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STORIA ROMANA

Dalle origini alla tarda antichità

Mario Pani Elisabetta Todisco


Argomenti più importanti
Italia pre-romana: 753 a.C. fondazione della città di Roma
- chi c’era prima dei romani? Quadro generale popolazioni indigene che vivevano negli stessi
luoghi: Etruschi, il popolo più importante.
-fondazione di Roma tra leggenda e storia: 2 tradizioni, la greca che si collega alla distruzione di
Troia, vicenda ricostruita da Virgilio, casus belli. Il figlio di Enea fonda Alba Longa e qui si innesca la
tradizione latina (uccisione di Remo da parte di Romolo).
- I 7 Re di Roma (i primi 5 sono fasulli).
- Riforma di Servio Tullio
– Quali sono le cariche magistrali
– Nel 509 a.C. nasce la res pubblica (Ordinamenti)
- Domande sulla res pubblica e sull’impero
- Rapporto tra Roma e popolazioni limitrofe (con i latini in particolare)
- Lotte tra i patrizi e i plebei
- Guerre Sannitiche
- Guerra contro Pirro
- Le guerre puniche
- Le guerre Servili (Sicilia, Campania) >> rivolta di Sparta
- Riforma dei fratelli Gracchi
- Guerra contro Giugurta (Mario e Silla)
- Guerra sociale
- Dittatura di Silla (ordinamento repubblicano)
- Triunvirato (Cesare, Crasso e Pompeo)
- Marco Tullio Cicerone (congiura di Catilina) - Catilina – Verre –Antonio
- Guerra tra Cesare e Pompeo
- II guerra civile- Dittatura e morte di Gaio Giulio Cesare
-
- Conquista della Gallia (Virgingetorige)
- Il Triunvirato Pompeo – Antonio – Ottaviano
- Ottaviano Augusto: unico al potere-astutamente
- Princeps Senato
- Imperatori suddivisi per dinastia. Per ogni famiglia ci sono tot imperatori: ricordare il primo.

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PARTE PRIMA - L’età della monarchia

1 LE ORIGINI DELLA CITTÀ

I popoli d’Italia e la “fondazione “ di Roma


Le prime stirpi italiche I primi raggruppamenti etnici consistenti si hanno all’inizio dell’età del
ferro. Erano incentrati in Emilia, a Villanova; fra le sue caratteristiche l’incinerazione, mentre le
concentrazioni appenniniche praticavano l’inumazione, che finì per imporsi.
L’Italia nell’VIII a.C., nella fase di nascita di Roma, era in un momento favorevole per gli
spostamenti etnici, incrementi demografici e migliori condizioni di sussistenza: i pascoli erano
stanziali o di transumanza e non nomadi, le tecniche agrarie, lo sfruttamento minerario dei
territori e la buona posizione nei traffici commerciali con i micenei ed i fenici.
I popoli Fra i popoli più antichi: Liguri, dalla Liguria al Piemonte e Lombardia, successivamente
schiacciati dai popoli celtici e dagli Etruschi. I Veneti, gli Etruschi, su mar Tirreno i Latini,
sull’Adriatico i Piceni, al centro gli Umbri, in Puglia gli Apuli, in Calabria gli Enotri, affini ai Siculi.
Sulla costa campana e lungo la costa ionica e poi tirrenica le colonie greche.
I dialetti Corrispondente era il quadro dialettale che, nell’ambito indoeuropeo, variava tra
venetico, latino-falisco, osco-sabellico, messapico e greco; e nelle lingue non indoeuropeo il ligure
e l’etrusco.
Gli Etruschi
Sull’origine degli Etruschi ( lat. Tusci o Etrusci; etrusco Rasna) vi sono tesi opposte:
- quella di una presenza in Italia da età antichissima (discendenza dai villanoviani e quindi dai
palafitticoli e dai terramaricoli dell’età del Bronzo, ovvero, considerando i villanoviani italici
immigrati, dalle locali genti neo-eneolitiche);
- quella di una tarda migrazione dal Nord;
- quella di una migrazione per mare (Tesi basata su motivi linguistici - iscrizioni dell’isola di Lemno,
presso la Tracia, in una lingua affine all’etrusca, e archeologici (ispirazione orientale della prima
arte etrusca).
Poiché gli influssi orientali si riferiscono a epoca relativamente recente e possono meglio spiegarsi
con rapporti commerciali, le tesi della migrazione dal Nord o dell’autoctonia sembrerebbero
preferibili.
In quest’area avviene la rivoluzione villanoviana, che portò l’abbandono di stanziamenti sparsi, per
favorire l’inurbamento nelle città, derivata dalla cultura delle città della matrice greco-anatolica. Le
città erano autonome ed erano rette da un <<lucumone>> (re) e poi da magistrati eletti
annualmente. Più tardi si costituì la Lega di 12 città, la Dodecapoli Etrusca.
Particolarmente interessante per i Romani era la <<disciplina etrusca>>, regole di formalismo
rituale con le quali si interrogava la divinità aspettandone i precetti, l’interrogazione dei fegati
degli animali che riproducevano Parti del cielo p lo studio del volo degli uccelli, che presiedeva
anche alla fondazione di città o alla spartizione della terra.
Le colonie greche nell’Italia meridionale (Magna Grecia)
La cultura greca espresse in Italia l’idea di una città del tutto importata dalle fondazioni coloniali,
Nell’VIII secolo i coloni greci si sparsero in Italia: in Campania fondarono Pithecusae (770) e Cuma
(740),I coloni Dorici di Corinto e Megara fondarono Naxos, Siracusa, Gela, Selinunte e Agrigento in
Sicilia, mentre le coste ioniche e tirreniche furono appannaggio dei coloni achei e lacedemoni, 721
Sibari, poi Posidonia ( Paestum), Crotone, Locri, Metaponto e la spartana Taranto nel 700. Avevano
il classico ordinamento istituzionale greco di magistratura annuale elettiva, erano formalmente
democratiche, rette da aristocrazie. La Campania risultava laboratorio d’incontro tra Greci ed
Etruschi, molto fruttuoso per entrambi.
Gli italici
Attorno ai Latini vi erano le popolazioni <<italiche>>, chiuse ai traffici marittimi, che non
conoscevano una vocazione cittadina e che rimanevano in un sistema di arretratezza istituzionale,
ma ebbero una poderosa spinta espansionistica. Si ricorreva al rituale del Ver Sacrum, in caso di
carestie, pestilenze o semplici eccedenze demografiche, al posto di sacrificare i bambini, una volta
che questi diventavano adulti, li si costringeva a partire ed a migrare sotto la guida di un animale
sacro, che indicava la via. Si formarono col tempo, in questo modo, diversi popoli, tra cui i Sanniti,
Equi, Lucani e Bruzzi. La loro espansione rappresentava, via via, una minaccia per Roma stessa e
poi per i Campani, Iapigi e per Taranto.
I latini
I latini invece si formarono nella convergenza tra gli italici ed immissioni villanoviane, stanziandosi
nel Latius Vetus fra i monti Ausoni, Lepini, Albani e il Tevere, da Ostia al Circeo). Sui monti Albani si
andavano formando le comunità italiche che si incontravano per celebrare il culto di Giove.
La nascita di Roma
Alla fine del VII a.C. si formarono le prime città, tra cui Alba Longa (a Castelgandolfo), Lavinio,
Ardea, Tusculum, che si appoggiavano alla figura di un re con corpi gentilizi al suo fianco,
antesignani dell’aristocrazia. Fra queste città dunque si formò anche Roma, in una posizione
favorevole, sulla via Salaria (via del sale), verso la foce del Tevere, dove erano le saline, sugli
itinerari che mettevano a contatto le due civiltà limitrofe di Etruschi e greci campani. L’isola
tiberina rendeva utilizzabile il fiume, accanto vi era il Foro Boario, l’antichissimo mercato del
bestiame. I primi raggruppamenti parentali si ritrovavano sui colli circostanti la piana del fiume per
il Septimontium (colli recintati) con sacrifici sui colli. I sepolcreti si trovavano lungo i colli, segno
che non vi era un centro urbano unificante. La gente dei colli andava via via aggregandosi, fino a
diventare una comunità cittadina alla quale si aggiunsero i Sabini del Quirinale.
Quanto alla modalità ed alla cronologia della nascita di Roma, il problema è legato all’idea di
<<fondazione>> ed a quello di <<città>>.
Per parte della critica non vi è una fondazione stabilita per Roma, pensando al suo lento
agglomerarsi fino alla forma cittadina, il che portò la formazione cittadina nel VII secolo, al tempo
della prima pavimentazione del Foro, prima sepolcro ora base per alcuni luoghi pubblici come il
tempio di Vesta, il Comitium e la Curia.
La prima forma di Roma
Alcuni scavi recenti hanno portato alla luce delle testimonianze databili alla metà dell’VIII secolo, i
resti di un muro a valle del Palatino, che fu battezzato muro di Romolo, e di una struttura che si
riconduce alla Regia, i primi focolai del tempio di Vesta e ciottoli del Foro. Interpretando l’evidenza
archeologica dei ritrovamenti, si potrebbe dire che in quei luoghi abbiamo la prima forma di Roma,
nucleo che ha in sé la potenzialità di ampliarsi. Si può dire, invece, che con la riforma censitaria
Serviana possiamo cominciare a parlare di insediamento urbano, prima appare eccessivo. Il
concetto è espresso dalle mura <<serviane>> che circondavano tutti i colli, tranne probabilmente
l’Aventino.
La tradizione dei sette re
Sulla nascita di Roma si intrecciano due tradizioni:
- la greca che si rifaceva alla peregrinazione dei reduci troiani, in questo caso di Enea che arriva nel
Lazio e sposa Lavinia, figlia del re Latino, fondando Lavinio.
- la tradizione indigena, trasmessa per via orale, invece propendeva per quella dei due gemelli
Romolo e Remo. Le due tradizioni avevano però un punto di discrepanza. La tradizione orale
vedeva la città fondata dopo Troia nel 1200 a.C. (Nevio ed Ennio indicavano Romolo nipote di
Enea, abbassando la data troiana).
Il peso della tradizione orale era più rilevante: venne qui in soccorso tutta una lista di re di Alba
Longa, dal figlio di Enea (Ascanio-Iulo) a Numitore, ed al fratello Amulio che abbandono sul Tevere
i gemelli, figli di Marte e Rea-Silvia, figlia di Numitore, discendente di Enea. Muovi studi hanno
portato a datare la prima elaborazione della tradizione indigena all’inizio del periodo regio, ed in
questo studio risalta il fatto che Romolo e Remo sarebbero due nomi etruschi, si può ritenere che
l’età del predominio etrusco a Roma sia stata una forte fase di elaborazione del mito.
Un antico collegamento delle origini orientali di Roma sarebbe la figura di Eracle che combatté
Caco nel Foro Boario ed è accolto da Evandro, re sul Palatino, che gli dedica un culto: l’Ara Maxima
nel Foro Boario.
La loro lingua e scrittura etrusca, documentata sin dal 7° sec. a.C., è fondata su un alfabeto
d’origine greca. Alcune lettere dell’alfabeto greco (per es., β e δ) mancano in quello etrusco, altre
hanno valori fonetici differenti (così il γ, che s’impiegava per la gutturale sorda anziché per quella
sonora).
Il latino è una lingua indoeuropea appartenente al gruppo italico (o protolatino composto da Siculi,
Enotri, Opici ed Ausoni), insediatosi insieme ai Latini tra il III e II millennio a.C. nel centro
meridione d’Italia. L’alfabeto è di derivazione greca (forse da Cuma). Il lessico appare
composito, alle voci ereditarie si affiancano numerose parole di origine mediterranea ed etrusca,
osco-umbra e greca.
La più antica iscrizione, del 7° sec. a.C., era ritenuta la Fibula praenestina, una spilla d’oro di
Preneste (oggi Palestrina), con il breve testo Manios med fhefhaked Numasioi «Manio mi fece per
Numerio», di cui alcuni studi hanno negato però l’autenticità.
In Italia si parlavano le lingue indoeuropee (Greco-Latino-Indiano) perché tutte e tre avevano
un’origine comune. Ed erano: osco-umbra, etrusca, latina, greca, sarda e messapica che era
frammentaria.
La prima fonte arcaica si ha con gli annalisti: Fabio Pittore e Lucio Cincio Alimento in lingua greca.
Roma: si utilizzava la Triatomia solamente nelle grandi famiglie:
- Prenomen (nome)
- Nomen (cognome - gentilizio)
- Cognomen (indica la famiglia all’interno della gens), dopo Augusto non si utilizza più il
prenome.

Seguendo l’annalistica di Varrone, Roma avrebbe avuto solo 7 re (con un coreggente Tito Tazio)
ognuno con un regno di 35 anni, considerando l’inizio della repubblica nel 509, si risalì alla data del
754/753 come data della fondazione.
La cosa comunque è discutibile poiché 4 re morirono di morte violenta, Tullio Ostilio e gli ultimi 3,
vi furono verosimilmente altri re o usurpatori o periodi di limitata anarchia, di cui non vi à traccia.
Età della Monarchia (753 a.C. - 509 a.C.)
1. Romolo (753-716 a.C.) [Romano-Sabini]
2. Numa Pompilio (715-673 a.C.)
3. Tullio Ostilio (672-640 a.C.)
4. Anco Marzio (641-616 a.C.)
5. Tarquinio Prisco (616-579 a.C.) [Etruschi]
6. Servio Tullio (578-539 a.C.)
7. Tarquinio il Superbo (535-509 a.C.)

La tradizione ricorda 7 re di Roma che regnarono per circa 250 anni. Troppo pochi soli 7 re, per
questo si pensava che ci potessero essere stati altri re, non menzionati per importanza o periodi di
anarchia. La monarchia aveva già una religiosità fondamentale basata sugli “iura” ovvero princìpi
aventi diritto di legge. In questo modo la religione entrò a far parte oltre che della società e delle
attività pubbliche, anche della vita privata dei cittadini, come ad esempio nello svolgimento dei riti
familiari.
Essa si divide in 2 fasi: Monarchia latina e Monarchia etrusca:
1° fase Monarchia Latina: era elettiva con la magistratura e l’Interrex (senatore nominato dai
patrizi che governava la città; finchè non venivano eletti: si ebbe una forte influenza costituzionale
da parte degli etruschi sulla città. Secondo la tradizione c’era Demarato esule di Corinto che si
rifugiò a Tarquinia. Suo figlio, nato da una donna di Tarquinia, si trasferì a Roma con tutti i suoi
averi diventando così il re come figlio illegittimo di Anco Marzio.
Secondo la tradizione, l’ultimo re fu ucciso e sostituito da 2 consoli che avevano incarichi annuali.
Avvenne un colpo di stato da parte di 2 parenti di Tarquinio il Superbo che volevano vendicarsi
dello stupro di una loro moglie Lucrezia, la quale si suicidò a sua volta. Questi divennero i primi 2
consoli. L’anno seguente Roma fu vittima dell’attacco del più potente re etrusco Porsenna che,
colpito dalle grandi prodezze dei romani, decise di ritirarsi stipulando un accordo.
Successivamente attaccò i latini che erano indipendenti da Roma in quel momento e dopo una
serie di battaglie venne ucciso nella sua patria dagli stessi.
Potrebbero essere ricordati questi 7 re perché mitizzati e legati ad avvenimenti storici importanti:
- Romolo, poiché Rumon era l’antico nome etrusco del Tevere;
- Tito Tazio, il coreggente, legato alla leggenda del ratto delle sabine, non riconducibile al
“sinecismo” da Latini e Sabini;
- Numa Pompilio, legato al discepolato da Pitagora;
- Tullio Ostilio, poiché vittorioso contro Alba Longa (episodio degli Orazi e Curiazi);
- Anco Marcio, per la costruzione del porto ad Ostia e del ponte stabile sul Tevere;
- Tarquinio Prisco, per la bonifica delle paludi e la costruzione della Cloaca Maxima;
- Servio Tullio, alla conquista del Colle Celio;

Per la presenza dei re, occorre ricordare il cosiddetto Lapis Niger, un cippo iscritto in un complesso
sacro, che si riteneva la tomba di Romolo. Poi, vari episodi come la guerra intestina tra aristocratici
Etruschi per il controllo di Roma, la conquista del re Porsenna di Chiusi di Roma, doveva implicare
una turbolenta successione dei re di Roma. Lo dimostra la successione di re sabini (Anco Marcio),
Latini (Tullo Ostilio) ed Etruschi (i Tarquini).
Lo spazio della città ed il territorio: Il nucleo principale è il Palatino e nel Velia. Il Foro Boario sul
portus Tiberinus rappresentava il punto d’incontro commerciale e culturale, e la prima
fortificazione in muratura era proprio la rocca del Palatino. Tra fine VIII sec,/VII secolo si cominciò
a formare il complesso che comprendeva il Foro, il Palatino ed il Campidoglio, con delle
pavimentazioni del Foro e di una struttura detta Regia, area sacra dei culti domestici e di Vulcano.
Tra il VII ed il Vi secolo fu realizzato il Comitium, il luogo di riunione delle assemblee dei cittadini,
quindi la Curia, il luogo dove presiedeva il Senato, accrescevano le aree di santuari e la bonifica
con la costruzione della Cloaca Maxima.
Le fasi della monumentalizzazione urbana si intrecciano con l’organizzazione di un territorio che
era originariamente concepito come per insediamenti sparsi. Infine si ha l’assetto delle tribù
serviane: quattro urbane che corrispondono alla nuova ripartizione di Roma in quattro regioni. Le
mura serviane delineavano la città così riformata.
Ampolo ha calcolato che la Roma delle quattro regioni era un centro, non del tutto urbanizzato e
con ampie aree boschive, di 285 ettari, e per quanto riguarda la popolazione, le interpretazioni
divergono fra chi accetta 80.000 persone sotto Servio Tullio (sulla base dell’esercito serviano) e
cifre che vanno dai 35.000 ai 50.000 sulla base della produttività del suolo e della sussistenza.
Roma assunse già con Tarquinio Prisco una posizione di predominio sui centri laziali. Ebbe anche
un interesse particolare allo sbocco al mare con la fondamentale fondazione di Ostia, mentre il
controllo dei Colli Albani diede modo di controllare la costa laziale meridionale da Anzio a
Terracina. All’inizio dell’età repubblicana (509/508) Cartagine con il primo trattato con Roma
riconosceva la supremazia di Roma sul Lazio, un riconoscimento molto significativo, a non operare
conquiste o porre fortezze nel Lazio.
2. LA SOCIETÀ PATRIARCALE E LE ISTITUZIONI

Il potere e l’ordinamento.
La tradizione attribuisce a Romolo la fondazione della città e la creazione di antiche strutture:
curie, divisione tra patrizi e plebei, senato, gens, tribù. Le più antiche tribù gentilizie erano 3,
(Ramnes, Tities e Luceres), ciascuna suddivisa in 10 curie. La loro presenza è testimoniata dalla
sopravvivenza dei loro nomi nelle tre unità della prima cavalleria, i celeres, comandate da tre
tribuni. Da Servio Tullio divennero 4 ed erano definite tribù territoriali (4).
La prima struttura potestativa era la famiglia, come è attestato dalla sopravvivenza di un elemento
caratteristico della società romana, la patria potestas. La famiglia, di linea agnatizia /di linea
maschile), si rifà ad un capostipite reale e presenta una parentela per gradi. Sopra la famiglia
troviamo una sorta di famiglia molto allargata, la gens, che non ha struttura potestativa anche se
vi è un capo (princeps) come autorità guida; si tratta di una struttura comunitaria e solidaristica,
che si rifà ad un progenitore mitico e non presenta gradi di parentela.
La nascente comunità aveva bisogno di un’apposita struttura. Questa si trovò nelle curie, riunione
di uomini, assemblee. È probabile che potessero parteciparvi tutti i cittadini.
Si creano ora i luoghi di espressione pubblica del potere, il Comitium e la Curia, si tracciano le mura
della città formata e se ne definisce la cerchia, il pomerium.
Dal punto di vista civico e sociale la rivoluzione discriminante è nella struttura nuova del censo:
un’operazione di carattere comunitario “statale” opera di un’autorità centrale cui i cittadini
devono dar conto e dalla quale sono inquadrati in strutture civiche, non gentilizie.
Nelle tribù e nelle famiglie, i patres familias spesso eleggono un capo come guida soprattutto per
le occasioni di guerra, mentre alla morte del re vi è un interregnum, in cui gli auspicia tornano ai
patres, che nominano a turno un interrex fino alla creatio del nuovo re.
Gruppi sociali individuabili in età regia:
-Gens: famiglie che avevano un antenato in comune (di linea maschile), dove domina la potestà
del pater familias.
-Gentiles: membri delle gentes (famiglie più importanti e più agiate).
-Clientes: dipendenti di gentiles, la formazione subalterna originaria. Dipendenza in origine di
natura economica che si trasforma anche in affidamento, in protezione in cambio di servizi
(lavorazione della terra).
-Plebei: rappresentano la massa al di fuori del sistema gentilizio, venivano anche chiamati “senza
gente” perché non vi è nessun rapporto di dipendenza diretto con i gentili, erano
economicamente indipendenti (artigiani, mercanti, medi proprietari). La plebe fa parte a pino
diritto del populus.
I clientes sopravvivono allo sfaldo del sistema gentilizio arcaico, da qui si può notare come si
sarebbero potute formare clientele attorno ai plebei più agiati.
Riforme Serviane (Monarchia etrusca): si attua la riforma centuriata: scardina il sistema gentilizio,
si formano 2 categorie: chi dispone di risorse economiche per armarsi nell’esercito e chi no, quindi
la plebe aveva un grande peso economico e militare.
Vennero divisi in una serie di classi che esprimono la collocazione della persona
nell’esercito e nell’ordinamento politico:
Comizi Centuriati: assemblee più importanti all’interno delle quali si votava per unità di voto
percenturia.
Comizi Tributi: si votava per singole tribù.
Le classi più ricche erano soggette in battaglia, naturalmente, a maggiori rischi, però nelle
votazioni erano favoriti per il numero delle centurie che potevano esprimere. Coloro che
dividevano il potere con il re erano i collegi sacerdotali.
Il Senato organo dei “senes” aumenta da 100 a 300 membri con l’immissione delle
cosiddette “genti minori”, esso aveva un compito consultorio con il re per quanto riguarda la
politica.
L’economia si basava principalmente sulla pastorizia, tuttavia si necessitò sempre più anche del
ruolo della produzione agricola sia pure inizialmente difficoltosa, con la coltivazione dei primi
cereali (farro e orzo); ciò favorì anche lo sviluppo commerciale e lo smercio delle risorse fuori dalla
città, per la sua posizione favorevole agli incontri e agli smerci (Via Tiberina, Campana, Salaria,
porto di Ostia).
Dal punto di vista civico e sociale la rivoluzione discriminante è nella struttura nuova del censo. Il
censimento deve aggiornarsi a intervalli regolari, forse ogni 5 anni. Le finalità censitarie
comportavano che i cittadini fossero ora ascritti in distretti: si formarono così le 4 tribù urbane. Il
censo ha dunque lo scopo di inquadrare i cittadini nelle due classi che probabilmente formano il
primo ordinamento centuriato: la classis e l’infra classem. La centralità del censo e le suddivisioni
tribali territoriali rompono la struttura di potere formatasi sulle gentes.
Motore dell’ordinamento sia pre-serviano che serviano è la figura del re, che seleziona anche i
componenti del Senato, a cui sono assegnati compiti consultivi. L’imperium del re concentra i
poteri militari, civili e indissolubilmente l’autorità religiosa. Nella sua attività il re è affiancato dal
magister equitum e dal magister militum, in campo militare, e per le questioni giudiziarie, da
questores parricidii. Ma erano i collegi sacerdotali che dividevano il potere con il re: in particolare
per gli auspici, i pontefici per la custodia e l’interpretazione dei mores e dei iura.
La religione entra nell’aspetto politico-sociale e prende spunto dalla disciplina etrusca, ovvero al
culto dei morti, (nella monarchia romana, gli ultimi 3 re erano etruschi).
Roma aveva la triade religiosa: Giove, Marte, Quirino (successivamente subentrarono Giunone e
Minerva).
Roma deve seguire una serie di pratiche e riti affinché gli dei favorissero gli sviluppi
della città (auspicare). Si ha una concezione di spazio e tempo sacramentato, il pomerio
(pomerium) che divideva ciò che era sacro (templa) da ciò che non lo era.
Rapporto fra religione e diritto: all’inizio il re aveva anche il potere religioso (re sacerdote), in
seguito questo viene conferito a una figura chiamata Rex Sacrorum. Il pontefice massimo redigeva
i calendari e aveva giurisdizione in materia di diritto, e la prima struttura potestativa era la
famiglia.
Invenzione Calendario Romano tra il 60-50 a.C. si stabilirono:
- i “dies fasti”: giorni in cui si potevano svolgere attività pubbliche;
- i “dies nefasti”: giorni in cui non si poteva;
- i “comitiales” giorni in cui si potevano riunire le assemblee (attività politica legata al diritto
divino), quindi quelli dedicati alle varie festività religiose.

I riti religiosi sono dati essenziali per risalire ai percorsi storici avvenuti a Roma, essi si dividono in
3 aspetti:
Etnico-identitari fra i Latini, che rinviava ad un gruppo e poi ad una civitas, a una patria (es. il culto
di Iuppiter Latialis che sul monte albano Cavo riuniva i Latini nella Lega Albenis).
Giuridico-contrattuali (legittimazione di tipo religioso). La formulazione dei rapporti degli uomini
con la divinità introduce alla concezione di Pax deorum, attraverso la quale si soddisfano gli dei
con determinate ritualità, quasi magiche, seguendo le prescrizioni richieste o occasionali da loro
forniti agli uomini attraverso gli auspicia e i prodigia. Da questo complesso di ritualità nasce il
concetto di iure in campo giudico-costituzionale, che significa insieme “secondo il prescritto rito” e
“legittimamente”.
Civici (miti storicizzati). A Roma la vita degli dei sembra esaurirsi nella loro funzione civica e prende
corpo una religione senza limiti, quella privata quotidiana. Una religione storicizzata, ad es. nei
miti degli Orazi e Curiazi, di Orazio Coclite, ecc.
In questo quadro è evidente come i sacerdoti a Roma svolgessero una funzione del massimo
rilievo. Non vi era però un sacerdozio di mestiere, infatti esso poteva essere tenuto insieme ad
altre funzioni civiche. I pontefici, selezionati per cooptazione, erano il collegio sacerdotale di
maggior peso. In una rigida gerarchia sacerdotale, al primo posto c’era il Re, al secondo il Flamen
Dialis, l’espressione di Giove, quindi il Flamen Martialis, quello Quirialis, quindi il Pontefice
massimo.
Utilizzavano i nomi dei magistrati e dei consoli più importanti per usarli come nomi degli anni.
Calendari con nomi consolari pervenuti dai tempi di Augusto: fasti consolari e fasti triumphales.
PARTE SECONDA

3. L’EREDITÀ DEI PATRIZI

Età della Repubblica ( 509 a.C. - 27 a.C. )


