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Storia Medievale
Università degli Studi di Padova
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espugnata dai turchi. Quindi non si può parlare di fine dell’Impero Romano ma solo di una delle sue parti.
La centralità dell’impero d’oriente era sempre più evidente, Teodosio aveva promulgato un codice di leggi il
Codex Theodosianus all’interno del quale raccoglieva tutti gli editti degli imperatori cristiani, gettando le
basi per la nuova giurisprudenza imperiale. Costantinopoli fu circondata di una nuova cinta muraria: le
mura teodosiane.
L’imperatore firmò una pace con i persiani garantendo un lungo periodo di stabilità alle sue frontiere.
L’impero d’occidente sopravvissi ancora solo per ottant’anni, sotto imperatori sempre più
deboli. Il 5 settembre 476 un generale romano di stirpe barbarica Odoacre, capo delle milizie mercenarie,
depose ed esiliò Romolo Augustolo, innalzato al trono tredicenne dal padre Oreste, capo dei mercenari
germanici, che aveva deposto il legittimo imperatore. Odoacre non volle assumere il titolo di imperatore
d’occidente, ma si limitò a riconsegnare le insegne imperiali all’imperatore d’oriente Zenone,
riconoscendogli la sovranità sull’intero impero. Odoacre si propose come legittimo interlocutore di
Costantinopoli in Italia e fu nominato da Zenone, patrizio dei romani. In Italia si costituì cosi un regno
autonomo, governato da un re non di un territorio ma dei gruppi etnici riuniti sotto la sua guida, che era
stato capo delle truppe barbariche. Per il regno d’Italia il rapporto con l’imperatore d’Oriente era
fondamentale, poiché la popolazione romano- italica accettasse di essere governata da un solo imperatore.
Gli scrittori della Roma imperiale avevano interpretato le cause della decadenza generale dell’impero, nella
perdita delle antiche virtù repubblicane e nella modifica delle istituzioni e delle tradizioni. Gli intellettuali
del medioevo erano più indirizzati sul fatto che dalle ceneri di un impero pagano ne era nato uno cristiano.
A queste cause nell’Ottocento se n’era inserita una terza, secondo gli storici marxisti la causa della caduta
del mondo romano fu la trasformazione del sistema di produzione, da quello schiavista fondato sullo
sfruttamento del lavoro dei prigionieri a quello feudale, basato sul rapporto tra i contadini che lavoravano la
terra e coloro che ne erano proprietari e signori. Oggi il cristianesimo e le barbarie vengono messi in
secondo piano, si punta di più su altri fattori, come l’inadeguatezza della produzione agricola, l’incapacità
di svincolare la produzione artigianale da un sistema rigido controllato dallo stato, gli effetti negativi della
situazione di pericolo dovuta al continuo stato di guerra, infine una forte decadenza economica dovuta alla
pressione fiscale che gravava sui cittadini per sostenere il peso della guerra. Il passaggio dalla tarda
antichità al medioevo inizia con una ruralizzazione crescente delle civiltà e delle economie europee.
Intimoriti dai saccheggi i membri della aristocrazia romana lasciarono la città e si spostarono nelle
campagne, dove successivamente si insediarono anche i nuovi proprietari immigrati di stirpe germanica che
non avevano una tradizione di vita urbana.
acquisiti per diritto di conquista. Quella dei popoli germanici era stata a lungo una patria in movimento, la
loro monarchia non fu territoriale, ma nazionale, rappresentava chi era nato nelle tribù. Tutti i nuovi regni
furono vulnerabili e in qualche caso anche molto piccoli. Alcuni come quello dei burgundi o degli svevi
vennero assimilati dai vicini, altri come quelli dei vandali o degli ostrogoti non lasciarono traccia, crollando
sotto l’offensiva di Bisanzio. Quelli dei visigoti in Spagna e dei franchi furono quelli che procedettero
rapidamente sia all’integrazione con i popoli residenti che alla collaborazione con la chiesa e con esponenti
del mondo intellettuale latino.
- I sette regni anglosassoni in Inghilterra
L’avvio della dominazione degli angli, sassoni e juti in Inghilterra è avvolto nella nebbia. Testimonianze
archeologiche dimostrano che un flusso di popolazione germanica si era diretto verso quella terra, in gran
parte appartenuta all’Impero Romano.
Nel 407 le legioni imperiali aveva ripassato la Manica, abbandonando l’isola, fu solo nella metà del secolo
che angli, sassoni e juti proveniente dalla Germania e dalle coste danesi la occuparono.
L’amministrazione romana scomparve definitivamente e la tradizione dice nacquero tre regni di fondazione
sassone Essex, Sussex e Wessex, tre di fondazione angla Mercia, Anglia orientale e Northumbria e uno di
fondazione juta il Kent. Intorno a questa lontana epoca si svilupparono tantissime leggende e tradizioni che
parlavano soprattutto delle scontro etnico tra gli occupanti e gli occupati. La memoria della resistenza degli
invasori emerse poi nella leggenda di re Artù, condottiero della Britannia romanizzata, uno dei capi
dell’opposizione romano-bretone alla pressione dei sassoni. È stata avanzata anche un’ipotesi che il nome
di Artù sia la deformazione leggendaria di Artorius, un generale romano rimasto sull’isola che per il suo
coraggio e la sua determinazione sarebbe stato chiamato re dagli abitanti.
- La penisola iberica e l’unità politica visigota
I visigoti erano, tra i popoli germanici, i più fedeli alleati di Roma, e furono loro a salvare l’occidente dagli
unni di Attila. Dopo il sacco di Roma avevano ottenuto dall’imperatore Onorio di stanziarsi come federati
in Aquitania, ma avevano dimostrato subito un notevole dinamismo espansivo. In Spagna nel 585
assorbirono il regno degli svevi ed espulsero i vandali verso l’Africa creando un nuovo regno con capitale
Toledo, dove cercarono subito di instaurare una convivenza con la chiesa e con l’elemento romano della
popolazione. I re visigoti applicarono il principio della personalità del diritto, secondo cui ogni etnia veniva
giudicata secondo le proprie leggi, anche se la base giuridica per entrambi i popoli era costituita sulla base
del diritto romano, del cosiddetto codice di Teodosio, che prese il nome di lex romana Visigothorum o
breviarium Alaricianum.
- La Gallia dai visigoti ai franchi
Al momento della caduta dell’impero d’occidente la Gallia era passata sotto il dominio dei popoli
germanici, i visigoti, i burgundi, i franchi, e in un piccolo territorio c’era ancora la dominazione romana.
L’unificazione politica del territorio fu opera dei franchi. Nel V-VI secolo furono loro che con il loro re
Clovedo occuparono la maggior parte della Gallia. Clovedo cacciò i visigoti dalla Spagna e scelse come
capitale del suo regno Parigi. Il re costruì la più solida delle monarchie romano-barbariche e la propose
come sede delle tradizioni romane, proprio per questa aspirazione era necessaria la conversione al
cristianesimo. Clovedo quindi si convertì, coinvolgendo in questa scelta prima l’aristocrazia e poi
lentamente l’intero popolo dai franchi. Il battesimo del re per mano di san Remiglio fu poi narrato da
Gregorio vescovo di Tours, che paragonò Clovedo a un “nuovo Costantino”. L’aspirazione imperiale della
Gallia come avvertita da Gregorio di Tours fu più esplicita quando Teodoberto I dopo aver conquistato il
regno dei burgundi nel 534 si fece ritrarre con la corona e il titolo di Augusto. Non era una pretesa
illegittima in quanto la Gallia come prima provincia romana, doveva attribuirsi dopo la caduta dell’impero,
una funzione vicaria del potere imperiale.
- Il regno dei vandali in Africa
I vandali dopo aver lasciato la Spagna nel 429 sbarcarono in Africa. Nel 435 i vandali erano stati riconosciuti
come federati dell’impero. Il loro dominio in Africa si basò soprattutto sulla loro forza militare, poiché non
riuscirono a aggregare le popolazioni intorno al loro capo, ci furono anche le persecuzioni contro i cristiani,
con il risultato che il loro regno fu l’unico che non realizzò nessuna forma di collaborazione tra popoli
germanici e locali. Furono anche l’unico popolo germanico a darsi una flotta. Nel 455 saccheggiarono Roma
ma nel 533 furono travolti dal processo di riconquista bizantina della parte dell’impero occidentale messa in
atto dall’imperatore Giustiniano, i vandali scomparvero senza lasciare traccia.
Il regno barbaro d’Italia, quello degli ostrogoti, ebbe caratteristiche particolari. Il loro re Teodorico era stato
condotto da bambino a Costantinopoli come ostaggio, dove aveva vissuto dieci anni, educato come un
principe romano. Era stato proprio l’imperatore Zenone a mandarlo in Italia per contrastare il potere di
Odoacre e sottomettere la penisola in nome dell’impero. Teodorico dopo essersi impadronito della penisola
a nome dell’imperatore tentò addirittura di ricreare l’impero d’occidente. Per raggiungere il proprio sogno
egli cercò di imparentarsi con tutti i più importante re barbarici. Incontrò però resistenze sia nel mondo
latino che germanico. Teodorico appare ritratti in un mosaico di Sant’Apollinare Nuovo incoronato e
abbigliato come un imperatore bizantino. Egli si circondò di amministratori romani e il suo primo
consigliere fu Cassiodoro, cercò di recuperare all’agricoltura terre che erano state abbandonate e di creare
punti di raccolta grado contro le carestie, riformò il sistema fiscale e quello monetario. Pur facendo di
Ravenna la capitale del regno, egli si impegnò anche nella ricostruzione di Roma, e i suoi amministratori
continuavano a formarsi con la tradizione classica, anche il senato romano rimase in piedi fino al VI secolo.
Tra goti e latini i compiti furono divisi, l’esercito era formato solo da goti mentre i romani si occupavano
dell’amministrazione. Tra i due popoli non si ci fu un’integrazione, ma ci fu una chiara politica di
convivenza. Questa politica fallì per la non integrazione, per lo scontro con Bisanzio quando Teodorico
cercò di conquistare la Pannonia e per quello con i franchi che mossero guerra agli alemanni, alleati degli
ostrogoti. La difesa dell’arianesimo infine alienò a Teodorico le simpatie della classe senatoria latina. I
tentativi di Teodorico di salvare l’Italia non furono sufficienti, il commercio non riuscì a riprendersi, la
produzione artigianale rimase a livelli bassissimi e le terre rimasero incolte. Il frumento che era stato la
coltivazione prevalente dei romani, fu integrato con cereali inferiori, che rendevano più raccolto ma erano
meno nutrienti e il pane era sempre più nero.
che lo tenevano lontano dalle tentazioni. Un altro personaggio di rilievo fu il vescovo di Cesarea, Basilio,
che aveva dato vita a un regime monastico in Cappadocia. Sulle origini del monachesimo occidentale,
prebenedettino, troviamo già consolidata l’esperienza di uomini-guida in Gallia con Martino vescovo di
Tours, in Spagna con Isidoro vescovo di Siviglia, in Italia con Cassiodoro e in Africa con Agostino vescovo
di Ippona. Emersero due correnti monastiche sulle altre, quella celtica e quella benedettina. Quella celtica
ebbe origine in Irlanda, la diffusione del cristianesimo fu lenta e si basò su monasteri sorti intorno alle più
importanti famiglie che si impegnavano nella conversione dei pagani. Tra i pionieri del cristianesimo celtico
i più conosciuti sono Brindano, che come narra la leggenda si lasciò trasportare per sette anni dalle correnti
marine tra Irlanda e Scozia; e Colombano, fondatore di numerosi monasteri. Il cristianesimo celtico ebbe
una diversa organizzazione, come le formule del battesimo o la datazione della Pasqua, che lo tennero
distante dalla chiesa di Roma. Cosi quando Colombano cercò di diffondere le sue regole al di fuori
dell’isola, la chiesa organizzò una difesa attraverso la diffusione del monachesimo benedettino, che
esprimeva forme più moderate di vita cenobitica e non metteva in discussione il potere dei vescovi. La
tradizione racconta che Benedetto nascesse a Norcia da una famiglia benestante, e che fondasse il monastero
di Montecassino. Alcuni storico anno dubitato della sua esistenza reale. Quello di Benedetto era un modello
di monachesimo che limitava i rigori della disciplina orientale, evitando i pericoli della solitudine e accanto
alla preghiera valorizzava il lavoro manuale e intellettuale, infatti molti monasteri benedettini divennero
centri importanti dello sfruttamento delle risorse agricole e di trasmissione culturale attraverso l’attività di
copiatura dei libri. L’orto era l’altro elemento importante del monastero benedettino, perché era uno spazio
chiuso in cui il monaco poteva lavorare senza uscire dal convento. Il monaco benedettino rispettava
l’autorità di un abate, che aveva il completo governo sia degli aspetti spirituali che materiali, e rispondeva
solo a Dio e al suo ministero. I monasteri benedettini rappresentarono per la chiesa uno strumento
fondamentale per allontanare i culti pagani. Con Ludovico il Pio nell’871 renderà obbligatoria per tutti
monaci dell’impero carolingio un’impronta benedettina. Il monachesimo eremitico rimase forte in Italia
meridionale.
II. Giustiniano
Giustiniano contribuì a portare l’impero bizantino a uno dei punti più alti del suo sviluppo. L’imperatore
impegno i primi anni di governo a garantire la pace esterna e produrre tranquillità all’interno. Nel 532 siglò
la pace con la Persia, nello stesso anno fece soffocare la rivolta della Nika scoppiata per protestare contro
l’inasprimento fiscale. Sottrasse l’Africa ai vandali, l’Italia agli ostrogoti, il sud della penisola iberica ai
visigoti, infine riorganizzò le province conquistate con il modello romano. Questo tentativo di ricostruzione
fu possibile solo grazie alla collaborazione della quale l’imperatore si circondò, sua moglie Teodora prima
di tutto, ma anche i giuristi, i generali cronisti. Tra il 528 e il 535 fece riordinare da una commissione di
esperti, il diritto romano, nel Corpus iuris civilis, considerato la base di tutta la letteratura giuridica
posteriore, introdotto in Italia dopo la cacciata dei goti. L’amministrazione di Bisanzio si era basata
soprattutto sulla consuetudine e il costume, invece la tradizione della codifica delle leggi veniva dai romani.
