Sei sulla pagina 1di 24

DOMANDE STORIA MEDIEVALE

1. Crisi pre caduta Romana con diocleziano e Costantino:


Sappiamo che sin dal III secolo il mondo romano era circondato nei suoi confini nordorientali da
popolazioni definite barbare dalla cultura greca e romana, in particolare sassoni, franchi, alamanni.
Essi iniziarono ad infiltrarsi, e Roma non si oppose a questa iniziale e moderata immigrazione: con
una politica pragmatica essa aveva accolto piccoli gruppi di immigrati entro i propri confini prima
come mercenari, guerrieri, poi come foederati ovvero come truppe barbare alleate o come inquilini
ovvero coltivatori.
A partire dai primi decenni del III secolo cominciarono a profilarsi motivi di grave preoccupazione
dovuti alle pressioni esterne e alla fragilità dei confini. Il clima di crescente insicurezza indusse
l’imperatore Aureliano a cingere Roma, nel 271, di una poderosa cinta muraria.
Il sistema di rifornimento annonario delle città incontrò difficoltà crescenti, la spesa pubblica andò
incontro ad un costante aumento e la disponibilità di metalli preziosi diminuì, rendendo difficile
pagare i prodotti acquistati in Oriente. La disponibilità di manodopera schiavistica cominciò a
scemare. Le conseguenze non tardarono ad avvertirsi, attraverso esplosioni ripetute di carestie,
epidemie e rivolte contadine. Le spese di difesa e amministrative cominciarono a superare i profitti
dell’integrazione economica.
Per arginare il disastro, i gruppi dirigenti imperiali realizzarono una serie di aggiustamenti,
fondando cioè sempre più l’impero sul ruolo essenziale dell’esercito. Fu Diocleziano ad avviare un
periodo di riforme: egli elaborò, nel 293, una profonda riforma costituzionale basata sulla
tetrarchia, cioè sulla divisione dell’autorità imperiale in quattro cariche, due augusti e due cesari.
Procedette anche ad una ristrutturazione delle province, più piccole e sottoposte ad un doppio
comando, civile e militare. L’esercito fu diviso tra truppe stanziali, a difesa dei confini (limitanei), e
legioni da combattimento al seguito dell’imperatore (comitatenses), al fine di contenere
l’espansione delle spese. Introdusse una più razionale amministrazione del fisco, attraverso un più
equo sistema di esazione delle tasse fondiarie fondato sulla realizzazione di un catasto, e per
frenare la fuga dei coloni dalle campagne li vincolò ereditariamente alla terra che lavoravano
(colonato servile). La stessa misura fu adottata con gli artigiani e i commercianti, legando ciascuno
di loro all’esercizio del mestiere paterno. L’opera di Diocleziano fu continuata da Costantino, il
quale accentuò il già rigido assolutismo instaurato da Diocleziano, facendo dipendere direttamente
dall’imperatore l’esercito e il senato. Nel 330, per motivi strategici e politici, egli spostò la capitale
dell’impero sulle rive del Bosforo, ribattezzandola con il nome di Costantinopoli. Il trasferimento
della capitale imperiale evidenziò l’oramai irreversibile divaricazione tra la pars Orientis e la pars
Occidentis dell’impero: alla morte dell’imperatore Teodosio, l’impero fu diviso tra i figli; ad Arcadio
l’Oriente e ad Onorio l’Occidente (nel 402 la capitale fu spostata a Ravenna).
Fu in questo clima che il cristianesimo cominciò ad avere una diffusione di massa, ma sulla nuova
religione si abbatterono accuse di scarso lealismo. Le conseguenti persecuzioni non indebolirono la
forza di propagazione della religione cristiana, che anzi continuò a guadagnare consensi fino ad
ottenere da Costantino, nel 313, con l’editto di Milano, la concessione della libertà di culto, e a
divenire, nel 380, con l’editto di Tessalonica, religione di stato. L’editto di Milano rappresentò il
momento di svolta, in quanto liberalizzò la professione del cristianesimo, parificandolo agli altri
culti. Nel corso del IV secolo le sedi vescovili si moltiplicarono, Le prime chiese metropolitiche
furono, in Occidente Aquileia, Milano, Ravenna e Roma; in Oriente Alessandria, Antiochia,
Gerusalemme e Costantinopoli. A Roma venne riconosciuti un primato ideale. Il nodo più
problematico riguardò la questione della coesistenza nel Cristo di una natura umana e di una
divina, non da tutti condivisa. il prete Ario, di Alessandria d’Egitto; la sua tesi, che prese il nome di
arianesimo, sosteneva che il Cristo non aveva lo stesso grado di divinità del padre ed era a lui
subordinato, ma tale dottrina fu condannata. Il concilio riconobbe alle due persone del Padre e del
Figlio un’identica natura divina. Teodosio si distinse per un impegno costante a sostegno della
chiesa. Su sua iniziativa, nel 380 l’editto di Tessalonica riconobbe il cristianesimo come unica
religione dell’impero, proibendo tutte le fedi non cristiane.

2. Cause interne ed esterne della caduta dell'impero:


L’impero si estendeva su gran parte dell’Europa, dell’Africa settentrionale e del Medioriente,
configurandosi come una sorta di confederazione di regni, provincie e tribù. A garantire l’unitarietà
di una tale costruzione così eterogenea sia dal punto di vista costituzionale, che culturale,
linguistico e religioso avevano concorso diversi elementi: efficienza di una amministrazione capace
di far sentire la presenza di Roma sino agli angoli più remoti dell’impero; la condivisione di un’unica
lingua veicolare, il latino; e la sostanziale tolleranza religiosa basata sull’accettazione di tutte le
religioni. A partire dal III secolo, questo enorme spazio cominciò a dare segnali crescenti di
difficoltà. Gli storici si sono interrogati sulle ragioni che determinarono la fine dell’impero,
dividendosi grossomodo in due correnti: continuisti e sostenitori della frattura irreversibile. I
sostenitori della frattura irreversibile hanno utilizzato i concetti di decadenza e di interruzione
violenta di un impero ucciso dalle invasioni barbariche. La tesi continuista ha invece suggerito l’idea
di una transizione graduale, quasi impercettibile fra l’impero romano e l’Europa medievale.
Sappiamo che sin dal III secolo il mondo romano era circondato nei suoi confini nordorientali da
popolazioni definite barbare dalla cultura greca e romana, in particolare sassoni, franchi, alamanni.
Essi iniziarono ad infiltrarsi, e Roma non si oppose a questa iniziale e moderata immigrazione: con
una politica pragmatica essa aveva accolto piccoli gruppi di immigrati entro i propri confini prima
come mercenari, guerrieri, poi come foederati ovvero come truppe barbare alleate o come inquilini
ovvero coltivatori.
A partire dai primi decenni del III secolo cominciarono a profilarsi motivi di grave preoccupazione
dovuti alle pressioni esterne e alla fragilità dei confini. Il clima di crescente insicurezza indusse
l’imperatore Aureliano a cingere Roma, nel 271, di una poderosa cinta muraria.
Il sistema di rifornimento annonario delle città incontrò difficoltà crescenti, la spesa pubblica andò
incontro ad un costante aumento e la disponibilità di metalli preziosi diminuì, rendendo difficile
pagare i prodotti acquistati in Oriente. La disponibilità di manodopera schiavistica cominciò a
scemare. Le conseguenze non tardarono ad avvertirsi, attraverso esplosioni ripetute di carestie,
epidemie e rivolte contadine. Le spese di difesa e amministrative cominciarono a superare i profitti
dell’integrazione economica.
Da alcuni secoli, alcune tribù di nomadi di origine non indoeuropea si erano spostate trovando
riparo in Pannonia (l’attuale pianura ungherese), dove diedero vita ad una federazione di popoli
dalla quale si svilupparono le tribù unne. Dal loro movimento originò un colossale processo di
spostamenti a catena di popoli, già stanziati ai confini dell’impero, in fuga davanti all’avanzata
unna. Gli unni neri comparvero per la prima volta al di qua degli Urali nel 370, spingendo in avanti i
goti, i vandali e gli avari. Fu lo spostamento dei visigoti alla ricerca di uno stanziamento definitivo
l’elemento che destabilizzò il fragile equilibrio politico, trovarono ricetto in Tracia nel 375, dove
furono affrontati dagli eserciti imperiali guidati dall’imperatore Valente, che, nel 378, ad
Adrianopoli, rimediò una clamorosa sconfitta. i visigoti raggiunsero nel 401 la pianura padana, dove
saccheggiarono Aquileia e minacciarono Milano. Fu un generale vandalo, Stilicone, a guidare gli
eserciti imperiali e a respingerne la minaccia.
nel 410, puntarono direttamente su Roma, saccheggiandola per tre giorni, e ottennero di potersi
stanziare nella Gallia meridionale, costituendo di fatto, nel 418, il primo regno barbarico all’interno
del territorio imperiale.
Il limes del Reno fu attraversato nell’inverno 406-407 da diversi gruppi, che dilagarono poi nella
Gallia, incontrando solo l’opposizione dei federati franchi, capaci di respingerli oltre i Pirenei. I
vandali raggiunsero l’estremo sud della penisola iberica, che prese da allora il nome di Vandalusia.
A metà del secolo si palesò di nuovo la terribile minaccia degli unni, che, sotto la guida di Attila,
penetrarono entro i territori centro-settentrionali della Gallia. Si ripresentarono al confine
nordorientale dell’Italia, penetrando in Friuli e distruggendo Aquileia; avanzarono poi
risolutamente fino al Mincio, dove furono fermati dall’incontro con papa Leone I. ma la frontiera
imperiale non fu affatto un confine che separava nettamente due spazi distinti, fu piuttosto una
linea di controllo militare e civile, ma anche una zona di scambi e comunicazioni. tra il popolo
romano e quello barbarico c’era una sistema di relazioni molto dinamico poiché servivano
all’impero a soddisfare la continua necessità di armati da inserire nelle proprie unità militari. Nel
frattempo i vandali si erano spostati nell’Africa del nord: sotto la guida di Genserico essi
occuparono Cartagine nel 439; muovendosi da là saccheggiarono nuovamente Roma, nel 455, via
mare. A metà del secolo l’ondata migratoria sembrò in qualche modo essersi esaurita, ma a quel
punto l’impero occidentale risultava del tutto incapace di risollevarsi. Il 5 settembre 476, un
generale romano di stirpe barbarica, lo sciro Odoacre, fattosi acclamare capo delle milizie
mercenarie confederate con Roma, depose ed esiliò l’ultimo imperatore d’Occidente, Romolo
Augustolo. È con tale data che, convenzionalmente, si usa collocare la fine dell’età tardoantica e
l’inizio del medioevo. Da allora, le due parti in cui era stato diviso l’impero ebbero storie
completamente differenti: la pars Orientis, con il nome di impero bizantino e l’eredità della dignità
imperiale, rimase in vita per altri mille anni, fino al 1453, quando Costantinopoli fu espugnata dai
turchi; la pars Occidentis scomparve in quel 476. Costantinopoli, rimase l’unico centro di
trasmissione dell’eredità amministrativa di Roma. Il disastro tardoantico ebbe un’altra conseguenza
di grande rilievo: la fine dell’unità mediterranea
3. I Regni Romano-Barbarici:
la conquista dei territori romani assunse anche il controllo delle strutture politico-amministrative.
Ciò favorì l’assimilazione culturale e la reciproca contaminazione tra etnie e culture diverse che
portò i barbari a romanizzarsi e anche la società romana a modificare sempre di più i propri
caratteri. Un ruolo importante lo agì il cristianesimo.
L’immagine del barbaro era costruita su generalizzazioni e stereotipi: i barbari erano selvaggi,
erano nomadi privi di case, spesso giravano nudi o coperti di pelle, erano sporchi e puzzavano,
portavano barbe folte e lunghi capelli.
L’idea che si era da tempo fatta strada era che l’ingresso delle genti barbariche nel territorio
imperiale non fosse un male in assoluto, ma un fenomeno che avrebbe portato all’impero vantaggi
sotto il profilo militare ed economico, garantendo la presenza di nuove forze lavoratrici e
combattenti.
Nel corso del V secolo i romani abbandonarono a poco a poco ai barbari i territori dell’impero
romano d’Occidente. Al vertice del regno vi era il re che era un capo militare, la sua figura era
ammantata di sacralità; egli era il “proprietario” del regno. In aree come la Gallia, l’Iberia o l’Italia si
registrarono, per tutto il V e il VI secolo, una permanenza del ruolo delle città come elemento
ordinatore delle realtà territoriali locali e, al loro interno, una persistente rilevanza delle famiglie di
origine romana.
Nel 476, si era insediato alla guida dell’Italia lo sciro Odoacre. Questi incoraggiò così la venuta del
popolo degli ostrogoti guidati Teodorico, che sbaragliò le truppe di Odoacre e si insediò a Ravenna,
facendone la capitale del regno ostrogoto d’Italia. Egli riservò l’amministrazione civile alla
popolazione latina, ai goti il comando militare delle guarnigioni. Adottarono un principio di
convivenza tra goti e romani, Teodorico dispose che i goti potessero continuare a vivere secondo le
loro consuetudini, mentre i romani erano tenuti ad osservare le leggi imperiali.
Un altro elemento di fondamentale importanza nel trasferimento di elementi propri della civiltà
romana alle strutture amministrative elaborate dai popoli germanici fu la decisione assunta da
alcuni re di adottare lo stesso credo religioso dei romani. Ciò favorì una più profonda integrazione
tra popolo romano e barbaro. Il fatto di presentarsi come re cattolici valse loro un consenso
fortissimo, visto che per la gran parte ad occupare le sedi vescovili erano ancora esponenti delle
famiglie aristocratiche di origine romana.

