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”La santa obbedienza confonde tutte le volontà corporali e carnali e ogni volontà
propria, e tiene il suo corpo mortificato per l'obbedienza allo spirito e per l'obbedienza
al proprio fratello; e allora l'uomo è suddito e sottomesso a tutti gli uomini che sono
nel mondo, e non soltanto ai soli uomini, ma anche a tutte le bestie e alle fiere, così
che possano fare di lui quello che vogliono per quanto sarà loro concesso dall'alto del
Signore” (Cf. Gv 19,11) (SalVirt 14-18).
Appartiene a tutti e tutti fanno di lui quello che vogliono. Non si può
difendere dalle diverse e contrastanti interpretazioni che si fanno di lui. Lo
studio critico del francescanesimo è diventato oggi una scienza difficilissima,
riservata ad un manipolo di eruditi professori universitari, che coltivano i loro
campi di indagine specializzati e che sono lontanissimi dal sentire della gente
comune, che invece continua a vedere Francesco in modo poetico e trasognato.
Per chi si accosta alla ricerca storia su Francesco d‟Assisi e sul primitivo
movimento francescano resta sempre aperto il grande problema posto - ormai da
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cent‟anni - dalla questione francescana: qual è il volto autentico di Francesco,
quello tramandato dalle fonti storicamente più attendibili? Qual è il suo
messaggio autentico, che possa costituire per noi un‟eredità vivente? Francesco
era un eretico o un santo? Un poeta o un organizzatore? Un mistico o un
apostolo?
Per noi frati, esitanti a metà strada tra devozione ed erudizione, c‟è il
pericolo di perderci nel romanticismo evanescente o nel nozionismo più sterile.
Dobbiamo rifuggire dalle interpretazioni riduttive. Francesco è un uomo di Dio,
con una personalità variegata e polivalente. In quanto mistico è inimitabile. Il
segreto del gran Re resta per sempre sigillato, e il mistero della sua vita di
preghiera ci resterà sempre precluso.
Non possiamo conoscere l‟azione interiore di Dio nell‟anima di un santo.
Già Guglielmo di Saint Thierry, mistico e teologo cistercense, trovandosi a
dover scrivere la vita del suo grande amico e riformatore monastico
S.Bernardo è costretto a riconoscere francamente:
“sulla sua vita interiore - del Cristo che vive in lui - non possiamo scrivere nulla.
Scriviamo una vita descrivendo le opere esterne compiute da Bernardo, quelle opere
esterne che sono prova della sua vita interiore. Nel suo cuore non leggiamo, ma in
quello che ha fatto si riflette la sua vita interiore”1.
È così con ogni santo, anche con Francesco: non possiamo leggere nella
sua anima. Dobbiamo scrutare le tracce storiche che di lui ci restano per risalire
ai doni che Dio gli ha fatto. Egli è imitabile e modello normativo in quanto
forma minorum. Lui ha voluto porsi esplicitamente come forma minorum:
“Noi che siamo vissuti con lui, siamo in grado di testimoniare a suo riguardo che... una
volta, notando come i frati già debordavano dai limiti della povertà e della discrezione
sia nei cibi che nelle altre cose, disse ad alcuni, con l'intenzione di rivolgersi a tutti: «
Non pensano i fratelli che al mio corpo sarebbe necessario un vitto speciale? Eppure,
siccome devo essere modello ed esempio per tutti i fratelli, voglio che mi bastino
alimenti da povero e oggetti grossolani ed esserne contento” (LegPer 2).
Francesco è maestro con l‟esempio della sua vita, più che con un
insegnamento teorico e sistematico. E la sua vita acquista la sua specificità solo
perché segnata da un‟eccezionale esperienza di Dio. San Francesco risulterebbe
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GUGLIELMO DI SAINT-THIERRY, Vita di San Bernardo, Opere/2, (Roma 1997) 37.
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assolutamente incomprensibile, come uomo e come santo, se non tenessimo
conto del suo radicale e totale orientamento a Dio. Questo ha plasmato tanto la
sua vita di preghiera quanto il suo modo di fare apostolato.
