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Alessandro Belano

Il Vangelo secondo Marco


Traduzione e analisi filologica
Copyright © MMIX
ARACNE editrice S.r.l.

www.aracneeditrice.it
info@aracneeditrice.it

via Raffaele Garofalo, 133 A/B


00173 Roma
(06) 93781065

ISBN 978–88–548–1839–2

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,


di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopie


senza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: luglio 2008


I ristampa: febbraio 2009
II ristampa: maggio 2010
INDICE

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

Capitolo 1 . . .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .... . ... . ... . ... . ... . . . . . . . . . . . . . 11


Capitolo 2 . . .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .... . ... . ... . ... . ... . . . . . . . . . . . . 151
Capitolo 3 . . .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .... . ... . ... . ... . ... . . . . . . . . . . . . 211
Capitolo 4 . . .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .... . ... . ... . ... . ... . . . . . . . . . . . . 277
Capitolo 5 . . .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .... . ... . ... . ... . ... . . . . . . . . . . . . 341
Capitolo 6 . . .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .... . ... . ... . ... . ... . . . . . . . . . . . . 403
Capitolo 7 . . .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .... . ... . ... . ... . ... . . . . . . . . . . . . 489
Capitolo 8 . . .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .... . ... . ... . ... . ... . . . . . . . . . . . . 545
Capitolo 9 . . .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .... . ... . ... . ... . ... . . . . . . . . . . . . 603
Capitolo 10 . .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .... . ... . ... . ... . ... . . . . . . . . . . . . 677
Capitolo 11 . .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .... . ... . ... . ... . ... . . . . . . . . . . . . 757
Capitolo 12 . .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .... . ... . ... . ... . ... . . . . . . . . . . . . 803
Capitolo 13 . .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .... . ... . ... . ... . ... . . . . . . . . . . . . 871
Capitolo 14 . .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .... . ... . ... . ... . ... . . . . . . . . . . . . 921
Capitolo 15 . .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .... . ... . ... . ... . ... . . . . . . . . . . . 1031
Capitolo 16 . .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .... . ... . ... . ... . ... . . . . . . . . . . . 1101

Sigle e abbreviazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1133

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1159

5
INTRODUZIONE

La primitiva tradizione ecclesiale è unanime nell’attribuire a Marco, discepolo di Pietro, il


secondo vangelo canonico. L’affermazione più antica è quella di Papia di Gerapoli, il quale,
scrivendo agli inizi del II secolo, riferisce una testimonianza ancora più remota:

i"Â J@Øhz Ò BDgF$bJgD@H §8g(g<· 9VDi@H :¥< ©D:0<gLJ¬H AXJD@L (g<`:g<@Hs ÓF"
¦:<0:`<gLFg<s •iD4$äH §(D"Rg<s @Û :X<J@4 JV>g4 J ßBÎ J@Ø iLD\@L ´ 8gPhX<J" ´
BD"PhX<J". @ÜJg (D ³i@LFg< J@Ø iLD\@L @ÜJg B"D0i@8@bh0Fg< "ÛJès àFJgD@< *¥s
ñH §N0<s AXJDå· ÔH BDÎH JH PDg\"H ¦B@4gÃJ@ JH *4*"Fi"8\"Hs •88z @ÛP òFBgD
Fb<J">4< Jä< iLD4"iä< B@4@b:g<@H 8@(\T<s òFJg @Û*¥< »:"DJg< 9VDi@H @àJTH §<4"
(DVR"H ñH •Bg:<0:`<gLFg<. ©<ÎH (D ¦B@4ZF"J@ BD`<@4"<s J@Ø :0*¥< ô< ³i@LFg<
B"D"84BgÃ< ´ RgbF"Fh"\ J4 ¦< "ÛJ@ÃH.
«Il Presbitero era solito dire che Marco, divenuto interprete di Pietro, scrisse accuratamente, anche
se senza ordine, tutto ciò che si ricordava dei detti e dei fatti del Signore. Egli non aveva udito e
seguito il Signore, ma Pietro e ciò soltanto più tardi, come ho riferito. Pietro usava adattare il suo
insegnamento alle necessità, ma senza dare un ordine ai detti del Signore. Perciò Marco non ha
commesso errori scrivendo alcune cose così come le ricordava. Egli aveva una sola preoccupazio-
ne: non tralasciare nulla di ciò che aveva udito e non riferire cose menzognere» (riportato da
Eusebio, Historia ecclesiastica, 3,39,15).

Nonostante l’importanza di tale autorevole attestazione, nella successiva tradizione patristica


il secondo vangelo venne considerato come un’opera di seconda mano, poiché si condivideva
l’opinione che Marco fosse posteriore a Matteo e dipendente da esso, al punto che più tardi
sant’Agostino, trattando del problema sinottico e discutendo del rapporto tra i vangeli, giunge a
dare questa definizione: «Marcus eum [sott. Matthaeum] subsecutus, tamquam pedisequus et
breviator eius videtur», «Marco seguì Matteo, al punto da sembrare un suo valletto e abbreviato-
re» (Id., De consensu evangelistarum, 1,2,4).

Tale giudizio si mantenne praticamente inalterato nei secoli successivi: il secondo vangelo
continuò a essere ritenuto il più povero dal punto di vista dottrinale e letterario, parere, questo,
condiviso ancora oggi da qualche commentatore. Ma è proprio vero che il vangelo di Marco,
rispetto agli altri vangeli, è il più dimesso, il più scarso di vocaboli, il più monotono, quello
letterariamente inferiore? A un attento esame dei vangeli tale ingeneroso giudizio non
corrisponde alla piena verità, anzi, da un punto di vista semplicemente letterario e in termini
percentuali, è vero il contrario: il secondo vangelo è il più breve, ma non il più povero. Il lessico
di Marco è formato da 1312 vocaboli, su un totale di 11.216 parole, corrispondente, cioè,
all’11,69% del totale. Si tratta del più alto rapporto percentuale rispetto agli altri evangelisti. In
questa speciale classifica troviamo, dopo Marco, il «grecista» Luca, il quale nel suo vangelo

7
8 Introduzione

utilizza 2055 vocaboli su 19.490 parole, pari al 10,54%. In terza posizione è Matteo, il quale
impiega 1691 vocaboli su 18.346 parole, pari al 9,21%. Il lessico più monotono e ripetitivo è
quello dell’evangelista Giovanni: 1011 vocaboli su 15.641 parole, pari al 6,46%.

Per la corretta interpretazione dei dati statistici e lessicali che vengono di volta in volta offerti
nel presente lavoro si tenga debitamente conto di quanto segue:

a) la traduzione e l’analisi filologica dei singoli vocaboli si basano sul testo greco del
vangelo di Marco nella 27a edizione del Novum Testamentum graece curato da Eberhard Nestle
e Kurt Aland e riprodotto anche in The Greek New Testament, a cura di Kurt Aland – Matthew
Black – Carlo Maria Martini – Bruce M. Metzger – Allen Wikgren.

b) Nell’esame statistico dei singoli vocaboli non sono state conteggiate quelle lezioni che
l’Autore del presente lavoro ritiene non appartenenti al testo originale. Per la discussione critica
vedi commento ai singoli passi. In pratica, ai fini statistici, non sono prese in considerazione le
seguenti parole:

Mc 1,1 [LÊ@Ø hg@Ø]


Mc 1,4 [Ò]
Mc 3,7 [²i@8@bh0Fg<]
Mc 3,14 [@áH i" •B@FJ`8@LH é<`:"Fg<]
Mc 3,16 [i"Â ¦B@\0Fg< J@×H *f*gi"]
Mc 3,20 [Ò]
Mc 3,32 [i" "Ê •*g8N"\ F@L]
Mc 5,21 [¦< Jè B8@\å]
Mc 6,23 [B@88V]
Mc 6,51 [¦i BgD4FF@Ø]
Mc 7,4 [i"Â i84<ä<]
Mc 7,35 [gÛhXTH]
Mc 9,42 [gÆH ¦:X]
Mc 10,7 [i"Â BD@Fi@880hZFgJ"4 BDÎH J¬< (L<"Ãi" "ÛJ@Ø]
Mc 10,25 [J­H]… [J­H]
Mc 12,23 [ÓJ"< •<"FJäF4<]
Mc 12,34 ["ÛJ`<]
Mc 14,47 [J4H]
Mc 14,68 [i" •8XiJTD ¦Nf<0Fg<]
Mc 15,12 [hX8gJg]… [Ô< 8X(gJg]
Mc 16,18 [i"Â ¦< J"ÃH PgDF\<]
Introduzione 9

c) Sono regolarmente conteggiate le parole che costituiscono la cosiddetta «finale lunga»,


ossia Mc 16,9–20, la quale, pur non facendo parte del testo originale (vedi commento a Mc
16,9), è stata accolta e considerata dalla Chiesa come canonica.

d) Le otto crasi che compaiono nel vangelo (i•igÃ: Mc 1,35; i–<: Mc 5,28; 6,56; 16,18;
i•igÃ<@<: Mc 12,4.5; i•igÃ<@4: Mc 16,11.13) sono conteggiate come singole ricorrenze (=
8 parole).

Il presente lavoro si propone di esaminare questo singolare vocabolario marciano mediante


una dettagliata analisi filologica, ideata come utile sussidio a quanti — studenti e lettori eruditi,
ma anche docenti ed esegeti — intendono affrontare lo studio scientifico del secondo vangelo.

Le principali caratteristiche di questo commento possono essere così sintetizzate:

1 – Nuova traduzione letterale (non letteralista) del testo originale, nella quale è stata
privilegiata sia la fedeltà formale sia la corrispondenza semantica delle singole parole in base al
loro contesto, condividendo il principio secondo il quale ciò che è importante, nella traduzione,
non è il morfologicamente esatto, la materialità formale, ma la letteralità semantica, l’equivalenza
funzionale del senso.

2 – Minuziosa e completa analisi grammaticale di ogni singola parola di cui si offre, in


successione: a) la categoria grammaticale di appartenenza (articolo, sostantivo, aggettivo,
pronome, verbo, avverbio, congiunzione, interiezione), a cui seguono, all’occorrenza, gli altri
indicatori (il caso, il numero, il genere) o, per i verbi, la persona, il tempo, il modo, la diatesi; b)
la forma greca del vocabolo allo stato assoluto; c) la traduzione italiana, con particolare
riferimento al senso neotestamentario del termine; d) l’indicazione della funzione sintattica
espletata dal vocabolo all’interno della proposizione.

3 – Completa critica testuale per le lezioni più importanti, esaminando il pro e contro delle
varianti e motivando, all’occorrenza, la scelta operata.

4 – Di ogni parola che compare per la prima volta sono indicati: a) il numero totale di
ricorrenze nel Nuovo Testamento; b) le singole e distinte ricorrenze del termine nei quattro
vangeli e spesso, per le parole più importanti, anche negli altri libri neotestamentari; c) i
corrispondenti valori percentuali; d) l’elenco di tutte le ricorrenze marciane, con l’indicazione dei
versetti; e) il commento filologico, sintattico ed esegetico del vocabolo, con abbondanti citazioni
e riferimenti tratti dal greco classico ed ellenistico e gli eventuali paralleli e raffronti con il greco
biblico dei LXX, con l’ebraico del testo masoretico, con il greco degli altri sinottici, con i testi
della letteratura qumranica, rabbinica (Mishnah e Talmud) e latina. All’occorrenza viene offerta
la descrizione e il riferimento statistico di particolari fenomeni sintattici e lessicali, quali la
costruzione perifrastica, l’uso degli anacoluti, il cosiddetto “presente storico”, la costruzione a
senso, le figure etimologiche, il genitivo di appartenenza, le figure retoriche (paronomasia,
metafora, sineddoche, iperbole, pleonasmo, ecc.), il genitivo assoluto e quello cosiddetto
“ebraico”, i semitismi lessicali e fraseologici, i latinismi, ecc. Non si trascura di segnalare né gli
10 Introduzione

hapax legomena (617, di cui 70 neotestamentari) né le voci e le frasi tecniche, di cui si specifica
la ricorrenza anche in rapporto agli altri evangelisti.

5 – La bibliografia è strutturata nelle seguenti divisioni: I – Testo biblico; II – Critica testuale;


III – Analisi filologica; IV – Concordanze; V – Sinossi; VI – Vocabolari, dizionari, lessici; VII
– Grammatiche; VIII – Altri sussidi; IX – Sussidi elettronici.

Il commento è diretto sia agli studenti e al cultore ordinario — i quali potranno rendersi
personalmente conto del significato di ogni singola parola — sia agli studiosi del Nuovo
Testamento che troveranno nelle note filologiche le ragioni scientifiche della nuova traduzione.

Ringrazio quanti mi sono stati concretamente vicini con i loro preziosi consigli, suggerimenti
e all’occorrenza critiche e incoraggiamenti. Possa la Parola di Dio, che è Parola di vita, essere
sempre più conosciuta e amata per abitare nei credenti con tutta la sua ricchezza.

Roma, 23 giugno 2010


[5!I! 9!C5?;]

1,1 z!DP¬ J@Ø gÛ"((g8\@L z30F@Ø OD4FJ@Ø [LÊ@Ø hg@Ø].


1,1 Compendio del vangelo di Gesù Cristo.

[5!I! 9!C5?;]: [«Secondo Marco»]. La titolatura o epigrafe del libretto che conosciamo
come «Vangelo di Marco», sebbene presente nei codici antichi (nel codice Vaticano, ad
esempio, compare all’inizio e alla fine del vangelo), certamente non faceva parte del testo
originale. Analogamente a quella degli altri tre libretti (Matteo, Luca, Giovanni) fu aggiunta
in un secondo tempo, probabilmente per iniziativa dei vescovi, allo scopo di indicare quali
vangeli dovevano essere riconosciuti come apostolici e degni di essere letti in pubblico. Nella
seconda metà del II secolo d.C. il titolo 5!I! 9!C5?; era già in uso, poiché è
conosciuto da Ireneo di Lione (cf. Id., Adv. haer., 3,11,35), Clemente di Alessandria (J"ØJ"
:¥< ¦< Jè i"J 9Di@< gÛ"((g8\T (X(D"BJ"4, «tutte queste cose sono scritte nel
vangelo secondo Marco», Id., Quis dives, 5,1,1) e Origene (cf. Id., Contra Cels., 1,62,18).
Il significato di questa e delle altre titolature è anzitutto apologetico e letterario: segnalare il
nome dei redattori e specificare che esistevano varie forme o edizioni di tali libretti. Sebbene
alcune antiche versioni rendono la preposizione i"JV mediante un genitivo (vangelo di
Matteo, vangelo di Marco, ecc.), il contenuto non appartiene allo scrittore: non si tratta, cioè,
del vangelo di Marco, ma del vangelo di Gesù redatto da (= i"JV) Marco, ossia secondo
la presentazione fatta da Marco. I titoli moderni che compaiono sui vari commentari
(Vangelo di Marco o, peggio, semplicemente Marco) non corrispondono in pieno alle
antiche titolature. C’è una sola buona novella, quella vissuta e predicata da Gesù Cristo. Gli
autori letterari, pur essendo veri autori ispirati (cf. Dei Verbum, 11), sono soltanto dei
compilatori o redattori dell’unico “vangelo” di Gesù.
z!DPZ: sost., nom. sing. f. da •DPZ, –­H, principio, inizio, origine, riassunto, compendio;
soggetto. Il vocabolo ricorre 56 volte nel NT: 17 volte in forma assoluta singolare nel
significato temporale di «inizio», «principio», «origine» (cf. Mt 24,8; Mc 1,1; 13,8; Lc 20,20;
Gv 2,11; 8,25; 1Cor 15,24; Ef 1,21; Col 1,18; 2,10; Eb 2,3; 3,14; 7,3; Gd 1,6; Ap 3,14; 21,6;
22,13); 8 volte in forma assoluta plurale, nel significato di «potenze», «magistrati», «capi»,
«principati» (cf. Lc 12,11; Rm 8,38; Ef 3,10; 6,12; Col 1,16; 2,15; Tt 3,1; Eb 1,10); 2 volte
al plurale, nel significato spaziale di «capi», «estremità» (cf. At 10,11; 11,5); 2 volte nel
significato plurale di «fondamenta», «primi elementi» (cf. Eb 5,12; 6,1); 21 volte preceduto
dalla preposizione •B` nel significato avverbiale «da principio», «dall’inizio» (cf. Mt 19,4.8;
24,21; Mc 10,6; 13,19; Lc 1,2; Gv 8,44; 15,27; At 26,4; 2Ts 2,13; 2Pt 3,4; 1Gv 1,1;
2,7.13.14. 24[x2]; 3,8.11; 2Gv 1,5.6); 4 volte preceduto da ¦< nel significato avverbiale
«all’inizio», «nel principio» (cf. Gv 1,1.2; At 11,15; Fil 4,15); 2 volte preceduto da ¦> nel
significato avverbiale «da principio», «dall’inizio» (cf. Gv 6,64; 16,4).

Qual è il significato di •DPZ nel nostro versetto? Nel commentare l’inizio del prologo
di Giovanni, Origene elenca sei significati fondamentali di •DPZ. Al quinto posto egli pone
questa definizione: §FJ4< •DP¬ i" ñH :"hZFgTH i"hz Ô J FJ@4PgÃ" nV:g< •DP¬<

11
12 Mc 1,1

gÉ<"4 (D"::"J4i­H, «Per “principio” si può intendere anche una cosa che si apprende, per
cui chiamiamo “principio” della grammatica le lettere dell’alfabeto» (Id., Comm. in Ioann.,
1,18,106). Secondo Origene il vocabolo •DPZ può assumere anche il significato di
«rudimenti», «primi elementi», «elementi essenziali», «compendio», «riassunto», «sintesi».
Questo significato si ritrova nella versione greca dell’AT (cf. Sal 111,10; 119,160; Prv 1,7;
9,10; Sir 1,14; 10,12.13; 29,21; 39,26) e nella lettera agli Ebrei (cf. Eb 5,12; 6,1). Qualche
attestazione è presente anche nella grecità extra–biblica (cf. Isocrate, Or., 4,38; Epitteto, Diss.,
1,17,12; 1,26,15). Nel nostro passo il significato di •DPZ, inteso come «primi elementi»,
«sintesi», «compendio», «riassunto», è da preferire rispetto a quello comune di «origine»,
«inizio»: con tale vocabolo, infatti, lo scrittore sacro vuole indicare l’intestazione del libro
intero che ha per oggetto il lieto annuncio riguardo Gesù. L’Autore non vuole esporre una
trattazione completa di queste vicende, ma soltanto limitarsi a offrire un riassunto, un
compendio, un libretto contenente gli elementi essenziali. Per tali motivi il v. 1 (privo della
lezione LÊ@Ø hg@Ø, non originale, cf. sotto), pur risalendo probabilmente, ma non
necessariamente a Marco, deve essere isolato e considerato a sé stante, come un vero e
proprio titolo “da copertina” dell’intera opera e dunque sintatticamente staccato dal v. 2 che
costituisce il vero inizio letterario e temporale delle vicende narrate. Una conferma indiretta,
anche se tardiva, troviamo nell’Evangelarium Hierosolymitanum, un lezionario siropalestine-
se completato attorno al 1030, dove il testo del vangelo di Marco inizia soltanto con il v. 2
(«Come è scritto…»).
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo. La forma J@Ø ricorre 2517 volte nel NT
rispetto alle 19.862 ricorrenze totali dell’articolo. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
294 volte in Matteo (corrispondente all’1,603% rispetto alle 18.346 parole che formano
l’opera); 132 volte in Marco (corrispondente all’1,168% su un totale di 11.216 parole); 380
volte in Luca (corrispondente all’1,951% su un totale di 19.490 parole); 243 volte in
Giovanni (corrispondente all’1,554% su un totale di 15.641 parole).
gÛ"((g8\@L: sost., gen. sing. n. da gÛ"((X84@<, –@L, lieto annuncio, buona novella,
«vangelo»; compl. di specificazione. Il vocabolo ricorre 76 volte nel NT: 4 volte in Matteo
(cf. Mt 4,23; 9,35; 24,14; 26,13, corrispondente allo 0,022% del totale delle parole); 8 volte
in Marco (cf. Mc 1,1.14.15; 8,35; 10,29; 13,10; 14,9; 16,15 = 0,071%); 2 volte in Atti degli
Apostoli (cf. At 15,7; 20,24); 9 volte in Romani (cf. Rm 1,1.9.16; 2,16; 10,16; 11,28;
15,16.19; 16,25); 8 volte in 1Corinzi (cf. 1Cor 4,15; 9,12.14[x2].18[x2].23; 15,1); 8 volte in
2Corinzi (cf. 2Cor 2,12; 4,3.4; 8,18; 9,13; 10,14; 11,4.7); 7 volte in Galati (cf. Gal 1,6.7.11;
2,2.5.7.14); 4 volte in Efesini (cf. Ef 1,13; 3,6; 6,15.19); 9 volte in Filippesi (cf. Fil
1,5.7.12.16. 27[x2]; 2,22; 4,3.15); 2 volte in Colossesi (cf. Col 1,5.23); 6 volte in 1Tessaloni-
cesi (cf. 1Ts 1,5; 2,2.4.8.9; 3,2); 2 volte in 2Tessalonicesi (cf. 2Ts 1,8; 2,14); 1 volta in
1Timoteo (cf. 1Tm 1,11); 3 volte in 2Timoteo (cf. 2Tm 1,8.10; 2,8); 1 volta in Filemone (cf.
Fm 1,13); 1 volta in 1Pietro (cf. 1Pt 4,17); 1 volta in Apocalisse (cf. Ap 14,6).

Nella grecità la forma singolare gÛ"((X84@<, a partire da Omero, indica una «buona
notizia», un «annuncio festoso» o la «ricompensa» per l’annuncio stesso (cf. Omero, Od.,
14,152.166; Plutarco, Demetr., 17,6,7; Pomp., 41,3,6; Eliodoro, Aeth., 1,14,4). Nei secoli
seguenti stesso significato assume la forma plurale J gÛ"((X84", utilizzata per indicare i
Mc 1,1 13

sacrifici fatti agli dèi per le «buone e salutari notizie» (cf. Isocrate, Or., 7,10; Senofonte, Hell.,
1,6,37; Aristofane, Eq., 654). La forma plurale, nel generico significato di «buone notizie»,
è attestata anche da Cicerone che la impiega, in greco, in alcune lettere inviate ad Attico:
«Cicero Attico sal. Primum, ut opinor, gÛ"((X84". Valerius absolutus est», «Cicerone saluta
Attico. Per prima cosa, come ritengo, le buone notizie: Valerio è stato assolto» (Cicerone, Ad
Att., 2,3,1); «Cicero Attico sal. Itane nuntiat Brutus illum ad bonos viros? gÛ"((X84"»,
«Cicerone saluta Attico. Davvero Bruto afferma che è entrato tra le persone oneste? Ottime
notizie!» (Cicerone, Ad Att., 13,40,1). Anche in epoca ellenistica il termine gÛ"((X84@< è
usato con lo stesso significato di «buona notizia» in contesto profano (cf. Giuseppe Flavio,
Bellum, 2,420; 4,618; 4,656; Luciano, Asin., 26,14; Appiano, Bellum civ., 3,13,93; 4,4,20;
4,15,113). In tutti questi testi la parola gÛ"((X84@<, nella forma sia singolare che plurale,
significa «buona notizia» portata o ricevuta. Ciò è confermato in epoca neotestamentaria
dalla iscrizione di Priene (9 d.C.), dove l’espressione J gÛ"((X84" designa le «buone
notizie» che hanno avuto inizio con l’operato dell’imperatore Augusto (cf. OGIS, II,458).

Nonostante questa evidente attestazione extra–biblica, limitata per altro a poche


ricorrenze, la matrice lessicale e culturale del termine marciano non è quella pagana, ma la
traduzione greca dell’AT. Qui troviamo 5 volte il sostantivo nella forma femminile singolare
gÛ"((g8\" (cf. 2Sam 18,20.22.25.27; 2Re 7,9; eb. %9I”vA, be'so) ra) h) e 1 volta il sostantivo
neutro plurale gÛ"((X84" (cf. 2Sam 4,10; eb. %9I”vA) per indicare un lieto annuncio di
carattere profano. Si deve osservare tuttavia che già a partire dall’uso anticotestamentario
questa radice verbale si è caricata progressivamente di significati sempre più teologici. In Sal
68,12 si parla di «messaggi» o «notizie di vittoria» non tanto a livello profano, quanto
religioso: si tratta di una annunzio gioioso riferito alla grandezza di Dio, espresso in forma
di professione di fede. Questo sviluppo si farà via via più insistente: i LXX traducono la
radice 9”", bs'r di Is 61,1 con il verbo gÛ"((g8\.@:"4, riservato dagli autori del NT per
qualificare la missione di Gesù e le sue azioni: si viene a formare l’idea di un gÛ"((X84@<,
una «buona notizia», in riferimento a una salvezza spirituale. Con il NT si giunge alla
conclusione di tale evoluzione semantica e teologica del termine, poiché il vocabolo gÛ"((X-
84@< viene impiegato per designare esclusivamente la “notizia” che riguarda la persona e il
messaggio di Cristo. L’impiego del vocabolo in Mc 1,1 deve essere letto, pertanto, in questa
chiave: il termine neotestamentario gÛ"((X84@<, quantunque simile sul piano meramente
lessicale alla «buona notizia» di carattere profano della grecità, esprime un lieto annuncio
essenzialmente diverso, quello eminentemente salvifico, ossia religioso, di cui Gesù,
riconosciuto messia, è l’annunciatore e insieme l’oggetto. In tal senso il vocabolo gÛ"((X-
84@< — impiegato dallo stesso Gesù come predicatore del regno di Dio (cf. Mc
1,1–3.14–15) — indica non una qualunque «buona notizia», ma esclusivamente il felice
annuncio che riguarda Gesù Cristo, riconosciuto dalla comunità di fede Figlio di Dio (cf. Rm
1,1–4; 1Cor 15,1–5; 1Ts 2,2.8.9). La presenza dell’articolo J@Ø nel nostro passo (J@Ø
gÛ"((g8\@L) indica che tale «buona notizia» è già conosciuta dall’Autore e dai lettori. Non
si dimentichi, infatti, che non è stato Marco a coniare il termine gÛ"((X84@<: non è stato
lui a usare per primo il vocabolo in senso specificatamente religioso per designare il
messaggio che narra la storia di Gesù Cristo e a introdurre l’uso della parola nella comunità
cristiana, poiché prima di lui è stato Paolo a impiegare il vocabolo gÛ"((X84@< per indicare
14 Mc 1,1

il messaggio salvifico di Gesù e su Gesù (cf. 1Cor 15,1–5; 11,23–25) e prima di Paolo la più
antica tradizione cristiana che si rifaceva al Gesù della storia. Possiamo soltanto affermare
che Marco, in qualità di autore e redattore, è stato il primo ad aver utilizzato il termine
gÛ"((X84@< in un testo narrativo, per significare sia il messaggio annunciato da Gesù Cristo
(cf. Mc 1,14–15), sia il libretto da egli ha redatto per narrare tale annuncio (cf. Mc 1,1).
z30F@Ø: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; compl. di
specificazione; genitivo oggettivo (= epesegetico o esplicativo): si tratta anzitutto del lieto
annuncio (qui del «compendio») che ha come oggetto Gesù. Nel NT il nome z30F@ØH,
riferito a Gesù di Nazaret, ricorre 911 volte (in 6 casi si riferisce ad altri personaggi: Mt
27,16.17; Lc 3,29; At 7,45; Col 4,11; Eb 4,8). Le ricorrenze nei vangeli sono le seguenti: 150
volte in Matteo (corrispondente allo 0,829% del totale delle parole); 81 volte in Marco (cf.
Mc 1,1.9.14.17.24. 25; 2,5.8.15.17.19; 3,7; 5,6.7.15.20.21.27.30.36; 6,4.30; 8,27; 9,2.4.5.
8.23.25.27.39; 10,5.14.18.21.23.24.27.29.32.38.39.42.47[x2].49.50.51.52; 11,6.7.22.29.
33[x2]; 12,17.24.29.34.35; 13,2.5; 14,6.18.27.30.48.53.55.60.62.67.72; 15,1.5.15.34.37.43;
16,6.19 = 0,725%); 87 volte in Luca (0,452%); 244 volte in Giovanni (1,561%). In Marco
il nome z30F@ØH è quasi sempre accompagnato dall’articolo anaforico (74 volte): soltanto
in 7 casi è privo di articolo: nel titolo del libro (cf. Mc 1,1); in Mc 1,9, dove il nome compare
per la prima volta; in tre esclamazioni, al caso vocativo (cf. Mc 1,24; 5,7; 10,47b); in altre
due ricorrenze, quando è seguito dall’apposizione Ò ;"."D0<`H (cf. Mc 10,47b; 16,6). Il
termine z30F@ØH è la traslitterazione grecizzata del nome proprio maschile di origine
ebraica {–*F, Ye) šû, «Yah[weh] [è] salvezza», forma abbreviata di 3H{–*F, Ye) šûa‘, a sua volta
forma contratta del più antico e corretto 3H{–|*A, Yehôšua‘, Giosuè. La forma più breve e
ordinaria, Ye) šû, deriva dalla caduta della lettera finale 3 (‘ayin) nella pronuncia popolare.
Molto probabilmente Gesù di Nazaret veniva chiamato con questa pronuncia dai suoi
familiari e dagli altri compaesani galilei. Soltanto in situazioni più formali e forse in Giudea,
si preferiva la forma intermedia Ye) šûa‘ (defective scriptum) o quella completa Yehôšua‘
(plene scriptum). Di questa pronuncia galilea al tempo di Gesù siamo informati non soltanto
dalla letteratura rabbinica che deplora l’uso di pronunciare i nomi con perdita della
consonante finale ‘ayin, come se fosse una aleph (cf. b.Ber., 32a; b.Er., 53a; b.Megh., 24b),
ma dallo stesso vangelo di Matteo il quale, in Mt 26,73, fa esplicito riferimento al dialetto
parlato da Pietro, il cui «accento» o tonalità tradisce la sua origine galilea. Dal punto di vista
storico Yehôšua‘ era la forma predominante prima del 500 a.C., a partire dal quale divenne
più usuale la dizione abbreviata Ye) šûa‘. Il nome Gesù rimase popolare e comunissimo tra i
Giudei fino al II secolo d.C. quando, a seguito del diffondersi della venerazione cristiana per
Gesù Cristo, l’impiego di Ye) šûa‘ / Yehôšua‘ per i nomi di persona divenne sempre più raro,
mentre si continuò a utilizzare l’antico Giosuè, testimoniato da un buon numero di famosi
rabbini. La lingua greca, adottando la forma più breve Ye) šû, la traslitterò sostituendo il suono
della consonante ebraica – (š, shin), inesistente in greco, con il semplice sigma (F) e
aggiungendo un altro sigma finale per rendere il nome declinabile: z30F@ØH. Da questa
forma greca derivano quella latina Iesus (o Jesus, nella grafia medievale) e quelle neolatine.
OD4FJ@Ø: agg. qualificativo, gen. sing. m. da PD4FJ`H, –Z, –`<, unto, messia, «Cristo»;
apposizione di z30F@Ø. Il vocabolo ricorre 529 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli
è la seguente: 16 volte in Matteo (corrispondente allo 0,087% del totale delle parole); 7 volte
Mc 1,1 15

in Marco (cf. Mc 1,1; 8,29; 9,41; 12,35; 13,21; 14,61; 15,32 = 0,062%); 12 volte in Luca
(0,062%); 19 volte in Giovanni (0,122%). Il termine PD4FJ`H traduce nell’uso neotestamen-
tario l’ebraico (H *–
E/I , ma) šîahE, «unto» (sott. da Dio), ossia «consacrato», «messia». Gli autori
del NT unendo l’aggettivo PD4FJ`H senza articolo al nome Gesù ne fanno una specie di
cognomen e tale accezione (= Gesù Cristo) resterà nella tradizione cristiana successiva. In
Marco i due termini ritornano accoppiati soltanto in questa occasione, forte indizio che si
tratta di un titolo (cf. sotto). Grammaticalmente il vocabolo PD4FJ`H è qui impiegato come
una apposizione o più esattamente un aggettivo sostantivato come parte nominale. Come
sopra accennato, nel suo significato letterale proprio PD4FJ`H corrisponde a «unto» (da
PD\T, «ungere»), impiegato fin da Omero (cf. Id., Od., 3,466). Questo aggettivo verbale è
usato sporadicamente nel greco classico nel significato profano di «spalmabile», «spalmato»,
«unto», in riferimento a unguenti, mai a persone (cf. Euripide, Hip., 516). Al contrario, nella
corrispondente forma ebraica ( H *–
E/I , ma) šîahE, l’aggettivo sostantivato è impiegato nell’AT
anzitutto nei riguardi di re, come Saul (cf. 1Sam 12,3), David (cf. 2Sam 22,51) e Ciro (cf.
Is 45,1), ma anche sacerdoti (cf. Lv 4,5), profeti (cf. Sal 105,15), lo stesso popolo (cf. Ab
3,13). In forma assoluta è impiegato per designare l’unto di Dio, il «messia», ossia il futuro
capo o salvatore che Dio avrebbe mandato per liberare il popolo dal dominio straniero (cf.
1Sam 2,10.35; Sal 2,2). L’impiego del termine nei LXX corrisponde a quello del TM: il
vocabolo PD4FJ`H è presente 43 volte, con o senza articolo, spesso unito a un genitivo
teologico (iLD\@L, hg@Ø, :@L, F@L, "ÛJ@Ø). In tutte le ricorrenza il termine è riferito
sempre a persone: a re, come Saul (cf. 1Sam 24,7.11; 26,9.11.16.23; 2Sam 1,14.16; 2,5),
David (cf. 2Sam 19,22; 22,51; 23,1), un re davidico (cf. Sal 2,2; 20,7; 28,8; 84,10; 89,52),
Ciro (cf. Is 45,1), Ieu (cf. 2Cr 22,7); al sommo sacerdote (cf. Lv 21,10.12); al sacerdote (cf.
Lv 4,5.16; 6,15; 2Mac 1,10); ai profeti (cf. Sal 105,15); a un generico eletto di Dio (cf. 1Sam
2,10.35; 12,3.5; 16,6; Sir 46,19; Ab 3,13; Lam 4,20; Dn 9,26). Nell’uso assoluto il contesto
di PD4FJ`H è sempre quello religioso e cultuale per designare il rappresentante di Dio che
nell’era escatologica inaugura il regno di Dio sulla terra e salva definitivamente Israele.

Marco, a parte i due casi in cui usa il titolo come formula cristiana (cf. Mc 1,1; 9,41),
conserva il senso tradizionale del termine, ossia quello di «messia» (cf. Mc 8,29; 12,35;
13,21; 14,61; 15,32). Questo significato si può desumere in particolare dall’ultima ricorrenza
di PD4FJ`H (cf. Mc 15,32) dove i capi dei sacerdoti, deridendo Gesù crocifisso, dicono di
lui: «Ha salvato gli altri, non può salvare sé stesso! Il messia (PD4FJ`H), il re di Israele
($"F48gbH), scenda ora dalla croce perché vediamo e crediamo!». In questo caso il nesso
apposizionale «il messia, il re di Israele», ha valore di interpretazione: usando il termine
PD4FJ`H essi seguono il modo di parlare dell’AT che, come sopra riferito, impiegava questo
vocabolo in forma assoluta per designare il futuro messia. Dal punto di vista linguistico, qui
e in Mc 9,41, la traduzione più appropriata di OD4FJ`H è quella di «Cristo», poiché il
termine è utilizzato redazionalmente per indicare il messia già venuto, figlio di Maria e
Figlio di Dio, salvatore dell’umanità, mentre nelle altre ricorrenze (cf. Mc 12,35; 13,21;
14,61; 15,32) è preferibile tradurre il vocabolo con «messia», poiché esso viene impiegato
per indicare il figlio di David, atteso come salvatore del suo popolo.
16 Mc 1,1

[LÊ@Ø: sost., gen. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; apposizione di z30F@Ø. Il vocabolo ricorre 377
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 89 volte in Matteo (corrispondente
allo 0,485% del totale delle parole); 35 volte in Marco (cf. Mc 1,[1].11; 2,10.19.28;
3,11.17.28; 5,7; 6,3; 8,31.38; 9,7.9.12.17.31; 10,33.35.45.46.47.48; 12,6[x2].35.37;
13,26.32; 14,21[x2].41.61.62; 15,39 = 0,310%); 77 volte in Luca (0,395%); 55 volte in
Giovanni (0,352%). Già a partire da Omero il sostantivo LÊ`H, uno dei più frequenti nella
letteratura greca, indica in senso letterale proprio il figlio maschio (lat. filius), contrapposto
a hL(VJ0D, la figlia femmina (cf. Omero, Il., 1,9). Nell’accezione traslata il vocabolo viene
usato per indicare una stretta relazione di dipendenza, una comunanza, un rapporto materiale,
spirituale o astratto tra due soggetti. In tal senso i fiumi sono «i figli» di Oceano (cf. Esiodo,
Theog., 368), Koros («la Voracità») è «figlia» di Hybris, ossia «l’Arroganza» (cf. Erodoto,
Hist., 8,77,1), Dioniso è «figlio» del boccale (cf. Aristofane, Ranae, 22), Cnemone è «figlio»
del dolore (cf. Menandro, Dysc., 88). Questo tipico uso del termine LÊ`H per esprimere la
figliolanza carnale del figlio maschio, un rapporto di parentela più esteso o una dipendenza
astratta si ritrova anche nella letteratura semitica e nella Bibbia ebraica, dove il sostantivo 0vF,
be) n, «figlio», compare circa 4850 volte (per ;v H , ba5t , «figlia» si hanno 585 attestazioni) per
indicare nella maggior parte delle ricorrenze un rapporto di parentela, quale il figlio carnale
(cf. Gn 4,17), il fratello (cf. Gn 49,8), il discendente consanguineo (cf. Gn 6,18; Es 10,9), il
nipote (cf. Es 34,7; Prv 13,22) e in senso più esteso il discendente etnico (cf. Gn 36,20; Sal
17,14; 45,17; Esd 9,12). Con significato figurato LÊ`H compare all’interno di particolari
locuzioni, dove esprime una relazione materiale o astratta di causa ed effetto: la freccia è
definita «la figlia dell’arco» (Gb 41,20) o «la figlia della faretra» (Lam 3,13); la scintilla è «la
figlia della fiamma», «la figlia dell’incendio», «la figlia del lampo» (Gb 5,7); la paglia è «la
figlia dell’aia» (Is 21,10); i popoli pagani che vivono a est di Israele sono «i figli dell’Oriente»
(Gdc 6,3.33; Ger 49,28; Ez 25,4.10; Gb 1,3); il discepolo è «il figlio di profeta» (1Re 20,35;
2Re 2,3; 5,22; 6,1; Am 7,14); i membri del popolo di Israele, gli Israeliti, sono «i figli di
Israele» (Es 1,1; Dt 28,32; Ger 2,30; Ez 2,4; Os 4,6; Am 2,11); gli abitanti di Gerusalemme
sono «i figli di Gerusalemme» (Gl 4,6); un sedizioso è «il figlio del tumulto» (Ger 48,15);
un valoroso è «il figlio della forza» (Dt 3,18; Gdc 18,2). Anche il NT usa LÊ`H con questa
tipica accezione semitica; abbiamo così «i figli della sala del banchetto», ossia gli invitati alle
nozze (cf. Mc 2,19), «i figli del tuono» (Mc 3,17), «i figli del regno» (Mt 8,12; 13,37), della
pace (cf. Lc 10,6), della luce (cf. Lc 16,8; Gv 12,36; 1Ts 5,5), della risurrezione (cf. Lc
20,36), di questo eone (cf. Lc 16,8; 20,34), del maligno (cf. Mt 13,38), del diavolo (cf. At
13,10), della gheenna (cf. Mt 23,15), della disobbedienza (cf. Ef 2,2; 5,6), della perdizione
(cf. Gv 17,12; 2Ts 2,3).

Per quanto riguarda l’utilizzo di LÊ`H nella Bibbia come designazione del rapporto con
Dio si osservi: in senso traslato «figlio di Dio» si dice degli esseri semidivini subordinati al
vero Dio, come gli esseri celesti (cf. Gn 6,2; Sal 29,1; 89,7; Gb 1,6; 2,1; 38,7). L’immagine
della figliolanza di Dio viene riferita anche al popolo di Israele, in quanto eletto da Dio per
appartenergli in tutto (cf. Es 4,22; Ger 31,9). Anche per il re viene usata la metafora della
figliolanza di Dio, poiché il sovrano è considerato come il suo rappresentante, investito
dell’autorità di regnare in suo nome sul suo popolo (cf. 2Sam 7,14; Sal 2,7; 89,27–28). Nel
NT «figli di Dio» sono chiamati gli stessi credenti (cf. Mt 5,9; Lc 20,36; Rm 8,14; 2Cor 6,18;
Mc 1,1 17

Gal 3,26; 4,5; 1Gv 3,2). Per quanto riguarda l’utilizzo del titolo «Figlio di Dio» applicato a
Gesù vedi commento a Mc 1,25; 14,61; 15,39. Per quanto riguarda l’espressione LÊ@Ø hg@Ø,
«figlio di Dio», dal punto di vista della critica testuale cf. sotto.].
[hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; compl. di specificazione. Il vocabolo ricorre
1317 volte nel NT: 51 volte in Matteo (corrispondente allo 0,278% del totale delle parole);
49 volte in Marco (cf. Mc 1,[1].14.15.24; 2,7.12.26; 3,11.35; 4,11.26.30; 5,7[x2]; 7,8.9.13;
8,33; 9,1.47; 10,9.14.15.18.23.24.25.27[x2]; 11.22; 12,14.17[x2].24.26[x4].27.29.30.34;
13,19; 14,25; 15,34[x2].39.43; 16,19 = 0,433%); 122 volte in Luca (0,626%); 83 volte in
Giovanni (0,531%); 167 volte in Atti degli Apostoli (0,905%); 153 volte in Romani
(2,152%); 106 volte in 1Corinzi (1,552%); 79 volte in 2Corinzi (1,765%); 31 volte in Galati
(1,390%); 31 volte in Efesini (1,280%); 23 volte in Filippesi (1,412%); 21 volte in Colossesi
(1,327%); 36 volte in 1Tessalonicesi (2,431%); 18 volte in 2Tessalonicesi (2,187%); 22
volte in 1Timoteo (1,383%); 13 volte in 2Timoteo (1,050%); 13 volte in Tito (1,973%); 2
volte in Filemone (0,597%); 68 volte in Ebrei (1,373%); 16 volte in Giacomo (0,918%); 39
volte in 1Pietro (2,316%); 7 volte in 2Pietro (0,637%); 62 volte in 1Giovanni (2,896%); 2
volte in 2Giovanni (0,816%); 3 volte in 3Giovanni (1,370%); 4 volte in Giuda (0,868%); 96
volte in Apocalisse (0,975%). Nel NT hg`H (Ò hg`H) è la designazione corrente della
divinità, identificata nel TM con la grafia %&%*, Yhwh (vocalizzata artificialmente come
%|I%*A), il cui nome, secondo la concezione profondamente religiosa degli Ebrei, non viene
mai riferito né trascritto nel greco biblico. I LXX traducono prevalentemente con hg`H i
termini ebraici -! F, ~
H |-!
B (~
HJ-!B ), .*%EJ-!
B , mentre il nome proprio %&%*, Yhwh (compresa
la forma abbreviata %*, Yh), viene reso di regola con ibD4@H (solo 330 volte con hg`H, su
un totale di circa 5766 ricorrenze).

Dal punto di vista di critica testuale si osservi: l’espressione LÊ@Ø hg@Ø, «figlio di Dio»,
è presente nei codici !1, B, D, L, W, 2427. È assente, invece, in !*, 1, 28c e nelle traduzioni
siriaca palestinese (syrpal), copta sahidica (copsa), armena (arm) e georgiana (geo1). È difficile
ritenere che l’espressione LÊ@Ø hg@Ø sia originale, anche se la testimonianza a favore della
lezione è suffragata da validi codici. Le argomentazioni di critica interna a sostegno della sua
autenticità (parallelo con LÊÎH hg@Ø µ< di Mc 15,39) non sono perentorie. Da un punto di
vista di critica testuale coloro che sono favorevoli alla sua originalità ritengono che
l’omissione delle parole in oggetto nel codice Sinaitico (prima mano) sia dovuta a un errore
di trascrizione, occasionato dalla scriptio continua e dalla somiglianza delle lettere
compendiate dei nomina sacra. Le parole in oggetto, dunque, sarebbero originali, ma cadute
in alcuni codici per homoioteleuton: l’amanuense, dopo aver scritto le lettere compendiate
63 &
KO
&K& (= z30F@Ø OD4FJ@Ø), ha creduto di aver scritto le successive lettere compendiate
1
&K & (= hg@Ø) e ha proseguito omettendo i vocaboli K3?K1 &K
& (= LÊ@Ø hg@Ø). Effettivamente
anche per un esperto copista di madrelingua greca non sempre era facile leggere e scrivere
con attenzione la concatenazione delle parole negli antichi manoscritti onciali nei quali, come
è noto, il testo veniva scritto con lettere maiuscole, senza punteggiatura e senza l’inserimento
di spazi significativi tra una parola e l’altra, diversamente dai codici corsivi (più recenti) in
cui le parole si trovano separate tra loro e sono munite di segni di ortografia e di punteggiatu-
ra. Ecco, ad esempio, come si presentano le prime sedici righe del vangelo di Marco (Mc
18 Mc 1,1

1,1–4) nel codice Vaticano (che riporta la lezione, vedi immagine di copertina), rispettando
la loro disposizione in colonna, la successione delle parole e la loro grafia in scriptio plena
e continua (per facilità di lettura si riportano nella seconda colonna le lettere in minuscolo):

!CO/I?K+K!''+73?K ["DP0J@LgL"((g84@L
63 &
KO
&K
&K3?K1
&K
&5!1SE'+ G4GLP
GL
GL4@Lh
GL
Gi"hTc(g
'C!AI!3+;IS/E!3!IS (g(D"BJ"4g<JT0c"4"JT
AC?M/I/3)?K!A?EI+7 BD@N0J04*@L"B@cJg8
7SI?;!''+7?;9?K 8TJ@<"((g8@<:@L
AC?AC?ESA?KE?K?E BD@BD@cTB@Lc@L@c
5!I!E5+K!E+3I/;?)?[;] i"J"cigL"cg4J0<@*@[<]
E?KMS;/#?S;I?E c@LNT<0$@T<J@c
+;I/+C/9S+I?39!E! g<J0gD0:TgJ@4:"c"
I+I/;?)?;5 &K
&+K1+3!E JgJ0<@*@<i GL
GgLhg4"c
A?3+3I+I!EIC3#?KE!K B@4g4JgJ"cJD4$@Lc"L
I?K +'+;+I?3S!;;/E J@L g(g<gJ@4T"<<0c
?#!AI3-S;+;I/+C/ @$"BJ4.T<g<J0gD0
9S5/CKEES;#!AI3E9! :Ti0DLccT<$"BJ4c:"
9+I!;?3!E+3E!M+E3[;] :gJ"<@4"cg4c"Ngc4[<]
!9!CI3S;5!3+=+A? ":"DJ4T<i"4g>gB@]

Siamo abbastanza informati su come avveniva la copiatura dei libri e la loro produzione
in serie nell’antichità. Generalmente il copista eseguiva il suo lavoro nello scriptorium: un
lettore stava davanti a un gruppo di scribi e leggeva lentamente e ad alta voce il testo da
copiare. Gli scribi ascoltavano attentamente e trascrivevano a mano ciò che avevano udito.
Questo sistema — rimasto in vigore praticamente fino alla scoperta della stampa avvenuta
nel 1454 — sebbene abbastanza produttivo e veloce poteva dare origine a ogni sorta di
errori, causati sia dal lettore (distrazione, stanchezza, difficoltà visive, ecc.) sia dallo scriba
(sonnolenza, difficoltà di udito, rumori occasionali). È altresì probabile, tuttavia, che le prime
copie dei codici biblici greci siano state prodotte da singoli scribi, i quali, senza la mediazione
del lettore, avevano davanti a loro il manoscritto da copiare. In tal caso si potevano originare
altri tipi di errori (tra i più comuni il salto di riga, la dittografia, l’omissione di una o più
parole, ecc.).

Al di là di questa oggettiva difficoltà sarebbe assai singolare, tuttavia, che un copista,


quasi certamente cristiano, dopo aver predisposto con cura il materiale necessario al suo
lavoro ed essersi preparato spiritualmente e mentalmente, inizi a trascrivere il vangelo di
Marco facendo un errore così grossolano e grave dopo aver scritto appena quattro parole! Si
deve ritenere, pertanto, che l’espressione LÊ@Ø hg@Ø sia una aggiunta, facilmente comprensi-
bile sul piano teologico e non una omissione, difficilmente ammissibile sul piano formale.
Si deve altresì ricordare che, da un punto di vista di critica interna, l’espressione [Ò] LÊÎH
[J@Ø] hg@Ø in Mc 3,11; 5,7; 15,39 (e Ò LÊÎH J@Ø gÛ8@(0J@Ø in Mc 14,61) non è mai
redazionale (lo sarebbe soltanto nel nostro passo) e male si accorda con l’espressione
Mc 1,2 19

stereotipa e post–pasquale z30F@Ø OD4FJ@Ø, nella quale l’apposizione PD4FJ`H è già


considerata come nome proprio. Dunque, come sopra riferito, il primo versetto del vangelo
di Marco, privo della glossa successiva LÊ@Ø hg@Ø, è totalmente redazionale (probabilmente
neppure marciano) e costituisce il titolo dell’intero libretto: «Compendio del vangelo di Gesù
Cristo», da considerarsi sintatticamente staccato rispetto al v. 2, inizio della narrazione.

1,2 5"hãH (X(D"BJ"4 ¦< Jè z/F"đ Jè BD@nZJ®s z3*@× •B@FJX88T JÎ<


–((g8`< :@L BDÎ BD@FfB@L F@Ls ÔH i"J"FigLVFg4 J¬< Ò*`< F@L·
1,2 Come è scritto nel profeta Isaia: «Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te: egli
preparerà la tua strada.

5"hfH: cong. comparativa, indecl., come. Questa congiunzione ricorre 182 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 3 volte in Matteo (corrispondente allo 0,016% del
totale delle parole); 8 volte in Marco, nel significato sia comparativo che modale (cf. Mc 1,2;
4,33; 9,13; 11,6; 14,16.21; 15,8; 16,7 = 0,071%); 17 volte in Luca (0,087%); 31 volte in
Giovanni (0,198%). Coloro che non ammettono la possibilità che il v. 1 possa rappresentare
il titolo a sé stante dell’opera marciana — come, invece, noi riteniamo — portano a sostegno
della loro tesi l’affermazione che la congiunzione i"hfH non si trova mai all’inizio di frase
o per lo meno andrebbe associata con ciò che precede. Questa obiezione è facilmente
confutabile nel constatare che nel greco biblico vi sono molti altri esempi in cui un nuovo
periodo inizia con i"hfH: si tratta di ricorrenze in cui la proposizione con il correlativo
precede la principale, come avviene nel nostro caso (cf. Lc 11,30; 17,26; Gv 3,14; 12,14;
1Cor 2,9; LXX: Nm 8,22; Gdc 1,7; 5,27; 1Re 1,37; 21,4; 22,4; Est 6,10; 2Mac 1,31; 2,10;
Gb 6,17; Sal 103,13; Qo 5,3.14; 8,4; Sir 14,11; 27,19; Ger 27,40; 49,18; Ez 22,20; 47,3; Dn
1,13; 9,13; Os 7,12[x2]; 10,5; 11,2; Zc 1,6). In sintesi: Mc 1,1 costituisce il titolo dell’intera
opera; Mc 1,2 costituisce l’inizio della prima sezione narrativa del libro; la congiunzione
i"hfH rimanda a ¦(X<gJ@ di Mc 1,4.
(X(D"BJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. pass. da (DVnT, scrivere. Questo verbo ricorre 191
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 10 volte in Matteo (corrispondente
allo 0,055% del totale delle parole); 10 volte in Marco (cf. Mc 1,2; 7,6; 9,12.13; 10,4.5;
11,17; 12,19; 14,21.27 = 0,088%); 20 volte in Luca (0,103%); 22 volte in Giovanni
(0,141%). Il tempo perfetto indica una azione passata i cui effetti durano ancora al presente,
rispetto a chi parla o scrive. La forma verbale (X(D"BJ"4 ricorre 67 volte nel NT: nella
stragrande maggioranza delle ricorrenze (56 volte) è usata come espressione tecnica per
introdurre una citazione anticotestamentaria (cf. Mt 2,5; 4,4.6.7.10; 11,10; 21,13; 26,31; Mc
1,2; 7,6; 11,17; 14,27; Lc 2,23; 3,4; 4,4.8.10; 7,27; 10,26; 19,46; At 1,20; 7,42; 13,33; 15,15;
23,5; Rm 1,17; 2,24; 3,4.10; 4,17; 8,36; 9,13.33; 10,15; 11,8.26; 12,19; 14,11; 15,3.9.21;
1Cor 1,19.31; 2,9; 3,19; 9,9; 10,7; 14,21; 15,45; 2Cor 8,15; 9,9; Gal 3,10.13; 4,27; Eb 10,7;
1Pt 1,16) oppure, più in generale, per indicare quanto nell’AT venne scritto sotto ispirazione
divina (cf. Mt 26,24; Mc 9,12.13; 14,21.[49]; Lc 24,46; Gv 8,17; 1Cor 4,6; Gal 4,22).
Altrove la forma verbale si riferisce ai «segni» compiuti da Gesù e messi per iscritto in un
libro (cf. Gv 20,31) oppure agli abitanti della terra, adoratori della bestia, il nome dei quali
non è scritto nel libro della vita (cf. Ap 13,8; 17,8). Nel NT, normalmente, la formula i"hãH
20 Mc 1,2

(X(D"BJ"4 viene impiegata non all’inizio, ma alla fine di una citazione anticotestamentaria
(cf. At 7,42; 15,15; Rm 1,17; 3,4.10; 4,17; 9,13.33; 11,8.26; 15,3.9.21; 1Cor 1,31; 2Cor 8,15;
9,9); precede la citazione soltanto in 3 casi: Rm 8,36; 10,15; 1Cor 2,9. Tuttavia, motivi di
costruzione sintattica, come la titolatura dell’intero libro posta nel v. 1 e l’iniziale aoristo del
v. 4 senza la congiunzione *X o i"\, suggeriscono di legare la citazione direttamente con la
comparsa di Giovanni: la frase i"hãH (X(D"BJ"4 ¦< Jè z/F"đ… (v. 2a) costituisce la
protasi che ha nella forma …¦(X<gJ@ z3TV<<0H (v. 4) la corrispettiva apodosi: «come si
trova scritto in Isaia… [così] apparve Giovanni…». I vv. 2b–3 formano un lungo inciso
costituito da alcune citazioni anticotestamentarie che Marco riformula in modo originale (cf.
sotto).
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra. Questa
preposizione ricorre 2752 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 293 volte
in Matteo (corrispondente all’1,597% del totale delle parole); 135 volte in Marco (1,194%);
361 volte in Luca (1,853%); 226 volte in Giovanni (1,445%). Si tratta della preposizione più
usata nel NT, distribuita in modo omogeneo in tutti gli scritti, senza particolari concentrazio-
ni. Nel NT l’impiego di ¦< corrisponde generalmente a quello del greco classico, potendo
assumere un significato locale, di valore statico o dinamico, reale o figurato («in», «a»,
«presso», «entro», «su», «in mezzo», «tra», «in presenza di»), temporale («in», «durante»,
«entro»), di unione e compagnia («con», «insieme a»), strumentale («con», «per mezzo di»),
di agente e causa efficiente («per», «in forza di»), causale («per», «a causa di»), modale (per
indicare una condizione, una circostanza), stato o condizione (per indicare uno stato sia fisico
che spirituale). Nel vangelo di Marco prevale di gran lunga l’uso locale, reale o figurato (83
ricorrenze su 135). Altrove ¦< compare con significato temporale (cf. Mc 1,9; 2,19.20.23;
4,4.35; 6,48; 10,30[x2]; 12,23; 13,11.17.24; 14,2; 15,7.29), modale (cf. Mc 1,23; 5,2; 8,38;
9,1; 11,9; 12,38; 14,1; 16,12), di relazione (cf. Mc 1,11; 14,6), causale (cf. Mc 6,3; 9,41),
stato o condizione (cf. Mc 5,25; 13,17) o semplicemente pleonastico, per influsso semitico
(cf. Mc 4,24; 11,28; 14,1.6). Nel greco biblico si riscontra un uso particolare della
preposizione ¦< quasi totalmente sconosciuto nel greco classico: quello strumentale, dovuto
a influsso semitico. In questi casi la preposizione ¦< corrisponde a quella ebraica vA, be, usata
per esprimere non un complemento di luogo, ma di mezzo o strumento. Ritroviamo questo
uso particolare in Mc 1,8; 3,22.23; 4,2.11.24.30; 6,14; 9,29.38.50; 11,28.29.33; 12,1.36.38;
16,17.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo. La forma Jè ricorre 1239 volte nel NT
rispetto alle 19.862 ricorrenze totali dell’articolo. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
149 volte in Matteo (corrispondente allo 0,812% del totale delle parole); 77 volte in Marco
(0,681%); 177 volte in Luca (0,909%); 114 volte in Giovanni (0,729%).
z/F"đ: sost., nome proprio di persona, dat. sing. m. da z/F"Ä"H, –@L, Isaia; compl. di stato
in luogo. Il vocabolo ricorre 22 volte nel NT: 6 volte in Matteo (cf. Mt 3,3; 4,14; 8,17; 12,17;
13,14; 15,7); 2 volte in Marco (cf. Mc 1,2; 7,6); 2 volte in Luca (cf. Lc 3,4; 4,17); 4 volte in
Giovanni (cf. Gv 1,23; 12,38.39.41); 3 volte in Atti degli Apostoli (cf. At 8,28.30; 28,25);
5 volte in Romani (cf. Rm 9,27.29; 10,16.20; 15,12). Traslitterazione grecizzata del nome
proprio maschile di origine ebraica {%I*3A– H *A, Yeša‘ya) hû, «Mia salvezza [è] Yah[weh]». Qui
sta a indicare non il personaggio storico, il celebre profeta vissuto a Gerusalemme nella
Mc 1,2 21

seconda metà del secolo VIII a.C., ma l’opera scritta a lui attribuita, come del resto rinviano
al testo scritto di Isaia tutti i 22 passi neotestamentari che citano il suo nome. Nel v. 2 Marco
attribuisce a Isaia una citazione composita tratta, in realtà, da Es 23,20 e Ml 3,1 (LXX). Tale
combinazione di testi dell’AT è piuttosto comune in Marco (cf. Mc 1,11; 12,36; 14,24.27.
62). In Es 23,20 Dio aveva promesso l’invio di un angelo per proteggere Israele lungo il
cammino verso la terra promessa (i" Æ*@× ¦(㠕B@FJX88T JÎ< –((g8`< :@L BDÎ
BD@FfB@L F@L Ë<" nL8V>® Fg ¦< J± Ò*è ÓBTH gÆF"(V(® Fg gÆH J¬< (­< ¼<
ºJ@\:"FV F@4, «ecco, io mando il mio angelo davanti a te per custodirti sulla strada che
stai percorrendo verso la terra che ti ho preparato»). In Ml 3,1 Dio aveva predetto la venuta
del suo angelo che poi, in Ml 3,23, viene identificato con Elia (Æ*@× ¦(ã ¦>"B@FJX88T
JÎ< –((g8`< :@L i" ¦B4$8XRgJ"4 Ò*Î< BDÎ BD@FfB@L :@L, «ecco, io invio il mio
angelo a preparare una strada davanti a me»). Questa citazione composita, premessa da
Marco al testo isaiano, svolge una funzione interpretativa: la voce di colui che grida nel
deserto non è la voce di un anonimo messaggero, né proviene da umana iniziativa: è, invece,
la voce di colui che Dio stesso ha inviato per preparare l’avvento del Signore. Probabilmente
i due oracoli del v. 2 sono attribuiti da Marco al profeta più noto e rappresentativo (Isaia)
«per modum unius», come scrive Origene (Id., Comm. in Ioann., 6,24,129), poiché nel
successivo v. 3 viene riportata la citazione tratta da Is 40,3. Secondo altri la giustapposizione
dei due testi (Es 23,20 [+ Ml 3,1] e Is 40,3) sotto un unico riferimento segue l’uso giudaico
del tempo di non citare mai un passo profetico senza appoggiarlo a un testo della Legge, di
cui era ritenuto un commento.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
BD@nZJ®: sost., dat. sing. m. da BD@nZJ0H, –@L, porta–voce, profeta; apposizione di z/F"đ.
Il vocabolo ricorre 144 volte nel NT; la distribuzione nei vangeli è la seguente: 37 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,202% del totale delle parole); 6 volte in Marco (cf. Mc 1,2;
6,4.15[x2]; 8,28; 11,32, corrispondente allo 0,053%); 29 volte in Luca (0,149%); 14 volte
in Giovanni (0,163%). Coerentemente con l’etimologia del termine greco (dal prefisso BD@–,
«prima», tema n0– n"– di n0:\, «dire» e suffisso nominale –J0H a indicare la persona che
compie l’azione), il NT considera gli antichi profeti di Israele come porta–parola, ossia come
personaggi carismatici per mezzo dei quali Dio ha parlato al suo popolo. Questo significato
originale è quello che ritroviamo anche nel greco classico dove, a partire dal VI secolo a.C.,
il termine BD@nZJ0H (BD@nVJ0H, forma dorica) indica colui che parla a nome di dio,
l’interprete del volere divino e, quindi, il suo «porta–voce» o «profeta» (cf. Eschilo, Eum., 19;
Pindaro, Olym., 8,16; Nem., 1,60; Erodoto, Hist., 8,36,2; Euripide, Rh., 972; Platone, Resp.,
366b). Si tratta, propriamente, non di uno che predice il futuro, ma di un proclamatore, un
araldo, un annunciatore, anche in ambito profano (cf. Aristofane, Av., 972). Stesso significato
ritroviamo nei LXX dove BD@nZJ0H traduce il corrispondente termine ebraico !*"E1I, na) b5î’,
riconducibile alla radice semitica nord–occidentale !"1, nb5’, «annunciare» e, dunque, il na) b5î’
è colui che viene incaricato di riferire qualcosa a nome di un altro che può essere Dio stesso
(cf. Nm 11,29; 12,6) o un semplice uomo (cf. Es 7,1).
z3*@b: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. medio da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare.
Nel NT questa forma (Æ*@b) ricorre 199 volte. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 61
volte in Matteo (corrispondente allo 0,338% del totale delle parole); 7 volte in Marco (cf. Mc
22 Mc 1,2

1,2; 3,32; 4,3; 10,28.33; 14,41.42 = 0,062%); 57 volte in Luca (= 0,293%); 4 volte in
Giovanni (= 0,026%). Il vocabolo Æ*@b, un segnale discorsivo stereotipo, nella maggior parte
delle ricorrenze neotestamentarie assume il valore avverbiale ed esclamativo corrispondente
alle interiezioni «ecco!», «vedi!», «guarda!», «guardate!». Il termine rimane morfologicamente
invariabile pur conservando il valore semantico dell’azione («vedere») e la forza della forma
originaria espressa all’imperativo («Vedi!»). Pertanto Æ*@b può riferirsi a un soggetto anche
plurale. Non c’è sostanziale diversità con l’equivalente Ç*g (cf. Mc 2,24). Entrambe le
particelle sono forme vivaci e dinamiche, modellate sul corrispondente ebraico %F% E , hinne)h
(1057 volte nell’AT) e in quanto tali possono sottolineare il discorso o la narrazione che esse
introducono con una energia particolare, esprimente, di volta in volta, sorpresa, importanza,
novità, reazione.
•B@FJX88T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da •B@FJX88T (•B` e FJX88T), inviare,
mandare. Questo verbo ricorre 132 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
22 volte in Matteo (cf. Mt 2,16; 8,31; 10,5.16.40; 11,10; 13,41; 14,35; 15,24; 20,2;
21,1.3.34.36.37; 22,3.4.16; 23,34.37; 24,31; 27,19, corrispondente allo 0,120% del totale
delle parole); 20 volte in Marco (cf. Mc 1,2; 3,15.31; 4,29; 5,10; 6,7.17.27; 8,26; 9,37;
11,1.3; 12,2.3.4.5.6.13; 13,27; 14,13 = 0,177%); 26 volte in Luca (cf. Lc 1,19.26;
4,18[x2].43; 7,3.20.27; 9,2.48.52; 10,1.3.16; 11,49; 13,34; 14,17.32; 19,14.29.32; 20,10.20;
22,8.35; 24,49 = 0,133%); 28 volte in Giovanni (cf. Gv 1,6.19.24; 3,17.28.34; 4,38;
5,33.36.38; 6,29.57; 7,29.32; 8,42; 9,7; 10,36; 11,3.42; 17,3.8.18[x2].21.23.25; 18,24; 20,21
= 0,179%). L’indicativo presente, usato nelle profezie con valore di futuro, attesta che la
promessa comincia a realizzarsi mentre Dio o il suo profeta stanno ancora parlando:
«prometto che manderò…», «di sicuro manderò…». Nel greco ellenistico (ma anche in
quello classico) il verbo •B@FJX88T non corrisponde al semplice e neutro «inviare» (=
BX:BT): esso connota un invio effettuato con uno scopo ben preciso, come se fosse una
specie di incarico, soprattutto in ambito legale, religioso e morale. Questo uso tecnico del
verbo si riscontra nei LXX, dove •B@FJX88T (e la variante ¦>"B@FJX88T) ricorre più di
700 volte per tradurre il verbo ebraico (-H– I , ša) lahE, il quale nel TM è usato in prevalenza per
l’invio di un messaggero con un incarico speciale, una ambasceria o un compito, affidatogli
da un uomo (cf. Gn 32,4; Nm 20,14; ecc.) o da Dio (cf. 2Cr 36,15; Ml 3,1; ecc.). A questo
concetto di invio da parte dell’inviante si collega l’idea della consapevolezza e dell’autorità
che assume l’inviato, il quale rappresenta in tutto e per tutto colui che lo manda per una
missione. I sinottici, parlando di Dio, non usano mai BX:BT, ma soltanto •B@FJX88T (cf.
Mt 10,40; 15,24; Mc 9,37; Lc 9,48). In altri passi del NT il verbo comincia ad assumere una
coloritura teologica, nel significato di «inviare» (= «incaricare») qualcuno con pieni poteri al
servizio del regno di Dio (cf. Mt 10,5.16; 15,24; Mc 1,2; 6,7; Lc 9,2.52; 10,1.3; 22,35; Rm
10,15; 1Cor 1,17).
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo. La forma J`< ricorre 1581 volte nel NT
rispetto alle 19.862 ricorrenze totali dell’articolo. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
221 volte in Matteo (corrispondente all’1,205% del totale delle parole); 149 volte in Marco
(1,327%); 216 volte in Luca (1,109%); 241 volte in Giovanni (1,541%).
–((g8`<: sost., acc. sing. m. da –((g8@H, –@L, messaggero, inviato, nunzio, legato, «angelo»;
compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 175 volte nel NT. Nei vangeli la distribuzione è la
Mc 1,2 23

seguente: 20 volte in Matteo (cf. Mt 1,20.24; 2,13.19; 4,6.11; 11,10; 13,39.41.49; 16,27;
18,10; 22,30; 24,31.36; 25,41; 26,53; 28,2.5, corrispondente allo 0,109% del totale delle
parole); 6 volte in Marco (cf. Mc 1,2.13; 8,38; 12,25; 13,27.32 = 0,053%); 25 volte in Luca
(cf. Lc 1,11.13.18.19. 26.30.34.35.38; 2,9.10.13.15.21; 4,10; 7,24.27; 9,26.52; 12,8.9; 15,10;
16,22; 22,43; 24,23 = 0,128%); 3 volte in Giovanni (cf. Gv 1,51; 12,29; 20,12 = 0,019%).
La presenza dell’articolo indica che non si tratta di un messaggero qualunque, ma di uno
famoso e ben conosciuto. Nel NT l’accezione di –((g8@H come colui che reca un
messaggio, ossia «messaggero» umano, significato prevalente nel greco classico (cf. Omero,
Il., 5,804; 10,286.652, ecc.), è scarsamente attestata: nella maggior parte dei casi il vocabolo
ricalca l’ebraico …!I -A/
H , mal’a) k, nel significato di «angelo», inteso come nunzio celeste
inviato da Dio, intermediario tra il mondo ultraterreno e quello terreno, significato
ugualmente attestato nel greco profano (cf. Omero, Il., 1,334; 2,26.63.94.786, ecc.). Nel NT
il messaggero umano è indicato con semplici parafrasi, come Bg:nhg\H (cf. Lc 7,10),
•BgFJ"8:X<@H (cf. Lc 19,32) oppure mediante i sostantivi •B`FJ@8@H e :"h0JZH (cf.
Mt 10,5.6; 11,2, ecc.). In alcuni casi, tuttavia, come il nostro (cf. anche Mt 11,10; Lc 7,24;
9,52; Gc 2,25), il vocabolo è usato per indicare un messaggero umano inviato con un
incarico.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø / :@L, dat. ¦:@\ / :@4, acc. ¦:X
/ :g), io, me; compl. di specificazione. La forma enclitica :@b ricorre 564 volte nel NT
rispetto alle 2583 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 84 volte in Matteo (corrispondente allo 0,458% del totale delle parole); 40 volte
in Marco (cf. Mc 1,2.7[x2].11.17; 3,33[x2].34[x2].35; 5,23.30.31; 6,23; 7,14; 8,33.34;
9,7.17.24.37.39; 10,20.40; 11,17; 12,6.36[x2]; 13,6.13.31; 14,8.14[x2].22. 24. 34; 15,34[x2];
16,17 = 0,354%); 88 volte in Luca (0,452%); 102 volte in Giovanni (0,652%). Nel NT
questa forma, detta genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di
1a persona singolare («di me» = «mio»).
BD`: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., davanti a. Questa preposizione
ricorre 47 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 5 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,027% del totale delle parole); 1 volta in Marco (cf. Mc 1,2, hapax
marciano); 7 volte in Luca (0,036%); 9 volte in Giovanni (0,058%). La preposizione BD`
è poco attestata nel NT, dove nella maggior parte delle ricorrenze assume il significato
temporale di «prima» e secondariamente quello locale («davanti a»). Questa uso relativamen-
te scarso trova conferma nei LXX (circa 260 ricorrenze) e nei Padri apostolici (da quanto
risulta si conoscono soltanto 21 ricorrenze): ciò dipende dal fatto che nel greco ellenistico
alcune preposizioni improprie, come §:BD@Fhg<, §<"<J4, ¦<fB4@<, ecc., sono utilizzate
al posto della preposizione BD`, fino a sostituirla del tutto.
BD@FfB@L: sost., gen. sing. n. da BD`FTB@<, –@L, faccia, viso, volto, fronte; compl. di moto
a luogo. Il vocabolo ricorre 76 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 10
volte in Matteo (cf. Mt 6,16.17; 11,10; 16,3; 17,2.6; 18,10; 22,16; 26,39.67, corrispondente
allo 0,055% del totale delle parole); 3 volte in Marco (cf. Mc 1,2; 12,14; 14,65 = 0,027%);
13 volte in Luca (cf. Lc 2,31; 5,12; 7,27; 9,29.51.52.53; 10,1; 12,56; 17,16; 20,21; 21,35;
24,5 = 0,067%). L’espressione «davanti a te» è resa alla maniera semitica: BDÎ BD@FfB@L
F@L, «davanti alla tua faccia» (= ‰*1G5I-A: Es 23,20; 32,34; Nm 14,42; Dt 3,18, ecc.). Si tratta
24 Mc 1,2

di una perifrasi ebraizzante al posto della semplice preposizione BD` (cf. Mt 11,10; Mc 1,2;
Lc 7,27; 9,52; 10,1; At 13,24).
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø / F@L, dat. F@\ / F@4, acc. FX / Fg),
tu, te; compl. di specificazione. La forma F@Ø / F@L ricorre 481 volte nel NT rispetto alle
2905 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 115
volte in Matteo (corrispondente allo 0,627% del totale delle parole); 40 volte in Marco (cf.
Mc 1,2[x2].44; 2,5.9[x2].11[x2]; 3,32[x3]; 5,19.34[x2].35; 6,18; 7,5.10[x2].29; 9,18.38.43.
45.47; 10,19.37[x2].52; 11,14; 12,30[x5].31.36[x2]; 14,60; 15,4 = 0,354%); 114 volte in
Luca (0,585%); 36 volte in Giovanni (0,230%). Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» =
«tuo»). Come sopra accennato, la prima parte della profezia («Ecco, io mando il mio
messaggero davanti a te») è tratta non da Isaia, ma da Es 23,20 e Ml 3,1, come già notavano
gli antichi commentatori:

«Quantum in memoria est, et in mea mente pertracto, tam Septuaginta interpretes quam
hebraeorum volumina diligentissime ventilans, numquam hoc in Esaia propheta scriptum esse
reperire potui, quod ponitur, “Ecce mitto angelum meum ante faciem tua”: sed in Malachia
prophetae fine scriptum est».

«Per quanto mi ricordi e mi arrovelli la mente, anche dopo aver ripassato scrupolosamente
le pagine dei Settanta interpreti e i rotoli degli Ebrei, la frase “Ecco, io mando il mio
messagero davanti a te” non sono riuscito a trovarla nel profeta Isaia: essa si trova alla fine
del profeta Malachia» (Girolamo, In Marc., Sermo 1).

ÓH: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; soggetto. La forma ÓH ricorre 223
volte nel NT rispetto alle 1407 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 34 volte in Matteo (corrispondente allo 0,185% del totale delle
parole); 28 volte in Marco (cf. Mc 1,2; 3,19.29.35; 4,9.25[x2].31; 5,3; 6,11; 8,35[x2].38;
9,37[x2].39.40.41.42; 10,11.15.29.43.44; 11,23; 13,2; 15,23.43 = 0,248%); 32 volte in Luca
(0,164%); 10 volte in Giovanni (0,064%).
i"J"FigLVFg4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. da i"J"FigLV.T (i"JV e una parola derivata
da FigØ@H): preparare, rendere pronto, costruire. Questo verbo ricorre 11 volte nel NT: Mt
11,10; Mc 1,2 (hapax marciano); Lc 1,17; 7,27; Eb 3,3.4[x2]; 9,2.6; 11,7; 1Pt 3,20. Nel
greco classico il verbo i"J"FigLV.T esprime la preparazione meticolosa e ordinata di
qualche avvenimento o attività ed equivale a «equipaggiare», «allestire», «predisporre con
cura», come, ad esempio, un tempio di tesori (cf. Erodoto, Hist., 8,33,1), la nave
dell’equipaggio (cf. Demostene, Or., 18,194), la casa di mobili (cf. Diogene Laerzio, Vitae,
5,14), un simposio (cf. Platone, Resp., 363c). Nelle ricorrenze sinottiche il verbo è riferito
sempre a Giovanni il Battista.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo. La forma JZ< ricorre 1528 volte nel NT
rispetto alle 19.862 ricorrenze totali dell’articolo. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
203 volte in Matteo (corrispondente all’1,107% del totale delle parole); 126 volte in Marco
(1,115%); 172 volte in Luca (0,883%); 142 volte in Giovanni (0,908%).
Mc 1,3 25

Ò*`<: sost., acc. sing. f. da Ò*`H, –@Ø, strada, via; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 101 volte
nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 22 volte in Matteo (cf. Mt 2,12; 3,3; 4,15;
5,25; 7,13.14; 8,28; 10,5.10; 11,10; 13,4.19; 15,32; 20,17.30; 21,8[x2].19.32; 22,9.10.16,
corrispondente allo 0,120% del totale delle parole); 16 volte in Marco (cf. Mc 1,2.3; 2,23;
4,4.15; 6,8; 8,3.27; 9,33.34; 10,17.32.46.52; 11,8; 12,4 = 0,142%); 20 volte in Luca (cf. Lc
1,76.79; 2,44; 3,4.5; 7,27; 8,5.12; 9,3.57; 10,4.31; 11,6; 12,58; 14,23; 18,35; 19,36; 20,21;
24,32.35 = 0,103%); 4 volte in Giovanni (cf. Gv 1,23; 14,4.5.6 = 0,026%). Come avviene
nel greco classico Ò*`H può indicare nel NT sia la «strada» fisica, il «sentiero» sia, in senso
letterale improprio, il «cammino», ossia il viaggio inteso come spostamento spaziale. Talvolta
i due concetti sono contemporaneamente presenti e stabilire quale sia l’esatta corrispondenza
può essere difficile. In senso traslato il vocabolo Ò*`H è usato all’interno del contesto della
sequela per indicare, secondo l’uso anticotestamentario, ma conosciuto anche nel greco
classico, la condotta di vita, il comportamento etico, il modo di vivere più o meno
corrispondente alla legge di Dio (cf. Mc 8,27; 9,33.34; 10,32.52; 11,8; 12,14). Per quanto
riguarda l’espressione «via di Dio», «via del Signore», vedi commento a Mc 1,3.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø / F@L, dat. F@\ / F@4, acc. FX / Fg),
tu, te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» =
«tuo»).

