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La creazione in Cristo nella teologia dogmatica

contemporanea: una proposta di sintesi

Santiago Sanz Sánchez


Pontificia Università della Santa Croce
Roma

È ben noto che uno degli elementi più caratteristici che la teologia bibli-
ca contemporanea ha offerto al rinnovamento della teologia dogmatica è
quello di una più decisa ripresa della questione — già presente nella rifles-
sione dei Padri della Chiesa — della creazione in Cristo, che si è mostrata ca-
pace di ridare alla dottrina della creazione la sua collocazione originaria-
mente teologica.1
Nel contesto del dialogo tra le culture e le religioni a cui siamo chiamati
in un modo speciale nell’odierna situazione, il cristianesimo si sente certa-
mente portatore di una pretesa universale di verità, nella misura in cui affer-
ma che solo in Cristo si trova la salvezza dell’uomo e del mondo, perché solo
Lui è «la via, la verità e la vita» (Gv 14,10). Questo implica senza dubbio che la
relazione di Cristo con la creazione non è affatto estrinseca, bensì che, come
affermano le diverse tradizioni neotestamentarie, tutto è stato fatto in Lui, per
mezzo di Lui, in vista di Lui (cfr. Col 1,15-18; Gv 1,3; 1 Cor 8,6; Eb 1,2; Ef 1,10).
Il cristiano, forte della grazia dello Spirito Santo, non esita ad annunciare agli
uomini che «la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana»2 si trova in

1. Mi permetto di rimandare al mio studio Creación y alianza en la teología contemporánea:


status quaestionis y reflexiones filosófico-teológicas, Roma 2003; e, più brevemente, Crea-
ción y alianza en la teología contemporánea: síntesis de las principales claves de lectura,
«Annales theologici» 18 (2004) 111-154.
2. Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 10; ecco il contesto
dell’espressione citata: «la Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà sempre

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Gesù di Nazaret, il Figlio eterno del Padre che è venuto nella nostra carne.
Non ci sono quindi un’uomo o un mondo alieni, indipendenti dalla loro
chiamata ad essere figli di Dio in Cristo. Alla fine di un noto saggio sul cristo-
centrismo, il Cardinale Giacomo Biffi — citando il teologo Inos Biffi — ha
spiegato questa idea in un modo forte e pressante: «Non c’è dimensione o
aspetto dell’essere concreto che sia estraneo, quasi “indenne”, rispetto a Gesù
Cristo o indipendente dalla sua relazione con lui. Non esiste un ordine “natu-
rale” “di fronte” ad un ordine “soprannaturale”. Tutto — di fatto — è “nella
grazia”. Tutto è stato chiamato a esistere perché Dio anzitutto ha chiamato
all’esistenza l’umanità del suo Figlio, “Primogenito di ogni creazione” (Col
1,15-17): questo comunicarsi estremo di Dio — il Figlio fatto uomo — questa
“grazia”, spiega ogni “natura”, che si trova a esistere “per grazia” e “in grazia”
(cfr. 1Cor 8,6)».3
Nel contesto del dialogo del cristianesimo ad extra, in cui ci siamo collo-
cati fin dall’inizio, questa netta affermazione potrebbe apparire ad alcuni al-
meno fideistica. Infatti, se si dichiara che solo in Cristo trovano senso la real-
tà e l’esistenza umana, sembrerebbe chiudersi la possibilità di affermare valori
e principi fondamentali da parte di chi non condivide la nostra fede nel Si-
gnore. Questa è la preoccupazione che porta il Cardinal Cottier a denun-
ciare — nel rispondere a una domanda sulle confusioni che si possono rin-
tracciare nell’odierna teologia cattolica — l’inadeguatezza di un pensiero
teologico che denomina “pancristismo”, e che descrive in questo modo: «Un
sistema teologico che assorbe tutta la realtà in Cristo finisce per fare di Cristo
una sorta di postulato metafisico dell’affermazione di valori umani. E ci
rende incapaci di fare dialogo serio, anche a livello dei diritti dell’uomo. E
poi, dire che tutti sono già di Cristo, lo sappiano o no, può rendere inutile la
missione […] Se tutto è grazia, non c’è più grazia».4

all’uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza per rispondere alla sua altissima vocazione;
né è dato in terra un altro Nome agli uomini, mediante il quale possono essere salvati.
Essa crede anche di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta
la storia umana. Inoltre la Chiesa afferma che al di là di tutto ciò che muta stanno realtà
immutabili; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri,
oggi e nei secoli. Così nella luce di Cristo, immagine del Dio invisibile, primogenito di
tutte le creature il Concilio intende rivolgersi a tutti per illustrare il mistero dell’uomo e
per cooperare nella ricerca di una soluzione ai principali problemi del nostro tempo».
3. I. Biffi, Progettati in Cristo, Milano 1993, 14; citato da G. Biffi, Approccio al cristocentris-
mo, Milano 1994, 94.
4. G. Cottier, Se tutto è grazia, non c’è più grazia, intervista di Gianni Valente, «30 Gior-
ni», 22/3 (2004) 24-32; qui, 31, dove si legge anche quanto segue: «La rinuncia a distin-
guere ciò che è distinto porta alla confusione e nega quello che magari in principio si vo-