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percepisce in Francesco un uomo profondamente segnato dall‟esperienza di
Dio. Si tratta di un uomo che vive nel radicamento divino il mistero profondo
della sua persona. Il suo senso di autoidentità, la sua opzione fondamentale
esistenziale sono risposta al senso della presenza di Dio, in cui Francesco si è
immerso senza tentennamenti.
Dio non è argomento di un discorso o meta di un riferimento etico. Si
tratta di una ricerca insonne e di una scoperta costante, inesauribile, mai
appagata, in alcuni momenti lacerante e persino ossessiva. Il volto nascosto di
Dio sembra rivelarglisi progressivamente, e ogni guizzo della luce divina
diventa un riflesso che illumina anche l‟identità di Francesco, che si vede solo
in riferimento a Dio «Chi se' tu, o dolcissimo Iddio mio? Che sono io, vilissimo
vermine e disutile servo tuo?» (Cf. Terza Considerazione sulle stimmate; FF
1915).
Dio non è un‟essenza filosofica o un‟entità spirituale vaga: si tratta del
Dio Trinitario, del Dio della storia. Penso che ormai si possa rispondere con
relativa tranquillità alla questione del cristocentrismo francescano. In realtà la
spiritualità di Francesco è trinitaria, più che cristocentrica. Ogni volta che negli
scritti di Francesco si parla di Cristo è in contesto trinitario, o in riferimento
all‟azione salvifica trinitaria. Come ha rilevato Nguyen-Van-Khanh nel suo
famoso studio sulla cristologia degli scritti di San Francesco:
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NGUYEN-VAN-KHANH N., Gesù Cristo nel pensiero di San Francesco secondo i suoi scritti,
Milano 1984, 326-327. ”Si dice spesso che la spiritualità di Francesco è cristocentrica. È vero.
Ma non è pan-cristica. Scrive A. de Vogüé che nel Maestro e in san Benedetto, per esempio
«Cristo è onnipresente, onniagente, in modo tale che la Seconda Persona sostituisce la Prima
nell‟ insieme dei rapporti tra Dio e gli uomini. È troppo poco in tal caso parlare di
cristocentrismo. Si dovrebbe piuttosto dire che la spiritualità del Maestro è pan-cristica». (A.
DE VOGÜE, La paternité du Christ dans les règles de saint Benoît et du Maître, in ”Vie
Spirituelle” 46 (1964), pp. 59 e 62). Quanto a Francesco, egli non perde mai di vista la
persona di Cristo, ma egli lo vede sempre come Mediatore, cioè sempre in relazione da una
parte col Padre e dall'altra con tutti gli uomini. È insufficiente dire che la spiritualità di
Francesco è cristocentrica: si deve aggiungere che prende il suo punto di partenza dallo Spirito
Santo e si orienta verso il Padre. Nella luce dello Spirito Santo per mezzo del Figlio diletto,
verso il Padre celeste, ecco l‟itinerario che Francesco d‟Assisi ha seguito e che propone a tutti
gli uomini. L‟originalità di Francesco è quella stessa del Vangelo. Dopo sette secoli, il
Poverello non cessa di essere attuale: è semplicemente perché il suo messaggio è quello stesso
del Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo”.
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Ripercorriamo questo tragitto a ritroso. Francesco ha vissuto il mistero
dell‟Incontro con l‟ineffabile Dio che gli si rivela Padre. Fin dall‟inizio esprime
infatti il passaggio alla vita nuova penitenziale con la scoperta della paternità
nuova di Dio:
“D'ora in poi voglio dire: „Padre nostro, che sei nei cieli‟, non più ‟padre mio Pietro di
Bernardone‟" (3Comp 20).
Questa donazione a Dio Padre diventa sempre più assorbente nella sua
sovrabbondanza, fino a raggiungere un possesso totalizzante ed esclusivo nella
vita di Francesco. Un testo della Regula non Bullata esprime bene questo
radicalismo teologico:
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S. BONAVENTURA, Itinerarium mentis in Deum I, 2, Opere di S. Bonaventura V/1 Roma
1993: “ipsa rerum universitas sit scala ad ascendendum in Deum”.
