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Sommario
1. L’Italia da evangelizzare 3
2. Costruzione gerarchica e sopravvivenze magiche 7
3. Laicato, riforma, eresie 10
4. Gli ordini mendicanti 14
5. Nuove devozioni e letteratura religiosa 19
6. «Reformare deformata» 29
7. La crisi del primo Cinquecento 36
8. Gruppi riformatori e ripresa di antiche superstizioni 43
9. La Controriforma 50
10. Il nuovo ruolo delle campagne 60
11. Chiesa e società nello Stato unitario 66
12. Mondo cattolico e vita politica nell’Italia del dopoguerra 70
Da: Storia d’Italia, vol. 1, I caratteri originali, Giulio Einaudi Editore, Torino 1972.
1. L’Italia da evangelizzare.
1 Cfr. c. nispi-landi, Storia dell’antichissima città di Sutri, Roma 1887, pp. 563-65; m. j. ver-
maseren, Corpus Inscriptionum et Monumentorum religionis Mithraicae, I, Hagae Comitis 1956, pp.
241-42.
3 Cfr. in generale j. le goff, Culture cléricale et traditions folkloriques dans la civilisation méro-
vingienne, in «Annales E.S.C.», xxii, 1967, pp. 780-91.
4 Cfr. c. rivera, Per la storia dei precursori di san Benedetto nella provincia Valeria, in Convegno
storico di Montecassino, Roma 1932, pp. 25-49.
5 Cfr. g. penco, Il concetto di monaco e di vita monastica in Occidente nel secolo vi, in «Studia
monastica», 1, 1959, pp. 7-50.
6 Cfr. l. gougaud, Dévotions et pratiques ascétiques du Moyen Age, Maredsous 1925, pp. 1-42.
7 Cfr. e. delaruelle, La pietà popolare nel secolo xi, in X Congresso internazionale di scienze
storiche, Relazioni, vol. III, Firenze 1955, pp. 328-29; cfr. anche h. barrè, La royauté de Marie
pendant les neuf premiers siècles, in «Recherches de sciences religieuses», 1939, pp. 129-62, 303-34.
8 Cfr. le goff, Culture cléricale cit.; a. frugoni, Momenti del problema dell’«ordo laicorum»
nei secoli x-xii, in «Nova historia», XIII, 1961, pp- 3-22.
9 g. bonomo, Caccia alle streghe, Palermo 1959, p. 19.
sticherie: povere donne ingannate dal demonio, non già suoi strumenti
consapevoli.
Ma il rifiuto della cultura folklorica da parte del clero implicava al-
cune concessioni alla mentalità delle masse contadine. In primo luogo,
l’accentuazione degli elementi meravigliosi (interventi soprannaturali,
miracoli) presenti nell’agiografia. In un mondo in cui l’accesso alla Scrit-
tura era riservato a pochi individui colti, prevalentemente chierici, le vi-
te dei santi finivano con lo svolgere una funzione decisiva di tramite con
le masse. Il meraviglioso cristiano dell’agiografia – eventualmente ri-
calcato sui miracoli della Bibbia – si poneva quindi in diretta concor-
renza con il meraviglioso folklorico10. Inoltre, un gran numero di ritua-
li folklorici si erano innestati nella pratica religiosa ufficiale. Un testo
del secolo IX come la Cena di Giovanni Immonide, rifacimento in versi
della tardo-antica Cena Cypriani, fornisce una singolare testimonianza
su una tradizione romana allora in vigore11. Il sabato dopo Pasqua, il
priore della schola cantorum avanzava in groppa a un asino, portando in
testa una corona di fiori ornata di corna, dinanzi a una folla riunita: ce-
rimonia oscura, di cui tuttavia s’intravede l’origine folklorica. Talvolta
questi innesti venivano respinti: cosí, il sinodo tenutosi nell’a Pavia con-
dannava i chierici e i monaci che girovagavano spargendo molteplici er-
rori e «inutiles questiones», mescolando alle cerimonie ecclesiastiche
balli e canzoni oscene a somiglianza dei pagani, e ingannando cosí gli
animi dei semplici12. Per secoli sinodi e concili si scagliarono (a quanto
pare, senza molto successo) contro cerimonie legate a una cultura av-
vertita ancora come una minaccia – basta pensare alle manifestazioni or-
giastiche in occasione di feste religiose come quella di san Giovanni, che
riproponevano in un momento cruciale dell’annata agricola culti di fer-
tilità piú o meno mascherati13. Ma si ha l’impressione che a poco a po-
co esse finissero col diventare qualcosa di previsto e quasi di istituzio-
nalizzato. La periodica irruzione di questo elemento folklorico, in sen-
so lato carnevalesco, scaricava le tensioni latenti e agiva come un potente
fattore di equilibrio sociale, oltre che religioso. Una festività come quel-
la dei santi Innocenti, in cui, entro una cornice di deliberato sovverti-
mento gerarchico, un fanciullo debitamente eletto (episcopellus, episco-
pus puerorum) sedeva sulla cattedra episcopale e riceveva gli omaggi dei
10 le goff, Culture cléricale cit.
11 Cfr. g. arnaldi, Giovanni Immonide e la cultura a Roma al tempo di Giovanni VIII, in «Bul-
lettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo», 68, 1956, pp. 33-89 (con bibliografia).
12 g. d. mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, XIV, Venetiis 1769, col. 938.
13 Cfr. v. lanternari, La politica culturale della Chiesa nelle campagne: la festa di s. Giovanni,
in «Società», xi, 1955, pp. 64-95.
