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L'Italia prima dei Romani: Etruschi e Greci

Della preistoria nella penisola italica sappiamo molto poco. Sappiamo che nel II millennio a.C. da nord
scesero le tribù indoeuropee che si fusero con le popolazioni preesistenti, come i Liguri, diffusi fino alla Pianura
Padana, i Sicani (Sicilia orientale) e i Sardi. Tra i popoli indoeuropei che si stanziarono in Italia c’erano i Veneti, i
Siculi, gli Etruschi e i Latini; queste popolazioni, a differenza di quelle greche, non avevano né la stessa lingua né la
stessa religione.
Verso il 1500 a.C. la prima civiltà progredita fu quella nuragica diffusa in Sardegna, una popolazione di guerrieri che
viveva in costruzioni megalitiche, chiamate appunti Nuraghi. Si diffusero nell'interno della Sardegna e vi rimasero
addirittura fino al VII secolo d.C.
A metà del secondo millennio a.C. nella penisola italica comparvero le prime città – 3500 anni dopo quelle
della Mesopotamia – e verso il 1000 a.C. si diffuse un'altra civiltà progredita, quella villanoviana, chiamata così dalla
città di Villanova (vicino Bologna). I villanoviani, di cui non conosciamo la scrittura, si diffusero in Toscana, nei colli
del Lazio e soprattutto in Emilia. Mantennero contatti commerciali con i Greci e raggiunsero un buon livello
tecnologico e artigianale.
Nei territori dei Villanoviani, tra il IX e l’VIII secolo a.C., si diffuse la prima grande civiltà italiana: gli Etruschi .
All'inizio si stanziarono nella valle tra l'Arno e il Tevere, ma poi si diffusero fino in pianura Padana e in Campania.
Secondo Erodoto, gli Etruschi provenivano dall'Asia minore, ma ora sappiamo, quasi con certezza, che derivano dai
villanoviani.
Degli Etruschi sappiamo poco perché non conosciamo bene la loro scrittura. Sappiamo che avevano sviluppato anche
una letteratura, di cui però non è rimasto nulla, perché i Romani hanno distrutto quasi tutto. Erano abilissimi marinai e
per le loro navi cominciarono il disboscamento dell’Italia centrale. In poco tempo bonificarono e dissodarono le aree
incolte e ottennero un’agricoltura moderna, dotata di canali e acquedotti, grazie all’opera di abili ingegneri che furono
i maestri dei Romani. Coltivavano grano, orzo e soprattutto viti, con le quali producevano un vino che esportavano in
tutto il Mediterraneo. Grazie alle miniere dell’isola d’Elba, conoscevano l’utilizzo dei metalli con i quali producevano
ottimi prodotti artigianali, soprattutto di oreficeria.
Gli Etruschi rappresentarono la prima civiltà urbana italiana e fondarono delle città paragonabili alle polis
della Magna Grecia. I centri più importanti furono Veio, Tarquinia e Perugia. Non crearono mai un regno unitario, ma
solo delle città-Stato sempre in lotta tra di loro. Le città erano ben organizzate, cinte da mura, attraversate da strade
lastricate e dotate di fognature e di acquedotti. In un primo momento le città etrusche erano governate da un re,
chiamato Lucumone e aiutato da un consiglio di anziani, simile al Senato Romano. In seguito, a partire dal VI secolo
a.C., l'aristocrazia prese il potere, cacciò i re e formò un potere oligarchico. Il percorso è simile a quello di molte polis
Greche e di Roma. Ogni tanto le città etrusche si univano in leghe per motivi religiosi oppure per difendersi. La lega
più famosa fu quella di Dodecapoli, formata da 12 città, i cui sacerdoti si riunivano per celebrare riti religiosi comuni.
Dal punto di vista religioso, gli Etruschi accolsero le divinità greche e addirittura parteciparono alle riunioni presso
l'oracolo di Delfi. La religione era gestita dalla potente casta sacerdotale che interpretava i segni degli dei. In
particolare gli Aruspici erano i sacerdoti preposti all’interpretazione delle viscere degli animali e gli Auguri
osservavano il volo degli uccelli, rito che poi sarà praticato anche da Romolo e Remo. Credevano nell'aldilà e per
questo costruivano delle necropoli per il viaggio dopo la morte, vere e proprie città sotterranee con case e affreschi.
Adottarono l'alfabeto greco, erano amanti del buon cibo (sono stati ritrovati molti affreschi che ritraevano dei
banchetti), della musica e dello sport: avevano persino degli atleti professionisti. I Romani, per via del lusso eccessivo,
li definirono pigri e obesi, ma era un luogo comune.
Il massimo splendore della civiltà etrusca fu raggiunto tra il VII e il VI secolo a. C., quando arrivarono a
commerciare persino con le coste francesi e con i territori a sud del Danubio. In quel periodo le città etrusche
controllavano Roma, il Tevere – importantissimo per il commercio del sale – la costa della Sardegna, parte della
Corsica, arrivando fino a Mantova e in Calabria. Subito dopo entrarono in contrasto a nord con i guerrieri Celti, che i
Romani chiamavano Galli, e a sud con Cuma e Siracusa. I Celti provenivano dal nord Europa e piano piano si
spostarono verso sud, fino a stanziarsi nella Pianura Padana. Mentre gli Etruschi erano minacciati dai Celti, la
concorrenza commerciale nel Mediterraneo aumentò e si fecero avanti le colonie greche – soprattutto Cuma e Siracusa
– e i Cartaginesi, che avevano fondato colonie in Sicilia in Sardegna e nelle Baleari. In un primo momento gli Etruschi
sconfissero le colonie greche, grazie ad un’alleanza con i Cartaginesi, ma alla lunga non resistettero. Piano piano
Cuma ebbe la meglio e li sconfisse nel 504 a.C. ad Ariccia. Roma sfruttò la debolezza degli Etruschi e, alleandosi con
Cuma, si rese indipendente. Siracusa sconfisse i Cartaginesi ad Imera nel 480 a.C. e poi, nel 474 a.C., gli Etruschi. Nel
396 a.C. la città di Veio fu conquistata dai Romani che piano piano assoggettarono tutte le altre città etrusche.

A sud della penisola c’erano le ricche e fiorenti polis greche che si spartivano l’Italia insieme agli Etruschi. Le
colonie greche furono fondate durante l'età arcaica, nell’VIII secolo a.C., quando riprese la colonizzazione in Asia
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minore, nel mar Egeo e nel sud Italia. La prima colonia greca del sud Italia fu Pitecussa (Ischia), poi i calcidesi nel 750
a.C. fondarono Cuma; in seguito furono fondate Metaponto, Taranto, Zancle, (Messina), Naxos, Siracusa e tante altre.
In poco tempo le colonie greche, che dai Romani furono chiamate “Magna Grecia”, raggiunsero una grande splendore
economico e artistico. Per fare un esempio del livello culturale raggiunto, possiamo citare alcuni nomi come Pitagora,
che tra il VI e il V secolo a.C. a Crotone fondò la scuola pitagorica; Parmenide che, a Elea vicino Salerno, fondò la
scuola Eleatica, ma possiamo citare tantissimi altri intellettuali come Zenone, Empedocle e Archimede.
All'inizio le colonie erano formate da soli maschi, ma ben presto si ingrandirono con accordi matrimoniale con gli
indigeni oppure con le guerre. Dal punto di vista politico erano libere ma in un primo momento conservavano stretti
rapporti di sudditanza economica con la madrepatria: ad esempio potevano produrre solo ciò che la madrepatria non
possedeva.
Molto spesso le colonie erano governate da tiranni che reggevano il potere in maniera centralizzata e che ebbero il
merito di porre fine agli scontri con le popolazioni preesistenti.
Tra le colonie greche che raggiunsero il più grande livello economico e militare abbiamo Cuma e Siracusa. Con il
tiranno Gerone (485-478 a.C.) Siracusa ingrandì il porto, aumentò i commerci e nel 480 a.C., grazie all’aiuto di una
coalizione di colonie greche, sconfisse Cartagine. Anche l’ateniese Alcibiade mise gli occhi sulla ricca Sicilia e, nel
415 a.C., inviò una spedizione di conquista che però fu annientata dal tiranno siracusano Dionisio.
A completare il quadro delle popolazioni che abitavano la penisola italiana prima del dominio romano, non possiamo
dimenticare i Cartaginesi che controllavano la parte occidentale della Sicilia e le coste della Sardegna

La fondazione di Roma e l'età monarchica


I primi storici romani erano gli Annalisti che, a partire dalla metà del V secolo a. C., scrivevano gli eventi più
importanti in alcuni libri chiamati “Annali”, che però sono andati perduti; noi sappiamo dell'esistenza di questi Annali
perché molti storici, come ad esempio Tito Livio, li hanno più volte citati. Per il periodo delle origini, gli annalisti si
sono serviti di racconti orali e di leggende tramandate per secoli e quindi non molto attendibili.

Leggenda
Secondo quanto ci dice lo storico Varrone, Roma fu fondata il 21 aprile 753 a. C. sul colle Palatino; la data non è
veritiera ma il periodo e il luogo sono confermati dai resti archeologici.
Secondo la leggenda, l'eroe troiano Enea, dopo la caduta di Troia, arrivò nel Lazio e sposò Lavinia, la figlia del
re dei Latini. Il figlio di Enea e Lavinia, Ascanio, fondò Albalonga e dai suoi discendenti nacque Roma. Due gemelli
di Albalonga, infatti, Romolo e Remo, figli della sacerdotessa Rea Silvia e del dio Marte, appena nati furono gettati
nel Tevere da un usurpatore del trono, fratello del re di Albalonga. Il nuovo re ordinò che fossero uccisi, ma in realtà
furono messi in una cesta e abbandonati nel Tevere. La cesta si fermò vicino al colle Palatino dove furono allattati da
una lupa e in seguito furono allevati da un pastore. Da grandi Romolo e Remo decisero di fondare una nuova città,
però Romolo avrebbe voluto farla sul Palatino, Remo invece sull'Aventino. Allora decisero di far scegliere gli Dei: chi
avrebbe visto più uccelli in volo, avrebbe fondato la città (rituale etrusco). Romolo ne vide più di Remo e tracciò il
confine sacro, chiamato Pomerium, (altro rituale etrusco) che sarebbe stato il cuore della nuova città. In questo
pomerium però non si poteva entrare armati, ma Remo lo fece ugualmente e fu ucciso. Ad un certo punto Romolo si
accorse che mancavano le donne e, per ingrandire la città, rapì quelle dei Sabini (Ratto delle Sabine) che per
vendicarsi dichiararono guerra ai romani. Secondo la leggenda questa guerra fu bloccata dalle donne che non volevano
veder combattere i loro padri contro i loro mariti; i popoli in questo modo si fusero. Questa leggenda serviva a
dimostrare che Roma non era come tutte le altre città, ma era stata voluta dagli dei.

Storia
Molti tratti di questa leggenda furono confermati dai reperti archeologici, come ad esempio il luogo e il periodo della
fondazione di Roma.
Sin dal I millennio a. C. nell’antico Lazio vivevano due popoli di pastori: verso il mare vivevano i Latini e verso
l'interno i Sabini. Il centro più importante di questi villaggi era la città di Albalonga (attuale Castel Gandolfo) che
nell’VIII secolo strinse un’alleanza con altri villaggi latini che sorgevano sui colli . Questi villaggi si ingrandirono in
fretta per due motivi: erano vicini all'isola Tiberina, importante snodo commerciale ed erano a metà strada tra due
grandi potenze, a sud le colonie della Magna Grecia, a nord gli Etruschi.
I villaggi Latini crebbero velocemente grazie al Tevere e soprattutto grazie all'isola tiberina che, permettendo un
facile passaggio da una sponda all'altra del fiume, divenne in poco tempo un punto di incontro delle vie commerciali
(soprattutto quella del sale) fra l’Etruria e la Magna Grecia. Sulla riva sinistra del Tevere, proprio vicino all'isola
tiberina, alcuni villaggi latini del Palatino (proprio dove aveva detto la leggenda) e del Quirinale si fusero per

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difendersi meglio dagli attacchi degli altri popoli e diedero vita alla città di Roma. Quindi Roma non nasce da una vera
e propria fondazione ma dall'unione di alcuni villaggi. Per prima cosa costruirono delle mura difensive e bonificarono
alcuni terreni.
Non è ancora chiaro cosa vuol dire il termine Roma; forse deriva dall'Etrusco città del fiume o dal vecchio nome
del Tevere, ma ci sono tante altre ipotesi.

Periodo monarchico
Quando il villaggio si ingrandì, si diede un ordinamento monarchico. Il re era il rappresentante del popolo, comandava
l'esercito, era la massima autorità religiosa e presiedeva i processi. La carica di re era a vita, ma non era ereditaria: i re
erano proposti dal Senato – secondo la tradizione fondato da Romolo – e poi acclamati dal popolo. Il re era aiutato da
un’assemblea dei patres, cioè i capifamiglia più anziani, più ricchi e più potenti, chiamata Senato (senex in latino vuol
dire vecchio). All’inizio il Senato era composto da cento membri ma poi fu portato a trecento. I capifamiglia erano
molto potenti: avevano l’autorità di vita e di morte sugli altri membri della famiglia e sugli animali e addirittura alcune
persone povere lavoravano gratuitamente per loro e in cambio ottenevano protezione, vitto e alloggio per sé e per la
sua famiglia. In questo modo diventavano loro clienti.
Secondo la tradizione, Romolo divise la città in tre tribù, su base etnica (Latini, Sabini e Etruschi ); a sua volta le
tribù furono divise in trenta circoscrizioni territoriali, chiamate curie. All'inizio tutti i cittadini facevano parte delle
curie, ma in seguito i plebei (i poveri) furono esclusi. Queste curie si riunivano periodicamente nei cosiddetti Comizi
Curiati e avevano il compito della difesa, del culto, di eleggere i senatori, di discutere dei problemi della città e di
fornire soldati all'esercito.
La fase monarchica durò dal 753 al 509 a. C.; in questo periodo, secondo la tradizione, ci furono sette re, anche se
in realtà non sappiamo con esattezza quanti ce ne furono. I primi quattro furono latini e sabini (i primi due, Romolo e
Numa Pompilio sono sicuramente mitologici) e gli altri tre Etruschi.
Ad un certo punto, per via della sua ottima posizione geografica, la città attirò l’attenzione degli Etruschi che
verso la fine del VII secolo riuscirono ad imporre per quasi un secolo i loro re e a influenzarne la cultura. Non
sappiamo però se ciò fu fatto con la forza o tramite un'alleanza. La presenza di una dinastia etrusca sul trono di Roma
è storicamente accertata, ma non sappiamo se i nomi dei re fossero veri. Gli Etruschi diffusero i loro progressi
tecnologici, fecero molte opere pubbliche (le mura, le bonifiche, la cloaca Maxima) e soprattutto inserirono la città
all’interno di meccanismi commerciali ben consolidati. Alla fine del periodo monarchico Roma occupava un territorio
pari ad un terzo del Lazio ed era la città più importante della Lega latina, prendendo il posto di Albalonga . Questa
veloce espansione è confermata dagli scavi archeologici che hanno trovato traccia di vari resti di mura. Secondo la
tradizione il primo re di origine etrusca fu Tarquinio Prisco, poi ci fu Servio Tullio e l'ultimo, dal 534 al 509, fu
Tarquinio detto il Superbo.
I Tarquini tentarono un programma di accentramento del potere simile a quello delle città greche, appoggiandosi
al popolo e indebolendo la nobiltà (Tarquinio Prisco era di origine greca). La tradizione storica, scritta dai senatori
però, parla male degli Etruschi e soprattutto di Tarquinio il Superbo, definendolo un tiranno. In realtà l'odio dei
senatori per Tarquinio il Superbo era dovuto al fatto che aveva sottratto molto poteri al Senato e ai patrizi . I rapporti
tra Tarquino il Superbo e il Senato non furono buoni sin dall'inizio, anche perché prese il potere con la forza e la sua
elezione non fu mai approvata dal Senato.
Secondo la tradizione nel 509 a. C. i Romani misero in fuga Tarquinio Prisco perché aveva avuto un
atteggiamento oltraggioso verso il popolo e soprattutto verso una donna (l'episodio è leggendario). In realtà Tarquinio
fu cacciato da una rivolta della nobiltà che, senza gli Etruschi, avrebbe potuto di nuovo ottenere il controllo della città.
Tarquinio il Superbo, dopo essere stato cacciato da Roma, chiese aiuto a Porsenna, re di Chiusi, che in un primo
momento sconfisse i Romani ma poi fu bloccato da una coalizione formata dalla lega Latina e dalle città greche della
Campania, preoccupati dall'espansione etrusca. Dopo la cacciata degli Etruschi, approfittando della loro debolezza in
tutta Italia, i nobili proclamarono una repubblica, comandata dai patrizi e dal Senato .

La Repubblica romana e gli scontri tra patrizi e plebei


La nascita della Repubblica romana, nel 509 a. C, non fu una rivoluzione, ma un ritorno all'antico. I patrizi (la nobiltà)
ripresero il potere che avevano perso con l'arrivo dei Tarquini e potenziarono il Senato , formato ovviamente solo da
patrizi. Il Senato aveva il compito di scegliere due consoli, la cui carica, come tutte le altre, era collegiale e annuale,
cioè era ricoperta da due persone e durava un anno. Tutto questo era stato ideato per evitare che a qualcuno venisse
voglia di diventare re.