4. Arrivo ostrogoto in Italia:


Nel 476 Odoacre, un magister militum germanico, depose l'imperatore romano Romolo
Augusto autoincoronandosi rex Italiae ("Re d'Italia"), mentre restava ufficialmente sotto la
sovranità dell'impero bizantino. Questo fatto venne riconosciuto da Zenone. Odoacre mantenne
inalterato il sistema amministrativo, cooperando attivamente con il Senato romano, e il suo
governo fu efficiente. Teodorico, guidò gli ostrogoti e sbaragliò le truppe di Odoacre, e si insediò a
Ravenna facendone la capitale del regno Ostrogoto in Italia, dando vita al più esteso dei regni
romano barbarici che avrebbe governato fino alla sua morte. Adottando un principio di convivenza
tra goti e romani, Teodorico dispose che i goti potessero continuare a vivere secondo le loro
consuetudini, mentre i romani erano tenuti ad osservare le leggi imperiali. Nel 500 lo stesso
Teodorico emanò un editto nominato Edictum Theodorici Regis composto da 154 articoli che si
basava essenzialmente sulla personalizzazione del diritto, ovvero: la legge applicata cambiava a
seconda dell'appartenenza etnica. I goti, secondo le leggi dell'hospitalitas reclamarono un terzo dei
territori di cui rivendicavano il possesso essendone rimasti gli unici difensori . Attraverso alleanze
strette grazie ai matrimoni, tentò di guadagnarsi una posizione di primo piano tra gli stati germanici
occidentali. Lui stesso sposò la sorella del re franco Clodoveo. Teodorico si trovò in guerra contro
Clodoveo quando quest'ultimo attaccò i domini dei Visigoti in Gallia nel 506. I Franchi vinsero in
breve tempo, uccidendo Alarico (re vsigoto) durante la battaglia di Vouillé e sottomettendo
l'Aquitania nel 507. Nel 508 estese il suo dominio in Gallia meridionale. Dopo la morte di Teodorico
del 30 agosto 526, le sue conquiste incominciarono a collassare. venne rimpiazzato del neonato
nipote Atalarico, tutelato dalla madre Amalasunta come reggente. La mancanza di un erede forte
portò a una rete di alleanze che condussero lo stato ostrogoto alla disintegrazione: il regno
visigoto riconquistò la propria autonomia sotto Amalarico, i rapporti con i Vandali divennero ostili,
e i Franchi incominciarono una nuova campagna espansionistica quasi sfrattando i Visigoti dalla loro
patria, la Gallia meridionale. La posizione di predominanza che il regno ostrogoto acquisì grazie a
Teodorico in Europa occidentale passò ora ai Franchi. Amalasunta era stata educata dai romani,
corteggiò il Senato e il nuovo imperatore Giustiniano I, fornendogli anche basi in Sicilia durante
la guerra vandalica (guerra tra impero romano d’oriente e i vandali; fu la prima guerra di
riconquista da parte di Giustiniano). I goti protestarono. Venne creata una cospirazione tra i Goti
con il fine di detronizzarla. Decise di scrivere a Giustiniano chiedendo protezione, e la sua posizione
rimase sicura finché, nel 533, la salute di Atalarico peggiorò seriamente. Amalasunta si rivolse
all'unico parente rimastole, il cugino Teodato, in cerca di aiuto e lo incoronò imperatore nel
tentativo di assicurarsi la sua protezione, ma ottenendo di venire da lui deposta e imprigionata.
Teodato, uomo pacifico, inviò subito dei messaggeri da Giustiniano per comunicargli la sua
ascensione al trono. L'assassino di Amalasunta permise a Giustiniano di invadere l'Italia. Il generale
incaricato di dirigere le operazioni fu Belisario che conquistò Sicilia, Calabria e Napoli, Rimini,
Milano e Ravenna. Giustiniano, spaventato, richiamò in patria Belisario lasciando campo libero ai
Goti
5. Giustiniano:
Giustiniano, imperatore tra il 527 e il 565, si impegnò in una grande politica di renovatio imperii,
ossia di ricostituzione e ricomposizione dei confini originari dell’impero e di recupero dei territori
mediterranei dove si erano insediati i nuovi dominatori barbarici, siglando nel 532 una pace con la
Persia, sottrasse l’Africa settentrionale ai vandali, la penisola italiana agli ostrogoti e il sud della
penisola iberica ai visigoti. Giustiniano dovette affrontare il problema della ricostruzione delle
province, nel 554 emanò la Pragmatica Sanctio, che ne riorganizzava le strutture amministrative,
giuridiche e militari secondo modelli romano-imperiali. Tra il 529 e il 533 vennero redatti, da una
commissione di tecnici del diritto, una raccolta in dodici libri delle costituzioni imperiali, o leggi,
emanate dai predecessori di Giustiniano, ossia il Codex, una grande silloge di pareri
giurisprudenziali e sentenze con finalità principalmente didattiche, contenente i fondamenti del
diritto, le Institutiones; infine, le Novellae constitutiones, ovvero le leggi emanate dallo stesso
Giustiniano. i successi della stagione di Giustiniano si rivelarono effimeri. Dopo la morte
dell’imperatore si assistette inermi alla conquista parziale della penisola italiana da parte dei
longobardi: la penisola iberica fu di nuovo perduta, gran parte dei Balcani fu interessata
dall’insediamento di popolazioni slave. I persiani dapprima Damasco, Gerusalemme e Egitto.
Quando tra il 630 e il 640 cominciò l’espansione degli arabi sotto la bandiera dell’islam, tutte le
provincie medio-orientali e l’Egitto andarono perdute: tali eventi accelerarono il passaggio dalla
fase tardoantica dell’impero a quella più propriamente bizantina. Anche l’economia ne uscì
modificata: la maggior parte dei surplus era destinata ad essere prelevata dallo stato e
dall’aristocrazia sotto forma di tasse e affitti, e la schiavitù assunse un ruolo economico molto
limitato. Nel 674 e nel 687 gli eserciti arabi giunsero a minacciare la stessa Costantinopoli, gli ultimi
avamposti bizantini in Italia erano andati anch’essi perduti. Nel ducato romano era sempre più
cresciuta l’autorità anche politica del vescovo di Roma, impegnato sin dal VI secolo in una profonda
riorganizzazione del patrimonio fondiario della sua diocesi. nel 726 l’imperatore Leone III proibì la
venerazione delle immagini sacre, aderendo al movimento che ne considerava idolatrico il culto e
ne predicava la distruzione, chiamato iconoclastia. Per tutta risposta, il pontefice romano, Gregorio
III, convinto iconodulo, nel 731 scomunicò l’imperatore e tutti i suoi seguaci. L’effetto immediato di
tale decisione fu l’irreversibile allontanamento della chiesa di Roma. Il figlio e successore di Leone
III, Costantino V, proseguì con ostinazione sulla linea tracciata dal padre, ottenendo di acuire la
frattura tra la chiesa occidentale e quella orientale, fino a quando l’imperatore Michele III non
reintrodusse il culto delle immagini e delle reliquie. e la frattura divenne insanabile nel 1054,
quando si produsse lo strappo definitivo, o scisma d’Oriente, tra la chiesa di Costantinopoli e quella
di Roma.
6. La guerra greco-gotica:
La guerra greco-gotica(535-553), fu un lungo conflitto che contrappose l'Impero bizantino agli
Ostrogoti nella contesa di parte dei territori che fino al secolo precedente erano parte dell'Impero
romano d'Occidente. La guerra fu il risultato della politica dell'imperatore bizantino Giustiniano I,
già messa in atto precedentemente con la riconquista dell'Africa contro i Vandali, mirante a
riconquistare all'impero le province italiane e altre regioni limitrofe conquistate da Odoacre alcuni
decenni prima e a quel momento dominate dagli Ostrogoti (Goti orientali) di Teodato.
Il conflitto ebbe inizio nel 535 con lo sbarco in Sicilia di un esercito bizantino guidato dal generale
Belisario. Risalendo la penisola le forze di Belisario sconfissero le truppe gote dei re Teodato prima
e Vitige poi, riconquistando molte importanti città tra cui le stesse Roma e Ravenna. L'ascesa al
trono goto di Totila ed il richiamo di Belisario a Costantinopoli portarono alla riconquista da parte
dei Goti di molte delle posizioni perdute. Solo con l'arrivo di una nuova armata sotto il generale
Narsete le forze imperiali poterono riprendersi, e dopo la morte in battaglia di Totila e del suo
successore Teia la guerra si concluse nel 553 con una completa vittoria per i Bizantini.
La lunga guerra provocò vaste distruzioni alla penisola, spopolando le città ed impoverendo le
popolazioni, ulteriormente flagellate da un'epidemia di peste e da una carestia; l'occupazione
dell'Italia da parte dei bizantini si rivelò effimera visto che già dal 568 le forze dei Longobardi
iniziarono a calare nella penisola, occupandone vasti tratti anche grazie alla debolezza dei difensori.