Dalla nascita della repubblica (509 a.C.) fino alla metà del III secolo la civitas Romana va
costruendosi sia nella sua impalcatura politico-istituzionale sia nella sua configurazione
territoriale.
Esclusione dei “senza gente”- plebei: La caduta della monarchia etrusca porto il ripristino del
controllo delle gentes sulle strutture esistenti, politiche e socio-economiche, che portò
all’esclusione dei plebei che erano all’esterno di questa configurazione.
L’esercito: Roma in questi secoli si trovò ad affrontare moltissimi contrasti con i popoli ad essa
prossimi e spesso in espansione (Etruschi, Sabini, Equi, Sabini e Volsci). L’esercito romano era
organizzato, a partire dalla riforma serviana, su base censitaria, pertanto contava molto
sull’apporto dei plebei, che per parteciparvi volevano il riconoscimento del loro diritto ad essere
partecipi delle strutture di potere, essere inserite nella civitas Romana che esse stesse avevano
contribuito ad edificare.
Forme della civitas: Magistratura, Assemblee popolari e Senato (per poterci entrare bisognava
aver ricoperto almeno un ruolo della magistratura in precedenza).
L’egemonia nel Lazio
La guerra con i vicini: Oltre alla politica interna, nel V a.C. secolo la politica esterna di Roma era
incentrata sulla lotta con le popolazioni vicine: latini, sabini, etruschi, volsci, ernici ed equi. Si tratta
di guerre che si sviluppano in episodi dalla durata contenuta e tra razzie, saccheggi e scontri di
confine.
Porsenna a Roma: le mire degli Etruschi su Roma non cessarono con la fine della monarchia
etrusca (Tarquini). Il re Porsenna avrebbe approfittato del vuoto di potere creatosi nella città alla
cacciata di Tarquinio. La tradizione vede il re fermato nel suo assedio dal coraggio di Orazio Coclite
e Muzio Scevola.
Le città latine affrontarono gli Etruschi e formarono una Lega con Aristodemo di Cuma e
affrontarono Roma prima nella battaglia di Aricia (505 a.C.) sconfiggendo Arrunte, figlio di
Porsenna, e poi nella battaglia di Lago Regillo (496 a.C.) vicino Frascati, vinta dai romani col
supporto divino dei Dioscuri.
In seguito fu stipulato un’alleanza fra i latini e i romani con il cosiddetto “Foedus Cassianum” che
durò dal 493 - 338 a.C.; esso stabiliva la pace duratura tra Roma ed i Latini, il reciproco sostegno in
guerra e la spartizione del bottino e consentiva il commercio in entrambi i territori, ci si poteva
sposare in qualsiasi centro e ci si poteva trasferire da una città all’altra senza perdere la
cittadinanza.
Questa nuova Lega, di cui facevano parte anche i romani, fondò delle colonie in tutta Italia di
cittadinanza latina. Grazie a questa, Roma neutralizzò i Volsci e gli Equi (mitizzate le figure di
Cincinnato e di Coriolano). Da sola, poi, senza l’aiuto della Lega, distrusse la città etrusca di Veio,
dopo tre guerre. La prima dal 483 al 474 a.C. con l’attacco sul Cremera, la seconda dal 437 al 426
a.C. con la riconquista di Fidenae ed il terzo e decisivo conflitto dal 406 al 396 a.C.; si impadronì dei
suoi territori e li distribuì alla sua popolazione istituendo quattro tribù romane, quando al potere vi
era la Gens Fabia.
Poco dopo (390 a.C.) Roma però ricevette l’attacco e il successivo saccheggio ad opera dei Galli
Senoni, attratti dal territorio e incentivate dall’indebolimento etrusco, che lasciarono la città solo
dopo aver ricevuto un tributo dalla stessa (mitica figura salvifica: Manlio Capitolino, liberatore del
Campidoglio). Dopo l’attacco gallico le popolazioni confinanti dei Volsci e degli Equi riprendono a
minacciare i confini, animando desideri di indipendenza. Roma costruisce una nuova cinta muraria
per difendersi, prelevando il materiale dalle cave del territorio di Veio.
Verso il predominio di Roma: Nasce il primo municipio romano, Tusculum (381 a.C.) avente però
propria autonomia amministrativa, propria cittadinanza e propri diritti.
Nel 354 a.C. capitolarono le città latine ostili di Tivoli e Preneste, e Roma sedò ogni velleità di
prevaricazione della città etrusca di Tarquinia. Nel 343-341 Roma si scontrò contro i Sanniti,
mentre dopo la Grande guerra latina 340-338 a.C., vinta da Roma contro i Latini, la Lega
ed il Foedus Cassianum vengono sciolti, e Roma prosegue nella storia unilateralmente.
La lenta costruzione di una civitas
Mentre Roma è impegnata sulla politica estera, al suo interno si sviluppa una dinamica fortemente
conflittuale, ma anche progettuale, tra i patrizi ed i plebei. Un continuo scontro-confronto
attraverso il quale si creeranno le istituzioni romane. Ì con la definizione di un organismo
istituzionale nuovo. Ma anche all’interno del gruppo dei plebei vi erano delle differenzazioni ed
articolazioni dovute alla appartenenza a classi diverse secondo l’ordinamento censitario. Pertanto
la differenza socio-politica tra i plebei rende subito evidente che le esigenze espresse dal gruppo
plebeo erano fortemente differenziate.
Conflitto fra Patrizi e Plebei tra il V e il IV secolo a.C.
Nel 494 a.C. ci fu la prima secessione dei plebei sul monte Sacro, che, di ritorno da una campagna
militare, si rifiutarono di tornare a Roma e si ammutinarono. Qui, mentre esprimevano il loro
rifiuto dell’assetto patrizio, si davano una propria fisionomia istituzionale, sancita da atti unilaterali
(leggi sacratae), si costituirono in una loro assemblea (il concilium plebis) e si diedero propri
magistrati ( i tribuni plebis). Ricorrono a ciò perché venivano esclusi da ogni carica pubblica e non
potevano chiedere auspici agli dei. Grazie a ciò si venne a formare il “Tribunato della Plebe”, che
aveva 2 funzioni: difendere i plebei dall’arbitrio dei magistrati e il diritto di veto, cioè potevano
bloccare le azioni della Repubblica. Il superamento della secessione, secondo la tradizione, con
l’apologo di Menenio Agrippa, rinvia a questi anni l’origine dell’ideologia della concordia,
elaborata nel IV secolo.
Nel processo di edificazione della civitas Romana nel suo complesso, una tappa molto importante
è rappresentata dalla necessità di fornire la civitas di un apparato normativo scritto. Le leggi
dovevano essere scritte per sottrarle all’interpretazione arbitraria di coloro che avevano accesso al
sapere giuridico. Nel 451 su costituita la magistratura straordinaria dei decemviri legibus
scribundis. Il Decemvirato era una commissione che si occupava della redazione scritta delle leggi
( prima X e poi XII tavole, che disciplinavano i rapporti di natura privata, il diritto civile).
Inizialmente era formata da un collegio di 10 uomini solo patrizi, il secondo anno ci fu un nuovo
decemvirato composto da 5 patrizi e 5 plebei, con a capo Appio Claudio, redigendo altre due
tavole, una delle quali sanciva il divieto di matrimonio tra patrizi e plebei, che permetteva in tal
modo di preservare intatto il potere di controllo sulle istituzione da parte dei patrizi. In seguito tale
divieto venne abolito con il plebiscito proposto da Gaio Canuleio nel 445 a.C., che aprì la strada
all’aspettativa plebea di accedere alla magistratura superiore, il consolato per essere poi
selezionati per il Senato.
I plebei, attraverso la forza contrattuale dovuta alla loro importante presenza nell’esercito,
ottennero tre importanti leggi in risposta alle loro istanze politiche e sociali.
- La legislazione sui debiti: pagamenti, in caso di inadempienza, pesantemente punitivo nella
disponibilità del creditore che giungevano fino alla morte o alla vendita pubblica, con computo
anche degli interessi e con la possibilità di rivalersi sulla persona fisica del debitore. Ma con le
Leggi Licinie e Sestie (presentate dai tribuni Gaio Licinio Stolone e Lucio Sestio Camillo),
- Legislazione de modo agrum: possesso massimo di ager publicus (125 ettari);
- Legislazione di accesso dei plebei al consolato: vi sono diverse incertezze sui particolari di
questo provvedimento; ma nel 342 a.C. un plebiscito aveva posto il vincolo che uno dei due
consoli fosse plebeo.
- Legge Olgunia (300 a.C.): aprì ai plebei la partecipazione ai collegi sacerdotali superiori di auguri
e pontefici.
- Legge Ortensia (287 a.c.): equiparava i plebisciti (deliberazioni votate dai plebei) alle leggi,
libere dall’auctoritas patrum.
Si completava il lungo processo di costruzione di una civitas con uguali diritti politici.

4. LA REPUBBLICA DELLA
NOBILITAS

Il processo di costruzione del nuovo ceto dirigente patrizio-plebeo, cominciato nel 367 a.C. con la
legge Licinia Sestia si conclude, quindi, nel 287 con l’equiparazione dei plebisciti plebei alle leggi
patrizie. Le famiglie plebee più forti ed influenti ne approfittano subito e per periodo 366-357 i
plebei raggiungono il consolato ogni anno con sei famiglie diverse. Il processo più democratico
comunque riprese con i due plebisciti del 342: il primo impose che uno dei due consoli fosse
plebeo e l’altro vietò che si ricoprisse la stessa magistratura entro dieci anni. Per questo nuovo
ceto troviamo espresso il termine nobilis: nobiles erano le famiglie che raggiungevano il consolato
Inizialmente a capo della Repubblica c’erano 2 magistrati (consoli) che governavano per 1 solo
anno. Essi avevano una grande forma di potere chiamata “Imperium”. Alcune volte veniva
convocata una magistratura straordinaria che vigeva per 6 mesi chiamata Dittatura.
La Res Publica: designa l'insieme dei possedimenti, dei diritti e degli interessi del popolo e dello
Stato romano.
L’Homo Novus: 1° della famiglia a rivestire una carica pubblica (consolato).
La Nobilitas: classe dirigente romana.
La Contio: assemblea aperta a tutti coloro che erano presenti nella città.
Il Nobilis: persone con antenati che hanno raggiunto cariche del “Cursus Honorum”.
Lo Ius imaginum: il diritto ad avere in vita una stata pubblica.
Cicerone spiega che la nobilitas è cognita virtus, una virtù riconosciuta. Il nuovo ceto dirigente,
plebeo in particolare, non poteva riporre la propria “notorietà” nel sangue, nella stirpe, ma
dunque nella virtus, “il valore”, le qualità personali ( fortitudo, sapientia, innocentia, probitas, tutto
ciò che da gloria, e la gravitas (severità etica) e il magnitudo animi. Chi acquisisce meriti, chi è
degno, raggiunge una certa dignitas, che rappresenta il rango sociale legato essenzialmente alla
carriera politico-militare: il punto d’onore fondamentale per l’uomo politico repubblicano.
I rapporti sociali sono regolati dalla fides che contraddistingue i rapporti di amicizia e quelli di
clientela. La fides regola anche i rapporti con gli alleati e poi quelli con le cosiddette clientele
esterne (aristocrazie esterne, re). Ma essa ha anche rilievo istituzionale sostenendo i rapporti tra
magistrato e populus, del quale è caratteristica la maiestas. Si instaurò un clima ideologico
successivo allo scontro patrizio-plebeo che preso il nome della concordia. In questa fase di
sostanziale consenso attorno al predominio nobiliare, in linea di principio era sempre però il
popolo che aveva in mano le decisioni definitive, mentre la solidarietà ed il consenso sociale erano
considerati componenti fondamentali del potere da parte dell’aristocrazia.
La Decisione di tutto il popolo: legge.
La Decisione della plebe: plebiscito.

La res pubblica e civitas


La Res pubblica è res populi (Scipione Emiliano), dove il concetto di populus deve essere inteso
come “insieme di persone associato sulla base di un diritto condiviso e per l’utilità di tutti”. La
civitas è dunque la costitutio populi. Il populus è la res pubblica in un processo intrecciato tra la
dimensione pubblica ed ufficiale e quella privata e individuale. In questo sistema il populus ha
piena titolarità nella res pubblica ed ogni forma è direttamente o indirettamente riconducibile al
populus.
La civitas in questo contesto agisce con la magistratura, le assemblee popolari (comitia, concilia), il
Senato, e queste tre realtà istituzionali sono indipendenti l’una dall’altra, pur relazionandosi
direttamente o indirettamente ed esercitando fra loro in vicendevole controllo.
Forma politica della Res pubblica: costituzione mista fra democrazia, oligarchia e monarchia
( Polibio).
La centralità del populus vero titolare della res pubblica resta costante nelle istituzioni, poiché la
legittimazione, salvo il rapporto con gli dei, è nel popolo. Sua è la maiestas.
Il funzionamento istituzionale, in tale quadro, si basa principalmente sul principio elettivo, su
quello partecipativo alla politica e alla milizia, sulla classificazione del popolo sul censimento e
sulla suddivisione per tribù distrettuali.

La Magistratura. L’imperium del re, nel sistema repubblicano maturo, viene attribuito ai magistrati
superiori ordinari, consoli e pretori, ma sottoposto a limitazioni.
I magistrati repubblicani sono eletti dal popolo. In quanto tali essi risultano vincolati al popolo
“eticamente”, in virtù della fides. Il suo potere è sottoposto ad un sistema di limitazioni e controllo
(ius intercessionis) interno all’organizzazione stessa della magistratura. Ogni magistrato esercita la
sua carica all’interno di un collegio di suoi pari (di numero variabile a seconda della magistratura) e
resta in carica 1 anno. Invece, attraverso lo ius provocationis i cives potevano limitare il potere dei
magistrati rispetto all’imperium di comminare pene, nell’ambito delle loro funzioni
amministrative, contro i cittadini che non si attenevano alle disposizioni vigenti (coercitio). I
magistrati, in questo complessi istituzionale, hanno la facoltà di convocare il Senato ed Assemblee
e di sottoporre a ciascuno i propri progetti per ottenerne l’approvazione, e dunque diventane
esecutori. L’imperium, ossia il potere di trarre gli auspicia ed il potere militare in tutte le sue
valenze era attribuito ai collegi magistrali superiori, consoli e pretori ed eventualmente dittatori.
Ai pretori era affidata l’amministrazione della giustizia e, al suo ingresso in carica, definiva le linee
alle quali si sarebbe attenuto nell’esercizio delle sue funzioni tramite la pubblicazione di un editto.
La finanza: gli aspetti economico-finanziari della vita della repubblica erano di stretta competenza
de Consoli, che, su mandato del Senato, ne condividevano la responsabilità con gli edili e i
questori. Mentre ai censori attendevano alla attribuzione degli appalti ed alla cura del patrimonio
pubblico. Alla Zecca erano preposi i triunviri monetales.
La cura urbis , dall’approvvigionamento all’edilizia urbana, dall’organizzazione di giochi e spettacoli
pubblici, era compito di edili plebei e curuli.
Il censore svolgeva una funzione di verifica di tutta la società e la sua organizzazione,
controllandone l’assetto tramite la gestione delle operazioni di censimento e la facoltà di
estromissione dai gruppi di appartenenza.
Il tribunato della plebe svolgeva una funzione prettamente politica, svolgendo una intensa attività
legislativa, poiché il tribuno poteva esercitare le sue funzioni solo a Roma ed in tal modo poteva
convocare l’assemblea con maggior frequenza di quanto potessero fare i comizi.
La dittatura veniva evocata in casi eccezionali, su nomina del console. Il dittatore, affiancato da un
magister equitum di sua nomina, era dotato di amplissimi poteri ma rimaneva in carica per un
tempo massimo di 6 mesi. Tale procedura si esaurì alla fine del II secolo a.C.

Le Assemblee popolari: le Assemblee rappresentano concretamente lo spazio istituzionale della


partecipazione dei cives alla vita della res pubblica. Si realizza l’idea della res pubblica quale res
populi ed è nell’assemblea che i cives Romanus col voto esprime la propria potestas. Nrl loro
insieme le assemblee rappresentano il complesso dei cittadini romani censiti e ripartiti secondo i
due criteri che investono il funzionamento istituzionale: quello censitario e quello territoriale.
Assemblea di massa è lal Contio, aperta a tutti coloro che erano presenti nella città.
Comitio curiato: 30 littori rappresentanti ciascuno una delle 30 centurie della tradizione romulea,
ed eleggono i magistrati cum imperio ed i censori.
Comitio centuriato: è organizzato secondo il criterio censitario. È costituito da 5 classi e la sua
formazione militare si riflette su una serie di rituali, simboli e procedure: la permanenza di una
divisione tra equites e pedites nella struutura di un’assemblea; il luogo di riunione nel campo
Marzio; l’adunanza convocata tramite il suono di un corno.
Comitio tributo: esso ha alla base le tribù territoriali, urbane e rustiche ed elegge i magistrati sine
imperio.
Il Concilium plebis: venivano convocati dai magistrati plebei che non potevano convocare il
comitio tributo ed eleggono i tribuni e gli edili della plebe. La presenza a Roma del tribuno della
plebe rende più intensa l’attività legislativa di questa assemblea rispetto alle altre.
All’interno delle assemblee esisteva un limite di iniziativa. I cittadini venivano chiamati all’interno
della propria unità di riferimento a concedere od a negare il loro assenso alla proposta con il solo
sì o no.
Il Senato: l’assemblea senatoria era composta da ex magistrati che rivestivano la dignitas a vita,
era il regista della vita politica a Roma. Sotto Silla arrivarono a 600 senatori quando fu permesso ai
rappresentanti delle magistrature più basse di ricoprire tale carica. La formazione stabile del
Senato (non soggetta a limitazione di tempo) e l’esperienza politico-amministrativa dei suoi
componenti gli conferivano la lungimiranza e la capacità progettuale in politica e l’autorevolezza
nel giudizio e nell’azione che non era riconosciuta all’assemblea. L’auctoritas dei singoli
componenti diveniva l’auctoritas del Senato. Il Senato proprio perché composto da ex magistrati
rimaneva indirettamente espressione del popolo e ciò ideologicamente lo legittimava. I magistrati
che convocavano l’assemblea sottoponevano all’attenzione dei senatori relationes su questioni
specifiche, chiedendone il parere. Dopo gli interventi dei senatori, venivano votate le sententiae:
i senatori presenti prendevano fisicamente posto a fianco al senatore del quale condividevano la
relazione che, votata, diventava senatoconsulto. In tal modo il Senato definiva una linea politica
della quale il magistrato aveva, in teoria, la facoltà di tenere o no conto, nel caso, quindi, di
proporre ai comizi senatus consulta perché divenissero leges.
Il Senato interveniva in ambiti che riguardavano la legislazione e la giustizia, la gestione
fondamentale della res pubblica: l’ambito religioso, economico-finanziario, militare,
amministrativo, della politica estera. Per le decisioni importanti vi era bisogno di una legge, cioè di
ricorrere al giudizio del popolo.
Era questo appunto il senso della costituzione mista di Polibio.

L’esercito: Roma non ricorse mai all’aiuto dei mercenari. L’onere militare fu considerato una
prerogativa dei cittadini, soprattutto si più ricchi, perché dovevano in maggior misura investire
sulla difesa della comunità, da cui derivava un superiore peso politico e potere decisionale. Quindi
fu istituita la leva civica. L’Assemblea centuriata propone l’assetto militare. Dall’età dei Tarquini, la
legione romana acquisì l’assetto falangitico greco con fanteria pesante, leggera (fionda e
giavellotto) e cavalleria. Durante la seconda guerra sannitica fu introdotto l’ordinamento
manipolare. Ogni manipolo era costituito da due centurie, La legione si componeva di 4.980
uomini. I Romani acquisirono nel loro equipaggiamento lo scudo rettangolare (scutum) e il
giavellotto (pilum), che con la spada costituivano il nuovo equipaggiamento della fanteria pesante.
A metà del III secolo si razionalizzò la leva attraverso le tribù.
Riforma di Gaio Mario: organizzazione dei 30 manipoli in 10 coorti e modifica
dell’equipaggiamento legionario. Reclutamento su base volontaria dei capite censis; l’aquila quale
raffigurazione dell’insegna legionaria, comune a tutte le legioni, per rafforzare lo spirito di corpo.
Le 4 legioni che costituivano l’esercito romano repubblicano erano affiancate dalle alae sociorum, i
soldati delle comunità alleate e delle colonie latine che erano tenute a fornire a Roma secondo la
propria demografia. La permanenza sotto le armi, da breve e stagionale, progressivamente si
consolidò in ferme più prolungate a causa dell’incessante avvicendamento di operazioni militari
(durante il conflitto contro Veio fu istituito lo stipendium), che conducevano verso l’esercito
stanziale.
Lex de tribunicia potestate: riconosceva l’inviolabilità del tribuno.
Lex de provocatione: stabiliva che se un cittadino romano venisse minacciato da un magistrato di
pena corporale o capitale, aveva diritto di essere sottoposto al giudizio del popolo nei comizi.
Lex Canuleia: abrogazione del divieto di matrimonio fra patrizi e plebei.
Tribuni militari con potere consolare: magistratura che permetteva ai plebei di essere votati ed
eletti per il senato.

5 L’ESPANSIONE IN ITALIA

Nel V secolo a.C. si sviluppa lo scontro di Roma con i popoli e le città presenti sul territorio della
penisola italica in un conflitto politico-militare che coinvolge prima il Lazio, poi l’Italia appenninica,
l’Italia meridionale con la Magna Grecia ed infine la Gallia Cisalpina.
Gli anni che seguono l’invasione da parte dei Galli Senoni avevano segnato una ripresa delle
ostilità dei consueti nemici immediatamente prossimi a Roma. Tali situazioni di scontro vennero
risolte tra il 360 e il 350 a.C. ed in tale situazioni di relativa pace stipulò (354 a.C.) un trattato con i
Sanniti attraverso un foedus difensivo (una forma di amicizia tra i popoli). Ma nonostante ciò, la
situazione rimaneva instabile. Le popolazioni sannitiche erano giunti al sud spinti dalla pressione
degli Etruschi e dei Galli e si erano stabiliti tra i fiumi Sangro e Ofanto ed erano molto forti sul
piano militare. Il conflitto romano-sannitico si sviluppò per circa 50 anni e , secondo la tradizione,
si articolò in 3 guerre, determinate dalle mire comuni sull’area della Campania.

La 1^ Guerra Sannitica (341 – 339 a.C.) trovò l’avvio nello scontro inter-etnico tra Campani e
Sanniti. Un gruppo sabellico ( i Campani) si era stanziato in Campania avendo vinto lo scontro con
la colonia etrusca di Capua e quella greca di Cuma. La favorevole posizione geografica, la natura
delle terre ed i contatti con etruschi e greci, avevano fatto raggiungere un alto livello di prosperità
del gruppo sabellico, che però attrasse l’interesse dell’altro gruppo Osco dei sabelli, e non lasciava
indifferente le mire di Roma. A Capua, divenuta centro della Lega campana, si rivolsero i Sidicini di
Teano per proteggersi dai Sanniti e, dopo un attacco sannita, a sua volta Capua chiese aiuto A
Roma. Ma Roma era legata formalmente ad un accordo con i Sanniti attraverso il foedus del 354
a.C., la cui violazione faceva derivare una guerra illegittima e quindi sfavorevole. Allora i i Sedicini
si consegnarono completamente a Roma attraverso la deditio in fidem, e quindi essi avevano
diritto di essere tutelati in nome di uno ius che superava quello sancito con il foedus: e Roma
poteva intervenire. Seguirono due battaglie ed una pace finale nel 341 ed i Sedicini erano
nuovamente compresi nel territorio sannita. Ma successivamente il gruppo latino-campano-
italico, scontento dell’accordo Roma-Sanniti, si rivoltarono contro Roma. La guerra si risolse in due
scontri decisivi per Roma: a Trifano (340) ed ai Campi Fenecrani (339).

La 2^ Guerra Sannitica (326-304 a.C.) avviene per l’espansione romana, che si allargava su territori
sempre più vasti e dove rendeva visibile la sua presenza (scontro con i Sanniti per le colonie latine
di Cales nel 334 e di Fregellae nel 328 nella valle del Liri) e l’intervento dei sanniti su una colonia
greca, Neapolis. All’interno della città di Napoli vi erano due distinti schieramenti: uno
aristocratico filoromano ed uno popolare filosannita. A questo punto entra in atto la dinamica
costante della storia delle relazioni politico-diplomatiche romane, che sono la ricerca di intese dei
Romani con i ceti dirigenti delle comunità e l’intervento militare di Roma come risposta alla
richiesta di aiuto. Nel 326 venne stipulato con Napoli un foedus, un accordo molto favorevole per
la città, poiché impegnava Napoli soltanto a rendere disponibile per Roma la sua flotta. Il territorio
di confine tra Lazio, Campania e Sannio è il terreno di battaglia di questa seconda guerra sannitica.
Roma incorre in una disfatta memorabile ed umiliante ricordata come la disfatta delle forche
Caudine, tra Calatia e Caudium, dove i sanniti guidati da Gavio Ponzio attirano i romani in una gola,
in una trappola costringendoli ad arrendersi, risparmiando così le loro vite, e con condizioni di
pace molto sfavorevoli. La tradizione riferisce che il Senato non accettò la pace e che punì i consoli
per averla sottoscritta, consegnandoli ai Sanniti.
In seguito Roma riorganizza l’esercito con le legioni che da 2 aumentano a 4, la struttura falangista
viene abbandonata e sostituita con una struttura più agile formata dai manipoli, tra le armi viene
introdotto il pilum (giavellotto) e lo scutum sannitico più lungo dello scudo romano (clupeus).
Riesce. Le ostilità si riaprono nel 316. La guerra venne portata nel Sannio e nel 314 si aprì un corso
favorevole per Roma con alcune vittorie (Terracina) e ripresa di Capua e degli Aurunci. Costruzione
del primo tratto della via Appia fino a Capua (sotto la censura di Appio Claudio). I Romani
penetrano nel Sannio e nel 305 vincere la guerra con l’assedio e la presa della città sannita di
Bovianum, capitale dei Pentri. Si giunse così nel 304 ad una nuova pace che, però, lasciava sa
situazione irrisolta.
La 3^ Guerra Sannitica (298-290 a.C.). Il proposito romano di accerchiare il Sannio venne
completato con il trattato con i Lucani (contro i quali era schierata Taranto) di data incerta (302-
299 ?). Quando i Sanniti nel 298 attaccarono i Lucani confinanti, Roma corre in soccorso dei Lucani.
Intanto i Sanniti formano una grande coalizione con Umbri, Etruschi e Galli, che Roma riesce a
battere affrontandola d’astuzia perché non permise la congiunzione di tutte le forze avverse, in 2
battaglie separate. La prima nel 295 a Sentinum (odierna Marche) e la seconda ad Aquilonia nel
293 a,c. I sanniti nel 290 chiedono la resa.
Seguono annessioni del vastissimo territorio sabino, grazie a tante piccole vittorie che si
verificarono in seguito al 290 a.C. e istituzione della colonia latina di Sena Gallica 283 a.C. dopo
aver battuto i Galli Senoni. Nel 268 viene fondata la colonia latina di Ariminium (Rimini) in
Adriatico, e nel 264 la colonia latina di Firmum (Fermo).
Decaduti da tempo gli Etruschi, debellati i Sanniti, Roma poteva affermare il suo controllo ormai
stabile sull’Italia centrale e quindi la sua penetrazione irreversibile nell’ager Gallicus. Non restava
che rivolgersi al mondo greco ed all’Italia meridionale, già toccati con le guerre sannitiche.
La Guerra Tarantina. Nel corso del III secolo a.C. il corso degli eventi che coinvolsero le città greche
dell’Italia meridionale e legato al destino di Siracusa. Dopo la morte del re Agatocle di Siracusa,
protettore delle città magnogreche, che sul letto di morte aveva sciolto la monarchia, si innescò un
veloce mutamento degli equilibri politici nelle città greche dell’Italia meridionale come nella stessa
Sicilia: entrava in crisi il controllo di Siracusa sulle città greche in Sicilia e d’Italia meridionale. Come
conseguenza si ebbe una grande intromissione di Cartagine e Roma. Le città greche d’Italiana
restano esposte alla forza aggressiva dei Bruzzi e dei Lucani. I Lucani aggredirono Turi, che chiese
aiuto a Roma. Intorno al 285 Roma intervenne contro i Lucani, ma non in modo sufficiente; mentre
un secondo aiuto a Tursi nel 282 portò alla liberazione della città dai Lucani. Ed alla costituzione di
un presidio romano nella stessa. Seguirono la costituzione di presidi romani anche nelle città di
Locri, Crotone e Ipponio. Il presidio romano assumeva un ingresso politico nell’area e non legato a
dinamiche militati dirette (un’alleanza basata su un rapporto di fides).
Penetrando in questi territori, Roma si poneva però nella sfera di interessi di Taranto, unica città
greca rimasta indipendente. Taranto era grande città dal punto di vista economico e culturale,
aveva un governo democratico, a differenza di Roma che si basava sull’aristocrazia. Nel 302 a.C.
Roma e Taranto regolano i loro rapporti con un trattato nel quale il Capo Lacinio era stato stabilito
come linea di confine degli interessi reciproci. Roma, intervenendo a Turi, infranse tale patto,
poiché inviò una flottiglia di 10 navi oltre il Capo Lacinio. Nel 282 a.C. un contingente di navi
romane, che voleva intervenire su Turi, entrò nel golfo di Taranto e fu affondato, Turi presidiata ed
esiliati i rappresentanti del governo; ciò fu la scintilla che fece scoppiare la guerra, e abolendo il
patto di alleanza di limitazione geografica che vigeva fra le due città.
I tarantini si rivolgono Pirro, re dell’Epiro (Albania), assicurandogli anche aiuti dei popoli italici, che
però furono bloccati dalle truppe romane con rapide e veloci manovre. Il primo scontro avvenne a
Eraclea (Policoro) sulla costa lucana nel 280 a.C. e qui ci fu la prima vittoria di Pirro, aiutato dagli
elefanti e cavalleria tessala. La seconda vittoria avvenne nel 279 ad Ausculum in Puglia. Si propose
un accordo di pace che prevedeva il ritiro delle truppe romane dalla zona tarantina, ma essi
rifiutarono. Sollecitato da Siracusa e da Agrigento, Pirro decise di dirigersi verso la Sicilia per
occupare il vuoto di potere e di instabilità che si era creato dell’isola e per perseguire il suo sogno
di unificare in un suo nuovo regno ellenistico le città greche dell’Italia meridionale e la Sicilia, di cui
si sentiva anche erede avendo sposato Lanassa, figlia del re Agatolche di Siracusa.
Roma, allora, si allea con Cartagine perché avevano una rivalità ormai storica contro gli ellenici,
stipulando un trattato di reciproco aiuto in caso di attacco. Ma in Sicilia Pirro fu abbandonato dalle
città, troppo caratterizzate da un feroce individualismo, e ritornò in Italia. Roma intanto aveva
ripreso il controllo sulle città di Crotone e Locri e con Heraclea aveva stretto un accordo stretto
(foedus). Nel 275 a.C. si combatté la Battaglia di Benevento (Maleventum) che vide i romani e i
cartaginesi vincere e ottenere il successo, dopo di ciò Pirro si ritira in Grecia per motivi politico-
militari e qualche anno dopo muore.
Nel 272 a.C. Taranto entra nell’orbita romana diventando una sua alleata, attraverso un foedus,
che prevedeva che fosse autonoma come tutte le città alleate ma la sua politica estera doveva
essere amministrata da Roma e dovevano fornire supporto militare qualora ce ne fosse dovuto
essere bisogno. Nel 266 a.C. furono condotte due campagne militari favorevole contro i Messapi
ed i Salentini; in tal modo la conquista dell’Italia meridionale da parte di Roma era completata.
I Galli
Roma però non controllava il settentrione d’Italia. Vi era il grande territorio occupato da tribù di
Galli. Nel 236 a.C. la colonia latina di Rimini viene minacciata dai Galli Boi. Fu varata una legge,
avversata dal Senato, che rispondeva alle esigenze militari di sbarrare la strada ai Galli lungo
l’Adriatico. I primi scontri contro i Galli furono favorevoli ai Romani, per cui nel 223 a.C. il console
Gaio Flaminio propose di portare la guerra in Cisalpina contro i Galli Insubri. La guerra fu portata
nella pianura padana e Gaio Flaminio ed il suo collega si spinsero sempre più avanti contro il volere
di Roma; anche se conseguirono una vittoria sul fiume Chiesa, Il Senato, in considerazione della
sua disubbidienza, non concesse a Flaminio il trionfo che, invece, gli fu decretato dall’assemblea
popolare. I consoli dell’anno seguente, Claudio Marcello e Cornelio Scipione, nel 222 a.C. battendo
i Galli a Casteggio, portano a compimento la guerra. Nello stesso anno i due consoli prendono
Mediolanum (Milano), e successivamente furono dedotte le colonie di Placentia e Cremona.
Però la guerra riprese nel 200 a.C. quando i Galli attaccarono le colonie di Placentia e Cremona.
Solo nel 191 a.C. i Galli Boi furono infine sconfitti ed il loro territorio annesso: fu creata la colonia
latina di Bononia, furono rinforzate Placentia e Cremona e dedotte le colonie di Parma e Mutina.
Via Flaminia: da Roma a Rimini (220 a.C.) fatta costruire da Gaio Flaminio
Via Emilia: da Rimini a Piacenza ( 187 a.C.)
Colonia Latina: cittadinanza latina, diritto latino, 3000 famiglie.
Colonia Romana: cittadinanza romana, localizzata sulla costa, formata da 300 famiglie, erano
stabilite per il presidio e l’avvistamento, prima colonia romana Ostia.