È probabile che nel corso del secolo x, che vide la crisi dell’autorità
papale e imperiale e il faticoso ricostituirsi di una nuova autorità dal bas-
so, precaria e circoscritta, le componenti locali di questa religiosità si ac-
centuassero. Finché non disporremo di ricerche coordinate sui culti e le
devozioni locali, sulle strutture delle diocesi e delle pievi, una storia re-
ligiosa italiana su base regionale – quindi, una storia religiosa tout court
– sarà impossibile. Quel che è certo è che nel generale processo di rin-
novamento – economico, sociale, politico – che investe la società italia-
na del secolo xi, il laicato si fa avanti e pretende di partecipare in for-
me nuove alla vita religiosa. È un movimento intimamente legato al ri-
sorgere della vita della città, e le campagne ne sono toccate solo
marginalmente. La stessa lotta contro il clero simoniaco e corrotto si
svolge prevalentemente tra le mura delle città. Uomini e istituzioni ven-
gono vagliati e giudicati alla luce di un intransigente ideale religioso e
morale, che si richiama sempre piú spesso alla mitica Chiesa primitiva,
la comunità cristiana delle origini, simbolo di virtú e di perfezione. Crol-
la la vecchia impalcatura degli ordines: a Milano, i patarini rivendicano
una funzione di supplenza nei confronti di una gerarchia che non è piú
all’altezza dei propri compiti.
Era un principio potenzialmente rivoluzionario. Ma il movimento
del laicato cittadino non era che un aspetto di un movimento piú gene-
rale di rinnovamento religioso, che metteva in discussione tutto – la su-
bordinazione della gerarchia al potere politico, la feudalizzazione del
monachesimo, i modelli di santità. In questa volontà di rinnovamento
il laicato s’incontrava con gli ambienti eremitici, che, marginali per de-
finizione, ma appunto perciò non compromessi con la gerarchia mon-
14 Cfr. il libro fondamentale di m. bachtin, che cito nella traduzione francese, L’oeuvre de
François Rabelais et la culture populaire au Moyen Age et sous la Renaissance, Paris 1970.
18 Cfr. f. chabod, Per la storia religiosa dello Stato di Milano durante il dominio di Carlo V, No-
te e documenti, in Opere, III, 1. Lo Stato e la vita religiosa a Milano nell’epoca di Carlo V, Torino
1971, p. 314, n. 3.
21 Cfr. Speculum perfectionis, a cura di P. Sabatier, Paris 1898, pp. 309-10, 86.
22 Cfr. anche un accenno di bachtin, L’oeuvre de François Rabelais cit., p. 66. Per il colloquio
con Innocenzo III, cfr. m. paris, Chronica majora, III, London 1876, p. 132.
23 Cfr. g. miccoli, Dal pellegrinaggio alla conquista: povertà e ricchezza nelle prime crociate, in
Povertà e ricchezza nella spiritualità dei secoli xi e xii (15-18 ottobre 1967), Todi 1969, pp. 45-80.
24 Cfr. e. mâle, L’art religieux de la fin du Moyen Age en France..., Paris 19495, pp. 27 sgg.
25 Cfr. jacopone da todi, Laudi, trattato e detti, a cura di F. Ageno, Firenze 1953, pp. 194,
92-93.
può negare niente28. Maria, dunque, non Cristo, è vicina agli uomini,
alle loro pene e alle loro miserie; e Maria può tutto, perché le sue pre-
ghiere sono irresistibili.
La crescente fortuna del tema della Mater Dolorosa nel corso del Tre-
cento rientra anch’essa in questa tendenza a polarizzare la pietà attor-
no a situazioni e motivi di facile presa, provvisti di una immediata ca-
rica emotiva. Nelle terzine del Pianto de la gloriosa virgine Maria dell’ere-
mitano Enselmino da Treviso, per esempio, di là dagli echi danteschi si
scorge la volontà di agevolare l’identificazione psicologica del lettore
con la madre di Cristo, attribuendo ad essa risentimenti e recrimina-
zioni che escono dal solito stereotipo di mitezza e mansuetudine. Dap-
prima si rivolge alla croce:
Dond’as tu, dis’io, tanta chrudeltate,
ch’el mio dolze fiol tu tegni fermo
choi piedi e chon le mane a ti fichate?
Oimè, perché no naque qualche vermo
che la radize t’avese roduta ... ?
28 Cfr. j. passavanti, Specchio della vera penitenza, a cura di F. L. Polidori, Firenze 18632, pp.
67 sgg.
29 Cfr. Plainte de la Vierge en vieux vénitien, texte critique a cura di A. Linder, Upsala 1898,
pp. 34, 71-73.
32 Cfr. a. tenenti, Il senso della morte e l’amore della vita nel Rinascimento, Torino 1957.
33 Cfr. r. romano, Tra due crisi: l’Italia del Rinascimento, Torino 1971, pp. 13-34.
34 Cfr. a. frugoni, Sui flagellanti del 1260 cit., e La devozione dei bianchi del 1399, in L’atte-
sa dell’età nuova nella spiritualità della fine del medioevo, Todi 1960, pp. 232-48.
35 Ser lapo mazzei, Lettere di un notaro a un mercante del secolo xiv, a cura di C. Guasti, I, Fi-
renze 1880, p. ci.
tenzione buona, e l’ordine e ’l modo... Se fate per lo mondo, bene sareste da ri-
prendere, perdendo il resto del tempo vostro in esercizii, che verrà prima la morte
che si compiano; e poi non vi trovareste, d’uomo ricco, nulla in mano...36.
Per lui, anche i giochi infantili dovevano essere imperniati sulle cose del-
la religione:
Farai uno altaruzzo o due in casa, sotto titolo del Salvatore... alcuna volta sa-
ranno occupati in fare grillande di fiori o d’erbe, e incoronare Iesu... fare cande-
luzze... sievi la campanuzza... non vietar loro di giucare alle cappanelle, a dicci a pa-
ri, a chi piú salta o meglio corre, se in casa si può fare o altrove nel conspetto tuo,
ponendo per pegno che chi perde dica cotanti paternostri o avemmarie, o faccia in-
nanzi a Cristo cosí le venie, o sia privato non entrare nella cappelluzza...38.
36 Ser lapo mazzei, Lettere di un notaro a un mercante del secolo xiv cit., pp. 4, 139.
37 g. dominici, Regola del governo di cura familiare, a cura di D. Salvi, Firenze 1860, p. 122.