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La creazione in Cristo nella teologia dogmatica contemporanea: una proposta di sintesi

Queste due citazioni prese da due Cardinali eminenti pensatori, mostra-


no, a mio avviso, come l’odierna teologia della creazione si trovi nella situa-
zione di dover coniugare due esigenze che, pur legittime, potrebbero apparire
contrapposte: da una parte, l’affermazione decisa dell’unità del disegno di
Dio in Cristo, per non cadere nell’estrinsecismo di chi vede l’incarnazione re-
dentrice come un’aggiunta esterna alla creazione; e, dall’altra parte, la non
meno necessaria affermazione della distinzione fra la natura e la grazia, per
evitare le diverse accuse di fideismo (o addiritura fondamentalismo) da parte
di chi vede lesa così l’autonomia propria dell’ordine naturale.
Quasi come falsariga di un futuro studio più approfondito sull’argomen-
to, in questa comunicazione mi limiterò a segnalare i tre punti fermi che, a
mio modo di vedere, dovrebbero essere presenti in un’articolazione teologica
di ciò che si intende affermare quando si parla del rapporto fra Cristo e la
creazione. Seguendo l’uso non irrilevante delle preposizioni nei principali te-
sti del NT prima riportati, si possono enumerare tali punti in questo modo:
un cristocentrismo forte e chiaro di partenza (in Cristo); un cristocentrismo
trinitario (per mezzo di Lui) e escatologico (in vista di Lui); e infine, come
presupposto di tutto ciò, un cristocentrismo capace di dialogo, ovvero un rea-
lismo cristologico.

1. Un cristocentrismo forte e chiaro di partenza (in Cristo)

«In lui (ἐν αὐτῷ) sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle
sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili […]. Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui (δι᾽ αὐτοῦ) e in vista di lui (εἰς αὐτόν). Egli è prima di tutte
le cose e tutte sussistono in lui (ἐν αὐτῷ)» (Col 1, 16-17). Prenderò come pun-
to di partenza questi noti versetti, appartenenti all’inno cristologico della Let-
tera ai Colossesi5 perché solo qui troviamo insieme le tre preposizioni con le

leva difendere. Se tutto è grazia, non c’è più grazia […]. Ci sono valori umani religiosi
molto rispettabili, ma non vuol dire che sono salvifici. Sono di un ordine diverso rispetto
alla grazia di Cristo che salva. Forse a volte la distinzione tra grazia e natura è stata pre-
sentata male, come se fosse sovrapposizione della grazia sulla natura. Che non è mai il
pensiero di Tommaso. La grazia opera dal di dentro della natura. Ma la natura ha la sua
consistenza propria».
5. L’inno di Col 1,15-20 è stato oggetto di numerosi commentari nelle ultime decadi. Cfr. P.T.
O’Brien, Colossians. Philemon (WBC 44), Waco, TX 1982, 31-63, con ampia bibliografia
(31-32), ovviamente fino a quel momento. Qui seguiamo il commento più recente di J.-N.
Aletti, Lettera ai Colossesi. Introduzione, versione e commento, Bologna 1994, 83-107, che

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quali le tradizioni neotestamentarie descrivono l’azione creatrice in rapporto


al Cristo.6
Inanzitutto c’è l’ἐν con il dativo, la cui posizione iniziale, e quindi enfati-
ca, fa capire un’insistenza designativa che sottolinea l’unicità della media-
zione. L’espressione potrebbe però intendersi in un senso strumentale (so-
prattutto se si avverte il parallelismo con alcuni testi sapienziali dell’AT), ma
in realtà, se dobbiamo leggere il brano nella sua unità, il senso di questo ἐν
all’inizio del v. 16 lo si trova in rapporto all’altro ἐν alla fine del v. 17, dove si
specifica che tutto sussiste in lui. La mediazione di Cristo non si è esercitata
solo all’inizio, ma ha un carattere permanente, e questo è dunque il senso, la
permanenza e sussistenza di tutte le cose in lui, che dobbiamo accordare a
questa prima preposizione: tutte le cose sono state create in lui; egli è quindi
la ragione di essere di tutto ciò che esiste, il loro fondamento permanente.7
Qui trova il suo sostegno l’espressione «creazione in Cristo», che, come
abbiamo già accennato, costituisce il caposaldo del rinnovamento del trattato
De Deo creante a partire dalla seconda metà del XX secolo. Si tratta di una de-
cisa ripresa della prospettiva cristocentrica, che vede in unità il disegno divi-
no di creazione e salvezza in Cristo. In questo senso, la creazione in Cristo si
mostra in continuità con la prospettiva veterotestamentaria dello stretto le-
game tra creazione e alleanza, messo in evidenza a partire dalle note tesi svi-
luppate da von Rad in campo biblico e da Barth in quello dogmatico: come
nell’AT la creazione è inserita nella prospettiva storico-salvifica della fede di
Israele, e quindi vista come finalizzata all’alleanza, così anche nel NT la fede in
Cristo Salvatore porta ad una estensione del suo ruolo anche quale creatore
dell’universo e dell’uomo.8