Tra il 238 ed il 230 Roma aveva combattuto una prima campagna ligure, ma senza riportare
risultati definitivi. Dopo la presa della Spagna, la Liguria diventava un’importante via di
comunicazione. Dal 197 al 173 Roma fu impegnata contro le tribù liguri dell’Appennino: Apuani,
Ingauni, Statielli, riportando vittorie e recuperando territori.

Infine gli Istri (Istria). Durante le guerre puniche l’Istria era andata perduta. Che era già stata
conquistata da Roma. Per imporre di nuovo il controllo, Roma aveva fondata la colonia di Aquileia
(181 a.C.). Gli Istri irritati da questa fondazione si ribellarono e mossero contro Roma con scorrerie
e scorribande. Nel 178 a.C. l’esercito romano guidato da Manlio Vulsone aprì le ostilità e gli Istri
furono definitivamente sconfitti.

Municipalizzazione, colonizzazione e “confederazione”


Roma aveva necessità di organizzare l’Italia. La prima forma era stata il foedus Cassiarum, un
trattato politico tra Roma ed i popoli italici. Esso venne sciolto nel 338 a.C. e sostituito con la Lega
tra Roma e le singole città, che era però connotata all’interno da anomale istanze individualistiche.
Nel 338 Roma crea la Lega italica, della quale costituirà il fulcro, e procederà a costituire municipi,
colonie e città federate.
Questo processo viene definito “romanizzazione”, quale prodomo della creazione dell’impero di
Roma, che comunque tiene conto della complessità dei fenomeni e della pluralità dei soggetti che
concorrono a tale costruzione, che si sviluppa su tempi lunghi. Le dinamiche politiche, sociali e
culturali che entrano in gioco sono diverse e contrapposte le une alle altre: assimilazione,
omologazione, integrazione, esclusione, inclusione, imposizione, condivisione. Tutte entrano in
gioco nella formazione del nuovo organismo raccolto sotto l’imperium di Roma.
La Roma arcaica aveva fatto ricorso nella gestione della conquista alla formula politica del
sinecismo, successivamente, di fronte ad acquisizioni territorialmente discontinue, Roma escogita
una nuova forma, quella giuridica: essa attribuiva la civitas romana a cittadini di comunità
preesistenti. Incorporava così i vinti nel sistema di diritto del vincitore, ma ne conservava l’identità
territoriale della preesistente comunità, che veniva ora definita municipium. In tal modo la
cittadinanza diventava il nuovo mezzo di sistemazione della conquista. I municipi romani
conservavano ordinamenti autonomi e dunque propri magistrati.
La seconda modalità di organizzazione strutturale della conquista è la colonizzazione. In special
modo durante le guerre Sannitiche. La colonizzazione comportava processi di razionalizzazione e
di catastazione del territorio diviso in lotti. La prima colonia fu Ostia, in età monarchica,
successivamente le colonie dedotte dalla Lega Latina. Le colonie avevano obblighi verso Roma,
specialmente quello di fornire uomini per l’esercito. Esse erano dei veri avamposti di cittadini
romani (intorno a 300), con funzione tattico-strategica. Dal punto di vista amministrativo le colonie
avevano magistrati definiti sullo schema romano e pertanto uguali in tutte le comunità: i duoviri
delle colonie romane avevano il potere giurisdizionale, ma, poiché lontane da Roma, veniva inviato
un praefectus iure dicundo come delegato del pretore urbano, il cui distretto costituiva una
prefettura.
La terza modalità di organizzazione strutturale con cui Roma regolamentò i propri rapporti di
politica estera fu la “confederazione”. Le civitas foederatae dovranno cedere a Roma la loro
autonomia e saranno tenute a fornirle, in proporzione alla loro consistenza demografica,
contingenti di uomini per l’esercito secondo quanto stabilito dalla formula togatorum.
I presidi militari dislocati nelle città d’Italia rappresentavano una ulteriore forma con cui Roma
riempiva lo spazio politico-territoriale su cui progressivamente andava estendendosi il proprio
imperium. Il presidio non è visto come una pesante e violenta interferenza, lesiva della libertà
della comunità alleata, dalla totalità dei cittadini di quella comunità: vi erano i filoromani che si
sentivano garantiti dalla presenza romana e quelli che si sentivano invece oppressi da questa
presenza.
Roma assume un duplice atteggiamento relativamente alla politica interna delle comunità alleate.
Da una parte le comunità conservano proprie forme di diritto, dall’altra parte subiscono le
interferenze di Roma quando gli interessi si incrociavano con quelli romani, anche se nel tempo le
interferenze di Roma diventeranno più frequenti.
In alcuni casi le stesse città alleate richiedevano l’acquisizione di formule romane che adottavano
nei propri ordinamenti, secondo una propria e libera richiesta ( fundum fieri) ( omologazione ).
Roma in riferimento alle espressioni identitarie delle città alleate (esercito, lingua, religione, arte)
non cercò di influenzarle, ma si prestò, al contrario, allo scambio ( es. acquisizione del pilum e
dello scutum durante la seconda guerra sannitica; richiesta di Cuma di acquisire il latino come
lingua ufficiale e nelle vendite all’asta).
Le relazioni di Roma con “gli altri” si mossero, pertanto, in direzioni differenziate e compresero al
proprio interno una serie di dinamiche: Roma le sintetizzò in un modello riconosciuto e
riconoscibile.

6 7. L’ESPANSIONE NEL MEDITERRANEO OCCIDENTALE e FRA ORIENTE E OCCIDENTE

Lo scontro con Cartagine


Le guerre puniche si sono svolte durante quasi due secoli (primo quarto del III secolo a.C. e metà
del II); in questo periodo Roma diventerà una grande potenza internazionale cercando lo scontro
con le potenze limitrofe.
Le guerre Puniche - Guerre Illiriche - Guerre Macedoniche - Guerra Siriaca - Guerra Acaica
Cartagine era una colonia fenicia, fondata nell’814 a.C. nei pressi dell’odierna Tunisi; dominava
buona parte del Mediterraneo e della penisola Iberica. Cartagine aveva una costituzione “mista”,
fra 2 magistrati supremi elettivi, il Senato ed il Consiglio dei Cento, e l’Assemblea popolare.
Rispetto a Roma elemento di debolezza era l’esercito mercenario, mentre a Roma era un esercito
civico. I rapporti con Roma erano risalenti e continuativi nel tempo, regolati da un trattato (509
a.C.). Cartagine era intervenuta, con un’azione diplomatica e militare, nel corso della guerra tra
Roma e Taranto.
Lo scontro tra Roma e Cartagine per il controllo del Mediterraneo non poteva che iniziare dalla
Sicilia, principale campo di scontro tra Cartaginesi e coloni greci di Siracusa.
1° Guerra Punica (264-241 a.C.): l’assetto politico pacificato della Sicilia viene sconvolto dalla
morte nel 289 a.C del re di Siracusa, Agatocle. I mamertini, gruppo di origine osco-campano,
mercenari al servizio di Agatocle, cercano di ottenere il controllo di Siracusa, aiutati anche da
Cartaginesi. Dinanzi al fallimento di tale operazione, i Mamertini si posizionarono allora a Messina,
abbandonandosi a razzie nei territori limitrofi. Allora Siracusa intervenne sotto la guida di Gerone
per questo chiedono aiuto ai cartaginesi in funzione anti-greca. La presenza cartaginese aiutò i
Mamertini ad avere la meglio contro i siracusani, ma i Mamertini mal tolleravano il presidio
cartaginese nella loro città e successivamente chiedono aiuto a Roma per respingere Cartagine che
ormai si era stanziata nella città per impadronirsene.
La richiesta di aiuto dei Mamertini generò a Roma un grande ed acceso dibattito: il ceto dirigente
era diviso se espandersi politicamente al di fuori della penisola italica o contenersi al di qua del
mare; vi era il timore di confrontarsi con Cartagine, di intraprendere una guerra formalmente “non
giusta” ed anche l’incoerenza di sostenere la causa dei mamertini. La dibattuta questione viene
rimandata ai comizi ed il popolo vota la guerra sperando in ricchi bottini, affidando l’operazione al
console Appio Claudio Caudice. All’arrivo dei romani, i Siracusani e i Cartaginesi smobilitarono i
propri presidi, eliminando così le condizioni per un intervento armato di Roma. Ma Appio Claudio
non ne tenne conto e iniziò l’assedio di Messina, aprendo la guerra (264 a.C.).
Nel prima anno di guerra l’alleanza tra Siracusa e Cartagine si contrappose a Roma, segno che
avvertivano il pericolo dell’ingresso romano in quell’area. Siracusa ai primi successi militari di
Roma si ritira dall’alleanza con Cartagine e Gerone stringe alleanza con i romani, promettendo di
aiutarli nelle prossime battaglie soprattutto per l’approvvigionamento dell’esercito. Nel 261
conquistarono Agrigento e nel 260 conseguirono una grande vittoria navale a Milazzo, dove si fece
uso dell’espediente dei ponti mobili che agganciavano la nave nemica tramite un uncino (corvi).
In seguito i romani decidono di conquistare tutta la Sicilia dove vi erano numerosi alleati
cartaginesi (area occidentale Trapani e Lilibeo). Roma potenziò l’impegno militare e si costruisce
una flotta di navi per la prima volta, aumentata a 230 navi, soprattutto grazie all’aiuto di alcune
città alleate ed al finanziamento dei privati tramite un prestito anticipato. Ma la guerra continuava
alternando vittorie e sconfitte. I Romani con la vittoria di Capo Ecnomo portano la guerra in Africa:
ma tale successo iniziale viene vanificato dalle pesanti condizioni di pace imposte a Cartagine da
Attilio Regolo. Nel 255 a.C. i romani furono sconfitti ed Attilio Regolo fatto prigioniero. Intanto una
flotta romana, accorsa in aiuto dei sopravvissuti, viene distrutta da una tempesta a Camarina.
L’unica strategia che si prevedeva risolutiva per i Romani era l’attacco via mare, perché l’area
occidentale della Sicilia era bel fortificata dai cartaginesi. Allora venne approntata una grande
flotta ed affidata a Gaio Lutazio Catulo ed inviata in Sicilia. Nelle acque della Sicilia occidentale
Roma ottenne la vittoria decisiva nelle isole Egadi nel 241 a.C. contro la flotta cartaginese guidata
da Annone. Lutazio Catulo stabili così le condizioni di pace: Cartagine abbandonava la Sicilia e le
isole tra la Sicilia e l’Italia (Egadi e Lipari); restituiva i prigionieri e pagava una indennità di guerra.
Ma da Roma il Senato inviò una commissione di 10 legati ad esaminare la situazione, e
successivamente alcune condizioni vennero inasprite. La Sicilia diventa la prima provincia romana
extraitalica.
Negli anni che seguirono Roma e Cartagine conobbero entrambe una stagione di conquiste che le
portò a fronteggiarsi più o meno direttamente nel Mediterraneo. Le aree in cui si incrociarono
furono la Sardegna e la Spagna.
La conquista della Sardegna: l’antefatto è costituito dalla ribellione dei mercenari dell’esercito
cartaginese che si riunirono per reclamare il pagamento delle paghe arretrate e portò allo scontro
contro i punici in territorio africano a Utica nel 240 a.C. In seguito il conflitto si spostò in Sardegna.
I mercenari chiesero aiuto a Roma, che una prima volta non rispose; nel 238, ad una nuova
richiesta ad intervenire, intimò ai Cartaginesi di abbandonare il territorio della Sardegna e della
Corsica. Si giunse ad un trattato con il quale Cartagine cedette le due isole. Solo nel 227 a.C. i due
territori furono organizzati in provincia.
Interventi in Spagna: la perdita prima della Sicilia e poi della Sardegna e Corsica da parte di
Cartagine diede certamente forza all’ala offensiva e militaristica della famiglia di Amilcare Barca
per una politica estera espansionistica. Lo sguardo si spostò verso la Spagna, una regione ricca di
stagno e rame, e buona riserva di uomini per la milizia mercenaria. Nel 237 a.C. Amilcare Barca
arrivò in Spagna. Successivamente, Asdrubale, genero di Amilcare, che gli era subentrato, nel 226
a.C. definì con Roma un trattato che interveniva per spartire le aree di influenza territoriale
romana e cartaginese. Il fiume Ebro venne stabilito come linea di spartizione, a nord per i romani
ed a sud per i cartaginesi.
Ma questa spartizione dette origine alla seconda guerra punica, il cui punto d’inizio e di rottura del
trattato fu la città di Sagunto, alleata di Roma, che si trovava nell’area di influenza cartaginese.
Anche la città di Marsiglia, vecchia alleata di Roma, si vide sottratte, dalla spartizione romana-
cartaginese, tre colonie greche già sotto il suo controllo.
In questi stessi anni Roma fu impegnata su altri due fronti: il primo è contro i Galli (268-2018 a.C.)
ed il secondo è quello contro gli Illiri (230-229 e 219 a.C.).
Guerre illiriche (229 e 219 a.C.): gli Illiri, sotto la guida di Agrone, nel 240 a.C. si erano costituti in
un regno (ex Jugoslavia) e la loro principale risorsa era la pirateria. Forti dell’aiuto della Macedonia
si erano spinti fino al Peloponneso, da qui la protesta degli Achei ed Etoli.
Prima guerra illirica
L’intervento di Roma fu sollecitato da Issa, colonia siracusana, perché il mare Adriatico non era
sicuro sia per i mercanti e sia per le colonie che Roma aveva fondato (Rimini e Brindisi). Intanto
alcuni mercanti italici durante il proprio smercio vengono uccisi, così Roma manda una nave di una
sua colonia che viene affondata dai pirati. I romani chiedono spiegazioni e mandano ambasciatori,
uno dei quali viene ucciso sulla via del ritorno 230 a.C.). Nell’anno successivo (229) i Romani
sbarcano in Illiria e vinsero le battaglie di Apollonia e Durazzo e nel 228 si arrese la città di Teuta. I
romani formano un Principato per controllare a sul il regno di Teuta, che viene affidato a Demetrio
di Faro che aveva tradito la regina nella battaglia allenandosi con Roma. Questo nuovo ruolo di
liberatrice e di protettorato romano sulle città fu reso manifesto dalla partecipazione di Roma ai
giochi istmici di Corinto.
Seconda guerra illirica
La seconda guerra è combattuta contro Demetrio di Faro, appoggiato dalla Macedonia, che si
ribella a Roma e venne sconfitto a Dimale (presso Durazzo) ed a Faro, e così i romani estesero il
protettorato su Faro e riappacificò le coste. Demetrio si rifugiò presso Filippo V, re di Macedonia.
Terza guerra illirica
Un terzo intervento romano in Illiria avviene dopo cinquant’anni, durante la terza guerra
macedonica. L’azione romana è originata dall’alleanza tra Genzio, re degli Illiri, e Perseo, re i
Macedonia. Genzio sarà facilmente sconfitto nel 168 a.C.
2° Guerra Punica (218-201 a.C.) : il secondo confronto romano-cartaginese scoppia per definire la
questione, rimasta irrisolta, del controllo sul Mediterraneo. Alla morte di Asdrubale nel 221 a.C.,
Annibale, figlio di Amilcare, fu eletto capo delle truppe in Spagna. Nel 219 occupa la città di
Sagunto. Ma Sagunto era alleata con Roma e su sollecitazione di Marsiglia (che temeva per le sue
colonie ed interessi in Spagna) intervenne prima diplomaticamente e, infine, dopo la distruzione di
Sagunto, militarmente. Scoppia così la seconda guerra con Cartagine.
Questo secondo conflitto si allarga ad uno spazio politico, territoriale e di potenza che va oltre
Roma e Cartagine (viene coinvolto anche l’Egitto). Rappresenta anche un singolare momento di
evoluzione di Roma in senso “internazionale” e di connotazione della sua politica come
eminentemente di potenza.
Dopo la dichiarazione di guerra, a Roma due consoli furono incaricati di portarsi con i loro eserciti
in due aree distinte: Tito Sempronio Longo in Africa e Publio Cornelio Scipione in Spagna.
Annibale, invece, sceglie l’Italia, dove porterà direttamente la guerra perché, avendo analizzato
che la natura politica dell’Impero di Roma trovava la sua forza nella politica delle alleanze che
fornivano uomini per l’esercito romano, valutò che l’unica via per sconfiggere Roma era spezzare
questi vincoli per non permettere a Roma una continua riserva di uomini e di risorse. Difronte a
questo pericolo il Console Sempronio Longo, che era giunto a Malta, fu richiamato in Italia.
Annibale si porta in Italia attraversando rapidamente le Alpi e i Pirenei e si affaccia sulla pianura
Padana. I Galli che erano stati appena vinti dai romani si alleano con il generale cartaginese. Nelle
prime 2 battaglie (218-217 a.C.), Annibale vince e domina (fiume Trebbia e Ticino e lago
Trasimeno).
La gravità del pericolo rappresentata da Annibale ed il suo esercito condusse al ripristino a Roma
di una magistratura da tempo non in uso: la dittatura. Come dittatore venne nominato il console
Quinto Fabio Massimo, cauto ed grande esperto politico-militare. Fabio Massimo iniziò a
combattere Annibale con la tattica del logoramento, veniva indebolito attraverso un’azione
continua che lo esaurisse e lo privasse progressivamente delle sue risorse. Ma il popolo era
contrario a questo atteggiamento militare perché lasciava intatto il pericolo dell’avanzata
inarrestabile di Annibale. Così gli affiancarono M. Minucio Rufo, un altro dittatore (suo magister
equitum). Intanto nel 216 a.C. furono eletti due nuovi consoli, L. Emilio Paolo e G.Terenzio
Varrone, che trovarono la morte nella battaglia di Canne. Annibale scende verso l’Adriatico e in
Puglia si combatte la Battaglia di Canne (216 a.C.) persa dai romani. Il mito di invincibilità di
Cartagine determinò gravi defezioni e così molte città vanno dalla parte di Cartagine (Capua,
Siracusa, Taranto, i Sanniti), ma fra queste nessuna colonia latina. In questo contesto la situazione
romana diventa molto difficile e nel 215 a.C. si profilava un nuovo pericolo per Roma: una alleanza
tra Annibale e Filippo V, re di Macedonia, da cui derivò poi il primo conflitto tra Roma e la
Macedonia che si concluse nel 205 a.C.
Il dopo Canne: dopo questi avvenimenti si diffuse nella penisola italica uno stato di terrore dinanzi
all’inarrestabile avanzata di Annibale. La popolazione dell’Urbe è emotivamente sconvolta ed in
preda alla ricerca di sicurezze. Così Roma si popola di auspicia improvvisati indirizzati verso culti
esoterici perché la religio tradizionale veniva avvertita insufficiente. Il Senato stesso ricorse a
misure straordinarie in ambito religioso: sacrifici umani, missione all’oracolo di Delfi di Fabio
Pittore, culto di Cibele, la Grande Madre frigia. In questo periodo uomini, idee e posizioni differenti
si alternavano velocemente nel tentativo di individuare soluzioni alla crisi.
Di salda c’era solo la linea della politica spagnola, gestita dall’inizio alla fine dagli Scipioni. Nel 217
a.C. Publio Cornelio Scipione Senior ottenne di essere in Spagna presso il fratello che, insieme,
riuscirono a bloccare l’invio di aiuti dalla Spagna ad Annibale. L’esercito romano, intanto, reclutava
schiavi per la guerra e come ricompensa concedeva loro la libertà. Questi reclutamenti straordinari
perduravano, tanto che nel 209 a.C. fu chiesto alle colonie un numero di uomini in sovrappiù.
Dal 212 a.C. cominciò un lento recupero delle città italiche: Capua (212), Siracusa (211), Agrigento
(210), Taranto (209).
In Spagna, invece, nel 211 i due Scipioni trovarono la morte in battaglia. Data l’urgenza della
situazione, con legge dell’imperium, fu mandato in Spagna il giovane P. Cornelio Scipione, dotato
di lungimiranza politica e destrezza militare. Egli costruì dietro di sé un forte consenso e
rappresentò una cerniera tra le istanze del Senato e quelle del popolo. Dopo i successi militari
conseguiti a Nova Carthago (2099 e a Baecula (208), e nel 206 a Ilipa, espulse definitivamente i
Cartaginesi dalla Spagna. Mentre Annibale era ancora in Italia, fu eletto Console a Roma.
La guerra in Africa: Le linee di conduzione della guerra contro i Cartaginesi tornarono a divergere.
Q.Fabio Massimo voleva concentrare le forze in Calabria, mentre Scipione spingeva per portare la
guerra in Africa, recuperando il disegno originario della guerra. Non fu trovato un consenso
generalizzato e si decise che uno dei due consoli nell’anno avesse il comando in Sicilia, con il
compito eventuale di muovere verso l’Africa, qualora l’avesse ritenuto necessario. Poiché il
console collega rivestiva la carica di pontefice massimo, e quindi non poteva uscire dall’Italia, a
Scipione toccò la prerogativa di andare in Africa. Ma tale compito venne reso non facile perché gli
assegnarono solo 2 legioni, composte dai reduci di Canne. Allora Scipione procedette ad allestire
un esercito di 7.000 volontari provenienti dagli alleati italici. Inoltre, la sua azione militare in Africa
troverà poi un sostegno fondamentale nell’aiuto di Massimissa , capo della tribù dei Massili,
ribelle contro i Cartaginesi. Siface, re della Numidia, invece si schiererà con Cartagine.
Nel 203 a.C. Annibale torna in Africa, dopo le sconfitte al Metauro (207) e di Magone (203). In
questo stesso anno Scipione vinse ai Campi Magni, sbaragliando i Cartaginesi e Siface, cosicché
Massimina si insedierà sul trono di Numidia. Infine nel 202, a Naraggara presso Zama avvenne lo
scontro finale dal quale Annibale ed i Cartaginesi uscirono pesantemente sconfitti.
La pace con Cartagine: la stipula della pace previde severe sanzioni per Cartagine:
- Cartagine manteneva la sua autonomia tenendosi nel territorio dell’odierna Tunisia fino al golfo
di Gabes e continuava a controllare alcuni centri commerciali;
- Doveva restituire a Massinissa le proprietà degli antenati;
- Le era impedito di guerreggiare fuori dell’Africa ed entro il territorio africano poteva farlo solo
con il consenso di Roma;
- Doveva consegnare quasi tutta la flotta e gli elefanti;
- Rendere i prigionieri e pagare una indennità di 10.000 talenti in 50 rate annuali.

Una prima sistemazione della Spagna: in questi anni andò così affermandosi anche il controllo
romano sulla Spagna, da Marsiglia a Gades (Cadige), però di un controllo relativo alle sole zone
costiere, anche perché le popolazioni spagnole delle aree interne erano distribuite in maniera
discontinua e organizzate senza un centro politico di riferimento, e quindi difficilmente
controllabili. Scipione fonda con i suoi veterano il municipio di Italica, rendendo solida la presenza
romana in Spagna. Nel 197 a.C. il territorio sotto controllo romano fu ripartito in due provinciae
di Spagna Citeriore (a sud dell’Ebro) e Spagna Ulteriore ( nella valle del fiume Baetis). La presenza
militare prolungata in Spagna lascia individuare in quel tempo la prima esperienza di esercito
stanziale di Roma.
>>>Il dibattito politico: La repubblica romana attraverso il periodo delle due guerre puniche vive
un processo di trasformazione. La 1^ guerra punica rappresenta per se stessa un momento di
riorganizzazione dello spazio politico-istituzionale ed amministrativo di Roma antica, proiettata
verso una dimensione mediterranea della propria potenza.
Negli anni 242-241 viene creata una nuova figura magistrale, il praetor qui inter cives et peregrino
ius dicis, ed approvata una riforma “più democratica” dell’assemblea centuriata. All’interno del
ceto politico romano sono presenti tendenze ed orientamenti diversi, di opzioni diverse, riguardo
la politica estera ed alla politica legislativa, che sono riconducibili ad espressioni di orientamenti
familiari, interessi personali, e di una mobilità di un ceto politico, la nobilitas, che risentiva ancora
della eterogeneità della sua costituzione.
In politica estera bisogna ricordare i contrasti a Roma riguardo all’aiuto ai Mamertini, alla strategia
da adottare per combattere Cartagine. Fabio Massimo legato all’economia della terra contro Gaio
Flaminio legato alla piccola proprietà. Gli Scipioni appaiono aperti all’espansione mediterranea ed
ai ceti mercantili, T.Quinzio Flaminio per un interventismo di Roma più mite.
In situazioni di grave pericolo è indicativo il sostanziale equilibrio, forse anche di un compromesso
cercato tra le due tendenze, all’atto delle elezioni consolari in cui si pongono fianco a fianco
personaggi di orientamento differente, segno questo di un non avvenuto superamento della
distinzione tra i due gruppi.
In questo quadro si collocano alcuni indirizzi di politica legislativa di prospettiva “democratica”. In
quest’ottica si pone l’attività del tribuno della plebe e console G. Flaminio che intervenne nella
suddivisione dell’agro dei Piceni e dei Galli Senoni tra i cittadini romani, individualmente, la lex
Flaminia de agro Piceno et Gallico viritim dividendo, disapprovata dal Senato ma approvata dal
popolo. Ancora, la negazione del Senato al trionfo dello stesso Flaminio per la guerra agli Insubri,
per la disubbidienza da lui mostrata, e sarà poi il consilium plebis a concederglielo.
Significative dell’ambivalenza che dominava la politica romana in questi anni sono due leggi:
1- La Lex Maenia, stabiliva che l‘auctoritas patrum dovesse precedere le elezioni comiziali e non
più seguirle, segno di un rafforzamento dell’autonomia dei comizi, (datazione incerta)
2- 218 a.C. (legge non meglio nota) limitava la libertà dei censori nell’escludere dal Senato “gli
indegni”, andando in direzione di un rafforzamento dell’auctoritas del Senato.

Mentre era in guerra contro Annibale, Roma affronta la 1^ guerra di Macedonia (215-205 a.C.),
anche come conseguenza dell’affacciarsi sulla coste della Dalmazia. Re Filippo V di Macedonia,
dopo la sconfitta di Roma al lago Trasimeno, si allea con Annibale col fine di recuperare il controllo
sulle coste illiriche che Toma aveva acquisito durante le due prime guerre puniche. Scoperta
l’alleanza tra Filippo V e Annibale, Roma organizzò una spedizione sul fronte illirico e conseguì una
vittoria ad Apollonia.
Quando Filippo V intervenne in Grecia, i romani si alleano con la Lega Etolica, con un trattato di
alleanza nel 211 a.C., che rappresentava il principale nemico di Filippo V e dopo alcuni scontri nel
205 a.C. stipularono un accordo di pace a Fenice, che prevedeva che si rimanesse nelle condizioni
iniziali che precedettero l’inizio della guerra, cioè Filippo V perse le sue conquiste illiriche.
Questa guerra, che significava poco per le conquiste, si rileverà decisiva per Roma perché erano
definiti i primi rapporti di alleanza con le realtà del Mediterraneo orientale.
2^ Guerra Macedonia (200-197 a.C.): negli anni finali della guerra annibalica, Filippo V si espande
notevolmente su territori greci. A seguito della morte del sovrano egizio Tolomeo Filoparte nel 204
a.C., Filippo V di Macedonia e Antioco III, re della Siria, intravedono la possibilità di ridefinire
l’equilibrio di potere all’interno del quadro orientale, concordando la ripartizione delle sfere di
influenza sui possedimenti dell’Egitto in Asia e Europa. Mentre Antioco III attaccava a sud della
Siria, Filippo V si portò verso le città del Bosforo nella zona degli stretti, per consentire il transito
tra i Balcani e l’Asia minore. Attaccò alcune città alleate degli Etoli. Questi chiesero aiuto a Roma,
che non dette seguito a tale richiesta. Intanto l’avanzata di Filippo V continuava e raggiunse anche
Rodi e Pergamo. Queste città chiesero aiuto a Roma, ma i Romani ancora non intervengono, però
fu mandata un’ambasceria in Grecia.
Gli Acarnani, sollecitati da Filippo V, nel 200 a.C. portano la guerra ad Atene, che fidando sull’aiuto
di Roma tramite Rodi e Pergamo, dichiara guerra a Filippo V, che intanto si espandeva in Tracia e
nella zona degli stretti e inviava presidi a devastare l’Attica. Roma, sentendosi garante di Atene,
pone un ultimatum a Filippo V con l’ingiunzione di desistere dall’attaccare i possessi greci ed egizi
in Tracia. Filippo rifiutò. Era la guerra. I dispiegamenti militari delle due coalizioni erano
fortemente diseguali, con Roma nettamente superiore. Nel 199 a.C. Sulpicio Galba sbarca ad
Apollonia con 2 legioni di veterani. Con Roma stavano Atene, Rodi, Pergamo e popolazioni barbare
del nord (la Lega etolica rimase fuori); con Filippo V riceveva aiuti volontari dalla Beozia,
dall’Acarnaia e dall’Epiro (la Lega Achea restava neutrale). La coalizione romana vince una prima,
minore, battaglia a Ottolobo in Macedonia (199 a.C.). L’anno successivo arrivano vittorie (nella
Tessaglia e nella Grecia centrale) dei romani del console T. Quinzio Flaminio, abile diplomatico e
militare, e di posizioni fortemente filoellenistiche. Intanto sia l’alleanza degli Etoli e la Lega Achea,
dopo questi successi, si schierarono con Roma. Allo Filippo V, in crescente difficoltà, chiese di
trattare, ma le sue richieste furono moltissime e Flaminio portò le stesse al Senato di Roma, che
non le accettò. La guerra riprese. Il console Flaminio, in scadenza di mandato, ebbe una prorogatio
del suo imperium, ma i suoi sostenitori a Roma fecero naufragare i negoziati di pace. Filippo in
Grecia fu isolato, gli rimase come alleati solo gli Acarnani e così sub’ una risolutiva sconfitta da
parte di Flaminio nel 197 a.C. a Cinoscefale, nella Tessaglia centrale.
Le trattative di pace, a Tempe, furono complesse e risentirono della visione politica di Flaminio che
si basavano su un equilibrio concentrato sulla città non volta a cancellare le realtà geopolitiche con
cui Roma si scontrava, quanto a ridimensionarle nella loro politica di potenza ed a condurle sotto
l’imperium di Roma esercitato indirettamente. Venne stabilito che:
- le città greche d’Europa e Asia minore sarebbero state libere;
- la Macedonia di Filippo V doveva pagare un’indennità risarcitoria di 1.000 talenti (circa 24
milioni di dollari);
- Restrizioni in politica estera della Macedonia
- Rilascio dei territori della Caria e dell’area degli stretti.
-
Flaminio nel 196 a,C., durante i giochi istmici di Corinto, proclamò l’indipendenza delle città greche
d’Europa ed Asia. E nel 194 a.C. ottenne la smobilitazione dei presidia romani dovunque essi
fossero nell’area greca, in sintonia con il proprio disegno politico e militare.