1,3 nT<¬ $@ä<J@H ¦< J± ¦DZ:å· {+J@4:VF"Jg J¬< Ò*Î< iLD\@Ls gÛhg\"H B@4gÃJg
JH JD\$@LH "ÛJ@Øs
1,3 Voce di chi grida nel deserto: “Preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi
sentieri”»,

nT<Z: sost., nom. sing. f. da nT<Z, –­H, voce, suono, discorso; soggetto. Il vocabolo ricorre
139 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 7 volte in Matteo (cf. Mt 2,18;
3,3.17; 12,19; 17,5; 27,46.50, corrispondente allo 0,038 del totale delle parole); 7 volte in
Marco (cf. Mc 1,3.11.26; 5,7; 9,7; 15,34.37 = 0,062%); 14 volte in Luca (cf. Lc 1,44; 3,4.22;
4,33; 8,28; 9,35.36; 11,27; 17,13.15; 19,37; 23,23[x2].46 = 0,072%); 15 volte in Giovanni
(cf. Gv 1,23; 3,8.29; 5,25.28.37; 10,3.4.5.16.27; 11,43; 12,28; 18,37 = 0,096%). La
mancanza dell’articolo non ha qui particolari significati, ma è un segnale linguistico del modo
di esprimere il genitivo in ebraico, detto stato costrutto, in cui il sostantivo che regge il
genitivo è sempre senza articolo. Nel greco classico il sostantivo nT<Z indica il «suono» o
la «voce» riprodotta da esseri animati, siano essi uomini o animali (cf. Omero, Il., 13,45;
18,219.221; Od., 10,239). Limitatamente all’ambito umano il termine designa anche
l’articolazione della voce, ossia la capacità di parlare (cf. Sofocle, Oed. Col., 1283). Una
singola parola, un detto, un aforisma, ecc., possono essere definiti nT<Z (Platone, Prot.,
341b; Sesto Empirico, Pyrrh., 1,14,2), come pure un messaggio, una comunicazione (papiri
del II secolo d.C.). Nel nostro passo il termine nT<Z fa implicito riferimento non soltanto
alla «voce» dell’anonimo araldo descritto dal profeta Isaia, ma anche alla «voce» di Giovanni
il Battista, ossia alla sua predicazione escatologica. «Iohannes Baptista vox dicitur, et
Dominus noster Iesus sermo: servus praecedit Domino», «Giovanni Battista viene chiamato
26 Mc 1,3

voce, mentre nostro Signore Gesù parola. È come un servo che precede il padrone»
(Girolamo, In Marc., Sermo 1).
$@ä<J@H: verbo, gen. sing. m. part. pres., di valore sostantivato, da $@VT, gridare, chiamare
ad alta voce; compl. di specificazione. Questo verbo ricorre 12 volte nel NT: Mt 3,3; Mc
1,3; 15,34; Lc 3,4; 9,38; 18,7.38; Gv 1,23; At 8,7; 17,6; 25,24; Gal 4,27. L’assenza
dell’articolo, dovuta a influsso dello stato costrutto ebraico, sottolinea che la voce che grida
è quella di un personaggio anonimo, come desiderò essere considerato Giovanni Battista.
Attestato a partire da Omero il verbo $@VT è frequentemente utilizzato nella letteratura,
nelle iscrizioni e nei papiri per esprimere il grido scomposto e violento emesso da uomini in
contesti generalmente di sofferenza, spavento o richiesta di aiuto (cf. Omero, Il., 2,224;
17,89). Nei LXX il verbo è spesso impiegato a proposito del grido di dolore e soccorso che
l’oppresso e il perseguitato innalzano a Dio (cf. Gn 4,10; Nm 20,16; Gdc 10,10). Costruito
sull’uso classico il verbo è utilizzato nel NT per descrivere il grido tumultuoso della folla (cf.
At 17,6; 25,24), quello festante della donna sterile che avrà figli (cf. Gal 4,27), quello
supplice e accorato dei deboli e dei malati (cf. Lc 9,38; 18,7.38), quello scomposto degli
spiriti cattivi (cf. At 8,7) o quello di apparente disperazione pronunciato dal Crocifisso, poco
prima di morire (cf. Mc 15,34).
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo. La forma J± ricorre 878 volte nel NT rispetto
alle 19.862 ricorrenze totali dell’articolo. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 103 volte
in Matteo (corrispondente allo 0,561% del totale delle parole); 59 volte in Marco (0,522%);
136 volte in Luca (0,698%); 72 volte in Giovanni (0,461%).
¦DZ:å: sost., dat. sing. f. da §D0:@H, –@L, regione desertica, luogo solitario, landa desolata;
compl. di stato in luogo. Il vocabolo ricorre 48 volte nel NT: 8 volte in Matteo (cf. Mt 3,1.3;
4,1; 11,7; 14,13.15; 23,38; 24,26); 4 volte in Marco (cf. Mc 1,3.4.12.13; è usato come
aggettivo in Mc 1,35.45; 6,31.32.35); 10 volte in Luca (cf. Lc 1,80; 3,2.4; 4,1.42; 5,16; 7,24;
8,29; 9,12; 15,4); 5 volte in Giovanni (cf. Gv 1,23; 3,14; 6,31.49; 11,54); 9 volte in Atti degli
Apostoli (cf. At 1,20; 7,30.36.38.42.44; 8,26; 13,18; 21,38); 1 volta in 1Corinzi (cf. 1Cor
10,5); 1 volta in Galati (cf. Gal 4,27); 2 volte in Ebrei (cf. Eb 3,8.17); 3 volte in Apocalisse
(cf. Ap 12,6.14; 17,3). Seguendo uno sviluppo che si manifesta già nel greco classico alcuni
aggettivi di uso frequente, come §D0:@H, sono diventati sostantivi, sottintendendo facilmente
il vocabolo PfD", «regione», (­, «terra» o J`B@H, «luogo». Nel NT all’uso aggettivale di
§D0:@H prevale quello sostantivale, il quale, anche con l’ellissi di (­, PfD" o J`B@H, indica
sempre un luogo solitario non abitato, non necessariamente il «deserto» nella sua accezione
strettamente fisica. Quando è usato come indicazione geografica, §D0:@H può riferirsi al
deserto di Giuda (cf. Mt 3,1), alla steppa desertica della depressione giordanica (cf. Mc 1,4)
o al deserto arabico (cf. At 7,30). Pur riportando integralmente la prima parte dell’oracolo di
Isaia (nT<¬ $@ä<J@H ¦< J± ¦DZ:å ©J@4:VF"Jg J¬< Ò*Î< iLD\@L, Is 40,3), Marco
opera una diversa divisione, con conseguente modifica del significato. Nel TM di Is 40,3
(ripreso dai LXX) è presente uno zaqef qaton con valore disgiuntivo, per separare
l’espressione «una voce grida» da quella successiva («nel deserto»). Ciò significa che
Mc 1,3 27

secondo il TM si deve tradurre il passo ebraico nel modo seguente: «Voce di uno che grida:
“Nel deserto preparate la strada del Signore, raddrizzate nella steppa la strada del nostro
Dio”». Al contrario Marco scrive: «Voce di uno che grida nel deserto: “Preparate la strada
del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”». Mediante tale modifica redazionale la figura e
l’attività di Giovanni il Battista vengono contestualizzati in un luogo geografico e teologico
ben preciso.
{+J@4:VF"Jg: verbo, 2a pers. plur. imperat. aor. da ©J@4:V.T, preparare, apparecchiare,
rendere pronto. Questo verbo ricorre 40 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 7 volte in Matteo (cf. Mt 3,3; 20,23; 22,4; 25,34.41; 26,17.19, corrispondente allo
0,038% del totale delle parole); 5 volte in Marco (cf. Mc 1,3; 10,40; 14,12.15.16 = 0,044%);
14 volte in Luca (cf. Lc 1,17.76; 2,31; 3,4; 9,52; 12,20.47; 14,2.3 = 0,072%); 2 volte in
Giovanni (cf. Gv 14,2.3 = 0,013%). Nella maggior parte delle ricorrenze neotestamentarie
il verbo ©J@4:V.T, comunissimo nel greco classico a partire da Omero (cf. Id., Il., 1,118),
è usato nel senso letterale proprio («preparare», «predisporre») in riferimento a cose o
particolari attività. Qui il comando (che nel passo di Isaia si riferisce alla preparazione fisica
di una strada che permetta il ritorno di Israele dall’esilio) assume il significato metaforico di
una preparazione interiore, per essere pronti ad accogliere il messia con le dovute disposizioni
dello spirito. Anche i rabbini interpretavano in senso messianico il testo di Is 40,3 (cf.
Strack–Bill., I,96ss.); analogamente fece la comunità di Qumran che applicò l’oracolo di Isaia
in senso escatologico alla propria esistenza di separati nel deserto (cf. 1QS, 8,13–14).
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
Ò*`<: sost., acc. sing. f. da Ò*`H, –@Ø, strada, via; cf. Mc 1,2; compl. oggetto. L’immagine
della strada che viene preparata è presa dal costume orientale: si era soliti, infatti, incaricare
alcuni araldi e operai affinché provvedessero a livellare le strade e renderle praticabili in
occasione dei viaggi dei sovrani. Qui, metaforicamente, si tratta di preparare le menti e i
cuori degli ascoltatori, affinché ricevano il messia nel modo appropriato. Dal punto di vista
formale l’espressione º Ò*`H iLD\@L, «la via del Signore», è presente nell’AT con due
significati tra loro in rapporto: a) può indicare, anzitutto, il comportamento sovrano e libero
di Dio, ossia il suo particolarissimo modo di agire, molto spesso incomprensibile all’uomo
(cf. Es 33,13; Gb 36,26; 37,23; Sal 67,3; Is 55,8). b) Può indicare il comportamento
dell’uomo che deve essere attuato secondo «la via del Signore», ossia in sintonia con la sua
legge divina. Nel nostro passo l’immagine della «via» indica, fuori metafora, l’impegno che
l’uomo deve mettere in atto per vivere secondo i dettami della legge (cf. Dt 8,6; 10,12; Sal
119,3; Gb 23,11; Mc 12,14, ecc.).
iLD\@L: sost., gen. sing. m. da ibD4@H, –@L, signore, padrone, capo, Signore (riferito a Dio e
Gesù); compl. di specificazione. Senza articolo perché il vocabolo è considerato alla stregua
di un nome proprio di persona. Il vocabolo ricorre 717 volte nel NT: 80 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,436% delle parole totali); 18 volte in Marco (cf. Mc 1,3; 2,28; 5,19;
7,28; 11,3.9; 12,9.11.29[x2].30.36[x2].37; 13,20.35; 16,19.20 = 0,159%); 104 volte in Luca
(0,534%); 52 volte in Giovanni (0,333%); 107 volte in Atti degli Apostoli (0,580%); 43 volte
in Romani (0,605%); 66 volte in 1Corinzi (0,966%); 29 volte in 2Corinzi (0,648%); 6 volte
in Galati (0,269%); 26 volte in Efesini (1,073%); 15 volte in Filippesi (0,921%); 16 volte in
28 Mc 1,3

Colossesi (1,011%); 24 volte in 1Tessalonicesi (1,621%); 22 volte in 2Tessalonicesi


(2,673%); 6 volte in 1Timoteo (0,377%); 16 volte in 2Timoteo (1,292%); 5 volte in
Filemone (1,493%); 16 volte in Ebrei (0,323%); 14 volte in Giacomo (0,804%); 8 volte in
1Pietro (0,475%); 14 volte in 2Pietro (1,274%); 7 volte in Giuda (1,518%); 23 volte in
Apocalisse (0,233%).

Limitatamente agli scritti neotestamentari il termine ibD4@H è usato con quattro


accezioni diverse: a) esiste anzitutto un uso profano corrispondente al senso letterale proprio
di «padrone», «proprietario» (eb. -3Hv H , ba‘al): abbiamo, così, il padrone di una casa (cf. Mc
13,35), di una vigna (cf. Mc 12,9), della servitù (cf. At 16,16), ecc.; b) da questo significato
proprio deriva l’impiego del vocativo ibD4g, «signore», come titolo di cortesia e rispetto
rivolto a una persona che si considera una autorità. Con tale titolo si rivolge un figlio al padre
(cf. Mt 21,29), le fanciulle allo sposo (cf. Mt 25,11), i sommi sacerdoti e i farisei a Pilato (cf.
Mt 27,63), i Greci a Filippo (cf. Gv 12,21), alcuni miracolati e seguaci a Gesù (cf. Mt 8,21;
Mc 7,28; ecc.); c) in altri contesti, secondo la consuetudine profana dell’epoca, il vocabolo
ibD4@H è un titolo attribuito a sovrani terreni, senza alcun connotato religioso (cf. At 25,26;
1Cor 8,5; Mc 12,36b; ecc.). Questo uso, ampiamente attestato nella letteratura, è confermato
anche dall’archeologia: sotto una statua dedicata al re Erode il Grande, posta davanti al
tempio di Baal Shamin a Yebel el–Arab, l’antica Seeia di Auranitide, compare questa
iscrizione: [%"]F48gà {/Df*g4 iLD\å z?$"\F"J@H E"`*@L §h0i" JÎ< •<*D4V<J"
J"ÃH ¦:"ÃH *"BV<"4[H], «Al re Erode, signore, io Obaisatos figlio di Saodos, posi la statua
a mie spese» (cf. OGIS, nr. 415); d) vi sono, infine, altri passi in cui il vocabolo ibD4@H è
riferito a Dio e a Gesù in senso religioso; in particolare, usato all’assoluto e senza attributo,
[Ò] ibD4@H indica Dio, definito «Il Signore» per antonomasia (cf. Mt 1,20.22; 3,3; 4,7.10,
ecc.). Riferito a Gesù ricorre come titolo cristologico post–pasquale, per indicare il Cristo
Signore nella sua condizione di gloria (cf. Mc 11,3; Lc 7,13; At 1,21; Rm 10,9; ecc.).
Tuttavia non sempre è facile distinguere quando il titolo, dato a Gesù, ha un significato
profano e quando, invece, esprime una indicazione di sovranità. Nelle 18 ricorrenze marciane
il vocabolo ibD4@H è sempre riferito a Dio (cf. Mc 1,3; 11,9; 12,9 [padrone = Dio];
12,11.29[x2].30.36[x2]; 13,20.35 [padrone = Dio]) o a Gesù (cf. Mc 2,28; 5,19; 7,28; 11,3;
12,37; 16,19.20).
gÛhg\"H: agg. qualificativo, acc. plur. f. da gÛhbH, –gÃ", –b, diritto, retto, vero, sincero; compl.
predicativo dell’oggetto JD\$@LH. Il vocabolo ricorre 8 volte nel NT: Mt 3,3; Mc 1,3 (hapax
marciano); Lc 3,4.5; At 8,21; 9,11; 13,10; 2Pt 2,15. In senso letterale proprio l’aggettivo
gÛhbH esprime nel greco classico ciò che è «dritto», «diretto», detto, ad esempio, di una
strada (cf. Tucidide, Hist., 2,100,2; Senofonte, Cyr., 1,3,4).
B@4gÃJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere. Questo verbo ricorre 568 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
86 volte in Matteo (corrispondente allo 0,469% del totale delle parole); 47 volte in Marco
(cf. Mc 1,3.17; 2,23.24.25; 3,4.8.12.14.16. 35; 4,32; 5,19.20.32; 6,5.21.30; 7,12.13.37[x2];
9,5.13.39; 10,6.17.35.36.51; 11,3.5.17.28[x2].29.33; 12,9; 14,7.8.9; 15,1.7.8.12.14.15 =
0,416%); 88 volte in Luca (0,452%), 110 volte in Giovanni (0,704%). Analogamente a
quanto avviene per l’italiano «fare», il greco B@4XT abbraccia una amplissima gamma
Mc 1,3 29

semantica: è verbo di significato generico usato per esprimere qualsiasi azione positiva,
materiale o no, che soltanto il contesto può precisare. Limitatamente all’uso marciano
possiamo evidenziare quanto segue: a) In 15 ricorrenze il verbo B@4XT ha come soggetto il
Gesù della storia e viene impiegato per descrivere ciò che egli positivamente fa o non riesce
a fare, in riferimento alle sue azioni miracolose (cf. Mc 3,8.[16]; 5,20; 6,5; 7,37[x2]; 10,51),
all’insieme della sua attività salvifica (cf. Mc 11,28[x2].29.33; 15,14), al suo agire in contesto
di sequela (cf. Mc 1,17; 3,14; 10,35.36). A questo uso nobile di B@4XT si devono aggiungere
i passi in cui il verbo ha come soggetto il Signore (cf. Mc 5,19), Dio (cf. Mc 10,6), il padrone
della vigna (cf. Mc 12,9). b) In 6 ricorrenze il verbo B@4XT ha come soggetto i discepoli di
Gesù, in senso sia circoscritto (i Dodici, alcuni di essi) sia generico (cf. Mc 2,23.24; 6,30;
9,5; 11,3.5). c) In 2 ricorrenze B@4XT ha come soggetto il gruppo degli avversari di Gesù,
costituito da farisei, scribi, capi dei sacerdoti e anziani (cf. Mc 7,13; 15,1). d) Altrove il verbo
è impiegato per descrivere il «fare» degli spiriti cattivi (cf. Mc 3,4), quello generico degli
uomini (cf. Mc 1,3; 3,35; 5,32; 7,12; 9,13.39; 10,17; 14,7.8.9; 15,7), di David (cf. Mc 2,25),
di Erode (cf. Mc 6,21), di Pilato (cf. Mc 15,8.12.15). e) Infine in una ricorrenza B@4XT ha
come soggetto personificato il chicco di senape (cf. Mc 4,32) oppure è impiegato in senso
assoluto nella locuzione «fare il bene» (Mc 3,4).
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo. La forma JVH ricorre 340 volte nel NT
rispetto alle 19.862 ricorrenze totali dell’articolo. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
40 volte in Matteo (corrispondente allo 0,218% del totale delle parole); 31 volte in Marco
(0,274%); 46 volte in Luca (0,236%); 21 volte in Giovanni (0,134%).
JD\$@LH: sost., acc. plur. f. da JD\$@H, –@L, sentiero, strada battuta; compl. oggetto. Il
vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mt 3,3; Mc 1,3 (hapax marciano); Lc 3,4. Diversamente da
Ò*`H che indica nel greco classico la strada ampia, larga, percorsa dalla folla, il sostantivo
JD\$@H equivale a «sentiero battuto», «strada carrabile» (cf. Erodoto, Hist., 8,140,$3;
Euripide, Or., 1251; Senofonte, Cyr., 4,5,13). Qui, tuttavia, il termine è in parallelo
sinonimico con Ò*`H, secondo il classico stile semitico.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; compl. di specificazione. La forma "ÛJ@Ø ricorre 1425 volte nel
NT rispetto alle 5600 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 266 volte in Matteo (corrispondente all’1,450% del totale delle parole); 172 volte
in Marco (1,530%); 255 volte in Luca (1,309%); 173 volte in Giovanni (1,106%). Nel NT
questa forma, detta genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di
3a persona singolare («di lui» = «suo»). Pur riportando parte dell’oracolo di Isaia, come sopra
si è riferito, Marco opera una significativa modifica: la frase gÛhg\"H B@4gÃJg JH JD\$@LH
J@Ø hg@Ø º:ä<, «raddrizzate i sentieri del mio Dio» (Is 40,3, LXX) diventa gÛhg\"H
B@4gÃJg JH JD\$@LH "ÛJ@Ø, «raddrizzate i suoi sentieri», in riferimento al precedente
termine «Signore». Il risultato di queste modifiche redazionali è notevole: ponendo sulla
bocca del messaggero l’invito a preparare la via, il narratore attribuisce sia il pronome "ÛJ@Ø
del v. 3 sia il titolo di ibD4@H sia la «via» di cui parlano Dio e il messaggero al destinatario
delle parole di Dio che il lettore identifica nel protagonista Gesù. Ecco, di seguito, un
prospetto con il confronto sinottico delle citazioni:
30 Mc 1,4

Is 40,3 – TM Is 40,3 – LXX Mc 1,3

!9F|8 -|8 nT<¬ $@ä<J@H ¦< J± ¦DZ- nT<¬ $@ä<J@H ¦< J± ¦DZ-
%&I%*A …9GyG {H 9vI$AŒ
E vH :å· :å·
%"I9I3CvI {9—AH* {+J@4:VF"Jg J¬< Ò*Î< iL- {+J@4:VF"Jg J¬< Ò*Î< iL-
D\@Ls gÛhg\"H B@4gÃJg JH D\@Ls gÛhg\"H B@4gÃJg JH
{1*%
FJ-!-F %‹I2 E /A
JD\$@LH J@Ø hg@Ø º:ä< JD\$@LH "ÛJ@Ø

Voce di chi grida: Voce di chi grida nel deserto: Voce di chi grida nel deserto:

«Nel deserto preparate «Preparate la via del Signore, «Preparate la via del Signore,
la via del Signore, ap- raddrizzate i sentieri del nostro raddrizzate i suoi sentieri».
pianate nella steppa il Dio».
sentiero per il nostro
Dio».

1,4 ¦(X<gJ@ z3TV<<0H [Ò] $"BJ\.T< ¦< J± ¦DZ:å i"Â i0DbFFT< $VBJ4F:"
:gJ"<@\"H gÆH –ngF4< :"DJ4ä<.
1,4 si presentò Giovanni a battezzare nel deserto e a predicare un battesimo di conversione
per il perdono dei peccati.

¦(X<gJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere, nascere,
essere, accadere, apparire. Questo verbo deponente ricorre 669 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 75 volte in Matteo (corrispondente allo 0,409% del
totale delle parole); 55 volte in Marco (cf. Mc 1,4.9.11.17.32; 2,15.21.23.27; 4,4.10.11.17.
19.22.32.35.37.39; 5,14.16.33; 6,2[x2].14.21.26.35.47; 9,3.6.7[x2].21.26.33.50; 10,43;
11,19.23; 12,10.11; 13,7.18.19[x2].28.29.30; 14,4.17; 15,33[x2].42; 16,10 = 0,487%); 131
volte in Luca (0,672%); 51 volte in Giovanni (0,326%). Attestato nel NT soltanto nella forma
ionica ed ellenistica (\<@:"4, invece di (\(<@:"4, questo verbo è uno dei più frequenti tra
quelli presenti nel greco biblico. In senso proprio (\<@:"4 significa «iniziare a esistere»,
«divenire», «sorgere», ma molto spesso è impiegato nel senso narrativo di «accadere»,
«avvenire». I vangeli sinottici e gli Atti degli Apostoli usano varie volte questo verbo
nell’espressione stereotipa i"Â ¦(X<gJ@…, «e avvenne…» (anche senza i"\), modellata
sull’analoga formula che nei LXX traduce l’ebraico …*% E *AC&, wa7 yehEî, «e avvenne che…», con
successivo wav consecutivo: si tratta di una tipica e usatissima costruzione ebraica, aliena
nella lingua greca, posta all’inizio di una proposizione come indicazione temporale (cf. Gn
4,3; 6,1; 7,10; 8,6; ecc.). Nel vangelo di Marco ritroviamo questa costruzione in Mc 1,9;
2,15.23; 4,4.10.
z3TV<<0H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z3TV<<0H, –@L, Giovanni;
soggetto. Traslitterazione grecizzata del nome proprio maschile di origine ebraica 01I( I |*,
YôhEa) na) n, «Yah[weh] [è] misericordioso». Nel NT il nome Giovanni è riferito a 6 personaggi
Mc 1,4 31

diversi, per un totale di 135 ricorrenze. In riferimento al Battista ricorre 92 volte: 23 volte in
Matteo (cf. Mt 3,1.4.13.14; 4,12; 9,14; 11,2.4.7.11.12.13.18; 14,2.3.4.8.10; 16,14; 17,13;
21,25.26.32); 16 volte in Marco (cf. Mc 1,4.6.9.14; 2,18[x2]; 6,14.16.17.18.20.24.25; 8,28;
11,30.32); 24 volte in Luca (cf. Lc 1,13.60.63; 3,2.15.16.20; 5,33; 7,18[x2].20.22.
24[x2].28.29.33; 9,7.9.19; 11,1; 16,16; 20,4.6); 19 volte in Giovanni (cf. Gv 1,6.15.19.26.28.
32.35.40; 3,23.24.25.26.27; 4,1; 5,33.36; 10,40.41[x2]); 10 volte in Atti degli Apostoli (cf.
At 1,5.22; 10,37; 11,16; 12,2; 13,24.25; 18,25; 19,3.4).
[Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo. La forma Ò ricorre 2938 volte nel NT rispetto
alle 19.862 ricorrenze totali dell’articolo. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 523 volte
in Matteo (corrispondente al 2,851% del totale delle parole); 266 volte in Marco (2,353%);
425 volte in Luca (2,182%); 604 volte in Giovanni (3,863%). L’articolo è presente nei codici
!, B, L, ), 33, 205, 892, 1342, 2427; è assente, invece, in A, W, f1, f13. Quasi certamente
l’articolo non è originale: le successive forme verbali $"BJ\.T< e i0DbFFT< devono
essere considerate come due participi uniti dalla congiunzione i"\, testualmente sicura: è
probabile che l’articolo Ò sia stato aggiunto per influsso di altri passi, dove Giovanni «il
Battista» è esplicitamente ricordato con il titolo Ò $"BJ4FJZH (in Mc 6,25; 8,28) e Ò
$"BJ\.T< (in Mc 6,14.24.25).].
$"BJ\.T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da $"BJ\.T, immergere, sommergere, lavare,
«battezzare». Questo verbo ricorre 77 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 7 volte in Matteo (cf. Mt 3,6.11[x2].13.14.16; 28,19, corrispondente allo 0,038%
del totale delle parole); 13 volte in Marco (cf. Mc 1,4.5.8[x2].9; 6,14.24; 7,4; 10,38[x2].
39[x2]; 16,16 = 0,115%); 10 volte in Luca (cf. Lc 3,7.12.16[x2].21[x2]; 7,29.30; 11,38;
12,50 = 0,051%); 13 volte in Giovanni (cf. Gv 1,25.26.28.31.32[x2]; 3,22.23[x2].26; 4,1.2;
10,40 = 0,083%). Altrove: 21 volte in Atti degli Apostoli, 2 volte in Romani, 10 in 1Corinzi,
1 volta in Galati. Participio predicativo del soggetto z3TV<<0H: può essere reso anche
mediante un infinito di valore finale: «si presentò… per battezzare». Come sopra accennato,
le due forme $"BJ\.T<… i0DbFFT< debbono essere intese come due participi predicativi
riferiti al soggetto z3TV<<0H e ciò per la presenza della congiunzione i"\ (testualmente
sicura) che collega i due verbi. Così ha inteso la Vulgata che traduce: «Fuit Iohannes in
deserto baptizans et praedicans baptismum poenitentiae». Coloro che intendono la forma
$"BJ\.T< come un sostantivo (= $"BJ\FJ0H), riferito a Giovanni (= «Giovanni il
Battista»), sono costretti a omettere la successiva congiunzione i"\, facendo violenza al
testo. Il verbo $"BJ\.T, come forma intensiva, deriva da $VBJT, «bagnare» (assente in
Marco), ma non deve essere confuso con questo. L’esempio più chiaro che mostra il
significato diverso dei due verbi è un testo del poeta e medico greco Nicandro (200 a.C.
circa), il quale scrive che per ottenere dei sottaceti il vegetale deve essere prima «bagnato»
(•B@$VBJT) in acqua bollente e poi «immerso» (¦:$"BJ\.T) nell’aceto (cf. Nicandro,
Frag., 70,11–12). Entrambi i verbi hanno a che fare con l’immersione di un corpo in un
liquido, ma il primo indica un bagno provvisorio, momentaneo, il secondo indica una azione
prolungata che produce un cambiamento permanente. Se si eccettua Mc 7,4, dove il verbo
è usato nel significato generico di «lavare», in riferimento alle abluzioni giudaiche, $"BJ\.T
è utilizzato nel NT in senso esclusivamente cultuale e in quello tecnico di «battezzare».
32 Mc 1,4

Questa semplice constatazione lessicale dimostra che il rito di immersione di Giovanni era
sentito come qualcosa di nuovo rispetto a tutte le altre abluzioni giudaiche o pagane.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
¦DZ:å: sost., dat. sing. f. da §D0:@H, –@L, regione desertica, luogo solitario, landa desolata;
cf. Mc 1,3; compl. di stato in luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed. Questa congiunzione ricorre 9018
volte nel NT. È il primo i"\ marciano: nel corso dell’opera ritornerà spesso, per un totale
di 1088 ricorrenze, contro le 1178 di Matteo, 1469 di Luca, 828 di Giovanni. In termini
percentuali, rispetto al totale delle parole usate nei singoli vangeli (18.346 in Matteo; 11.216
in Marco; 19.490 in Luca; 15.641 in Giovanni), Marco usa la congiunzione i"\ (fenomeno
della paratassi) più degli altri evangelisti, come dimostrano i seguenti dati statistici: Marco,
9,651%; Luca, 7,540%; Matteo, 6,421%; Giovanni, 5,296%. Si deve osservare, inoltre, che
su circa 583 proposizioni che formano il vangelo di Marco, 376 iniziano con la congiunzione
i"\ (= il 64,5%). Nel NT il libro con la più alta percentuale di i"\ è l’Apocalisse
(11,400%), a cui segue il vangelo di Marco. Limitatamente all’uso marciano la congiunzione
i"\ è impiegata nella stragrande maggioranza come: a) congiunzione coordinante copulativa
«e» (969 volte su 1087). Altrove ricorre nei seguenti significati: b) congiunzione coordinante
narrativa per introdurre, con il significato avverbiale di «allora», «poi», «in seguito» (ma a
volte non si traduce), una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra unità
narrativa (cf. Mc 3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.31a.32b;
9,5a.7a.21.26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a. 43a; 14,10.13a.
27a.48a.50.53a.65a.72b; 15,2); c) congiunzione coordinante aggiuntiva («anche», «perfino»,
«inoltre», «altresì»: Mc 1,27b.38b; 2,15b.26c.28; 3,19b; 4,24b; 6,43b; 7,18b; 8,3b.7ac.38c;
9,22a; 11,25b; 12,22b; 13,29; 14,9.29.31; 15,31.40ab.43a); d) congiunzione coordinante
avversativa (= i"\ adversativum, «ma», «tuttavia», «però»: Mc 1,13c; 3,7b.12.33a;
4,17a.19a.27d; 5,19a; 6,19b.20d.33a; 7,24b.28b; 8,12.16.29.30; 9,12a.30.31c.42a; 10,34;
12,12b.17a; 16,8c); e) congiunzione coordinante consecutiva (= i"\ consecutivum, «sicché»,
«cosicché», «che»: Mc 1,17b.27c; 5,4d; 9,5b; 10,21c; 14,62a); f) congiunzione coordinante
temporale («mentre», «quando»: Mc 1,19c; 10,10; 14,62b; 15,25a); g) congiunzione
coordinante pronominale ([«che», «il quale»]: Mc 2,15e; 8,1; 9,4b.31b); h) congiunzione
coordinante conclusiva («dunque», «quindi», «pertanto», «allora»: Mc 4,13b; 10,26); i)
congiunzione coordinante correlativa («e… e…»; «sia… sia…», «non solo… ma anche…»:
Mc 4,27ab.41cd; 7,37bc; 9,13ab.22bc; 11,9ab); l) congiunzione coordinante esplicativa (=
i"\ epexegeticum, «infatti», «cioè», «ossia»: Mc 10,45a).
i0DbFFT<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da i0DbFFT, proclamare apertamente,
annunciare solennemente, predicare. Questo verbo ricorre 61 volte nel NT: 9 volte in
Matteo (cf. Mt 3,1; 4,17.23; 9,35; 10,7.27; 11,1; 24,14; 26,13, corrispondente allo 0,049%
del totale delle parole); 14 volte in Marco (cf. Mc 1,4.7.14.38.39.45; 3,14; 5,20; 6,12; 7,36;
13,10; 14,9; 16,15.20 = 0,124%); 9 volte in Luca (cf. Lc 3,3; 4,18.19.44; 8,1.39; 9,2; 12,3;
24,47 = 0,046%); 8 volte in Atti degli Apostoli (cf. At 8,5; 9,20; 10,37.42; 15,21; 19,13;
Mc 1,4 33

20,25; 28,31 = 0,043%); 4 volte in Romani (cf. Rm 2,21; 10,8.14.15 = 0,056%); 4 volte in
1Corinzi (cf. 1Cor 1,23; 9,27; 15,11.12 = 0,059%); 4 volte in 2Corinzi (cf. 2Cor 1,19; 4,5;
11,4[x2] = 0,089%); 2 volte in Galati (cf. Gal 2,2; 5,11 = 0,090%); 1 volta in Filippesi (cf.
Fil 1,15 = 0,061%); 1 volta in Colossesi (cf. Col 1,23 = 0,063%); 1 volta in 1Tessalonicesi
(cf. 1Ts 2,9 = 0,068%); 1 volta in 1Timoteo (cf. 1Tm 3,16 = 0,063%); 1 volta in 1Pietro (cf.
1Pt 3,19 = 0,059%); 1 volta in Apocalisse (cf. Ap 5,2 = 0,010%). Participio predicativo del
soggetto z3TV<<0H: può essere reso anche mediante un infinito di valore finale: «si
presentò… per predicare». Si tratta di proclamare non un messaggio o una dottrina personale,
ma quella di un altro, proprio come faceva un araldo. Il verbo denominativo i0DbFFT (da
i­DL>, «araldo») indica nel greco classico l’attività dell’araldo il quale, dotato di buona
voce, annunciava il messaggio da parte di un altro (cf. Omero, Il., 2,444; Od., 2,8). Il
significato fondamentale di i0DbFFT è, quindi, quello di «gridare con voce forte»,
«proclamare ad alta voce», «bandire»: iZDLFFg, i­DL>, «Annuncia, o araldo!» (Eschilo,
Eum., 566). Si tratta di una proclamazione che riveste sempre un carattere di ufficialità: ciò
che si annuncia entra subito in vigore, senza possibilità di trattare o di rimandare. I LXX
usano il termine i0DbFFT 32 volte per tradurre vari verbi ebraici che indicano un generico
gridare ad alta voce, equivalente ad «annunciare», «proclamare» e simili (cf. Gn 41,43; Es
32,5; 36,6; 2Re 10,20; 2Cr 20,3; 24,9; 36,22; 1Esd., 2,1; Est 6,9.11; 1Mac 5,49; 10,63.64;
Is 61,1; Os 5,8; Mic 3,5; Gl 1,14; 2,1.15; 4,9; Gio 1,2; 3,2.4.5.7; Sof 3,14; Zc 9,9; Dn 3,4;
5,29; Prv 1,21; 8,1; Ps. Salom., 11,1). In Marco il verbo è usato: a) per la predicazione di
Giovanni il Battista (cf. Mc 1,4.7); b) per quella di Gesù (cf. Mc 1,14.38.39); c) per quella
dei discepoli missionari (cf. Mc 3,14; 6,12; 13,10; 14,9; 16,15.20); per le proclamazioni dei
miracolati (cf. Mc 1,45; 5,20; 7,36).
$VBJ4F:": sost., acc. sing. n. da $VBJ4F:", –"J@H, immersione, il sommergere, «battesimo»;
compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 19 volte nel NT: Mt 3,7; 21,25; Mc 1,4; 10,38.39; 11,30;
Lc 3,3; 7,29; 12,50; 20,4; At 1,22; 10,37; 13,24; 18,25; 19,3.4; Rm 6,4; Ef 4,5; 1Pt 3,21. La
mancanza dell’articolo non ha qui particolari significati, ma è un segnale linguistico del modo
di esprimere il genitivo in ebraico, detto stato costrutto, in cui il sostantivo che regge il
genitivo è sempre senza articolo. Sconosciuto nella grecità classica il termine $VBJ4F:" è
presente soltanto nella letteratura cristiana per indicare, inizialmente, l’atto dell’«immersione»
nelle acque del Giordano da parte di Giovanni Battista. Negli scritti successivi il vocabolo
ha assunto un significato più tecnico e circoscritto, corrispondente a quello di «battesimo»
come azione liturgica sacramentale.
:gJ"<@\"H: sost., gen. sing. f. da :gJV<@4", –"H, cambiamento di mentalità, cambiamento di
modo di pensare, pentimento, «conversione»; compl. di specificazione. Il vocabolo ricorre
22 volte nel NT: Mt 3,8.11; Mc 1,4 (hapax marciano); Lc 3,3.8; 5,32; 15,7; 24,47; At 5,31;
11,18; 13,24; 19,4; 20,21; 26,20; Rm 2,4; 2Cor 7,9.10; 1Tm 2,25; Eb 6,1.6; 12,17; 2Pt 3,9.
Quando il nome reggente è privo di articolo (come qui) anche il genitivo dipendente ne è
solitamente sprovvisto. Si tratta di un genitivo descrittivo: un battesimo caratterizzato da
conversione. Analogamente al verbo :gJ"<@XT, da cui deriva (cf. Mc 1,15) e coerentemente
con il significato etimologico, il vocabolo :gJV<@4" indica un «cambiamento di mentalità»,
un cambiare parere (livello razionale) e non tanto il «rincrescimento», il «pentimento» per un
male commesso (livello etico e psicologico), anche se questi aspetti non sono esclusi (cf.
34 Mc 1,4

Tucidide, Hist., 3,36,4; Polibio, Hist., 4,66,7). Tale «battesimo di pentimento» consisteva in
una immersione nelle acque del Giordano come segno concreto del pentimento interiore che
implicava un mutamento di condotta, ossia, quella che noi chiamiamo una «conversione».
Ciò significa che la “conversione” richiesta da Giovanni (e dal vangelo) è anzitutto
“teologica” e successivamente etica. Non è il rito dell’acqua che ottiene il perdono, ma la
:gJV<@4", ossia la deliberazione di non commettere più il male e di fare ritorno a Dio.
gÆH: prep. propria di valore finale, seguita dall’accusativo, indecl., per, in vista di, allo scopo di.
Questa preposizione ricorre 1766 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
218 volte in Matteo (corrispondente all’1,188% del totale delle parole); 168 volte in Marco
(1,486%); 225 volte in Luca (1,155%); 187 volte in Giovanni (1,196%). L’uso di questa
preposizione nel NT corrisponde generalmente a quello classico: in origine gÆH esprime un
movimento verso una direzione che può essere spaziale, temporale o metaforico. In Marco
la preposizione gÆH è usata nella stragrande maggioranza nel significato spaziale («a»,
«verso», «in») o, meno spesso, in quello temporale («in», «fino a», «circa»). Soltanto in pochi
casi è impiegata con valore finale («per», «in vista di», «allo scopo di»: Mc 1,4.38.44; 6,11;
13,9.12; 14,4.8.9.55; 15,34), di relazione o termine («verso», «riguardo a», «nei confronti di»:
Mc 8,19.20; 9,42; 13,10), avversativo («contro»: Mc 3,29). Un uso particolare di gÆH è quello
chiamato “predicativo”, in unione a un sostantivo che funge da predicato nominale o da
complemento predicativo del soggetto: si tratta di un semitismo dove gÆH corrisponde alla
preposizione ebraica -A, le, con valore modale (cf. Mc 10,8; 12,10).
–ngF4<: sost., acc. sing. f. da –ngF4H, –gTH, (da •n\0:4, «lasciare andare»), rilascio,
licenziamento, liberazione, remissione, perdono (di peccati); compl. di fine. Il vocabolo
ricorre 17 volte nel NT: Mt 26,28; Mc 1,4; 3,29; Lc 1,77; 3,3; 4,18[x2]; 24,47; At 2,38;
5,31; 10,43; 13,38; 26,18; Ef 1,7; Col 1,14; Eb 9,22; 10,18. Nella grecità classica il
vocabolo non ha mai un senso religioso, ma soltanto quello profano di: a) «liberazione» di
persone e cose (cf. Demostene, Or., 18,77); b) «licenziamento» di truppe, soldati e simili (cf.
Plutarco, Ages., 24,2,5); c) «remissione», «assoluzione», condono di un reato (cf. Platone,
Leg., 869d) o un debito (cf. Isocrate, Or., 17,29); d) «ripudio», «divorzio» (cf. Plutarco,
Pomp., 42,7,6). Nel NT, al contrario, il vocabolo significa quasi sempre «perdono» (da parte
di Dio), per lo più specificato dal genitivo :"DJ4ä<, «dei peccati», genitivo oggettivo.
Anche nei due passi di Lc 4,18[x2], dove viene citato Is 58,6; 61,1, il vocabolo, pur usato in
senso di «liberazione», è collegato al concetto di perdono. Nel NT il sostantivo –ngF4H
assume, dunque, un valore prevalentemente teologico, poiché indica il perdono dei peccati
da parte di Dio, non mediante una concezione giuridica (semplice condono della pena), ma
in virtù della redenzione operata da Cristo. La preposizione greca gÆH che regge il sostantivo
–ngF4H ha sicuramente qui un valore finale: il battesimo di Giovanni veniva amministrato
«allo scopo di ottenere il perdono dei peccati». Si discute, tuttavia, sul valore di questo
“battesimo” e sulla conseguente remissione dei peccati: per alcuni l’immersione nelle acque
del Giordano aveva soltanto un carattere penitenziale, senza una reale remissione dei peccati.
Difficilmente, però, questa affermazione sul perdono dei peccati può essere intesa come
interpretatio christiana e pertanto attenuata. A quel che sembra la prima cristianità si è
preoccupata di svalutare il battesimo di Giovanni di fronte al battesimo cristiano piuttosto che
rivalutarlo, dandogli una patina cristiana. Bisogna inoltre ricordare che nell’attività profetica
Mc 1,5 35

non ci sono azioni simboliche che non abbiano una qualche efficacia. L’immersione che
seguiva l’invito alla conversione, pertanto, non deve intendersi come una sterile azione
simbolica, né come un gesto che desse ai penitenti la consapevolezza soggettiva di aver
ricevuto il perdono: tale azione era il rituale esteriore che garantiva il perdono concesso da
Dio attraverso la :gJV<@4" del penitente, ossia a seguito del riconoscimento sincero dei
propri peccati.
:"DJ4ä<: sost., gen. plur. f. da :"DJ\", –"H, sbaglio, errore, colpa, peccato; compl. di
specificazione. Il vocabolo ricorre 173 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 7 volte in Matteo (cf. Mt 1,21; 3,6; 9,2.5.6; 12,31; 26,28, corrispondente allo
0,038% del totale delle parole); 6 volte in Marco (cf. Mc 1,4.5; 2,5.7.9.10 = 0,053%); 11
volte in Luca (cf. Lc 1,77; 3,3; 5,20.21.23.24; 7,47.48.49; 11,4; 25,47 = 0,056%); 17 volte
in Giovanni (cf. Gv 1,29; 8,21.24[x2].34[x2].46; 9,34.41[x2]; 15,22[x2].24; 16,8.9; 19,11;
20,23 = 0,109%). Il significato originale di :"DJ\", dal tema :"DJ– di :"DJV<T,
«sbagliare» e suffisso nominale –\" a indicare l’effetto dell’azione, è quello di «sbaglio»
nell’aver fallito un bersaglio per inavvertenza, errore o colpa (cf. Eschilo, Ag., 1197; Sofocle,
Phil., 1248). Questo significato fondamentalmente profano è stato ripreso con valore etico
e teologico dai LXX e dal NT per indicare lo “sbaglio”, l’“errore”, la “deviazione” in ambito
religioso, ossia ciò che noi definiamo «peccato», inteso come azione contraria alla legge di
Dio. Conformemente al senso della radice, il concetto biblico di peccato è, quindi, una
deviazione da una norma stabilita da Dio, sostanzialmente una trasgressione alla Torah.
Infatti, poiché la legge è manifestazione di un volere divino, tutte le sue disposizioni, anche
quelle strettamente di diritto civile, costituiscono lo ius divinum. Per questo motivo ogni
defezione o trasgressione ha un carattere religioso, è ribellione contro Dio, dunque peccato.
La confessione o, meglio, il riconoscimento dei propri peccati a Dio, era una pratica
ampiamente diffusa nel giudaismo (cf. Lv 5,5; Sal 32,5; 38,19; 51,3–6; Bar 2,12; Dn 9,4–19).
Utilizzando un linguaggio simile a quello marciano, Giuseppe Flavio afferma che JÎ hgÃ@<
gÛ*4V88"iJ@< ¦>@:@8@(@L:X<@4H i"Â :gJ"<@@ØF4<, «Dio è ben disposto a riconciliarsi
con coloro che confessano le colpe e si pentono» (Id., Bellum, 5,415).

1,5 i" ¦>gB@DgbgJ@ BDÎH "ÛJÎ< BF" º z3@L*"\" PfD" i" @Ê {3gD@F@8L:ÃJ"4
BV<JgHs i"Â ¦$"BJ\.@<J@ ßBz "ÛJ@Ø ¦< Jè z3@D*V<® B@J":è ¦>@:@-
8@(@b:g<@4 JH :"DJ\"H "ÛJä<.
1,5 Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. Ed
erano battezzati da lui nel fiume Giordano, mentre confessavano i loro peccati.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦>gB@DgbgJ@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da ¦iB@DgbT (da ¦i e B@DgbT), uscire, venire
fuori, andare, recarsi, accorrere. Questo verbo semideponente ricorre 33 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 5 volte in Matteo (cf. Mt 3,5; 4,4; 15,11.18; 20,29,
corrispondente allo 0,027% del totale delle parole); 11 volte in Marco (cf. Mc 1,5; 6,11;
7,15.19.20.21.23; 10,17.46; 11,19; 13,1 = 0,097%); 3 volte in Luca (cf. Lc 3,7; 4,22.37 =
0,015%); 2 volte in Giovanni (cf. Gv 5,29; 15,26 = 0,013%). Qui l’imperfetto ha valore
36 Mc 1,5

descrittivo, per sottolineare il flusso ininterrotto di persone. Nel greco neotestamentario, come
in quello classico, il tempo imperfetto è generalmente usato per esprimere una azione passata
che viene considerata come ancora non terminata, ossia i cui effetti perdurano fino al presente
di chi parla o scrive. Sebbene il significato primo di ¦iB@Dgb@:"4 nella diatesi media sia
quello di «uscire», «allontanarsi», «partire» (cf. Senofonte, Anab., 5,1,8; Polibio, Hist., 6,58,4;
cf. Mc 6,11; 7,15.19.20.21.23), qui corrisponde ad «accorrere», «venire» (come in Gdc 9,33;
Mc 10,17), probabilmente per influsso dell’ebraico !7 II*, ya) sEa) ’. Alcuni, rilevando che il verbo
¦iB@DgbT è usato nei LXX per indicare l’esodo (cf. Dt 1,19.23), parlano di uso intenzionale
da parte di Marco, il quale intenderebbe descrivere un nuovo esodo rispetto a quello
dell’antico popolo d’Israele: le folle, dalla Giudea e da Gerusalemme, centro delle istituzioni
giudaiche ormai superate, si dirigono adesso al deserto, luogo del nuovo cambiamento
iniziato con Giovanni il Battista. L’ipotesi è suggestiva, ma è difficilmente sostenibile.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra. Questa preposizione ricorre 700 volte nel NT. La distribuzione
nei vangeli è la seguente: 42 volte in Matteo (corrispondente allo 0,229% del totale delle
parole); 65 volte in Marco (0,575%); 166 volte in Luca (0,852%); 102 volte in Giovanni
(0,652%). Modellata sull’uso del greco classico, la preposizione BD`H è una delle più
ricorrenti nel NT, dove nella stragrande maggioranza (692 volte su 700) compare in unione
all’accusativo; con il dativo è presente 7 volte, con significato locale (cf. Mc 5,11; Lc 19,37;
Gv 18,16; 20,11.12[x2]; Ap 1,13); con il genitivo si trova soltanto in At 27,34, con
significato di vantaggio. In associazione all’accusativo, BD`H assume il significato prevalente
di vicinanza e moto a luogo, sia esso fisico che figurato («verso», «a», «in direzione di»,
«vicino a», «alla presenza di»). In alcuni casi la preposizione è presente con significato
temporale («verso», «intorno a»), in riferimento a una durata o approssimazione temporale
non meglio precisata. In unione all’infinito, BD`H indica la meta, lo scopo dell’azione
espressa dal verbo (cf. Mt 5,28; 6,1; 13,30; 23,5; 26,12; Mc 13,22; Lc 18,1[x2]; Ef 6,1[x2];
1Ts 2,9; 2Ts 3,8). Lo scopo dell’azione intenzionalmente intrapresa può essere espresso
anche mediante un semplice sostantivo (cf. At 3,10: «sedeva per [BD`H] l’elemosina», ossia:
«sedeva per chiedere l’elemosina»). Altrove la preposizione può assumere significato di
relazione («per», «in rapporto a», «nei confronti di», «verso»: Mc 9,16; 1Ts 5,14), avversativo
(«contro», Mc 9,16; Ef 6,12), modale («secondo», «conforme a», 2Cor 5,10), comparativo
(«in confronto a», Rm 8,18) oppure essere presente in locuzioni idiomatiche e avverbiali.
Nelle ricorrenze marciane prevale il significato locale (cf. Mc 1,5.27.32.33.40.45; 2,2.3.13;
3,7.8.13.31; 4,1[x2].41; 5,15.19.22; 6,3.25.30.45.48.51; 7,1.25; 8,16; 9,10.14[x2].17.
19[x2].20.34; 10,1.7.14.26.50; 11,1.4.7.27.31; 12,2.4.6.7.13. 18; 14,4.10.49.53.54; 15,31.43;
16,3). In poche ricorrenze la preposizione assume un significato di relazione (cf. Mc 9,16),
causale (cf. Mc 10,5), avversativo (cf. Mc 12,12), finale (cf. Mc 13,22).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; compl. di moto a luogo. La forma "ÛJ`< ricorre nel NT 961
volte, rispetto alle 5600 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è
la seguente: 125 volte in Matteo (corrispondente allo 0,681% del totale delle parole); 178
volte in Marco (1,575%); 211 volte in Luca (1,083%); 176 volte in Giovanni (1,126%).
Mc 1,5 37

BF": agg. indefinito, nom. sing. f. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; attributo
di PfD", qui senza articolo perché in posizione predicativa. Il vocabolo ricorre 1243 volte
nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 129 volte in Matteo (corrispondente allo
0,703% del totale delle parole); 67 volte in Marco (cf. Mc 1,5[x2].32. 37; 2,12[x2].13; 3,28;
4,1.11.13.31.32.34; 5,5.20.26.33.40; 6,30.33.39.41.42.50; 7,3.14.18.19.23.37; 9,12.15.23.35
[x2]. 49; 10,20.27.28.44; 11,11.17.18.24; 12,22.28.33.43. 44[x2]; 13,4.10.13.20.23.30.37;
14,23.27.29.31.36.50.53.64; 16,15 = 0,602%); 158 volte in Luca (0,811%); 65 volte in
Giovanni (0,416%). Analogamente a quanto avviene nel greco classico, negli scritti
neotestamentari il pronome e aggettivo indefinito BH, BF", B< (e in parte la forma
rafforzata žB"H) modifica il proprio significato in base alla forma singolare o plurale: a) al
singolare, indipendentemente dalla sua posizione attributiva o predicativa, indica una totalità
inclusiva, ossia il «tutto» o l’interezza riferita a un sostantivo (cf. Mc 2,13; Mc 16,15).
Quando però, senza articolo, precede un sostantivo anch’esso privo di articolo (posizione
attributiva) assume il valore distintivo e distributivo di «ogni», «ciascuno» (cf. Mc 13,20):
questa distinzione, tuttavia, non sempre è percepibile nella traduzione. b) Al plurale,
indipendentemente dalla sua posizione (attributiva o predicativa), ha senso collettivo (=
«tutti»): esprime, cioè, la totalità considerata nel suo insieme (cf. Mc 7,3.23). Quando precede
un participio, con o senza articolo, BH, BF", B< equivale al pronome indefinito
«ognuno», «chiunque», «ciascuno» (cf. Mt 7,26).
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo. La forma º ricorre 978 volte nel NT rispetto
alle 19.862 ricorrenze totali dell’articolo. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 121 volte
in Matteo (corrispondente allo 0,660% del totale delle parole); 60 volte in Marco (0,531%);
102 volte in Luca (0,524%); 122 volte in Giovanni (0,780%).
z3@L*"\": agg. determinativo, nom. sing. f. da z3@L*"Ã@H, –", –@<, giudeo, Giudeo; attributo
di PfD". Il vocabolo ricorre 195 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
5 volte in Matteo (corrispondente allo 0,027% del totale delle parole); 7 volte in Marco (cf.
Mc 1,5; 7,3; 15,2.9.12.18.26 = 0,062%); 5 volte in Luca (0,026%); 71 volte in Giovanni
(0,454). La regione (ma anche (­, «terra») giudea (cf. Gv 3,22) o semplicemente «la
Giudea» (º z3@L*"\"), indica la porzione meridionale della Palestina tra il fiume Giordano
e il Mar Morto, distinta dalla Samaria, dalla Galilea, dalla Perea e dall’Idumea. In senso lato
si riferisce a tutta la Palestina (cf. l’espressione di At 26,20 BF" º PfD" J­H z3@L*"\"H,
riferita alla nazione giudaica). In forma autonoma la parola z3@L*"\" per indicare il territorio
in oggetto è attestata sin dall’inizio del periodo ellenistico: la usa Manetone nel II secolo a.C.
(come riferisce Giuseppe Flavio, Contra Ap., 1,90), Clearco, verso il 300 a.C. (riferito da
Giuseppe Flavio, Contra Ap., 1,179) e Ecateo di Abdera (citato da Diodoro Siculo, Bibl.,
40,3,3). Per l’etimologia del vocabolo z3@L*"\", «Giudea» e la descrizione storica e
geografica vedi commento a Mc 3,7.
PfD": sost., nom. sing. f. da PfD", –"H, regione, area, territorio, paese; soggetto. Il vocabolo
ricorre 28 volte nel NT: Mt 2,12; 4,16; 8,28; Mc 1,5; 5,1.10; 6,55; Lc 2,8; 3,1; 8,26; 12,16;
15,13.14.15; 19,12; 21,21; Gv 4,35; 11,54.55; At 8,1; 10,39; 12,20; 13,49; 16,6; 18,23;
26,20; 27,27; Gc 5,4. Nel greco classico il sostantivo PfD" è impiegato già da Omero in
due accezioni fondamentali: a) lo «spazio», il tratto di terreno, in senso esclusivamente fisico
(cf. Omero, Il., 16,68; 23,521); b) la «terra», la «regione», il «paese», in senso politico e
38 Mc 1,5

geografico (cf. Omero, Od., 8,573; º PfD" º z!JJ4iZ, «L’Attica»: Erodoto, Hist., 9,13,3).
Anche nel nostro caso PfD" assume il significato di regione geografica, ossia «territorio»
come delimitazione geopolitica. La determinazione di tale area viene completata dalla
menzione del nome geografico e politico (º z3@L*"\" PfD", «la regione Giudea», ossia «la
Giudea»: Mc 1,5) oppure degli abitanti (PfD" Jä< 'gD"F0<ä<: Mc 5,1). Questa è l’unica
volta che Marco usa l’espressione «la regione giudaica» come designazione geografica:
altrove userà il semplice termine z3@L*"\" senza ulteriori specificazioni (cf. Mc 7,3;
15,2.9.12.18.26).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo. La forma @Ê ricorre 1112 volte nel NT
rispetto alle 19.862 ricorrenze totali dell’articolo. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
224 volte in Matteo (corrispondente all’1,221% del totale delle parole); 123 volte in Marco
(1,088%); 185 volte in Luca (0,950%); 144 volte in Giovanni (0,921%).
{3gD@F@8L:ÃJ"4: sost., nome proprio di etnia, nom. plur. m. da {3gD@F@8L:\J0H, –@L,
gerosolimitano, abitante di Gerusalemme; soggetto. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mc
1,5 (hapax marciano) e Gv 7,25. Per quanto riguarda la derivazione dal toponimo
Gerusalemme cf. Mc 3,8.
BV<JgH: agg. indefinito, nom. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; attributo di {3gD@F@8L:ÃJ"4, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦$"BJ\.@<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. medio da $"BJ\.T, immergere, sommergere,
lavare, «battezzare»; cf. Mc 1,4.
ßBz: (= ßB`), prep. propria con valore d’agente, seguita dal genitivo, indecl., da, da parte di.
Questa preposizione, nelle forme ßB` e in quella elisa ßBz davanti a vocale con spirito
dolce, ricorre 220 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 28 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,153% del totale delle parole); 12 volte in Marco (cf. Mc
1,5.9.13; 2,3; 4,21[x2].32; 5,4.26; 8,31; 13,13; 16,11 = 0,106%); 31 volte in Luca (0,159%);
2 volte in Giovanni (0,013%). Nel NT la preposizione ßB` si trova soltanto con il genitivo
e l’accusativo, diversamente dal greco classico dove, seppure meno spesso, compare anche
con il dativo. Il significato prevalente è quello di agente, con il genitivo della persona («da»,
«per opera di», «per mano di», «da parte di»; cf. Mc 1,5.9.13; 2,3; 5,4.26; 8,31; 13,13; 16,11)
oppure quello di causa strumentale, con il genitivo della cosa («da», «a causa di», «a motivo
di», «per»; cf. Mt 8,24; Lc 7,24, ecc.). Meno spesso ßB` è usata con l’accusativo, per
esprimere un complemento di luogo, reale o figurato («sotto», «presso», «nell’ambito di», «in
potere di»; cf. Mc 4,21[x2].32). Soltanto in At 5,21 è presente con significato temporale
(«durante», «circa»).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di agente. La forma media ¦$"BJ\.@<J@ («si
facevano battezzare da lui») o addirittura passiva («erano battezzati da lui») lascia intendere
che era il Battista in persona a compiere tale gesto; egli non era semplicemente il testimone,
né tanto meno il neofita si battezzava da solo. Dal testo non si può dedurre con certezza se
Mc 1,5 39

tale rito avveniva mediante una parziale immersione, un passaggio nell’acqua o una
infusione. Nessun passo neotestamentario ci informa su questo particolare. Il ruolo attivo del
Battista, il significato lessicale dei termini $VBJ4F:" / $"BJ\.T e l’iconografia dei
battesimi protogiudaici fanno pensare che si trattasse di una immersione completa.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
z3@D*V<®: sost., nome proprio di fiume, dat. sing. m. da z3@D*V<0H, –@L, Giordano; compl.
di stato in luogo. Il vocabolo ricorre 15 volte nel NT: Mt 3,5.6.13; 4,15.25; 19,1; Mc 1,5.9;
3,8; 10,1; Lc 3,3; 4,1; Gv 1,28; 3,26; 10,40. Traslitterazione grecizzata del toponimo di
origine ebraica 0yF9AH*, Yarde) n, «Quello che discende», dal verbo $9HI*, ya) rad5 , «discendere»,
come interpretano gli antichi. Scrive Filone di Alessandria: z3@D*V<0H *¥ i"JV$"F4H
©D:0<gbJ"4, «Giordano si interpreta “discesa”» (Id., Leg. all., 2,89). Il fiume, lungo circa
300 chilometri, nasce dalle sorgenti del monte Hermon, in Libano e dopo aver attraversato
la Palestina verso sud, scorrendo faticosamente nella profonda fossa geologica che la divide
con la Giordania, si getta nel Mar Morto, a –400 metri sotto il livello del mare. Dal punto di
vista idrografico si tratta di un fenomeno unico sulla superfice terrestre.
B@J":è: sost., dat. sing. m. da B@J":`H, –@Ø, fiume, torrente, ruscello; apposizione di
z3@D*V<®. Il vocabolo ricorre 17 volte nel NT: Mt 3,6; 7,25.27; Mc 1,5 (hapax marciano);
Lc 6,48.49; Gv 7,38; At 16,13; 2Cor 11,26; Ap 8,10; 9,4; 12,15.16; 16,4.12; 22,1.22.
Etimologicamente connesso al verbo BXJ@:"4, «muoversi con rapidità», il termine B@J":`H
indica in origine ogni corso d’acqua che precipita velocemente (cf. Omero, Il., 5,87; Od.,
5,441), definizione che poco si adatta al fiume Giordano, il quale per la particolarissima
conformazione geologica scende verso il Mar Morto con un lento e ondulato fluire,
formando grandi anse nel terreno. Qualche commentatore ritiene che l’apposizione «fiume»
sia una sottolineatura intenzionale e teologicamente rilevante, poiché per indicare il fiume
Giordano sarebbe stato sufficiente riportarne semplicemente il nome. In realtà sia Marco che
Matteo (cf. Mt 3,6) seguono l’uso ellenistico, il quale indica i fiumi prevalentemente in modo
assoluto, mediante il nome proprio (Ò z3@D*V<0H: Gn 13,10.11; 32,11, ecc., LXX; Giuseppe
Flavio, Antiq., 1,177, ecc.; Mt 3,5), ma anche in unione all’apposizione B@J":`H (Ò
z3@D*V<0H B@J":`H: Nm 13,29; Gs 4,7; 5,1; Giuseppe Flavio, Bellum, 1,380; 3,51; Antiq.,
1,170; 5,82.83; 6,68; 8,37; 12,335; 13,338[x2]; 14,417; 15,147.364; 17,254.277; 20,97; Vita,
399).
¦>@:@8@(@b:g<@4: verbo, nom. plur. m. part. pres. medio da ¦>@:@8@(XT (da ¦i e
Ò:@8@(XT), riconoscere, riconoscere apertamente, confessare, professare. Questo verbo
ricorre 10 volte nel NT: Mt 3,6; 11,25; Mc 1,5 (hapax marciano); Lc 10,21; 22,6; Gv 19,18;
Rm 14,11; 15,9; Fil 2,11; Gc 5,16. Participio predicativo del soggetto º z3@L*"\" PfD"
i"Â @Ê {3gD@F@8L:ÃJ"4 BV<JgH. Usato raramente nel greco classico, dove ¦>@:@8@(XT
assume il generico significato di «riconoscere», «ammettere» (cf. Plutarco, Eum., 17,7,2), nei
LXX il verbo è generalmente impiegato per ringraziare o lodare Dio (come in Mt 11,25; Lc
10,21). Soltanto in Dn 9,20 ¦>@:@8@(XT viene usato nel significato di «confessare» i
peccati. Questo significato ristretto ritroviamo anche in Giuseppe Flavio (cf. Id., Antiq.,
40 Mc 1,6

8,129). Nel NT l’uso di ¦>@:@8@(XT in senso tecnico, per indicare il riconoscimento dei
propri peccati, ossia nel significato di «confessare» le colpe, si ritrova in Mt 3,6; Mc 1,5; Gc
5,16 (ma cf. anche Gv 19,18). Il tempo presente esprime la contemporaneità delle due azioni:
mentre Giovanni effettua il rito del battesimo, il battezzato riconosce o «confessa» i suoi
peccati.
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
:"DJ\"H: sost., acc. plur. f. da :"DJ\", –"H, sbaglio, errore, colpa, peccato; cf. Mc 1,4;
compl. oggetto. Pur vivendo nel contesto religioso, cultuale e sociale dell’Israele del suo
tempo, Giovanni il Battista porta un contributo innovativo rispetto alle tradizioni mosaiche
e all’ortodossia giudaica del Tempio. Il sistema espiatorio giudaico prevedeva una grande
varietà di sacrifici, nessuno dei quali, tuttavia, poteva cancellare i peccati volontari più gravi.
Soltanto in occasione del grande rito dello .*9ELƒE% H .|*, Yôm hakkippurîm, il cui scopo
primario era il perdono generale dei peccati gravi, l’aspersione sul popolo con il sangue delle
vittime cancellava le trasgressioni dei figli di Israele, cioè i peccati personali. Il battesimo di
Giovanni si proponeva lo stesso scopo dello Yôm hakkippurîm. Con ogni probabilità esso
prevedeva i seguenti passaggi: riconoscimento personale dei propri peccati, confessione
pubblica, immersione nelle acque del Giordano. La confessione pubblica dei peccati,
mediante la recita di una formula, era praticata anche a Qumran, al momento in cui il
candidato veniva ammesso nella comunità (cf. 1QS, 1,24–26).
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; compl. di specificazione. La forma "ÛJä< ricorre 567 volte nel
NT rispetto alle 5600 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 100 volte in Matteo (corrispondente allo 0,545% del totale delle parole); 41 volte
in Marco (0,372%); 98 volte in Luca (0,503%); 34 volte in Giovanni (0,217%). Nel NT
questa forma, detta genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di
3a persona plurale («di essi» = «loro»).

1,6 i"Â µ< Ò z3TV<<0H ¦<*g*L:X<@H JD\P"H i":Z8@L i"Â .f<0< *gD:"J\<0<
BgD J¬< ÏFn×< "ÛJ@Ø i" ¦Fh\T< •iD\*"H i" :X84 –(D4@<.
1,6 Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai suoi
fianchi. Mangiava cavallette e miele selvatico

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente. Questo
verbo ricorre 2462 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 289 volte in
Matteo (corrispondente all’1,575% del totale delle parole); 192 volte in Marco (1,699%); 361
volte in Luca (1,853%); 445 volte in Giovanni (2,846%). La forma µ< è presente 38 volte
in Marco: Mc 1,6.13[x2].22.23.33.45; 2,4; 3,1; 4,36[x2].38; 5,5.11.21.40.42; 6,47.48.52;
7,26; 10,22.32; 11,13.30.32; 14,1.54.59; 15,7.25.26.39.41.42.43.46; 16,4. Usato come
predicato autonomo, per lo più all’imperfetto e in contesti narrativi, il verbo gÆ:\ significa
«esistere», «vivere», «trovarsi». Come copula gÆ:\ pone in relazione tra loro un soggetto e
un predicato. Spesso, come qui, il verbo gÆ:\ è usato in modo perifrastico per porre in
Mc 1,6 41

particolare rilievo l’enunciato o il valore nominale del verbo indicato con il successivo
participio.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z3TV<<0H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z3TV<<0H, –@L, Giovanni; cf. Mc
1,4; soggetto.
¦<*g*L:X<@H: verbo, nom. sing. m. part. perf. medio da ¦<*bT, mettersi addosso, indossare,
vestire, vestirsi. Questo verbo ricorre 14 volte nel NT: Mt 6,25; 22,11; 27,31; Mc 1,6; 6,9;
15,20; Lc 8,27; 12,22; 15,22; 24,49; At 12,21; Rm 13,12.14; 1Cor 15,53[x2].54[x2]; Gal
3,27; Ef 4,24; 6,11.14; Col 3,10.12; 1Ts 5,8; Ap 1,13; 15,6; 19,14. Participio predicativo del
soggetto z3TV<<0H. Il participio è retto da µ< in costruzione perifrastica («era indossante»),
al posto dell’usuale imperfetto «indossava». La costruzione perifrastica (verbo essere +
participio), tipica della Koiné e molto frequente nel NT, corrisponde generalmente al tempo
finito imperfetto; viene usata per caratterizzare, in forma enfatica o durativa, l’azione espressa
dal participio. In Mc questa tipica costruzione ricorre 18 volte (cf. Mc 1,6[x2].22.33; 2,18;
4,38; 9,4; 10,22.32[x2]; 13,25; 14,4.49.54[x2]; 15,22.40.43). Nel suo significato letterale il
verbo ¦<*bT, costruito con l’accusativo, equivale a «mettersi addosso», «indossare» (cf.
Omero, Il., 2,42; Erodoto, Hist., 3,98,4): J¬< 8g@<J¬< ¦<*X*Li", «mi sono messo addosso
una pelle di leone» (Platone, Crat., 411a).
JD\P"H: sost., acc. plur. f. da hD\>, JD4P`H, capello, crine, pelo; compl. oggetto. Il vocabolo
ricorre 15 volte nel NT: Mt 3,4; 5,36; 10,30; Mc 1,6 (hapax marciano); Lc 7,38.44; 12,7;
21,18; Gv 11,2; 12,3; At 27,34; 1Pt 3,3; Ap 1,14; 9,8[x2]. Il sostantivo hD\>, usato a partire
da Omero, può designare sia i peli o i capelli umani (cf. Omero, Il., 24,359; Od., 13,431) sia
i peli animali, quali quelli degli ovini (cf. Omero, Il., 3,273), dei suini (cf. Omero, Il., 19,254;
Od., 10,239), dei cavalli (cf. Omero, Il., 23,519), dei cani (cf. Senofonte, Cyn., 4,8).
i":Z8@L: sost., gen. sing. m. da iV:08@H, –@L, cammello; compl. di materia. Il vocabolo
ricorre 6 volte nel NT: Mt 3,4; 19,24; 23,24; Mc 1,6; 10,25; Lc 18,25. Dal punto di vista
etimologico il sostantivo iV:08@H (cf. Eschilo, Suppl., 285; Erodoto, Hist., 3,105,2;
Plutarco, Alex., 31,7,1) è la grecizzazione del corrispondente ebraico -/ I xI, ga) ma) l,
«cammello», il quale in epoca neotestamentaria era largamente diffuso nell’area mediorienta-
le. Il cammello qui ricordato, ossia quello palestinese, è il dromedario a una gobba (camelus
dromedarius), diverso dal cammello vero e proprio originario dell’area persiana, a due gobbe
(camelus bactrianus). L’espressione ellittica ¦<*g*L:X<@H JD\P"H i":Z8@L, «vestito di
peli di cammello», intende indicare senza dubbio una mantellina, un mantello o un abito
tessuto di peli di cammello, anche se il termine greco per «mantello» o «vestito» non ricorre
nel testo greco. Questa specie di tunica rozza e ruvida, molto adatta a simboleggiare la
penitenza, era usata anche da altri profeti (cf. Is 20,2; Zc 13,4).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
.f<0<: sost., acc. sing. fa da .f<0, –0H, fascia, benda; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 8
volte nel NT: Mt 3,4; 10,9; Mc 1,6; 6,8; At 21,11[x2]; Ap 1,13; 15,6. Nel greco classico il
sostantivo .f<0 indica di preferenza la cintura femminile (cf. Omero, Il., 14,181; Od.,
10,544), ma può indicare anche quella maschile, specie la cintura della divisa militare (cf.
Senofonte, Anab., 1,6,10). Nei LXX il vocabolo ricorre 19 volte per indicare: a) la cintura
42 Mc 1,6

sacerdotale o cultuale (cf. Es 28,4.39.40; 29,9; 36,36; Lv 8,7.13; 16,4); b) la cintura generica
(cf. Dt 23,14; 2Re 3,21; Sal 109,19; Gb 12,18); c) la cintura di un messaggero celeste (cf. Ez
9,2.3.11); d) la cintura militare (cf. 1Re 2,5; Is 5,27); e) la cintura femminile (cf. Is 3,24); f)
la cintura del profeta (cf. 2Re 1,8). Nel nostro caso non si tratta probabilmente di una stretta
cintura di cuoio, ma, secondo il costume mediorientale, di una fascia più larga da portare
attorno ai fianchi, sia per cingere la tunica sia per riporvi denaro o armi.
*gD:"J\<0<: agg. qualificativo, acc. sing. f. da *gD:VJ4<@H, –0, –@<, fatta di pelle (da *XD:",
«pelle»); attributo di .f<0<. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mt 3,4; Mc 1,6 (hapax
marciano). L’informazione biografica secondo la quale Giovanni il Battista indossava «una
cintura di pelle» acquista particolare importanza per quanto riguarda la presunta — e
infondata — convinzione che ritiene Giovanni un ex membro della comunità essena di
Qumran, poiché presso questo gruppo religioso era proibito l’impiego di manufatti di pelle:
«[Nessuno introduca] alcuna pelle, né vestito né utensile […] che contamina l’anima
dell’[uomo] […]. [E questa è la regola] della congregazione nell’epoca dell’empietà» (4Q268,
Frag. 1, col. 2). È assai probabile che i particolari circa l’abbigliamento del Battista siano
stati accentuati a livello di redazione: il mantello di peli intende qualificare Giovanni come
profeta penitente (cf. Zc 13,4) e la cintura di pelle attorno ai fianchi lo rende simile a Elia,
del quale si riferisce che .f<0< *gD:"J\<0< BgD4g.TF:X<@H J¬< ÏFn×< "ÛJ@Ø, «una
cintura di pelle gli cingeva i fianchi» (2Re 1,8). Quasi certamente si tratta di un accostamento
intenzionale: per l’evangelista, Giovanni il Battista svolge il ruolo di Elia come precursore
del giorno del Signore (cf. Ml 3,23), precisando così il significato della precedente citazione
di Ml 3,1 («egli preparerà la tua strada», cf. Mc 1,2b).
BgD\: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., intorno a, attorno, in
prossimità di, vicino. Questa preposizione ricorre 333 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 28 volte in Matteo (corrispondente allo 0,153% del totale delle
parole); 22 volte in Marco (cf. Mc 1,6.30.44; 3,8.32.34; 4,10.19; 5,16.27; 6,48; 7,6.25; 8,30;
9,14.42; 10,10.41; 12,14.26; 13,32; 14,21 = 0,203%); 45 volte in Luca (0,231%); 67 volte
in Giovanni (0,429%). Negli scritti neotestamentari la preposizione BgD\ è costruita con il
genitivo o l’accusativo (manca l’uso con il dativo). L’impiego con il genitivo è di gran lunga
prevalente, con i seguenti significati: a) argomento («riguardo a», «a proposito di», «quanto
a», «su»); b) causale («a causa di», «per»); c) relazione («riguardo a», «nei confronti di»); d)
vantaggio («per», «a vantaggio di»). In associazione con l’accusativo BgD\ assume un
significato: a) locale («intorno a», «presso di»); b) perifrasi inclusiva («attorno a», «al seguito
di», ossia, a seconda del contesto, i parenti, gli amici, i conoscenti, i discepoli, ecc.); c)
temporale («circa», «verso»); d) argomento («per», «riguardo a»); e) approssimazione
numerica («circa»). Nel vangelo di Marco la preposizione BgD\ è usata in senso prevalente-
mente di argomento (cf. Mc 1,30; 4,19; 5,16.27; 7,6.25; 8,30; 10,10; 12,14.26; 13,32; 14,21)
o locale (cf. Mc 1,6; 3,8.32.34; 4,10; 9,14.42). Altrove ha significato di vantaggio (cf. Mc
1,44), temporale (cf. Mc 6,48), relazione (cf. Mc 10,41).
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
Mc 1,6 43

ÏFnb<: sost., acc. sing. f. da ÏFnØH, –b@H, anca, fianco, lombo; compl. di stato in luogo. Il
vocabolo ricorre 8 volte nel NT: Mt 3,4; Mc 1,6 (hapax marciano); Lc 12,35; At 2,30; Ef
6,14; Eb 7,5.10; 1Pt 1,13.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦Fh\T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da ¦Fh\T, mangiare, prendere cibo, consumare,
divorare. Questo verbo ricorre 157 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
24 volte in Matteo (corrispondente allo 0,131% del totale delle parole); 27 volte in Marco
(cf. Mc 1,6; 2,16[x2].26[x2]; 3,20; 5,43; 6,31.36.37[x2].42.44; 7,2.3.4.5.28; 8,1.2.8; 11,14;
14,12.14.18[x2]. 22 = 0,239%); 32 volte in Luca (0,164%); 15 volte in Giovanni (0,096%).
Participio predicativo del soggetto z3TV<<0H. Il participio è retto da µ<, in costruzione
perifrastica («era mangiante»), al posto dell’usuale imperfetto «mangiava». Il significato
linguistico di ¦Fh\T nel NT corrisponde a quello del greco profano (cf. Omero, Il., 23,182;
Od., 10,460): nell’uso letterale proprio il verbo indica l’atto di assumere cibo (= «mangiare»,
«nutrirsi») o, in senso esteso, «pranzare», «banchettare».
•iD\*"H: sost., acc. plur. f. da •iD\H, –\*@H, locusta, cavalletta; compl. oggetto. Il vocabolo
ricorre 4 volte nel NT: Mt 3,4; Mc 1,6 (hapax marciano); Ap 9,3.7. Questi temibili insetti
sono ricordati a partire da Omero (cf. Id., Il., 21,12; Aristofane, Achar., 1116). Si tratta di
una specie di acridi di grosse dimensioni che infesta soprattutto i paesi orientali, spogliando
la vegetazione a causa della loro voracità: º •iDÂH ¦:BgF@ØF" i"JXnhg4Dg< BV<J",
«l’invasione delle cavallette distruggeva tutto» (P.Tebt., 772,2, II sec. d.C.). Trasportati dal
vento meridionale, sciami innumerevoli sono portati quasi ogni primavera dall’Arabia nella
Palestina e dopo aver devastato la regione emigrano verso settentrione. Gli abitanti beduini
di questi paesi erano soliti nel passato mangiare queste locuste, arrostendole o conservandole
con sale e spezie. Anche la legislazione mosaica permette di mangiarle in tutte le loro specie
(cf. Lv 11,22). Stessa prescrizione ritroviamo nella legislazione mishnaica: «A chi fa il voto
di non mangiare carne è lecito mangiare pesce e locuste» (m.Hul., 8,1). Sappiamo che anche
gli esseni consumavano locuste come cibo (cf. CD–A, 12,14–15). Nella Mishnah è
addirittura prevista una particolare benedizione prima dell’assunzione di questo e di altri
alimenti: «Sull’aceto, sulla frutta immatura caduta dall’albero, sulle locuste si recita [la
formula]: “Che tutto abbia esistenza per la sua parola”» (m.Ber., 6,3). In un altro trattato viene
menzionata una specie di salsa a base di cavallette (cf. m.Eduy., 7,2).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
:X84: sost., acc. sing. n. da :X84, –J@H, miele; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 4 volte nel
NT: Mt 3,4; Mc 1,6 (hapax marciano); Ap 10,9.10.
–(D4@<: agg. qualificativo, acc. sing. n. da –(D4@H, –", –@<, agreste, selvatico, selvaggio;
attributo di :X84. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mt 3,4; Mc 1,6 (hapax marciano); Gd
1,13. L’alimento che qui è ricordato con l’espressione :X84 –(D4@< è quasi certamente il
miele prodotto dalle api selvatiche della Palestina nei tronchi degli alberi o negli anfratti delle
44 Mc 1,7

cavità rocciose: difficilmente l’espressione indica il miele vegetale, ossia un succo o sostanza
resinosa essudata da alcune piante, come le palme e le tamerice (cf. Erodoto, Hist., 1,193,4;
Aristotele, De mir. ausc., 831b 23–24). L’uso di :X84 –(D4@< per designare il miele
prodotto da alberi è poco attestato nell’antichità; si conosce soltanto la citazione di Diodoro
Siculo, nbgJ"4 […] •BÎ Jä< *X<*DT< :X84 B@8× JÎ i"8@b:g<@< –(D4@<, «fuoriesce
[…] dagli alberi miele in abbondanza, detto agreste» (Id., Bibl., 19,94,10) e, inoltre,
difficilmente esistevano alberi nella piana del Giordano in grado di produrre questo tipo di
alimento. In base a queste analogie alimentari e ad altri più importanti paralleli, alcuni
commentatori hanno cercato di dimostrare la dipendenza di Giovanni il Battista dalla
comunità essenica di Qumran, ipotizzando perfino un suo soggiorno come membro effettivo.
I principali indizi a sostegno di questa tesi sono i seguenti: a) sia gli esseni che il Battista
condividono la stessa area geografica (il deserto vicino l’estuario del Giordano); b) gli esseni,
come il Battista, accentuano la penitenza e giustificano il loro ritiro nel deserto basandosi
sullo stesso passo della scrittura (cf. Is 40,3) che gli evangelisti applicano al Battista. Tale
scelta di isolamento è così giustificata nella Regola della Comunità di Qumran: «In base a
queste norme [gli adepti] si separeranno dall’interno della residenza degli uomini malvagi per
andare nel deserto a prepararvi la via di lui [= di Dio], come è scritto: Nel deserto preparate
la strada di **** [= Yhwh, il nome divino impronunciabile, sostituito nel manoscritto da 4
punti, n.d.a.], nella steppa costruite una strada diritta per il nostro Dio» (1QS, 8,13–14); c)
gli esseni, analogamente a Giovanni Battista, praticano abitualmente le abluzioni come gesto
cultuale; d) alcune abitudini alimentari sono identiche, come il mangiare cavallette e miele.
Fin qui le analogie. Se però si procede a un raffronto serrato emergono più le differenze che
i punti in comune. La comunità di Qumran è una vera e propria setta di adepti maschi che
si separano da un mondo che ritengono malvagio e destinato alla perdizione; Giovanni, pur
fisicamente collocato in un luogo geografico deserto, attua un ministero pubblico, popolare,
aperto a tutti, senza distinzione di sesso, età, condizione sociale. I riti di immersione
qumranici sono atti di purificazione cultuale e perciò devono essere ripetuti periodicamente,
mentre per il Battista il rito di immersione ha un carattere escatologico, è unico, definitivo,
non ripetibile. Anche le informazioni relative allo stile di vita sottolineano queste differenze
radicali rispetto alla comunità qumranica: Giovanni veste con indumenti fatti di peli di
cammello e si nutre di locuste e miele selvatico; gli esseni, al contrario, vestivano soltanto
fibre vegetali perché ritenevano il cammello animale impuro per eccellenza e consideravano
il miele selvatico e le locuste al limite del lecito. Alla luce di queste considerazioni le poche
analogie esistenti devono essere considerate semplicemente come elementi provenienti da un
comune ambiente socioculturale.