si orienta verso il carattere innico, anziché di confessione di fede, del testo (cfr. 84ss.); in-
oltre, questo autore ha studiato in dettaglio il brano in questione, con riferimento alla te-
matica sapienziale, in Idem, Colossiens 1-15-20. Genre et exégèse du texte. Fonction de la te-
matique sapientelle, Roma 1981.
6. Per una visione d’insieme e commento teologico dei principali testi del NT su Cristo e la
creazione, cfr. F. Mussner, Creazione in Cristo, in Mysterium Salutis. Manuale di Teologia
come Storia della Salvezza, IV, Brescia 1970, 77-88; si può vedere anche L. Scheffczyk,
Schöpfung und Vorsehung, Freiburg im Breisgau 1963, 13-23.
7. Cfr. Aletti, Lettera, 93-94, che cita J. Huby: «in lui tutte le cose sono state create come
nel centro supremo di unità, di armonia, di coesione, che dà al mondo il suo senso, il suo
valore e perciò la sua realtà» (J. Huby, Saint Paul. Les épîtres de la captivité, Beauchesne,
Paris 19472, 40; citato in Aletti, Lettera, 94).
8. Su questo tema, cfr. i miei studi citati a nota 1.

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La creazione in Cristo nella teologia dogmatica contemporanea: una proposta di sintesi

La riflessione teologico-dogmatica ha cercato di approfondire speculati-


vamente la portata dell’affermazione paolina; in questo senso, alcuni impor-
tanti teologi cattolici sostengono che si debba parlare di Cristo come condi-
zione di possibilità della creazione stessa (Rahner e Balthasar), in quanto la
sua mediazione non è meramente strumentale, ma di portata metafisico-per-
sonale;9 questa prospettiva è condivisa nella teologia protestante, ad esempio
da Pannenberg, il quale aggiunge che Cristo, in quanto Figlio diverso dal
Padre, è la condizione di possibilità di tutto ciò che è realmente diverso da
Dio;10 è stato anche sottolineato che, in quanto Parola (λόγος) primordiale,
lui è condizione di ogni ulteriore parola e punto di riferimento di essa; anzi,
in quanto Figlio incarnato, è la causa esemplare di tutto, poiché tutto è stato
creato in lui.11 «La possibilità della creazione risulta obiettivamente fondata
sul fatto dell’incarnazione: l’incarnazione infatti rivela la possibilità della co-
municazione dell’essere proprio di Dio in una natura che non è quella divina:
questa è la creazione».12
Questi approfondimenti sono stati di particolare influsso per quanto ri-
guarda la dibattuta questione del soprannaturale. O meglio ancora: il dato
della creazione in Cristo è stato ripreso come un nuovo modo di impostare il
problema del soprannaturale, per evitare la deriva estrinsecista e quasi duali-
stica di una certa interpretazione neoscolastica che continuava a vedere i due
ambiti, del naturale e del soprannaturale, come giustapposti. Ormai si prefe-
risce parlare del binomio creazione-alleanza, più biblico di quell’altro bino-
mio natura-grazia, frutto di una riflessione posteriore. In questa direzione si
muovono anche i tentativi di nuove espressioni proposte in seguito al noto
dibattito suscitato da alcune opere di De Lubac: l’«esistenziale soprannatu-
rale» di Rahner, la «condizione supracreaturale» dell’uomo (Ladaria); ed altre
più esplicitamente cristologiche, come l’«inclusione in Cristo» (Balthasar), e
quella proposta nell’ambito italiano di un «esistenziale cristico» (Alfaro-
Gozzelino).13

9. Cfr. A. Cordovilla, Gramática de la Encarnación. La creación en Cristo en la teología de


K. Rahner y Hans Urs von Balthasar, Madrid 2004.
10. Cfr. ad esempio, W. Pannenberg, Teologia sistematica, II, Brescia 1994, 32ss.
11. Cfr. S. del Cura Elena, Creación “ex nihilo” como creación “ex amore”: su arraigo y consi-
stencia en el misterio trinitario de Dios, «Estudios Trinitarios» 39 (2004) 114-115.
12. G. Colombo, Creazione. Riflessione teologica, “Nuovo Dizionario di Teologia”, Cinisello
Balsamo 1977, 217.
13. Cfr. Sanz, La relación, 273-279.