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1) I consoli, i rappresentanti del Senato, avevano molti poteri, sia militari sia legislativi, ma dovevano sempre
essere d'accordo tra di loro e, come già detto, rimanevano in carica solo un anno. Venivano proposti dal Senato ma
dovevano essere approvati dai Comizi curiati. Alla fine del loro mandato, facevano parte del Senato.
2) Il Senato esisteva già in periodo monarchico ma aveva poteri solo consultivi; nell'età repubblicana divenne
molto importante. Per essere nominato senatore si doveva essere patrizi, appartenere alle famiglie più importanti e si
doveva aver ricoperto almeno una magistratura minore. Il Senato si occupava della pace, della guerra e delle tasse.
All'inizio i senatori erano 100 ma poi arrivarono fino a 300.
3) In età monarchica esistevano i Comizi curiati che erano assemblee del popolo. Questi comizi in età
repubblicana furono sostituiti dai Comizi centuriati i quali, all'interno di 5 classi, suddivise in base al censo (cioè alla
ricchezza), sceglievano i cittadini che dovevano far parte dell'esercito. Esistevano 193 centurie, ma 98 erano formate
da patrizi, che in questo modo avevano il 51% dei rappresentanti. Inoltre i Comizi centuriati sceglievano i consoli, ma
da una lista proposta dal Senato. Infine, dopo le lotte tra patrizi e plebei, furono istituiti i Comizi tributi, che avevano
il compito di eleggere il Tribuno della plebe, cioè il rappresentante del popolo che addirittura aveva il potere di veto ,
cioè di bloccare le leggi fatte dal Senato.
3) Il Dittatore era eletto dal Senato solo in caso di guerra e durava in carica sei mesi. In guerra aveva poteri
illimitati.
4) I Pretori furono istituiti nel 367 a. C. e amministravano la giustizia, cioè erano dei giudici.
5) I Censori furono istituiti nel 443 a. C. erano eletti ogni 5 anni, ma duravano in carica 18 mesi, avevano il
compito del censimento, appaltare lavori pubblici e il controllo de la morale (censurare i costumi, cioè di dire
se una cosa si poteva fare o no)
6) Gli Edili avevano il compito di riparare le strade, gli edifici pubblici e mantenere l'ordine.
7) I Questori si occupavano delle tasse.
Tutte queste magistrature, come già detto, rimanevano in carica solo un anno ed erano tenute sempre da due persone,
tranne il Dittatore. Il meccanismo politico era molto complesso e si poteva bloccare in qualunque momento.
All'inizio la Repubblica attraversò un periodo molto duro; senza gli Etruschi, che garantivano rotte
commerciali e protezione, infatti Roma dovette affrontare una pesante crisi economica, violenti scontri tra patrizi e
plebei e gli attacchi delle popolazioni vicine, che riuscirono a sottrarre anche parte del suo territorio.
A causa della debolezza di Roma, molte città latine si ribellarono e fondarono una Lega. In un primo momento Roma
cercò di sconfiggere la Lega latina, ma visto che non ci riuscì, decise di farne parte. Grazie all'aiuto della Lega Latina,
nel 490 a. C., Roma riuscì a battere le minacciose popolazioni appenniniche, come gli Equi, i Sabini e i Volsci. Dopo
essersi difesa, Roma decise di passare al contrattacco: la prima città a cadere fu l'Etrusca Veio, importante per il
controllo del fiume Tevere. Secondo la leggenda, Veio fu conquistata grazie ad una galleria sotterranea che permise di
entrare in città, ma è soltanto una leggenda.
Nella repubblica romana il potere risiedeva nel possesso della terra; chi la possedeva era chiamato Patres, cioè
Patrizio. I Patrizi gestivano tutte le cariche pubbliche, sia civili sia religiose, sostenevano di discendere dai fondatori di
Roma ed erano divisi in Gens. Il resto della popolazione, la maggioranza, era chiamato plebeo: erano piccoli
proprietari terrieri, commercianti e artigiani. Alcuni plebei, soprattutto quelli più poveri, certe volte si consegnavano
nelle mani dei patrizi, cioè firmavano un vincolo di fedeltà; in questo modo avrebbero lavorato per loro e in cambio ne
avrebbero ottenuto vitto e alloggio per sé e per la propria famiglia. Questi furono chiamati Clienti e alcuni, col passare
del tempo, sarebbero divenuti persino ricchi e potenti.
Dopo la formazione della Repubblica romana, tra il 500 e il 480 a. C. i plebei protestarono violentemente,
perché furono estromessi da tutte le cariche pubbliche. A protestare furono soprattutto i plebei più ricchi; i più poveri o
i nullatenenti non avrebbero potuto fare nulla contro lo strapotere dei patrizi. I plebei soprattutto chiedevano di poter
ottenere gli incarichi pubblici, di beneficiare dell'ager pubblicus (cioè le terre conquistate che andavano a finire solo
nelle mani dei patrizi) e di abolire la schiavitù per debiti.
Gli scontri durarono oltre un secolo e alla fine i plebei ricchi riuscirono a spuntarla. Qualche volte ci furono
dei veri e propri scontri armati, ma di solito i plebei misero in atto quella che fu chiamata la Secessione, cioè una
specie di sciopero durante il quale si ritiravano sull'Aventino, fuori dal pomerio (il confine sacro della città), si
armavano (portare armi dentro il pomerio era illegale ed era considerato sacrilego) e si rifiutavano di entrare in città se
non prima fossero state accolte le loro richieste. Siccome i patrizi senza di loro erano in grossa difficoltà, decisero di
trattare.
La prima Secessione, secondo quanto ci dicono gli storici, fu nel 494 a. C. Mentre erano sull’Aventino, i
plebei si riunirono e elessero i loro rappresentanti, chiamati Tribuni della plebe, che avrebbero avuto il potere di veto ,
cioè di bloccare tutte quelle leggi che erano contrarie agli interessi del popolo. Ovviamente all'inizio i patrizi non
riconobbero il potere dei tribuni della plebe, ma alla fine si arresero. Nel 451 a. C. i plebei ottennero un grande
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successo, cioè l’emanazione delle leggi delle XII Tavole, le prime leggi scritte della storia romana, ispirate a quelle
greche. Non erano diverse da quelle precedenti (erano sempre fatte dai patrizi), ma erano scritte e quindi non potevano
essere cambiate a piacimento dai magistrati. Inoltre nel 445 furono consentiti i matrimoni misti tra patrizi e plebei. Nel
367 a. C. le Leggi Vicinie Sestie abolirono la schiavitù per debiti, approvarono la distribuzione dell'ager publicus
anche ai plebei e riconobbero che avrebbero potuto ricoprire persino la carica di consoli. Infine, nel 300 a. C.,
ottennero anche l'incarico di Pontefice massimo: da quel momento in poi non ci fu più differenza tra patrizi e plebei.
Da quel momento in poi, al posto della repubblica patrizia, nacque la Repubblica oligarchica non più governata
soltanto dai patrizi, ma da una classe mista, composta da patrizi e plebei ricchi, che insieme difesero i loro interessi in
comune (anche i soldati erano scelti in base al censo).
La repubblica romana si basava sulla famiglia, considerata sacra, e sulla potente figura del pater familias, cioè
il capofamiglia; un gruppo di famiglie che riconoscevano un antenato comune, erano chiamate Gens. Si trattava di una
famiglia allargata che includeva i figli, i nipoti, gli schiavi e gli animali. Le donne erano fortemente sottoposte
all'autorità maschile e passavano dalle mani del padre a quelle del marito, a cui dovevano obbedienza assoluta. Il
passaggio dal padre al marito avveniva davanti ad un magistrato per una cifra simbolica, stabilita dal magistrato.
L’uomo, se avesse voluto, avrebbe potuto ripudiare la moglie; la donna no. Questa inferiorità era confermata dal fatto
che le donne non avevano un nome proprio, ma portavano quello della gens a cui appartenevano e della famiglia; gli
uomini invece avevano tre nomi (nome proprio, cognome della famiglia e prenome della gens).
Nella repubblica romana la schiavitù aveva un ruolo importante. Si poteva diventare schiavi per tanti motivi: per
debiti, per nascita (i figli degli schiavi erano schiavi), oppure per vendita (i padri poveri alle volte vendevano i propri
figli); inoltre anche i prigionieri di guerra venivano venduti come schiavi. Gli schiavi lavoravano i campi o facevano
delle commissioni e, tranne rari casi di insubordinazione, non erano trattati male. Qualche volta lo schiavo, se si
comportava in maniera esemplare, poteva essere liberato; gli schiavi liberati furono chiamati Liberti.
La religione romana era politeista e le principali divinità erano legate alle stagione e ai cicli agrari. Al Dio Giano,
che cominciava l’anno solare, era dedicato gennaio; al dio Marte, dio dei campi e della guerra, era dedicato marzo;
l’anno solare si chiudeva con Saturno (dicembre). Tra le divinità più diffuse c’erano Cerere, dea dei raccolti, e Vesta,
dea della casa. Giove, il dio più potente, (presente già nella civiltà etrusca) era il capo degli Dei. Nel periodo della
dominazione etrusca a Roma arrivò il culto delle divinità olimpiche. Sebbene avessero accolto molte altre divinità, i
Romani non abbandonarono i culti antichi. A capo della religione, soprattutto all’inizio, vi era il re che doveva fare in
modo che la popolazione fosse in pace con gli Dei. Rispettare gli Dei, voleva dire rispettare lo Stato. Il re era aiutato
dal pontefice massimo, un funzionario pubblico, eletto dai comizi, che compiva la funzione religiosa; in lui non c'era
nulla di sacro.
Roma conquista l’Italia: Sanniti, Galli e Taranto
Le vicende storiche della conquista dell'Italia centrale sono molto difficili di ricostruire perché le fonti sono poche
e poco attendibili, in quanto scritte quattro secoli dopo.
Pochi anni dopo la vittoria su Veio l’espansione romana si arrestò perché l'Italia fu invasa da un popolo molto
forte dal punto di vista militare: i Celti, (Galli dai Romani). I Celti riuscirono ad occupare in massa la Pianura Padana
e nel 390 a. C. scesero facilmente verso il Lazio, capeggiati da Brenno. La Lega Latina cercò di sbarrargli la strada, ma
fu sconfitta; a quel punto i Galli prima saccheggiarono Chiusi e poi puntarono su Roma. I Romani, per difendersi,
ordinarono la leva di massa ma furono sconfitti con facilità. Costretti ad abbandonare la città in preda al nemico, si
rinchiusero nel Campidoglio e ovviamente Brenno ordinò il saccheggio di Roma. Per fortuna i Galli erano interessati
soltanto al bottino e non al possesso delle terre e quindi, dopo aver ottenuto un cospicuo riscatto, tornarono al nord,
anche perché, nel frattempo, le loro terre stavano per essere saccheggiate da un'altra popolazione. Dopo lo scampato
pericolo i Romani fecero costruire della mura più alte e più grandi.
Brenno mise in luce la debolezza militare di Roma e quindi, nel 340 a. C., alcune città latine e etrusche si
ribellarono alla Lega latina, comandata da Roma. Soltanto dopo decenni di guerre, i Romani riuscirono a sottomettere
gli Etruschi e a fare la pace con le altre città latine, ristabilendo il prestigio dell'esercito romano. Roma sciolse la Lega
e impose un foedus (un patto) con tutte le altre popolazioni del Lazio: ogni città era libera, ma doveva versare un
tributo, non poteva avere una politica estera autonoma e doveva aiutare Roma in caso di pericolo.
Dopo aver risolto il problema dei Galli, Roma decise di espandersi verso sud, verso la Magna Grecia, la zona più
ricca e più progredita di tutta la penisola italiana. C'era un problema però: anche i Sanniti, stanziati tra Abruzzo,
Molise e Puglia, erano interessati alle colonie greche della Campania. Di conseguenza Sanniti e Romani, tra il 343 e il
290 a. C, si scontrarono per il controllo della Campania in tre lunghe guerre, chiamate Guerre Sannitiche.
Fino al 330 a. C. il territorio della Lega sannitica era più vasto di quello romano; Roma era in forte ascesa, ma era
ancora una potenza di secondo piano. Per emergere, avrebbe dovuto sconfiggere i Sanniti, che però erano guerrieri
molto abili e sconfissero pesantemente i Romani in più di un’occasione. La prima guerra sannitica (343 – 341 a. C.)
si concluse con un nulla di fatto; nella seconda (326 – 304 a. C.) i Romani subirono un'umiliante sconfitta presso le

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Forche Caudine, nelle quali furono accerchiati e costretti ad arrendersi senza combattere. Prima di liberare i
prigionieri, i Sanniti li fecero sfilare seminudi uno alla volta, sotto le lance disposte a forma di porta.
Nella terza guerra sannitica, combattuta tra il 298 e il 290 a. C., i Sanniti furono capaci di creare una coalizione
con i Galli, con gli Etruschi e con gli Umbri, ma i Romani non si persero d’animo e per la prima volta cambiarono
tecnica militare. Fino ad allora avevano combattuto in Falangi, come i Greci, cioè in gruppi compatti che formavano
una specie di quadrato. Questo metodo però andava bene per le grandi pianure del nord, ma non era efficace nelle zone
montuose e quindi decisero di combattere in manipoli, cioè piccoli gruppetti che mettevano in atto una specie di
guerriglia. Per trasferire l’esercito romano nei luoghi della battaglia, fu costruita anche una strada molto importante, la
via Appia, dal nome dell’ingegnere che ne diresse i lavori, appunto Appio. I Romani riuscirono a non fare unire gli
eserciti sanniti, etruschi e umbri e sconfissero i Sanniti a Sentino in Umbria, nel 295 a. C: a quel punto i Sanniti furono
obbligati ad entrare nella federazione latina. Adesso Roma era diventata la prima potenza dell'Italia centrale: andava
dall'Adriatico, all'Umbria e alla Campania.
Dopo la vittoria nei confronti dei Sanniti, i Romani si trovarono a stretto contatto con la magnifica colonia greca
di Taranto, che aveva una grande flotta militare e mercantile. All'inizio Roma e Taranto avevano stipulato un trattato
ma poi, nel 282 a. C., Roma non lo rispettò e si presentò con le navi da guerra nel porto di Taranto. Taranto,
preoccupata, chiese aiuto a Pirro, potente re dell’Epiro, una regione a nord della Grecia. Pirro aveva già in mente di
conquistare tutte le ricche città della Magna Grecia, prime fra tutte quelle siciliane, quindi fu felice di difendere
Taranto. Così nel 280 a. C. sbarcò in Italia con un grande esercito o con alcuni elefanti, mai visti prima in Italia.
Pirro sconfisse i Romani ma poi, ansioso di andare in Sicilia, concesse frettolosamente una pace. Se Pirro, molto
più potente dei Romani, avesse insistito, loro non avrebbero avuto i mezzi per fermarlo. Per fortuna dei Romani quindi
Pirro andò in Sicilia – senza tra l'altro riuscire a sconfiggere i cartaginesi – e quando tornò a Taranto, nel 272 a. C, fu
sconfitto dai Romani, che nel frattempo si erano armati di fuoco per spaventare gli elefanti. A quel punto Pirro si ritirò
in Grecia, Taranto fu costretta ad entrare nella federazione italica e le altre città greche furono facilmente sconfitte.
Roma ormai controllava gran parte della penisola italiana, dall’Emilia alla Calabria; rimanevano a nord i Galli e i
cartaginesi in Sicilia. Visto che Pirro si era scontrato con i Cartaginesi, Roma e Cartagine avevano stipulato un
accordo. La fama di Roma per la prima volta si era diffusa in tutto il Mediterraneo e anche i sovrani ellenistici avevano
cominciato a proporre i primi trattati commerciali.
Le conquiste militari obbligarono i Romani a cambiare la struttura dello Stato. Ormai Roma non poteva più essere
considerata una città stato, ma non era in grado di organizzare una monarchia centralizzata, di tipo ellenistico. Era
ancora un popolo di bravi soldati e abili ingegneri, ma non aveva una solida struttura burocratica e amministrativa. Le
città conquistate potevano diventare municipi o città alleate. I Municipi entrarono a far parte del territorio romano e i
suoi abitanti divennero a tutti gli effetti cittadini romani, godendo di tutti i privilegi: fornivano soldati all'esercito di
Roma, pagavano meno tasse di un federato, non potevano essere condannati a morte se non dal Senato romano,
potevano prendere in affitto le terre dell'ager pubblicus, erano ammessi alla distribuzione gratuita del grano, godevano
di tutti i diritti civili e politici dei cittadini romani, potevano votare e potevano, partecipare ai comizi.
Le città alleate, invece, non erano inglobate nel territorio romano ma, pur restando formalmente indipendenti,
erano costrette a firmare dei Foedus (patti), che li obbligavano a pagare le tasse a Roma, a non ribellarsi, a non
prendere decisioni autonome in politica estera e a contribuire alla formazione dell’esercito. In linea di massima i
popoli vinti ebbero un buon trattamento: non erano obbligati a mantenere i soldati romani nel loro territorio, erano
autonomi in politica interna e addirittura in caso di guerra, se avessero mandato i loro soldati, avrebbero potuto
partecipare alla suddivisione del bottino. Se i popoli confederati però non avessero rispettato il patto, la vendetta
romana sarebbe stata durissima e i popoli sottomessi avrebbero perso la loro condizione di federati. Questa grande
tolleranza, soprattutto se paragonata agli altri popoli dell'età antica, evitò le ribellioni dei popoli italici.
In questo modo la repubblica romana ha inventato un stato nuovo, cioè una confederazione di stati romano-italici.

Le guerre puniche: Roma conquista il Mediterraneo


Intorno al 270 a. C. Roma era ancora una potenza regionale. Il Mediterraneo, fonte di ricchezza e di potenza, era
controllato da cinque potenze: il Regno di Macedonia, il Regno di Siria, il Regno d'Egitto, la repubblica di Cartagine e
la città di Siracusa. Roma, rispetto ad alcune di esse era piccola, poco popolata (il Regno di Siria, ad esempio, contava
più di trenta milioni di persone, mentre tutti gli alleati di Roma ne contavano tre), povera e fino al 270 a. C. aveva il
divieto assoluto di commerciare in Africa, in Sardegna, in Corsica e nella penisola balcanica. Dopo aver sconfitto Pirro
però il prestigio di Roma cominciò a crescere e un secolo dopo la situazione cambiò completamente.
All'inizio del III secolo a. C. Cartagine controllava la fascia costiera del nord Africa, parte della Spagna, la
Corsica, parte della Sicilia, deteneva il monopolio del commercio mediterraneo e aveva un'agricoltura ricca. Per oltre
un secolo Roma e Cartagine avevano avuto buoni rapporti commerciali e nel 280 a. C. avevano anche firmato un
trattato di amicizia, per combattere insieme contro Pirro. A un certo punto però Roma, dopo aver sconfitto Taranto,
decise di affacciarsi stabilmente nel Mediterraneo e per far questo pensò di partire dalla Sicilia. A sua volta Cartagine
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avrebbe voluto controllare lo stretto di Messina ma, visto che i Romani controllavano Reggio Calabria, le due potenze
di scontrarono.

Prima Guerra punica (264-241 a. C.)


