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di CARLO SERRI
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CAPITOLO GENERALE OFM DI ASSISI, Il Signore ti dia Pace. Documento finale, 2003. Cf.
anche CURIA GENERALE OFM, Seguaci di Cristo per un mondo fraterno. Guida per
l’approfondimento delle priorità dell’Ordine dei Frati Minori (2003-2009), Roma 2004.
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CURIA GENERALE OFM, La Grazia delle origini. VIII centenario della fondazione
dell’Ordine dei frati minori, Roma 2004.
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1. Un dialogo aperto: imparare dalla storia
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THADDÉE MATURA, Le trasformazioni del francescanesimo postconciliare, in Vita Minorum,
anno LXXVI (2005), n. 2, 13-37. L’articolo è stato pubblicato anche in altre lingue. Ad es. ID,
Las transformaciones del franciscanismo postconciliar, in Selecciones de Franciscanismo, n.
101 (2005), 257-273.
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queste vicende nasce spontaneo un senso di gratitudine per quei fratelli che
hanno speso le loro migliori energie per il rinnovamento dell’Ordine. Basti
pensare alla celebrazione dei capitoli generali e alla redazione delle nuove
costituzioni, che hanno dato un impulso fondamentale al cammino dell’Ordine.
Alcuni dubbi nascono invece dall’analisi del presente e dalla formulazione
delle prospettive per il futuro. Alcune espressioni di Padre Matura, che hanno
caratterizzato il passato recente, e che ora vengono discretamente riproposte,
non appaiono pienamente convincenti. Mi sembra, per lo meno, che debbano
essere integrate e completate, per evitare che diano adito a fraintendimenti. La
mia riflessione vorrebbe pensare un futuro dell’Ordine ricco dell’esperienza
storica, ma libero da suggestioni nostalgiche.
“Noi chierici dicevamo l'ufficio, conforme agli altri chierici; i laici dicevano i Pater
noster, e assai volentieri ci fermavamo nelle chiese. Ed eravamo illetterati e sottomessi
a tutti” (idiotae et subditi omnibus) (Test 18-19).
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Si vede che Francesco, rievocando i primi tempi dell’Ordine, indica due
diverse modalità di vita minoritica: quella clericale e quella laicale, che
convivono con le loro originalità. L’unità non annulla le differenze. Lo stile
clericale non si identifica con uno stile di vita intellettuale e aristocratico. Anche
i chierici pregavano (secundum alios clericos) e si consideravano “idiotae”, cioè
gente di poco conto, e vivevano in stato di umile sottomissione.
Non possiamo dimenticare le numerose esortazioni di Francesco alla
venerazione per i sacerdoti e i prelati della Chiesa, che riempiono tutti i suoi
scritti. E non si tratta solo dei chierici esterni all’Ordine. La lettera a tutto
l’Ordine contiene una veemente esortazione ai frati sacerdoti, perché vivano la
loro “dignità” sacerdotale. Il frate sacerdote viene esortato ad essere “santo,
giusto e degno” più della Santa Vergine, di Giovanni Battista e del Santo
Sepolcro! (LettOrd 21-22). Francesco vede il sacerdote in stretta relazione con
l’Eucaristia4. Il suo compito è quello di rendere presente, nella Chiesa e nelle
anime, il Cristo Figlio di Dio redentore dell’Uomo e glorificatore del Padre. A
causa di questo divino ministero Francesco proverà sempre affetto e rispetto
incondizionati nel confronti del clero cattolico. La dignità sacerdotale viene
vista come l’onore ed il ministero più grande che un uomo possa ricevere. Da
questa grazia sovreminente scaturisce l’obbligo della santità, ossia di una
restituzione totale nell’amore più esclusivo.
“Badate alla vostra dignità, fratelli sacerdoti, e siate santi perché egli è santo. E come
il Signore Iddio vi ha onorato sopra tutti gli uomini, con l'affidarvi questo ministero,
così voi amatelo, riveritelo e onoratelo più di ogni altro uomo” (LettOrd 23-24).
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C. SERRI, Il dono che ci rende Chiesa. Riflessioni sulla Lettera enciclica Ecclesia de
Eucharistia, in Forma Sororum, 41 (2004) 3-16.
