre città italiche. Nel
302 aveva stretto un'alleanza con Roma (in funzione anti-sannitica), che si impegnava a non navigare oltre il capo
Lacinio, ma l'equilibrio venne spezzato quando la città di Turi
richiese un presidio militare romano in difesa contro i Bruzi, ma Taranro interpretò l'invio di soldati come un'ingerenza
nella propria fera egemonica e la situazione precipirò quando la flottiglia romana penetrò nel golfo di Taranto. Taranto
poteva contare sull'appoggio di Pirro, così per la prima volta le truppe romane si trovarono ad affrontare un esercito di
stampo ellenistico, erede delle tattiche di Alessandro Magno. I romani subirono una prima grande sconfitta ad Eraclea,
al che Pirro mandò Cinea a Roma per trattare la resa, ma Appio Cladio Cieco rifiutò l'offerta. L'anno successivo roma
subì una seconda sconfitta ad Ascoli Satriano. Pesarono però sulla decisione di continuare la lotta alcuni dissensi che
stavano emergendo fra Pirro e i Tarantini in merito alle numerose perdite subite da Pirro, alla fedeltà degli alleati italici
di Roma, alla pressione di Cartagine; così Pirro decise di trasferirsi in Sicilia e farsi promotore della lotta contro
Cartagine. La lontananza di Pirro consentì a Roma di riorganizzarsi e così di vincere a Benevento, grazie all'opera del
console Manio Curio Dentato nel 275a.C. Taranto fu costretta a consegnare degli ostaggi e ad accogliere un presidio
romano, ma potè conservare il proprio ordinamento.
1. Cause strategiche e pretesto contingente della prima guerra punica. Teatri di guerra e protagonisti del conflitto.
Termini del trattato di pace.
L'ambizione egemonica di Roma, che grazie al cambiamento di strategie espansive vedeva presentarsi la possibilità di
contendere per la supremazia nella frequentazione della rotta tirrenica ed in particolare dello stretto di Messina (di cui
controllava la sponda peninsulare); implicava però una collisione di interessi con la tradizionale alleata e grande
potenza commerciale, Cartagine. Fu ingaggiata una estenuante guerra di logoramento dal 264 al 241 a.C, che prende il
nome di prima guerra punica; l'inizio del conflitto fu il prodotto di una decisione della comunità romana, infatti il senato
lasciò al concilim il compito di decidere se accogliere o meno la richiesta di aiuto di Messina, che aveva invocato il
soccorso di Roma a seguito dell'occupazione da parte di mercenari campani detti Mamertini. Fu un conflitto combattuto
su più fronti, in Sicilia, in Africa settentrionale, per terra e per mare. Nonostante l'iniziale liberazione di Messina ed il
cambio di alleanze di Siracusa, verso Roma, fu presto chiaro che l'Urbe dovesse dotarsi di una flotta alla pari di quella
di Cartagine. I romani apportarono un'innovazione alle imbarcazioni: i corvi, per l'abbordaggio; grazie a questo
espediente Gaio Duilio vinse la flotta cartaginese a Milazzo nel 260 a.C. Gaio Attilio Regolo decise nel 256 a.C di
aprire un nuovo fronte, trasferendo le truppe romane sul suolo nemico. Le legioni riuscirono a conquistare Palermo e la
battaglia decisiva venne combattuta nel 241 a.C presso le isole Egadi, grazie a una nuova flotta guidata da Gaio Lutazio
Catulo. L'ammiraglio punico Amilcare subì una clamorosa sconfitta e fu costretto alla resa. Le conseguenze della fine
del conflitto furono:
Roma iniziò a conseguire dominio sul Mediterraneo Roma attivò una politica di provincializzazione, annettendo la
Sicilia, la Sardegna e la Corsica
1. Gli obiettivi del progetto annibalico. Le sconfitte romane e i teatri di guerra. I termini del trattato di pace. Il ruolo di
Cornelio Scipione.
La seconda guerra punica (219 - 202 a.C.) fu una guerra difensiva, il cui pretesto si produsse in Spagna, dove la
famiglia cartaginese dei Barca si era insediata promuovendo un progetto che aveva incrementato lo sfruttamento delle
risorse minerarie, anche attraverso rapporti matrimoniali. Tale politica era vista con sospetto da Roma, che strinse
un'alleanza con la città greca di Marsiglia e siglò con Cartagine il trattato dell'Ebro, che fissava il tale fiume come limite
delle rispettive sfere d'influenza. La città di Sagunto, fedele a Roma, fu attaccata da Annibale, che valicò i Pirenei, con
una strategia di duplice direttrice: alienare a Roma l'alleanza delle comunità italiche e aprire nuovi fronti su cui Roma
fosse chiamata a combattere, per allentare la pressione nei luoghi in cui si scontrava con Cartagine. Celti, padani e
Liguri arricchirono le fila di Annibale, costituite già da Libi Iberi e Numidi. Le truppe romane furono confitte sul fiume
Ticino, sul fiume Trebbia e sul lago Trasimeno (dove furono circondate ed annientate). Nel 216 a.C a Canne Roma subì
una clamorosa sconfitta, così da indurre alla defezione i Greci dell'Italia meridionale (tra cui la Sicilia) e molti popoli
appenninici. Capua sperando di sostituirsi a Roma nel suo ruolo egemonico, strinse un trattato di alleanza con Filippo
V, re di Macedonia. Quinto Fabio Massimo progettava di vincere la resistenza dl Cartaginese con una guerra di
logoramento, attraverso l'incremento delle leve militari, l'evitare degli scontri diretti, l'impedire che truppe fresche
raggiungessero Annibale dalla Spagna. Nel 211 a.C Capua fu costretta alla resa e fu ripresa Siracusa, la Sicilia e
Taranto. Nel 209 a.C iniziò ad operare Publio Cornelio Scipione l'Africano, nel ruolo di proconsole e comandante sulla
penisola iberica; annientò l'egemonia cartaginese in Spagna e vi fondò la città di Italica, stanziandovi i propri veterani.
Nel 207 a.C i rinforzi di Annibale vennero annientati presso il fiume Metauro. Annibale fu confinato nell'estremità
meridionale della penisola e stretto d'assedio a Crotone si rassegnò ad abbandonare l'Italia. In Africa, sbarcato Scipione,
riuscì a imporre sul
trono di Numidia il re Massinissa. Nella pianura di Zama nel 202 a.C si venne allo scontro finale con Annibale, che non
riuscì ad evitare la sconfitta e fuggì in Oriente. Scipione impose a Cartagine la pace e condizioni durissime m che
sancirono il definitivo tramonto dell'egemonia punica sul mare e il controllo di Roma su tutto il Mediterraneo
occidentale.
1. Cosa significa il termine "provincia"? Quali erano i poteri del governatore? Quali erano le procedure della
provincializzazione e il destino degli sconfitti?
Il termine originariamente designava il territorio su cui si estendeva la competenza del magistrato dotato di potere
militare, quando usciva dalla città di Roma e il suo comando si tramutava da civile (imperium domi) in militare
(imperium militiae). Successivamente il termine passò a designare il territorio nemico che avesse fatto atto di resa a un
generale romano e i cui cittadini fossero entrati nella categoria di sudditi privi di diritti politici (peregrini dediticii). La
procedura per la costituzione di una provincia prevedeva:
l'estinzione di ogni precedente sovranità costitutiva L'invio di una commissione di dieci delegati scelti dal senato
Definire lo statuto della nuova partizione amministrativa Riorganizzare i nuovi confini e individuare un capoluogo
Definire diritti e privilegi delle entità dimostratesi fedeli a Roma durante il conflitto Fissare l'entità del tributo da
corrispondere in denaro o grano Al rientro del generale e della commissione decemvirale, la provincia veniva
amministrata da un
governatore dotato di imperium (console o pretore, al quale se veniva concessa la proroga diveniva proconsole o
propretore)
_Capitolo_7
Nel 215 a.C Annibale stinse un'alleanza co Filippo V, re di Macedonia, il quale mirava ad estendere la sua influenza
sull'Adriatico. La prima guerra macedonica si configura quindi come un'appendice del conflitto punico. L'efficacia del
piano di Annibaleera stata in parte inficiata dal fallimento dell'effetto sorpresa: i Romani avevano intercettato la nave su
cui viaggiava il testo dell'accordo e quindi avevano potuto organizzarsi, valorizzando in ottica anti-macedone le
relazioni diplomatiche che intrattenevano con numerose città-stato greche, dando ita ad una coalizione ostile a Filippo V
e guidata dalla Lega Etolica.
1. Nel 205 a.C era stata firmata la pace Fenice, che riconosceva gli equilibri di forze precedenti il conflitto, ma ben
presto le ambizioni espansionistiche di Filippo V determinarono tensioni lungo le coste dell'Asia Minore e del Mar
Egeo. La seconda guerra macedonica: l'ultimatum del senato romano a Filippo V; la battaglia decisiva; le condizioni
di pace.
Il coinvolgimento di comunità che si erano mostrate fedeli a Roma costrinse l'Urbe nel 200 a.C ad un'azione diretta. Il
senato inviò a Filippo V un ultimatum, con cui si intimava di cessare le ostilità, non attaccare i domìni tolemaici e
accettare l'arbitrato romano; tale richiesta consentiva ai romani di entrare nel conflitto come liberatori della Grecia di
fronte alle minacce di un invasore nemico. Per Roma il timore di una nuova invasione, dopo la devastazione delle
guerre puniche, giustificava lo sforzo di inviare un esercito oltre i confini ed inoltre una guerra in Oriente poteva portare
nuovi introiti per le casse dello Stato. Quindi la seconda guerra macedonica segnò l'inizio su larga scala dell'intervento
romano nel mondo greco. Nel 197 a.C nella battaglia di Cinocefale l'esercito romano sbaragliò le truppe macedoni,
aprendo la strada a una pace dai costi altissimi: la Macedonia manteneva la sua autonomia, ma doveva rinunciare alla
sua flotta, ritirarsi dall'intera Grecia e pagare una consistente indennità.