La produzione e il commercio furono elementi primari per la vita dell’impero bizantino. L’economia si basò
sull’agricoltura, sul commercio e sulla manifattura, controllati dallo stato e che rifiorirono con Giustiniano.
Alla fine del VII secolo fu promulgata la legge agraria, che garantiva l’esistenza di comunità di liberi
contadini. L’impiego degli stati si ridusse quindi notevolmente. Costantinopoli rappresentò il maggior centro
industriale e commerciale e numerose attività si svilupparono intorno al porto. Una delle principali
produzioni della città fu quella dei tessuti di seta, una materia prima inizialmente proveniente dalla Cina. Si
lavoravano poi l’oro e l’argento e si producevano profumi. Il commercio come l’industria era controllato
dallo stato, che esercitava il monopolio e vigilava sulle imprese private. Infine, per la prosperità
dell’economia bizantina fu decisiva l’esistenza di una moneta d’oro forte, che gli occidentali chiamavano
bisante, impiegata nel commercio Mediterraneo per i successivi ottocento anni.
IV. Il ripiegamento
La guerra per quanto vittoriosa può essere considerata il peggiore errore gi Giustiniano, che non capì che
per affrontare un simile sforzo militare, lo stato avrebbe dovuto sborsare somme colossali, dilapidando le
riserve d’oro accumulate. La guerra l’aveva costretto a sguarnire i confini con la Persia e con i territori slavi
del nord-est e le conseguenze non si fecero attendere. Nel 617 gli slavi avanzarono nei Balcani, i persiani
nel 612 conquistarono la Cappadocia e l’Armenia e negli anni successivi Damasco, Gerusalemme e
l’Egitto. L’Italia simbolo della restaurazione imperiale venne affidata dai bizantini ai longobardi e solo la
fascia costiera adriatica e la Sicilia in tutto l’occidente appartenevano all’impero. Il greco divenne la lingua
ufficiale della cancelleria imperiale. Il titolo di imperator fu mutato in quello di basileus.
che fece poi assassinare Alboino e si rifugiò a Ravenna, amministrata dai bizantini.
Al momento dell’occupazione colpisce il silenzio dei documenti sulla sorte dei romani. La storiografia
romantica vuole l’immagine del “volgo disperso che non ha” come dice Alessandro Manzoni. In realtà i
longobardi si disinteressarono alla capacità giuridica dei latini, che furono lasciati a se stessi, purchè
versassero un contributo agli occupanti. Nell’VIII secolo la vecchia classe dirigente romana era stata
annientata perché colpita nelle proprietà terriere, e il nuovo ceto dirigente era tutto germanico, in quel
momento ormai quello che viveva su suolo italiano era un unico popolo che non poteva definirsi ne del tutto
latino ne del tutto longobardo, il risultato della lenta fusione tra le due componenti. Il lento processo di
fusione era cominciato nel VII secolo, l’elemento principale che aiutò questo processo fu quello religioso. Il
re Autari aveva proibito il battesimo con rito cattolico a tutti i figli dei longobardi riservando per loro il rito
ariano, ma i matrimoni misti erano già una frequente possibilità. Autari cercò anche di trovare un elemento
di convivenza ra le due popolazioni, e un passo importante fu proprio la sua conversione al cattolicesimo,
avvenuta grazie all’influenza della regina Teodolinda. Ebbe un ruolo importante anche il sostegno che dal
VII secolo, i longobardi, dettero al culto dell’arcangelo Michele sul Gargano, attraverso il quale la
tradizione guerriera ricevette un’impronta più cristiana, confermata dall’introduzione della sua immagine
sulle monete. La trasformazione da cristiani ariani a cristiani cattolici fu un fenomeno progressivo, che si
realizzò un matrimonio dopo l’altro, nomi romani venivano dati ai figli dei longobardi e viceversa. Nel VIII
secolo i longobardi non parlavano nemmeno più la loro lingua.
risolta da un gruppo di seguaci che nominarono Abu Bakr, parente del profeta, come “successore
dell’inviato di Dio” califfo. Dunque, il califfo era il successore del profeta, ma non era il profeta, era a capo
della comunità, ma non un messaggero di Dio. Tuttavia, attorno ai primi califfi continuò ad aleggiare
un’aura di santità. La guerra di conversione all’Islam cominciò gia con Abu Bakr, ma fu soprattutto Omar a
costruire una sorta di impero teocratico, dove fede religiosa e amministrazione e potere militare si
fondevano nelle mani di un’unica persona. Iniziata come guerra civile, la conquista militare dilagò fuori
dall’Arabia. Alcuni storici cercando di spiegare l’espansione dell’Arabia solo con l’entusiasmo religioso,
che avrebbe spinto gli arabi a diffondere l’Islam in territorio infedele, convinti dopo i primi successi di
godere del sostegno di Allah, e di essere i solo rappresentati della vera religione. Ma spiegare l’espansione
tramite il fanatismo musulmano è un errore, in quanto i beduini avevano ancora una conoscenza superficiale
dell’Islam quindi la religione non era il motivo dominante. Erano davvero pochi quelli che dopo la
conquista si convertivano alla nuova religione.
non sapeva leggere, poi i pittori bizantini aveva cominciato a dipingere anche su pannelli più piccoli che le
porsene potevano tenere a casa propria, a questi era stato cominciato ad attribuire una funzione miracolosa,
fino ad arrivare a sostenere che non erano atti da mani umane. La devozione alle immagini sacre aveva
giunto così dei livelli che iniziavano a preoccupare una parte della classe dirigente. Gli imperatori isaurici
avevano imposto di sostituire i personaggi con le croci e motivi stilizzati, ma la maggior parte dei monaci
aveva preso la difese delle icone e delle reliquie.
L’opposizione al culto delle icone era forte soprattutto nelle regioni più orientali dell’impero, dove la
propaganda islamica, che accusava di idolatria l’adorazione delle immagini sacre, aveva influenze più
marcate. Leone III Isaurico voleva liberare la religione dalle superstizioni ereditate dal paganesimo,
divenendo così sempre più impopolare nelle regioni europee, Costantinopoli si allontanò ancora di più da
Roma.
Brindisi, e diedero vita all’emirato di Bari, impiantarono le loro basi sotto Cassino, spingendosi da qui entro
i muri di Roma.
perché Bisanzio non era più nemmeno in grado di controllare i territori italiani. Questa alleanza portò i
franchi in Italia e creò le condizioni per l’affermazione del dominio temporale dei papi. Da allora il
territorio della chiesa solido e ben difeso rese possibile ogni tentativo di unificazione della penisola. Fu
redatto un chierico romano il Constitutum Constantini, la cosiddetta donazione di Costantino, la cui
falsificazione fu dimostrata da Niccolò Cusano e Lorenzo Valla, nella quale si voleva far credere che
Costantino avesse donato al papa Silvestro I il palazzo lateranense, la città di Roma con tutte le province
d’Italia e la potestà imperiale dell’occidente intero. Nasceva così nell’VIII secolo lo “Stato della Chiesa”.
V. Carlomagno imperatore
La fine degli anni Ottanta dell’VIII secolo fu il momento di maggiore tensione tra i franchi e i bizantini. Nel
797, durante lo scontro religioso fra iconoclasti e iconoduli che stava allontanando la chiesa di Roma da
quella di Costantinopoli, l’imperatrice Irene fece accecare il figlio, e il papa dichiarò lei usurpatrice e il
trono vacante per la sua indegnità alla corona. In quello stesso anno il papa cominciò a lavorare perché
fosse Carlo a rimpiazzare in occidente il potere screditato in oriente. Carlo così colse il momento per
colpire il potere bizantino, intraprendendo una serie di campagne militari. Si mosse contro Benevento,
l’Istria e la Croazia, si espanse a est contro gli slavi e infine contro gli avari del medio Danubio. Questa
politica di espansione costrinse Bisanzio a trovare un accordo in base al quale Benevento e l’Istria
diventavano terre franche. La politica filocarolingia dei papi, ebbe successo quando nell’800 papa Leone
III, aggredito e accusato di immoralità dai suoi avversari, si rifugiò presso il re dei franchi, si fece scortare
fino a Roma, si discolpò davanti a un’assemblea con Carlo in posizione di giudice e da lui fu assolto. Pochi
giorni dopo, nel giorno di Natale in San Pietro, Leone III incoronò Carlo imperatore dei romani.
L’incoronazione di Carlomagno è stata molto amplificata dalla leggenda, si trattava infatti soprattutto di un
atto di propaganda che poco cambiava sul piano politico. Ma è vero che dopo 324 anni dalla deposizione di
Romolo Augustolo, tornava a esistere l’Impero romano d’Occidente, o per lo meno un regno
soprannazionale che ad esso faceva riferimento. Il nuovo impero nasceva come cristiano, perché come
sostenevano i teorici imperiali al regno di Dio nei cieli corrispondeva quello di Carlo sulla terra.
L’imperatore costruì il suo palazzo con una cappella che ricalcava il modello del Santo Sepolcro. Il nuovo
impero era quindi sacro per il particolare legame con il cristianesimo, e romano negli intenti politici.
L’impero di Carlo si proponeva come restaurazione dell’impero romano. Non a casa Eginardo per scrivere
la biografia di Carlomagno, s’ispiro alle Vite dei dodici Cesari di Svetonio, in particolare a quella di
Augusto. L’idea di restaurazione in occidente provocava l’ostilità dei bizantini, poco disposti ad accettare
che esistesse un altro impero cristiano e romano con pretese di universalità. Nell’812 l’imperatore d’oriente
Michele I riconobbe a Carlo il titolo di imperatore, anche se non quello di imperatore dei romani che gli era
stato attribuito dal papa. Si creò una sorta voluta di gioco di equivoci, secondo i bizantini Carlo fu capo
dell’occidente tacitamente subordinato all’imperatore d’oriente che rimaneva unico titolare legittimo
dell’eredità di Roma, per Carlo e i suoi successori l’incoronazione dell’800 fu una resurrezione dei due
imperi.
subordinazione dei funzionari veniva così rafforzato con il giuramento di fedeltà che serviva a Carlomagno
per tenere sotto controllo le tendenze centrifughe dell’aristocrazia. A loro volta costoro si dotavano di
proprie clientele armate che ne accrescevano potere e prestigio.
Il termine vassallo deriva dalla parola germanica gwas che significa uomo. Il vassallaggio sul quale si
basava il rapporto era il giuramento di fedeltà, di un uomo verso un altro uomo. Anche la terminologia in
lingua latina lo conferma: il vassallo che giurava fedeltà ad un individuo imminente entrando nella sua
clientela, faceva un atto di omaggio, cioè, anche in questo caso, diventava uomo di un altro uomo. Suoi
compiti erano di prestare servizio al superiore; di assisterlo nell’amministrazione della giustizia, di pagare
le taglie per il riscatto se fosse stato fatto prigioniero in guerra, o per aiutarlo a sostenere ingenti spese per
l’acquisizione di nuove terre. Il rapporto vassallatico si basava sul giuramento di fedeltà con il quale chi
giurava faceva un atto di omaggio. La cerimonia solenne dell’investitura, che si svolgeva quando veniva
stretto il contratto, comportava un preciso codice simbolico, un insieme di gesti carichi di significato: il
vassallo metteva le mani giunte fra quelle del signore, a ribadire la protezione richiesta e concessa, e il
giuramento veniva sottolineato dallo scambio reciproco del bacio.
In cambio della fedeltà il sovrano o il signore si impegnava a mantenere il vassallo concedendogli una fonte
di reddito, i proventi dell’esercizio della giurisdizione pubblica o, una terra da sfruttare a vita, il “beneficio”
(beneficium o honor) o feudo (soprattutto da X secolo). Anche in questo caso le due parole, la latina e la
germanica, indicavano lo stesso concetto, ed è per questo che, usando un termine che non esisteva nel
Medioevo, si è iniziato a chiamare il feudalesimo il sistema delle fedeltà vassallatico – beneficiarie. Feohu
era, in tedesco, un oggetto prezioso, questo termine aveva indicato a lungo il bene prezioso per eccellenza
per persone non stanziali e non dedite all’agricoltura, il bestiame; la parola in seguito prese il significato di
dono obbligante, vale a dire un dono che si fa per obbligare qualcuno, ottenendone la fedeltà. Il termine
beneficio ebbe lo stesso significato, indicando i beni che il superiore concedeva al vassallo. Inizialmente
qualsiasi tipo di bene poteva essere un feudo o un beneficio, con il tempo questi termini iniziarono ad
indicare soltanto concessione di terra.
Con la concessione di terre la cerimonia dell’investitura si arricchiva di una nuova simbologia, quando il
signore metteva nelle mani del vassallo una zolla di terra a significare il beneficio fondiario che veniva
concesso.
potevano stringere paci, ne dichiarare guerre e non avrebbero potuto ne ricevere ne inviare ambascerie.
X. Si avvia la frammentazione
Il quadro di Ludovico andò in crisi con la nascita di un quarto figlio dalle sue seconde nozze, Carlo anche
lui inserito nel testamento, ricevendo dei territori prima appartenuti a Lotario, che si ribellò. Ludovico
diseredò Lotario e si avviò quindi una lunga fase di guerra tra il padre e i figli. Alla morte di Ludovico il Pio
la guerra continuò tra i figli Ludovico e Carlo che sconfissero il fratello Lotario, facendo un anno dopo
un’alleanza a Strasburgo. Il giuramento di Strasburgo del 14 febbraio 842 è considerato l’atto di nascita del
volgare francese e di quello tedesco e prevedeva la spartizione dell’impero. Cosi l’impero carolingio finiva.