1,7 i"Â ¦iZDLFFg< 8X(T<s }+DPgJ"4 Ò ÆFPLD`JgD`H :@L ÏB\FT :@Ls @â @Ûi
gÆ:Â Êi"<ÎH ibR"H 8ØF"4 JÎ< Ê:V<J" Jä< ßB@*0:VJT< "ÛJ@Ø.
1,7 e predicava dicendo: «Dopo di me viene colui che è più forte di me, al quale io non
sono degno, chinatomi, di sciogliere il legaccio dei suoi sandali.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Mc 1,7 45

¦iZDLFFg<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da i0DbFFT, proclamare apertamente,


annunciare solennemente, predicare; cf. Mc 1,4. Il tempo imperfetto, qui di valore
continuativo, indica il protrarsi di questa predicazione.
8X(T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare.
Participio predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso z3TV<<0H. Il verbo 8X(T,
nel significato post–omerico di «parlare», «dire» (cf. Esiodo, Theog., 27; Erodoto, Hist.,
9,11,1; Platone, Phil., 12b), è uno dei più usati nella letteratura greca. Nel NT ricorre 2353
volte: è il verbo che ricorre più spesso, se si prescinde dall’ausiliare gÆ:\. La distribuzione
nei vangeli è la seguente: 505 volte in Matteo (corrispondente al 2,753% del totale delle
parole); 290 volte in Marco (2,565%); 533 volte in Luca (2,736%); 480 volte in Giovanni
(3,070%). La forma 8X(T< è presente 18 volte in Marco (cf. Mc 1,7.15.24.25.40; 5,23;
8,15.26.27; 9,25; 12,6.26; 14,44.60.68; 15,4.9.36). L’uso di 8X(T dopo i verbi cosiddetti
dicendi («dire», «proclamare», «annunciare», «interrogare», «rispondere», «deliberare», ecc.),
frequentissimo nel NT, è un ebraismo dovuto alla traduzione servile della forma verbale
9J/!-F, le)’mo) r, equivalente al gerundio «dicendo» e impiegata per introdurre il discorso
diretto, in sostituzione del segno grafico dei due punti (:), inesistente in ebraico come in
greco. Nelle traduzioni questa tipica forma può essere omessa.
}+DPgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere. Questo verbo deponente ricorre 632 volte nel NT.
La distribuzione nei vangeli è la seguente: 114 volte in Matteo (corrispondente allo 0,621%
del totale delle parole); 85 volte in Marco (cf. Mc 1,7.9.14.24.29.39.40.45; 2,3.13.17.18. 20;
3,8.20.31; 4,4.15.21.22; 5,1.14.15.22.23.26.27.33.35.38; 6,1.29.31.48.53; 7,1.25.31; 8,10.
22.38; 9,1.11.12.13.14.33; 10,1.14.30.45.46.50; 11,9.10.13[x2].15.27[x2]; 12,9.14.18.42;
13,6.26.35.36; 14,3.16.17.32.37.38.40.41[x2].45.62.66; 15,21.36.43; 16,1.2 = 0,752%); 101
volte in Luca (0,518%); 157 volte in Giovanni (1,004%). L’uso linguistico di §DP@:"4 nel
NT corrisponde a quello del greco profano: nella stragrande maggioranza delle ricorrenze il
verbo indica in senso letterale un generico movimento o spostamento fisico da un punto a
un altro, traducibile sia con «venire» (cf. Omero, Od., 10,267) sia con «andare» (cf. Sofocle,
Antig., 99) sia con «arrivare» (cf. Platone, Resp., 445b), rispetto a colui che parla o scrive.
Con significato metaforico esso viene riferito al sopraggiungere di un tempo, una realtà o un
avvenimento di natura spirituale (il regno di Dio, la Legge, la pienezza del tempo, il giorno
del Signore, ecc.). In Mc 5,26 il verbo è usato in senso traslato nell’espressione idiomatica
§DP@:"4 gÆH JÎ PgÃD@<, «andare verso il peggio», corrispondente alla locuzione italiana
«andare di male in peggio».
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
ÆFPLD`JgD`H: agg. qualificativo, di grado comparativo, con valore sostantivato, nom. sing. m.
da ÆFPLD`H, –V, –`<, forte, potente; soggetto. Il vocabolo ricorre 29 volte nel NT: Mt 3,11;
12,29[x2]; 14,30; Mc 1,7; 3,27[x2]; Lc 3,16; 11,21.22; 15,14; 1Cor 1,25.27; 4,10; 10,22;
2Cor 10,10; Eb 5,7; 6,18; 11,34; 1Gv 2,14; Ap 5,2; 6,15; 10,1; 18,2.8.10.21; 19,6.18.
Determinato dall’articolo (Ò) il vocabolo viene quasi personificato per indicare la venuta
imminente del “forte” per eccellenza. Nel greco classico il termine ÆFPLD`H, detto di
persone, di cose o realtà astratte, significa «forte», «potente», in senso sia fisico che morale
46 Mc 1,7

(cf. Erodoto, Hist., 1,76,1; Eschilo, Suppl., 302; Platone, Resp., 388e). Nei LXX è il vocabolo
più usato per esprimere il concetto di forza e traduce vari equivalenti ebraici, soprattutto la
radice (ƒ, khE. La forza è attribuita spesso a Dio (cf. Dt 10,17; Es 9,16; Sal 111,6), definito
in alcuni testi profetici «il forte» per eccellenza (cf. Is 49,26; 60,16; Ger 32,16; Dn 9,4). Nel
nostro passo chi è questo «più forte» che sta per venire? Dalle parole del Battista non risulta
esplicitamente che l’ÆFPLD`JgD@H sia Gesù Cristo, ma il lettore che ormai vive l’esperienza
di fede post–pasquale sa bene che si tratta del messia Gesù.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø / :@L, dat. ¦:@\ / :@4, acc. ¦:X
/ :g), io, me; cf. Mc 1,2. Il Battista professa a chiare lettere la superiorità del personaggio
(ancora anonimo) che sta per venire. Questi è definito più forte del predicatore, ma non nel
senso che si opporrà a lui: nella tradizione evangelica Gesù è definito il «più forte» in
riferimento a Satana, qualificato il «forte» (cf. Mc 4,27; Mt 12,28). Colui che verrà, grazie
al suo potere, potrà contrapporsi e debellare l’azione del demonio.
ÏB\FT: prep. impropria di valore temporale, seguita dal genitivo, indecl., dopo, dopo di. Questa
preposizione ricorre 35 volte nel NT, in senso sia locale (21 volte) sia temporale (5 volte);
nel significato avverbiale è presente 9 volte. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 6
volte in Matteo (corrispondente allo 0,033% del totale delle parole); 6 volte in Marco (cf. Mc
1,7.17.20; 8,33.34; 13,16 = 0,053%); 7 volte in Luca (0,036%); 7 volte in Giovanni
(0,045%). L’uso preposizionale di ÏB\FT è estraneo al greco classico, ma corrente nei LXX
dove il vocabolo traduce l’ebraico *9F( C!
H , ’aha
. 7 rê, «dietro a», «dietro di», «dopo di». Sebbene
dal punto di vista linguistico la preposizione ÏB\FT abbia generalmente un senso spaziale
qui l’espressione ÏB\FT :@L deve essere intesa in senso cronologico («dopo di me», non
«dietro di me»); nessun cristiano, infatti, ha ritenuto Gesù un seguace di Giovanni il Battista.
Il termine conosce un uso temporale non soltanto nel greco classico (cf. Omero, Il., 3,160;
Od., 11,483), ma anche in quello biblico (cf. 1Sam 14,12; 24,22; 1Re 1,6.24; Qo 10,14; Mt
3,11; Gv 1,15.27.30).
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø / :@L, dat. ¦:@\ / :@4, acc. ¦:X
/ :g), io, me; cf. Mc 1,2.
@â: pron. relativo, gen. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; compl. di specificazione. La
forma @â ricorre 114 volte nel NT rispetto alle 1407 ricorrenze totali di questo pronome. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 15 volte in Matteo (corrispondente allo 0,082% del
totale delle parole); 4 volte in Marco (cf. Mc 1,7; 13,30; 14,21.32 = 0,035%); 24 volte in
Luca (0,123%); 10 volte in Giovanni (0,064%).
@Ûi: (@Û davanti a consonante; @Ûi davanti a vocale o dittongo con spirito dolce; @ÛP davanti
a vocale o dittongo con spirito aspro; @Ü in fine di frase, come semplice risposta negativa;
@ÛP\ forma enfatica, assente in Marco), cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non.
Generalmente la congiunzione negativa è usata con verbi al modo indicativo per negare un
fatto reale. Il vocabolo ricorre 1623 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
202 volte in Matteo (corrispondente all’1,101% del totale delle parole); 118 volte in Marco
(cf. Mc 1,7.22.34; 2,17[x2].18.19.24.26.27; 3,24.25.26.27.29; 4,5.7.13.17.21.22.25.27.34.38;
5,19.37.39; 6,3[x2].4.5.18.19.26.52; 7,3.4.5.18[x2].19.24.27; 8,2.14.16.17.18[x3].33;
9,1.3.6.18.28.30.37.38.40.41.48[x2]; 10,15.27.38.40.43.45; 11,13.16.17.31.33; 12,14[x3].20.
Mc 1,7 47

22.24.26.27.31.32.34; 13,2[x2].11.14.19[x2].20.24.30.31.33.35; 14,7.21.25.29.31.36.37.40.


49.55.56.60.61.71; 15,4.23.31; 16,6.14.18 = 1,044%); 174 volte in Luca (0,893); 282 volte
in Giovanni (1,804%). In greco vi sono due negazioni: @Û e :Z. La negazione @Û (lat. non)
è diretta, categorica, determinata: costituisce la negazione oggettiva, poiché nega un fatto
reale e quindi si usa nelle proposizioni enunciative, dichiarative, interrogative indirette,
temporali, causali, comparative, concessive, infinitive. Si accompagna con l’indicativo, modo
tipico della realtà. La negazione :Z (lat. ne) è indiretta, dubitativa, indeterminata: esprime la
negazione soggettiva, ossia nega il pensiero; è usata quindi in riferimento a un comando, un
desiderio, una riserva mentale da parte di chi scrive o di chi parla. Si usa :Z nelle
proposizioni volitive, finali, ipotetiche, concessive, completive (introdotte dai verba timendi
o curandi). È seguita dall’imperativo, dal congiuntivo o dall’ottativo. Si deve osservare,
tuttavia, che questa distinzione non sempre è rigidamente rispettata, anche nel greco classico.
La più ampia oscillazione nell’uso delle due negazioni avviene con i sostantivi, gli aggettivi
e gli avverbi. In particolare nella Koiné la scala delle possibilità d’uso delle negazioni @Û e
:Z è così ampia al punto che molto spesso vengono scambiate l’una con l’altra.
gÆ:\: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
Êi"<`H: agg. qualificativo, nom. sing. m. da Êi"<`H, –Z, –`<, sufficiente, adatto, capace,
idoneo, degno, gradito, considerevole; predicato nominale. Il vocabolo ricorre 39 volte nel
NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 3,11; 8,8; 28,12; Mc 1,7; 10,46; 15,15;
Lc 3,16; 7,6.12; 18,27.32; 20,9; 22,38; 23,8.9. Nel greco classico Êi"<`H è utilizzato
generalmente con una doppia valenza: a) in riferimento a cose, realtà astratte o persone può
essere impiegato nel senso quantitativo e qualitativo di «sufficiente», «bastevole» (cf.
Tucidide, Hist., 1,2,6; Senofonte, Cyr., 1,6,15; Platone, Symp., 179b); b) in riferimento a
persone può esprimere anche un significato qualitativo, corrispondente agli aggettivi italiani
«idoneo», «adatto», «capace» (= –>4@H; cf. Platone, Resp., 467d). Qui, unito alla negazione
@Ûi, deve essere inteso nel senso giuridico di «incapace», «non adatto».
ibR"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ibBJT, chinarsi, piegarsi, inchinarsi, curvarsi,
abbassarsi (probabilmente dalla radice iØ:"). Questo verbo ricorre 2 volte nel NT: Mc 1,7
(hapax marciano) e Lc 8,6. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso
¦(f. Nel greco biblico il verbo ibBJT, oltre ad assumere il significato generico di
«piegarsi», «chinarsi», conforme all’uso classico (cf. Omero, Il., 4,468; Aristofane, Ves., 279),
viene spesso usato per indicare un atto di prostrazione e venerazione nei confronti del re o
di qualche personaggio importante e anche come atto di adorazione nei confronti di Dio nel
contesto di una teofania e di una rivelazione (cf. Es 4,31; 12,27; 34,8; Nm 22,31; Is 46,6).
Nel nostro caso si tratta, propriamente, di un participio cosiddetto “grafico” (participium
graphicum), il quale caratterizza o descrive in forma accessoria, talvolta pleonastica, l’azione
del verbo finito mediante un verbo ridondante o di significato analogo. In questi casi il
participio espletivo, di sapore semitico, viene usato per conferire all’azione del verbo
principale maggiore enfasi e pienezza. L’azione espressa dal participio espletivo si riferisce
in genere ad atteggiamenti o azioni del corpo e può essere precedente o concomitante
rispetto a quella del verbo finito. Il participio espletivo è sempre sprovvisto di articolo e può
essere collocato prima o dopo il verbo principale. Nel vangelo di Marco compaiono i
48 Mc 1,7

seguenti participi espletivi: •i@bT (Mc 15,35), •<"$"\<T (Mc 15,8), •<"$8XBT (Mc
8,24; 16,4), •<":4:<¯FiT (Mc 11,21), •<"B0*VT (Mc 10,50), •<"FJg<V.T (Mc
8,12), •<\FJ0:4 (Mc 1,35; 2,14; 7,24; 10,1; 14,57.60), •n\0:4 (Mc 4,36; 8,13; 12,12;
14,50; 15,37), •BXDP@:"4 (Mc 6,27.37; 14,39; 16,13), •B@iD\<@:"4 (Mc 3,33; 6,37;
9,5.19; 10,3.24.51; 11,14.22.33; 12,35; 14,48; 15,2.12), (@<LBgJXT (Mc 1,40),
*4"DDZ(<L:4 (Mc 14,63), *4g(g\DT (Mc 4,39), gÆFB@Dgb@:"4 (Mc 11,2), ¦iJg\<T (Mc
1,41), ¦:$"\<T (Mc 8,13), ¦:$8XBT (Mc 10,21.27; 14,67), ¦>XDP@:"4 (Mc 1,45;
6,12.24; 16,8), ¦B4FJDXnT (Mc 8,33), §DP@:"4 (Mc 5,23; 7,25; 12,14.42; 14,40.45; 16,2),
ËFJ0:4 (Mc 14,49), i"h\.T (Mc 9,35), i4<XT (Mc 15,29), iDV.T (Mc 9,24), iD"JXT
(Mc 1,32; 5,41), ibBJT (Mc 1,7), 8":$V<T (Mc 12,3.8), 8X(T (Mc 1,7.24.25.40; 3,11;
5,12.23; 6,25; 8,15.27.28; 9,11.25; 11,31; 12,18.26; 14,44.61.68; 15,4.9), ÒDVT (Mc 12,34;
14,69), B"DV(T (Mc 2,14), B"D"B@Dgb@:"4 (Mc 11,20), BgD4$8XB@:"4 (Mc 3,34),
B8XiT (Mc 15,17), BD@XDP@:"4 (Mc 14,35), BD@FXDP@:"4 (Mc 1,31; 14,45),
BD@Fi"8X@:"4 (Mc 10,42), BJbT (Mc 7,33), J\h0:4 (Mc 15,19), JDXPT (Mc 15,36),
nD"(g88`T (Mc 15,15).
8ØF"4: verbo, inf. aor. da 8bT, sciogliere, slegare, liberare, rilasciare, dissolvere, abolire.
Questo verbo ricorre 42 volte nel NT: Mt 5,19; 16,19[x2]; 18,18[x2]; 21,2; Mc 1,7; 7,35;
11,2.4.5; Lc 3,16; 13,15.16; 19,30.31.33[x2]; Gv 1,27; 2,19; 5,18; 7,23; 10,35; 11,44; At
2,24; 7,33; 13,25.43; 22,30; 27,41; 1Cor 7,27; Ef 2,14; 2Pt 3,10.11.12; 1Gv 3,8; Ap 1,5; 5,2;
9,14.15; 20,3.7. Il modo infinito greco (corrispondente generalmente all’infinito o al
gerundio del verbo italiano) è da considerarsi essenzialmente un sostantivo verbale, qui con
valore finale. Nel greco classico si può «sciogliere» la fune (cf. Omero, Od., 2,418), le vele
(cf. Omero, Od., 15,496), il nodo (cf. Erodoto, Hist., 4,98,2), i sandali (cf. Eschilo, Ag., 944),
le catene (cf. Euripide, Herc., 1123), i capelli (cf. Teocrito, Idyl., 15,134), ma anche
figuratamente la bocca, nel senso di «porre fine al silenzio» (cf. Euripide, Hip., 1060). Nelle
cinque ricorrenze marciane 8bT è usato 4 volte nel significato letterale proprio (cf. Mc 1,7;
11,2.4.5), mentre in Mc 7,35 compare in senso traslato, per indicare lo «scioglimento» del
nodo della lingua, ossia della capacità di poter parlare con scioltezza, senza impedimenti.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
Ê:V<J": sost., acc. sing. m. da Ê:VH, Ê:V<J@H, cinghia, legaccio; compl. oggetto. Il vocabolo
ricorre 4 volte nel NT: Mc 1,7 (hapax marciano); Lc 3,16; Gv 1,27; At 22,25. Nel greco
classico il sostantivo Ê:VH indica una cinghia di cuoio utilizzata per svariati usi, come, ad
esempio, le corregge o redini dei cavalli (cf. Omero, Il., 23,324), la cintura ai fianchi (cf.
Omero, Il., 14,214), la cinghia della porta (cf. Omero, Od., 1,442), il legaccio dei sandali
militari (cf. Senofonte, Anab., 4,5,14).
Jä<: art. determ., gen. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo. La forma Jä< ricorre 1210 volte nel NT
rispetto alle 19.862 ricorrenze totali dell’articolo. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
206 volte in Matteo (corrispondente all’1,123% del totale delle parole); 108 volte in Marco
(0,955%); 131 volte in Luca (0,672%); 109 volte in Giovanni (0,697%).
ßB@*0:VJT<: sost., gen. plur. n. da ßB`*0:", –"J@H, calzare, sandalo; compl. di specificazio-
ne. Il vocabolo ricorre 10 volte nel NT: Mt 3,11; 10,10; Mc 1,7 (hapax marciano); Lc 3,16;
10,4; 15,22; 22,35; Gv 1,27; At 7,33; 13,25. Il termine, derivato da ßB@*X@:"4, indica
Mc 1,7 49

«quello che è legato sotto» e si riferisce alla suola che veniva assicurata alla caviglia con
cinghie solitamente di cuoio per formare il «sandalo» o la «calzatura» (cf. Omero, Od.,
15,369; 18,361; Erodoto, Hist., 1,195,1; Aristofane, Thesm., 262).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»). L’espressione @â… "ÛJ@Ø…, «di cui… di lui…», con il raddoppiamento
enfatico del pronome dimostrativo / personale, è di stile semitico, corrispondente al relativo
aramaico: analoghe costruzioni in Mc 1,7; 4,25[x2]; 7,25; 13,19. L’immagine dello sciogliere
(8bT, Mc 1,7; Lc 3,16; Gv 1,27; At 13,25) o portare ($"FJV.T, Mt 3,11) i sandali vuole
sottolineare in modo plastico la distanza che separa il Battista dal «più forte». Nell’antichità
l’ufficio di sciogliere e portare i sandali era uno dei più umili (cf. Epitteto, Diss., 3,26,21) e,
come riportano alcuni testi rabbinici, un padrone che avesse avuto uno schiavo ebreo non
poteva pretendere tale servizio: «Tutti i servizi che uno schiavo fa al suo padrone l’allievo
deve farli al suo maestro, a eccezione di slegargli i sandali» (b.Ket., 96a). Quando il re David
chiede in sposa Abigail, la donna si getta con la faccia a terra e risponde: «Ecco, la tua serva
sarà come una schiava per lavare i piedi dei servi del mio signore» (1Sam 25,41). Riferendosi
al medesimo racconto Giuseppe Flavio rafforza ancor più il simbolismo di questo gesto,
esprimente servizio, sottomissione e subordinazione: º *¥ •<">\" :¥< gÉ<"4 i" B@*ä<
žR"Fh"4 Jä< ¦ig\<@L BDÎH J@×H B"D`<J"H §8g(g<…, «ma essa rispose agli inviati
che non era degna neanche di toccare i piedi di lui [i.e. di David]…» (Giuseppe Flavio,
Antiq., 6,308). Lo storico Plutarco, riferendosi a Pompeo, scrive: … i"Â [M"f<4@H]
hgD"BgbT< ÓF" *gFB`J"H *@Ø8@4 :XPD4 <\RgTH B@*ä< i"Â *g\B<@L B"D"FigL­H,
*4gJX8gFg<, «…da allora [Favonio] continuò a prestargli tutti i servizi che gli schiavi
rendono ai padroni, sino a lavargli i piedi e preparare il pasto» (Plutarco, Pomp., 73,7,2–4).
Il detto di Mc 1,17, dunque, non soltanto riconosce il Battista come “servo” di Gesù, ma
afferma anche che egli è totalmente subordinato rispetto a «colui che viene».

Qualche altro commentatore interpreta l’immagine dello sciogliere i legacci del sandalo
in modo totalmente diverso, non sulla linea del servizio e della subordinazione, ma su quella
della simbologia sponsale, con accenno al matrimonio per levirato. Secondo la legge del
levirato, sancita in Dt 25,5–10, una donna rimasta vedova e senza figli doveva sposare il
fratello del defunto marito per generare una discendenza e assicurare la stabilità del
patrimonio familiare. Se il cognato rifiutava il matrimonio, perché già sposato o per altri
motivi legittimi, si eseguiva il rito detto %7 I*-E(
C , hEa7 lîsEa) h, «scalzamento»: la donna, in
presenza di testimoni qualificati, toglieva un sandalo al cognato e gli sputava in faccia, in
segno di disprezzo. Ecco come la legislazione mishnaica (redatta attorno al 200 d.C.)
codifica questo rito:

«La cerimonia dello scalzamento deve avvenire in presenza di giudici, anche se questi sono
tutti e tre laici. Se la donna compie lo scalzamento con una scarpa ordinaria esso è legale, se
lo compie con la scarpa di feltro non è legale; con un sandalo munito di suola è legale, senza
suola non è legale. Dal ginocchio in giù lo scalzamento è legale, mentre dal ginocchio verso
l’alto è illegale. Se lo scalzamento è compiuto con una scarpa che non è sua o con una scarpa
50 Mc 1,8

di legno o con una scarpa del piede sinistro calzata nel piede destro la cerimonia è legale. Se
fu compiuto con una scarpa troppo grande, con la quale, tuttavia, l’individuo riesce a
camminare oppure troppo piccola, ma che copre la maggior parte del piede, la cerimonia è
legale. Se la cerimonia è compiuta di notte è legale […]. Se lo scalzamento è compiuto con
il piede sinistro non è valido […]. Se la donna ha compiuto lo scalzamento e ha sputato, ma
non ha pronunciato la formula, lo scalzamento è valido; invece se essa ha pronunciato la
formula e ha sputato, ma non ha compiuto lo scalzamento, la cerimonia è invalida» (m.Yeb.,
12,1–3).

Se questo è il vero collegamento inteso da Marco, allora il Battista, quando afferma che
non può sciogliere i sandali di Gesù, unico sposo escatologico, intenderebbe dire che non ha
il diritto di sostituirsi a lui come secondo avente diritto, nell’ipotesi che il primo avente diritto
(Gesù) per qualche ragione dovesse rinunciare alla propria funzione di sposo. Già gli antichi
commentatori avevano fatto riferimento a questa interpretazione:

«Videtur quidem esse humilitatis indicium; quasi dicat, Non sum dignus servus eius esse. Sed
in istis verbis simplicibus demonstratur aliud sacramentum. Legimus in Exodo, legimus
quoque in Deuteronomio, legimus et in libro Ruth, quoniam si quis cognatus erat, et eam
quae de genere eius veniebat accipere nolebat uxorem, veniebat alius qui secundus erat in
genere, praesentibus iudicibus et maioribus natu, et dicebat: Tibi conpetit matrimonium, tu
debes eam accipere. Si nolebat, veniebat illa quam nolebat accipere, et tollebat, inquit,
calciamentum eius, et percuotiebat in faciem eius, conspuebat eum, et sic alteri nubebat. Hoc
fiebat propter ignominiam (interim secundum litteram), ut si forte pauperiorem contempisset,
hac ignominia terretur. Ergo hic sacerdotium demonstrat. Dicit ipse Iohannes: “Qui habet
sponsam, sponsus est”. Ille habet sponsam ecclesiam, ego autem amicus sponsi sum: non
possum solvere corrigiam calciamenti eius in lege, quoniam ipse ecclesiam duxit uxorem».

«A prima vista questa espressione è un segno di umiltà, quasi dicesse: “Non sono degno di
essere suo servo”. Ma da queste semplici parole affiora un altro mistero. Sappiamo
dall’Esodo, ma lo troviamo anche nel Deuteronomio e nel libro di Rut, che se il cognato di
una donna vedova non voleva accettarla per moglie, si faceva avanti l’altro parente più
prossimo e alla presenza dei giudici e degli anziani diceva: “Questo matrimonio spetta a te,
tu devi prendertela”. Se questi non ne voleva sapere, si presentava la donna rifiutata, gli
toglieva un sandalo e con questo lo colpiva in faccia e gli sputava addosso e così sposava il
secondo parente. Questo uso, storicamente, serviva a gettare su di lui la vergogna, perché nel
caso avesse disprezzato la donna ritenuta più povera di lui, ne fosse trattenuto per la paura
di questa vergogna. Qui, dunque, viene messo in evidenza il servizio sacerdotale. Lo stesso
Giovanni dice: “Lo sposo è colui che ha la sposa”. Lui, Gesù, ha per sposa la Chiesa, mentre
io, Giovanni, sono soltanto amico dello sposo: la Legge non mi rende idoneo di slacciargli
i sandali, poiché lui ha preso per sposa la Chiesa» (Girolamo, In Marc., Sermo 1).

La tesi è suggestiva, ma non è chiaramente deducibile dal testo; inoltre sembra che
all’epoca di Gesù la legge del levirato non venisse più applicata in modo rigido.

1,8 ¦(ã ¦$VBJ4F" ß:H à*"J4s "ÛJÎH *¥ $"BJ\Fg4 ß:H ¦< B<gb:"J4 (\å.
1,8 Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà con Spirito santo».
Mc 1,8 51

¦(f: pron. personale di 1a pers. nom. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc.
¦:X/:g), io, me; soggetto. La forma ¦(f ricorre 347 volte nel NT rispetto alle 2583
ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 28 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,153% del totale delle parole); 16 volte in Marco (cf. Mc 1,8;
6,16.50; 9,25; 10,38[x2]. 39[x2]; 11,33; 12,26; 13,6; 14,19.29.36.58.62 = 0,142%); 21 volte
in Luca (0,108%); 132 volte in Giovanni (0,844%). Poiché in greco le forme verbali
dell’indicativo, del congiuntivo, dell’ottativo e dell’imperativo sono coniugate in modo tale
da indicare persona e numero del soggetto, l’uso esplicito del pronome personale ¦(f indica
enfasi o accentuazione di un contrasto, come in questo caso (¦(f/io… "ÛJ`H/lui…) oppure
speciale risalto del soggetto (cf. Mt 21,27; Lc 22,32; Gal 2,20). In altri contesti si impiega
¦(f nel caso di affermazioni solenni (cf. Gv 8,12) o in particolari formule costruite alla
maniera semitica senza copula (cf. Ap 22,13).
¦$VBJ4F": verbo, 1a pers. sing. ind. aor. da $"BJ\.T, immergere, sommergere, lavare,
«battezzare»; cf. Mc 1,4.
ß:H: pron. personale di 2a pers. acc. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
compl. oggetto. La forma ß:H ricorre 435 volte nel NT rispetto alle 2905 ricorrenze totali
di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 34 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,185% del totale delle parole); 14 volte in Marco (cf. Mc 1,8[x2].17;
6,11; 9,19.41; 11,29; 13,9.11.36 = 0,124%); 38 volte in Luca (0,195%); 37 volte in
Giovanni (0,237%).
à*"J4: sost., dat. sing. n. da à*TD, à*"J@H, acqua; compl. di mezzo. Il vocabolo ricorre 76
volte nel NT: 7 volte in Matteo (cf. Mt 3,11.16; 8,32; 14,28.29; 17,15; 27,24, corrispondente
allo 0,038% del totale delle parole); 5 volte in Marco (cf. Mc 1,8.10; 9,22.41; 14,13 =
0,044%); 6 volte in Luca (cf. Lc 3,16; 7,44; 8,24.25; 16,24; 22,10 = 0,031%); 21 volte in
Giovanni (cf. Gv 1,26.31.33; 2,7.9[x2]; 3,5.23; 4,7.10.11.13.14[x3].15.46; 5,7; 7,38; 13,5;
19,34 = 0,134%); At 1,5; 8,36[x2].38.39; 10,47; 11,16; Ef 5,26; Eb 9,19; 10,22; Gc 3,12; 1Pt
3,20; 2Pt 3,5[x2].6; 1Gv 5,6[x3].8; Ap 1,15; 7,17; 8,10.11[x2]; 11,6; 12,15; 14,2.7; 16,4.5.12;
17,1.15; 19,6; 21,6; 22,1.17. A partire da Omero il sostantivo à*TD indica l’«acqua»
naturale, usata anche per bere o lavarsi (cf. Omero, Il., 2,307.755; 16,161.385; Od., 3,300).
Sebbene il complemento di luogo possa essere espresso, raramente, anche con il semplice
dativo (cf. Mt 5,8), qui è preferibile considerare à*"J4 come un dativo non locale, ma
strumentale (= «con acqua», «per mezzo di acqua»), in parallelo con il successivo ¦<
B<gb:"J4, esempio di ¦< strumentale dovuto a influsso semitico (cf. Mc 1,2).
"ÛJ`H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., nom. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; soggetto. La forma "ÛJ`H ricorre 168 volte nel NT rispetto alle
5600 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 12 volte
in Matteo (corrispondente allo 0,065% del totale delle parole); 15 volte in Marco (cf. Mc 1,8;
2,25; 3,13; 4,27.38; 5,40; 6,17.45.47; 8,29; 12,36.37; 14,15.44; 15,43 = 0,142%); 46 volte
in Luca (0,236%); 18 volte in Giovanni (0,115%). In antitesi con ¦(f (che indica Giovanni)
il pronome ha un forte valore enfatico: propriamente viene definito "ÛJ`H cristologico, come
in Mc 6,14; 14,44.
52 Mc 1,8

*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario. Questa
congiunzione pospositiva (non si incontra mai all’inizio di una proposizione) ricorre 2790
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 494 volte in Matteo (corrispondente
al 2,693% del totale delle parole); 161 volte in Marco (1,442%); 542 volte in Luca (2,782%);
213 volte in Giovanni (1,362%). La congiunzione può assume varie sfumature di significato.
Quando è impiegata da sola ha sostanzialmente un debole valore avversativo («ma», «però»,
«tuttavia», «invece», «al contrario»: Mc 1,8.45; 2,6.18.20; 3,4.29; 4,11.34; 5,36.40;
6,15[x2].16.37.38.49.50; 7,6[x2].11.28.36; 8,28.29.33.35; 9,12.27.32.34.39.50; 10,6.13.22.
40.43.48; 11,8.17; 12,5.15.44; 13,31.32; 14,7.21.31.52.61.68.70.71; 15,11.23.37; 16,6.16).
Spesso ha valore narrativo («ora», «allora», «poi»). In altre occasioni esprime un valore
esplicativo («infatti», «dunque», «quindi») o copulativo («e», «poi»); in correlazione con :X<
enfatizza il confronto o il parallelo in oggetto: «da una parte… dall’altra»; «ora… invece»;
«così… tuttavia»; unita con i"\ ha valore rafforzativo («certo», «perfino», «precisamente»);
in qualche caso è ridondante (*X pleonastica) e può essere omessa.
$"BJ\Fg4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. da $"BJ\.T, immergere, sommergere, lavare,
«battezzare»; cf. Mc 1,4.
ß:H: pron. personale di 2a pers. acc. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
compl. oggetto; cf. Mc 1,8a.
¦<: prep. propria di valore strumentale, seguita dal dativo, indecl., con, per mezzo di; cf. Mc 1,2.
B<gb:"J4: sost., dat. sing. n. da B<gØ:", –"J@H, alito, soffio, vento, spirito, Spirito; compl. di
mezzo. Il vocabolo ricorre 379 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 19
volte in Matteo (cf. Mt 1,18.20; 3,11.16; 4,1; 5,3; 8,16; 10,1.20; 12,18.28.31.32.43.45;
22,43; 26,41; 27,50; 28,19, corrispondente allo 0,104% del totale delle parole); 23 volte in
Marco (cf. Mc 1,8.10.12.23.26.27; 2,8; 3,11.29.30; 5,2.8.13; 6,7; 7,25; 8,12; 9,17.20.25[x2];
12,36; 13,11; 14,38 = 0,203%); 36 volte in Luca (cf. Lc 1,15.17.35.41.47.67.80; 2,25.26.27;
3,16.22; 4,1[x2].14.18.33.36; 6,18; 7,21; 8,2.29.55; 9,39.42; 10,20.21; 11,13.24.26; 12,10.12;
13,11; 23,46; 24,37.39 = 0,185%); 24 volte in Giovanni (cf. Gv 1,32.33[x2]; 3,5.6[x2].8[x2].
34; 4,23.24[x2]; 6,63[x2]; 7,39[x2]; 11,33; 13,21; 14,17.26; 15,26; 16,13; 19,30; 20,22 =
0,154%). L’espressione ¦< B<gb:"J4 (\å è un esempio di ¦< strumentale dovuto a
influsso semitico: la preposizione greca traduce quella corrispondente ebraica (vA, be),
impiegata per esprimere non un complemento di luogo, ma di mezzo o strumento.
Ritroviamo questo uso particolare in Mc 1,8; 3,22.23; 4,2.11.24.30; 6,14; 9,29.38.50;
11,28.29.33; 12,1.36.38; 16,17. Il concetto di B<gØ:" è uno dei più complessi della lingua
greca, sia per la gamma semantica che il vocabolo racchiude sia per lo sviluppo storico e
filosofico a cui è stato sottoposto nel corso dei secoli. Originariamente il sostantivo deverbale
B<gØ:" (da B<XT) designa il «soffio», il «vento», come forza elementare della natura (cf.
Eschilo, Prom., 1086; Aristofane, Eq., 441; Tucidide, Hist., 2,97,1) e, in riferimento agli
esseri viventi, il «fiato», il «respiro», la «vita» (cf. Eschilo, Eum., 568; Platone, Tim., 91c). Il
vocabolo viene usato, quindi, in senso traslato con il significato precipuo di «elemento
spirituale», «spirito», opposto a Fä:", «corpo» e distinto da RLPZ, «anima». Quando questo
concetto è riferito alla divinità, B<gØ:" indica lo «spirito divino» (cf. Menandro, Frag.,
417,3) e in forma personificata diventa termine tecnico per designare un «essere sovrumano»,
Mc 1,8 53

uno «spirito», ossia un essere intermediario tra la divinità e il mondo degli umani. Negli scritti
neotestamentari il significato di B<gØ:" assume caratteristiche e sfumature proprie che, in
parte, si discostano dall’uso classico, sia per il sottofondo linguistico anticotestamentario
mutuato dai LXX sia per l’esperienza e la presenza viva dello Spirito Santo negli stessi
avvenimenti che vengono narrati. Nell’uso marciano, su 23 passi in cui compare B<gØ:",
11 contengono l’espressione [J`] B<gØ:" [J`] •iVh"DJ@<, lo «spirito malvagio»,
prevalentemente al plurale (cf. Mc 1,23.26.27; 3,11.30; 5,2.8.13; 6,7; 7,25; 9,25). In due
ricorrenze B<gØ:" assume un valore puramente antropologico, per indicare lo «spirito»,
inteso come la sede delle percezioni o la coscienza umana di Gesù (cf. Mc 2,8; 8,12). Nelle
altre ricorrenze il termine B<gØ:" indica la generica potenza divina, talvolta qualificato con
l’aggettivo ž(4@H (cf. Mc 1,8.10.12) oppure, determinato dall’articolo, indica «lo Spirito
Santo» (cf. Mc 3,29; 12,36; 13,11), inteso come un essere personale capace di agire e di
subire una particolare azione. Un connotato speciale B<gØ:" assume in Mc 14,38, dove
viene contrapposto a FVD>, non secondo la dualità tipicamente platonica (anima/corpo), ma
come «spirito», ossia forza interiore che viene contrastata dalla debolezza umana.
(\å: agg. qualificativo, dat. sing. m. da ž(4@H, –", –@<, separato, riservato [per Dio],
consacrato, santo; attributo di B<gb:"J4. Il vocabolo ricorre 233 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 10 volte in Matteo (cf. Mt 1,18.20; 3,11; 4,5; 7,6;
12,32; 24,15; 27,53; 28,19, corrispondente allo 0,055% del totale delle parole); 7 volte in
Marco (cf. Mc 1,8.24; 3,29; 6,20; 8,38; 12,36; 13,11 = 0,062%); 20 volte in Luca (cf. Lc
1,15.35[x2].41.49.67.70.72; 2,23.25.26; 3,16.22; 4,1.34; 9,26; 10,21; 11,13; 12,10.12 =
0,103%); 5 volte in Giovanni (cf. Gv 1,33; 6,69; 14,26; 17,11; 20,22 = 0,032%). Questo
vocabolo ha essenzialmente un significato cultuale e sacrale. L’antica parola greca ž(@H,
esprimente il sacro timore davanti all’oggetto che suscita venerazione o scongiuro, veniva
usata inizialmente nel significato di «interdetto», «scongiuro», «sacrilegio» (cf. Eschilo, Ch.,
155; Sofocle, Oed. tyr., 1426; Tucidide, Hist., 1,126,2). Successivamente ž(4@H venne
impiegato nel significato di «consacrato», «sacro», per indicare la sacralità dei luoghi di culto
(templi, santuari, statue, oggetti, cerimonie) e in epoca ellenistica anche come epiteto degli
dèi (Iside, Serapide, Baal). In complesso l’aggettivo ž(4@H è piuttosto raro nel mondo greco;
esso, inoltre, non viene impiegato per indicare una qualità etica o personale dell’uomo o della
divinità (= la santità), ma soltanto la reazione di rispetto, venerazione, timore e paura che essa
suscita. In contrasto con la letteratura ellenistica extra–biblica, nei LXX il vocabolo traduce
la radice ebraica –$8, qdš, la quale, oltre a esprimere la caratteristica fondamentale di tutto
ciò che ha attinenza al culto (uomo, cose, spazio), viene impiegata per esprimere la santità
di Dio, come sua qualità etica e personale (“ontologica”, si direbbe con linguaggio filosofico).
Riferito a Dio l’aggettivo –|$8 I , qa) dôš / ž(4@H assume, pertanto, il significato di divino e
diventa un attributo costante di Yahweh (cf. Is 5,16; 6,3; Os 11,9): in tal modo il concetto di
santità si confonde con quello di divinità. Il significato neotestamentario di ž(4@H si basa
completamente su quello semitico ed ebraico che ritroviamo nei LXX. Nell’AT l’espressione
–$GJ8 ( H {9, rûahE qo) deš, «spirito santo», in riferimento a Dio, è molto rara (solo in Is 63,10.11
e Sal 51,13). Al contrario nel NT, in 90 casi su 230, ž(4@H è unito a B<gØ:" nell’espressio-
ne fissa B<gØ:" ž(4@< (varianti: [J`] B<gØ:" [J`] ž(4@<, JÎ ž(4@< B<gØ:").
L’espressione viene usata, specie da Luca, per indicare anzitutto lo Spirito Santo, il Paraclito
54 Mc 1,9

che si rivela nel battesimo di Gesù (cf. Lc 3,22), che esulta di giubilo in lui (cf. Lc 10,21),
che viene comunicato alla Chiesa con la Pentecoste (cf. At 4,31). Usata in senso indetermina-
to (come nel nostro passo), l’espressione B<gØ:" ž(4@< non indica una specifica Persona
divina, come avverrà nella successiva teologia trinitaria, ma piuttosto l’energia creatrice (cf.
Lc 1,35; 4,1) e profetica (cf. Lc 1,15.41.67) della potenza di Dio.

1,9 5" ¦(X<gJ@ ¦< ¦ig\<"4H J"ÃH º:XD"4H µ8hg< z30F@ØH •BÎ ;"."D¥J J­H
'"848"\"H i"Â ¦$"BJ\Fh0 gÆH JÎ< z3@D*V<0< ßBÎ z3TV<<@L.
1,9 E avvenne in quei giorni: Gesù arrivò da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel
Giordano da Giovanni.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦(X<gJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4. L’iniziale i"Â ¦(X<gJ@, di valore
ebraizzante, è il modo in cui i LXX traducono l’ebraico *% E *AC&, wa7 yehEî, «e avvenne che…»,
posto all’inizio di una proposizione come riferimento temporale per introdurre una
circostanza che precede l’azione espressa dal verbo principale (cf. Gn 4,3; 6,1; 7,10; 8,6;
ecc.). Questa costruzione è presente in Mc 1,9; 2,15.23; 4,4.10. L’aoristo è il tempo della
narrazione storica: costituisce il principale aspetto della comunicazione nel genere narrativo.
Nel greco biblico, per influsso dell’ebraico, l’aoristo tende a occupare il primo posto della
frase, preceduto soltanto dalla congiunzione i"\ (come qui) e dalla negazione. Tende anche
a comparire in serie: in tal caso ogni aoristo presente nella concatenazione indica una
informazione di livello principale, coordinata e normalmente successiva rispetto a quella
precedente. Il nostro versetto ne è un buon esempio.
¦<: prep. propria di valore temporale, seguita dal dativo, indecl., in, durante, entro; cf. Mc 1,2.
¦ig\<"4H: agg. dimostrativo, dat. plur. f. da ¦igÃ<@H, –0, –@, quello, quegli, colui, esso;
attributo di º:XD"4H, qui senza articolo perché in posizione predicativa. Il vocabolo ricorre
243 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 54 volte in Matteo (corrispon-
dente allo 0,294% del totale delle parole); 27 volte in Marco (cf. Mc 1,9; 2,20; 3,24.25;
4,11.20.35; 6,55; 7,20; 8,1; 12,4.5.7; 13,11.17.19.24[x2].32; 14,21[x2].25; 16,10.11.
13[x2].20 = 0,205%); 33 volte in Luca (0,169%); 70 volte in Giovanni (0,448%). Il pronome
dimostrativo ¦igÃ<@H (lat. ille, illa, illud) viene usato per indicare qualcosa o qualcuno
lontano nello spazio o nel tempo rispetto a chi scrive o legge, parla o ascolta, distinguendosi
da @âJ@H, usato per indicare persona o cosa presente.
J"ÃH: art. determ., dat. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo. La forma J"ÃH ricorre 203 volte nel NT
rispetto alle 19.862 ricorrenze totali dell’articolo. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
26 volte in Matteo (corrispondente allo 0,142% del totale delle parole); 12 volte in Marco
(cf. Mc 1,9; 2,6.8; 6,56; 8,1; 12,38.39; 13,17[x3].24; 16,18 = 0,106%); 38 volte in Luca
(0,195%); 5 volte in Giovanni (0,032%).
º:XD"4H: sost., dat. plur. f. da º:XD", –"H, giorno; compl. di tempo determinato. Il vocabolo
ricorre 389 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 45 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,245% del totale delle parole); 27 volte in Marco (cf. Mc 1,9.13;
Mc 1,9 55

2,1.20[x2]; 4,27.35; 5,5; 6,21; 8,1.2.31; 9,2.31; 10,34; 13,17.19.20[x2].24.32; 14,1.12.25.


49.58; 15,29 = 0,239%); 83 volte in Luca (0,426%); 31 volte in Giovanni (0,198%). La frase
«in quei giorni» o al singolare «in quel giorno», si ritrova nel secondo vangelo come
generica e indeterminata indicazione temporale (cf. Mc 1,9; 2,20; 4,35; 8,1; 13,17; [13,19];
13,24; [13,32]; [14,25]). Qui indica storicamente i «giorni» della predicazione del Battista.
L’espressione, tuttavia, è tipica del linguaggio escatologico (cf. Ps. Salom., 18,6) ed è spesso
usata dai profeti per indicare «gli ultimi tempi», ossia l’epoca in cui si realizzerà l’intervento
definitivo di Dio nella storia umana, caratterizzato dall’abbondanza dei beni messianici (cf.
Is 2,11.17.20; 3,18; 4,2; 5,30; 7,18.21; 10,20.27; 11,10; 12,1.4; 14,3.4; 17,7; 19,19.21.23.24;
25,9; 26,1; 29,18; 30,23.25; Ger 3,17; 5,18; 25,33; 30,8; 31,29; Ez 29,21; Os 2,18.20.23; Gl
3,2; 4,1.18; Am 8,9; 9,11.13; Abd 1,8; Mic 4,1.6; 5,9; Sof 3,11.16.20; Ag 2,23; Zc 2,15;
3,10; 8,23; 9,16; 13,1.2; 14,6.8.9).
µ8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Il verbo §DP@:"4 appartiene al linguaggio di
manifestazione di Gesù (vedi commento a Mc 1,38; 2,17; 10,45) e possiede una implicita
risonanza epifanica.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto. Nel vangelo di Marco il nome proprio Gesù è sempre determinato da un articolo,
eccetto in questa occasione e prescindendo da Mc 1,1 che, come è stato detto sopra,
costituisce la titolatura redazionale dell’opera, staccata dal resto del vangelo. Questa
omissione propria di Marco (nel parallelo di Mt 3,13 il nome è munito di articolo) rivela una
intenzione teologica: non presuppone la conoscenza dell’identità di Gesù, ma alla prima
occorrenza lo presenta come un uomo indeterminato venuto da Nazaret. Si dovrebbe quasi
tradurre: «Un certo Gesù venne da Nazaret di Galilea…».
•B`: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da. Questa
preposizione, nelle forme •B` e in quella elisa •Bz davanti a vocale con spirito dolce, •nz
davanti a vocale con spirito aspro, ricorre 646 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è
la seguente: 115 volte in Matteo (corrispondente allo 0,627% del totale delle parole); 47 volte
in Marco (cf. Mc 1,9.42; 2,20.21; 3,7[x2].8[x2].22; 4,25; 5,6.17.29.34.35; 6,33.43;
7,1.4.6.17.28.33; 8,3.11.15; 10,6.46; 11,12.13; 12,2.34.38; 13,19.27.28; 14,35.36.54;
15,21.30.32.38.40.43.45; 16,8 = 0,427%); 125 volte in Luca (0,642%); 42 volte in Giovanni
(0,269%). Questa preposizione esprime originariamente la separazione o l’allontanamento
da un luogo, una persona, un oggetto animato o inanimato. Con i verbi che indicano un
movimento, una provenienza, come qui, assume il significato spaziale e locale corrispondente
alla preposizione italiana «da». In Marco è impiegata con il genitivo nel significato locale,
partitivo, temporale, di separazione, di origine o d’agente.
;"."DXJ: sost., nome proprio di città, gen. sing. f., indecl., Nazaret; compl. di moto da luogo.
Il vocabolo ricorre 12 volte nel NT: Mt 2,23; 4,13; 21,11; Mc 1,9 (hapax marciano); Lc 1,26;
2,4.39.51; 4,16; Gv 1,45.46; At 10,38. Traslitterazione grecizzata del toponimo di origine
ebraica ;9H7A1I, Na) sEra5t , «Vedetta», «Guardia», forse in riferimento alla posizione esposta e
strategica del luogo. Nel NT compare anche con la grafia ;"."DXh (cf. Mt 21,11; Lc 1,26;
24.39.51; At 10,38) e ;"."DV (cf. Mt 4,13; Lc 4,16). La patria di Gesù, Nazaret, era una
56 Mc 1,9

località pressoché sconosciuta nell’antichità: non è mai menzionata nell’AT, in Giuseppe


Flavio, in Filone di Alessandria o nell’antica letteratura rabbinica. Oltre l’attestazione
evangelica Nazaret ricorre soltanto a partire dal II secolo d.C. nelle testimonianze di alcuni
autori cristiani, quali Origene, Egesippo, Giulio Africano. Si trattava di un insignificante
villaggio posto sulle colline della bassa Galilea, a una altezza di 390 m. sul livello del mare,
a circa 25 km dal lago di Tiberiade (a est) e a circa 35 km dal Mar Mediterraneo (a ovest).
Dal punto di vista storico e archeologico è stato dimostrato che il villaggio era abitato fin dal
secolo VII a.C. Al tempo di Gesù il villaggio occupava circa 40.000 metri quadrati e la
popolazione doveva oscillare tra 500 e 1000 abitanti. La maggior parte delle abitazioni era
costituita probabilmente da piccoli edifici edificati intorno a un cortile centrale, benché
alcune case sembra avessero due piani. Nonostante l’oscurità delle origini e delle fonti,
Nazaret non era un villaggio totalmente isolato, poiché si trovava vicino alla città di Sefforis,
capitale del distretto galileo.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo. La forma J­H ricorre 1301 volte nel NT
rispetto alle 19.862 ricorrenze totali dell’articolo. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
121 volte in Matteo (corrispondente allo 0,660% del totale delle parole); 79 volte in Marco
(0,707%); 119 volte in Luca (0,611%); 82 volte in Giovanni (0,524%).
'"848"\"H: sost., nome proprio di regione, gen. sing. f. da '"848"\", –"H, Galilea; compl. di
denominazione. Il vocabolo ricorre 61 volte nel NT: 16 volte in Matteo (cf. Mt 2,22; 3,13;
4,12.15.18.23.25; 15,29; 17,22; 19,1; 21,11; 26,32; 27,55; 28,7.10.16, corrispondente allo
0,087% del totale delle parole); 12 volte in Marco (cf. Mc 1,9.14.16.28.39; 3,7; 6,21; 7,31;
9,30; 14,28; 15,41; 16,7 = 0,106%); 13 volte in Luca (cf. Lc 1,26; 2,4.39; 3,1; 4,14.31; 5,17;
8,26; 17,11; 23,5.49.55; 24,6 = 0,067%); 17 volte in Giovanni 1,43; 2,1.11; 4,3.43.45.46.47.
54; 6,1; 7,1.9.41.52[x2]; 12,21; 21,2 = 0,109%); 3 volte in Atti degli Apostoli (cf. At 9,31;
10,37; 13,31). Traslitterazione grecizzata del toponimo di origine ebraica che compare nel
TM 6 volte con la grafia -*-ExI, Ga) lîl (cf. Gs 20,7; 21,32; 1Re 9,11; 1Cr 6,61; Is 9,1) e 5 volte
con %-I*-ExI, Ga) lîla) h (cf. Gs 20,7; 2Re 15,29; 1Cr 6,61; Is 8,23), reso dai LXX sempre con
la forma '"848"\". Il nome greco compare per la prima volta in un papiro di Zenone datato
attorno al 259 a.C. (cf. P.Col.Zen., 3,2). La radice ebraica significa «girare», «disporre in
cerchio» e, dunque, il vocabolo sta a indicare un «circondario», ossia un territorio circolare,
una regione a forma di cerchio della Palestina settentrionale, confinante a nord con la Siria,
a ovest con Sidone, Tiro, Tolemaide e il promontorio di Carmelo, a sud con la Samaria, a
est con il fiume Giordano. In origine la regione era abitata dalle tribù di Asher, Zabulon,
Issacar, Neftali e Dan. In seguito alle conquiste assire la Galilea venne abitata da popolazioni
miste e di religioni differenti (cf. 2Re 15,29–30; 17,5–6). In epoca ellenistica, per impulso
della politica espansionistica degli Asmonei, la regione conobbe una forte presenza di
israeliti. Nel 50–48 a.C. il giovane Erode il Grande venne inviato in Galilea come
amministratore dell’etnarca di Gerusalemme, Ircano II (cf. Giuseppe Flavio, Bellum, 1,203).
Poco dopo la Galilea entrò a far parte integrante del regno di Erode il Grande (37–4 a.C.).
Al tempo di Gesù, verso l’anno 30 d.C., la Galilea costituiva assieme alla Perea la parte
principale della tetrarchia assegnata a Erode Antipa (cf. Giuseppe Flavio, Bellum, 2,94–95).
Giuseppe Flavio conosceva bene questa terra, essendo stato comandante della ribellione in
questa regione nella guerra giudaica contro Roma (66–70 d.C.). Lo storico la descrive come
Mc 1,9 57

una terra appartenente alla Palestina, ma con un passato e una organizzazione politica, sociale
ed economica propri, completamente autonoma e indipendente dalla Giudea. Per questo
spirito di orgogliosa e talvolta violenta autonomia, i Galilei non erano ben visti dai Giudei
di Gerusalemme che li ritenevano contadini rozzi e ignoranti. Perfino alcuni grandi rabbini
galilei come Haninà ben Dossà e Yosè il galileo vengono denigrati dagli Ebrei ortodossi per
la loro provenienza galilea che li rendeva poco attenti al rituale e alla scrupolosa osservanza
della legge (cf. m.Ned., 2,4; b.Erub., 53b; b.Pesah., 49b). Il termine «galileo» nelle citazioni
rabbiniche è spesso sinonimo di volgo maledetto e senza legge (cf. anche Gv 7,52) e
Yohanan ben Zakkai, prima del 50 d.C., apostrofa quella terra in cui aveva soggiornato con
l’espressione «Galilea, Galilea, tu odi la legge!» (b.Shab., 15d). Gesù non vantava una buona
provenienza quale Rabbi! Alla luce di ciò si capiscono meglio alcune esclamazioni
denigratorie indirizzate nei suoi confronti: «Da Nazaret può venire qualcosa di buono?» (Gv
1,46) e «Viene forse il messia dalla Galilea?» (Gv 7,41). Ma è proprio questa terra
disprezzata posta ai margini dell’Israele antico a essere la patria di Gesù, il luogo iniziale
della sua missione, lo spazio della sua prima predicazione, come chiaramente riferisce Marco
per il quale la Galilea è un termine significativo, con una portata che va al di là del semplice
riferimento geografico. Gesù di Nazaret viene dalla Galilea (cf. Mc 1,9), compare in Galilea
(cf. Mc 1,14; 16,39), in Galilea svolge la maggior parte del suo ministero (cf. Mc 1,28; 3,7),
attraversando i villaggi sparsi nella Galilea (cf. Mc 1,38). I suoi discepoli sono galilei (cf. Mc
14,70); a lui si aggregano anche alcune donne galilee (cf. Mc 15,41) e in questa terra il
Risorto appare dopo la sua risurrezione (cf. Mc 14,28; 16,7).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦$"BJ\Fh0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da $"BJ\.T, immergere, sommergere, lavare,
«battezzare»; cf. Mc 1,4.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4. Nel greco neotestamentario questa preposizione tende ad assorbire e a
scambiarsi con l’affine ¦< nel significato di stato in luogo. In questi casi lo stato in luogo
viene rappresentato come il risultato di un movimento verso quel luogo. L’impiego di gÆH
con questo valore si ritrova sia con nomi di luogo e di paese (cf. Mc 1,9; 13,3; Mt 2,23;
4,13; Lc 4,23; At 7,12; 8,40; 19,22; 20,14; 23,11) sia con semplici sostantivi (cf. Mc 1,39;
5,14; 6,8; 13,9.16; 14,9). Sebbene la frequenza di ¦< risulti quasi doppia rispetto a gÆH (2752
ricorrenze contro 1766), la confusione tra le due preposizioni è abbastanza frequente, anche
se attestata soltanto in Marco, Luca, Giovanni e Atti. Tenendo presente questa caratteristica
linguistica non si deve ritenere che gÆH JÎ< z3@D*V<0< di Mc 1,9 sia diverso da ¦< Jè
z3@D*V<® di Mc 1,5: in entrambe le ricorrenze il significato è identico (essere battezzati
«nel» Giordano).
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
z3@D*V<0<: sost., nome proprio di fiume, acc. sing. m. da z3@D*V<0H, –@L, Giordano; cf. Mc
1,5; compl. di stato in luogo.
ßB`: prep. propria con valore d’agente, seguita dal genitivo, indecl., da, da parte di; cf. Mc 1,5.
z3TV<<@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z3TV<<0H, –@L, Giovanni; cf. Mc
1,4; compl. di agente. La missione del Battista finisce qui: nell’orizzonte evangelico è ormai
58 Mc 1,10

entrato Gesù di Nazaret e il precursore è felice di farsi da parte. Nella cripta della basilica
dell’Annunciazione, a Nazaret, si conserva un graffito che riproduce san Giovanni Battista:
è forse la più antica testimonianza iconografica che possediamo su di lui. Il volto è senza
barba e l’espressione giovanile; indossa una lunga tunica e un cilizio, segno di penitenza e
conversione; sul capo ha un berretto, in conformità alla tradizione ebraica che vuole la testa
sempre coperta per rispetto del Signore. La posa è da araldo: la mano destra, sollevata, regge
la croce cosmica che si estende ai quattro punti cardinali e che intende significare l’universali-
tà del messaggio di Cristo; la sinistra si confonde con il lungo pallio che, dalla spalla, scende
verso terra. L’immagine, pur rudimentale, imprecisa e maldestra nel tratto, rivela magnifica-
mente l’intento di fissare il Battista nella sua funzione peculiare di precursore. Nella
concezione della cristianità primitiva Giovanni il Battista fu appunto questo: l’ultimo dei
profeti che guidò il popolo di Dio incontro a colui che viene e il primo annunciatore e
testimone dell’Agnello di Dio, ben disposto a eclissarsi davanti al più forte.