Guerra Siriaca (191-188 a.C.): Antioco III di Siria si era esteso verso le coste dell’Asia minore non
solo per la conquista dei possedimenti egizi, ma si spostò anche sull’Ellesponto prendendo di mira
le città greche della costa asiatica. Lampsaco e Smirne chiesero aiuto a Roma, in nome della
comune stirpe troiana e tramite Marsiglia. I romani decidono di bloccare subito questa
espansione. Per tutto l’anno 193 a.C. si susseguirono missioni diplomatiche e colpi di mano tra
Roma e la Siria, ma la guerra sopraggiungeva. Nel 192 a.C. Antioco III giunse a Demetriade e cercò
di guadagnare i Greci alla sua casa. La Lega Achea, sollecitata da Flaminio, dichiarò guerra ad
Antioco. Per Roma mancava il pretesto per dichiarare guerra e questo gli venne offerto dal
massacro a Delio di una guarnigione di truppe romane da parte dell’esercito siriano. Scoppiò così
la guerra. Nel 191 a.C. i romani sbarcarono ad Apollonia, dall’alleato Filippo V, e sotto il comando
di Acilio Glabrione ottennero una grande vittoria alle Termopoli, che fece ritirare Antioco dalla
Grecia (191 a.C.).
Ma la guerra si spostò in Asia. Intanto a Rona sono eletti consoli Lucio Scipione e Gaio Lelio. A L.
Scipione venne affiancato il fratello Publio Scipione Africano, che non poteva essere rieletto in
quanto console 4 anni prima. Indirettamente si rivedranno i due eroi della seconda guerra punica
perché Annibale il cartaginese dal 191 a.c. si trovava presso Antioco e partecipava attivamente alla
guerra ed alla sua pianificazione. I Romani giunsero nella Troade, fortemente evocativa delle
origini romane che a Ilio non mancarono di festeggiare. Dalla parte di Roma si schierò Pergamo e
poi Rodi. Con 2 vittorie navali (190-191), Roma ed i suoi alleati ebbero il controllo dei mari. Infine
L. Scipione nel 189 a.C. riuscì a sconfiggere definitivamente Antioco nella piana di Magnesia sul
Sipilo. La pace fu firmata ad Apamea nel 188 a.C. e venne stabilito che:
- Antioco doveva ritirarsi dall’Asia minore occidentale;
- I suoi possedimenti furono divisi tra Rodi e Pergamo, con confine il massiccio del Tauro,
- Antioco doveva pagare una gravosa ammenda di 15.000 talenti;
- La flotta siriana venne affondata (eccetto 10 navi);
- Antioco dovette consegnare a Roma alcuni personaggi, nemici di Roma che si trovavano in
Siria (tra i quali Annibale che fuggì e si suicidò).

Scipioni e Anti-scipionici: la battaglia di Magnesia decretò il successo politico-militare di Lucio


Scipione e nel contempo l’inizio di un violento conflitto politico tra gli Scipioni e gli anti-scipionici,
in particolare Catone. La condotta di Scipione non aveva sollevato unanime consenso nel ceto
dirigente romano. Fu soprattutto l’atteggiamento tenuto da Scipione Africano nella spedizione
asiatica che contrastò con la linea tradizionale romana. Scipione trattava i sovrani ellenistici alla
pari, non invocando l’intervento del Senato. Questa condotta di Scipione, unita al suo potente
carisma, al forte ascendente sui soldati, alla sua religiosità non sempre allineata, lo rendeva inviso
alla aristocrazia tradizionalista, vecchia e nuova; mentre lo aveva avvicinato al popolo che gli
attribuiva una origine divina. Questo conflitto politico si tradusse in attacchi giudiziari contro
entrambi i fratelli, prima Lucio e poi Publio, sospettato di aver tramato con Antioco III. Publio,
proprio il giorno dell’anniversario della battaglia di Zama si presento davanti ai comizi e invitò il
popolo a seguirlo in Campidoglio: una lunga processione gli fece seguito. Era, però, la fine della sua
era; si ritirò in privato a Villa Literno in esilio, senza attendere il processo.

3^ Guerra Macedonia (171-168 a.C.): mentre in Grecia la Lega achea era impegnata nei suoi
conflitti per il controllo di Sparta e Messene, la Macedonia recuperava risorse. Filippo V destava
preoccupazione nei popoli prossimi dei Tessali e di Pergamo, e le conseguenze della guerra siriaca
non avevano esaudite le sue mire sulla Tracia. Roma dovette intervenire imponendo a Filippo di
rispettare i patti, il quale, in segno di fedeltà, manda il figlio Demetrio a Roma. Al suo ritorno in
Macedonia suo fratello minore Perseo insinua sospetti di tradimento da parte del fratello. Questi
venne fatto uccidere. Nel 179 a.C. alla morte di Filippo V, Perseo salì al trono. Egli, anche
rispettando i patti con Roma, proseguì nell’0era di rinascita macedone.
La sua ascesa politica avvenne in 2 direzioni:
1- Si inserì nella politica interna alle singole città, schierandosi dalla parte delle frange popolari in
contrasto con l’aristocrazia filoromana;
2- Stabilì ottimi rapporti con gli altri regni orientali: sposò la figlia di Antioco IV di Siria e diede in
moglie sua sorella a Prusia, re di Bitinia.

Intanto aumentavano i sentimenti antimacedoni fra gli alleati di Roma, i Pergameni fra tutti. Roma
ruppe il trattato pregresso del 178 a.C. ed inviò in Grecia ambasciatori per rendere note le colpe di
Perseo. Intanto per riorganizzarsi, i romani mantennero una tregua con il Macedone. Nel 171 a.C.
la guerra ebbe inizio, con il pretesto, debole, degli attacchi agli alleati. Le prime fasi della guerra
furono favorevoli a Perseo, che aveva ottenuto l’aiuto di Genzio, re degli Illiri. Ma nel 168 a.C. ci fu
la svolta: vinto Genzio, si arrivò alla vittoria finale a Pidna riportata dal console L. Emilio Paolo.
Le risoluzioni di pace restarono nel solco del dominio indiretto di Roma. Si decise che:
- La Macedonia fosse divisa in 4 repubbliche autonome, alle quali fu proibito di fruire dell’oro e
dell’argento delle miniere e di costruire navi;
- I cittadini delle 4 repubbliche non potevano sposarsi tra loro e né possedere proprietà in più di
uno Stato:
- Furono puniti gli alleati di Perseo: l’Illiria venne divisa in tre distretti, l’Epiro abbandonato al
saccheggio delle legioni; 500 Etoli furono uccisi, 150.000 Epiroti venduti come schiavi e 1.000
Achei 8tra i quali Polibio) deportati.
- Rodi, che non si era schierata nettamente, fu privata della Caria e della Lidia, ed indebolita
commercialmente con la fondazione di un porto franco sull’isola di Delo.
I proventi della guerra, aggiunti a quelli della guerra siriaca, erano così ingenti che dal 167 a.C. fu
abolito per i cives Romani il tributum straordinario, cui si ricorreva spesso come tributo di guerra.

4° Guerra Macedonia (149-148 a.C.): Andrisco, un ribelle che si spacciava per figlio di Perseo,
suscitò una rivoltati vendicativa anti-romana a cui parteciparono tutte le fazioni, proclamandosi
legittimo re. La minaccia fu subito annientata e i macedoni furono nuovamente sconfitti nel 148
a.C. a Pidna dal console Cecilio Metello. Questa parte della Macedonia venne organizzata in
provincia Romana, in modo da poterla controllare direttamente. Si inaugurava così la nuova fase
della politica di Roma in Oriente.
Guerra Acaica 146 (A.C.): C’erano forti contrasti fra la Lega Achea e le città indipendenti del
Peloponneso, e tra la Lega e Roma. La Lega intervenne contro Sparta e altre città che chiesero
immediato soccorso ai romani, i quali chiesero alla Lega di liberare le città assediate senza
successo. Nel 146 a.C. la Lega dichiarò guerra a Sparta e successivamente Cecilio Metello e il
console Mummio scesero nel Peloponneso e batterono la Lega; quest’ultimo si rese responsabile
della distruzione di Corinto. Vennero istituiti regimi oligarchici nelle città greche e lo scioglimento
di tutte le leghe; la Grecia annessa sotto il governatore della Macedonia, nonché pretore romano.
3^ Guerra Punica (149-146 a.C.): il terzo ed ultimo conflitto tra Roma e Cartagine trovano origine
in alcune clausole della pace del 202 a.C., in particolare il riconoscimento a Massinissa di
possedimenti suoi o dei suoi antenati e la proibizione di una politica estera di Cartagine senza
l’avvallo di Roma. Dopo la battaglia di Naraggara (Zama), Cartagine riuscì a risollevarsi ed a
recuperare una certa floridezza economica, tanto che gli permise di saldare in un’unica soluzione il
debito di guerra con Roma nel 191 a.C.- Alle accuse romane di tradimento contro Annibale, la città
di Cartagine ne prese le distanze ed Annibale fuggì presso Antioco in Siria.
Ma sono le concessioni a Massinissa che determineranno la terza guerra punica. La clausola di
pace del 202 a.C. aveva lasciato al re della Numidia la possibilità di abbandonarsi ad atti di
prepotenza nei confronti dei cartaginesi, a cui aveva sottratto aree sempre più ampie di territorio,
sicuro sull’alleanza di Roma e sull’impotenza di Cartagine impedita a reagire senza il consenso di
Roma. Nel 151 a.C. il ceto dirigente di Cartagine, dopo aver chiesto varie volte a Roma ragione
contro le scorrerie dei numidi, inviò un esercito contro Massinissa. La pace venne tradita e si
prospettava un terzo conflitto tra Cartagine e Roma.
In Senato la discussione fu molto accesa, ed alla fine prevalse la decisione di distruggere
Cartagine. I romani chiedono ai cartaginesi di spostarsi dalla città e sistemarsi a dieci miglia dalla
costa, per poterla occupare. I cartaginesi orgogliosamente non accettano e decidono di difendersi.
Roma la assedia e la distrusse nel 146 a.C. ad opera di Publio Cornelio Scipione Emiliano, e il suolo
fu maledetto, in modo tale da non poterci costruire una nuova città. Anche qui ci sarà la svolta
politica della trasformazione della regione in provincia romana (Africa).

Regno di Pergamo -Le guerre servili – La guerriglia iberica – Ancora resistenze galliche
>>>>> Regno di Pergamo: il regno di Pergamo che è stato sempre a fianco dei Romani, fu lasciato,
con esclusione della città e del suo territorio, da Attalo III, che era senza figli, alla sua morte in
eredità ai Romani (133 a.C.). Un caso singolare di accrescimento dell’imperium di Roma.
Aristonico, forse fratello naturale di Attalo si ribellò a questa annessione. Da lui accorse Blossio di
Cuma, ma invano. La rivolta fu sedata nel 129 a.C. e la provincia Asia fu costituita nel 126 a.C.

>>>>> Le guerre servili: le teorie egalitarie orientali circolavano diffusamente tra gli schiavi. A
sollevarsi furono soprattutto gli schiavi condannati ad esistenze disumane, in particolare quelli
impiegati nei latifondi e nella pastorizia e nelle miniere. La rivolta servile scoppia in Sicilia e si
sarebbe sviluppata in 2 fasi:
- Prima fase: la prima rivolta scoppiò nel 136 (?) a.C. – Alla sua testa si pose lo schiavo siro, Euno,
proclamato re con il nome di Antioco. All’inizio riuscì a conquistare la città di Tauromenium
(Taormina), Henna e Catana. Ci volle tempo e 4 pretori per domare la sollevazione poiché tra gli
schiavi molti erano prigionieri di guerra e sapevano usare le armi. Dopo aver faticosamente
recuperate le £ città, nel 132 a.C. ristabilì il controllo sull’isola.
- Seconda fase: la seconda rivolta servile esplose nel 104 a.C. Si trattò di una reazione ad un
provvedimento negato. Il governatore della Sicilia, in presenza di un decreto che stabiliva la
liberazione di schiavi nati liberi in città alleate (rapiti dai pirati e fatti schiavi) non diede corso
alle procedure previste, dopo averle iniziate. La protesta degli schiavi si catalizzò intorno allo
schiavo Salvio e, morto questo, ad Atenione. Roma pose fine alla ribellione solo nell’anno 101.
>>>>>> La guerriglia iberica: la sistemazione data da Roma alla Spagna alla conclusione della
guerra annibalica si rivelò subito inadeguata, poiché essa riguardava solo le zone costiere e non
l’interno. Le tribù dell’interno per un secolo tennero impegnato l’esercito romano.
Le popolazioni ribelli che avevano una maggiore rilevanza erano i Celtiberi e i Lusitani.
Con la 1^ guerra celtiberica Roma rispose in due modi: la forza militare messa in campo da Catone
(194) e la capacità diplomatica di Sempronio Gracco (179 a.C.) che riuscì ad ottenere un
vantaggioso accordo di pace con i Certiberi.
Con la guerriglia lusitana trovò il proprio riferimento in Viriato (147), che era scampato ad un
atroce massacro nel 151 ad opera di Sulpicio Galba. Viriato era un abile condottiero, ma fu vittima
di un tradimento ordito dai Romani (139).
2^ guerra Celtiberica: La nuova ribellione dei Celtiberi fu sedata nel 151 per merito di Massimo
Claudio Marcello, console per la terza volta. Il generale romano replicò la fortunata linea di
condotta tesa alla ricerca della pace con il ricorso a lunghe trattative diplomatiche. Ma a Roma
questa linea di azione non fu unanimemente apprezzata. Claudio Marcello venne sostituito da
Lucullo che, giunto in Spagna, fece strage di una tribù innocua, i Vaccei. Gli atteggiamenti di guerra
violenti furono una costante nella gestione della guerriglia spagnola da parte dei generali romani,
molto differenti rispetto ai comportamenti dei comandi in Oriente.
La 3^ guerra celtibera o guerra numantina ebbe inizio nel 143 a.C. dopo un periodo di tregua.
Scipione Emiliano chiuse lo scontro nel 135, con 500 soldati volontari, assediò ed isolò la città di
Numanzia. Dopo 8 mesi di assedio, i Numantini si arresero spossati dalla fame. Numanzia venne
rasa al suolo.
Nel 123 a.C. furono conquistate le isole Baleari e furono fondate nell’isola di Maiorca le colonie
romane di Pollenza e Palma.

>>>>>>>>> Ancora resistenze galliche: In questo stesso periodo del II secolo, Roma viene chiamata
in aiuto da Marsiglia contro Liguri e Galli. Fu questa l’occasione per stabilizzare la sua presenza
nella Gallia meridionale, essenziale al suo commercio occidentale. Nel 125 e 122 ci furono scontri
vittoriosi contro gli Allobrogi e Arverni e fu fondata nel 122 a.C. Aquae Sextiae ( Aix en Provence) e
nel 118 la colonia latina di Narbo Martius (Narbona), nucleo della futura provincia di Gallia
Narbonese.

>>>>>>L’organizzazione provinciale: con la vittoria nella 1^ guerra punica, Roma si avvertì la


necessità di una gestione nuova dello spazio politico e territoriale conquistato rispetto alla terra
Italia. Non avendo elaborato un modello sistematico e generalizzato di governo per organizzare le
conquiste, si ricorse a soluzioni già presenti nella propria esperienza amministrativa. Nel 127
vennero inviati in Sicilia due pretori, i quali dovevano far fronte alla militarizzazione dell’area
conquistata, persistente la minaccia cartaginese, ed alla amministrazione della giustizia per i
cittadini romani presenti e l’esazione dei tributi. Si trattava pertanto di individuare figure di
magistrati che possedessero competenze militari e giurisdizionali, e la scelta cadde sul pretore.
L’incarico attribuito al magistrato era denominato provinciae, un termine generico per indicare la
competenza affidata. Solo successivamente, ma molto tempo dopo, questo sostantivo indicherà il
territorio su cui si esprimeva la competenza del governatore.
La provincia nelle premesse teoriche era una forma di espressione dell’imperium, ma non l’unica. I
romani con le conquiste della Sicilia, Corsica, Sardegna e Hispania erano indirizzati a creare un
sistema; ma l’estensione dell’imperium ad Oriente aveva fatto evidenziare ed emergere i motivi
ideologici della libertà, del riscatto delle città greche di Europa, dell’Egeo e d’Asia dagli oppressori
di turno e la propaganda si era concretizzata in scelte politiche-amministrative come la
proclamazione di Flaminio nel 196 a.C. e la smobilitazione dei presidi romani.
Così l’imperium si presentava in diversi modi: trattati, protettorati, arbitrati, decisioni sulla forma
istituzionale dei popoli conquistati. Si trattava di formule che conservavano la libertà dei popoli
sconfitti e che non impegnavano Roma in un controllo diretto, sia in termini militari che
amministrativi.
Solo dal 146 a.C. si preferì in maniera generalizzata organizzare la conquista nella forma provinciae
ed in questo periodo furono create le provinciae di Macedonia et Achaia e Africa. In sostituzione
del magistrato-pretore, che mutava annualmente, lo spazio territoriale conquistato venne
occupato da promagistrati, con imperium prorogato, a cui si affidava la provincia. Questo processo
è u contrassegnato anche dalla Lex Sempronia del provinciis consularibus del 123-122 a.C.
Le provinciae vengono assegnate dal Senato che le indica co il nome del territorio e le attribuisce
ai promagistrati per sorteggio, che in seguito definiscono la sua organizzazione tramite acta
soggetto a ratifica del Senato. All’interno delle provinciae potevano sussistere anche realtà
autonome, come le civitates foederate o civitate liberae et immunes.
La figura del governatore provinciale risulta, nei fatti, sottratta ad ogni forma di controllo e
limitazione. Solo l’accusa di privati poteva bloccarlo e renderlo punibile ( Lex Calpurnia), ma gli
accusatori dovevano essere esponenti di spicco della provinciae ed il procedimento dell’azione
giudiziaria era tortuoso e lungo. Comunque era obbligo del governatore provinciale rendere conto
al Senato delle proprie attività e dello stato del proprio territorio, soprattutto on ambito militare.
L’incarico durava un anno e poi modificato in due anni. Con leggi specifiche ad personam si poteva
prorogare a 5 anni ( Lex Antonia de provinciiis del 44 a.C.).
>>>>>>Il problema politico sull’imperialismo di Roma: il concetto cardine su cui ruota il potere a
Roma è l’imperium, che è un concetto giuridico. La politica estera che Roma conduce dall’inizio
della sua esistenza si configura come progressivo allargamento del numero delle città, nazioni e
popoli, che ricadono sotto il suo imperium.
Gli antichi storici, e tra questi Polibio colloca Roma ed il suo impero nella prospettiva di una storia
universale e ne rintraccia la causa nella sua forma costituzionale mista. Posidonio, da stoico,
assumeva l’impero romano come dato dal lògos della storia, e spostandosi sul piano etico,
individuava la causa nell’avidità del ceto dirigente romano.
Gli storici moderni hanno cercato di connotare l”imperialismo” di Roma. Vi sono tre visioni
contrapposte:
1- la politica espansionistica di Roma è considerata manifestazione della sua volontà di allargare
la propria potenza ed è, pertanto , consapevole e mirata (imperialismo offensivo);
2- la politica espansionistica di Roma è l’esito di una serie di risposte difensive agli attacchi di
popoli esterni ( imperialismo difensivo);
3- la politica espansionistica di Roma va collocata in un quadro di dinamica “internazionale” in cui
essa si confronta con potenze altrettante agguerrite sulle quali prevale in virtù del suo
ordinamento istituzionale ( e si torna all’idea di Polibio).
Quindi, la storia di Roma è una storia complessa, difficilmente interpretabile univocamente e
riconducibile ad un unico modello. Comunque, essa conferma l’idea di una politica di potenza di
Roma tesa ad affermare l’esclusività del suo controllo. Questo orientamento è espressione di un
ceto politico intraprendente, un ceto dirigente giovane, di nuova configurazione, la nobilitas. A
questo bisogna aggiungere la stanchezza e la tensione emotiva popolare certamente prostrata da
lunghi anni di guerre e dalle perdite umane che avevano caratterizzato questa fase; quindi un
dibattito politico di lunga durata e di esito non prevedibile all’interno del gruppo dirigente, ma che
coinvolge anche i ceti popolari.
Le guerre furono il risultato di una convergenza trasversale di interessi, sulle quali influirono il
miraggio delle ricchezze e l’alto rango da perseguire, come pure l’idea dell’egemonia
“mediterranea”

8. POLITICA E SOCIETÀ FRA III E II SECOLO

La prassi politica: La politica a Roma è molto legata alla struttura sociale. Nella descrizione della
prassi per prima cosa occorre valutare la composizione del ceto politico e le sue dinamiche, cioè le
persone che esercitano effettivamente la magistratura ed entrano in Senato. Al riguardo occorre
fare una distinzione tra:
- nobilitas, che comprende le famiglie che anno un console tra gli antenati;
- aristocrazia in generale, nella quale è compresa la nobilitas ed un’area più larga che si può
definire l’aristocrazia senatoria, costituita da tutto il Senato ed i nuovi magistrati.
L’ingresso nell’ambito della nobilitas è lento, ma non precluso. Più aperto è l0’accesso
all’aristocrazia senatoria. Siamo di fronte ad un regime politico in buona parte controllato da
alcuna grandi famiglie ( f. Flacco, Scipioni, ..), ma anche per la competitività aristocratica, che è una
creazione del popolo.
È questa l’età del consenso, di un consenso di base in cui il popolo pare più arbitro della
competitività aristocratica che protagonista. Il consenso è anche favorito dalle continue guerre
esterne e dall’introito dei bottini delle vittorie.
Anche la struttura sacramentata delle varie ritualità e delle cerimonie simboliche pubbliche che
lasciano accettare l’autorità aristocratica assicurano il benvolere degli dei sull’ordine costituito.
La centralità del popolo. L’ideologia del potere si basava tanto sull‘autorità del Senato quanto sulla
libertas populi, su suoi iura, ed il voto popolare era considerato l’espressione più alta della
legittimazione del potere (iussa populi).
La lotta politica all’interno dell’aristocrazia, intanto, introduceva la tecnica dei processi, che
caratterizzerà la politica della tarda repubblica. Occasione fu il contrasto che si operò alla grande
popolarità degli Scipioni (contro Lucio Scipione e indirettamente con il fratello Publio per il
mancato rendiconto di 500 talenti avuti da Antioco III di Siria; contro Scipione Africano perché
aveva intrattenuto rapporti personali con Antioco III di Siria).
A metà del II secolo a.C. si aprì una grave frattura interna che covava dietro il consenso, che ebbe
come causa scatenante il lungo servizio militare. I tribuni della plebe, avendo ripreso una loro
autonomia, arrivarono a far arrestare i consoli perché imponevano una leva militare molto rigida.

La politica legislativa: Contrasti tra Senato e popolo in questo periodo si verificarono su una
proposta agraria e sull’allargamento della parità nella cittadinanza. In generale le iniziative
legislative seguivano 2 indirizzi omogenei:
1. il completamento dell’ordinamento istituzionale, spinto dalle esigenze delle conquiste;
2. la protezione del potere nobiliare mediante la conservazione della parità interna e dei valori
dell’aristocrazia.
Un segnale di scontro Senato/Comizi, nel momento di prevaricazione senatoria, si ha con la
formazione di una nuova prassi in materia di processo criminale. Il Senato istituiva i tribunali
speciali per vari reati. Si aprirà così da questo momento la questione della formazione delle corti
giudicanti, per le quali per ora si attingeva ai senatori. A metà del II secolo a.C. avvenne una svolta:
le pressioni sociali spingevano verso iniziative democratiche che determinavano rotture tra i
tribuni della plebe e consoli. Scoppiò il problema della terra, poiché non veniva rispettata una
legge di limitazione dell’agro pubblico. Ma il momento democratico si manifestò chiaramente
quando si arrivò alle leggi sul voto segreto nelle assemblee.

Lo sviluppo disuguale e le trasformazioni sociali. Già nel III secolo si erano cominciati a formare
accumuli di ricchezza sui quali lo Stato poté chiedere contributi straordinari ai cittadini facoltosi,
come durante la 2^ guerra punica e nella guerra in Spagna. Durante la guerra di Spagna
necessitavano prestazioni di servizi che la struttura dello Stato non aveva strumenti per soddisfare,
come pure come la richiesta di sfruttamento della conquista. Si formavano dunque societates
private che appaltavano contratti pubblici sia in relazione alle forniture sia poi in relazione alla
esazione delle tasse, allo sfruttamento delle miniere, all’esecuzione di grande opere pubbliche. Col
tempo si poteva contare su una certa abbondanza di societates o se ne incoraggiava la formazione
(l’intervento dei privati). Dall’età della guerra annibalica apparve la moneta d’argento, il denario,
divisibile i 4 sesterzi d’argento, e con essa si incrementavano le attività bancarie (degli argentarii).
In questo contesto nasceva un ceto di “imprenditori” affaristi e finanziari che si affiancavano ai
commercianti (mercatores). Era un ceto che poteva nascere dal basso, passando poi magari anche
alla carriera politica; ma richiedeva un capitale di base. Questo gruppo si venne così costruendo
come ceto dei cavalieri, coloro che, in origine, avevano il censo per dotarsi di un cavallo proprio. In
questo periodo ci fu un grande incremento delle ricchezze pubbliche e private. La crescita privata
veniva soprattutto dalle attività commerciali, e quindi dalla produzione connessa, e dalle attività
finanziare e di appalto. Mentre, gli introiti pubblici erano rappresentati soprattutto dai pagamenti
in denaro imposti ai nemici vinti, poi dai proventi delle razzie, dalla vendita dei prigionieri come
schiavi e dai vari tipi di tassazione in natura o in denaro, quindi introiti di guerra, a guerra finita per
la conquista della pace.
Catone descrive la struttura della villa, come trasformazione della fattoria del contadino soldato, in
piccole aziende agricole, affidate dal proprietario ad un vilicus, sfruttando la manodopera a basso
costo degli schiavi e impoverendo sempre più il ceto contadino che non lavorava. Con
l’esportazione di olio e vino comincia la circolazione delle anfore “greco-italiche”, aiutata anche
dalla manodopera schiavile, che si diffonderanno lungo le coste di tutto il Mediterraneo. Come
conseguenza si verificavano impoverimenti da parte di coloro che non potevano curare il proprio
campo per il continuo impegno bellico d’oltremare e che doveva subire la pressione del grande
proprietario terriero che tendeva ad assorbirlo, nonché la concorrenza del lavoro schiavile.
La cultura ed il diritto: Tra il III ed il II secolo a.C. a Roma si sviluppa una vera rivoluzione culturale,
con l’affermazione di una civiltà della scrittura. Si apre una storia letteraria che investe l’epica, la
drammaturgia, la storiografia, l’oratoria, la precettistica, la satira e il diritto.
Essa prende avvio dai rapporti con la cultura greca ed in concomitanza con l’espansione imperiale.
La presa di Taranto nel 272 portò a Roma il poliedrico Andronico che tradusse in latino l’Odissea,
dando indirettamente inizio al genere epico. Lo stesso Andronico nel 240 diede inizio alla prima
rappresentazione teatrale a Roma.
Anche la storiografia era connessa alla cultura greca e alla tradizione indigena arcaica degli
Annales pontificali. Era anche una maniera per trovare udienza nel mondo culturale mediterraneo
dell’epoca. Presto la diffusione a Roma della cultura ellenistica si estese in tutti gli strati sociali per
via degli schiavi e liberti greci, delle immigrazioni di maestri, artigiani vari, mercanti. Catone scrisse
per primo in latino un’opera storica (le Origines) di impostazione greca più dell’ellenistica. A
Catone si può pure far risalire l’oratoria, il campo tipico della lotta politica, oltre che giudiziaria.
Ma il protezionismo culturale romano produsse nel 161 a.C. un decreto senatorio di espulsione da
Roma di filosofi e retori, certamente di lingua greca.
Scipione Emiliano era il campione dell’apertura alla cultura greca, avendo intorno a lui Polibio e
Panezio.
La filosofia ellenistica, post-aristotelica, aveva apportato una rivoluzione nella concezione del
rapporto dell’uomo con lo Stato. La centralità della pòlis in crisi aveva lasciato spazio alla centralità
dell’individuo e del suo mondo personale. All’esclusivismo del cittadino della pòlis era subentrato il
cosmopolitismo del cittadino di un mondo in cui gli uomini (concittadini) erano considerati uguali;
e non vi sono schiavi per natura (Aristotele) e la retta legge di natura doveva essere guida assoluta
di comportamento.
Sul piano dei comportamenti più immediati, ai valori tradizionali della nobilitas, si affiancavano
concetti più morbidi ed affidabili: l’humanitas, la magnitudo animi, valori che introducevano a
liberalitas, mansuetudo, misericordia, falicilitas ( nuovi valori).
L’esperienza “romana” del diritto, campo civico e intellettuale tipicamente originario romano,
avvertì, in questa fase di ampliamento imperiale, l’esigenza del passaggio alla formalizzazione della
scrittura, dopo una lunga fase affidata alla oralità ed alla memoria (uso della dialettica, di origine
ellenistica).
All’inizio del II secolo si ebbe la prima sicura opera giuridica, i Tripertita di S.Elio Pero Cato. La vera
fondazione del diritto civile avvenne nella seconda metà del II secolo e l’inizio del I secolo con P.
Mucio Scevola con il figlio Quinto che scrisse un liber horòn, un vero sistema giuridico autonomo
nella sua formalizzazione.
Un altro elemento di sviluppo culturale si ha in campo religioso. A Roma ci sarà sempre un
fenomeno continuo di attrazione-rimozione o repulsione verso gli elementi greci “irrazionali” e
quelli greco-orientali. Roma si preoccupava di reprimere con provvedimenti di espulsione le
pratiche di culto, predizioni, riti magici stranieri che si diffondevano in città. Però, nel 205, accolse
la pietra nera di Pessinunte, nucleo del culto di Cibele, la Grande Madre frigia, resa comprensibile
dalla mediazione della sua mitica origine troiana. A Roma la religione era una religione di Stato.
In Italia ci fu una forte repressione verso i culti collettivi di Dioniso/Bacco, che nascevano nella
Magna Grecia, che si risolvevano in riti orgiastici, ma temuti per la presenza fra i seguaci di ceti
diseredati e schiavi.
Nel 186 fu emanato un senatus consultum che proibiva in tutto il territorio italico le adunanze di
più di 5 persone per le cerimonie di rito; con questo si affermava che il culto era un fatto
personale, senza nulla di organizzato.