La spartizione attribuiva ad ognuno dei fratelli una quantità di terre più o meno uguale. La spartizione ebbe
due conseguenze, la prima fu che l’impero di Carlomagno non esisteva più e la seconda che ciascuna delle
tre parti dell’ex impero carolingio intraprese un percorso autonomi, e ognuna da allora ebbe la propria
storia. Alla morte di Lotario si assiste a una nuova spartizione tra i figli, al primogenito Ludovico II
andarono il titolo imperiale e la conferma del regnum Italiae e gli altri figli Lotario e Carlo ricevettero
l’uno i territori più settentrionale dei domini paterni e l’altro la Provenza. Ma proprio l’imperatore Ludovico
II si dimostrò il più debole tra i sovrani e il papa si rivolse altrove per trovare alleanze politiche che lo
aiutassero a difendersi dalle incursioni saracene. Il processo di disgregazione andò avanti nonostante il
piccolo tentativo dell’ultimo imperatore della dinastia di Carlomagno, Carlo il Grosso nel 884, di riunificate
Francia, Italia e Germania. Alla fine del IX secolo in molti paesi si affermarono dei vasti principati
territoriali, non si determinarono mai formazioni tanto estese in Italia. Sottoposta a nuovi smembramenti
sulla base delle successioni ereditarie e delle pressioni di alcune fra le più potenti casate aristocratiche.
Nelle città la popolazione cominciava a pensare di organizzarsi autonomamente intorno ai propri vescovi, a
molti dei quali gli imperatori andavano concedendo importanti prerogative come costruire fortificazioni,
istituire mercati e riscuotere dazi. La debolezza dell’impero quindi dava il via agli sconti tra alcune delle più
grandi casate aristocratiche, i signori di Spoleto, del Friuli, di Toscana e di Ivrea. Per tutto il X secolo si
affermarono anche donne aristocratiche molto potenti come, a Roma Marozia, a Lucca la duchessa di
Toscana Berta, a Ivrea Ermengarda. Tra il IX e il X secolo scoppiò un violento conflitto per il possesso della
parte corrispondente all’antico regno longobardo, fra Berengario marchese del Friuli e nipote di Ludovico il
Pio e Guido marchese di Spoleto. A conclusione con l’appoggio del papa Berengario poté cingere la corona
di re d’Italia e di imperatore. Ma Berengario fu assassinato nel 924 e il regno d’Italia divenne ingovernabile
a un livello centrale, uscendo dall’anarchia solo con le dinastie tedesche. Le vicissitudini della Francia e
dell’Italia del X e XI secolo sono senz’altro dovute alla debolezza del potere centrale. Non si trattò di vera e
propria anarchia, ma di una ridislocazione del potere che in Francia passò nelle mani della grande
aristocrazia, in Italia nelle mani delle grandi casate aristocratiche.
terra in cambio di protezione, e in questo caso usurpavano di fatto un diritto pubblico. Mescolavano il
concetto di honor (cioè la concessione del diritto a esercitare una funzione pubblica) con quello di dominatus
(cioè l’esercizio di un potere di fatto su uomini e beni).
Nei secoli X e XI, con la dissoluzione dell’impero carolingio, alcuni conti, facevano leva sui possessi
fondiari, sulle fedeltà vassallatiche e sui vincoli di parentela, riuscirono a imporre il proprio controllo s
diversi distretti e costituire dei veri e propri principati territoriali che riconoscevano al re solo un omaggio
formale. Si basò su tutto questo la nascita di dinastie potentissime. Alcuni conti ebbero più potere dello stesso
re. Una parte del mondo feudale si organizzò come una rete di rapporti di fedeltà.
Forme diverse di organizzazione dei poteri locali, costruendosi dal basso, camminarono nella stessa
direzione: da una parte alcuni conti e marchesi, inizialmente titolari di circoscrizioni pubbliche,
amministratori di regioni per conto di un potere più alto, diventarono signori della popolazione che vi viveva,
titolari, di domini signorili su base ereditaria; da un’altra si ebbero feudatari che divennero proprietari e
signori delle terre inizialmente ricevute come compenso del servizio armato e della fedeltà; da un’altra
ancora furono certe signorie rurali a divenire, oltre che un sistema di sfruttamento della terra, un sistema di
comando di un territorio, per quanto in questo caso il potere non fosse stato concesso dal signore dall’alto
bensì si fosse formato dal basso, cioè dalla necessità stessa di difesa e organizzazione delle popolazioni
bisogno della partecipazione del re, una figura debole rispetto a certe famiglie di signori ben più forti di lui.
Scomparve il giuramento di fedeltà militare. In Germania il ruolo centrale della monarchia non fu più messo
in discussione, anche quando nel 911 morì senza eredi l’ultimo re tedesco della stirpe carolingia, Ludovico il
Fanciullo. L’aristocrazia chiamò al trono Corrado di Franconia, che continuò a tenersi su un piano più alto
rispetto all’aristocrazia. Enrico I di Franconia, suo successore, ebbe modo di riaffermare la forza del re a
conclusione di una lotta contro i duchi.
deposto ed era stato sostituito dal conte di Parigi Oddone I. Da allora e per un secolo i conti di Parigi
furono i veri re della Francia, anche se la dignità regale rimase dei carolingi. Nel 987 la corona passò a
Ugo Capeto e con lui cominciò la casata dei capetingi. L’affermazione completa di questa famiglia si avrà
con Luigi VI, che ridurrà il potere ai conti, si assicurerà l’alleanza del pontefice e creerà le basi per
l’amministrazione centrale.
- L’Inghilterra
La resistenza in Inghilterra contro le invasioni danesi ebbe un protagonista, Alfredo il Grande, che costruì
insediamenti fortificati per sconfiggere le mire degli invasori. Alfredo promosse raccolte legislative e la sua
opera di riorganizzazione della cultura si baso sulla traduzione di autori latini e sull’istituzione della scuola
pubblica. Il problema principale dei suoi successori, fu sempre quello di contenere i danesi. Finchè nel 1016
il re danese Canuto il Grande conquistò l’isola, si convertì al cristianesimo e fece dell’Inghilterra il fulcro
del suo potere nel mare del Nord. La convivenza fra conquistatori e conquistati fu possibile grazie alle
istituzione di Canuto che assegnò terre a inglesi e danesi senza espropriare i vecchi proprietari.
L’organizzazione pubblica fu affidata a esponenti di entrambi i popoli.
- A ovest: la Spagna cristiana
Intorno alla Spagna musulmana si muovevano i focolai della resistenza cristiana, intenzionati a
riconquistare le terre che i loro antenati aveva perduto. Il regno delle Asturie e Leòn fu per due secoli il
punto centrale dell’azione di reconquista. A metà del X secolo il suo posto fu preso dalla contea di
Castiglia, che dotò il proprio territorio di una struttura difensiva antimusulmana. La Catalogna si rese
indipendente mantenendo lingua e cultura diversa dal resto della penisola.
- A est: Ungheria, Boemia, Polonia
In questi anni l’Europa orientale fu molto in movimento. L’Ungheria divenne un regno cristiano con re
Stefano. La Boemia fu cristianizzata e si organizzò come un ducato, assoggettata formalmente all’imperatore
tedesco, mantenne un certo margine di autonomia. La Polonia nel X secolo divenne autonoma e si
cristianizzò. Il suo principe Miecislao mantenne rapporti di fedeltà personale con Ottone III, ma pose il paese
sotto la protezione del papa.
- A est: Rus
Nel IX secolo si erano formati dei principati intorno al lago Lagoda, in parte per iniziativa dei vichinghi e in
parte per le popolazioni autoctone. Kiev era la capitale del nuovo principato di Rus. All’inizio dell’XI
secolo la città ormai era il crocevia dei traffici economici, dei rapporti culturali e di quelli religiosi della
Russia. Gli slavi erano popoli pagani, e la conversione fu preceduta da quella del principe russo Vladimir a
seguito di negoziati militari e commerciali con Bisanzio. A Kiev fu costruita la prima cattedrale russa e
anche la principale personalità religiosa russa, il metropolita, di nomina bizantina. Dall’incontro tra il diritto
slavo e la cultura e le leggi bizantine nacque, nella prima metà del XI secolo, la prima redazione delle leggi
russe. Alla morte del re Jaroslav nel 1054 la Russia si sgretolò in una serie di principati e signorie locali.
I. Si moltiplicano i documenti
Abbiamo già visto come le fonti dalle quali ricostruiamo la storia si siano rarefatte a partire da IV – V secolo,
al punto da compromettere le nostre possibilità di conoscenza. In questo quadro la breve stagione carolingia,
che si svolge nell’arco di poco più di un secolo, colpisce per la ricchezza delle informazioni che la riguardano
e ne illuminano i tratti, rispetto a quelle, ben più povere, che lasciano confusi i contorni dei secoli precedenti.
Quasi all’improvviso si moltiplicano i documenti e da questo momento sappiamo qualcosa di più della storia
di una buona parte d’Europa. Si rinnova l’uso di legittimare con lo scritto gli atti di trasmissione della
proprietà della terra e delle transizioni economiche. Aumentano i documenti prodotti dalla cancelleria regia,
costituiti soprattutto da un buon numero di testi di capitolari, di diplomi (documenti ufficiali rilasciati per
concedere un privilegio o sancire l’esistenza di un diritto), di placiti, di lettere. Quando i documenti
aumentano è aumentata di necessità la diffusione della scrittura e della cultura, e di sicuro un fenomeno così
ampio non può essere mai soltanto merito di un capo, per quanto lungimirante possa essere. È vero tuttavia
che Carlo raggruppò intorno alla corte un ambiente intellettuale internazionale dove si potevano incontrare
uomini di cultura come l’anglosassone Alcuino, maestro della scuola episcopale di York, i visigoti Benedetto
abate di Aniane e il poeta Teodolfo, il monaco Longobardo Paolo Diacono e altri personaggi provenienti da
paesi non inclusi nell’impero, ma in stretto contatto con esso. Se c’era bisogno di formare amministratori di
valore bravi vescovi, degni e istruiti, occorrevano manuali sui quali studiare, testi chiari, soprattutto dal punto
di vista giuridico. L’istruzione ebbe sede nei monasteri e le loro biblioteche e gli sciptoria, dove si copiavano
i manoscritti, trovarono nelle nuove scuole un forte motivo di sviluppo. Fu così che si salvarono molti testi
della letteratura cristiana dei primi secoli e anche gran parte di quella latina pagana, considerata presupposto
indispensabile per continuare a comprendere anche i testi sacri e quelli dei Padri della Chiesa.
2 Campagne e città
medievale era consentita una vita familiare e su di lui il proprietario non aveva più diritto di vita o di morte,
sia per i principi di uguaglianza predicati del cristianesimo sia perché il capitale umano era prezioso da
quando non c’erano più guerre di conquista. Per gli schiavi veri e propri, quelli cioè simili agli antichi fu
creato la nuova parola sclavum. Nelle documentazioni scritte si incontrano poi i servi casati o manenti,
servi giuridicamente liberi, che non erano sottoposti alla proprietà del padrone ne alla legislazione
schiavistica. Pur non essendo vincolati dal proprietario, lo erano da padre in figlio alla terra che lavoravano,
facevano parte dei beni mobile del padrone, ma per loro era un vantaggio in quanto potevano assicurare ai
figli un lavoro e una casa, per indicare questo tipo di lavoratori si utilizza il termine servi della gleba. Liberi
erano tutti coloro che nascevano in condizione giuridica non servile o chi acquistava la libertà grazie al
padrone. Erano piccoli contadini che lavoravano la loro terra o quella padronale in cambio di un canone. I
contratti avevano una durata di ventinove anni anche se poi divenivano illimitati perché ereditari. Con lo
sviluppo delle signorie territoriali tutti coloro che lavoravano la terre con le mani, furono sottomessi al
potere signorile.
IV. L’Europa senza città, con poche città, con città retrate
Nel V secolo le città persero buona parte della popolazione, sotto la spinta degli stanziamenti barbari i
grandi proprietari di stirpe romana avevano preferito spostare le loro residenze in campagna,
disinteressandosi all’amministrazione urbana. Anche i nuovi proprietari di stirpe germanica non conoscendo
una tradizione di vita cittadina si erano insediati nelle campagne. Fra IV e VIII secolo molte città si erano
spopolate, alcune erano scomparse. Altre chiamate dagli storici “città retratte” si erano ridotte. Ad Arles e
Nimes il perimetro dell’antico anfiteatro romano fu la muraglia all’interno della quale si riunì la
popolazione. Parigi si restrinse sulla isola della Citè. La popolazione di Roma subì un drastico
ridimensionamento, superiore al resto di tutta la penisola. La vita politica si svolgeva nei grandi castelli
imperiali dove il re prendeva le decisioni ed emanava le leggi. La stessa cultura medievale nacque
all’interno delle corti, basti pensare al ciclo di re Artù, che narrava le gesta del capo dell’opposizione
Britannica romanizzata alla conquista sassone come il capo di una compagnia di cavalieri, o le Chanson de
geste che cantavano le gesta degli eroi, esaltavano la lotta contro i mori e la difesa della cristianità, di cui il
primo testo conservato è la Chanson de Roland. Le città altomediavali non erano più le stesse di quelle
romane. Per l’Italia la situazione non fu tutta uguale, perché dipendeva da quella di partenza, per esempio in
Sardegna non c’erano molto città nemmeno nel periodo romano. Nei secoli delle grandi invasioni il sud
divenne un “cimitero di città”. In Italia centrale e settentrionale la popolazione rimase un po più fedele alla
tradizione romana, risiedendo in città. Negli anni 80 del 900 ci fu una discussione intorno a degli scavi
archeologici che mettevano in risalto alcuni la continuità della vita urbana altri segni di interruzione. Nelle
città romane, abbandonate in gran parte dai proprietari terrieri e dai ceti dirigenti, una certa continuità fu
data dalla chiesa, con la creazione di diocesi. Così il mantenimento di una funzione rispetto al territorio
circostante fu per molte di esse il motivo principale di sopravvivenza.
per utilizzare a scopo commerciale le acque e i porti dei fiumi. Nell’840 un patto commerciale tra
carolingi e Venezia mise le basi della fortuna di questa città, che importava dall’oriente prodotti di lusso,
ce poi smerciava nell’area padana e stabiliva i primi contatti con l’Egitto. In Toscana Pisa cominciava a
mettere le premesse per la sua fortuna economica. Al sud oltre che in Sicilia, Bari sviluppò un ponte
commerciale con Bisanzio.