38 Ibid., pp. 135, 146-47.
istato molto oppressato e che in tutto m’era contraria. E che a questo non era altro
rimedio se non disperarsi contro ad essa in questo modo: che s’ella ti toglie cento
fiorini, rubane altrettanti; s’ella ti dà infermità, quando tu se’ sano fa che ogni leg-
ge sia rotta e contenta ogni tua voglia e spregia ogni altra cosa.
cellai poteva scrivere, in un ricordo del 1474: «... non avendo mai fat-
to altro da cinquanta anni in qua se non ghuadangnare e spendere... n’ò
preso grandissima dolcezza e grandissimo chontentamento, e achordo-
mi che anchora sia maggiore dolcezza lo spendere che il ghuadangnare».
Poco tempo dopo il Rucellai, truffato da un dipendente, perdeva 20 000
fiorini investiti nella compagnia di Pisa, e aggiungeva con apparente di-
stacco nel suo zibaldone: «per modo che insieme con altra aversità di ri-
cho sono diventato povero. Che Dio di tutto sia lodato»42.
Il coagularsi di questo tipo di religiosità si accompagna a un’accen-
tuazione dell’interiorità, dell’importanza dell’esperienza religiosa indi-
viduale. Il successo di una devozione popolare come quella dei bianchi
chiude in un certo senso tutto un periodo. Le devozioni popolari indif-
ferenziate socialmente, di fatto si estinguono. Il Dominici, che era sta-
to tra i piú caldi fautori del moto dei bianchi, al punto da finire in esi-
lio per avere voluto introdurlo a Venezia, consigliava nella sua Regola
del governo di cura familiare, rivolta, come si è detto, a fedeli di ceto ele-
vato: «Come spesso pecchi, spesso t’accusa; e almeno una volta il dí ti
confessa da Dio, come se fussi a piè del sacerdote, e la penitenzia ne pi-
glia, Miserere mei Deus o simile». Questo invito alla meditazione, addi-
rittura slegata dalle occasioni della confessione sacramentale, non era ri-
volto a tutti. Poco piú avanti, riprendendo con forza un motivo tradi-
zionale, il Dominici scriveva:
Però che debbi sapere sono permesse e ordinate le dipinture degli Angeli e San-
ti, per utilità mentale de’ piú bassi. Le creature son libri de’ mezzani, le quali con-
template e intellette guidano nella notizia del sommo Bene. Ma le Scritture revela-
te son principalmente per li piú perfetti, nelle quali si truova d’ogni verità increata
e creata quanto la mente è capace, tutto saporoso cibo per la vita presente43.
44 Cfr. e. verga, Intorno a due inediti documenti di stregheria milanese del secolo xiv, in «Ren-
diconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere», s. 11, vol. 32, 1899, pp. 165-88.
6. «Reformare deformata».
45 Cfr. g. dominici, Lettere spirituali, a cura di M.-T. Casella e G. Pozzi, Friburgo 1969, pp.
277-78.
46 Cfr. Le prediche volgari di San Bernardino da Siena dette nella piazza del Campo l’anno
mccccxxvii, ora primamente edite da L. Banchi, I, Siena 1880, pp. 68-69.
47 Cfr. c. gennaro, Giovanni Colombini e la sua «brigata», in «Bullettino dell’Istituto storico
italiano per il Medio Evo e archivio muratoriano», n. 81, 1969, pp. 237-71; p. lugano, Inizi e pri-
mi sviluppi dell’istituzione di Monte Oliveto, in «Benedectina», 1, 1947, pp. 44-81.
della quale oratione, e della sua eccellentia et grandezza e utilità, molti hanno scrit-
to copiosamente huomini prudenti esperti e spirituali; ma io indotto e grosso, con-
siderando la indigentia di me stesso, et de molte altre persone, maschi e femine, le
quale hanno poca scientia, e non possono intendere li libri litterali e scientifici, e
nondimeno anche lor cercano de accostarsi a Dio, e per lor anche è fatto il regno del
cielo, e forsi piú tosto che per li superbi delle grande scientie, mi ho pensato di com-
ponere questa opera, et questo trattato de l’oratione in vulgare: acciò che queste
anime idiote e simplice possano havere intendimento di questa oratione, e in essa
esercitarsi […] volendo piú presto fare utilità che satisfare alla vanità e curiosità di
quelli che cercano pur de haver parlamenti ornati, rhetorici et esquisiti...
ticularmente ruminando, altramente non senteresti frutto della tua oratione. Et per-
ché sopra tutto ti è bisogno continovamente havere nella memoria el tuo sposo, fa
mistiero che nella mente tua ti formi uno huomo, el quale habbia la statura, l’habi-
to, le fattezze, e gesti, e membri del corpo le quale havea messer Giesú Christo fin
che lui era in questa vita: le qual cose benché gli evangelii non porgano
50 La stampa del Giardino de orationi da me consultata è quella apparsa a Venezia, per Pietro
de’ Nicolini da Sabbio, 1535: cfr. cc. A ii v sgg., F iii r sgg., O viii r sgg.
51 Cfr. tassi, Ludovico Barbo cit., p. 15.
52 Cfr. e. garin, Desideri di riforma nell’oratoria del Quattrocento, ora in La cultura filosofica
del Rinascimento italiano, Firenze 1961, pp. 166-82.
53 Sull’Arquato cfr. e. garin, L’età nuova. Ricerche di storia della cultura dal xii al xvi secolo,
Napoli 1969, pp. 105-11 (con bibliografia).
54 Cfr. c. vasoli, L’attesa della nuova èra in ambienti e gruppi fiorentini del Quattrocento, in
L’attesa dell’età nuova nella spiritualità della fine del Medioevo, convegni del Centro di Studi sulla
spiritualità medievale, III, Todi 1962, p. 398.