1,10 i" gÛh×H •<"$"\<T< ¦i J@Ø à*"J@H gÉ*g< FP4.@:X<@LH J@×H @ÛD"<@×H i"Â
JÎ B<gØ:" ñH BgD4FJgD< i"J"$"Ã<@< gÆH "ÛJ`<·
1,10 E subito, salendo dall’acqua, vide i cieli che si aprivano e lo Spirito che, come
colomba, scendeva dentro di lui.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente. Il vocabolo ricorre 54 volte nel NT: 6
volte in Matteo (corrispondente allo 0,033% del totale delle parole); 41 volte in Marco (cf.
Mc 1,10.12.18.20.21.23.28.29.30.42.43; 2,8.12; 3,6; 4,5.15.16.17.29; 5,2.29.30.42[x2];
6,25.27.45.50.54; 7,25; 8,10; 9,15.20.24; 10,52; 11,2.3; 14,43.45.72; 15,1 = 0,372%); 3 volte
in Luca (0,015%); 3 volte in Giovanni (0,019%); At 10,16. Questo avverbio, da collegare
al verbo principale «vide», è caratteristico del vangelo di Marco: esso non è impiegato
soltanto con un significato temporale oppure connettivo (i"Â gÛhbH, corrispondente al waw
consecutivo ebraico) o come semplice formula di transizione. Spesso l’elemento gÛhbH può
assumere una valenza teologica per sottolineare l’urgenza della predicazione di Gesù, la
pienezza della sua missione, l’irrompere del tempo della salvezza (cf. Mc 1,18.20.21.23.
28.29.30.42.43; 2,8.12; 4,5; 5,29.30.42; 6,50; 7,35; 8,10; 9,15.20; 10,52).
•<"$"\<T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da •<"$"\<T (da •<V e la radice di $VF4H),
risalire, ascendere, andare su, sorgere, crescere. Participio predicativo del soggetto
sottinteso z30F@ØH. Questo verbo ricorre 82 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 9 volte in Matteo (cf. Mt 3,16; 5,1; 13,7; 14,23.32; 15,29; 17,27; 20,17.18,
corrispondente allo 0,049% del totale delle parole); 9 volte in Marco (cf. Mc 1,10; 3,13;
4,7.8.32; 6,51; 10,32.33; 15,8 = 0,080%); 9 volte in Luca (cf. Lc 2,4.42; 5,19; 9,28;
18,10.31; 19,4.28; 24,38 = 0,046%); 16 volte in Giovanni (cf. Gv 1,51; 2,13; 3,13; 5,1; 6,62;
7,8[x2].10[x2].14; 10,1; 11,55; 12,20; 20,17[x2]; 21,11 = 0,102%). Nel significato letterale
proprio il verbo •<"$"\<T indica nel greco classico un generico «salire», detto di persone
(cf. Omero, Il., 1,497; Od., 18,302) o di cose (cf. Erodoto, Hist., 2,13,1). Nel NT il verbo
esprime quasi sempre un salire fisico (dall’acqua, dagli inferi oppure su/verso Gerusalemme,
Mc 1,10 59

il tempio, il monte, la barca, il tetto, ecc.). Usato in senso assoluto si riferisce al movimento
ascensionale delle piante, del fumo, del pesce. Altrove il verbo ha un significato teologico
quando è impiegato per descrivere il “salire” di Gesù al cielo (cf. Gv 3,13; Ef 4,8.9.10). Qui
il modo participio indica la simultaneità della risalita e della visione di Gesù: quando la sua
“anabasi” dall’acqua sta per finire, comincia la “catabasi” dello Spirito su di lui.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da. Questa preposizione, nelle
forme ¦i e ¦> davanti a vocale, ricorre 914 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 82 volte in Matteo (corrispondente allo 0,447% del totale delle parole); 67 volte
in Marco (cf. Mc 1,10.11.25.26.29; 5,2[x2].8.30; 6,14.51.54; 7,11.15.20.21.26.29.31;
9,7.9[x2].10.17.21.25; 10,20.37[x2]. 40[x2]; 11,8.14.20.30[x2].31.32; 12,25.30[x4].33[x2].
36.44[x2]; 13,1.15.25.27; 14,18.23.25.62.69.70.72; 15,27[x2].39.46; 16,3.12.19 = 0,593%);
87 volte in Luca (0,447%); 165 volte in Giovanni (1,055%). La preposizione ¦i conserva
nel NT gli stessi significati che si riscontrano nel greco classico. Fondamentalmente è
impiegata in senso spaziale per indicare l’uscita dall’interno di un luogo, anche in contesto
figurato («da»). In Marco è utilizzata con questo significato nella stragrande maggioranza
delle ricorrenze. In alcuni casi può assumere anche valore temporale («da», «fino da»: Mc
10,20), determinativo («per»: Mc 14,72), di agente («da», «da parte di»: Mc 7,11), modale
(«secondo», «conformemente a»: Mc 12,30[x4].33[x3]), partitivo («tra», «di»: Mc 14,18.69.
70; 16,2).
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
à*"J@H: sost., gen. sing. n. da à*TD, à*"J@H, acqua; cf. Mc 1,8; compl. di moto da luogo.
gÉ*g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare. Questo verbo
ricorre 455 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 72 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,392% del totale delle parole); 51 volte in Marco (cf. Mc 1,10.16.19.44;
2,5.12.14.16; 4,12; 5,6.14.16.22.32.33.34.38.48.49.50; 7,2; 8,15.24.33; 9,1.4.8.9.14.15.
20.25.38; 10,14; 11,13.20; 12,15.28.34; 13,14.26.29; 14,62.67.69; 15,4.32.36.39; 16,5.7,
0451%); 81 volte in Luca (0,416%); 67 volte in Giovanni (0,429%). Chi «vede» questa
teofania è soltanto Gesù, soggetto implicito del verbo principale. Nel greco classico il verbo
ÒDVT può indicare: a) il generico «vedere», come percezione degli occhi (cf. Omero, Il.,
24,704; Od., 21,122); b) il «provare», lo «sperimentare» (cf. Omero, Il., 11,243; Od., 6,126);
c) in senso figurato, «capire», «rendersi conto», «intendere» (cf. Eschilo, Ag., 1623; Platone,
Resp., 511a); d) «considerare», «fare attenzione», come percezione interiore (cf. Omero, Il.,
10,239; Platone, Phaed., 118a). Nel vangelo di Marco il verbo ÒDVT presenta due
costruzioni principali: a) con l’accusativo e il participio, come qui, per indicare la percezione
visiva di un oggetto preciso (cf. Mc 1,10.16.19; 2,14; 6,33.48.49; 8,24; 9,1.38; 11,13.20;
13,14.26.29; 14,62.67; 16,5); b) con ÓJ4 e l’indicativo per indicare la percezione di una
situazione, un comportamento, un fatto generico considerato nel suo insieme (cf. Mc 2,16;
7,2; 9,25; 12,28.34; 15,39). Semanticamente sono otto i verbi che qualificano il “vedere” in
Marco: •<"$8XBT, $8XBT, *4"$8XBT, ¦:$8XBT, hgV@:"4, hgTDXT, ÒDVT,
BgD4$8XB@:"4.
FP4.@:X<@LH: verbo, acc. plur. m. part. pres. pass., con valore aggettivale, da FP\.T, dividere,
fendere, lacerare, squarciare; attributo di @ÛD"<@bH in posizione predicativa. Questo verbo
60 Mc 1,10

ricorre 11 volte nel NT: Mt 27,51[x2]; Mc 1,10; 15,38; Lc 5,36[x2]; 23,45; Gv 19,24; 21,11;
At 14,4; 23,7. Già in Omero il verbo FP\.T è impiegato nell’accezione di «separare»
qualcosa con violenza, ossia «fendere», «spaccare», «lacerare» (cf. Omero, Od., 4,507; cf.
anche Sofocle, Elect., 99; Polibio, Hist., 2,16,11; Senofonte, Cyr., 5,3,49; Pindaro, Nem.,
9,24). In senso attenuato il verbo equivale al più generico «dividere», «separare» (cf. Erodoto,
Hist., 2,17,3; Platone, Tim., 21e). Nei vangeli FP\.T assume il significato letterale di un
«dividere» più o meno violento, in riferimento a termini concreti: il velo del Tempio (cf. Mt
27,51a; Mc 15,38; Lc 23,45), le rocce (cf. Mt 27,51b), il cielo (cf. Mc 1,10), un pezzo di
stoffa (cf. Lc 5,36[x2]), la tunica (cf. Gv 19,24), la rete (cf. Gv 21,11); nelle due ricorrenze
degli Atti il verbo è usato in senso traslato. Nel passo marciano in oggetto si potrebbe
intendere il participio come un passivo divino, implicante l’azione diretta di Dio, analoga-
mente a Mc 15,38. Il cielo che «si squarcia» è un motivo ricorrente nelle rivelazioni
escatologiche; in questi passi, tuttavia, il verbo usato è il più comune e generico •<@\(T,
«aprire» (cf. Ez 1,1; 3Mac., 6,18; At 10,11; Ap 4,1; 19,11; *4"<@\(T in At 7,56), come
avviene nei passi paralleli dei sinottici (cf. Mt 3,16; Lc 3,21). Al contrario il verbo FP\.T,
impiegato esclusivamente da Marco, implica una certa violenza (cf. Is 63,19): se si tiene
conto che si tratta dello stesso verbo utilizzato in Mc 15,38 a proposito della scissione del
velo del Tempio (seconda e ultima ricorrenza del verbo), questo particolare uso marciano non
può essere che intenzionale. Al battesimo di Gesù i cieli si «squarciano» per indicare l’inizio
della nuova economia; alla morte di Gesù le tende del velo del Tempio si «squarciano» per
indicare la fine dell’antica economia.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo. La forma J@bH ricorre 730 volte nel NT
rispetto alle 19.862 ricorrenze totali dell’articolo. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
108 volte in Matteo (corrispondente allo 0,589% del totale delle parole); 63 volte in Marco
(cf. Mc 1,10.32[x2]; 2,22.23.26[x2]; 3,16.34; 5,12.13.14.19.22.49; 6,7.26[x2].36.41[x4].
44.45.55.56; 7,2.25.33.37[x2]; 8,1.6.19[x2].20[x2].24.25.27.33.38; 9,14.18.26.31.35.45;
10,32; 11,15[x2]; 12,2.9.36.43; 13,20.22.27[x2]; 14,7.10.63 = 0,557%); 118 volte in Luca
(0,606%); 55 volte in Giovanni (0,352%).
@ÛD"<@bH: sost., acc. plur. m. da @ÛD"<`H, –@Ø, cielo, volta celeste; compl. oggetto. Il
vocabolo ricorre 273 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 82 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,447% del totale delle parole); 18 volte in Marco (cf. Mc
1,10.11; 4,32; 6,41; 7,34; 8,11; 10,21; 11,25.30.31; 12,25; 13,25[x2].27.31.32; 14,62; 16,19
= 0,159%); 35 volte in Luca (0,1805); 18 volte in Giovanni (0,115%). La parola «cielo»
compare nella inusitata forma plurale «i cieli»: si tratta di un semitismo ricalcato sull’ebraico
.*E/H–I , ša) mayim. Tuttavia notiamo: il vocabolo @ÛD"<`H si trova in Marco 13 volte al
singolare e 5 al plurale. Nelle ricorrenze che presentano la forma plurale munita di articolo
(cf. Mc 1,10.11; 11,25; 12,25; 13,25b) il termine indica non il cielo cosmico, ma la
residenza divina, la sede delle potenze soprannaturali. Nel nostro passo il senso di questa
apertura dei cieli non è di tipo apocalittico: contemplare le visioni che accadono nei cieli
(movimento ascendente). Al contrario, il cielo divino si apre per lasciare scendere lo spirito
e permettere una comunicazione dichiarativa (movimento discendente). L’unico parallelo
biblico di questa apertura dei cieli è quello di Is 63,19 (LXX: «Ah!, se tu aprissi i cieli e
Mc 1,10 61

discendessi!»), dove, tuttavia, il verbo utilizzato non dice «squarciare» (FP\.T), come in
Marco, ma semplicemente «aprire» (•<@\(T), come in Matteo e Luca.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo. La forma J` ricorre 1694 volte nel NT rispetto
alle 19.862 ricorrenze totali dell’articolo. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 227 volte
in Matteo (corrispondente all’1,237% del totale delle parole); 130 volte in Marco (1,159%);
222 volte in Luca (1,140%); 150 volte in Giovanni (0,959%).
B<gØ:": sost., acc. sing. n. da B<gØ:", –"J@H, alito, soffio, vento, spirito, Spirito; cf. Mc 1,8;
compl. oggetto.
ñH: avv. con valore di modo e paragone, indecl., come, simile a, alla maniera di, nel modo che,
nella condizione di, in qualità di. Il vocabolo ricorre 504 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 40 volte in Matteo (corrispondente allo 0,218 % del totale delle
parole); 22 volte in Marco (cf. Mc 1,10.22[x2]; 4,26.27.31.36; 5,13; 6,15.34; 7,6; 8,9.24;
9,21; 10,1.15; 12,25.31.33; 13,34; 14,48.72 = 0,195%); 51 volte in Luca (0,262%); 31 volte
in Giovanni (0,198%). Il significato di questa particella, assai variegato e complesso,
corrisponde generalmente a quello del greco classico. Nel NT ñH viene usata come: a)
avverbio di modo e paragone (da non confondersi con l’avverbio di modo òH, non attestato
nel NT): indica in che modo si attua un avvenimento (cf. Mc 1,10.22[x2]; 4,26.31; 6,15.34;
8,24; 10,15; 12,25; 13,34); b) congiunzione incidentale, davanti a un verbo: introduce una
espressione incidentale in forma di osservazione o aggiunta esplicativa (cf. Mc 4,27.36; 7,6;
10,1; 14,48.72); c) congiunzione comparativa: introduce, in forma correlata esplicita o
implicita, uno dei termini di paragone (cf. Mc 12,31.33); d) congiunzione temporale
(«quando», «mentre», «finché»): indica un momento indeterminato, in relazione all’attuarsi
di qualche avvenimento (cf. Mc 9,21). Negli altri casi ñH assume i seguenti significati: e)
avverbio di indeterminazione o approssimazione numerica («circa»; cf. Mc 5,13; 8,9); f)
congiunzione dichiarativa («che»), per introdurre una proposizione oggettiva o soggettiva (cf.
At 10,28); g) congiunzione finale («affinché», «per…» + infinito; cf. Lc 9,52); h)
congiunzione consecutiva («cosicché», «così da…» + infinito; cf. Eb 3,11); i) congiunzione
delle interrogative indirette («come»; cf. Rm 11,2); l) congiunzione esclamativa («come!»;
cf. Rm 10,15).
BgD4FJgDV<: sost., acc. sing. f. da BgD4FJgDV, –H, colomba; compl. predicativo dell’oggetto
B<gØ:". Il vocabolo ricorre 10 volte nel NT: Mt 3,16; 10,16; 21,12; Mc 1,10; 11,15; Lc
2,24; 3,22; Gv 1,32; 2,14.16. In senso letterale proprio il sostantivo BgD4FJgDV indica nel
greco classico la «colomba», il «piccione» (cf. Erodoto, Hist., 1,138,2; Aristofane, Av., 302;
Senofonte, Anab., 1,4,9). Tuttavia l’avverbio ñH, con senso comparativo, esclude che si tratti
qui di una colomba fisica: ñH è la specifica particella di paragone apocalittica con la quale,
in forma di confronto, viene presentato come visibile ciò che per sua natura è invisibile; si
tratta soltanto di una rappresentazione metaforica, una immagine usata dall’Autore per
esprimere l’effetto particolare della discesa dello spirito su Gesù. Scrive al riguardo san
Tommaso d’Aquino: «Columba fuit ad repraesentandam influentiam Spiritus sancti», «La
colomba sta a rappresentare l’influsso dello Spirito santo» (Id., In Matth., 3,2). Ci si può
chiedere, tuttavia, come mai l’Autore sacro abbia scelto una colomba e non altri simboli
62 Mc 1,10

teriomorfi. Non è facile rispondere. Nel primo secolo d.C. negli ambienti giudaici la
colomba era un simbolo per indicare il popolo di Israele nella sua situazione escatologica, in
attesa, cioè, di un cambiamento, una trasformazione positiva: «Signore e padrone […], fra
tutte le città edificate tu hai santificato per Te stesso Sion; tra tutti gli uccelli che hai creato
ne hai chiamato per Te uno, la colomba; tra tutte le pecore che hai plasmato hai provveduto
per Te una sola pecora; tra tutte le moltitudini dei popoli ne hai scelto per Te uno solo e a
questo popolo che Tu hai amato hai dato una legge che più di tutte le altre hai approvato»
(4Esd., 5,25–27). Si deve aggiungere, inoltre, che la colomba è emblema frequente di Israele
nella letteratura rabbinica successiva. Può darsi che Marco abbia tenuto presente questo
sfondo escatologico. In ogni caso il dibattito sull’esatta interpretazione della colomba come
simbolo dello Spirito continua a restare senza soluzione.
i"J"$"Ã<@<: verbo, acc. sing. n. part. pres. da i"J"$"\<T (da i"JV e la radice di $VF4H),
discendere, venire giù, scendere. Participio predicativo del complemento oggetto B<gØ:".
Questo verbo ricorre 81 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 11 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,060% del totale delle parole); 6 volte in Marco (cf. Mc 1,10;
3,22; 9,9; 13,15; 15,30.32 = 0,053%); 13 volte in Luca (0,067%); 17 volte in Giovanni
(0,109%). Nel greco classico il verbo i"J"$"\<T è usato per indicare in senso letterale
proprio il generico e profano «andare giù», «scendere», detto generalmente di persone (cf.
Omero, Il., 5,109; 11,184; 13,17). Nell’uso neotestamentario si possono distinguere due
campi semantici di i"J"$"\<T: nei vangeli sinottici e negli Atti prevale il significato
letterale proprio, in riferimento a un movimento spaziale e geografico, senza connotazioni
religiose. Negli altri scritti il verbo ricorre con un significato prevalentemente simbolico e
religioso, per indicare il «discendere» di particolari doni divini (cf. Gc 1,17), degli angeli (cf.
Mt 28,2), del Figlio dell’uomo (cf. Gv 3,13) o addirittura dello stesso Dio (cf. At 7,34). Nelle
ricorrenze marciane prevale il primo significato (cf. Mc 3,22; 9,9; 13,15; 15,30.32): qui è
impiegato per descrivere il movimento di “discesa” dello Spirito (non della colomba) su
Gesù.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di moto a luogo. Grammaticalmente la
formula gÆH "ÛJ`< potrebbe essere tradotta «su di lui» o «verso di lui»: così, infatti,
riportano quasi tutte le traduzioni. In tal modo si esprimerebbe l’azione dinamica dello
Spirito che scende in direzione di Gesù (compl. di moto a luogo). Tuttavia non è questo il
senso esatto corrispondente: la preposizione gÆH seguita dall’accusativo ricorre nel vangelo
di Marco 162 volte con il valore fondamentale di direzione (verso o su un oggetto). Quando,
però, essa è seguita da un pronome dimostrativo, come nel nostro caso, acquista sempre il
significato di termine o penetrazione (dentro/in) e non di semplice direzione (verso/su):

Mc 4,15 «…subito viene Satana e porta via la parola seminata in loro (gÆH "Û-
J@bH)».
Mc 5,12 «…mandaci da quei porci, affinché entriamo in essi (gÆH "ÛJ@bH)».
Mc 1,11 63

Mc 7,15 «…non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui (gÆH "ÛJ`<), possa
contaminarlo…».
Mc 9,25 «Spirito muto e sordo, io te lo ordino: esci da lui e non rientrare più in lui
(gÆH "ÛJ`<)».
Mc 10,15 «…chi non accoglie il regno di Dio come un bambino non entrerà in esso
(gÆH "ÛJZ<)».
Mc 11,2 «Andate nel villaggio che vi sta di fronte e subito, entrando in esso (gÆH
"ÛJZ<), troverete un asinello legato…».
Dobbiamo conservare questo significato di penetrazione anche nel nostro passo: lo
Spirito non scende semplicemente verso Gesù, con un movimento o un influsso esterno, ma
scende ed entra dentro di lui, per rimanerci, con un movimento terminativo, di solenne
investitura, di presa di possesso. «In Christo Spiritus Sanctus descendit, et permansit; ceterum
in hominibus descendit quidem, sed non permanet», «In Cristo lo Spirito Santo scese e restò;
sugli uomini invece, è vero che scende, ma non resta» (Girolamo, In Marc., Sermo 1).

1,11 i" nT<¬ ¦(X<gJ@ ¦i Jä< @ÛD"<ä<s E× gÉ Ò LÊ`H :@L Ò •("B0J`Hs ¦< F@Â
gÛ*`i0F".
1,11 E dai cieli venne una voce: «Tu sei il mio Figlio prediletto; in te mi sono compiaciuto».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


nT<Z: sost., nom. sing. f. da nT<Z, –­H, voce, suono, discorso; cf. Mc 1,3; soggetto. L’idea
che Dio possa parlare dal cielo è attestata già nell’AT (cf. Dt 4,10–12). A volte, per
accentuare il dato che la voce di Dio proviene dall’alto, questa voce è accompagnata dal
tuono (cf. Es 19,19; Sal 18,14; Is 30,30–31). Nel NT tale voce divina può venire «dal cielo»
(cf. Mc 1,11), «dalla nube» (cf. Mc 9,7), «dal tempio» (cf. Ap 16,1). Per indicare una
particolare rivelazione divina la letteratura rabbinica usa abbastanza sovente l’espressione
-|8 ;vH, ba5t qôl, «la figlia della voce» o «la figlia di una voce», con la quale si vuole
sottolineare che non si percepisce direttamente la voce di Dio (troppo sacra per poterla
ascoltare con gli orecchi umani), ma la sua eco, ossia la «figlia» della voce, (cf. b.Ber., 3a;
b.Erub., 13b; b.Sanh., 11a; b.Sot., 33a; t.Sot., 12,2). In parallelo con gÉ*g<… J@×H
@ÛD"<@bH…, «vide… i cieli…» (Mc 1,10), ci saremmo aspettati «e udì una voce…», ma
il verbo impiegato ((\<@:"4) indica il generico «accadere», «esistere»; inoltre la frase non
termina con il consueto participio 8X(@LF"…, «che diceva…», impiegato normalmente da
Marco per introdurre l’oggetto della comunicazione verbale: tutto ciò lascia intendere che la
«voce» divina indica lo stesso contenuto della comunicazione. In sostanza, parafrasando: «E
da Dio venne questa attestazione…».
¦(X<gJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere, nascere,
essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
64 Mc 1,11

@ÛD"<ä<: sost., gen. plur. m. da @ÛD"<`H, –@Ø, cielo, volta celeste; cf. Mc 1,10; compl. di
moto da luogo.
Eb: pron. personale di 2a pers. nom. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; soggetto. La forma Fb ricorre 174 volte nel NT rispetto alle 2905 ricorrenze totali di
questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 18 volte in Matteo (corrisponden-
te allo 0,098% del totale delle parole); 10 volte in Marco (cf. Mc 1,11; 3,11; 8,29;
14,30.36.61.67.68; 15,2[x2] = 0,088%); 26 volte in Luca (0,133%); 61 volte in Giovanni
(0,390%).
gÉ: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc 1,6.
In Marco l’espressione F× gÉ, «tu sei», è una affermazione riferita soltanto a Gesù (cf. Mc
1,11; 3,11; 8,29; 14,61; 15,2): essa pone in evidenza la sua identità, in stretto parallelismo con
la dichiarazione ¦(f gÆ:4, «io sono» (cf. Mc 6,50) che Gesù pronuncia per definire sé stesso.
Il predicato con articolo posto dopo il verbo «essere» (E× gÉ Ò LÊ`H :@L) indica identificazio-
ne ed esclusività e non elezione o nomina a messia. La nomina avrebbe richiesto un ordine
grammaticale diverso, come in Sal 2,7 (LÊ`H :@L gÉ Fb, «mio figlio sei tu»). La costruzione
marciana indica che il titolo di “figliolanza” è anteriore alla scena del battesimo: la voce
divina dichiara o conferma una realtà già esistente. Questa constatazione è rafforzata dalla
considerazione cha al soggetto Fb, «tu», vengono attribuiti non uno, ma tre predicati: «figlio»
(LÊ`H), «prediletto» (•("B0J`H), «oggetto dell’amore» (¦< F@ gÛ*`i0F": qui l’espressio-
ne include il pronome «tu» al caso obliquo).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
LÊ`H: sost., nom. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; predicato nominale. Su un totale di
34 ricorrenze (35 per chi considera originale anche Mc 1,1) il termine LÊ`H è usato 29 volte
in riferimento al protagonista Gesù: 10 volte indica il Figlio Gesù, con varie specificazioni,
quali «mio», «dell’Altissimo», «del Benedetto» oppure in modo assoluto (cf. Mc 1,11; 3,11;
5,7; 8,38; 9,7; 12,6[x2]; 13,32; 14,36.61; 15,39). In 14 casi il vocabolo ricorre nel sintagma
«Figlio dell’uomo» (cf. Mc 2,10.28; 8,31.38; 9,9.12.31; 10,33.45; 13,26; 14,21[x2].41.62).
Si trovano 4 ricorrenze con «figlio di David» (cf. Mc 10,47.48; 12,35.37). In una occasione
LÊ`H è usato per designare Gesù quale «figlio» di Maria (cf. Mc 6,3). Mai si indicano gli
uomini come «figli» di Dio, pur trovandosi una descrizione di Dio come «padre» degli
uomini (cf. Mc 11,25). In tre ricorrenze LÊ`H designa il figlio naturale, rispetto al genitore
paterno: Mc 9,17 (il «figlio» indemoniato dell’anonimo padre); Mc 10,35 (i «figli» di
Zebedeo); Mc 10,46 (il «figlio» di Timeo). Altrove LÊ`H compare in locuzioni di stampo
semitico: Mc 2,19 («i figli delle nozze»); Mc 3,17 («i figli del tuono»); Mc 3,28 («i figli degli
uomini»).
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
•("B0J`H: agg. qualificativo, nom. sing. m. da •("B0J`H, –Z, –`<, amato, caro, adorato,
prediletto; attributo di LÊ`H. Il vocabolo ricorre 61 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli
Mc 1,11 65

è la seguente: 3 volte in Matteo (cf. Mt 3,17; 12,18; 17,5); 3 volte in Marco (cf. Mc 1,11;
9,7; 12,6); 2 volte in Luca (cf. Lc 3,22; 20,13). Grammaticalmente si può intendere
l’aggettivo •("B0J`H in due modi: a) come attributo di «figlio» (= «tu sei il mio prediletto
Figlio»), ma anche b) come predicato indipendente (= «tu sei mio Figlio, il prediletto»).
L’aggettivo verbale •("B0J`H già nel greco classico indica l’amore esclusivo, la
predilezione nei riguardi di qualche persona, specie il figlio unico (cf. Omero, Od., 2,365;
Polluce, Onom., 3,19,6). In Marco il vocabolo è rivolto sempre da Dio («la voce celeste», «il
padrone») nei riguardi di Gesù: direttamente nell’episodio del battesimo (cf. Mc 1,11) e della
trasfigurazione (cf. Mc 9,7); indirettamente all’interno della parabola dei vignaioli omicidi
(cf. Mc 12,6). Nella versione greca dei LXX il termine traduce l’ebraico $*( E I*, ya) hEîd5,
«unigenito», «unico» (cf. Gn 22,2.12.16; Gdc 11,34; Ger 6,26; Am 8,10; Zc 12,10). Il senso
del termine ebraico corrisponde all’aggettivo «solo», «unico», ma in un contesto di parentela
familiare, qualora applicato, ad esempio, a un figlio, può significare «il solo amato», «il solo
prediletto», «l’unicamente amato». Questo sembra essere il senso del termine nel qualificare
Isacco (cf. Gn 22,2.16), poiché il padre Abramo aveva altri figli. Si deve osservare, inoltre,
che nei LXX, ogni volta in cui l’ebraico $*( E I*, ya) hEîd5, viene tradotto con •("B0J`H, il
vocabolo è usato per indicare un figlio unico che è morto o che è destinato a morire: Isacco
(cf. Gn 22,2.12.16); la figlia di Iefte (cf. Gdc 11,34); il figlio unico, come immagine di lutto
(cf. Am 8,10; Ger 6,26). In Zc 12,10 il misterioso “trafitto” viene pianto come si piange per
un figlio unico. La traduzione italiana «prediletto» sembra essere quella più appropriata,
poiché conserva entrambe le valenze semantiche, rimandando sia all’idea di unicità, sia a
quella di benevolenza e preferenza.
¦<: prep. propria con valore di relazione, seguita dal dativo, indecl., in, in riguardo a, in
relazione di, rispetto a; cf. Mc 1,2.
F@\: pron. personale di 2a pers. dat. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
compl. di relazione. La forma F@\/F@4 ricorre 213 volte nel NT rispetto alle 2905 ricorrenze
totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 47 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,256% del totale delle parole); 20 volte in Marco (cf. Mc 1,11.24; 2,11;
4,38; 5,7.9.19.41; 6,18.22.23; 9,5.25; 10,28.51; 11,28; 12,14; 14,30.31.36 = 0,186%); 48
volte in Luca (0,252%); 27 volte in Giovanni (0,185%). La costruzione «in te» è collocata,
in forma parallela, nella stessa posizione enfatica di «tu sei» (F× gÉ… ¦< F@\…).
gÛ*`i0F": verbo, 1a pers. sing. ind. aor. da gÛ*@iXT (da gÞ e *@iXT), compiacere, essere
favorevole. Questo verbo ricorre 21 volte nel NT: Mt 3,17; 12,18; 17,5; Mc 1,11 (hapax
marciano); Lc 3,22; 12,32; Rm 15,26.27; 1Cor 1,21; 10,5; 2Cor 5,8; 12,10; Gal 1,15; Col
1,19; 1Ts 2,8; 3,1; 2Ts 2,12; Eb 10,6.8.38; 2Pt 1,17. Il verbo gÛ*@iXT è un termine
popolare ellenistico: indica l’intima soddisfazione, la volontà affettuosa, benigna, compiaciu-
ta, nei riguardi di qualcuno o qualcosa (cf. Polibio, Hist., 2,49,2; Diodoro Siculo, Bibl.,
17,47,2). Nei LXX il verbo è usato 60 volte e traduce quasi sempre l’ebraico %7 I9I, ra) sEa) h che
significa «compiacere», «decidersi in favore di», «scegliere». Dio si compiace del suo popolo
(cf. Sal 44,4; 149,4), di quelli che lo temono (cf. Sal 147,11), di quelli che sperano nella sua
misericordia. Tra tutti i verbi che esprimono l’atto della scelta, gÛ*@iXT è quello che, oltre
l’aspetto volitivo, rende più intensamente il sentimento di amore di chi elegge. Nel NT il
verbo è usato 7 volte in riferimento agli uomini, per esprimere una preferenza, una
66 Mc 1,12

compiacenza umana (cf. Rm 15,26.27; 2Cor 5,8; 12,10; 1Ts 2,8; 3,1; 2Ts 2,12), mentre negli
altri casi si riferisce all’azione di Dio, per esprimere un decreto, una decisione, una scelta
divina. La compiacenza del Padre nei riguardi di Gesù è indicata qui da un aoristo prolettico
o atemporale, con valore di presente (= «in te mi compiaccio»; il perfetto statico ebraico di
Is 42,1 è tradotto nei LXX con l’aoristo): ciò significa che la voce celeste non dichiara che
Gesù comincia a questo punto a essere oggetto di compiacenza, ma afferma la permanenza
o continuità del compiacimento celeste che risale a un tempo anteriore al battesimo.

1,12 5"Â gÛh×H JÎ B<gØ:" "ÛJÎ< ¦i$V88g4 gÆH J¬< §D0:@<.


1,12 Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
B<gØ:": sost., nom. sing. n. da B<gØ:", –"J@H, alito, soffio, vento, spirito, Spirito; cf. Mc 1,8;
soggetto.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto. Il pronome "ÛJ`< rimanda al
soggetto «Gesù» del v. 9: Marco è solito usare i pronomi con antecedenti spesso assai
distanti.
¦i$V88g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da ¦i$V88T (da ¦i e $V88T), scacciare, mandare
via, fare uscire, espellere. Questo verbo ricorre 81 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli
è la seguente: 28 volte in Matteo (corrispondente allo 0,153% del totale delle parole); 18
volte in Marco (cf. Mc 1,12.34.39.43; 3,15.22.23; 5,40; 6,13; 7,26; 9,18.28.38.47; 11,15;
12,8; 16,9.17 = 0,159%); 20 volte in Luca (0,103%); 6 volte in Giovanni (0,038%). Come
avviene nel greco classico (cf. Omero, Od., 2,396) nelle ricorrenze neotestamentarie il verbo
¦i$V88T indica generalmente un «gettare fuori» o un «mandare via» con una certa
violenza (= «cacciare»): il soggetto è sempre un essere vivente, mentre come oggetto si
possono avere cose, persone o spiriti cattivi. Nei sinottici è il verbo preferito per indicare
l’espulsione dei demoni dagli ossessi mediante esorcismo (cf. Mc 1,34). Sorprende che, nel
nostro passo, il verbo venga impiegato per descrivere la potente azione dello Spirito che
spinge con forza Gesù nel deserto. Notiamo, tuttavia, che ¦i$V88T non implica
necessariamente una azione violenta e negativa, potendo esprimere un generico «inviare»,
«far uscire» (cf. Mt 9,38; Lc 10,2; Gv 10,4; At 16,37; Gc 2,25). Abbiamo qui il primo
esempio di presente storico, tipico del linguaggio popolare, ma dovuto anche a influsso
semitico. Marco ne fa un uso massiccio per un totale di 152 ricorrenze. La distribuzione è
la seguente: 71 volte con 8X(T (cf. Mc 1,38.41.44; 2,5.8.10.14.17.18.25; 3,3.4.5.32.33.34;
4,13.35.38; 5,7.9.19.36.39.41; 6,31.37.38[x2].50; 7,18.28.34; 8,1.12.17.19.20.29.33;
9,5.19.35; 10,11.23.24.27.42; 11,2.4.21.22.33[x2]; 12,14.16; 13,1; 14,12.13.27.30.32.34.
37.41.45.61.63.67; 15,2; 16,6); 24 volte con §DP@:"4 (cf. Mc 1,40; 2,3.18; 3,20.31;
5,15.22.35.38; 6,1.48; 8,22; 10,1.46; 11,15.27[x2]; 12,18; 14,17.32.37.41.66; 16,2); 4 volte
con B"D"8":$V<T (cf. Mc 4,36; 5,40; 9,2; 14,33), nXDT (cf. Mc 7,32; 8,22; 11,7; 15,22);
Mc 1,13 67

3 volte con •B@FJX88T (cf. Mc 11,1; 12,13; 14,13), hgTDXT (cf. Mc 5,15.38; 16,4),
B"D"i"8XT (cf. Mc 5,23; 7,32; 8,22), FL<V(T (cf. Mc 4,1; 6,30; 7,1); 2 volte con $V88T
(cf. Mc 1,12; 12,41), (\<@:"4 (cf. Mc 2,15; 4,37), gÆFB@Dgb@:"4 (cf. Mc 1,21; 5,40),
BD@Fi"8X@:"4 (cf. Mc 3,13; 6,7), FJ"LD`T (cf. Mc 15,24.27), FL<XDP@:"4 (cf. Mc
3,20; 14,53); 1 volta con •(("DgbT (cf. Mc 15,21), •i@8@LhXT (cf. Mc 6,1), •<"$"\<T
(cf. Mc 3,13), •<"nXDT (cf. Mc 9,2), *4"8@(\.@:"4 (cf. Mc 2,8), *4":gD\.T (cf. Mc
15,24), ¦((\.T (cf. Mc 11,1), ¦(g\DT (cf. Mc 4,38), gÆ:\ (cf. Mc 2,1), ¦<*4*bFiT (cf. Mc
15,17), ¦>V(T (cf. Mc 15,20), ¦BgDTJVT (cf. Mc 7,5), ¦B4$V88T (cf. Mc 11,7),
¦B4FL<JDXPT (cf. Mc 9,25), gÛD\FiT (cf. Mc 14,37), iD"JXT (cf. Mc 14,51), 8bT (cf.
Mc 11,4), B"D"((X88T (cf. Mc 8,6), B"D"(\<@:"4 (cf. Mc 14,43), BgD4J\h0:4 (cf. Mc
15,17), B\BJT (cf. Mc 5,22), BD@FB@Dgb@:"4 (cf. Mc 10,35), FL(i"8XT (cf. Mc 15,16)
FL:B@Dgb:"4 (cf. Mc 10,1), nT<XT (cf. Mc 10,49). Si deve notare, tuttavia, che l’uso del
presente storico da parte di Marco non è semplicemente dovuto al linguaggio popolare
(elemento vernacolare): esso funziona sintatticamente e semanticamente come un tempo
passato o più specificatamente come un tempo zero, in accordo con l’antica lingua greca.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
§D0:@<: sost., acc. sing. f. da §D0:@H, –@L, regione desertica, luogo solitario, landa desolata;
cf. Mc 1,3; compl. di moto a luogo.

1,13 i" µ< ¦< J± ¦DZ:å JgFFgDVi@<J" º:XD"H Bg4D".`:g<@H ßBÎ J@Ø E"J"<s
i" µ< :gJ Jä< h0D\T<s i" @Ê –((g8@4 *40i`<@L< "ÛJè.
1,13 ed egli rimase nel deserto quaranta giorni, messo alla prova da Satana. Stava tra gli
animali selvatici, ma gli angeli lo assistevano.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Predicato verbale. Imperfetto di valore durativo o iterativo per sottolineare l’idea di
continuità di questo protrarsi nel deserto. Il verbo deve essere qui inteso nel valore finito di
«dimorare», «stare», come in Mc 1,13b.45; 5,21, senza associazione perifrastica con il
participio Bg4D".`:g<@H (cf. sotto).
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
¦DZ:å: sost., dat. sing. f. da §D0:@H, –@L, regione desertica, luogo solitario, landa desolata;
cf. Mc 1,3; compl. di stato in luogo.
JgFFgDVi@<J": agg. numerale, cardinale, acc. plur. f., indecl., quaranta; attributo di º:XD"H.
Il vocabolo ricorre 22 volte nel NT: Mt 4,2[x2]; Mc 1,13 (hapax marciano); Lc 4,2; Gv 2,20;
At 1,3; 4,22; 7,30.36.42; 13,21; 23,13.21; 2Cor 11,24; Eb 3,10.17; Ap 7,4; 11,2; 13,5; 14,1.3;
21,17. Il tema dei «quaranta giorni» o «quaranta anni» ricorre sovente nella Bibbia per
68 Mc 1,13

indicare la compiutezza del tempo stabilito da Dio in riferimento a un periodo nel quale
permane una situazione omogenea, come la durata dell’esodo (cf. Es 16,35; Nm 13,25;
14,33.34; 32,13; Dt 2,7; 8,2.4; 29,4; Gs 5,6; Ne 9,21; Sal 95,10; Am 2,10; 5,25; At 7,36.43;
13,18; Eb 3,9.17), la durata di una generazione (cf. Gdc 3,11; 5,31; 8,28; 13,1), la durata di
un regno (cf. 2Sam 5,4; 1Re 2,11; 11,42; 2Re 12,2), la durata di un altro avvenimento
considerato nella sua globalità, come il diluvio (cf. Gn 7,4.12.17; 8,6), l’esplorazione del
paese di Canaan (cf. Nm 13,25), la giudicatura di Eli (cf. 1Sam 4,18), il cammino di Elia nel
deserto (cf. 1Re 19,8), la desolazione del paese d’Egitto (cf. Ez 29,11.12.13), la predicazione
di Giona (cf. Gio 3,4). Si tratta pertanto di un elemento redazionale, non necessariamente di
carattere storico. Il riferimento letterario e tipologico più vicino al nostro passo è quello di Es
34,28, nel quel viene descritto Mosè che «rimase con il Signore quaranta giorni e quaranta
notti senza mangiar pane e senza bere acqua» (cf. anche Es 24,18; Dt 9,9.11.18.25; 10,10).
º:XD"H: sost., acc. plur. f. da º:XD", –"H, giorno; cf. Mc 1,9; compl. di tempo. Il caso
accusativo può essere usato in greco anche per esprimere una indicazione di tempo, in
particolare quando, come qui, si tratta di indicare una durata precisa, un tempo continuato e
determinato. Marco impiega il caso accusativo con valore temporale 7 volte: Mc 1,13; 2,19;
4,27[x2]; 5,25; 13,35; 14,37. Altrove l’accusativo temporale è retto dalle preposizioni gÆH (cf.
Mc 3,29; 11,14; 13,13), BgD\ (cf. Mc 6,48), :gJV (cf. Mc 8,31; 9,2.31; 13,24; 14,1; 16,12),
i"JV (cf. Mc 14,49; 15,6).
Bg4D".`:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. pres. da Bg4DV.T, provare, esaminare, saggiare,
tentare, mettere alla prova. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH. Questo
verbo ricorre 38 volte nel NT: Mt 4,1.3; 16,1; 19,3; 22,18.35; Mc 1,13; 8,11; 10,2; 12,15;
Lc 4,2; 11,16; Gv 6,6; 8,6; At 5,9; 9,26; 15,10; 16,7; 24,6; 1Cor 7,5; 10,9.13; 2Cor 13,5; Gal
6,1; 1Ts 3,5[x2]; Eb 2,18[x2]; 3,9; 4,15; 11,17; Gc 1,13[x3].14; Ap 2,2.10; 3,10. Il
participio Bg4D".`:g<@H non deve essere messo in relazione con il precedente verbo
«essere», nella tipica costruzione dell’imperfetto perifrastico: «era tentato» (½<…
Bg4D".`:g<@H). Il parallelismo con il successivo verbo finito (½< :gJ Jä< h0D\T<)
suggerisce che il participio è qui usato in forma indipendente (participio predicativo): in tal
caso il primo ½< regge il sostantivo «deserto» e assume il significato di «stare», «dimorare».
Nel greco classico il verbo Bg4DV.T (usato raramente rispetto al più comune Bg4DVT) non
ha alcun connotato morale: corrisponde a «provare», «saggiare», «mettere alla prova»,
«verificare», in riferimento sia a cose che a persone (cf. Omero, Od., 9,281; 16,319;
Apollonio di Rodi, Arg., 1,495; Epitteto, Diss., 1,9,29). Questo significato è quello che
ritroviamo nel greco biblico: nei LXX Bg4DV.T, avente come soggetto Dio, indica la
“prova” (non la “tentazione” in senso morale) subita da Abramo (cf. Gn 22,1), dal popolo
dell’esodo (cf. Es 16,4; 20,20; Dt 8,2; 13,4), dal giusto sofferente (cf. Sap 2,17; 3,5). In Gv
6,6 è addirittura lo stesso Gesù che «mette alla prova» Filippo (non: «tenta al peccato»
Filippo!). Stessa osservazione per quanto riguarda il vocabolo derivato Bg4D"F:`H (vedi
commento a Mc 14,38): nel NT ricorre 21 volte e in 20 casi significa «prova», «esame»,
«verifica», «tribolazione». Soltanto in una occorrenza il termine acquista il significato più
circoscritto di «tentazione» al peccato (cf. 1Tm 6,9). È importante, pertanto, non insistere in
modo esclusivo sul significato etico della tentazione di Gesù, come se egli avesse
sperimentato un influsso diabolico a peccare. Qui, al contrario, egli è sottoposto a una prova,
Mc 1,13 69

mediante la quale, come esplicitano Matteo e Luca, gli si chiede di scegliere tra un
messianismo sofferente, ma in obbedienza al piano di Dio e uno glorioso e autonomo,
realizzato nella disobbedienza a Dio.
ßB`: prep. propria con valore d’agente, seguita dal genitivo, indecl., da, da parte di; cf. Mc 1,5.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
E"J"<: sost. personificato, gen. sing. m. da E"J"<H, –, [avversario, accusatore], Satana;
compl. di agente. Il vocabolo ricorre 36 volte nel NT: Mt 4,10; 12,26[x2]; 16,23; Mc 1,13;
3,23[x2].26; 4,15; 8,33; Lc 10,18; 11,18; 13,16; 22,3.31; Gv 13,27; At 5,3; 26,18; Rm 16,20;
1Cor 5,5; 7,5; 2Cor 2,11; 11,14; 12,7; 1Ts 2,18; 2Ts 2,9; 1Tm 1,20; 5,15; Ap 2,9.13[x2].24;
3,9; 12,9; 20,2.7. Traslitterazione grecizzata della parola di origine ebraica 0) I”I , 'sa) Et a) n,
«avversario», «accusatore», «oppositore», senza particolari connotati religiosi (cf. 1Sam 29,4;
2Sam 19,23; 1Re 5,18; 11,14.23.25; Sal 109,6; Sir 21,27; cf. anche Gn 26,21; Nm 22,22.32;
Esd 4,6; Sal 38,21; 71,13; 109,4.20). In altri testi biblici il termine assume il significato di un
nome proprio per indicare un essere personificato, nemico dell’uomo (cf. 1Cr 21,1 e Zc
3,1–2). Nella successiva letteratura giudaica il vocabolo subisce un ulteriore processo di
personificazione e 0) I” I / E"J"<H diventa per antonomasia il nemico di Dio e dell’uomo
(cf. Test. Dan, 3,6; 5,6; 6,1; Test. Gad, 4,7).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Predicato verbale. Il tempo imperfetto sottolinea la continuità di questa condizione.
:gJV: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., tra, in mezzo a. Questa
preposizione, nelle forme :gJV e in quelle elise :gJz davanti a vocale con spirito dolce,
:ghz davanti a vocale con spirito aspro, ricorre 469 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 71 volte in Matteo (corrispondente allo 0,387% del totale delle
parole); 55 volte in Marco (cf. sotto le singole ricorrenze = 0,495%); 63 volte in Luca
(0,323%); 55 volte in Giovanni (0,352%). Usata con il genitivo o l’accusativo (nessuna
ricorrenza con il dativo) la preposizione :gJV assume negli scritti neotestamentari varie
sfumature di significato, non sempre corrispondenti al significato fondamentale di «insieme
a», «con». Nelle ricorrenze marciane prevale nella stragrande maggioranza il significato di
unione o compagnia (cf. Mc 1,20.29.36; 2,16[x2].19[x2]. 25; 3,6.7.14; 4,36; 5,18.24.37.40;
6,50; 8,10.14.38; 9,8; 10,30; 11,11; 14,7.14.17.18.20.33.43[x2].48.54. 67; 15,1.7.31; 16,10).
Altrove la preposizione è impiegata con significato temporale (cf. Mc 1,14; 8,31; 9,2.31;
10,34; 13,24; 14,1.28.70; 16,12.19) o modale (cf. Mc 3,5; 4,16; 6,25; 13,26); in due
occasioni prevale il significato originale di valore locale «tra», «in mezzo a» (cf. Mc 1,13;
14,62; cf. Omero, Il., 1,525; 2,143; 11,416; 13,200; 23,367; Od., 10,320; 16,140; Euripide,
Ph., 1006).
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
h0D\T<: sost., gen. plur. n. da h0D\@<, –@L, bestia, fiera, animale selvatico; compl. di luogo.
Il vocabolo ricorre 46 volte nel NT: nei vangeli soltanto in Mc 1,13 (hapax marciano). Nel
greco classico il sostantivo h0D\@< indica l’animale di genere selvaggio, equivalente a
«fiera», «bestia» (cf. Omero, Od., 10,171; Luciano, Asin., 52,18; Erodoto, Hist., 1,119,6). A
70 Mc 1,13

partire dai Padri della Chiesa la presenza di questi animali selvatici è stata interpretata non
come un dato storico, ma teologico. Marco intenderebbe proporre un collegamento in forma
antitetica con la situazione di Adamo nel giardino terrestre: Gesù, come Adamo, è tentato da
Satana, ma diversamente dal primo uomo (Adamo), il nuovo uomo (Gesù) supera la prova.
Come Adamo nell’Eden viveva in piena armonia con gli animali (cf. Apoc. Mos., 15), così
Gesù, dopo aver vittoriosamente superato la prova, vive in armonia con le bestie selvagge,
immagine positiva dell’era messianica in cui regnerà la pace tra l’uomo e l’animale (cf. Is
11,6–8; 65,25). Come gli angeli nell’Eden assistevano e proteggevano Adamo (cf. Vit. Ad.,
33), così essi recano adesso il loro servizio all’uomo nuovo. Questo suggestivo accostamento
tipologico, utilizzato in chiave positiva dalla maggior parte dei commentatori, è difficilmente
sostenibile per Marco e non può essere accolto per il seguente motivo: nella Bibbia il termine
h0D\@< è generalmente impiegato in contesti negativi (cf. Gn 3,1.14; 9,2; 37,20.33; Es
23,29; Lv 26,6.22; Dt 7,22; 28,26; 32,24; 1Sam 17,46; 2Sam 21,10; Gb 5,22; Sal 74,19;
79,2; Sap 16,5; Is 18,6; 35,9; Ger 7,33; 15,3; 16,4; 19,7; Ez 5,17; 14,15.21; 29,5; 33,27;
34,5.8.25.28; 39,4; Os 2,14; 13,8; Sof 2,14–15). Gli animali selvaggi (h0D\") sono associati
all’azione dei demoni (*"4:`<4") particolarmente nei luoghi deserti (cf. Is 13,21–22;
34,13–14, LXX): sono segno di opposizione e pericolo per l’uomo e non di docilità,
cooperazione e armonia, diversamente dagli angeli che, invece, espletano un ruolo positivo,
di protezione e assistenza (cf. Sal 91,11–12; Tb 5,17.22). Nella nostra scena la funzione delle
bestie selvatiche e quella degli angeli è, dunque, contrastante e in antitesi. Per Marco il
termine h0D\" è una specie di complemento di «Satana»: indica le creature ostili che hanno
una qualche dipendenza da Satana. Gesù vive in mezzo alle fiere («tra», senso primario di
:gJV, cf. sopra), ossia in un contesto di opposizione e di lotta, ma è «servito» dagli angeli
(i"\ avversativo, non copulativo). Dal punto di vista formale la proposizione potrebbe essere
resa anche mediante una concessiva: «nonostante vivesse tra gli animali selvatici, gli angeli
lo assistevano». L’accostamento tipologico più convincente è quello di Israele, «messo alla
prova» durante l’esodo: in Dt 8,15 viene ricordata l’azione protettiva di Dio che ha guidato
il suo popolo «per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di
scorpioni».
i"\: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, però; cf. Mc 1,4. Il
significato avversativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ adversativum)
si riscontra in Mc 1,13c; 3,7b.12.33a; 4,17a.19a.27d; 5,19a; 6,19b.20d.33a; 7,24b.28b;
8,12.16.29.30; 9,12a.30.31c. 42a; 10,34; 12,12b.17a; 16,8c.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
–((g8@4: sost., nom. plur. m. da –((g8@H, –@L, messaggero, inviato, nunzio, legato, «angelo»;
cf. Mc 1,2; soggetto.
*40i`<@L<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da *4"i@<XT, servire, amministrare, provvedere.
Questo verbo ricorre 37 volte nel NT: Mt 4,11; 8,15; 20,28[x2]; 25,44; 27,55; Mc 1,13.31;
10,45[x2]; 15,41; Lc 4,39; 8,3; 10,40; 12,37; 17,8; 22,26.27[x2]; Gv 12,2.26[x2]; At 6,2;
19,22; Rm 15,25; 2Cor 3,3; 8,19.20; 1Tm 3,10.13; 2Tm 1,18; Fm 1,13; Eb 6,10[x2]; 1Pt
1,12; 4,10.11. Nella maggior parte delle ricorrenze neotestamentarie il verbo *4"i@<XT è
utilizzato nel senso classico per esprimere una assistenza o un servizio generico (cf.
Mc 1,14 71

Aristofane, Av., 1323; Platone, Resp., 371d; Aristotele, Polit., 1333a 8). Soltanto in qualche
caso il verbo indica il servizio prestato alla mensa (cf. Lc 12,37; 17,8; 22,27; Gv 12,2; At
6,2). Il tempo imperfetto, con valore durativo o iterativo, evidenzia che tale servizio prestato
dagli angeli si protrasse per tutto il periodo trascorso da Gesù nel deserto. Nonostante lo
sforzo degli esegeti nessuno ha saputo dimostrare con chiarezza in che cosa consista
esattamente questo «servizio» o «assistenza» degli angeli reso a Gesù. Si deve necessariamen-
te restare sul generico, ritenendo che si alluda a un periodo (occasionato dal B<gØ:" di Mc
1,12) di solitaria e mistica unione con Dio che il tentatore/oppositore cerca invano di turbare.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; compl. di termine. La forma "ÛJè ricorre 858 volte nel NT
rispetto alle 5600 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 170 volte in Matteo (corrispondente allo 0,927% del totale delle parole); 121 volte
in Marco (1,070%); 153 volte in Luca (0,785%); 173 volte in Giovanni (1,106%).

1,14 9gJ *¥ JÎ B"D"*@h­<"4 JÎ< z3TV<<0< µ8hg< Ò z30F@ØH gÆH J¬< '"84-
8"\"< i0DbFFT< JÎ gÛ"((X84@< J@Ø hg@Ø
1,14 Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea per predicare il vangelo
in nome di Dio.

9gJV: prep. propria di valore temporale, seguita dall’accusativo, indecl., dopo, dopo di; cf. Mc
1,13. Questa preposizione, come sopra ricordato, ricorre 11 volte con significato di posterità
temporale: 6 volte si tratta di una datazione imprecisa, mancando qualsiasi riferimento
cronologico (cf. Mc 1,14; 13,24; 14,28.70; 16,12.19); nelle altre 5 ricorrenze, stabilisce una
datazione precisa, calcolata in giorni (cf. Mc 8,31; 9,2.31; 10,34; 14,1).
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8. Sebbene la
particella *X «fere semper dicit aliqualem oppositionem» (Zerwick Max, Graec., § 467) nel
vangelo di Marco è spesso usata in senso narrativo, chiaro indizio di una sottostante
tradizione orale e popolare che usa intercalare la narrazione mediante semplici particelle
congiuntive e coordinative. Ritroviamo la congiunzione *X con valore narrativo in: Mc
1,14.30.32; 5,11.33.34; 6,24; 7,24.26; 8,5.28; 9,19.21.23.25; 10,3.4.5.14.18.20.21.24[x2]. 26.
32.36.37.38.39[x2].50.51; 11,6.29; 12,7.16[x2].17; 13,5; 14,1.4.6.11.20.29.46.47.55.62.63.
64; 15,2.4.6.7.9.12.13.14[x2].15.16.36.39.44.47; 16,12.14.20.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
B"D"*@h­<"4: verbo, inf. aor. pass. da B"D"*\*T:4 (da B"DV e *\*T:4), consegnare,
rimettere, dare (qualcuno) nelle mani (di un altro), consegnare (qualcuno) al potere (di un
altro), tradire; compl. di tempo. Questo verbo ricorre 119 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 31 volte in Matteo (corrispondente allo 0,169% del totale delle parole);
20 volte in Marco (cf. Mc 1,14; 3,19; 4,29; 7,13; 9,31; 10,33[x2]; 13,9.11.12; 14,10.11.18.21.
41.42.44; 15,1.10.15 = 0,177%); 17 volte in Luca (0,087%); 15 volte in Giovanni (0,096%).
Infinito sostantivato dall’articolo neutro J` e retto dalla preposizione :gJV che serve come
determinazione temporale: in italiano può essere reso con una proposizione temporale finita:
«dopo che Giovanni fu arrestato». La formula :gJ J` + infinito con valore temporale
72 Mc 1,14

ritorna in Mc 14,28; 16,19. Nel greco classico il verbo B"D"*\*T:4 esprime, anzitutto, un
generico «dare», «consegnare», detto di qualcosa a qualcuno (cf. Tucidide, Hist., 4,135,1;
Erodoto, Hist., 1,117,2; Euripide, Bacc., 495). In altri contesti assume il significato di
«trasmettere» (cf. Platone, Leg., 776b), «permettere» (cf. Erodoto, Hist., 5,67,2). In senso
ristretto il verbo può indicare l’azione di «consegnare» qualcuno alla giustizia, «consegnare»
in mano a giudici, ecc.: B"D"*\*T<"4 $"F"<\.g4< JÎ< B"Ã*", «consegnare lo schiavo
per essere torturato» (Isocrate, Or., 17,15; cf. Demostene, Or., 51,8). Nel greco biblico, a
parte lo sporadico uso generico di «permettere» (come in Mc 4,29) e «trasmettere» (come in
Mc 7,13), il verbo B"D"*\*T:4 è tecnico: oltre a essere termine specifico del linguaggio
poliziesco e penale (= «arrestare») è utilizzato con valore testimoniale e sacrificale per
indicare la consegna e il destino dei profeti (= «consegnare», lat. tradere). Marco usa il verbo
B"D"*\*T:4 con questo significato a proposito sia di Giovanni Battista (cf. Mc 1,14) sia
dei discepoli di Gesù (cf. Mc 13,9.11.12), ma soprattutto di Gesù nel contesto della sua
passione (cf. Mc 3,19; 9,31; 10,33[x2]; 14,10.11.18.21.41.42.44; 15,1.10.15). Mediante l’uso
passivo non viene riferito apertamente l’autore della consegna di Giovanni, ma viene
implicitamente affermato che si tratta di Dio stesso (= passivo divino).
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
z3TV<<0<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z3TV<<0H, –@L, Giovanni; cf. Mc
1,4; soggetto della proposizione oggettiva costruita con il verbo infinito B"D"*@h­<"4.
µ8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
'"848"\"<: sost., nome proprio di regione, acc. sing. f. da '"848"\", –"H, Galilea; cf. Mc
1,9; compl. di moto a luogo. Questa regione costituiva la parte più settentrionale dei tre
territori in cui era allora divisa la Palestina (vedi commento a Mc 1,9). Marco dichiara
esplicitamente che Gesù iniziò la sua missione in Galilea e «Galileo» era il titolo con il quale
egli veniva chiamato (cf. Mt 26,69).
i0DbFFT<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da i0DbFFT, proclamare apertamente,
annunciare solennemente, predicare; cf. Mc 1,4. Participio predicativo del soggetto
z30F@ØH: può essere reso anche mediante un infinito di valore finale: «si recò… per
predicare».
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
gÛ"((X84@<: sost., acc. sing. n. da gÛ"((X84@<, –@L, lieto annuncio, buona novella,
«vangelo»; cf. Mc 1,1; compl. oggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
Mc 1,15 73

hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione. Non si
tratta di un genitivo soggettivo (vangelo che appartiene a Dio), neppure di un genitivo
oggettivo (vangelo che ha per oggetto Dio), quanto di un genitivo di agente (vangelo
predicato in nome di Dio). L’espressione JÎ gÛ"((X84@< J@Ø hg@Ø, «il vangelo di Dio»,
è unica nei vangeli, ma piuttosto comune in Paolo (cf. Rm 1,1; 15,16; 2Cor 11,7; 1Ts
2,2.8.9; cf. anche 1Pt 4,17).

1,15 i"Â 8X(T< ÓJ4 AgB8ZDTJ"4 Ò i"4DÎH i"Â ³((4ig< º $"F48g\" J@Ø hg@Ø·
:gJ"<@gÃJg i"Â B4FJgbgJg ¦< Jè gÛ"((g8\å.
1,15 Diceva: «Il tempo è compiuto ed è vicino il regno di Dio; convertitevi e credete nel
vangelo».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


8X(T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo del soggetto z30F@ØH. L’uso di 8X(T dopo i verbi
cosiddetti dicendi («dire», «proclamare», «annunciare», «interrogare», «rispondere»,
«deliberare», ecc.), frequentissimo nel NT, è un ebraismo dovuto alla traduzione servile della
forma verbale 9J/!-F, le) ’mo) r, equivalente al gerundio «dicendo» e impiegata per introdurre
il discorso diretto, in sostituzione del segno grafico dei due punti (:), inesistente in ebraico
come in greco. Nelle traduzioni questa tipica forma può essere omessa.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che. Dopo i verbi dicendi e simili
introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in tal caso
può essere omessa. Questa congiunzione ricorre 1296 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 140 volte in Matteo (corrispondente allo 0,140% del totale delle
parole); 102 volte in Marco (0,902%); 174 volte in Luca (0,893%); 271 volte in Giovanni
(1,733%). La congiunzione ÓJ4 è presente nel vangelo di Marco con i seguenti quattro
significati: a) 52 volte come congiunzione dichiarativa, per introdurre il discorso diretto (cf.
Mc 1,1.37.40; 2,12.17; 3,11.21.22[x2]; 5,23.28.35; 6,4.14.15[x2].18.35; 7,6.20; 8,4.28[x2].
31; 9,1.13.26.31.41b; 10,33; 11,17.23a; 12,6.7.19.29.32.35.43; 13,6.30; 14,14.18.25.
27a.30.58[x2].69.71.72; 16,7); b) 29 volte come congiunzione dichiarativa «che», per
introdurre l’oggetto dopo i verbi di percezione spirituale o sensoriale (cf. Mc 1,34;
2,1.8.10.16a; 3,28; 5,29; 6,49.55; 7,2.18; 8,17; 9,11b.25; 10,42.47; 11,23b.24.32; 12,12.14.28.
34; 13,28.29; 15,10.39; 16,4.11); c) 19 volte come congiunzione causale «perché», «poiché»
(cf. Mc 3,30; 4,29.38.41; 5,9; 6,17.34; 7,19; 8,2.16.24.33; 9,38.41a; 12,26; 14,21.27b; 16,14);
d) 3 volte come pronome interrogativo (cf. Mc 2,16b; 9,11a.28).
AgB8ZDTJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. pass da B80D`T, rendere pieno, riempire,
colmare, completare. Questo verbo ricorre 86 volte nel NT: 16 volte in Matteo (cf. Mt 1,22;
2,15.17.23; 3,15; 4,14; 5,17; 8,17; 12,17; 13,35.48; 21,4; 23,32; 26,54.56; 27,9, corrisponden-
te allo 0,087% del totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc 1,15; 14,49 = 0,018%); 9
volte in Luca (cf. Lc 1,20; 2,40; 3,5; 4,21; 7,1; 9,31; 21,24; 22,16; 24,44 = 0,046%); 15 volte
in Giovanni (cf. Gv 3,29; 7,8; 12,3.38; 13,18; 15,11.25; 16,6.24; 17,12.13; 18,9.32; 19,24.36
= 0,096%); At 1,16; 2,2.28; 3,18; 5,3.28; 7,23.30; 9,23; 12,25; 13,25.27.52; 14,26; 19,21;
74 Mc 1,15

24,27; Rm 1,29; 8,4; 13,8; 15,13.14.19; 2Cor 7,4; 10,6; Gal 5,14; Ef 1,23; 3,19; 4,10; 5,18;
Fil 1,11; 2,2; 4,18.19; Col 1,9.25; 2,10; 4,17; 2Ts 1,11; 2Tm 1,4; Gc 2,23; 1Gv 1,4; 2Gv
1,12; Ap 3,2; 6,11. Nella sua accezione letterale propria B80D`T ha il senso spaziale e
materiale di «riempire», «colmare» (cf. Euripide, Ion, 1192; Erodoto, Hist., 3,123,2), ad
esempio un otre di acqua (cf. Filone di Alessandria, Poster., 130), la terra di uomini (cf. Ger
28,14, LXX). Metaforicamente il verbo può assumere il senso di «riempire», con accezione
astratta: $@DH RLP¬< ¦B8ZD@L<, «saziavano l’anima di cibo» (cf. Euripide, Ion, 1170)
oppure quello di «compiere», «portare a compimento» una determinata azione, attività, ecc.
(cf. Euripide, Iph. Taur., 954; Plutarco, Cic., 17,5,6). Negli scritti neotestamentari il verbo
B80D`T compare raramente nella sua accezione letterale (cf. Mt 13,48; Lc 3,5; Gv 12,3; At
2,2), mentre prevale quella di «compiere», «realizzare», «portare a compimento» in contesto
religioso, con particolare riferimento alla realizzazione di alcune realtà morali, religiose o
teologiche, quali la Sacra Scrittura, la legge, la parola di Dio, ecc. Nel nostro passo il verbo
è usato in senso sia cronologico che qualitativo: il perfetto indica una azione compiuta nel
passato i cui effetti permangono nel presente; non si tratta di un i"4D`H ormai «compiuto»
e, dunque, relegato nel passato: il verbo indica pienezza e totalità nel presente, ossia di un
i"4D`H portato a compimento, un i"4D`H che ha ora la pienezza dell’esistere.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
i"4D`H: sost., nom. sing. m. da i"4D`H, –@Ø, circostanza favorevole, tempo propizio,
occasione opportuna, giusta misura; soggetto. Il vocabolo ricorre 85 volte nel NT: Mt 8,29;
11,25; 12,1; 13,30; 14,1; 16,3; 21,34.41; 24,45; 26,18; Mc 1,15; 10,30; 11,13; 12,2; 13,33;
Lc 1,20; 4,13; 8,13[x2]; 12,42.56; 13,1; 18,30; 19,44; 20,10; 21,8.24.36; Gv 7,6[x2].8; At
1,7; 3,20; 7,20; 12,1; 13,11; 14,17; 17,26; 19,23; 24,25; Rm 3,26; 5,6; 8,18; 9,9; 11,5; 13,11;
1Cor 4,5; 7,5.29; 2Cor 6,2[x2]; 8,14; Gal 4,10; 6,9.10; Ef 1,10; 2,12; 5,16; 6,18; Col 4,5; 1Ts
2,17; 5,1; 2Ts 2,6; 1Tm 2,6; 4,1; 6,15; 2Tm 3,1; 4,3.6; Tt 1,3; Eb 9,9.10; 11,11.15; 1Pt
1,5.11; 4,17; 5,16; Ap 1,3; 11,18; 12,12.14[x3]; 22,10. Nel greco classico, rispetto al concetto
di PD`<@H, ossia il tempo indeterminato, oggettivo e misurabile (cf. Pindaro, Isth., 5,28;
Sofocle, Ai., 646), i"4D`H esprime piuttosto il momento decisivo, l’occasione propizia, intesa
in senso esistenziale e non convenzionale, che può svilupparsi positivamente o negativamente
(cf. Ippocrate, Aph., 1,1; Sofocle, Ai., 38; 1316; Euripide, Hec., 593). In tal senso piuttosto
comuni sono le locuzioni i"4DÎ< 8":$V<g4<, «cogliere l’opportunità» (cf. Tucidide, Hist.,
2,34,8), i"4DÎ< DBV.g4<, «afferrare l’occasione» (cf. Plutarco, Phil., 15,4,2). Questo
significato trova addirittura un riscontro figurativo nella statua del dio 5"4D`H,
«L’Opportunità» (cf. Pausania, Perieg., 5,14,9), posta all’ingresso dello stadio di Olimpia:
il dio vi era rappresentato come un giovane efebo nudo, con ali ai piedi poggianti sulla punta
e con una vistosa capigliatura e barba. Tali contrassegni confermano la convinzione che
Kairos esprimesse le caratteristiche dell’occasione propizia: le ali ai piedi e il ciuffo
suggeriscono simbolicamente che l’atleta, per poter vincere, doveva «acciuffare» il momento
propizio. Nell’uso neotestamentario a questa caratteristica temporale ed esistenziale si
aggiunge quella etica e religiosa e i"4D`H viene impiegato per indicare un tempo
escatologicamente pieno, il tempo (o il momento) della decisione in tema di salvezza.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Mc 1,15 75

³((4ig<: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. da ¦((\.T, avvicinare, accostare, attirare, congiunge-
re. Questo verbo ricorre 42 volte nel NT: Mt 3,2; 4,17; 10,7; 21,1.34; 26,45.46; Mc 1,15;
11,1; 14,42; Lc 7,12; 10,9.11; 12,33; 15,1.25; 18,35.40; 19,29.37.41; 21,8.20.28; 22,1.47;
24,15.28; At 7,17; 9,3; 10,9; 21,33; 22,6; 23,15; Rm 13,12; Fil 2,30; Eb 7,19; 10,25; Gc
4,8[x2]; 5,8; 1Pt 4,7. Usato nel NT soltanto nella forma intransitiva, ¦((\.T conserva il
significato classico del generico «avvicinarsi» (cf. Aristotele, De mir. ausc., 845a 20; Polibio,
Hist., 18,4,1) in senso sia spaziale (cf. Mc 11,1; 14,42) che temporale (cf. Mc 1,15). Nella
maggior parte dei casi questo «avvicinarsi» è detto di persone o realtà che hanno una
relazione con Dio o Gesù: si tratta, dunque, di un verbo pregnante sul piano teologico. Ad
avvicinarsi a Gesù possono essere alcune persone che con tale azione determinano eventi di
importanza vitale: il traditore (cf. Mc 14,42), i pubblicani e i peccatori (cf. Lc 15,1), i malati
(cf. Lc 18,40), i discepoli (cf. Lc 24,15). Nella forma assoluta e in senso traslato possono
anche avvicinarsi realtà esplicitamente teologiche, come il regno di Dio (cf. Mc 1,15; Mt 3,2;
10,7; Lc 10,9.11), la liberazione (cf. Lc 21,28), il tempo della promessa (cf. At 7,17), Dio (cf.
Gc 4,8), il ritorno del Signore (cf. Gc 5,8), la fine delle realtà create (cf. 1Pt 4,7). Nel nostro
caso il verbo, in riferimento al regno di Dio, è usato al tempo perfetto per indicare una azione
compiuta nel passato i cui effetti permangono nel presente. È, dunque, una azione iniziata nel
passato, ma anche una vicinanza che si sta realizzando al presente e il cui effetto è destinato
a perdurare nel futuro: il regno di Dio, pur essendosi avvicinato, non è completamente
realizzato. Questa tensione tra il cosiddetto “già” (cf. Mc 4,11; 10,15) e il “non ancora” (cf.
Mc 4,26.30; 9,1.47; 10,14.23.24.25; 12,34; 14,25; 15,43) è insita nel perfetto ³((4ig< come
chiave interpretativa. È necessario sottolineare questa sfumatura tenendo presente che in
Marco il regno è descritto come una realtà dinamica, aperta la futuro, nella quale si «entra»,
ma in cui si può anche non entrare (cf. Mc 9,47; 10,23.24.25).
º: art. determ., sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
$"F48g\": sost., nom. sing. f. da $"F48g\", –"H, signoria, potere reale, dominio sovrano,
regno; soggetto. Il vocabolo ricorre 162 volte nel NT: 55 volte in Matteo (cf. Mt 3,2;
4,8.17.23; 5,3.10.19[x2]. 20; 6,10.33; 7,21; 8,11.12; 9,35; 10,7; 11,11.12; 12,25.26.28;
13,11.19.24.31.33.38.41.43.44.45.47.52; 16,19.28; 18,1.3.4.23; 19,12.14.23.24; 20,1.21.31;
21,43; 22,2; 23,13; 24,7[x2].14; 25,1.34; 26,28, corrispondente allo 0,300% del totale delle
parole); 20 volte in Marco (cf. Mc 1,15; 3,24[x2]; 4,11.26.30; 6,23; 9,1.47; 10,14.15.23.24.
25; 11,10; 12,34; 13,8[x2]; 14,25; 15,43 = 0,177%); 46 volte in Luca (cf. Lc 1,33; 4,5.43;
6,20; 7,28; 8,1.10; 9,2.11.27.60.62; 10,9.11; 11,2.17.18.20; 12,31.32; 13,18.20.28.29; 14,15;
16,16; 17,20[x2].21; 18,16.17.24.25.29; 19,11.12.15; 21,10[x2].31; 22,16.18.29.30; 23,42.51
= 0,236%); 5 volte in Giovanni (cf. Gv 3,3.5; 18,36[x3] = 0,032%); At 1,3.6; 8,12; 14,22;
19,8; 20,25; 28,23.31; Rm 14,17; 1Cor 4,20; 6,9.10; 15,24.50; Gal 5,21; Ef 5,5; Col 1,13;
4,11; 1Ts 2,12; 2Ts 1,15; 2Tm 4,1.18; Eb 1,8; 11,33; 12,28; Gc 2,5; 2Pt 1,11; Ap 1,6.9;
5,10; 11,15; 12,10; 16,10; 17,12.17.18. Nella grecità classica il vocabolo $"F48g\" assume
sostanzialmente un doppio significato, potendo indicare: a) il «regno», il «reame», come
realtà spaziale e geografica (cf. Erodoto, Hist., 4,5,4); b) la «regalità», il «potere regale» che
possiede il re (cf. Erodoto, Hist., 2,120,4). Entrambi i significati ricorrono nel NT: a volte si
parla di regno come entità materiale, territoriale (cf. Mt 4,8; Mc 6,23; 13,8; Ap 16,10), altre
volte di potere o sovranità regale (cf. Lc 19,12.15; Ap 1,6; 17,12). Nella stragrande
76 Mc 1,15

maggioranza delle ricorrenze, tuttavia, il vocabolo è presente nell’espressione º $"F48g\"


J@Ø hg@Ø, «il regno di Dio» (68 volte: Mt 6,33; 12,28; 19,24; 21,31.43; Mc 1,15; 4,11.26.30;
9,1.47; 10,14.15.23.24. 25; 12,34; 14,25; 15,43; Lc 4,43; 6,20; 7,28; 8,1.10; 9,2.11.27.60.62;
10,9.11.20; 13,18.20.28.29; 14,15; 16,16; 17,20[x2].21; 18,16.17.24.25. 29; 19,11; 21,31;
22,16.18; 23,51; Gv 3,3.5; At 1,3; 8,12; 14,22; 19,8; 28,23.31; Rm 14,17; 1Cor 4,20; 6,10;
15,24.50; Gal 5,21; Col 4,11; 2Ts 1,5; Ap 12,10) oppure º $"F48g\" Jä< @ÛD"<ä<, «il
regno dei cieli», formula esclusivamente matteana (32 volte: Mt 3,2; 4,17; 5,3.10.19[x2]. 20;
7,21; 8,11; 10,7; 11,11.12; 13,11.24.31.33.44.45.47.52; 16,19; 18,1.3.4.23; 19,12.14.23;
20,1; 22,2; 23,13; 25,1) o anche con minore frequenza, º $"F48g\" J@Ø B"JD`H, «il regno
del Padre» (Mt 13,43; 26,29; Mc 11,10), º $"F48g\" J@Ø PD4FJ@Ø i"Â hg@Ø, «il regno
di Cristo e di Dio» (Ef 5,5), º $"F48g\" J@Ø iLD\@L, «il regno del Signore» (2Pt 1,11). Per
il commento a tale formula vedi sotto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione.
L’espressione º $"F48g\" J@Ø hg@Ø, «il regno di Dio», è tipicamente neotestamentaria (cf.
sopra l’elenco delle ricorrenze). Sebbene il tema dell’annuncio della “buona novella” si
riallacci alla predicazione dei profeti, la formula «regno di Dio» non si trova nell’AT
ebraico. L’unica ricorrenza di Sap 10,10 si riferisce al sogno di Giacobbe e alla scala che
sale dalla terra al cielo, verso «il regno di Dio» inteso come realtà celeste. Si noti la
differenza rispetto all’uso nel NT: in Sap 10,10 il regno di Dio è il regno collocato nei cieli
che viene rivelato agli eletti per mezzo di una visione. Negli altri testi anticotestamentari si
dice che Dio è «re» o lo si descrive come un sovrano (cf. Es 15,18; Sal 47,3.8; 95,3; 98,6;
99,4; Ger 10,10; Mic 2,13; 4,7; Is 44,6; Sof 3,15; Dn 2,44), si parla di un «lieto annuncio»
(cf. Is 52,7), di «vittoria e salvezza prossima» (cf. Is 51,5), ma non compare mai l’espressione
«regno di Dio». Questa formula, dunque, è una tipica locuzione del linguaggio di Gesù,
ripresa dalla comunità primitiva:

«Quantum in meo corde est, legens Legem, legens Prophetas, legens Psalterium, numquam
“regnum caelorum” audivi nisi in evangelio. Postquam enim venit ille de quo dictum est “Et
regnum Dei intra vos est”, apertum est regnum Dei».

«Io ho letto la Legge, ho letto i Profeti, ho letto il Salterio, ma per quanto mi ricordi non vi
ho mai trovato l’espressione “regno dei cieli” se non nel vangelo. Il regno di Dio, infatti, è
stato spalancato dopo la venuta di colui del quale sta scritto “il regno di Dio è in mezzo a
voi”» (Girolamo, In Marc., Sermo 1).

Anche le altre espressioni º $"F48g\" Jä< @ÛD"<ä<, «il regno dei cieli», º
$"F48g\" J@Ø B"JD`H, «il regno del Padre», º $"F48g\" J@Ø iLD\@L, «il regno del
Signore» (cf. sopra la lista delle ricorrenze) corrispondono a «il regno di Dio», poiché i
termini «cieli», «Padre», «Signore» sono tutti una forma di perifrasi per indicare Dio. Si tratta
di una modifica redazionale. Poiché nell’ebraismo era vietato l’uso del santo nome di Dio,
Gesù (e gli autori sacri dopo di lui) si attengono all’usanza rabbinica di adoperare delle
perifrasi per indicare Dio: nella Mishnah, ad esempio, ricorre abbastanza frequentemente
l’espressione «regno dei cieli» (m.Ber., 2,2.5, ecc.). Dunque l’espressione neotestamentaria
Mc 1,15 77

«regno di Dio» (unitamente a «regno dei cieli», impiegata soprattutto da Matteo), non
significa un regno che è o sarà in cielo e neppure un regno mondano inteso nell’accezione
spaziale e territoriale. Si tratta, invece, della «signoria» o sovranità regale di colui che è nei
cieli, ossia della sovranità di Dio su questa terra. Tale regno è ultraterreno per la sua origine
(è voluto e condotto da Dio), non per l’ambito in cui viene costituito (un regno di Dio in
mezzo agli uomini, sulla terra). Nella sua affermazione «il regno di Dio è vicino», Gesù rivela
che Dio si è definitivamente e immutabilmente deciso a istituire il suo regno, anche se non
lo ha ancora pienamente realizzato. Perciò Gesù insegna a pregare: «Venga il tuo regno!»
(Mt 6,10).
:gJ"<@gÃJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da :gJ"<@XT (da :gJV e <@XT), cambiare
mentalità, pensare diversamente, cambiare vita, fare penitenza, «convertirsi». Questo verbo
ricorre 34 volte nel NT: Mt 3,2; 4,17; 11,20.21; 12,41; Mc 1,15; 6,12; Lc 10,13; 11,32;
13,3.5; 15,7.10; 16,30; 17,3.4; At 2,38; 3,19; 8,22; 17,30; 26,20; 2Cor 12,21; Ap 2,5[x2].16.
21[x2].22; 3,3.19; 9,20.21; 16,9.11. Nella grecità classica ed ellenistica la caratteristica
semantica decisiva di :gJ"<@XT è il cambiamento di mentalità, nel male come nel bene: in
tal senso il verbo può assumere i significati di «cambiare parere» (cf. Senofonte, Cyr., 1,1,3),
«pentirsi», «ravvedersi», in senso psicologico, non etico e morale: :gJg<`g4 (g<`:g<@H
}+880<, «si pentiva di essere nato greco» (Luciano, Amor., 36,4; cf. anche Antifonte, De
caede, 91,9; Plutarco, Agis, 19,7,4), «rimpiangere» (cf. Giuseppe Flavio, Bellum, 4,284).
Coerentemente a questo significato etimologico si dovrebbe intendere :gJ"<@XT di Mc 1,15
nel senso di «cambiare mentalità», per indicare una mutazione interna e profonda della
persona, diversamente dal «convertirsi» in senso etico (¦B4FJDXnT, Mc 4,12) che indica
piuttosto un cambiamento esteriore di comportamenti. Ciò significa che il vangelo esige una
conversione “teologica” e non semplicemente etico e morale. È vero che questo cambiamen-
to interiore a livello religioso corrisponde sostanzialmente all’ebraico "{–, šûb5, nel senso di
un «ritornare» a Dio, ma i LXX traducono "{– quasi sempre con ¦B4– (•B@–)FJDXnT,
mentre usano :gJ"<@XT per «pentirsi», «dispiacersi di qualcosa» (livello interiore), al punto
che il verbo :gJ"<@XT viene applicato perfino a Dio (il quale, almeno lui, non ha certo
bisogno di «convertirsi»!) per indicare un cambiamento di decisione (cf. Gio 3,9; Gl 2,13;
Zc 8,14; Ger 18,8.10). Il comando di Gesù, inoltre, è formulato mediante un imperativo
presente il quale molto spesso denota un comando o una esortazione che vale continuamente
anche per il tempo futuro: «potest significare actionem continuandam vel generalem regulam
iteratas in futuro actiones spectantem» (Zerwick Max, Graec., § 243). Esso, cioè, non indica
necessariamente una azione puntiforme al presente (l’esecuzione di un atto), ma può indicare
un atto con carattere di continuità e ripetitività rivolto al futuro: «d’ora in poi cambiate
mentalità… credete…». Analogo esempio in Mc 2,14. Sembrerebbe che Marco, collocando
il cambiamento di mentalità al primo posto, voglia dare a :gJ"<@XT un tono specifico di
preparazione al secondo («credete al vangelo»). Tuttavia il parallelismo sintetico che unisce
questi due illocutivi direttivi potrebbe essere inteso come una endiadi: «credete, cambiando
mentalità».
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
B4FJgbgJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da B4FJgbT, credere, fidarsi di, dare fiducia a.
Questo verbo ricorre 241 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 11 volte
78 Mc 1,16

in Matteo (corrispondente allo 0,060% del totale delle parole); 14 volte in Marco (cf. Mc
1,15; 5,36; 9,23.24.42; 11,23.24.31; 13,21; 15,32; 16,13.14.16.17 = 0,124%); 9 volte in Luca
(0,046%); 98 volte in Giovanni (0,627%). Tra gli evangelisti Marco è il solo che usa
B4FJgbT all’imperativo (cf. Mc 1,15; 5,36; 13,21). Nel greco classico i vocaboli formati con
B4FJ– descrivono originariamente un atteggiamento mentale che presuppone spesso un
corrispondente atteggiamento esteriore. In tal senso il verbo B4FJgbT si riferisce a un atto
della volontà che impegna la fedeltà ed equivale a «avere fiducia di», «confidare in»,
«credere» in una persona o cosa (cf. Erodoto, Hist., 1,24,2; Tucidide, Hist., 3,5,2; Senofonte,
Anab., 1,9,8; B4FJg×g4< J"ÃH •80hg\"H, «credere alla verità», Demostene, Or., 44,3).
Soltanto in tarda epoca ellenistica il verbo B4FJgbT comincia a essere impiegato nel
significato religioso di «credere», in riferimento a esseri divini (cf. Filone di Alessandria,
Mos., 1,225). I LXX traducono quasi sempre con B4FJgbT il verbo ebraico 0/ H! I , ’a) man,
che può significare sia «confidare» (in persone, 1Sam 27,12; Mi 7,5) sia «prestare fede»,
«credere» fermamente alle parole, al messaggio di qualcuno (cf. Gn 45,26; 1Re 10,7; Pr
14,15). Nel NT, quando l’oggetto di B4FJgbT sono le persone, il verbo può contenere l’idea
di ubbidire; quando, invece, sono le parole o altre realtà (come nel nostro passo) assume il
significato di «credere», «prestare fede». Il verbo è costruito prevalentemente con il dativo
della persona o della cosa e meno spesso con l’accusativo della cosa. Marco impiega il
verbo B4FJgbT sia allo stato assoluto (cf. Mc 5,36; 9,23.24.42; 13,21; 15,32; 16,16.17) sia
con ¦< e dativo della cosa, per influsso semitico (cf. Mc 1,15) sia con il semplice dativo
della persona (cf. Mc 11,31; 16,13.14) sia con la congiunzione ÓJ4 con valore dichiarativo
(cf. Mc 11,23.24).
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2. Uso pleonastico o hypertrophicus della preposizione.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
gÛ"((g8\å: sost., dat. sing. n. da gÛ"((X84@<, –@L, lieto annuncio, buona novella, «vangelo»;
cf. Mc 1,1; compl. di limitazione. Si tratta di credere non a una generica «buona novella»,
ma «nella buona novella» proclamata da Gesù: grammaticalmente la costruzione B4FJgbT
+ ¦< + dativo è di chiara ascendenza semitizzante e corrisponde all’ebraico vA 0/ H! I , ’a) man
be, «credere in…», «aver fede in…» (cf. 1Sam 27,12; Sal 78,22; 106,12; Ger 12,6; Mic 7,5,
LXX). Lo sfondo del comando è quello semitico: non si tratta di credere a qualcosa, ma
credere fondandosi su qualcuno, su un messaggero credibile. Nel NT oggetto della fede è
sempre una persona, mai il «vangelo» come entità astratta. Di conseguenza, credere alla
Buona Novella significa credere, anzitutto, a colui che proclama tale annuncio, aver fiducia
in lui e fidarsi di lui. L’espressione B4FJgbgJg ¦< Jè gÛ"((g8\å è unica in tutto il NT:
può sorprendere che al di fuori di questo passo non si sia tramandato nessun altro detto di
Gesù che richieda di credere nel suo annuncio.