Muovendo in parte dalle campagne, in parte dalle città, nell’Europa del IX, X secolo cominciarono a
vedersi i primi segni di lenta e chiara ripresa.
2 La svolta: le campagne
organizza meglio il lavoro. Ma nel nuovo millennio il fattore che riuscì davvero a cambiare le cose fu
l’aumento della terra, risultato del graduale dissodamento di terre incolte e boschi, promosso dai monasteri,
dai signori, dalle comunità contadine e più tardi dalle città. Il 1200 fu l’età dei dissodamenti collettivi e
della creazione di nuovi villaggi, ma qualche forma era esistita anche prima. La novità sta nel fatto che non
si trattò più soltanto di episodi isolati, ma di terre strappate alle foresta, al mare, alle paludi in modo
permanete.
VII. Il rovescio della medaglia: i danni del disboscamento, un’alimentazione più monotona,
nuove malattie
La fame è stata un evento normale nella vita delle società primitive, costellate dalla memoria di luoghi
meravigliosi, dove gli uomini immaginavano una vita confortevole e con il cibo a portata di mano. Con il
giardino dell’Eden che offriva i suoi frutti ad Adamo ed Eva; l’età d’oro e i Campi Elisi raccontati dai
greci, con alberi con coppe piene di vino e il pane che galleggia nei fiumi; ancora le vigne del paese di
Bengodi descritte da Boccaccio nel Decameron, legate con file di salsiccia e le montagne di parmigiano; o
Pinocchio che nel paese dei Balocchi trova anche dolciumi. Quando si sogna l’abbondanza è possibile che
il cibo scarseggi, e il medioevo è stata un’età più affamata di altre. Ma utilizzando una gamma molto varia
di fonti dell’alto medioevo, sappiamo che il contadino avuto a sua disposizione cibo vario e abbondante.
Oltre che coltivatore, era cacciatore, pescatore, allevatore e raccoglieva i prodotti del bosco. Quindi la
dieta contadina sostiene Massimo Montanari era stata molto più varia e abbondante di quanto non fu
quando crebbero le città. E ancora l’incolto non era mai stato ne vuoto ne improduttivo, si trovava la
materia prima più utile, come il legno, si raccoglievano frutti spontanei e poi si cacciava. Quando aumentò
la popolazione grandi parti della foresta europea vennero distrutti, e si persero molti spazi nei quali i
contadini fini ad allora aveva raccolto, pescato e cacciato. Dopo il Mille di conseguenza anche la dieta
cambiò, molte paludi ad esempio erano state prosciugate eliminando così la possibilità di pescare. Per la
prima volta l’abitante del villaggio si poteva trovare a dover andare anche molto lontano per poter trovare
un prato naturale. Quindi se da un lato della medaglia mettessimo il progresso dell’agricoltura, dall’altro la
riduzione del bosco e della palude e la conseguente riduzione dei suoi frutti. Dall’alimentazione
scomparve anche la carne, nonostante il numero crescente di buoi, essi venivano utilizzati per il lavoro nei
campi. La dieta si fece meno equilibrata, favorendo anche la diffusione della lebbra, che raggiunge l’apice
in Europa nel XII secolo, quando le crociate aumentarono la possibilità di contagio con l’oriente. Con
l’uso di allungare il pane con la segale di diffuse l’ergotismo che nell’XI secolo si propagò in tutto
l’occidente. Alcuni danni ambientali provati dal disboscamento cominciarono proprio in questa età.
3 La svolta: le città
I. La rinascita della vita urbana
A cavallo del medioevo anche la vita urbana subiva una forte spinta per la ripresa. Le città recuperarono
vigore prima con lentezza poi sempre più velocemente, fu un fenomeno spettacolare che cambiò la
fisionomia dell’Europa. Mille anni dopo così l’occidente era di nuovo seminato di città. Ma non tutte le città
avevano avuto la stessa sorte, in alcuni territori la crisi dei centri cittadini era stata meno accentuata rispetto
ad altri. In Italia dove la tradizione urbana era più forte, molti di essi rimasero in vita. Il recupero di vigore
del fenomeno urbano si manifestò sia con l’apparire di nuovi centri, sia con il ripopolamento di quelli
antichi. Henri Pirenne si chiese se esistevano gia le città prima del IX secolo. Egli dice che all’origine della
città medievale ci fu la ripresa del commercio di lungo raggio, quando alcuni mercanti senza fissa dimora
avessero deciso di darsi una sede stabile, dove gia esistevano una cattedrale e un castello. Gli abitanti delle
città nacquero soprattutto sotto la spinta dell’inurbamento delle popolazioni rurali, processo inverso a quello
che si era sviluppato nei primi secoli del medioevo. L’ipotesi di Pirenne rimane valida solo per alcune aree,
soprattutto nelle Fiandre. Nell’Europa meridionale invece le città era quasi sempre sedi di mercati
permanenti, nei quali erano i prodotti della campagna circostante a essere scambiati con quelli
III. Le arti
Tra XI e XII secolo i commercianti e gli artigiani di ogni città si associarono in quelle che oggi chiamiamo
corporazioni. Questa parola è nata soltanto in età moderna per indicare istituzioni che nel Medioevo
assunsero il nome di arti. L’ arte, fu l’associazione giurata, su base volontaria, di quanti esercitavano lo
stesso mestiere o mestieri affini, padroni di una bottega artigiana, ma anche dipendenti, garzoni, salariati o
apprendisti, inclusi in genere in forma subordinata. Il più importante fine era la difesa e il sostegno degli
iscritti. Vigilavano sulla qualità del prodotto, limitavano la concorrenza, fissavano prezzi e salari dei
dipendenti e affrontavano eventuali crisi di sovrapproduzione. Queste corporazioni assunsero nel 200 il
massimo dell’organizzazione, acquisendo in certi casi anche valore politico.
Alla fine del Medioevo, le arti saranno ormai divenute ovunque organismi sclerotici, impreparati ad
affrontare una nuova fase di sviluppo economico.
regolarsi al momento. Si trattava senza dubbio, di una rete più flessibile e complessa, ma anche tanto meno
solida di quella delle grandi vie consolari romane con le quali le strade medievali non riusciranno mai a
competere. Anche la francigena, uno dei più importanti itinerari, che univa Roma al mare del Nord, secondo
il tragitto più breve, non era una strada: dobbiamo immaginarla come una direzione, talvolta come un fascio
di strade e d’itinerari alternativi.
reggeva quasi in autonomia. La capacità di controllo dei re si fece più debole e le circoscrizioni che essi
avevano affidato a conti, a marchesi, ad aristocratici o anche le chiese si trasformarono in signorie come
poteri autonomi. In questo quadro anche le grandi proprietà tesero a porsi come centri di governo su un
territorio. Per comprendere la trasformazione delle signorie fondiarie (nelle quali il signore esercitava
l’autorità sui contadini che lavoravano le sue terre) in signorie territoriali di varia natura e ampiezza (nelle
quali quel potere si allargava a tutti gli abitanti di una determinata zona) è utile ricordare che spesso questa
trasformazione ha origine dalla stessa località: dato che i sovrani non erano in grado di proteggere le
popolazioni, era accaduto che il proprietario fortificasse il centro della Curtis o il villaggio circondandoli di
mura e in questo modo, di fatto, aveva preso l’intera popolazione locale, e non solo i contadini sotto la sua
protezione. Durante questo processo i proprietari avevano finito quasi naturalmente per occupare il ruolo
lasciato vuoto dal potere pubblico che non riusciva a essere presente in modo capillare a livello di territorio,
e avevano assunto, dopo quelli di protezione, anche compiti politico e amministrativi. Ai signori più potenti
vennero così trasferiti diritti sugli abitanti, ricevettero il diritto di banno, che era il potere di comandare,
costringere, punire con la finalità dell’ordine pubblico non solo i suoi contadini ma tutta la popolazione
residente all’interno di un certo territorio: esercitavano la giustizia, ricoprivano funzioni di polizia,
riscuotevano pedaggi, tasse su mercati e fiere. La capacità di controllo del signore era garantita da bande di
uomini armati al suo servizio, cavalieri coordinati e organizzati attraverso legami vassallatici. Con la
signoria bannale i legami tra signore e contadini cambiarono in maniera radicale e in certi casi aumentarono
molto non solo i tributi pagati ai sudditi, ma anche gli abusi e le sopraffazioni. Oltre al diritto a riscuotere la
taglia (la comunità contadina ripagava la protezione con un contributo anche in denaro), il diritto ai proventi
dell’amministrazione della giustizia, i diritti sulle acque, (il signore deteneva diritti sulle acque, così poteva
rivendicare il monopolio del mulino e obbligare gli abitanti a macinare soltanto in esso pagando con una
parte del prodotto), i contadini furono allontanati dall’uso di spazi incolti comuni nei quali fino ad allora la
comunità del villaggio aveva potuto cacciare, raccogliere frutti, legna, pascolare gli animali, a vantaggio del
signore che si appropriava di quello spazio (la crisi degli spazi comuni e degli usi civici è uno dei fenomeni
più drammatici della storia rurale dei secoli dopo l’anno Mille, perché privò i contadini di una risorsa
indispensabile per la sopravvivenza. La “maturità” della signoria si colloca, approssimativamente, tra la fine
dell’XI e la metà del XII, poi il sistema iniziò ad andare in crisi.
Gli edifici tardo-romani fortificati, per difendere il territorio dai barbari, furono ereditari proprio da questi.
Goti e bizantini ne costruirono altri, spesso consistenti in torri per difendere le popolazioni della linea di
confine. I longobardi a loro volta ereditarono queste costruzioni.
- i castelli contro i pirati saraceni e vichinghi
Dal IX secolo fu necessario fortificare molti villaggi nelle coste del Mezzogiorno d’Italia, della
Provenza, della Liguria e di tutte le aree che andavano difese dalle incursioni dei pirati saraceni. Allo
stesso modo furono fortificate le sponde atlantiche per le incursioni dei vichinghi.
- i castelli contro gli ungari
Vennero costruiti reti di castelli contro le ondate di invasione degli ungari, a ovest del Reno, in Francia
orientale e in Italia centro-settentrionale.
- i castelli signorili
A far nascere i castelli non fu solo la paura e il bisogno di luoghi militari. molti signori offrirono ai propri
contadini un luogo protetto per evitare che si dessero alla fuga al primo segnale di pericolo.
- i castelli dell’età dell’espansione economica
Molti castelli furono costruiti per sostenere la ripresa del commercio, come luoghi protetti per il
mercato o per la produzione.
- i castelli dell’età dell’espansione demografica
Quando la popolazione aumentò, nelle campagne sorsero casali e case sparse, piccoli borghi dove vivevano
famiglie che non entravano più nei vecchi insediamenti, ma l’insicurezza costrinse pi questa popolazione a
raccogliersi e a difendersi.
Westmister. Nel giro di qualche anno governava tutta l’sola. Egli realizzò un rimodellamento delle strutture
politiche e sociali e impiantò un controllo stretto sul territorio. La conquista trasformò a fondo la società
inglese. Nei suoi vent’anni di regno Guglielmo trapiantò il modello feudale francese. I castelli di
moltiplicarono. I re normanni crearono delle circoscrizioni amministrative, contee, abbastanza autonome
che facevano capo al re senza intermediari ed erano rette da un suo funzionario il giustiziere. Ogni
giustiziere aveva alle sue dipendenze uno sceriffo, che raccoglieva le imposte e custodiva il castello.
Guglielmo progettò il Domesday book, un censimento di beni e persone di tutto il territorio. Il re inviò gli
incaricati a registrare villaggio per villaggio, l’estensione e la qualità delle terre, gli aratri, i cavalli e tutti gli
animali, la terra i castelli, il numero degli abitanti e il loro stato giuridico.
Enrico fu il primo re della dinastia dei Plantageneti, fu il re che conquistò la monarchia inglese d’Irlanda.
Egli limitò ulteriormente il potere dei baroni, ma rimanevano ancora due cose importanti: ruolo polito e
ricchezza. Il primo derivava dalla presenza di una gran consiglio, il secondo dalla coltivazione delle loro
terre. Enrico II ridusse notevolmente il potere della chiesa inglese, le Costitutioni di Clarendon,
prevedevano il controllo del re sull’elezione dei vescovi. Si spinse al punto di far uccidere dentro la
cattedrale, il suo ex cancelliere che da quando era diventato arcivescovo di Canterbury aveva cominciato ad
opporsi alla sua politica e aveva preso le distanze dalle costituzioni.
avevano per questo un compito delicato che non sempre sapevano svolgere.
diritti feudali aveva portato con se molta corruzione. Molti fedeli cominciarono a disertare le funzioni
religiose celebrate dai sacerdoti ritenuti indegni. Nel 1054 era intervenuto lo scisma della chiesa di
Costantinopoli , con la sua separazione dalla disciplina e dalla gerarchia dalla chiesa di Roma. Non era
possibile una convivenza “morbida” tra due chiese potenti. Lo scisma della chiesa orientale fu in gran parte
il prodotto dell’irrigidimento di quella occidentale. Nel 1059 nella basilica di San Giovanni in Laterano,
papa Niccolò II dettò tre regole della vita della chiesa: condannò il matrimonio dei sacerdoti, stabilì che
nessun prete potesse accettare una chiesa dalle mani di un laico ne gratuitamente ne per denaro, e infine il
diritto di eleggere il papa sarebbe toccato ai cardinali. Nel 1061 Alessandro II fu il primo papa eletto con le
nuove regole.