55 La morte di Pietro Paolo Boscoli cit., p. 69.
58
Libro devotissimo cit., Bologna, per maestro Benedetto libraro, 1521, c. 14r.
59
Cfr. d. cantimori, Le idee religiose del ’500, in Storia della letteratura italiana, diretta da E.
Cecchi e N. Sapegno, vol. V, Milano 1967, pp. 7 sgg.
gliati come testi che rispondevano alle inquietudini del presente60. Que-
sto rigurgito di un passato dimenticato contribuisce certamente a spie-
gare certe caratteristiche arcaicizzanti della letteratura religiosa del pri-
mo Cinquecento, in cui nuovo e antico creano spesso un intreccio stu-
pefacente. Ma l’arcaismo deliberato è ancora piú significativo. Si prenda
il caso delle Meditationes de passione Christi dello pseudo-Bonaventura –
un testo, cioè redatto nella seconda metà del Duecento o al principio del
Trecento, e volgarizzato durante il Trecento. Nel corso del Quattro-
cento il volgarizzamento conobbe una straordinaria fortuna, che implicò
ampliamenti e rielaborazioni, tendenti, in un testo già ricco di notazio-
ni patetiche, a rispondere a quelle richieste di maggiore emotività e im-
mediatezza che caratterizzavano, come abbiamo visto, la pietà religio-
sa di questo periodo. Cosí, il passo sul compianto del Cristo morto, che
nel testo latino (qui ricalcato dal volgarizzamento) suonava semplice-
mente «Alii circumstant et omnes faciunt planctum magnum super eum:
omnes enim plangunt eum amarissime, quasi unigenitum» diventò, in
una stampa delle Meditationi apparsa a Firenze verso il 1495: «...tanto
amaro pianto facevano che pareva ben verificato el prophetico decto di
Hieremia: Lugebam unigenitum: fac tibi planctum amarum. Ma sopra tuc-
te l’addolorata madre faceva piatoso lamento. O con quanta affetione
riceveva et pigliava le pendente braccia del suo charo figluolo [...]. Et
apena poteva pel dolore alchune parole proferire, ma sforzata dal ma-
terno amore con pia voce gridava come poteva, dicendo: “Che hai com-
messo, o dolcissimo figluolo, che in tanta acerba morte se’ stato con-
demnato? Che farà da hora innanzi la tristissima et mestissima madre
tua? Oimè, amantissimo figluolo mio Giesú, in quante amaritudini mi
sono convertite le dolceze che solevo da te havere” ... etc. etc.». Ma in
un’edizione delle Meditationi apparsa a Venezia ai primi del Cinquecento
il passo subí un’ulteriore modificazione, attraverso l’inserzione (non iso-
lata) di una lauda di Jacopone, che veniva a creare un singolarissimo im-
pasto stilistico-emotivo:
... Et cosí sopra tutti li membri del fiolo piangendo et basandoli mo l’uno mo l’al-
tro, faceva pianto tanto amaro che quasi haveria provocato al lamento etiam li saxi,
s’el fusse stato possibile [...]. Et perché apena per dolore poteva parlare, pur sfor-
zata da l’amore con pietosa voce gridava come poteva dicendo, et insieme con lei
quello innamorato Jacopone:
61 Cfr. in generale sulla fortuna delle Meditationes, a. vaccari, Le «Meditazioni della vita di
Cristo» in volgare, in Scritti di erudizione e di filologia, I, Roma 1952, pp. 341-78.
62 Cfr. c. dionisotti, Resoconto di una ricerca interrotta, in «Annali della Scuola Normale Su-
periore di Pisa, Lettere, storia e filosofia», s. II, XXXVII, 1968, pp. 264-65.
63 Cfr. a. cinci, La chiesa di S. Francesco e la Madonna di S. Sebastiano, Volterra 1884, pp. 8-9;
il Cinci, contrariamente alla tradizione, afferma che il dipinto fu commissionato dalla contigua
Compagnia della Croce di notte che del resto era anch’essa legata alla chiesa di San Francesco. Sul-
le connessioni della Deposizione del Rosso con l’arte medievale hanno insistito studiosi come
Friedländer, Kusenberg, Hartt.
Certo, Savonarola non era un eretico («non ci è cosa alchuna contro alla
fede»); ma sulla sua figura, e su tutta la questione del profetismo, su cui
il concilio lateranense aveva assunto una posizione cosí recisa, il Contari-
ni finiva col sospendere il giudizio. Ciò che gli premeva dire era altro:
Questa rennovatione della chiesa io non lla so per prophetia, ma la ragion naturale
et divina me la decta. La naturale perché le cose humane non vanno secondo una li-
nea recta infinita ma vanno secondo una linea circulare; benché tutte non fanno el
perfecto circulo et quando son venute a un certo termine di augumento vanno poi
in giú. Applicate voi. La rag[i]on divina mi decta etiam che qualche volta Dio deb-
ba regulare la sua chiesa, il che debba [essere] sommamente desiderato da tutti li ch-
ristiani64.
Infine concludeva: «Intendi bene questi casi che sono assai sotili, e mol-
ti inzampano in esso, e specialmente di quelli philosophi antiqui». Ma
la polemica non era rivolta evidentemente contro i filosofi antichi, ben-
sí, come avvertiva il titolo stesso dell’operetta, contro non meglio spe-
cificati «heretici christiani». Che un frate ignorante come questo Ge-
rolamo da Bologna fosse indotto a occuparsi di tali argomenti, dà da pen-
sare. È verosimile che questi atteggiamenti di miscredenza non fossero
piú limitati a conventicole ristrette, inclini magari a un culto estetiz-
zante dell’antichità, come quella riunita a metà del Quattrocento attor-
no a Pomponio Leto. Comunque, Gerolamo da Bologna finiva esortan-
do il suo ipotetico lettore in questi termini:
como el salvatore Christo Iesu benedetto per la sancta passione t’ha recomperato,
per la sua sancta passione, la quale te priegho che tu con tua mente l’abbi inanti al
conspecto tuo, e non sia ingrato de tanto grandissimo beneficio che lui te ha volu-
to comperare per lo sangue suo; questo è quello che dice: Redemisti me domine deus
veritatis65.