1,16 5" B"DV(T< B"D J¬< hV8"FF"< J­H '"848"\"H gÉ*g< E\:T<" i"Â
z!<*DX"< JÎ< •*g8nÎ< E\:T<@H •:n4$V88@<J"H ¦< J± h"8VFF®· µF"<
(D 84gÃH.
1,16 Passando lungo il mare della Galilea vide Simone e Andrea, fratello di Simone,
mentre gettavano le reti in mare; erano, infatti, pescatori.
Mc 1,16 79

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


B"DV(T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da B"DV(T (da B"DV e –(T), passare oltre,
andare oltre, camminare lungo, andare via. Participio predicativo del soggetto sottinteso
z30F@ØH. Questo verbo ricorre 10 volte nel NT: Mt 9,9.27; 20,30; Mc 1,16; 2,14; 15,21; Gv
9,1; 1Cor 7,31; 1Gv 2,8.17. Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo
composto viene ripetuta davanti al successivo complemento indiretto, come qui; questo
fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56;
7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
In senso letterale proprio il verbo B"DV(T nella diatesi attiva intransitiva assume il
significato di «passare accanto», «camminare presso» (cf. Senofonte, Cyr., 5,4,44; Erodoto,
Hist., 4,158,2). Qui il verbo di moto espleta non soltanto una funzione descrittiva, ma anche
teologica: il «passare» di Gesù segnala il contatto concreto con la storia dell’uomo ed evoca
il passare di Dio negli interventi di salvezza o di giudizio (cf. Es 12,12.13.23). Si potrebbe
dire che, riferito a Gesù, il «passare» sia un verbo d’incarnazione.
B"DV: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., presso, lungo, nei dintorni
di, vicino a. Questa preposizione ricorre 194 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 18 volte in Matteo (corrispondente allo 0,098% del totale delle parole); 17 volte
in Marco (cf. Mc 1,16; 2,13; 3,21; 4,1.4.15; 5,21.26; 8,11; 10,27[x3].46; 12,2.11; 14,43; 16,9
= 0,150%); 29 volte in Luca (0,149%); 35 volte in Giovanni (0,224%). Nel NT il significato
della preposizione B"DV (usata con il genitivo, il dativo e l’accusativo) corrisponde
generalmente a quello del greco classico. Fondamentalmente B"DV indica la vicinanza,
intesa sia in senso fisico (locale) sia figurato (di relazione). La preposizione assume vari
significati, a seconda del caso che introduce. Con il genitivo: a) locale («da», «presso»,
«vicino a»); b) provenienza («da», «da parte di»); c) agente e causa efficiente («da», «da parte
di»). Con il dativo: a) locale («presso», «vicino a»); b) provenienza («da», «da parte di»). Con
l’accusativo: a) locale («presso», «lungo», «nei dintorni di», «vicino a»); b) comparativo
(«rispetto a», «a paragone di»); c) avversativo («in contrasto con», «contro»); d) sostitutivo
(«al posto di», «in vece di», «in cambio di»); e) eccettuativo («all’infuori di», «tranne»); f)
temporale («durante», «nel corso di»); g) causale («in base a», «a causa di»). Nelle ricorrenze
marciane B"DV è presente con un significato prevalentemente locale (cf. Mc 1,16; 2,13;
4,1.4.15; 5,21; 10,27[x3].46). Negli altri passi prevale il significato di agente (cf. Mc 3,21;
8,11; 12,11; 14,43) o di provenienza (cf. Mc 5,26; 12,2; 16,9).
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
hV8"FF"<: sost., acc. sing. f. da hV8"FF", –0H, mare; compl. di moto per luogo. Il vocabolo
ricorre 91 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 16 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,087% del totale delle parole); 19 volte in Marco (cf. Mc 1,16[x2];
2,13; 3,7; 4,1[x3].39.41; 5,1.13[x2].21; 6,47.48.49; 7,31; 9,42; 11,23 = 0,168%); 3 volte in
Luca (0,015%); 9 volte in Giovanni (0,058%). Il «mare» qui ricordato è in realtà il «lago»
di Genezaret (conosciuto anche con altre designazioni, cf. sotto). L’uso del vocabolo
hV8"FF" per indicare il lago di Genezaret è un semitismo influenzato dall’ebraico .I*, ya) m,
il quale è impiegato nel TM nel significato prevalente di «mare», ma anche di «lago»,
«specchio d’acqua» (cf. la corretta dizione di 8\:<0<, «lago», in Lc 5,1.2; 8,22.23.33). La
80 Mc 1,16

vocazione dei primi discepoli non avviene in una cornice sacra come quella del tempio (cf.
1Sam 3,1–4; Is 6,1–13), ma nello scenario profano e quotidiano del lago di Tiberiade. Si
deve ancora osservare che l’espressione B"D J¬< hV8"FF"< è una formula utilizzata da
Marco per introdurre avvenimenti di una certa importanza: Mc 1,16 (chiamata dei primi
discepoli); Mc 2,13 (chiamata di Levi); Mc 4,1 (discorso in parabole); Mc 5,21 (richiesta da
parte di Giairo).
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
'"848"\"H: sost., nome proprio di regione, gen. sing. f. da '"848"\", –"H, Galilea; cf. Mc
1,9; compl. di denominazione. Per quanto riguarda il nome del lago in oggetto abbiamo
diverse denominazioni. Nel NT è conosciuto come hV8"FF" J­H '"848"\"H, «mare di
Galilea» (Mt 4,18; 15,29; Mc 1,16; 7,31; Gv 6,1) e occasionalmente come hV8"FF" J­H
I4$gD4V*@H, «mare di Tiberiade» (Gv 6,1). Nella stragrande maggioranza delle ricorrenze
è indicato semplicemente come º hV8"FF", «il mare» (= «il lago»). Nell’AT è chiamato
;9GGƒE<< .I*, ya) m kinne7re75t , da 9|ƒE, kinnôr, «arpa», «lira» e, dunque, «il mare a forma di arpa»
(cf. Nm 34,11). Strabone lo chiama 'g<<0F"DÃJ4H (cf. Id., Geogr., 16,2,16); Plinio il
Vecchio lo chiama «Genesarem» (cf. Id., Nat. hist., 5,71); Giuseppe Flavio lo indica con
8\:<0 'g<<0FVD, «lago di Gennesar» (cf. Id., Bellum, 3,506) oppure 8\:<0 I4$gD4VH,
«lago di Tiberiade» (cf. Id., Bellum, 3,57; cf. anche Pausania, Perieg., 5,7,4). Stessa
definizione in latino (= «lacus Tiberiadis») riportano Solino (cf. Id., Collect., 35,3) e Giulio
Onorio (cf. Id., Cosm., 2,6). Circa le dimensioni del lago Plinio il Vecchio offre informazioni
accurate: «XVI passuum longitudinis, VI latitudinis» (Id., Nat. hist., 5,71). Solino si ferma
alla lunghezza: «extensus passuum sedecim millibus» (Id., Collect., 35,3). Il lago, dunque,
sarebbe lungo sedicimila passi (= 16 miglia) e largo seimila (= 6 miglia). Attualmente esso
misura 21 km da nord a sud e 12 km nella sua massima larghezza. Lo storico Giuseppe
Flavio ne fa una entusiastica descrizione:

«Il lago di Genezaret che prende il nome dal vicino territorio ha una larghezza di quaranta
stadi e una lunghezza di centoquaranta e, tuttavia, la sua acqua è dolce e ottima da bere; essa
infatti è più leggera della pesante acqua di palude ed è limpida perché le rive costiere sono
formate di ghiaia e di sabbia; inoltre, quando si attinge, ha una temperatura gradevole: è
meno fredda di quella di fiume o di sorgente, ma resta sempre più fresca di quanto si
aspetterebbe data l’estensione del lago. Quest’acqua, poi, diventa ghiacciata come la neve
quando viene esposta all’aria, come appunto sogliono fare i paesani nelle notti d’estate. Nel
lago vivono molte specie di pesci, diversi per quanto riguarda la forma e il gusto da quelli
di ogni altro luogo […]. Lungo il lago di Genezaret si distende una regione che ha lo stesso
nome, formata da ricchezze naturali e di una bellezza meravigliosa. La sua fertilità permette
ogni cultura e chi la lavora vi fa crescere di tutto; il clima è così temperato che si adatta anche
alle piante più svariate. I noci, alberi particolarmente idonei alle regioni fredde, vi crescono
innumerevoli accanto alle palme che richiedono il caldo, inoltre vi sono fichi e ulivi, cui si
addice un’aria più mite […]. Il territorio si estende lungo la riva del lago omonimo, per una
lunghezza di trenta stadi e una larghezza di venti. Tale è, dunque, la sua natura» (Giuseppe
Flavio, Bellum, 3,506–521).

In questo suggestivo contesto geografico e ambientale si svolse buona parte del


ministero galileo di Gesù.
Mc 1,16 81

gÉ*g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc 1,10.
L’informazione secondo la quale Gesù «vede» qualcuno prima di chiamarlo alla sequela è
una costante dei racconti di vocazione (cf. Mt 4,18.21; 9,9; Mc 1,16.19; 2,14; 8,33;
10,21.23.27; 19,26; Lc 18,24; 19,5; Gv 9,1). Non si tratta di una annotazione cronachistica:
Gesù «vede» come vede Dio che secondo l’AT vede per intervenire, liberare, eleggere,
provvedere, destinare a un compito (cf. Es 3,7–8; Gn 22,8; Os 9,10; 1Sam 16,7). Lo sguardo
di elezione di Gesù ha la forza della «conoscenza» con cui Dio coinvolge il profeta (cf. Ger
1,5; Is 49,1.5), l’apostolo (cf. Gal 1,15) e ogni credente (cf. Gal 4,9).
E\:T<": sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da E\:T<, –T<@H, Simone, Simeone;
compl. oggetto. Traslitterazione grecizzata del nome proprio maschile di origine ebraica
0|3/A– E , Šim‘ôn. La traduzione dei LXX rende abitualmente il nome semitico con la forma
greca EL:gf<, Simeone, benché in alcuni libri recenti (Siracide, 1–2 Maccabei) viene usata
l’originaria forma greca E\:T<. La tendenza è esattamente opposta nel NT: regolarmente
ricorre la forma greca E\:T<, mentre l’uso di EL:gf< compare soltanto in riferimenti
all’AT o in passi dal tono solenne e semitizzante (cf. Lc 2,25.34; 3,30; At 13,1; 15,14; 2Pt
1,1; Ap 7,7). Per convenzione, nelle traduzioni moderne l’ebraico 0|3/ A–E , Šim‘ôn e la sua
traslitterazione greca EL:gf< sono resi con «Simeone», mentre il greco E\:T< è reso con
«Simone» (regola non da tutti rispettata). Il vocabolo E\:T< ricorre 75 volte nel NT. In 48
ricorrenze si riferisce all’apostolo Simone/Pietro, uno dei Dodici: Mt 4,18; 10,2; 16,16.17;
17,25; Mc 1,16[x2].29.30.36; 3,16; 14,37; Lc 4,38[x2]; 5,3.4.5.8.10[x2]; 6,14; 22,31[x2];
24,34; Gv 1,40.41.42; 6,8.68; 13,6.9.24.36; 18,10.15.25; 20,2.6; 21,2.3.7.11.15[x2].16.17;
At 10,32; 11,13. In At 15,14 e 2Pt 1,1 l’apostolo Pietro è indicato con la grafia EL:gf<.
Nelle altre occorrenze il vocabolo è impiegato per designare: b) l’apostolo Simone il
Cananeo/Zelota, uno dei Dodici (cf. Mt 10,4; Mc 3,18; Lc 6,15; At 1,13); c) Simone,
“fratello” di Gesù (cf. Mt 13,55; Mc 6,3); d) Simone il lebbroso (cf. Mt 26,6; Mc 14,3; Lc
7,40.43.44); e) Simone Iscariota, padre di Giuda (cf. Gv 6,71; 13,2.36); f) Simone di Cirene
(cf. Mt 27,32; Mc 15,21; Lc 23,26); g) Simone il mago (cf. At 8,9.13.18.24); h) Simone il
conciatore (cf. At 9,43; 10,6.17.32); i) Simone, discepolo di Giaffa (cf. At 10,5.18). A livello
storico Simone rimase il nome abituale e familiare di Pietro durante il periodo evangelico.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
z!<*DX"<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z!<*DX"H, –@L, Andrea; compl.
oggetto. Il vocabolo ricorre 13 volte nel NT, sempre in riferimento all’apostolo Andrea: Mt
4,18; 10,2; Mc 1,16.29; 3,18; 13,3; Lc 6,14; Gv 1,40.44; 6,8; 12,22[x2]; At 1,13. Nome
proprio di origine greca (dal tema •<*D– di •<ZD, «uomo», «virile», «coraggioso»), usato
sia nella grecità classica sia in epoca ellenistica (cf. Erodoto, Hist., 6,126,1; Diodoro Siculo,
Bibl., 8,24,1; Giuseppe Flavio, Antiq., 12,50). Andrea e Filippo sono gli unici due membri
del gruppo dei Dodici che portano nomi greci. Sorprendentemente nella tradizione sinottica
Andrea è raramente associato a suo fratello Pietro: rispetto agli altri evangelisti è Marco che
più frequentemente congiunge Andrea a Pietro.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
•*g8n`<: sost., acc. sing. m. da •*g8n`H, –@Ø, fratello; apposizione di z!<*DX"<. Il
vocabolo ricorre 343 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 39 volte in
82 Mc 1,16

Matteo (corrispondente allo 0,213% del totale delle parole); 20 volte in Marco (cf. Mc
1,16.19; 3,17.31.32.33.34.35; 5,37; 6,3.17.18; 10,29.30; 12,19[x3].20; 13,12[x2] = 0,177%);
24 volte in Luca (0,123%); 14 volte in Giovanni (0,090%). Per il commento lessicale a
questo vocabolo cf. Mc 3,31.
E\:T<@H: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da E\:T<, –T<@H, Simone, Simeone;
cf. Mc 1,16; compl. di specificazione.
•:n4$V88@<J"H: verbo, acc. plur. m. part. pres. da •:n4$V88T (da •:n\ e $V88T), gettare
intorno, gettare attorno [la rete]. Hapax neotestamentario. Participio predicativo del
complemento oggetto E\:T<" i"Â z!<*DX"<. La forma verbale può essere resa non
soltanto mediante una proposizione temporale («vide Simone e Andrea… mentre gettavano
le reti»), ma anche con una proposizione relativa («vide Simone e Andrea… che gettavano
le reti») o anche, meno bene, con il semplice infinito: «vide Simone e Andrea… gettare le
reti». Nel greco classico il verbo •:n4$V88T è costruito quasi sempre con un complemento
(accusativo o dativo) per indicare il generico «gettare attorno», «avvolgere» (cf. Omero, Il.,
18,204, tmesi; Od., 10,365, tmesi; Pindaro, Pyth., 5,31). In senso ristretto il verbo assume il
significato di «cingere» ostilmente qualcuno o qualcosa: nØ8@< ÏD<\hT< •:n4$"8f<,
«avendo preso nella rete la razza degli uccelli» (cf. Sofocle, Antig., 343). Qui è impiegato in
modo assoluto per indicare l’atto di «gettare attorno» con gesto semicircolare la rete da pesca.
Probabilmente si tratta di una specie di giacchio, ossia una rete conica da pesca ad apertura
circolare (detta in italiano anche rezzaglio o sparviero), già nota agli antichi Egiziani: viene
lanciata in acqua da un pescatore e, mentre affonda, la bocca appesantita da piombi si chiude
lentamente e imprigiona i pesci che incontra nella discesa.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
h"8VFF®: sost., dat. sing. f. da hV8"FF", –0H, mare; cf. Mc 1,16; compl. di stato in luogo.
µF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf.
Mc 1,6. Predicato verbale. Il tempo imperfetto sottolinea che si tratta di una condizione
abituale di vita. La formula µF"< (VD / µ< (VD, analogamente a i"Â µF"< / i"Â µ< e a
µF"< *X / µ< *X, è usata da Marco per introdurre un inciso di valore causale o esplicativo
(cf. Mc 1,16.33; 2,15; 5,42; 6,31.44.48; 7,26; 8,9; 10,22; 11,13; 14,40; 15,25; 16,14).
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti. Questa congiunzione ricorre 1041
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 124 volte in Matteo (corrispondente
allo 0,676% del totale delle parole); 66 volte in Marco (cf. sotto le singole ricorrenze =
0,584%); 97 volte in Luca (0,498%); 64 volte in Giovanni (0,409%). La congiunzione è
pospositiva poiché non si incontra mai all’inizio di una proposizione. Analogamente a quanto
avviene nel greco classico, nel NT (VD esprime generalmente un senso esplicativo
confermativo (o epesegetico), corrispondente alle congiunzioni italiane «infatti», «cioè», «in
realtà». Nella stragrande maggioranza delle ricorrenze marciane (VD è presente con tale
significato (cf. Mc 1,16.22.38; 2,15; 3,10.21.35; 4,22.25; 5,8.28.42; 6,14.17.18.20.31.50.52;
7,3.10.21.27; 8,35.36.37.38; 9,6[x2].31.34.39.40.41.49; 10,27.45; 11,13.18a.32; 12,12.14.23.
25.44; 13,8.11.19.22.35; 14,2.5.7.40.56.70; 15,10; 16,8b). Talvolta la congiunzione viene
Mc 1,17 83

impiegata per esprimere un più stretto rapporto causale tra due espressioni, nel senso che la
seconda spiega, offrendone la motivazione, quella che precede: in tal caso (VD corrisponde
all’italiano «poiché», «perché», «giacché» (cf. Mc 6,48; 10,14.22; 11,18b; 13,33; 16,8a).
Tuttavia non sempre è facile distinguere esattamente tra un significato esplicativo e uno
causale, poiché la congiunzione coordinante confermativa ha sintatticamente lo stesso valore
delle congiunzioni subordinanti causali. Altrove la congiunzione può avere altre sfumature,
potendo assumere un valore rafforzativo («appunto», «veramente», «proprio»: Mc 16,4) o
affermativo, dopo domande retoriche («sì», «certo», «davvero»: Gv 9,30; At 16,37; 1Cor
9,10). In qualche caso la congiunzione (VD è pleonastica e nella traduzione può essere
omessa (cf. Mc 15,14).
84gÃH: sost., nom. plur. m. da 84gbH, 84XTH, pescatore; predicato nominale. Il vocabolo
ricorre 5 volte nel NT: Mt 4,18.19; Mc 1,16.17; Lc 5,2. Il sostantivo a partire da Omero è
usato nella letteratura greca per indicare il generico «pescatore» (cf. Omero, Od., 12,251;
Erodoto, Hist., 3,42,3; Platone, Ion, 539e; Gb 40,31, LXX). Gesù va incontro all’uomo nel
quotidiano, per mutarne il destino, come già era accaduto a profeti, capi carismatici e re
d’Israele, chiamati da Dio mentre esercitavano il mestiere abituale di pastori o agricoltori (cf.
Es 3,1–2; Gdc 6,11; 1Sam 16,11–12; Sal 78,71; Am 7,14).

1,17 i" gÉBg< "ÛJ@ÃH Ò z30F@ØHs )gØJg ÏB\FT :@Ls i" B@4ZFT ß:H (g<XFh"4
84gÃH •<hDfBT<.
1,17 Gesù disse loro: «Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; compl. di termine. La forma "ÛJ@ÃH ricorre 558 volte nel NT
rispetto alle 5600 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 103 volte in Matteo (corrispondente allo 0,561% del totale delle parole); 120 volte
in Marco (1,062%); 91 volte in Luca (0,467%); 100 volte in Giovanni (0,640%).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
)gØJg: interiez. impropria con valore esortativo (da *gØD@ e ÇJg, 2a pers. plur. imperat. pres. di
gÉ:4), indecl., via!, su!, suvvia!, orsù!, venite! La forma *gØJg ricorre 12 volte nel NT: Mt
4,19; 11,28; 21,38; 22,4; 25,34; 28,6; Mc 1,17; 6,31; 12,7; Gv 4,29; 21,12; Ap 19,17. Nella
maggior parte delle ricorrenze questa interiezione esortativa è seguita da un imperativo o un
congiuntivo aoristo. In alcuni casi, come qui, si trova all’uso assoluto, per esprimere un
invito, una esortazione, un comando rivolto agli interlocutori. Morfologicamente è una
formula avverbiale utilizzata in contesti dinamici e nel quadro della nostra scena costituisce,
insieme alla locuzione ÏB\FT :@L, una formula molto pregnante che indica immediatezza
84 Mc 1,17

e calore umano. L’espressione *gØJg ÏB\FT traduce l’ebraico *9F( C! H , ’ahEa7 rê: una formula
che nell’AT, in dipendenza da verbi di movimento, quali «andare», «correre», ecc., presenta
svariate tonalità di concetto che vanno dalla sequela fisica all’obbedienza personale: seguire
il capo (cf. Gdc 9,4), il marito (cf. Ger 2,2), il maestro (cf. 1Re 19,20), altri dèi (cf. Gdc
2,12; 1Re 21,26; Ger 11,10; Os 2,7.15), lo stesso Yhwh (cf. Es 13,21; Dt 1,36; 13,5; 1Re
14,8; 18,21; 2Re 23,3; 2Cr 34,31). Pronunciato da Gesù, il comando richiede una inversione
di marcia: lasciare tutto ed entrare alla sua sequela (cf. Mc 1,7.9.14.16.19). Con il comando
*gØJg ÏB\FT :@L Gesù ricorda ai chiamati che egli sarà il continuo punto di riferimento del
loro nuovo cammino, in contrapposizione alle tradizioni del rabbinato, secondo le quali erano
gli allievi a scegliersi il maestro fino al giorno in cui si staccavano da lui e fondavano la
propria scuola. Nel nostro caso non si tratta di accompagnarsi a Gesù per un determinato
tempo, ma di seguirlo per tutta la vita. Dal punto di vista comunicativo (formale e
sostanziale) si deve osservare che i discepoli sono gli interlocutori preferiti di Gesù: su 170
imperativi pronunciati da Gesù, 107 sono rivolti direttamente ai discepoli sotto forma di
comandi (85 volte: Mc 1,15.17.20; 2,14; 3,9.13.14.34; 4,3.9.23.24; 6,7.9.10.11.31.37.38.39.
41.45.50; 7,14; 8,1.5.6.7.15.33.34; 9,35.43.45.47.50; 10,14.42.43.44; 11,2.3.22.24.25;
13,5.9.11.13.18.23.28.29.33.34.35.37; 14,13.14.15.22.32.34.38.42), di proibizioni (12 volte:
Mc 5,43; 6,8.9.50; 8,3; 9,9.39; 10,14.43; 13,7.11.21), di rimproveri (10 volte: Mc 4,40; 7,18;
8,17.18.21), di esortazioni (3 volte: Mc 1,38; 4,35; 14,42). I comandi costituiscono il più
abbondante materiale letterario di cui si serve Marco nei racconti in tema di sequela.
ÏB\FT: prep. impropria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., dietro, dietro di; cf. Mc
1,7.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2.
i"\: cong. coordinativa di valore consecutivo, indecl., sicché, cosicché, che; cf. Mc 1,4. La
congiunzione assume qui una sfumatura consecutiva che introduce il futuro del verbo
B@4XT: «venite… cosicché possa fare di voi pescatori di uomini». Il significato consecutivo
che può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ consecutivum) si ritrova in Mc 1,17b.27c;
5,4d; 9,5b; 10,21c; 14,62a.
B@4ZFT: verbo, 1a pers. sing. ind. fut. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere, compiere;
cf. Mc 1,3. Il verbo transitivo B@4XT in questo caso ha come oggetto una proposizione
infinitiva con il soggetto all’accusativo (ß:H). Grammaticalmente la traduzione esatta non
è «vi farò diventare pescatori di uomini», ma «farò che voi possiate diventare pescatori di
uomini». Si tratta di una sfumatura che non cambia il significato dell’espressione; in tal senso
è accettabile anche la traduzione «farò di voi pescatori di uomini». Il futuro gnomico
B@4ZFT descrive in forma globale l’azione formatrice di Gesù sui chiamati: il verbo B@4XT
usato qui da Marco è l’equivalente consueto dell’ebraico %” I 3I, ‘a) 'sa) h, utilizzato nel TM
anche per l’attività creatrice di Dio. Si deve infine osservare che nel linguaggio giuridico
dell’AT il futuro che segue un imperativo viene usato per esprimere disposizioni e leggi e
sostituisce l’imperativo, conservando tutto il suo significato. La successione formata da
imperativo + i"\ + futuro compare anche in Mc 6,22; 10,21; 11,24.29.
Mc 1,18 85

ß:H: pron. personale di 2a pers. acc. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 1,8; soggetto della proposizione oggettiva costruita con il verbo infinito (g<XFh"4.
(g<XFh"4: verbo, inf. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere, nascere, essere,
accadere, apparire; cf. Mc 1,4. Il verbo (\<@:"4 assolve qui la funzione copulativa,
analoga a quella espletata dal verbo «essere» (gÆ:\).
84gÃH: sost., acc. plur. m. da 84gbH, 84XTH, pescatore; cf. Mc 1,16; compl. predicativo del
soggetto ß:H.
•<hDfBT<: sost., gen. plur. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; compl. di
specificazione. Il vocabolo ricorre 550 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 115 volte in Matteo (corrispondente allo 0,627% del totale delle parole); 56 volte
in Marco (cf. Mc 1,17.23; 2,10.27[x2].28; 3,1.3.5.28; 4,26; 5,2.8; 7,7.8.11.15[x3].
18.20[x2].21.23; 8,24.27.31.33.36.37.38; 9,9.12.31[x2]; 10,7.9.27.33.45; 11,2.30.32;
12,1.14; 13,26.34; 14,13.21[x4].41.62.71; 15,39 = 0,495%); 95 volte in Luca (0,488%); 59
volte in Giovanni (0,377%). Nel greco sia classico che ellenistico il termine –<hDTB@H
indica la specie umana, l’essere umano, in senso sia generico che individuale, in opposizione
agli animali o anche alla divinità (cf. Omero, Il., 1,339; 5,442; Platone, Prot., 321c: JÎ
•<hDfBT< (X<@H, «la stirpe degli uomini», «la razza umana»). I LXX traducono con
–<hDTB@H il corrispettivo ebraico .$I! I , ’a) d5a) m, il quale ricorre nell’AT 562 volte, quasi
sempre per indicare l’«uomo» con significato collettivo («specie umana», «umanità») o
individuale (cf. Gn 6,3.5; 8,21; Nm 16,29, ecc.). Analogamente a quanto avviene nel greco
classico e in quello dei LXX, nei vangeli sinottici il vocabolo indica sia l’uomo come essere
vivente, l’uomo in senso generale, sia l’uomo come singolo individuo senza particolari
significati teologici (diversamente da quanto avviene nel vangelo di Giovanni e negli scritti
di Paolo). L’esatta espressione «pescatori di uomini» non ricorre mai nell’AT e la metafora
della pesca applicata a esseri umani (o l’uso dell’amo per catturarli) è relativamente rara (cf.
Ger 16,16; Ez 12,13). Quando ricorre, inoltre, l’immagine ha sempre un significato ostile di
catturare o uccidere esseri umani. Altre immagini anticotestamentarie che riguardano la pesca
presentano una connotazione negativa (cf. Gb 40,25; Ez 29,4–5; Am 4,2; Ab 1,14–15). Qui,
al contrario, la metafora viene usata da Gesù in senso positivo, con valore salvifico. La
promessa da parte di Gesù di rendere i discepoli «pescatori di uomini» equivale, pertanto, al
conferimento di una missione: la congiunzione i"\, di valore consecutivo e/o finale, seguita
dal futuro, accentua questa intenzione. «Pescare uomini» diviene la consegna di una sequela
militante: i discepoli dovranno conquistare gli uomini, il bottino del «forte» (cf. Mc 3,27) e
liberare i prigionieri da un dominio avverso (cf. Mc 3,24). Il primo e vero “pescatore” resta
Gesù, il quale trasmette questa consegna ad altri: «Felix piscationis mutatio: piscatur eos
Iesus, ut ipsi piscentur alios piscatores. Ipsi primum pisces efficiuntur, ut piscentur a Cristo,
postea ipsi alios piscaturi», «Che felice cambiamento in questa pesca: è Gesù che li pesca
perché essi a loro volta peschino altri pescatori. Prima essi sono come dei pesci che vengono
pescati da Cristo, poi saranno essi stessi a pescarne altri» (Girolamo, In Marc., Sermo 1).

1,18 i" gÛh×H •nX<JgH J *\iJL" ²i@8@bh0F"< "ÛJè.


1,18 E subito, lasciate le reti, lo seguirono.
86 Mc 1,18

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10. All’urgenza escatologica
dell’appello deve corrispondere l’obbedienza pronta.
•nX<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, mandare via,
abbandonare, rimettere, perdonare [il peccato]. Participio predicativo del soggetto
sottinteso E\:T< i"Â z!<*DX"H. Questo verbo ricorre 143 volte nel NT. La distribuzione
nei vangeli è la seguente: 47 volte in Matteo (corrispondente allo 0,256% del totale delle
parole); 34 volte in Marco (cf. Mc 1,18.20.31.34; 2,5.7.9.10; 3,28; 4,12.36; 5,19.37;
7,8.12.27; 8,13; 10,14.28.29; 11,6.16.25[x2]; 12,12.19.20.22; 13,2.34; 14,6.50; 15,36.37 =
0,301%); 31 volte in Luca (0,159%); 15 volte in Giovanni (0,096%). Nel NT l’uso
linguistico di questo verbo, ricalcato su quello del greco profano, presenta un’ampia gamma
di sfumature: dal significato base di «lasciare» (cf. Mc 1,18) derivano quelli di «abbandonare»
(cf. Mc 1,20); «lasciare in pace», «lasciare fare» (cf. Mc 11,6); «permettere», «concedere» (cf.
Mc 1,34); in senso traslato «discolpare», «perdonare», «rimettere» [il peccato] (cf. Mc
2,5.7.9.10; 3,28). Usato in forma ellittica o assoluta, nel senso di «perdonare», si trova in Mc
4,12; 11,25a. Il verbo si trova anche come formula ellenistica di richiesta e di supplica
nell’espressione –ngH (–ngJg), «permetti(mi)», «permettete(mi)» (cf. Mc 7,27; 15,36).
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo. La forma JV ricorre 836 volte nel NT rispetto
alle 19.862 ricorrenze totali dell’articolo. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 110 volte
in Matteo (corrispondente allo 0,600% del totale delle parole); 51 volte in Marco (0,460%);
104 volte in Luca (0,534%); 81 volte in Giovanni (0,518%).
*\iJL": sost., acc. plur. n. da *\iJL@<, –@L, rete [da pesca]; compl. oggetto. Il vocabolo
ricorre 12 volte nel NT: Mt 4,20.21; Mc 1,18.19; Lc 5,2.4.5.6; Gv 21,6.8.11[x2]. Nella
letteratura greca il sostantivo *\iJL@< indica la generica «rete» utilizzata per la caccia (cf.
Erodoto, Hist., 1,123,4; Aristofane, Av., 1083), ma più spesso per la pesca (cf. Omero, Od.,
22,386; Eschilo, Ch., 506). A questa gamma semantica appartiene anche il *4iJLgbH, ossia
il «pescatore» con la rete (cf. Strabone, Geogr., 8,7,2; Eliano, Nat. anim., 1,12).
²i@8@bh0F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •i@8@LhXT, seguire, accompagnare, mettersi
dietro. Questo verbo ricorre 90 volte nel NT: 25 volte in Matteo (cf. Mt 4,20.22.25;
8,1.10.19.22.23; 9,9[x2].19.27; 10,38; 12,15; 14,13; 16,24; 19,2.21.27.28; 20,29.34; 21,9;
26,58; 27,55, corrispondente allo 0,136% del totale delle parole); 17 [18] volte in Marco (cf.
Mc 1,18; 2,14[x2].15; [3,7]; 5,24; 6,1; 8,34[x2]; 9,38; 10,21.28.32.52; 11,9; 14,13.54; 15,41
= 0,159%); 17 volte in Luca (cf. Lc 5,11.27.28; 7,9; 9,11.23.49.57.59.61; 18,22.28.43;
22,10.39.54; 23,27 = 0,087%); 19 volte in Giovanni (cf. Gv 1,37.38.40.43; 6,2; 8,12;
10,4.5.27; 11,31; 12,26; 13,36[x2].37; 18,15; 20,6; 21,19.20.22 = 0,122); At 12,8.9; 13,43;
21,36; 1Cor 10,4; Ap 6,8; 14,4.8.9.13; 19,14. Nel greco profano il verbo •i@8@LhXT
esprime, oltre al significato letterale fisico di «seguire», «andare dietro a», «accompagnare»
(cf. Aristofane, Eccl., 1077; Platone, Resp., 474c), anche quello di «aderire», «obbedire» a
qualcuno o a qualcosa in senso figurato, morale o religioso (cf. Tucidide, Hist., 3,38,6;
Ippocrate, Septim., 2,74.79.83). Nell’AT e nella letteratura rabbinica il generico verbo
«seguire» (…-H% I , ha) lak) è usato in contesti di sequela senza alcun connotato religioso o
teologico: il guerriero segue il comandante (cf. Gdc 9,4.49), la sposa segue il suo sposo (cf.
Mc 1,19 87

Ger 2,2), il discepolo segue il proprio maestro (cf. 1Re 19,20). Anche nella sequela del
discepolo rispetto al maestro il verbo esprime soltanto un andare dietro in senso fisico, onde
poter espletare i vari servizi che il discepolo era chiamato a eseguire. Nell’istituzione
rabbinica questo rapporto viene descritto in forma stereotipa: il maestro (rabbino) avanza a
piedi o sopra un asino, il discepolo gli viene dietro, a piedi e a debita distanza: «Accadde che
Rabbi Yohanan ben Zakkai cavalcava un asino e i suoi discepoli lo seguivano a piedi…»
(b.Ket., 66b). La formula è sempre la stessa: in nessun passo essa esprime una valenza
teologica di questo seguire fisico. Diversamente da questo sfondo linguistico profano e
giudaico, in cui •i@8@LhXT / …-H% I esprime un generico seguire, nel NT il verbo diventa
tecnico poiché è quasi sempre usato in riferimento alla sequela di Gesù, in senso sia fisico
che metaforico (= «aderire», «credere»). In Marco su un totale di 18 ricorrenze, 17 sono
connesse a questo tema. Gesù è complemento di •i@8@LhXT (eccetto Mc 9,38; 14,13) in
entrambi i significati, sia quando il verbo esprime una sequela fisica sia quando è implicato
un seguire religioso e teologico. Gesù è seguito dalla folla o da persone generiche (cf. Mc
2,15; 3,7; 5,24; 11,9), da gruppi o personaggi specifici (cf. Mc 10,52; 14,54; 15,41), dai
discepoli (cf. Mc 6,1; 10,28.32), da alcuni che ricevono tale ordine da Gesù stesso (cf. Mc
1,18; 2,14[x2]; 8,34[x2]; 10,21). Nasce così l’idea che vi è un unico rapporto che lega il
maestro (Gesù) al discepolo e che soltanto questo rapporto può essere espresso con il verbo
«seguire»: si segue Gesù, il Maestro, per vivere in intimità con lui (cf. Mt 19,27), per ottenere
da lui la salvezza (cf. Lc 9,61; Gv 8,12), per imitarlo («Quid est enim sequi nisi imitari?»,
Agostino, De virg., 27), per prendere parte al suo stesso destino (cf. Mt 8,19). Sebbene
questa sequela sia aperta a tutti, soltanto a proposito dei discepoli si può parlare di sequela
vera e propria: la folla segue Gesù occasionalmente, sulla strada, senza instaurare con lui una
comunanza di vita intima e stabile come fanno, invece, i discepoli. Non deve pertanto
sorprendere che nella stragrande maggioranza delle ricorrenze neotestamentarie il verbo
•i@8@LhXT viene usato soltanto nei vangeli e soltanto per indicare il rapporto tra il Gesù
della storia e i discepoli.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.

1,19 5" BD@$H Ï8\(@< gÉ*g< z3ViT$@< JÎ< J@Ø -g$g*"\@L i" z3TV<<0< JÎ<
•*g8nÎ< "ÛJ@Ø i" "ÛJ@×H ¦< Jè B8@\å i"J"DJ\.@<J"H J *\iJL"s
1,19 Andando un poco oltre vide Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello, mentre
erano sulla barca e riassettavano le reti.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


BD@$VH: verbo, nom. sing. m. part. aor. da BD@$"\<T (da BD` e la radice di $VF4H), andare
avanti, proseguire, continuare. Questo verbo ricorre 5 volte nel NT: Mt 4,21; Mc 1,19
(hapax marciano); Lc 1,7.18; 2,36. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH.
Nella letteratura greca BD@$"\<T è usato in senso letterale proprio nel significato di
«procedere», «andare avanti», «trascorrere», detto di uomini, animali o cose (cf. Omero, Il.,
13,18; Euripide, Ph., 1412; Erodoto, Hist., 3,53,1).
88 Mc 1,19

Ï8\(@<: pron. indefinito (qui con valore di avverbio di quantità), acc. sing. n. da Ï8\(@H, –0,
–@<, poco, un po’, per un po’. Il vocabolo ricorre 40 volte nel NT: Mt 7,14; 9,37; 15,34;
22,14; 25,21.23; Mc 1,19; 6,5.31; 8,7; Lc 5,3; 7,47[x2]; 10,2; 12,48; 13,23; At 12,18; 14,28;
15,2; 17,4.12; 19,23; 26,28.29; 27,20; 2Cor 8,15; Ef 3,3; 1Tm 4,8; 5,23; Eb 12,10; 4,14; 1Pt
1,6; 3,20; 5,10.12; Ap 2,14; 3,4; 12,12; 17,10. Da Omero in poi è molto comune l’uso
avverbiale del neutro Ï8\(@< (anche nella forma ¦< Ï8\(å) nel significato sia spaziale che
temporale corrispondente a «un po’», «poco», «per poco» (cf. Omero, Il., 19,217; Od.,
15,365; Euripide, Cycl., 163).
gÉ*g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc 1,10.
z3ViT$@<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z3ViT$@H, –@L, Giacomo; compl.
oggetto. Traslitterazione grecizzata del nome proprio maschile di origine amorrea ed ebraica
"J83CH*, Ya‘a7 qo) b5, «Dio protegga», reso in greco anche con z3"if$, tradotto in italiano con
«Giacobbe» (cf. Mc 12,26). Per l’etimologia cf. Mc 12,26. Il vocabolo ricorre 42 volte nel
NT. Riferito all’apostolo Giacomo, il figlio di Zebedeo e il fratello di Giovanni, ricorre 21
volte: Mt 4,21; 10,2; 17,1; Mc 1,19.29; 3,17[x2]; 5,37[x2]; 9,2; 10,35.41; 13,3; 14,33; Lc
5,10; 6,14; 8,51; 9,28.54; At 1,13; 12,2. Nelle altre ricorrenze neotestamentarie il nome
z3ViT$@H è impiegato per indicare: a) l’apostolo Giacomo, figlio di Alfeo (cf. Mt 10,3; Mc
3,18; Lc 6,15; At 1,13); b) un altro Giacomo, indicato talvolta come «fratello di Gesù»,
«fratello del Signore», «servo del Signore Gesù Cristo» (cf. Mt 13,55; Mc 6,3; At 12,17;
15,13; 21,18; 1Cor 15,7; Gal 1,19; 2,9.12; Gc 1,1); c) un altro Giacomo definito «fratello di
Giuda» (Gd 1,1); d) un altro Giacomo, definito Ò :4iD`H, probabilmente da identificare con
Giacomo di Alfeo (cf. Mt 27,56; Mc 15,40; 16,1; Lc 24,10); e) Giacomo, padre di Giuda (cf.
Lc 6,16; At 1,13); f) nella grafia z3"if$ il patriarca Giacobbe (cf. Mt 1,2[x2].15; 8,11;
22,32; Mc 12,26; Lc 1,33; 3,34; 13,38; 20,37; Gv 4,5.6.12; At 3,13; 7,8[x2].12.14.15.32.46;
Rm 9,13; 11,26; Eb 11,9.20.21); g) nella grafia z3"if$ Giacobbe, padre di Giuseppe, lo
sposo di Maria (cf. Mt 1,15.16).
J`<: art. determ., con valore pronominale, acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2; compl.
oggetto. «Quello di Zebedeo», ossia «il figlio di Zebedeo». Uso pronominale dell’articolo,
corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso, senza
enfasi speciale. La designazione di una persona secondo il padre è classica, tuttavia presso
i semiti si preferisce esplicitarla mediante il sostantivo LÊ`H: z3TV<<0< JÎ< -"P"D\@L
LÊ`<, «Giovanni, figlio di Zaccaria» (Lc 3,2). Se LÊ`H viene omesso il legame di parentela
è formulato senza alcun articolo: z3ViT$@< {!8n"\@L, «Giacomo di Alfeo» (Lc 6,15)
oppure compare l’articolo che diversamente dall’uso classico è seguito dall’altro articolo: è
il nostro caso. Stesso fenomeno in Mc 2,14; 3,17.18.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
-g$g*"\@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da -g$g*"Ã@H, –@L, Zebedeo; compl.
di specificazione. Il vocabolo ricorre 12 volte nel NT: Mt 4,21[x2]; 10,2; 20,20; 26,37; 27,56;
Mc 1,19.20; 3,17; 10,35; Lc 5,10; Gv 21,2. Traslitterazione grecizzata del nome proprio
maschile di origine ebraica *yE"A'H, Zab5dî (o %IyE"A'H, Zab5diyya) h), «Yah[weh] ha donato». La
forma -g$g*"Ã@H non è attestata nei LXX che traducono il nome ebraico con -"$*4, Zabdi
(1Cr 8,19), -"$*4"H, Zabdia (1Cr 27,7.21; 2Cr 17,8; 19,11), -"$*"4@H, Zabdaio (1Esd.,
Mc 1,19 89

9,21). Giuseppe Flavio riporta il nome ebraico nella grafia greca -g$g*"Ã@H (cf. Id., Antiq.,
5,33). Sappiamo che alcuni rabbini portavano questo nome (cf. Strack–Bill., I,188).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
z3TV<<0<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z3TV<<0H, –@L, Giovanni; compl.
oggetto. Il vocabolo ricorre 54 volte nel NT. Nei vangeli il nome z3TV<<0H, riferito
all’apostolo Giovanni, il figlio di Zebedeo e il fratello di Giacomo, ricorre 20 volte: Mt 4,21;
10,2; 17,1; Mc 1,19.29; 3,17; 5,37; 9,2.38; 10,35.41; 13,3; 14,22; Lc 5,10; 6,14; 8,51;
9,28.49.54; 22,8. Per quanto riguarda l’etimologia vedi commento a Mc 1,4.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
•*g8n`<: sost., acc. sing. m. da •*g8n`H, –@Ø, fratello; cf. Mc 1,16; apposizione di
z3TV<<0<. Per il commento lessicale a questo vocabolo vedi Mc 3,31.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
i"\: cong. coordinativa di valore temporale, indecl., mentre, quando; cf. Mc 1,4. Il significato
temporale che può assumere la congiunzione i"\ si ritrova in Mc 1,19c; 10,10; 14,62b;
15,25a.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; compl. oggetto. La forma "ÛJ@bH ricorre 358 volte nel NT
rispetto alle 5600 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 48 volte in Matteo (corrispondente allo 0,262% del totale delle parole); 46 volte
in Marco (0,407%); 87 volte in Luca (0,447%); 19 volte in Giovanni (0,122%). La frase alla
lettera suona: «…vide Giacomo… e Giovanni… e quelli stavano riparando…»; si tratta di
una costruzione paratattica di stile semitico, corrispondente a una proposizione subordinata
circostanziale, temporale o relativa: «…vide Giacomo… e Giovanni… mentre riparava-
no…»; «…vide Giacomo… e Giovanni… che riparavano…». Stesso fenomeno in Mc 4,27.
L’espressione risente dell’episodio della vocazione di Eliseo dove si legge due volte i"Â
"ÛJ@bH, con i"\ epesegetico (cf. 1Re 19,19, LXX).
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
Jè: art. determ., dat. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2. L’articolo è qui usato come
indicazione di proprietà: erano sulla «loro» barca, quella appartenente a Giacomo e
Giovanni.
B8@\å: sost., dat. sing. n. da B8@Ã@<, –@L, barca; compl. di stato in luogo. Il vocabolo ricorre
67 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 13 volte in Matteo (corrisponden-
te allo 0,071% del totale delle parole); 17 volte in Marco (cf. Mc 1,19.20; 4,1.36[x2]. 37[x2];
5,2.18.21; 6,32.45.47.51.54; 8,10.14 = 0,150%); 8 volte in Luca (0,041%); 7 volte in
Giovanni (0,046%). Nel greco classico il termine B8@Ã@< è equivoco: può riferirsi sia alle
piccole imbarcazioni usate per la pesca, ossia la «barca» (cf. Senofonte, Anab., 7,1,20) sia
agli scafi impiegati per brevi spostamenti su laghi o tragitti costieri, come il «battello» (cf.
90 Mc 1,20

Erodoto, Hist., 7,36,2; Tucidide, Hist., 2,83,5) oppure alle grandi imbarcazioni per la
navigazione in mare aperto (= «nave»), usate per il commercio o il trasporto di truppe militari
(cf. Erodoto, Hist., 5,30,4; Tucidide, Hist., 1,14,1). In base al contesto storico e geografico
dei sinottici, B8@Ã@< indica la barca o il barcone da pesca. Una testimonianza archeologica
di simile imbarcazione è quella rinvenuta nel 1986 presso la riva del lago di Tiberiade, a circa
2 km a nord di Magdala, sulla sponda occidentale (vedi commento a Mc 4,38).
i"J"DJ\.@<J"H: verbo, acc. plur. m. part. pres. da i"J"DJ\.T (da i"JV e una parola
derivata da –DJ4@H), riassettare, sistemare, aggiustare, riparare. Questo verbo ricorre 13
volte nel NT: Mt 4,21; 21,16; Mc 1,19 (hapax marciano); Lc 6,40; Rm 9,22; 1Cor 1,10;
2Cor 13,11; Gal 6,1; 1Ts 3,10; Eb 10,5; 11,3; 13,21; 1Pt 5,10. Participio predicativo del
complemento oggetto z3ViT$@<… i"Â z3TV<<0<. Nella letteratura greca il verbo
i"J"DJ\.T è usato con diverse sfumature di significato: può indicare il generico «predispor-
re», «preparare» oppure, in senso ristretto, equivale a «allestire», equipaggiare», detto di
strumenti, navi, spedizioni, ecc. (cf. Polibio, Hist., 1,47,6; Diodoro Siculo, Bibl., 13,70,2). In
alcuni casi assume il significato di «riparare», «restaurare», «rimettere a posto», in senso
proprio o figurato (cf. Erodoto, Hist., 5,30,1; Plutarco, Marc., 10,2,4). Nel NT il verbo
assume il significato letterale proprio di «aggiustare», «sistemare» soltanto in questo passo
marciano: nelle altre ricorrenze è impiegato figuratamente con una sfumatura morale.
Quanto all’esatto significato è difficile precisare ulteriormente: i"J"DJ\.T può riferirsi sia
all’atto di «sistemare» le reti (= «riporre» ordinatamente) sia all’azione di «riparare» le reti
rotte.
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
*\iJL": sost., acc. plur. n. da *\iJL@<, –@L, rete [da pesca]; compl. oggetto; cf. Mc 1,18.

1,20 i" gÛh×H ¦iV8gFg< "ÛJ@bH. i" •nX<JgH JÎ< B"JXD" "ÛJä< -g$g*"Ã@< ¦<
Jè B8@\å :gJ Jä< :4FhTJä< •B­8h@< ÏB\FT "ÛJ@Ø.
1,20 E subito li chiamò. Ed essi, lasciato il loro padre Zebedeo sulla barca con i garzoni,
lo seguirono.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
¦iV8gFg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da i"8XT, chiamare, invitare, nominare. Questo
verbo ricorre 148 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 26 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,142% del totale delle parole); 4 volte in Marco (cf. Mc 1,20;
2,17; 3,31; 11,17 = 0,035%); 43 volte in Luca (0,221%); 2 volte in Giovanni (0,013%).
Questo secondo illocutivo (¦iV8gFg< "ÛJ@bH) costituisce un imperativo implicito con lo
stesso significato di Mc 1,17b. Nel suo significato generico il verbo i"8XT corrisponde a
«chiamare», «convocare», «invitare» (cf. Omero, Il., 1,402; Od., 1,90; Platone, Phaed., 115a).
Anche nel NT i"8XT è impiegato per indicare il generico «chiamare» o «invitare» qualcuno.
In altri contesti, tuttavia (es. Mc 1,20; 2,17), assume una caratteristica vocazionale e acquista
il senso pregnante, di ascendenza paolina, equivalente a invitare o chiamare a una missione
in contesto di salvezza (cf. Rm 8,30; 9,24; 1Cor 1,9; Gal 1,6.15; 1Ts 2,12; 4,7; 5,24; 2Ts
Mc 1,20 91

2,14). L’uso tecnico di i"8XT nel senso di «nominare», «soprannominare» (cf. Omero, Il.,
1,403; 5,306; Od., 8,550; Euripide, Ion, 259) non compare in Marco che, invece, impiega la
locuzione stereotipa ¦B4J\h0:4 Ð<@:" (cf. Mc 3,16).
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•nX<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare,
rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18. Participio predicativo del soggetto sottinteso z3ViT$@H…
i"Â z3TV<<0H.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B"JXD": sost., acc. sing. m. da B"JZD, B"JD`H, padre; apposizione di -g$g*"Ã@<. Il
vocabolo ricorre 413 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 63 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,343% del totale delle parole); 18 volte in Marco (cf. Mc 1,20;
5,40; 7,10[x2].11.12; 8,38; 9,21.24; 10,7.19.29; 11,10.25; 13,12.32; 14,36; 15,21 = 0,159%);
56 volte in Luca (0,287%); 136 volte in Giovanni 0,870%). Nel greco classico ed ellenistico
B"JZD è il «padre» carnale (cf. Omero, Il., 1,98; Od., 6,67) e in senso figurato l’«antenato»
(cf. Omero, Il., 6,209; Od., 8,245) oppure per analogia l’«inventore», il «creatore» di
qualcosa (cf. Platone, Tim., 28c). Nella maggior parte delle ricorrenze marciane come del
resto nei vangeli sinottici, B"JZD indica il padre carnale, il padre naturale. Soltanto in pochi
casi il vocabolo è riferito metaforicamente a David (cf. Mc 11,10) e soprattutto a Dio (cf. Mc
8,38; 11,25; 13,32; 14,36).
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona plurale
(«di essi» = «loro»).
-g$g*"Ã@<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da -g$g*"Ã@H, –@L, Zebedeo; cf. Mc
1,19; compl. oggetto.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
Jè: art. determ., dat. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B8@\å: sost., dat. sing. n. da B8@Ã@<, –@L, barca; cf. Mc 1,19; compl. di stato in luogo.
:gJV: prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con, insieme a, in
compagnia di; cf. Mc 1,13.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
:4FhTJä<: sost., gen. plur. m. da :4FhTJ`H, –@Ø, salariato, dipendente, mercenario, operaio;
compl. di compagnia. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mc 1,20 (hapax marciano); Gv
10,12.13. Nel greco classico :4FhTJ`H (aggettivo e sostantivo) indica chi è assunto a salario,
il bracciante giornaliero (cf. Platone, Pol., 290a). La presenza di questi garzoni che lavorano
alle dipendenze di Zebedeo ha fatto ipotizzare una piccola impresa a gestione familiare e,
quindi, un certo benessere economico di Giacomo e Giovanni.
92 Mc 1,21

•B­8h@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •BXDP@:"4 (da •B` e §DP@:"4), andare via,
partire. Questo verbo deponente ricorre 117 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 35 volte in Matteo (corrispondente allo 0,191% del totale delle parole); 23 volte
in Marco (cf. Mc 1,20.35.42; 3,13; 5,17.20.24; 6,27.32.36.37.46; 7,24.30; 8,13; 9,43; 10,22;
11,4; 12,12; 14,10.12.39; 16,13 = 0,203%); 20 volte in Luca (0,103%); 21 volte in Giovanni
(0,134%). Nell’uso classico il verbo •BXDP@:"4 esprime in senso letterale proprio un
movimento che può essere sia da un luogo («andarsene», «allontanarsi», «partire»: Omero,
Il., 24,766; Od., 2,136; Tucidide, Hist., 8,92,2) sia verso un luogo («recarsi»: Tucidide, Hist.,
1,92,1; Aristofane, Achar., 84; Luciano, Tim., 11,7). Questa caratteristica si ritrova anche nel
NT dove il verbo in unione a determinate preposizioni assume significati particolari: con gÆH
indica un moto a luogo, verso una meta («andare in», «andare verso»: Mc 1,35; 6,32.36.46;
7,24.30; 8,13; 9,43); stesso significato ritroviamo in unione con BD`H (cf. Mc 3,13; 14,10);
con ÏB\FT indica un seguire da vicino, particolarmente in tema di sequela («andare dietro»,
«seguire»: Mc 1,20). In senso traslato •BXDP@:"4 equivale a «andarsene», «sparire», detto
soprattutto a proposito di malattie (J"PgÃz •BXDPgJ"4, «[il male] se ne va presto», Sofocle,
Phil., 808; cf. Mc 1,42).
ÏB\FT: prep. impropria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., dietro, dietro di; cf. Mc
1,7.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. moto a luogo. La formula «dietro di lui»
riprende in forma di inclusione lo stesso invito posto sulle labbra di Gesù («dietro di me»)
del v. 17: alla chiamata segue la pronta risposta; l’evento è compiuto. Le formule ÏB\FT
:@L, «dietro di me» e ÏB\FT "ÛJ@Ø, «dietro di lui» sono presenti in Mc 1,17.20; 8,34: si
tratta di una caratteristica letteraria del lessico di sequela.

1,21 5"Â gÆFB@Dgb@<J"4 gÆH 5"n"D<"@b:· i"Â gÛh×H J@ÃH FV$$"F4< gÆFg8hã<
gÆH J¬< FL<"(T(¬< ¦*\*"Fig<.
1,21 Si recarono a Cafarnao. Appena giunse il sabato entrò nella sinagoga e si mise a
insegnare.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÆFB@Dgb@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. medio da gÆFB@Dgb@:"4 (da gÆH e B@Dgb@-
:"4), andare dentro, entrare, giungere. Questo verbo deponente ricorre 18 volte nel NT: Mt
15,17; Mc 1,21; 4,19; 5,40; 6,56; 7,15.18.19; 11,2; Lc 8,16; 11,33; 18,24; 19,30; 22,10; At
3,2; 8,3; 9,28; 28,30. Presente storico, tipico del linguaggio popolare. Spesso la preposizione
posta come prefisso a un verbo composto viene ripetuta davanti al successivo complemento
indiretto, come qui; questo fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26;
3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15;
11,2.11.15.16; 15,32; 16,5. Analogamente a gÆFXDP@:"4 il verbo gÆFB@Dgb@:"4 (non
presente nel NT nella diatesi attiva) indica nella grecità un moto a luogo con idea di
penetrazione, equivalente a «introdursi», «entrare» (cf. Senofonte, Cyr., 2,3,21). Il verbo è
usato da Marco in senso prevalentemente locale per indicare un movimento fisico. Può essere
Mc 1,21 93

utilizzato, tuttavia, con un significato figurato, per indicare l’«entrare» dei desideri cattivi nel
cuore dell’uomo (cf. Mc 4,19).
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
5"n"D<"@b:: sost., nome proprio di città, acc. sing. f., indecl., Cafarnao; compl. di moto a
luogo. Il vocabolo ricorre 16 volte nel NT: Mt 4,13; 8,5; 11,23; 17,24; Mc 1,21; 2,1; 9,33;
Lc 4,23.31; 7,1; 10,15; Gv 2,12; 4,46; 6,17.24.59. Traslitterazione grecizzata del toponimo
di origine ebraica .{(1H 95 H ƒA, Kep) ar NahEûm, «Villaggio di Nahum» o «Villaggio della
consolazione». Cafarnao non è menzionata nell’AT, ma oltre alle ricorrenze neotestamentarie
la città è ricordata da Giuseppe Flavio, il quale la descrive come una contrada che si estende
lungo la riva del lago omonimo, famosa per una qualità di pesce locale (cf. Giuseppe Flavio,
Bellum, 3,519). Gli scavi archeologici hanno confermato l’identificazione delle rovine
dell’odierna Tell Hum con l’antica Cafarnao. Le monete più antiche e un discreto lotto di
ceramica ellenistica pongono l’origine di Cafarnao nel tardo periodo ellenistico (200–263
a.C.). Stando agli scavi archeologici, in epoca neotestamentaria Cafarnao era una fiorente
cittadina della Galilea posta sulla riva nord occidentale del lago di Genezaret, a circa 4 km
dal luogo dove il fiume Giordano si immette nel lago. Il rapido declino della città iniziò
soltanto con il secolo VIII, più per lento spopolamento che per distruzione.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo. La forma J@ÃH ricorre 624 volte nel NT
rispetto alle 19.862 ricorrenze totali dell’articolo. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
108 volte in Matteo (corrispondente allo 0,589% del totale delle parole); 55 volte in Marco
(0,495%); 74 volte in Luca (0,380%); 37 volte in Giovanni (0,237%).
FV$$"F4<: sost., dat. plur. n. da FV$$"J@<, –@L, sabato (= il settimo giorno della settimana
ebraica); compl. di tempo determinato. Il vocabolo ricorre 68 volte nel NT: 11 volte in
Matteo (cf. Mt 12,1.2.5[x2].8.10.11.12; 24,20; 28,1[x2], corrispondente allo 0,060% del
totale delle parole); 12 volte in Marco (cf. Mc 1,21; 2,23.24.27[x2].28; 3,2.4; 6,2; 16,1.2.9
= 0,106%); 20 volte in Luca (cf. Lc 4,16.31; 6,1.2.5.6.7.9; 13,10.14[x2].15.16; 14,1.3.5;
18,12; 23,54.56; 24,1 = 0,103%); 13 volte in Giovanni (cf. Gv 5,9.10.16.18; 7,22.23[x2];
9,14.16; 19,31[x2]; 20,1.19 = 0,083%); At 1,12; 13,14.27.42.44; 15,21; 16,13; 17,2; 18,4;
20,7; 1Cor 16,2; Col 2,16. Traslitterazione grecizzata della parola di origine ebraica ;v I–H,
šabba) 5t , «sabato» (plur. ;|;v
I– H ), il giorno festivo di riposo presso i Giudei. La forma plurale
J FV$$"J" (usata 24 volte nel NT su 68 ricorrenze totali) è dovuta a influsso semitico,
come avviene per altri termini al plurale, in conformità all’uso linguistico giudaico (J
(g<XF4": Mc 6,21; J –.L:": Mc 14,1; J ¦(i"\<4": Gv 10,22). Nell’uso plurale il
vocabolo ha sempre il significato cronologico di «sabato», ossia il settimo giorno della
settimana secondo il calendario ebraico, mentre nell’uso singolare (FV$$"J@<) può
esprimere, talvolta, il sabato come istituzione religiosa e civile (cf. Mc 2,27[x2].28). Il caso
dativo (FV$$"F4<) può essere usato in greco anche in senso temporale per indicare, come
qui, la definizione del tempo preso in considerazione. Marco impiega il caso dativo con
valore temporale 12 volte: Mc 1,21; 2,24; 3,2.4; 6,21; 11,12; 12,2; 14,12.30; 15,34; 16,2.9.
94 Mc 1,21

Altrove il dativo temporale è retto dalla preposizione ¦< (cf. Mc 1,9; 2,19.20.23; 4,35; 8,1;
10,30[x2]; 12,23; 13,11.17.24; 14,2; 15,7.29).
gÆFg8hf<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare, venire
dentro, recarsi, andare. Questo verbo deponente ricorre 194 volte nel NT. La distribuzione
nei vangeli è la seguente: 36 volte in Matteo (corrispondente allo 0,196% del totale delle
parole); 30 volte in Marco (cf. Mc 1,21.45; 2,1.26; 3,1.27; 5,12.13.39; 6,10.22.25; 7,17.24;
8,26; 9,25.28.43.45. 47; 10,15.23.24.25; 11,11.15; 13,15; 14,14; 15,43; 16,5 = 0,265%); 50
volte in Luca (0,257%); 15 volte in Giovanni (0,096%). Participio predicativo del soggetto
sottinteso «Gesù e i discepoli». In senso letterale proprio gÆFXDP@:"4 assume nel greco
classico il significato di un moto a luogo con idea di penetrazione, corrispondente a «andare
dentro», «entrare», spesso seguito da preposizioni (cf. Omero, Od., 17,275; Sofocle, Trach.,
1167; Euripide, Alc., 563). Può essere usato anche in senso traslato nel generico significato
di «entrare», riferito anche a realtà astratte: ¦H :¥< Ag8@B`<<0F@< @Ûi ¦F­8hg<,
«[l’epidemia] non entrò nel Peloponneso» (Tucidide, Hist., 2,54,5). Il verbo è usato da Marco
in senso prevalentemente locale per indicare un movimento fisico. In altri casi gÆFXDP@:"4
è utilizzato con un significato figurato, per indicare particolari moti dell’essere, come
l’«entrare» degli spiriti cattivi in persone e animali (cf. Mc 5,12.13; 9,25), l’«entrare» del
discepolo nel Regno di Dio (cf. Mc 10,15.23.24.25) o l’«entrare» nella vita eterna (cf. Mc
9,43.45.47).
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4. Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo composto viene
ripetuta davanti al successivo complemento indiretto, come qui; questo fenomeno si ritrova
in Mc 1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.
24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
FL<"(T(Z<: sost., acc. sing. f. da FL<"(T(Z, –­H, raccolta, adunanza, assemblea, riunione,
congregazione, sinagoga (forma raddoppiata di FL<V(T); compl. di moto a luogo. Il
vocabolo ricorre 56 volte nel NT: 9 volte in Matteo (cf. Mt 4,23; 6,2.5; 9,35; 10,17; 12,9;
13,54; 23,6.34, corrispondente allo 0,049% del totale delle parole); 8 volte in Marco (cf. Mc
1,21.23.29.39; 3,1; 6,2; 12,39; 13,9 = 0,071%); 15 volte in Luca (cf. Lc 4,15.16.20.28.33.
38.44; 6,6; 7,5; 8,41; 11,43; 12,11; 13,10; 20,46; 21,12 = 0,077%); 2 volte in Giovanni (cf.
Gv 6,59; 18,20 = 0,013%); At 6,9; 9,2.20; 13,5.14.43; 14,1; 15,21; 17,1.10.17; 18,4.7.19.26;
19,8; 22,19; 24,12; 26,11; Gc 2,2; Ap 2,9; 3,9. Nel greco profano il termine deverbale
FL<"(T(Z è documentato a partire da Tucidide (nella forma attica >L<"(T(Z) nel
significato di «raccolta», «adunata», «riunione», riferito a persone (cf. Tucidide, Hist., 2,18,3;
Polibio, Hist., 4,7,6; Diogene Laerzio, Vitae, 2,129) o a cose (cf. Polibio, Hist., 27,13,2). Da
un punto di vista semplicemente linguistico il vocabolo viene ampiamente impiegato nei
LXX (più di 200 volte) con questo significato di «radunata» per tradurre i corrispettivi termini
ebraici %$I 3F, ‘e)da) h, «riunione» (circa 130 volte) e -%
I8I , qa) ha) l, «assemblea» (circa 35 volte).
A partire dal I secolo d.C. nel giudaismo di lingua greca il termine viene impiegato per
indicare anche il luogo dove avviene tale incontro, equivalente alla nostra «sinagoga» (cf.
Filone di Alessandria, Prob., 81; Giuseppe Flavio, Bellum, 2,285.289; 7,44; Antiq., 19,300).
Mc 1,21 95

Non sappiamo esattamente dove e quando sia sorta questa derivazione linguistica: certamente
non in Palestina, ma nella diaspora. La parola FL<"(T(Z, dunque, in epoca neotestamenta-
ria ha un doppio significato: l’uno astratto (il raduno della comunità, l’assemblea), l’altro
materiale (l’edificio dove avviene tale raduno, significato prevalente).

Le testimonianze letterarie e archeologiche evidenziano che le prime sinagoghe


giudaiche furono costruite in Egitto nel III secolo a.C. L’edificio sinagogale più antico finora
ritrovato è quello di Delos (isola dell’Egeo) che risale al I secolo a.C. Nonostante questa
evidente attestazione archeologica alcuni commentatori ritengono che l’informazione secondo
la quale Gesù percorreva la Palestina «predicando nelle sinagoghe» presenta qualche
difficoltà sul piano strettamente storico e archeologico. Le sinagoghe più antiche scoperte in
Palestina sono quattro: Gamla, Magdala, Herodion e Masada. Risalgono tutte al I secolo d.C.
e furono distrutte nella prima rivolta contro Roma (70–73 d.C.). A queste si devono
aggiungere le sinagoghe ricordate nelle fonti letterarie profane (Giuseppe Flavio, Filone di
Alessandria) di cui, però, non abbiamo un sicuro riscontro archeologico. Ad esempio, la
datazione della sinagoga di Cafarnao è ancora un punto di profondo disaccordo tra gli
archeologi, poiché esiste una grande discrepanza tra le prime ipotesi di datazione (I secolo
d.C.) e le più recenti (IV secolo d.C.). D’altra parte la testimonianza letteraria neotestamenta-
ria circa la presenza di sinagoghe palestinesi nel I secolo dell’era cristiana è piuttosto
consistente e precisa e non può essere ritenuta un elemento redazionale coreografico legato
a certi accadimenti. Limitandoci al vangelo di Marco troviamo la seguente attestazione: Mc
1,21 (Gesù entra nella sinagoga per insegnare); Mc 1,23 (nella sinagoga Gesù scaccia un
demonio); Mc 1,29 (Gesù esce dalla sinagoga per recarsi in casa di Simone e Andrea); Mc
1,39 (Gesù attraversa la Galilea predicando nelle sinagoghe); Mc 3,1 (Gesù entra nella
sinagoga dove guarisce un uomo dal braccio paralizzato); Mc 6,2 (Gesù si mette a insegnare
nella sinagoga di Nazaret). A questa testimonianza letteraria si devono aggiungere altri
riferimenti: Mc 5,22.35.36.38 (si menziona un •DP4FL<V(T(@H, «capo della sinagoga», di
nome Giairo); Mc 12,39 (Gesù stigmatizza gli scribi che amano avere i primi seggi nelle
sinagoghe); Mc 13,9 (Gesù preannuncia ai discepoli che saranno percossi nelle sinagoghe).
Alla luce di tale attestazione è difficile sostenere che non esistessero sinagoghe in territorio
palestinese all’epoca di Gesù.
¦*\*"Fig<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da *4*VFiT, insegnare, istruire, ammaestrare.
Questo verbo ricorre 97 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 14 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,076% del totale delle parole); 17 volte in Marco (cf. Mc
1,21.22; 2,13; 4,1.2; 6,2.6.30.34; 7,7; 8,31; 9,31; 10,1; 11,17; 12,14.35; 14,49 = 0,150%); 17
volte in Luca (0,087%); 10 volte in Giovanni (0,064%). Imperfetto descrittivo o incoativo:
nella traduzione italiana la migliore equivalenza con questo tipo di imperfetto si ottiene
mediante la parafrasi con verbi ausiliari come «incominciare», «mettersi», ecc. Analogo
fenomeno in Mc 1,31.35. Nel greco classico il verbo *4*VFiT, usato nella forma attiva
causativa, equivale a «far imparare» e, dunque, «insegnare», «istruire» (cf. Omero, Il., 9,442;
Od., 8,481; Aristofane, Nub., 382). In senso esteso *4*VFiT assume il significato di
«spiegare», «dimostrare» (cf. Eschilo, Eum., 431; Tucidide, Hist., 2,60,6). Nell’uso marciano
il verbo ha sempre Gesù come soggetto esplicito o implicito ed esprime non un semplice
96 Mc 1,22

parlare, ma una istruzione nuova e autoritaria impartita in veste di Maestro. Si deve notare,
inoltre, che il verbo *4*VFiT viene usato da Marco soltanto per un uditorio esclusivamente
giudaico: non è mai riferito a pagani o a personaggi occasionali. Il modo di comportarsi di
Gesù è, quindi, quello di uno scriba giudeo: il suo insegnamento (*4*"PZ) è più volte
sottolineato (cf. Mc 1,22.27; 4,2; 11,18; 12,38). A ciò corrisponde il titolo *4*VFi"8@H con
cui a lui ci si rivolge (cf. Mc 4,38; 5,35; 9,17.38; 10,17.20.35; 12,14.19.32; 13,1; 14,14).