VI. Al servizio dei tempi nuovi: gli intellettuali e la rinascita culturale del XII secolo
Per secoli si era pensato che la tradizione avesse tutte le risposte ai problemi di conoscenza e alcuni
testi venivano considerati auctoritates in quanto testimoni di verità. Al primo posto erano le Sacre Scritture.
Questo atteggiamento nei confronti della tradizione aveva compresso lo spirito critico nella cultura
occidentale. Affinchè nascesse una nuova cultura era necessario mettere almeno in parte in discussione
queste certezze. A poco a poco in Europa si fece largo una nuova figura, l’intellettuale. Era ancora un fedele
servitore della chiesa o del re, era un personaggio che si dava un nuovo dovere importante, quello di
insegnare e poi di scrivere e insegnare il suo pensiero. I suoi materiali di riflessione erano ancora le Sacre
Scritture e i testi degli antichi, ma l’obiettivo era quello di andare più avanti. Agli uomini di cultura, che
erano tutti di chiesa, era richiesto uno sforzo critico. Per questo si tratta di rinascita, proprio per intendere
questo nuovo dinamismo della cultura cristiana del XII secolo. Quello che davvero cambiò il pensiero
filosofico fu la scoperta di Aristotele. Il grande filosofo non era mai rimasto del tutto sconosciuto, ma nel
XII lo studio del suo pensiero di fece più intenso. Un ruolo fondamentale nelle riscoperta delle opere fino ad
allora ignorate della fisica e matematica di Aristotele lo ebbero i commentatori arabi e ebrei, colti e
attivissimi, che entrarono in contatto con il mondo occidentale attraverso le terre musulmane.
Ripresero intanto spazio anche studi di diritto, il diritto romano rinacque e fu elaborato nelle università
sulla base di quello giustinianeo. Rinacque al servizio della politica e comportò la crescita dell’idea di stato
e di pubblico. Anche sul versante della chiesa di svilupparono studi di diritto. Il diritto canonico
rappresentò il diritto della nuova monarchia papale, elaborato raccogliendo i decreti dei concili e le lettere
dei papi. Nel corso del XII secolo nacquero grandi scuole urbane e si imposero importanti università.
Il risultato fu un movimento di forte apposizione nei confronti di Barbarossa. Federico rispose ancora con un
antipapa Vittore IV e l’insediò a Roma contro Alessandro III, che cacciato dalla città scomunicò
l’imperatore. Così nessuno era obbligato a obbedire a un imperatore scomunicato. Milano ne approfittò per
aprirsi un ulteriore varco di autonomia. Nel 1161 si sollevò contro di lui, ma vene ripresa e costretta a dei
pagamenti.
L’imperatore si trovo due leghe di città che appoggiate dal papa, la lega veronese e la lega lombarda. Il
papa scomunicò tutti coloro che minacciavano la lega. Nel 1176 a Legnano l’esercito imperiale venne
abbattuto. Gli effetti furono rivelanti. L’annoi dopo di arrivò a una tregua. A Venezia l’imperatore di
sottomise e con la pace di Costanza riconobbe la lega lombarda e rinunciò alla nomina degli ufficiali della
città a impatto che in cambio ai dichiarassero vassalli dell’imperatore. Il testo della pace di Costanza è
considerato l’atto legale di riconoscimento della personalità giuridica dei comuni. I comuni videro
riconosciuta dall’imperatore la propria autonomia. L’impero era in realtà, un potere lontano, non
oppressivo per i comuni italiani. Anche durante l’età medievale ci furono sostenitori di Federico, Dante
l’avrebbe ricordato come il “buon Barbarossa”. Nel 1186 Federico compì un altro gesto combinando il
matrimonio del proprio figlio Enrico, futuro imperatore, con la normanna Costanza d’Altavilla, erede alla
corona di Sicilia. Il dominio dell’impero sul mondo era ormai un sogno.
9 In partibus infidelium
I. Gerusalemme
Gerusalemme stessa è città santa per tutte e tre le religioni monoteiste. Custodisce infatti i principali luoghi
santi di tutte e tre: il Muro del pianto e la spianata del Tempio di Salomone per gli Ebrei, il Santo Sepolcro
per i cristiani, per i musulmani la roccia dalla quale si pensava che Maometto fosse asceso al cielo. La storia
del viaggio nei luoghi della vita di Gesù inizia molto presto, forse dal momento stesso in cui l’Editto di
Milano, nel 313, ne rese lecito il culto. Da quando, nel 638, si era arresa al califfo Omar Gerusalemme non
era più cristiana, era musulmana. Tuttavia, ai pellegrini ebrei e cristiani non era mai stato impedito l’accesso
ai luoghi santi, che pure si trovavano in partibus infidelium (nei luoghi degli infedeli). Una certa stasi del
pellegrinaggio cristiano si era poi verificata tra VIII e X secolo, nell’età delle incursioni dei barbari;
successivamente Carlomagno aveva anche ottenuto dal califfo di Baghdad la protezione dei pellegrini
occidentali.
castigliano Rodrigo Diaz de Bivar detto dai mori il Cid Campeador, un nobile avventuriero mercenario le
cui gesta divennero leggenda, dando materia a un noto poema epico Cantar de mio Cid.
V. Gli antefatti
Nel 1054 alcune chiese latine di Gerusalemme erano state chiuse al culto. L’ordine non era venuto dai turchi,
ma dal patriarca cristiano di Costantinopoli all’indomani dello scisma tra la chiesa orientale e occidentale.
L’anno dopo c’erano stati alcuni incidenti che avevano coinvolto i pellegrini ma anche in questo caso i turchi
non c’entravano: c’erano stati diversi abusi di potere e vessazioni economiche, ma non risulta che i pellegrini
corressero seri pericoli andando ai luoghi santi (tant’è vero che il loro numero continuava a crescere).
Quando, a fine secolo la situazione esplose e partì la prima crociata, i turchi non governavano la città, che era
stata da poco recuperata dagli arabi: dunque i pellegrini potevano raggiungere i luoghi santi come in passato.
Neanche l’impero bizantino quando nel 1095 chiese l’aiuto all’occidente, era in pericolo più di quanto lo
fosse stato vent’anni prima: ciò significa che le ragioni della crociata non erano esterne e incalzanti, ma
interne alla cristianità occidentale.
un laico sposato).
re di Francia Filippo Augusto, il re d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone e il re di Sicilia Guglielmo III.
Barbarossa sconfisse i musulmani a Konya ma morì prima di arrivare in Terrasanta, annegò mentre faceva il
bagno in un fiume di Cilicia. Gli altri sovrani non riuscirono a liberare Gerusalemme e si ritirarono anche
gli ordini monastico-militari. Per i cristiani anche la terza crociata si chiudeva in fallimento. Il Saladino,
invece, non solo sconfisse i crociati, ma fece dell’Egitto la più importante potenza del Medioriente. Con un
accordo garantì ai cristiani libero accesso al Santo Sepolcro.
organizzare il trasporto, la conservazione e la vendita nei mercati. In Italia il grande sviluppo demografico
urbano contrastava con la povertà delle campagne, spesso insufficienti ad assicurare il necessario alle città
cui appartenevano. Furono creati appositi uffici, annone, incaricati di produrre i cereali necessari, anche
importandoli dall’estero. Tutte le città più grandi misero a punto leggi per i tempi di carestia. L’aumento del
bisogno di alimenti spinse a destinare alcune zone all’agricoltura intensiva.
dei re Magi ne, sede di pellegrinaggio, ne accentuava la proiezione internazionale. Il duecento rappresentò
l’età del successo internazionale degli italiani. La Francia era per molti di loro quasi una seconda casa.
Figure di spicco nei mercati internazionali erano i lombardi. E nel giro di cinquant’anni si fece schiacciante
il predominio dei fiorentini che dominarono i mercati come imprenditori. Sul mare un ruolo di primo piano
rivestirono Venezia e Genova. Fu con la quarta crociata che il saccheggio di Costantinopoli fruttò loro un
enorme bottino di guerra. Tramite queste due città l’Europa si legava all’Asia. Erano veneziani Matteo,
Nicolò e Marco Polo ed erano genovese Benedetto Zaccaria, Ugolino e Vadino Vivaldi. Intorno al
commercio per mare progredirono anche le scienze per rendere la navigazione meno empirica.
3 La chiesa teocratica
I. L’età di Innocenzo III e l’apogeo del potere monarchico del papa
Nel 1198 salì al soglio pontificio Innocenzo III. Il suo pontificato segnò il trionfo del progetto di fare della
chiesa una teocrazia, la teoria politico-religiosa che si sviluppò non fu del tutto nuova. Il suo successo derivò
soprattutto dalla capacità di saper applicare le teorie dei suoi predecessori, trasformandole in principi
nettissimi e propagandole poi con metafore semplici e molto efficaci e infine trasformate in concrete scelte
di governo. Innocenzo III fu una delle figure più importanti della storia della chiesa. Il nuovo pontefice
impegnò le sue energie nelle questioni interne, per riprendere il pieno controllo su Roma. Egli ridusse al
ruolo di semplice funzionario pontificio il capo del comune di Roma, costrinse poi i feudatari a rinnovarli il
giuramento di fedeltà. Recuperò l’Esarcato. Ma non si accontentava di regnare sul patrimonio della chiesa,
voleva essere la guida del potere imperiale. Per raggiungere quest’obbiettivo approfittò delle contese tra i
pretendenti alla corona imperiale, proponendosi come punto si equilibrio tra di loro. A indicargli la strada fu
la normanna Costanza d’Altavilla, regina e imperatrice di Sicilia, morì prima di poter portare a termine un
patto con Innocenzo per definire meglio i caratteri della dipendenza feudale della Sicilia dal papa, ma non
prima di averlo nominato tutore di suo figlio Federico. Così fino al 1208, anno della maggiore età di
Federico, papa Innocenzo III fu tutore di Sicilia. Il pontefice intervenne anche nella successione
dell’imperatore. Nel 1201 egli riconobbe i diritti di uno dei candidati alla corona Ottone di Brunswick,
contro quelli di Filippo di Svevia, fratello dell’imperatore defunto Enrico VI, in cambio Ottone concesse
ampia libertà alla chiesa tedesca e rinunciò alle pretese imperiali su Ancona, Spoleto, sulla Toscana e sulla
Sicilia. Divenuto imperatore Ottone però tradì l’impegno e tornò a rivendicare il regno di Sicilia, Innocenzo
lo scomunicò e pensò anche di spingere per l’elezione di un nuovo imperatore che fosse più vicino ai suoi
progetti, aspettò così la maggiore età di Federico e quando questo divenne re di Sicilia, lo fece candidare alla
corona imperiale. Ottone IV era legittimo imperatore in carica ma privo di potere in quanto scomunicato. Il
giovane Federico era aspirante alla corona imperiale in nome dell’eredità paterna. Federico ebbe l’appoggio
del re di Francia, Ottone da quello inglese e fiammingo. Fu uno dei momenti più tesi dei rapporti tra Francia
e Inghilterra. Si arrivò velocemente allo scontro armato e Ottone e i suoi alleati subirono una dura sconfitta
in quella che fu chiamata “la battaglia delle nazioni”. Questa battaglia fu nel 1214, questa data e considerata
simbolo della fine dell’egemonia dell’impero nell’ordinamento politico della cristianità e l’ascesa verticale
delle singole monarchie su base nazionale. L’alleanza tra Federico di Svevia, Innocenzo III e Filippo
Augusto risultò trionfante. Nel 1215 Federico fu incoronato anche re di Germania e si preparò a ricevere
l’incoronazione imperiale con il nome di Federico II. Egli rinunciò alla corona di re di Sicilia e lasciò a suo
figlio. Innocenzo III affermò la signoria del papa sui re della terra. Con una serie di manovre riuscì a
diventare un punto di riferimento per l’impero e per le altre monarchie europee. Il papa era davvero superiore
a ogni altra autorità terrena dell’Europa cristiana.
i territori bizantini furono divisi come bottino di guerra. Da essi nacquero l’effimero impero latino d’oriente
creato dai crociati con a capo il conte di Fiandra che visse appena 50 anni e un monopolio veneziano sulle
isole dell’Egeo e del Peloponneso. Venezia prese la maggior parte del bottino. Quello che restava
dell’impero bizantino era in piedi nel piccolo stato di Nicea. Da lì l’imperatore Michele VIII con l’aiuto dei
genovesi riconquistò Costantinopoli e ricostruì l’impero bizantino anche se ormai era solo un semplice stato
greco. L’impero bizantino di fatto dopo 700 anni di storia morì con il sacco di Costantinopoli, anche se
formalmente rimase in vita fino al 1453.
sistematicamente i sospetti di eresia e condannarli, mentre il potere civile assumeva il ruolo di “braccio
secolare” che eseguiva le sentenze e faceva scontare pene, amministrando anche quella di morte.
Nel 1232 l’Inquisizione fu affidata agli ordini mendicanti, soprattutto domenicani, nel 1252 fu autorizzata la
tortura per ottenere a confessione; vennero anche scritti dei manuali che dettavano le norme per gli
interrogatori e i processi. Gli eretici dunque non erano considerati solo dissenzienti dalla religione cattolica
ma sovversivi e addirittura fuori legge dalle leggi dello Stato: con il loro rifiuto radicale della ricchezza e
del potere, avevano in sé anche una carica di forte critica dei rapporti sociali esistenti (quindi rivendicazioni
politiche si mescolavano spesso alle rivendicazioni di carattere religioso, come era avvenuto nella pataria
milanese).
perché non viveva in un chiostro isolato, anzi cercava il punto più popolato del mondo, che era la città e da
li diffondeva il vangelo.
III. Francesco
Quasi contemporaneamente ai domenicani, dall’esperienza di Francesco d’Assisi nacquero in Italia i frati
minori (francescani). Fu la fedeltà totale che Francesco dichiarò al papa, pur predicando l’assoluta povertà, a
fruttagli l’approvazione. I francescani praticarono una predicazione più accessibile di quella domenicana.