1. La guerra siriaca: l'accordo tra gli Etoli e Antioco III; gli scontri risolutivi; il trattato di pace.
Nel 196 a.C a Corinto nel corso dei Giochi Istmici, Flaminico (comandante delle operazioni durante la risoluzione della
seconda guerra macedonica) proclamò la libertà della Grecia; impose alle comunità greche il pagamento di un tributo e
stabilì che guarnigioni romane presidiassero i territori che erano stati sottoposti alla Macedonia, senza però che Roma
instaurasse un controllo diretto sulla Grecia. I nuovi equilibri lasciavano insoddisfatta la Lega Etolica, che aveva
contribuito al successo di Roma ma non aveva ottenuto della vittoria quell'ampliamento territoriale che sperava; del
resto l'accordo con Roma
prevedeva che le comunità transitate dalla parte degli Etoli o dei Romani confluissero nell'orbita etolica, ma nel
momento in cui Roma aveva proclamato la libertà della Grecia, l'accordo era stato disatteso. Gli Etoli quindi
raggiunsero un accordo con il re di Siria Antioco III, che nel 192 a.C mosse guerra contro l'Urbe, aprendo così la guerra
siriaca. La Macedonia sostenne Roma. Dopo numerose vittorie Roma sconfisse definitivamente l'esercito siriaco a
Magnesia sul Sipilo nel 189 a.C e siglarono la pace nel 188 a.C d Apamea, imponendo la distruzione della flotta siriaca,
il pagamento dell'indennità e lo sgombero dei territori a ovest e a nord della catena del Tauro (che venne divisa in: Lidia
e Caria, che passarono a Rodi e quanto rimaneva a Pergamo) e le città che dall'inizio si erano schierate con Roma
vennero liberate.
1. La terza guerra macedonica: la strategia di Perseo; la battaglia decisiva; la riorganizzazione della Macedonia.
La guerra siriaca apriva un nuovo confronto tra L'Africano e Annibale (che dovette fuggire in Britannia). Nel 179 a.C
morì Filippo V e al trono di Macedonia ascese il figlio Perseo, il quale nutriva un sentimento di rivalsa verso Roma.
Egli sollecitava la reazione anti-romana delle comunità che avvertivano l'ingerenza dell'Urbe nelle questioni orientali.
Nel 171 a.C ebbe inizio la terza guerra macedonica, di cui la battaglia decisiva ebbe luogo a Pidna nel 168 a.C, vedendo
trionfare il console Lucio Emilio Paolo. Ebbe così fine il regno di Macedonia, che venne diviso in 4 distretti
indipendenti, ciascuno dei quali doveva versare un tributo annuo a Roma, e Perseo fu catturato e imprigionato a Roma.
La Lega Achea, che aveva sostenuto la Macedonia, dovette consegnare 1000 esponenti politici sgraditi a Roma. Rodi,
tradizionale alleata di Roma, resasi colpevole di aver perseguito la via della mediazione tra le due parti, fu privata dei
territori ottenuti dalla guerra siriaca. L'Illiria, principale partner della Macedonia, venne divisa in 3 repubbliche.
Fu istituito da Roma come fulcro di traffici commerciali non soggetti a dazio e quindi di un'intricata rete di relazioni
economiche. Il porto franco di Delo spodestò quindi Rodi.
1. La terza guerra punica: la decisione dei comizi per la guerra; il casus belli; la distruzione di Cartagine.
Nel 149 a.C i romani aprirono un nuovo fronte di guerra, con l'intenzione di estirpare definitivamente la minaccia
cartaginese: era la terza guerra punica. L'attivismo della nemica storica di Roma e la sua relativa vicinanza all'Urbe
indussero i comizi a decidere per la guerra, consci dei vantaggi che sarebbero derivati al popolo dall'acquisizione di un
territorio produttore di grano. Il casus belli furono le tensioni maturate tra Cartagine e il regno di Numidia, ampliato dai
romani in conseguenza della guerra annibalica per premiare la lealtà di Massinissa. Cartagine contestò l'arbitrato
romano e, dopo un primo tentativo di accordo si aprì il via alle armi la guerra fu difficile. Nel 147 a.C il comando fu
affidato a Publio Cornelio Scipione Emiliano. Nel 146 a.C Cartagine cedette al lungo assedio, venne saccheggiata e rasa
al suolo; il suo territorio fi acquisito e trasformato nella provincia d'Africa
Nel II secolo a.C Roma impegnò le sue legioni anche in Occidente. Nel 197 a.C vennero istituite le due province di
Spagna Citeriore e Spagna Uteriore e furono affidate alla gestione di due pretori. Però la penisola rimase a lungo terreno
di scontri, tanto che la romanizzazione fu ultimata in epoca augustea. Roma era interessata alle risorse minerarie
spagnole, ma c'erano più fattori che determinavano difficoltà: configurazione geo-morfica inadatta ai combattimenti in
spazio aperto, cui erano abituati i romani; il ricorso da parte delle tribù ispaniche alla guerriglia invece che a scontri
risolutivi; l'organizzazione delle genti in tribù indipendenti. Nel 137 a.C i Romani si impegnarono nell'assedio di
Numanzia, inizialmente fallimentare (tanto che Tiberio Sempronio Gracco mandò Gaio Ostilio Mancino a negoziare
una pace disonorevole), ma poi l'Emiliano conquistò Numanzia e la rase al suolo nel 133 a.C.
Po invece Roma adottò il sistema della durezza nei confronti di Liguri e Celti cispadani, attraverso confische
deportazioni e in generale lo sterminio di massa. Si procedette quindi a requisire e centuriare i territori di pianura, che
divennero la meta di numerosi coloni provenienti dll'Italia centro-meridionale. Marco Emilio Lepido provvedette a
tracciare una nuova arteria stradale da Rimini a Piacenza: la via Emilia. Quindi fu realizzato un forte processo di
romanizzazione nei contesti padani e la colonia di Aquileia funse da caposaldo degli interessi militari ed economici di
Roma, contro la minaccia di infiltrazioni celtiche e la pressione degli Istri. Aquileia divenne il terminale di nuovi assi
viari: la via Postumia (da Genova), la via Annia e la via Popilia (da Rimini), che si ricollegavano alla via Flaminia (da
Roma). _Capitolo_8
1. Come cambia l'aristocrazia senatoria nel III secolo a.C. e con quali mezzi mantiene il potere?
In conseguenza dell'espansione e dello slancio economico venne rafforzato anche l'ordinamento aristocratico, cui
avevano partecipazione anche i plebei. C'era una stratificazione piramidale, in cui al vertice si situava la nobiltà
senatoria e alla base gli schiavi. Tale gerarchi era frutto di: privilegi di nascita, capacità personale e consistenza
patrimoniale. Di molti benefici giovava l'aristocrazia patrizio-plebea, di cui una ventina di famiglie monopolizzava i
vertici delle magistrature, contendendosi il consolato e attuando solide alleanze tramite matrimoni e adozioni incrociate
di membri maschili. Durante il III secolo a.C il senato si aprì in due direzioni:
Geograficamente, ammettendo anche elementi appartenenti a famiglie provenienti dall'area tirrenica. Verso il
basso, ammettendo anche i cosiddetti homines novi (cui però erano posti due vincoli: il
Per ambire a una carica politica era necessario essere in grado di finanziare la propria campagna elettorale e disporre poi
di masse clientelari. Per mantenere il proprio potere l'aristocrazia aveva alcuni strumenti, tramite cui controllava
l'evoluzione delle dinamiche politiche: solo i magistrati potevano convocare le assemblee, avevano il diritto propositivo
nei comizi (mentre la capacità del tribunato della plebe di incidere nella vita politica andava diminuendo, perchè dei 10
tribuni solo 1 aveva il diritto di veto, che ovviamente era sottoposto a continue pressioni e tentativi di corruzione) e
disponevano di consolidate clientele (soprattutto quelle dei vinti). La competizione tra le famiglie l'annualità della
collegialità delle cariche impedivano l'instaurarsi di un regime tirannico.
Il fondamento della ricchezza dell'aristocrazia rimase la proprietà terriera. Nel 218 a.C la legge Claudia vietò ai senatori
di possedere navi commerciali di capacità superiore a 300 anfore. Tale divieto era imposto in un momento in cui era
visto con pregiudizio l'arricchimento tramite commerci, in quanto considerato una via impropria, soggetta a fluttuazioni
della fortuna e indegna a chi aspirasse a dedicarsi alla vita politica, la cui stabilità era connessa solo ai patrimoni
fondiari. La legge comportò per chi avesse voluto intraprendere la carriera politica, la rinuncia a patrimoni mobili e
l'ancoraggio agli immobili. (Tuttavia non mancarono senatori che sfruttarono in tal senso i propri liberti, come
prestanome)
L'esclusione dei senatori dai profitti mercantili portò alla nascita di un ceto, che riuniva quanti disponevano di un
consistente patrimonio derivato e alimentato dal commercio, dalle iniziative finanziarie e da attività imprenditoriali.
Roma divenne una potenza marittima e transitò per gradi verso un'economia monetaria; aveva infatti attivato anche un
circuito monetale dedicato a sostenere le spese militari e a finanziare la costruzione di infrastrutture.
A fronte del rafforzamento del ceto di addetti al commercio e all'artigianato, si ampliò il numero di piccoli e medi
proprietari terrieri, che beneficiavano delle distribuzioni di terra individuali e di deduzioni coloniarie. Crebbe anche il
numero e l'importanza dei liberti, perchè le famiglie più eminenti di Roma, per i propri obiettivi politici emancipavano
molti schiavi allo scopo di incrementare le clientele e farne massa di manovra nelle assemblee popolari. Anche la
schiavitù era cambiata, dato che abolito il nexum la nuova fonte di
manodopera erano i prigionieri di guerra, trattati alla stregua di oggetti e manomessi una volta raggiunta l'età adulta.