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Signore, ma io ti conosco, perché vivo di Te. È un “Todo y nada” forse più
radicale di quello dell‟ascetica carmelitana.
La lode e il rendimento di grazie assumono allora il ritmo della vita. Il
respiro diventa preghiera, tutta la vita diventa preghiera, perché riconduce tutto
alla lode di Dio. Francesco stesso diventa preghiera, secondo la notissima
espressione di Tommaso da Celano:
"...dirigeva tutta la mente e l'affetto a quell'unica cosa che chiedeva a Dio: non era
tanto un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera
vivente (2Cel 95) 6.
“E guardiamoci bene dalla malizia e dall'astuzia di Satana, il quale vuole che l'uomo
non abbia la sua mente e il cuore rivolti a Dio” (RnB XXII,19).
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“Omnem sic et intuitum et affectum in unam quam petebat a Domino (Ps 26,4) dirigebat,
totus non tam orans quam oratio factus” (2Cel 95).
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1.2. L‟incontro con il Signore diventa storia e carne nell‟incontro con il
crocifisso. La croce è la forma della rivelazione. Si può dire semplicemente che
Francesco ha sperimentato la rivelazione dell‟amore di Dio nel mistero di Cristo
crocifisso, secondo l‟insegnamento di Giovanni:
“Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è
generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è
amore. In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo
unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l'amore:
non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio
come vittima di espiazione per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amato, anche
noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni
gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi. [13]Da questo si conosce
che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha fatto dono del suo Spirito” (1Gv 4,7-
12).
“La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori
per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5).
“Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E
voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete
ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!»”
(Rm 8, 14-15).
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”Quei frati ai quali il Signore ha concesso la grazia di lavorare, lavorino con fedeltà e
con devozione così che, allontanato l'ozio, nemico dell'anima, non spengano (Cf. 1Tes
5,19) lo spirito della santa orazione e devozione, al quale devono servire tutte le altre
cose temporali” (RB V,1-2).
“In quel tempo i frati gli chiesero con insistenza che insegnasse loro a pregare, perché,
comportandosi con semplicità di spirito, non conoscevano ancora l'ufficio liturgico. Ed
egli rispose: «Quando pregate, dite: Padre nostro! e: Ti adoriamo, o Cristo, in tutte le
tue chiese che sono nel mondo e Ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai
redento il mondo ». E questo gli stessi discepoli del pio maestro si impegnavano ad
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osservare con ogni diligenza, perché si proponevano di eseguire perfettamente non
solo i consigli fraterni e i comandi di lui, ma perfino i suoi segreti pensieri, se
riuscivano in qualche modo a intuirli” (1Cel 45).
“Francesco… si levò e, alzando in alto la mente e il volto, con le mani elevate, tutto
infiammato con indicibili lacrime e con devota lentezza ripeteva continuamente queste
parole: «Dio mio e mio tutto, Dio mio e mio tutto». E così, ripetendo per quasi tutta la
notte queste parole, non diceva altro… e infatti, da uomo devoto e umile… avendo
un‟umile opinione di sé, attribuiva tutto a Dio e con devota ammirazione riferiva a Lui
tutte le grazie. Messer Bernardo… avendo visto tutto, alzatosi al mattino, tutto acceso
di devozione, disse a san Francesco: « Frate Francesco, ho fatto proposito di
abbandonare del tutto il mondo, e di seguirti, e fare tutto quello che mi
comanderai»”8.
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C. PAOLAZZI, Lettura degli scritti di Francesco d’Assisi, Milano 1987, 31-51.
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“Franciscus...surrexit et mente et vultu sursum intendens, elevatis manibus, totus ignitus
cum indicibilibus lacrymis et devota morositate haec verba continue replicabat: «Deus meus et
omnia, Deus meus et omnia». Et sic quasi per totam noctem haec replicans aliud non dicebat...
namque vir devotus et humilis… de se humiliter sentiens, totum Deo attribuens cum quadam
devota admiratione eidem gratias referebat. Quae omnia cum dominus Bernardus...