Francesco parlava un linguaggio a portata di tutti, tratto in gran parte dalla vita di tutti i giorni e lo sosteneva
con gesti simbolici ed effetti scenici. Incarnando consapevolmente il modello giullare di Dio.
distruggere tutte le altre biografie del santo. Qualche manoscritto sfuggi solo per caso a questa distruzione,
come la Vita prima e la Vita seconda scritte da Tommaso da Celano.
VI. Chiara
Acconto all’ordine maschile dei frati minori si sviluppò quello che venne poi detto delle clarisse o secondo
ordine francescano, risultato dell’istituzione della regola di vita messa in piedi a San Damiano da Chiara
d’Assisi su imitazione di quello si Francesco. Chiara aspirava a una vita di religione, ma non era interessata
ai monasteri tradizionali. Lei e Francesco si sarebbero incontrati più volte per sciogliere insieme importanti
interrogativi. Poteva Chiara intraprendere una vita girovaga e di perpetua marginalità come era quella che
conduceva Francesco con i suoi compagni, vivendo “nelle chiese povere e abbandonate”? la società al suo
tempo avrebbe accettato questo comportamento da parte di una giovane donna? La regola delle sorelle
prudentemente, scelse la totale povertà, ma escluse il vagabondaggio. Con forza e decisione, dopo la morte di
Francesco, Chiara rifiutò dalla Chiesa la possibilità di possedere beni che era accettata dall’ordine maschile e,
anzi, chiese e ottenne dal papa “il privilegio della povertà”. Il carattere eccezionale di San Damiano
scomparve dopo la morte della sua fondatrice.
I domini che componevano l’impero erano molto diversi. La Germania aveva una sua organizzazione
politica e amministrativa feudale-vassallatica. La Sicilia era una monarchia centralizzata. L’Italia centro-
settentrionale era caratterizzata da forti comuni ormai molto autonomi. A Roma, nei territori della chiesa
che si erano irrobustiti sotto Innocenzo III, non c’era posto per l’imperatore. Federico II alla morte di
Innocenzo III per prima cosa ruppe la promessa he gli aveva fatto di mantenere separato il regno di Sicilia
da quello della Germania. Così dal momento della sua incoronazione l’impero coprì dalla Germania alla
Sicilia, interrotto dal patrimonio di San Pietro.
Egli decise di fare del regno di Sicilia il centro dell’impero. Nel regno Federico rafforzò il potere
monarchico, dotandolo di mezzi e strumenti che rappresentavano soprattutto il tentativo di imporsi sui
feudatari del regno. Egli costruì una legislazione unificata per tutto il regno. Un codice di leggi che
rifacendosi al diritto romano e alla legislazione normanna, compiva un passo decisivo per superare la
consuetudine. Federico centralizzò anche le scritture pubbliche, organizzò un archivio del regno e
introdusse l’uso di registrare gli atti in una cancelleria. Federico si propose come il motore di tutte le attività
umane. Dette al regno un carattere autoritario e centralizzato. Federico combattè anche i baroni del regno e
in Sicilia attuò una vera e propria destrutturazione della cultura tradizionale saracena e dopo una resistenza
dalla montagne deportò dall’isola gli ultimi musulmani. costruì in punti strategici anche dei castelli reali.
Organizzò l’amministrazione del regno in provincie, affidata ognuno a personale che riceveva un incarico,
revocabile e un salario statale. Per formare i funzionari del governo, egli fondò l’università di Napoli. Per
tenere in piedi questo sistema centralizzato occorreva molto denaro, egli se lo procurò stabilendo monopoli
regi, creando un sistema di imposte permanente e aumento le tasse che percepiva sul commercio estero. Il
re si trasformò anche il mercante.
uccise. I contemporanei ne difesero la memoria anche Dante credette alla sua innocenza “vi giuro che mai
non ruppi fede al mio signor, che fu d’onor si degno”. Nel 1250 Federico muore in Puglia.
7 I grandi mutamenti politici tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo
I. Filippo il bello e il trionfo della monarchia francese
È con Filippo il Bello che l’autorità della monarchia francese raggiunse il suo massimo. Nel 1300 i francesi
occuparono con le armi il territorio delle Fiandre e la popolazione si sollevò contro di loro. Nel 1302 un moto
popolare liberò Bruges, l’anno dopo a Courtrai la fanteria dei comuni fiamminghi sconfisse la cavalleria
francese. Infine, nel 1328 una repressione violenta spense i focolai di resistenza popolare. Filippo il Bello
dovette accorgersi presto che per amministrare il grande territorio del regno erano necessarie ingenti risorse
finanziarie. Decise perciò di far fronte alla mancanza di denaro confiscando beni dei cavalieri Templari,
l’ordine nato in Terrasanta che si era diffuso in Europa ammassando grandi ricchezze, finendo per svolgere
funzioni bancarie a livello internazionale. Il re si era pesantemente indebitato con loro, e la soluzione che
trovò per non pagare il dovuto fu semplice e spregiudicata: con un pretesto, processò per eresia un gruppo di
Templari di Parigi, che erano tra i più potenti, li mandò al rogo e soppresse l’ordine. Una seconda fonte di
entrate fu la liberazione dei contadini, che consentì al re di sostituirsi ai signori come destinatario delle
imposte. La terza, nel 1302, fu quella di appropriarsi delle decime, cioè il decimo del raccolto che i fedeli
pagavano alle chiese e queste alla Chiesa di Roma. Quest’ultimo intervento ebbe importanti conseguenze:
uno scontro durissimo con il papa, e l’occasione per convocare una riunione di tipo del tutto nuovo,
considerata la nascita dei cosiddetti Stati Generali di Francia. Per far fronte alle delicate decisioni che
occorreva pendere nei confronti del papa, il re chiamò a Parigi i rappresentanti di tutte le città del regno,
insieme ai nobili e agli ecclesiastici, che riconobbero al re di Francia la piena e totale sovranità all’interno dei
suoi territori.
nacque nell’ottocento a sostegno degli ideali patriottici risorgimentali. Le città d’Italia avrebbero cacciato
l’imperatore straniero e la Sicilia avrebbe fatto lo stesso con i usoi dominatori. Gli avvenimenti palermitani
avevano così tuti i caratteri per entrare nella leggenda, la leggenda di un popolo che si scaglia contro il
potere. Anche la tradizione italiana ottocentesca considera quella del Vespro una rivolta per la libertà; cosi
ci è anche tramandata dall’interpretazione delle immagini, poiché gli artisti prediligono gli aspetti del
melodramma e dipingono la rivolta in modo da suscitare emozione in chi guarda. Gli studiosi oggi tendono
a considerare la rivolta palermitana come il prodotto di una congiura ordita contro gli Angioini, contro il
processo si francesizzazione del ceto dirigente. La rivolta prese il via a Palermo il 30 maggio 1282, era il
lunedì di Pasqua, e si estese rapidamente a tutta l’isola. Si narra che l’occasione sia nata per un gesto
irriguardoso di un soldato francese verso una donna siciliana. Un cronista veneziano racconta che i soldati
francesi cercavano armi abusive e perquisivano sia gli uomini che le donne. Al difesa delle donne avrebbe
dunque fatto da scintilla. Sul fuoco della rivolta si è certi che abbiano soffiato i ghibellini d’Italia,
l’imperatore bizantino e alcuni gruppi familiari del Mezzogiorno, guidati da fedeli servitori degli Svevi.
Furono loro a chiamare il re d’Aragona Pietro III, come marito di una figlia di Manfredi, per rivendicare il
regno di Sicilia. E fu così che la rivolta di Palermo si trasformò in una guerra internazionale. Pietro III
d’Aragona sbarcò a Trapani e fu incoronato re di Palermo. La sua incoronazione segnò l’inizio della guerra
che provoco la dissoluzione del potere centrale del regno e si chiuse solo nel 1302 con la pace di
Caltabellotta. Furono spartite le sfere d’influenza del Mezzogiorno e il regno di Sicilia si scisse in due, il
regno di Napoli rimase agli Angioini e si collocò nell’orbita papale, mentre quello di Sicilia, ristretto solo
all’isola fu degli Aragonesi. Tra gli storici siciliani si rafforzò l’idea che la Sicilia avesse espresso la sua
vocazione d’autonomia rispetto alla penisola italiana. La rivolta ha segnato il distacco definitivo tra le due
parti. Questa distinzione oggi non viene accettata perché non si vedono dei caratteri specifici così netti. Si è
pensato a lungo che alla ferocia con la quale il popolo si scagliò contro i francesi ci fosse la l’impopolarità
di Carlo, che avrebbe governato con mano molto più pesante di quanto avesse fatto Federico II. Il re di
Napoli Roberto il Saggio, fu considerato capo indiscusso del partito guelfo, ma inutilmente sia lui che i suoi
successori si impegnarono per riprendere la Sicilia.
V. Bonifacio VII
L’elezione di Pietro da Morrone con il nome di Celestino V, nel 1294, era stata salutata con gioia dagli
spirituali Francescani e in genere da tutti coloro che chiedevano alla chiesa di ritornare alla purezza del
Vangelo. I rinnovatori si attendevano da Pietro grandi cose. Ma la tradizione vuole che Pietro fosse un
sant'uomo, che non ce la fece reggere il peso dei condizionamenti politici angioini, delle pressioni dei
cardinali che volevano farne una loro pedina, dell'isolamento a Napoli, dove fu relegato per essere più
strettamente controllato da Carlo II d'Angiò. Celestino V, accerchiato, consapevole forse di non poter
sfuggire alle pressioni e insieme ben deciso a rimanere coerente con i suoi ideali, dopo aver chiesto una
serie di consigli giuridici al più alto livello, scelse il gesto clamoroso dell'abdicazione, tornando a essere
solo un eremita, dedito alla vita contemplativa. Dante Alighieri, duramente nella Commedia lo definì vile.
Gli succedette un pontefice che era l'opposto. Quanto Celestino era tormentato, tanto questo era in energico,
volitivo anche spregiudicato. Benedetto Caetani, esponenti di una potente famiglia romana, personaggio
chiave della curia, esperto di diritto canonico tanto da aver avuto un ruolo di primo piano nel fornire a
Celestino, una relazione in perfetta regola sulla facoltà giuridica del Papa di rassegnare le dimissioni, salì al
soglio pontificio con il nome di Bonifacio VIII. La prima cosa che fece, per allontanare il rischio che
qualcuno potesse ritenere illegittima la sua lezione, fu trasferire Pietro, in condizione di semi prigionia.
Bonifacio tentò di ricostruire i trionfi della teocrazia pontificia, senza accorgersi che l'idea che il Papa fosse
il capo anche politico oltre che religioso della cristianità apparteneva ormai al passato. Quanto questa
pretesa fosse al di fuori dei tempi lo si vide nell'ultimo scontro che oppose il Papa al regno di Francia.
Filippo il Bello prese, una serie di provvedimenti ostili alla chiesa, tra i quali la revoca dell'immunità fiscale
dalla quale fino a quel momento aveva goduto il clero. Il Papa provò a opporsi e ordinò al clero francese di
non pagare alcun’imposta senza il permesso della Santa Sede, ma il re di Francia rispose impedendo ai
proventi delle decime raccolte dalle chiese francesi di raggiungere Roma. Il Papa tuonò con la solita
minaccia di scomunica, ma non ottenne la revoca del provvedimento. Filippo assestò un altro colpo alla
teocrazia pontificia: accettò, infatti le sue richieste come il risultato di un accordo con la persona di
Bonifacio, non con il Papa che egli era. Nelle 1300 Bonifacio VIII dichiarò un anno di indulgenza plenaria,
cioè il condono delle pene del purgatorio connesse ai peccati, per i pellegrini che arrivarono a Roma per
onorare le reliquie dell'apostolo Pietro e l'icona di Cristo che la tradizione popolare chiamava velo della
Veronica, sul modello dell'indulgenza che veniva concessa per la crociata. Fu il primo anno Santo nella
Chiesa o giubileo. In quell'occasione sembra che abbiano raggiunto Roma milioni di persone. Il giubileo del
1300 non fu sufficiente però a cambiare la sostanza delle cose; la sostanza era che il Papa non era più il capo
politico indiscusso della cristianità. E infatti il duro conflitto con il re si riaprì nel 1301 quando Filippo il
Bello fece arrestare il legato pontificio e di fronte alle proteste romane convocò gli Stati generali,
ottenendone nel 1302 la dichiarazione che il re ricavava il suo potere direttamente da Dio, senza la
mediazione del Papa. Inutilmente Bonifacio emanò una bolla, dal titolo una Unam sanctam, nella quale
ribadiva le idee teocratiche e universali che erano state di Gregorio VII e di Innocenzo III e rincarava la
dose aggiungendo che il Papa non solo era superiore ad ogni altro potere terreno, ma poteva anche
giudicarlo senza essere sepolto giudicato se non da Dio. Le sue tesi furono difese da alcuni ma attaccati da
molti. Dante gli preparò un posto nell'Inferno mentre era ancora arrivo. Da altri fu definito eretico,
simoniaco, scismatico. Infine, si decise di tenere un concilio per decidere cosa fare di lui. Filippo il Bello
mando in Italia un suo consigliere, Guglielmo di Nogaret, con il compito di catturare Bonifacio e portarlo al
concilio. Il pontefice, che si presentò indifeso, ma vestito dei paramenti sacri e reggendo la croce, venne
catturato ad Anagni e si dice che in quell'occasione sia stato anche colpito in viso con uno schiaffo da
Sciarra Colonna, esponente di una famiglia avversaria dei Caetani. Per il papa era un segno drammatico di
perdita di prestigio. Bonifacio non partecipò al concilio, fu liberata dagli abitanti di Anagni e poco dopo
morì.
giustizia è il liberatore della sacra Repubblica romana”. Si era dato allora un preciso programma politico:
sottomettere i potenti nobili, restaurare l'antica Repubblica romana, stringere intorno a Roma i comuni e i
signori dell'Italia centrale. I baroni lo avversarono, i comuni lo guardarono con diffidenza, il Papa con
sospetto. Neanche il popolo romano lo sostenne. Cola Fuggì. Si recò poi a Praga e parlare dei suoi
programmi all'imperatore, e li fu imprigionato come eretico. Per lui sembrava finita. Il nuovo papa
Innocenzo VII affidò al cardinale, Egidio di Albornoz, il compito di restaurare il suo potere nel territorio e
pensò di fare di Cola uno strumento di questo disegno, inviandolo in Italia con l'incarico di appoggiare la
politica del cardinale. Nel 1354, così, Cola di Rienzo rientro a Roma con il titolo di senatore. Durante una
sommossa fu ucciso. Il cardinale di Albornoz, invece, intraprese la fatica di restaurare l'autorità del Papa nel
territorio della Chiesa. Promosse la Costituzioni Egidiane, una raccolta legislativa che doveva valere per
tutti i territori della Chiesa è mettere ordine tra le molte leggi che si erano accumulate. Con le Costituzioni
lo Stato della Chiesa si eretto fino al XIX secolo.