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Nonostante ciò, questi approfondimenti devono fare i conti con alcune


nuove prospettive d’interpretazione emerse in ambito biblico per quanto ri-
guarda il rapporto creazione-alleanza. In particolare, con gli autori (tra i quali
spicca il nome di Westermann)14 che, nelle ultime decadi, hanno rivendicato
una certa indipendenza della nozione veterotestamentaria di creazione ri-
spetto alla nozione di alleanza. Appare molto significativo a questo riguardo
un fatto poco considerato nella letteratura, cioè la rettifica di von Rad nella
sua ultima opera, Sapienza in Israele, della sua comprensione esclusivamente
storico-salvifica della fede veterotestamentaria nella creazione.15
Un’altra difficoltà proviene dalla considerazione dell’ordine di esposi-
zione dei trattati. A questo proposito è indicativo il dialogo critico di Johann
Auer, sviluppato nell’epilogo del suo manuale di dogmatica,16 nei confronti di
un suggerimento di Giuseppe Colombo. In un noto articolo,17 Colombo aveva
avanzato la proposta, fondata sull’interpretazione della dottrina biblica della
creazione in funzione dell’alleanza e quindi di Cristo, di dare una nuova col-
locazione teologica al trattato della creazione: dopo i trattati che versano sulla
storia della salvezza, vale a dire, dopo la cristologia, e non prima, come invece
succedeva nella manualistica precedente.
Auer riconosce che questa proposta porta con sé una esigenza irrinun-
ciabile per la teologia, che egli stesso ha cercato di tener presente nel suo ma-
nuale, e che può riassumersi nella critica alla «separazione del problema della
salvezza dal problema della creazione».18 Quella separazione constituirebbe,
secondo Colombo, un difetto del falso pensiero cosmico che dal Medioevo è
penetrato nella riflessione cristiana, la quale ha bisogno di liberarsene e di
tornare al pensiero biblico. Al contempo, Auer manifesta il suo disaccordo
con Colombo, il quale «pretende di capire il problema della creazione a par-
tire dal problema della salvezza».19 Il rischio qui soggiacente sarebbe quello di
concepire l’unità del disegno divino di creazione e redenzione come un siste-
ma necessario, al modo hegeliano, mettendo in pericolo la libertà di Dio nella
sua azione. Auer poggia queste considerazioni su alcuni argomenti biblici: fra

14. Si veda soprattutto C. Westermann, Creazione, Brescia 1974; e anche Idem, Teologia
dell’Antico Testamento, Brescia 1983.
15. Cfr. Sanz, La relación, 31-38, 205-259.
16. J. Auer, Piccola dogmatica cattolica 3: Il mondo come creazione, Assisi 1977, 663-667.
17. G. Colombo, La teologia della creazione nel XX secolo, in R. Van Der Gucht – H. Vor-
glimler (cur.), Bilancio della Teologia del XX secolo, III, Roma 1972, 44-66.
18. Auer, Il mondo, 666.
19. Ibidem.

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questi, il fatto che l’affermazione neotestamentaria della creazione in Cristo


ha come scopo quello di rafforzare la comprensione della Sua divinità, me-
diante il Suo inserimento nell’atto creatore di Dio.20
D’altra parte, secondo Auer, nella proposta di Colombo c’è una tendenza
a considerare come oggetto teologico «non in primo luogo la cosa, ma “il
senso della cosa”».21 Ci si troverebbe allora nella curiosa situazione di dover
affermare in cristologia il senso cristologico della creazione a partire dalla
fede nell’unico YHWH, e dover poi aspettare fino alla fine dei trattati su Cristo
per parlare del mistero della creazione. Auer sostiene invece che «se si vuol
intendere rettamente la cooperazione di Cristo nella creazione, si deve anzi-
tutto chiarire nella sua posizione propria il senso del mistero rivelato della
“creazione dal nulla”».22
A questo punto non è fuori luogo riportare un paragrafo di Sant’Atana-
sio, il quale, all’inizio del suo celebre trattato sull’incarnazione del Verbo, pre-
cisava: «conviene che prima parliamo della creazione dell’universo e di Dio
suo creatore, affinché si possa comprendere adeguatamente che il rinnova-
mento di esso è stato compiuto dal Verbo che lo creò all’inizio. Infatti, non si
vedrà alcuna contraddizione se il Padre ha operato la salvezza dell’universo
in colui per mezzo del quale l’ha creato».23
In definitiva, la domanda è: se Cristo, il Verbo incarnato, è Creatore in
quanto Figlio/Verbo del Padre oppure anche in quanto alla Sua umanità. Per
quanto riguarda il brano della Lettera ai Colossesi, ormai c’è accordo sul fatto
che il soggetto di tali enunciati è Cristo, e che lì non si vuole distinguere tra il
Verbo preesistente e il Verbo incarnato. Tuttavia, nessuno vuole affermare
esplicitamente che Gesù in quanto uomo è creatore. Il rischio da eludere è
quindi quello di una certa «restrizione» cristologica.
Per andare incontro a queste problematiche, occorre proseguire lo studio
delle preposizioni dei testi del NT, per evitare una visione troppo unilaterale.
La sussistenza di tutte le cose in Lui apre due prospettive complementari, ver-
so il mistero del Dio trinitario e verso il compimento escatologico dell’econo-
mia iniziatasi con la creazione.