1,22 i" ¦>gB8ZFF@<J@ ¦B J± *4*"P± "ÛJ@Ø· µ< (D *4*VFiT< "ÛJ@×H ñH
¦>@LF\"< §PT< i"Â @ÛP ñH @Ê (D"::"JgÃH.
1,22 Ed erano stupiti per il suo insegnamento: egli, infatti, insegnava loro come uno che ha
autorità e non come gli scribi.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦>gB8ZFF@<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. pass. da ¦iB8ZFF@:"4 (da ¦i e B8ZFFT),
essere colpito, essere scosso, essere stupefatto. Questo verbo ricorre 13 volte nel NT: Mt
7,28; 13,54; 19,25; 22,33; Mc 1,22; 6,2; 7,37; 10,26; 11,18; Lc 2,48; 4,32; 9,43; At 13,12.
Imperfetto durativo di valore impersonale: alcuni dei presenti, non si specifica chi, restano
a lungo meravigliati dell’insegnamento impartito da Gesù. Il verbo ¦iB8ZFF@:"4 (nel NT
compare soltanto la diatesi passiva) deriva da B80(Z, «colpo», «percossa» e denota
sbalordimento, ammirazione e stupore dovuto all’impatto di qualche forte esperienza (cf. Mc
6,2; 7,37; 10,26; 11,18). Nella diatesi passiva il verbo equivale a «essere colpito da stupore»
o da timore e, dunque, «essere sorpreso», «essere sbalordito», «essere spaventato» (cf. Omero,
Il., 18,225; Erodoto, Hist., 3,148,1; Sofocle, Oed. tyr., 922). Nel nostro passo la forma
mediopassiva e il tempo all’imperfetto sottolineano molto bene il protrarsi dell’emozione
degli ascoltatori di fronte alla parola di Gesù.
¦B\: prep. propria di valore causale, seguita dal dativo, indecl., per, a causa di. Questa
preposizione, nella forme ¦B\ e in quelle elise ¦Bz davanti a vocale con spirito dolce e ¦nz
davanti a vocale con spirito aspro, ricorre 890 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è
la seguente: 122 volte in Matteo (corrispondente allo 0,665% del totale delle parole); 72 volte
in Marco (0,637%); 161 volte in Luca (0,826%); 36 volte in Giovanni (0,230%). Nel NT il
significato della preposizione ¦B\ corrisponde generalmente a quello del greco classico. La
preposizione, distribuita in maniera abbastanza equilibrata in tutti gli scritti, è costruita con
il genitivo, dativo o accusativo con i seguenti significati: locale («su», «sopra», «in», «presso»,
«davanti a», «a», «verso»), temporale («in», «durante», «al tempo di», «alla fine»), argomento
(«circa», «riguardo a»), modale («secondo», «conforme a»), finale («per», «allo scopo di», «in
vista di»), causale («per», «a causa di»), relazione («per», «riguardo a»), avversativo
(«contro»). In Marco prevale di gran lunga l’uso locale, sia statico che dinamico, proprio o
figurato (47 ricorrenze su 72). Altrove la preposizione è impiegata con un significato di
relazione (cf. Mc 6,34; 8,2; 9,12.13.22; 10,11), avversativo (cf. Mc 3,26; 13,8[x2].12; 14,48;
15,46), causale (cf. Mc 1,22; 3,5; 10,22.24; 11,18), di argomento (cf. Mc 6,52; 12,17.26),
modale (cf. Mc 9,37; 12,14.32), temporale (cf. Mc 2,26), strumentale (cf. Mc 9,39).
Mc 1,22 97

J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
*4*"P±: sost., dat. sing. f. da *4*"PZ, –­H (da *4*VFiT), insegnamento, dottrina, istruzione;
compl. di argomento. Il vocabolo ricorre 30 volte nel NT: Mt 7,28; 16,12; 22,33; Mc
1,22.27; 4,2; 11,18; 12,38; Lc 4,32 Gv 7,16.17; 18,19; At 2,42; 5,28; 13,17; 17,19; Rm 6,17;
16,17; 1Cor 14,6.26; 2Tm 4,2; Tt 1,19; Eb 6,2; 13,9; 2Gv 1,9[x2].10; Ap 2,14.15.24. Nel
greco classico il sostantivo *4*"PZ è usato sostanzialmente con significato profano,
corrispondente a «istruzione», «insegnamento», «dottrina» (cf. Erodoto, Hist., 3,134,4;
Tucidide, Hist., 1,120,2; Platone, Resp., 536d). Nei vangeli il vocabolo designa piuttosto un
insegnamento religioso, quale, ad esempio, quello giudaico impartito dai farisei e dai
sadducei (cf. Mt 16,12) o quello impartito da Gesù (cf. Mc 1,22.27; 4,2; 11,18; 12,38).
L’insegnamento offerto da Gesù, tuttavia, diversamente dal primo e anzi in contrasto con
esso, è qualificato «nuovo» e presentato «con autorità» (cf. Mc 1,27.22), al punto da
suscitare la meraviglia nel popolo (cf. Mc 1,22; Mt 7,28; 22,33; Lc 4,32; 11,18). In epoca
apostolica il vocabolo *4*"PZ acquista il significato tecnico per designare la dottrina sana
e retta che si riallaccia all’insegnamento di Cristo, in contrapposizione all’eresia.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
*4*VFiT<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da *4*VFiT, insegnare, istruire, ammaestrare; cf.
Mc 1,21. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH. Il participio è retto da µ<,
in costruzione perifrastica («stava insegnando»), al posto dell’usuale imperfetto «insegnava».
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
ñH: avv. con valore di modo e paragone, indecl., come, simile a, alla maniera di, nel modo che,
nella condizione di, in qualità di; cf. Mc 1,10.
¦>@LF\"<: sost., acc. sing. f. da ¦>@LF\", –"H (da §>g4:4), potere, autorità, abilità, forza;
compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 102 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 10 volte in Matteo (cf. Mt 7,29; 8,9; 9,6.8; 10,1; 21,23[x2].24.27; 28,18,
corrispondente allo 0,055% del totale delle parole); 10 volte in Marco (cf. Mc 1,22.27; 2,10;
3,15; 6,7; 11,28[x2].29.33; 13,34 = 0,088%); 16 volte in Luca (cf. Lc 4,6.32.36; 5,24; 7,8;
9,1; 10,19; 12,5.11; 19,17; 20,2[x2].8.20; 22,53; 23,7 = 0,082%); 8 volte in Giovanni (cf. Gv
1,12; 5,27; 10,18[x2]; 17,2; 19,10[x2].11 = 0,051%). Nel greco classico il sostantivo
deverbale ¦>@LF\" assume il significato base di «facoltà», «permesso», «possibilità»,
«potere» (cf. Platone, Crito, 51d; Senofonte, Mem., 2,6,24). Questo significato ritroviamo nel
greco biblico dove ¦>@LF\" può indicare sia la potenza o l’onnipotenza di Dio, sia l’autorità
o il potere degli uomini. In particolare nel NT soggetto di ¦>@LF\" possono essere Dio (cf.
Lc 12,5), Gesù (cf. Mt 28,18), il Figlio dell’uomo (cf. Mt 9,6), i discepoli (cf. Mc 3,15),
98 Mc 1,22

singoli uomini (cf. Lc 7,8), Satana (cf. Lc 4,6). In alcuni casi il vocabolo è usato anche come
plurale sostantivato, per indicare le «autorità» istituzionali (cf. Lc 12,11) oppure le «potenze»
terrene e celesti (cf. Ef 1,21). Nel nostro passo con ¦>@LF\" si intende un tipo di autorità non
in riferimento a uno stato civile di Gesù, ma al suo insegnamento. L’assenza dell’articolo
sembra sottolineare che si tratta ancora di un potere generico, indistinto. Tuttavia l’indicazio-
ne che Gesù insegna ¦>@LF\"< §PT<, «avendo autorità» (Mc 1,22), i"Jz ¦>@LF\"<, «con
autorità» (Mc 1,27), ¦< ¦>@LF\‘, «con autorità» (Mc 11,28.29.33) può essere messa in
relazione all’ebraico ;{–9I, ra) šû5t , che negli scritti rabbinici compare nell’accezione di
«permesso», «autorizzazione», «potere celeste»: «Io, il Signore, l’ho ordinato e tu non hai il
permesso (= ;{–9I) di riflettere su ciò» (b.Yom., 67b). Dal punto di vista lessicale si deve
notare che ¦>@LF\" è costituito dal participio femminile del verbo impersonale §>gFJ4<, «è
permesso», «è legittimo». In tal caso il vocabolo ¦>@LF\" non indicherebbe una licenza
autonoma, ma corrisponde al concetto giudaico di ra) šû5t nell’indicare una potenza morale
derivante da una autorizzazione celeste. Un insegnamento con ¦>@LF\" va inteso nel senso
di «una dottrina autorizzata» e, quindi, «autorevole», perché non è l’autorità che emana
soltanto dalla persona, ma quella che procede da una istanza superiore.
§PT<: verbo, nom. sing. m. part. pres., di valore sostantivato, da §PT, avere, possedere, tenere
(trans.); essere nella condizione di, essere all’intorno (intr.). Questo verbo ricorre 708 volte
nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 74 volte in Matteo (corrispondente allo
0,403% del totale delle parole); 70 volte in Marco (cf. sotto le singole ricorrenze = 0,619%);
77 volte in Luca (0,395%); 87 volte in Giovanni (0,556%). Nella grecità sia classica che
biblica il verbo §PT ricopre una gamma semantica vastissima, analogamente a quanto
avviene nelle lingue moderne con il verbo «avere». Nella maggior parte delle ricorrenze
marciane il verbo nell’uso transitivo esprime un fondamentale rapporto di appartenenza, una
condizione di possesso in riferimento a realtà materiali o immateriali (cf. Mc 2,17a.19.25;
3,1.3.10.22.29.30; 4,5[x2].6.9.17.23.40; 5,3.15; 6,18.34.38.55; 7,25; 8,1.2.5.7.14.16.
17[x2].18[x2]; 9,17.43.45.47.50; 10,21b.22.23; 11,3.13.22.25; 12,6.23; 14,3.7[x2].63;
16,8.18). Spesso §PT è impiegato per esprimere uno stato, una condizione dell’anima o del
corpo oppure specifiche qualità, virtù, doti spirituali, disposizioni interiori (cf. Mc 1,22.32.34;
2,10.17b; 3,15). Altrove §PT è usato allo stato assoluto, senza complemento, nel significato
di «possedere» (cf. Mc 4,25[x3]; 10,21a; 12,44). Altri usi particolari: in Mc 1,38 §PT è usato
nel significato intransitivo di «stare attorno»; in Mc 3,26 compare nella locuzione idiomatica
§Pg4< JX8@H, equivalente a «terminare», «giungere alla fine» (cf. Omero, Il., 18,378); in Mc
5,23 la formula ¦FPVJTH §Pg4, corrisponde alle espressioni «è alla fine», «sta morendo»; in
Mc 11,32 il verbo è usato nel senso di «ritenere», come locuzione pertinente alla sfera della
mente; in Mc 13,17 l’espressione ¦< ("FJDÂ §Pg4<, modellata sull’uso semitico, equivale
a «essere incinta», «essere in stato di gravidanza»; in Mc 14,8 il verbo è presente nel
significato intransitivo di «essere in grado di», «potere».
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@ÛP: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
Mc 1,22 99

ñH: avv. con valore di modo e paragone, indecl., come, simile a, alla maniera di, nel modo che,
nella condizione di, in qualità di; cf. Mc 1,10. La causa dello stupore che colpisce gli
ascoltatori è precisata mediante due frasi in antitesi: «insegnava come… / non come…».
Evidentemente Gesù insegnava in un modo del tutto originale, senza seguire il metodo
tradizionale dei rabbini.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
(D"::"JgÃH: sost., nom. plur. m. da (D"::"JgbH, –XTH (da (DV::"), scriba, esperto della
Legge, insegnante religioso; secondo termine di paragone. Il vocabolo ricorre 63 volte nel
NT: 22 volte in Matteo (cf. Mt 2,4; 5,20; 7,29; 8,19; 9,3; 12,38; 13,52; 15,1; 16,21; 17,10;
20,18; 21,15; 23,2.13.15.23.25.27.29.34; 26,57; 27,41, corrispondente allo 0,120% del totale
delle parole); 21 volte in Marco (cf. Mc 1,22; 2,6.16; 3,22; 7,1.5; 8,31; 9,11.14; 10,33;
11,18.27; 12,28.32.35.38; 14,1.43.53; 15,1.31 = 0,186%); 14 volte in Luca (cf. Lc 5,21.30;
6,7; 9,22; 11,53; 15,2; 19,47; 20,1.19.39.46; 22,2.66; 23,10 = 0,072%); 1 volta in Giovanni
(cf. Gv 8,3 = 0,006%); At 4,5; 6,12; 19,35; 23,9; 1Cor 1,20. Sebbene linguisticamente il
sostantivo (D"::"JgbH si rifà al greco classico, dove il termine è usato nel senso di
«segretario» per designare il pubblico officiale incaricato di redigere e leggere atti o
documenti (cf. Tucidide, Hist., 7,10,1; Demostene, Or., 18,127), lo sfondo culturale
soggiacente è quello del mondo giudaico. Il vocabolo è concentrato nei vangeli sinottici (57
ricorrenze su 63) per indicare i «grammatici» o scribi giudei, a eccezione di Mt 13,52 (dove
indica scribi cristiani), At 19,35 (dove indica il cancelliere segretario, secondo il significato
classico), 1Cor 1,20 (il sapiente, in senso generale). Tecnicamente il termine greco
(D"::"JgbH è la traduzione del corrispondente ebraico 95F|2, sôp) e)r, «scriba», che nel TM
indica l’«esperto della Legge», ossia il rabbino, il teologo ufficiale. Oltre a questa
designazione generica gli scribi erano indicati anche con i vocaboli <@:4i@\, «giuristi»,
«dottori della legge» (cf. Mt 22,35; Lc 7,30; 10,25; 11,45.46.52; 14,3) oppure
<@:@*4*VFi"8@4, «maestri della legge» (cf. Lc 5,17; At 5,34), poiché non soltanto
conoscevano la legge, ma la insegnavano. Può darsi che nel nostro passo il vocabolo sia
utilizzato per indicare non gli scribi di professione, quanto i maestri o gli scrivani di scuola
dei villaggi di Galilea, identificabili con i iT:ä< (D"::"JgÃH, «gli scrivani di villaggio»,
ricordati da Giuseppe Flavio (cf. Id., Bellum, 1,479; Antiq., 16,203). Storicamente l’istituzione
degli scribi è fatta risalire a Esdra (450 a.C. circa), il quale nell’omonimo libro biblico è
definito «uno scriba esperto nella legge di Mosè» (Esd 7,6). A partire da lui si ebbe una
nutrita serie di questi esperti che assunsero ufficialmente il compito di interpretare e applicare
la legge. Al tempo di Salome Alessandra (76–67 a.C.) gli scribi entrarono a far parte della
gerusia, forma preliminare del futuro sinedrio. Il ruolo principale degli scribi era quello di
scrivere o copiare documenti (testi biblici, atti notarili, testamenti, libelli di divorzio, lettere,
ecc.). Per questa loro capacità di saper leggere e scrivere erano considerati come gli studiosi
ufficiali della Torah e gli interpreti della Sacra Scrittura (ossia rabbini o sofisti). Contempora-
neamente essi assolvevano la funzione di giuristi e in qualità di giudici applicavano la legge
nei processi. Molti di essi svolgevano, inoltre, una intensa attività didattica nelle sinagoghe
e più tardi nelle scuole, circondandosi di discepoli desiderosi di diventare a loro volta scribi.
I vangeli sinottici nel racconto della passione presentano gli scribi sempre in unione ai «capi
dei sacerdoti» e/o agli «anziani», riconoscendoli implicitamente come membri del sinedrio
100 Mc 1,23

(cf. anche At 4,5; 6,12). Marco situa gli scribi soprattutto a Gerusalemme o afferma che
provengono da lì. Soltanto in due occasioni li pone in Galilea (cf. Mc 2,6; 9,14), dove la loro
presenza può essere spiegata in riferimento a funzionari amministrativi di livello inferiore,
incaricati di redigere contratti o altri documenti. Rispetto agli altri gruppi che entrano in scena
nel vangelo, Marco dimostra un maggior interesse per gli scribi. Ne sono prova le seguenti
constatazioni lessicali: nel secondo vangelo soltanto due altre parole ricorrono più
frequentemente di (D"::"JgbH per designare i gruppi di persone: :"h0JZH (46 volte) e
ÐP8@H (38 volte); la frequenza di •DP4gDgbH è uguale (21 volte). In paragone con le altre
parole dello stesso campo semantico, il sostantivo (D"::"JgbH, con le sue 21 ricorrenze,
è più frequente di n"D4F"Ã@H (12 volte), di *f*gi" (11 volte), di BDgF$bJgD@H (5 volte),
di •DP4FL<V(T(@H (4 volte), di {/Då*4"<@\ (2 volte), di F"**@Li"Ã@H (1 volta). Lo
stesso risultato otteniamo prendendo in considerazione le parti variabili del discorso che
sostituiscono o sottintendono i nomi, ossia i pronomi personali, possessivi, dimostrativi,
indefiniti e relativi: (D"::"JgbH è rimpiazzato dai rispettivi pronomi 35 volte; n"D4F"Ã@H
25 volte; •DP4gDgbH 18 volte. Il giudizio negativo nei confronti dell’insegnamento degli
scribi sarà ribadito anche da Gesù, il quale definisce «precetti umani» (Mc 7,7) e «tradizione
degli uomini» (Mc 7,8) la «tradizione degli anziani» (Mc 7,5) insegnata dagli scribi.

1,23 i" gÛh×H µ< ¦< J± FL<"(T(± "ÛJä< –<hDTB@H ¦< B<gb:"J4 •i"hVDJå
i" •<XiD">g<
1,23 All’improvviso un tale che era nella loro sinagoga, posseduto da uno spirito cattivo,
si mise a gridare:

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Predicato verbale.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
FL<"(T(±: sost., dat. sing. f. da FL<"(T(Z, –­H, raccolta, adunanza, assemblea, riunione,
congregazione, sinagoga (forma raddoppiata di FL<V(T); cf. Mc 1,21; compl. di stato in
luogo.
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona plurale
(«di essi» = «loro»). L’uso di questo pronome in riferimento ai Giudei presenti nella scena
è apparentemente inutile, poiché il contesto locale è stato già precisato in Mc 1,21.
Dobbiamo, dunque, considerare la precisazione «nella “loro” sinagoga» come una
annotazione critica di chi scrive: il pronome è senza antecedenti ed è usato con una
sfumatura di separazione e ostilità rispetto al gruppo dei Giudei dai quali l’Autore prende le
Mc 1,23 101

distanze. Si tratta di un segnale linguistico che denota una separazione ormai consumata e
che l’evangelista, forse addirittura inconsapevolmente, riferisce nel suo racconto. Ritroviamo
questa impronta anche in Mc 1,39 e, con l’uso antitetico del termine «giudeo», in Mc 7,3.
Matteo accentua ulteriormente questa eco quando scrive «le loro sinagoghe» (Mt 4,23; 9,35;
10,17; 12,9), «le vostre sinagoghe» (Mt 23,34), «i loro scribi» (Mt 7,29).
–<hDTB@H: sost., nom. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17;
soggetto. Senza articolo, perché ancora sconosciuto e anonimo. È probabile che il vocabolo
sia qui usato alla maniera semitica, al posto del pronome indefinito J\H, «uno», «qualcuno»,
«un certo». Questo fenomeno si riscontra in Mc 1,23; 3,1; 4,26; 5,2; 7,11; 8,27.36.37; 10,7.9;
11,2; 12,1.14; 13,34.
¦<: prep. propria di valore modale, seguita dal dativo, indecl., in; cf. Mc 1,2. Questa preposizione
è qui usata nel significato semitico corrispondente alla preposizione ebraica vA, be, di valore
assai generico.
B<gb:"J4: sost., dat. sing. n. da B<gØ:", –"J@H, alito, soffio, vento, spirito, Spirito; cf. Mc 1,8;
compl. di modo. L’espressione –<hDTB@H ¦< B<gb:"J4 •i"hVDJå è alla lettera quasi
intraducibile: «un uomo in spirito impuro». Si tratta di un semitismo, dove la preposizione
¦<, corrispondente alla preposizione ebraica vA, be, indica che l’uomo si trova sottomesso e
quasi «dentro» lo spirito malvagio (cf. l’analoga espressione in Rm 8,9: ß:gÃH @Ûi ¦FJ¥ ¦<
F"Di •88 ¦< B<gb:"J4, «voi non siete sotto il dominio della carne, ma dello spirito»).
Questo uso particolare della preposizione ¦< (cf. anche Mc 5,2) può essere esplicitato in
italiano mediante una proposizione relativa con il verbo essere, per indicare lo stato di
passività («un uomo che era sotto il dominio di uno spirito cattivo») oppure con il verbo
avere («un uomo che aveva uno spirito cattivo») o più semplicemente e direttamente «un
uomo posseduto da uno spirito cattivo».
•i"hVDJå: agg. qualificativo, dat. sing. n. da •iVh"DJ@H, –@< (da –8n" privativa e
i"h"\DT), non pulito, sporco, immondo, impuro; attributo di B<gb:"J4. Il vocabolo
ricorre 32 volte nel NT: Mt 10,1; 12,43; Mc 1,23.26.27; 3,11.30; 5,2.8.13; 6,7; 7,25; 9,25;
Lc 4,33.36; 6,18; 8,29; 9,42; 11,24; At 5,16; 8,7; 10,14.28; 11,8; 1Cor 7,14; 2Cor 6,17; Ef
5,5; Ap 16,13; 17,4; 18,2[x3]. L’espressione ¦< B<gb:"J4 •i"hVDJå è costruita con un
dativus modi impiegato per indicare le circostanze concomitanti, il modo o la maniera nella
quale si manifesta un soggetto. Nel greco classico l’aggettivo •iVh"DJ@H è usato nel senso
profano di «impuro», «sporco», riferito a persone o cose (cf. Sofocle, Oed. tyr., 256; Platone,
Leg., 866a; Aristotele, Probl., 883b 27). Diverso è l’uso del termine nel greco neotestamenta-
rio: qui l’aggettivo «immondo» o «impuro» non deve essere inteso in senso letterale proprio,
come se denotasse una sporcizia materiale o una immoralità sessuale e neppure in senso
legale, con riferimento alle leggi di purità presenti nell’AT, ma come designazione ontologica
che indica la volontà malvagia che posseggono tali spiriti, i quali si contrappongono a tutto
ciò che è «santo». Nel mondo giudaico è abbondantemente attestata la credenza di questi
«spiriti impuri» i quali possono essere anche chiamati senza differenza di senso B@<0D
B<gb:"J", «spiriti cattivi» (Test. Levi, 18,12; cf. anche Lib. Iub., 10,3.13; 11,4; 12,20).
Sebbene nel NT prevalga la prima espressione non mancano casi in cui si parla di «spiriti
cattivi» (B<gb:"J" B@<0DV, Lc 7,21; At 19,12). Questa oscillazione linguistica è altresì
102 Mc 1,24

documentata nella letteratura di Qumran e nei testi apocrifi. Ciò si spiega per il fatto che il
rapporto tra impurità e male era ritenuto strettissimo. Secondo questa mentalità i demoni sono
la manifestazione del male, il quale si presenta come una “impurità” che intacca la sacralità
delle persone e delle cose. Nella nostra traduzione italiana alla astrusa espressione letteralista
«spiriti impuri», solitamente riportata nei vari commentari, abbiamo preferito quella
semanticamente corrispondente, più facilmente comprensibile e diretta: «spiriti cattivi».
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•<XiD">g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •<"iDV.T (da •<V e iDV.T), gridare, alzare
la voce. Questo verbo ricorre 5 volte nel NT: Mc 1,23; 6,49; Lc 4,33; 8,28; 23,18. Si tratta
di un aoristo incoativo da legare alla successiva forma 8X(T<: «disse gridando» oppure, se
si preferisce accentuare l’aspetto incoativo, «si mise a gridare». Il verbo, forma intensiva di
iDV.T, è attestato già da Omero nel senso di «alzare la voce», «gridare», detto a proposito
sia di uomini che di animali (cf. Omero, Od., 14,467; Senofonte, Anab., 4,4,20; Menandro,
Frag., 620,11).

1,24 8X(T<s I\ º:Ã< i" F@\s z30F@Ø ;"."D0<Xp µ8hgH •B@8XF"4 º:Hp @É*V Fg
J\H gÉs Ò ž(4@H J@Ø hg@Ø.
1,24 «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a distruggerci? Io so chi tu sei: il santo
di Dio!».

8X(T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto –<hDTB@H. L’uso di 8X(T
dopo i verbi cosiddetti dicendi («dire», «proclamare», «annunciare», «interrogare»,
«rispondere», «deliberare», ecc.), frequentissimo nel NT, è un ebraismo dovuto alla
traduzione servile della forma verbale 9J/!-F, le) ’mo) r, equivalente al gerundio «dicendo» e
impiegata per introdurre il discorso diretto in sostituzione del segno grafico dei due punti (:),
inesistente in ebraico come in greco. Nelle traduzioni questa tipica forma può essere omessa.
I\: pron. interrogativo, nom. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?,
che?, quale?, che cosa?, perché? Il vocabolo ricorre 555 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 91 volte in Matteo (corrispondente allo 0,496% del totale delle
parole); 72 volte in Marco (cf. Mc 1,24[x2].27; 2,7[x2].8.9.18.24.25; 3,33; 4,24.30.40.41;
5,7.9.14.30.31.35.39; 6,2.24.36; 7,5; 8,1.2.12.17.27.29.36.37; 9,6.10.16.33.34.50; 10,3.17.
18.26.36.38.51; 11,3.5.28.31; 12,9.15.16.23; 13,4.11; 14,4.6.36[x2].40.60.63.64.68;
15,12.14.24[x2].34; 16,3 = 0,637%); 114 volte in Luca (0,585%); 80 volte in Giovanni
(0,512%). Il pronome interrogativo J\H (lat. quis?, quid?), munito sempre di accento acuto,
nel NT è attestato prevalentemente in funzione pronominale; nei restanti casi può essere
usato: a) come aggettivo, in preposizioni interrogative dirette o indirette (cf. Mc 4,30; 5,9;
6,2); b) al posto di un pronome relativo (cf. Mc 2,25; 14,36[x2]); c) come avverbio
interrogativo «perché?» (cf. Mc 2,7.8.24; 4,40; 5,35.39; 8,12.17; 9,16.33; 10,18; 11,3; 12,15;
14,6); d) come avverbio interrogativo, soprattutto nella forma intensiva preposizionale *4
J\, «perché?» (cf. Mc 2,18; 7,5; 11,31).
Mc 1,24 103

º:Ã<: pron. personale di 1a pers. dat. plur. da º:gÃH (gen. º:ä<, dat. º:Ã<, acc. º:H), noi;
compl. di termine. La forma º:Ã< ricorre 169 volte nel NT rispetto alle 2583 ricorrenze
totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 18 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,098% del totale delle parole); 9 volte in Marco (cf. Mc 1,24; 9,22.38;
10,35.37; 12,19; 13,4; 14,15; 16,3 = 0,080%); 26 volte in Luca (0,133%); 15 volte in
Giovanni (0,096%). Seguendo l’uso classico il pronome º:gÃH è impiegato soltanto come
elemento di contrapposizione o di rilievo all’interno della frase.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
F@\: pron. personale di 2a pers. dat. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,11; compl. di termine. Il pronome, benché enclitico, è accentato perché posto in
rilievo. L’espressione interrogativa J\ º:Ã< i"Â F@\ (lett. «che cosa a noi e a te?»), presente
anche nella forma singolare J\ ¦:@Â i"Â F@\ (Mc 5,7), è tipicamente semitica e corrisponde
all’ebraico …-I&I *‹E<< %Œ
H , mah–lî wa) la) k, «che cosa [c’è] tra me e te?». Si tratta di una formula
equivoca: a) in alcuni contesti essa corrisponde a una interrogazione retorica il cui significato
è «niente [esiste] tra me e te», ossia: «fra me e te non c’è nulla che ci divida», non c’è ragione
alcuna di dissenso, regna l’armonia più completa. In Gdc 11,12 Iefte si rivolge con questa
espressione al re ammonita che vuole fargli guerra, per convincerlo che non c’è nessuna
ragione di inimicizia tra loro. In Gn 23,15 Efron dice ad Abramo: «Un terreno del valore di
400 sicli d’argento che cos’è tra me e te?». La risposta è implicita: poca cosa, nulla, saremo
sempre amici (cf. anche 2Sam 16,10; 19,23; 1Re 17,18; 2Cr 35,21). b) In altri passi la
locuzione ha significato dissociativo di rifiuto e corrisponde alle espressioni «perché ti
immischi nelle nostre cose?», «che cosa abbiamo in comune?» (cf. Gs 22,24; 2Re 3,13; cf.
anche Gv 2,4). In questa seconda accezione l’espressione sta a indicare in termini perentori
che non c’è o non ci può essere nessuna relazione tra due interlocutori. Questo secondo
significato è quello che ritroviamo nel nostro passo e in Mc 5,7.
z30F@Ø: sost., nome proprio di persona, voc. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
compl. di vocazione.
;"."D0<X: agg. determinativo, voc. sing. m. da ;"."D0<`H, –@Ø, Nazareno, Nazaretano;
attributo di z30F@Ø. Il vocabolo ricorre 6 volte nel NT: Mc 1,24; 10,47; 14,67; 16,6; Lc
4,34; 24,19. Nel NT vengono applicate a Gesù due differenti forme aggettivali: ;"."D0<`H,
«Nazareno», «Nazaretano» (cf. Mc 1,24; 10,47; 14,67; 16,6; Lc 4,34; 24,19) e ;".TD"Ã@H,
«Nazoreo» (cf. Mt 2,23; 26,71; Lc 18,37; Gv 18,5.7; 19,19; At 2,22; 3,6; 4,10; 6,14; 22,8;
24,5; 26,9). Dal punto di vista filologico entrambi gli appellativi sono considerati forme
greche derivante da ;9H7A1I, Na) sEra5t (Nazaret) e, dunque, sia l’espressione «Gesù Nazareno»,
come pure «Gesù Nazoreo», equivale a «Gesù di/da Nazaret» (= Ò •BÎ ;"."DXJ, «quello
da Nazaret»: Mt 21,11; Gv 1,45; At 10,38), secondo l’uso comune nell’antichità di definire
qualcuno mediante l’indicazione del luogo di origine. È certo, inoltre, che tali appellativi non
sono originariamente una autodesignazione di Gesù, ma vennero impiegati dagli ambienti
giudaici del suo tempo.
µ8hgH: verbo, 2a pers. sing. ind. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7.
104 Mc 1,24

•B@8XF"4: verbo, inf. aor. da •B`88L:4 (da •B` e la radice di Ð8ghD@H), perdere, rovinare,
distruggere, togliere di mezzo, sopprimere, uccidere. Questo verbo ricorre 90 volte nel NT.
La distribuzione nei vangeli è la seguente: 19 volte in Matteo (corrispondente allo 0,104%
del totale delle parole); 10 volte in Marco (cf. Mc 1,24; 2,22; 3,6; 4,38; 8,35[x2]; 9,22.41;
11,18; 12,9 = 0,088%); 27 volte in Luca (0,139%); 10 volte in Giovanni (0,064%). L’infinito
ha qui il valore finale, come spesso avviene nella grecità a partire da Omero. Nel greco sia
classico che biblico il verbo •B`88L:4 indica in senso letterale proprio l’azione di
annientare, distruggere, uccidere uomini o cose (cf. Omero, Il., 5,648.758; Sofocle, Elect.,
1360; 4Mac., 8,9; Mc 3,6). Usato nella diatesi media (e al perfetto attivo) assume il
significato intransitivo di «rimetterci la vita», «morire» (cf. Omero, Il., 1,117; Platone, Resp.,
608d; Erodoto, Hist., 2,120,3). Da questo significato negativo di perdita, distruzione, morte,
derivano quelli figurati prettamente neotestamentari di «perdere la vita» (= «dannarsi»,
ottenere la perdizione eterna, cf. Gv 3,16) e in senso positivo «sacrificare la vita» (per Cristo
e il vangelo, cf. Mc 8,35). Poiché i manoscritti antichi sono privi di punteggiatura il
significato della frase marciana può oscillare tra una interrogazione («sei venuto a rovinar-
ci?») o una affermazione esclamativa («sei venuto per rovinarci!»). In entrambi i casi il senso
fondamentale resta il medesimo.
º:H: pron. personale di 1a pers. acc. plur. da º:gÃH (gen. º:ä<, dat. º:Ã<, acc. º:H), noi;
compl. oggetto. La forma º:H ricorre 166 volte nel NT rispetto alle 2583 ricorrenze totali
di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 13 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,071% del totale delle parole); 5 volte in Marco (cf. Mc 1,24; 5,12; 6,3;
9,5.22 = 0,044%); 19 volte in Luca (0,098%); 3 volte in Giovanni (0,019%).
@É*V: verbo, 1a pers. sing. ind. perf. da @É*" (una radice con valore di presente connessa a
gÉ*@<, aor. attivo di ÒDVT), vedere, percepire, discernere, conoscere, sapere. Questo verbo
ricorre 318 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 24 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,131% del totale delle parole); 21 volte in Marco (cf. Mc 1,24.34; 2,10;
4,13.27; 5,33; 6,20; 9,6; 10,19.38.42; 11,33; 12,14.15.24; 13,32.33.35; 14,40.68.71 =
0,186%); 25 volte in Luca (0,128%); 84 volte in Giovanni (0,537%). Nel greco classico la
forma verbale @É*" (originariamente equivalente ad «aver visto») indica il possesso teoretico
di un sapere, una conoscenza puramente intellettuale che prescinde dall’esperienza,
diversamente dal verbo (4<fFiT, il quale indica, invece, un sapere acquisito in base a una
ricerca, una applicazione, una esperienza. Questa distinzione è generalmente mantenuta nel
NT dove @É*" esprime un sapere sicuro, intuitivo. Costruito con l’accusativo di persona,
come nel nostro caso, il verbo @É*" acquista il significato di «sapere chi è uno», ossia,
conoscere la sua identità (cf. Mc 1,34).
Fg: pron. personale di 2a pers. acc. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
compl. oggetto. La forma FX/Fg ricorre 197 volte nel NT rispetto alle 2905 ricorrenze totali
di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 29 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,158% del totale delle parole); 19 volte in Marco (cf. Mc 1,24.37; 3,32;
5,7.19.31.34; 9,17.43[x2].45[x2].47[x2]; 10,21.35.49.52; 14,31 = 0,168%); 37 volte in Luca
(0,190%); 29 volte in Giovanni (0,185%). Qui il pronome, sintatticamente soggetto del verbo
essere gÉ, è stato attratto dalla proposizione reggente diventando oggetto di @É*V: «conosco
te chi sei». La costruzione, propriamente una prolessi, non è elegante, ma comprensibile:
Mc 1,25 105

l’interrogazione indiretta («chi sei»), oggetto di @É*V, è una specie di apposizione del
pronome Fg.
J\H: pron. interrogativo, nom. sing. m. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?,
che?, quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24.
gÉ: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc 1,6.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
ž(4@H: agg. qualificativo, di valore sostantivato, nom. sing. m. da ž(4@H, –", –@<, separato,
riservato [per Dio], consacrato, santo; cf. Mc 1,8; predicato nominale. La definizione di
Gesù come «il santo» è rara (cf. Mc 1,24; Lc 1,35; 4,34; Gv 6,69; At 3,14; 4,27.30; 1Gv
2,20; Ap 3,7). Nell’AT è detto di Aronne (cf. Sal 106,16) e di Eliseo (cf. 2Re 4,9). Il
«Santo» per eccellenza è Dio, definito «il Santo di Israele» (cf. Is 1,4; 5,16.19,24; 6,3; 8,13;
10,20; 12,6; 17,7; 29,19.23; 30,11.12.15; 31,1; 37,23; 40,25; 41,14.16.20; 43,3.14.15; 45,11;
47,4; 48,17; 49,7; 54,5; 55,5; 60,9.14). L’espressione «il santo di Dio» applicata a Gesù deve
essere considerata probabilmente come una definizione messianica, poiché traduce una delle
formule ebraiche%|I%*A ( H *–
E /A / .*%EJ-!
B( H *–
E /A, rese dai LXX con le espressioni Ò PD4FJÎH
J@Ø hg@Ø, Ò PD4FJÎH J@Ø iLD\@L, «il consacrato di Dio», «il consacrato del Signore» e
applicate al sommo sacerdote (Lv 21,12), al re (1Sam 12,3.5; 16,6; 24,7.11; 26,9.11.16.23;
2Sam 1,14.16; 2,5; 19,22; 22,51; 23,1; 2Cr 6,42; 22,7; Sal 18,51; 20,7; 28,8; 84,10; 89,39.52;
Is 45,1; Lam 4,20), ai profeti (1Cr 16,22; Sal 105,15; 132,10), ma soprattutto al futuro messia
e liberatore (1Sam 2,10.35; Sal 2,2; 132,17; Sir 46,19; Ab 3,13). Come «santo di Dio» Gesù
è l’iniziatore di un’epoca pneumatica che segna la fine del regno dei demoni. Allo «spirito
cattivo» (–<hDTB@H ¦< B<gb:"J4 •i"hVDJå) si contrappone Gesù, portatore di «Spirito
santo» (B<gØ:" ž(4@<, cf. Mc 1,8): tra lo «Spirito santo» e lo «spirito malvagio» vi è un
contrasto insanabile.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione.

1,25 i"Â ¦BgJ\:0Fg< "ÛJè Ò z30F@ØH 8X(T<s M4:fh0J4 i"Â §>g8hg ¦> "ÛJ@Ø.
1,25 Ma Gesù gli intimò: «Taci! Esci da lui!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦BgJ\:0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦B4J4:VT (da ¦B\ e J4:VT), intimare,
ammonire, sgridare, rimproverare, proibire, ordinare severamente. Questo verbo ricorre 29
volte nel NT: Mt 8,26; 12,16; 16,22; 17,18; 19,13; 20,31; Mc 1,25; 3,12; 4,39; 8,30.32.33;
9,25; 10,13.48; Lc 4,35.39.41; 8,24; 9,21.42.55; 17,3; 18,15.39; 19,39; 23,40; 2Tm 4,2; Gd
1,9. Nella grecità il verbo ¦B4J4:VT può essere usato sia nel significato di «rendere onore»,
«onorare» qualcuno (cf. Erodoto, Hist., 6,39,2) sia in quello di «condannare», «punire»
qualcuno (cf. Demostene, Or., 18,74) sia in quello di «rimproverare», «intimare» qualcosa
a qualcuno (cf. Demostene, Or., 20,148; Lisia, Or., 24,18; Polibio, Hist., 8,9,1). Nel greco
biblico il verbo è impiegato soltanto nel terzo significato, per esprimere un rimprovero, una
ammonizione o un severo ordine, generalmente rivolto agli spiriti o alle forze del male. Nei
106 Mc 1,25

LXX ¦B4J4:VT traduce l’ebraico 93 H #I, g) a) ‘ar, utilizzato nel senso di «sgridare», «rimprovera-
re», spesso detto di Dio al fine di far desistere i nemici dal compiere il male (cf. Zc 3,2)
oppure nel senso di «minacciare» allo scopo di sottomettere le forze ostili della natura (cf. Sal
68,31; 106,9). Nel NT il verbo è usato prevalentemente nel contesto degli esorcismi (cf. Mc
1,25; 3,12; 9,25), dove acquista il significato di dare un ordine formale mediante un tono
severo di minaccia: tecnicamente, in riferimento ai demoni, equivale a «esorcizzare».
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
8X(T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto z30F@ØH. L’uso di 8X(T
dopo i verbi cosiddetti dicendi («dire», «proclamare», «annunciare», «interrogare»,
«rispondere», «deliberare», ecc.), frequentissimo nel NT, è un ebraismo dovuto alla
traduzione servile della forma verbale 9J/!-F, le) ’mo) r, equivalente al gerundio «dicendo» e
impiegata per introdurre il discorso diretto in sostituzione del segno grafico dei due punti (:),
inesistente in ebraico come in greco. Nelle traduzioni questa tipica forma può essere omessa.
M4:fh0J4: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. pass. da n4:`T, chiudere la bocca, ammutolire,
tacere. Questo verbo ricorre 7 volte nel NT: Mt 22,12.34; Mc 1,25; 4,39; Lc 4,35; 1Tm 5,18;
1Pt 2,15. Diversamente dal greco classico, dove il raro verbo n4:`T ha il significato forte
di «imbavagliare» (da n4:`H, «museruola»), nella Koiné assume un senso più attenuato,
corrispondente al generico «stare zitto», «fare silenzio» (cf. Giuseppe Flavio, Bellum, 1,438).
Questo passo marciano costituito dal severo divieto che Gesù rivolge allo spirito cattivo,
assieme ad altri dislocati nell’opera, è alla base del cosiddetto «segreto messianico». Nel
vangelo di Marco il segreto messianico, inteso come volontario nascondimento da parte di
Gesù della sua identità messianica, rappresenta l’ossatura drammatica del libro. La verità di
Cristo come messia risulta chiara soltanto alla fine del vangelo, sotto la croce, ma fino a quel
momento resta segreta, volutamente nascosta dallo stesso protagonista. Nel battesimo Gesù
è proclamato «figlio di Dio» dalla voce celeste, ma soltanto lui sente questa voce (cf. Mc
1,11) e, dunque, questa sua qualità resta segreta per i testimoni. Subito dopo, all’inizio del
suo ministero, Gesù impone il silenzio ai demoni che con la loro scienza sovrumana possono
riconoscerlo come «il Santo di Dio» (Mc 1,24–25) e «il Figlio di Dio» (Mc 3,11–12).
Quando potrebbe nascere un esagerato entusiasmo tra la folla a causa dei miracoli compiuti,
egli ordina con severità di tacere e non rivelare il fatto. Chiede al lebbroso guarito di non dire
nulla a nessuno della sua guarigione (cf. Mc 1,43–45), raccomanda di non divulgare il
miracolo della risurrezione della figlia di Giairo (cf. Mc 5,43), non vuole che qualcuno sappia
della guarigione del sordomuto avvenuta in disparte (cf. Mc 7,36–37) o del recupero della
vista da parte del cieco di Betsaida (cf. Mc 8,26). Ordina ai Dodici, dopo la confessione di
Pietro, di non dire ad alcuno che egli è il messia (cf. Mc 8,30). Comanda a tre testimoni
privilegiati, Pietro, Giacomo e Giovanni, di non riferire di averlo visto nella gloria della
trasfigurazione: in questo caso, tuttavia, fissa un limite significativo: «Se non dopo che il
Mc 1,25 107

Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti» (Mc 9,9). Anche il suo insegnamento in
parabole nasconde un segreto affinché quelli di fuori «pur guardando non vedano e pur
ascoltando non comprendano» (Mc 4,12). A partire dalla cosiddetta «confessione di Pietro»
(cf. Mc 8,27), pericope che rappresenta lo spartiacque letterario e teologico del vangelo,
questo segreto messianico si affievolisce per poi scomparire verso la fine del ministero
pubblico, quando Gesù accetta di essere acclamato quale figlio di David dal cieco di Gerico
(cf. Mc 10,46–52) e dalla folla osannante di Gerusalemme (cf. Mc 11,10). Finalmente, alla
vigilia della passione egli stesso si proclama messia e Figlio di Dio rispondendo con un
chiaro «Io sono» alla domanda del sommo sacerdote (cf. Mc 14,62). Ma tale svelamento del
segreto messianico e dell’identità divina di fronte all’Israele ufficiale diventa la causa della
sua condanna a morte («Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la
bestemmia; che ve ne pare?», Mc 14,63). La conseguenza di questo svelamento del segreto
messianico è, dunque, la croce. E proprio sulla croce, quando Gesù muore, un pagano può
finalmente esclamare/testimoniare la sua professione di fede: «Davvero quest’uomo era figlio
di Dio!» (Mc 15,39). La ragione storica del segreto messianico sta, dunque, nella necessità
della passione, in quella necessità divina indicata da Gesù con le espressioni «È necessa-
rio…» (*gÃ…), «come è scritto…» (i"hãH (X(D"BJ"4…). Gesù prende liberamente la
decisone di andare verso la passione perché questa è divinamente necessaria. Se Gesù avesse
lasciato che la sua gloria apparisse, se avesse permesso l’entusiasmo esaltato delle folle, se
avesse accettato le acclamazioni dei demoni, se avesse lasciato ai discepoli di divulgare la sua
identità, avrebbe potuto vanificare l’intero suo ministero e la stessa missione salvifica. A
questa motivazione storica se ne deve aggiungere un’altra più importante di ordine teologico:
l’evangelista sa che l’identità di Gesù, la sua essenza ontologica, per dirla in termini filosofici,
è così profonda da non poter mai essere totalmente afferrata dagli uomini: se ne può soltanto
cogliere un parziale aspetto, attraverso uno svelamento graduale, offerto dallo stesso
protagonista.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
§>g8hg: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori,
uscire. Questo verbo deponente ricorre 218 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 43 volte in Matteo (corrispondente allo 0,234% del totale delle parole); 39 volte
in Marco (cf. Mc 1,25.26.28.29.35.38.45; 2,12.13; 3,6.21; 4,3; 5,2.8.13.30; 6,1.10.12.24.34.
54; 7,29.30.31; 8,11.27; 9,25.26.29.30; 11,11.12; 14,16.26.48.68; 16,8.20 = 0,345%); 44
volte in Luca (0,226%); 30 volte in Giovanni (0,192%). In senso letterale proprio il verbo
¦>XDP@:"4 indica nella grecità il generico «uscire», inteso come moto da luogo (cf. Omero,
Il., 22,237; Od., 4,283; Sofocle, Elect., 778). In Marco il verbo ¦>XDP@:"4 è usato
prevalentemente in contesti narrativi per introdurre nuove pericopi o diversi passaggi
all’interno dello stesso racconto. Il soggetto più frequente è Gesù, da solo (cf. Mc 1,35.38;
2,13; 5,2; 6,1.34; 7,31; 8,7) o in compagnia (cf. Mc 1,29; 6,54; 9,30; 11,12; 14,26). In 9 casi
il verbo è impiegato all’interno delle cacciate di demoni per esprimere, al modo imperativo,
il comando di Gesù oppure l’uscita dei demoni dagli ossessi (cf. Mc 1,25; 5,8.13; 7,29;
9,25.29). L’impiego di due imperativi in successione paratattica (n4:fh0J4 i"Â §>g8hg)
rivela lo stile duale tipico di Marco (cf. Mc 1,25; 4,24; 6,31.38; 7,14; 8,15; 10,14.21; 11,2;
108 Mc 1,26

13,33; 14,34.38.42; 16,7). In questi casi l’accento è posto sul secondo verbo rispetto al primo,
il quale svolge soltanto una funzione espletiva.
¦>: (= ¦i), prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10. Spesso
la preposizione posta come prefisso a un verbo composto viene ripetuta davanti al
successivo complemento indiretto, come qui; questo fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].
25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33;
9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di moto da luogo.

1,26 i" FB"DV>"< "ÛJÎ< JÎ B<gØ:" JÎ •iVh"DJ@< i" nT<­F"< nT<± :g(V8®
¦>­8hg< ¦> "ÛJ@Ø.
1,26 E lo spirito cattivo, scuotendolo e gridando forte, uscì da lui.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


FB"DV>"<: verbo, nom. sing. n. part. aor. da FB"DVFFT (prolungamento di FB"\DT,
«afferrare» o di FBV@:"4, «lacerare», tramite l’idea di contrazione spasmodica), spaccare,
squarciare, lacerare. Questo verbo ricorre 3 volte nel NT: Mc 1,26; 9,26; Lc 9,39. Participio
predicativo del soggetto B<gØ:". Nel greco classico il verbo FB"DVFFT esprime l’idea di
una violenta lacerazione, corrispondente a «spaccare», «squarciare», «fare a pezzi» (cf.
Eschilo, Prom., 1018; Euripide, Med., 1217; Aristofane, Ranae, 424). Nel nostro passo il
verbo acquista il senso di «scuotere con convulsioni», per indicare la violenta ed estrema
reazione dello spirito cattivo ai danni del ragazzo.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
B<gØ:": sost., nom. sing. n. da B<gØ:", –"J@H, alito, soffio, vento, spirito, Spirito; cf. Mc 1,8;
soggetto.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
•iVh"DJ@<: agg. qualificativo, nom. sing. n. da •iVh"DJ@H, –@< (da –8n" privativa e
i"h"\DT), non pulito, sporco, immondo, impuro; cf. Mc 1,23; attributo di B<gØ:".
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
nT<­F"<: verbo, nom. sing. n. part. aor. da nT<XT, chiamare, gridare. Questo verbo ricorre
43 volte nel NT: Mt 20,32; 26,34.74.75; 27,47; Mc 1,26; 9,35; 10,49[x3]; 14,30.68.72[x2];
15,35; Lc 8,8.54; 14,12; 16,2.24; 19,15; 22,34.60.61; 23,46; Gv 1,48; 2,9; 4,6; 9,18.24; 10,3;
11,28[x2]; 12,17; 13,13.38; 18,27.33; At 9,41; 10,7.18; 16,28; Ap 14,18. Participio
predicativo del soggetto B<gØ:". Nella grecità il verbo nT<XT indica la generica emissione
di un suono o una voce da parte sia di esseri umani (cf. Omero, Il., 2,182) sia di animali (cf.
Aristofane, Achar., 777; Esopo, Fab., 230,1; 296,1; cf. Mc 14,30) sia di strumenti musicali
(cf. Euripide, Or., 146) o di fenomeni fisici, quali un tuono (cf. Senofonte, Apol., 12). Riferito
Mc 1,27 109

all’uomo, soggetto principale nella maggior parte delle ricorrenze, il verbo assume il
significato assoluto di «alzare la voce», «dire», «parlare» (cf. Omero, Il., 6,116; 11,531)
oppure, con accusativo di persona, «chiamare» (cf. Sofocle, Ai., 73). Nel NT nT<XT viene
usato sia in forma assoluta, per esprimere il generico «parlare ad alta voce», «gridare» (cf. Mc
1,26) sia nella forma transitiva, con conseguente complemento («chiamare» qualcuno; cf. Mc
9,35). Il verbo è riferito indifferentemente ad animali (cf. Mc 14,30), a persone (cf. At 9,41),
agli spiriti cattivi (cf. Mc 1,26), agli spiriti celesti (cf. Ap 14,18), a Gesù (cf. Mc 10,49).
nT<±: sost., dat. sing. f. da nT<Z, –­H, voce, suono, discorso; cf. Mc 1,3; compl. di modo.
Dativo di modo o maniera, costruito con la figura etimologica (paronomasia) dell’oggetto
interno (nT<­F"< nT<±), dovuta probabilmente a influsso semitico (infinito assoluto
ebraico). Analogo fenomeno in Mc 3,28; 4,24.41; 5,42; 7,7.13; 10,38; 13,19; 14,6; 15,26.
:g(V8®: agg. qualificativo, dat. sing. f. da :X("H, :g(V80, :X(", grande; attributo di nT<±.
Il vocabolo ricorre 243 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 30 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,164% del totale delle parole); 18 volte in Marco (cf. Mc 1,26;
4,32[x2].37.39.41; 5,7.11.42; 9,34; 10,42.43; 12,31; 13,2; 14,15; 15,34.37; 16,4 = 0,159%);
33 volte in Luca (0,169%); 18 volte in Giovanni (0,115%). Nel greco classico il significato
base di :X("H è «grande», in riferimento alla dimensione esteriore di una realtà animata o
inanimata (cf. Omero, Il., 1,530; 2,839; 16,776; Od., 9,513). Tuttavia, come avviene in tutte
le lingue, l’aggettivo «grande» è suscettibile di svariate applicazioni e ricopre una vastissima
gamma di ulteriori significati anche traslati, come, ad esempio, «alto», «profondo»,
«eccelso», «ampio», «magnifico», «nobile», «valido», «importante», ecc. In riferimento alla
voce qui indicata, il termine ricorre nel senso di «forte», «veemente» (cf. Gn 27,34).
¦>­8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori, uscire;
cf. Mc 1,25. Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo composto viene ripetuta
davanti al successivo complemento indiretto, come qui; questo fenomeno si ritrova in Mc
1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.
24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
¦>: (= ¦i), prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di moto da luogo.

1,27 i" ¦h":$Zh0F"< žB"<JgH òFJg FL.0JgÃ< BDÎH ©"LJ@×H 8X(@<J"Hs I\


¦FJ4< J@ØJ@p *4*"P¬ i"4<¬ i"Jz ¦>@LF\"<· i"Â J@ÃH B<gb:"F4 J@ÃH
•i"hVDJ@4H ¦B4JVFFg4s i" ßB"i@b@LF4< "ÛJè.
1,27 Tutti furono presi da timore tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo?
Una dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda persino agli spiriti cattivi e gli
obbediscono!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦h":$Zh0F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. pass. da h":$XT, stupire, spaventare, atterrire
(att.); essere stupito, essere spaventato, essere terrorizzato (pass.). Questo verbo, attestato
110 Mc 1,27

soltanto da Marco in tutto il NT, ricorre 3 volte sempre nella diatesi passiva intransitiva (cf.
Mc 1,27; 10,24.32). Il significato basilare della famiglia di vocaboli alla quale, oltre a
h":$XT, appartengono hV:$@H (cf. Lc 4,36; 5,9; At 3,10), §ih":$@H (cf. At 3,11) e
¦ih":$XT (cf. Mc 9,15; 14,33; 16,5.6), è quello di una violenta commozione dell’animo
prodotta dalla vista di qualcosa. In tal senso il verbo h":$XT corrisponde a «sbalordirsi»,
«stupirsi grandemente» (cf. Omero, Il., 8,77; Od., 10,63; Sofocle, Antig., 1246). Da questo
significato originario si è sviluppato quello attivo transitivo causativo di «spaventare» (cf.
2Sam 22,5) e quello passivo di «essere spaventato» (cf. Plutarco, Brut., 20,9,3).
žB"<JgH: pron. indefinito, nom. plur. m. da žB"H, žB"F", žB"<, tutto, tutto intero; pl. tutti,
tutti quanti; soggetto. Il vocabolo ricorre 34 volte nel NT: Mt 6,32; 24,39; 28,11; Mc 1,27;
8,25; 11,32; 16,15; Lc 3,21; 4,6.40; 5,26; 8,37; 9,15; 19,37.48; 20,6; 21,15; 23,1; Gv 4,25;
At 2,7.44; 4,31.32; 5,12.16; 10,8; 11,10; 16,3.28; 25,24; 27,33; Ef 6,13; 1Tm 1,16; Gc 3,2.
Per quanto riguarda l’uso di questo pronome indefinito nel NT vedi quanto viene riferito a
proposito del pronome e aggettivo indefinito BH, BF", B< in Mc 1,5.
òFJg: cong. subordinativa di valore consecutivo, indecl., così che, cosicché, tanto che, al punto
che. Questa congiunzione ricorre 83 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 15 volte in Matteo (corrispondente allo 0,082% del totale delle parole); 13 volte
in Marco (cf. Mc 1,27.45; 2,2.12.28; 3,10.20; 4,1.32.37; 9,26; 10,8; 15,5 = 0,115%); 4 volte
in Luca (0,021%); 1 volta in Giovanni (0,006%). Come congiunzione consecutiva òFJg
introduce proposizioni indipendenti o dipendenti; nella maggior parte dei casi è seguita dal
semplice infinito, a volte con una sfumatura finale (cf. Mt 10,1) oppure dall’accusativo con
l’infinito (cf. Mt 8,24). Altrove è costruita con l’indicativo (cf. Mc 10,8), l’imperativo (cf.
1Cor 3,21), il congiuntivo (soltanto in 1Cor 5,8). Raramente ha il valore conclusivo di
«perciò», «dunque» (cf. Mc 2,28).
FL.0JgÃ<: verbo, inf. pres. da FL.0JXT (da Fb< e .0JXT), discutere, disputare, domandare.
Questo verbo ricorre 10 volte nel NT: Mc 1,27; 8,11; 9,10.14.16; 12,28; Lc 22,23; 24,15; At
6,9; 9,29. Nel greco profano il verbo FL.0JXT è usato con due diverse accezioni
fondamentali: a) «ricercare», «investigare» (cf. Platone, Crat., 384c); b) «discutere»,
«disputare» (papiri). Questa doppia valenza ritroviamo anche in Marco dove il verbo
FL.0JXT, diversamente dall’omologo .0JXT presente in Giovanni, è usato: a) in senso
positivo, per indicare il «discutere» della folla o dei discepoli di fronte al parlare e all’agire
di Gesù; si tratta di una riflessione attenta che suscita interesse e coinvolgimento (cf. Mc 1,27;
9,10); b) in senso negativo, per indicare il «discutere» critico e a volte ostile dei farisei, scribi
e sadducei che non sanno o non vogliono capire il messaggio e le azioni di Gesù (cf. Mc
8,11; 9,14.16; 12,28).
BD`H: prep. propria con valore locale (di persone), seguita dall’accusativo, indecl., dinanzi a,
alla presenza di, tra; cf. Mc 1,5.
©"LJ@bH: pron. riflessivo, acc. plur. m. da ©"LJ@Ø, –­H, –@Ø (non usato al nominativo), lui, lui
stesso, esso; compl. di stato in luogo. Questo pronome ricorre 319 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 32 volte in Matteo (corrispondente allo 0,174% del
totale delle parole); 24 volte in Marco (cf. Mc 1,27; 2,8; 3,24.25.26; 4,17; 5,5.30; 6,36.51;
8,14.34; 9,8.10.50; 10,26; 11,31; 12,7.33; 13,9; 14,4.7; 15,31; 16,3 = 0,212%); 57 volte in
Mc 1,27 111

Luca (0,293%); 27 volte in Giovanni (0,173%). Poiché questo pronome riflessivo si riferisce
al soggetto della proposizione non può mai comparire al caso nominativo. All’interno della
frase svolge la funzione di complemento diretto del verbo riferito al soggetto. Il riflessivo
della terza persona viene usato per stabilire l’identità con le persone che parlano o agiscono.
Talvolta, come nel nostro caso, sostituisce il pronome reciproco •88Z8T< («l’un l’altro»,
«a vicenda»). Analogo fenomeno in Mc 10,26; 11,31; 12,7; 14,4; 16,3.
8X(@<J"H: verbo, acc. plur. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo del soggetto sottinteso žB"<JgH.
I\: pron. interrogativo, nom. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?,
che?, quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
J@ØJ@: pron. dimostrativo, nom. sing. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò. La forma J@ØJ@
/ J@ØJz ricorre 336 volte nel NT rispetto alle 1387 ricorrenze totali di questo pronome. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 32 volte in Matteo (corrispondente allo 0,170% del
totale delle parole); 16 volte in Marco (cf. Mc 1,27.38; 5,32.43; 6,14; 7,2; 9,21.29; 11,3.24;
12,24; 13,11; 14,5.22.24.36 = 0,134%); 38 volte in Luca (0,195%); 53 volte in Giovanni
(0,339%). Nel greco ellenistico il pronome dimostrativo @âJ@H tende lentamente a sostituire
Ó*g: questo fenomeno è ulteriormente accentuato negli scritti neotestamentari per influsso
semitico, al punto che, rispetto alle 1391 presenze di @âJ@H, il pronome Ó*g ricorre soltanto
10 volte (assente in Marco). Il significato rispecchia generalmente quello classico: @âJ@H
(lat. iste, ista, istud) si riferisce a cosa o persona che è vicino a chi ascolta o parla oppure
complessivamente a ciò che precede nel discorso (funziona anaforica), in quanto riprende ciò
che è stato detto.
*4*"PZ: sost., nom. sing. f. da *4*"PZ, –­H (da *4*VFiT), insegnamento, dottrina, istruzione;
cf. Mc 1,22; soggetto. La frase «una dottrina nuova insegnata con autorità» è ellittica, ma
sufficientemente chiara. Tuttavia dal punto di vista grammaticale sono possibili due
traduzioni, in base alla diversa disposizione della punteggiatura (ricordiamo che i segni di
interpunzione rappresentano una scelta editoriale, poiché i codici più antichi non riportano
alcun segno di punteggiatura): a) alcuni uniscono *4*"P¬ i"4<Z con i"Jz ¦>@LF\"< e
considerano la successiva frase come una proposizione indipendente, traducendo: «Che è mai
questo? Una dottrina nuova [insegnata] con autorità. Comanda perfino agli spiriti cattivi e gli
obbediscono!». b) Altri inseriscono il punto dopo *4*"P¬ i"4<Z e uniscono i"Jz
¦>@LF\"< a ciò che segue (i" J@ÃH B<gb:"F4 J@ÃH •i"hVDJ@4H ¦B4JVFFg4…), dando
alla congiunzione i"\ il significato aggiuntivo («anche», «perfino») e traducono: «Che è mai
questo? Una nuova dottrina! Comanda con autorità perfino agli spiriti cattivi e gli obbedisco-
no!». Dal punto di vista grammaticale entrambe le traduzioni sono possibili. Tuttavia dal
punto di vista di critica interna osserviamo: se si accetta la seconda tesi l’insegnamento di
Gesù sarebbe qualificato soltanto come «nuovo», senza la caratteristica di essere impartito
«con autorità», diversamente da quanto altrove viene espressamente riferito (¦>@LF\"<
§PT<, «avendo autorità»: Mc 1,22; ¦< ¦>@LF\‘, «con autorità»: Mc 11,28.29.33).
112 Mc 1,27

L’insegnamento di Gesù non è soltanto «nuovo», ma anche «autorevole», ossia diverso dagli
scribi e accreditato da una potenza superiore. È preferibile, dunque, la prima traduzione.
i"4<Z: agg. qualificativo, nom. sing. f. da i"4<`H, –Z, –`<, nuovo, recente, diverso; attributo
di *4*"PZ. Il vocabolo ricorre 42 volte nel NT: Mt 9,17; 13,52; 26,29; 27,60; Mc 1,27;
2,21.22; 14,25; 16,17; Lc 5,36[x3].38; 22,20; Gv 13,34; 19,41; At 17,19.21; 1Cor 11,25;
2Cor 3,6; 5,17[x2]; Gal 6,15; Ef 2,15; 4,24; Eb 8,8.13; 9,15; 2Pt 3,13[x2]; 1Gv 2,7.8; 2Gv
1,5; Ap 2,17; 3,12[x2]; 5,9; 14,3; 21,1[x2].2.5. La classica distinzione tra i"4<`H (=
«nuovo»: Sofocle, Oed. tyr., 916) e <X@H (= «giovane»: Omero, Il., 14,108; Od., 1,395) si è
quasi del tutto dissolta nel greco ellenistico e nel NT. Negli scrittori classici i"4<`H indica
propriamente ciò che è nuovo, caratteristico o diverso in confronto ad altro (= senso
qualitativo), mentre <X@H è riservato per indicare ciò che è recente, ciò che è apparso da poco
(= senso cronologico).
i"Jz: (= i"JV), prep. propria di valore modale, seguita dall’accusativo, indecl., secondo, in
conformità a. Questa preposizione, nelle forme i"JV e in quelle elise i"Jz davanti a vocale
con spirito dolce, i"hz davanti a vocale con spirito aspro, ricorre 473 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 37 volte in Matteo (corrispondente allo 0,202% del
totale delle parole); 23 volte in Marco (cf. Mc 1,27; 3,6; 4,10.34; 5,13; 6,31.32.40[x2];
7,5.33; 9,2.28.40; 11,25; 13,3.8; 14,19.49.55.56.57; 15,6 = 0,203%); 43 volte in Luca
(0,221%); 10 volte in Giovanni (0,064%). Nel NT la preposizione i"JV è costruita con il
genitivo o accusativo: usata con il genitivo indica originariamente il punto di partenza (reale
o figurato) di una azione, mentre con l’accusativo (uso di gran lunga prevalente) indica lo
spazio su cui si estende un movimento: in entrambi i casi è presente il significato
fondamentale «in giù». Nel vangelo di Marco la preposizione assume i seguenti significati:
a) avversativo (cf. Mc 3,6; 9,40; 11,25; 14,55.56.57); b) locale (cf. Mc 5,13; 13,8); temporale
(cf. Mc 14,49; 15,6); modale (cf. Mc 1,27; 7,5); approssimazione (cf. Mc 6,40[x2]). In 7
ricorrenze compare nella formula i"Jz Æ*\"<, corrispondente all’avverbio di modo «in
disparte», «in privato», «a parte» (cf. Mc 4,34; 6,31.32; 7,33; 9,2.28; 13,3); in Mc 4,10 è
presente nella locuzione avverbiale di valore modale i"J :`<"H («da solo»), mentre in Mc
14,19 nella locuzione avverbiale di valore distributivo gÍH i"J gÍH («uno a uno», «uno dopo
l’altro»).
¦>@LF\"<: sost., acc. sing. f. da ¦>@LF\", –"H (da §>g4:4), potere, autorità, abilità, forza; cf.
Mc 1,22; compl. di modo.
i"\: cong. coordinativa di valore aggiuntivo, indecl., anche, perfino, inoltre, altresì; cf. Mc 1,4.
Il significato aggiuntivo di i"\ è presente in Mc 1,27b.38b; 2,15b.26c.28; 3,19b; 4,24b;
6,34b; 7,18b; 8,3b.7ac.38c; 9,22a; 11,25b; 12,22b; 13,29; 14,9.29.31; 15,31.40ab.43a.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
B<gb:"F4: sost., dat. plur. n. da B<gØ:", –"J@H, alito, soffio, vento, spirito, Spirito; cf. Mc 1,8;
compl. di termine.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
•i"hVDJ@4H: agg. qualificativo, dat. plur. n. da •iVh"DJ@H, –@< (da –8n" privativa e
i"h"\DT), non pulito, sporco, immondo, impuro; cf. Mc 1,23; attributo di B<gb:"F4.
Mc 1,28 113

¦B4JVFFg4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da ¦B4JVFFT (da ¦B\ e JVFFT), comandare,
ordinare, imporre, incaricare. Questo verbo ricorre 10 volte nel NT: Mc 1,27; 6,27.39; 9,25;
Lc 4,36; 8,25.31; 14,22; At 23,2; Fm 1,8. Il significato generico di ¦B4JVFFT è quello
profano di «impartire un ordine» da parte di qualche autorità (il re Erode Antipa in Mc 6,27;
il sommo sacerdote Anania in At 23,2; il padrone di casa in Lc 14,22; ecc.). Talvolta, come
qui, il verbo è utilizzato a proposito degli «spiriti cattivi», come ordine perentorio e coercitivo
che Gesù dà ai demoni affinché fuggano via o alle forze della natura presentate come potenze
demoniache (cf. Lc 8,25). In tal caso ¦B4JVFFT diventa sinonimo di ¦B4J4:VT che in
Marco è il verbo privilegiato per gli esorcismi di Gesù (cf. Mc 1,25).
i"\: cong. coordinativa di valore consecutivo, indecl., sicché, cosicché, che; cf. Mc 1,4. La
congiunzione assume qui una sfumatura consecutiva: «…al punto che gli obbediscono». Il
significato consecutivo che può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ consecutivum) si
ritrova in Mc 1,17b.27c; 5,4d; 9,5b; 10,21c; 14,62a.
ßB"i@b@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da ßB"i@bT (da ßB` e •i@bT), prestare
ascolto, ascoltare un comando, obbedire, sottomettersi. Questo verbo ricorre 21 volte nel
NT: Mt 8,27; Mc 1,27; 4,41; Lc 8,25; 17,6; At 6,7; 12,13; Rm 6,12.16.17; 10,16; Ef 6,1.5;
Fil 2,12; Col 3,20.22; 2Ts 1,8; 3,14; Eb 5,9; 11,8; 1Pt 3,6. Il significato primitivo di questo
verbo è quello di «ascoltare» (cf. Omero, Il., 8,4, tmesi; Od., 14,485), da cui derivano quello
susseguente di «ubbidire», detto a proposito di coloro che sono in condizione di subordina-
zione rispetto a un superiore, come i figli, gli schiavi, la moglie, i soldati, ecc. (cf. Erodoto,
Hist., 3,148,2; Tucidide, Hist., 1,141,1; Platone, Prot., 325a) e quello di «essere sottoposto»,
«essere sotto il dominio» (cf. Erodoto, Hist., 3,101,2; Tucidide, Hist., 4,56,2). In Marco
questa obbedienza/sottomissione è riferita esclusivamente ai demoni di fronte all’onnipotenza
di Gesù.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.

1,28 i" ¦>­8hg< º •i@¬ "ÛJ@Ø gÛh×H B"<J"P@Ø gÆH Ó80< J¬< BgD\PTD@< J­H
'"848"\"H.
1,28 E immediatamente la sua fama si diffuse dappertutto in tutta la regione della Galilea.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦>­8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori, uscire;
cf. Mc 1,25.
º: art. determ., sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
•i@Z: sost., nom. sing. f. da •i@Z, –­H (da •i@bT), udito, orecchio, cosa sentita, diceria,
clamore, fama; soggetto. Il vocabolo ricorre 24 volte nel NT: Mt 4,24; 13,14; 14,1; 24,6; Mc
1,28; 7,35; 13,7; Lc 7,1; Gv 12,38; At 17,20; 28,26; Rm 10,16.17[x2]; 1Cor 12,17[x2]; Gal
3,2.5; 1Ts 2,13; 2Tm 4,3.4; Eb 4,2; 5,11; 2Pt 2,8. Nel significato attivo il vocabolo indica
nella grecità sia profana che biblica l’udito come senso, come capacità uditiva (cf. Platone,
Phaed., 65b; Mc 7,35; Lc 7,1; At 17,20), mentre per indicare l’organo corrispondente, ossia
114 Mc 1,29

l’orecchio fisico, si usa preferibilmente @âH. Nel significato passivo esprime ciò che si ode
in varie forme: notizia, diceria, clamore, fama, la stessa predicazione evangelica (cf. Rm
10,17; Gal 3,2.5; 1Ts 2,13; Eb 4,2).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
B"<J"P@Ø: avv. di luogo, indecl., ovunque, dovunque, dappertutto, in ogni luogo. Il vocabolo
ricorre 7 volte nel NT: Mc 1,28; 16,20; Lc 9,6; At 17,30; 24,3; 28,22; 1Cor 4,17.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
Ó80<: agg. indefinito, acc. sing. f. da Ó8@H, –0, –@<, tutto, ogni; attributo di BgD\PTD@<, qui
senza articolo perché in posizione predicativa. Il vocabolo ricorre 109 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 22 volte in Matteo (corrispondente allo 0,120% del
totale delle parole); 18 volte in Marco (cf. Mc 1,28.33.39; 6,55; 8,36; 12,3[x4].33[x3].44;
14,9.55; 15,1.16.33 = 0,159%); 17 volte in Luca (0,087%); 6 volte in Giovanni (0,038%).
Diversamente da quanto avviene per il sinonimo BH (cf. Mc 1,5), il quale assume significato
diverso se usato con o senza articolo, l’aggettivo Ó8@H conserva sempre il significato di
«tutto», «intero», indipendentemente dalla posizione, dalla presenza o dall’assenza
dell’articolo.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
BgD\PTD@<: sost., acc. sing. f. da BgD\PTD@H, –@L (da BgD\ e PfD"), che è intorno,
circondario, regione vicina; compl. di moto a luogo. Il vocabolo ricorre 9 volte nel NT: Mt
3,5; 14,35; Mc 1,28 (hapax marciano); Lc 3,3; 4,14.37; 7,17; 8,37; At 14,6. Seguendo uno
sviluppo che si manifesta già nel greco classico alcuni aggettivi di uso frequente, come
BgD\PTD@H, sono diventati sostantivi in quello ellenistico. Qui il termine è unito al
toponimo '"848"\" per indicare il «territorio circostante la Galilea», ossia tutta la regione
della Galilea.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
'"848"\"H: sost., nome proprio di regione, gen. sing. f. da '"848"\", –"H, Galilea; cf. Mc
1,9; compl. di denominazione.

1,29 5"Â gÛh×H ¦i J­H FL<"(T(­H ¦>g8h`<JgH µ8h@< gÆH J¬< @Æi\"< E\:T<@H
i" z!<*DX@L :gJ z3"if$@L i" z3TV<<@L.
1,29 E subito, usciti dalla sinagoga, si recarono in casa di Simone e di Andrea, in
compagnia di Giacomo e di Giovanni.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
Mc 1,29 115

¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
FL<"(T(­H: sost., gen. sing. f. da FL<"(T(Z, –­H, raccolta, adunanza, assemblea, riunione,
congregazione, sinagoga (forma raddoppiata di FL<V(T); cf. Mc 1,21; compl. di moto da
luogo.
¦>g8h`<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori,
uscire; cf. Mc 1,25. Participio predicativo del soggetto sottinteso «Gesù e i discepoli».
µ8h@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
@Æi\"<: sost., acc. sing. f. da @Æi\", –"H, casa, abitazione, dimora; compl. di moto a luogo. Il
vocabolo ricorre 93 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 25 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,136% del totale delle parole); 18 volte in Marco (0,159%); 24
volte in Luca (0,123%); 5 volte in Giovanni (0,032%). Marco impiega due vocaboli simili
per indicare la casa: @Æi\" e @Éi@H. Il primo termine è presente in Mc 1,29; 2,15;
3,25[x2].27[x2]; 6,4.10; 7,24; 9,33; 10,10.29.30; 12,40; 13,15.34.35; 14,3. Il secondo
termine ricorre 13 volte (cf. Mc 2,1.11.26; 3,20; 5,13.38; 7,17.30; 8,3.26; 9,28; 11,17[x2]).
Sebbene sostanzialmente sinonimi, i vocaboli in oggetto non sembrano essere scambiabili:
il vocabolo @Éi@H (115 volte nel NT) è più concreto, riferendosi anzitutto alla costruzione
fisica, alla dimora intesa come edificio. Il vocabolo @Æi\" (93 volte nel NT), pur conservan-
do questo significato base, è impiegato anche per definire l’abitazione generica e in senso
metaforico la casa intesa come la famiglia, il clan, il casato oppure il complesso dei beni, la
proprietà, gli averi. Marco ricorda 11 volte l’ingresso di Gesù nella “casa” (@Æi\" e @Éi@H)
di qualcuno; 4 volte vengono nominati i rispettivi padroni: Simone e Andrea, a Cafarnao (cf.
Mc 1,29), Levi (cf. Mc 2,25), il capo della sinagoga (cf. Mc 5,38), Simone il lebbroso, a
Betania (cf. Mc 14,3). Nelle altre ricorrenze la casa resta indeterminata: Mc 2,1 (probabil-
mente di Simone e Andrea), Mc 3,20 (anonima), Mc 7,17 (anonima, forse a Cafarnao), Mc
7,24 (anonima, nel territorio di Tiro), Mc 9,28 (anonima), Mc 9,33 (anonima, a Cafarnao),
Mc 10,10 (anonima). La casa di Pietro qui ricordata ha trovato un riscontro archeologico e
letterario e viene oggi identificata con l’ambiente n. 1 dell’insula sacra, a Cafarnao. Dalle
fonti letterarie si ricavano i seguenti dati: a) al tempo di Gesù esisteva a Cafarnao una casa
di Pietro (cf. Mc 1,29–31); b) nei primi secoli dell’era cristiana, prima ancora della pace
costantiniana, fiorì a Cafarnao una comunità cristiana di ceppo giudaico (cf. Midrash
Rabbah, Ecclesiastes I,8,4); c) verso la fine del VI secolo il pellegrino Anonimo di Piacenza
riferisce che a Cafarnao, nel luogo tradizionale della casa di Pietro, è sorta una “basilica”:
«Deinde venimus in Capharnaum in domum beati Petri, quae est in basilica», «Giungemmo
a Cafarnao, nella casa del beato Pietro che attualmente è una basilica» (Anonimo di Piacenza,
Itin., 7); d) finalmente nel XII secolo il monaco benedettino Pietro diacono (Petrus Diaconus),
riprendendo notizie più antiche descrive una domus–ecclesia e afferma che nonostante le
trasformazioni della medesima in luogo di culto i muri sono quelli originari della casa di
116 Mc 1,30

Pietro: «In Capharnaum autem ex domo apostolorum principis ecclesia facta est, qui parietes
usque hodie ita stant sicut fuerunt», «A Cafarnao, della casa del principe degli apostoli è stata
fatta una chiesa e quelle pareti rimangono ancora oggi come erano» (Pietro Diacono, Liber,
5,8). I dati archeologici dell’insula sacra hanno confermato in pieno le fonti letterarie: a)
l’ambiente n. 1 va datato con certezza tra la fine del periodo ellenistico e gli inizi del periodo
romano; b) a partire dalla seconda metà del I secolo d.C. questo ambiente comincia a
differenziarsi da tutte le altre abitazioni per la presenza di pavimenti ripetutamente intonacati
e frammenti di lucerne; c) nel periodo romano anche le rozze pareti cominciano a ricevere
un intonaco, sui quali i pellegrini cristiani incidono alcune iscrizioni; d) verso la metà del IV
secolo la casa venerata viene ampliata e separata con un muro di cinta. Nonostante queste
vistose trasformazioni i muri originari rimangono al loro posto; e) nella metà del V secolo
tutta l’area dell’insula sacra viene sacrificata per la costruzione di una chiesa ottagonale: è
la basilica ricordata dall’anonimo Piacentino. In base alle convergenze delle fonti letterarie
e dei resti archeologici si può affermare che l’identificazione della casa di Pietro a Cafarnao
è pressoché certa.
E\:T<@H: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da E\:T<, –T<@H, Simone, Simeone;
cf. Mc 1,16; compl. di specificazione.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
z!<*DX@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z!<*DX"H, –@L, Andrea; cf. Mc
1,16; compl. di specificazione. La coppia «Pietro e Andrea» (assieme a «Giacomo e
Giovanni») riveste grande importanza nella tradizione evangelica: a prescindere dalle liste dei
Dodici, i primi due personaggi si trovano menzionati insieme in Mt 4,18; 10,2; Mc 1,16.29;
13,3; Gv 1,40.44; 6,8.
:gJV: prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con, insieme a, in
compagnia di; cf. Mc 1,13.
z3"if$@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z3ViT$@H, –@L, Giacomo; cf. Mc
1,19; compl. di compagnia.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
z3TV<<@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z3TV<<0H, –@L, Giovanni; cf. Mc
1,19; compl. di compagnia. La coppia dei fratelli z3"if$@L i"Â z3TV<<@L sembra essere
uno stereotipo: sono nominati in questo ordine in Mc 1,19.29; 3,17; 5,37; 9,2; 10,35; con la
precisazione «figli di Zebedeo» in Mc 1,19; 3,17; 10,35; compaiono tra gli intimi di Gesù (cf.
Mc 5,37; 9,2; 13,3; 14,33).

1,30 º *¥ Bg<hgD E\:T<@H i"JXig4J@ BLDXFF@LF"s i" gÛh×H 8X(@LF4< "ÛJè


BgDÂ "ÛJ­H.
1,30 La suocera di Simone era a letto febbricitante e subito gli parlarono di lei.

º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
Mc 1,30 117

Bg<hgDV: sost., nom. sing. f. da Bg<hgDV, –H, suocera; soggetto. Il vocabolo ricorre 6 volte
nel NT: Mt 8,14; 10,35; Mc 1,30 (hapax marciano); Lc 4,38; 12,53[x2]. Il termine Bg<hgDV
indica nella grecità la «suocera», ossia la madre del marito o della moglie rispetto all’altro
coniuge (cf. Demostene, Or., 45,70; Plutarco, Tib. Gracch., 8,7,3): nel nostro caso si tratta
della madre della moglie di Pietro. Si apprende qui di sfuggita che tra i Dodici almeno Pietro
era sposato. Questa notizia sembra confermata da 1Cor 9,5.
E\:T<@H: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da E\:T<, –T<@H, Simone, Simeone;
cf. Mc 1,16; compl. di specificazione.
i"JXig4J@: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da i"JVig4:"4 (da i"JV e igÃ:"4), essersi
sdraiato, giacere prostrato. Imperfetto durativo o iterativo, per indicare continuità. Questo
verbo ricorre 12 volte nel NT: Mc 1,30; 2,4.15; 14,3; Lc 5,25.29; 7,37; Gv 5,3.6; At 9,33;
28,8; 1Cor 8,10. Nel greco classico il verbo i"JVig4:"4 assume varie sfumature di
significato: spesso indica il generico «giacere», riferito a persone, animali o cose (cf. Omero,
Il., 24,10; Aristofane, Achar., 70). In altri contesti equivale a «giacere a tavola» (cf. Platone,
Symp., 185d), «giacere a letto» (cf. Aristofane, Eccl., 313), «giacere malato» (cf. Erodoto,
Hist., 7,229,1). Negli scritti neotestamentari il verbo può significare sia l’essere sdraiato su
un letto, a causa di qualche malattia (cf. Mc 1,30; 2,4; Lc 5,25; Gv 5,3.6; At 9,33; 28,8)
oppure l’adagiarsi a mensa su tappeti o divani preferibilmente sul fianco sinistro, alla moda
ellenistica e romana (cf. Mc 2,15; 14,3; Lc 5,29; 7,37).
BLDXFF@LF": verbo, nom. sing. f. part. pres. da BLDXFFT, avere la febbre, essere febbricitante.
Participio predicativo del soggetto Bg<hgDV. Questo verbo ricorre 2 volte nel NT: Mt 8,14;
Mc 1,30 (hapax marciano). Sia la forma verbale BLDXFFT, «ardente di febbre» sia quella
nominale successiva (Ò BLDgJ`H, «ardore febbrile», Mc 1,31) derivano dalla radice BLD–,
«fuoco». Il verbo BLDXFFT, assente nei papiri e nei LXX, è raro anche nel greco classico
(cf. Ippocrate, Aph., 2,28; Euripide, Cycl., 228; Aristofane, Ves., 284), a differenza del
sostantivo BLDgJ`H.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
8X(@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Presente storico, di valore impersonale. Alcuni dei presenti, non si specifica chi,
avvisano Gesù: si tratta di un riferire generico, a titolo informativo, come è solito fare
qualcuno che ha un malato in casa mentre introduce un ospite.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
BgD\: prep. propria con valore di argomento, seguita dal genitivo, indecl., intorno a, riguardo
a, nei confronti di, circa; cf. Mc 1,6.
"ÛJ­H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; compl. di argomento. La forma "ÛJ­H ricorre 169 volte nel NT
rispetto alle 5600 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 23 volte in Matteo (corrispondente allo 0,125% del totale delle parole); 15 volte
118 Mc 1,31

in Marco (cf. Mc 1,30; 5,26.29; 6,24.28; 7,25.26.30; 10,12; 12,44[x2]; 13,24.28; 14,9; 16,11
= 0,133%); 29 volte in Luca (0,149%); 10 volte in Giovanni (0,064%).