Cartagine (che si trovava vicino Tunisi) era una colonia fenicia, ma ben presto divenne più importante della
madrepatria. Era una grande potenza commerciale ma non militare: aveva una potente flotta, ma un esercito formato
soltanto da mercenari. Roma invece aveva un forte esercito, formato da cittadini, ma non aveva una flotta vera e
propria: mare contro terra insomma.
I Cartaginesi, chiamati anche Punici, non erano interessati a colonizzare ampi spazi di territorio, ma puntavano
soltanto a creare di porti fortificati per poter commerciare (questo tipo di colonizzazione, chiamato appunto Fenicio, fu
copiato secoli dopo dai veneziani, dai portoghesi e dagli olandesi).
Cartagine controllava la parte occidentale della Sicilia e in quegli anni si scontrò con Siracusa , forte colonia
greca, che controllava la zona orientale dell'isola e soprattutto lo Stretto di Messina. Cartagine era interessata soltanto
al controllo dei mari, ma i Romani, pur di non rafforzare ancor di più una rivale, convinsero il Senato che la città si
trovava in pericolo. L’intervento dei Romani fu richiesto dai Mamertini, un gruppo di mercenari che avevano
conquistato Messina. I Mamertini in un primo momento avevano chiesto aiuto ai Cartaginesi perché Ierone, il tiranno
di Siracusa, voleva cacciarli da Messina. All'arrivo dei Cartaginesi, i Siracusani abbandonarono il progetto di
conquistare Messina, ma i Punici sfruttarono l'occasione propizia e non abbandonarono più Messina, porto
importantissimo. A quel punto i Mamertini, per cacciare i Cartaginesi, chiamarono i Romani, che si allearono con
Siracusa, nemica di Cartagine.
La Prima guerra punica cominciò nel 264 a. C. I Romani, per contrastare la potenza navale cartaginese, per la
prima volta fecero costruire una flotta di 100 navi, dotata di “Corvi”, che servivano ad agganciare le navi nemiche, a
saltargli sopra e a combattere corpo a corpo. Grazie a questa flotta i Romani sconfissero i Cartaginesi a Milazzo nel
260 a. C.; in seguito però andarono in Africa, con un'enorme flotta capeggiata da Attilio Regolo, ma furono
pesantemente sconfitti da un grande capitano cartaginese, Amilcare Barca: fu la più grande battaglia navale che si era
vista fino ad allora. La vittoria definitiva dei Romani si ebbe nel 241 a. C. al largo delle isole Egadi: Cartagine fu
costretta a cedere la Sicilia e dovette pagare anche un forte debito di guerra. Nel frattempo, visto la difficoltà punica,
Roma occupò anche la Corsica e la Sardegna. Subito dopo sconfisse gli Illiri (odierna Croazia), i Galli e occupò
Mediolanum (l’odierna Milano).
La guerra però aveva messo a dura prova Roma, che attraversò una grave crisi demografica, che colpì
soprattutto i piccoli proprietari terrieri, l'ossatura dell'esercito romano. In cambio ottenne la Sicilia che divenne la
prima provincia romana: nelle province Roma non si comportava come nella penisola, proponendo dei foedus, ma
imponeva pesanti tributi e un rigido controllo. La Sicilia, non alleata ma suddita, fu affidata ad un proconsole dotato di
un contingente militare per sedare qualunque insurrezione.

La Seconda Guerra punica (218-202 a. C.)


Mentre Roma era impegnata a combattere i Galli, i Cartaginesi, per rifarsi della perdita della Sicilia, grazie ad
Amilcare detto Barca conquistarono la Spagna meridionale, zona ricca di miniere di argento e rame. I Romani,
preoccupati che i Cartaginesi potessero diventare di nuovo una grande potenza commerciale, fissarono un limite alla
conquista della Spagna, oltre il quale i Cartaginesi non sarebbero dovuti andare: il limite era il fiume Ebro. I
Cartaginesi nel 226 a. C. firmarono l’accordo (il Trattato dell’Ebro), ma i Romani, non ancora soddisfatti, per
provocare i Cartaginesi, strinsero un accordo con una città della Spagna, Sagunto, che però si trovava a sud dell’Ebro,
in territorio cartaginese. Roma, che voleva la guerra a tutti i costi, chiese ai Punici di rinunciare a Sagunto, ma i
Cartaginesi si rifiutarono e così, nel 219 a. C., la conquistarono: l’anno successivo cominciò la seconda guerra punica.
Nel frattempo il comando dell’esercito cartaginese era passato al figlio di Amilcare Barca, Annibale, grandissimo
generale esaltato anche dalla storiografia romana. Annibale aveva capito che avrebbe dovuto attaccare i Romani sul
loro territorio, cogliendoli di sorpresa. Per questo motivo, nel 218 a. C. con un poderoso esercito e alcuni elefanti
attraversò le Alpi e giunse in Pianura Padana: per i mezzi tecnici di allora fu un’impresa di grandissima difficoltà.
Annibale sconfisse i Romani nella battaglia del lago Trasimeno, a due passi da Roma. Non si trattava più di aiutare
Sagunto, ma di difendere la sopravvivenza stessa di Roma. Annibale voleva far passare dalla sua parte le popolazioni
controllate dai Romani, ma il piano non funzionò; si unirono a lui soltanto i Celti e Siracusa.
Il nuovo dittatore romano, Quinto Fabio Massimo, fu detto il Temporeggiatore, perché evitò saggiamente di
scontrarsi con i Cartaginesi e prese tempo per riorganizzare l’esercito. Nonostante i lunghi preparativi, i Romani
furono battutti a Canne in Puglia in una delle peggiori sconfitte di tutta la storia romana: morirono più di 40.000
uomini, decine di senatori e anche un console. Annibale sembrava inarrestabile ma aveva un problema: trovare
rifornimenti alimentari. Se le popolazioni italiche si fossero alleate con lui, per Roma sarebbe stata la fine. Non lo
fecero perché furono sempre trattate da alleati e non da sudditi.

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Per fortuna di Roma, Annibale non puntò verso la città perché non aveva i rifornimenti alimentari per tirare a
lungo la guerra. Nel frattempo i Cartaginesi avevano stretto un'alleanza con Filippo V, re della Macedonia . Per la
prima volta Roma fu costretta ad arruolare nel suo esercito anche i nullatenenti e addirittura gli schiavi. I nullatenenti,
in caso di vittoria, avrebbero ottenuto delle terre e gli schiavi la libertà. Nel 212 a. C. i Romani assediarono Siracusa,
alleata di Annibale, e nonostante le invenzioni del geniale scienziato siracusano, Archimede, l'anno successivo fu
conquistata e saccheggiata con estrema durezza. Archimede era riuscito ad incendiare le navi romane, utilizzando uno
specchio con il quale aveva fatto riflettere i raggi del sole.
Nel 210 a. C. i Romani utilizzarono la stessa tecnica utilizzata da Annibale e andarono direttamente in Spagna
con un esercito guidato da Publio Cornelio Scipione, detto l'Africano, che nel 206 a. C sconfisse i Cartaginesi.
Annibale, con i rifornimenti bloccati e senza poter combattere in campo aperto, chiese aiuto a suo fratello Asdrubale
che però fu sconfitto dai Romani. Annibale a quel punto fu costretto a tornare indietro e nel 202 a. C. fu sconfitto a
Zama, in una battaglia famosissima, da Scipione l’Africano, aiutato dal re di Numidia, nemico dei Cartaginesi. Le
condizioni di resa furono durissime: la Spagna passò nella mani romane e Cartagine dovette consegnare tutte le navi
da guerra, pagare una grande indennità e soprattutto rinunciare a qualunque politica estera, senza il consenso dei
Romani.
Sebbene vincitrice, Roma ne uscì con le ossa rotte; dal punto di vista economico i proprietari terrieri si
impoverirono, i generali divennero molto più potenti e soprattutto, grazie alle forniture dell'esercito, si formò una
nuova e ricca classe sociale, quella dei finanzieri. Dal punto vista politico si cominciò a capire che, per governare una
“città” così grande, serviva un uomo solo e non un Senato lento e litigioso

La Terza Guerra punica (149-146 a. C.)


Nonostante i pesanti tributi di guerra imposti da Roma, piano piano Cartagine si riprese, grazie ai suoi fiorenti
traffici commerciali. Roma però, con una scusa banale, cercò subito di ostacolarla. Parte del Senato, capeggiato da
Marco Porcio Catone, detto il Censore, invocava la distruzione totale di Cartagine. Anche questa volta i Romani, per
provocazione, si allearono con Massinissa, nuovo re del regno africano di Numidia. Massinissa si era impadronito di
alcuni territori cartaginesi e i Cartaginesi reagirono senza rispettare una delle clausole imposte nella pace: chiedere il
permesso ai Romani per dichiarare guerra. A quel Roma mandò un ultimatum ai Cartaginesi: distruggere la città e
ricostruirla altrove. Ovviamente ci fu la guerra: la terza guerra punica, dal 149 al 146 a. C. Cartagine fu assediata dal
console Scipione Emiliano e nel 146 a. C, dopo un'inaudita carneficina, fu rasa al suolo.

Roma conquista l'Oriente: le guerre macedoniche


Dopo aver battuto Cartagine ed essersi impossessata del Mediterraneo occidentale, Roma volle espandersi
verso il Mediterraneo orientale, ma lì dovette scontrarsi con le ricche e litigiose monarchie ellenistiche, nate dallo
smembramento dell’impero di Alessandro Magno: il regno di Macedonia (che controllava anche le città greche), il
regno di Siria e il regno di Pergamo. Roma cominciò con il regno di Macedonia e utilizzò sempre la stessa tattica: si
alleò con le città greche (ricche di storia ma ormai deboli) promettendo di liberarle dal dominio macedone.

Prima guerra macedonica (214 – 205 a. C)


Durante le guerre puniche, Filippo V re di Macedonia si era alleato con Annibale e quindi Roma, dopo aver
sconfitto Cartagine, si volle vendicare. Per farlo, come già detto, si presentò alle città greche (riunite nella lega
Etolica) come un liberatore: in questo modo iniziò la Prima guerra macedone che si concluse nel 205 a. C. con una
vittoria romana non decisiva però.

Seconda guerra macedonica (200 – 196 a. C.)


Ad un certo punto Filippo V si alleò con il Regno di Siria e con altri nemici dei Romani per tentare di cacciarli
Romani dal Mediterraneo orientale. Per prima cosa Filippo V decise di attaccare il regno di Pergamo , alleato dei
Romani. Dopo la grande paura di Annibale era cambiato tutto: ogni volta che i Romani dicevano al Senato e al popolo
che la città era in pericolo, loro accettavano qualunque soluzione.
Nonostante queste coalizione, però, Filippo V fu battuto nel 196 a. C. e fu costretto ad abbandonare la Grecia.
Roma restituì la libertà alle città greche, almeno in apparenza, e per questo fu accolta con tanti onori.

Terza guerra macedonica (171 a. C. - 168 a. C)


Nel 179 a. C. sul trono di Macedonia salì Perseo, figlio di Filippo V e ferocemente antiromano. Quando Perseo
cercò di portare dalla sua parte alcune città greche, cominciò la terza guerra macedone che si concluse nel 168 a. C.
con una battaglia molto famosa, la battaglia di Pidna. Fu la vittoria di una nuova tecnica militare: il manipolo romano
contro la falange macedone. Dopo questa battaglia Roma mise definitivamente le mani sull'Oriente. Le condizioni di

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pace furono molto dure: la Macedonia fu divisa in quattro repubbliche, alleate dei Romani, l'esercito fu sciolto e le
miniere d'oro furono incamerate da Roma.
Quarta guerra macedonica (148 a. C. - 146 a. C.)
Vent'anni più tardi un avventuriero, chiamato Andrisco, finge essere il figlio di Perseo e riuscì ad organizzare
un'insurrezione di alcune città greche, riunite in una Lega chiamata Achea. Due anni dopo le città ribelli furono
sconfitte e la Macedonia e la Grecia divennero province romane.

Conseguenze
1) Conseguenze politiche
In un secolo, dal 250 al 150 a. C., Roma passò da una potenza regionale che controllava parte della penisola
italiana a una grande potenza mediterranea, con territori in Asia e in Africa. Questa nuova potenza però non poteva più
essere governata come se fosse ancora una piccola repubblica, ma il Senato, geloso dei suoi privilegi, ostacolò
qualunque cambiamento.
In questo periodo aumentarono gli scontri tra i cavalieri e i patrizi, appoggiati dal Senato. I patrizi investivano
i loro soldi nelle terre, invece la nuova classe politica dei cavalieri gestiva le attività commerciali delle province, anche
perché la legge vietava ai senatori di investire i loro soldi in attività commerciali. I cavalieri, chiamati anche ordine
equestre, erano un gruppo di persone di origine plebea, ma erano talmente ricchi (si erano arricchiti con le forniture
delle guerre, con gli appalti e con i lavori pubblici) da essere inseriti nelle liste di persone che avevano il diritto e il
privilegio di prestare il servizio militare in cavalleria, come se fossero patrizi. Per somigliare ai patrizi si misero anche
l'anello d'oro e la tunica ma i patrizi li guardavano con disprezzo, anche se più ricchi di loro. Questa ristretta cerchia di
ricchissimi, chiamati optimates, si allearono contro i populares, cioè i plebei poveri, i clienti, i liberti e i peregrini
(stranieri domiciliati nel territorio romano).
Dopo la conquista dell'Oriente, il Mediterraneo fu gestito completamente dai Romani che dovettero inventare
un sistema di controllo diverso da quello utilizzato con i popoli italici. Adesso Roma non proponeva più un Foedus
(cioè un Patto), ma controllava i territori conquistati molto più duramente e li sfruttava dal punto di vista economico :
ad esempio la Sicilia serviva per produrre grano e per dare respiro alle casse di Roma, dissanguate dalle guerre. Questi
nuovi territori conquistati furono chiamati Province, governate da un magistrato e costrette a pagare tributi molto alti. I
magistrati di solito erano Pretori o Consoli che avevano finito il loro mandato e per questo furono chiamati Proconsoli
o Propretori. Avevano poteri molto ampi: ad esempio potevano decidere la vita o la morte dei provinciali e confiscarne
le loro proprietà. Chiaramente in molti casi erano corrotti e governavano le province solo per arricchirsi. Quando il
Senato lo capì, istituì un tribunale per giudicare il lavoro dei governatori ma con scarsi risultati. Le prime province
furono la Sicilia, la Sardegna e la Corsica, formate nel 227 a. C.
Nelle Province la riscossione (raccolta) delle tasse era molto complicata e di solito il Senato la appaltava a
cittadini privati, chiamati pubblicani, che però alzavano le tasse per aumentare i loro guadagni. Nelle Province Roma,
anche grazie agli schiavi, costruiva molte opere pubbliche, come strade e ponti.
2) Conseguenze culturali
Le Guerre macedoniche fecero conoscere ai Romani la grande cultura greca che si diffuse rapidamente
soprattutto tra le classi alte della popolazione, di fatto “conquistando Roma”, come disse il poeta Orazio. Ciò avvenne
soprattutto grazie all'arrivo di molti schiavi dall'Oriente, tra i quali vi erano molti scienziati e artisti greci; il più
famoso di questi fu il grande storico greco Polibio, ma ce ne erano molti altri, come Terenzio, schiavo cartaginese.
Con l'arrivo della cultura greca, si diffuse una vera e propria moda e molti nobili si misero a parlare con
l’accento greco e a vestire come i greci. Contro la diffusione di mode e religioni elleniche, si diffuse una tendenza
culturale conservatrice, capeggiata da Catone, detto il Censore, eletto censore nel 184 a. C. Catone era convinto che le
mode greche avrebbero distrutto Roma e per questo fece allontanare tutti i filosofi greci dalla città. Queste leggi però
non riuscirono a bloccare la diffusione della cultura greca.
Di contro c’erano molti romani che furono influenzati positivamente dalle nuove tendenze greche e si
opposero a Catone. Questi intellettuali si raccolsero attorno al Circolo degli Scipioni, capeggiato a Scipione l’Africano
e a Scipione l’Emiliano. A questo circolo parteciparono anche molti intellettuali greci, come Polibio.
Gli intellettuali greci ebbero il grande merito di svecchiare la rozza cultura romana nella poesia, nella
letteratura, nel teatro, nella filosofia, nelle scienze e in molti altri settori.