L'aristocrazia senatoria all'inizio del II secolo a.C visse un aspro scontro tra le sue due componenti:
Tradizionalista, capeggiata da Marco Porcio Catone, che sosteneva la tutela delle tradizioni e l'agricoltura come
valore primario e invece era ostile alle guerre in Oriente e all'assorbire dei costumi greci.
Disponibile al cambiamento, capeggiata dalla famiglia degli Scipioni, favorevole all'espansione in Oriente,
all'apertura di nuovi mercati, all'incremento del ceto artigiano-commerciale e alla penetrazione dei costumi greci.
Una sorta di composizione del conflitto si registrò nel 180 a.C con la legge Villia annuale, che rappresentò un
compromesso tra le parti, in quanto regolamentò la successione delle cariche politiche (allo scopo di impedire il
protagonismo di personalità come l'Africano, che solo all'inizio della sua carriera si era imposto sulla scena politica e
militare, rompendo gli schemi consolidati dalla tradizione). Essa regolamentò 3 aspetti:
L'ordine di successione delle magistrature Gli intervalli di tempo tra una carica e l'altra L'età minima per
accedere a ciascuna di esse
1. La legge sulla restituzione dei cavalli sancisce l'ufficializzazione di un nuovo ceto: quale, con quali segni distintivi,
da chi composto?
Numerosi imprenditori erano divenuti in alcuni casi anche più facoltosi dei senatori, ma non potevano dedicarsi alla
carriera politica perchè la loro ricchezza era costituita da beni mobiliari. Lo stato i risolse a riconoscere l'importanza di
tale nuovo ceto attraverso un atto simbolico, attraverso la legge sulla restituzione dei cavalli emanata nel 129 a.C e la
quale sanciva la nascita dell'ordine equestre. La legge ordinò ai 300 senatori che avevano ricevuto dallo stato un cavallo
in quanto membri della prima classe, di restituirli affinchè venissero riassegnati ai 300 cittadini più facoltosi esclusi dal
senato. Essi dovevano possedere almeno 400.000 sesterzi (patrimonio minimo di un senatore) e come segni distintivi
portavano l'anello d'oro, la striscia purpurea sottile (angusticlavio) e posti d'onore alle spalle dei senatori nelle
manifestazioni pubbliche. L'ordine equestre andò a costituire la dirigenza economica dello stato romano e contribuì a
riabilitare nella mentalità comune le attività commerciali e manifatturiere.
Nel II secolo a.C si andò consolidando un ceto imprenditoriale, arricchitosi attraverso forniture militari, esportazione di
prodotti in nuovi mercati e attività finanziari. Per supplire alle carenze di uno stato che non disponeva di un ordine
burocratico si costituì la società dei pubblicani; si trattava di consorzi di privati cittadini che concorrevano alle gare
d'appalto annualmente bandite dallo stato per la realizzazione di opere pubbliche, la conduzione delle miniere,
l'esazione delle imposte e dei dazi provinciali. Roma delegava a questi privati tali funzioni gestionali nei territori extra-
italici senza regolamenti . Gli appalti duravano generalmente 5 anni e consentivano ai pubblicani di arricchirsi
enormemente, adottando spesso metodi estorsivi con la connivenza di governatori provinciali corrotti. Lo stato romano
fissava la quota contributiva che doveva ricevere dalle province, ma non si curava di quanto i pubblicani prelevassero
con interesse, tramite sistemi coercitivi. _Capitolo_9
1. Quali problemi si manifestano alla fine del II secolo a.C. determinando la crisi della Repubblica romana? Quali
erano i principali motivi di malcontento degli alleati italici, fondamento della guerra sociale del 91 a.C. ? La schiavitù
nel II secolo a.C. a confronto con la schiavitù di età arcaica.
La fine del II secolo fu caratterizzata dal risolversi di alcune gravi problematiche che assediavano lo stato romano:
La questione agraria: l'esercito romano manifestò gravi manchevolezze soprattutto nei contesti dell'assedio di
Numanzia (in cui furono impiegati numerosi uomini e risorse in una guerra vinta
attraverso la disperazione dell'assedio) e della guerra contro Giugurta in Africa (in cui la lotta durò anni e fu poi vinta
grazie all'intervento di Gaio Mario e Silla e alla collaborazione del re di Mauretania, che con l'inganno catturò il
sovrano di Numidia). Con la risoluzione delle problematiche dell'esercito ci fu un ritorno alle coltivazioni abbandonate
e quindi la risoluzione della questione agraria.
La questione degli alleati italici: erano obbligati al reclutamento come truppe ausiliarie in proporzioni sempre più
consistenti, venendo penalizzati rispetto ai legionari sia nelle sanzioni disciplinari, che nella spartizione del bottino;
inoltre l'abbandono della politica di deduzione coloniaria costringeva i ceti subalterni delle comunità alleate ad
inurbarsi, concorrendo ad accrescere l'entità del sottoproletariato urbano che Roma faticava ad assorbire e che causava
disordini, violenze e disagi crescenti nel reperimento di vitto e alloggio. Le elite delle comunità italiche erano escluse
dalle decisioni politiche assunte a Roma, ma le cui ricadute gravavano sull'intera penisola; inoltre le confische agrarie
del II secolo colpirono anche le proprietà dei socii italici.
La questione degli schiavi: la crescita abnorme della disponibilità di schiavi nell'Urbe, mutò la percezione del
servitore parte della famiglia a figura percepita come un oggetto di proprietà del padrone. Si imponevano ora due
tipologie di schiavi: prigionieri di guerra e vernae, cui erano destinate le mansioni più difformi (dal lavoro nelle miniere
all'amministrazione dei complessi produttivi artigianali, alla formazione intellettuale dei giovani aristocratici). Le
numerose rivolte servili erano spesso mosse dal desiderio di tornare in patria e causarono gravissimi problemi di ordine
pubblico, imponendo tempestivi interventi di repressione ma anche un ripensamento delle modalità di gestione di questa
forza lavoro.
La questione delle province: l'amministrazione delle province rappresentava il sistema tradizionale di gestione dei
territori extraitalici acquisiti a Roma. Spesso i governatori romani depredavano i territori sottoposti alla loro
giurisdizione e analogamente facevano i pubblicani attraverso estorsioni ai danni delle popolazioni locali. Questo
determinò la formazione di proteste e denunce presso il senato di Roma. Aristonico sobillò il popolo alla rivolta,
vantando il diritto a subentrare come re al fratellastro (Attalo III) defunto, ma la ribellione fu soffocata.
Mitridate VI re del ponto ambiva ad espandere il suo dominio nei territori dell'Asia Minore e strumentalizzò per i suoi
fini l'animosità che i provinciali nutrivano verso Roma a causa della cattiva amministrazione. Egli ottenne largo
consenso nella provincia d'Asia. Si palesò così una grave crisi delle istituzioni romane, che si protrasse per più di 100
anni, fino all'instaurazione del principato.
Il rapporto clientelare assunse una nuova forma: la clientela militare. L'esercito (nella posizione di cliente) affiancò alla
sua tradizionale funzione di motore della conquista il ruolo di forza politica, al servizio dei singoli comandanti (nella
posizione di patroni), veri signori della guerra e padroni della scena pubblica. Il ceto equestre rivendicò il diritto di
operare anche in politica, attraverso alleanze con esponenti della classe dirigente e privilegiando opportunisticamente
iniziative tradizionaliste piuttosto che innovatrici. La plebe fu coinvolta nella politica oltre che attraverso le clientele,
anche con la manipolazione come strumento di pressione.
1. La riforma agraria di Tiberio Sempronio Gracco: cronologia, presupposti, contenuti, modalità di attuazione, esiti.
Tiberio Sempronio Gracco colse i rapporti di consequenzialità tra la ridefinizione degli assetti agrari e la crisi
dell'esercito. Questi problemi erano imputabili al calo demografico, che incideva sul numero di arruolabili e alla
scomparsa della piccola e media proprietà terriera e quindi alla proletarizzazione dei cittadini, soggetti alla leva, ma
privi di requisiti censitari per accedere all'esercito. Un primo tentativo era l'abbassamento del limite censitario e il
potenziamento degli apporti italici alla politica espansionistica. Tiberio Gracco si candidò al tribunato della plebe allo
scopo di varare una riforma agraria intesa alla ricostituzione di un ceto di piccoli proprietari terrieri arruolabili.
Rivitalizzò quindi una delle leggi Licinie Sestie, relativa all'occupazione dell'agro pubblico, che fissava come limite
massimo un possesso di 500 iugeri a famiglia; Tiberio Gracco innalzò il tetto fino a ulteriori 250 iugeri per figlio
maschio, fino a un massimo di 1000
iugeri. Stabilì inoltre che tali quote venissero concesse in proprietà (a quanti già le possedessero), cessando di
appartenere allo Stato. Quindi l'ager publicus espropriato ai latifondisti sarebbe stato assegnato in possesso (quindi in
"prestito" da parte dello stato, in modo da evitare che il terreno venisse rivenduto ai latifondisti e fissando un canone
d'affitto simbolico), diviso in lotti di 30 iugeri da assegnare ai cittadini proletari che ne avessero fatto richiesta (e
sarebbero stati trasmessi in eredità ai figli). La proposta di Tiberio Gracco fu bloccata dal veto del tribuno della plebe
Marco Ottavio, che venne quindi fatto deporre da T. finchè la sua legge fu approvata. Il progetto di Tiberio Gracco però
necessitava di un dispendioso lavoro di verifica, così fu istituita una commissione triumvirale preposta all'assegnazione
delle terre.