7. L'arrivo dei Longobardi in Italia e Longobardi in Italia:


Dopo la morte di Teodorico, nel 526, l’imperatore romano d’Oriente, Giustiniano avviò una politica
aggressiva contro l’Italia al fine di strapparla ai goti e riaggregarla all’impero. La conseguente guerra
greco-gotica si protrasse dal 535 al 553, quando, con la sconfitta dell’ultimo re ostrogoto, Totila,
Giustiniano ristabilì il dominio imperiale sulla penisola italiana. riuscirono facilmente a sbaragliare
la debole opposizione bizantina, occupando il Friuli, il Veneto, la Lombardia, la Toscana e poi parte
dell’Italia centro-meridionale, dove crearono i ducati di Spoleto e Benevento. l’Italia si trovò quindi
divisa sotto due dominazioni profondamente diverse, ciò segnò la rottura dell’unità politica della
penisola. Le aree interne caddero tutte nelle mani dei longobardi, che istituirono la loro capitale a
Pavia (dal 626) e si distribuirono sul territorio in fare (“associazioni in marcia” ovvero gruppi di
guerrieri, le loro donne, figli, schiavi e animali) e ducati. I duchi erano i rappresentanti delle
principali stirpi guerriere, tenuti in grande considerazione presso il re. Alla testa del popolo
longobardo vi era il re, cui competevano le funzioni di capo militare di un tale popolo-esercito, ed
eletto dall’assemblea degli uomini liberi, gli arimanni, i quali avevano il diritto-dovere del servizio
militare e della partecipazione alle decisioni politiche. Il lavoro agricolo e pastorale era svolto dai
servi, cui non era riconosciuto alcun diritto. Tra gli arimanni e gli schiavi vi erano gli aldii, il cui stato
giuridico consentiva loro una certa autonomia di azione, specialmente nella sfera economica. ogni
donna era dotata di un mundio, ossia un valore/prezzo, di cui era proprietario il capofamiglia e che
il marito riscattava al momento del matrimonio.
L’impatto fra longobardi e popolazione latina fu molto duro poiché diverse erano anche le rispettive
lingue e religioni. come diversa era la concezione dello stato, della politica e dell’amministrazione.
Ad accelerare i processi di fusione fu la politica religiosa adottata dai sovrani longobardi.
Importante il ruolo di Teodolinda, cattolica, che avviò una serie di rapporti con il papato, che favorì
la conversione dall’arianesimo al cattolicesimo della famiglia regia e di parte dell’aristocrazia
longobarda.
Altrettanto importante fu nel 643, la promulgazione dell’Editto di Rotari, composto da un corpus di
leggi totalmente aliene dalla cultura giuridica romana e destinate a regolamentare esclusivamente i
rapporti tra i longobardi. Nei decenni successivi il dominio longobardo in Italia si consolidò
definitivamente, sia sotto il profilo politico che territoriale. crebbe il patrimonio ecclesiastico della
chiesa di Roma,nei primi decenni dell’VIII secolo i papi erano di fatto l’autorità dominante su Roma
e dintorni.
Astolfo, re dal 749 al 756, occupò nuovamente l’Esarcato nel 751 e la stessa Ravenna. Tali
avvenimenti spinsero papa Stefano II a cercare una sponda nell’azione di contenimento della
pressione longobarda. Nel 754 il pontefice strinse un accordo con il re dei franchi Pipino, che nello
stesso anno scese in armi in Italia, sconfiggendo in battaglia Astolfo, assediando Pavia e
costringendo il re longobardo a restituire gran parte dei territori conquistati alla chiesa di Roma. La
politica aggressiva di Astolfo fu continuata dal suo successore, Desiderio, ultimo re longobardo.
Questi tentò nuovamente, nel 772, di acquisire militarmente l’Esarcato, provocando il pronto
intervento franco, guidato da re Carlo (il futuro Carlo magno). Carlo sconfisse nel 774 gli eserciti
longobardi, incorporandone i territori nei già vasti domini del regno franco. Finiva così, nel 774, il
regno longobardo in Italia.
8. Maometto e le prime invasioni islamiche:
Il califfato islamico dilatò i propri domini dal Vicino Oriente sino alla Spagna, contendendosi con
Bisanzio la supremazia sul mare. l’unità mediterranea ne risultò pesantemente compromessa.
Elemento di alterazione fu la comparsa nella penisola arabica, agli inizi del VII secolo, di una nuova
religione: tra il 569 e il 571, nacque alla Mecca, da una famiglia di mercanti, Maometto, il futuro
profeta di una nuova religione rigidamente monoteista. Maometto cominciò ad avere delle visioni,
e nel 610, mentre meditava, ebbe la decisiva rivelazione dall’arcangelo Gabriele di essere un eletto
dal cielo. Fu la nascita di una nuova fede, rigorosamente monoteista, la cui istanza suprema
consisteva nella totale e assoluta sottomissione dell’essere umano al volere divino. prevedeva, oltre
all’attestazione di fede, la recita giornaliera della preghiera rituale avendo come punto di
riferimento la Mecca; l’elemosina legale per l’assistenza ai poveri (zakat); il digiuno (dall’alba al
tramonto) nel mese del Ramadàn; almeno un pellegrinaggio alla Mecca. Non stupisce l’opposizione
delle grandi famiglie di mercanti meccane, minacciate dall’attacco portato a quel politeismo da cui
esse traevano profitti cospicui e grande prestigio politico, del rinomato santuario della Ka’ba.
Divenuta impossibile la permanenza alla Mecca, nel 622 il profeta e i suoi seguaci furono costretti a
rifugiarsi a Yàthrib, la futura Medina. Nel 630, dopo anni di predicazione, proselitismo e lotte,
Maometto poté rientrare trionfalmente alla Mecca, a capo di un esercito di seguaci. Le ricche
famiglie mercantili che pochi anni prima avevano cacciato il profeta, nel timore di perdere la
propria posizione egemonica, ritennero più prudente convertirsi al nuovo credo religioso. la Ka’ba
divenne il centro e il luogo per eccellenza dello stesso islam. Solo dopo la sua morte, nel 653, le
rivelazioni fatte da Dio al profeta furono raccolte, per volontà del califfo Othman, nel Corano.
Il supremo potere politico passò al suocero, Abu Bakr, cui fu attribuito il titolo di califfo, ossia
“successore dell’inviato di Dio”, da allora divenuto l’appellativo ufficiale per designare colui che
stava al vertice dello stato islamico. Ad Abu Bakr succedettero Omar (634-644), Othman (644-656) e
Alì (656- 660), con il quale si esaurì la cosiddetta “età dei quattro califfi” legati da vincoli familiari al
profeta. La nomina di Alì provocò una forte divisione tra un gruppo di maggioranza, sunniti,
secondo i quali il califfato doveva essere elettivo e la scelta fondarsi su criteri di merito;
contrapposto agli sciiti, seguaci del partito di Alì, che sostenevano norme elettive più restrittive,
basate sulla diretta appartenenza del califfo alla famiglia del profeta. con l’assassinio di Alì e con la
vittoria di Mu’awija (660-680), un aristocratico meccano. Sotto i primi quattro califfi, due furono le
principali direttrici lungo le quali si mosse la conquista araba. La prima fu verso est, in direzione
dell’Eufrate, la quale spazzò l’impero persiano conquistandone la capitale, Ctesifonte, la seconda si
orientò, invece, verso nord, conducendo gli arabi a scontrarsi con l’impero bizantino. In pochi anni
gli arabi misero fine all’egemonia bizantina sul Mediterraneo. successi conseguiti dagli arabi furono
favoriti da una certa debolezza degli imperi persiano e bizantino che, apparivano indeboliti al loro
interno. Una delle abilità maggiori dei vincitori consistette proprio nella capacità di sfruttare tali
divisioni interne, così da legare a sé la gran parte dei popoli vinti, ai quali veniva concesso lo statuto
di dhimmi, ossia di popolazioni soggette al carico tributario, ma esenti da obblighi militari e libere di
professare la religione originaria. In meno di un secolo gli arabi si erano espansi dalla penisola
arabica sino all’Atlantico a Occidente e sino al bacino del Gange a Oriente, costituendo un vasto
impero di circa 40-50 milioni di abitanti, organizzando i territori conquistati in province, affidate al
governo di un emiro (amir) e sottoposti al controllo di presidi armati stabili. nel 661 di trasferire la
capitale, in proiezione mediterranea, dalla Mecca a Damasco. L’avanzamento dell’islam si distinse
per una buona tolleranza nei confronti delle religioni dei popoli vinti, tanto più che la legge non
vietava nemmeno i matrimoni misti. Gli arabi rivelarono anche una forte propensione a rispettare e
ad assimilare le civiltà con le quali venivano a contatto.
Nel 750, Aboul Abbas, discendente di uno zio di Maometto, rovesciò la dinastia degli omayyadi,
ottenendo il titolo di califfo: il potere cessò di appartenere al sangue arabo per divenire in
prevalenza persiana. Nel IX secolo si intrapresero le due grandi imprese di conquista delle isole di
Creta e della Sicilia. L’invasione della Sicilia iniziò nell’827 e proseguì, fra l’830 e l’831 con la
conquista di Palermo; nell’843 i saraceni conquistarono Messina e nell’878 Siracusa, allora la città
più importante dell’isola; infine, nel 902, fu presa Taormina. La presenza dei musulmani, che dette
vita ad un dominio stabile decretò l’ascesa di Palermo, eletta a capitale di un emirato divenuto ben
presto autonomo sotto la famiglia dei kalbiti. Per l’isola, il dominio arabo rappresentò, per
prosperità economica e fervore culturale, uno dei periodi più felici della sua storia: divenne il cuore
del Mediterraneo saraceno, punto d’incontro di commerci e di scambi culturali tra l’Occidente e
l’Oriente, e l’agricoltura conobbe numerosi progressi.
9. Gregorio VII e libertas ecclesiae:
era periodo di riforme della chiesa: i primi segni di rinnovamento partirono da Cluny nell’abbazia
benedettina della Borgogna fondata nel 909, che affidava il loro manuale a servi e coloni,
riservando ai monaci esclusivamente uffici della preghiera e dello studio. Questa divenne poi una
delle abbazie più potenti d’Europa, poiché ottenne l’esenzione, ossia la franchigia da ogni obbligo
nei confronti dell’ordinario diocesano e seppe procurarsi il favore e la protezione di re, imperatori e
papi. Poi ci furono gli Ottoni che reclutavano il personale destinato alle principali sedi episcopali e
abbaziali, e ciò dava maggiori assicurazioni contro la corruzione permettendo quindi al potere regio
un controllo diretto. Questo controllo delle cariche ecclesiastiche non riguardava il papato fino a
che, nel 1046 Enrico III depose a Sutri i tre papi romani e impose un suo candidato, Clemento II, così
venne introdotto il modello di chiesa imperiale.
Delle grandi riforme si ebbero con Gregorio VII, che impose un modello di chiesa fortemente
gerarchizzata, fondato sul primato assoluto del papa e sull’esclusione dei poteri laici da ogni
ingerenza nella vita religiosa. I programmi di Gregorio suscitarono l’ostilità dell’imperatore, in
quanto l’enfatizzazione del ruolo del papa minava l’autorità del potere imperiale. Le rivendicazioni
della libertà della chiesa da ogni potere laico misero in discussione la natura dei rapporti tra papato
e impero. Enrico IV che era alle prese con la rivolta dei sassoni, accettò l’invio di una legazione
papale per arbitrare la lotta. Il papa nel sinodo romano di Quaresima del 1075 comminò una
pioggia di scomuniche contro i vertici della chiesa tedesca disobbedienti, provocando la rottura con
l’imperatore e il suo clero, e nello stesso sinodo condannò le investiture con le quali i re
conferivano diritti pubblici anche agli ecclesiastici, in quanto ritenute all’origine della corruzione del
clero episcopale. nello stesso anno Gregorio VII fece redigere il cosiddetto Dictatus papae, una
raccolta di 27 affermazioni, ciascuna delle quali enuncia uno specifico potere del pontefice romano:
il papa è superiore ad ogni altra autorità terrena ed è il vertice incontrastato della chiesa; se eletto
secondo le procedure, il papa è santo; solo il papa può rimuovere o trasferire i vescovi; solo lui può
deporre un imperatore e sciogliere i sudditi dai doveri di fedeltà verso i sovrani iniqui; la chiesa
romana è infallibile. Enrico IV rispose al pontefice convocando a Worms e a Piacenza nel 1076 due
concili di vescovi, rispettivamente tedeschi e lombardi, in cui condannava Gregorio VII per
tradimento nei confronti del re e disprezzo verso i vescovi e lo dichiarava deposto. Gregorio replicò
sciogliendo i fedeli e i vassalli del regno dal giuramento di fedeltà prestato al sovrano e
scomunicando molti vescovi lombardi e tedeschi. nel 1076, il re per tre giorni si esibì in
atteggiamento di penitente, scalzo e prostrato sulla neve, di fronte al castello di Canossa, dove
Gregorio si trovava ospite della contessa Matilde: fu la famosa umiliazione di Canossa. Ma anche se
aveva vinto Gregorio, in realtà il vero vincitore fu il re penitente, che ottenne di essere reintegrato
nei propri compiti sovrani e riprese la politica di contrapposizione al papato. E Gregorio nel 1080
riconfermò la scomunica di Enrico. Enrico mosse verso Roma, e occupò militarmente la città nel
1084, rimase a Roma il tempo di intronizzare Clemente III e di essere da questi incoronato
imperatore; poi ripiegò in Germania, per non dover affrontare i normanni, che stavano accorrendo
in aiuto di Gregorio. e quando i Normanni si ritirarono, Gregorio non ebbe altra scelta che seguirli,
per non essere lasciato solo in balia dei romani inferociti. Gregorio morì nel 1085.
10. Gregorio VII e la lotta per le investiture:
nel 1073 fu acclamato papa dal popolo Ildebrando di Soana, con il nome di Gregorio VII. Fin da subito,
Gregorio mise in atto la sua politica di chiesa fortemente gerarchizzata, fondata sul primato assoluto del
papa e sull’esclusione dei poteri laici. Quanto alle relazioni con il Sacro romano impero, il papa si trovava in
una situazione di favore; la debolezza della monarchia tedesca conseguente alla morte di Enrico III si era
accentuata a causa della ribellione dei Sassoni che il figlio Enrico IV, molto più giovane del pontefice, si
trovava a dover affrontare. Un importante Concilio si tenne a Roma nel 1075. Gregorio VII oltre a
condannare per l'ennesima volta concubinato e simonia, ribadì il divieto delle investiture laiche (investire,
cioè nominare gli atti ecclesiastici e il papa stesso), depose alcuni vescovi italiani e invitò l'imperatore a
sottomettersi al papa. Fu allora redatto un importante documento, il Dictatus papae. Composto di 27
affermazioni, in cui si sintetizzava il pensiero gregoriano: il pontefice romano era “universale” e aveva il
diritto di nominare e revocare i vescovi; la Chiesa romana era infallibile e chi era in disaccordo non poteva
considerarsi cattolico. Nel 1076 Enrico IV dovette domare la rivolta dei Sassoni e chiese a Gregorio VII di
deporre i vescovi che l'avevano appoggiata. La risposta negativa del papa spinse l'imperatore a convocare
un’assemblea in cui i principi laici ed ecclesiastici, i maggiori feudatari e i rappresentanti delle città imperiali
deliberavano sui problemi principali dell'Impero, a Worms in cui i vescovi tedeschi accusarono Gregorio VII
di non essere stato eletto regolarmente, di aver seminato discordia nella Chiesa e di aver spinto il popolo
contro i vescovi. Il papa rispose scomunicando molti vescovi lombardi e tedeschi e scomunicò l’imperatore.
E nell’inverno 1076 Enrico IV per tre giorni si esibì in atteggiamento di penitente, scalzo e prostrato sulla
neve, di fronte al castello di Canossa, dove Gregorio si trovava ospite della contessa Matilde: fu la famosa
umiliazione di Canossa. In seguito i principi tedeschi, riuniti in un’assemblea in Baviera, deposero
l'imperatore sostituendolo con il duca Rodolfo di Svevia. Gregorio appoggiò i principi tedeschi e nel 1080
depose e scomunicò di nuovo Enrico IV e riconobbe Rodolfo; la scomunica non fu soltanto una punizione
spirituale ma un'arma politica che permise al papa di porsi come arbitro nei contrasti dell'Impero. Enrico IV
per tutta risposta, convocò a Bressanone un'assemblea di vescovi (in maggioranza italiani) che depose
Gregorio e nominò un antipapa. Le due forze contrapposte arrivarono allo scontro armato: Enrico IV batté
le forze papali (le truppe canossiane) e fu incoronato imperatore dall'antipapa Clemente III. Gregorio,
rifugiatosi in Castel Sant'Angelo, chiese aiuto ai Normanni ma fu costretto a fuggire da Roma per la rivolta
della popolazione, esasperata dalla violenza del conflitto. Nel 1085, Gregorio morì a Salerno
11. La figura di Urbano II e le prime crociate:
Dopo la morte di Gregorio VII nel 1085, la lotta con gli imperatori tedeschi continuò con i suoi
successori, Vittore III e Urbano II. Il pontificato di Urbano II rappresentò una svolta, innanzitutto
perché egli estese anche alla Francia e all’Inghilterra la faccenda delle investiture, così da far sentire
ovunque la presenza della chiesa di Roma. Urbano II accentuò con forza l’autorità del papa, e fu lui
a cercare una via per giungere ad un accordo con Enrico IV e così sanare lo strappo apertosi con la
deposizione di Gregorio e l’intronizzazione di Clemente III. L’occasione fu il concilio di Piacenza del
1095, in cui furono affermate disposizioni per facilitare il ritorno all’obbedienza romana di diversi
ecclesiastici tedeschi. Ad Urbano II si deve la promulgazione della prima crociata per la liberazione
dei luoghi santi dai turchi selgiuchidi: ciò fu deciso nel concilio di Clermont nel 1095. Iniziò con un
pellegrinaggio armato della cristianità occidentale ed obbediente alla chiesa di Roma per
conquistare la Terra Santa, caduta sotto il controllo dei musulmani durante la prima espansione
islamica. La crociata terminò nel 1099 con la presa di Gerusalemme.
per chiudere la partita delle investiture e recuperare i rapporti con l’imperatore era ricorrere ad un
compromesso. Con Callisto II, eletto papa nel 1119, si giunse nel settembre 1122, ad un accordo,
ratificato nel Concordato di Worms, con cui in si riconosceva una maggiore egemonia imperiale al di
là delle Alpi e una più efficace ricezione del primato papale al di qua. Quindi l’imperatore rinunciava
all’investitura con anello e pastorale dei vescovi eletti dal clero locale ma conservava il diritto di
presenziare all’elezione e la prerogativa dell’investitura di funzioni e beni temporali simboleggiata
dalla consegna di uno scettro: così, l’impero perdeva definitivamente il ruolo sacrale attribuitogli sin
dagli imperatori carolingi e la chiesa di Roma si liberava in maniera risolutiva della subordinazione
all’impero, esaltando la figura del papa.
12.Innocenzo III universalismi papato e impero:
salito al pontificio nel 1198, l’obiettivo primario di supremazia universale era quello di esercitare un
ruolo di guida sul potere imperiale. Per raggiungere lo scopo, Innocenzo III approfittò delle contese
tra i pretendenti della corona imperiale, proponendosi come punto di equilibrio tra i contendenti.
L’occasione gli si presentò nel 1198, quando Costanza d’Altavilla, figlia del re di Sicilia Ruggero II e
sposa dell’imperatore Enrico VI, morto l’anno prima, venne anch’ella a morte, nominando proprio il
pontefice tutore del figlio, Federico. Quindi Innocenzo intervenne per regolare la successione al
titolo di imperatore. Nel 1201 riconobbe i diritti di uno dei candidati alla corona, Ottone di
Brunswick, e nel 1209 lo incoronò imperatore. Ma Ottone rinnegò gli impegni presi e Innocenzo lo
scomunicò e lo dichiarò spergiuro. Ottone poi si confrontò in battaglia con Federico II per la corona
imperiale, e ne uscì sconfitto. In cambio del trono, Federico II dovette rinunciare al regno di Sicilia.
Innocenzo riuscì a recuperare al patrimonio di San Pietro le terre che in antico avevano formato
l’Esarcato di Ravenna. definì formalmente, nelle Marche, nel Lazio e in Umbria, la sottomissione di
comuni e signorie e procedette a organizzare l’amministrazione dello stato per province. Nel
settembre 1207 indisse a Viterbo un Parlamentum in cui si definì la giurisdizione pontificia e i
giuramenti di obbedienza da parte dei signori locali e dei comuni; ascoltò le petizioni dei sudditi e
infine ci fu la pubblicazione degli statuti.
Le strutture di governo interno della chiesa si basavano sulla Cappella papale, la Cancelleria e sulla
Camera apostolica, e i loro uffici avevano sede nei Palazzi lateranensi. La Cappella pontificia
presiedeva alle funzioni liturgiche e alle cerimonie di corte, la Cancelleria redigeva i documenti
ufficiali e la Camera svolgeva l’intensa attività amministrativa e di gestione delle finanze. Per
sostenere le spese pontifice, Innocenzo introdusse anche una tassa per il clero di tutta l’Europa
cristiana: il versamento annuale della quarantesima parte della rendita ecclesiastica percepita ogni
anno, somma che venne modificata dal IV Concilio lateranense in 1/20 da versare ogni tre anni.
Innocenzo III progettò un nuovo concilio ecumenico, indicendo nel novembre 1215 il IV Concilio
lateranense, e per la prima volta nella storia della chiesa vennero convocati anche rappresentanti
laici: intervennero, oltre a più di mille tra vescovi, arcivescovi e abati, i procuratori dell’imperatore
Federico II, dell’impero bizantino e dei re di Francia, Inghilterra, Ungheria, Gerusalemme, Cipro e
Aragona, oltre a rappresentanti delle città. Il concilio fu uno dei più importanti della storia della
chiesa per il ventaglio delle materie che trattò, anche non relative a questioni religiose, e tra le altre
cose, condannò l’eresia, chiarì la funzione e gli ambiti della predicazione e definì i procedimenti
inquisitoriali. Dette quindi un’organizzazione più omogenea alla vita religiosa. Particolarmente
significative furono anche le decisioni prese in relazione alla confessione e alla comunione, che
obbligarono da allora i fedeli a un colloquio annuale con il proprio sacerdote/parroco e a
comunicarsi almeno una volta l’anno, preferibilmente per Pasqua.
13. IV concilio lateranense:
La povertà poteva essere accettata dalla chiesa come esperienza individuale, ma non poteva essere
istituzionalizzata nelle strutture ecclesiastiche, e soprattutto non poteva essere accettata, senza
uno stretto controllo. Eresia era qualsiasi idea si opponesse alla dottrina cattolica dei sacramenti e
la predicazione svolta senza il permesso ecclesiastico doveva ritenersi manifestazione ereticale.
Nello stesso documento si precisava che era compito dei vescovi inquisire e condannare i sospettati
di eresia, ma del potere laico (il braccio secolare) eseguire le condanne.
Innocenzo III progettò un nuovo concilio ecumenico, indicendo nel novembre 1215 il IV Concilio
lateranense, e per la prima volta nella storia della chiesa vennero convocati anche rappresentanti
laici: intervennero, oltre a più di mille tra vescovi, arcivescovi e abati, i procuratori dell’imperatore
Federico II, dell’impero bizantino e dei re di Francia, Inghilterra, Ungheria, Gerusalemme, Cipro e
Aragona, oltre a rappresentanti delle città. Il concilio fu uno dei più importanti della storia della
chiesa per il ventaglio delle materie che trattò, anche non relative a questioni religiose, e tra le altre
cose, condannò l’eresia, chiarì la funzione e gli ambiti della predicazione e definì i procedimenti
inquisitoriali. Dette quindi un’organizzazione più omogenea alla vita religiosa. Particolarmente
significative furono anche le decisioni prese in relazione alla confessione e alla comunione, che
obbligarono da allora i fedeli a un colloquio annuale con il proprio sacerdote/parroco e a
comunicarsi almeno una volta l’anno, preferibilmente per Pasqua.
14. Quarta crociata:
bandita da Innocenzo III nel 1198. L’obiettivo era attaccare l’Egitto e muoversi da lì alla riconquista
della Terrasanta. Per attraversare il Mediterraneo era necessario l’operazione di una città marinara
che gli avrebbe permesso una flotta da guerra adeguata, e scelse Venezia. Ma i crociati giunti in
laguna furono in numero di gran lunga inferiore a quanto ipotizzato, e a causa di ciò, i capi crociati
fecero fatica a racimolare la cifra dovuta a Venezia, che nel aveva allestito una flotta di circa 200
navi, maturando da subito un debito pesante con la città. Fu l’occasione, per Venezia, per
condizionare la spedizione e spingere i crociati ad una deviazione in Dalmazia, così da riprendere il
controllo di Zara, da poco ribellatasi al suo dominio e passata sotto la sovranità del regno
d’Ungheria. Ma la diversione su Zara provocò la severa condanna di Innocenzo III e creò
disgregazioni e sbandamenti nello stesso esercito crociato. Ma quando Zara fu rinconquistata
emerse un altro fattore che santurò l’obiettivo: L’impero bizantino era in decadenza e in mano ai
commercianti genovesi e veneziani che spadroneggiavano nella capitale. Proprio mentre i crociati
stavano combattendo a Zara, a Costantinopoli il popolo insorse sfogando la propria ira contro i
commercianti italiani. Dunque, i crociati si diressero verso Costantinopoli, convinti dal figlio
dell’imperatore bizantino Isacco II, e dopo un duro assedio ottennero la reintegrazione sul trono di
Isacco II. Dalle macerie dell’Impero Bizantino nacque l’Impero latino d’oriente destinato ad una vita
molto breve.
Nonostante gli esiti alquanto controversi e discutibili della IV crociata, l’ideologia crociata non
aveva affatto perso di vigore. Fu anzi lo stesso Innocenzo III, in occasione del IV Concilio lateranense
a promuovere l’ennesima spedizione per la liberazione dei luoghi santi. La morte del pontefice fece
sì che toccasse al suo successore, Onorio III, l’incombenza di organizzare la V crociata. Nel 1217 gli
eserciti crociati mossero di nuovo verso Oriente, sotto la guida di Andrea, re d’Ungheria, del duca
d’Austria Leopoldo e di Giovanni di Brienne. Obiettivo della spedizione era l’Egitto, la cui conquista
era ormai considerata necessaria per accedere alla Palestina, ma ancora una volta non si ebbero
risultati significativi.
Innocenzo III fu anche il promotore di altre spedizioni crociate per debellare il pericolo cataro, in
Germania e in Francia, dove inviò un suo legato che poi fu assassinato dalla folla. Allora chiamò a
raccolta i principi della cristianità per una guerra, durata vent’anni, dal 1209 al 1229, chiamata
crociata contro gli albigesi (i catari di Albi) che si risolse in una carneficina.
Sempre Innocenzo III, nel 1212 bandì la crociata per il recupero dei territori ancora musulmani in
Spagna. In seguito all’appello papale, gli eserciti di Francia, Leon e Portogallo, insieme con i re si
radunarono a Toledo e ottennero una vittoria decisiva contro il califfo di Cordoba a Las Navas de
Tolosa, in Andalusia. Dopo quella data la Spagna islamica si ridusse a una serie di piccoli regni, dei
quali sopravvisse a lungo solo quello di Granada.