68 Cfr. Il Nuovo Testamento di Christo Giesu signore et salvatore nostro, tradotto di greco in lin-
gua thoscana da Antonio Brucioli, Venezia 1541, dedicatoria.
Valdés, entrando nei conventi, arrivando fino agli strati artigiani delle
città. Ma fu una penetrazione limitata ad ambienti cittadini: tranne tra-
scurabili eccezioni, le idee, le inquietudini, le aspettative riformatrici
non si diffusero nelle campagne. Se si pensa – è un accostamento rozzo
ma illuminante – a quella che era stata la parabola storica dei gruppi ere-
ticali medievali, il contrasto è evidente. Nati nelle città, quei gruppi ave-
vano mantenuto fino all’ultimo legami col mondo contadino (la dispe-
rata resistenza di fra Dolcino in Valsesia si può considerare emblemati-
ca). Nell’Italia del Cinquecento, caratterizzata da una profonda, e ormai
consolidata frattura tra città e campagna, ogni tensione religiosa etero-
dossa si esaurí nell’ambito urbano.
Cosí, nonostante l’ampiezza e la capillarità della loro penetrazione,
le correnti riformatrici finirono con lo scontare un limite politico e re-
ligioso che aveva origini antiche. Anche l’audacia degli intellettuali ita-
liani in materia di religione (un’audacia destinata ad alimentare, attra-
verso l’azione e gli scritti degli esuli, il pensiero europeo di quasi due se-
coli) si tradusse, in pratica, nell’incomprensione dell’importanza storica
delle chiese organizzate: la lucida intuizione di Machiavelli sull’effica-
cia politica della religione, rimase isolata69. D’altra parte, la presenza
incombente nella penisola del dominio spagnolo rendeva impossibile una
politica di alleanza tra i riformatori e i principi, quale si era avuta in
Germania. In qualche decennio, con l’aiuto di efficaci strumenti re-
pressivi come il tribunale del Sant’Uffizio, la Chiesa di Roma riuscí a
riprendere il sopravvento, spegnendo uno dopo l’altro gli sparsi focolai
di dissidenza religiosa.
L’unico gruppo che seppe darsi una base settaria organizzata fu quel-
lo degli anabattisti. Di qui, oltre che dal radicalismo delle loro dottrine,
essi derivarono quella consapevolezza di costituire un’entità inassimila-
bile al resto del movimento riformatore, che non mancò di imporsi alle
stesse gerarchie cattoliche. Abituate a combattere con una imprecisata
e indifferenziata «eresia luterana» (un opuscolo polemico specificamente
antizwingliano come l’Enchiridion del domenicano Gerolamo da Mono-
poli, apparso postumo a Napoli nel 1539, è assolutamente eccezionale)70
esse scoprirono, verso la metà del secolo, l’esistenza di una setta netta-
mente caratterizzata, sparsa un po’ per tutta la penisola. La repressio-
ne, nei confronti di uomini che rifiutavano dogmi fondamentali del cri-
69 Cfr. d. cantimori, Niccolò Machiavelli: il politico e lo storico, in Storia della letteratura ita-
liana cit., vol. IV, Milano 1966, pp. 7 sgg.
70 Enchiridion magistri Hieronymi Monopolitani ordinis predicatorum de necessitate bonorum ope-
rum et veritate sacramenti eucbaristie adversus Zuinglium, Neapoli, Ioannes Sultzbacchius, 1539.
71 Cfr. m. scaduto, Tra inquisitori e riformati, in «Archivum historicum Societatis Iesu», XV,
1946, pp. 1-76.
72 In nomine Iesu. Questo si è una brevissima introductione cit., cc. a iii v – a iv r.
ba, qui considerata ancora una mera credenza erronea (e condannata co-
me tale) era ormai per quasi tutti gli autori dei trattati di demonologia
una realtà di fatto. Inoltre, Francesco da Mozzanica vedeva in queste
superstizioni delle deviazioni religiose, tant’è vero che nel mezzo
dell’elenco scriveva: «De havere qualchi errori contra la fede de la sanc-
ta madre gesa. De li maleficii...» Ma in un confessionale apparso a Ve-
nezia due anni prima, a cura di Antonio da Butrio, l’invocazione dei de-
moni figurava, sulla traccia del codice giustinianeo, tra le manifestazio-
ni di un particolare tipo di superbia, la ribellione:
Et confiteor de decimo gradu superbie, sive de rebellione: per quam superbia-
ni ultra et praeter inobedientiam per quam maiores meos offendi, ego superbus cor-
de lingua et opere contra eos egi, et precipue contra dominuni deum, invocando et
replicate nominando demonium, eius auxilium imploravi; et si fui rebellis ecclesie
aut in aliquo favorem rebellibus dando, et e contrario rebelles in terra mea tenui et
acceptavi, aut rebelles mee civitati vel comitatui defendi...73.
73 Confessionale domini Antonio de Butrio, impressum in alma Venetiarum civitate per Simo-
nem de Luere, 1508, cc. b v.
74 Cfr. di chi scrive, Un letterato e una strega al principio del ’500: Panfilo Sasso e Anastasia la
Frappona, in Studi in memoria di Carlo Ascheri, «Differenze», 9, 1970, pp. 129-37.
Naturalmente non era uno sfogo irreligioso (allora, a questo livello, non
sarebbe stato possibile). Il Pater noster apparso insieme all’Alfabeto espri-
meva in versi amari e burleschi, ricorrendo alla forma tipicamente folk-
lorica della parodia religiosa, il lamento dei contadini oppressi e tor-
mentati da «Francesi, Spagnoli et Alemani», e invocava l’intervento del
Dio vendicatore dell’antico testamento:
Summergeli Signor de passione
Sí como summergesti Pharaone
Et dalli in cielo la maledittione
Et in terra [...]