II. Il popolo
Il Popolo si dette un vessillo e uno stemma, elesse propri magistrati e un proprio capitano, con il compito di
comandare la milizia popolare (la fanteria). Come al solito anche in questo processo le varie città ebbero
storie molto diverse l’una dall’altra: il comune di Popolo non si sviluppò in tutte le città comunali e,
comunque, non ovunque nello stesso momento. In molti casi le organizzazioni politiche della borghesia
arrivarono a controllare il governo della città, anche se non abolirono mai il podestà ma diminuirono soltanto
il suo peso politico, creando una sorta di doppio sistema nel quale le reciproche competenze non erano
sempre ben chiarite. Il capitano del Popolo poco a poco tolse al podestà le funzioni militari, lo relegò in ruoli
più tecnici e amministrativi e tenne per sé quelli politici. In alcune città furono le corporazioni più importanti
a prendere in mano il potere all’interno del comune Popolo, e i due casi più noti sono quelli di Bologna, dove
le arti governavano dal 1256, e di Firenze, dal 1282. Diversa sorte ebbero le corporazioni a Venezia, a Roma
e in molte città governate da un signore, dove esse furono esautorate, assoggettate al controllo di funzionari
pubblici, messe in competizione l’una con l’altra.
III. I magnati
Magnati, o più spesso grandi, erano chiamati gli appartenenti alle più potenti famiglie dell’aristocrazia
cittadina. Dove queste famiglie erano tutte di antica origine e di tradizione militare, magnate o grande può
essere considerato sinonimo di nobile, ma nelle città economicamente più vivaci non mancavano famiglie di
origine mercantile capaci di imitare i modi di vita e le ambizioni dei nobili, addirittura fino al punto di fare
armare cavalieri i propri figli. Che il concetto di nobiltà in Italia variasse da luogo a luogo e in base
all’ambiente sociale e politico era riconosciuto anche dai giuristi medievali. Nella via di tutti i giorni gli
abitanti delle città comunali riconoscevano i magnati o grandi in base a una serie di tratti condivisi: la casa
della famiglia, la volontà di superarsi l’un l’altro e quella di vivere al di fuori o al di sopra, delle leggi
comuni.
V. Signorie cittadine
Così come i regimi popolari nacquero dall’interno stesso di quelli podestarili, anche le signorie familiari
nacquero dentro i comuni. Si ebbero signorie cittadine, cioè, quando alcuni poteri particolari del comune
vennero tutti affidati, per un certo periodo, a un solo personaggio di prestigio che, con il tempo, cominciò a
tenerseli e a passarli ai suoi figli ed eredi. In qualche caso, addirittura, la signoria nacque dal fatto che un alto
magistrato della città (per esempio il podestà stesso o lo stesso capitano del Popolo) trasformò il suo incarico
a tempo determinato in un ufficio a vita. Si trattò, dunque, per lo più, di un potere formalmente legittimo e
ben tollerato dai cittadini che pensavano di trovare nell’uomo forse il “salvatore del comune”, anche se segnò
sempre un’involuzione della partecipazione politica dei cittadini e un progressivo svuotamento delle
magistrature repubblicane. Inoltre, l’affermazione del comune e quella della signoria cittadina non furono,
come vedremo, città in cui il ricorso a un go-verno signorile si configurò come una parentesi, talvolta dovute
a circostanze straordinarie esaurite le quali tornarono in vigore gli ordinamenti comunali. In generale la
formazione di poteri signorili fu precoce nelle città padane rispetto al resto dell’Italia centro-settentrionale.
Genova si reggeva a comune ed era in piena crescita; alla metà del Duecento il suo ruolo nel mediterraneo
era cresciuto; nel 1284 sconfiggendo Pisa nella sanguinosa battaglia della Meloria aveva avuto mano libera
anche sulla Corsica.
o La Toscana
Le resistenze maggiori ad accogliere l’istituzione signorile di ebbero in Toscana. Soltanto all’inizio del
Trecento si verificarono anche qui dedizioni di città a un signore, ma furono signorie temporanee che non
intaccarono la vita materiale e le idealità delle cittadinanze
o Venezia
Dal regno d’Italia, si ricorderà, non faceva parte Venezia perché la sua lontana appartenenza alle terre
bizantine le aveva lasciato una sostanziale autonomia, via via riconosciuta dai re d’Italia e italiane e infatti
sviluppò un tipo particolarissimo di comune. Il carattere della sua organizzazione politica fu sempre elitario-
aristocratico. A Venezia non fu mai un comune di Popolo, a governare le città fu un patrizio di grandi
famiglie di mercanti che ebbero presto nelle mani di un governo e se lo tennero saldo, senza dividersi per
lotte interne. La dirigeva una specie di principe elettivo e a vita, il doge, dotato di pochi poteri, e un sistema
di consigli di stampo comunale.
o I territori della Chiesa
La fascia territoriale governata dal papa presentava una serie di città e dominazioni locali che divennero più
autonome dopo il trasferimento della sede papale ad Avignone, nel 1309. A Roma il Comune era nato in
chiave antipontificia e aveva passarono gran parte della sua esistenza a combattere contro il papa.
o L’Italia meridionale
Inquadrate in un regno forte, anche le città del Mezzogiorno tendevano ad allargare i loro diritti ogni volta
che si allentava il potere centrale. Federico vietò ai cittadini di eleggersi propri magistrati, stabilendo che
soltanto i magistrati del regno erano autorizzati a esercitare nelle città la giurisdizione civile e penale. Anche
quando, nel corso del XIV secolo si diffuse l’uso di mettere per scritto le consuetudini locali e si ebbero
alcune forme di autogoverno cittadino, esse dovettero sempre essere legittimate dal re.
nel corso del Duecento a comprare la terra e a organizzarla in poderi fino ad arrivare, alla fine del secolo
successivo, a eliminare quasi del tutto la piccola proprietà contadina. In Toscana, soprattutto tra Firenze e
Siena, questo processo fu più decisivo che altrove e sui poderi che si erano così formati si diffuse la
mezzadria.
9 Fuori d’Europa
NON STUDIARE
10 Si annuncia la “crisi”
I. La popolazione smette di crescere
Il 1348 è diventata la data simbolo del tracollo, sarebbe arrivata la peste nera, destinata a decimare la
popolazione e rendere evidente, in modo drammatico, il profondo malessere che già permeava la società.
Gli storici sono d'accordo sul fatto che la difficoltà dei tempi non furono tutte da apportare alla peste. Tra la
fine del Duecento e i primi anni del Trecento, la popolazione in crescita progressiva da alcuni secoli smise
di crescere e qua e là cominciò a diminuire, cominciarono a fallire le banche, si smise di costruire; dal 1270
si manifestarono spesso gravi carestie (che non sono comunque una novità della fine del XIII secolo. Quella
del 1347, alla vigilia dell'arrivo della peste, fu la crisi agraria più grave di quanto interessarono l'Italia e
arrivò al culmine di vari decenni di difficoltà alimentari in tutta l’Europa. La penuria non dipese che in
piccola parte dai raccolti scarsi, dalle guerre e dalle inclemenze del clima. Si trattava piuttosto di un
fenomeno di mercato, oltre che di un effetto dell’urbanizzazione massiccia: l’economia europea aveva
iniziato a funzionare, dal XII secolo al più tardi, come un vasto mercato dove le grandi città si procuravano
lontano parte del grano di cui aveva bisogno e dove le informazioni su produzione e pezzi circolavano a
scala internazionale, agevolando i meccanismi speculativi.
II. Le difficoltà della banca, della produzione, le prime tensioni nel mondo del lavoro
Anche la moneta incontrò alcune difficoltà sul finire delle XIII secolo. L'Occidente aveva fame di denaro
per mancanza di metalli preziosi per le accresciute necessità finanziarie dei sovrani europei, che
ricorrevano sempre più largamente ai prestiti di banchieri. Alcune importanti banche usciranno rovinate
proprio dall'inadempienza delle grandi Monarchie. Inoltre, il re facevano “fluttuare” le monete: ne
abbassavano o alzavano il valore a loro piacimento, le svalutavano e rivalutavano a seconda dei loro
bisogni, della loro condizione di debitori o creditori. Difficoltà incontrò anche il settore di punta della
produzione medioevale, quello tessile. Diminuì, infatti, di quantità, e aumentò di prezzo, la lana inglese
grezza che veniva esportata nel continente per essere lavorata, perché la nascente manifattura tessile inglese
ne assorbiva quantità crescenti per la produzione interna. Dalla fine del XIII secolo alcune aree urbane
furono coinvolte in tensioni sociali che si manifestarono con maggiore violenza nelle Fiandre e nell’Italia
centro - settentrionale. Sul finire del Duecento, in Fiandra, la situazione di disagio per la concorrenza
crescente dei centri di produzione tessile italiani complicò la frizione già esistente tra patriziato al potere e
mondo artigiano: tra il 1297 e il 1302 a Bruges e Gand un movimento artigiano che reclamava potere
politico fu represso nel sangue. In Italia un movimento di protesta dei lavoratori salariati del settore laniero
che lo guidarono, ebbe Luogo a Bologna nel 1289. Anche a Firenze negli anni 40 delle 300 si ebbero
rivendicazioni salariali nel mondo della manifattura. Nel 1345 Firenze conobbe anche il primo sciopero: i
lavoratori della lana abbandonare il lavoro e dichiararono che non lo avrebbero ripreso fino a quando non
fosse stato liberato il loro capo, Ciuto Brandini, arrestato per aver convocato un’assemblea di operai, con il
programma di costituire un’associazione e promuovere una raccolta di fondi per creare una cassa sociale. A
Siena nello stesso anno una rivolta venne promossa da altri lavoratori della lana, anche in questo caso
l’agitazione fu soffocata e i suoi capi costretti alla fuga.
fame et bello libera nos Domine” sintetizzava i tre flagelli con cui fecero i conti gli uomini del tempo.
- La Fame
Tra la fine del XIII secolo e l’inizio del XIV, pioggia, freddo, umidità, siccità avevano avuto effetti più
gravi che in passato, perché la popolazione era aumentata. Il rapporto tra popolazione e risorse era dunque
alterato. Da metà Trecento a causare la fame ci si misero pure le epidemie sul cattivo raccolto. La peste
portava la carestia e la carestia a sua volta, uccideva quasi come la peste. I più deboli o i più poveri
morivano di fame, i più forti si mettevano alla ricerca di cibo, ma morivano lo stesso di infezioni, poiché si
accontentavano di quello che trovavano. Anche la carestia poteva portare a una pestilenza perché affamava
i topi neri portatori della malattia, che abbandonavano le tane per cercare cibo nelle case degli uomini.
Nella seconda metà del Trecento, via via la fame diminuì, sia per il calo della popolazione da sfamare, sia
perché aumentò la produttività della terra.
- La guerra
Nel medioevo si alternarono periodi di pace, più o meno lunghi, ma in una condizione di quasi continua
belligeranza. Nel Trecento e nel Quattrocento il fenomeno si accentuò e la guerra divenne quasi abituale.
La guerra assorbiva uomini e consumava denaro anche di chi non la faceva in prima persona, perché le
città pagavano forti somme pur di evitare che gli eserciti attraversassero le campagne, saccheggiando e
catturando ostaggi.
- La peste
Merita una trattazione a parte, sia perché la sua gravità s’impone all’attenzione, sia perché è considerata il
simbolo della crisi del Medioevo. Il peso esatto che ebbe in mezzo alle calamità del Trecento è, tuttavia,
ancor materia aperta di discussione tra gli storici.
le guerre, gli omicidi e addirittura la moda troppo frivola. La peste veniva da oriente, da un mondo magico
popolato da infedeli. Li si diceva era piovuto fuoco e vermi che portavano la morte, erano saliti al cielo
vapori che avevano coperto il sole ed erano morti i pesci nel mare. Dio intendeva punire i musulmani, i
cristiani erano solo vittime innocenti. Anche il sospetto che avvelenatori avessero sparso polveri pestifere
nei pozzi e nel vento, serpeggiò rapidamente tra la gente in preda al panico. La rabbia e l’impotenza si
sfogò soprattutto sugli ebrei, molti finirono squartati, linciati o bruciati vivi. In Inghilterra la gente si scagliò
su alcune donne accusate di essere streghe, in Germania nacque la leggenda della ragazza della peste che
usciva sotto forma di fuoco dalla bocca dei morti e che uccideva se alzava una mano. Ci fu anche chi cercò
le cause della pesta nel cielo e credette che fosse causa dell’allineamento dei pianeti.
nella condizione di miseria. Nel giro di pochi anni esplosero importanti rivolte, a Firenze come in altre città,
soprattutto in quelle impegnate nel settore tessile.