15. Federico II e il regno di Sicilia:


Nipote di Federico Barbarossa, figlio dell'imperatore Enrico IV e della normanna Costanza
d'Altavilla, Federico II era destinato ad unire le sorti dell'impero a quelle del regno normanno nel sud
Italia. Rimasto orfano a soli quattro anni Federico venne posto sotto la tutela di papa Innocenzo III, che
lo educava con l'ambizione di farne, una volta adulto, un fedele alleato della Chiesa. Divenuto
maggiorenne Federico venne incornato re di Sicilia nel 1210. Nel 1212, dopo aver rassicurato Innocenzo
III che non avrebbe riunito il regno normanno con il resto dell'impero, partì per la Germania per
rivendicare la corona tedesca. Ottenuto il titolo di re di Germania nel 1215, Federico tornò in Italia dove,
nel 1220, venne nominato imperatore dal nuovo papa Onorio III, dopo aver promesso di condurre
presto una crociata in Terrasanta. Divenuto imperatore, la preoccupazione principale di Federico II fu
quella di dotare il Regno di Sicilia di un assetto amministrativo moderno, in cui
il potere fosse accentrato nelle sue mani. Per perseguire questo obiettivo Federico II adottò le seguenti
misure: Ridusse il potere e l'autonomia dei baroni, del clero, delle città e delle minoranze arabe. Si dotò
di un forte esercito mercenario, Istituì uffici efficienti per amministrare il suo regno, Aumentò la
tassazione per sostenere l'esercito. Federico II si decise a indire la crociata e partì per la Terrasanta nel
1228. La crociata guidata da Federico II fu una crociata atipica, in quanto l'imperatore cercò di ottenere
il dominio di luoghi santi attraverso la diplomazia anziché attraverso le armi. Ancor prima di giungere in
Terrasanta, sottoscrisse una pace decennale con il sultano d'Egitto Al-Kamil, che prevedeva la cessione
da parte di quest'ultimo della città di Gerusalemme e la garanzia di non ostacolare i pellegrinaggi dei
cristiani in Palestina; e venne incoronato re di Gerusalemme. Questo risultato non piacque a Papa
Gregorio IX che inviò l'esercito pontificio contro il Regno di Sicilia. Nel 1230 Federico II tornò nel sud
Italia e dopo aver sconfitto agilmente le truppe papali, costrinse Gregorio IX a ritirare la scomunica e
firmare la pace di S. Germano. Risolto il contrasto con il papato si dedicò alla trasformazione del regno
di Sicilia in uno stato. Nel 1231 promulgò il Liber Augustalis a Melfi in cui affermava la superiorità
dell'autorità regia rispetto ai baroni, ai comuni e alla Chiesa. A differenza del meridione, però, nell'Italia
settentrionale i comuni erano diventati delle realtà politiche ed economiche rilevanti e non erano
disposti a rinunciare alla loro autonomia, sottomettendosi all'autorità imperiale. Quando Federico
II cercò di imporre loro la sua autorità, i comuni dell'Italia del Nord reagirono coalizzandosi in una Lega,
che però venne sconfitta dalle truppe imperiali nella battaglia di Cortenuova nel 1237. Questi furono
aiutati da papa Gregorio IX. Il contrasto tra il papato e Federico II divenne ancora più intenso con il
successore di Gregorio IX: Innocenzo IV che lo scomunicò. La mossa del papa, compromise l'autorità
di Federico II poiché i grandi feudatari tedeschi si ribellarono e nominarono un nuovo sovrano. Federico
morì nel 1250
16. Federico II
figlio dell'imperatore Enrico IV e della normanna Costanza d'Altavilla, Federico II era destinato ad
unire le sorti dell'impero a quelle del regno normanno nel sud Italia. Rimasto orfano a soli quattro
anni Federico venne posto sotto la tutela di papa Innocenzo III, che lo educava con l'ambizione di
farne, una volta adulto, un fedele alleato della Chiesa. Dopo la morte precoce di suo padre,
Federico I il quale adottava una politica aggressiva e assolutista, prese a rivendicare la sovranità
dell’impero sui territori centro-italiani. fu di fatto un evento militare di grande portata a decidere la
successione al trono imperiale. Nel luglio 1214 nelle Fiandre, si affrontarono in battaglia due
eserciti che videro impegnati buona parte degli stati europei: l’uno, a sostegno di Ottone; l’altro,
favorevole a Federico. La vittoria del secondo schieramento determinò le sorti dell’impero;
Federico ne uscì vincitore, e fu così incoronato prima re di Germania, nel 1215, e poi imperatore di
Roma, nel 1220. Durante il lungo soggiorno tedesco, Federico cercò di consolidare i suoi rapporti
con i principi e di assicurarsene la fedeltà. Ciò gli costò significative concessioni: rinunciò ai diritti in
materia di elezione dei vescovi e degli abati e legittimò l’esercizio da parte dei principi di alcune
prerogative regie. rinnovò la promessa al pontefice che l’unione della Sicilia con l’impero sarebbe
avvenuta soltanto nella persona del sovrano, senza che assumesse un carattere istituzionale.
Messo ordine ai rapporti con il pontefice, l’imperatore poté dedicarsi a sistemare la situazione del
regno di Sicilia, dove i baroni e i nobili approfittarono della sua assenza per accaparrarsi beni
demaniali ma li affrontò con le armi. Federico si abbatté dunque, in primo luogo, contro i poteri
locali; egli compresse le energie delle autonomie cittadine e per scongiurare il pericolo di possibili
sedizioni fece erigere castelli reali con funzioni di controllo. Federico organizzò l’amministrazione
del regno in provincie, affidata ognuna a funzionari statali salariati, e infine riformò il sistema
tributario del regno, stabilendo monopoli regi, creando un sistema di imposte permanenti e
aumentando le tasse indirette percepite sul commercio estero. Volle rilanciare i commerci e
l’agricoltura: particolare fu la creazione e organizzazione di masserie regie, la cui produzione,
implementata con l’introduzione di nuove tecniche, era indirizzata all’esportazione.
nel 1228 Federico partì per la Terrasanta, ma non andò per conquistare Gerusalemme con le armi
ma per liberarla con la forza della diplomazia, stabilendo un accordo con il sultano del Cairo Malik
al-Kamil, con il quale ottenne la corona del regno di Gerusalemme e instaurò una pacifica
convivenza tra musulmani e cristiani nella città santa. L’andamento della vicenda scatenò contro
Federico le ire del pontefice, Gregorio IX, che in assenza dell’imperatore indisse una crociata contro
di lui invadendo i territori del regno. Federico lo costrinse a sottoscrivere la pace di san Germano,
con cui l’imperatore fu prosciolto dalla scomunica, rinunciando in cambio ad ogni ingerenza
nell’elezione dei vescovi e concedendo al clero meridionale la più ampia immunità. Nel 1239
Gregorio IX lo scomunicò per la seconda volta, scomunica poi rinnovata nel 1245 da Innocenzo IV
durante il Concilio di Lione. A Lione Federico fu condannato e deposto come imperatore e come re
e i suoi sudditi furono svincolati dall’obbligo di fedeltà. Nel 1250 Federico II morì.