9. LA CRISI DELL’ORDINAMENTO

Nel II secolo a.C, si era creato un grande distacco tra ricchi e poveri che aveva, con l’ordinamento
centuriato, la medietà economica prevalente nella società romana (divario economico). Secondo
chi antichi, e tra questi Polibio, la costituzione romana era basata su un delicato equilibrio fra
poteri della magistratura, Il Senato e il popolo, definita una costituzione mista. Ma questo sistema
entrò in crisi quando cessa il timore dei pericoli esterni e finisce l’accrescersi della ricchezza che
portava al lusso, la corruzione del ceto dirigente e la reazione del popolo minuto, ponendone
l’inizio nel 146 a.C. (fine di Cartagine) o nel 133 a.C. (eredità del regno di Pergamo), oppure nelle
guerre mitridatiche.
L’equilibrio costituzionale a Roma si basava molto sul consenso politico che portava all’unità della
civitas e si assestava, oltre che su una prima condivisione dei proventi delle conquiste, sui rapporti
sociali clientelari e solidaristici, sul clima di rispetto verso l’ordinamento costituito, sui suoi uomini
illustri e i suoi riti civici. Cicerone fa risalire alle leggi tabellarie lo scardinamento dell’equilibrio
costituzionale, individuandone, in particolare, l’elemento eversivo nella potestas pestifera del
tribunato della plebe, ma fondamentalmente con Tiberio Gracco, che divise il popolo che era
unito, ed infine con Gaio Gracco che scompaginò del tutto l’assetto della res pubblica.
In effetti il mutamento nell’atteggiamento del tribunato della plebe fu l’elemento dirimente
dell’evoluzione del sistema. L’aristocrazia senatoria e la nobilitas nella media repubblica avevano
demandato ai tribuni della plebe, aristocratici in carriera, la gestione della politica interna, anche
per i continui impegni militari dei magistrati con imperium. Si arrivò così alla violenza come
caratteristica principale della lotta politica per quasi un intero secolo: stragi sulle vie di Roma.
Assassini dei Gracchi, una vera e propria guerra civile fra eserciti romani contrapposti in scontri
campali. Nel momento dei tumulti mancò un servizio d’ordine statuale ed una forza armata
cittadina, non avendo avvertito l’esigenza di creare un corpo di polizia, sicché i cittadini
ricorrevano alla vendetta privata ed alla legge del più forte per dirimere le questioni fra loro.
I tentativi riformistici: Alcuni illuminati riformisti del ceto dirigente pensarono di riequilibrare la
situazione sociale, aiutando quindi anche il funzionamento istituzionale, intervenendo nel campo
agrario attraverso la colonizzazione. Il terreno demaniale di Roma, in genere, era destinato a
coloni (con fondazione di colonia o in assegnazioni singole, viritim), diventando terreno privato, o
restava di proprietà pubblica ed era dato in appalto; il fitto era per le colture, la scriptura per il
pascolo; si poteva avere anche una sorta di vendita, che dava però un possesso perpetuo ed
ereditario, ma non la proprietà del terreno. Il terreno demaniale era continuato a crescere.
L’opera di colonizzazione avanzava massicciamente dall’inizi del II secolo a.C. con colonie romane
ed italiane in Campania, Calabria, Gallia Cisalpina, Veneto, Piceno, Liguria.
Non sempre l’enorme territorio confiscato era stato utilizzato, sicchè esso veniva arbitrariamente
occupato o dai vecchi proprietari o da tenutari più potenti che incameravano i terreni dei più
deboli. Quello dell’occupatio era un problema antico. Una prima legge agraria antica (367 a.C. ?)
limitava a 500 iugera di territorio per tenutario, ma molti non rispettavano tale limite
specialmente dai padroni di greggi e mandrie. Allora alcuni pongono una legge de modo agrorum ,
per recuperare e colonizzare questo territorio.
La Famiglia GRACCO: I Semproni Gracco erano una famiglia, pluriconsolare, pienamente inserita
nella nobilitas. Tiberio Gracco il padre dei Tribuni, due volte console e censore, era stato un
eminente personaggio ed aveva sposato la figlia di Scipione Africano, Cornelia. Anche i loro tre figli
sopravvissuti fecero tutti matrimoni importanti:
- Tiberio Gracco sposò la figlia di Appio Claudio, princeps senatus, già console e censore;
- Gaio Gracco sposò la figlia di Licinio Crasso Muciano, fratello di Mucio Scevola;
- Sempronia Gracco sposò Scipione Emiliano, consolidando il legame tra le famiglie;
In questo periodo si puntò a ricostruire un ceto di piccoli contadini, caratteristico dell’ordinamento
centuriato, ponendo freno al fenomeno dell’inurbamento.
La legge agraria di Tiberio Gracco – Lex Sempronia agraria – preparata con l’aiuto di Mucio
Scevola, prevedeva che:
- non si potessero possedere più di 500 iugera di terreno pubblico e, pare, 250 iugera in più per
ogni figlio (fino ad un massimo di due);
- il terreno in eccesso rientrava nella disponibilità dello Stato che provvedeva a ridistribuirlo in lotti
forse di 30 iugera, non dati in proprietà privata, al fine di non renderli alienabili, con pagamento
di un canone simbolico. ( un usufrutto perpetuo quasi senza canoni)
- una Commissione di 3 membri eletti avrebbe curato le assegnazioni dopo aver diviso, in base a
poteri giudicanti, l’agro pubblico da quello privato.
- la proprietà privata non veniva toccata.
La reazione dell’aristocrazia senatoria fu molto dura, non sui contenuti, ma con riferimento ai
metodi ed ai rapporti di potere. La proposta di legge di Tiberio non venne discussa in Senato prima
di essere proposta al popolo, anche se era d’uso e non stabilito per legge. L’irritazione di parte
senatoria quando Tiberio espose il suo piano di finanziare la riforma ricorrendo alle ricchezze
appena ricevute in eredità dal regno di Pergamo, che erano di competenza del Senato. La riforma
agraria di Tiberio fu molto osteggiata dal tribuno Marco Ottavio, che pose 2 volte il veto alla
votazione della proposta di legge. Ma Tiberio rispose con un’iniziativa irrituale e non illegale,
chiedendo ed ottenendo la deposizione del tribuno Marco Ottavio da parte dei Concilia plebis.
Questo spaventò molto l’aristocrazia senatoria, che l’accusarono di aspirare al regnum.
Scipione Nasica, pontefice massimo, prese l’iniziativa e chiese in Senato al console Mucio Scevola
di intervenire contro Tiberio, e chiamò i senatori e poi il popolo a seguirlo per salvare la res
pubblica, muovendo verso il Campidoglio non armati dove intanto Tiberio aveva riunito i suoi. Ne
seguì un violento scontro nel quale Tiberio con i suoi seguaci, impreparati ed intimiditi dal
pontefice massimo, furono uccisi a colpi di bastoni e pietre, ed i corpi vennero gettati nel Tevere.
Successivamente, nel 132 a.C. processarono e condannarono a morte molti graccani, Scipione
Nasica fu allontanato in Asia, mentre la commissione agraria continua la sua attività. Ma gli Italici
soffrivano perché si trovavano da vecchi proprietari rimasti in possesso dei terreni confiscato. Il
graccano Fulvio Flacco tentò con una proposta di legge di concedere agli Italici la cittadinanza
romana; ma la proposta fu respinta, poiché i Romani di qualsiasi ceto difendevano i loro privilegi.

Nel 123 fu la volta di Gaio Gracco ad agire come Tribuno della plebe, la cui legislazione si distinse
da quella di Tiberio per l’ampiezza del disegno politico e istituzionale. Alle distribuzioni viritiane fu
aggiunto anche un programma di deduzioni coloniali romane, tra cui Taranto e Capua, e fuori
d’Italia, a Cartagine, concependo così l’idea che cittadini molto lontani non avrebbero potuto
votare. Con una legge frumentaria (Lex frumentaria) di fatto fu abbandonato l’obiettivo di frenare
l’inurbamento e questa prevedeva assegnazioni di grano ad ogni cittadino a prezzo politico,
ingraziandosi anche la plebe urbana.
Poiché il sostegno politico dei cavalieri era funzionale a ridimensionare fortemente il potere
giudiziario del Senato, con la Lex de provincia Asia si pensò ad un solo contratto per l’appalto delle
tasse che evitava dispersioni locali e rapacità dei governatori. Successivamente Gaio Gracco fece
votale la Lex de capite civis Romani che concedeva la cittadinanza romana agli ex magistrati delle
colonie latine ed inoltre vietava la formazione di corti criminali per senatus consultum riportando
tale materia al popolo (iussu populi).
Gaio Gracco aveva agito molto più politicamente rispetto al fratello Tiberio. L’aristocrazia
senatoria attraverso il tribuno Marco Livio Druso istigava la plebe urbana contro Gaio Gracco per il
suo progetto di allargare la cittadinanza romana ai Latini e concedete il ius Latii agli Italici. Questo
progetto venne respinto e Gaio Gracco perse popolarità e non fu rieletto nel 121 a.C. per il terzo
tribunato. Si circondò di amici in armi e, dopo la morte di un littore del console L.Opimio, i graccani
furono trucidati e Gaio Gracco si suicidò.
La legge agraria venne subito smantellata mediante 3 leggi che:
- abolirono il divieto di alienazione dei lotti ( 121 a.C. ?)
- sospesero l’assegnazione delle terre, lasciando i possessori nei loro possessi con pagamento di
un canone (191 a,C.)
- resero i possessi proprietà privata, abolendo quindi i canoni (111 a.C.)
Si rimise in moto, così, il meccanismo di concentrazione dei poderi e l’inurbamento. Le altre leggi
graccane continuarono invece ad avere la loro validità.
L’iniziativa graccana ebbe importanti esiti positivi per il ripopolamento e la produttività delle
campagne in alcune zone, specie in Italia meridionale. L’esito rivoluzionario dell’opera graccana fu
nel metodo e non tanto nei contenuti, perché incideva anche su alcune strutture della politica
romana e dava interpretazioni quando metteva in discussione l’autorità del Senato, rivendicando il
potere decisionale ultimo del popolo, ridando vigore allo strumento del Tribunato della plebe e
dell’Assemblea. La reazione dell’aristocrazia (con Scipione Nasica) di fatto avviò la violenza e la
guerra civile.

Guerre e disordini di fine secolo: la questione agraria e la redistribuzione delle terre doveva trovare
una soluzione. Nel 107 a.C. il console Gaio Mario procedette ad un arruolamento straordinario
senza tenere conto dei requisiti del censo, contando sui proletari volontari, che diventò
successivamente comune favorendo i legami clientelari tra i legionari e i loro generali, e gli scontri
fra i generali in armi. Intanto il tribuno della Plebe Appuleio Saturnino nel 103 promosse una legge
per l’assegnazione delle terre d’Africa ai soldati veterani di Mario, progetto che venne applicato.
Successivamente promosse una legge agraria per l’assegnazione dell’ager Gallicus, dove aveva
combattuto Gaio Mario, sempre ai veterani del suo esercito. Un’altra importante iniziativa fu la
promozione di la Lex de maiestate , con la quale si istituiva un tribunale per i processi di alto
tradimento, cioè di offesa alla maiestas del popolo romano, rivendicando in tal modo la centralità
del populus e si teneva sotto pressione i senatori.
In questo periodo la politica estera e sempre più collegata alla politica interna. Dalle guerre di
questi anni emerge la prima figura di leader militare, quella di Gaio Mario, che caratterizzerà la
vita politica della tarda repubblica. L’occasione è la guerra giugurtina.
Età di Gaio Mario e Silla: a sud in Africa ci sono delle agitazioni del regno di Numidia, dove alla
morte del figlio di re Massinissa, Micipsa, nel 118 a.C. scoppia la guerra di successione tra i tre figli
eredi (Giugurta, Aderbale e Iempsale). Giugurta uccide il fratello Iempsale, mentre Aderbale si
rifugia a Roma. Il Senato romano tentò di mediare tra i due fratelli, ma Giugurta rifiutò e fece
uccidere il fratello; ma nella strage a Cirta furono uccisi un gran numero di mercanti italici. Roma
fu costretta quindi a dichiarare guerra a Giugurta (111 a.C.). il console in carica L.Calpurnio Bestia
cercò un accordo con Giugurta, senza successo. Intanto la guerra andava stancamente per le
lunghe. La guerra proseguiva a fasi alterne, dopo una prima sconfitta di Roma, Quinto Cecilio
Metello, detto il Numidico, ottenne qualche vittoria; ma le forze popolari e queele interessati ai
commerci premevano per chiudere la contesa, ed elessero nel 107 a.C. console Gaio Mario, al
quale venne affidata subito la guerra contro Giugurta. Gaio Mario rinforzò l’esercito attraverso la
leva straordinaria dei volontari e dopo due anni vinse la guerra e fece prigioniero Giugurta, che
venne giustiziato a Roma, e la Numidia venne divisa in due tra Bocco ed un fratello di Giugurta.
Intanto nel nord dell’Impero le popolazioni germaniche, i Cimbri e i Teutoni, marciano verso
l’Europa meridionale. Dal 113 al 105 a.C. gli eserciti romani mandati contro i Galli vengono
sconfitti, e il comando, allora venne affidato a Gaio Mario, di ritorno dall’Africa nel 104. Mario
batté i Galli Teutoni nel 102 ad Aquae Sextiae ( Aix en Provence) e nel 101 a.C. i galli Cimbri ai
Campi Raudii, vicino Vercelli. Gaio Mario non seppe sfruttare questo grande momento sul piano
politico: si alleò con i tribuni della plebe Saturnino e Glaucia, che sostenevano la sua apertura alla
colonizzazione dei territori vinti ai veterani del suo esercito, scontentando la plebe urbana, che
temevano per i propri privilegi, perché voleva allargare la cittadinanza romana agli Italici.
I successi di Gaio Mario furono conseguiti grazie alla sua riforma dell’esercito, nel quale aveva
infuso un nuovo spirito di corpo “professionale” sotto un’unica insegna per le legioni romane.
l’aquila, come strumento di identità.

PARTE TERZA
Roma communis patria degli italici e le guerre civili
10. Fra crisi e rivoluzione: le fasi
La cittadinanza agli italici. L’ambivalenza istituzionale
Durante il periodo di espansione dell’impero Roma aveva conservato la configurazione di città-
stato, senza modificare la sua tradizionale struttura istituzionale e militare. Progressivamente
alcune comunità erano state inglobate nella civitas Romana ed a singoli individui per meriti
particolari era stata concessa la cittadinanza romana; essa assumeva valore di beneficio del popolo
romano. Roma nel corso del suo processo espansionistico aveva trovato sostegno, risorse umane e
materiali, nelle città alleate italiche e nelle colonie latine, attraverso il meccanismo della foedera,
che però non permetteva di godere pienamente delle prerogative riconosciute ai soli cives
Romani. Soprattutto non prendevano parte alla vita politica cittadina e di conseguenza non
potevano raggiungere posti di comando in guerra. Maturavano così atteggiamenti trasversali dei
ceti sociali su istanze politiche ed economiche, di profonda insofferenza tra i non cittadini che si
sentivano esclusi dai benefici che essi stessi avevano contribuito a costruire.
La situazione degli Italici aveva raggiunto un maggior livello di esasperazione con la legge di Tiberio
Gracco (133 a,C.), che ledeva i possessori italici che continuavano a coltivare terreni confiscati e
non ancora utilizzati da Roma. Il console Fulvio Flacco nel 125 a.C. propose una proposta di legge
di concessione della cittadinanza agli italici, ma fu osteggiato. La colonia latina di Fregellae
(Fregene), delusa, si ribellò e venne distrutta dai Romani. Intanto nel ceto dirigente romano più
incline a posizioni di apertura e di allargamento della base del potere si diffondeva l’idea
dell’estensione della cittadinanza ai Latini e agli Italici.
Sia il console Fulvio Flacco e sia il tribuno Gaio Gracco proposero nel 123 a.C. la cittadinanza ai
Latini e agli Italici; ma i ceti elevati temevano ripercussioni sull’assetto politico-istituzionale e la
plebe urbana temeva di doversi contendere alcuni diritti con i nuovi cittadini.
Nei primi anni del I secolo a.C. la politica di controllo degli Italici nella cittadinanza si intensificò:
- Lex Licinia Mucia: espelleva da Roma tutti gli Italici che si fossero illegalmente inseriti nelle liste
di censo (95 a.C.)
-
Il Tribuno M.Livio Druso, appoggiato da Licinio Crasso, presentò un grande programma di riforme:
-una legge frumentaria;
-una legge agraria che prevedeva la deduzione di colonie in Italia e in Sicilia;
-una legge giudiziaria
-una legge sulla cittadinanza romana agli italici (parificazione dei diritti romani)
Le prime tre leggi furono votate in blocco e successivamente cassate per lo stesso motivo, perché
dovevano essere votate separatamente. La quarta legge sulla cittadinanza romana agli italici non
arrivò ad essere votata. Successivamente Druso venne ucciso in circostanze misteriose.
Il clima che si era venuto a crearsi espl0se in una rivolta. Moltissime città italiche si strinsero in
giuramento di fedeltà intorno a Druso e già nel 90 a.C. si ebbero manifestazioni di rivolta
antiromana ispirate dai ceti elevati, ma con ampia partecipazione popolare. Era scoppiata la
guerra civile. La guerra scoppio, però, nel Piceno, ad Asculum (Ascoli Piceno), dove gli italici
uccisero l’inviato pretore romano (mandato in funzione esplorativa) ed i cittadini romani residenti.
La guerra esplose a nord (intorno ai Marsi) ed a sud (intorno ai Sanniti); restarono fuori dalla
guerra le colonie latine, Venosa, le città della Magna Grecia, gli Etruschi e gli Umbri. I rivoltosi si
riunirono in una federazione. Roma mandò 2 eserciti distinti: a nord sotto il comando di Rutilio
Lupo con Mario e Gn. Pompeo Strabone; a sud L.Giulio Cesare e L.Cornelio Silla. Sia a nord che a
sud la situazione per i Romani era grave, anche se i Romani conseguivano qualche piccola vittoria.
In questa estrema instabilità della guerra, per non rischiare l’insorgere di nuovi territori, furono
emanate le leggi per la cittadinanza:
- Lex iulia: cittadinanza romana a coloro che non si era ribellati ed ai Latini (90 a.C.);
- Lex Plautia Papiria: cittadinanza romana a coloro che si sarebbero arresi entro 60 giorni (89 a.C.)
- Lex Pompeia: assegnazione dei diritti latini alla Transpadana e istituzione della provincia della
Gallia Cisalpina 90 a.C.
- Lex Calpurnia: attribuzione ai generali romani del diritto di concedere la cittadinanza ai soldati
come premio.
Nonostante queste fondamentali concessioni, la guerra continuò, A nord Strabone concluse le
operazioni nell’89 a.C.; a sud Silla con l’assedio di Nola nell’88 a.C.
I Lucani resistettero fino all’80 a.C., pare con aiuti da parte di Mitridate: le spinte sociali ed
indipendentiste spingevano a prolungare il conflitto

I tremendi anni 80: dal tribunato di Sulpicio Rufo alla dittatura di Silla

Gli anni 80 sono anni di lotta politica e di guerra civile. Nell’ 88 a.C. Sulpicio Rufo, tribuno della
plebe, fa votare una legge in cui stabilisce che la guerra del Mar Nero [1° guerra mitridatica 112-
81 a.C.] dovesse essere affidata a Gaio Mario, anziché all’altro console, Silla, il quale non accetta
questa decisione. Causa dell’inizio della guerra civile.
Silla, di stanza a Nola, con il suo esercito di ritorno da una missione effettua la Prima Marcia su
Roma, la conquista senza combattere e si fa attribuire l’incarico che gli era stato tolto, fa uccidere
Sulpicio e costringe Gaio Mario ed i più stretti seguaci, dichiarati nemici pubblici, a fuggire. Fatte
svolgere regolarmente le elezioni consolari per l’87 a.C., partì per l’Oriente. In assenza di Silla,
impegnato nella guerra mitridatica. Fra i nuovi consoli vi era Cornelio Cinna, che non era schierato,
e il collega Gneo Ottavio, che a seguito di scontri, fece dichiarare Cinna nemico pubblico e Cinna fu
costretto a rifugiarsi in Campania. Intanto Gaio Mario tornava dall’Africa. Cinna e Gaio Mario,
entrambi in armi, effettuano la 2^ Marcia su Roma con la presa della città senza combattere.
Cinna con una legge legalizza la posizione di Mario, che si abbandonò ad una repressione dei
sillani. Cinna e Mario, eletti entrambi consoli nel 86 a.C.,fecero dichiarare, ora loro, Silla nemico
pubblico. Mario mori poco dopo nel 86 a.C. - Cinna per un breve periodo diede vita ad una politica
democratica e di riappacificazione.
Intanto Silla, dopo aver soppresso Mitridate, preparava il ritorno. Cinna allora allestì una flotta per
fermarlo in Grecia, ma i suoi soldati si ammutinarono e lo uccisero ad Ancona (84 a.C.).
Il Senato, nel suo legalismo, vota per la resistenza a Silla. Questi, sbarcato a Brindisi nell’83 a.C. ,
viene raggiunto da M.Licinio Crasso e dal giovane Gneo Pompeo con un esercito. Inizia così lo
scontro armato che coinvolge tutta l’Italia centrale. Mentre Silla entrava a Roma (3^ Marcia su
Roma), con la battaglia di Porta Collina, dove si distinse Crasso, Silla riprende il pieno controllo
della città e promuove una grande epurazione di oppositori che si concentrò in liste di
proscrizione, chiuse nell’81 a.C.
I proscritti:
- Potevano essere impunemente uccisi;
- I loro beni venivano confiscati;
- I figli e i nipoti non avrebbero potuto intraprendere carriera politica.

Sempre nell’82 a.C. l’interrex L.Valerio Flacco, nominato a seguito della morte dei due consoli,
promosse una legge che assegnava a Silla una dittatura, con pieni poteri. L’opera di Silla si mosse
in due direzioni:
1^- fu rafforzata l’autorità del Senato a scapito dei comizi, ed accresciuto con 300 cavalieri. Al
rinnovato Senato venivano di nuovo affidate le giurie dei tribunali. In tal modo venne indebolito il
potere delle assemblee popolari, in particolare il Tribunato della plebea. Ogni proposta di legge
doveva passare preventivamente dal Senato, il cui parere diventava vincolante.
2^- riforma del diritto penale. Furono istituiti tribunali permanenti, che salvaguardavano e
tutelavano, oltre quelli penali (utela della libertà personale, del domicilio, della calunnia, ecc.) e
dove non potevano essere giudici i parenti dell’attore del processo.
Un altro epocale fenomeno di Silla fu la prima colonizzazione dei veterani di guerra, che portò
circa 120.000 coloni in 11 nuove colonie. Si redistribuiva cos’ proprietà nella campagna e si
contribuiva ad unificare la nuova Italia nella cultura e nella lingua.
Silla nel 79 a.C. lasciò la dittatura e morì poi nel 78 a.C. L’abbandono del potere viene spiegato con
il raggiungimento della sua finalità costitutiva. Silla si era proposto di riformare lo Stato in senso
aristocratico e con una modernizzazione nei funzionamenti e nella tutela dei diritti individuali. Non
aveva pensato di instaurare un potere personale e portate a termine le riforme in un’Italia
pacificata, il suo mandato finiva. Sarà stato anche stanco e forse malato se morì un anno dopo.
Dal dopo Silla al primo triunvirato. L’emergere dei “dinasti”.
Silla non aveva mai avuto la piena fiducia della nobiltà tradizionale, anche se l’aristocrazia
senatoria aveva avuto bisogno delle sue riforme, però con un potere personale che affermava il
suo predominio. Durante il decennio postsillano ci fu una forte reazione “democratica. Dopo la
morte di Silla si tentò di abolire la sua legislazione con parziale successo, grazie anche
all’intervento di Gneo Pompeo, figlio di Pompeo Magno che era stato dalla parte di Silla. Nel 77
a.C. viene affidato a Gneo Pompeo Magno un imperium per combattere il console Lepido, che
dall’Etruria ed insieme agli insorti marciava su Roma. Pompeo, generale affidabile, sconfisse
Lepido a Cosa e i resti dell’esercito di Lepido con Perperna si unirono a Sertorio in Spagna.
Quinto Sertorio era il governatore della Spagna Citeriore al momento della vittoria di Silla a Roma,
ma in pratica non riconobbe mai l’autorità di Silla. Combattuto da eserciti inviati da Silla, fondò un
gruppo romano separato con un proprio Senato e tesse relazioni diplomatiche con Mitridate e con
i pirati delle zone circostanti. Il Senato di Roma prima lo affrontò con Quinto Cecilio Metello Pio,
governatore della Spagna Ulteriore, e poi con Pompeo. La guerra si prolungava a causa della
guerriglia favorita dai luoghi celtiberici condotta da Sertorio, ma nel 72 a.c. fu assassinato da
Perperna, che , a sua volta, fu sconfitto ed ucciso da Pompeo nel 71 a.C., mettendo fine alla
guerra. Per Prompeo e per gli altri che furono chiamati “dinasti”, dalla tradizione greca, segnò
l’avvio del predominio.
Spartaco: era un gladiatore trace che nel 73 a.C. si era messo a capo di una ribellione di schiavi
della scuola dei gladiatori di Capua. Presto a loro si aggiunsero i ribelli e gli schiavi rurali da tutta
l’Italia ed anche liberi diseredati, dalla Cisalpina alla Calabria, però senza un piano d’azione. Roma
mandò un esercito capeggiato da Licinio Crasso, che li sconfisse in Lucania mentre ripiegavano
dalla Calabria nel 71 a.C. Lo stesso Spartaco restò ucciso. I prigionieri, a migliaia, furono crocifissi
lungo la via Appia, mentre i superstiti in fuga verso nord furono affrontati e sconfitti da Pompeo in
Etruria, di ritorno dalla Spagna.
Anche in questo caso l’aristocrazia del Senato non era riuscita a controllare la situazione ed era
stata costretta a ricorrere a generali piuttosto indipendenti nel loro potere personale e nel loro
particolare rapporto con gli eserciti. Da questa posizione di potere Pompeo e Crasso chiesero di
ottenere il consolato per il 70 a.C. I due generali e consoli, che si erano distinti con l’ascesa di Silla,
smantellano i punti essenziali delle riforme politico-istituzionali sillane, restaurando in pieno i
poteri dei tribuni della plebe, che avevano trovato adesioni nel disagio sociale a Roma. A scuotere
l’aristocrazia senatoria aveva contribuito anche il processo contro Gaio Verre, propretore in Sicilia,
accusato di malversazione dai Siciliani che si erano rivolti per l’accusa a M. Tullio Cicerone, già
questore in Sicilia. Fu il processo che lanciò il giovane Cicerone.
Guerra contro i pirati: nel 67 a.C. si pone in Siria il problema dei pirati, un tribuno Aulo Gabinio
propose una legge (difesa in Senato dal giovane Giulio Cesare) che stabiliva un comando
straordinario (che però non faceva nomi), per il quale ci si affidò ancora a Pompeo, allora un
privato, per debellare i pirati che prevedeva un imperium su tutto il Mediterraneo e su tutte le
coste con misure eccezionali finanziarie e militari. Dopo 3 mesi Pompeo annunciò di aver eliminato
definitivamente i pirati, formando anche con essi una clientela evitando quindi di ucciderli. L’anno
seguente il tribuno Manilia chiese con una legge (sostenuta da Cicerone) di affidare a Pompeo un
altro imperium straordinario sulle province asiatiche senza limiti di tempo per continuare la guerra
contro Mitridate e batterlo definitivamente. La vecchia aristocrazia cedeva il passo alla nuova
aristocrazia e sanciva l’affermazione definitiva di Pompeo.
Cicerone sottovalutò però il rischio del potere personale che ci concentrava in Pompeo, ma forse
pensando alla sua ascesa al potere ne tollerava la situazione. Nel 63 a.C. ottenne il consolato,
aiutato dalla campagna elettorale del fratello Quinto Cicerone. L’anno successivo si trovò di fronte
di nuovo l’avversario battuto alle precedenti elezioni, L. Sercio Catilina, che faceva leva per la sua
elezione al disagio sociale degli inurbati quanto a condizioni di lavoro e difficoltà abitativa,
contando sull’appoggio di Crasso e Cesare. Catilina venne di nuovo sconfitto e prese la strada della
cospirazione concentrando una consistente forza militare in Etruria, costituita da veterani sillani,
spossessati e diseredati (Congiura di Catilina). Il piano però fu scoperto. Cicerone attaccò
duramente Catilina a Roma e questi fuggì a Fiesole verso le truppe lì riunite, mentre a Roma i capi
della cospirazione furono mandati a morte da Cicerone, che si era precedentemente consultato
con il Senato, mentre Cesare consigliava una condanna al carcere a vita. Un esercito fu quindi
mandato contro Catilina, che fu sconfitto e perse la vita a Pistoia. Era il trionfo di Cicerone, ma si
presentavano anni difficili.
Giulio Cesare: Di nobiltà patrizia decaduta, legato ai popolari da connessioni famigliari (lui aveva
sposato la figlia di Cinna e una zia Giulia era stata moglie di Gaio Mario), G. Cesare si avvicinò a
Pompeo, appoggiando Gabinio e poi Cicerone e aiutato finanziariamente da Crasso, nel 63 a.C.
venne eletto pontefice massimo, ed era favorevole ad una legge agraria.
Anche Pompeo e Crasso incontravano l’opposizione dell’aristocrazia vecchia e nuova per una
legge agraria per i propri veterani militari. Tutti e tre capivano di poter ognuno contare su una
forza personale che poteva prevalere il blocco del Senato conservatore.
Strinsero così fra loro, forse su idea di Cesare, una potentiae societas (come la definisce la
tradizione antica) o primo triumvirato (come classificato i moderni): un’amicizia privata e segreta
atta a raccordare la divisione delle cariche ed i provvedimenti.
Primo accordo programmato: consolato per Giulio Cesare nel 59 a.C.
Secondo accordo: legge agraria per i veterani di Pompeo.