Signore Dio tutti ingenoccione
Noi ti pregamo con devotione
Che da noi discazzi queste maledittione
Et ne nos inducas in tentationem.
Liberaci Signor giusto clemente
Da questa falsa dispietata gente
Che ne consuma et guardaci al presente
A malo. Amen.
77 Cfr. e. lovarini, L’Alfabeto dei Villani in pavano nuovamente edito ed illustrato, in Studi sul
Ruzzante e la letteratura pavana, a cura G. Folena, Padova 1965, pp. 411 sgg. Alle due stampe
dell’Alfabeto menzionate dal Lovarini aggiungerne una terza, conservata presso la Biblioteca Va-
ticana, da cui cito.
78 Cfr. d. merlini, Saggio di ricerche sulla satira contro il villano, Torino 1894, in particolare
pp. 23 sgg.
79 Cfr. d. merlini, Saggio di ricerche sulla satira contro il villano cit., pp. 184-85.
80 Cfr., di chi scrive, I benandanti, Stregoneria e culti agrari nell’Europa del ’500, Torino 1966.
9. La Controriforma.
81 c. ginzburg, Stregoneria e pietà popolare: un processo modenese del 1519, in «Annali della
Scuola Normale Superiore di Pisa», Lettere, storia e filosofia, s. II, XXX, 1961, pp. 269-87.
82 Cfr. I benandanti cit., p. 145.
83 Cfr. a. prosperi, Tra evangelismo e Controriforma: G. M. Giberti, Roma 1969.
84 Cfr. p. prodi, Charles Borromée, archevêque de Milan, et la Papauté, in «Revue d’histoire ec-
clésiastique», LXII, 1967, pp. 379 sgg.
85 Cfr. f. chabod, Per la storia religiosa dello Stato di Milano cit., p. 364, nota 1.
86 Cfr. p. prodi, Ricerche sulla teorica delle arti figurative nella Riforma cattolica, in «Archivio
italiano per la storia della pietà», iv, 1962, pp. 123-212.
(Esempio bellissimo d’un peccatore chiamato Tito, divoto di san Girolamo, dove per
mezzo di detto santo si rividde della vita pessima, che lui tenne molto tempo, si conver-
ti lui, et molti altri suoi compagni. Cavato dal Giardino d’Esempi del R. P. F. Serafino
Razzi dell’Ordine Domenicano, composto in ottava rima d’Alessandro Parnino da Sie-
na, in Macerata 1631).
Il generico imperativo «con tutta la gente usa veritade» passa quasi inos-
servato di fronte a quelli, ben piú precisi e circostanziati, di obbedire ai
superiori («...sii leale | A chi tu sei tenuto per ragione») e di partecipa-
re alle devozioni e ai riti della Chiesa. La mera osservanza di queste pre-
scrizioni è considerata sufficiente a garantire la salvezza.
Ma lo smercio di questa letteratura devozionale lasciava insoddisfatta
una richiesta scritturale che pure esisteva. Sintomo evidente di ciò non
è solo la diffusione degli apocrifi, o di testi, per cosí dire, parascrittu-
rali. Nel 1580 una compagnia di commedianti provenienti dalla Francia
si fermò a Pisa a recitare. Tra i canovacci messi in scena, ce n’era uno
intitolato Il figliuol prodigo. L’inquisitore intervenne, vietando la rap-
presentazione perché sacrilega. I comici, interrogati, si difesero affer-
mando di aver recitato il canovaccio incriminato anche a Milano, pre-
via approvazione del vescovo Borromeo (la cui indulgente politica tea-
trale è del resto nota). Ma uno di essi, all’inquisitore che gli chiedeva se
conoscesse la parabola evangelica del figliuol prodigo, rispose di no87.
Questa risposta non doveva avere nulla di eccezionale. Non potendo leg-
gere la Scrittura, la si metteva in scena, con l’aggiunta di qualche lazzo
e di qualche capriola.
Ma la pietà controriformistica non si esauriva nelle forme meccani-
che e elementari esaminate finora. C’era un filone, sottile ma tenace, ri-
volto a un pubblico piú selezionato socialmente e culturalmente, che in-
sisteva su motivi di tutt’altro genere – misticismo, annullamento della
volontà, amore «unitivo» di Dio. Questo filone, che da un lato si ricol-
legava addirittura alla Devotio moderna, e dall’altro anticipava temi quie-
tistici, può essere esemplificato da una raccolta come il Fruttuoso giardi-
no di opere spirituali, fatti da alcuni servi di Dio per salute dell’anime, rac-
colti per Gio. Battista Maringo, in Palermo 1619. In essa, brani del
minorita Herp, morto poco dopo la metà del Quattrocento e legato agli
ambienti dei Fratelli della Vita Comune, erano accompagnati da slanci
come questo:
E quando, Dio mio onnipotente, io sospirando dirò o Signor mio vivo e vero,
unitemi perfettamente con voi, e senza piú dire rimanendo sospeso, io intendo con
tutto l’affetto e con tutti i desiderii che voi intendete potersi fare, di transfondere
perfettamente la mia volontà nel vostro beneplacito, e rinegando me stesso, senza
ritrattatione alcuna divenire la mia volontà con la vostra, talmente che io non vo-
glio havere, né volere, né non volere se non come volete e non volete voi etc. etc.88.
87 Archivio Arcivescovile di Pisa, S. Uffizio, fasc. 1, cc. 626r sgg. (il fondo non è inventaria-
to. Ringrazio l’archivista, don Virgili, che ha gentilmente facilitato le mie ricerche).
88 Fruttuoso giardino cit., pp. 86-87.
tose grida, quanto piú importune e fuor d’hora, tanto piú a tempo e giovevoli per
ispaventare gli uccellacci dell’Inferno; hora con sermoncini proportionati al biso-
gno nelle piazze piú habitate, accioché alla fatica possa corrispondere il frutto, si
rinfaccia a’ peccatori la miseria del loro stato, si minacciano vicini i gastighi etc. etc.
regolato indirizzo de’ padri spirituali». Per quanto controllata dal cle-
ro, la devozione dei Flagellanti era nata da un’iniziativa popolare, or-
mai impensabile nell’età della Controriforma.