conspiceret, surgens mane totus devotione succensus, dixit sancto Francisco: «Frater
Francisce, ego proposui penitus mundum relinquere et te sequi ac facere quaecumque
mandaveris mihi»”. Vita Fratris Bernardi de Quintavalle, in: Chronica XXIV Generalium
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Bernardo spia la preghiera di Francesco, come farà anche frate Leone sul
monte della Verna, in una circostanza simile. I frati vedono che Dio è tutto per
Francesco e che tutto il nostro bene va restituito a Dio. Per tutto bisogna rendere
grazie. Appare che la preghiera è la forza da cui Francesco attinge la vita e la
missione. I frati capiscono che è Dio il centro dell‟esistenza di Francesco e
dunque lo seguono nella stessa avventura. La preghiera rivela il volto segreto di
Dio, che attira con fascino irresistibile. La fraternità può essere fondata solo
sull‟assoluto di Dio. Sarebbe veramente patetico voler cercare un diverso
fondamento alla nostra vita.
2.2. La preghiera dunque è l‟anima della fraternità, perché siamo entrati tutti in
fraternità per cercare Dio. Dovremmo ricordarci sempre perché siamo entrati in
convento. La preghiera probabilmente è l‟occasione migliore per farlo. Ci si
ritrova intorno a Dio perché si crede ancora alla propria vocazione e si cerca
continuamente di conoscerla meglio per attuarla più perfettamente.
Thomas Merton, il famoso monaco trappista americano, ha scritto che la
domanda « Cosa cerchi?» è il principio di base della spiritualità monastica (e
secondo noi di ogni vita religiosa):
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mo veri monaci dovremo infatti costantemente riscoprire cosa significhi essere
monaco e non esauriremo mai la pienezza di significato della nostra vocazione.
Quando entriamo in monastero possiamo avere o non avere una precisa coscienza sul
perché abbiamo lasciato il mondo. Possiamo dare una risposta, più o meno chiara, alla
domanda: "Perché sei venuto qui?". Ma questa è una di quelle domande che
dovremmo porci continuamente nel corso della nostra vita monastica: "Cosa stai
facendo qui? Perché sei venuto qui?". Non che sia una domanda di cui non
conosciamo la risposta, ma tendiamo a dimenticarla.
Talvolta esitiamo a porci questa domanda, temendo che possa minare le fondamenta
della nostra vocazione. Ma è una di quelle domande che non dovrebbero mai essere
eluse. Se la prendiamo seriamente, rafforzeremo la nostra vocazione. Se la eludiamo,
anche con un santo pretesto, possiamo aprire la strada all'indeterminazione della nostra
vocazione. Il monaco che cessa di domandarsi: 'Amice, ad quid venisti?" (RB 60,3; cf.
Mt 26,50) forse ha cessato di essere monaco” 9 .
2.3. Pregare in fraternità dunque dovrebbe essere tanto ovvio quanto cercare
Dio. Dovrebbe essere lo sgorgare spontaneo e coerente di una comune ricerca e
perfezionamento della nostra vocazione religiosa. La mia preghiera alimenta la
vita dei miei fratelli quanto e più ancora di quanto sostenga la mia. A sua volta
la preghiera dei fratelli custodisce e alimenta il mio cammino vocazionale più
efficacemente forse di quanto non lo facciano le mie stesse preghiere.
Purtroppo non sempre abbiamo coscienza di tutto questo. Già ai tempi di
Francesco le cose cominciavano a complicarsi. Francesco stesso deve
intervenire con durezza e severità, manifestando chiaramente di non riuscire ad
affrontare la situazione con serenità e pacatezza. Nella Lettera a tutto l‟Ordine
arriva a minacciare e rinnegare quei frati che non accettavano di buon grado le
disposizioni comuni sulla preghiera liturgica dell‟Ufficio Divino e le
disposizioni della regola:
“Perciò scongiuro, come posso, frate H. (Elia) ministro generale, mio signore che
faccia osservare da tutti inviolabilmente la Regola, e che i chierici dicano l'ufficio con
devozione, davanti a Dio, non preoccupandosi della melodia della voce, ma della
consonanza della mente, così che la voce concordi con la mente, la mente poi concordi
con Dio, affinché possano piacere a Dio, mediante la purezza del cuore, piuttosto che
accarezzare gli orecchi del popolo con la mollezza del canto.