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Mi pare che alcuni atteggiamenti ambigui nei confronti del sacerdozio
abbiano prodotto serie conseguenze nel campo della formazione. La mia
esperienza in campo formativo con i giovani professi mi ha insegnato che su un
argomento così importante ci sarebbe bisogno di maggior chiarezza. La stessa
Ratio Formationis dell’Ordine, sottoposta ad una attenta considerazione, non
dice nulla di sostanziale sulla formazione sacerdotale. Si limita ad offrire
indicazioni generiche e teologicamente approssimative sui criteri di
discernimento e sulla stessa vocazione sacerdotale5. Invano cercheremmo, nel
documento fondamentale sulla Formazione, delle indicazioni concrete sugli
itinerari formativi o sui contenuti propri della formazione al ministero
sacerdotale. Siamo proprio sicuri che tale penosa inconsistenza della Ratio
Formationis non abbia nessun rapporto con le tante dolorose crisi vocazionali
che affliggono l’Ordine?
In conclusione, mi sembra che non abbiamo bisogno di rimpiangere quel
clima di declericalizzazione, che andava di moda trenta anni fa, ma che oggi
appare del tutto inadeguato. Dovremmo piuttosto elaborare una solida teologia
del ministero e impegnarci a rafforzare la formazione sacerdotale dei frati
chiamati a ricevere la sacra ordinazione, in armonia con le profonde convinzioni
religiose di san Francesco6.
5
ORDINE DEI FRATI MINORI, Ratio Formationis franciscanae, Roma 2003, nn. 233-240. La
Ratio dedica i suoi otto ultimi striminziti numeri (su 240) alla Formazione ai ministeri e agli
ordini sacri.
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Per una riflessione sul ministero presbiterale dei frati sacerdoti nella primitiva fraternità
francescana, secondo la visione di Francesco d’Assisi, si veda: B. HOLTER, “Sacerdotes
fraternitatis in Christo humiles” (EpOrd 2). Il sacerdozio minoritico nella visione di S.
Francesco, in Minores et subditi omnibus. Tratti caratterizzanti dell’identità francescana,
Atti del Convegno organizzato dall’Istituto Francescano di Spiritualità del PAA, Roma, 26-27
novembre 2002, a cura di L. Padovese, Ed. Laurentianum, Roma 2003, 191-204.
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frati. (Magari! La mia comunità attuale è composta di 4 frati, ed è fra le più
numerose della Provincia…). Quale sarebbe la missione di queste comunità?
“Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se
non predicassi il vangelo!” (1Cor 9,16).
“Nello stesso tempo entrò nell'Ordine una nuova e ottima recluta, così il loro numero
fu portato a otto. Allora il beato Francesco li radunò tutti insieme, e dopo aver parlato
loro a lungo del Regno di Dio, del disprezzo del mondo, del rinnegamento della
propria volontà, del dominio che si deve esercitare sul proprio corpo, li divise in
quattro gruppi, di due ciascuno e disse loro: « Andate, carissimi, a due a due per le
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varie parti del mondo e annunciate agli uomini la pace e la penitenza in remissione dei
peccati…»” (1Cel 29).
”Annunciare e realizzare la buona notizia del regno di Dio è la vocazione dei frati
minori, è la loro missione. L’Ordine dei Frati minori esiste per la missione, è una
Fraternità-in-missione (cfr. SdP 42; VFC 59°). La missione per noi Frati minori prima
di essere qualcosa che facciamo, è la ragione per la quale siamo… Il nostro chiostro è
il mondo e la nostra missione è nel far conoscere il Regno di Dio (cfr. SdP 37)7.
“Mi sono stabilito a Nazareth… Il Buon Dio mi ha fatto trovare qui, per quanto
perfettamente è possibile, quel che cercavo: povertà, solitudine, abiezione, lavoro
umilissimo, oscurità completa, l’imitazione, perfetta nella misura del possibile, di ciò
che fu la vita di Nostro Signore Gesù in questa stessa Nazareth… Ho abbracciato qui
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l’esistenza umile e oscura di Dio, operaio di Nazareth” .
Nutro una stima profonda per questo tipo di vocazione, ma credo che noi
frati minori non possiamo limitarci ad offrire al mondo una testimonianza così
discreta e silenziosa.