Il fallimento del progetto ciceroniano


Cesare durante il suo consolato del 59 a.C. promuove una serie di leggi che prendono il nome di
Lex Iulie, tra cui:
1) Riconosce l’operato di Pompeo nella politica estera e nelle battaglie in Oriente.
2) Legge agraria che prevedeva l’assegnazione delle terre ai veterani di Pompeo, da finanziare con
bottino di Pompeo, e ai cittadini poveri che avessero almeno 3 figli.
Il tribuno P. Vatinio fece assegnare con legge a Cesare per 5 anni, da proconsole, la Gallia Cisalpina
e l’Illiria con 3 legioni, e poi la Gallia Narborense con una quarta legione.
Un altro importante segno dell’accordo triunvirale fu l’elezione di Clodio, da patrizio, per il
tribunato della plebe nel 58 a.C., facendo lasciare a Clodio la sua gens e farsi adottare da un
plebeo. L’obiettivo del suo programma popularis era di accrescere il potere dell’assemblea
popolare e, in generale, la partecipazione. La legislazione di Clodio andava incontro alle necessità
del popolo minuto con una nuova legge frumentaria che prevedeva la distribuzione di grano a
titolo gratuito ai poveri della città. Altre due leggi miravano a colpire Cicerone: la prima,
proponendo l’esilio a chi avesse ucciso senza regolare processo un cittadino romano (il riferimento
era ai catilinati); la seconda chiamando direttamente Cicerone a risponderne con la condanna
all’esilio, la confisca dei beni, la demolizione della casa. Clodio cercò una rivalsa anche su Pompeo
facendo entrare in azione le sue bande. Intanto Cesare era impegnato nella campagna contro i
Galli. L’attacco a Cicerone si rivelò un errore e una diffusa solidarietà si sollevò a favore di Pompeo.
Cicerone fu richiamato a Roma da tota Italia, accorsa dai municipi a votare il suo ritorno . Nel 57
a.C. a Roma una carestia provocò sommosse popolari; allora venne affidato a Pompeo un incarico
per l’approvvigionamento dei viveri, con disponibilità di truppe che ne accresceva la sua
popolarità, mal sopportata dal gruppo conservatore del Senato. Intanto Cicerone dava
preoccupazione a Cesare, in ascesa per i successi in gallia, perché appoggiava per il consolato del
55 a.C. il suo avversario L.Domizio Corbulone.
Per ricompattare il triunvirato, a Lucca nel 56 a.C. Cesare, Pompeo e Crasso aggiornano gli
accordi:
- Si sarebbero sostenuti Pompeo e Crasso per il consolato del 55 a.C., dopo di che, come
proconsoli, avrebbero governato per 5 anni, Pompeo le due Spagne, Crasso la Siria;
- A Cesare sarebbe stato prorogato l’incarico in Gallia per altri 5 anni, con aumento delle legioni a
10.
Ciò che avvenne. Pompeo risiedeva a Roma per la carestia e i suoi legati governavano le Spagne.
Crasso nel 53 a.C. morì nella battaglia di Carre in Mesopotamia e le insegne di 7 legioni furono
prese, un onta da riparare. Nel 53 a.C. non si riuscì ad eleggere i 2 consoli perché Clodio restò
ucciso in uno scontro bellico, per cui Pompeo venne nominato console senza collega. Era l’inizio
della fine per la repubblica. Intanto si manifestano in Senato manovre anticesariane legate alla
scadenza del mandato di Cesare, molto confuso ed incerto, che avrebbe dovuto lasciare nel 50
a.C., intanto, Pompeo si era fatto prorogare per altri 5 anni il suo mandato, scadente nel 47 a.C.,
poiché questo fatto permetteva a Pompeo di avere legioni al suo comando e Cesare no; una
situazione inaccettabile per Cesare. Ci fu il tentativo di uniformare entrambe le scadenze, ma il
Senato si oppose perché voleva dividere i due dinasti. Cornelio Scipione, suocero di Tiberio, fece
votare al Senato una risoluzione che imponeva a Cesare di lasciare la provincia Gallica in modo
unilaterale. Antonio, che da tribuno aveva tentato di opporsi alle decisioni contrarie a Cesare,
abbandonò Roma con altri cesariani. L’attuazione della salvezza della res pubblica venne affidata a
Pompeo.
Legionari di Cesare nel gennaio del 49 a,C. passarono il fiume Rubicone che, facendo da confine
con la Gallia Cisalpina, rappresentava il nuovo pomerium ( confine sacro ed inviolabile della città di
Roma). A Roma subentrò il panico. Cesare era stato illegalmente messo alle strette, e quindi
doveva salvare la sua dignitas, ma anche la libertas sua e del popolo romano. Pompeo si ritirò a
Brindisi, confidando sugli amici orientali, e invitò i senatori a lasciare l’Italia. Cesare, per non essere
attaccato da Occidente dalla Spagna agì subito in quelle regioni e sconfisse i pompeiani a Ilerda.
Dopo essere stato eletto console nel 48 a.C. inseguì Pompeo in Tessaglia (Grecia) e
vittoriosamente si scontrò con Pompeo a Farsalo, il quale fuggì in Egitto dove Tolomeo XIII e
Cleopatra, eredi del re Tolomeo XII, erano impegnati nella contesa dinastica. I consiglieri del re
Tolomeo XIII, temendo per il regno, fecero decapitare Pompeo. Raggiunta Alessandria, Cesare,
molto adirato per l’assassinio di Pompeo, prese posizione a favore di Cleopatra (designata erede
dal padre) e sconfisse il fratello che morì nel 47 a.C. Cesare vie colpito dal fascino di Cleopatra, che
gli diede un figlio Tolomeo Cesare nello stesso anno 47 a.C.
Dopo aver sconfitto Farnace, il figlio di Mitridiate, che pensava ad una rivincita, partì per la Tunisia
dove i pompeiani si erano riuniti con l’appoggio del re della Numidia, Giuba: Cesare vinse la
coalizione a Tapso nel 46 a.C., la Numidia diventa provincia romana con il nome di Africa Nova.
Celebrati a Roma i trionfi sulla Gallia, Egitto e Giuba, nel 45 a.C. andò in Spagna per rispondere alla
riorganizzazione delle forze pompeiane e a Munda ottenne la vittoria definitiva contro i figli di
Pompeo (Gneo Pompeo e Sesto Pompeo). Cesare era ormai padrone di Roma e dell’Italia.
La dittatura di Cesare e la fine della democrazia antica

Cesare instaura una dittatura a vita, essendo l’unico padrone dell’impero, e così mese fine ad una
esperienza di partecipazione politica allargata. Dall’anno 49 a.C. a Cesare furono concessi i pieni
poteri con strumenti che volevano essere istituzionali, ma in maniera confusa e frettolosa.
Contemporaneamente, in certi periodi, era dittatore e console, e così poteva decidere della guerra
e della pace, di raccomandare candidati alle magistrature. Le sue iniziative di politica interna, con
un programma popularis, lo portò a promuovere una legge che alleviava i debiti, richiamo in patria
di esiliati e ripristino dei pieni poteri politici ai figli dei proscritti, una nuova legge frumentaria, e
poi aumenta il numero dei senatori da 600 a 900 membri, assegna ai suoi veterani terre private
nelle colonie, e tra il 45 e il 44 a.C. la sua concentrazione di potere è tale da non essere
controllabile. Una Lex Rubria del 49 concedeva la cittadinanza romana a Transpadani e Cispadani
che ancora non l’avessero. Riformò il calendario astronomico regolando le annualità bisestili.
Cesare guardava ad Oriente e la vicinanza di Cleoprata col figlio Tolomeo Cesare non alleggeriva la
situazione. Per tutto questo non fu difficile organizzare una congiura contro di lui da parte dei
repubblicani legati alla libertas, i pompeiani rimasti in Italia e anche di coloro che gli erano vicini.
Il tiranno fu ucciso il 15 marzo del 44 a.C. da un gruppo ristretto di senatori romani capeggiati da
Marco Bruto, figlio di Servilla, amica di Cesare, da Decimo Bruto e Gaio Trebonio, mentre stava per
partire verso l’oriente per vendicare la morte di Crasso.
L’ascesa di Ottaviano
Cicerone propose un compromesso che prevedeva che tutti gli atti di Cesare dovessero essere
riconosciuti e nello stesso tempo di non perseguitare coloro che lo ebbero ucciso, i cui seguaci
incominciavano a lasciare la città. Al funerale di Cesare gli vennero riconosciuti gli onori pubblici,
ma ci fu una rivolta, venne appiccato il fuoco sulle istituzioni ad opera della plebe urbana, in
quanto Cesare voleva lasciare loro somme di denaro molto consistenti, e così i 3 cesaricidi, isolati,
per paura, scappano. Appena due anni dopo il suo assassinio, il Senato lo deificò ufficialmente,
elevandolo a divinità, grazie alla proposta di Ottaviano.
Dal testamento lasciato da Cesare, si afferma che il suo successore dovesse essere Gaio Ottavio
(Ottaviano), suo pronipote, figlio di una nipote, che nel contempo adottava, che seppe la notizia
quando era in Grecia, aspettando la spedizione di Cesare e, in preda all’ira, decise di tornare subito
in Italia. L’adottato prende l’onomastica dell’adottante più il suffisso -ano quindi da Gaio Ottavio a
Gaio Giulio Cesare Ottaviano.
Il personaggio più importante in questo momento era Marco Antonio, un militare dell’esercito di
Cesare, abile condottiero e con grandi doti politiche, che nel 44 a.C. divenne console.
Il testamento di Cesare scompaginò le pretese di successione e ridimensionava Antonio. Cicerone
cercò di portare dalla parte sua Cesare Ottaviano, ma non comprese che i due contendenti
ambivano ad un potere personale verso cui puntavano sia il popolo e sia l’esercito. Allora Antonio
pensò di rafforzare la sua posizione e controllare da vicino l’Italia facendosi assegnare per legge la
Gallia Cisalpina (assegnata da Cesare a Decimo Bruto) invece della Macedonia (a lui prima
destinata). Antonio mosse contro Decimo Bruto, assediandolo a Modena. Cicerone con le
Filippiche si mise ad attaccare Antonio ed ottenne dal Senato la dichiarazione di, per Antonio e
l’invio contro lo stesso dei due consoli in carica; ad essi si aggiunse Ottaviano con un esercito
personale. Antonio venne sconfitto presso Modena e si rifugiò dal comandante romano Lepido,
che muoveva dalla Narborense. I due consoli feriti morirono e Decimo Bruto fu ucciso mentre
fuggiva sulle Alpi diretto in Oriente.
Fin da subito Ottaviano comincia a combattere con estrema dedizione per poter riuscire a
ricoprire anche dal lato politico l’eredità lasciatagli da Cesare. Compie il primo atto rivoluzionario
successivo alla morte di Cesare con un nuovo passaggio del Rubicone in armi, senza giustificazioni
plausibili. Puntando al consolato, che il Senato rifiuta di concedergli, marcia con le sue legioni su
Roma (ultima marcia), formate da veterani cesariani. Subito venne eletto console con il cugino
Q. Pedio. Con la lex Pedia viene annullata l’amnistia e istituiti i tribunali speciali per ricercare e
punire gli uccisori di Cesare. Intanto le legioni di Antonio e di Lepido invece di scontrarsi
solidarizzarono riconoscendosi tutti come veterani di Cesare; i generali cesariani, Lepido, Planco e
Pollione, si accordarono con Antonio. Lepido, che fu l’artefice di questo accordo, promosse un
incontro fra Antonio e Ottaviano, uniti entrambi dalla comune mira contro i cesaricidi.
Ottaviano e il 2° Triumvirato
L’accordo fra Marco Antonio, Ottaviano e Lepido venne istituzionalizzato con una legge (non fra
privati come nel 60 a.C.) e quindi con una finalità e doveva durare 5 anni (Lex Titia nel 43 a.C.). Con
un editto si ricorse al metodo delle proscrizioni, che stabilivano chi fosse stato l’artefice del
cesaricidio e i suoi complici/seguaci (furono uccisi 300 senatori e 2.000 cavalieri, e confiscati i loro
beni). L’eliminazione del ceto medio dirigente permetteva così l’assegnazione ai veterani dei
territori confiscati.
Cicerone venne catturato e ucciso mentre tentava di scappare, e con lui venne sconfitto il suo
progetto e fu perduta irreversibilmente l’autonomia senatoria.
Occorreva sottrarre l’Oriente a G.Cassio e M.Bruto, su cui avevano imposto localmente un loro
forte potentato. Ottaviano ed Antonio mossero quindi verso la Grecia. La guerra si combatté in
Macedonia e nelle due battaglie a Filippi nel 42 a.C. - Cassio e Bruto, sconfitti, si suicidano.
Nuove spartizioni dell’impero, in conseguenza della riconquista delle province orientali:
- Marco Antonio: Oriente e Gallia Transalpina
- Lepido: Africa
- Ottaviano: Le Spagne e con la prerogativa di restare in Italia ebbe il compito di assegnare ai
veterani di guerra (con i quali strinse particolare rapporti di amicizia) i territori confiscati di 18
città più ricche e grandi d’Italia (es. Mantova, Cremona).
Guerra di Perugia: la protesta del 41 a.C dei cittadini spodestati di tali territori, con a capo il
console Lucio, fratello di Antonio, e da Fulvia, moglie di Antonio, sfociata in una vera rivolta
militare. Ottaviano intervenne contro gli insorti di Perugia; la città venne assediata e saccheggiata:
Fulvia trovò riparo presso il marito Antonio, e su Lucio non si infierì.

Un altro nodo da affrontare era rappresentato da Sesto Pompeo, figlio di Pompeo Magno, che era
in Sicilia con una grande flotta, allora i triumviri lo inserirono tra i proscritti nonostante egli non
c’entrasse nulla con l’omicidio di Cesare, in quanto non era neanche a Roma quando accadde. Egli
cerca di trovare accordi, ma ha sempre delle risposte negative, così con l’aiuto anche dei reduci
delle battaglie di Filippi e di Perugia, comincia a bloccare le navi nel Mediterraneo che portavano
grano a Roma e i rifornimenti per le battaglie.
I rapporti tra Ottaviano ed Antonio si inaspriscono e attraverso l’amico di Ottaviano, Mecenate, si
arriva ad un nuovo accordo fra i triumviri nel 40 a.C., sancito con il matrimonio di Antonio (vedovo
di Fulvia) con Ottavia, sorella di Ottaviano:
- Marco Antonio: l’Oriente;
- Lepido: l’Africa
- Ottaviano: l’Occidente.

Le ostilità fra Marco Antonio e Ottaviano furono sospese perché incombeva il pericolo di Sesto
Pompeo: e nel 37 a.C. a Taranto stabilirono di prolungare il loro accordo per ulteriori 5 anni.
Intanto Sesto Pompeo aveva ripreso gli atti di pirateria nel mediterraneo e quindi si venne allo
scontro con Ottaviano, che ebbe bisogno della flotta di Antonio. La guerra contro Sesto Pompeo fu
affidata a Marco Agrippa, console nel 37 a.C., che nel 36 a.C. a Milazzo consegue una vittoria di
contro ed infine a Nauloco vicino allo stretto della Sicilia. Sesto Pompeo si rifugia in Oriente
cercando di trovare un accordo con Marco Antonio che tuttavia non riuscì a concretizzare e così
venne ucciso da un legato dello stesso Antonio.
Lepido, a seguito della mutazione della situazione in Occidente, perse l’Africa e la carica di
triunviro, e si ritira dalla vita politica-militare divenendo Pontefice Massimo a vita.
I due personaggi presenti adesso sulla scena sono Ottaviano e Marco Antonio, ma la tendenza
politica e sociale dei tempi portava verso il potere personale: solo uno doveva essere vincitore ed
avere l’imperium su tutta la res pubblica.
In Oriente, dopo Cesare, anche Antonio fu affascinato da Cleopatra, che, ucciso il fratello Tolomeo
XIII, regnava in Egitto con il figlio Tolomeo Cesare. Antonio e Cleopatra nel 41-42 a.C. ebbero due
gemelli Alessandro Helios e Cleopatra Selene. Antonio ritornò da Cleopatra nel 27 a.C., e nel 36
a.C. diede il via alla guerra contro i Parti, che sconfisse definitivamente nel 34 a.C. con la presa del
trono dell’Armenia. La vittoria fu celebrata in stile e con il lusso orientale e con altre assegnazioni:
- A Cleopatra: La Fenicia, Cipro e la Celesiria;
- Al figlio Alessandro Helios: l’Armenia
- A Tolomeo Cesare (figlio di Cesare e Cleopatra): la Siria e la Cilicia;
- Alla figlia Cleopatra Selene: la Cirenaica.
A Roma, il Senato non confermò gli atti di Antonio. Nel 32 a.C. il triumvirato scade e Ottaviano non
era in una situazione sicura in quanto aveva contro Marco Antonio e i 2 consoli messi da lui al
comando, così Ottaviano attua una sorta di colpo di stato ed allora i 2 consoli scappano e
raggiungono Marco Antonio.
La rottura definitiva anche personale tra i due triunviri era maturata già nel 35 a.C. quando, al
momento dello scontro con Sesto, Ottaviano aveva mandato in aiuto ad Antonio truppe molto
insufficienti e questo fu il motivo che trovò Antonio per ripudiare la moglie Ottavia rimandandola
indietro ad Ottaviano: una macchinazione di Cleopatra ed una umiliazione per Roma. Era la guerra,
dichiarata solamente a Cleopatra come nemica esterna.
Lo scontro finale tra Antonio e Ottaviano si combatté ad Azio sulle coste dell’Epiro nel 31 a.C.,
vinse lo schieramento di Ottaviano con l’esercito comandato di Agrippa, anche perché le flotte di
Marco Antonio che erano state organizzate da Cleopatra, temendo la disfatta si ritirarono. Poco
dopo Marco Antonio si suicida e in seguito anche Cleopatra perché capì che l’Egitto era ormai nelle
mani di Roma. La dinastia tolemeide (eliminato anche Tolomeo Cesare, figlio di Cesare) finì l’ e
l’Egitto divenne provincia romana
Nel 30 a.C. Ottaviano tornò a Roma e si concentrò a far tornare la pace nel territorio divenendo
unico console negli anni successivi.
In seguito prende forma un nuovo ordinamento politico: il Principato.

Le nuove annessioni all’Impero da Oriente a Occidente


La 1^ guerra mitridatica
Nel 112 a.C. Mitridate VI divenne re del Ponto, nella provincia Asia, dopo lo scioglimento del
regno di Pergamo. Il suo progetto di espansione prevedeva l’invasione dell’intero Ponte Eusino,
dove Roma aveva alleati nella Bitinia e nella Cappadocia.
Mitridate intervenne in questi territori deponendo i re filoromani che governavano quei territori.
Allora Roma nel 90 a.C. mandò una commissione capeggiata da Manio Aquilio che ristabilì sul
trono i vecchi sovrani. Roma, attraverso il re della Bitinia, provocò con scorrerie nel Ponto la
reazione di Mitridate che, dopo aver chiesto ragione a Roma, dichiarò guerra. Mitridate,
rievocando la sollevazione antiromana avvenuta ai tempi di Perseo e confidando in una sua azione
carica di una forte ideologia antiromana, riuscì a riconquistare subito la Bitinia, guadagnandosi così
anche l’alleanza di Atene e Delo. Migliaia di cittadini romani ed italici furono massacrati. Solo Rodi
resterà fedele a Roma. Silla, dopo aver recuperato il suo imperium in Oriente, nell’87 a.C. sbarcò in
Epiro, muovendo verso Mitridate che intanto aveva invaso la Grecia. Silla, assediata e conquistata
Atene, si scontrò vittoriosamente con l’esercito di Mitridate nell’86 a.C. a Cheronea e in Beozia.
Intanto Roma inviò un secondo esercito comandato da L.Valerio Flacco, che conquistò alcune città
d’Asia, fino a scacciare Mitridate da Pergamo. Nell’85 a.C. Silla e lo sconfitto Mitridate conclusero
la pace, con questi obblighi:
- Mitridate doveva rientrare nel Ponto, abbandonando Bitina e Cappadocia;
- Mitridate doveva consegnare la flotta egea;
- Mitridate doveva pagare un’indennità di guerra;
- I regni da lui occupati erano restaurati.

Ma, successivamente Mitridate non abbandonava la Cappadocia. Allora nell’83 a.C. Licinio
Murena, propretore d’Asia, lasciato a capo delle truppe da Silla, riprese le armi contro Mitridate
finché non fu bloccato da Silla nell’81 a.C. e Mitridate infine lasciava anche la Cappadocia.
La 2^ guerra mitridatica
La causa che scatenò la guerra fu la morte di Nicodemo IV re di Bitinia nel 74 a.C.; secondo un
testamento di dubbia autenticità, la Bitinia spettò in eredità a Roma. Mitridate con la presenza dei
Romani in Bitinia temeva di perdere il controllo degli stretti del Mar Nero e, forte dell’alleanza
dell’Egitto e dell’Armenia, invase la Bitinia. La risposta di Roma venne affidata ai consoli L. A. Cotta
e a L. Licinio Lucullo, che conquistò il Ponto mettendo in fuga Mitridate, che si rifugiò in Armenia
presso suo genero Tigrane II. Anche se Lucullo condusse una ineccepibile azione militare, perse il
comando a seguito delle scelte politiche compiute nei confronti delle città d’Asia. Le città greche
d’Asia venivano costrette da Silla al pagamento di esose indennità al termine della 1^ guerra
mitridatica, che si fortemente indebitate. Lucullo intervenne e come generale impedì ai soldati di
depredare, come governatore pose un freno alla rapacità dei publicani che avevano fatto i prestiti,
fissando un tetto massimo per gli interessi, che non dovevano superare l’ammontare complessivo
del debito. Queste decisioni ledevano si posero contro, a Roma, i ceti lesi, e gli fu sottratto il
comando ed al suo posto fu incaricato Pompeo. Rapidamente Pompeo nel 66 a.C. sconfisse
Mitridate che si rifugiò nell’odierna Crimea, mentre indusse alla resa Tigrane d’Armenia.
Pompeo poi passò in Siria e la rese provincia romana, e di lì si diresse in Palestina, dove conquistò
Gerusalemme. Anche la Bitinia e parte del Ponto furono ridotte in provincia. Mitridate,
abbandonato dai suoi alleati, nel 63 a.C. si suicidò. Pompeo tornava a Roma nel 62 a.C. con un
grande bottino di 20.000 talenti, avendo già suddiviso tra i soldati cospicui donativi.
Pompeo avrebbe chiesto al Senato, senza ottenerla subito, la ratifica dei suoi provvedimenti.
La guerra contro i pirati: Roma aveva sconfitto con le guerre illiriche i pirati dell’Adriatico, ma non
l’attività piratesca nel Mediterraneo sud-orientale. In questa zona le basi dei pirati erano a Creta
ed in Cilicia, e creavano molta instabilità muovendosi dall’Egeo fino in pieno Mediterraneo ed a
soffrirne erano i ceti dediti al commercio e alle finanze, ma anche la plebe urbana per la difficoltà
degli approvvigionamenti. Nel 74 a.C. Marco Antonio (padre del triunviro) ebbe l’incarico di
combattere i pirati su tutto il Mediterraneo, ma restò sconfitto e morì prigioniero. I pirati si fecero
più audaci e baldanzosi, e arrivarono a razziare a Gaeta e nel porto di Ostia. Allora nel 69 a.C.
Roma dichiarò lo stato di guerra contro i pirati e le operazioni furono affidate a Q. Cecilio Metello,
che riuscì a conquistare l’isola di Creta. Pompeo, suddiviso il Mediterraneo in 13 settori, richiuse i
pirati nelle loro basi in Cilicia e li sconfisse in tre mesi.
La conquista della Gallia Transalpina: Al termine del 59 a.C. il tribuno Vatinio fece votare una
legge che affidava a Cesare per 5 anni i proconsolato sulla Gallia Cisalpina, Illiria e Gallia
Narbonense. L’espansione romana guardava ormai all’Europa occidentale e continentale. Cesare
raddoppio il numero delle legioni in Gallia tramite reclutamenti di indigeni e dii reparti volontari, e
condusse le sue operazioni militari con le informazioni sui nemici forniti dai mercanti che
precedevano le legioni, spinti da interessi commerciali.
La prima fase delle operazioni militari di Cesare in Gallia si estende dal 58 al 57 a,C., con le legioni
fedeli e fortemente collaborative con Cesare. Si scontrò prima la tribù degli Elvezi e li sconfisse a
Bibracte. Quindi affrontò Ariovisto, re degli Svevi, e lo sconfisse presso Venonzio e lo respinse
oltre il fiume Reno (58 a.C.). Il Reno così diventava il confine tra i Celti Germani e i Celti Galli.
L’ultima spedizione di questa fase fu condotta da P. Licino Crasso che si spinse nell’odierma
Normandia e Britagna.
La seconda fase (56-51 a.C.) inizia con il potenziamento delle legioni a lui affidate. Le operazioni
belliche si svolsero nei territori occupati dai galli lungo la costa atlantica e Cesare riuscì vittorioso
in queste operazioni, anche tramite il combattimento via mare. Ma il campo di battaglia
continentale era il Reno, dove risiedevano le popolazioni germaniche degli Usipeti e Tencteri.
Cesare li sconfisse tra il fiume Mosella ed il Reno, Dopo vi furono due spedizioni in Britagna e
Cesare si spinse fino al Tamigi. Nel 54 a.C. i galli incominciano ad organizzarsi in maniera unitaria.
L’offensiva nel 52 a.C. si fece pericolosa, i galli capeggiati da Virgingetorige, re degli Arverni,
massacrarono a Cenabum i cittadini romani. Allora le tribù degli Edui si unì a quella degli Arverni, e
chiamarono ad unirsi tutte le tribù galliche per preparare un’offensiva congiunta. Cesare
concentrò il suo sforzo contro Virgingetorige e gli eserciti di soccorso, il quale si arrese davanti
all’inevitabilità della sconfitta. Nel 51 a.C. Cesare organizzò la provincia della Gallia Comata. Fino al
50 a.C. Cesare sottomise tutta la Gallia. Durante il trionfo di Cesare nel 46 a.C. Virgingetorige sfilò
in catene, emblema epocale della potenza di Roma, e successivamente venne ucciso.
Così Cesare e Pompeo avevano accresciuto l’Impero su nuovi e decisivi fronti in maniera
imponente. Nel 50 a.C. si capì che il potere a Roma doveva giocarsi fra di loro.

11. Fra crisi e rivoluzione: le strutturazioni


PARTE QUARTA – LA ROMA DEI PRINCIPI
IL PRINCIPATO (27 a.C. - 285 d.C.)

12. AUGUSTO

Augusto (63 a.C. - 14 d.C.)

I poteri di Augusto
I poteri di Augusto si vennero ampliando e precisando nel tempo. Dal 43 al 33 a.C., quindi per 10
anni di seguito, tenne l’imperium triunvirale, dal 31 al 23 a.C. ricoprì la carica di console; nello
stesso 23 a.C. , lasciando il consolato, ottenne l’imperium proconsolare. Dal 19 a.C. Augusto aveva
in realtà un imperium completo. Agusto stesso, nel Res Gesta, chiarisce che quanto a potestas non
aveva avuto più di coloro che si era trovato ad avere come “colleghi” nelle singole magistrature,
ma di essere stato a loro superiore per auctoritas, quindi l’imperium gli dava la possibilità di avere
potere in ogni ramo civico e militare, e l’auctoritas rendeva questo potere superiore a quello degli
altri.
Il termine “Augusto” deriva dal momento in cui Ottaviano Augusto venne chiamato Princeps. Nel
27 a.C. c’è la prima tappa di definizione del principato e inizio dell’impero. Gli viene attribuito
l’imperium proconsulare sulle provincie non pacificate (in cui erano stanziati gli eserciti) e la
denominazione di Augusto (termine sacro) in quanto egli restituì il poter della Res Publica al
Senato e ai cittadini romani, e per omaggiarlo gli venne offerto oltre che il cognome prima citato
anche il consolato fino al 23 a.C., anno della seconda e ultima tappa della definizione di principato,
durante il quale ebbe la piena tribunicia potestas (senza essere tribuno), che oltre a dargli
l’inviolabilità (sacrosanctitas) e ulteriore credito morale (auctoritas) che utilizzò per l’attività
normativa.
Aspetti principali delle istituzioni (senza contenuto):
1) Riforme istituzionali: definizione dei poteri del principe dentro il quadro delle istituzioni
repubblicane, che rimanevano le stesse (Senato, magistrature, ecc.);
2) Riassetto territoriale e amministrativo dell’Impero, con tendenza a burocratizzare le funzioni
pubbliche prima essenzialmente politiche;
3) Riforme relative agli ordini superiori:
- raddoppio delle coppie dei senatori annuali;
-le assemblee popolari continuano ad avere una funzione legislativa, ma si va verso
l’esautoramento;
-la funzione giudiziaria dei comizi tende ad essere assorbita dall’apparato di governo del
principe o presso il principe stesso.).
- la funzione elettiva passa al solo Senato.
Il Senato è l’unico organismo della costituzione mista repubblicana che guadagna potere in campo
legislativo, elettorale, giudiziario. Si parlò così di una diarchia, fra Principe e Senato, anche il ruolo
del Senato diventa subalterno in relazione all’ingerenza del principe e del suo apparato che a lui si
forma nei tre settori. Nasce la corte, costituita da parenti, amici, segreterie
L’ideologia del Principato: era l’ideologia de privatus, basata sull’ Auctoritas: sovranità morale di
una persona (preminenza etica).
Nella concentrazione del pubblico, divino e umano, Augusto monopolizzò anche l’autorizzazione a
dedicare monumenti pubblici a Roma, strumento dell’autorappresentazione aristocratica. Solo a
lui toccava il trionfo.
Anche i valori sono piegati sulla figura del principe:
-viene esteso il reato di lesa maestà ad offese recate al principe;
-la maiestatis viene allargata alla domus del principe.