20. Cfr. ibidem, 664-665.


21. Ibidem, 663.
22. Ibidem, 666.
23. Sant’Atanasio, De Incarnatione Verbi, n. 1 (PG 25,38C). Trad. tratta da L’Incarnazione del
Verbo, traduzione, introduzione e note a cura di E. Bellini (Collana di testi patristici 2),
Roma 1987, n. 1, 36-37.

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2. Un cristocentrismo trinitario (per mezzo di Lui) e escatologico


(in vista di Lui)

a) La seconda preposizione che compare nel testo della Lettera ai Colos-


sesi indica la mediazione di Cristo nella creazione: «tutte le cose sono state
create per mezzo di lui (δι᾽ αὐτοῦ)» (Col 1,16). È la stessa preposizione ado-
perata nel brano della Prima Lettera ai Corinzi, dove si assegna al Signore
Gesù Cristo un ruolo nell’azione creatrice, la quale è stata prima attribuita, in
quanto alla sua origine, al Padre: «c’è un solo Dio, il Padre, dal quale (ἐξ οὗ)
tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del
quale (δι᾽ οὗ) esistono tutte le cose» (1 Cor 8,6). Come è stato più volte se-
gnalato, ciò che in Rom 11,36 viene detto solo di Dio («da lui [ἐξ αὐτοῦ], gra-
zie a lui [δι᾽ αὐτοῦ] e per lui [εἰς αὐτόν] sono tutte le cose») trova qui una ul-
teriore esplicitazione, con la distinzione del ruolo del Padre quale origine da
quello del Figlio Gesù Cristo quale mediatore. Questa lettura suggerisce per-
tanto una sorta di passaggio dalla considerazione di Cristo come mediatore
della salvezza a quella della sua mediazione nella creazione, e quindi alla sua
preesistenza quale Figlio eterno e Verbo del Padre, come si evince anche dal
testo del Prologo giovanneo: «In principio era il Verbo, il Verbo era presso
Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per
mezzo di lui (δι᾽ αὐτοῦ)» (Gv 1,1-3); nonché dall’inizio della Lettera agli
Ebrei: «Dio, che aveva gia parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi
modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato
a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo
del quale (δι᾽ οὗ) ha fatto anche il mondo. Questo Figlio, che è irradiazione
della sua gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza
della sua parola, dopo aver compiuto la purificazione dei peccati si è assiso
alla destra della maestà nell’alto dei cieli» (Eb 1,1-3).
Anzitutto, dal punto di vista esegetico, conviene tener presente che il te-
sto di Col 1,16-17 costituisce una certa unità di senso, il che vuol dire che le
tre preposizioni esprimono in modo complementare la portata della media-
zione creatrice del Figlio, e quindi vanno prese insieme.24 Più concretamente,
come sottolinea Aletti, nel brano si dà una sorta di precisazione successiva, e
quindi ἐν αὐτῷ è completato da δι᾽ αὐτοῦ e εἰς αὐτόν.25 Così si spiega anche

24. Cfr. Aletti, Lettera, 94.


25. Cfr. ibidem; dove si rileva la corrispondenza fra questo completamento e quello del verbo
ἔκτισται rispetto al precedente ἐκτίσθη.

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La creazione in Cristo nella teologia dogmatica contemporanea: una proposta di sintesi

che l’ἐν iniziale non comporta strumentalità, ma solo che l’azione creatrice è
impregnata dalla presenza del Figlio, presenza di cui le altre preposizioni
spiegano le modalità attive. Ritengo importante questo dato, perché non di
rado, nelle diverse interpretazioni teologiche, l’ἐν ha preso il sopravvento
sulle altre preposizioni — che in realtà sono più presenti negli altri testi del
NT — le quali sono state messe (forse troppo velocemente) in un secondo
piano.26
La prospettiva dell’«in Cristo» viene così sviluppata: tutte le cose sussi-
stono in Cristo perché sono state fatte in lui in quanto Verbo eterno, per mez-
zo del quale il Padre crea. I testi neotestamentari ci portano dunque a un cri-
stocentrismo trinitario, cioè ad affermare che la sussistenza in Cristo di tutte
le cose si deve in’ultima analisi alla sua appartenenza primaria alla realtà tri-
nitaria. La prospettiva storico-salvifica dell’«in Cristo» porta di conseguenza
alla prospettiva trinitaria, secondo il classico schema caro ai Padri del rappor-
to fra economia e teologia.27 Così è stato anche nello sviluppo della contem-
poranea teologia della creazione, che, insieme e dopo la ripresa della dimen-
sione cristologica della creazione, è andata oltre, recuperando il cosiddetto
principio trinitario della creazione, già presente nella migliore tradizione teo-
logica patristica e medievale, che mette in rapporto il ruolo del Figlio e dello
Spirito nell’atto creatore.28 In questo senso giova ricordare, fra le altre,
l’espressione di Sant’Agostino, secondo la quale unus mundus factus est a
Patre per Filium in Spiritu Sancto,29 e quella medioevale di San Tommaso —
ampliamento di alcuni punti presenti in Sant’Alberto Magno e San Bonaven-
tura — che dice: processiones personarum aeternae sunt causa et ratio totius
productionis creaturarum.30 Qui viene spiegata la mediazione creatrice del