1. L'azione riformatrice di Gaio Sempronio Gracco.
Gaio Sempronio Gracco venne eletto come tribuno della plebe nel 123 a.C ed ottenne che i comizi tributi legittimassero
l'iterazione delle magistrature. Si ricandidò al tribunato per raggiungere l'attuazione delle sue riforme. Egli propose un
pacchetto di 17 provvedimenti legislativi, che ottennero tutti l'approvazione all'assemblea popolare, tranne uno
sull'equiparazione giuridica degli alleati ai cittadini romani. Un primo provvedimento fu la legge agraria, che mirava a
ricostituire il ceto dei piccoli e medi proprietari terrieri, allentando anche le problematiche dell'esercito (la legge
stabiliva che nei territori in cui, dopo le confische, si fosse proceduto alla ridistribuzione di ager publicus, lo stato
avrebbe realizzato nuove strade, così da facilitare ai contadini la vendita dei propri prodotti). La legge Sempronia
frumentaria provvedeva mensilmente alla distribuzione di grano a prezzo politico alla plebe di Roma; prevedeva inoltre
l'edificazione di Horrea Sempronia, cioè silos per lo stoccaggio del grano. La legge Rubria riavviava la politica di
deduzioni coloniarie, consentendo che venissero fondate nuove comunità in territorio italico, ma anche in aree extra-
italiche. La legge militare poneva che lo stato non avrebbe potuto reclutare giovani sotto la soglia dei 17 anni e avrebbe
inoltre fornito ai soldati quantomeno l'uniforme. Secondo la legge sulla pratica giudiziaria un cittadino romano poteva
subire la condanna a morte solo in seguito a un pronunciamento popolare (quindi ogni proceo che implicasse la pena di
morte sarebbe dovuto essere celebrato al cospetto dei comizi). La legge sulla provincia d'Asia attribuiva alle società di
pubblicani l'appalto per la riscossione delle tasse nella provincia (i Gracchi gestivano la provincia d'Asia, lasciata loro
nel testamento di Attalo III, come se fosse un loro possesso personale); l'avidità degli appaltatori non tardò a
saccheggiare le ricchezze dell'ex regno di Pergamo. La legge Acilia interveniva nella composizione della giuria del
tribunale permanente (quaestio perpetua) preposto ai processi di concussione delle province e incaricato di giudicare i
governatori, di rango senatorio, accusati di malversazione (crimen de repetundis); la maggioranza della giuria era
composta da equestri e il provvedimento garantiva l'immunità agli appaltatori perchè i governatori finivano ostaggio dei
pubblicani nelle province. La legge inaspriva anche le pene per i governatori giudicati colpevoli, che avrebbero dovuto
restituire il doppio di quello che avevano estorto. Fu poi promosso un senatusconsultum, attraverso cui si intimò al
governatore di una delle province spagnole di rimborsare alle città locali i costi del grano che aveva illegalmente
riscosso e inviato a Roma. _Capitolo_10
1. La guerra giugurtina: la cronologia, le cause interne, le ragioni del coinvolgimento di Roma, lo svolgimento del
conflitto, il suo esito.
Quinto Cecilio Metello volle Gaio Mario come legato nella campagna contro Giugurta, che insieme ai cugini Aderbale
e Iempsale aveva succeduto al trono di Numidia e per averne il controllo aveva messo in fuga il primo (cugino) e ucciso
il secondo. Nel 116 a.C una commissione senatoria aveva stabilito una nuova ripartizione della Numidia, in cui
Aderbale avrebbe avuto la parte orientale (più prospera), mentre Giugurta avrebbe avuto il resto. Nel 112 a.C Giugurta
assedia il il cugino a Cirta, città più importante della Numidia orientale e quando questa cade stermina romani e italici
chee vi risiedevano. Questo rese inevitabile l'intervento armato. Intanto il tribuno della plebe Gaio Memmio accusava i
senatori di lasciarsi corrompere dal re di Numidia. La guerra iniziata nel 112 a.C registra una grave sconfitta, finchè il
comando non passa a Quinto Cecilio Metello, che coadiuvato da Gaio Mario ottiene buoni risultati. Nel 108 a.C,
nonostante l'opposizione di Metello, Mario si reca a Roma per presentare la sua candidatura al consolato e l'elezione gli
consentì di accedere alla nobiltà senatoria, mentre l'assemblea popolare gli attribuì la conduzione della guerra in Africa,
benchè il senato avesse già prorogato il comando a Metello. Nel 107 a.C Mario raggiunge l'Africa ed il suo questore e
Lucio Cornelio Silla. Giugurta cade, raggirato dal suocero Bocco di Mauretania, che nel 105 a.C lo consegna a Silla.
Giugurta viene fatto sfilare nel trionfo di Mario ed inseguito giustiziato. La Numidia viene in parte concessa a Bocco ed
in parte mantiene la sua autonomia.
1. Le specificità dell'esercito riformato da Gaio Mario rispetto alla milizia istituita da Servio Tullio.
Nel 107 Gaio Mario procedetteall'arruolamento di volontari. I legionari romani si trasformarono in soldati di
professione, così l'esercito romano si proletarizzò: il servizio militare venne inteso dalla plebe come un mestiere da cui
trarre sostentamento grazie allo stipendio, all'eventuale bottino di guerra, nonché alla prospettiva di ottenere al
momento del congedo un lotto di terra come premio per il servizio prestato. L'esercito divenne quindi una valvola di
sfogo sociale. Inoltre come conseguenza dell'abolizione del limite censitario per l'accesso alle milizie, lo stato dovette
provvedere all'equipaggiamento e al salario dei soldati. Emerse anche la necessità di corrispondere ai veterani una
buonuscita che ne consentisse la sopravvivenza dopo il servizio militare. La questione agraria i risolse con
l'assegnazione di terre ai veterani.
1. Le campagne di Gaio Mario contro Cimbri e Teutoni: il timore di una nuova invasione gallica, gli spostamenti dei
clan del nord, le modalità dell'addestramento delle truppe romane, gli scontri decisivi.
Mentre ancora si trovava in Africa, nel 105 a.C, Mario venne eletto per un secondo consolato (inusuale perchè: a. Mario
non era a Roma, b. non era passato l'intervallo minimo di 10 anni tra un consolato e l'altro), a causa dell'invasione di
Cimbri e Teutoni. Essi si erano spostati dalla penisola dello Jutland e dalle zone circostanti verso il sud. Mario addestrò
duramente soldati e schiavi, impegnandoli in opere quali la costruzione della Fossa Mariana, funzionale a garantire
approvvigionamento sicuro all'esercito. I Cimbri si spostarono in Spagna, mentre i Teutoni rimasero in Gallia. Nel 102
a.C Mario sconfisse i Teutoni presso Aix en Provence e nel 101 a.C i Cimbri presso Campi Raudii.
1. Le iniziative politiche del tribuno della plebe Lucio Apuleio Saturnino e del pretore Gaio Servilio Glaucia; la
dominazione cinnana.
Lucio Apuleio Saturnino era di parte popolare ed era sostenuto dai soldati marinai (in larga parte espressione della plebe
delle campagne italiche), in quanto proponeva provvedimenti di ispirazione graccana: l'attribuzione di terre quale
compenso di veterani, la distribuzione di grano a prezzo inferiore rispetto a quello di mercato, la deduzione di colonie
nelle province, la ripartizione in lotti e l'assegnazione ai cittadini romani delle terre in Gallia, in precedenza occupate
dai Cimbri. Gaio Servilio Glaucia promuoveva a sua volta una politica fortemente filo-popolare. Candidato al
consolato, quando fu chiaro che al suo posto sarebbe stato eletto Gaio Memmio, insieme a Saturnino ne commissionò
l'assassinio. Il senato dichiaro entrambi nemici pubblici e Mario, che era console, non ebbe altra scelta che perseguirli
verso il Campidoglio, dove Saturnino venne ucciso a sassate dalla folla salita sul tetto della Cura Hostilia, all'interno
della quale si era rifugiato, mentre Glaucia venne assassinato sulla strada. Nel 87 a.C Mario venne eletto console per la
settima volta, insieme al compagno di parte politica Lucio Cornelio Cinna; i due avevano promosso una severissima
repressione dei sostenitori di Silla, nell'86 a.C Mario muore. Cinna fu console anche nel biennio successivo, esercitando
una sorta di dittatura a Roma, tanto che gli anni del suo mandato, tra 87 e 84 a.C, vennero definiti dominazione cinnana,
ma Cinna morì nell'84 a.C ucciso dai soldati che avrebbero dovuto sostenerlo nella lotta contro Silla.
1. Le guerre mitridatiche: le premesse della guerra, la strategia di Mitridate del Ponto, le ricadute nella politica
interna romana, i principali fatti d'arme.
Prima guerra mitridatica (88-84 a.C.): Al rientro di Mario nel 9 a.C andò radicalizzandosi la latente rivalità contro
Publio Cornelio Silla, esponente rappresentativo della parte ottimate nella prima metà del I secolo a.C. L'antagonismo
fra i due scoppiò quando si aprì a Roma un nuovo conflitto: nell'88 a.C Mitridate VI Eupatore, re del Ponto invase la
Grecia con ambizioni di espansione in tutta l'area orientale occupata dai Romani. Mitridate aveva istigato un'estesa
sollevazione anti-romana, in nome della libertà dall'oppressore di cui si faceva baluardo; in breve tempo i suoi eserciti
dilagarono in tutta l'Asia romana. Il senato affidò al console Silla la conduzione della guerra. Dopo disordini interni
però i comizi decisero di passare il comando a Mario. Silla che intanto aveva assunto il comando dell'esercito campano
marciò su Roma. Mario fuggì in Africa. Silla prima di partire per la sua spedizione orientale come proconsole, assunse
provvedimenti intesi a limitare i poteri dei comizi (allora controllati da Mario attraverso le clientele militari): passò una
norma che prevedeva che ogni legge dovesse essere approvata preventivamente dal senato per poi passare all'esame
dell'assemblea popolare; inoltre si stabilì che solo i comizi centuriati (su cui il peso delle élite era più forte) e non i
tributi, avessero facoltà di votare provvedimenti legislativi. Silla ebbe successo e dopo la resa di
Atene e numerose vittorie venne stipulato nell'85 a.C a Dardano un accordo che stabiliva il pagamento da parte di
Mitridate di una consistente indennità di guerra e il rientro dei suoi eserciti nei confini del Ponto.