Per quanto concerne la sua successione, nel 17 a.C. Augusto adottò i primi figli maschi della figlia
Giulia e di Agrippa (Gaio e Lucio), ma questi morirono nel 4 e 2 a.C. Allora adottò il figliastro
ClaudioTiberio, figlio di Livia, e Germanico, fatto adottato da Tiberio, assicurando in tal modo una
linea di successione giulia.
Con Augusto iniziava una nuova era, con una predestinazione che, secondo l’aruspicina etrusca,
coincideva con la fine di un ciclo cosmico e l’inizio di uno nuovo, con una cometa, vista, che gli
dava l’avvio. Più tardi, il proconsole d’Asia, Fabio massimo, invitava il Koinòn d’Asia a cominciare il
loro calendario dal giorno genatliaco di Augusto. Ma anche nello stesso nome di Augusto si
intravedeva colui che doveva rifondare la res pubblica. L’idea di Roma si lega all’idea di un
imperium come dominio sul mondo civilizzato e quindi Augusto come conquistatore sul modello di
Alessandro.
In questo periodo si concentrò in Augusto anche un grande potere culturale, poiché il Principato
aveva bisogno di un grande coinvolgimento ideologico, patriottico e religioso, anche unitario dopo
le guerre civili. Nell’ambito culturale ci rifaceva a Mecenate e Virgilio dell’Eneide.

Le strutture sociali : Decaduto l’ordinamento politico-sociale per classi di censo, saranno gli ordines
i nuovi referenti dell’organizzazione pubblica: non il cittadino in quanto tale, ma una struttura già
riservata ad una certa funzionalità statuale; si passa da una società più politicizzata ad una società
più burocratizzata. Sotto il Principato gli ordini maggiori venivano ristrutturati ed entrambi posti
sotto stretto controllo del principe.
Si formarono delle categorie che contraddistinguevano i due ordini:
-L’ordine senatorio comprendeva non solo i senatori, ma anche le mogli ed i figli in linea maschile.
Fece una completa revisione dei componenti l’assemblea e la riportò a 600 componenti. La
carriera senatoria cominciava con una carica di vigintivirato, proseguiva con la questura che dava
l’accesso al Senato. Nella magistratura politica però si insinuava il funzionario amministrativo. Si
aggiungeva nei processi penali la possibilità per i senatori di essere giudicati in Senato dai propri
pari. I simboli di status erano quelli dell’età repubblicana (il laticlavio (tunica di porpora), la fascia
di porpora a banda larga, i posti riservati in teatro):
-Anche l’ordine equestre nel Principato assunse una diversa e precisa fisionomia. Da ceto di
commercianti, appaltatori, operatori finanziari (impegnati nel pubblico solo come giudici nelle
quaestiones), divennero la riserva degli amministratori del principe. I simboli di status restarono
quelli dell’età repubblicana (l’angusticlavio (striscia di porpora), l’anello d’oro, posti riservati in
teatro). La maggior parte dei cavalieri aveva il rango solo a titolo onorifico e non svolgeva carriera
amministrativa.

Augusto pensò di basarsi su una aristocrazia elitaria in quanto a censo, in un momento di forti
rivolgimenti della vecchia aristocrazia di seguito alle guerre civili ed alle proscrizioni. Così la
nobilitas si andava restringendo alle famiglie che avessero avuto un console in età repubblicana o
anche augustea; di fatto le famiglie dei più importanti capi repubblicani erano imparentate con la
domus Augustea. Il Senato divenne una vera e propria nuova aristocrazia, e la sua ascesa
diventava più aperta che in età repubblicana.
Un alto tasso di mobilità sociale si manifesta, sia in Senato che nel ceto dirigente. Per i giovani
cavalieri era più facile raggiungere il laticlavio e la riserva di reclutamento dell’ordine equestre (i
decurioni) formavano quella che potrebbe essere considerato un terzo ordine della società.
L’esercito era il maggior canale di mobilità della società romana perché il servizio militare si basava
sull’elemento provinciale. Anche la liberazione degli schiavi, e quindi l’elemento libertino,
aumentava la mobilità sociale.
Si affermò anche una formale distinzione sociale:
- gli honestiores: i ceti superiori, costituiti dagli ordini senatorio, equestre, decurionale;
- gli humiliores, la massa della restante popolazione.
Si sviluppa in questo contesto il fenomeno del patronato di comunità, per la protezione ed il
sostegno economico dei collegia.

L’amministrazione di Roma e dell’Italia


Augusto con cautela affronta le situazioni di crisi presenti nella città di Roma ed in Italia, che erano
necessarie essere affrontate:
- il ritorno all’ordine ed il ripristino del regolare funzionamento della vita istituzionale da parte
dei ceti elevati:
- un miglioramento delle condizioni di vita da parte della plebe urbana;
- maggiori spazi di inserimento nella gestione del potere da parte delle élite municipali;
- opportunità e coinvolgimento, anche ideologico, dei ceti disagiati italici.
Augusto era ben consapevole della crisi del sistema “repubblicano”, di cui avvertiva i problemi
della gestione di un Impero tanto accresciuto, una struttura della magistratura inefficiente rispetto
agli adempimenti ed i comizi risultavano indeboliti.
Ritenendo il riguardo istituzionale alla sua persona, Ottavia Augusto per guadagnare il consenso
della plebe urbana e dei militari, imposterà la sua azione su 2 livelli:
- quello politico-istituzionale: ripristino della legalità e delle funzioni repubblicane;
- dell’ordine e della salute pubblica: dimensione privata del cives , che si svilupperà intorno alla
città.
Augusto proporrà il passato come soluzione ai problemi presenti e futuri dell’Impero, ma
rivisitandolo nella sostanza.
Il primo campo in cui Augusto intervenne fu l’amministrazione di Roma, che ripartì in vici e
regiones funzionali alla gestione della città. La logica d’intervento sarà sempre quella del
superamento delle soluzioni di emergenza, a vantaggio di una stabilizzazione dei compiti, infatti
Roma rivelava l’esistenza di problemi strutturali (incendi, carestie, inondazioni del Tevere) che
occorreva fronteggiare con risposte generali e durevoli. Quindi costituì nova officia per far
funzionare l’urbe. Tra questi nuovi uffici le curatele, derivante dallo scorporamento di funzioni
dalle magistrature repubblicane, e le prefetture, con funzioni di uffici differenti tra loro (praefecti
urbi, praefecti praetorio, praefecti annonae).
Accanto a queste funzioni di servizio per la res pubblica, vi erano le funzioni ed i compiti legati al
principe ed all’adempimento delle sue incombenze. Fra questi uffici del principe fondamentali
sono state le segreterie imperiali, che nel tempo si trasformeranno in incarichi utili al buon
funzionamento della comunità, divenendo uffici impersonali retribuiti.

L’Italia, secondo un provvedimento di Augusto, venne ripartita i 11 regiones, essenzialmente


funzionali ad operazioni di censimento. Augusto sembra concepite l’Italia come una estensione di
Roma. L’organizzazione amministrativa dell’Italia romana resta quella per città, accresciuta dal
trasferimentp di nuove colonie e dal rafforzamento di quelle esistenti.
Il potere centrale estendeva il suo controllo e la sua direzione su tutta l’Italia in merito a particolari
aspetti, funzionali alla vita economica e politica dell’impero: per es. il sistema viario (cursus
pubblicus), un servizio utile alla trasmissione delle informazioni, allo spostamento di uomini che
svolgevano cariche pubbliche e, forse, anche all’approvvigionamento dell’esercito.
L’area rurale italica era stata anch’essa rimodellata e verrà organizzata in pagi, che vennero estesi
a tutta l’Italia. Si creavano così veri e propri distretti attaverso cui la città amministrava la
campagna ed entro cui trovava collocazione la variegata realtà rurale formata da agri, villae e vici.

L’amministrazione provinciale
Nel 27 a.C. Augustofu individuato dal Senato come responsabile delle provinciae non pacificate. Ne
derivò una nuova organizzazione delle province ,divise in 2 categorie:
1) Province imperiali (provinciae Caesaris): non pacificate, governate da ex pretori ed ex consoli
delegati da Augusto con durata variabile. (Imperium indiretto).
2) Province senatorie (provinciae Populi romani): pacificate, governate da ex pretori ed ex consoli
nominati proconsoli dal Senato tramite sorteggio e con durata annuale. (diretto).
Alla duplice tipologia delle provinciae corrispondeva una duplice modalità di amministrazione e
gestione. Le province imperiali erano rette da un delegato del principe, cooptato dal principe e in
carica per il tempo che egli avrebbe stabilito. Le finanze erano gestite da procuratori equestri.
Le province senatorie svolgevano preminentemente funzioni giurisdizionale (emettevano
sentenze) in maniera itinerante attraverso il territorio affidato alla propria competenza.
Vi erano inoltre province affidate ai prefetti (esponenti dell’ordine equestre), come la provincia di
Egitto, che era la più grande ed importante per l’approvvigionamento di grano per Roma. I
senatori non potevano entrare in Egitto senza il permesso dell’imperatore, poiché era considerata
esclusiva del principe.

Definizione più precisa dell’ordine equestre attraverso una revisione:


- il loro segno distintivo era un anello d’oro;
- Il vertice del loro ordine era formato dalla prefettura in Egitto e la prefettura del pretorio
(comando delle truppe a guardia dell’imperatore).
-Reparto inferiore di cavalleria formato dai decurioni che erano i funzionari che si occupavano di
amministrare e governare le colonie ed i municipi per conto del potere centrale.

Le comunità locali erano contribuenti di Roma (le città avevano la responsabilità della riscossione
delle tasse), diversamente dalle città italiche che godevano dello ius Italicus.

Fuori dell’organizzazione del territorio provinciale, vi era la realtà degli Stati clienti, presenti
soprattutto nelle aree asiatiche ma anche europeo-orientali: si trattava di regni autonomi legati a
Roma da particolari rapporti di amicitia; il potere del sovrano era legittimato da Roma.
Garantivano a Roma una prima difesa dagli attacchi esterni e per questo furono definiti Stati
cuscinetto.

La riforma dell’esercito: Nell’ultimo secolo della repubblica, l’esercito era stato protagonista della
vita politica: le legioni erano legate da rapporto diretto con il proprio comandante e diventava una
potente massa di manovra. Augusto, forte del conferimento dell’imperium sulle provinciae non
pacificate, e quale imperator unico dell’esercito di Roma, era legittimato a procedere alla
riorganizzazione dell’esercito, e lo farà in un disegno di innovazione e recupero.
Mirando a superare l’emergenza anche in campo militare, Augusto rese l’esercito stanziale e
permanente, parimenti fu resa stabile anche la flotta e 2 suoi presidi furono collocati in Italia, a
Misenum e a Ravenna. Ridusse le legioni da 60 a 28, costituite da circa 5.500 uomini, organinizzati
in 10 coorti di fanteria divise in 6 centurie, e 3 turme di cavalieri. Procedette innanzi tutto ad una
sistemazione dei veterani, con il trasferimento nelle colonie ed una elargizione di ricompense al
congedo. Era nato un nuovo soggetto sociale e giuridico: il militare professionista. Venne fissata
una durata del servizio differente a seconda dei corpi militari:
- nelle coorti pretorie: 16 anni;
- nelle legioni: 20 anni, +4 (poi 5) di permanenza nei vexilla veteranorum;
- nella flotta: 25 anni.
Per ricompensare il soldato per aver speso la sua vita nell’esercito, Augusto istituì l’aerarium
militare (una cassa militare destinata a pagare una sorta di liquidazione a chi si fosse congedato
con congedo regolare (honestia missio). La cassa era alimentata dagli introiti di nuove tasse
(sull’eredità e sulle vendite all’asta). Il premio poteva consistere in un lotto di terra o in una
somma di denaro. Inoltre il veterano al congedo acquisiva anche una serie di prerogative, come lo
ius connubi, l’immunità dalle cariche pubbliche, la cittadinanza romana per loro e forse per i figli.
L’esercito nella sua articolazione interna presentava una distinzione: legioni formate da cives
(cittadini) e le truppe ausiliare di non cives (le ali della cavalleria e le coorti di fanteria). Nel 27-26
a.C. Augusto istituì le coorti pretorie, dispiegate in tutta Italia, per evitare la pericolosità di un
numeroso contingente in armi nella città. Inoltre istituì a Roma il corpo dei vigili, a causa
dell’emergenza incendi a Roma. Istituì anche dei corpi speciali per svolgere servizio di guardia
all’imperatore ed alla sua domus.
Venne istituita inoltre una gerarchia militare: durante le parati militari le legioni sfilavano davanti,
seguivano le truppe ausiliari. Nella guarnigione urbana le coorti pretoriane erano più importati
delle coorti urbane e dei vigili. Nella gerarchia militare la flotta occupava l’ultimo gradino.
In conclusione si osserva che il quadro istituzionale mutò i rapporti e le relazioni
militares/imperator nell’esercito di Roma. Il principe imperatore era diventato il solo ed unico
imperator, esclusivo degli auspicia. Tuttavia, però, era lontano fisicamente dagli eserciti, e questo
poteva generare insubordinazione. L’esercito stanziale sarà la principale fonte di integrazione nel
corpo dell’impero e di romanizzazione dell’Europa con la formazione di città e strade attorno agli
accampamenti.
Le nuove conquiste
Il Principato di Augusto vide una intensa attività militare che si concretizzò con l’acquisizione di
nuove province. Augusto gestì gli impegni militari come aveva gestito i problemi politico-
istituzionali: stabilizzazione dell’emergenza e delega di poteri e funzioni, affidando a uomini a lui
vicino, tra i quali Agrippa, Tiberio e Druso, le campagne militari sotto i suoi auspicia.
In Occidente completa conquista della penisola iberica (26-25 a.C.) con l’annessione dell’Asturia e
della Cantabria. Si rivolse anche alle aree alpine, sia al fine di una difesa dell’Italia e sia per la
definizione di reti viarie di comunicazione anche allo scopo di promuovere commerci. Grazie a
Tiberio e Druso completa la conquista della corona alpina e si apre un valico per la Gallia.
Proseguendo in Europa arriva fino al fiume Danubio con l’acquisizione della Pannonia, in seguito
divisa in Pannonia e Dalmazia, lasciando intuire una campagna militare in Germania.
Ma la conquista continentale dell’Europa incontra molte difficoltà e sconfitte (in Boemia contro
Marobuduo e a Teutoburgo contro Arminio). Dopo queste sconfitte, in cui andarono perse molte
legioni, cavalleria e coorti, Roma sancì la fine dell’espansione in quelle aree, dettata specialmente
in relazione ai costi elevati dell’operazione, soprattutto in termini militari.
In Oriente Augusto scelse la via diplomatica per esprimere l’imperium di Roma: alleanze trattati,
protettorati. Con il grande impero dei Parti fu trovato un accordo e nel 20 a.C. Tiberio, inviato in
Oriente, riuscì a farsi riconsegnale dal re dei Parti le insegne romane prese a Crasso e ad Antonio,
evento che Augusto propagandò come successo militare. Con l’Armenia, che invece era un’area
difficilmente controllabile e dove si alternavano imperatori filoromani e filopartici, si concluse con
l’imposizione di un re filoromano, Tigrane (20 a.C.). La Galazia nel 25 a.C. alla morte del re divenne
provincia romana.
Il confine dell’impero venne definito “Trifluviale” (Reno, Danubio, Eufrate). Augusto aveva
definitivamente aperto il fronte del centro dell’Europa ed assicurato le vie di rapporti con
l’Estremo Oriente, che saranno ridefinite e completate dai suoi successori.
13. IL PRINCIPATO NOBILIARE
Dinastia Giulio-Claudia (14 - 68 d.C.)
Tiberio (14 - 37 d.C.)
Il problema della successione di Augusto si poneva perché egli non aveva figli maschi ma solo una
figlia femmina Giulia, che inizialmente sposò suo nipote, Claudio Marcello, il quale morì subito e
così decise di far affidamento sul suo generale fidato Agrippa, il quale però poco dopo le
campagne in Austria morì. Comunque riuscì ad avere dal generale 2 figli di nome Gaio Cesare e
Lucio Cesare, ma dopo una decina d’anni a poca distanza l’uno dall’altro, morirono entrambi. Così
Augusto pensò ai 2 figli che aveva avuto la sua ultima moglie Livia, Tiberio e incinta di un
altrofiglio. Pose la sua attenzione su Tiberio e lo adottò come figlio illegittimo e lo indusse a
sposare Giulia la quale venne poi accusata, insieme a sua figlia Giulia Minore di reato di adulterio e
fu esiliata. Viene attribuito a Tiberio, con un senatus consultum, l’imperium maius mentre prima,
alla morte ed alla pari di Augusto, aveva l’imperium aequum, l’imperium proconsolare e tribunicia
potestas. In effetti, fu stabilito che il Principato era ormai il regime di governo di Roma.
Tacito, Svetonio e Cassio Dione, descrivono Tiberio come un dissimulatore (ipocrita), un tiranno
sanguinario e corrotto, mentre il suo contemporaneo Patercolo lo descrive come un benefico e
magnanimo salvatore della patria. Una visione imparziale dei suoi atti e dei suoi discorsi, invece, lo
mostra come un principe, per quanto introverso, equilibrato e rispettoso delle leggi, sulla linea
formale di Augusto, almeno fino alle epurazioni dei suoi ultimi anni.
Durante il suo governo (14-16 d.C.) ci fu un ammutinamento delle legioni romane in Germania e
Pannonia, per il conferimento dell’imperium a Tiberio, perché volevano decidere loro chi dovesse
essere il loro imperator ed anche perché volevano migliori condizioni di servizio. Germanico fu
acclamato, ma questi restò fedele e leale a Tiberio e sedò la rivolta, Nel 18 d.C. dopo essere
tornato a Roma, Germanico viene inviato in Oriente, per risolvere diverse questioni con i Parti, con
un Imperium Maius rispetto al governatore siriano Pisone, nominato prolegato da Tiberio.
Fra i due sorsero subito attriti personali ed anche per i diversi modi di concepire i rapporti di Roma
con la cultura orientale. Germanico in circostanze misteriose muore per una malattia lì contratta,
nel19 d.C.; ciò fa pensare ad un possibile avvelenamento da parte di Pisone, che in seguito al
malcontento popolare viene chiamato in giudizio da Tiberio, nonostante fosse suo amico, in
Senato, per avviare un processo contro di lui. Il processo terminò dopo il suicidio dello stesso nel
20 d.C, con una sentenza di condanna per l’ostilità di Pisone, pur se non era stato dimostrato
l’avvelenamento.
Morto Germanico, restava come candidato alla successione Druso II, figlio naturale di Tiberio.
Druso II morì però nel 23 d.C. e Tiberio presentò allora in Senato i primi due figli di Germanico e
Agrippina, Nerone e Druso III, come giovani suoi successori. A questo punto emerge la figura di
Seiano, da tempo nella corte e in possesso della fiducia di Tiberio, prefetto del pretorio, che della
milizia cittadina ne aveva fatto uno straordinario mezzo di pressione politica,
Tiberio ad un certo punto del suo impero, si ritira e va a Capri nel 27 d.C. lasciando la gestione a
Roma ad un prefetto chiamato Seiano. Si credeva che lo stesso volesse impadronirsi del potere e
per questo fu attuato un processo e venne fatto uccidere 31 d.C. Tiberio adotta un nuovo
ordinamento della Domus all’interno della quale vi erano i liberti al servizio del principe, quindi
avevano più importanza. A partire da lui le elezioni dei magistrati si spostano dai comizi al senato.
Tiberio si muoveva in continuità con le direttive di Augusto. Il figlio Druso, muore prima dello
stesso e quindi Tiberio muore nel 37 d.C. senza erede politico. I pretoriani acclamano come
imperatore l’unico figlio di Germanico, cioè Gaio, detto Caligola. Caligola (37 - 41 d.C.) Il suo nome
deriva dal sandalo che portavano i soldati in battaglia. Introdusse elementi di monarchia orientale
come la venerazione del sovrano, influenzato dal modello tolemaico. Dopo una serie di spese folli
e il voler impiantare una sua statua nel tempio di Gerusalemme, venne ucciso, anche per eccesso
di dispotismo che mostrava nella stessa Roma nel 41 d.C. da una congiura. Ciò placò gli animi dei
giudei che stavano attuando una rivolta. Finisce la dinastia Giulia. Alla sua morte i pretoriani
designano come principe un fratello di Germanico, cioè Claudio.
Claudio (41 - 54 d.C.)
Allievo di Tito Livio per quanto concerne la storiografia, fu un imperatore sorprendente sebbene lo
si considerava un uomo debole in quando si faceva condizionare molto dalle sue mogli. Tuttavia fu
un grande uomo di governo, in politica estera si ha la conquista della provincia di Britannia nel 43
d.C. sotto il profilo amministrativo, organizza gli uffici centrali dell’impero e li affida ai suoi liberti.
Erano 4: finanziario, per la corrispondenza di lettere, per le petizioni dei cittadini e uno per
preparare i discorsi. I liberti quindi assumono un ruolo molto più importante rispetto a quello della
dinastia Giulia. Un aspetto innovativo fu la spinta all’integrazione delle popolazioni provinciali,
concedendo loro la cittadinanza romana. Ad un certo punto, un gruppo di notabili Galli (primores)
chiese di poter essere ammesso al Senato e Claudio fece un gran discorso nel 48 d.C. ricordando ai
senatori che erano contrari all’approvazione, che la città di Roma nacque includendo popolazioni
dei territori vicini e con l’incremento degli schiavi. Quindi non impone né limitazione etnica, né
sociale. Il Senato non si convinse ugualmente ma il processo andò comunque avanti. Le donne più
influenti nella sua vita furono Messalina e Agrippina, la quale nonostante fosse sua nipote, riuscì a
farsi sposare dallo stesso, sebbene prima ciò non fosse possibile 49 d.C.. Così lo convinse anche ad
adottare suo figlio Nerone come illegittimo 50 d.C.. La stessa lo avvelenò e fece salire al potere
Nerone quando aveva appena 17 anni.
Nerone (54 - 68 d.C.) Nel principato di Nerone si distinguono 2 fasi: il quinquennio felice di
accordo con il Senato, in cui egli è influenzato dal suo maestro Seneca e un prefetto di nome
Burro. La seconda fase avviene quando egli si svincola dall’influenza della madre fino ad ucciderla
59 d.C. Nel 62 d.C. egli ripudia la precedente moglie Ottavia per sposare Poppea. Si succedettero 2
congiure contro di lui, come quella di Pisone nel 65 d.C. che riuscì a sventare, seguirono quindi
numerosi processi contro questi uomini illustri del Senato e fra loro anche Seneca fu imputato e si
suicidò. Nel 67 d.C. compie un lungo viaggio in Grecia, dove partecipa a giochi e altre attività
ludiche. Fece costruire la Domus Aurea, una struttura notevole di grande peso economico e
culturale situata sotto il Colosseo. In seguito si verificò il “Grande incendio di Roma” 64 d.C., per il
quale egli attribuì la colpa ai cristiani e per questo ne uccise qualche migliaia.
Attua una svalutazione del denario, la moneta diminuisce la sua quantità d’argento, rimanendo
tuttavia invariata per quanto riguarda il suo valore. Politica estera: successi da parte di un suo
generale Corbulone dopo la sconfitta con i Parti per il governo in Armenia, tuttavia ottenne che il
re d’Armenia venisse incoronato a Roma. Alcuni governatori provinciali dell’oriente si ribellarono
tra il 67 e il 68 d.C. Il primo fu Galba, che il Senato riconobbe come imperatore, dichiarando
Nerone nemico pubblico dell’impero, quest’ultimo tenta di scappare e in seguito si fa uccidere da
un suo schiavo. Galba non venne accettato dai pretoriani i quali lo uccidono e eleggono al suo
posto Otone. Le regioni germaniche non riconobbero Otone come loro imperatore, proclamando
come loro imperatore Vitellio. Avvenne quindi uno scontro fra le truppe di Otone e Vitellio a
Cremona con la vittoria di Vitellio e Otone si suicida. Emerge un altro candidato al trono, il
generale Vespasiano che era in Giudea (protettorato romano) per placare le rivolte. In seguito al
successo che ottenne in questa regione, fu proclamato imperatore. Scontro fra Vitellio e
Vespasiano sempre a Cremona con la vittoria di quest’ultimo che arriva per governare a Roma nel
70 d.C.
Dinastia Flavia (69 - 96 d.C.)
Vespasiano (69 - 79 d.C.) Famiglia di origini equestri, c’è un rinnovamento del Senato in cui
entrarono per la prima volta esponenti dei ceti dirigenti italici.
Lex de imperio Vespasiani: iscrizione che contiene un senatus consultum che attribuisce a
Vespasiano la tribunicia potestas e tutti i poteri dei precedenti imperatori, inoltre poteva mettere
in atto ogni provvedimento che ritenesse utile per la res publica, così come Augusto, Tiberio e
Claudio. Fu molto attento a mettere in sesto le casse della res publica che erano vuote dopo le
guerre civili che si verificarono, aumento le tasse provinciali, recuperò i subseciva ovvero pezzi di
terreno pubblico avanzati dalle spartizioni precedenti. Aveva ottimi rapporti con la classe
senatoria, favorì l’accrescimento dell’aristocrazia provinciale e quindi indirettamente anche il
processo di provincializzazione del senato.
Politica estera: concluse la battaglia di Gerusalemme iniziata nel 67 d.C. fece capitolare i giudei
definitivamente con la presa della città nel 70 d.C. e ci fu anche la distruzione del tempio. Ciò
determinò la dispersione degli ebrei nell’impero e quindi la prima “diaspora”. Lo succedette suo
figlio Tito.
Tito (79 - 81 d.C.) Tito ricevette già nel 71 d.C. la tribunicia potestas, inoltre fu 7 volte console sotto
l’impero del padre. In seguito ad alcuni incedi che si verificarono e l’eruzione del Vesuvio con la
successiva distruzione di Pompei 79 d.C., attuò un importante processo di ricostruzione edilizia e
inaugurò il Colosseo che fu iniziato sotto la guida del padre. Aveva ottimi rapporti con il Senato.
Morì di morte naturale nell’ 81 d.C. Lo succedette suo fratello Domiziano.
Domiziano (81 - 96 d.C.) A differenza dei suoi successori dinastici, ebbe pessimi rapporti con il
Senato perché utilizzò fin da subito una forma di governo autocratica. In seguito a ciò si
verificarono alcune rivolte come quella di Saturnino che venne rapidamente domani e sedata sul
nascere con l’uccisione e la confisca della sua proprietà 89 d.C.
Politica estera: Dopo la sconfitta dei Catti 83 - 85 d.C., ampliò il limes (frontiera fortificata),
mandando una spedizione 85-89 d.C. contro il re della Dacia (Romania), Decembalo, che risultò
vittoriosa ma non risolutiva. Viene ucciso da una congiura interna al suo palazzo, quello reale,
causa malcontento senatorio, nel 96 d.C. Viene incluso nella “damnatio memoriae” ovvero una
condanna senatoria che prevedeva che il suo nome dovesse essere cancellato dalle iscrizioni e
distruzione di qualsiasi traccia che potesse essere tramandata. Sappiamo inoltre che dalla dinastia
Flavia l’Italia entra in crisi economica per la concorrenza provinciale, in particolare, produzione di
olio in Spagna. Il senato prende l’iniziativa di indicare il successore, un vecchio senatore chiamato
Nerva. Da Domiziano gli imperatori perdono il ruolo di censore a causa dei suoi misfatti i e degli
omicidi commessi ingiustamente ai danni dei senatori.
Imperatori adottivi (96 - 117 d.C.)
Nerva (96 - 98 d.C.) Fu l’ultimo principe italico. Per ristabilire l’ordine nell’impero restituì i beni
confiscati e sospese le persecuzioni contro gli ebrei. Istituì un’assemblea di 5 membri per
disciplinare le spese pubbliche. Rientrò in vigore il divieto di matrimonio fra zii e nipoti. Si dedicò
alla cura della città con la risistemazione edilizia in particolare modo degli acquedotti. La situazione
non si mostrò tanto idilliaca, in quanto i pretoriani, legati a Domiziano, si rivoltarono e qui avvenne
il famoso discorso di Plinio il Giovane mentre era console di confronto fra Domiziano e Traiano,
screditando il primo. Egli affermava che: Nerva era in procinto di concretizzare un sacrificio a Zeus
ed ebbe un illuminazione che lo portò a scegliere come erede Traiano 97 d.C. Morì per morte
naturale nel 98 d.C.
Traiano (98 - 117 d.C.) Traiano era uno spagnolo, dunque fu il primo imperatore provinciale. Per le
sue innovazioni e operazioni nella politica estera divenne il modello dell’Optimus princeps.
Politica interna: istituì nel 103 d.C. un programma assistenziale chiamato Alimenta italiae, in
favore dei bambini delle famiglie italiche, i quali ricevevano denaro per il loro mantenimento fino
all’età adulta. Il denaro che utilizzava per questo processo lo ricavava dagli interessi su un prestito
agrario che concedeva a dei grandi proprietari.
Politica estera: con Traiano si raggiunse la massima espansione, vennero acquisite nuove province:
Dacia e Arabia a seguito di due guerre 101-102 e 105-106. Venne istituito il Foro Traiano con al suo
interno la Colonna Traiana come risultato del bottino ottenuto. Riprende l’espansione in Oriente
seguendo la linea augusta, con l’annessione dell’Armenia, attaccò i Parti e creò la provincia
equestre di Mesopotamia 113 - 117 d.C. Istituì le terme sulla Domus Aurea. Venne istituita la via
Traiana che portava da Benevento a Brindisi. Scoppio un’insurrezione alle sue spalle e una rivolta
ad opera degli ebrei che lo costrinsero a tornare indietro e sulla via del ritorno fu ucciso. Il
candidato come suo successore fu un suo parente, Adriano, il quale venne subito acclamato
imperatore dai soldati e a ciò seguì la ratifica del Senato.
Dinastia Antonina (117 - 192 d.C.)
Adriano (117 - 138 d.C.) Il secolo che inaugura Adriano è definito il più tranquillo della storia di
Roma. Il primo atto fu sorprendente: abbandonò le ultime conquiste di Traiano, tornando sul
fronte orientale nella situazione precedente. Politica estera di difesa, non viene portato avanti il
progetto espansionistico, arretra e consolida i confini, venne inaugurato il Vallo di Adriano, una
grande muraglia posta nel punto più stretto della Gran Bretagna, utilizzata come linea difensiva e
di confine. Congiura dei 4 consolari: fece uccidere 4 consoli che tentavano di ostacolarlo nella sua
politica difensiva. Fece molti viaggi in tutto l’impero, per conoscenza e per promuovere il modello
di civiltà greco-romano con interventi di abbellimento nelle strutture cittadine, tramite ricavati
delle donazioni e denaro prelevato dalle casse pubbliche.
Rivolta giudaica degli ebrei 133-135 d.C. : Adriano era un filoellenico, quindi non aveva alcuna
sensibilità per gli ebrei. La rivolta avvenne perché si voleva fondare una colonia romana a
Gerusalemme e costruire il successivo tempio per Giove. Grazie allo sforzo militare romano,
unendo numerose legioni la rivolta fu sedata e venne istituita la colonia Aelia Capitolina. Qui
abbiamo la 2° diaspora ebraica. Fece adoperare nei campi militari il “culto della disciplina” e
aggiunse alcune unità speciali di corpi provinciali. Non aveva figli così inizialmente adottò un
senatore suo amico che però morì prima di lui, così né adottò un altro, Antonino al quale impose
però di dover in seguito adottare sia il figlio del primo senatore morto (Lucio Vero), sia il nipote di
sua moglie (Marco Aurelio), il quale sposò l’unica figlia di Antonino.
Antonino Pio (138 - 161 d.C. )Furono gli anni più pacifici e sereni dell’impero, dove Antonino si
limitò a continuare l’amministrazione e il restauro edilizio degli imperatori precedenti e spostare di
120 km a nord il vallo di Adriano nel 142 d.C. Egli si chiamò “Pio”, per l’insistenza con la quale
aveva chiesto al Senato la deificazione di Adriano, il Senato comunque rimase fermo e non
acconsentì, soprattutto per i pessimi rapporti che Adriano aveva con i consoli. Alla morte di
Antonino Pio abbiamo quindi la diarchia formata da Marco Aurelio e Lucio Vero.