17. Il regno dei Normanni:


erano un popolo che si stanziò in Normandia. Si diressero in Italia verso la fine dell’800,
parteciparono a varie missioni per liberare la Sicilia dal dominio musulmano, furono ingaggiati
come mercenari nella difesa delle città costiere dagli attacchi dei saraceni, prestando i loro servizi
per vari compiti. A capo dei Normanni in Italia era Rainulfo Drengot che, fondò la contea di
Aversa che divenne il punto di riferimento di tutti i Normanni che giungevano in Italia. Ad Aversa,
prima città di fondazione normanna, giunsero i membri della famiglia degli Altavilla. furono
chiamati dall'ultimo duca longobardo di Salerno a difesa delle coste dalle scorribande saracene e
conquistarono Salerno nel 1077. Papa Leone IX, vedendo la sua Benevento minacciata, tentò di
contrastarne l'ascesa; ma l'esercito pontificio fu rovinosamente sconfitto nella battaglia di San
Paolo di Civitate (1053), il papa fu catturato, e così Benevento rimase un'isola pontificia in terra
normanna. Nel 1059, papa Nicolò II stipulò a Melfi un accordo in base al quale, in cambio di un
giuramento di fedeltà, Roberto venne elevato a duca di Puglia, Calabria e Sicilia, ossia di terre in
parte già nelle mani dei normanni, in gran parte ancora da conquistare (Calabria ancora in mano ai
bizantini e Sicilia ancora in mano agli arabi).. Gli accordi di Melfi rappresentarono per i normanni il
riconoscimento e la legittimazione della loro supremazia nel Mezzogiorno d’Italia. Ruggero
d'Altavilla, fratello di Roberto, alla testa di un folto gruppo di cavalieri nel 1061 sbarcò a Messina e
invase l'isola. Nel 1063 Ruggero sconfisse un esercito di arabi siciliani. Contribuì alla disfatta degli
Arabi anche la Repubblica Marinara di Pisa, alleata dei normanni, che nel 1063 attaccò il porto di
Palermo mettendo in grave difficoltà i musulmani e saccheggiando numerose navi. Catania fu
occupata nel 1071 nella seconda discesa normanna, e Palermo nel 1072, dopo un anno d'assedio.
Ruggero divenne Gran Conte di Sicilia. La Sicilia diventò completamente normanna al termine di 30
anni di guerra, con la caduta di Noto nel 1091. Il figlio di Ruggero I, Ruggero II di Sicilia, volle
unificare poi tutti i territori normanni occupati nell'Italia Meridionale. Nel luglio del 1127
Guglielmo, duca di Puglia, morì senza figli, e Ruggero reclamò tutti i possedimenti degli Altavilla e la
Signoria di Capua. Sbarcò allora nel continente e conquistò senza difficoltà Amalfi e Salerno e nel
1128 fu incoronato duca di Puglia e Calabria. A settembre del 1129 Ruggero fu pubblicamente
riconosciuto duca da Napoli, Bari, Capua e dalle altre città.
Nel dicembre 1130 fu proclamato nella cattedrale di Palermo Re di Sicilia. Nel 1139 sconfisse
definitivamente gli ultimi feudatari ribelli, pacificando così il Regno di Sicilia.

18. La stagione delle scoperte geografiche + il ruolo dei portoghesi:


Per secoli il commercio di spezie tra l’Europa e l’Asia si era indirizzato dai porti mediterranei fino ad
Alessandria d’Egitto, da dove le merci venivano condotte via terra sino al Mar Rosso e poi ancora
per mare, fino a raggiungere le coste indiane. Ancora più lenti, insicuri e costosi, erano i percorsi
terrestri che congiungevano il Mediterraneo con l’Asia centrale, alla ricerca di seta e spezie. Furono
fattori soprattutto economici a far maturare in Occidente l’idea di poter raggiungere direttamente
via mare le Indie, (la parte sudorientale del continente asiatico) per procacciarsi spezie, sete e oro.
Particolarmente sensibili a questa impresa si rivelarono i regni iberici del Portogallo, Castiglia e
Aragona. Questi, a partire dal XV secolo, svilupparono una competizione per organizzare viaggi
Oltremare, preparati ricorrendo a un’ampia mobilitazione di risorse finanziarie, di competenze
nautiche e di soluzioni tecnologiche. In primo luogo, si ebbe il perfezionamento di una nuova
tipologia di nave commerciale, la caravella, nave da carico di buona capienza e dotata del sestante,
uno strumento ottico che consentiva alle navi di determinare la propria posizione utilizzando
l’osservazione del sole e delle stelle per stabilire la latitudine, rendendo così possibile seguire una
rotta anche in alto mare e di notte. Tali nuove conoscenze furono fondamentali per consentire
l’avvio della nuova stagione delle scoperte geografiche. Protagonisti iniziali della ricerca di una
nuova via furono i re del Portogallo. Dal 1476 anche Cristoforo Colombo, genovese di nascita, entrò
al servizio dei portoghesi, maturando il proposito di raggiungere l’Asia viaggiando in direzione
opposta rispetto all’itinerario di Marco Polo. nel 1484 Colombo presentò il suo progetto al re del
Portogallo Giovanni II, che tuttavia lo bocciò, ritenendolo temerario e troppo oneroso. Anni dopo,
Colombo trovò ascolto presso la regina Isabella di Castiglia, che decise di investire nell’impresa.
Quindi, il 3 agosto 1492, Colombo, con tre caravelle, salpò dal porto spagnolo di Palos, intendendo
raggiungere la Cina e il Giappone. Il 12 ottobre venne avvistata la terra, ma non si trattava delle
Indie, bensì di un’isola delle Bahamas che venne battezzata San Salvador. Lo sbarco di Colombo
segnò una svolta epocale, che consentì all’Europa di colonizzare immensi territori e di avviarne lo
sfruttamento economico, impadronendosi di immense ricchezze. Per un decennio il continente
continuò ad essere ritenuto una propaggine delle Indie, e furono solo le successive esplorazioni del
fiorentino Amerigo Vespucci, tra 1499 e 1502, a chiarire che si trattava in realtà di un nuovo
continente, da allora denominato America
19. I concili lateranensi:
CONCILIO LATERANENSE I: il concilio fu convocato da papa Callisto II nel 1123, immediatamente
dopo il concordato di Worms, che, era il primo accordo siglato tra Papato e Impero che poneva
fine alla lotta per le investiture e stabilì che la nomina dei vescovi era riservata al papa; i titoli
nobiliari e i benefici feudali erano concessi dall’imperatore, che rinunciava a intervenire
nell’elezione del pontefice (riservata ai cardinali). l fine di avere una solenne conferma del
concordato, e in conformità con i desideri dell'arcivescovo di Magonza, papa Callisto II convocò un
concilio a cui furono invitati tutti i vescovi e gli arcivescovi dell'Occidente.
CONCILIO LATERANENSE II: si occupa di riarare i danni a seguito di un breve scisma cagionato dalle
rivalità tra le famiglie romane, la quale aveva dato luogo alla doppia elezione dei papi Innocenzo II e
Anacleto II avvenuta nel 1130, scisma che terminò solo alla morte del secondo dei due nel 1138. In
questo concilio vennero stabiliti canoni riguardanti la dottrina e l’autorità, i diritti dei vescovi, dei
chierici, dei religiosi, delle chiese tra cui: l’imposizione ai chierici con una moglie o con una
concubina di separarsi da questa e di fare penitenza; a proibizione del matrimonio dopo i voti
solenni di castità; tutela del clero contro le violenze dei laici.
CONCILIO LATERANENSE III: fu convocato da papa Alessandro III a Roma nel marzo 1179, in seguito
alla pace di Venezia tra l'Imperatore Federico Barbarossa e la Lega Lombarda. Furono emanati 27
canoni tra cui: il papa viene eletto esclusivamente dai cardinali con principio di maggioranza e
venne condannato il catarismo.
CONCILIO LATERANSE IV: La povertà poteva essere accettata dalla chiesa come esperienza
individuale, ma non poteva essere istituzionalizzata nelle strutture ecclesiastiche, e soprattutto non
poteva essere accettata, senza uno stretto controllo. Eresia era qualsiasi idea si opponesse alla
dottrina cattolica dei sacramenti e la predicazione svolta senza il permesso ecclesiastico doveva
ritenersi manifestazione ereticale. Nello stesso documento si precisava che era compito dei vescovi
inquisire e condannare i sospettati di eresia, ma del potere laico (il braccio secolare) eseguire le
condanne.
Innocenzo III progettò un nuovo concilio ecumenico, indicendo nel novembre 1215 il IV Concilio
lateranense, e per la prima volta nella storia della chiesa vennero convocati anche rappresentanti
laici: intervennero, oltre a più di mille tra vescovi, arcivescovi e abati, i procuratori dell’imperatore
Federico II, dell’impero bizantino e dei re di Francia, Inghilterra, Ungheria, Gerusalemme, Cipro e
Aragona, oltre a rappresentanti delle città. Il concilio fu uno dei più importanti della storia della
chiesa per il ventaglio delle materie che trattò, anche non relative a questioni religiose, e tra le altre
cose, condannò l’eresia, chiarì la funzione e gli ambiti della predicazione e definì i procedimenti
inquisitoriali. Dette quindi un’organizzazione più omogenea alla vita religiosa. Particolarmente
significative furono anche le decisioni prese in relazione alla confessione e alla comunione, che
obbligarono da allora i fedeli a un colloquio annuale con il proprio sacerdote/parroco e a
comunicarsi almeno una volta l’anno, preferibilmente per Pasqua.

20. I catari:
conosciuti anche come albigesi poiché si trovavano nella città di Albi. Il catarismo si diffuse intorno
alla metà del XII secolo in Germania, Italia e Francia meridionale, dove divenne un movimento di
massa. I catari fondavano la loro visione religiosa sull’esistenza di due principi motori dell’universo,
Dio e Satana, bene e male, e rifiutavano i beni temporali e la materialità come emanazione del
demonio. All’interno della chiesa catara vigeva una distinzione tra “perfetti”, i sacerdoti impegnati a
condurre una vita di assoluta purezza, che amministravano l’unico sacramento riconosciuto dai
catari, il consolamentum, e “credenti”, i fedeli, che partecipavano al culto ed erano collegati ai
perfetti da un patto spirituale. Il catarismo si pose in concorrenza con la chiesa di Roma,
proponendo un modello di vita alternativo, basato modi di vita ispirati alla povertà evangelica, e in
tal modo ne divenne, il più temibile nemico. I catari si caratterizzavano per l’adesione al modello
apostolico, per il disprezzo dei beni del mondo, per il rifiuto della materia e delle sue forme di
riproduzione, a partire dal rapporto carnale. il movimento fu condannato come eretico. Fu proprio
per contenere l'estendersi del fenomeno cataro che Domenico di Guzmán concepì un nuovo modo
di predicazione: per combattere i Càtari bisognava usare i loro stessi principi, vale a dire, oltre alla
predicazione, operare in povertà, umiltà e carità. Questa nuova formula portò Domenico, dieci anni
più tardi, alla fondazione dell'ordine domenicano. Innocenzo III inviò, nel 1203, dei legati pontifici,
con il compito di combattere l'eresia. L'uccisione nel 1208 del legato papale Pietro di Castelnau, di
cui furono incolpati i Catari, fu la scintilla che scatenò la crociata contro gli albigesi. che doveva
limitarsi ad una rappresaglia contro i nemici della Chiesa ma assunse la forma di un vero e
proprio genocidio, terminò nel 1229 con la sconfitta del Sud.