Seconda guerra mitridatica (83-81 a.C.): Silla fece ritorno, mentre in Oriente esplodeva la seconda guerra mitridatica.
Lucio Licinio Murena, governatore della provincia d'Asia, ritenendo che il sovrano pontico organizzasse un nuovo
attacco alle province romane effettuò incursioni ripetute, finchè Mitridate non lo affrontò, infliggendogli una dora
sconfitta ed invadendo la Cappadocia. L'esercito di Silla si scontrò nell'82 a.C presso Porta Collina e vittorioso rientrò
nell'Urbe. Silla inaugurò allora le proscrizioni, stilando una lista degli avversari politici di cui legittimava l'uccisione e
la confisca dei patrimoni.
Nell'82 a.C attraverso la legge Valeria, proposta da Lucio Valerio Flacco, Silla venne eletto dal popolo dictator legibus
scribundis et rei publicae constituendae, ovvero dittatore con l'incarico di riscrivere le leggi e rifondare lo stato, carica
priva di limite temporale, che mantenne fino al 79 a.C. Silla propose alcune iniziative, allo scopo di ammodernare la
struttura dello stato ed eliminare la destabilizzante fazione popolare:
Ampliamento del numero di senatori a 600, con l'immissione dei cavalieri promossi all'ordine superiore e di
esponenti delle municipalità italiche
Le giurie deputate a giudicare i reati di concussione nelle province furono riconsegnate al senato Incremento dei
questori a 20 e dei pretori a 10 La carica di tribuno della plebe pregiudicava l'ascesa politica Limitazioni sul veto
tributizio e sulla facoltà dei tribuni di proporre leggi Nessun cittadino poteva iterare una carica dopo 10 anni, che la
questura era ricopribile dai 30 anni,
l'edilità dai 36, la pretura dai 39 e il consolato dai 42 Confische nelle aree degli oppositori politici di Silla e furono
redistribuite le terre ai suoi veterani Abolizione delle frumentazioni Ampliamento del pomerio
Silla abdicò nel 79 a.C e si ritirò a vita privata. 1. La guerra sociale: i tentativi esperiti attraverso la via legislativa, la
decisione in favore delle armi,
All'inizio del I secolo a.C si avviò la soluzione anche della questione degli alleati e della loro equiparazione giuridica ai
cittadini romani. La guerra sociale fu combattuta dal 91 all'89 a.C.
Le classi dirigenti miravano a ottenere l'elettorato attivo e passivo per poter esercitare un ruolo politico a Roma.
I ceti subalterni ambivano a partecipare ai vantaggi di cui godeva la plebe urbana, quali le elargizioni frumentarie,
l'arruolamento nelle legioni e non nelle truppe ausiliarie e i vantaggi della vita nell'Urbe (ad esempio l'opportunità di
sostentarsi tramite i rapporti clientelari).
Per supplire a queste esigenze furono attivate diverse strategie: Trasferirsi abusivamente a Roma fingendosi cittadini
e quindi usufruendo dei suoi vantaggi, così che
nel 95 a.C fu istituito attraverso la legge Licinia Mucia un tribunale preposto a giudicare tali illeciti I magistrati
romani si facevano portavoce delle istanze degli alleati, proponendo la concessione di
cittadinanza ai Latini e del diritto latino agli Italici; oppure in termini più estremi l'equiparazione giuridica di tutti
Il popolo di Roma però era contrario a queste iniziative, perchè temeva di dover condividere i propri vantaggi
economici. Inoltre alcune élite locali avevano ottenuto individualmente la cittadinanza romana per alcuni meriti ed
erano quindi ostili all'estensione di tali diritti. Nel 91 a.C Marco Livio Druso, tribuno della plebe, sollecitò la
concessione della cittadinanza agli Italici, ma venne assassinato. Tale atto di violenza determinò da parte degli Italici un
mutamento di strategia ed il passaggio alle armi. Una legge dell'ultimo quarto del II secolo aveva stabilito che i
magistrati delle colonie latine acquisissero automaticamente la cittadinanza. Anche gruppi estesi di italici l'avevano
ottenuta attraverso l'arruolamento nella guerra contro Cimbri e Teutoni. Nonostante ciò la rivolta si estese rapidamente.
Gli alleati diedero vita ad uno stato federale autonomo, sotto
il profilo istituzionale e militare organizzato analogamente alla Repubblica romana e stabilirono la capitale a Corfino. I
romani promossero infine una serie di concessioni sul piano giuridico:
90 a.C: la legge Giulia riconosce la cittadinanza a Latini e Italici che non si sono ribellati 89 a.C: la legge
Calpurnia riconosce ai comandanti militari romani la facoltà di riconoscere la
cittadinanza agli alleati meritevoli 89 a.C: la legge Plauzia Papiria concede la cittadinanza a tutti i ribelli che
depongono le armi 89 a.C: la legge Pompeiana sui Transpadani conferisce il diritto latino a coloro che risiedevano a
Quindi dall'89 a.C in poi tutta la penisola e le colonie latine della Cisalpina ebbero il diritto romano, assumendo la veste
giuridica di colonie romane o municipi. Nell'84 a.C Cinna ottiene l'approvazione del provvedimento che iscrive i nuovi
cittadini italici in tutte le tribù.
1. Le guerre servili: l'assenza di una progettualità politica, il ruolo degli schiavi armati (pastori e gladiatori), i
protagonisti e le modalità di svolgimento, gli esiti.
La questione degli schiavi rimaneva aperta e tra 135 e 71 a.C esplosero vere e proprie guerre, tre delle quali imposero a
Roma un consistente impegno militare:
Prima guerra servile (135 - 132 a.C): schiavi-pastori, armati in ragione delle loro mansioni, guidati dal siriaco Euno (i
quale se ne proclamò re), conquistarono alcune città e sconfissero sul campo 4 pretori romani. Il console Publio Rupilio
nel 132 a.C espugnò Taormina e uccise i capi rivoltosi.
Seconda guerra servile (104 - 101 a.C): si discuteva in Sicilia dell'emancipazione promessa agli schiavi che avevano
militato nell'esercito di Gaio Mario e a quelli che erano transitati alla condizione servile perchè nati liberi in città alleate
ma rapiti dai pirati. Nonostante la decisione del senato i proprietari si rifiutarono di concedere la libertà, così gli schiavi
insorsero, guidati dal siriaco Salvio. Il console Manio Aquilio soffocò la rivolta.
Terza guerra servile (74 -71 a.C): i ribelli, appartenenti alla scuola gladiatoria di Capua e capeggiati da Spartaco e
Crisso, si riunirono con uomini, schiavi ed emarginati nel numero di 120.000. Si diressero prima a nord (alcuni
provenivano da Gallia e Germania e volevano rientrare in patria), ma presto tornarono verso sud. Spartaco si accordò
coi pirati per traghettare il suo esercito in Sicilia, ma i pirati incamerarono il pagamento senza rispettare i patti e così i
ribelli si diressero verso la Puglia. Lo scontro decisivo fu in Lucania nel 71 a.C e Spartaco perse la vita in battaglia. I
superstiti furono crocifissi lungo la via Appia per ordine di Crasso e Pompeo.
La conseguenza non fu l'abolizione della schiavitù, ma il diffondersi presso i proprietari della consapevolezza che lo
sfruttamento spietato si traduceva in un fattore antieconomico, quindi l'incremento delle emancipazione e un
ripensamento della funzione degli ergastula (da ricoveri in cui gli schiavi venivano rinchiusi di notte, divennero
progressivamente luoghi di segregazione per schiavi da punire). Non si registrarono praticamente più ribellioni.
_Capitolo_11
1. Le infrazioni istituzionali della tarda repubblica: le condizioni che le determinano, le diverse modalità in cui si
produssero, coloro che se ne resero responsabili.
La principale legge vigente tra II e I secolo a.C era le Legge Villia annale, che dal 180 a.C disciplinava la successione
delle cariche. Le reiterate violazioni:
Scaturivano dalla necessità di rispondere alle eterogenee esigenze gestionali dello stato, il cui organigramma
burocratico amministrativo era deficitario
Derivavano dall'opportunità di ridefinire gli equilibri di potere all'interno della classe dirigente e di rinnovare le
modalità della politica.
L'integrazione delle élite italiche nella classe dirigente romana era conseguenza di numerosi fattori: L'accresciuto
peso dei loro affari nelle dinamiche economiche della Repubblica Il loro ruolo sempre più incisivo negli scontri
militari L'incremento delle loro relazioni clientelari con i leader romani La loro progressiva integrazione giuridica
nello stato romano
La possibilità di assumere cariche magistraturali non si doveva più al disporre di antenati autorevoli, ma si riconosceva
un valore crescente delle capacità individuali, soprattutto militari. In conseguenza di tante novità la vita politica romana
subì profonde trasformazioni:
Il consolato venne conferito a uno stesso individuo senza soluzione di continuità ance per 5 anni consecutivi - (Gaio
Mario), oppure fu assegnato ad un solo individuo invece che a due - (Pompeo Magno).
Il senato riconobbe comandi straordinari per missioni specifiche (invece che determinando confini geografici e
temporali specifici) - (Pompeo Magno contro i pirati).
Furono stretti accordi extra-istituzionali tra leader politici per la gestione dello stato a vantaggio personale -
(triumvirato del 60 a.C).
Si consentì ai governatori di amministrare la provincia in assenza, delegando i propri legati. La dittatura venne
utilizzata in una forma nuova: fu auto-conferita e solo successivamente legalizzata
dai comizi; fu motivata dalla guerra civile e non da conflitti esterni; durò più di 6 mesi; venne giustificata col riassetto
istituzionale.