1,31 i" BD@Fg8hã< ³(g4Dg< "ÛJ¬< iD"JZF"H J­H Pg4D`H· i" •n­ig< "ÛJ¬< Ò
BLDgJ`Hs i"Â *40i`<g4 "ÛJ@ÃH.
1,31 Allora egli, avvicinatosi, la fece alzare prendendola per mano. La febbre la lasciò ed
essa si mise a servirli.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


BD@Fg8hf<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da BD@FXDP@:"4 (da BD`H e §DP@:"4), venire,
avvicinarsi, precedere, accostarsi. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto
sottinteso z30F@ØH. Questo verbo deponente ricorre 86 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 51 volte in Matteo (corrispondente allo 0,278% del totale delle parole);
5 volte in Marco (cf. Mc 1,31; 6,35; 10,2; 12,28; 14,45 = 0,044%); 10 volte in Luca
(0,051%); 1 volta in Giovanni (0,006%). Il verbo BD@FXDP@:"4, sebbene nel greco classico
e in quello neotestamentario indichi genericamente un movimento spaziale, un avvicinarsi
fisico (cf. Eschilo, Eum., 474; Euripide, Hel., 1539; Erodoto, Hist., 1,86,4), quando è riferito
a Gesù sembra assumere un significato più profondo a livello redazionale (cf. Mc 1,31; 6,35;
10,2; 12,28; 14,35.45): si tratta di un avvicinarsi teologico, un accostarsi a qualcuno o un
farsi avanti per indicare che l’iniziativa in tema di salvezza parte dal Cristo; è lui che si
muove per primo incontro all’umanità bisognosa di salute e salvezza.
³(g4Dg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦(g\DT, svegliare, alzare, sollevare, risorgere [i
morti] (trans.); svegliarsi, alzarsi, sollevarsi, risorgere [dai morti] (intr.). Questo verbo
ricorre 144 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 36 volte in Matteo (cf.
Mt 1,24; 2,13.14.20.21; 3,9; 8,15.25.26; 9,5.6.7.19.25; 10,8; 11,5.11; 12,11.42; 14,2; 16,21;
17,7.9.23; 20,19; 24,7.11.24; 25,7; 26,32.46; 27,52.63.64; 28,6.7, corrispondente allo 0,196%
del totale delle parole); 19 volte in Marco (cf. Mc 1,31; 2,9.11.12; 3,3; 4,27.38; 5,41; 6,14.16;
9,27; 10,49; 12,26; 13,8.22; 14,28; 16,6.14 = 0,168%); 18 volte in Luca (cf. Lc 1,69; 3,8;
5,23.24; 6,8; 7,14.16.22; 8,54; 9,7.22; 11,8.31; 13,25; 20,37; 21,10; 24,6.34 = 0,092%); 13
volte in Giovanni (cf. Gv 2,19.20.22; 5,8.21; 7,52; 11,29; 12,1.9.17; 13,4; 14,31; 21,14 =
0,070%). Il significato fondamentale specifico di ¦(g\DT è quello transitivo di «svegliare»
qualcuno dal sonno (cf. Omero, Il., 5,413; Od., 5,48; Mc 4,38) o intransitivamente «stare
sveglio» (cf. Omero, Il., 10,67). Nella diatesi mediopassiva equivale a «svegliarsi» dal sonno
(cf. Omero, Il., 2,41; Od., 20,100; Mc 4,27) e più genericamente «alzarsi», «sollevare»,
«sollevarsi». Per quanto riguarda l’uso traslato di questo verbo nel significato transitivo di «far
risorgere» qualcuno dai morti o in quello intransitivo di «risorgere» dai morti cf. Mc 6,14;
16,6.
"ÛJZ<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,31; compl. oggetto. La forma "ÛJZ< ricorre 138 volte
nel NT rispetto alle 5600 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli
è la seguente: 26 volte in Matteo (corrispondente allo 0,142% del totale delle parole); 17
Mc 1,31 119

volte in Marco (cf. Mc 1,31[x2]; 4,30; 6,17.26.28[x2]; 8,35[x2]; 9,43; 10,11.15; 11,2.13;
12,21.23; 14,6 = 0,150%); 29 volte in Luca (0,149%); 14 volte in Giovanni (0,090%).
iD"JZF"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da iD"JXT, tenere, prendere, afferrare, catturare.
Participio predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso z30F@ØH. Può essere
esplicitato mediante una formulazione che esprima anteriorità rispetto al verbo principale (=
«la sollevò dopo averle preso la mano») oppure, meglio, con significato concomitante: «la
sollevò prendendole la mano». Questo verbo ricorre 47 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 12 volte in Matteo (corrispondente allo 0,065% del totale delle parole);
15 volte in Marco (cf. Mc 1,31; 3,21; 5,41; 6,17; 7,3.4.8; 9,10.27; 12,12; 14,1.44.46.49.51
= 0,133%); 2 volte in Luca (0,010%); 2 volte in Giovanni (0,013%). Il significato originario
del verbo iD"JXT è quello di «essere forte» (cf. Omero, Il., 16,172), da cui derivano per
estensione quello di «dominare», «prevalere», «afferrare» (cf. Omero, Il., 1,288; Od., 13,275;
Platone, Phaedr., 272b) e quello di «prendere» in senso generico e traslato (cf. Senofonte,
Anab., 5,6,7). Nel NT il verbo compare soltanto nel significato di «prendere», costruito con
il genitivo o l’accusativo: nel primo caso esprime sempre una azione non violenta, un
prendere quasi delicato (cf. Mc 1,31; 5,41; 9,27), mentre, al contrario, la presenza
dell’accusativo esprime un afferrare più o meno violento, il tenere stretto o l’aggrapparsi a
qualcosa o a qualcuno (cf. Mc 3,21; 6,17; 9,10; 12,12; 14,1.44.46.49.51).
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
Pg4D`H: sost., gen. sing. f. da Pg\D, Pg4D`H, mano; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 177 volte
nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 24 volte in Matteo (corrispondente allo
0,131% del totale delle parole); 26 volte in Marco (cf. Mc 1,31.41; 3,1.3.5[x2]; 5,23.41;
6,2.5; 7,2.3.5.32; 8,23[x2].25; 9,27.31.43[x2]; 10,16; 14,41.46; 16,18[x2] = 0,230%); 26 volte
in Luca (0,133%); 15 volte in Giovanni (0,096%). La forma genitiva è retta dal verbo. In
senso letterale proprio e strettamente parlando nel greco classico il sostantivo Pg\D indica la
«mano», definita ÐD("<@< ÏD(V<T<, «strumento degli strumenti» (Aristotele, De an., 432a
2). Poiché la mano agisce attraverso la forza del braccio, il termine può indicare per
estensione anche il «braccio», fino alla spalla (cf. Omero, Il., 6,81; Erodoto, Hist., 2,121,g4),
significato, questo, che ritroviamo in Mc 3,1.3.5[x2]. Qui probabilmente l’articolo sta a
indicare «la mano» per eccellenza, ossia quella destra, come avviene altrove (cf. Mc 1,31.41;
3,1.3.5[x2]; 5,41; 7,32; 8,23; 9,27.43).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•n­ig<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare,
rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18. Nonostante l’elevata frequenza del verbo •n\0:4 nel NT
(143 ricorrenze), soltanto nel passo di Mc 1,31 (cf. anche Mt 8,15; Lc 4,39) e di Gv 4,52 il
soggetto di •n\0:4 è un essere inanimato.
"ÛJZ<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,31; compl. oggetto.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
BLDgJ`H: sost., nom. sing. m. da BLDgJ`H, –@Ø, calore ardente, febbre; soggetto. Il vocabolo
ricorre 6 volte nel NT: Mt 8,15; Mc 1,31 (hapax marciano); Lc 4,38.39; Gv 4,52; At 28,8.
120 Mc 1,32

Nel greco classico il sostantivo BLDgJ`H indica il generico calore ardente (cf. Omero, Il.,
22,31) oppure la «febbre» (cf. Aristofane, Ves., 1038; Platone, Tim., 86a). Nel nostro passo
la febbre è rappresentata come un agente quasi personificato, secondo la comune mentalità
degli antichi. Analoga descrizione ritroviamo in Mc 1,42 a proposito della lebbra (i"\…
•B­8hg< •Bz "ÛJ@Ø º 8XBD", «la lebbra se ne andò da lui»). Nella letteratura pagana si
parla sovente del demone della febbre; anche nella letteratura cristiana dei primi secoli l’idea
era piuttosto diffusa. Nella letteratura rabbinica la febbre, descritta come «il fuoco che beve
l’energia delle persone», è considerata di origine demoniaca, ma anche come castigo di Dio:
questa seconda idea è quella che ricorre nell’AT (cf. Lv 26,16; Dt 28,22; 32,24; Ab 3,5). Il
Talmud riporta varie e astruse prescrizioni terapeutiche per combattere la febbre, alcune delle
quali davvero singolari:

«Per una febbre quotidiana occorre prendere uno zuz bianco, andare al deposito di sale,
procurarsi il suo peso in sale e legarselo al collo della camicia con una corda bianca
intrecciata. Se ciò non è possibile occorre sedersi a un crocicchio e quando si vede una
grossa formica che trasporta un carico bisogna prenderla, metterla in un tubo di rame,
chiuderlo con piombo e sigillarlo con sessanta sigilli. Poi lo si scuota qua e là gridando: “Il
tuo carico venga su di me e il mio carico [cioè la febbre, n.d.a.] sia su di te”» (b.Shab., 66b).

«Per una febbre terzana occorre prendere sette spine di sette palme, sette schegge di sette
travi, sette chiodi di sette ponti, sette ceneri da sette forni, sette polveri da sette cardini, sette
pezzi di pece da sette navi, sette manciate di comino, sette peli di barba di un cane vecchio
e quindi legarseli al collo della camicia con una corda bianca intrecciata» (b.Shab., 67 a).

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


*40i`<g4: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da *4"i@<XT, servire, amministrare, provvedere;
cf. Mc 1,13. Imperfetto descrittivo o incoativo: per questo tipo di imperfetto cf. Mc 1,21.
Probabilmente il verbo assume qui il significato di «servire a tavola», «preparare da
mangiare», come altrove nel NT (cf. Lc 12,37; 17,8; 22,27; Gv 12,2; At 6,2).
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. Il pronome "ÛJ`H si riferisce
abitualmente, eccetto l’uso prolettico, a ciò che precede (valore anaforico): qui il riferimento
è Gesù con i presenti (cf. v. 29).

1,32 z?R\"H *¥ (g<@:X<0Hs ÓJg §*L Ò »84@Hs §ngD@< BDÎH "ÛJÎ< BV<J"H J@×H
i"iäH §P@<J"H i"Â J@×H *"4:@<4.@:X<@LH·
1,32 Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portarono tutti i malati e gli indemoniati.

z?R\"H: sost., gen. sing. f. da ÏR\", –"H (da ÏRX), sera, vespero, serata; compl. di tempo
determinato. Il vocabolo ricorre 15 volte nel NT: Mt 8,16; 14,15.23; 16,2; 20,8; 26,20;
27,57; Mc 1,32; 4,35; 6,47; 11,11; 14,17; 15,42; Gv 6,16; 20,19. Nella grecità il sostantivo
ÏR\" indica la parte più tarda del giorno, ossia la «sera» (cf. Erodoto, Hist., 7,167,1;
Tucidide, Hist., 8,26,1).
Mc 1,32 121

*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
(g<@:X<0H: verbo, gen. sing. f. part. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4. Participio al genitivo assoluto. La frase
ÏR\"H (g<@:X<0H appare nella forma detta “genitivo assoluto”, qui con valore temporale.
Questa costruzione, assai frequente nel NT, è formata da una proposizione subordinata
composta da un nome o un pronome al caso genitivo e da un participio che concorda in
genere, numero e caso con il nome/pronome a cui si riferisce. Tale proposizione subordinata
è considerata come sintatticamente separata dalla proposizione principale (da qui il termine
genitivo “assoluto”, ossia sciolto, senza legami) in rapporto alla quale assume vari significati,
deducibili dal contesto: temporale, causale, relativa, condizionale, concessiva, circostanziale,
oppositiva. Nel vangelo di Marco ritroviamo questa tipica costruzione 38 volte: Mc 1,32;
4,17.35; 5,2.18.21.35; 6,2.21.22[x2].35.47.54; 8,1; 9,9.28; 10,17.46; 11,11.12.27; 13,1.3;
14,3[x2].17.18.22.43.58.66; 15,33.42; 16,1.2.20[x2].
ÓJg: cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, allorché, ogni volta che, mentre.
Questa congiunzione ricorre 103 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 12
volte in Matteo (corrispondente allo 0,065% del totale delle parole); 12 volte in Marco (cf.
Mc 1,32; 2,25; 4,6.10; 6,21; 7,17; 8,19.20; 11,1; 14,2; 15,20.41 = 0,106%); 12 volte in Luca
(0,062%); 21 volte in Giovanni (0,134%).
§*L: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da *b<T, andare sotto, declinare, tramontare. Questo verbo
ricorre 2 volte nel NT, a proposito del tramonto del sole: Mc 1,32 (hapax marciano); Lc 4,40.
Il verbo *b<T (o *bT) nella grecità equivale al generico «discendere», «penetrare» (cf.
Omero, Il., 3,36; Od., 5,352); detto del sole corrisponde a «tramontare»: ²X84@H §*L, «il sole
tramontò» (Omero, Il., 18,241; cf. Od., 3,487; Erodoto, Hist., 4,181,3). Questa tipica
espressione dipende dalla comune concezione cosmologica degli antichi per i quali era il sole
a girare attorno alla terra e a “scomparire” sotto di essa al termine della giornata.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
»84@H: sost., nom. sing. m. da »84@H, –@L, sole; soggetto. Il vocabolo ricorre 32 volte nel NT:
Mt 5,45; 13,6.43; 17,2; 24,29; Mc 1,32; 4,6; 13,24; 16,2; Lc 4,40; 21,25; 23,45; At 2,20;
13,11; 26,13; 27,20; 1Cor 15,41; Ef 4,26; Gc 1,11; Ap 1,16; 6,12; 7,2.16; 8,12; 9,2; 10,1;
12,1; 16,8.12; 19,17; 21,23; 22,5. Questa seconda e doppia precisazione temporale («dopo
il tramonto del sole») non è enfatica: la frase è tecnica per indicare che è terminato
ufficialmente il riposo sabatico (cf. Mc 1,21) e soltanto a partire da questo momento si
possono riprendere le normali attività lavorative. La giornata “festiva” di Gesù era iniziata al
mattino del sabato con l’intervento nella sinagoga di Cafarnao (cf. Mc 1,21ss.). Adesso, dopo
il tramonto del sole, ossia con l’inizio di un nuovo giorno, secondo il modo di computare il
tempo presso gli Ebrei, Gesù può riprendere le sua attività “lavorativa” e tutti ne approfittano
per presentargli i loro malati.
§ngD@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da nXDT, portare. Imperfetto durativo o iterativo, di
valore impersonale; la 3a pers. plurale, senza un preciso soggetto, dà l’idea della moltitudine
degli accorsi; nella traduzione italiana è preferibile esplicitare la forma verbale mediante un
passato remoto. Questo verbo ricorre 66 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 4 volte in Matteo (corrispondente allo 0,022% del totale delle parole); 15 volte in
122 Mc 1,32

Marco (cf. Mc 1,32; 2,3; 4,8; 6,27.28; 7,32; 8,22; 9,17.19.20 = 0,133%); 4 volte in Luca
(0,021%); 17 volte in Giovanni (0,109%). Analogamente a quanto avviene nel greco classico,
dove nXDT assume il significato fondamentale di «portare» «condurre», detto di persone,
animali o cose (cf. Omero, Il., 2,838; Od., 21,362), anche negli scritti neotestamentari il verbo
compare nel generico significato di «portare», suscettibile di ulteriori sfumature, a seconda
del contesto: «condurre», «presentare», «trasportare», «mettere», ecc. Nelle ricorrenze
marciane prevale il significato letterale proprio di «portare», «condurre»: soltanto in Mc 4,8
il verbo è usato in modo assoluto, nel senso traslato di «portare frutto», ossia «produrre»,
«rendere», significato ugualmente attestato nel greco classico (cf. Omero, Od., 9,10;
Senofonte, Oecon., 20,4).
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di moto a luogo.
BV<J"H: agg. indefinito, acc. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; compl. oggetto.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
i"iäH: avv. di modo, indecl., male, malamente. Il vocabolo ricorre 16 volte nel NT: Mt 4,24;
8,16; 9,12; 14,35; 15,22; 17,15; 21,41; Mc 1,32.34; 2,17; 6,55; Lc 5,31; 7,2; Gv 18,23; At
23,5; Gc 4,3.
§P@<J"H: verbo, acc. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da §PT, avere, possedere,
tenere (trans.); essere nella condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. Participio
sostantivato, modificato da un avverbio. La costruzione J@×H i"iäH §P@<J"H (lett. «gli
aventi male»), determinata dall’articolo, può essere tradotta con una forma pronominale
(«coloro che erano malati») oppure direttamente con un sostantivo («gli ammalati»). Nel
greco classico l’usatissimo verbo §PT è normalmente transitivo e assume una serie di
significati particolari che dipendono da quello fondamentale di «avere». Tuttavia in certe
espressioni, come qui, ha valore intransitivo e forma con gli avverbi delle strutture che
denotano una situazione, uno stato, un essere: i"iäH §Pg4<, «stare male» (cf. Mc 1,32.34;
2,17; 6,55); i"8äH §Pg4<, «stare bene» (cf. Mc 16,18).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
*"4:@<4.@:X<@LH: verbo, acc. plur. m. part. pres. pass., di valore sostantivato, da *"4:@<\.@-
:"4, essere indemoniato, avere un demonio, essere posseduto da un demonio. Questo verbo
deponente ricorre 13 volte nel NT: Mt 4,24; 8,16.28.33; 9,32; 12,22; 15,22; Mc 1,32;
5,15.16.18; Lc 8,36; Gv 10,21. Il verbo *"4:@<\.@:"4, riferito all’azione di un demone, è
termine del greco ellenistico (cf. Plutarco, Quaest. conv., 706,e,1). Nel NT compare
esclusivamente nei vangeli, dove designa uno stato morboso che viene identificato dagli
autori sacri con l’ossessione o la possessione diabolica. In tale significato esso corrisponde
all’espressione *"4:`<4@< §Pg4<, «avere un demonio» (cf. Gv 10,20). Usato al participio,
con valore sostantivato, indica «quelli posseduti da un demonio», ossia gli ossessi o gli
Mc 1,33 123

indemoniati. La presenza di questi «indemoniati» caratterizza molti racconti evangelici:


secondo la mentalità di allora, largamente condivisa nell’antichità, erano considerati posseduti
da spiriti malvagi persone afflitte da varie malattie fisiche e mentali difficilmente diagnostica-
bili e dagli effetti singolari, come la paralisi, la sordità, la perdita della parola, l’epilessia, i
disturbi mentali. In taluni racconti di esorcismo da parte di Gesù si discute a volte se
effettivamente si trattasse di un indemoniato o più verosimilmente di un semplice malato
fisico o psichico. Ciò è irrilevante: come tutti i suoi contemporanei anche Gesù attribuisce
ai demoni la causa delle malattie del corpo e dello spirito (cf. Mc 9,17.25; Mt 12,43–45; Lc
11,14) e agisce di conseguenza come vero esorcista. Se non lo crediamo noi lo credeva lui
e questo ci basta. Non si deve dimenticare infatti che presso gli antichi guarigioni e cacciate
di demoni sono la stessa cosa. Per quanto concerne la demonologia presente nei vangeli vedi
commento a Mc 1,34.

1,33 i"Â µ< Ó80 º B`84H ¦B4FL<0(:X<0 BDÎH J¬< hbD"<.


1,33 Tutta la città si era riunita davanti alla porta.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. La formula i"Â µF"< / i"Â µ<, analogamente a µF"< (VD / µ< (VD e a µF"< *X /
µ< *X, è usata da Marco per introdurre un inciso di valore causale o esplicativo (cf. Mc
1,16.33; 2,15; 5,42; 6,31.44.48; 7,26; 8,9; 10,22; 11,13; 14,40; 15,25; 16,14).
Ó80: agg. indefinito, nom. sing. f. da Ó8@H, –0, –@<, tutto, ogni; cf. Mc 1,28; attributo di B`84H,
qui senza articolo perché in posizione predicativa.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
B`84H: sost., nom. sing. f. da B`84H, –gTH, città, villaggio; soggetto. Il vocabolo ricorre 163
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 27 volte in Matteo (corrispondente
allo 0,147% del totale delle parole); 8 volte in Marco (cf. Mc 1,33.45; 5,14; 6,33.56; 11,19;
14,13.16 = 0,071%); 39 volte in Luca (0,200%); 8 volte in Giovanni (0,051%). Nell’uso
neotestamentario il termine B`84H non ha più la coloritura politica di città–stato come nel
greco classico (cf. Sofocle, Antig., 738; Senofonte, Cyr., 8,2,28; Aristotele, Polit., 1276a 8):
B`84H indica semplicemente la singola e generica «città» o un grosso insediamento, in ogni
caso più esteso rispetto al più piccolo «villaggio», tradotto abitualmente con if:0 (cf. Mc
6,6) o iT:`B@84H (cf. Mc 1,38). L’espressione «tutta la città» è una efficace iperbole per
indicare che una grande massa di persone si presentò da Gesù.
¦B4FL<0(:X<0: verbo, nom. sing. f. part. perf. pass. da ¦B4FL<V(T (da ¦B\ e FL<V(T),
raggruppare insieme, raccogliere, radunare. Questo verbo ricorre 8 volte nel NT: Mt
23,37[x2]; 24,31; Mc 1,33; 13,27; Lc 12,1; 13,34; 17,37. Participio predicativo di B`84H. Il
participio è retto da µ< in costruzione perifrastica («era radunantesi»), al posto dell’usuale
imperfetto «si radunava». Nel greco classico ¦B4FL<V(T indica un generico «mettere
insieme» che può essere riferito sia a persone che a cose (cf. Polibio, Hist., 5,97,3). Da notare
la sottolineatura della concentrazione degli abitanti, resa dall’Autore sia con l’impiego di
¦B4FL<V(T, forma rafforzativa di FL<V(T, «radunarsi», con l’uso del prefisso ¦B4–, per
124 Mc 1,34

indicare direzione sia con la presenza della successiva preposizione BD`H di valore
direzionale che accentua ulteriormente il movimento della folla verso la scena descritta.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
hbD"<: sost., acc. sing. f. da hbD", –"H, porta [di casa], ingresso, vestibolo; compl. di stato in
luogo. Il vocabolo ricorre 39 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 4 volte
in Matteo (corrispondente allo 0,022% del totale delle parole); 6 volte in Marco (cf. Mc 1,33;
2,2; 11,4; 13,29; 15,46; 16,3 = 0,053%); 4 volte in Luca (0,021%); 7 volte in Giovanni
(0,045%). La «porta», al singolare, è quella della casa in cui si trova Gesù: nel NT scompare
la differenza, più o meno rispettata nel greco classico, tra hbD" (porta di casa) e Bb8"4
(porta della città, a due battenti).

1,34 i"Â ¦hgDVBgLFg< B@88@×H i"iäH §P@<J"H B@4i\8"4H <`F@4H i"Â *"4:`<4"
B@88 ¦>X$"8g< i" @Ûi ³n4g< 8"8gÃ< J *"4:`<4"s ÓJ4 ·*g4F"< "ÛJ`<.
1,34 Ed egli guarì tutti i malati che erano colpiti da varie malattie e scacciò tutti i demoni;
ma non permetteva che i demoni rivelassero di sapere chi egli fosse.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦hgDVBgLFg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da hgD"BgbT, riparare, guarire, curare, ridare
salute. Questo verbo ricorre 43 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 16
volte in Matteo (corrispondente allo 0,087% del totale delle parole); 5 volte in Marco (cf. Mc
1,34; 3,2.10; 6,5.13 = 0,044%); 14 volte in Luca (0,072%); 1 volta in Giovanni (0,006%).
Diversamente dal greco classico, dove hgD"BgbT significa in primo luogo il generico
«servire», «avere cura di» (cf. Omero, Od., 13,265; Platone, Euth., 13d; Erodoto, Hist.,
2,37,2), nel NT esso è sempre impiegato nel senso di «sanare» o «rendere sano» (=
«guarire») un malato, a eccezione di At 17,25 dove il verbo compare nel significato religioso
e cultuale di «servire la divinità». Nell’uso marciano il verbo è utilizzato all’interno di
sommari o in formule redazionali; soggetto della guarigione è sempre Gesù, eccetto Mc 6,13
(i Dodici, per comando di Gesù).
B@88@bH: agg. indefinito, acc. plur. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; compl.
oggetto. Il vocabolo ricorre 416 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 60
volte in Matteo (corrispondente allo 0,327% del totale delle parole); 61 volte in Marco (cf.
Mc 1,34[x2].45; 2,2.15[x2]; 3,7.8.10.12; 4,1.2.5.33; 5,9.10.21.23.24.26[x2].38.43; 6,2.
13[x2].20.23.31.33.34[x2].35[x2]; 7,4.13; 8,1.31; 9,12.14.26[x2]; 10,22.31.45.48[x2]; 11,8;
12,5.27.37.41[x2].43; 13,6[x2].26; 14,24.56; 15,3.41 = 0,540%); 60 volte in Luca (0,308%);
41 volte in Giovanni (0,262%). L’aggettivo «molti» non vuole affermare che alcuni dei
malati non furono guariti (senso restrittivo): l’Autore, alla maniera semitica, vuol dire che
Gesù li guarì tutti, che in quella occasione erano molti (senso inclusivo). Si tratta di un
particolare modo semitico di intendere la realtà e di esprimerlo linguisticamente, come
avviene in Mc 1,34[x2]; 3,10; 6,2; 9,26; 10,31.45; 14,24 (vedi il commento ad l.). Da notare
Mc 1,34 125

l’inclusione tematica e letteraria tra ¦hgDVBgLFg< B@88@bH (cf. Mc 1,34) e B@88@×H


¦hgDVBgLFg< (cf. Mc 3,10).
i"iäH: avv. di modo, indecl., male, malamente; cf. Mc 1,32.
§P@<J"H: verbo, acc. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da §PT, avere, possedere,
tenere (trans.); essere nella condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. Participio
sostantivato, modificato da un avverbio. La costruzione [J@bH] i"iäH §P@<J"H (lett. «gli
aventi male»), può essere tradotta con una forma pronominale («coloro che erano malati»)
oppure direttamente con un sostantivo («gli ammalati»). Il verbo §PT normalmente è
transitivo e ha una serie di significati che dipendono da quello fondamentale di avere.
Tuttavia in certe espressioni, come qui, ha valore intransitivo e forma con gli avverbi delle
strutture che denotano una situazione, uno stato, un essere: i"iäH §Pg4<, «stare male» (cf.
Mc 1,32.34; 2,17; 6,55); i"8äH §Pg4<, «stare bene» (cf. Mc 16,18).
B@4i\8"4H: agg. qualificativo, dat. plur. f. da B@4i\8@H, –0, –@<, vario, diverso; attributo di
<`F@4H. Il vocabolo ricorre 10 volte nel NT: Mt 4,24; Mc 1,34 (hapax marciano); Lc 4,40;
2Tm 3,6; Tt 3,3; Eb 2,4; 13,9; Gc 1,2; 1Pt 1,6; 4,10. Questo aggettivo ha subito una
notevole evoluzione semantica: originariamente stava per «variopinto», «di vari colori» (cf.
Omero, Il., 10,30.75), detto di animali e cose. Più tardi ha assunto il significato derivato di
«vario», «molteplice», «multiforme» (cf. Eschilo, Prom., 495; Platone, Resp., 426a): è il
significato che ritroviamo nel NT.
<`F@4H: sost., dat. plur. f. da <`F@H, –@L, malattia, infermità, debolezza; compl. di causa
efficiente. Il vocabolo ricorre 11 volte nel NT: Mt 4,23.24; 8,17; 9,35; 10,1; Mc 1,34 (hapax
marciano); Lc 4,40; 6,18; 7,21; 9,1; At 19,12. Di etimologia incerta, <`F@H è usato da
Omero in poi nel senso generico di «malattia», «infermità» (cf. Omero, Il., 1,10; Od., 9,411),
senza una specificazione tipologica. Nel NT il termine è usato sempre nel significato proprio.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
*"4:`<4": sost., acc. plur. n. da *"4:`<4@<, –@L, demonio, spirito cattivo; compl. oggetto. Il
vocabolo ricorre 63 volte nel NT: 11 volte in Matteo (cf. Mt 7,22; 9,33.34[x2]; 10,8; 11,18;
12,24[x2].27.28; 17,18, corrispondente allo 0,060% del totale delle parole); 13 volte in Marco
(cf. Mc 1,34[x2].39; 3,15.22[x2]; 6,13; 7,26.29.30; 9,38; 16,9.17 = 0,115%); 23 volte in Luca
(cf. Lc 4,33.35.41; 7,33; 8,2.27.29.30.33.35.38; 9,1.42.49; 10,17; 11,14[x2].15[x2].
18.19.20; 13,32 = 0,118%); 6 volte in Giovanni (cf. Gv 7,20; 8,48.49.52; 10,20,21 =
0,038%); At 17,18; 1Cor 10,20[x2].21[x2]; 1Tm 4,1; Gc 2,19; Ap 9,20; 16,14; 18,2. Nella
sua accezione originaria il sostantivo *"4:`<4@< designa il potere divino o il detentore di
tale potere, ossia la divinità, il demone come forza positiva (cf. Erodoto, Hist., 5,87,2;
Platone, Resp., 382e). Soltanto in epoca ellenistica e particolarmente nei successivi scritti
cristiani, al concetto di demone inteso come essere soprannaturale (ªJgD" *¥ *"4:`<4"
i"4<V, «nuove e diverse divinità»: Platone, Apol., 24c) si sostituisce quello di demone
considerato come spirito maligno, demonio malvagio, oppositore dell’uomo. Sebbene dal
punto di vista linguistico il vocabolo presente nel NT si riallacci a questo secondo significato,
dal punto di vista antropologico, culturale e religioso lo sfondo è quello del mondo giudaico.
L’Israele antico e il giudaismo successivo credono che oltre agli spiriti buoni esistono quelli
malvagi, come Satana e i suoi demoni (cf. Gb 1,6; 2,1; 1QM, 13,10–11): questi ultimi si
126 Mc 1,34

oppongono con tutte le loro forze all’uomo per danneggiarlo, in contrasto con le potenze del
bene: «A causa dell’Angelo delle tenebre deviano tutti i figli della giustizia e tutti i loro
peccati, le loro trasgressioni, i loro errori e le loro azioni ribelli, sono sotto il suo dominio,
secondo i misteri di Dio, fino al suo tempo» (cf. 1QS, 3,21–23). Nella pietà popolare e nella
stessa demonologia presente negli scritti biblici e giudaici, i demoni sono causa di malattie
del corpo e dello spirito (cf. Sal 91,5; 1Hen., 15,11), della stessa morte (cf. Lib. Iub., 10,1;
49,2; Sap 1,14). Non deve destare meraviglia se ancora in epoca tannaitica (ca. 200 d.C.) la
causa della malattia veniva attribuita a determinati spiriti malvagi. Una barayta, ossia un
insegnamento tannaitico non incluso nella Mishnah, ma inserito in seguito nel Talmud, parla
di Shabriré (*9F*9E"A–
I ) come demone che provoca la cecità (cf. b.Ber., 3a; b.Ghit., 69a).
Nell’uso neotestamentario il vocabolo *"4:`<4@< è particolarmente concentrato nei vangeli
(53 presenze su 63) all’interno dei racconti di guarigioni operate da Gesù. Nei vangeli questi
spiriti malvagi o «impuri» sono rappresentati come esseri del tutto personali, dotati di capacità
eccezionali: conoscono segreti come l’identità di Gesù (cf. Mc 1,24; 3,11) e dialogano con
l’esorcista (cf. Mc 1,24–25; 5,8–9). Le grida degli indemoniati sono considerate come se
fossero le stesse dei demoni (cf. Mc 1,23; 3,11; 5,5.7; 9,26; Lc 4,41). Le convulsioni, i gesti,
gli spasimi di dolore dei malati sono attribuiti all’azione diretta dei demoni (cf. Mc 1,26;
9,18.20; Lc 8,29), i quali a volte si riuniscono in gruppi (cf. Mt 12,45; Mc 16,9; Lc 8,2) o
addirittura in numero maggiore, quasi come una legione di soldati (cf. Mc 5,9.15; Lc 8,30).
Sovrano indiscusso dei demoni è considerato Beelzebul (cf. Mc 3,22), il quale cerca di
instaurare sulla terra una $"F48g\" di Satana che si contrappone a quella di Dio (cf. Mt
12,26). La demonologia presupposta da Gesù e dai sinottici è sostanzialmente quella del
giudaismo antico. Come tutti i suoi contemporanei anche Gesù attribuisce ai demoni le
malattie del corpo e dello spirito (cf. Mt 12,43–45; Mc 9,17.25; Lc 11,14.24–26; 13,11): per
guarire il malato/indemoniato l’esorcista deve, quindi, «cacciare» lo spirito cattivo, poiché
secondo gli antichi, non soltanto israeliti, cacciate di demoni e guarigioni sono la stessa cosa
(cf. Mc 1,32–34; 3,10–12).
B@88V: agg. indefinito, acc. plur. n. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; attributo di *"4:`<4".
¦>X$"8g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦i$V88T (da ¦i e $V88T), scacciare, mandare
via, fare uscire, espellere; cf. Mc 1,12.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
³n4g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare,
rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18. Rispetto al greco classico la Koiné presenta alcune
varianti nella coniugazione dei composti di Ë0:4: qui la forma ³n4g< corrisponde a ²n\0<.
8"8gÃ<: verbo, inf. pres. da 8"8XT, parlare, dire. Questo verbo ricorre 296 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 26 volte in Matteo (corrispondente allo 0,142% del
totale delle parole); 21 volte in Marco (cf. Mc 1,34; 2,2.7; 4,33.34; 5,35.36; 6,50; 7,35.37;
8,32; 11,23; 12,1; 13,11[x3]; 14,9.31.43; 16,17.19 = 0,186%); 31 volte in Luca (0,159%);
59 volte in Giovanni (0,377%). Nel suo significato etimologico 8"8XT è un verbo
Mc 1,35 127

onomatopeico (8"–8g), usato per il «balbettare» dei bambini piccoli (cf. lat. lallo) e
applicato agli adulti per «chiacchierare» (cf. Aristofane, Eccl., 1058). Fuori da questo uso
circoscritto il verbo indica il generico «parlare» (cf. Senofonte, Cyr., 1,4,12; Teofrasto, Char.,
4,5), solitamente contrapposto al parlare “razionale” indicato con 8X(T. Nel greco
neotestamentario il verbo 8"8XT assume il generico significato di «parlare», «dire»,
«rivelare», senza sfumature teologiche.
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
*"4:`<4": sost., acc. plur. n. da *"4:`<4@<, –@L, demonio, spirito cattivo; cf. Mc 1,34;
soggetto della proposizione oggettiva costruita con il verbo infinito 8"8gÃ<.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Molti erroneamente
intendono la congiunzione nel significato causale («perché») e traducono: «…e non
permetteva ai demoni di parlare, perché lo conoscevano»). Al contrario la congiunzione ÓJ4
non è qui causale, ma dichiarativa e introduce il contenuto di ciò che tentano di dire i
demoni, ai quali Gesù impone il divieto.
·*g4F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. piucch. da @É*" (una radice con valore di presente connessa
a gÉ*@<, aor. attivo di ÒDVT), vedere, percepire, discernere, conoscere, sapere; cf. Mc 1,24.
Costruito con l’accusativo di persona, come nel nostro caso, il verbo @É*" acquista il
significato di «sapere chi è uno», ossia, conoscere la sua identità (cf. Mc 1,24).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.

1,35 5" BDTÅ §<<LP" 8\"< •<"FJH ¦>­8hg< i" •B­8hg< gÆH §D0:@< J`B@<
i•igà BD@F0bPgJ@.
1,35 Al mattino presto, quando era ancora buio, si alzò, uscì e si ritirò in un luogo
appartato e là rimase a pregare.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


BDTÄ: avv. di tempo, indecl., al mattino, di mattina, di buon mattino (= la quarta veglia della
notte, che va all’incirca dalle 3 alle 6 del mattino). Il vocabolo ricorre 12 volte nel NT: Mt
16,3; 20,1; 21,18; Mc 1,35; 11,20; 13,35; 15,1; 16,2.9; Gv 18,28; 20,1; At 28,23.
§<<LP": (acc. plur. n. da §<<LP@H), avv. di tempo, indecl., di notte, al buio. Hapax neotesta-
mentario. Questa seconda determinazione temporale non contrasta con la precedente:
quando nei vangeli ci sono due determinazioni di tempo in successione, di cui una sembra
pleonastica, la seconda determina più esattamente la prima (cf. Mc 16,2).
8\"<: avv. di modo, indecl., grandemente, molto, oltre misura, estremamente. Il vocabolo
ricorre 12 volte nel NT: Mt 2,16; 4,8; 8,28; 27,14; Mc 1,35; 6,51; 9,3; 16,2; Lc 23,8; 2Tm
4,15; 2Gv 1,4; 3Gv 1,3.
•<"FJVH: verbo, nom. sing. m. part. aor. da •<\FJ0:4 (da •<V e ËFJ0:4), sorgere, alzarsi,
sollevarsi, risorgere, risuscitare. Questo verbo ricorre 108 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 4 volte in Matteo (cf. Mt 9,9; 12,41; 22,24; 26,62, corrispondente allo
0,022% del totale delle parole); 17 volte in Marco (cf. Mc 1,35; 2,14; 3,26; 5,42; 7,24; 8,31;
128 Mc 1,35

9,9.10.27.31; 10,1.34; 12,23.25; 15,57.60; 16,9 = 0,150%); 27 volte in Luca (cf. Lc 1,39;
4,16.29.38.39; 5,25.28; 6,8; 8,55; 9,8.19; 10,25; 11,7.8.32; 15,18.20; 16,31; 17,19; 18,33;
22,45.46; 23,1; 24,7.12.33.46 = 0,139%); 8 volte in Giovanni (cf. Gv 6,39.40.44.54;
11,23.24.31; 20,9 = 0,051%); 45 volte in Atti degli Apostoli (cf. At 1,15; 2,24.32; 3,22.26;
5,6.17.34.36.37; 6,9; 7,18.37; 8,26.27; 9,6.11.18.34[x2].39.40.41; 10,13.20.23.26.41;
11,7.28; 12,7; 13,16.33.34; 14,10.20; 15,7; 17,3.31; 20,30; 22,10.16; 23,9; 26,16.30; Rm
15,12; 1Cor 10,7; Ef 5,14; 1Ts 4,14.16; Eb 7,11.15. Participio predicativo di valore espletivo
del soggetto sottinteso z30F@ØH. La costruzione formata dal participio •<"FJVH + un verbo
di movimento (cf. Mc 1,35; 2,14; 7,24; 10,1) è comunemente utilizzata nella lingua ebraica
e aramaica per segnalare uno stacco narrativo o un cambio di scena; sebbene si conosca un
uso anche nel greco classico la formula che ritroviamo in Marco è dovuta a un semitismo.
La presenza semantica del verbo •<\FJ0:4 nella letteratura giudaica e nel NT corrisponde
genericamente a quella della grecità classica. Nell’uso transitivo si riferisce sia a persone
(«sollevare», «innalzare», «svegliare», «insediare») sia a cose («sollevare», «erigere»,
«ordinare»). Nell’uso intransitivo, come qui, oltre a esprimere il generico «levarsi in piedi»
il verbo acquista altri significati più circoscritti, deducibili dal contesto: «svegliarsi»,
«riscuotersi dal sonno» (cf. At 12,7); «levarsi», «alzarsi dal letto» (cf. Lc 11,7); «presentarsi»,
«farsi avanti» per parlare o per testimoniare in tribunale (cf. Mc 14,60; Lc 10,25; At 5,34),
«sollevarsi» con intenzione ostile (cf. Mc 3,26; At 5,17). Nel NT l’accezione più importante
di •<\FJ0:4 è, tuttavia, quella teologica (35 ricorrenze), nel significato transitivo di
«risuscitare [i morti]» e in quello intransitivo di «risuscitare [dai morti]», detto sia di un
singolo sia di tutti i morti sia di Gesù.
¦>­8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori, uscire;
cf. Mc 1,25. Marco parla sovente dell’«entrare e uscire» di Gesù (con ¦iB@Dgb@:"4: Mc
10,17.46; 11,19; con ¦>XDP@:"4: Mc 1,35; 2,13; 5,2; 6,1.34; 7,31; 8,27; 11,11).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•B­8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •BXDP@:"4 (da •B` e §DP@:"4), andare via,
partire; cf. Mc 1,20.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
§D0:@<: agg. qualificativo, acc. sing. m. da §D0:@H, –@<, solitario, deserto, desolato, inabitato;
cf. Mc 1,3; attributo di J`B@<.
J`B@<: sost., acc. sing. m. da J`B@H, –@L, luogo, spazio, area; compl. di moto a luogo. Il
vocabolo ricorre 94 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 10 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,055% del totale delle parole); 10 volte in Marco (cf. Mc
1,35.45; 6,11.31.32.35; 13,8; 15,22[x2]; 16,6 = 0,088%); 19 volte in Luca (0,098%); 16
volte in Giovanni (0,102%). Il sostantivo J`B@H, usatissimo in tutta la letteratura greca,
compare per la prima volta in Eschilo nel significato fisico di «spazio aperto» (non
illimitato), «territorio» circoscritto, «regione» (cf. Eschilo, Prom., 348; Euripide, Ph., 1027;
Senofonte, Anab., 4,4,4). Nella accezione generica letterale il vocabolo può designare ogni
luogo e ogni posto indeterminato la cui esatta conformazione viene precisata di volta in volta
in base al contesto. Nel nostro passo l’espressione «luogo deserto» non si riferisce al deserto
Mc 1,36 129

propriamente detto (indicato dal semplice sostantivo º §D0:@H, come in Mc 1,3.4.12.13),


ma semplicemente a un luogo solitario, appartato, lontano dal chiasso dei villaggi, come
avviene in Mc 1,45; 6,31.32.35.
i•igÃ: (= i" ¦igÃ, per crasi), cong. coordinativa di valore copulativo unita all’avv. di luogo,
indecl., e lì, e là. Il vocabolo ricorre 10 volte nel NT: Mt 5,23; 10,11; 28,10; Mc 1,35 (hapax
marciano); Gv 11,54; 14,7; 17,13; 22,10; 25,20; 27,6. Per i"\ cf. Mc 1,4; per ¦igà cf. Mc
1,38.
BD@F0bPgJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da BD@FgbP@:"4 (da BD`H e gÜP@:"4), offrire
preghiere, pregare. Questo verbo deponente ricorre 85 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 15 volte in Matteo (cf. Mt 5,44; 6,5[x2].6[x2].7.9; 14,23; 19,13; 24,20;
26,36.39.41.42.44, corrispondente allo 0, 082% del totale delle parole); 10 volte in Marco
(cf. Mc 1,35; 6,46; 11,24.25; 12,40; 13,18; 14,32.35.38.39 = 0,088%); 19 volte in Luca (cf.
Lc 1,10; 3,21; 5,16; 6,12.28; 9,18.28.29; 11,1[x2].2; 18,1.10.11; 20,47; 22,40.41.44.46 =
0,098%). Imperfetto durativo o iterativo, per sottolineare la durata di tale preghiera. Nel greco
classico il verbo BD@FgbP@:"4 è impiegato nel significato generico di «pregare», detto a
proposito di divinità, autorità o semplici personaggi (cf. Erodoto, Hist., 1,48,1; Eschilo,
Prom., 937; Sofocle, Antig., 1337; Platone, Symp., 220d). Nell’uso neotestamentario
BD@FgbP@:"4 è verbo tecnico utilizzato quasi esclusivamente nel significato religioso di
«pregare», «recitare preghiere», per lo più nella forma assoluta. Questa caratteristica è
modellata sui LXX, dove il verbo si riferisce sempre alla preghiera elevata a Dio. È la prima
volta che Marco accenna alla preghiera di Gesù (ripresa in Mc 6,46; 14,22.32.35).

1,36 i"Â i"Jg*\T>g< "ÛJÎ< E\:T< i"Â @Ê :gJz "ÛJ@Øs


1,36 Ma Simone e quelli che erano con lui si misero a cercarlo

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


i"Jg*\T>g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da i"J"*4fiT (da i"JV e *4fiT), seguire,
ricercare. Hapax neotestamentario. Modellato sull’uso classico (cf. Tucidide, Hist., 1,49,5)
questo verbo ricorre frequentemente nel LXX per lo più nel significato ostile di «inseguire»,
«dare la caccia» (cf. Gn 14,14; 31,36; 35,5; Dt 1,44; Gs 7,5, ecc.); meno spesso in quello
positivo di «cercare», «ricercare» (cf. Sal 24,6; 38,21). Qui descrive un cercare con una certa
insistenza.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
E\:T<: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da E\:T<, –T<@H, Simone, Simeone; cf.
Mc 1,16; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ê: art. determ., con valore pronominale, nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5;
soggetto. Uso pronominale dell’articolo corrispondente al pronome dimostrativo e personale
"ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; senza enfasi speciale. Questo fenomeno ricorre 70 volte in
Marco: Mc 1,36.45; 2,14.25; 3,4.20; 4,10.16; 5,40; 6,11.24.37.38.49.50; 7,6.28; 8,5.28.
130 Mc 1,37

33[x2]; 9,12.19.21.32.34; 10,3.4.20.22.26.36.37.39.48.50; 11,2.6.25.30; 12,15.16[x2].


17[x2]; 13,14.15.16.17.25; 14,11.20.24.31.46.52.61.68.70.71; 15,2.7.13.14.40.41.43.47;
16,1.6.
:gJz: (= :gJV), prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con,
insieme a, in compagnia di; cf. Mc 1,13.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di compagnia. L’espressione @Ê :gJz "ÛJ@Ø,
con ellissi del verbo essere (lett. «quelli con lui»; cf. anche Mc 3,14) equivale sostanzialmente
a @Ê B"Dz "ÛJ@Ø (lett. «quelli presso di lui», cf. Mc 3,21). Nella Koiné entrambe le
espressioni acquistano il senso, definito di volta in volta dal contesto, di «compagni»,
«amici», «seguaci», «discepoli», «commilitoni», «parenti», ecc. Qui la frase è equivoca
potendo formalmente indicare sia i «compagni» (= i «familiari») di Pietro, soggetto logico,
sia i «discepoli» di Gesù, soggetto implicito.

1,37 i"Â gâD@< "ÛJÎ< i"Â 8X(@LF4< "ÛJè ÓJ4 AV<JgH .0J@ØF\< Fg.
1,37 e, trovatolo, gli dissero: «Tutti ti cercano!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gâD@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da gßD\FiT, trovare, incontrare. Questo verbo ricorre 176
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 27 volte in Matteo (corrispondente
allo 0,147% del totale delle parole); 11 volte in Marco (cf. Mc 1,37; 7,30; 11,2.4.13[x2];
13,36; 14,16.37.40.55 = 0,097%); 45 volte in Luca (0,231%); 19 volte in Giovanni (0,122%).
Nella grecità il verbo gßD\FiT spesso è unito, come qui, a .0JXT, «cercare», per esprimere
un rapporto di reciproca correlazione (cf. Aristofane, Pl., 104; Omero, Il., 5,355; Erodoto,
Hist., 1,56,2; Sofocle, Phil., 452; Aristofane, Pax, 430). Nell’uso neotestamentario il verbo
non indica quasi mai un «trovare» generico privo di senso: predomina il significato di una
scoperta sorprendente, relativa a persone o realtà che hanno una qualche attinenza con il
mondo del soprannaturale o sono in rapporto con il regno di Dio.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8X(@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
AV<JgH: pron. indefinito, nom. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; soggetto.
Mc 1,38 131

.0J@ØF\<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da .0JXT, cercare (per trovare od ottenere), provare
a, tentare di. Questo verbo ricorre 117 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 14 volte in Matteo (corrispondente allo 0,076% del totale delle parole); 10 volte
in Marco (cf. Mc 1,37; 3,32; 8,11.12; 11,18; 12,12; 14,1.11.55; 16,6 = 0,088%); 25 volte in
Luca (0,128%); 34 volte in Giovanni (0,217%). Nella grecità il verbo .0JXT ha il significato
generico di «cercare», ulteriormente precisato a seconda degli ambiti (cf. Omero, Il., 14,258;
Eschilo, Prom., 262). Nell’uso tecnico indica la ricerca o l’indagine (= «ricercare»,
«indagare») effettuata in ambito filosofico o giudiziario (cf. Senofonte, Mem., 1,1,15). I LXX
traducono normalmente con .0JXT (319 volte) la forma piel dell’ebraico –“ F vE, biqqe)š,
«cercare», «adoperarsi», «desiderare», «chiedere». Oltre che per la ricerca profana (cf. Gn
37,16; 1Sam 10,2.14) il verbo è usato anche per la ricerca nell’ambito religioso: l’uomo
cerca/ricerca Dio (cf. Dt 4,29; Sal 24,6; 27,8) e Dio a sua volta cerca/ricerca l’uomo (cf. Ez
34,11–16). Per quanto riguarda la semantica il verbo assume in Marco una ampia gamma
di significati, potendo esprimere in senso sia profano che religioso: a) sintonia (cf. Mc 16,6);
b) interesse (cf. Mc 1,37; 3,32); c) ostilità (cf. Mc 8,11ss.; 11,18; 12,12; 14,1.11.55).
Fg: pron. personale di 2a pers. acc. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,24; compl. oggetto.

1,38 i" 8X(g4 "ÛJ@ÃHs }!(T:g< •88"P@Ø gÆH JH ¦P@:X<"H iT:@B`8g4Hs Ë<"
i" ¦igà i0Db>T· gÆH J@ØJ@ (D ¦>­8h@<.
1,38 Ma egli disse loro: «Andiamo altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là;
per questo, infatti, sono venuto!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. La formula redazionale 8X(g4
"ÛJ@ÃH ricorre 25 volte, esclusivamente riservata a Gesù (cf. Mc 1,38; 2,8.17.25; 3,4;
4,13.35; 5,39; 6,31.38.50; 7,18; 8,17; 9,35; 10,11.24.42; 11,2.22.33; 12,16; 14,13.27.34.41).
Per quanto riguarda la formula singolare 8X(g4 "ÛJè, avente come soggetto Gesù, cf. Mc
1,41.44; 2,14; 5,9.19; 7,34; per 8X(g4 "ÛJ±, cf. Mc 5,41.
}!(T:g<: verbo, 1a pers. plur. congiunt. pres. da –(T, andare, partire, condurre, guidare,
muovere. Questo verbo ricorre 69 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
4 volte in Matteo (corrispondente allo 0,022% del totale delle parole); 3 volte in Marco (cf.
Mc 1,38; 13,11; 14,42 = 0,027%); 13 volte in Luca (0,067%); 13 volte in Giovanni
(0,083%). Questa forma verbale costituisce ciò che viene definito un “congiuntivo
esortativo”: il verbo, al modo congiuntivo all’interno di una proposizione principale, è sempre
in prima persona ed è usato per esprimere una esortazione, un incitamento, un incoraggia-
mento, come se si trattasse della prima persona del modo imperativo. Per altri esempi di
congiuntivo esortativo cf. Mc 1,38; 4,35; 9,5; 11,32; 12,7; 14,42; 15,36. L’esortativo presente
–(T:g< •88"P@Ø, con senso durativo, dà all’invito di Gesù un valore di continuità nel suo
132 Mc 1,38

stile di vita itinerante che annuncia la «Buona Novella» (cf. Mc 1,14.16.19.21.29.35).


L’invito sarà ripreso in Mc 14,42, con cui forma una importante inclusione. Nel linguaggio
della sequela le relazioni Gesù–discepoli si esprimono a volte con il verbo –(T (cf. Mc 1,38;
14,42) che implica accompagnamento, altre volte con i composti FL<V(T (cf. Mc 6,30),
ßBV(T (cf. Mc 8,33), BD@V(T (cf. Mc 10,32; 14,28; 16,7).
•88"P@Ø: avv. di luogo, indecl., altrove, in altro luogo. Hapax neotestamentario. Nel greco
classico prevale il significato di stato in luogo (= «in altro luogo»); nella Koiné l’avverbio
esprime un moto a luogo (= «verso un altro luogo»).
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
¦P@:X<"H: verbo, acc. plur. f. part. pres. medio da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere
nella condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. Participio attributivo del
complemento di moto a luogo iT:`B@84H. Derivato dalla voce media di §PT questo
participio è usato in funzione aggettivale nel significato di «aggrappato», «attaccato»,
«aderito»; detto di località assume il senso di «limitrofo», «accanto», «vicino» (cf. Lc 13,33;
At 20,15; 21,26).
iT:@B`8g4H: sost., acc. plur. f. da iT:`B@84H, –gTH (da if:0 e B`84H), villaggio, piccola
città; compl. di moto a luogo. Hapax neotestamentario. Il vocabolo, reso dalla Vulgata con
«vicos et civitates», esprime in greco un’idea ben definita: «oppidum quod pagi tantum iura
ac dignitatem habet» (Franciscus Zorell). Si tratta di nuclei urbani che, pur non arrivando al
rango di città (= B`84H), sono più grandi delle borgate di campagna (= if:0) e corrispon-
dono a ciò che in italiano indichiamo con i sostantivi «villaggio», «paese» (cf. Strabone,
Geogr., 12,2,6).
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per. Questa
congiunzione ricorre 663 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 39 volte
in Matteo (corrispondente allo 0,213% del totale delle parole); 64 volte in Marco (cf. Mc
1,38; 2,10; 3,2.9[x2].10.12.14[x2]; 4,12.21[x2].22[x2]; 5,10.12.18.23[x2].43; 6,8.12.25.36.
41.56; 7,9.26.32.36; 8,6.22.30; 9,9.12.18.22.30; 10,13.17.35.37.48.51; 11,16.25.28;
12,2.13.15.19; 13,18.34; 14,10.12.35.38.49; 15,11.15.20.21.32; 16,1 = 0,566%); 46 volte in
Luca (0,236%); 145 volte in Giovanni (0,927%). L’uso di Ë<" nel NT corrisponde
generalmente a quello classico, anche se per influsso della Koiné la congiunzione assume
altre sfumature di significato. Nella maggior parte delle ricorrenze Ë<" è impiegato con: a)
significato finale, corrispondente alla congiunzione italiana «affinché». Si conoscono, tuttavia,
altre possibilità: b) valore completivo, soprattutto in dipendenza da verbi di comando,
esortazione, volontà e simili: in questi casi Ë<" corrisponde a ÓJ4 o ÓBTH e introduce un
infinito con valore completivo (es. Mc 3,9); c) valore esplicativo (o epesegetico): è simile
all’uso completivo; in questi casi Ë<" introduce una proposizione infinitiva che chiarisce o
esplicita la proposizione principale (es. Gv 6,29); d) valore imperativo: si tratta di un
particolare uso conativo di Ë<" per esprimere un comando o una preghiera, quasi sempre con
un verbo sottinteso che deve essere esplicitato nella traduzione (es. Mc 5,23); e) valore
ellittico, presente nella locuzione •88z Ë<": è un particolare costrutto che deve essere
Mc 1,39 133

integrato con espressioni quali «ciò accade», «ciò è accaduto» e simili (es. Mc 14,49). In
Marco prevale il significato finale (cf. Mc 1,38; 2,10; 3,2.9b.10.14; 4,12.21[x2]; 5,12.23;
6,36.41; 7,9; 8,6; 9,22; 10,13.17.48; 11,25.28; 12,12.13.15; 13,18; 14,10.12.35.38;
15,11.15.20.32; 16,1). Altrove Ë<" compare con significato completivo (cf. Mc 3,9a.12;
4,22a; 5,10.18.43; 6,8.12.25.56; 7,26.32.36; 8,22.30; 9,9.12.18.30; 10,35.37; 11,16; 13,34;
15,21). Il significato ellittico imperativo è presente in Mc 5,23a; 10,51; 12,19, mentre la
locuzione ellittica •88z Ë<" compare in Mc 4,22b; 14,49.
i"\: cong. coordinativa di valore aggiuntivo, indecl., anche, perfino, inoltre, altresì; cf. Mc 1,4.
Il significato aggiuntivo di i"\ è presente in Mc 1,27b.38b; 2,15b.26c.28; 3,19b; 4,24b;
6,34b; 7,18b; 8,3b.7ac.38c; 9,22a; 11,25b; 12,22b; 13,29; 14,9.29.31; 15,31.40ab.43a.
¦igÃ: avv. di luogo, indecl., là, lì, in quel posto. Il vocabolo ricorre 95 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 28 volte in Matteo (corrispondente allo 0,153% del
totale delle parole); 11 volte in Marco (cf. Mc 1,38; 2,6; 3,1; 5,11; 6,5.10.33; 11,5; 13,21;
14,15; 16,7 = 0,097%); 16 volte in Luca (0,082%); 22 volte in Giovanni (0,141%).
i0Db>T: verbo, 1a pers. sing. congiunt. aor. da i0DbFFT, proclamare apertamente, annunciare
solennemente, predicare; cf. Mc 1,4. Congiuntivo di valore finale.
gÆH: prep. propria di valore finale, seguita dall’accusativo, indecl., per, in vista di, allo scopo di;
cf. Mc 1,4. La preposizione è qui impiegata con valore finale, analogamente a Mc 1,4.44;
6,11; 13,9.12; 14,4.8.9.55; 15,34.
J@ØJ@: pron. dimostrativo, acc. sing. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 1,27;
compl. di fine.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
¦>­8h@<: verbo, 1a pers. sing. ind. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori, uscire;
cf. Mc 1,25. Non sembra accettabile la lettura storica e cronachistica che intende il verbo
«uscire» nel senso fisico e spaziale, in riferimento all’allontanamento di Gesù dalla casa:
«…per questo sono uscito» (sott. da Cafarnao). La forma verbale sembra qui avere piuttosto
un significato “teologico”, tipicamente giovanneo: «per questo sono venuto» [sott. dal cielo
o da Dio], in riferimento alla missione che il Padre ha affidato al Figlio. In tal modo la frase
corrisponde alla analoga espressione che si ritrova in Mc 2,17; 9,7; 10,45 (cf. anche Gv 8,42;
13,3; 16,27; 17,8). Del resto Marco usa altrove il verbo §DP@:"4 non in senso meramente
fisico e spaziale, ma in riferimento alla missione di Gesù, il quale dice di sé stesso di «essere
venuto» a chiamare i peccatori (cf. Mc 2,17) e di «essere venuto» a servire (cf. Mc 10,45).

1,39 i" µ8hg< i0DbFFT< gÆH JH FL<"(T(H "ÛJä< gÆH Ó80< J¬< '"848"\"<
i" J *"4:`<4" ¦i$V88T<.
1,39 E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


µ8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7.
134 Mc 1,39

i0DbFFT<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da i0DbFFT, proclamare apertamente,


annunciare solennemente, predicare; cf. Mc 1,4. Participio predicativo del soggetto
sottinteso z30F@ØH. Il verbo i0DbFFT, «proclamare», deve essere distinto da *4*VFiT,
«insegnare», non soltanto dal punto di vista filologico, ma anche teologico. L’attività di
«insegnare» (*4*VFiT) è riferita da Marco sia a Gesù sia agli scribi e deve essere messa in
relazione con lo sfondo anticotestamentario, al quale entrambi i soggetti si rifanno, anche se
con una diversa prospettiva: gli scribi utilizzano l’AT per interpretarlo legalisticamente,
secondo le loro categorie, Gesù, invece, lo reinterpreta alla luce dell’annuncio sul regno di
Dio. Nonostante questa diversa utilizzazione si può dire che Marco assegna al verbo
*4*VFiT una coloritura giudaica: ogni volta che Gesù «insegna» (*4*VFiT) lo fa di fronte
a un uditorio giudaico, in Galilea (cf. Mc 1,21.22; 2,13; 4,1.2; 6,2.6.34; 8,31; 9,31) o a
Gerusalemme (cf. Mc 11,17; 12,14.35; 14,49). Il verbo «predicare» (i0DbFFT), al contrario,
è di chiara impronta neotestamentaria ed è sempre messo in relazione con la «buona
novella». In Marco questo verbo è usato: a) per la predicazione di Giovanni il Battista (cf.
Mc 1,4.7); b) per quella di Gesù (cf. Mc 1,14.38.39); c) per quella dei discepoli missionari
(cf. Mc 3,14; 6,12; 13,10; 14,9; 16,15.20); d) per le proclamazioni dei miracolati (cf. Mc
1,45; 5,20; 7,36). Quando è Gesù a «predicare» la sua proclamazione non avviene mai a
Gerusalemme, ma in Galilea e nel mondo intero (cf. Mc 1,14.38.39; cf. anche Mc 13,10;
14,9).
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
FL<"(T(VH: sost., acc. plur. f. da FL<"(T(Z, –­H, raccolta, adunanza, assemblea, riunione,
congregazione, sinagoga (forma raddoppiata di FL<V(T); cf. Mc 1,21; compl. di luogo.
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona plurale
(«di essi» = «loro»). Dal punto di vista grammaticale il pronome si presenta nella costruzione
ad sensum, essendo privo di un preciso riferimento. Tuttavia, analogamente a Mc 1,23, il
pronome sta qui a indicare le sinagoghe «dei Giudei»: si tratta di un segnale linguistico che
denota una separazione e opposizione, forse anche a livello inconscio, tra l’Autore e i suoi
lettori da una parte e il gruppo dei Giudei dall’altra. Ritroviamo questa sfumatura critica
anche in Mc 7,3, in cui il termine «Giudei» viene usato come categoria antitetica rispetto a
chi scrive.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
Ó80<: agg. indefinito, acc. sing. f. da Ó8@H, –0, –@<, tutto, ogni; cf. Mc 1,28; attributo di
'"848"\"<, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
'"848"\"<: sost., nome proprio di regione, acc. sing. f. da '"848"\", –"H, Galilea; cf. Mc
1,9; compl. di moto per luogo. Per quello che sappiamo dai testi neotestamentari il breve
Mc 1,40 135

ministero di Gesù si svolse quasi esclusivamente nei villaggi e nelle cittadine della Galilea:
Nazaret, Cafarnao, Cana, Nain, Corazin, ecc. In questo quadro storico e geografico spicca
sorprendentemente l’assenza delle due città galilee più importanti: Sefforis e Tiberiade,
fortemente ellenizzate. La prima non è mai menzionata nel NT, pur trovandosi a circa 6 km
da Nazaret; la seconda è menzionata di passaggio soltanto in Gv 6,23 (l’espressione «lago
di Tiberiade», presente in Gv 6,1; 21,1, è soltanto una designazione stereotipa alternativa per
il più usuale «Mare di Galilea», indicato anche nelle fonti profane come «lago di Genezaret»,
vedi commento a Mc 1,16). Qualcuno ritiene questa omissione intenzionale, poiché sia
Sefforis che Tiberiade erano considerate come città semipagane, per via delle loro cultura
marcatamente cosmopolita ed ellenizzata.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
*"4:`<4": sost., acc. plur. n. da *"4:`<4@<, –@L, demonio, spirito cattivo; cf. Mc 1,34; compl.
oggetto.
¦i$V88T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da ¦i$V88T (da ¦i e $V88T), scacciare,
mandare via, fare uscire, espellere; cf. Mc 1,12. Participio predicativo del soggetto
sottinteso z30F@ØH. I due participi i0DbFFT<… i"Â ¦i$V88T< esprimono continuità e
contemporaneità dell’azione di Gesù nel predicare e nel cacciare i demoni.

1,40 5"Â §DPgJ"4 BDÎH "ÛJÎ< 8gBDÎH B"D"i"8ä< "ÛJÎ< [i"Â (@<LBgJä<] i"Â
8X(T< "ÛJè ÓJ4 z+< hX8®H *b<"F"\ :g i"h"D\F"4.
1,40 Venne da lui un lebbroso; lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi
guarirmi!».

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§DPgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Presente storico. La formula i"Â
§DPgJ"4, i"Â §DP@<J"4, con la quale Marco inizia molte pericopi, è un chiaro elemento
redazionale: si ritrova in Mc 1,40; 2,3.18; 3,20.31; 5,15.22.38; 6,1; 8,22; 10,46; 11,15.27;
12,18; 14,32.37.41.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5. L’espressione §DP@:"4 BD`H, detta in riferimento
a Gesù, non è rara in Marco: è impiegata per descrivere l’andare verso Gesù da parte di
qualche miracolato (cf. Mc 1,40; 2,3; 10,50), della folla (cf. Mc 1,45; 2,13; 3,8; 5,15) o di
gruppi specifici (cf. Mc 11,27; 12,18). Lo stesso Gesù comanda ai discepoli di lasciar «venire
a sé» i bambini (cf. Mc 10,14).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di moto a luogo.
8gBD`H: sost., nom. sing. m. da 8gBD`H, –@Ø, lebbroso; soggetto. Senza articolo, perché
anonimo e non ancora conosciuto. Il vocabolo ricorre 9 volte nel NT: Mt 8,2; 10,8; 11,5;
26,6; Mc 1,40; 14,3; Lc 4,27; 7,22; 17,12. Nella accezione originaria l’aggettivo 8gBD`H
136 Mc 1,40

indica ciò che è «squamoso», «rugoso», «tignoso», detto soprattutto di cose (cf. Teofrasto,
De caus. plant., 2,6,4; Giuseppe Flavio, Contra Ap., 1,229; Galeno, Simpl. medic., 11,849).
Nel greco biblico il termine viene sostantivato e usato nel significato di «lebbroso», ma non
indica necessariamente una persona colpita da lebbra, la malattia conosciuta scientificamente
come morbo di Hansen. Il vocabolo greco 8XBD" e il corrispondente ebraico ;3 H 9H7I, sEa) ra‘a5t ,
è impiegato nella Bibbia per indicare qualunque malattia della pelle. Il contesto successivo,
tuttavia, lascia capire che qui si sta parlando di un vero lebbroso. La severissima legislazione
anticotestamentaria in materia di lebbra è contenuta nei cc. 13–14 del Levitico. Colui che era
stato dichiarato lebbroso rimaneva in stato di impurità rituale e per tale motivo doveva
abitare da solo fuori dell’accampamento o dell’abitato. Analoga severità troviamo nella
legislazione mishnaica: «Se un lebbroso entra in una casa tutti gli oggetti che vi si trovano
sono impuri, anche quelli che sono vicini al soffitto» (m.Neg., 13,10). Questa segregazione
trova conferma anche in Giuseppe Flavio: J@ÃH 8gBDäF4< •Bg\D0ig :ZJg :X<g4< ¦<
B`8g4 :ZJz ¦< if:® i"J@4igÃ<, «ai lebbrosi non era consentito risiedere né nelle città
né nei villaggi» (Giuseppe Flavio, Contra Ap., 1,281). Uguale severità e segregazione
riferiscono gli autori pagani: ÔH —< *¥ Jä< •FJä< 8XBD0< ´ 8gbi0< §P®, ¦H B`84<
@âJ@H @Û i"JXDPgJ"4 @Û*¥ FL::\F(gJ"4 J@ÃF4 –88@4F4 AXDF®F4· n"F *X :4< ¦H
JÎ< »84@< :"DJ`<J" J4 J"ØJ" §Pg4<, «se qualche cittadino è affetto dalla lebbra o dal
morbo bianco non può entrare in città né frequentare gli altri Persiani; essi ritengono che
soffre di queste malattie per aver commesso una colpa nei confronti del sole» (cf. Erodoto,
Hist., 1,138,1). Sotto l’aspetto religioso la lebbra era spesso considerata come una punizione
della giustizia divina in conseguenza di qualche grave peccato (cf. Nm 12,10–12; 2Re 15,5;
2Cr 26,19); tale convinzione era diffusa anche nel giudaismo rabbinico (cf. Strack–Bill.,
IV,747–749). Da questo punto di vista la consideravano i profeti quando, per i tempi
messianici, prevedevano l’eliminazione anche di questa malattia (cf. Is 35,8).
B"D"i"8ä<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da B"D"i"8XT (da B"DV e i"8XT), chiamare
accanto, invocare, implorare, supplicare. Questo verbo ricorre 109 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 9 volte in Matteo (cf. Mt 2,18; 5,4; 8,5.31.34; 14,36;
18,29.32; 26,53, corrispondente allo 0,049% del totale delle parole); 9 volte in Marco (cf. Mc
1,40; 5,10.12.17.18.23; 6,56; 7,32; 8,22 = 0,080%); 7 volte in Luca (cf. Lc 3,18; 7,4;
8,31.32.41; 15,28; 16,25 = 0,036%). Participio predicativo del soggetto 8gBD`H. Sul piano
lessicale B"D"i"8XT significa «chiamare vicino a sé» (cf. Senofonte, Anab., 3,1,32;
Aristofane, Ves., 215): questo significato fondamentale, tuttavia, non è presente nei vangeli
sinottici, dove il verbo compare nell’accezione dedotta di «esortare», «invocare», «supplica-
re», spesso in modo personale ed enfatico. Il verbo acquista una coloritura teologica poiché
è sovente riferito a Gesù in contesti di annunci, richieste di guarigioni o avvenimenti di
salvezza. In Marco B"D"i"8XT è sempre riferito a Gesù, come richiesta di supplica
pronunciata da miracolati o parenti di miracolati (cf. Mc 1,40; 5,23; 6,56; 7,32; 8,22), ossessi
o spiriti cattivi (cf. Mc 5,10.18), persone indistinte (cf. Mc 5,17).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
[i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.].
Mc 1,40 137

[(@<LBgJä<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da (@<LBgJXT (da (`<L e B\BJT), cadere sulle
ginocchia, inginocchiarsi. Questo verbo ricorre 4 volte nel NT: Mt 17,40; 27,29; Mc 1,40;
10,17. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto 8gBD`H. La frase i"Â
(@<LBgJä< è presente nei codici !, L, 1, f1, 205, 565, 579, 892, 1241, 1243, 1424. È
assente, invece, in B, D, G, W, 2427. Coloro che ritengono le due parole non originali
parlano di aggiunta: ma perché aggiungere proprio questa espressione la quale è supposta da
Mt 8,2 (BD@Fgib<g4) e da Lc 5,12 (BgFã< ¦BÂ BD`F@B@<)? È più probabile ritenere la
lezione come originale e spiegare l’omissione in alcuni codici dovuta a homoioteleuton: il
lettore o il copista sarebbe passato da B"D"i"8ä< "ÛJ`< a i"Â 8X(T<, saltando la frase
i"Â (@<LBgJä<, con la stessa desinenza. Per il significato semantico vedi commento a Mc
10,17].
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8X(T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto 8gBD`H. L’uso di 8X(T
dopo i verbi cosiddetti dicendi («dire», «proclamare», «annunciare», «interrogare»,
«rispondere», «deliberare», ecc.), frequentissimo nel NT, è un ebraismo dovuto alla
traduzione servile della forma verbale 9J/!-F, le) ’mo) r, equivalente al gerundio «dicendo» e
impiegata per introdurre il discorso diretto in sostituzione del segno grafico dei due punti (:),
inesistente in ebraico come in greco. Nelle traduzioni questa tipica forma può essere omessa.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
z+V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che. Questa congiunzione ricorre 333 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 62 volte in Matteo (corrispondente allo 0,338% del totale delle parole); 33 volte
in Marco (cf. Mc 1,40; 3,24.25.27.28; 4,22; 5,28; 6,10.22.23; 7,3.4.11[x2]; 8,3.35.38;
9,18.43.45.47.50; 10,12.30.35; 11,3.31; 12,19; 13,11.21; 14,9.14.31 = 0,292%); 28 volte in
Luca (0,144%); 59 volte in Giovanni (0,377%). Questa congiunzione, seguita di norma dal
congiuntivo aoristo o presente, viene impiegata per esprimere l’eventualità o la probabilità
in una proposizione ipotetica; indica una possibilità reale.
hX8®H: verbo, 2a pers. sing. cong. pres. da hX8T, volere, avere il proposito di. Questo verbo
ricorre 208 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 42 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,229% del totale delle parole); 25 volte in Marco (cf. Mc 1,40.41; 3,13;
6,19.22.25.26.48; 7,24; 8,34.35; 9,13.30.35; 10,35.36.43.44.51; 12,38; 14,7.12.36; 15,9.12
= 0,221%); 28 volte in Luca (0,144%); 23 volte in Giovanni (0,147%). Nel greco classico
la gamma semantica di questo verbo (nella doppia forma hX8T / ¦hX8T) è molto ampia e
variegata, potendo significare, a seconda dei contesti, «volere», «acconsentire», «desiderare»,
«avere voglia di», «osare», «preferire», «pretendere», ecc. Unito al soggetto Gesù, hX8T
compare in Mc 1,40.41; 3,13; 6,48; 7,24; 9,30; 14,12.36.
138 Mc 1,41

*b<"F"\: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da *b<":"4, potere, essere capace di, essere in grado
di. Questo verbo deponente ricorre 210 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 27 volte in Matteo (corrispondente allo 0,147% del totale delle parole); 33 volte
in Marco (cf. Mc 1,40.45; 2,4.7.19[x2]; 3,20.23.24.25.26.27; 4,32.33; 5,3; 6,5.19; 7,15.18.24;
8,4; 9,3.22.23.28.29.39; 10,26.38.39; 14,5.7; 15,31 = 0,292%); 26 volte in Luca (0,133%);
37 volte in Giovanni (0,237%). Come avviene nella grecità classica, questo verbo è usato per
lo più in unione a un infinito espresso o sottinteso, quest’ultimo facilmente deducibile dal
contesto (•B@iJg\<T in Mc 6,19; B\<T in Mc 10,39). Il conflitto tra «volere» e «potere»
ritorna altrove in Marco: Erodiade vuole uccidere Giovanni, ma non può, a causa di Erode
che teme il Battista (cf. Mc 6,19); Gesù vuole restare nascosto, ma non ci riesce (cf. Mc
7,24); i commensali potrebbero fare del bene ai poveri se soltanto lo volessero (cf. Mc 14,7).
:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; compl. oggetto. La forma enclitica :X ricorre 291 volte nel NT rispetto alle 2583
ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 37 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,202% del totale delle parole); 27 volte in Marco (cf. Mc 1,40;
5,7; 6,22.23; 7,6.7; 8,27.29.38; 9,19.37.39; 10,14.18.36.47.48; 12,15; 14,18.28.30.31.
42.48.49.72; 15,34 = 0,239%); 42 volte in Luca (0,216%); 100 volte in Giovanni (0,640%).
i"h"D\F"4: verbo, inf. aor. da i"h"D\.T, rendere pulito, mondare, purificare, guarire.
Questo verbo ricorre 31 volte nel NT: 7 volte in Matteo (cf. Mt 8,2.3[x2]; 10,8; 11,5;
23,25.26, corrispondente allo 0,038% del totale delle parole); 4 volte in Marco (cf. Mc
1,40.41.42; 7,19 = 0,035%); 7 volte in Luca (cf. Lc 4,27; 5,12.13.17.22; 11,39; 17,14.17 =
0,036%); 3 volte in Atti degli Apostoli (cf. At 10,15; 11,9; 15,9); 2Cor 7,1; Ef 5,26; Tt 2,14;
Eb 9,14.22.23; 10,2; Gc 4,8; 1Gv 1,7.9. Il verbo i"h"D\.T, forma ellenistica dell’attico
i"h"\DT (in senso proprio «pulire» dallo sporco: Omero, Od., 20,152), è usato nel greco
biblico in senso traslato, sia nel significato tecnico di «dichiarare puro», per descrivere la
purificazione rituale (cf. Lv 15,13.28; 2Re 5,10.12) sia per indicare la sanazione fisica, nel
significato di «guarire» da qualche malattia. In particolare, per descrivere la guarigione dalla
lebbra viene sempre preferito il verbo i"h"D\.T, come nell’episodio anticotestamentario
di Naaman (cf. 2Re 5,10.12.13.14, LXX) o nella tradizione evangelica (cf. Mt 10,8; 11,5; Lc
4,27; 7,22; 17,14). Lo stesso verbo, negli altri scritti neotestamentari, è usato in senso traslato
per indicare la purificazione dal peccato, di cui la lebbra è figura (cf. At 15,9; 2Cor 7,1; Ef
5,26; 1Gv 1,7.9). Secondo la concezione giudaica soltanto Dio può guarire dalla lebbra: in
Gb 18,13 la lebbra è definita «il figlio primogenito della morte», poiché il lebbroso era
equiparato cultualmente e civilmente a un morto. Stesso giudizio ritroviamo negli scritti
rabbinici, dove la guarigione di un lebbroso è ritenuta altrettanto difficile quanto la
risurrezione di un morto (cf. Strack–Bill., IV,745).