Di qui l’importanza della figura del parroco rurale, di colui che aveva il
compito, come si esprimeva un altro di questi testi, «d’ammaestrare, di-
rigere, e correggere le coscienze di quelle persone idiote, e semplici, che
consumano la loro vita fra gli stenti dell’aratro nelle campagne, e non di
quelle che vivono fra gli agi, in mezzo alle comodità d’ogni bene spiri-
tuale nelle cittadi»94. Ai parroci delle campagne si rivolgeva anche un
manuale come quello di Alfonso de’ Liguori (Confessore diretto per le con-
fessioni della gente di campagna con gli avvertimenti ai confessori...) ri-
stampato ancora nei primi decenni dell’Ottocento e condito di esorta-
zioni bonariamente paternalistiche («[i buoni confessori] quando viene
uno di costoro, quanto piú quegli è lordo di peccati, tanto piú l’accol-
gono con carità, affin di strapparlo dalle mani del Demonio, dicendogli
per esempio: Orsú figlio mio allegramente, fatti una bella confessione. Di
tutto con libertà. Basta che vogli mutar vita, Dio ti perdona. A posta t’ha
aspettato finora. Allegramente etc.»), che erano la spia psicologica della
sollecitudine, nata con la Controriforma, di accostarsi ai «rozzi»95. E
proprio i redentoristi, seguaci del Liguori, continuarono in nuove terre
di missione – la Maremma toscana, la Sicilia – l’opera iniziata dai ge-
suiti, divulgando una pietà facile e esteriore, in cui il fasto delle pro-
cessioni e le commozioni suscitate,dalle prediche avevano una parte es-
senziale96.
94 Cfr. g. malatesta garuffi, Il parroco all’altare, Venezia 1799, dedicatoria.
95 Cfr. alfonso de’ liguori, Confessore cit., p. 327. Alle pp. 530 sgg. sono elencate le Domande
da farsi a’ rozzi.
96 Cfr. per la Sicilia s. giammusso, Le missioni dei Redentoristi in Sicilia fino al 1800, in «Spi-
cilegium historicum Congregationis SS. Redemptoris», 1962, pp. 51-176. Per la Toscana, cfr. no-
ta successiva.
infatti si abusano gli empii dell’astrologia [sic], della geologia per tentare di to-
gliere la cronologia sacra; si abusano della zoologia per eliminare la spiritualità
dell’anima; della metafisica per avviluppare gli incauti; della storia per frangere l’au-
97 Cfr. c. giorgini, La Maremma toscana nel Settecento. Aspetti sociali e religiosi, Teramo 1968,
p. 171; g. turi, «Viva Maria». La reazione alle riforme leopoldine (1790-1799); Firenze 1969.
torità della Bibbia; per sino le cose proprie negano, i fatti stessi del giorno stravol-
gono con impudenza sfacciata, affine di sostenere le tesi di Belial... Non sarà mai
tempo gettato quello che consumasi sui libri... nei remoti villaggi ed isolati, piú o
meno serpeggia pure la pestilenza delle letture perverse, e dovunque vi ha od un no-
taio principiante, od un farmacista or ora ritornato dalla città, od un flebotomo di
fresco patentato, o qualche altro filosofastro di moda, che tiene banco per far pom-
pa di moderne idee, et sermo eorum ut cancer serpit.
99 Cit. in I periodici popolari del Risorgimento, a cura di D. Bertoni Jovine, I, Milano 1959, p.
217.
100 Cfr. g. sofri, Sulla storia del partito cattolico. Osservazioni a proposito di due libri recenti, in
«Studi storici», v, 1964, pp. 533 sgg.
101 Cfr. p. stella, Per una storia del profetismo apocalittico cattolico ottocentesco. Messaggi pro-
fetici di don Bosco a Pio IX e all’imperatore d’Austria (1870-1873), in «Rivista di storia e letteratu-
ra religiosa», iv, 1968, pp. 448 sgg.
liana era ancora agli inizi: ma gli sviluppi d’Oltralpe erano eloquenti.
Una scorsa ai titoli dei capitoli basta a testimoniare la tempestività del-
lo sguardo del Cantú: Lavoro. Produzione. Uno per tutti e tutti per uno;
La proprietà. L’eguaglianza. Ricchi e poveri; I salari, le macchine e cose si-
mili; Gli scioperi; Rivoluzione; La politica dell’operajo, e cosí via. Il tut-
to era dedicato «al senatore Alessandro Rossi industriale a Schio». Cer-
to, il Cantú non mancava di inserire di tanto in tanto le tradizionali no-
te mielosamente retoriche. Il capitolo Lavoro. Produzione. Uno per tutti,
e tutti per uno termina cosí:
I migliori operaj che gli ascoltavano partirono cantando:
Ma il Cantú capiva anche che per distogliere gli operai da scioperi, ri-
voluzioni e simili abomini non bastava cantare in versi alati le lodi del
lavoro, o esortare i padroni a comportarsi umanamente con i salariati.
Solo la Chiesa poteva condurre efficacemente una politica di collabora-
zione tra le classi: ma per far questo doveva abbandonare il suo prudente
immobilismo, e far fronte alle situazioni nuove (ormai imminenti anche
in Italia) con metodi nuovi. Non per nulla il Cantú citava con elogio il
famoso vescovo di Magonza, Ketteler, e il suo «aureo libro sugli ope-
raj». «Che cosa desidera l’operajo?» si chiedeva; e replicava:
pace, giustizia, trovarsi con uomini di buona volontà, convincere il ricco ch’egli pu-
re è sotto l’occhio di Dio quanto il povero e sarà giudicato da Dio con eguale im-
parzialità; con esso pregar nella stessa chiesa, sullo stesso panco; colle parole stesse
domandare il pane quotidiano al padre di tutti; sentirsi dire: Rispettate l’autorità; la-
vorate e siate fedeli; se anche non è presente il padrone, v’è in alto un occhio sempre aper-
to sopra di voi (san Paolo agli Efesi): ma anche sentir intimare al ricco: Paga la mer-
cede a chi lavora per te, se no il gemito dell’operaio salirà al cielo gridando vendetta (Ec-
cli XXIII 13), e che al giudizio finale Iddio dirà: – Ebbi fame e sete, e non mi
saziaste; fui nudo e non mi copriste. Andate in eterno lungi da me.