1. La carriera di Gneo Pompeo Magno quale esempio della violazione della normativa repubblicana.
Dopo aver sostenuto Silla, l'aristocrazia identificò il proprio candidato al potere nel cavaliere Pompeo (in funzione anti-
cesariana). Cesare e Pompeo perseguivano entrambi un progetto autocratico, ma le clientele del primo erano di
schieramento popolare, mentre quelle del secondo ottimate. Quindi i senatori si appoggiavano a Pompeo perchè
nutrivano la speranza e l'aspettativa che egli potesse tutelare i privilegi della nobiltà conservatrice. Egli si distinse sin
dall'83 a.C, quando Silla era rientrato dall'Oriente e Pompeo (senza ricoprire alcuna magistratura) pose ai suoi ordini per
la guerra contro i Mariani i reparti che aveva arruolato di sua iniziativa. Così Pompeo ottenne il suo primo trionfo
nell'81 a.C su concessione di Silla. Nel 78 a.C Pompeo (senza ricoprire alcuna magistratura, ma investito di comando
propretorio) impedì un colpo di stato da parte di Marco Emilio Lepido (sostenitore delle riforme sillane). Dal 77 al 71
a.C Pompeo esercitò un comando proconsolare in Spagna per la lotta contro il mariano Sertorio e una volta rientrato in
Italia partecipò all'ultima fase della repressione contro Spartaco. Nel 70 a.C fu eletto console (senza avere i requisiti
anagrafici).
1. I nuovi poteri di Pompeo: la legge Gabinia per la guerra contro i pirati e la legge Manilia con il comando della
terza guerra mitridatica.
Nel 67 a.C, grazie alla Legge Gabinia per la guerra contro i pirati Pompeo ottenne un comando proconsolare di durata
triennale sull'intero bacino mediterraneo, infestato da pirati che pregiudicavano i traffici commerciali e provocavano
nell'Urbe continue carestie. La legge Gabinia riconobbe a Pompeo la facoltà di reclutare 20 legioni e una flotta di 500
navi e l'autorizzò a utilizzare i proventi delle province e ad attingere dall'erario. Il suo comando era infinito, in quanto
non limitato ad una sola provincia, ma equo, perchè paritario a quello dei proconsoli.
1. Eliminato il pericolo dei pirati nel 66 a.C Pompeo ottenne grazie alla legge Manila un comando proconsolare per
porre termine al conflitto con Mitridate e Tigrane (re di Armenia). Ebbe inizio la terza guerra mitridatica. Nel 74 a.C i
romani avevano istituito la provincia di Bitinia (cambiando gli equilibri di potere sul Mar Nero), ma Mitridate l'aveva
invasa. Roma aveva inviato a contrastarlo i due consoli Matco Aurelio Cotta e Lucio Licinio Lucullo (che aveva
costretto gli eserciti di Mitridate a evacuare la Bitinia li aveva inseguiti fino al Ponto). Mitridate fugge in Armenia da
Tigrane, incalzato da Lucullo. Le truppe di Lucullo tuttavia si erano opposte al loro comandante, spinte dalla fatica di
una guerra in territorio particolarmente ostile e il senato gli aveva tolto l'incarico. Con la legge Manilia Roma affidò a
Pompeo un nuovo comando straordinario, aggiungendo la giurisdizione civile di alcune province (Asia, Cilicia, Bitinia
e Ponto). La campagna fu vittoriosa: Pompeo raggiunse il Ponto e mise in fuga Mitridate, mentre Tigrane era impegnato
con i Parti, dopo di che il re del Ponto si tolse la vita. La campagna fu vittoriosa e Pompeo riorganizzò il potere romano
in Oriente, confermando il regno di Armenia a Tigrane, ma sottraendogli la Siria che nel 64 a.C divenne provincia
romana; occupò la Palestina e Gerusalemme, lasciando autonomo lo stato ma rendendolo tributario ed infine costruì in
oriente una rete di relazioni clientelari.
2. La stipula del I triumvirato: il ruolo di Cesare nella definizione dell'accordo; gli obiettivi dell'alleanza; il rinnovo.
Nel 60 a.C venne stipulato il primo triumvirato (di durata quinquennale) tra le 3 personalità più importanti del tempo:
Pompeo, il generale più brillante e osannato Crasso, l'uomo più ricco di Roma Cesare, il leader della parte
popolare
Gli obiettivi del patto contemplavano: L'ascesa di Cesare al consolato per il 59 a.C (ed attraverso l'esercizio del suo
potere attraverso
l'esercizio del potere consolare di Cesare:) La soddisfazione delle richieste dei veterani di Pompeo La ratifica della
riorganizzazione di Pompeo in Oriente
L'accordo fu rinnovato nel 56 a.C a Lucca per un ulteriore quinquennio e mentre Pompeo e Crasso ottenevano il
consolato, Cesare ebbe assicurato per altri 5 anni il comando in Gallia.
1. L'eredità di Gaio Mario: Gaio Giulio Cesare a capo della parte popolare.
Gaio Giulio Cesare era nato in una delle più antiche famiglie del patriziato romano, i Giuli, che avevano esercitato una
influenza dello stato. La madre di Cesaree, Aurelia, apparteneva a una famiglia dell'aristocrazia plebea. Cesare aveva
scelto la parte popolare, raccogliendo l'eredità di Mario e di Cinna. Sin dalla sua prima carica, come questore, Cesare
aveva promosso un attento recupero della memoria di Gaio Mario che era stato condannato all'oblio dopo la morte sua e
del figlio. Egli perseguiva due obiettivi complementari:
L'affermazione della linea politica dei popolari contro la politica dello schieramento ottimate Il successo personale
1. Egli agì col fine di acquisire solide bai economiche per attivare un'incisiva campagna elettorale e supportare i propri
sostenitori (fruì di cospicui prestiti di Crasso, ricorse ad altri finanziatori suoi seguaci e valorizzò le potenzialità dei
bottini di guerra).
2. Egli perseguì l'alleanza con uomini potenti per assicurare l'attuazione della sua strategia politica. 3. Egli si garantì il
comando di un esercito forte, numericamente consistente e fedele (al tempo dei
signori della guerra e delle decisioni politiche prese in base agli esiti delle battaglie). 4. Egli si adoperò per estendere il
proprio bacino clientelare per ottenere l'elezione alle magistrature e
assicurare il sostegno alle sue iniziative politiche. Armonizzò gli interessi di clientele composite, ampliando la
tradizionale base di consenso dello schieramento popolare.
1. Elemento fondamentale nell'affermazione di Cesare fu l'armonizzazione del suo esteso e per alcuni aspetti inedito
bacino clientelare. Quali gruppi rappresentavano la sua base di consenso e secondo quali modalità Cesare ricompensa
la loro fedeltà? 1. Riservò un ruolo centrale ai provinciali, di cui seppe guadagnare il sostegno e ricompensarli in
vari modi. 2. Per quanto riguarda la plebe si spese per l'abrogazione delle norme sillane sul tribunato, e
raggiunse il suo obiettivo sostenendo la candidatura del 70 a.C di Pompeo e Crasso al consolato. Nel corso della sua
edilità organizzò giochi e spettacoli al fine di guadagnare popolarità.
3. Con i soldati seppe stabilire un rapporto di fiducia e lealtà, creando un esercito consapevole anche di poter esercitare
un ruolo politico instaurò un legame particolare coi suoi soldati, condividendone le fatiche, le dure condizioni di vita, i
pericoli nelle battaglie, mantenendo però un'autorevolezza indiscussa tra le proprie truppe. I legionari furono così
l'elemento portante del suo successo negli scenari bellici e politici.Le riforme promosse da Giulio Cesare dittatore in
merito ai senatori, ai magistrati, alla Transpadana, ai governatori provinciali, ai tribunali preposti ai reati di
malversazione, alle frumentazioni ai collegi professionali.
Cesare si rese promotore di un'articolata serie di riforme intese ad assicurare nuovo vigore allo stato. Accrebbe il
numero di senatori dai 600 di Silla a 900, comprendendo suoi sostenitori che appartenevano all'élite italica e delle
province d'Occidente; la concessione della cittadinanza alla Transpadana nel 49 a.C accelerò il processo di integrazione
in particolare delle classi dirigenti locali e quindi l'immissione di alcuni tra i Galli più eminenti della curia romana.
Aumentò anche il numero di magistrati, al fine di rendere più efficiente l'amministrazione dello stato e garantire
l'accesso al senato e quindi la promozione sociale a
numerosi individui, espressione dell'ordine equestre, in precedenza esclusi. Il numero di questori fu raddoppiato a 40,
gli edili da 4 divennero 6, i pretori furono raddoppiati a 16 (e questi una volta concluso il mandato avrebbero potuto
assumere il governatorato di una provincia, così la Repubblica necessitava di un numero crescente di amministratori).
Definì la durata dei governatori provinciali (1 anno per i propretori e 2 per i proconsoli), imponendo un turnover che
presupponeva la disponibilità di un buon numero di ex consoli ed ex pretori. Riformò il tribunale per il reato di
malversazione in provincia, garantendo ai provinciali modalità adeguate per rivalersi sui cattivi amministratori. Ridusse
di più della metà il numero di beneficiari delle frumentazioni, attraverso cui i demagoghi provinciali controllavano la
plebe e normò l'attività dei collegi professionali, divenute cellule d'eversione violenta.