La crisi della Repubblica romana e i fratelli Gracco


Dopo la conquista del Mediterraneo a Roma arrivò una grande quantità di schiavi e di materie prime a basso
costo, come ad esempio il grano siciliano. I piccoli coltivatori, che non potevano permettersi gli schiavi, furono
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rovinati dalla concorrenza dei grandi latifondisti e quindi furono costretti a vendere i loro terreni e ad andare a Roma
in cerca di lavoretti. In questo modo in alcuni decenni scomparve la piccola proprietà che rappresentava non solo
l'ossatura della Repubblica romana ma anche dell'esercito. Infatti, secondo la legge romana, soltanto chi possedeva
qualcosa poteva far parte dell’esercito; di conseguenza la scomparsa dei piccoli proprietari rendeva complicato trovare
soldati.
Approfittando della crisi della piccola proprietà e dell'assegnazione di una grossa fetta di Ager publicus (le terre
conquistate), i Senatori riuscirono a produrre a prezzi sempre più bassi.
Il problema dei contadini rimasti senza terre e senza l'opportunità delle guerre con le quali far carriera esplose nel
II secolo a. C. In teoria la Lex Licina prevedeva che nessuno poteva possedere più di 500 iugeri di terreno (lo iugero
era 2500 metri circa), ma bastava corrompere qualche funzionario e la legge veniva facilmente aggirata. I latifondi
alcune volte erano talmente vasti che una buona parte rimaneva incolta, soprattutto quando il numero degli schiavi
diminuiva temporaneamente. Ciò accadeva in concomitanza di alcune sanguinose rivolte degli schiavi che venivano
sedate duramente; in una di queste, in Sicilia, Roma dovette addirittura mandare l'esercito.
Il primo a sollevare il problema della distribuzione dell' Ager publicus fu Tiberio Gracco, appartenente ad una
nobile famiglia romana e nipote di Scipione l’Africano; Tiberio Gracco, uomo molto colto, fu eletto Tribuno della
plebe nel 133 a. C. Secondo lui, se non si fosse risolta la crisi della piccola proprietà, i ricchi sarebbero diventati
sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Per risolvere questo problema, sarebbe stata necessaria una riforma
agraria con la quale poter assegnare la terra ai contadini poveri . Appena eletto Tribuno, Tiberio Gracco fece
approvare una legge secondo la quale nessuno poteva possedere più di 500 iugeri di terra; a questa quantità al massimo
si sarebbero potuti aggiungere altri 250 iugeri per ogni figlio, fino a 1000 iugeri. Il terreno in eccesso sarebbe andato
allo Stato il quale, oltre alle sementi e agli attrezzi agricoli, avrebbe assegnato 37 iugeri ad ogni contadino povero. Se
il nobile avesse apportato migliorie al terreno, lo Stato lo avrebbe indennizzato. Non era una legge rivoluzionaria, ma
la protesta dei ricchi fu enorme. Dopo uno scontro con l'altro Tribuno, che Tiberio Gracco fece deporre, l’assemblea
della plebe approvò questa legge. Tiberio si presentò alla carica di Tribuno della plebe anche l'anno successivo, ma
siccome le leggi romane non prevedevano la rielezione, il Senato lo accusò di voler diventare re e provocò violenti
scontri. In uno di questi violentissimi scontri Tiberio, nel 133 a. C., fu ucciso dalla plebe, aizzata dal Senato, e il suo
corpo fu gettato nel Tevere. Dopo la morte di Tiberio Gracco, per paura di disordini, la legge non fu abolita, ma fu
fortemente ostacolata.
Lo scontro tra Senato e popolo divenne ancora più duro quando, dieci anni dopo, nel 123 a. C., fu eletto tribuno
della plebe il fratello di Tiberio, Gaio Gracco.
Gaio Gracco capì che, prima di far approvare una riforma del genere, avrebbe dovuto procurarsi l'appoggio non
soltanto dei contadini, ma anche di altre classi sociali, come i cavalieri. Per ottenere l'appoggio del popolo, fece
approvare una legge frumentaria che prevedeva la distribuzione di grano alla plebe romana a prezzi bassi. Dopo
l'approvazione di questa legge, però a Roma arrivarono migliaia di contadini da ogni parte dell’Italia. A quel punto,
per svuotare Roma, Gaio Gracco decise di fondare delle colonie dove poter trasferire i contadini in eccesso. Inoltre,
per indebolire il Senato e per favorire contemporaneamente l'ordine dei cavalieri, inserì in maniera massiccia i
cavalieri nei tribunali, spezzando il monopolio dei senatori nella giustizia, soprattutto nei processi per corruzione.
Dopo aver ottenuto l’appoggio del popolo e dei cavalieri, ripropose la riforma agraria di suo fratello, che in parte
fu applicata, e fece approvare la rielezione della carica di Tribuno della plebe : i vecchi ordinamenti repubblicani
cominciavano a mutare.
A questo punto lo scontro con il Senato divenne inevitabile. Il Senato, per bloccare le sue proposte, gli oppose la
figura di Druso, un altro Tribuno della plebe , che, ponendo il veto, bloccò alcune riforme di Gaio Gracco. Gaio
Gracco poi fece un errore: propose di estendere la cittadinanza romana anche alle popolazioni italiche, incontrando
però l'opposizione della plebe romana, preoccupata di perdere i suoi privilegi, come il grano a basso costo. Per questo
motivo nel 121 a. C. non fu più rieletto Tribuno della plebe.
A questo punto Gaio Gracco andò in Africa per fondare una colonia ma, quando tornò, trovò una situazione
completamente diversa: Druso aveva l'appoggio del popolo. La situazione degenerò e durante alcuni violenti scontri
armati Gaio Gracco fu dichiarato nemico pubblico da parte del Senato; a quel punto preferì farsi uccidere da un suo
schiavo.
Gaio Gracco fu il primo a capire che Roma era cambiata profondamente e che non poteva più essere governata
soltanto dal Senato. Il Senato però era arroccato nella difesa dei suoi privilegi economici e politici e non voleva in
alcun modo accettare questi cambiamenti. Per mettere da parte il Senato sarebbe servito l'uso della forza, ma i fratelli
Gracco non seppero farlo: dopo di loro altri – come Silla ad esempio – lo fecero.
Dopo le riforme tentate dai fratelli Gracco, Roma cambiò per sempre e si formarono due partiti in perenne lotta
tra di loro: i cavalieri (“borghesi” e ricchi commercianti, chiamati anche pubblicani, che avevano l'appoggio del
popolo) e i patrizi (proprietari terrieri, chiamati anche ottimati, che avevano l'appoggio del Senato e della nobiltà). Lo
scontro tra questi due partiti inaugurò una stagione di lotte che finirà soltanto con Ottaviano Augusto.
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La guerra civile tra Mario e Silla
Dopo il fallimento delle riforme dei fratelli Gracco, si formarono due gruppi sociali: gli Ottimati, (i Patrizi)
appoggiati dal Senato e dai Consoli, e i Cavalieri, (i nuovi ricchi), che controllavano le province. Poi c’era il popolo,
escluso dalla gestione dello Stato, e gli schiavi. Oltre ai problemi sociali che fratelli Gracco avevano cercato di
risolvere, si erano aggiunte le violenti rivolte degli schiavi e il malumore degli italici (le popolazioni che abitavano nel
resto della penisola) che chiedevano la cittadinanza romana. La situazione in poco tempo sfuggì di mano e portò alla
fine della Repubblica romana.
Lo scontro tra i nobili (gli ottimati) e i nuovi ricchi (i cavalieri) provocò gravi ripercussioni anche in politica
estera. La situazione esplose quando Giugurta si impadronì del regno africano di Numidia , fedele alleato dei Romani,
e fece uccidere tutti i cittadini romani che si trovavano lì. Siccome la disobbedienza di Giugurta avrebbe potuto
mettere in crisi le Province, i cavalieri e il popolo chiesero a gran voce la guerra contro Giugurta, temendo che questa
sollevazione potesse espandersi anche in altre zone. Il pericolo era reale anche perché la Provincia d'Asia passò subito
dalla parte di Giugurta perché era governata con durezza ed era tassata pesantemente.
Il Senato in un primo momento non voleva la guerra, ma poi nel 111 a. C. cedette. La guerra contro Giugurta,
però, fatta senza grande entusiasmo, andò malissimo e addirittura si sospettò che alcuni generali romani si fossero fatti
corrompere. Il popolo, inferocito con il Senato, riuscì a far eleggere console un uomo nuovo, Gaio Mario, che non
proveniva dalla nobiltà romana. La guerra contro Giugurta fu affidata proprio a Mario che nel 107 a. C. lo sconfisse e
lo uccise. Il Senato affidò la trattativa di pace al senatore Lucio Cornelio Silla.
Gaio Mario, il primo capo popolare dopo i fratelli Gracco, fu accolto come un salvatore della patria ma poco
tempo dopo dovette risolvere un altro grande problema: a nord premevano minacciose le genti barbare, Cimbri e
Teutoni, di stirpe germanica, che nel 113 a. C. avevano già pesantemente sconfitto i Romani. Anche la guerra contro
queste popolazioni fu affidata a Mario che riuscì a sbarrargli la strada mentre saccheggiavano la Spagna e la Francia.
Per questa guerra, però, Mario fu costretto ad inserire nell’esercito romano persino gli italici e i nullatenenti in cerca di
bottino, di conquiste e di una veloce scalata sociale; questo espediente in passato era stato usato soltanto nella guerra
contro Annibale. Dopo la crisi della piccola proprietà – come abbiamo già visto – il numero di coloro che potevano
diventare soldati era diminuito a dismisura. Alla fine della guerra Mario li avrebbe ricompensati con le terre. Da quel
momento in poi l'esercito romano non era più formato da cittadini che combattevano per la propria patria, ma da
professionisti pagati che combattevano per il loro generale; in questo modo si venne a creare un legame molto stretto
tra capo e soldati, facendo diventare di fatto l'esercito romano “privato”. Questo cambiamento alla lunga provocò la
fine della Repubblica romana.
Dopo questa vittoria, sebbene non appartenesse alla nobiltà romana e sebbene fosse vietato dalla legge, Mario
fu eletto console per la quinta volta consecutiva, dal 104 al 100 a. C.: non era mai accaduto prima. La repubblica
romana stava cominciando a cambiare in senso imperiale.
Mario aveva ormai un potere enorme e con lui lo scontro tra ottimati e popolari divenne violentissimo. Inoltre
gli italici chiedevano la cittadinanza romana, i veterani di guerra volevano altri 100 iugeri di terra come ricompensa
per aver combattuto nell’esercito per 7 anni e soprattutto le masse erano fuori controllo e insorgevano in maniera
violenta. Per sedare una di queste violente insurrezioni, Mario fu costretto ad intervenire: il Senato lo odiava e il
popolo, dopo la repressione della rivolta, lo abbandonò e alla fine fu allontanato da Roma.
Dopo Mario, in questo clima infuocato, alla guida dei Popolari si mise Livio Druso che cercò l'appoggio
anche dei soci italici, promettendo loro la cittadinanza romana; il Senato però si oppose violentemente e Druso fu
ucciso. A quel punto gli italici capirono che avrebbero dovuto fare da soli e insorsero: scoppiò la Guerra dei Soci
(cioè gli abitanti non Latini dell'Italia centrale), chiamata “Guerra sociale”. La rivolta degli Oschi, dei Sabelli e dei
Sanniti fu sanguinosissima e scoppiò nel 90 a.C. Per un po’ di tempo queste popolazioni, che avevano stabilito la loro
capitale vicino l'Aquila, si staccarono da Roma e coniarono una loro moneta. I Romani furono colti di sorpresa e
furono sconfitti più volte, anche perché i “Soci” conoscevano perfettamente le tecniche militari romane; alla fine
Roma dovette cedere alle richieste degli alleati e concesse la cittadinanza a tutti coloro i quali avessero deposto le
armi. Adesso gli italici potevano diventare consoli magistrati o tribuni. Per sconfiggere il resto della rivolta, l'esercito
romano fu affidato ad un giovane generale di origine aristocratica: Lucio Cornelio Silla.
I guai non erano finiti! Proprio mentre l’insurrezione delle popolazioni italiche stava per finire, nell’88 a. C.
arrivò la notizia che la provincia d’Asia era stata invasa da Mitridate VI, re del Ponto. Gli abitanti della provincia
d'Asia furono felici di passare dalla parte di Mitridate per togliersi dal giogo dei corrotti governatori romani. Mitridate
addirittura raggiunse Atene e fu accolto come un liberatore. Nonostante fosse in corso la guerra contro gli italici,
Roma intervenne e affidò il comando delle operazioni al console Silla, anche se l’assemblea della plebe avrebbe
voluto che l’operazione fosse assegnata a Gaio Mario, ormai settantenne. A quel punto Silla, con una mossa a
sorpresa, ordinò al suo esercito (come dicevamo prima ormai non era più l'esercito di Roma, ma un esercito privato) di
marciare contro Roma e di sconfiggere le truppe popolari di Gaio Mario: era la prima volta che ciò accadeva. Fu
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l’inizio della guerra civile. Silla ebbe la meglio e Mario fu costretto a fuggire in Africa. Dopo aver cacciato Mario,
Silla andò a combattere contro Mitridate; nell'86 a. C. riprese Atene e la saccheggiò, ma in sua assenza Roma precipitò
nel caos. I popolari, capeggiati da Cinna, un seguace di Mario, insorsero di nuovo e uccisero migliaia di ottimati;
Mario, ormai vecchio, fu addirittura eletto console per la settima volta e Silla fu dichiarato nemico dello Stato e i suoi
beni furono sequestrati. Poco dopo, però, Mario morì e il nuovo console, del partito dei Popolari, mandò un esercito in
oriente per combattere sia Silla sia Mitridate. Silla, che nel frattempo aveva accumulato enormi ricchezze, però aveva
trovato un accordo con Mitridate ed era ripartito in fretta per Roma. Alla fine, nell'82 a. C., Silla riuscì a sconfiggere i
Popolari e a diventare “padrone” incontrastato di Roma: ormai la repubblica era morta.
In queste battaglie si erano messi in luce due uomini di Silla, Pompeo e Crasso. Silla fu nominato Dittatore a
vita, l’opposizione dei popolari fu eliminata e furono fatte delle liste di proscrizione: si trattava di un elenco di tutti i
seguaci di Mario. Molti di questi furono uccisi, altri riuscirono a scappare. Tra questi c'era anche un giovane nipote di
Mario, di nome Caio Giulio Cesare. Scattò una folle caccia all’uomo e persino gli schiavi dei proscritti furono
liberati; i tribuni della plebe furono privati del loro diritto di veto, i cavalieri furono esclusi dai tribunali , i soldati di
Silla furono ricompensati con le terre tolte ai seguaci di Mario, il Senato fu portato da 300 a 600 membri e si vietò di
attraversare il fiume Rubicone armati.
Nel 79 a. C. Silla con un gesto a sorpresa rinunciò a qualunque carica e si ritirò a vita privata, anche se in realtà
teneva in mano la politica di Roma. Per i senatori quel gesto era la prova che Silla aveva agito per il bene della
Repubblica romana e non per scopi personali; in ogni caso, però, la legalità era stata violata e si era compreso che, chi
controllava l’esercito, poteva fare tutto ciò che voleva: presto molti altri lo avrebbero imitato.

Pompeo e Crasso
Dopo la morte di Silla, Roma cadde di nuovo nel caos per colpa degli scontri tra gli Ottimati e i Popolari . In
questo clima infuocato spiccarono due personaggi nuovi: Gneo Pompeo e Marco Licinio Crasso. Crasso si era messo
in luce con Silla ed era diventato ricchissimo grazie alle proscrizioni e alle terre sottratte ai seguaci di Mario. Gneo
Pompeo era un giovane generale appartenente all'aristocrazia romana che aveva combattuto con Silla.
Per scappare dalle persecuzioni di Silla, molti seguaci di Mario si rifugiarono in Spagna, sotto la guida di
Sertorio, un uomo di grandi capacità militari e politiche. Sertorio (uno dei più fedeli luogotenenti di Mario), dopo aver
occupato parte della Spagna, avrebbe voluto marciare verso Roma per cacciare gli uomini di Silla . Per far questo,
decise di stringere un'alleanza con i pirati e con Mitridate (re del Ponto), riuscendo a rendere praticamente
indipendente la Spagna per cinque anni.
Per sconfiggere definitivamente i seguaci di Mario, nel 77 a. C. il Senato diede l'incarico a Pompeo che, dopo
aver superato una dura resistenza, riuscì a battere Sertorio nel 72 a. C.
Nel frattempo in Italia, dal 73 a. C. in poi, si era presentato un grosso problema che aveva messo in seria difficoltà
la Repubblica romana: la rivolta degli schiavi, capeggiata dal grande guerriero Spartaco, uno schiavo trace
appartenente alla scuola di Capua. Dopo le guerre puniche e le guerre macedoniche, gli schiavi aumentarono a
dismisura e di conseguenza il loro valore commerciale diminuì. Visto che costavano poco, i padroni se ne servivano
fino a quando potevano e poi li abbandonavano in condizioni disumane.
Quasi centomila schiavi, gladiatori e contadini poveri si unirono a Spartaco che riuscì a saccheggiare per due anni
le regioni meridionali dell'Italia e a sconfiggere ripetutamente i vari eserciti romani, anche perché la guerra fu condotta
senza grande entusiasmo, visto che non c'era alcuna possibilità di bottino. Piano piano, però, soprattutto quando
Spartaco e i suoi uomini si misero in testa di marciare verso Roma, la situazione divenne preoccupante e il Senato
incaricò Marco Licinio Crasso di reprimere la rivolta. Alla fine Spartaco, esausto e privo di rifornimenti, fu sconfitto
mentre cercava di passare in Sicilia per liberare gli schiavi dell'isola. Fu ucciso nel 71 a. C. e insieme a lui furono
crocifissi migliaia di schiavi lungo la strada che portava a Roma.
I successi militari aumentarono il potere di Pompeo e Crasso che però, secondo le leggi introdotte da Silla, non
potevano diventare consoli, visto che non avevano mai ricoperto alcuna magistratura minore (pretore, questore ecc.).
A quel punto, anche se entrambi si erano messi in luce con la fazione nobiliare di Silla, decisero di farsi appoggiare dal
popolo romano e dai rispettivi eserciti. Appena furono eletti Consoli, abolirono le leggi fatte da Silla, ripristinarono il
potere dei Tribuni della plebe e diedero più poteri ai cavalieri.
Dopo esser diventato Console, Pompeo dovette affrontare il problema dei pirati nel Mediterraneo e di Mitridate, re
del Ponto, che, nonostante fosse stato sconfitto da Silla, si era di nuovo rafforzato. Mitridate aveva occupato la Bitinia
e il Senato in un primo momento aveva incaricato Lucullo per contrastarlo; purtroppo, però, Lucullo era un generale
rigidissimo e i suoi uomini si stancarono di lui. A quel punto toccò a Pompeo che, mostrando grandi capacità militari,
in poco tempo sconfisse i pirati, Mitridate e conquistò la Siria, Gerusalemme e la Giudea , terre che portarono
ricchezze, schiavi e soprattutto grande popolarità. In realtà in Oriente Pompeo aveva deposto re, aveva riordinato regni
e modificato i confini delle province senza l'autorizzazione del Senato. Era il segno che la Repubblica romana di fatto
non esisteva più. Al suo ritorno Pompeo esercitò su Roma una sorta di potere assoluto, gettando le basi per l'impero.
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Nessuno prima di lui si era avvicinato tanto alla monarchia, ma Pompeo probabilmente non volle compiere il passo
definitivo. Se avesse voluto, il Senato non avrebbe potuto fermarlo.
In questi anni si era messo in luce Marco Tullio Cicerone, grande intellettuale e, sebbene appartenente alla classe
sociale dei Cavalieri, era diventato il principale difensore degli interessi del Senato.
Mentre Pompeo era in Oriente, a Roma ci fu un grosso problema: la “Congiura (cospirazione) di Catilina ”.
Catilina apparteneva ad una famiglia di antica nobiltà decaduta e si era messo in luce con Silla . Le fonti lo descrivono
come un uomo corrotto e malvagio, anche se la “leggenda nera” di Catilina è stata creata da Cicerone. Nel 67 a. C.
Catilina era stato eletto Governatore della provincia d'Africa e l'anno successivo si volle presentare alla carica di
Console
Quando cercò di diventare console, fu appoggiato da Crasso ma fu sconfitto, anche perché nel frattempo era stato
accusato di corruzione; il processo si concluse con un nulla di fatto ma gli costò l'incarico: divennero consoli Cicerone
e un certo Gaio Antonio. Catilina si presentò due anni dopo, nel 64 a. C., ma Cicerone con un sotterfugio riuscì a
spostare le elezioni e lui fu sconfitto di nuovo. Si candidò una terza volta, nel 63 a. C., ma poi, stanco di Cicerone,
organizzò un colpo di Stato – la “Prima congiura di Catilina” – che fallì anche perché nel frattempo era stato
abbandonato dal potente Crasso (non si è ancora capito il ruolo di Cesare in questa vicenda). La rivolta sarebbe dovuta
scattare durante la cerimonia di insediamento dei nuovi Consoli che sarebbero stati uccisi . Catilina era riuscito a
raggruppare intorno a sé tutta una serie di scontenti: aristocratici decaduti, nullatenenti, ex schiavi. Al popolo promise
una riforma agraria come quella dei Gracchi, ai nullatenenti l’abolizione dei debiti e ai nobili decaduti di riportarli in
Senato. Dopo le varie promesse, cercò di marciare su Roma con un piccolo esercito ma, siccome i preparativi erano
stati molto approssimativi, la congiura andò male: alcuni congiurati spifferarono ogni cosa e la notizia arrivò alle
orecchie del console Marco Tullio Cicerone che denunciò tutto in Senato, sostenendo che la repubblica fosse in
pericolo. Siccome l'accusa si basava solo su ciò che diceva Cicerone e su alcune lettere anonime, il Senato non
credette a Cicerone fino in fondo e Catilina riuscì a scappare da Roma. Probabilmente Cicerone aveva esagerato per
passare come salvatore della Patria.
Nonostante Catilina avesse lasciato Roma, non abbandonò l'idea della congiura e fece un accordo con i Galli
(Seconda congiura di Catilina). Ancora una volta Cicerone, grazie alla testimonianza di alcuni Galli, scoprì tutto e
pronunziò un'altra orazione in Senato. Poco tempo dopo Catilina fu intercettato in Emilia e fu ucciso in battaglia; tutto
questo accadde mentre Pompeo non era a Roma.
Quando Pompeo tornò in Italia dall'Oriente, nel 62 a. C., tra lo stupore di tutti congedò il suo esercito. Nemmeno
Cicerone si aspettava una mossa simile: il Senato credette che Pompeo avrebbe marciato contro Roma per fondare la
monarchia. In cambio, però, chiese al Senato di ricompensare gli uomini che avevano combattuto con lui. Il Senato,
geloso del potere personale di Pompeo, rifiutò le richieste di Pompeo. A quel punto ci fu un colpo di scena: grazie alla
mediazione di un giovane Populares, Gaio Giulio Cesare, Pompeo e Crasso fecero un accordo segreto e non previsto
dalla legge, chiamato “Primo triumvirato”, che qualche tempo dopo pose fine alla repubblica romana: Cesare, la
mente, sarebbe diventato Console; Pompeo, il generale famoso, avrebbe ottenuto la terra per i suoi uomini; Crasso, il
ricco, avrebbe ottenuto vantaggi per le Province. Il Senato non contava più nulla.