102 Cfr. Portafoglio d’un operajo ordinato e pubblicato da Cesare Cantú cit., pp. 87, 71-72, 288,
283, 36.
103 bersani, Il catechismo cit., 5a ed. Lodi 1879, I, pp. 28, 384 sgg., 127.
105 Cfr. r. lombardi s. j., Il programma politico comunista, in «La Civiltà cattolica», 11, 1946,
pp. 350-51, nota.
106r. lombardi, L’ora presente e l’Italia, in «La Civiltà cattolica», 1, 1947, pp. 24, 21.
107Discorso di S. S. Pio XII agli uomini di Azione Cattolica, in «La Civiltà cattolica», iii, 1947,
p. 553 (la suddivisione in paragrafi numerati è nel testo).
I sindacati:
formazione delle masse dei lavoratori ai principî sociali del cristianesimo, perché
nella vita del sindacato unico (che si è costituito per non indebolirli con divisioni
ideologiche) se ne facciano propugnatori coscienti ed efficaci... Bisogna formare i
cattolici all’attività sindacale...
I giornali:
c’è il problema del giornale cattolico, da risolvere con vari quotidiani a carattere re-
gionale, ma possibilmente anche con un grande giornale d’importanza nazionale,
che non sia neppure cattolico per affermazioni troppo esplicite e frequenti, riveli
però in ogni giudizio una piena sanità d’ispirazione... C’è il problema della stampa
periodica non quotidiana...
L’università:
108 d. mondrone s. j., Colei che salverà l’Italia, in «La Civiltà cattolica», 1, 1948, p. 25.
109 Cfr. c. falconi, La Chiesa e le organizzazioni cattoliche in Italia (1945-1955), Torino 1956,
pp. 98-102.
…necessità di mirare da parte cattolica anche in alto, molto in alto, alle fonti del-
la pubblica istruzione: alla conquista delle cattedre in generale, e in particolare di
quelle cattedre universitarie, che potrebbero considerarsi chiave, nella cultura che
riguarda direttamente la Chiesa: Filosofia teoretica, Filosofia morale, Storia delle re-
ligioni, Storia del cristianesimo, Storia medievale e moderna, Filosofia del diritto, Di-
ritto del lavoro ed altre simili. La bonifica delle idee non sarà mai profonda né defi-
nitiva in Italia, finché le aule dove si creano gli indirizzi speculativi delle nuove ge-
nerazioni saranno quasi tutte infestate dalla malaria ...
La radio:
Forse la radio potrebbe aiutare non poco la larga diffusione della verità, nella
duplice forma di istruzione ed esortazione, raggiungendo molti nelle loro case, e va-
lorizzando al massimo le capacità espositive di alcuni apostoli piú adatti. Ma essa
stessa costituisce di per sé un nuovo problema, un altro compito del campo cattoli-
co: entrarvi, saperla usare...
Il cinema:
l’influsso del cinema si allarga, per l’efficacia impareggiabile con cui imprime le
idee mediante semplici immagini, anche in gente che non sarebbe capace di ragio-
nare...;
bisogna favorire la diffusione dei film migliori, farne fare di nuovi e piú
attraenti, «acquistare o costruire belle grandi sale sorvegliate con spiri-
to morale sicuro e insieme aperto, e non soltanto locali a carattere ri-
stretto quale avranno sempre le sale parrocchiali...» Non mancava, alla
fine, un discreto accenno alla possibilità di fare «un censimento dei ca-
pitali in mani cattoliche, che a parità di rendimento s’impiegherebbero
piú volentieri in opere cattoliche, anziché in altre»110.
Questo minuzioso programma fu in sostanza coronato dal successo.
Dieci anni dopo, un prete esiliato in una piccolissima parrocchia di mon-
tagna, perché sospettato (quanto a torto!) di «sinistrismo», scriveva
amaramente:
Per un prete, quale tragedia piú grossa di questa potrà mai venire? Esser libe-
ri, avere in mano Sacramenti, Camera, Senato, stampa, radio, campanili, pulpiti,
scuola e con tutta questa dovizia di mezzi divini e umani raccogliere il bel frutto
d’essere derisi dai poveri, odiati dai piú deboli, amati dai piú forti. Aver la Chiesa
vuota. Vedersela vuotare ogni giorno di piú. Saper che presto sarà finita per la fe-
de dei poveri. Non ti vien fatto perfino di domandarti se la persecuzione potrà es-
ser peggio di tutto questo?111.
110 r. lombardi s. j., Vigilia di mobilitazione generale, in «La Civiltà cattolica», iv, 1947, pp.
15 sgg.
111 l. milani, Esperienze pastorali, Firenze 1957, pp. 464-65.
112 Cfr. a. rossi, Un nuovo culto, in «Conoscenza religiosa» 1, 1970 pp. 90-96, e in generale,
della stessa, Le feste dei poveri, Bari 1970. [Nel gennaio 1972 Giuseppina Gonnella ha concluso tra-
gicamente la sua vicenda: un «cliente» l’ha assassinata].
113 Cfr. a. moscato, Il movimento millenarista di Davide Lazzaretti, in a. moscato - m. n. pie-
rini, Rivolta religiosa nelle campagne, Roma 1965, p. 60 (per l’incontro tra il Lazzaretti e don Bo-
sco).