Nel 45 a.C, come Pompeo nel 52 a.C, Cesare fu eletto dai comizi console senza collega e nel 44 a.C fu nominato
dittatore perpetuo. Il nuovo indirizzo autoritario prevedeva n governo accentratore basato sull'accordo fra dittatore e
popolo, ma determinò aspre reazioni soprattutto da quegli esponenti dell'aristocrazia che Cesare voleva invece
coinvolgere nel suo progetto di cambiamento dello stato. Sebbene avesse rifiutato di attribuirsi il titolo di re,
l'accentuarsi della natura autocratica del suo potere fu una delle ragioni che portarono alla sua uccisione per mano di un
drappello repubblicano ma anche di cesariani che ritenevano di non aver ricevuto l'adeguata ricompensa. Anche la
promozione del giovane e ambizioso nipote Ottavio, affiancato sa non anteposto ad esponenti già maturi suscitò
profondi malumori. Cesare infine non riuscì ad assicurare veste istituzionale al suo potere carismatico e le innovazioni
costituzionali che impose furono tra le cause scatenanti della congiura. _Capitolo_12
Il padre, Gaio Ottavio, era un uomo nuovo, infatti per primo nella sua famiglia era in senato e aveva percorso la carriera
fino alla pretura, morendo prima di potersi candidare al consolato. La madre, Azia, era imparentata tanto con Pompeo
quanto con Giulio Cesare (figlia di Marco Azio Balbo e di Giulia, sorella di Cesare). La famiglia di Ottaviano proveniva
da Velletri, a sud-ovest di Roma, sui Colli Albani: gli Ottavi erano espressione di quella categoria di famiglie originarie
di piccoli centri dell'Italia, che si erano affermate nel tempo, avevano costituito solidi patrimoni e importanti relazioni di
amicizia e parentela a Roma, ma erano ancora ai margini alla vita politica all'Urbe.
1. Quali strumenti Ottaviano ritenne fondamentali per il suo successo fin dall'inizio della sua azione politica?
Ottaviano comprese da subito l'importanza di assicurarsi un consistente e fedele esercito e di acquisire credibilità e
prestigio nel partito cesariano.
1. Le ragioni di un'alleanza dell'erede di Cesare con i cesaricidi: Ottaviano nella guerra di Modena.
Bruto e Cassio dopo il cesaricidio non avevano ottenuto quei consensi presso l'opinione pubblica in cui speravano e non
erano riusciti ad organizzare un'alternativa politica efficace al predominio dei cesaricidi. Avevano quindi lasciato l'Italia
per l'Oriente. Ma altri cesaricidi si trovavano a Roma e combattevano contro gli eredi del dittatore per ripristinare la
repubblica. Il contesto in cui Ottaviano scelse la causa di Bruto contro Antonio era la cosiddetta guerra di Modena, dove
era asseragliato Bruto. Bruto in passato aveva assunto il governatorato della Gallia Cisalpina secondo la pianificazione
stabilita da Cesare; Cesare aveva attribuito agli abitanti del territorio la cittadinanza, ma la trasformazione della
provincia in parte dell'Italia non era ancora stata perfezionata, quindi era prevista la presenza di un governatore preposto
all'area. Antonio combatteva in armi Bruto perchè voleva assumere proprio quel governatorato (il popolo aveva
emanato una legge sulla sostituzione delle province). Cesare aveva stabilito che nel 43 a.C (mentre era in Oriente)
Antonio assumesse il comando della Macedonia (provincia strategica per il collegamento tra l'esercito di cesare e
l'Italia); ma ora, annullata la campagna partica, Antonio avrebbe avuto più vantaggi nel controllare la Gallia Cisalpina
(più prossima a Roma). Bruto si rifiutava di ottemperare alle richieste del senato. Ottaviano, schierato col senato e
grazie al suo potere di console, vinse su Antonio, che dovette ripiegare sulla Gallia Narbonense (comandato da Marco
Emilio Lepido, personaggio che assieme ad Antonio era il più
accreditato nell'establishment cesariano). A Modena, nell'infuriare dello scontro erano morti i due consoli, così
Ottaviano si impose alla guida della fazione cesariana ostile ad Antonio. Una volta raggiunta una posizione di forza,
abbandonò la causa del senato, che non gli aveva concesso il consolato e pervenne a un accordo con Antonio e Lepido.
Il 18ì9 agosto 43 a.C Ottaviano marciò su Roma, ricalcando le orme di Silla e Cesare e così ottenne il consolato.
Il secondo triumvirato, fondato nel 43 a.C e che vedeva sui membri Ottaviano, Antonio e Lepido aveva somiglianze e
differenze rispetto al primo (tra Cesare, Pompeo e Crasso):
Come il primo aveva durata quinquennale A differenza del primo, che era un accordo privato, questo assunse la
carica di una magistratura A differenza del primo, i triumviri avrebbero avuto la facoltà di nominare i candidati alle
1. Antonio avrebbe controllato Gallia Cisalpina e Gallia Comata 2. Lepido avrebbe controllato Gallia Narbonense,
Spagna Citeriore e Spagna Uteriore 3. Ottaviano avrebbe controllato Africa, Sicilia, Sardegna e Corsica
1. Ottaviano i presentò come il solo legittimato a compiere la vendetta per il cesaricidio, perchè il dittatore era stato
trucidato a tradimento con un atto di violazione delle leggi umane e divine, mentre rivestiva consolato e pontificato
massimo. Nel 42 a.C Cesare venne divinizzato, così Ottaviano potè definirsi figlio di un dio. La vendetta si attuò a
Filippi, in Macedonia, nell'Ottobre del 42 a.C e la campagna fu condotta da Ottaviano e Antonio, mentre Lepido
rimaneva in Italia a presidiare le sedi della politica. Nelle 2 battaglie di Filippi morirono suicidi sia Cassio che Bruto.
Sulla battaglia vinse Antonio, ma nella propaganda il vendicatore di Cesare fu Ottaviano.Il legame di Antonio con
Cleopatra, tra sentimento e ragioni politiche, nella realtà storica e nei condizionamenti della propaganda ottaviana.
Una volta terminata la battaglia di Filippi, Ottaviano tornò in Italia, mentre Antonio rimase in Oriente. In Italia tra 41 e
40 a.C era scoppiata una nuova guerra civile, la guerra di Perugia. Antonio e Ottaviano i incontrarono nuovamente nel
40 a.C a Brindisi per ridefinire i loro rapporti: il territorio romano si ripartì nelle due aree di Oriente e Occidente
(affidate rispettivamente ad Antonio e Ottaviano), il cui confine era la città di Scodra in Albania. A suggellare l'accordo
Antonio sposò Ottavia, sorella di Ottaviano. Antonio impostò una proficua rete di alleanze con i sovrani d'Oriente,
soprattutto con Cleopatra (questo ovviamente portava implicazioni politiche). L'Egitto rappresentava un partner
importante in ragione della sua ricchezza, della sua posizione geografica strategica e della sua flotta. La propaganda
ottavianea presenta l'azione di Antonio come conseguente dell'obnubilamento amoroso e la interpreta come tradimento
dei costumi romani. In realtà Antonio operò con acume politico , assumendo i costumi orientali allo scopo di trovare un
canale di dialogo con le élite locali.
Il 2 settembre del 31 a.C i consumò nella acque di Azio lo scontro decisivo che Ottaviano dichiarò non ad Antonio, ma
a Cleopatra (guerra intestina travestita da guerra esterna). L'ammiraglio che portò alla vittoria Ottaviano fu Marco
Vipsanio Agrippa. Antonio e Cleopatra ripiegarono e raggiunsero l'Egitto, ma il primo agosto del 30 a.C ad Alessandria
Antonio e Cleopatra si tolsero la vita e l'Egitto divenne proprietà privata di Ottaviano. (Ricorda la provincia d'Asia,
considerata proprietà privata dei Gracchi.)
_Capitolo_13 1. Nel 27 a.C. Augusto compì la restitutio rei publiacae: in quali provvedimenti concreti si tradusse la
restaurazione delle istituzioni pubbliche? Quali poteri e quali onori vennero conferiti ad Augusto?
Ottaviano, ritornato a Roma, abrogò nel 28 a.C le norme che erano tate assunte in età triumvirale e nel 27 a.C si rese
protagonista della restitutio rei publicae: riconsegnò al senato e al popolo romano i poteri eccezionali che gli erano stati
conferiti per lo scontro con Antonio e avviò la restaurazione delle istituzioni romane. Gli fu quindi conferito il titolo di
Augutus, che rifletteva la sua eccellenza e connetteva il suo primato nello stato alla sua auctoritas, l'autorevolezza
conseguente alla predilezione divina. Aveva ottenuto il titolo di imperator, che gli riconosceva una capacità potenziale
di vincere; ottenne poi il titolo di princeps, che si riferia a un primato generalizzato nella Repubblica; infine ottenne il
titolo di pater patriae, che definiva il suo ruolo nella salvezza dello stato.
1. Su quali poteri si fonda il primato di Augusto nello stato e quali sono le loro caratteristiche?
Augusto mantenne il consolato dal 31 al 23 a.C (lo depose in conseguenza di una congiura ordita a causa del carattere
autocratico del suo potere). Nel 27 a.C gli fu attribuito per 10 anni un esteso comando provinciale, comprensivo di
Spagne, Gallie, Siria, Cilicia e Cipro (precedentemente ripartiti tra i 3 triumviri) nelle quali erano di stanza reparti
legionari. Augusto scisse i poteri dalle cariche che tradizionalmente li esprimevano, assumendo i poteri ma non le
magistrature. A partire dal 23 a.C, quando si dimise dalla carica di console, amministrò lo stato attraverso la somma di 3
poteri fondamentali:
La potestà tribunizia perpetua: che gli assicurò diritto di veto, iniziativa legislativa, facoltà di convocare popolo e
senato, inviolabilità e opportunità di instaurare un patronato con la plebe. Il potere veniva rinnovato ogni anno e
costituiva l'elemento datante della titolatura imperiale.
Il potere proconsolare superiore: rappresentò un'estensione del comando provinciale eccezionale, perchè il potere era
esteso a tutte le province dell'impero.
Il pontificato massimo: a partire dal 12 a.C, con la morte di Lepido, Augusto divenne tutore degli antichi culti e del
mos maiorum.
1. La riorganizzazione augustea delle province nelle sue modalità e nelle sue finalità dichiarate ed effettive.
Province non pacificate, imperiali: sede di reparti legionari, perchè non ancora sicure nei confini. Venivano gestite
dal principe, quindi Augusto ci esercitava il suo potere di proconsole attraverso i sui legati pretori e consoli.