26. Così sembra ad esempio in G. Barbaglio, Creazione. Messaggio biblico, “Nuovo Diziona-
rio di Teologia”, Cinisello Balsamo 1977, 210-211.
27. Su questo punto, cfr. G. Maspero, L’uso del termine θεολογία nella patristica e la sua di-
mensione storico-salvifica, «Annales theologici» 19 (2005) 323-361.
28. Per uno status quaestionis, si veda del Cura Elena, Creación “ex nihilo”, 55-130. Anche se
esula dal nostro compito, bisogna almeno rilevare che la dimensione pneumatologica del-
la creazione è stata messa in risalto negli insegnamenti di Giovanni Paolo II (cfr. F. de
Domingo, Dimensión pneumatológica de la creación en la enseñanza de Juan Pablo II,
Tesi di dottorato, Pontificia Università della Santa Croce, Roma 2006); in ambito prote-
stante, Pannenberg ha sviluppato questo punto in dialogo con le scienze, avanzando pro-
poste che hanno suscitato il dibattito: cfr. V. Maraldi, Lo Spirito Creatore e la novità del
cosmo, Milano 2002, 109-148; 202ss.
29. Sant’Agostino, In Evangelium Ioannis 20,9 (PL 35,1561); cfr. De Trinitate 1,6,12 (PL
42,827).
30. Super Sent., lib. 1, d. 14, q. 1, a. 1, co.

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Verbo in analogia con la sua processione all’interno della Trinità per modum
intellectus, e quindi viene appopriata a Lui, sempre in sintonia con la preposi-
zione διά (per), la causalità esemplare.31 Così si supera ogni rischio di inter-
pretazione strumentale del διά, e si afferma un particolare rapporto delle cose
create al λόγος, che è la ratio factiva — per utilizzare l’espressione dell’Aqui-
nate — delle cose che Dio fa.32 Viene ulteriormente chiarito il senso dell’ ἐν
αὐτῷ, che, se da una parte ha di sicuro come referente il Cristo, dall’altra ri-
manda immediatamente alla Sua divinità, in quanto è proprio ed esclusivo di
Dio creare e conservare nell’essere le creature.33
b) L’ultima delle preposizioni che dobbiamo prendere in considerazione
indica la finalizzazione a Cristo di tutta la realtà creata: «tutte le cose sono
state create per mezzo di lui e in vista di lui (εἰς αὐτόν)» (Col 1,16). Non è irri-
levante riportare il fatto che, mentre la Vulgata traduceva in modo impreciso
in ipso, la Neovulgata ha tradotto invece in ipsum, il che è più fedele all’origi-
nale greco, dove si impiega l’accusativo, e quindi rispetta il senso dinamico, di
finalità, dell’espressione.34 Secondo Aletti, quest’ultima preposizione indica
un andare oltre lo sfondo sapienziale (mai viene detto che tutto fu creato εἰς
σοφίαν), e ammette un’interpretazione sia nel senso di una finalizzazione cri-
stologica della creazione, sia semplicemente nel senso di sostenere che tutto
fu creato per essere sottomesso al Figlio.35
In realtà, queste interpretazioni non si oppongono fra di loro, ma si capi-
scono anche alla luce di altri brani del NT. Infatti, qui ci viene data la ragione
ultima del progetto divino iniziatosi con la creazione, cioè l’incarnazione re-
dentrice del Verbo; con essa si rivela il disegno di Dio di «ricapitolare in Cri-
sto tutte le cose» (Ef 1,10), che averrà alla fine dei tempi, nell’escatologia,