Marco Aurelio (161 - 180 d.C.) e Lucio Vero (161 - 169 d.C.)
Abbiamo quindi la prima forma di diarchia nell’impero, dove Lucio Vero era il correggente. Marco
Aurelio ottenne il titolo di “Cesare” che da questo periodo si userà per indicarne il successore al
trono. Fu un imperatore filosofo dello stoicismo, lasciò un opera con il nome “a se stesso”, scritta
in greco. Affrontò situazioni militari complesse. Nel 161 d.C. i Parti misero un esponente della loro
dinastia sul trono d’Armenia e i romani (Lucio Vero) intervennero. Si combattè 161 e il 165 d.C.
vennero impiegati i migliori generali del tempo, ci furono una serie di vittorie e si arrivò fino alla
capitale dei Parti, che venne saccheggiata. Dal punto di vista amministrativo non cambiò nulla,
però lasciarono delle legioni in Mesopotamia. Questa guerra portò la peste ai soldati, che poi si
diffuse anche a Roma e totalizzò la morte del 10% della popolazione. L’altro fronte su cui
combatterono fu quello danubiano 167-175 d.C., dove vi erano i Quadi e i Marcomanni che
sconfinarono nell’impero e si affacciarono ad Aquileia (porta per l’Italia), per la voglia di
saccheggiare e per un fenomeno migratorio che li spingeva sempre più a Sud. Lucio Vero morì nel
169 in illiria . I romani concentrarono sul Danubio un grande esercito il quale riuscì a respingerli e
ci fu il progetto di creare la provincia Boemia ma Marco Aurelio morì sul fronte di peste e il
progetto fu abbandonato. Gli successe il suo unico figlio maschio Commodo.
Commodo (180 - 192 d.C.) Dal 166 d.C. ottenne l’imperium e la tribunicia potestas. Il suo impero
fu un grande periodo di repressioni, congiure e confische di beni. Imperatore amante del piacere,
non fece che aggravare la situazione economica che vi era. Assunse la divinità di Ercole come
punto di riferimento. Dopo questo gesto si verificò una congiura di palazzo simile a quella di
Domiziano e nel 192 d.C. venne ucciso.
Sotto iniziativa del Senato fu nominato imperatore un vecchio console amico di Marco Aurelio. Si
chiamava Pertinace, di famiglia equestre non fu ben visto da tutti, creò un malcontento fra i
pretoriani perché consegnò loro un donativo inferiore alle aspettative e per questo lo uccisero.
In questo periodo l’impero venne messo “all’asta”, chi offriva una maggiore somma di denaro ai
pretoriani poteva ottenere il titolo di Augusto. Il maggior offerente fu Didio Giuliano, un senatore
che durò solo 2 mesi al potere, perché dovette fronteggiare con 2 importanti governatori: Settimio
Severo in Pannonia e Pescennio Nigro in Siria. Il Senato condanna a morte e fa uccidere Giuliano,
schierandosi dalla parte di Settimio Severo. Iniziano 2 guerre civili: la prima fra Settimio Severo e
Nigro e la seconda contro il governatore della Britannia Clodio Albino, con il quale strinse un patto
il quale prevedeva che Albino sarebbe diventato il successore di Settimio Severo.
Dinastia dei Severi (193 - 235 d.C.
Settimio Severo (193 - 211 d.C. ) La guerra contro Nigro fu subito vinta ad Isso nel 194 d.C. qualche
mese dopo essere stato dichiarato imperatore. Scioglie le coorti pretoriane e le ricostituisce con
soldati scelti delle sue legioni. Prima di tornare in Europa compie la 1° guerra contro i Parti 195
d.C. che ebbe esito positivo, la Mesopotamia fu nuovamente provincia romana, affidata ad un
prefetto, dopo l’abbandono di Adriano. Con Clodio ci fu subito la rottura dei rapporti, quando
Settimio nel 195 d.C. nominò successore suo figlio. Lo scontro definitivo si tenne a Lione nel 197
d.C. dove Settimio Severo prevalse. Si autoadottò nella famiglia degli antonini come fratello di
Commodo e il figlio assunse il nome di Marco Aurelio Antonino detto Caracalla. I Severi sono
africani, fu una dinastia militare soprattutto per l’aggravarsi delle pressioni delle popolazioni
confinanti. Riforme militari: aumentò la paga, possibilità di sposarsi durante il servizio militare.
Opere di rafforzamento delle frontiere indirizzate all’offensiva, nel 198 d.C. ci fu una 2° guerra
partica e si arrivò alla capitale la quale venne nuovamente saccheggiata. Gli ultimi anni della sua
vita li passò in Britannia con l’obbiettivo di conquistare la Scozia, ma morì nel corso di una
spedizione a York nel 211 d.C. Sii ritornò al confine costituito dal Vallo di Adriano.
Caracalla (211 - 217 d.C.) e Geta (211 - 212 d.C.) Caracalla fu proclamato Augusto nel 198 d.C. e in
seguito suo fratello Geta nel 209 d.C. Fra di loro vi era una forte ostilità, tuttavia anche con
l’opporsi della madre, Caracalla uccise Geta nel 212 d.C. e rimane unico imperatore facendo
seguire la sua damnatio memoriae. Caracalla è il nome di un mantello con cappuccio che
portavano i galli, venne soprannominato così perché anch’egli lo indossava sempre. L’atto più
significativo del suo impero fu la “costitutio antoniniana” 212 d.C. ovvero la concessione della
cittadinanza a tutti i cittadini dell’impero romano ad eccezione dei dediticii (popolazioni non
urbanizzate). Introdusse una nuova moneta d’argento di denario per la svalutazione, chiamata
l’antoniniano, aveva lo stesso contenuto d’argento del denario, ma era più grande e assumeva un
valore doppio. Politica estera: tra il 216 - 217 d.C. cerca di introdursi in un confitto dinastico fra la
successione dei Parti, ma non riesce e così organizza una spedizione, ma alla vigilia venne ucciso
dal prefetto del pretorio Macrino che procedette con la spedizione e ottenne la pace con i Parti.
Macrino venne acclamato imperatore, ma la situazione precipitò anche perché era di origine
equestre. In questa circostanza si inserisce una donna della dinastia severiana, Mesa, che chiese
all’esercito di schierarsi dalla parte del nipote Marco Aurelio Antonino detto Elagabalo, il quale
(esercito) lo uccise.
Elagabalo (218 - 222 d.C.) Nome di un dio siriano, in quanto egli fu sommo sacerdote in Siria.
Costituì un trauma per la classe dirigente romana in quanto era in contraddizione alle ideologie
politiche e religiose dell’impero, portò inoltre la statua del suo dio a Roma e ne impose il culto. Nel
221 d.C. Mesa fece in modo che Elagabalo adottasse un altro suo nipote, Severo Alessandro che
salì al potere quando l’anno seguente Elagabalo fu ucciso da una congiura di pretoriani.
Severo Alessandro (222 - 235 d.C.) Ci fu inizialmente un periodo relativamente tranquillo
dell’impero che si interruppe negli ultimi anni della sua vita per la repressione sul fronte partico e
quello germanico. Nel 224-226 d.C. l’antica dinastia dei parti si dissolse e venne sostituita da
un’altra, quella dei Sasanidi. Nel 230 d.C. attaccano l’Armenia e sconfinano in Siria e Mesopotamia.
Parte la controffensiva romana che riuscì a respingerli ma non ottenne nessun successo definitivo.
Appena tornò a Roma, 234 d.C. le tribù germaniche sconfinarono anch’esse nelle province galliche
e così fu costretto ad una nuova ripartenza. A Magonza venne ucciso assieme alla madre da alcuni
soldati che erano scontenti del rapporto che aveva con l’esercito e anche perché non avevano
intenzione di continuare la battaglia perché troppo stanchi. Successione degli imperatori durante
la crisi dell’impero. La crisi divenne sempre più profonda, le pressioni degli altri popoli che
sconfinavano, mettevano in grande difficoltà Roma nel 3° secolo e ci si prepara al cambiamento
istituzionale di Roma dal Principato al Tardo Impero Romano, una trasformazione assolutistica,
con l’espansione del cristianesimo. Ciò avvenne dopo una successione di imperatori che regnarono
per pochissimo tempo e ebbero un ruolo molto marginale dal 235 - 284 d.C.
Alla morte di Severo Alessandro (235-238 d.C.) venne eletto imperatore un militare chiamato
Massimino Trace, il quale fu eccessivamente fiscale e severo. Tuttavia ottenne numerosi successi
contro i Germanici e tentò di fermare l’avanzata dei Barbari che cercavano di attraversare il
Danubio. Ciò accadde durante la rivolta della provincia Africana, che acclamò imperatore il proprio
proconsole Marco Antonio Gordiano, che proclamò a sua volta correggente il figlio (Gordiano II). Il
senato li riconobbe entrami e Massimino il Trace divenne nemico pubblico. Qualche settimana
dopo la rivolta fu sedata dalla Numidia che vi era confinante e i Gordiani furono uccisi da coloro i
quali rimasero fedeli a Massimino il Trace.
Il senato a questo punto nomina 2 imperatori scegliendoli dai membri del Senato, Pupieno e
Balbino. Su pressione della plebe scontenta però, viene indicato come successore un nipote di
gordiano che si chiamerà Gordiano III. Massimino il Trace mentre tornava a Roma, venne bloccato
ad Aquileia e così decide di assediare la città. Si verifica una rivolta di soldati contro lo stesso che
provocò la sua morte. L’esercito si arrende al contrasto dei 2 imperatori. Si creano numerosi
conflitti fra i pretoriani e i 2 imperatori che terminano solo con l’omicidio degli stessi e la
proclamazione di Gordiano III come imperatore.
Gordiano III (238 - 244 d.C.) questo impero venne molto apprezzato anche perché si tentò di
ritornare alla tranquillità. Nel 242 d.C. intraprese una spedizione contro i Persiani che avevano
invaso la Mesopotamia. Morì 2 anni dopo a seguito delle molteplici ferite riportate nello scontro
dall’esercito di Sapore.
I soldati proclamano imperatore il prefetto del pretorio Filippo l’Arabo (244 - 249 d.C.) chiamato
così perché nacque nella provincia di Arabia.
Fu mal visto dalla tradizione pagana in quanto era tollerante verso i cristiani e dai filo-cristiani
perché fu un antenato dell’imperatore Licinio, principale nemico di Costantino. Pagò un
indennizzo ai Persiani per ottenere di nuovo la pace. Nel 248 d.C. torna a Roma dove venne
celebrato il 21 Aprile il millenario della fondazione. I Goti attaccano sul fronte Danubiano e
riescono a trionfare grazie a Decio, il quale venne acclamato imperatore dai suoi soldati. Scontro
decisivo fra le truppe dei due imperatori a Verona in cui trionfa.
Decio (249 - 251 d.C.) fu un imperatore di origine Pannonica, attuò una politica religiosa molto
rigida attraverso il culto dell’imperatore. Fu proprio a causa di ciò, quando i cristiani si rifiutarono
di praticarlo che avvenne la prima grande persecuzione cristiana, la quale fu molto dura ma di
breve durata, in quanto si dovette intervenire sul fronte danubiano dove i Goti arrivarono alla
capitale della Tracia (Bulgaria) e Decio cadde in un’imboscata e morì.
Nei successivi anni si verificarono invasioni in Oriente e anche il ritorno della peste. Tra il (251 e il
253 d.C.) le truppe di Mesia proclamano imperatore prima Treboniano Gallo e poi Emilio Emiliano
il quale uccise il primo e venne a sua volta ucciso dalle truppe di Rezia che proclamarono il nuovo
imperatore, Valeriano.
Valeriano (253 - 260 d.C.), divenne imperatore e il Senato decise di associargli anche suo figlio
Gallieno (253 - 268 d.C.). Le decisioni prese dai due riescono a dare un minimo di stabilità
all’impero. Tra il 257 - 258 d.C. ci fu la seconda persecuzione contro i cristiani ad opera di
Valeriano soffermatasi sui membri superiori del clero. Gli uomini furono uccisi e le donne messe a
morte in seguito alla sua cattura, Gallieno sospenderà le persecuzioni e ci sarà un breve periodo di
pace con la chiesa cristiana. Valeriano decide di partire per l’Oriente, mentre Gallieno in
Occidente. Quest’ultimo aveva due figli, il maggiore lo lascia a Illiria e si trasferisce sul Reno. La
spedizione di Valeriano in Oriente fu catastrofica. Sapore re di Persia, sconfinò in Asia Minore e
saccheggiò le principali città. Valeriano viene sconfitto, preso prigioniero e in seguito ucciso.
Questo è il periodo di maggiore crisi dell’impero. Ci fu un conflitto fra gli ufficiali del figlio di
Gallieno che si concluse con l’uccisione dello stesso ad opera di Postumo, il quale estese il suo
potere in Gallia e Spagna. Qui avviene una separazione dall’impero con il cosiddetto “Imperium
Galliarum” 259 - 268 d.C.
Un altro fenomeno di separazione avvenne in oriente, nello stato di Palmira, con Odenato al quale
Gallieno riconobbe il titolo di “Rettore dell’impero d’Oriente”, grazie ai successi che riuscì ad
ottenere contro i Persiani. In questo momento l’impero è diviso in 3 parti. Venne migliorato
l’esercito e si cercò di puntare soprattutto sulla cavalleria. Gallieno nel 267 d.C. riporta una grande
vittoria sui Goti, ma poco dopo a Milano un suo generale si ribellò e così fu assediato. Nel corso di
questo assedio un gruppo di suoi soldati, che lo ritenevano non adeguato al suo ruolo, lo uccisero
e scelsero come successore un militare, Claudio il Gotico.
Claudio il Gotico (268 - 270 d.C.), imperatore di origine illirica, ottiene questo appellativo grazie
alla vittoria decisiva riportata sui Goti nel 269 d.C. Nel 270 d.C. è però vittima della peste e muore.
Gli successe un altro generale che si chiamava Aureliano.
Aureliano (270 - 275 d.C.)
Abbandona la Dacia e si muove verso altri fronti. In Oriente era morto Odenato e l’esercito passò
sotto il controllo della moglie Zenobia e del figlio, che estesero il potere verso l’Egitto. Aureliano
prepara una spedizione e li sconfigge nel 272 d.c e occupa Palmira. Poi torna in Occidente dove
morì Postumo e uccise il successore. La ricostituzione dell’unità imperiale era avvenuta. Fece
coniare delle monete con una scritta incisa sopra in latino “Colui che ha ricostruito l’impero”.
Mentre stava preparando un’altra spedizione per l’Oriente fu assassinato da alcuni militari in una
congiura interna. Negli anni che vanno dal (276 - 284 d.C.) si succedettero alcuni imperatori dal
ruolo e il contributo molto marginale e furono: Tacito, Probo e Caro che associò al suo trono i figli
Carino per l’Occidente e Numeriano che fu ucciso sul fronte Orientale. L’esercito d’Oriente
proclama Diocleziano imperatore che in seguito alla battaglia contro Carino il quale venne ucciso
dai suoi stessi soldati, diventa unico imperatore e inizia la fase del Tardo Impero Romano. La
crescita del Cristianesimo fu molto consistente fra il 2° e 3° secolo. Nel 1° secolo ci fu la crisi della
religione tradizionale, in cui il rapporto del singolo con la divinità era praticamente inesistente. La
gente iniziò a porsi domande sulla ragione dell’esistenza e sulla vita dopo la morte e riusciva ad
avere risposte solo in altre religioni, fra cui il Cristianesimo e il Mitraismo, religione di origine
greca. Il Cristianesimo esercitava un forte senso di comunità fra la gente e a livello di chiesa
generale, chiunque poteva, se aveva problemi, rifugiarsi nelle chiese e chiedere aiuto, in quanto vi
fu anche un forte contributo elargito dalla carità. La chiesa dava all’uomo tardo-antico che viveva
nell’angoscia, un senso di appartenenza.
Impero Tardo-Antico ( 284 - 395 d.C. )
Il passaggio dal Principato all’Impero Tardo-Antico dura 2 generazioni. Fase di monarchia assoluta
che mise da parte l’aspetto del Princeps.
Diocleziano cerca di dare stabilità all’impero evitando il ripetersi delle ribellioni militari, adottando
inizialmente la diarchia e in seguito la tetrarchia. Sceglie accanto a se un ufficiale, con il quale
aveva un rapporto simile alla fratellanza, dichiarato Cesare nel 285 d.C. dopo le pressioni dei
Barbari e altre popolazioni che tentavano l’incursione nei regni dell’impero. Questo ufficiale si
chiamava Massimiano e fu proclamato Augusto d’Occidente nel 286 d.C.
Roma per motivi geo-politici perse il suo potere iniziale, limitandosi a quello storico-identitario. Le
nuove capitali dell’impero furono Nicomedia, Sirmio, Milano e Treveri. Si ebbero 7 anni di diarchia
con notevoli successi militari. Diocleziano si ponevo sotto la protezione di Giove e Massimiano
sotto quella di Ercole, come difesa anche dalle usurpazioni. Tra il 285-292 d.C. Diocleziano vinse in
Mesia e Pannonia contro i Carpi e nel 287 d.C. siglò una pace importante contro i Persiani che
comportò l’ascesa di un re filo-romano in Armenia, infine sconfisse i Sarmati e i Saraceni che
minacciavano la Siria. Diocleziano si prepara alla spedizione in Asia e nel 293 d.C. si allarga il
collegio imperiale, adottando altri 2 Cesari: Galerio adottato da Diocleziano che ottenne una
vittoria dai Persiani e Costanzo Cloro adottato da Massimiano, riconquistò la Britannia e la Gallia.
Tutti e 4 risiedevano in 4 città diverse. Comitatus: era l'esercito mobile degli imperatori romani del
tardo impero stanziati per lo più sui limes (linee di confine). Colono: colui il quale doveva lavorare
la terra del grande proprietario per un contratto che prevedeva la divisione dei prodotti agricoli in
natura.
Riforme di Diocleziano (285-305 d.C.):
-Fiscale: riscossione delle imposte fondiarie, venne stabilita un’unica tassa in base al numero di
abitanti e alla quantità della terra del luogo.
-Amministrativa: le grandi province del principato vengono divise in province più piccole
raggruppate in diocesi per avere un controllo totale, queste province erano poi raggruppate in 12
diocesi ciascuna affidata ad un vicario che la governava. I senatori avevano la prefettura della città,
quella del pretorio e si occupavano della guida delle diocesi.
-Monetaria: nel 301 d.C. stabilisce un calmiere (elenco dettagliato dei prezzi dei prodotti), non
riuscendo però ad ottenere grandi risultati. Istituisce i coloni che servivano per amministrare e
regolare il pagamento delle tasse nelle terre che gli erano state affidate.
-Riforma burocratica: la burocrazia imperiale consentiva delle possibilità di avanzamento sociale a
coloro che avessero però conoscenza del latino, del diritto e della retorica. Vi erano 4 ministri
principali: colui a capo della burocrazia, colui che possedeva l’attività legislativa, colui che
amministrava il fisco, colui che amministrava i beni imperiali.
Politica estera: tra il 303-304 d.C. Diocleziano scatena una violentissima persecuzione contro i
Cristiani. In Occidente fu abbastanza blanda sotto Costanzo Cloro, mentre in Oriente fu molto più
radicale e cruenta, che fu fermata solo nel 311 d.C. da Galerio con un editto di tolleranza noto
anche come editto di Serdica.
Nel 305 d.C. Diocleziano e Massimiano lasciarono il potere e i nuovi augusti furono Costanzo Cloro
e Galerio e cesari Massimino Daia e Flavio Severo. Costanza Cloro muore nel 306 d.C. a Eburacum
e le truppe che in quel momento erano a York, proclamano imperatore suo figlio Costantino, I
tetrarchi gli riconoscono il ruolo di Cesare, mentre Flavio Severo divenne augusto. Nel 307 d.C.
Flavio Severo attua una spedizione disastrosa su ordine di Galerio, contro Massenzio, usurpatore
figlio di Massimiano il quale inizialmente lo imprigiona e dopo qualche mese lo fa uccidere.
Riforma monetaria di Costantino 309-310 d.C.: rivalutazione del prezzo dell’oro, venne coniata un
nuovo aureo forte chiamato “Solidus”.
Massenzio viene acclamato imperatore dalle coorti di Roma, i tetrarchi non lo riconobbero. Nel
311 d.C. muore Galerio e le sue province passano a Licinio che divenne augusto dal 308 d.c per
l’Occidente.
Costantino torna in Italia e sconfigge Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio nel 312 d.C. che
segnò la sua conversione al Cristianesimo. Editto di Milano: nel 313 d.C. Costantino e Licinio si
incontrano e prendono delle misure integrative all’editto precedente di Galerio, come ad esempio
la restituzione dei beni confiscati ai Cristiani, al clero vennero riconosciute delle esenzioni e
immunità fiscali, in questo modo il patrimonio della chiesa accrebbe sempre più, divenendo
imponente.
Costantino divenne governatore dell’Occidente, mentre in oriente regnava Licinio. I due si
scontrarono molte volte e nel 316 d.C. Costantino riuscì a conquistare l’Illiria, dopodiché avvenne
lo scontro definitivo nel 324 d.C. a Crisopoli.
L’impero ha di nuovo un unico imperatore fino al 337 d.C. Nel 325 d.C. si tenne il Concilio di Nicea,
dove venne condannata la dottrina di Ario, la quale affermava che Gesù era una sorta di semidio,
non identificabile con Dio stesso (Arianesimo).
Costantino unico imperatore fonda una nuova capitale chiamata Costantinopoli nel 330 d.C.
situata nel sito di Bisanzio perché definiva Roma una città pagana e anche perché la parte vitale e
ormai più produttiva dell’impero era definitivamente diventata quella Orientale. Le diocesi
vengono raggruppate in 3 prefetture: Gallie, Oriente e Italia annonaria, governate dai prefetti del
pretorio.
Costantino muore nel 337 d.C. , i maschi della sua famiglia vengono tutti uccisi tranne i suoi figli e i
figli minorenni di un suo fratello.
Vennero proclamati augusti i suoi figli: Costantino II (317 d.C.), Costanzo II (324 d.C.) e Costante
(333 d.C.) e il i suoi nipoti Dalmazio e Annibaliano il quale ottenne l’appellativo di Re dei Re, in
quanto Costantino voleva farlo salire sul trono di Ponto dopo la vittoria sui Sasanidi. Furono
proclamati Cesari, ma morirono subito nel 337 d.C.
Cominciano i conflitti fra i 3 fratelli e un usurpatore Magnenzio (un ufficiale dell’esercito gallico). Il
primo a morire fu Costantino II nel 340 d.C. ad Aquilea, mentre tentava di invadere i territori di
Costante. Nel 350 d.C. muore anche Costante eliminato da Magnenzio, ma nella Battaglia di Mursa
Maggiore del 351 d.C. Costanzo II ha la meglio su Magnenzio.
Costanzo II, di fede ariana, decide di nominare cesare l’ultimo membro maschio della sua dinastia,
Flavio Claudio Giuliano che assunse il potere in Gallia nel 355 d.C. Vennero attuati alcuni accordi
con i Barbari, concedendogli di stanziarsi nell’impero come federati, la stessa cosa venne concessa
ai Franchi della Gallia da Flavio Claudio Giuliano. Nel 357 d.C. viaggio di Costanzo II a Roma dove
rimuove l’altare della Vittoria dalla Curia che in seguito nel 362 d.C. grazie a Flavio Claudio Giuliano
sarà ricollocato nuovamente in essa. Nello stesso anno sconfisse gli Alemanni a Strasburgo. Nel
360 d.C. il suo esercito lo proclama Augusto, Costanzo II si muove contro di lui, ma nel corso
dell’avanzata, precisamente nel 361 d.C. muore, riconoscendolo tuttavia come nuovo imperatore.
L’impero di Falvio Claudio Giuliano dura solo 3 anni (361 d.C.- 363 d.C.). Ebbe una serie di
successi sul fronte Gallico, progetta una grande spedizione contro la Persia, ma nel 363 d.C. viene
sconfitto nella Battaglia di Maranga e muore. Con lui le prefetture divennero 4, aggiungendo
quella di Africa-Illirico. Venne soprannominato “l’apostata” per la sua politica religiosa, in quanto
fu indirizzato fin da subito dai suoi predecessori al Cristianesimo, ma poi l’abbandonò, cercando di
ripristinare la religione romana pagana originaria, ma nel suo tentativo fallì. Alla morte di Flavio
Claudio Giuliano, morì dopo appena 7 mesi (364 d.C.) anche il nuovo imperatore Gioviano e gli
successe un generale dell’esercito chiamato Valentiniano per l’Occidente, il quale associò al potere
suo figlio Valente per l’Oriente. Nel 375 d.C. muore Valentiniano in Pannonia e gli successero i suoi
2 figli Graziano e Valentiniano II, acclamati dalle truppe. Le popolazioni Unne premevano sui Goti
che sconfinarono nell’impero romano, fu stipulato un primo trattato per poter fargli pacificare, ma
l’accordo saltò e i Goti affrontarono l’esercito di Valente e lo sconfissero, uccidendolo nel 378 d.C.
ad Adrianopoli, questa sconfitta per i disastri procurati all’esercito e all’impero romano è
paragonabile alla Battaglia di Canne, ma a differenza di quell’episodio, Roma non riuscì a
riprendersi .Nel 379 d.C. Graziano nomina a sua volta imperatore un grande generale di origini
spagnole di nome Teodosio. Nel 380 d.C. Teodosio rifiuta il pontificato massimo offertogli e
proclama l’editto antiariano di Tessalonica, nel quale venne ribadita l’ortodossia nicena. Fra il 380-
392 d.C. si verificarono i cosiddetti editti di Teodosio sulla religione cristiana, come religione di
Stato, proibizione dei culti, riti e rimozione degli oggetti sacri pagani come l’altare della Vittoria per
il quale in seguito avranno una disputa Ambrogio (vescovo di Milano dal 374 d.C.) e Simmarco
(prefetto dell’Urbe) e il divieto di sacrifici e adorazione di statue.
Teodosio riesce a trovare un accordo con i Goti e gli insedia come federati nel Basso Danubio.
Firma anche una pace con i Persiani. In Occidente, Magno Massimo, un altro usurpatore, uccide
Graziano e tenta di estendere il suo potere in Italia ma viene bloccato e ucciso da Teodosio nel 388
d.C. Nel 392 d.C. Valentiniano II viene ucciso in Gallia e venne nominato imperatore Eugenio, un
maestro di retorica.
Nel 394 d.C. intervenne nuovamente Teodosio, questa volta contro Eugenio che lo sconfisse e
uccise sul fiume Frigido in Carnia.
NEL 395 D.C. TEODOSIO MUORE E L’IMPERO VIENE DIVISO FRA I SUOI DUE FIGLI ONORIO IN
OCCIDENTE E ARCADIO IN ORIENTE.

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