Per quanto mi riguarda, io prometto di osservare fermamente tutte queste cose, come
Dio mi darà la grazia, e le insegnerò ai frati che sono con me perché le osservino,
riguardo all'ufficio e alle altre norme stabilite dalla Regola. Quei frati, poi, che non
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vorranno osservare queste cose, non li ritengo cattolici, né miei frati; non li voglio
neppure vedere né parlare con loro, finché non abbiano fatto penitenza” (EpOrd 40-
44).
Qui risiede tutto il problema che appare ancora dinanzi a noi nella sua
evidenza. La preghiera è la reale forza di ogni vita spirituale, personale e
comunitaria. Ma pur essendo un valore teoricamente apprezzato ed esaltato fino
alla nausea, non diventa, poi, di fatto, il centro della nostra vita. Che fare?
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"Mentre precedentemente la dottrina sulla vita consacrata si incentrava
prevalentemente sull'analisi dei voti, si nota ora una sempre maggiore preoccupazione
di evidenziare ciò che unifica i voti. Essi sono « l'espressione di una totale
consacrazione a Dio e, insieme, il mezzo che porta alla sua pratica attuazione » (RD 7).
Questi due documenti vengono così ad incentrare l'attenzione in modo sempre più
rilevante, rispetto al passato, sulla consacrazione come elemento costitutivo e
caratterizzante la vita consacrata" 10.
"Molti oggi, in nome di un apostolato più libero, e, secondo loro, più efficace,
contestano o abbandonano la vita religiosa. Non si erano consacrati a Dio nella castità,
nella povertà e nell'obbedienza (con tutti gli aiuti, ma anche con i necessari limiti che
ciò comporta) ma ad una attività, per svolgere la quale la vita religiosa doveva servire
da mezzo. Quando questo, a loro modo di vedere, non si verifica più, l'abbandonano.
Ed è ancora per questo motivo che molti altri, pur vivendo esteriormente da religiosi,
lo fanno con estrema fatica, perché interiormente non si sentono tali. La loro
consacrazione rimasta a livello giuridico e formale, è ridotta alla "pratica " dei voti,
perché il Dio al quale si dovevano consacrare è rimasto per loro esistenzialmente
ignoto. La conseguenza è che "l'appartenenza" a Lui è stata sostituita con l'inserimento
in una istituzione, e la vita religiosa è stata ridotta ad una struttura. In tali condizioni
essa diventa solo un peso che si finisce o col rifiutare o col sopportare in
rassegnazione. Da qui le defezioni o il triste spettacolo di persone che, pur essendosi
ufficialmente consacrate all'amore, ne diventano la negazione vivente" (L’Osservatore
Romano, 19.XI.1973).
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F. CIARDI, La vita consacrata nel presente della Chiesa e del mondo, in: AA.VV., Vita
consacrata, un dono del Signore alla sua Chiesa, Leumann (Torino) 1993, 29.
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Anche Francesco alla fine si è arreso e ha capito che non si può far
diventare santo nessuno per forza. La Compilatio Assisiensis testimonia questo
momento di grande sconforto di Francesco, che vede i frati dare un cattivo
esempio e ne resta tanto addolorato da riconsegnare a Dio la sua famiglia
religiosa.
“Francesco ...ripeteva spesso ai frati, sia nei Capitoli che nei trattenimenti intimi: « Io
ho giurato e risoluto di osservare la Regola, e allo stesso impegno si sono obbligati
tutti i frati. E dunque, da quando lasciai il governo della fraternità a causa delle mie
malattie, per il maggior bene dell'anima mia e dei fratelli, verso di loro non ho che
l'obbligo del buon esempio... I frati hanno la loro Regola, e hanno giurato di
osservarla. Affinché non si appiglino a scuse, quando al Signore piacque di costituirmi
loro prelato, l'ho giurata anch'io, e intendo osservarla fino alla mia morte. Dal
momento che i frati sanno benissimo cosa è loro dovere fare e cosa evitare, a me non
resta che ammaestrarli con il comportamento. Per questo sono stato dato loro mentre
vivrò e dopo che sarò morto»” (LegPer 87).
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