31. Per una esposizione dettagliata del principio trinitario della creazione nel Dottore Ange-
lico, cfr. gli studi di G. Marengo, Trinità e Creazione. Indagine sulla teologia di Tommaso
d’Aquino, Roma 1990; e G. Emery, La Trinité Créatrice. Trinité et création dans les com-
mentaires aux Sentences de Thomas d’Aquin et des ses précurseurs Albert le Grand et Bona-
venture, Paris 1995. Più brevemente, si veda il mio articolo Fe y razón ante el misterio de la
Trinidad creadora según Santo Tomás, «Scripta Theologica» 36 (2004) 911-929.
32. Cfr. Summa Theologiae, I, q. 34, a. 3. Cfr. anche F. Ocáriz – A. Blanco, Rivelazione, fede
e credibilità. Corso di Teologia Fondamentale, Roma 2001, 55.
33. Cfr. ibidem, 56.
34. Cfr. ibidem.
35. Cfr. Aletti, Lettera, 96, dove si rileva anche il fatto che gli homologoumena paolini usa-
vano εἰς αὐτόν solo per il Padre, ma che questa progressione cristologica (analoga a quel-
la già vista per altri testi) non è fatta in detrimento del Padre, poiché l’inno non ragiona
in termini di concorrenza, ma pone piuttosto la questione del mediatore.

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La creazione in Cristo nella teologia dogmatica contemporanea: una proposta di sintesi

quando sarà compiuta in pienezza la nuova creazione, e che già adesso si è


fatta presente con la salvezza operata dal Signore. Perciò si può dire con
l’Apocalisse che Lui è «l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il principio e la
fine» (Apoc 22,13). La creazione è quindi rivelata come preparazione all’incar-
nazione, come preparazione a Cristo, finalizzata a Lui.36
Per parlare di questa realtà, altri testi paolini adoperano in modo signifi-
cativo l’idea di una nuova creazione in Cristo (2 Cor 5,7; Gal 6,15; Ef 4,22-24;
Rom 8,19-24; ecc.).37 Anche se non possiamo adesso soffermarci sulla loro
analisi, si può facilmente constatare come da essi affiori il forte legame che c’è
nel disegno divino fra creazione e salvezza, poiché la prima è destinata alla
seconda, e la seconda è descritta come una nuova creazione. Tra le due «vi è
discontinuità, perché questa non risulta da un’evoluzione immanente di quel-
la; ma vi è anche una certa continuità, poiché la prima creazione non sarà an-
nientata, ma trasformata».38 Qui emerge un aspetto con il quale vorrei
concludere questa presentazione.

3. Un cristocentrismo capace di dialogo, ovvero un realismo


cristologico

Lungo la riflessione precedente abbiamo constatato l’esistenza di alcune


polarità con le quali i testi del NT descrivono l’economia cristiana, polarità
che possiamo ricondurre a quella fra creazione e nuova creazione. Da una
parte, la creazione è finalizzata alla salvezza; dall’altra, questa salvezza può es-
sere descritta come una nuova creazione. C’è quindi una circolarità che, se
mantenuta, può essere di grande profitto.
Se la tentazione in passato era stata quella di esagerare la distinzione, col
rischio reale di una visione dualistica del piano di Dio, oggi, però, a mio avvi-
so, la tentazione può venire da un’impostazione che, esagerando la dimen-
sione dell’unità, può arrivare ad una sorta di monismo secondo il quale le di-
versità si riducono e sfumano, una sorta di “strettezza cristologica”. Per citare

36. Cfr. Ocáriz – Blanco, Rivelazione, 56.


37. Cfr. Barbaglio, Creazione, 212-213. Per uno studio approfondito del tema si veda B. Rey,
Créés dans le Christ Jésus. La création nouvelle selon St Paul, Paris 1966; più ampiamente, è
già classico lo studio di A. Feuillet, Le Christ sagesse de Dieu d’après les épîtres pauli-
niennes, Paris 1966.
38. Ocáriz – Blanco, Rivelazione, 61.