Giulio Cesare
Cesare nacque a Roma nel 100 a. C. da un'antica famiglia patrizia ormai decaduta. Siccome era nipote di Gaio
Mario, durante la guerra civile tra Mario e Silla, fu inserito nelle liste di proscrizione, gli furono tolti tutti i beni e fu
costretto a scappare in Asia per non essere ucciso. Alla morte di Silla, Cesare tornò subito a Roma e, per rifarsi una
posizione, si arruolò nell’esercito; poco tempo dopo si trovò a combattere contro la ribellione di Spartaco, agli ordini
di Crasso, l'uomo più ricco di Roma. La legione di Crasso e Cesare riuscì a sconfiggere Spartaco, ma non riuscì a
portare a Roma la testa del nemico; per questo motivo Pompeo, che diede il colpo di grazia agli uomini di Spartaco, si
prese tutti i meriti dell'operazione. A quel punto lo scontro tra Pompeo e Crasso si fece molto duro, perché entrambi
volevano diventare consoli: Pompeo era il più grande comandante che Roma aveva mai avuto e Crasso l'uomo più
ricco. Per evitare un'altra sanguinosa guerra civile, Cesare, nel 60 a. C., propose un patto tra di loro, che gli storici
chiamano “Primo triumvirato” (tres viri, tre uomini). Secondo questo accordo, Cesare sarebbe diventato console,
Pompeo avrebbe ottenuto le terre per i suoi uomini e Crasso avrebbe avuto mano libera nelle province. Per convincere
Pompeo, Cesare gli diede sua figlia in sposa. Quando divenne console, nel 59 a. C., Cesare rispettò gli accordi e in più
si prese la gestione di parte della Gallia. Il Senato, però, come al solito, si rifiutò di dare la terra ai veterani di Pompeo
e a quel punto l'accordo, che doveva rimanere segreto, uscì alla scoperto: i tre minacciarono l'uso della forza e il
Senato, che non contava più nulla, alla fine accettò. Il capo dei senatori, Cicerone, sconfitto, si allontanò in esilio
volontario.
A Cesare però mancava soltanto una cosa: la gloria di una conquista militare. Pompeo e Crasso avevano capito
che Cesare stava diventando troppo potente e quindi lo spedirono in Gallia, senza il permesso del Senato. I Galli non
formavano uno stato unitario, ma erano divisi in tribù autonome e sempre in lotta tra di loro. Cesare capì che se i Galli
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fossero rimasti divisi, avrebbe potuto sconfiggerli facilmente e per far questo utilizzò una vecchia tattica romana: si
alleò con una popolazione locale, fingendosi loro difensore. In Gallia con lui c’era anche un giovane ufficiale di nome
Marco Antonio.
L’occasione arrivò nel 58 a. C., quando gli Elvezi, (una popolazione che abitava nell’attuale Svizzera), per
scappare dai Germani, un popolo molto bellicoso, cercò di spostarsi in Gallia ma ovviamente si scontrò con le
popolazioni locali. Cesare si finse difensore dei Galli e sconfisse gli Elvezi; fidandosi di lui, i Galli gli chiesero aiuto
anche contro i Germani. A questo punto Cesare sconfisse i Germani e li obbligò a non oltrepassare il Reno, ma tra il
58 e il 55 a. C. conquistò con estrema durezza la Gallia e negli anni a seguire, anche l’Aquitania, la Normandia e la
Bretagna, arrivando, nel 54 a. C., persino al Tamigi. Cesare, per rafforzare la sua posizione, si premurò a mandare a
Roma la notizia di aver sottomesso la Gallia, anche se in realtà la ribellione della popolazioni locali non era stata del
tutto repressa.
Pompeo e Crasso erano preoccupati per le vittorie di Cesare e addirittura fecero rientrare Cicerone a Roma , per
utilizzarlo contro di lui. Questa volta il Senato si schierò dalla parte di Pompeo, ma Cesare, a Lucca nel 55 a. C.,
ripropose l'accordo più saldo di prima: Crasso avrebbe ottenuto la Siria e Pompeo la Spagna. A quel punto Crasso partì
per conquistare il potente e ricco regno dei Parti, ma in Siria, nel 53 a. C., fece una brutta fine: fu pesantemente
sconfitto, perse la Mesopotamia, fu fatto prigioniero e fu ucciso (secondo quanto dice la tradizione) con dell’oro fuso
in bocca. Dopo la morte di Crasso, lo scontro tra Pompeo e Cesare divenne inevitabile. Il Senato, preoccupato da
Cesare, si schierò dalla parte di Pompeo e lo nominò unico console e Princeps Senatus (era il primo membro per
precedenza del Senato; era il portavoce ufficiale e aveva il diritto di votare per primo, influenzando la votazione degli
altri. Anche se non faceva parte del cursus honorum e non deteneva nessun imperium, questo incarico portava
comunque prestigio enorme al senatore che lo deteneva).
Nel frattempo la guerra in Gallia non era ancora conclusa; nel 52 a. C., infatti, Vercingetorige, un giovane e
valoroso sovrano, riuscì a unire tutte le tribù galliche e ad opporre una grandissima resistenza. Vercingetorige evitò di
affrontare i Romani in campo aperto e distrusse i villaggi per non fargli trovare i rifornimenti alimentari; la stessa
tattica utilizzata millenni dopo dai Russi contro Napoleone e contro Hitler. Per battere Vercingetorige, Cesare fu
costretto ad assediare per lungo tempo la città di Alesia; alla fine conquistò la Gallia e ne fece una provincia romana,
ma a prezzi umani altissimi. La ricostruzione della guerra gallica è stata fatta direttamente da Cesare e quindi non è
attendibile dal punto di vista storico.
Mentre Cesare era in Gallia, Pompeo rimase a Roma, diventandone di fatto il padrone: fu eletto console e, come
già detto, si alleò col Senato, che tolse a Cesare il comando della guerra in Gallia e gli ordinò di tornare e di congedare
l'esercito. Cesare ovviamente non lo fece e anzi passò al contrattacco: con una sola legione oltrepassò il Rubicone, un
piccolo fiume vicino Cesena, (che da quel momento in poi divenne famosissimo), e puntò verso Roma. Il Senato
rimase fermo sulle sue posizioni non comprendendo ciò che stava accadendo; concesse a Pompeo pieni poteri e
dichiarò Cesare nemico dello Stato. L'esercito di Pompeo era di gran lunga più grande, ma l'azione di Cesare fu
talmente rapida che riuscì alla perfezione; addirittura alcuni contingenti di Pompeo passarono con Cesare. Pompeo
avrebbe voluto raggiungere la Grecia per poter contare sulle altre truppe e per questo Cesare cercò di sbarrargli la
strada a Brindisi.
Iniziò una feroce guerra civile, l’ultima della repubblica romana. Pompeo non si aspettava questa mossa
rivoluzionaria – entrare nel terreno sacro di Roma era illegale – e scappò in Grecia con il suo esercito e con la maggior
parte dei senatori. Cesare prima andò in Spagna, dove di fatto Pompeo era governatore, e sconfisse le sue truppe, poi
andò in Oriente e lo sconfisse di nuovo nella battaglia di Farsalo, nel 48 a. C., ma Pompeo riuscì a scappare in Egitto.
Nel frattempo il Senato era riuscito a radunare in Africa un grosso esercito (14 legioni) e si era assicurato l'appoggio
del re di Numidia, ma Cesare, nella battaglia di Tapso, sconfisse definitivamente tutti i seguaci di Pompeo. Per
festeggiare la vittoria diede grano gratis alla plebe e terre ai soldati.
Quando Pompeo arrivò in Egitto, Tolomeo (fratello e nemico di Cleopatra) lo uccise e consegnò a Cesare la testa
su un piatto, cercando di ottenere il suo appoggio. In realtà Cleopatra era stata più convincente e Cesare si schierò con
lei: sconfisse Tolomeo e la pose sul trono d'Egitto. Cesare rimase in Egitto per nove mesi e perse la testa per la
bellissima regina Cleopatra, dalla quale ebbe persino un figlio, Tolomeo Cesare. Poco tempo dopo, però, Cesare fu
costretto a ritornare a Roma perché la situazione era diventata incandescente: i seguaci di Pompeo si erano
riorganizzati, c'era una pesante crisi economica e i veterani erano in agitazione. Nel frattempo, il re del Ponto, Farnace,
(figlio di Mitridate) aveva deciso di sfruttare la confusione per riprendersi un po’ di terre. Cesare sconfisse Farnace e
poi, nel 46 a. C., dopo 12 anni di assenza, tornò a Roma: adesso era lui il padrone della città. Cesare non fece leggi
speciali né cercò vendetta e anzi, in maniera geniale, concesse un'amnistia a tutti i condannati politici e richiamò gli
esuli (esiliati).
Cesare governò Roma per soli 5 anni, dal 49 al 44 a. C., e non cambiò le vecchie istituzioni romane ma se ne
mise a capo, rifiutandosi di farsi nominare re. Dal 49 a. C. in poi fu eletto dittatore per dieci anni, poi dittatore a vita,
console per quattro volte consecutive e tenne per sé il comando di tutte le province: avrebbe potuto fare leggi senza
consultare i tribuni e avrebbe potuto nominare suoi candidati per tutte le magistrature. Addirittura gli fu concesso il
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titolo di Imperator e nel 44 a. C. gli fu riconosciuta l’inviolabilità della sua persona, aprendo di fatto la strada alla
sacralità del potere politico. Inoltre concesse la cittadinanza agli abitanti della Gallia Cisalpina, fece dei provvedimenti
per la plebe di Roma, distribuì terre ai veterani, favorì i lavori pubblici, fondò molte colonie e pose la sua statua
accanto alle divinità.
Cesare aveva capito che la repubblica romana doveva essere cambiata, ma fu clemente con gli avversari e
rispettoso, solo formalmente, del Senato. Gli storici fanno cominciare l'impero romano con Augusto, ma in realtà
Cesare aveva già tutti i poteri.
Il potere eccessivo e la divinizzazione della sua figura compattò l'opposizione, comandata da Cicerone e da
Catone l'Uticense. Ad un certo punto ci fu un colpo di scena: Cleopatra arrivò a Roma con il figlio maschio di Cesare.
Con l'erede la situazione cambiò radicalmente e il Senato capì che Roma sarebbe diventata una monarchia. Inoltre con
la nascita dell'erede maschio, Bruto, il figlio dell’amante di Cesare, sarebbe stato rimpiazzato .
In quel periodo Cesare aveva pensato ad un’azione colossale, là dove tutti avevano fallito: invadere il regno dei Parti.
Il Senato sapeva che, se fosse riuscito nel suo intento, non sarebbe stato più possibile fermarlo e quindi , tre giorni
prima di partire per l'Oriente, decisero di ucciderlo.
Un gruppo di senatori, il 15 marzo 44 a. C., organizzò una congiura (capeggiata da Marco Giunio Bruto, che era
stato adottato da Cesare, Gaio Cassio Longino e Decimo Bruto) e lo pugnalò a morte proprio mentre stava per entrare
in Senato: Cesare si sentiva così sicuro che aveva più volte rifiutato una scorta. Invece di ridare dignità alla repubblica,
però, la congiura gli diede il colpo di grazia. Dopo l’uccisione di Cesare, infatti, i congiurati furono costretti ad
abbandonare Roma e le loro case furono incendiate dalla folla. Sia la plebe sia l'esercito rimasero fedeli a Cesare e ai
suoi luogotenenti Marco Antonio e Marco Emilio Lepido. Nel suo testamento, Cesare aveva nominato erede un suo
pronipote, Ottaviano, di appena vent'anni, che si trovava in Illiria, mandando a gambe per aria i piani di Marco
Antonio. Cicerone rientrò a Roma dall'esilio, accusò Marco Antonio di essere un nemico dello Stato e appoggiò
Ottaviano, pensando di poterlo manovrare. Ottaviano rientrò subito e per prima cosa disse che avrebbe vendicato
Cesare.

L'impero romano: Ottaviano Augusto


Per evitare che scoppiasse una nuova guerra civile, dopo l'uccisione di Cesare, Marco Antonio (capo della
fazione popolare e fedele amico di Cesare) e Cicerone (capo dei senatori) trovarono un accordo : Marco Antonio
confermò tutte le leggi di Cesare e Cicerone concesse l'amnistia agli organizzatori della congiura. Appena fu aperto il
testamento di Cesare, però, la situazione cambiò radicalmente: l'erede designato era Gaio Ottavio, pronipote di Cesare,
chiamato Ottaviano. Non appena Ottaviano lo seppe, rientrò subito dall'Illiria, rivendicò la sua eredità e, per ottenere
l'appoggio del popolo, concesse grano gratis. Il Senato, pensando di poterlo manovrare facilmente, per via della
giovane età, si schierò dalla sua parte e dichiarò Marco Antonio nemico della patria.
Poco tempo dopo, però, il Senato comprese che Ottaviano non era così semplice da controllare; infatti, quando si
rifiutò di eleggerlo Console, Ottaviano minacciò l'intervento armato, fece la pace con Antonio, non più nemico della
repubblica, e revocò l'amnistia contro gli assassini di Cesare. Bruto e Cassio ovviamente fuggirono subito in Oriente
per organizzare un loro esercito.
Ottaviano, per sbarazzarsi una volta per tutte del Senato, insieme a Marco Antonio e Marco Emilio Lepido, un
altro dei più fidati luogotenenti di Cesare, nel 43 a. C. formò il secondo Triumvirato; rispetto al primo Triumvirato,
questo fu fatto alla luce del sole e avallato dalla legge. L'accordo prevedeva che ad Ottaviano sarebbe andata l'Italia e
le province occidentali, a Lepido l'Africa e ad Antonio le province orientali. Per prima cosa i triumviri fecero delle
nuove liste di proscrizioni contro tutti i nemici del popolo, colpendo soprattutto i senatori e i patrizi; tra questi fu
inserito anche Cicerone che fu ucciso da Marco Antonio. Molto spesso la storiografia ha esaltato la moderazione e la
saggezza di Ottaviano, ma in realtà queste liste di proscrizione scatenarono la più grave caccia all'uomo della storia
romana, peggiore di quella di Mario e Silla.
L'anno successivo i triumviri, a Filippi, sconfissero l'esercito di Bruto e Cassio e li uccisero . Nel 37 a. C. il
triumvirato fu rinnovato, ma ben presto gli scontri tra di loro si fecero più accesi. Il primo a farne le spese) fu Lepido
che fu emarginato. A quel punto Antonio ebbe l'oriente e Ottaviano l'occidente. In Italia Ottaviano mise fine allo
scontro con i senatori e sconfisse una flotta capeggiata dal figlio di Pompeo che si era impadronita della Sicilia.
Marco Antonio, per diventare più importante di Ottaviano, decise di fare una campagna militare contro i Parti e
chiese l'appoggio all'Egitto e alla regina Cleopatra. La campagna contro i Parti però andò male e Antonio chiese
rinforzi ad Ottaviano, il quale, preoccupato del grande potere del suo nemico, non lo aiutò. Ottaviano a quel punto
convinse il Senato della pericolosità di Antonio, intenzionato, secondo lui, a trasformare i domini egiziani in una
monarchia orientale. Ottaviano da quel momento in poi divenne il difensore del Senato e della tradizione repubblicana.

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Lo scontro degenerò e nel 31 a. C. Ottaviano sconfisse Antonio ad Azio e divenne il padrone unico di Roma.
Antonio tornò da Cleopatra, ma i due l'anno successivo, si uccisero. L'Egitto diventò proprietà privata di Ottaviano
(non provincia romana) e lui, nel 29 a. C., si presentò a Roma come il difensore delle antiche leggi della repubblica
romana. In realtà la repubblica romana era finita da tempo.
Visto che la città di Roma veniva da parecchi decenni di guerre civili, la prima cosa che Augusto fece fu quella di
riportare la pace (chiamata Pax romana) e per ottenerla non fece vendette, ritorsioni o ulteriori liste di prescrizioni:
cominciava una nuova era. Augusto volle celebrare la pace con la costruzione di un enorme monumento nel cuore di
Roma, chiamato l'Ara pacis, (l'altare della Pace). Con la pace arrivò anche un lungo periodo di crescita economica.
Inoltre, per evitare lo scontro con il Senato, Ottaviano non accettò alcun incarico oltre a quelli già previsti dall'antica
repubblica romana, ma li tenne tutti per sé.
Due anni dopo, nel 27 a. C., con un colpo a sorpresa Ottaviano restituì tutti i suoi poteri al Senato, chiedendo in
cambio soltanto il titolo di Augusto, cioè degno di venerazione. Il Senato, spaventato che la situazione degenerasse di
nuovo, si rifiutò e lo proclamò Augusto e Princeps senatus, cioè primo dei Senatori. Inoltre Ottaviano Augusto
mantenne il titolo di Imperator, cioè di comandante dell'esercito, e nel 23 a. C. ricevette anche i poteri di Tribuno della
plebe, con i quali poteva convocare i comizi, porre il veto alle altre leggi e approvare i plebisciti; infine gli fu concesso
anche il comando di tutte le province e nel 12. a. C. anche il titolo di Pontefice massimo. Ricoprì i senatori di onori e
di cariche e ai soldati concesse paga regolare, terre e possibilità di carriera. Questo sistema funzionò bene per 41 anni,
fino alla sua morte, nel 14 d. C.