Il P. Matura sembra preoccupato che i frati vivano “escludendo ogni
forma di superiorità e di padronanza… senza potere né autorità né nella Chiesa
né nella società. Ma di quale “potere” stiamo parlando? Mi sembra che si debba
fare un discorso analogo a quello della declericalizzazione. Forse si utilizza
ancora un linguaggio in voga negli anni settanta, che fa riferimento a situazioni
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OFM, Seguaci di Cristo per un mondo fraterno. Guida per l’approfondimento delle priorità
dell’Ordine dei Frati Minori (2003-2009), Curia Generale OFM, Roma 2004, 33.
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C. DE FOUCAULD, Opere Spirituali, Roma 1984, 29.
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ormai tramontate. Il vero pericolo per i frati minori, nella società contemporanea
non è quello di avere troppo potere, ma di cadere nella perdita più totale di
significato sociale, divenendo estranei al mondo e alle sue dinamiche culturali.
C’è forse qualcuno, in questa società materialistica e secolarizzata, che ci
considera superiori?
Mi chiedo: testimoniare la fede e annunciare il vangelo sono forse
esercizio di “un potere” da cui guardarsi? Quando san Bernardino da Siena
predicava in Piazza del Campo dinanzi a migliaia di persone, istruendo il popolo
sulla vita cristiana, esercitava un potere? Quando Giovanni da Capestrano
esercitava una mediazione di pace tra le città in guerra, esercitava un potere?
Non erano semplicemente dei discepoli del Signore che servivano i fratelli?
“Ma Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete come coloro i quali sono ritenuti
capi delle nazioni le tiranneggiano, e come i loro principi le opprimono. Non così
dev’essere tra voi; ma piuttosto, se uno tra voi vuole essere grande, sia vostro servo, e
chi tra voi vuole essere primo, sia schiavo di tutti. Infatti il Figlio dell' uomo non è
venuto per essere servito, ma per servire e per dare la propria vita in riscatto per
molti»” (Mc 10,42-45).
“Ora il numero, la “quantità” a cui la storia ci ha anche troppo abituati, sono una
ricchezza che conferisce potere. Si conosce poco quell’augurio di Francesco
richiamato dal testo paolino: “ la potenza di Dio si manifesta nella debolezza” (2 Co
12,9; 1Co 1,25)… “se possibile, venga il giorno in cui il mondo, vedendo molto
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raramente i frati minori, si meravigli che siano diventati così poco numerosi” (2Cel
70,5-6) (p. 37).
“Allora fece ritorno ai suoi frati e disse loro pieno di gioia: «Carissimi, confortatevi e
rallegratevi nel Signore; non vi rattristi il fatto di essere pochi; non vi spaventi la mia e
vostra semplicità, perché, come mi ha rivelato il Signore, Egli ci renderà una
innumerevole moltitudine e ci propagherà fino ai confini del mondo. Sono costretto a
raccontarvi a vostro vantaggio quanto ho veduto; sarebbe più opportuno conservare il
segreto, se la carità non mi costringesse a parlarne.
Ho visto una gran quantità di uomini venire a noi, desiderosi di vivere con l'abito della
santa Religione e secondo la Regola del nostro beato Ordine. Risuona ancora nelle
mie orecchie il rumore del loro andare e venire conforme al comando della santa
obbedienza! Ho visto le strade affollate da loro, provenienti da quasi tutte le nazioni:
accorrono francesi, spagnoli, tedeschi, inglesi; sopraggiunge la folla di altre varie
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lingue». Ascoltando queste parole, una santa gioia si impadronì dei frati, per la grazia
che Iddio concedeva al suo Santo, perché assetati come erano del bene del prossimo,
desideravano che ogni giorno venissero nuove anime ad accrescere il loro numero per
trovarvi insieme salvezza” (1Cel XI, 27).
Sappiamo tutti che non è il numero che conta, ma la qualità della vita. Ma
non possiamo arrivare a considerare il numero elevato dei frati semplicemente
come un fatto negativo. Invece di dire che è meglio non avere vocazioni
dovremmo risentire nel cuore la santa gioia per l’arrivo di nuovi fratelli e ardere
interiormente del desiderio di nuovi apostoli che annuncino il vangelo. Il
progetto di rifondazione dell’Ordine esige che siamo animati dall’ardente ideale
di una fraternità universale.
Conclusione
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che in passato hanno dato i migliori frutti e meditando la vita dei santi che, in fin
dei conti, sono ancora l’unica apologia credibile del cristianesimo. Non si tratta
di ripetere meccanicamente, ma di reinterpretare creativamente tutti gli atomi di
verità e di bellezza che Dio ha seminato nella nostra storia.
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