21. Città alto medioevo; città alto medioevo crisi e continuità:


La prima età medievale fu indubbiamente molto più povera dell’età precedente, la stessa
popolazione europea fu molto meno numerosa. I contadini non modificarono i loro modi di
sussistenza o le loro tecniche produttive, e la ricchezza si basava sulla terra e sui suoi prodotti sia
prima che dopo la crisi dell’impero. La scena è dominata da tre principali posizioni storiografiche: la
prima è quelle che sottolinea la crisi maturata durante il periodo delle invasioni, dopo il quale
l’economia dovette più o meno ricominciare da zero; la seconda è quella che propone una
continuità fra economia tardoantica e altomedievale; la terza propone una continuità fino a tutto il
VI secolo, interrotta solo dalla conquista araba del Mediterraneo nel VII secolo.
L’impero tardoromano era una struttura economica complessa, fondata su una base agricola
semplice: ruotava attorno a una rete di circa 2.000 città, teoricamente autonome, alle quali era
affidata la responsabilità di riscuotere le tasse. La base economica fondamentale delle città
derivava dall’ospitare le residenze principali dei proprietari terrieri. le città occupavano spazi
impressionanti: ciascuna era costruita attorno ad edifici pubblici ovunque presenti e costruiti
secondo uno stile pressoché identico, con i templi e gli edifici amministrativi attorno a un foro, un
teatro e un anfiteatro e le terme. Il governo centrale manteneva un sistema fiscale pesante, basato
soprattutto sulla tassazione della terra, per poter mantenere l’esercito, per finanziare il grande
apparato dell’amministrazione civile e nutrire le due capitali dell’impero, Roma e Costantinopoli.
Le invasioni germaniche produssero una crisi innanzitutto fiscale, che poi ebbe conseguenze fatali
pure sull’intera economia tardoantica, soprattutto perchè ruppero l’unità mediterranea, ma anche
perché le regioni occupate dai barbari smisero di versare le tasse, e quindi gli eserciti dovettero
essere mantenuti da una popolazione sempre più ristretta. Tale crisi si ripercosse su tutti i processi
economici che dipendevano dalla coesione dello stato, e anche il commercio andò declinando fino
a un’interruzione quasi totale degli scambi a lunga distanza che era sempre dipeso fortemente dallo
stato. Per effetto di tale crisi e dell’impatto delle migrazioni barbariche sull’Europa occidentale si
ebbe un forte immiserimento delle condizioni di vita della popolazione. Guerre, razzie, saccheggi,
accompagnati da carestie ed epidemie frequenti… Molte città una volta fiorenti si spopolarono, fino
talora a scomparire del tutto, altre subirono un calo demografico vistoso, fino a che il titolo di
civitas rimase per il solo fatto che essi continuarono a essere sedi episcopali. Il forte declino
demografico del primo medioevo e la depressione demica che ne era seguita ebbero cause diverse:
le guerre; le carestie e le epidemie; gli elevati tassi di mortalità e le basse aspettative di vita. La
conseguenza della crisi economica determinò dappertutto un incontenibile avanzamento delle
terre incolte; il bosco divenne allora una risorsa prima per la sussistenza delle popolazioni, che lo
utilizzarono per l’allevamento, la caccia e il legname.
22. Come nasce il comune e il ruolo del vescovo e il comune consolare.
Dall’urbanesimo antico la città del medioevo ereditò una funzione di centralità: vi facevano capo le
attività di difesa, di culto, di mercato e di gestione politica, anche dopo il declino seguito alle
invasioni germaniche. Alla conservazione di questa nozione dei poli urbani come luoghi della
politica contribuì in modo determinante la presenza vescovile, che favorì, anche in quei secoli di
decadenza, un esprimersi della vita civile in forme nuove. Emerse intorno all’istituzione vescovile
uno strato di cittadini colti ed eminenti. Fin dal VI secolo le prerogative vescovili si ampliarono dal
campo dell’assistenza e della tutela a funzioni civili pertinenti alla dimensione pubblica, per cui
sempre più i vescovi furono percepiti come episcopi civitatum, in quanto ne rappresentavano
l’anima civile, favorendo di conseguenza lo sconfinamento della tutela vescovile dalle originarie
funzioni di cura pastorale. Quando, a partire dal X secolo, gli ufficiali regi non furono più nominati,
alla chiesa vescovile cittadina toccò l’integrale esercizio dei poteri di natura pubblica sulle città e nel
contado. La fase matura del regime vescovile nelle città giunse a svilupparsi nel secolo XI, e coincise
dunque con il rilancio economico e demografico dell’Occidente che alimentò un nuovo
protagonismo dei centri urbani.
L’Italia centro-settentrionale fu l’area in cui la transizione fra città vescovile e città comunale si
svolse con maggiore linearità, tra la fine del secolo XI e l’inizio del secolo successivo. Il passaggio si
ritiene normalmente compiuto quando troviamo insediata al governo della collettività cittadina una
magistratura permanente, pur se di solito rinnovata annualmente. I percorsi verso l’autogoverno e
l’emancipazione dai poteri del vescovo furono differenziati da città a città. L’atto formale dai più
ritenuto all’origine del comune, la coniuratio, un giuramento stretto fra i maggiorenti cittadini che
sanciva la costituzione di un’associazione di pace e di autogoverno. Quella dei consoli fu in principio
una magistratura collegiale provvisoria, sorta per risolvere questioni pratiche, nate dalla
contingenza della vita quotidiana. Con il tempo si fece più stabile, oscurando l’influenza e il
prestigio politico del vescovo, e rimanendo in funzione per mantenere quella pace interna che era
indispensabile per garantire il benessere cittadino. I consoli dovevano coordinare l’azione
comunale, redigere una specie di memoriale e spettava a loro la decisione sulle questioni di
maggior peso, sotto lo stretto controllo del consiglio. per funzionare adeguatamente fu sostituito
dai consigli, maggiore e minore, quello maggiore si occupava delle questioni meno rilevanti e
quello minore, formato da meno persone, si occupava delle questioni più importanti.
Esempio di Milano per come nacque il comune: il processo fu innescato dal conflitto tra capitanei (i
grandi vassalli della chiesa arcivescovile) e i vassalli di questi ultimi, i valvassores. Nell’ XI secolo i
valvassores rivendicarono l’ereditarietà dei loro benefici, e intervenne l’imperatore Corrado II che
(voleva indebolire la grande aristocrazia), emanò, nel 1037, la Constitutio de feudis, con cui si
riconosceva nel regno italico l’ereditarietà dei benefici minori. Si accese la lotta tra i milites e il
populus. I primi ebbero la peggio, furono costretti a lasciare la città, e vi rientrarono nel 1044, non
appena si diedero le condizioni per sottoscrivere un accordo tra le parti; dalla pacificazione scaturì
un riconoscimento di fatto del populus e della sua capacità di farsi portatore di un autonomo
progetto di governo. Fu in tale contesto che maturò quella associazione giurata fra alcune famiglie
eminenti che fu all’origine, fra il 1097 e il 1117, dell’ordinamento comunale milanese.
Poi ci sono i comuni podestarili, al cui vertice si trovava il podestà che aveva il compito di
amministrare la città. Restava in carica un anno. Questo tipo di comune non si limita solo ad una
cerchia ristretta come per i comuni consolari.
Infine i comuni signorili, in cui non c’era più una democratica forma di governo come prima, infatti
al suo governo si trovava una persona che aveva preso il potere e non lo aveva più lasciato,
amministrandolo senza dover rendere conto a nessuno. La signoria si trasformerà in principato,
cioè i comuni diverranno dei piccoli stati con a capo il signore, io quale trasmetteva
ereditariamente il suo potere.
23. Espansione Ottomana e conquista di Costantinopoli:
L’Egitto nel 1250 vi si installarono i mamelucchi, in origine schiavi di etnia turca. L’avanzata
mongola aveva frantumato l’Anatolia in una serie di piccoli emirati, e da uno di questi prese avvio
l’affermazione degli ottomani, una piccola tribù turca che cominciò a espandersi in tutta l’Asia
Minore, sino a raggiungere lo stesso Mediterraneo, sotto la guida del fondatore della dinastia,
l’emiro Osman I. Si insediarono nella penisola europea di Gallipoli, da dove Murad I guidò la
conquista della Tracia, ponendo la capitale ad Adrianopoli nel 1365. Proseguirono quindi la loro
espansione nei Balcani. L’espansione ottomana proseguì poi verso la Macedonia, la Bulgaria e la
Valacchia. Per soccorrere Costantinopoli, ormai stretta in una morsa, fu guidata una spedizione dal
re d’Ungheria Sigismondo, nella quale parteciparono francesi, veneziani e genovesi. L’esercito dei
cavalieri occidentali fu però sconfitto a Nicopoli nel 1396. Nel 1421 il sultano Murad II, riprese la
spinta offensiva verso l’Asia, il Mar Nero, i Balcani e il Mediterraneo. Di fronte alla minaccia gli
imperatori bizantini chiesero invano aiuto all’Europa, che inviò un esercito crociato guidato dal re di
Polonia e di Ungheria ma fu sconfitto. Fu così che nel 1451 Maometto II, detto il Conquistatore,
cinse d’assedio Costantinopoli, che cadde il 29 maggio 1453 e fu saccheggiata per giorni. Dopo il
saccheggio, il volto della città mutò completamente: venne costruito un bazar e le chiese furono
trasformate in moschee. Il nome della città fu modificato, da Costantinopoli a Istanbul.