Politica interna
Ottaviano Augusto istituì il Prefetto pretorio, che guidava i Pretoriani (le guardie private dell'imperatore) e il
Prefetto dell'annona che aveva il compito di rifornire la plebe di Roma di grano gratis, importante per evitare disordini.
Inoltre congedò migliaia di soldati, concesse la cittadinanza romana alle popolazioni della pianura padana e a tutti
coloro i quali avessero fatto il militare nell'esercito romano. Si propose come difensore della famiglia e della moralità
e per questo motivo approvò le “Leggi Giulie”, che imponevano il rispetto dei valori della cultura romana: obbligò
tutti i cittadini tra i 25 e i 65 anni a sposarsi, diede dei premi per chi faceva dei figli, inflisse pesanti pene per le donne
che tradivano (per i maschi no), limitò il lusso e esaltò le divinità della tradizione romana. Queste leggi incontrarono
molti oppositori perché le mode straniere, soprattutto greche, si ormai erano diffuse. A causa delle “Leggi Giulie”
Augusto fu costretto a mandare in esilio la sua unica figlia Giulia, che aveva più volte dato scandalo.

Politica estera
In politica estera Augusto aveva tre problemi: la Spagna, i Parti e le tribù germaniche. In Spagna, per sedare la
continua guerriglia che si opponeva ai Romani, mandò Tiberio, figlio di sua moglie, il quale nel 26 a. C. represse la
rivolta. Con il potente regno dei Parti, invece di una lunga e incerta guerra, scelse saggiamente un patto militare di non
aggressione e un accordo commerciale grazie al quale ripresero i commerci a lunga distanza. Con le tribù germaniche
invece le cose non andarono bene. Augusto in un primo momento cercò di oltrepassare il fiume Reno e inviò Druso
che però morì poco dopo. Il suo successore nel 9 d. C. fu sconfitto pesantemente nella famosa battaglia di Teutoburgo
e ventimila Romani furono uccisi dai forti guerrieri germanici. Dopo questa sconfitta Augusto cambiò idea e la
politica estera romana puntò soprattutto a difendersi.

Politica culturale
Ottaviano Augusto cercò di controllare anche la politica culturale, mettendo in atto, per la prima volta della
storia, un'opera di propaganda per influenzare l'opinione pubblica e per creare consenso nei confronti del suo operato.
Come già detto, la sua propaganda era indirizzata verso la difesa della pace e dei valori tradizionali romani, come la
religione, la famiglia e la patria. Grazie alla propaganda riuscì persino a far accettare la divinizzazione della sua
persona (Il nome del mese di Agosto fu dato in suo onore). Per la diffusione della cultura, si avvalse dell'operato di un
grande organizzatore culturale, di nome Mecenate, un ricco e colto cavaliere di origine etrusca. Alla sua corte
Augusto, grazie a Mecenate, accolse i più grandi intellettuali romani, come Tito Livio, Orazio e Virgilio; nello stesso
tempo però mandò in esilio tutti coloro i quali non erano d'accordo con lui, come Ovidio, che cantava le gioie
quotidiane e il piacere dell'amore carnale.
Augusto fece una colossale opera di abbellimento della città, con opere maestose e monumentali (un nuovo foro
romano, templi e biblioteche).

Successione
Col passare del tempo si presentò il problema della successione. Formalmente Roma era ancora una repubblica e
quindi in teoria la successione sarebbe spettata al Senato, ma, per evitare che la città cadesse di nuovo in una
pericolosa guerra civile, Augusto preparò una successione ereditaria, accettata da tutti; questa volta era d'accordo
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anche il Senato. Siccome Augusto non aveva figli maschi, decise di adottare il suo figliastro Tiberio (figlio di sua
moglie Livia) e lo nominò subito sia Tribuno della plebe sia proconsole, cioè governatore di tutte le province romane.
Quando Augusto morì, nel 14 d. C., la successione si svolse senza problemi.

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La dinastia Giulio-Claudia: da Tiberio a Claudio
Tiberio
Augusto non aveva figli maschi e quindi, per assicurare la continuità all'impero, adottò Tiberio, (figlio di sua
moglie Livia) il quale, nel 14 d. C., alla morte di Augusto, gli successe al trono senza alcun problema: il Senato aveva
finalmente capito che non si poteva più tornare indietro e non mise in dubbio l'ereditarietà della corona. Con Tiberio
cominciò la dinastia Giulio-Claudia, che governò Roma dal 14 d. C al 68 d. C.
Quando Tiberio divenne imperatore, era un uomo maturo, colto e un generale esperto, ma non aveva né il fascino
né il carisma di Augusto.
Nella prima parte del suo regno, proseguì la politica di moderazione, di pacificazione e di rispetto del Senato
portata avanti da Augusto. Inoltre cercò di ridurre le spese della costosa politica augustea.
In politica estera fece alcune campagne militari con lo scopo di rafforzare i confini e affidò il comando delle
legioni a suo nipote Germanico, designato suo successore; Germanico, però, morì in circostanze misteriose e sua
moglie accusò pubblicamente Tiberio. Per mettere a tacere quelle voci (non sappiamo se siano vere), Tiberio mandò la
moglie di Germanico in esilio e uccise altri membri della famiglia: riuscì a sfuggire alle persecuzioni solo Caligola, il
figlio di Germanico. Da quel momento in poi la situazione peggiorò e si riaccese lo scontro con il Senato. Negli ultimi
anni la storiografia ha fortemente ridimensionato il clima positivo dell'impero di Tiberio.
Dopo la morte di Germanico, l'erede designato al trono divenne Druso (figlio naturale di Tiberio) che però nel 23
d. C. morì. Tiberio a quel punto, temendo una congiura, divenne paranoico e nel 26 d. C. addirittura si trasferì a Capri
e non rientrò mai più a Roma. La reggenza fu affidata al capo dei Pretoriani (le guardie private dell'imperatore), Lucio
Elio Seiano, uomo ambiziosissimo e feroce. Quando Tiberio si accorse dei metodi di Seiano e soprattutto quando i
sospetti sulla morte di suo figlio Druso caddero su di lui, Tiberio lo fece uccidere . Dopo la morte di Seiano, Tiberio
adottò Caligola, figlio di Germanico, di fatto designandolo erede al trono.
Tiberio morì a Capri nel 37 d. C. e gli successe Caligola, soprannominato così per via delle calzature militari che
portava ai piedi.

Caligola
Quando divenne imperatore, Caligola era ancora molto giovane e fu aiutato da suo zio Claudio, fratello di
Germanico. All'inizio collaborò con il Senato, fece costruire nuove infrastrutture e istituì dei giochi per la gioia della
plebe.
Dopo sette mesi di pace, però, il clima politico cambiò in maniera radicale, anche perché Caligola si ammalò
gravemente e entrò in coma; in questo periodo l'impero fu retto da Claudio. Questa volta anche la storiografia moderna
dà un giudizio negativo sull'operato di Caligola. Dopo la malattia, Caligola attaccò il Senato, instaurò una sorta di
monarchia assoluta, introdusse culti egizi, pretese di essere adorato come una divinità (volle addirittura un tempio
dedicato soltanto a lui), abbandonò la politica di riduzione delle spese portata avanti da Tiberio e con il denaro tolto ai
suoi oppositori organizzò grandiosi spettacoli pubblici. Inoltre chiunque avesse osato contrastarlo, sarebbe stato
accusato di lesa maestà e ucciso.
In politica estera organizzò disastrose campagne militari, come quella per la conquista della
Britannia alla quale dovette rinunciare (fece travestire alcuni soldati romani da Britanni e li portò a Roma per fare finta
di aver vinto la battaglia). Nell'ultima parte del suo impero Caligola visse in un clima di perenne terrore per le
congiure. Una di queste congiure, chiamata dei “Tre pugnali”, fu organizzata dalla sorella e dal cognato, ma fallì.
Alla fine, nel 41 d. C., dopo soli 4 anni di regno, fu ucciso da una congiura organizzata dai suoi stessi pretoriani e
da alcuni senatori, tra cui lo stesso Claudio.

Claudio
Dopo l’uccisione di Caligola, i pretoriani misero sul trono suo zio Claudio, fratello di Germanico. Claudio era un
uomo schivo, studioso e lontano dalla scena politica e per questo fu considerato un debole ; in realtà fu un imperatore
equilibrato e un ottimo amministratore dei beni dello Stato. Restituì dignità al Senato, concesse la cittadinanza romana
ai Galli, fece molte opere pubbliche, come il porto di Ostia, fondò parecchie città e risanò le casse dello Stato, dopo gli
sprechi di Caligola. Dal punto di vista della politica estera, conquistò territori in Africa, in Oriente e arrivò fino al
Tamigi, occupando la Britannia meridionale.
Nel 48 ad C. fece uccidere sua moglie Messalina, adultera, che aveva tramato contro di lui , e sposò una donna
bella, furba e ambiziosa, Agrippina. Agrippina aveva un figlio da un precedente matrimonio, Nerone, e convinse
Claudio ad adottarlo. Appena adottò Nerone, Claudio morì avvelenato – lo zampino di Agrippina sembra evidente – e
ovviamente Nerone divenne imperatore.
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Nerone
Nerone salì al trono a soli 17 anni con l'appoggio dei pretoriani e dei senatori. Nei primi anni governò insieme
alla madre Agrippina, seguendo le direttive del grande filosofo romano Seneca; si richiamò alla politica di
moderazione di Augusto e rispettò il Senato. Tutti gli storici parlano di cinque anni felici.
Nel 59 d. C., però, cambiò tutto: fece uccidere sua madre Agrippina, allontanò Seneca e comandò da solo. Come
Caligola, fece del suo principato una monarchia assoluta ed entrò in contrasto con il Senato ; in compenso aveva il
sostegno della plebe perché organizzava grandi spettacoli gladiatori e gare sportive, manteneva basso il prezzo del
grano, faceva molte opere pubbliche e dava lavoro alla plebe.
Il 19 luglio del 64 d. C a Roma ci fu un grande incendio che distrusse buona parte della città; i sospetti caddero
subito su Nerone che lo avrebbe appiccato per fare spazio ad una sua nuova reggia. La storiografia moderna però ha
smentito in maniera unanime questa ipotesi: non ci sono prove e probabilmente nemmeno motivazioni valide. Si deve
considerare che a Roma gli incendi erano molto frequenti perché le case erano di legno ed erano ammassate l’una
all’altra. Nerone diede la colpa a coloro i quali in quel periodo erano considerati i nemici dello Stato, cioè i cristiani, e
molti furono processati e uccisi. In queste persecuzioni morì anche l'apostolo Pietro e forse anche Paolo da Tarso.
Sulle ceneri Nerone fece costruire la Domus Aurea, una grandiosa e costosa reggia come quelle orientali. I nuovi
quartieri furono costruiti con criteri edilizi nuovi e più sicuri e con materiali migliori. Nel 65 d. C. ci fu una prima
congiura contro di lui, chiamata congiura di Pisone, ma andò male. Seneca, sebbene si fosse ritirato a vita privata, fu
accusato di aver partecipato a questa congiura e fu costretto a suicidarsi. Nelle province cresceva il malcontento,
soprattutto in Palestina, dove ci fu un'insurrezione; Nerone affidò la repressione della rivolta ad un generale molto
bravo, Tito Flavio Vespasiano. Negli ultimi anni Nerone non uscì quasi più dai suoi palazzi per timore di congiure e
si dedicò all'arte e alla musica, lasciando il governo al crudele prefetto pretorio Tigellino.
Nel 68 le legioni della Gallia, guidate da Sulpicio Galba, lo deposero e lo dichiararono nemico pubblico. I
pretoriani, appoggiati dal Senato, riconobbero l’autorità di Galba e Nerone nel 68 d. C. si uccise.
Dopo la morte di Nerone, Roma attraversò un periodo molto difficile: i pretoriani, le legioni e il Senato cercarono
di imporre un proprio imperatore con le armi.
L'immagine di Nerone che ci è stata tramandata, come tiranno, è parzialmente rivista dalla maggior parte degli
storici moderni che ritengono che non fosse né pazzo né sanguinario. È stato Svetonio a tramandare l'immagine di un
Nerone pazzo e tutti l'hanno ripresa.

Le dinastie dei Flavi e degli Antonini: il secolo d'oro dell'impero romano


Dopo l’uccisione di Nerone, nel 68 d. C., Roma cadde nel caos e si scatenò una vera e propria guerra civile: in un
anno l'esercito incoronò quattro imperatori differenti.
Sostenuto dal Senato, il primo a diventare imperatore fu Galba che, siccome tagliò le spese per il popolo e per
l'esercito, fu ucciso dai pretoriani i quali misero sul trono Otone, ex governatore del Portogallo. Le truppe stanziate in
Germania però imposero Aulo Vitellio, che arrivò in Italia e sconfisse Oton e. Ma non finì qui. Le legioni della Giudea
a loro volta imposero Tito Flavio Vespasiano, il generale che aveva represso la rivolta degli ebrei. Vespasiano
sconfisse Vitellio e prese il potere. Ormai contava solo l'esercito. Vespasiano non apparteneva all'aristocrazia romana,
ma alla borghesia Sabina: fu il primo imperatore del ceto dei cavalieri. Con Vespasiano cominciò la dinastia Flavia.

Vespasiano
Vespasiano rimase al potere dal 69 al 79 d. C. Puntò sul rafforzamento dell'impero, sul potere assoluto (non
divino però), sulla limitazione del Senato, sul risanamento delle casse dello Stato e sulla pace interna . Fu un uomo
saggio e schivo e approvò un’importante riforma dell’esercito: smobilitò le legioni più irrequiete e fece entrare
nell’esercito i cittadini delle Province più fedeli, rafforzando il potere politico delle Province.
Sotto il suo imperio fu costruito il famoso Colosseo (anfiteatro Flavio) e il Limes, una linea fortificata lungo i
confini per difendersi dalle incursioni dei Germani. Da Vespasiano in poi la politica estera cominciò a cambiare: non
più espansione territoriale ma difesa del grande impero già posseduto.
Durante il suo regno ci fu una violenta rivolta delle popolazioni ebraiche, cominciata già sotto Nerone.
Vespasiano affidò la repressione a suo figlio Tito, che distrusse il tempio di Gerusalemme e cacciò gli ebrei dalla
Palestina; questo processo passò alla storia con il nome di “Diaspora”. Alla sua morte, nel 79, il potere passò a suo
figlio Tito.

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Tito
Tito si era messo in luce nella repressione degli ebrei e nella loro cacciata (Diaspora). Gli ebrei, essendo
monoteisti, non volevano essere governati dai pagani e insorgevano di continuo; i Romani, nel 70 d. C., per punir
l'ennesima insurrezione, distrussero il Tempio di Gerusalemme, luogo sacro per gli ebrei, già devastato dai Babilonesi.
Il regno di Tito fu molto sfortunato e durò soltanto due anni; durante il suo regno infatti vi fu l’eruzione del
Vesuvio (79 d. C.) che distrusse Ercolano e Pompei, l'anno successivo Roma fu devastata da un grande incendio e
infine gran parte dei suoi domini furono colpiti da una peste, che provocò migliaia di morti.
Tito passò alla storia come un imperatore moderato e saggio (nel suo caso la storiografia moderna concorda con
quella antica) ma contro gli ebrei compì una carneficina senza uguali. Morì dopo solo due anni nell’8o, per una
malattia improvvisa.

Domiziano
A Tito successe il fratello minore, Domiziano, che si dimostrò molto meno moderato. Come suo padre, fu un
ottimo amministratore e risanò le casse dello Stato, anche se aumentò la paga ai soldati. Per difendersi dalle
popolazioni settentrionali, stanziate lungo il Reno e il Danubio, fortificò il Limes, cioè il confine, facendo costruire un
sistema di fortificazioni.
Si fece riconoscere con il titolo di Dominus e di Deus e per questo motivo riprese lo scontro con il
Senato. Domiziano punì severamente ogni forma di dissenso, a partire dai senatori (in qualche caso espulse pure
filosofi e matematici) e con lui, nel 95, ci fu la prima persecuzione contro i cristiani. Nerone non aveva perseguitato i
cristiani in quanto tali, ma perché li riteneva responsabili dell’incendio di Roma.
Nel 96 fu ucciso in una congiura organizzata da alcuni senatori, che vide il coinvolgimento anche di sua moglie.
Con lui finì la dinastia Flavia.

Nerva
Alla morte di Domiziano, il Senato impose Nerva, un anziano e autorevole senatore senza figli. Nerva attuò una
politica equilibrata e tollerante, rispettò il Senato, fece cessare le persecuzioni nei confronti dei Cristiani e, per tener a
bada i militari, aumentò la loro paga. Siccome era un membro del Senato, le fonti ne parlano bene.
Come suo successore, adottò un grande generale di origine spagnola, Traiano, comandante delle legioni in
Germania, dando inizio al secolo degli imperatori adottivi, chiamato anche “Secolo d'oro”. Con gli imperatori
adottivi si sceglievano i migliori e si evitavano quelli troppo giovani o troppo eccentrici come Nerone e Caligola.

Traiano
Traiano fu il primo imperatore di origine provinciale (era spagnolo). Regnò dal 98 al 117 e fu un ottimo
imperatore: rispettò il Senato, fece costruire opere pubbliche, tra cui il Foro Traiano (un grandioso complesso
monumentale), allargò il porto di Ostia, promosse la cultura e si mostrò generoso con la plebe, dando loro grano gratis,
giochi e spettacoli con i gladiatori.
Dopo quasi un secolo, con lui riprese l’espansione militare e l'impero raggiunse la sua massima espansione;
infatti, tra il 101 e il 106, sottomise la Dacia, l'odierna Romania, zona ricca di miniere d'oro, e l'Arabia Petrea, cioè la
Giordania.
Prima di morire, Traiano adottò un altro generale, sempre di origine spagnola, Adriano.

Adriano
Adriano fu imperatore dal 117 al 138. Era un grande intellettuale, amante dell’arte e della filosofia greca. Lavorò
e viaggiò molto. Pose fine alle conquiste militari (l'impero era ormai troppo grande) e si impegnò a consolidare i
confini con fortificazioni e mura. La più famosa fortificazione fu il “Vallo di Adriano”, in Britannia, lungo ben 120
chilometri. Oltre al Vallo, in Africa fece costruire anche un fossato di 750 km. Addirittura preferì abbandonare alcune
regioni troppo lontane da gestire. L'unico intervento militare che fu costretto a fare fu la repressione dell'ennesima
rivolta degli ebrei.
Alla sua morte, nel 138, l’impero passò al figlio adottivo, Antonino Pio.