Le tensioni si fecero acute perché la guerra impediva alle lane inglesi di rifornire i laboratori, gettando
molti nella rovina. Nel 1378 esplose a Firenze la più nota rivolta urbana del 300 alla quale è stato dato in
nome di tumulto dei ciompi i lavoratori salariati che svolgevano nelle botteghe la parte meno qualificata
del lavoro. La rivolta guidata da Michele Lando cominciò come una ribellione armata d’artigiani che
protestavano per i salari troppo bassi e rivendicavano il diritto di riunirsi in un arte riconosciuta dal
governo. Continuò poi con richieste più radicali, il programma di articolava in cinque punti:
- i rivoltosi si rifiutavano di rimanere subordinati ai padroni
- chiedevano di partecipare al governo del comune
- volevano che fosse eliminata la carica dell’ufficiale forestiero, che aveva il compito di vigilare che i
dipendenti non fondassero associazioni
- chiedevano un aumento dei salari
- e volevano l’impunità per i partecipanti al movimento
Le loro richieste erano quindi sia contro lo stato che contro i lavoratori. Dopo qualche giorno, i rivoltosi
assediarono il palazzo del podestà, e s’impadronirono per sei settimane del governo di Firenze, ottenendo
per i propri rappresentanti un terzo delle cariche di governo e il diritto di formare nuove arti. Ma un dura
repressione rimise le cose com’erano prima della rivolta. Intorno alla rivolta dei ciompi è esplosa una vivace
produzione storiografica. Gli studiosi di orientamento marxista hanno visto nella rivolta una manifestazione
precoce della lotta di classe, i loro oppositori hanno negato il carattere sociale delle rivolte.
Francia e si rifiutò di riconoscere nel cugino il nuovo re. La Guerra dei cent’anni iniziò quindi su questa
scena. A nominarla Guerra dei cent’anni, furono alcuni storici dell’ottocento, che vollero mettere l’accento
sul fatto che nonostante le interruzioni, si trattò sempre di uno stesso conflitto, una catena di scontri che si
protrasse così a lungo anche perché la debolezza dei mezzi militari non consentiva a nessuno di trionfare. Il
1337 è considerato la data dell’inizio delle ostilità, Filippo VI confiscò le terre che Edoardo III d’Inghilterra
aveva nel continente e quest’ultimo gli dichiarò guerra. In realtà questa data è scelta solo per convenzione.
Ambedue i re cercarono alleati in Fiandra. Quella terra si trovava nel continente ma era affacciata sul mare e
da tempo la sua popolazione era divisa anche dal punto di vista linguistico. Era il terreno adatto per i primi
scontri. Con la vittoria navale di Escluse, gli inglesi si assicurarono la possibilità di trasportare truppe nel
continente, verso Calais.
La guerra, così lunga, attraversò varie fasi che vide i due regni alternativamente vittoriosi. I primi scontri
furono favorevoli all’Inghilterra. Nelle grandi battaglie campali la numerosa cavalleria pesante francese,
simbolo della nobiltà tradizionale, fu clamorosamente sconfitta da un piccolo esercito. Insieme a queste
azioni di guerra una serie di scorribande di truppe inglesi che entrarono nel territorio francese e
saccheggiarono intere regioni. Le difficoltà economiche portarono al fallimento due banche fiorentine che
avevano finanziato l’operazione. Nel 1356 a Poitiers fu preso prigioniero il re di Francia, Giovanni II il
Buono. L’immagine della monarchia francese fu duramente colpita, tanto che in un primo momento gli Stati
generali non volevano nemmeno pagare il riscatto. Alla fine, il figlio Carlo, pagò agli inglesi una somma
enorme per la liberazione del padre e per la rinuncia inglese a ogni pretesa sul trono di Francia e delle
Fiandre. Carlo V non fu un uomo di guerra, ma fu un buon sovrano, ristabilì la pace interna, si circondò di
validi collaboratori, ricostruì il prestigio della casa reale e infine progettò una spedizione di riconquista. La
guerra riprese nel 1369, ma ormai i francesi avevano capito che la cavalleria pesante non serviva più.
Cambiarono tattica, tagliando i rifornimenti al nemico e colpendolo con tecniche da guerriglia, assalti rapidi
e imboscate, rifiutando lo scontro in campo aperto. La vittoria fu francese. Nel 1380 cessarono le ostilità.
L’Inghilterra era sconvolta dalle rivolte popolari, la Francia finì preda delle guerre civili, tra gli
Armagnacchi e i Borgognoni che si contendevano il potere. Con Enrico V d’Inghilterra del 1413 ripreso gli
scontri. L’armata francese fu distrutta e i principi di sangue quasi tutti uccisi o fatti prigionieri, i
Borgognoni si avvicinarono agli inglesi che conquistarono tutta la Normandia. Carlo VI il Folle, nel 1420
dichiarò che Enrico V sarebbe stato il suo successore sul trono fi Francia.
Sembrava finita e che Francia e Inghilterra dovessero essere unificate sotto la dinastia inglese dei Lancaster.
Ma alla morte di Enrico V e di Carlo VI la Francia si spaccò in due. A nord Enrico VI formò un regno
franco-inglese con l’appoggio dei Borgognoni e Carlo VII formò nel sud un regno- rifugio sostenuto dagli
Armagnacchi. Giovanna d’Arco è considerata da alcuni l’artefice della resistenza all’occupazione inglese, da
altri una visionaria sulla cui storia si ricamò una fantasia popolare, fino a farne il simbolo del nazionalismo
francese. Giovanna aveva diciassette anni quando entrò sulla scena della guerra. Non sapeva ne leggere ne
scrivere però sosteneva di sentire delle voci dal cielo che le assegnavano la missione di aiutare il suo re.
Convinse Carlo VII a inviare soldati in soccorso ad Orleans assediata. Per prendere parte alle operazioni
militari si vestì da uomo e si tagliò i capelli, cosa che fece scandalo soprattutto negli ambienti ecclesiastici.
Giovanna difese con forza il suo modo di vestire da uomo perché, come spiegò al processo, la difendevano
alle attenzioni dei soldati. Nel 1492 gli inglesi, sconfitti, ritirarono l’assedio da Orleans. Carlo VII riprese con
successo l’iniziativa militare e si fece incoronare legittimo re di Francia. Nel 1431 Giovanna fu fatta
prigioniera dai Borgognoni, venduta agli inglesi, processata come strega e condannata al rogo. La forma fu
quella di un processo in materia di fede, ma in realtà fu un processo politico, nel quale si erano scontrate due
France, quella nazionalista di Giovanna e l’altra filoinglese. La propaganda disse che Dio appoggiava la
Francia che da allora ebbe una serie di vittorie sugli inglesi. Nel 1453 gli inglesi furono cacciati oltre la
Manica. Il conflitto era chiuso con la Francia vincitrice.
l’appoggio di svizzeri e lorenesi il re di Francia occupò il ducato, l’Artois, la Franca Contea e la Piccardia.
La nuova Francia si completò negli ultimi decenni del 400. La monarchia inglese sconfitta nei suoi propositi
d’espansione, si ritirò nell’isola e concentrò le energie al suo interno, uscendone rafforzata.
Attraversò però prima un lungo conflitto dinastico, conosciuto come guerra delle due rose, che vide
scontrarsi due partiti, facenti capo alle famiglie dei duchi di Lancaster e di York entrambe discendenti da
Edoardo III. I Lancaster incoronarono Enrico IV, V e VI, gli York imposero con forza Edoardo IV,
sbaragliando il clan rivale. Dopo la sua morte lo scontro si fece più feroce e si concluse con la vittoria dei
Lancaster e l’incoronazione di Enrico VII membro della famiglia Tudor. Il nuovo re sposando la figlia del
suo predecessore, Isabella di York, mise fine alla guerra e acquisì i beni del clan rivale. La nuova dinastia
unificata si chiamò Tudor.
cittadino, repubblicano o signorile che fosse, dandosi strutture diplomatiche stabili e una burocrazia per un
più ordinato funzionamento della vita pubblica, applicando una politica di tipo protezionistico, come si
chiama quella nella quale lo Stato protegge il mercato interno come blocco delle produzioni proprie.
Le città più attive nel processo di ampliamento dei propri confini furono Milano, Venezia, Genova e Firenze.
urbana. L’altro polo della ricchezza fiorentina, il commercio e la banca, aveva trovato da tempo un
importante motivo di crescita nell’impegno economico nei regni meridionali e dalla Sicilia, dalla Campania,
dalla Puglia, dalla Calabria i fiorentini importavano grano, olio, vino, formaggio, sale e legname verso nord.
Sugli affari con la corte romana, dopo il rientro dei papi da Avignone, fondarono la loro fortuna i Medici,
banchieri che avevano ereditato la grandezza finanziaria dei Bardi e dei Peruzzi.
Tra le famiglie che detenevano il potere nella città emersero prima gli Albizi, imprenditori del settore
laniero, poi i Medici. I Medici furono abili nell’allearsi al popolo contro lo strapotere dell’oligarchia
capeggiata dagli Albizi. Nello scontro tra le fazioni il capo della famiglia dei Medici, Cosimo il Vecchio,
venne prima esiliato, poi l’anno dopo rientrò a Firenze mentre fu cacciato quella della fazione opposta,
Rinaldo degli Albizi. Nel giro di poco tempo i Medici impiantarono a Firenze la signoria di Cosimo. La
signoria dei Medici fu molto particolare, si trattò di un potere non ufficiale, ma comunque riconosciuto. I
nuovi signori non cambiarono la forma delle istituzioni comunali, perché sapevano che ad esse i fiorentini
erano molto legati e si limitarono a controllare che le cariche più importanti fossero ricoperte da personaggi
di loro gradimento. Trovarono spazio nella politica prima i figli di Cosimo e poi i nipoti. Il momento di
massimo splendore la signoria lo ebbe con Lorenzo poi detto il Magnifico, che succedette al padre nel 1469,
reggendo la città fino alò 1492 e che fu uno dei più brillanti uomini del suo tempo, specialmente dal punto
di vista culturale e artistico. Durante il governo dei Medici su Firenze venne redatto il catasto, il nuovo
sistema di tassazione che si basava sulle denunce dei redditi e dei patrimoni presentate da ogni
capofamiglia.
trovarono nel regno u buono spazio per la loro attività, contribuendo al successo della moneta napoletana
nei mercati orientali.
In seguito, la presenza angioina in Italia si era indebolita a poco a poco, soprattutto per le continue lotte
dinastiche che avevano impoverito e devastato i territori. Per la conquista del trono di Napoli si scontrarono
quattro rami della famiglia degli Angiò. Giovanna I a diciassette anni fu regina di Napoli, si trovò a
governare negli anni di crisi del 300. Cercò di soddisfare pacificamente le pressioni dinastiche attraverso
una serie di sfortunati matrimoni. Ripetè inutilmente il tentativo del nonno di conquistare la Sicilia, si
schierò con l’antipapa avignonese, Clemente VII. Non avendo avuto figli, scelse a succederle Luigi
d’Angiò che dovette contendere il regno con vari rivali, tra i quali Carlo di Durazzo. Carlo fu incoronato re
di Napoli dal papa e l’anno successivo fece strangolare la stessa Giovanna. Il regno uscì spossato dalle lotte
dinastiche. Le sue sorti si risollevarono un po’ con Ladislao d’Angiò Durazzo e infine con Giovanna II.
Quella angioina fu tuttavia per Napoli una stagione di splendore, infatti nel corso del 300 era stato possibile
incontrarvi i maggiori esponenti della cultura italiana, Petrarca, Boccaccio, Giotto. Nel 1442 l’Italia
meridionale fu unificata e il regno di Napoli entrò a far parte con la Sicilia dei domini aragonesi del
Mediterraneo. Morta Giovanna senza eredi, Alfonso il Magnanimo, re di Sicilia e Aragona, ne aveva
rivendicato la corona, si era scontrato con il ramo degli Angiò-Valois e con altre forze che non vedevano di
buon occhio l’ulteriore espansione aragonese in Italia e ne temevano la concorrenza economica, infine
aveva ottenuto l’appoggio e il consenso di Filippo Maria Visconti, che aveva così completamente cambiato
il quadro delle sue alleanze. Il Mezzogiorno entrava definitivamente nella confederazione dei domini
spagnoli e la potenza aragonese diveniva una delle forze determinanti nel gioco politico d’Italia.
Alfonso fisso la sua residenza a Napoli, mirava a reinserire l’Italia meridionale intera in un più grande
circuito politico ed economico e si adoperò per l’integrazione economica della produzione granaria di
Puglia e Sicilia con quella tessile del regno aragonese. Ma il predominio degli operatori economici esterni e
la fase di generale ristagno dell’economia mediterranea non dette grande spazio a progetti di rilancio. In
Sicilia difficoltà di mercato ostacolavano la produzione dello zucchero, spingendo di nuovo il patriziato
urbano dell’isola verso lo sfruttamento della rendita fondiaria. Nel programma di Alfonso ci furono, la
conferma della specializzazione granaria della Sicilia e l’introduzione dell’allevamento di pecore merinos in
Puglia.
Con i successori di Alfonso il regno di Napoli ebbe di nuovo una vita autonoma dalla Sicilia fino a che non
fu riunito ai domini spagnoli nel 1504 da Ferdinando il Cattolico.
(duca di Milano), duca usurpatore, sentì in pericolo il suo dominio e consegnò il ducato nelle mani dei
francesi. Il 1494 Carlo VIII, re di Francia, entrava in Italia, dimostrando la grande fragilità del sistema degli
stati italiani che si presentavano sulla scena internazionale ancora molto divisi e privi della volontà di tentare
quella unità politica che sola avrebbe consentito di far fronte alla potenza delle monarchie europee.
Quello che è chiamato “lo Stato del Rinascimento”, non rivestì caratteri di piena modernità; fu qualcosa di
molto particolare, perché il potere centrale del principe italiano incontrò difficoltà a imporsi alla nobiltà, alle
città, al clero, e perché rimasero in piedi molte sovrapposizioni amministrative che solamente ben più avanti
la schiacciante capacità di disciplinamento dello Stato moderno riuscirà a ridurre.