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Santiago Sanz Sánchez

solo due noti esempi, è il rischio del cosiddetto cristomonismo di Karl Barth,
e anche, in campo cattolico, del pensiero evolutivo (tra l’altro così ricco di
suggerimenti) di Teilhard de Chardin, tendente a presentare la storia della
salvezza in chiave di un processo quasi-necessario. Come sostiene Cottier, un
certo influsso dell’idealismo non è stato estraneo alla teologia cattolica in
questo punto. Se si arrivasse a parlare di Cristo, ad esempio, come principio
metafisico della realtà, sarebbe molto difficile in questa prospettiva conti-
nuare a trovare uno spazio per la distinzione di ambiti, tra natura e grazia, tra
fede e ragione, che faccia vedere anche la novità dell’evento Cristo nella storia
della salvezza. Per non parlare della problematicità della prospettiva di an-
dare oltre e affermare un carattere creatore anche all’umanità di Cristo.
Invece, a me pare che l’odierna situazione ci suggerisca un’altra sensibili-
tà, quella del dialogo. Se partiamo subito dall’affermazione che solo in Cristo
c’è il fondamento di tutto, la strada per il dialogo sui valori permanenti sem-
bra chiusa per tante persone che non condividono la nostra fede. Tante volte
occorre invece ragionare e poggiare gli argomenti sulla natura dell’uomo e
delle cose. E questo perché, in ultima analisi, la nuova creazione in Cristo
non distrugge la prima, che è stata fatta anche in Lui, λόγος eterno del Padre,
ma la eleva e porta a compimento. L’emergere con forza del recente dibattito
sulla legge naturale, nonché gli interventi di Benedetto XVI volti a sottoli-
neare il legame fra fede e ragione, sembrano confermare questa linea.39
La mia proposta è dunque sviluppare una dimensione del cristocentris-
mo per così dire complementare: quella che vede il cristocentrismo come
fondante sia dell’autonomia della realtà creata sia anche del cammino che
dalla nostra ragione porta a Dio. L’itinerario dalle creature al Creatore (già
presente in Sap 13,1-9 e anche segnalato da Paolo in Rm 1,18-20) non viene
annullato da Cristo: il libro della natura continua ad essere aperto a tutti co-
loro che vorrano leggerlo, anche se sarà pienamente compreso solo alla luce
del libro della Scrittura (e addirittura, del libro della croce).40
Insomma, la comprensione più profonda della realtà ci viene dal cristo-
centrismo della Rivelazione; ma questo non annulla il fatto che, appunto per-
ché Cristo è il λόγος eterno del Padre e principio dell’intelligibilità del reale,

39. Cfr. Benedetto XVI, Fede, ragione e università (Discorso a Ratisbona), 12-IX-2007; Di-
scorso ai partecipanti al IV Convegno Nazionale della Chiesa Italiana, Verona, 19-X-2006;
Angelus, 28-I-2007; ecc.
40. Cfr. Giovanni Paolo II, Enc. Fides et ratio, 14-IX-1998, n. 19. Sulla metafora dei libri, cfr.
G. Tanzella-Nitti, The Two Books Prior to the Scientific Revolution, «Annales Theologi-
ci» 18 (2004) 51-83.

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La creazione in Cristo nella teologia dogmatica contemporanea: una proposta di sintesi

questo vuol dire che ci sono dimensioni di λόγος riconoscibili anche da chi
non accetta Cristo o non ha la fede in lui, perché sono presenti nella crea-
zione fatta appunto nel λόγος e per mezzo del λόγος. In altre parole, il «rap-
porto delle creature al Verbo, il λόγος divino, è alla radice stessa della logica
del mondo: della sua verità, della sua intelligibilità e, quindi, del suo essere
punto di partenza della conoscenza naturale di Dio da parte dell’uomo».41
Noi cristiani viviamo tutto questo non separando due aspetti (da un lato
la nostra fede e dall’altro la nostra ragione), ma in quella che è stata chiamata
«unità di vita».42 Questo però non toglie niente al fatto evidente che, anche in
vista del dialogo, possiamo e dobbiamo distinguere dimensioni e valori fon-
damentali della realtà che, avendo il loro ultimo significato in Cristo Reden-
tore, hanno anche aspetti di intelligibilità che poggiano sulla loro creazione
nel λόγος.43
In definitiva, l’interpretazione teologica del dato neotestamentario della
creazione in Cristo, per mezzo di Lui e in vista di Lui, deve evitare, a mio
modo di vedere, gli estremi dell’intrinsecismo e dell’estrinsecismo. O meglio,
detto in un modo positivo: deve unire senza confondere, e distinguere senza
separare: non è questa in fondo la forma cristiana di pensiero, la forma di
pensiero dei Padri di Calcedonia nel formulare, certamente nei limiti delle
nostre povere parole, il mistero del Cristo?

41. Ocáriz – Blanco, Rivelazione, 55, che fa riferimento a J. Ratzinger, Creazione e pecca-
to, Paoline, Roma 1986, 18-20; è infatti questo, la Ragione creatrice, un tema molto caro
all’attuale Pontefice: cfr. i testi citati sopra (nota 39).
42. Si tratta di un’espressione molto cara a San Josemaría Escrivá. Per una riflessione teologi-
ca ad essa ispirata, cfr. A. Aranda, La lógica de la unidad de vida. Identidad cristiana en
una sociedad pluralista, Pamplona 2000, specialmente 121ss.; si veda anche G. Tanzella-
Nitti, Perfectus Deus, perfectus homo. Riflessioni sull’esemplarità del mistero dell’Incarna-
zione del Verbo negli insegnamenti del Beato Josemaría Escrivá, «Romana» 25 (1997)
360-381.
43. Nel contesto dell’odierno recupero in teologia dell’armonia fra la prospettiva metafisica e
quella biblica, e per quanto riguarda le diverse proposte di elaborare una ontologia trini-
taria, sono interessanti le osservazioni suggerite da M. Levering, Scripture and Metaphy-
sics. Aquinas and the Renewal of Trinitarian Theology, Oxford 2004.

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