Antonino pio
Arrio Antonino, detto il Pio, regnò dal 138 al 161 e fu un imperatore saggio, moderato e tollerante anche nei
confronti degli ebrei e dei cristiani. Addirittura fece delle leggi per rendere la condizioni degli schiavi un po’ meno
dura. Anche per lui il problema principale fu quello di rinforzare il confine contro le incursioni dei Germani.
Prima di morire, nel 161, adottò Marco Aurelio, l’ultimo degli imperatori saggi.

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Marco Aurelio
Marco Aurelio regnò dal 161 al 180. Era di origine spagnola e fu soprannominato “l'imperatore filosofo”, per la
sua grande cultura filosofica. Aderì allo stoicismo e scrisse i Ricordi. Però nonostante la sua tolleranza, riprese le
persecuzioni contro i cristiani.
Sotto il suo regno cominciarono i primi segnali di crisi: ci fu una terribile epidemia di peste e aumentarono le
pressioni dei Germani. I Quadi e i Marcomanni infatti sfondarono il Limes, che si rivelò del tutto inutile, e dilagarono
nei Balcani, fino in Italia. Marco Aurelio nel 175, dopo molti anni di guerra, riuscì a bloccare i Germani,
probabilmente anche grazie al pagamento di un tributo. Marco Aurelio abbandonò il principio dell'adozione e designò
erede suo figlio Commodo, che però era un ragazzo viziato, cresciuto nel lusso e nei vizi. Marco Aurelio nel 180 fu
ucciso dalla peste che decimò la popolazione.

Commodo
Alla morte di Marco Aurelio, l’impero passò a suo figlio Commodo, rompendo la tradizione degli imperatori
adottivi. Sebbene sia andato al potere a soli 18 anni e si sia mostrato subito molto capriccioso, nel contenimento delle
popolazioni germaniche riuscì a fare un ottimo lavoro: fece subito una pace con i Germani e poco tempo dopo li
accettò nell'esercito, neutralizzando parte della loro pericolosità e rinforzando l'esercito. Per questa mossa fu molto
criticato dal Senato, ma poi fu imitato da molti altri imperatori. Volle anche essere adorato come un Dio.
Per finanziare la sua costosa politica, fatta di giochi e feste, espropriò molti senatori. Fu ucciso nel 192 in una
congiura e con lui finì quello che gli storici hanno definito “Il secolo d’oro”,
Con il “secolo d'oro” finì pure la crescita economica, cominciata con Augusto. In questo periodo crebbe
l'importanza delle Province, soprattutto quelle orientali, più ricche e più popolose, che si erano specializzate nel
commercio a lunga distanza, anche con l'impero indiano e cinese. La parte occidentale dell'impero, di contro, quando
cessarono le conquiste, e di conseguenza anche bottino e schiavi, entrò in crisi e la ricchezza si raggruppò in pochi
latifondisti.

La diffusione del Cristianesimo


Il culto tradizionale di Roma era quello della Triade capitolina, formata da Giove, Giunone e Minerva , alle quali
in seguito si unirono molte altre divinità. La religiosità romana era finalizzata ad ottenere il favore degli dei attraverso
una lunga serie di riti; non c'era però l'idea di una visione ultraterrena. A capo della religione c'era il Pontefice
massimo – una carica politica – che aveva il compito di sorvegliare che i riti si svolgessero bene e di decifrare, con
l'aiuto dei sacerdoti, i segnali degli dei.
La religione latina era molto tollerante nei confronti delle altre religioni a patto che queste non si sostituissero alle
divinità romane, ma le affiancassero. Rispettare il culto dell'imperatore era un obbligo politico – significava che si era
un buon romano – a cui nessuno si poteva sottrarre. Il problema sorgeva con la religione ebraica, rigidamente
monoteista, che si rifiutava di adorare l'imperatore.
Nel 63 a. C. il territorio della Palestina fu occupato dai Romani che, dal 37 al 4 a. C., lo fecero governare dal re
Erode con l'appoggio del Sinedrio, l'organo che controllava il rispetto della religione ebraica . Nel Sinedrio c'erano i
Sadducei, la potente casta sacerdotale, disposti a collaborare con i Romani; contro di loro, invece, c'erano i Farisei e
soprattutto gli Zeloti che volevano combattere i Romani a tutti i costi.
Proprio sotto il regno di Erode, intorno al 5 a. C., nella città di Betlemme nacque Gesù, che in ebraico vuol dire
“Salvezza”. Matteo e Luca hanno sostenuto che Gesù era nato al tempo del re Erode, ma visto che Erode era morto nel
4 a. C., il conteggio dell'anno zero è sbagliato; inoltre in quell'anno non ci fu alcun censimento.
Gesù visse a Nazareth, una cittadina della Galilea, e verso i trent’anni iniziò la sua predicazione grazie alla quale
in breve tempo radunò intorno a sé un buon numero di seguaci, soprattutto tra gli umili e gli emarginati. Le sue idee,
fortemente rivoluzionarie, mettevano al centro della predicazione la promessa della vita eterna e l'uguaglianza,
rompendo le barriere sociali e ponendo lo schiavo sullo stesso livello dell’imperatore. Tra i suoi seguaci, Gesù scelse
dodici apostoli ai quali affidò il compito di diffondere la sua parola.
I Sadducei e i Farisei lo presero per un impostore, perché non credevano che fosse figlio di Dio, e il Sinedrio lo
accusò di bestemmia. Inoltre Gesù fu anche accusato di voler organizzare una rivolta contro i Romani, sebbene lui
stesso avesse più volte riconosciuto l'autorità politica dell'imperatore. Secondo gli Zeloti, infine, se fosse stato
veramente il figlio di Dio, avrebbe dovuto guidare la rivolta contro i Romani; siccome Gesù si rifiutò, anche gli Zeloti
lo abbandonarono. Alla fine, in contrasto con tutti, fu consegnato al prefetto romano Ponzio Pilato che, nonostante
avesse qualche dubbio, per accontentare la folla tra il 27 e il 29 d. C (sotto il principato di Tiberio) lo fece crocifiggere.
Tre giorni dopo si diffuse la voce che la sua tomba fosse vuota e che lui stesso fosse apparso ai suoi discepoli.

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Gesù non ha lasciato nulla di scritto e per questo i Vangeli sono diventati una fonte molto importante. I Vangeli
dapprima furono tramandati oralmente dagli apostoli e poi furono messi per iscritto tra il 70 e il 90 d. C. Sebbene
quelli accettati dalla Chiesa siano quattro, ce ne sono molti altri, di grande importanza storica, chiamati apocrifi. Gli
storici non cristiani citano raramente Gesù e i cristiani e quando lo fanno considerano il Cristianesimo un culto
orientale, una specie di setta dell'ebraismo, e Gesù uno dei tanti predicatori; per la prima volta i cristiani furono citati a
proposito dell’incendio di Roma.
Alla morte di Gesù il suo successore fu Pietro. All'inizio i cristiani erano poco più di un centinaio ma, siccome la
religione cristiana (a differenza di quella ebraica destinata a pochi eletti) si rivolgeva a tutta l'umanità, in poco tempo il
numero dei seguaci di Cristo crebbe, soprattutto grazie all'instancabile predicazione di Paolo da Tarso, un ebreo
diventato cristiano, ucciso nel 67 d. C. Paolo viaggiò tanti anni in lungo e largo per il Mediterraneo e fondò molte
comunità cristiane. All'inizio il Cristianesimo fu accolto dalle classi più basse della popolazione, ma durante la crisi
sociale e politica del III secolo d. C. piano piano si convertirono anche i ricchi.
Durante la diffusione del Cristianesimo, i Romani capirono subito che questa nuova religione non si poneva
l'obiettivo di affiancare gli altri culti, ma di sostituirli e per questo cominciarono le prime persecuzioni . Chi non
rispettava la religione di Stato e il culto dell'imperatore era considerato una specie di terrorista che voleva sovvertire
l'ordine politico. I cristiani si rifiutarono di partecipare ai riti pubblici, ai sacrifici in onore degli dei, alle feste popolari,
agli spettacoli dei gladiatori, non frequentavano i templi, non facevano offerte alle divinità e in qualche caso non
mandavano a scuola i propri i figli e si rifiutarono di fare il servizio militare. Il sospetto aumentò quando si seppe che i
loro culti si facevano al chiuso delle case. Per tutti questi motivi divennero vittima dei pregiudizi e furono accusati di
ogni crimine, come l'infanticidio. All'inizio si trattò soltanto di atti privati di intolleranza nei confronti dei cristiani ma
poi la situazione peggiorò. Pian piano gli assalti alle comunità cristiane divennero frequenti: più che le autorità era la
folla ad uccidere i cristiani. La prima persecuzione fu quella di Nerone, del 64 d. C., ma i cristiani furono perseguitati
non in quanto tali, ma perché ritenuti responsabili dell'incendio di Roma.
Le persecuzione aumentarono nel III secolo, quando la Chiesa si diede una struttura stabile, separata dallo Stato,
e soprattutto quando si diffuse una grave crisi economica: ovviamente come spesso accade la colpa veniva data al
diverso, in questo caso ai cristiani.
I primi cristiani si organizzarono in comunità chiamate Chiese, dal greco Ecclesia che vuol dire
Assemblea, guidate da Presbiteri. Si poteva entrare in queste comunità solo dopo aver ricevuto il Battesimo, che
voleva dire Rinascere in Cristo. Prima del battesimo si doveva fare un periodo di preparazione, chiamato Catechesi,
dal greco Istruzione. All’inizio i cristiani si riunivano in case private per ricordare la resurrezione di Cristo e l’ultima
cena in cui Gesù aveva celebrato l’Eucarestia, dal greco Ringraziamento.
Man mano che le comunità crescevano, si diedero una guida. Le comunità più grandi furono guidate da un
Vescovo, dal greco Colui che sorveglia, eletto dalla comunità dei fedeli. Il Vescovo doveva stare attento che il
messaggio di Cristo non fosse traviato. Sotto di lui c’erano i Presbiteri, cioè i fedeli anziani, o Preti, che si
occupavano delle cerimonie. Sin dal II secolo emerse la figura del Vescovo di Roma, erede di Pietro, che col tempo
assunse la carica di capo della chiesa.

La dinastia dei Severi: dalla crisi del III secolo a Diocleziano


Dopo la morte di Commodo, nel 192 d. C., si aprì un periodo di forti scontri per la successione. I pretoriani e i
generali, ormai molto potenti, eleggevano i propri imperatori che finivano per scontrarsi tra di loro. Alla fine ebbe la
meglio Settimio Severo, governatore della Pannonia, che inaugurò la dinastia dei Severi. Ormai comandava soltanto
l'esercito e infatti Settimio Severo, appena diventò imperatore, aumentò subito la paga dei soldati per tenerli buoni.
Settimio Severo, che regnò dal 193 al 211, fu il primo imperatore africano (era nato nell'attuale Libia) e diede un
forte impulso al nord Africa e a tutte le province: concesse la cittadinanza romana ad alcune Province e inserì molti
provinciali (soprattutto del nord) nel corpo dei Pretoriani, a scapito degli Italiani. Era un buon amministratore delle
casse dello Stato e, per bloccare l'inflazione, svalutò il Denario del 50% (la moneta d'argento più usata ). In politica
estera riuscì a battere i Parti, sebbene le sue conquiste durarono poco. I contrasti con il Senato si accentuarono quando
impose la divinizzazione della sua figura e concesse il titolo di Augusto anche a suo figlio. Quando alcune popolazioni
barbariche oltrepassarono il Limes in Britannia, organizzò una campagna militare per bloccarli ma, nel 211, proprio
durante questa campagna, morì. Poco prima di morire designò successori i suoi due figli, Marco Aurelio Antonino,
detto Caracalla, e Geta; poco tempo dopo Caracalla uccise suo fratello e rimase da solo al potere .

Caracalla
Caracalla regnò dal 211 al 217. Il suo regno è ricordato per gli scontri con il Senato e per un editto del 212,
chiamato “Constitutio Antoniniana”, con il quale concesse la cittadinanza romana a tutti gli abitanti liberi

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dell'impero: la parità tra romani e provinciali ormai era totale. Aumentò ancora la paga dei soldati , sempre più
minacciosi, e quindi fu costretto ad alzare le tasse. Tasse, spese e inflazione: cominciava la fine!
Caracalla fu ucciso nel 217 dalla solita congiura, mentre si trovava in oriente in una campagna militare per
emulare Alessandro Magno. Dopo un anno di scontri gli successe un suo lontano parente, originario della Siria,
chiamato Eliogabalo, che però aveva solo 14 anni . A causa delle grandi spese e dello scontro con il Senato,
Eliogabalo fu ucciso nel 222 in una congiura organizzata dai generali. Fu sostituito da suo cugino appena tredicenne ,
Severo Alessandro. Nonostante fosse rispettoso del Senato e moderato , Severo Alessandro fu ucciso in una congiura
militare nel 235, mentre combatteva le popolazioni germaniche. Siccome aveva ridotto le spese militari, i soldati non
glielo perdonarono: la situazione era ormai fuori controllo. Con lui si estinse la dinastia dei Severi.
Durante la dinastia dei Severi cominciò il lento declino che culminerà con la caduta dell'impero
1) L'impero era molto costoso da mantenere a causa delle spese degli imperatori, dei costi per sfamare la plebe di
Roma e soprattutto del mantenimento di un esercito enorme. I soldati erano quasi mezzo milione e, siccome erano
temuti, gli imperatori continuavano ad alzargli lo stipendio. Di solito l'esercito si manteneva con il bottino di guerra
ma, quando le conquiste finirono, i costi erano impossibili da sostenere.
2) L'impero era troppo vasto. I collegamenti tra le varie parti erano complicatissimi e quindi le Province decisero
di governarsi da sole. Per risolvere questo problema cominciò a farsi avanti l'idea di dividere l'impero in due parti.
3) L'Italia perse la centralità a scapito delle Province, ormai più ricche e più potenti di Roma. Ad esempio i
prodotti agricoli delle Province – come il vino della Gallia e l'olio della Spagna – costavano di meno e misero in crisi i
produttori italici. Infine a causa dell'inflazione si diffusero gli scambi in natura, frenando il commercio.
4) Gli imperatori non contavano più nulla; comandavano soltanto i generali dell'esercito.
5) L'impero si stava spopolando, per via della peste, delle guerre e delle carestie. Il problema dello spopolamento,
almeno all'inizio, fu risolto permettendo ad alcune popolazioni germaniche di stanziarsi dentro i confini dell'impero e
di far parte dell'esercito.
6) Il problema più importante però era rappresentato dalla forte avanzata di nuovi nemici: ad est l'impero
Sasanide e a nord le popolazioni germaniche.
La dinastia Sasanide si insediò nell'impero partico nel 224 d. C. e formò uno stato forte e unito. I Sasanidi
attaccarono l'impero romano per sottrargli alcuni territori, come l'Egitto e la Mesopotamia, e addirittura nel 260 d. C.
riuscirono a catturare l'imperatore Valeriano (253-260) che fu ridotto in schiavitù e fu costretto a lavorare alla
costruzione di una diga fino a quando morì in prigione. Mai nessun imperatore romano era stato fatto prigioniero.
Il problema principale comunque era rappresentato dalle popolazioni germaniche che sfruttarono abilmente la
crisi dell'impero romano e oltrepassarono continuamente il Limes in cerca di bottino; giunsero persino in Pianura
Padana. I vari imperatori cercarono di rallentarne l'avanzata ma ci riuscirono solo parzialmente. Ad esempio
l'imperatore Decio (249-251) fu sconfitto e ucciso dai Germani, ma in seguito l'imperatore Claudio II, detto il Gotico,
(268-270) riuscì a sconfiggerli pesantemente e per un po' non si fecero vedere dalle parti del Limes. Claudio II però,
dopo solo due anni di impero, morì di peste. Anche il suo successore, Aureliano (270-275), tentò di tenere a bada i
Germani e costruì delle grandissime mura, chiamate appunto “Mura Aureliane”: i Romani ormai non si sentivano al
sicuro nemmeno dentro la città di Roma. Aureliano riconquistò la Gallia ma cominciò a perdere pezzi come la Dacia.
Alla fine fu ucciso da uno dei suoi segretari. Alla sua morte ci furono degli scontri fino al 284 quando salì al potere
Diocleziano, di umili origini.
Il periodo che va dalla fine della dinastia dei Severi a Diocleziano fu chiamato dagli storici “ Anarchia militare”:
in meno di 50 anni ci furono più di venti imperatori (solo uno morì di peste; gli altri furono tutti uccisi). A causa della
grave crisi economica molte persone lasciarono le città e nelle campagne si verificarono violenti rivolte contadine. La
crisi investì tutto l'impero ma fu particolarmente grave nella parte occidentale. La colpa fu data ai cristiani che furono
perseguitati.