24. Monarchie nazionali:


Nell’Europa dei secoli XI e XII si affermò l’esigenza di rapporti e strutture politiche più stabili e ciò
diede luogo a processi di ricomposizione politica e territoriale, da cui emersero gli ordinamenti
monarchici. Il processo di costruzione di questi poteri sovrani è iniziato in Francia, Inghilterra e nel
Mezzogiorno d’Italia.
FRANCIA: Nell’XI secolo la situazione politica della Francia attuale era caratterizzata da
un’accentuata frammentazione del potere. Negli insediamenti franchi, l’Île de France, esercitava il
proprio dominio la famiglia dei Capetingi che aveva assunto nel 987 la corona della dinastia di Carlo
Magno. ad accrescere la forza e il prestigio della corona furono nel XII secolo i re Luigi VI e Luigi VII,
che si assunsero il compito di protettori delle chiese e di garanti delle paci di mercato,
guadagnandosi il sostegno della gerarchia vescovile. ripresero a richiedere a duchi e conti la
prestazione dell’omaggio che garantì loro il riconoscimento di una superiorità feudale. A
sottolineare la sacralità della funzione regia, si diffuse la credenza del potere guaritore del re, e
contribuì così ad accrescere il prestigio e il potere della dinastia regia. il passo decisivo per
l’affermazione dell’autorità regia fu compiuto da Filippo Augusto con l’acquisizione dell’immensa
area territoriale allora controllata in Francia dai Plantageneti, i quali, dalla metà del XII secolo,
avevano esteso la loro autorità su un dominio vastissimo, esteso sulle due coste della Manica, e
titolari della sovranità non solo sul regno d’Inghilterra, ma anche su vaste regioni della Francia
occidentale, tra cui la Normandia e la Bretagna. Allora Filippo Augusto confiscò i domini di Giovanni
in Francia, e alla sentenza seguì una rapida campagna militare in Normandia e in Bretagna, che nel
1204 consentì a Filippo di impossessarsi di una delle maggiori risorse del re inglese. I discendenti di
Filippo Augusto riuscirono ad ampliare ulteriormente i confini del regno, acquisendo, sotto i regni di
Luigi VIII e Luigi IX. L’estensione dei domini territoriali e il loro raggruppamento in balivati consentì
ai sovrani di affermare un sistema di inchieste generalizzate, destinate a stabilire con sicurezza i
diritti regi sia in campo feudale, sia in quello patrimoniale e signorile. i compiti giudiziari vennero
assunti da un organo detto Parliament, che funzionava da corte di primo grado per la giustizia
riservata al re e da corte di appello per le sentenze degli altri tribunali. Luigi IX estese a tutti i
vassalli l’obbligo di fedeltà al sovrano, trasformando la superiorità feudale sui signori in vera e
propria sovranità sull’intera società del regno.
INGHILTERRA: Le vicende del regno di Francia furono intrecciate con quelle del regno d’Inghilterra,
e l’origine di questo intreccio va ricercata nella conquista del regno inglese da parte del duca di
Normandia, Guglielmo. Guglielmo, indicato sin dal 1051 erede al trono inglese da parte del cugino,
Edoardo il Confessore, alla sua morte, nel 1066, si oppose all’incoronazione di Aroldo del Wessex.
Attraversata la Manica, sbarcò sull’isola con un imponente esercito che gli assicurò una vittoria, per
cui nel Natale dello stesso anno Guglielmo fu consacrato re d’Inghilterra. Guglielmo mantenne la
preesistente suddivisione amministrativa del regno in una trentina di contee e in gruppi di villaggi
posti sotto il comando di uno sceriffo. Avviò nel 1086, un censimento dei manors e di tutte le altre
proprietà fondiarie, il Domesday Book, con l’indicazione dell’estensione, del numero degli abitanti,
dei vassalli regi che le detenevano e dei diritti e doveri connessi a ciascun feudo. stimolò anche la
strutturazione di una domus regia, riservata proprio alla cura del patrimonio regio e dei suoi redditi.
Tale organizzazione di governo fu modificata dal re Enrico I, il quale riorganizzò sia
l’amministrazione del patrimonio e delle entrate regie, sia quella della giustizia. La riforma della
giustizia le riservò regia le cause più rilevanti. L’organizzazione del regno inglese conobbe un
consolidamento con il re Enrico II Plantageneto con l’emanazione, nel 1164-1166, delle Assise di
Clarendon, che definivano l’ambito della potestà giudiziaria del sovrano, Che assorbì materie
tradizionalmente appartenenti alla sfera della giustizia feudale, signorile o ecclesiastica. Le assise
colpirono soprattutto l’autonomia della chiesa, mettendo in discussione la tradizionale immunità
giurisdizionale del clero, per cui ne derivò un conflitto durissimo, relativo anche al controllo
dell’elezione dei vescovi e degli abati, con il papa Alessandro III, il re fu poi costretto ad abolire le
disposizioni più sfavorevoli alla chiesa. I ripetuti interventi regi nel campo della fiscalità, sempre più
pesanti in conseguenza dei continui impegni militari, crearono crescenti malumori. La tensione fra
monarchia e grandi vassalli giunse al suo culmine negli anni di regno di Giovanni Senzaterra, il
quale, per rispondere all’offensiva di Filippo Augusto finì per rinunciare ai possedimenti della
corona inglese in terra francese (nella sconfitta di Bouvines 1214). Per regolare i rapporti fra re e
vassalli, fu emanata nel 1215 la Magna Charta libertatum, in cui Giovanni dovette riconoscere i
diritti tradizionali dell’aristocrazia, le libertà e i privilegi della chiesa e dei comuni. La Charta
imponeva al re il consenso di un consiglio di 25 baroni per imporre tasse straordinarie o nuove
gabelle. La Charta è stata considerata a ragione l’atto di nascita delle istituzioni di tipo
parlamentare.
SICILIA: L’Italia meridionale tra X e XI secolo era contrassegnata da una forte frammentazione
politica. La Sicilia era da più di un secolo in mano agli arabi. La situazione mutò grazie all’iniziativa di
Roberto il Guiscardo, il quale coordinò l’azione militare contro l’offensiva di papa Leone IX, deciso a
fermare la dilagante avanzata normanna. Roberto sconfisse nel 1053 a Civitate l’esercito pontificio,
facendo prigioniero lo stesso papa. Nel 1059, papa Nicolò II stipulò a Melfi un accordo in base al
quale, in cambio di un giuramento di fedeltà, Roberto venne elevato a duca di Puglia, Calabria e
Sicilia, ossia di terre in parte già nelle mani dei normanni, in parte ancora da conquistare. Gli
accordi di Melfi rappresentarono per i normanni il riconoscimento e la legittimazione della loro
supremazia nel Mezzogiorno d’Italia. il fratello, Ruggero avviava nel 1061 la conquista della Sicilia,
completata nel 1091. Una volta conquistata l’isola, Ruggero, che assunse il controllo diretto della
maggior parte dei territori occupati. Il suo successore, Ruggero II nel 1127 egli riuscì a raccogliere
l’eredità dell’ultimo duca di Calabria e Puglia, e nel 1130, approfittando di uno scisma apertosi
all’interno della chiesa Romana, riuscì ad ottenere dall’antipapa Anacleto il titolo di re di Sicilia, di
Calabria e delle Puglie e a farsi ungere e incoronare re a Palermo. Divenuto re, Ruggero II si dedicò
alla riorganizzazione del regno: la monarchia si dotò di strumenti di intervento diretto, rafforzò gli
uffici centrali e impiegò appositi funzionari periferici, per controllare le realtà locali, riscuotere le
imposte e amministrare la giustizia.
Dopo la sua morte i grandi vassalli regi si ribellarono, rivendicando maggiori spazi di autonomia. E
toccò al successore, Guglielmo I, reprimere tali insurrezioni. Oltre ad allontanare definitivamente il
pericolo di un ritorno dei bizantini nella penisola, con la stipula nel 1158 di una pace trentennale
con l’impero d’Oriente, Guglielmo ottenne di stringere una solida alleanza con il papato. Il
matrimonio tra Costanza d’Altavilla, zia di Guglielmo, ed Enrico, erede designato dell’imperatore
svevo, preparò la strada ad un cambiamento dinastico. Nel 1197 Enrico morì prematuramente,
lasciando il regno nelle mani del figlio Federico II. L’iniziativa politica e legislativa di Federico mirò
sin da subito a ristabilire le condizioni che avevano caratterizzato il regno sotto i re normanni: lo si
vide chiaramente sin dalla promulgazione a Melfi, nel 1231, del Liber Augustalis (o Costituzioni di
Melfi), finalizzato al recupero del complesso di diritti e patrimoni della corona. l’ambito giudiziario
venne interamente fatto ricadere sotto l’autorità del re. Dopo la morte di Federico maturò, tra
1265 e 1268, il traumatico cambio dinastico sollecitato dal papa con l’investitura di Carlo d’Angiò
nel regno siciliano, il quale proveniva da un regno francese. il malcontento generato nel ceto
aristocratico dalla vasta attribuzione di terre alla nuova feudalità francese e lo spostamento della
capitale da Palermo a Napoli scatenarono a Palermo, il lunedì di Pasqua del 1282, una rivolta
popolare conosciuta come rivolta del Vespro, che in breve si propagò per tutta l’isola. il conflitto si
chiuse definitivamente nel 1302 con la pace di Caltabellotta che assegnava la Sicilia a Federico III.
25. Giustizieri:
Nel Regno d'Inghilterra, le riforme introdotte da Guglielmo il Conquistatore per l'amministrazione
della giustizia prevedevano che essa dipendesse direttamente dal sovrano attraverso il sistema
delle curie. In particolare, istituì la figura del giustiziere, ovvero un giudice itinerante, che aveva il
compito di amministrare, spostandosi in una determinata provincia che di volta in volta, a seconda
delle esigenze della corona, gli veniva affidata. giustizieri erranti dipendevano da una curia
suprema di nomina regia, che aveva sede direttamente a corte, e che era composta dai giustizieri
del Banco e dal giustiziere capitale. Il gran giustiziere aveva sede a Westminster ed era scelto dal
monarca fra le personalità più influenti del regno.
Anche nel regno di Sicilia fu adottata la figura del giustiziere, in sostituzione a quella del magistrato.
Vi erano due figure, i giustizieri e i camerari. il primo a ricoprire la funzione di "giustiziere di
Palermo" fu lo stesso Re Ruggero. Nell'amministrazione della giustizia, ai giustizieri competeva il
secondo grado di giudizio sia in ambito penale che civile, e, per le aree ove erano assenti i
magistrati locali deputati alle cause penali, anche il primo grado in ambito penale. Il primo grado
della giustizia penale era, comunque, affidato ai giustizieri anche per la più alta giurisdizione
criminale, ovvero tutti i reati più gravi in cui Ruggero aveva anche incluso la violenza contro le
donne. I giustizieri aveva facoltà di porre fine alle cause di primo grado che si protraevano per oltre
due mesi, a meno che non avesse ritenuto opportuno per esse un tempo maggiore.

26. Chi ha coniato termine medioevo (cosa si intende e come facciamo a definire questo periodo
storico).
Fu solo a partire dalla prima età moderna che gli intellettuali umanisti cominciarono ad utilizzare
termini e definizioni quali media aetas, media tempora, media tempestas. Essi proiettarono
un’immagine “buia” ai secoli dalla caduta dell’impero romano fino almeno a tutto il Trecento.
Seconde invasioni barbariche VIII/X secolo saraceni/normanni/ungari. In pieno Seicento si coniugò
il termine che oggi comunemente adoperiamo, ossia medium aevum. Il primo storico del medioevo
può essere considerato proprio un umanista, Flavio Biondo, che raccontò le vicende storiche del
mondo occidentale grosso modo dalla caduta dell’impero romano d’occidente sino agli anni ’40 del
Quattrocento. I limiti cronologici di questo periodo sono: il 476, ossia l’anno della deposizione
dell’ultimo imperatore romano d’Occidente, cui si associa la caduta dell’impero, e il 1492, l’anno
della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo. La storiografia italiana preferisce
riconoscere l’inizio del medioevo con l’arrivo dei Longo bardi nel 568-69. Soprattutto la data di
chiusura del lungo medioevo non è da tutti comunemente accettata: in Inghilterra si preferisce fare
riferimento al 1485, anno di avvento sul trono della dinastia Tudor, in Francia, al 1453, anno della
fine della guerra dei Cent’anni, o al 1494, anno d’inizio delle grandi conquiste, anche in suolo
italiano, di Carlo VIII, in Spagna al 1492, anno della conquista dell’emirato musulmano di Granada,
in Germania al 1517-1519, triennio coincidente con l’inizio della controriforma. Ma l’inizio di questo
lungo millennio non può essere fissato in un anno, non fu in un anno che l’impero si dissolse e fu
spazzato via dall’irruzione violenta dei popoli barbari, ma va ricercata tra IV e VII secolo; vale lo
stesso per la fine del medioevo, tra i XIV e il XV.
Il concetto di medioevo nacque, per opera degli umanisti, con una connotazione negativa, ma
questa connotazione cambiò molte volte nel corso dei secoli: gli fu data una connotazione positiva
dopo la revisione da parte dello storiografo modenese Ludovico Alfonso Muratori; Il giudizio tornò
a farsi negativo con l’Illuminismo, che attribuiva al medioevo qualunque bruttura e orrore
precedente la Rivoluzione francese; Valutazione di nuovo ribaltata nell’Ottocento della
Restaurazione, del Romanticismo e della scoperta delle identità nazionali, propenso ad una rilettura
positiva di quegli stessi aspetti che l’Illuminismo condannava.
Fu in Germania che si realizzò la maggiore impresa di edizione delle fonti medievali, Si tratta delle
collane dei Monumenta Germaniae Historica, che posero al centro della propria attività l’edizione
sistematica delle fonti riguardanti le popolazioni germaniche insediatesi in Europa e poi organizzate
nel sacro romano impero fondato da Carlo Magno. Le fonti medievali furono suddivise in tre grandi
classi: la collana degli Scriptores contenente le narrazioni storiche; le Leges (LL), con le fonti
normative e legislative, e la collana dei Diplomata (DD), comprendente le fonti documentarie. Fu il
romanticismo a recuperare un’immagine positiva di quel lungo millennio. La successiva età del
positivismo, con il suo rigore scientifico corresse le istanze romantiche, impedendo lo sviluppo di
costruzioni fantasiose.
Una spinta alla rivalutazione piena del medioevo fu data, in Italia, dai processi di costruzione
dell’unità nazionale (1861- 1866) durante il Risorgimento. Poiché si ricercava un’unità non solo
politica ma anche identitaria.
Fu uno storico svizzero a produrre la prima grande sintesi di storia delle città comunali italiane nel
medioevo: la Storia delle Repubbliche italiane nel Medioevo (1808-1818) di Jean-Charles-Leonard
Simonde de Sismondi. L’opera contribuì a fissare alcuni parametri di giudizio poi riproposti
costantemente nella valutazione del medioevo italiano e della storia d’Italia in generale: la rinascita
delle città come strettamente correlata allo sviluppo dei commerci e dell’economia, il parallelismo
tra slancio e liberazione dell’economia e sviluppo delle libertà civiche, il declino di tali libertà con
l’avvento delle tirannie signorili, prima, e poi soprattutto dei domini stranieri.
Se il medioevo continua ad essere pervaso da una immagine buia, questo lo si deve al giudizio
negativo che ne hanno dato gli uomini del Rinascimento. i due secoli finali del medioevo sono stati
molto importanti nel determinare una tale immagine, che poi si è consolidata. Gli uomini della
prima età moderna conoscevano quel medioevo e su quell’immagine – di crisi, malessere e
decadenza – rilessero anche i secoli precedenti. Ma i secoli finali del medioevo furono anche
decenni di profonde ricomposizioni politiche, con la genesi degli stati nazionali in Francia,
Inghilterra e Spagna e degli stati regionali in Germania e in Italia.
Si identificano all’interno del millennio medievale per convenzione, alcuni blocchi di
secoli, dotati di una loro propria coerenza interna:
- l’Alto medioevo: secoli iniziali del millennio, dal V fino al X. Sono i secoli in cui la popolazione
prima diminuì e poi ristagnò; in cui i popoli germanici, dopo la fase migratoria, conobbero processi
di sedentarizzazione e di fissazione stabile nei nuovi territori occupati, mescolandosi con le
popolazioni autoctone; in cui si propagò il cristianesimo sino all’affermazione progressiva della
chiesa come istituzione. Al suo interno viene individuata una fase iniziale, definita Tardo antico,
comprendente i secoli IV-VI, in cui vennero dissolvendosi i tratti caratteristici del mondo romano.
- il Pieno medioevo i secoli centrali del millennio, i secoli dal IX all’XI. È l’età della
crescita demografica, dello sviluppo urbano e di una rinascita culturale ed economica.
- il Basso medioevo i secoli più tardi, dall’XI-XII a tutto il XV secolo. Sono i secoli che
vedono il passaggio dall’esplosione demografica alla recessione e alla crisi. All’interno di tale
periodo si distingue un tardo medioevo, coincidente con i suoi secoli finali, secoli di profonde
trasformazioni ma anche di ricomposizioni, sino alla genesi degli stati europei di età moderna.
Questa periodizzazione varia di cultura in cultura.
27. Rinascita anno 1000, dimensione agraria e innovazioni tecnologiche:
Dal secolo X agli inizi del Trecento, il paesaggio e la vita materiale dell’Europa medievale furono
profondamente trasformati dagli effetti di una crescita demografica ed economica senza
precedenti. si passò dai 23 milioni ai circa 70 milioni del 1350. Tutto ciò grazie ad un clima più mite,
alla fine delle invasioni, al consolidamento del sistema feudale e ai cambiamenti nello statuto
giuridico della popolazione agricola. I servi che prima lavoravano alle dirette dipendenze dei
proprietari vennero lasciati liberi di coltivare piccoli poderi in situazioni di autonomia, purché
pagassero un canone d’affitto. Molti individui passarono dall’essere nullatenenti a possedere una
casa, una terra ed una moglie. Era un cambiamento epocale, che incise anche sulla natalità. Si avviò
dovunque un processo di allargamento delle aree già coltivate. Ad essere ampliati furono in
particolare gli spazi della cerealicoltura, dalla quale soprattutto dipendeva la sopravvivenza delle
popolazioni, ma nelle regioni mediterranee conobbe una forte affermazione anche la viticoltura.
Miglioramenti significativi, soprattutto nella cerealicoltura, si ottennero grazie all’adozione di nuovi
sistemi di aratura, tramite un aratro più pesante, introduzione dei mulini ad acqua, uso del
bestiame e divenne sempre più importante la rotazione triennale, che aveva permesso una nuova
organizzazione degli spazi e dei sistemi del lavoro agricolo, perché prevedeva che solo un terzo
della terra venisse fatto riposare, mentre gli altri due erano destinati uno ai cereali invernali e uno
ai cereali primaverili. Anche l’incremento demografico, che spingeva verso l’alto i consumi
alimentari, aumentò il volume delle attività di trasformazione, ampliando la domanda di materie
prime industriali e di beni manufatti. Si sviluppò una produzione tessile su più vasta grazie
all’invenzione del telaio orizzontale che aumentò la produttività e portò alla creazione di distretti
industriali. Lo sviluppo dei consumi urbani e delle manifatture tessili favorì l’impianto di colture
specializzate, come la vite o il lino. Il risultato fu una maggiore sensibilità del sistema economico
locale.