Province pacificate, pubbliche: prive di eserciti al loro interno. Venivano governate da proconsoli e propretori
assegnati per sorteggio e con carica di 1 anno (prorogabile).
La provincia d'Egitto: era riconosciuta sotto uno statuto particolare, affidata all'amministrazione di un funzionario
equestre di nomina imperiale, il prefetto d'Egitto. (Era proibito l'accesso ai senatori, se non autorizzati dal principe).
1. Il senato in età augustea fra continuità e trasformazione: composizione numerica, epurazioni, censo minimo
richiesto.
Il senato fu riportato a 600 membri, attraverso le epurazioni, allo scopo di escludere quanti erano entrati nell'assemblea
nel periodo delle guerre civili e quanti avevano sposato la causa di Antonio. Il censo minimo richiesto per accedere al
senato fu innalzato da 400.000 a 1.000.000 di sesterzi (sia per individuare una netta separazione patrimoniale tra
senatori e cavalieri, sia per imporre ai numerosi senatori che non disponevano di un patrimonio sufficiente di dipendere
dalla generosità del principe, il quale elargendo grosse somme di denaro avrebbe potuto condizionarne l'azione).
1. Nuovi organismi para istituzionali al fianco dell'imperatore: consilium principis e domus principi.
Il consiluim principis era composto da coloro che il principe sceglieva tra i suoi amici o i suoi servitori, con competenze
e ambiti di azione decisi dal principe di volta in volta. La domus principis era la famiglia del principe, allargata ad
amici, parenti acquisiti e intellettuali;
rappresentava un luogo di potere che agiva come un soggetto politico, divenendo una delle sedi delle discussioni e delle
decisioni pubbliche.
L'esercito di venne permanente, stabile, costituito da soldati professionisti e articolato in diversi reparti:
Legioni di cittadini: le 28 legioni (per un totale di 170.000 uomini circa) erano stanziate nelle province e sarebbero
state sciolte solo se annientate dal nemico o colpevoli di rivolte o viltà. Il servizio militare legionario fu fissato a 20 anni
e lo stipendio fu fissato a 225 denari l'anno (ma il legionario doveva provvedere personalmente alle spese per viveri,
vestiario, calzature ed equipaggiamento). Nel 6 a.C fu istituito l'erario militare, avviato attraverso il versamento da parte
di Augusto di 170.000.000 sesterzi (o meglio, finanziato da nuove imposte a carico dei cittadini romani). Si stabilì che
al momento del congedo i veterani ricevessero con il certificato di buona condotta una liquidazione di 3000 denari, con
cui acquisire una terra senza espropri. Augusto concesse poi il cosiddetto peculio castrense, per cui il soldato entrava
già in possesso dello stipendio e della buonuscita anche se il pater familias era ancora in vita. Fu poi vietato il
matrimonio ai militari in servizio, con la conseguenza che i figli illegittimi si dovevano arruolare per ottenere la
cittadinanza.
Coorti pretorie: tra 27 e 26 a.C Augusto istituì il corpo dei pretoriani, inizialmente la sua guardia del corpo, col
compito di presidiare l'Italia ove i legionari non potevano stanziare in armi. I pretoriani erano organizzati in 9 coorti di
1000 soldati ciascuna e di queste 3 erano stanziate a Roma e 6 in Italia. I pretoriani prestavano servizio per 16 anni,
ricevevano 750 denari come stipendio e 5000 denari come buonuscita (inoltre ricevevano ingenti donazioni, in quanto
garanti della sicurezza dell'imperatore e forza armata a Roma); non mancarono di esercitare la loro influenza politica
nell'impero.
Ali ausiliarie: erano fornite dalle comunità provinciali e da re clienti e contavano circa gli stessi effettivi del reparti
legionari. Furono utilizzate soprattutto come cavalleria e vennero rinforzate da reparti specializzati di arcieri e
frombolieri. Al congedo ottenevano la cittadinanza.
Due flotte: erano stabilite a Ravenna e a Capo Miseno. I marinai erano sudditi delle province e venivano reclutati
prevalentemente in Dalmazia ed Egitto.
Coorti di vigili e Urbaniciani: erano i due organi di polizia attivi a Roma, abilitati all'uso delle armi in città.
Inizialmente i componenti venivano reclutati tra i liberti, ma la nobiltà senatoria si oppose, temendo lo spionaggio
politico.
I vigili furono creati nel 6 a.C ed erano organizzati in 7 coorti, le quali pattugliavano ognuna 2 del 14 regioni di
Roma; costituite da 500-1000 uomini, rispondevano agli ordini del prefetto dei vigili di rango equestre ed effettuavano
servizio notturno di pattuglia ed intervenivano in caso di incendi.
Gli urbaniciani furono creati nel 133 a.C ed erano riuniti in 3 coorti alloggiate presso i castra praetoria; si occupavano
della sicurezza pubblica, al comando del prefetto della città di rango senatorio consolare.
1. L'istituzione di un apparato burocratico di stato: gli incarichi civili affidati ai membri del ceto equestre.
Per l'esazione delle tasse, la gestione delle miniere, la cura delle opere pubbliche i sperimentò un lento e progressivo
passaggio del sistema d'appalto a quello della gestione diretta attraverso l'impiego di personale stipendiato: nasceva così
il nucleo dell'apparato burocratico di Roma. Augusto reclutò i nuovi funzionari tra gli equestri e si andò quindi
strutturando la carriera equestre, parallelamente a quella senatoria; si articolava in 3 successivi livelli di incarichi:
Le milizie equestri: duravano 3 anni e in questo periodo il cavaliere svolgeva la funzione di ufficiale dell'esercito; il
cavaliere doveva assumere in successione gli incarichi di prefetto o tribuno di una coorte ausiliaria, prefetto di un'ala di
cavalleria e tribuno angusticlavo in una legione. Le milizie equestri potevano essere esercitate più volte da uno stesso
individuo e senza limiti di tempo.
I procuratori: avevano incarichi differenti tra Roma e le province Procurator Augusti: a Roma Procurator
provinciae: con funzioni amministrative e militari nelle province imperiali Procurator bibliothecarum: soprintendente
delle biblioteche del principe Procurator a libelli: incaricato delle petizioni rivolte all'imperatore
Procurator ab epistulis: preposto alla corrispondenza imperiale Procurator a rationibus: preposto alle finanze
I prefetti: Di piccole province, come i distretti alpini, in cui avrebbe assolto alle funzioni di
governatore, ma in subordine al governatore di rango senatorio Praefectus classis: comandante di una delle due flotte
Praefectus annonae; preposto all'approvvigionamento granario e a capo dei procuratori
dell'annoca Praefectus Aegipti: governatore dell'Egitto Praefectus praetorio: comandante delle coorti pretoriane
(carica che rappresentava l'apice
Augusto esercitò un'energica azione di tutela della proprietà. Risarcì col proprio patrimonio coloro ai quali erano state
requisite le terre in favore dei veterani. Restituì gli schiavi fuggitivi ai legittimi padroni. Procedette a una nuova
ripartizione di Roma e dell'Italia. La propaganda augustea sottolineava la centralità dell'Urbe nell'Impero, anche per
segnare una netta distinzione rispetto a Marco Antonio, accusato di voler eleggere Alessandria d'Egitto a capitale
dell'impero. Roma fu divisa in 14 distretti, detti regiones, ripartiti in quartieri, vici. Augusto divise inoltre l'Italia in 11
regioni per agevolare il censimento e l'esazione fiscale. _Capitolo_14
1. La pace rappresenta una delle giustificazioni più forti utilizzate da Augusto a sostegno del suo primato nello stato.
Che cosa si intende per parta victoriis pax?
Il tema della pace viene utilizzato da Augusto in ambiti diversi: politica estera, equilibrio sociale, gestione del dissenso
interno e strategie dinastiche. La pace Augustea non corrisponde all'assenza di guerra, anzi è una pace garantita dalla
guerra, che nella prospettiva del principe si riverbera positivamente nella condizioni di vita sia dei romani che dei
popoli annessi all'impero.
Per le popolazioni oggetto di conquista la sottomissione a Roma ridefinisce in termini di ordine e legalità, e quindi di
pace, la situazione interna.
Per l'impero romano è l'assenza di guerre civili, ma la concomitante promozione di una politica espansionistica a
garantire la pace: infatti le campagne di conquista assicurano ai romani la possibilità di introitare ricchezza e di
ripartirla tra i diversi strati sociali.
È questa la parta victoriis pax, cioè la pace garantita da una politica etera aggressiva e fortunata. 1. Le conquiste militari
di età augustea.
35 - 34 a.C: acquisizione dell'Illiria 30 a.C: vittoria su Antonio e Cleopatra - annessione dell'Egitto 27 - 19 a.C:
romanizzazione della Spagna nord-occidentale - sostituzione di Spagna Citeriore e
Uteriore in province di Terraconene, Betica e Lusitania. 25 a.C: annessione delle alpi occidentali 25 a.C: conquita
della Galazia 16 - 15 a.C annessione delle alpi centrali 14 - 9 a.C: annessione della Pannonia 12 - 7 a.C:
sottomissione della regione renana della Germania
1. In età augustea in Oriente e in Occidente Roma applica strumenti egemonici diversi. Se ne illustrino le specificità e
si individuino le aree di attuazione di queste modalità di controllo del territorio.
2. La gestione augustea della questione partica: la scelta per l'accordo diplomatico, la reazione dell'opinione pubblica
e le contromisure adottate dal principe.
Antonio tra 39 e 38 a.C in tre occasioni si era imposto sul campo e aveva celebrato per primo nella storia un trionfo sui
Parti, ma la sua spedizione aveva consentito solo il ripristino dei confini violati, senza alcuna annessione territoriale.
Augusto optò per una soluzione diplomatica avendo il duplice obiettivo della restituzione delle insegne e