Diocleziano (284-305)
Diocleziano fu un grande imperatore e riportò l'impero agli antichi splendori. I problemi che dovette affrontare
erano quattro: la sicurezza dei confini, la stabilità del potere centrale, la crisi economica e lo spopolamento. Dal punto
di vista politico ottenne buoni risultati e infatti riuscì a pacificare l'impero e a tenere a bada i Germani; dal punto di
vista economico, invece, non riuscì a bloccare la crisi. Prevedendo il declino della parte occidentale, inoltre
Diocleziano si stabilì a Nicomedia, in Turchia, vicino a quella che poi sarà Costantinopoli.
Il primo problema che dovette affrontare fu quello di fermare gli scontri interni che portavano a continue
congiure. Per ottenere una successione pacifica e per scoraggiare le congiure, ideò la “ Tetrarchia”, cioè un governo di
quattro persone: due Augusti (imperatori) e due Cesari (una sorta di viceimperatori). In questo modo avrebbe potuto
controllare meglio l'impero, visto che i due Cesari erano dislocati lungo i confini nord ed est. Gli Augusti avrebbero
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designato i due Cesari, come suoi successori, così alla morte di un Augusto non ci sarebbero stati scontri per il potere,
o almeno questa era l'idea. Diocleziano nominò Augusto il generale Massimiano con il quale divise l'impero:
Diocleziano si sarebbe occupato della parte orientale – quella più ricca – e Massimiano di quella occidentale – quella
più difficile da tenere a bada. Diocleziano nominò suo Cesare Galerio che si stabilì a Sirmio in Serbia ; Massimiano
invece nominò suo Cesare Costanzo Cloro: i due si stabilirono rispettivamente a Milano e a Treviri in Germania.
Dopo secoli Roma non era più sede imperiale. Le province furono raggruppate in 12 diocesi e Roma, a sancire la sua
decadenza, divenne una diocesi come tutte le altre.
Diocleziano tentò, senza riuscirci, di mettere un freno alla crisi economica con una serie di leggi. Innanzitutto
impose che ogni provincia avrebbe dovuto pagare una quantità prestabilita di tasse (in base al numero degli abitanti)
anche se il raccolto fosse andato male. Per questo motivo molti contadini preferirono cedere i campi ai grandi
proprietari terrieri e mettersi a lavorare per loro. Siccome la quota da versare dipendeva da quanti contadini vivevano
in quella zona, Diocleziano li obbligò a non lasciare le terre, altrimenti il gettito fiscale si sarebbe abbassato. Inoltre
fissò per legge il prezzo massimo delle merci; i produttori, però, invece di vendere i prodotti a prezzi bassi, preferirono
venderle al mercato nero.
Diocleziano, vivendo in oriente, si fece adorare come una divinità e davanti a lui ci si doveva addirittura
prostrare. Chi non lo faceva, come i cristiani, doveva essere perseguitato e infatti tra il 303 e il 304 furono emanati
quattro editti nei quali si proibivano le comunioni cristiane, si imponeva la distruzione delle chiese e dei libri sacri, si
confiscavano i beni dei cristiani e si imprigionava il clero se non avesse ripudiato la chiesa cristiana.
Nel 305 Diocleziano e Massimiano abdicarono e al loro posto furono nominati Augusti Galerio e Costanzo
Cloro che a loro volta nominarono Cesari due generali dell'esercito, Massimino Daia e Flavio Valerio. Dopo solo un
anno, nel 306, però Costanzo Cloro morì in una campagna militare in Britannia. Secondo la legge ideata da
Diocleziano, il Cesare, Flavio Valerio Severo, sarebbe dovuto diventare Augusto, ma le legioni della Britannia
acclamarono imperatore Costantino, figlio di Costanzo Cloro. Come se non bastasse, sempre nel 306, il Senato e i
Pretoriani nominarono imperatore Massenzio, figlio di Massimiano: la tetrarchia non funzionò e cominciarono di
nuovo le guerre civili.

Costantino e l'impero romano-cristiano


Per evitare una nuova guerra civile, Costantino accettò di fare il Cesare di Flavio Valerio Severo, ma Massenzio
era deciso ad andare avanti e si scontrò con Galerio. La situazione divenne tanto incandescente da far intervenire i
vecchi imperatori in pensione, Diocleziano e Massimiamo.
Quando nel 311 Galerio morì, divenne imperatore Licinio che si alleò con Costantino per sconfiggere Massenzio.
Lo scontro decisivo fu combattuto nella famosa battaglia di Ponte Milvio, il 28 ottobre 312, durante la quale
Massenzio fu sconfitto e morì per il crollo di un ponte. Costantino e Licinio, vittoriosi, si divisero l'impero . Prima di
questa battaglia, secondo la tradizione, Costantino ebbe la famosa apparizione in sogno di una croce con su scritto “ In
hoc signo vinces” (sotto questo segno tu vincerai). Per ringraziare il Dio dei Cristiani, dopo la vittoria pare che
Costantino si sia convertito al Cristianesimo e che abbia messo la croce sulle insegne di guerra. Non tutti gli storici
però concordano sulla reale conversione di Costantino.
All'inizio Costantino e Licinio andarono d'accordo, ma poco tempo dopo tra i due si riaccese lo scontro che durò
fino al 324, quando Costantino sconfisse e uccise Licinio. A quel punto l'impero romano tornò ad essere retto da uno
solo.
Dopo essere diventato imperatore, Costantino dovette affrontare alcuni problemi molto urgenti: innanzi tutto per
coprire i costi enormi dell'impero fu costretto ad aumentare le tasse e per rinforzare l'esercito permise l'ingresso dei
Germani.
Costantino fondò la città di Costantinopoli, vicino al vecchio agglomerato di Bisanzio, che divenne il centro più
importante della parte orientale dell'impero, sancendo di fatto la decadenza di Roma; i lavori iniziarono nel 324, subito
dopo la vittoria su Licinio, e finirono nel 330. La città era protetta da enormi mura e sorgeva su una posizione
strategica, perché collegava est e ovest.
Costantino passò alla storia per il famosissimo “Editto di Milano”, con il quale nel 313 d. C. concesse la libertà
di culto a tutte le religioni , compreso il Cristianesimo; da quel momento in poi finirono le persecuzione contro i
Cristiani. Probabilmente Costantino aveva capito che la Chiesa era diventata molto ricca e che si era dotata di un
apparato talmente capillare da risultare difficile da smantellare; di conseguenza scelse di accordarsi con i Cristiani.
Inoltre Costantino fece restituire ai Cristiani i beni confiscati dall'editto di Diocleziano, esentò il clero dal pagamento
delle tasse, permise ai preti di essere giudicati da tribunali ecclesiastici e istituì la festività della domenica: cominciava
il potere temporale della Chiesa.

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Adesso cambiava tutto perché la Chiesa si faceva garante dell'unità dell'impero, di conseguenza per avere un
impero unito serviva un Cristianesimo unito. Il Cristianesimo delle origini era diviso su tante questioni dottrinali: ad
esempio alcuni (i duofisiti) sostenevano che Cristo avesse sia natura umana sia divina, invece altri (i monofisiti)
riconoscevano soltanto quella divina, infine altri ancora (gli ariani), seguaci di un predicatore egiziano di nome Ario,
sostenevano che Cristo avesse solo la natura umana. La spaccatura tra i cristiani poteva provocare una spaccatura
all'interno dell'impero e quindi Costantino, diventato cristiano proprio per pacificare l'impero, per risolvere questi
problemi nel 325 d. C. convocò un concilio a Nicea, in Turchia, nel quale si riservò l'ultima parola sulla dottrina
ufficiale della Chiesa. Vinse la natura sia divina sia umana di Cristo perché era la linea maggioritaria. Tutti i seguaci
delle altre dottrine, come quella di Ario, furono perseguitati in maniera violenta (ci furono più morti nelle persecuzioni
cristiane contro gli Ariani che nelle persecuzioni dei pagani). L'arianesimo fu estirpato in oriente, ma si diffuse tra le
popolazioni germaniche. La dottrina che fu riconosciuta valida fu chiamata Ortodossa e non poteva essere messa in
discussione; le altre dottrine invece furono chiamate eretiche e quindi illegittime.
La politica filocristiana di Costantino fu proseguita dal figlio, Costanzo II (337-361) che, tra la protesta dei
cittadini, ordinò la distruzione dei templi pagani e vietò i sacrifici agli dei. Addirittura si verificarono le prime
persecuzioni dei cristiani nei confronti dei pagani .
A Costanzo succedette Giuliano, detto l’Apostata, cioè colui che rinnega la propria fede. Giuliano fu chiamato
così perché, benché battezzato, rinnegò il Cristianesimo, ripristinò la carica di Pontefice Massimo e cercò di riportare
il paganesimo, cancellando gli editti di Costanzo II. L’imperatore Giuliano fu descritto in maniera fortemente negativa
dagli storici cristiani, ma in realtà fu un uomo molto colto, amante delle arti e un grande conoscitore della cultura
classica; proponeva una religiosità aperta e tollerante nei confronti di tutti i culti. Giuliano non riuscì a realizzare il suo
programma perché rimase al potere soltanto due anni: morì nel 363 d. C. durante una spedizione militare contro
l’impero sasanide.
Dopo Giuliano, la diffusione del Cristianesimo non incontrò più ostacoli. Nel 380 d. C, – nel frattempo la capitale
dell'impero in occidente era diventata Milano e non Roma – fu incoronato imperatore Teodosio che emanò l’editto di
Tessalonica con il quale il Cristianesimo fu dichiarato unica religione di Stato ; con questo editto furono vietati tutti
i culti pagani, furono confiscati i beni dei templi, fu smantellato l'altare della vittoria di Augusto, furono proibiti i
giochi dei gladiatori e fu celebrato il Natale, scegliendo il 25 dicembre, giorno dai pagani dedicato al Dio del sole. Da
quel momento in poi le persecuzione nei confronti dei pagani divennero feroci. A Tessalonica, l'attuale Salonicco, ci
fu una rivolta dei pagani contro questo editto e l'esercito rispose massacrando migliaia di pagani.
Piano piano i vescovi divennero molto potenti e gli imperatori cominciarono ad intromettersi nelle elezione dei
vescovi: in poco tempo gli scontri tra imperatori e Chiesa sarebbero diventati molto frequenti.

La caduta dell'impero romano e i regni romano barbarici


Tra il Mar Baltico e il Mar Nero da alcuni secoli vivevano i Germani che però dai Romani erano chiamati
Barbari. In realtà i Germani, che provenivano dalla Scandinavia, raggruppavano molti altri popoli; il più importante e
il più organizzato di questi erano i Goti, ma c'erano anche i Franchi, i Vandali, i Sassoni, gli Slavi e tanti altri.
L'idea che i Romani avevano dei Barbari era completamente falsa: non erano nomadi, conoscevano l'uso della
scrittura, anche se la utilizzavano poco, vivevano in villaggi fortificati, erano bravi nella lavorazione dei metalli,
soprattutto del ferro, si occupavano di allevamento, di agricoltura, di saccheggio e commerciavano legna e pellicce,
anche con i Romani. Dopo alcuni decenni, se le terre si esaurivano, si spostavano verso sud e andavano a saccheggiare
le terre dell'impero; per questo motivo, sin dal I secolo a. C. i Germani e i Romani si affrontarono parecchie volte.
I Germani in un primo momento furono fermati dai Celti, ma quando i Celti decaddero, ripresero a spostarsi
verso sud, alla ricerca di bottino. Per fortuna dopo alcuni giorni, soprattutto se i Romani pagavano un cospicuo
riscatto, tornavano indietro. Ad un certo punto, però, la situazione mutò, sia a causa di cambiamenti climatici
(abbassamento delle temperature) sia per l'invasione di altri popoli. Infatti nel IV secolo d. C., per motivi che
possiamo solo ipotizzare, un popolo molto feroce che viveva nelle immense steppe tra la Russia e la Mongolia,
chiamato Unni, migrò verso sud. A quel punto i Germani cominciarono a spostarsi verso i confini dell'impero, non più
alla ricerca di bottino, ma di terre. Per difendersi dalle loro incursioni, i Romani costruirono il Limes ma non bastò.
Quando la pressione si fece insostenibile, i Romani preferirono permettere ai Germani di stanziarsi nelle terre
dell'impero poco popolate, a patto che fossero entrati nelle fila dell'esercito.
Nel frattempo i rapporti tra impero e Germani migliorarono: i “Barbari” servivano per ripopolare le zone non
abitate dell’impero, per i lavori più umili e per rinforzare l’esercito; alcuni erano riusciti a fare carriera ed erano
diventati persino generali. Con la diffusione del Cristianesimo, però, la situazione cambiò nuovamente e i rapporti si
fecero di nuovo tesi, soprattutto a causa delle differenze religiose: i Germani infatti erano pagani o al massimo
cristiani ariani (credevano che Cristo avesse solo natura umana). Questo bloccò l’integrazione e i problemi
aumentarono.

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Nel 375 gli Unni cacciarono gli Ostrogoti e i Visigoti che a loro volta si spostarono verso la penisola balcanica . A
quel punto i Visigoti chiesero all’imperatore Valente di potersi stanziare dentro i confini dell’impero nelle regioni
spopolate; l’imperatore acconsentì loro di stanziarsi in Tracia, ma in cambio chiese di arruolarsi nell’esercito. Le élite
romano-cristiane però non apprezzarono questa scelta e perseguitarono i Germani che alla fine, stanchi, si ribellarono
e saccheggiarono i Balcani. Nel 378 Valente li affrontò ma nella famosa battaglia di Adrianopoli l’esercito romano fu
decimato e Valente fu ucciso: finì un'epoca.
Nel 379 andò al potere un generale di nome Teodosio e vi rimase fino al 395. Come abbiamo già detto, Teodosio
nel 380 emanò l’editto di Tessalonica, l'odierna Salonicco, con il quale il Cristianesimo fu dichiarato religione di
Stato. Dopo questo editto le persecuzione nei confronti dei pagani divennero feroci: fu vietato ogni culto pagano,
furono confiscati i beni dei templi, furono proibiti i giochi dei gladiatori, fu smantellato l'altare della pace di Augusto,
la domenica fu dichiarata giorno di riposo e per la prima volta fu celebrato il Natale, nella data di una festa pagana
dedicata al Dio Sole. I pagani insorsero contro questo editto, ma la repressione fu molto violenta e migliaia di persone
furono massacrate. La violenza contro il massacro di ariani e pagani suscitò le ire del vescovo di Milano Ambrogio,
che obbligò Teodosio a fare penitenza.
Nel 382 l’imperatore Teodosio diede il permesso ai Visigoti di insediarsi all’interno dell’impero, addirittura come
federati, lo stesso accordo che era stato fatto con i Sabini sei secoli prima; con questo accordo i Visigoti avrebbero
conservato la propria autonomia e le proprie leggi, ma in cambio avrebbero dovuto dare truppe all’esercito imperiale.
Nonostante questa mossa, gli scontri tra Germani e Romani non si placarono del tutto.
Nel 395, alla morte di Teodosio, l’impero fu diviso definitivamente in due parti e andò ai suoi due figli: ad
Arcadio toccò l’impero romano d’oriente, con capitale Costantinopoli, e a Onorio l’impero romano d’occidente, con
capitale Ravenna. L’impero d’oriente era la parte più ricca e più popolata e, nonostante le pressione dei “Barbari”,
riuscì a sopravvivere altri mille anni, diventando poi l’impero bizantino.
Nel 402 il generale “Barbaro” Stilicone, che reggeva l’impero d’Occidente al posto dell'imperatore Onorio di 11
anni, sconfisse i Visigoti e li convinse a non tornare più in cambio di un tributo annuale . Il problema però non si
risolse del tutto; Stilicone infatti riuscì a tenere a bada soltanto i Visigoti, ma poco dopo scesero i Burgundi e i
Franchi che si stanziarono in Gallia , gli Svevi in Spagna, gli Alemanni in Germania e i Vandali in Africa. Stilicone
fece di tutto per resistere ma fu sconfitto e poi, vittima di gelosie di palazzo, nel 408 fu decapitato con la falsa accusa
di tradimento. In realtà nessuno avrebbe potuto fare meglio di lui. Nel frattempo l'imperatore Onorio, terrorizzato, si
trasferì a Ravenna, da dove avrebbe potuto fuggire più facilmente.
Senza Stilicone l’impero era indifeso e i Visigoti di Alarico nel 410 si accamparono vicino Roma e chiesero un
tributo per tornare indietro. Onorio stupidamente si rifiutò e mandò un piccolo esercito che però fu massacrato in poco
tempo. Il 24 agosto del 410 Roma fu saccheggiata per tre giorni: era dai tempi di Brenno, nel 380 a. C., che non
accadeva una cosa del genere. Dopo il saccheggio l'impero crollò di schianto: i Visigoti raggiunsero indisturbati le
coste dell'Africa e nel 429 diedero vita al primo regno romano-barbarico: in poco tempo l'impero si ridusse alla sola
Italia.
Nel frattempo dalla Pannonia (odierna Ungheria) arrivarono gli Unni di Attila; in un primo momento, nel 451, il
generale Ezio riuscì a sconfiggerli, grazie all'aiuto dei Germani, ma gli Unni tornarono l’anno successivo e
saccheggiarono Milano e Pavia. Le fonti sostengono che fu il papa Leone I a convincere Attila a tornare indietro, ma
probabilmente fu convinto da un riscatto e dalla paura della peste.
Nel 455 Roma fu saccheggiata di nuovo dai Vandali di Genserico. Anche in questo caso l'invidia ebbe la meglio:
l’imperatore Valentiniano III fece uccidere il generale Ezio, pensando che stesse tramando per ottenere la corona.
Nonostante tutto non si resero conto che ormai quella corona non contava più nulla. Nel 475 un generale impose come
imperatore suo figlio di 13 anni che fu chiamato in senso dispregiativo Romolo Augustolo, passato alla storia come
l’ultimo imperatore romano. Nel 476 Odoacre, un generale di origine barbara, depose l’imperatore, assunse il titolo di
re d’Italia e inviò le insegne imperiali a Costantinopoli: l’impero romano non esisteva più nemmeno formalmente .
Odoacre rispettò la burocrazia romana e la Chiesa e difese l'Italia da altre invasioni, ma non fu mai riconosciuto
dall’imperatore d’oriente che, anzi, si mise d’accordo con Teodorico, re dei Goti, per cacciarlo.
Pensare che l’impero romano sia crollato solo per l’arrivo di queste popolazioni è un grande errore. Nel IV secolo
l’impero era già debole, povero e spopolato e di conseguenza i “Barbari” – che in realtà non erano molto numerosi –
gli diedero solo il colpo di grazia.
Dalla dissoluzione dell’impero romano nacquero i regni romano-barbarici. Il regno dei Visigoti (Spagna e
Francia meridionale), il regno degli Svevi (Portogallo), il regno dei Franchi, il più longevo di tutti (Francia e
Germania), il regno dei Vandali (nord Africa, Sicilia e Sardegna) e il regno d’Italia con Odoacre. Questi regni
romano-barbarici sorsero dopo una lenta trasformazione e non dopo un passaggio traumatico e violento. I Germani
tennero per sé l’esercito ma l’amministrazione del regno fu lasciata alle élite romane, portatori di una cultura
“superiore”. In particolare fiorì il Regno dei Franchi; il re Clodoveo (481-511), della dinastia dei Merovingi,
conquistò la Gallia, si convertì al cattolicesimo, obbligò i suoi sudditi a convertirsi e diventò il difensore della Chiesa.

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In Italia, nel 493, Teodorico, re dei Goti, sconfisse Odoacre e si fece ufficialmente riconoscere dall’imperatore
bizantino re d'Italia. Teodorico (493 – 526) fu tutt’altro che un “Barbaro”: profondo ammiratore della cultura classica,
tentò di porre le basi per la pacifica convivenze tra Romani e Goti. Cercò l’appoggio del Senato di Roma e fece
rifiorire Ravenna, la capitale del nuovo Regno, ma non permise i matrimoni misti. Morì nel 526, dopo 33 anni di
regno; la corona passò a sua figlia Amalasunta che cercò di riallacciare i rapporti con la chiesa di Roma, ma due anni
dopo fu uccisa: gli uomini non volevano prendere ordini da una donna.

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