28. Incastellamento:
Tra il IX ed il X secolo, l'Europa fu travolta dagli attacchi di tre diverse popolazioni: i saraceni,
ovvero i pirati che, partendo dai porti controllati dagli arabi, compivano scorrerie nelle terre
costiere; i normanni ; e gli ungari. Il potere carolingio del periodo era ormai in piena crisi e i
sovrani si dimostrarono del tutto incapaci di fronteggiare questi nemici. I feudatari, così,
cominciarono a fortificare i propri possedimenti e a organizzare una difesa indipendente.
L’incastellamento non si esaurì con la fine delle incursioni, ma proseguì invece per generazioni,
talora fino al XII e al XIII secolo. con la nascita dei castelli, la popolazione abbandonò i minuscoli
villaggi e le fattorie isolate, concentrandosi in questi nuovi abitati fortificati. l’incastellamento
ebbe l’esito di rafforzare la fisionomia locale del potere, garantendo un controllo più efficace del
territorio e dei suoi abitanti.
29. Le repubbliche marinerie scontro per egemonia:
Venezia si trovò a dover fronteggiare, nella seconda metà del Duecento, una crisi dove le rivali, in
particolare Genova, mal sopportavano l’egemonia della città e rivendicavano maggiori spazi
d’azione. Genova, infatti, già alla fine del XII secolo aveva raggiunto una posizione commerciale di
rilievo nella capitale bizantina, Costantinopoli, in più la IV crociata aveva inferto un duro colpo
all’intraprendenza commerciale genovese, in quanto i veneziani avevano acquisito il diritto di
ammettere o escludere i mercanti di altre nazioni dall’accesso al mercato della capitale imperiale.
Per tale motivo, nel 1256 l’antagonismo tra Venezia e Genova deflagrò in conflitto aperto. La guerra
scoppiò inizialmente ad Acri, in Siria, dove Venezia riportò una vittoria eclatante, obbligando i rivali
a lasciare la città. lo scontro proseguì per Venezia con un rovescio pesantissimo, che la privò della
supremazia commerciale e delle posizioni di privilegio godute a Costantinopoli dopo la costituzione
dell’impero latino. A Genova si spalancarono nuove prospettive commerciali, assicurandole il
controllo del commercio con il Mar Nero e una posizione dominante a Costantinopoli, dove prese il
posto che era stato dei veneziani e fondò colonie di grande importanza. L’imperatore bizantino,
però, spazientito dal potere acquisito da Genova, promulgò la pace con Venezia che riottenne i
precedenti privilegi commerciali, la disponibilità di un quartiere a Costantinopoli e Tessalonica. l
conflitto tra Genova e Venezia si concluse solo nel 1270, con una pace firmata dai contendenti a
Cremona, ma fu temporanea dato che le due potenze marinare erano in scontro per la supremazia
del Mediterraneo. Scoppiò la guerra nel 1293 per il controllo di Laiazzo, città privilegiata per le vie
commerciali con l’oriente. Nel 1298 la flotta veneziana subì una grande sconfitta ma con la pace di
Milano del 1299 non ci furono vincitori. Nel Trecento il confronto fra le due potenze marinare si
mantenne persistente, poiché la posta in palio era davvero alta: erano in gioco la supremazia
marittima mediterranea e il controllo delle rotte più calde del commercio internazionale. Venezia
acquisì una supremazia evidente nelle piazze egiziane, mentre Genova segnò un netto predominio
nel Mediterraneo occidentale e nei traffici atlantici con le Fiandre e l’Inghilterra.
Prima di affermare la propria egemonia nel Tirreno e nel Mediterraneo occidentale, Genova aveva
dovuto affrontare la rivalità di Pisa. Solo nel 1284, con la vittoria conseguita nella battaglia della
Meloria, Genova ebbe la meglio. Genova e Pisa si erano trovate in contrasto anche per
l’affermazione di un proprio dominio in Sardegna e in Corsica. Nel XIII secolo le ostilità furono
frequenti, anche nel Mediterraneo orientale, in particolare a Costantinopoli. molto aspra era stata
anche la concorrenza tra le due rivali per il controllo dei traffici verso la Sicilia. . Per tutto il Trecento
Pisa, come piazza commerciale, e la nascente Livorno, come porto, rimasero tra i più importanti
nodi dei traffici mediterranei. Sin dai primi decenni del Trecento le relazioni tra Pisa e Genova
tornarono ad essere buone.
30. Il secolo delle crisi (rivolte ed epidemia) 1300:
Il Trecento è da sempre stato connotato come secolo di crisi: la crescita demografica incrementò a
dismisura e le risorse alimentari calarono. A causa di carenze strutturali l’agricoltura non riuscì a
incrementare ulteriormente la produzione cerealicola per sfamare una popolazione sempre più
numerosa. Già alla fine del Duecento la curva demografica cominciò a calare. Una prima serie di
pesanti carestie colpì l’Europa, tali carestie si accompagnarono al diffondersi di malattie infettive e
a vere e proprie epidemie.
Nel 1348 si abbatté sull’Europa una gigantesca epidemia nota come “peste nera” proveniente
dall’Asia. Si trattò all’origine di una peste bubbonica, trasmessa all’uomo dalle pulci dei ratti neri;
comparvero poi anche le forme polmonari e setticemiche e arrivò in Italia nell’autunno del 1347
sulle navi genovesi provenienti dal Mar Nero. La popolazione subì una discesa graduale, a scalini,
raggiungendo il punto più basso solo nei primi decenni del Quattrocento. La peste rimase da allora
endemica, colpendo l’Italia e l’Europa con successive ondate di contagio. Nel Nord Europa la peste
arrivò più tardi e durò più a lungo, tra il 1349 e il 1350, ma con una virulenza inferiore, e il recupero
fu più veloce, sia per crescita naturale che per l’immigrazione. Le condizioni igienico-sanitarie,
ovunque carenti, e il modesto livello della cultura medica del tempo non consentirono di arginare
in alcun modo il dilagare della malattia. Vi furono diverse epidemie, quella del 1360-1362 colpì
bambini e adolescenti, per il fatto che molti degli adulti avevano sviluppato adeguate risposte
immunitarie.
Una delle conseguenze più dirette e immediate della forte diminuzione degli uomini fu il sostenuto
aumento dei salari, di cui beneficiò sia la manodopera urbana che quella rurale, con forti
incrementi. Nelle campagne la crisi demografica ebbe come conseguenza, oltre al calo della
manodopera e all’aumento dei salari, il fenomeno dell’abbandono dei terreni marginali e degli
appezzamenti di minore produttività, con conseguente spopolamento di interi villaggi e ciò permise
una maggiore produttività del lavoro agricolo e una maggiore resa nelle colture cerealicole. crebbe
il prezzo degli alimenti, e crebbero nel contempo i salari reali, e dunque il potere di acquisto delle
fasce anche più deboli. Ma questo miglioramento delle condizioni di vita dei contadini durò poco.
L’inasprimento della pressione signorile sui sottoposti e la voluta dai proprietari terrieri a tutela
della rendita fondiaria pose fine a tutto ciò e spinse all’indebitamento e all’emarginazione di molti
contadini. Il loro malcontento si trasformò in rivolta. Improvvisa e violenta fu la rivolta dei contadini
scoppiata nel nord della Francia nel 1358, nota come jacquerie. I ribelli furono appoggiati dalla
borghesia parigina che vide nella sommossa la possibilità di ridurre, a proprio vantaggio, il potere
politico dei nobili e di cancellarne i privilegi. Ma la ribellione fu prontamente domata dalla nobiltà,
incendiando villaggi e sterminando non meno di 20.000 persone.
Oltre alle campagne, anche le città furono segnate da acuite difficoltà del quadro economico e
agitate da fermenti. Crebbe il malcontento fra i salariati, oggetto di uno sfruttamento sempre più
pesante, e l’insoddisfazione dei piccoli artigiani. la rivolta urbana dalle maggiori implicazioni sul
piano politico, economico e sociale fu quella scoppiata a Firenze nel 1378 e conosciuta come
“tumulto dei ciompi”. I ciompi, ossia i più umili lavoratori della produzione laniera, insorsero
nell’estate del 1378, per reclamare maggiori diritti politici e ottenere un miglioramento delle
proprie condizioni economiche. Anche grazie all’alleanza con gli artigiani più poveri, i ciompi
conseguirono inizialmente alcuni degli obiettivi della rivolta. Le città europee furono funestate
anche da persecuzioni e massacri contro i gruppi marginali, in particolare gli ebrei, spesso accusati
della diffusione della peste, attraverso rituali macabri di avvelenamento dei pozzi. Uno dei più
sanguinosi pogrom si ebbe a Strasburgo nel 1349: nell’occasione scomparivano forse 2.000
persone, accusate e arse vive.

31. Bonifacio VIII:


nel 1300 per risollevare l’immagine della chiesa, Bonifacio indisse il primo “anno santo” o giubileo,
accordando perdono dei peccati, a quanti si fossero recati a Roma per pregare, dopo essersi
comunicati, sulle tombe degli apostoli. Il successo fu enorme ma il consenso ottenuto non aiutò il
papa a recuperare il ruolo di supremazia politica cui ambiva, perché Filippo il Bello (che aveva
precedentemente cancellato l’immunità dalle imposizioni regie di cui godeva la chiesa), questi fece
arrestare il vescovo di Pamiers, Bernardo Saisset, fedelissimo di Bonifacio, e convocò nel 1302 per
la prima volta gli Stati generali (l’assemblea dei rappresentanti della nobiltà, del clero e della
borghesia), facendo proclamare dagli stessi che le prerogative regie discendevano direttamente da
Dio, senza alcuna mediazione pontificia. La risposta di Bonifacio VIII fu l’emanazione nello stesso
anno della bolla Unam sanctam, con la quale ribadiva che il potere del papa era superiore a quello
di ogni sovrano. Allora Filippo decise di istruire un processo contro il papa davanti a un tribunale
francese, chiamandolo a rispondere al reato di usurpazione della cattedra di Pietro e all’accusa di
aver subornato Celestino V, averlo convinto ad abdicare e averne poi provocato la morte (Celestino
era il papa precedente). Al fine di catturare il pontefice, il re francese inviò in Italia, alla testa di un
drappello di armati, uno dei suoi più stretti collaboratori, Guglielmo di Nogaret, che raggiunse
Bonifacio ad Anagni, dove in quei mesi risiedeva con la sua curia, ma fu soccorso e liberato dagli
abitanti e non fu portato in Francia. Tuttavia, mortificato dall’affronto subito, venne a morte di lì a
poco.
32. Ordini mendicanti:(benedettini e francescani)
gli ordini mendicanti imponevano ai propri membri la rinuncia ai beni terreni e traevano il loro
sostentamento quasi esclusivamente dalle offerte dei fedeli. Bisognava che la chiesa recuperasse le
funzioni pastorali che le erano state espropriate dai movimenti religiosi laici, ed era necessario dar
vita a un nuovo tipo di clero. Nacque così, nei primi anni del Duecento, l’ordine dei predicatori
fondato da Domenico di Guzmán. Decise di combattere il dissenso religioso; i dedicò alla
predicazione itinerante nel cuore della Provenza; codificò un obbligo di povertà evangelica
vincolante non solo per i singoli frati ma per l’intero ordine, che avrebbe da allora dovuto
sostentarsi con le sole offerte dei fedeli, e dopo aver ottenuto l’approvazione del vescovo di Tolosa,
Folco, si recò a Roma nel 1215, per richiedere al papa, Innocenzo III, l’approvazione dell’ordine.
Negli anni venti del Duecento si definì lo stato di mendicità dell’istituto e la sua organizzazione
territoriale in province. si insediarono nelle maggiori città, Facendosi portavoce di un vasto
impegno di pacificazione civica. Nacquero confraternite di devozione, ossia strutture comunitarie di
assistenza non solo religiosa, ma anche materiale, e di sostegno solidaristico ai propri associati.
Francesco nacque ad Assisi nel 1182, Secondo i biografi egli si sarebbe recato a Roma tra il 1209 e il
1210 per chiedere a Innocenzo III l’approvazione della norma di vita che intendeva condurre con un
piccolo gruppo di compagni, i “minori” che nelle intenzioni di Francesco dovevano essere
sottomessi a tutti. Innocenzo approvò oralmente e concesse loro di predicare la penitenza. Ben
presto la fraternita originaria si trasformò in una grande comunità, che dagli anni 1212-1213, con la
conversione di Chiara, aveva anche un ramo femminile. Ebbe una grande crescita ma ciò creò dei
problemi, tra il 1219 e il 1223 l’ordine attraversò una grave crisi, dovuta sia alle richieste interne di
definizione normativa, sia alle pressioni esterne di una maggiore istituzionalizzazione dell’ordine.
Francesco decise nel 1220 di rinunciare alla carica di maestro generale. Per dare una risposta alle
crescenti inquietudini interne della comunità, nacquero delle regole; la “regola prima” fu approvata
da Innocenzo III e la “regola seconda” da Onorio III. Quest’ultima pur insistendo sui temi
fondamentali della vita evangelica, della povertà e della fedeltà alla chiesa, banalizzava alcuni dei
contenuti più autentici dell’esperienza di Francesco. Francesco si ritirò alla Verna, dove nel 1224
ricevette le stimmate, e rientrato ad Assisi, morì alla Porziuncola nel 1226. Appena due anni dopo,
nel 1228, papa Gregorio IX lo elevò, con la canonizzazione solenne, alla gloria degli altari.

Potrebbero piacerti anche