1,41 i"Â FB8"(P<4FhgÂH ¦iJg\<"H J¬< PgÃD" "ÛJ@Ø »R"J@ i"Â 8X(g4 "ÛJès
1X8Ts i"h"D\Fh0J4·
1,41 Ed egli, mosso a compassione, stese la sua mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio,
guarisci!».
Mc 1,41 139

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


FB8"(P<4Fhg\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da FB8"(P<\.@:"4, essere commosso nelle
viscere, avere compassione. Questo verbo deponente ricorre 12 volte nel NT: Mt 9,36; 14,14;
15,32; 18,27; 20,34; Mc 1,41; 6,34; 8,2; 9,22; Lc 7,13; 10,33; 15,20. Participio predicativo
del soggetto sottinteso z30F@ØH. Dal punto di vista lessicale il verbo FB8"(P<\.@:"4 è di
chiara formazione giudaica e cristiana (nel greco classico ricorre, a quanto sembra, soltanto
una volta, in una iscrizione di Cos risalente al IV secolo a.C.). Il verbo è modellato sull’uso
semitico, poiché indica propriamente un movimento delle viscere, considerate come la sede
dell’amore e della pietà (cf. l’italiano «amore sviscerato»). Corrisponde all’ebraico .( G 9G,
rehEem, che in forma aggettivale è spesso riferito a Dio per qualificare il suo comportamento
come «compassionevole», «misericordioso» (cf. Es 34,6; Dt 4,31; Ne 9,17.31; Sal 78,38;
86,15; 103,8; 111,4; 112,4; 145,8; Gl 2,13; Gio 4,2). Nel NT, in 11 ricorrenze su 12, questo
verbo ha come soggetto Gesù o in due occasioni Dio, all’interno di parabole (il padrone in
Mt 18,27; il Padre misericordioso in Lc 15,20). Soltanto in Lc 10,33 soggetto del verbo è il
Samaritano che si prende cura del viaggiatore malmenato dai briganti. Il verbo è sostanzial-
mente legato alla benevolenza divina: non designa un semplice sentimento umano di
compassione e commiserazione, ma deve essere messo in relazione alla •(VB0 divina, ossia
alla «benevolenza» (eb. $2 G (G, hEesed5) del Dio dell’AT, incarnata nella «compassione» di
Gesù. Si tratta di una caratterizzazione teologica di Gesù quale messia in cui è presente la
misericordia divina.
¦iJg\<"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ¦iJg\<T (da ¦i e Jg\<T), tendere avanti,
stendere, allungare. Questo verbo ricorre 16 volte nel NT: Mt 8,3; 12,13[x2].49; 14,31;
26,51; Mc 1,41; 3,5[x2]; Lc 5,13; 6,10; 22,53; Gv 21,18; At 4,30; 26,1; 27,30. Participio
predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso z30F@ØH. L’uso del duplice participio
(FB8"(P<4FhgÂH… ¦iJg\<"H) senza coordinazione, applicato al soggetto, è un fenomeno
molto raro nel greco classico: in Marco si ritrova in Mc 5,27.33; 7,25; 14,45.67. Fatta
eccezione per At 27,30, nelle altre ricorrenze neotestamentarie il verbo ¦iJg\<T indica lo
(s)tendere la mano in senso fisico, come avviene nel greco classico (cf. Eschilo, Ch., 9;
Aristofane, Eccl., 782). Non si tratta di un particolare semplicemente coreografico: il gesto
di distendere il braccio e la mano in avanti, espressione di volontà, è il gesto che compiono
Mosè e Aronne in occasione di prodigi (cf. Es 4,4; 7,19; 8,1; 9,22; 10,12; 14,16.21.26, ecc.)
e lo stesso Dio, come segno del suo intervento potente in funzione salvifica (cf. Es 3,20; 6,8;
15,12; Dt 5,15; 2Re 17,36; Sal 138,7).
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
PgÃD": sost., acc. sing. f. da Pg\D, Pg4D`H, mano; cf. Mc 1,31; compl. oggetto. Qui come
altrove (cf. Mc 1,31.41; 3,1.3.5[x2]; 5,41; 7,32; 8,23; 9,27.43) l’articolo, forse, sta a indicare
la mano (o il braccio: cf. Mc 3,1) per eccellenza, ossia quella destra.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
140 Mc 1,42

»R"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da žBJ@:"4, toccare, tenere. Questo verbo
deponente ricorre 39 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 9 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,049% del totale delle parole); 11 volte in Marco (cf. Mc 1,41;
3,10; 5,27.28.30.31; 6,56[x2]; 7,33; 8,22; 10,13 = 0,097%); 13 volte in Luca (0,067%); 1
volta in Giovanni (0,006%). Nel NT questo verbo compare alla diatesi attiva con il
significato di «accendere» soltanto in 4 ricorrenze (cf. Lc 8,16; 11,33; 15,8; At 28,2). Altrove
è usato quasi sempre nel senso letterale proprio di «toccare» o, talvolta, in quello traslato per
indicare il rapporto sessuale (cf. 1Cor 7,1). Nei racconti di guarigione, come qui, il verbo
ritorna frequentemente (30 volte nei sinottici; per Marco cf. Mc 3,10; 5,27.28.30.31; 6,56[x2];
7,33; 8,22). La forza del gesto del “toccare” da parte di Gesù deriva dalla considerazione che,
secondo la Legge giudaica, un lebbroso non poteva avvicinarsi troppo a una persona sana né,
tanto meno, toccare qualcuno o essere toccato, per non correre il rischio di infettarlo (cf. Lv
13,45–46; Strack–Bill., IV,751–757). Qui è lo stesso Gesù che contravviene le norme di
segregazione. In tutte le religioni l’atto di «toccare» è uno dei simboli più ricorrenti e
significativi, specie nell’ambito cultuale e taumaturgico. Nel vangelo di Marco sono
soprattutto i malati che toccano o cercano di toccare Gesù (cf. Mc 3,10; 5,27.28.30.31;
6,56); in altre occasioni è Gesù stesso che li tocca (cf. Mc 1,41; 7,33; 8,22; cf. anche Mc
10,13).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
1X8T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da hX8T, volere, avere il proposito di; cf. Mc 1,40.
i"h"D\Fh0J4: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. pass. da i"h"D\.T, rendere pulito,
mondare, purificare, guarire; cf. Mc 1,40. Non è possibile considerare la forma i"h"D\F-
h0J4 come un passivo divino, a causa del precedente ordine hX8T: qui è Gesù che
guarisce.

1,42 i" gÛh×H •B­8hg< •Bz "ÛJ@Ø º 8XBD"s i" ¦i"h"D\Fh0.


1,42 Subito la lebbra scomparve da lui ed egli guarì.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
•B­8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •BXDP@:"4 (da •B` e §DP@:"4), andare via,
partire; cf. Mc 1,20. Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo composto viene
ripetuta davanti al successivo complemento indiretto, come qui; questo fenomeno si ritrova
in Mc 1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.
24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5. L’effetto della
guarigione viene descritto come se la lebbra fosse un soggetto agente, una entità personificata
Mc 1,43 141

(lett. «la lebbra se ne andò da lui»). Analoga descrizione ritroviamo in Mc 1,31 a proposito
della febbre: i" •n­ig< "ÛJ¬< Ò BLDgJ`H, «la febbre la lasciò».
•Bz: (= •B`), prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da;
cf. Mc 1,9.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di moto da luogo.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
8XBD": sost., nom. sing. f. da 8XBD", –"H, lebbra; soggetto. Il vocabolo ricorre 4 volte nel NT:
Mt 8,3; Mc 1,42 (hapax marciano); Lc 5,12.13. Il sostantivo 8XBD" viene impiegato nel
greco biblico in senso ampio, in riferimento a varie malattie della pelle e ad altre escrescenze
ulcerose che potevano facilmente essere scambiate per lebbra (piaghe, tigna, rogna, ecc.),
come avviene nel greco classico, dove il termine indica la generica «scabbia», ossia una
malattia della pelle non altrimenti identificata (cf. Teofrasto, Hist. plant., 9,12,2; Galeno,
Simpl. med., 12,31). Venendo a mancare la certezza dell’identificazione clinica non sempre
è possibile sapere se il termine 8XBD" che ritroviamo negli scritti sacri designi la lebbra vera
e propria oppure altre simili malattie. Per quanto riguarda la legislazione anticotestamentaria
sulla lebbra vedi commento a Mc 1,40.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦i"h"D\Fh0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da i"h"D\.T, rendere pulito, mondare,
purificare, guarire; cf. Mc 1,40. Il gesto di Gesù produce un risultato opposto a quello
“legalizzato” dalle prescrizioni cultuali: secondo la Legge giudaica Gesù sarebbe diventato
impuro per aver toccato il lebbroso. Avviene invece il contrario: è il lebbroso a diventare
“puro”, ossia a guarire, per essere stato toccato da Gesù.

1,43 i"Â ¦:$D4:0FV:g<@H "ÛJè gÛh×H ¦>X$"8g< "ÛJ`<


1,43 E ammonendolo severamente lo mandò subito via

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦:$D4:0FV:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. aor. medio da ¦:$D4:V@:"4, (da ¦< e
$D4:V@:"4), minacciare, ammonire. Questo verbo deponente ricorre 5 volte nel NT: Mt
9,30; Mc 1,43; 14,5; Lc 11,33.38. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH. Il
verbo ¦:$D4:V@:"4, dall’originario significato di «sbuffare», «fremere», detto in particolare
dei cavalli (cf. Eschilo, Sept., 462), è passato a esprimere reazioni umane di sdegno e
contrarietà, assumendo il significato metaforico di «minacciare», «ammonire», «rimproverare»
(cf. Mc 14,5), «trattare duramente» (cf. Dn 11,30, LXX), «avvampare d’ira» (cf. Lam 2,6,
LXX).
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine. La forma dativa è retta dal verbo
¦:$D4:V@:"4.
gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
142 Mc 1,44

¦>X$"8g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦i$V88T (da ¦i e $V88T), scacciare, mandare
via, fare uscire, espellere; cf. Mc 1,12.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.

1,44 i" 8X(g4 "ÛJès ~?D" :0*g< :0*¥< gÇB®Hs •88 àB"(g Fg"LJÎ< *gÃ>@< Jè
ÊgDgà i" BD@FX<g(ig BgD J@Ø i"h"D4F:@Ø F@L Ÿ BD@FXJ">g< 9TdF­Hs
gÆH :"DJbD4@< "ÛJ@ÃH.
1,44 e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno, ma va’, presentati al sacerdote e
offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, come testimonianza per
loro».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
~?D": verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc
1,10. Nel secondo vangelo la forma asindetica è piuttosto frequente con gli imperativi dei
verbi ÒDVT (cf. Mc 1,44; 6,38; 8,15), ßBV(T (cf. Mc 1,44; 5,34; 6,38; 7,29; 10,21.52; 16,7),
¦(g\DT (cf. Mc 2,9; 3,3; 5,41; 10,49; 14,42), F4TBVT (cf. Mc 4,39), n4:`T (cf. Mc 4,39),
h"DFXT (cf. Mc 6,50; 10,49), $8XBT (cf. Mc 13,5.23.33).
:0*g<\: (da :Z e gÍH), pron. indefinito negativo, dat. sing. m. da :0*g\H, :0*g:\", :0*X<,
nessuno, alcuno, niente; compl. di termine. Il vocabolo ricorre 89 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 5 volte in Matteo (corrispondente allo 0,027% del
totale delle parole); 9 volte in Marco (cf. Mc 1,44[x2]; 5,26.43; 6,8; 7,36; 8,30; 9,9; 11,14
= 0,080%); 9 volte in Luca (0,046%).
:0*X<: (da :Z e gÍH), pron. indefinito negativo, con valore di sostantivo, acc. sing. n. da
:0*g\H, :0*g:\", :0*X<, niente, nulla, alcuna cosa; cf. Mc 1,44; compl. oggetto. La
frequenza della doppia negazione è una caratteristica stilistica di Marco: cf. Mc 1,44; 2,2;
3,20.27; 5,37; 6,5; 7,12; 9,1.41; 10,15; 13,2[x2].19.30.31; 14,25.31; 16,8.18. Analogamente
a quanto avviene nel greco classico, la doppia negazione viene usata da Marco per dare
maggiore enfasi alla negazione, senza escludere la possibilità che essa derivi dall’indole
popolare della lingua dei vangeli.
gÇB®H: verbo, 2a pers. sing. congiunt. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7.
•88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno. Questa congiunzione ricorre 638 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 37 volte in Matteo (corrispondente allo 0,202% del totale delle parole); 45 volte
in Marco (cf. Mc 1,44.45; 2,17[x2].22; 3,26.27.29; 4,17.22; 5,19.26.39; 6,9.52; 7,5.15.19.25;
8,33; 9,8.13.22.37; 10,8.27.40.43.45; 11,23.32; 12,14.25.27; 13,7.11[x2].20.24; 14,28.29.
Mc 1,44 143

36[x2].49; 16,7 = 0,398%); 35 volte in Luca (0,180%); 102 volte in Giovanni (0,652%).
Etimologicamente la congiunzione •88V è fatta derivare da –88@H per indicare «l’altro»,
ossia l’opposto, il diverso, la separazione, l’opposizione rispetto al precedente. In tal senso
nella maggior parte delle ricorrenze •88V equivale alle congiunzioni avversative italiane
«ma», «tuttavia», «però», esprimente esplicita contrapposizione all’elemento che precede.
Anche in Marco questo significato è quello prevalente. In alcuni casi assume significati
particolari, riscontrabili altrove nel NT: in correlazione con @Û (VD acquista una sfumatura
causale («poiché», «dal momento che»: Mc 6,52); in correlazione con un precedente
pronome indefinito (@Û*g\H) corrisponde alle forme «tranne», «se non», «eccetto», «a meno
che» (cf. Mc 9,8); dopo una interrogativa retorica equivale alla negazione «non», «certamente
non» (cf. Mc 14,29); nella costruzione •88z Ë<", di valore ellittico, significa: «piuttosto [si
deve / si debba / si doveva]», «ma [ciò avviene] affinché» (cf. Mc 4,22; 14,49); all’inizio di
una proposizione può corrispondere alle congiunzioni esclamative «orsù!», «suvvia!», specie
quando •88V è seguito da comandi o esortazioni espressi con l’imperativo o il congiuntivo
(cf. Mc 16,7).
àB"(g: verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. da ßBV(T (da ßB` e –(T), andare giù, ritirarsi,
andare via, partire. Questo verbo ricorre 79 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 19 volte in Matteo (corrispondente allo 0,104% del totale delle parole); 15 volte
in Marco (cf. Mc 1,44; 2,11; 5,19.34; 6,31.33.38; 7,29; 8,33; 10,21.52; 11,2; 14,13.21; 16,7
= 0,133%); 5 volte in Luca (0,026%); 32 volte in Giovanni (0,205%). In senso intransitivo
il verbo ßBV(T è impiegato nel greco classico con il significato di «andare via», «ritirarsi»
(cf. Erodoto, Hist., 4,120,2), in particolare nelle forme all’imperativo singolare «va’», «vattene
via» o plurale «avanti voi!», «andate via!» (cf. Menandro, Dysc., 378; Euripide, Cycl., 52;
Aristofane, Ves., 290; Rane, 174). Nel NT, dove il verbo ßBV(T è usato sempre in senso
intransitivo, questo tipico uso al modo imperativo ricorre soprattutto nei sinottici: in Matteo
è attestato 17 volte su 19 ricorrenze; in Marco 12 volte su 15; in Luca 2 volte su 5. La forma
asindetica è piuttosto frequente con gli imperativi di alcuni verbi: in Marco, oltre a ßBV(T
(cf. Mc 1,44; 5,34; 6,38; 7,29; 10,21.52; 16,7), si riscontra con ¦(g\DT (cf. Mc 2,9; 3,3;
5,41; 10,49; 14,42), ÒDVT (cf. Mc 1,44; 6,38; 8,15), F4TBVT (cf. Mc 4,39), n4:`T (cf. Mc
4,39), h"DFXT (cf. Mc 6,50; 10,49), $8XBT (cf. Mc 13,5.23.33). Spesso Marco usa
l’imperativo di ßBV(T facendolo seguire da altri imperativi uniti paratatticamente (cf. Mc
1,44; 6,38; 10,21; 16,7). In Marco questo imperativo asindetico è pronunciato sempre da
Gesù (eccetto Mc 16,7) in contesto di guarigione (cf. Mc 1,44; 2,11; 5,19.34; 7,29), di
sequela (cf. Mc 8,33; 10,21) oppure è rivolto ai discepoli (cf. Mc 6,38; 11,2; 14,13). Ha
sempre un significato positivo di coinvolgimento: è una comando che esorta gli interlocutori
a fare scelte decisive per la loro esistenza.
Fg"LJ`<: (da Fb e "ÛJ`H), pron. riflessivo, acc. sing. m. da Fg"LJ@Ø, –­H, di te stesso; compl.
oggetto. Il pronome riflessivo della seconda persona singolare ricorre 43 volte nel NT. La
forma all’accusativo singolare (Fg"LJ`<, «te stesso») ricorre 33 volte: Mt 4,6; 8,4; 19,19;
22,39; 27,40; Mc 1,44; 12,31; 15,30; Lc 4,9.23; 5,14; 10,27; 23,37.39; Gv 7,4; 8,53; 10,33;
14,22; 21,18; Rm 2,1.19.21; 13,9; 14,22; Gal 5,14; 6,1; 1Tm 4,7.16; 5,22; 2Tm 2,15; Tt 2,7;
Fm 1,19; Gc 2,8). Nel vangelo di Marco il pronome riflessivo di seconda persona è presente
soltanto nella forma accusativo singolare.
144 Mc 1,44

*gÃ>@<: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da *g\i<L:4, mostrare, far vedere, indicare, provare.
Questo verbo ricorre 33 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 3 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,016% del totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc 1,44;
14,15 = 0,018%); 5 volte in Luca (0,026%); 7 volte in Giovanni (0,045%). Unitamente ai
suoi composti presenti nel NT (•<"*g\i<L:4, •B@*g\i<L:4, ¦B4*g\i<L:4, ßB@*g\i<L-
:4) il verbo assume il significato prevalente di «mostrare», «far vedere», in senso letterale
proprio, come avviene nel greco classico (cf. Omero, Il., 6,170; Od., 3,174; Euripide, Tr.,
802). Qui il contesto è quello legale e cultuale del controllo medico da parte del sacerdote
per verificare e testificare l’avvenuta guarigione (cf. Strack–Bill., IV,758ss.).
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ÊgDgÃ: sost., dat. sing. m. da ÊgDgbH, –XTH, sacerdote; compl. di termine. Il vocabolo ricorre 31
volte nel NT: 3 volte in Matteo (cf. Mt 8,4; 12,4.5, corrispondente allo 0,016% del totale
delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc 1,44; 2,26 = 0,018%); 5 volte in Luca (cf. Lc 1,5;
5,14; 6,4; 10,31; 17,14 = 0,026%); 1 volta in Giovanni (cf. Gv 1,19 = 0,006%); 3 volte in
Atti degli Apostoli (cf. At 4,1; 6,7; 14,13); 14 volte in Ebrei (cf. Eb 5,6; 7,1.3.11.14.15.
17.20.21.23; 8,4; 9,6; 10,11.21); 3 volte in Apocalisse (cf. Ap 1,6; 5,10; 20,6). Il sostantivo
ÊgDgbH è usato nel greco classico con il significato tecnico di «sacerdote», sacrificatore di
vittime agli dèi (cf. Omero, Il., 1,62). Nella stragrande maggioranza delle ricorrenze
neotestamentarie ÊgDgbH è impiegato per designare i sacerdoti giudaici e soltanto occasional-
mente quelli pagani, come «il sacerdote di Zeus» (At 14,13). La norma cui fa riferimento
Gesù è quella contenuta in Lv 13–14. Il sacerdote, al singolare, indica il sacerdote di turno
deputato a tale ufficio, non necessariamente un sacerdote del Tempio centrale di Gerusalem-
me. Questa verifica era l’attestazione tangibile e ufficiale della avvenuta guarigione. Senza
un attestato rilasciato dal sacerdote nessun guarito poteva essere riammesso nella società. La
legislazione rabbinica contenuta nella Mishnah prescrive quanto segue: «Tutti diventano
impuri per piaghe lebbrose, a eccezione dei pagani e dei forestieri stabiliti in Palestina. Tutti
possono esaminare le piaghe di lebbra, ma la sentenza di impurità o di purità spetta al
sacerdote» (m.Neg., 3,1). Al tempo di Gesù l’istituzione del sacerdozio era ripartita in 24
classi, chiamate da Giuseppe Flavio ¦n0:gD\H o B"JD\" (cf. Id., Vita, 2; Antiq., 12,265),
mentre in Lc 1,5.8 sono definite ¦n0:gD\". Il nome greco può indurre in errore, poiché ogni
classe svolgeva il proprio servizio al tempio per una settimana consecutiva e non per un solo
giorno. Le singole classi erano a loro volta divise in «case paterne», le quali svolgevano il
servizio sacerdotale per una giornata. I sacerdoti vivevano nella propria città, svolgendo
attività profane. Le loro funzioni erano limitate a due settimane l’anno e alle tre feste di
pellegrinaggio. Per quanto riguarda l’istituto del sommo sacerdozio in epoca neotestamentaria
vedi commento a Mc 2,26; 8,31; 14,53.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BD@FX<g(ig: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da BD@FnXDT (da BD`H e nXDT), portare,
offrire. Questo verbo ricorre 47 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 15
volte in Matteo (corrispondente allo 0,082% del totale delle parole); 3 volte in Marco (cf. Mc
1,44; 2,4; 10,13 = 0,027%); 4 volte in Luca (0,021%); 2 volte in Giovanni (0,013%).
Nell’uso classico il significato generico del verbo BD@FnXDT è quello di «portare davanti»,
Mc 1,44 145

«presentare» (cf. Sofocle, Phil., 775; Sofocle, Oed. Col., 781), da cui derivano quelli
circoscritti di «offrire in dono» (cf. Pindaro, Olym., 9,108), «offrire in sacrificio» (cf. Sofocle,
Elect., 434).
BgD\: prep. propria con valore di vantaggio, seguita dal genitivo, indecl., a favore di, per; cf. Mc
1,6.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
i"h"D4F:@Ø: sost., gen. sing. m. da i"h"D4F:`H, –@Ø, purificazione, lavaggio rituale,
guarigione; compl. di argomento. Il vocabolo ricorre 7 volte nel NT: Mc 1,44 (hapax
marciano); Lc 2,22; 5,14; Gv 2,6; 13,25; Eb 1,3; 2Pt 1,9. Appartenente alla vasta gamma
semantica del «puro e impuro» (cf. i"h"D\.T in Mc 1,40), questo termine, proprio del
greco biblico, è impiegato per indicare la purificazione cultuale, come quella di un lebbroso
(cf. Mc 1,44) e di una puerpera (cf. Lc 2,22) oppure per descrivere la semplice purificazione
delle mani ottenuta mediante il lavaggio, prima di iniziare il pasto (cf. Gv 2,6).
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
ž: pron. relativo, acc. plur. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; compl. oggetto. La forma ž ricorre
118 volte nel NT rispetto alle 1407 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 6 volte in Matteo (corrispondente allo 0,033% del totale delle parole);
3 volte in Marco (cf. Mc 1,44; 7,4; 9,9 = 0,027%); 10 volte in Luca (0,051%); 30 volte in
Giovanni (0,192%).
BD@FXJ">g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da BD@FJVFFT (da BD`H e JVFFT), assegnare,
prescrivere, comandare, ordinare. Questo verbo ricorre 7 volte nel NT: Mt 1,24; 8,4; Mc
1,44 (hapax marciano); Lc 5,14; At 10,33.48; 17,26. Nell’uso classico il verbo BD@FJVFFT,
oltre a indicare il generico «collocare», «disporre» (cf. Erodoto, Hist., 3,89,1), è impiegato nel
senso di «dare ordini», «prescrivere» (cf. Aristotele, Polit., 1299b 8; Erodoto, Hist., 1,114,2;
Euripide, Ion, 1176; Senofonte, Cyr., 4,5,25): questo secondo significato è quello che
ritroviamo nel NT. Nel nostro passo il riferimento circa ciò che «ha comandato» Mosè è
soltanto improprio: in realtà nella Torah è Dio che in questo caso comanda (cf. Lv 13,1;
14,1). Ritroviamo la stessa attribuzione dei comandamenti a Mosè e non a Dio in Mc 7,10;
10,3–4; 12,19.26.
9TdF­H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da 9TdF­H, –XTH, Mosè; soggetto.
Il vocabolo ricorre 80 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 7 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,038% del totale delle parole); 8 volte in Marco (cf. Mc 1,44;
7,10; 9,4.5; 10,3.4; 12,19.26 = 0,071%); 10 volte in Luca (0,051%); 13 volte in Giovanni
(0,083%). La grafia di questo nome presenta una notevole diversità: l’unico codice onciale
antico che conserva costantemente la stessa grafia 9TLF0H (17 volte) è il Papiro I
Chester–Beatty (P45), risalente all’inizio del III secolo. Tutti gli altri codici hanno una grafia
non uniforme che oscilla tra 9TLF0H, 9TF0H, 9@LF0H, 9TFgTH. Stesso fenomeno si
riscontra nei LXX, in Giuseppe Flavio e in quasi tutte le altre fonti antiche. Il nome è la
traslitterazione grecizzata del nome proprio maschile ebraico %– G /, Mo) šeh. L’etimologia è
incerta: la derivazione dalla radice verbale ebraica %– I/ I , ma) ša) h, «trarre fuori» e, dunque,
146 Mc 1,44

«Tratto fuori [dall’acqua]», presente in Es 2,10, è un intenzionale adattamento al noto


episodio del ritrovamento del fanciullo. Più credibile a livello scientifico è la derivazione del
nome dalla radice egiziana msw, «Fanciullo». Nel NT, come del resto negli scritti giudaici,
Mosè appare come la figura più importante rispetto ai personaggi dell’Israele antico.
Statisticamente è nominato 80 volte, contro le 59 di David e 40 di Elia.
gÆH: prep. propria di valore finale, seguita dall’accusativo, indecl., per, in vista di, allo scopo di;
cf. Mc 1,4. La preposizione è qui impiegata con valore finale, analogamente a Mc 1,4.38;
6,11; 13,9.12; 14,4.8.9.55; 15,34.
:"DJbD4@<: sost., acc. sing. n. da :"DJbD4@<, –@L, testimonianza; compl. di fine. Il vocabolo
ricorre 19 volte nel NT: Mt 8,4; 10,18; 24,14; Mc 1,44; 6,11; 13,9; Lc 5,14; 9,5; 21,13; At
4,33; 7,44; 1Cor 1,6; 2Cor 1,12; 2Ts 1,10; 1Tm 2,6; 2Tm 1,8; Eb 3,5; Gc 5,3; Ap 15,5.
Nell’uso del greco classico l’accezione originaria di :"DJbD4@< è quella profana di «prova»
obiettiva, in riferimento a qualcosa di già accaduto o sperimentato (cf. Eschilo, Ag., 1095;
Tucidide, Hist., 1,33,1; Erodoto, Hist., 2,22,2); in ambito processuale corrisponde a
«testimonianza» (cf. Demostene, Or., 54,31). Come tale il sostantivo :"DJbD4@< non
equivale esattamente a :"DJLD\", il quale indica la «testimonianza» generica, ancora da
produrre (cf. Mc 14,55). Nel nostro caso il miracolato viene inviato al sacerdote non solo per
la verifica prescritta dalla legge, ma anche, come afferma Gesù, gÆH :"DJbD4@< "ÛJ@ÃH:
come tradurre correttamente questa frase? La locuzione ricorre nel NT in contesti missionari
e sembra avere spesso un carattere polemico e negativo, esprimente l’idea di giudizio:
qualora la predicazione venga respinta, diventa una prova a carico degli increduli nel giudizio
finale (cf. Mc 6,11 // Lc 9,5; Mc 13,9 // Mt 10,18). Per altri gesti implicanti responsabilità
da parte di chi rifiuta la testimonianza cf. Mt 10,14; 11,20–24; 12,41ss.; Lc 10,10; At 18,6;
20,26; Gc 5,3. Anche nell’AT l’espressione gÆH :"DJbD4@< "ÛJ@ÃH, tipica della teologia
deuteronomista, è una formula di accusa contro l’infedeltà di Israele agli obblighi dell’allean-
za (cf. Dt 31,26; Gs 24,27). Si deve precisare che tale formula non presuppone una
colpevolezza in atto, una colpevolezza definitiva, ma una possibilità reale. Nel nostro caso
la frase, se riferita ai sacerdoti — ipotesi più probabile dal punto di vista grammaticale —
deve essere interpretata come negli altri testi evangelici: il miracolato, mostrando sé stesso
ormai guarito per opera di Gesù, mette le autorità giudaiche di fronte alle loro responsabilità
in caso di incredulità. Alcuni commentatori, tuttavia, ritengono che l’espressione «a
testimonianza per loro» non è rivolta ai sacerdoti, ma al popolo in genere, al quale
l’interessato doveva presentare l’attestato della avvenuta guarigione per essere reintrodotto
nello stato sociale. In tal caso si tratterebbe non di una formula di condanna indirizzata da
Gesù nei confronti dei sacerdoti, ma di una generica formula legale. Optiamo per la prima
ipotesi.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. Dativo di vantaggio o di
interesse (dativus commodi) per indicare la persona (o la cosa) nell’interesse del quale (o a
vantaggio del quale) si svolge l’azione. La differenza tra il singolare Jè ÊgDgà (il sacerdote
di turno) e il plurale "ÛJ@ÃH (sott. gli altri sacerdoti) si spiega con la costruzione ad sensum:
il pronome personale plurale rappresenta tutto il ceto sacerdotale, ma con una sfumatura di
critica e contrapposizione (come avviene in Mc 1,23.39) può estendersi anche a tutte le
Mc 1,45 147

autorità religiose, in particolare ai rappresentanti del Giudaismo ufficiale che ancora restano
increduli nei confronti di Gesù.

1,45 Ò *¥ ¦>g8hã< ³D>"J@ i0DbFFg4< B@88 i" *4"n0:\.g4< JÎ< 8`(@<s òFJg
:0iXJ4 "ÛJÎ< *b<"Fh"4 n"<gDäH gÆH B`84< gÆFg8hgÃ<s •88z §>T ¦Bz
¦DZ:@4H J`B@4H µ<· i"Â ³DP@<J@ BDÎH "ÛJÎ< BV<J@hg<.
1,45 Ma quello, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare apertamente il fatto, al
punto che egli non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori,
in luoghi deserti e venivano a lui da ogni parte.

Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale. Il «quello» indica il lebbroso guarito e non
Gesù, soggetto implicito di Mc 1,45b.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
¦>g8hf<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori,
uscire; cf. Mc 1,25. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso 8gBD`H.
³D>"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da –DPT, dare inizio, cominciare. Questo verbo
semideponente ricorre 86 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 13 volte
in Matteo (corrispondente allo 0,071% del totale delle parole); 27 volte in Marco (cf. Mc
1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32; 10,28.32.41.42.47; 11,15; 12,1; 13,5;
14,19.33.65.69.71; 15,8.18 = 0,239%); 31 volte in Luca (0,159%); 2 volte in Giovanni
(0,013%). Nel NT questo verbo si trova nella diatesi sia attiva (con il significato di
«governare», «dominare», «regnare») sia prevalentemente in quella media, con il significato
di «dare inizio», «cominciare» (sempre seguito da un infinito presente). In quest’ultimo caso,
quando il verbo nella forma media non esprime l’inizio di una azione di contrasto, di
proseguimento, di compimento o di interruzione, ha un valore tipicamente pleonastico,
ridondante. L’impiego di ³D>"J@ / ³D>"<J@ seguito da un infinito come complemento è
una caratteristica marciana (26 volte: Mc 1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32;
10,28.32.41.47; 11,15; 12,1; 13,5; 14,19.33.65.69.71; 15,8.18). La frequenza di questa
formula è dovuta probabilmente a influsso semitico: quasi sempre equivale a una perifrasi
nella quale il verbo –DPT di valore pleonastico può essere omesso, mentre l’infinito
dipendente viene reso con la 3a persona dell’indicativo aoristo o imperfetto corrispondente.
Questo fenomeno è altresì attestato nei sinottici e negli Atti.
i0DbFFg4<: verbo, inf. pres. da i0DbFFT, proclamare apertamente, annunciare solennemente,
predicare; cf. Mc 1,4. In questo verbo si può riconoscere una certa risonanza missionaria:
non si tratta, tuttavia, di una predicazione evangelica (senso tecnico del verbo), ma
semplicemente di raccontare un intervento salvifico e, dunque, un evocare allusivamente
l’esperienza cristiana.
B@88V: agg. indefinito, acc. plur. n. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34. La forma B@88V è qui usata in modo avverbiale («molto», «con insistenza», «senza
148 Mc 1,45

sosta») e non quantitativo («molte cose»). Si tratta di una caratteristica di Marco (cf. Mc
1,45; 3,12; 5,10.23.26.38.43; 6,20.23; 8,31; 9,12.26; 15,3).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
*4"n0:\.g4<: verbo, inf. pres. da *4"n0:\.T (da *4V e una parola derivata da nZ:0),
rendere noto, divulgare. Questo verbo ricorre 3 volte nel NT: Mt 9,31; 28,15; Mc 1,45
(hapax marciano). Diversamente da i0DbFFT il verbo non appartiene alla terminologia
cristiana della predicazione: assume il significato neutro di «rendere noto», «diffondere»
(sott. una notizia), senza connotati teologici (cf. Dionigi di Alicarnasso, Antiq., 11,46,3). Nel
nostro caso si tratta semplicemente di proibire di divulgare la cosa, l’accaduto, ossia la
sopravvenuta guarigione.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
8`(@<: sost., acc. sing. m. da 8`(@H, –@L, parola; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 330 volte
nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 33 volte in Matteo (corrispondente allo
0,180% del totale delle parole); 24 volte in Marco (cf. Mc 1,45; 2,2; 4,14.15[x2].16.
17.18.19.20.33; 5,36; 7,13.29; 8,32.38; 9,10.22.24; 11,29; 12,13; 13,31; 14,39; 16,20 =
0,212%); 32 volte in Luca (0,164%); 40 volte in Giovanni (0,256%). Il termine 8`(@H,
derivato dalla radice 8X(– («raccogliere», «contare», «enumerare», «narrare», «dire»,
«parlare»), a causa dell’ampiezza della sua portata semantica è stato assunto da varie scienze
(come la filosofia, la grammatica, la logica, la retorica, la religione) che nel corso del tempo
lo hanno caratterizzato con significati precipui. Per i primi pensatori greci il 8`(@H è
l’immanente norma razionale del divenire, la ragione cosmica che mette in movimento, dirige
e misura il divenire del reale (cf. Eraclito, Frag., 1; 2; 31; 50). A partire da questo concetto
filosofico il 8`(@H viene concepito dai successivi autori come l’attività mentale, la
rappresentazione del pensiero che si esprime nella parola e si esplica nel discorso. Nel nostro
passo il vocabolo deve essere inteso non nel significato base di «parola», «detto», «coman-
do», ma in quello semitico di «fatto», «cosa», corrispondente all’ebraico 9" I yI, da) b5a) r. Si tratta
di un fenomeno che si riscontra anche per il vocabolo Õ­:" (cf. Mc 9,32). Il miracolato
divulga non la proibizione orale ricevuta da Gesù (il «comando»), ma la «cosa», il «fatto»,
ossia quanto gli è avvenuto.
òFJg: cong. subordinativa di valore consecutivo, indecl., così che, cosicché, tanto che, al punto
che; cf. Mc 1,27.
:0iXJ4: (da :Z e §J4), avv. di negazione, indecl., non più, mai più, non oltre, neanche. Il
vocabolo ricorre 22 volte nel NT: Mt 21,19; Mc 1,45; 2,2; 9,25; 11,14; Lc 8,49; Gv 5,14;
8,11; At 4,17; 13,34; 25,24; Rm 6,6; 14,13; 15,23; 2Cor 5,15; Ef 4,14.17.28; 1Ts 3,1.5; 1Tm
5,23; 1Pt 4,2.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; soggetto della proposizione oggettiva/consecutiva
costruita con il verbo infinito *b<"Fh"4. Dal punto di vista strettamente grammaticale questo
pronome si riferisce al miracolato, soggetto logico. Conseguentemente alcuni ritengono che
anche tutto il resto si riferisce a lui e traducono: «Ma quello [= il miracolato], allontanatosi,
cominciò a proclamare e a divulgare apertamente il fatto, al punto che egli [= il miracolato]
non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti e
Mc 1,45 149

venivano a lui da ogni parte». Per motivi di critica interna è preferibile, tuttavia, riferire il
pronome "ÛJ`H a Gesù, sia perché questi è sempre il soggetto principale implicito della
narrazione sia perché il particolare del “nascondimento” è un elemento che ritorna ancora a
proposito di Gesù (cf. Mc 1,35; 3,7; 6,31.46; 9,2).
*b<"Fh"4: verbo, inf. pres. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere in grado di;
cf. Mc 1,40.
n"<gDäH: avv. di modo, indecl., manifestamente, chiaramente, apertamente, liberamente. Il
vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mc 1,45 (hapax marciano); Gv 7,10; At 10,3. In
corrispondenza alla sua etimologia l’avverbio n"<gDäH (da n"\<T, cf. Mc 14,64) indica
ciò che viene reso «ben visibile», «chiaro», «evidente», in senso letterale proprio o figurato
(cf. Erodoto, Hist., 9,71,3; Sofocle, Elect., 833; Senofonte, Anab., 1,9,19). La gamma
lessicale del termine è tipica del linguaggio marciano: l’aggettivo n"<gD`H ricorre 3 volte
in Marco, sempre in riferimento al problema del nascondimento e manifestazione di Gesù
(cf. Mc 3,12; 4,22; 6,14), soltanto 1 volta in Matteo (cf. Mt 12,16) e 2 volte in Luca (cf. Lc
8,17[x2]). Il verbo n"<gD`T ricorre 1 volta in Marco (cf. Mc 4,22), mai negli altri due
sinottici. L’avverbio n"<gDäH ricorre 1 volta in Marco (cf. Mc 1,45), mai negli altri sinottici.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
B`84<: sost., acc. sing. f. da B`84H, –gTH, città, villaggio; cf. Mc 1,33; compl. di moto a luogo.
gÆFg8hgÃ<: verbo, inf. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare, venire dentro, recarsi,
andare; cf. Mc 1,21.
•88z: (= •88V), cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però,
piuttosto, nondimeno; cf. Mc 1,44.
§>T: avv. di luogo, indecl., fuori, di fuori, esternamente, all’esterno. Il vocabolo ricorre 63 volte
nel NT, sia come avverbio di luogo (con valore statico o dinamico) sia come preposizione
impropria. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 9 volte in Matteo (corrispondente allo
0,049% del totale delle parole); 10 volte in Marco (cf. Mc 1,45; 3,31.32; 4,11; 5,10; 8,23;
11,4.19; 12,8; 14,68 = 0,038%); 10 volte in Luca (0,051%); 13 volte in Giovanni (0,083%).
¦Bz: (= ¦B\), prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, su, verso, a, sopra,
presso; cf. Mc 1,22.
¦DZ:@4H: agg. qualificativo, dat. plur. m. da §D0:@H, –@<, solitario, deserto, desolato, inabitato;
cf. Mc 1,3; attributo di J`B@4H.
J`B@4H: sost., dat. plur. m. da J`B@H, –@L, luogo, spazio, area; cf. Mc 1,35; compl. di stato in
luogo. In conseguenza della trasgressione del miracolato (òFJg con valore consecutivo,
analogamente a Mc 2,2; 3,10.20; 4,1), Gesù è costretto a sottrarsi alla folla ritirandosi in
luoghi solitari. In tal modo viene inequivocabilmente ribadita la contrarietà di Gesù alla
divulgazione del miracolo compiuto: elemento, questo, tipico del cosiddetto «segreto
messianico» (cf. sopra, commento a Mc 1,25).
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Predicato verbale.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
150 Mc 1,45

³DP@<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Imperfetto durativo o iterativo, di valore
impersonale, per indicare il susseguirsi incessante della gente.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5. L’espressione §DP@:"4 BD`H, detta nei riguardi di
Gesù, è tipica di Marco: è impiegata per descrivere l’andare verso Gesù da parte di qualche
miracolato (cf. Mc 1,40; 2,3; 10,50), della folla (cf. Mc 1,45; 2,13; 3,8; 5,15) o di gruppi
specifici (cf. Mc 11,27; 12,18). Lo stesso Gesù comanda ai discepoli di lasciar «venire a sé»
i bambini (cf. Mc 10,14).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di moto a luogo.
BV<J@hg<: (da BH e il suffisso avverbiale –hg<, esprimente moto da luogo), avv. di luogo,
indecl., da ogni lato, da ogni parte. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mc 1,45 (hapax
marciano); Lc 19,43; Eb 9,4. L’afflusso di grandi folle verso Gesù è un tratto ricorrente in
Marco (cf. Mc 2,4.13; 3,7.8.9.20.32; 4,1.36; 5,21.24.27.30.31; 6,31.34.45; 7,14.17.33;
8,1.2.6.34; 9,14.15.17.25; 10,1.46; 11,32; 12,12.37). Qui si sottolinea il contrasto tra il suo
voler restare nascosto e il non poter restare nascosto.
Mc 2,1

2,1 5"Â gÆFg8hã< BV84< gÆH 5"n"D<"@×: *4z º:gDä< ²i@bFh0 ÓJ4 ¦< @Çiå
¦FJ\<.
2,1 Entrò di nuovo a Cafarnao e dopo alcuni giorni si seppe che era in casa.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÆFg8hf<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare, venire
dentro, recarsi, andare; cf. Mc 1,21. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH.
Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo composto viene ripetuta davanti al
successivo complemento indiretto, come qui; questo fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].
25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33;
9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora. Il vocabolo ricorre
141 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 17 volte in Matteo (corrispon-
dente allo 0,093% del totale delle parole); 28 volte in Marco (cf. Mc 2,1.13; 3,1.20; 4,1; 5,21;
7,14.31; 8,1.13.25; 10,1[x2].10.24.32; 11,3.27; 12,4; 14,39.40.61.69.70[x2]; 15,4.12.13 =
0,248%); 3 volte in Luca (0,015%); 45 volte in Giovanni (0,288%). Nella stragrande
maggioranza delle ricorrenze questo avverbio, tipicamente marciano rispetto agli altri due
sinottici, ha sempre valore iterativo (= «di nuovo»), come avviene nel greco ellenistico e
soprattutto nel linguaggio popolare.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
5"n"D<"@b:: sost., nome proprio di città, acc. sing. f., indecl., Cafarnao; cf. Mc 1,21; compl.
di moto a luogo.
*4z: (= *4V), prep. propria di valore temporale, seguita dal genitivo, indecl., durante, per, dopo,
al termine di. Questa preposizione, nelle forme *4V e in quella elisa *4z davanti a vocale,
ricorre 667 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 59 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,322% del totale delle parole); 33 volte in Marco (cf. Mc 2,1.4.18.23.
27[x2]; 3,9; 4,5.6.17; 5,4.5; 6,2.6.14.17.26; 7,5.29.31; 9,30; 10,25; 11,16.24.31; 12,24;
13,13.20; 14,21.58; 15,10; 16,8.20 = 0,292%); 39 volte in Luca (0,200%); 59 volte in
Giovanni (0,377%). Questa preposizione esprime originariamente l’ambito o il contesto
attraverso il quale si compie un processo. In Marco è impiegata con il genitivo nel significato
strumentale, locale o temporale; con l’accusativo nel significato causale o finale.
º:gDä<: sost., gen. plur. f. da º:XD", –"H, giorno; cf. Mc 1,9; compl. di tempo determinato.
L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate da preposizioni è piuttosto frequente nel
greco ellenistico. La formula *4z º:gDä< (cf. anche At 1,3) corrisponde al classico *4
PD`<@L: si tratta di una indicazione temporale assai vaga, analoga a *4z ¦Jä< B8g4`<T<,
«dopo molti anni» (At 24,17), da mettere in relazione non con il precedente participio
gÆFg8hf<, ma con il successivo verbo principale ²i@bFh0.
²i@bFh0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere. Questo verbo ricorre 428 volte nel NT. La distribuzione nei

151
152 Mc 2,2

vangeli è la seguente: 63 volte in Matteo (corrispondente allo 0,343% del totale delle parole);
44 volte in Marco (cf. Mc 2,1.17; 3,8.21; 4,3.9[x2].12[x2].15.16.18.20.23[x2].24.33; 5,27;
6,2.11.14.16.20[x2].29.55; 7,14.25.37; 8,18; 9,7; 10,41.47; 11,14.18; 12,28.29.37; 13,7;
14,11.58.64; 15,35; 16,11 = 0,389%); 65 volte in Luca (0,334%); 59 volte in Giovanni
(0,377%). In senso letterale proprio il verbo •i@bT è usato già da Omero nel significato di
«ascoltare», «udire», come percezione sensoriale dell’orecchio (cf. Omero, Il., 22,447; Od.,
1,370). Da questo senso originario deriva quello di «conoscere per sentito dire», ossia
«sapere» (cf. Omero, Il., 7,129; Platone, Gorg., 503c; Senofonte, Anab., 2,5,13), come
avviene nel nostro passo. Il passivo greco può essere reso in italiano con la forma
impersonale «si seppe», dove a sapere è la gente dei dintorni, soggetto implicito. In Marco
questo verbo è usato sia con il complemento sia in forma assoluta (cf. Mc 2,1; 4,3.9.12.23.
33; 6,16.55; 7,37; 8,18; 10,47; 11,18; 12,29; 14,11; 16,11). In genere soggetto dell’ascolto
sono le persone, rispetto al dire e al fare di Gesù; molto raramente è Gesù colui che ascolta
(cf. Mc 2,17).
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
@Çiå: sost., dat. sing. m. da @Éi@H, –@L, casa, abitazione; compl. di stato in luogo. Il vocabolo
ricorre 114 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 10 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,055% del totale delle parole); 13 volte in Marco (cf. Mc 2,1.11.26;
3,20; 5,19.38; 7,17.30; 8,3.26; 9,28; 11,17[x2] = 0,115%); 33 volte in Luca (0,169%); 5 volte
in Giovanni (0,032%). Di quale casa si sta parlando? Probabilmente ancora quella di Simone
e Andrea ricordata in Mc 1,29. Se questo riferimento è corretto l’assenza dell’articolo (¦<
@Çiå) non rende l’espressione indeterminata (= «in una casa»): si tratta di una forma
stereotipa, corrispondente al locativo @Çi@4 (lat. domi; italiano «a casa»), in riferimento alla
casa precedentemente menzionata. Per quanto riguarda l’uso dei sostantivi @Éi@H e @Æi\"
per indicare la «casa» vedi commento a Mc 1,29.
¦FJ\<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Predicato verbale. Presente storico. L’azione dichiarativa ¦FJ\<, al presente, è in
relazione con un tempo passato (²i@bFh0): non si tratta di una incongruenza di tempi
poiché il presente, in dipendenza dal passato, indica contemporaneità al passato e perciò va
tradotto con «era».

2,2 i" FL<ZPh0F"< B@88@ òFJg :0iXJ4 PTDgÃ< :0*¥ J BDÎH J¬< hbD"<s i"Â
¦8V8g4 "ÛJ@ÃH JÎ< 8`(@<.
2,2 Si radunarono in molti, tanto che non c’era più posto neppure davanti alla porta ed
egli cominciò a spiegare la buona novella.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


FL<ZPh0F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. pass. da FL<V(T (da Fb< e –(T), raggruppare,
raccogliere, radunare. Questo verbo ricorre 59 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è
la seguente: 24 volte in Matteo (corrispondente allo 0,131% del totale delle parole); 5 volte
Mc 2,2 153

in Marco (cf. Mc 2,2; 4,1; 5,21; 6,30; 7,1 = 0,044%); 6 volte in Luca (0,031%); 7 volte in
Giovanni (0,045%). Nell’uso classico il verbo FL<V(T equivale a «radunare», detto di
persone e animali (cf. Omero, Il., 6,87; Erodoto, Hist., 1,196,1; Aristofane, Lys., 585), come
pure di cose (cf. Omero, Il., 3,269; Od., 14,296, tmesi).
B@88@\: pron. indefinito, di valore sostantivato, nom. plur. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto,
tanto, grande; cf. Mc 1,34; soggetto.
òFJg: cong. subordinativa di valore consecutivo, indecl., così che, cosicché, tanto che, al punto
che; cf. Mc 1,27.
:0iXJ4: (da :Z e §J4), avv. di negazione, indecl., non più, mai più, non oltre, neanche; cf. Mc
1,45.
PTDgÃ<: verbo, inf. pres. da PTDXT, fare spazio, ritirarsi. Questo verbo ricorre 10 volte nel NT:
Mt 15,17; 19,11.12[x2]; Mc 2,2 (hapax marciano); Gv 2,6; 8,37; 21,25; 2Cor 7,2; 2Pt 3,9.
Nella sua accezione letterale il verbo PTDXT è usato nel greco classico con il significato di
«fare spazio» muovendosi, «ritirarsi» (cf. Omero, Il., 4,505; 16,592; 17,533), come avviene
nel nostro passo.
:0*X: (da :Z e *X), avv. di negazione, indecl., neppure, nemmeno, neanche, non. Il vocabolo
ricorre 56 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 11 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,060% del totale delle parole); 6 volte in Marco (cf. Mc 2,2; 3,20; 6,11;
8,26; 12,24; 13,15 = 0,053%); 7 volte in Luca (0,036%); 2 volte in Giovanni (0,013%). Da
notare l’uso della doppia negazione (:0iXJ4… :0*X) per sottolineare enfaticamente la
mancanza di spazio, dovuta all’imponente calca della gente stipata in ogni parte della casa.
La frequenza della doppia negazione è una caratteristica stilistica di Marco per dare maggiore
enfasi alla negazione (cf. Mc 1,44; 2,2; 3,20.27; 5,37; 6,5; 7,12; 9,1.41; 10,15; 13,2[x2].19.
30.31; 14,25.31; 16,8.18), senza escludere la possibilità che essa derivi dall’indole popolare
della lingua dei vangeli.
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18. L’articolo neutro sostantiva il
successivo complemento di stato in luogo: l’intera espressione è da ritenere un accusativo
che fa da soggetto all’infinito consecutivo PTDgÃ<.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
hbD"<: sost., acc. sing. f. da hbD", –"H, porta [di casa], ingresso, vestibolo; cf. Mc 1,33;
compl. di stato in luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦8V8g4: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8"8XT, parlare, dire; cf. Mc 1,34. Imperfetto
durativo o iterativo per indicare il protrarsi di questa predicazione.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
154 Mc 2,3

8`(@<: sost., acc. sing. m. da 8`(@H, –@L, parola; cf. Mc 1,45; compl. oggetto. L’espressione
8"8gÃ< JÎ< 8`(@<, «parlare la parola» (cf. anche Mc 4,33; 8,32) è frequente negli Atti degli
Apostoli e nel resto del NT come formula tecnica, per indicare la predicazione cristiana a
opera dei missionari (cf. At 4,29.31; 8,25; 11,19; 13,46; 14,25; 16,6.32; Fil 1,14; Eb 13,7).
Qui il sostantivo 8`(@H non significa «parola», «detto», ma corrisponde a «messaggio»,
«buona novella», in riferimento al contenuto della predicazione evangelica, come avviene in
At 4,4; 6,4; 8,4; 1Ts 1,6; Gal 6,6; Col 4,3; 2Tm 4,2; Gc 1,21, ecc.

2,3 i"Â §DP@<J"4 nXD@<JgH BDÎH "ÛJÎ< B"D"8LJ4iÎ< "ÆD`:g<@< ßBÎ JgFFVDT<.
2,3 Si recarono da lui portando un paralitico trasportato da quattro persone.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§DP@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Presente storico. Il soggetto sottinteso è
indeterminato: «alcuni».
nXD@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da nXDT, portare; cf. Mc
1,32. Participio predicativo del soggetto sottinteso «alcuni». Il participio predicativo dei verbi
§PT, 8":$V<T, nXDT, ecc. ha talvolta valore pleonastico, soprattutto quando, come qui,
equivale alla preposizione «con» di valore strumentale o esprimente il complemento di
unione. In tali casi si può omettere e tradurre direttamente: «vennero da lui con un paralitico».
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5. L’espressione §DP@:"4 BD`H, detta in riferimento
a Gesù, non è rara in Marco: è impiegata per descrivere l’andare verso Gesù da parte di
qualche miracolato (cf. Mc 1,40; 2,3; 10,50), della folla (cf. Mc 1,45; 2,13; 3,8; 5,15) o di
gruppi specifici (cf. Mc 11,27; 12,18). Lo stesso Gesù comanda ai discepoli di lasciar «venire
a sé» i bambini (cf. Mc 10,14).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di moto a luogo.
B"D"8LJ4i`<: sost., acc. sing. m. da B"D"8LJ4i`H, –@Ø, paralitico, storpio; compl. oggetto.
Il vocabolo ricorre 10 volte nel NT: Mt 4,24; 8,6; 9,2[x2].6; Mc 2,3.4.5.9.10. Senza articolo
perché anonimo e non ancora presentato. Vocabolo raro, sconosciuto nel greco classico e nei
LXX. Si tratta di un aggettivo verbale (da B"D"8bT), analogo al più comune B"DV8LJ@H,
usato nel senso di «indebolito», «sfinito», «immobilizzato».
"ÆD`:g<@<: verbo, acc. sing. m. part. pres. pass. da "ÇDT, alzare, sollevare, sostenere,
sorreggere, portare, prendere. Questo verbo ricorre 101 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 19 volte in Matteo (corrispondente allo 0,104% del totale delle
parole); 20 volte in Marco (cf. Mc 2,3.9.11.12.21; 4,15.25; 6,8.29.43; 8,8.19.20.34; 11,23;
13,15.16; 15,21.24; 16,18 = 0,177%); 20 volte in Luca (0,103%); 26 volte in Giovanni
(0,166%). Participio predicativo del complemento oggetto B"D"8LJ4i`<. Nella grecità il
verbo "ÇDT (da non confondersi con "ÊDXT, contratto "ÊDä, «afferrare») esprime il
generico «sollevare» (cf. Omero, Il., 17,718; Od., 1,141). Anche nel nostro passo il verbo
Mc 2,4 155

deve essere inteso nella sua accezione fondamentale di «sollevare» (in senso fisico), come
avviene nella maggior parte delle altre ricorrenze marciane. Per quanto riguarda l’uso di
"ÇDT in senso letterale figurato cf. Mc 4,15.25; 8,34. In Marco questo verbo non compare
mai nel significato religioso di «portare [= espiare] il peccato», come avviene in Gv 1,29;
1Gv 3,5.
ßB`: prep. propria con valore d’agente, seguita dal genitivo, indecl., da, da parte di; cf. Mc 1,5.
JgFFVDT<: agg. numerale, cardinale, gen. plur. m. da JXFF"DgH, –VDT<, quattro; compl. di
agente; attributo del sostantivo sottinteso •<hDfBT<, «uomini». Il vocabolo ricorre 41 volte
nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 24,31; Mc 2,3; 13,27; Lc 2,37; Gv
11,17; 19,23. L’espressione ellittica «portato da quattro [persone]», nonostante la durezza
dell’anacoluto è facilmente comprensibile.

2,4 i" :¬ *L<V:g<@4 BD@Fg<X(i"4 "ÛJè *4 JÎ< ÐP8@< •BgFJX("F"< J¬<
FJX(0< ÓB@L µ<s i"Â ¦>@Db>"<JgH P"8äF4 JÎ< iDV$"JJ@< ÓB@L Ò B"D"8LJ4-
iÎH i"JXig4J@.
2,4 Non potendo però portarlo davanti a lui, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel
punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il
paralitico.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non. Il vocabolo ricorre 1042 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 128 volte in Matteo (corrispondente allo 0,698% del
totale delle parole); 77 volte in Marco (cf. Mc 2,4.7.19.21.22. 26; 3,9.12.20.27; 4,5.6.12[x2].
22; 5,7.10.36.37; 6,4.5.8[x4].9.11.34.50; 7,3.4; 8,1.14; 9,1.9.29.39.41; 10,9.14.15[x2].
18.19[x5].30; 11,13.23; 12,14.18.19.21.24; 13,2[x2].5.7.11.15.16.18.19.20.21.30.31.32.36;
14,2.25.31.38; 16,6.18 = 0,681%); 140 volte in Luca (0,719%); 117 volte in Giovanni
(0,748%). In greco vi sono due negazioni: @Û e :Z. La negazione @Û (cf. Mc 1,7) è diretta,
categorica, determinata (lat. non): costituisce la negazione oggettiva, poiché nega un fatto
reale e, quindi, si usa nelle proposizioni enunciative, dichiarative, interrogative indirette,
temporali, causali, comparative, concessive, infinitive. Si accompagna con l’indicativo, modo
tipico della realtà. La negazione :Z (lat. ne) è indiretta, dubitativa, indeterminata; esprime la
negazione soggettiva, ossia nega il pensiero; è usata, quindi, in riferimento a un comando, un
desiderio, una riserva mentale da parte di chi scrive o di chi parla. Si usa :Z nelle
proposizioni volitive, finali, ipotetiche, concessive, completive (introdotte dai verbi timendi
o curandi transitivi). È seguita dall’imperativo, dal congiuntivo o dall’ottativo. Si deve
osservare, tuttavia, che questa distinzione non sempre è rigidamente rispettata, anche nel
greco classico. La più ampia oscillazione nell’uso delle due negazioni avviene con i
sostantivi, gli aggettivi e gli avverbi. In particolare nella Koiné la scala delle possibilità d’uso
delle negazioni @Û e :Z è così ampia al punto che molto spesso vengono scambiate l’una
con l’altra.
156 Mc 2,4

*L<V:g<@4: verbo, nom. plur. m. part. pres. medio da *b<":"4, potere, essere capace di,
essere in grado di; cf. Mc 1,40. Participio predicativo del soggetto sottinteso «alcuni».
BD@Fg<X(i"4: verbo, inf. aor. da BD@FnXDT (da BD`H e nXDT), portare, offrire; cf. Mc 1,44.
La forma verbale transitiva deve essere integrata con l’acc. sing. m. del pronome dimostrati-
vo/personale (= "ÛJ`<), in funzione di complemento oggetto, analogamente a quanto
avviene in Mc 6,13.41; 8,6[x2]; 14,22[x2]. È probabile che questo anacoluto sia dovuto a
influsso semitico.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
*4V: prep. propria di valore causale, seguita dall’accusativo, indecl., a causa di, a motivo di, per;
cf. Mc 2,1.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ÐP8@<: sost., acc. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; compl. di causa. Il vocabolo
ricorre 175 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 50 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,273% del totale delle parole); 38 volte in Marco (cf. Mc 2,4.13;
3,9.20.32; 4,1[x2].36; 5,21.24.27.30. 31; 6,34.45; 7,14.17.33; 8,1.2.6[x2].34; 9,14.15.17.25;
10,1.46; 11,18.32; 12,12.37.41; 14,43; 15,8.11.15 = 0,336%); 41 volte in Luca (0,210%); 20
volte in Giovanni (0,128%). In Marco ÐP8@H è sempre senza articolo quando designa una
folla anonima menzionata la prima volta (cf. Mc 3,20.32; 4,1a; 5,21.24; 6,34; 8,1; 9,14.25;
10,1.46; 14,43), con l’articolo quando designa una folla o un gruppo di persone già
menzionate precedentemente (cf. Mc 2,4.13; 3,9; 4,1b.36; 5,27.30.31; 6,45; 7,14.17.33;
8,2.6[x2].34; 9,15.17; 11,18.32; 12,12.37.41; 15,8.11.15). Nelle ricorrenze marciane il
vocabolo è sempre nella forma singolare, a eccezione di Mc 10,1. Per indicare gruppi
indeterminati di persone nel NT sono impiegati vari termini: 1) ÐP8@H: indica la folla che si
muove disordinatamente o si raduna in qualche luogo, costituita da gente comune ed
eterogenea, in opposizione al ceto superiore; 2) *­:@H (assente in Marco): indica il popolo,
la popolazione civile che abita in qualche città; 3) B8­h@H (cf. Mc 3,7.8): indica la
moltitudine in senso quantitativo, il gran numero o la parte maggiore rispetto a una massa;
4) 8"`H (cf. Mc 7,6; 14,2): indica il popolo istituzionalizzato e, da un punto di vista
teologico, il popolo di Dio, la comunità cristiana. Si deve notare, tuttavia, che queste
distinzioni non sempre sono rispettate e un autore può impiegare uno stesso vocabolo con
vari significati.
•BgFJX("F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •B@FJg(V.T (da •B` e una parola derivata
da FJX(0), scoprire, scoperchiare. Hapax neotestamentario. Verbo raro nel greco sia
classico che ellenistico (cf. Strabone, Geogr., 8,3,30), sconosciuto nei LXX. Secondo
l’etimologia indica l’azione di rimuovere il tetto, operazione, questa, possibile se si tiene
presente la conformazione delle abitazioni nell’antico Vicino Oriente (cf. sotto).
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
FJX(0<: sost., acc. sing. n. da FJX(0, –0H, tetto, copertura (di una casa); compl. oggetto. Il
vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mt 8,8; Mc 2,4 (hapax marciano); Lc 7,6. Il curioso
particolare di «scoperchiare» un tetto potrebbe sembrare inverosimile al giorno d’oggi se non
Mc 2,4 157

si conoscono le tecniche edilizie dell’antichità e le usanze di vita domestica. Al tempo di


Gesù, nella Palestina, la casa dei poveri era generalmente costituita da un unico vano, a piano
terra, il quale spesso era condiviso con i pochi animali domestici. In questo tipo di
abitazione tutto lo spazio veniva accuratamente sfruttato: il vano principale serviva da cucina,
da sala da pranzo e da camera da letto. Alla sera, infatti, si stendevano le stuoie direttamente
sul pavimento di terra battuta dove grandi e piccoli si adagiavano per dormire. Il tetto era a
terrazza e veniva usato per essiccare granaglie, legumi e altri prodotti dei campi, ma anche
per passare la notte nell’afosa stagione estiva. Vi si accedeva dall’esterno, per mezzo di scale
a pioli o a gradini. Come materiale per costruzione si usavano mattoni di paglia o canne
miste ad argilla per le pareti, mentre i tetti erano formati da travi di legno incrociati e
rafforzati con rami, tenuti insieme da fango essiccato. Ciò spiega la facilità di accedervi e di
«scoperchiarli», come descritto nel nostro passo. Giuseppe Flavio riferisce che il re Erode
fece aprire i tetti delle case di Gerico per sopraffare i soldati che si erano rinserrati all’interno
(cf. Id., Antiq., 14,459).
ÓB@L: (da ÓH e B@Ø), avv. di luogo, indecl., dove, nel luogo in cui. Il vocabolo ricorre 82 volte
nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 13 volte in Matteo (corrispondente allo
0,071% del totale delle parole); 15 volte in Marco (cf. Mc 4,5.15; 5,40; 6,10.55.56; 9,18.48;
13,14; 14,9.14[x2]; 16,6 = 0,133%); 5 volte in Luca (0,026%); 30 volte in Giovanni
(0,192%). Sinonimo di @â, l’avverbio ÓB@L è usato nel NT prevalentemente per esprimere
uno stato in luogo.
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Predicato verbale.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦>@Db>"<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da ¦>@DbFFT (da ¦i e ÏDbFFT), scavare,
traforare. Questo verbo ricorre 2 volte nel NT: Mc 2,4 (hapax marciano) e Gal 4,15.
Participio predicativo del soggetto sottinteso «alcuni». Nel greco classico questo verbo è
utilizzato nel significato di «togliere scavando», «sradicare», detto a proposito di piante che
vengono estirpate (cf. Aristofane, Achar., 763; Lisia, Or., 7,26) o di particolari costruzioni,
come le trincee, che vengono scavate nel terreno (cf. Dionigi di Alicarnasso, Antiq., 9,55,4).
P"8äF4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da P"8VT, abbassare, calare. Questo verbo ricorre 8
volte nel NT: Mc 2,4 (hapax marciano); Lc 5,4.5; At 9,25; 27,17.30; 2Cor 11,33. In senso
letterale proprio P"8VT è impiegato nel greco classico nel significato sia di «allentare» (cf.
Euripide, Or., 707; Aristofane, Thesm., 1003) sia in quello di «abbassare», «far cadere» (cf.
Pindaro, Pyth., 1,6; Aristofane, Ves., 654).
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
iDV$"JJ@<: sost., acc. sing. m. da iDV$"JJ@H, –@L, lettiga, portantina, pagliericcio, branda;
compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 11 volte nel NT: Mc 2,4.9.11.12; 6,55; Gv 5,8.9.10.11.
15; At 5,15; 9,33. Il sostantivo, da cui deriva il latino grabatus, è di origine macedone; nelle
iscrizioni del Bosforo ricorre anche nella forma iD"$VJg4@H (lat. cubicularius): ciò
comprova che il termine doveva essere piuttosto ordinario.
ÓB@L: (da ÓH e B@Ø), avv. di luogo, indecl., dove, nel luogo in cui; cf. Mc 2,4.
158 Mc 2,5

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
B"D"8LJ4i`H: sost., nom. sing. m. da B"D"8LJ4i`H, –@Ø, paralitico, storpio; cf. Mc 2,3;
soggetto.
i"JXig4J@: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. pass. da i"JVig4:"4 (da i"JV e igÃ:"4), essersi
sdraiato, giacere prostrato; cf. Mc 1,30.

2,5 i"Â Æ*ã< Ò z30F@ØH J¬< B\FJ4< "ÛJä< 8X(g4 Jè B"D"8LJ4iès IXi<@<s
•n\g<J"\ F@L "Ê :"DJ\"4.
2,5 Gesù, nel vedere la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, i tuoi peccati sono perdona-
ti».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Æ*f<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc 1,10.
Participio predicativo del soggetto z30F@ØH. Marco usa spesso il participio con un
significato temporale (cf. Mc 2,5.16; 5,6.22; 6,48.49; 7,2; 8,33; 9,20.25; 10,14; 12,34;
14,67.69; 15,39). Gesù, ovviamente, non «vede» la fede, ma i suoi effetti: il verbo ÒDVT
assume spesso il senso cognitivo di «constatare», come in Mc 12,28; 13,14.29; At 8,23; Eb
2,8; Gc 2,24, ecc.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B\FJ4<: sost., acc. sing. f. da B\FJ4H, –gTH, fede, fiducia; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre
243 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 8 volte in Matteo (cf. Mt 8,10;
9,2.22.29; 15,28; 17,20; 21,21; 23,23, corrispondente allo 0,044% del totale delle parole); 5
volte in Marco (cf. Mc 2,5; 4,40; 5,34; 10,52; 11,22 = 0,044%); 11 volte in Luca (cf. Lc
5,20; 7,9.50; 8,25.48; 17,5.6.19; 18,8.42; 22,32 = 0,056%). Il significato dinamico di questo
termine (dal tema B4h– di Bg\hT, «persuadere», «avere fiducia», «fidarsi»), analogamente
a quanto avviene per il corrispettivo verbo B4FJXLT (cf. Mc 1,15), si può constatare
dall’impiego che ne viene fatto nella letteratura greca. Fondamentalmente B\FJ4H è la
«fiducia» (oggettiva) che si accorda a qualcuno (cf. Esiodo, Op. 372; Sofocle, Oed. Col., 950;
Demostene, Or., 32,16). Conseguentemente può esprimere la personale «convinzione» o
«credenza» (soggettiva) che si ha verso qualcuno o qualcosa (cf. Aristotele, Eth. Nic., 1154a
23; Sofocle, Oed. tyr., 1445). Per estensione può indicare la «prova», la «garanzia» o la
«conferma», come espressione di una fiducia accordata (cf. Platone, Resp., 505e). In ambito
religioso B\FJ4H esprime la credenza, la convinzione o la “fede” che si prova nei confronti
di qualcuno o qualcosa, al punto da indicare come sostituto personificato la A\FJ4H, ossia
la dea Fiducia (lat. Fides). Nelle prime quattro ricorrenze marciane non viene specificata la
persona o l’oggetto della fede, ma dal contesto si deduce che sia Gesù o la sua potenza di
compiere miracoli. In Mc 11,22, molto probabilmente, si sta parlando della fede nei confronti
di Dio (genitivo oggettivo). La guarigione è attribuita da Gesù non tanto alla potenza di cui
Mc 2,5 159

egli dispone, ma alla fede che il cieco ha manifestato. Come avviene altrove, la fede è
elemento essenziale che Gesù esige dai discepoli (cf. Mc 4,40; 11,22), da chi implora una
guarigione (cf. Mc 9,24), dagli stessi parenti o amici del bisognoso (cf. Mc 2,4–5; 5,24.34;
7,27–30; 9,18.23).
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona plurale
(«di essi» = «loro»).
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B"D"8LJ4iè: sost., dat. sing. m. da B"D"8LJ4i`H, –@Ø, paralitico, storpio; cf. Mc 2,3;
compl. di termine.
IXi<@<: sost., voc. sing. n. da JXi<@<, –@L, figlio, bambino; compl. di vocazione. Il vocabolo
ricorre 99 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 14 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,076% del totale delle parole); 9 volte in Marco (cf. Mc 2,5; 7,27[x2];
10,24.29.30; 12,19; 13,12[x2] = 0,080%); 14 volte in Luca (0,072%); 3 volte in Giovanni
(0,019%). Fondamentalmente il sostantivo JXi<@< indica nell’uso classico il figlio naturale
(cf. Omero, Il., 2,136; Od., 12,42) e in senso derivato il «piccolo», il «cucciolo», detto di
animali (cf. Omero, Il., 2,311; Erodoto, Hist., 2,66,2; Senofonte, Cyn., 5,24). Nel NT il
vocabolo JXi<@<, oltre a essere presente con questo significato letterale proprio, può essere
usato in modo traslato, per esprimere al vocativo una specie di figliolanza spirituale o
elettiva, come avviene nella nostra ricorrenza marciana dove la forma esclamativa compare
sulla bocca di Gesù, il quale si rivolge a un adulto con questo titolo, analogamente a Mc
10,24 (cf. anche il femminile hL(VJ0D, «figlia», in Mc 5,34).
•n\g<J"\: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. pass. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare,
abbandonare, rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18. Non si tratta di un passivo divino: cf. sotto,
a proposito di :"DJ\"4. Uso circoscritto del verbo •n\0:4 il quale in relazione a debiti,
offese, colpe o peccati acquista il senso di «cancellare», «annullare», «rimettere».
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
"Ê: art. determ., nom. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo. La forma "Ê ricorre 148 volte nel NT rispetto
alle 19.862 ricorrenze totali dell’articolo. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 34 volte
in Matteo (corrispondente allo 0,185% del totale delle parole); 17 volte in Marco (cf. Mc
2,5.9; 3,28.32; 4,7.19[x2]; 6,2.3.14; 7,35; 13,19.25[x2]; 14,49.56; 15,41 = 0,150%); 25 volte
in Luca (0,138%); 2 volte in Giovanni (0,013%).
:"DJ\"4: sost., nom. plur. f. da :"DJ\", –"H, sbaglio, errore, colpa, peccato; cf. Mc 1,4;
soggetto. Da chi sono rimessi questi peccati? La formula assertiva usata da Gesù non indica
qual è il soggetto. Per alcuni la forma passiva •n\g<J"4 è un espediente per evitare il nome
di Dio (= passivo divino), come avviene altrove nel vangelo: in tal caso il soggetto implicito
160 Mc 2,6

sarebbe Dio. Tuttavia è preferibile ritenere che la frase «i tuoi peccati sono perdonati»
corrisponda a una dichiarazione autoritativa e solenne da parte di chi sta parlando, ossia lo
stesso Gesù: nella formulazione attiva e diretta corrisponderebbe a «Io ti rimetto i peccati»,
come del resto verrà affermato esplicitamente in Mc 2,10.

2,6 µF"< *X J4<gH Jä< (D"::"JXT< ¦igà i"hZ:g<@4 i" *4"8@(4.`:g<@4 ¦< J"ÃH
i"D*\"4H "ÛJä<s
2,6 C’erano, però, là seduti alcuni scribi che ragionavano nei loro cuori:

µF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf.
Mc 1,6. Predicato verbale.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
La congiunzione avversativa introduce significativamente il passaggio, in forma di
contrapposizione, rispetto alla precedente scena.
J4<gH: pron. indefinito (enclitico), nom. plur. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; soggetto. Il vocabolo ricorre 534 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 21 volte in Matteo (corrispondente allo 0,114% del
totale delle parole); 34 volte in Marco (cf. Mc 2,6; 4,23; 6,23; 7,1.2; 8,3.4.23.34; 9,1.22.30.
35.38; 11,3.5.13.16.25[x2]; 12,13.19; 13,5.15.21; 14,4.47.51.57.65; 15,21.35.36; 16,18 =
0,301%); 81 volte in Luca (0,416%); 56 volte in Giovanni (0,358%). Questo pronome è
enclitico: presenta l’accento acuto soltanto se è seguito da un’altra parola enclitica. Attestato
già in Omero, il pronome indefinito J\H (lat. quis, quid, aliquis, aliquid) indica qualcosa di
generico e indeterminato in riferimento sia alle persone sia alle cose e corrisponde ai
pronomi/aggettivi italiani «uno», «qualcuno», «qualcosa», «qualche». Nella maggior parte
delle ricorrenze espleta una funzione pronominale; altrove compare con i seguenti significati:
a) aggettivo indefinito (cf. Mc 15,21); b) uso sostantivato (sing. «un tale»; plur. «alcuni»: Lc
13,1); c) uso impersonale, corrispondente all’italiano «si…» (cf. Mc 8,4).
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
(D"::"JXT<: sost., gen. plur. m. da (D"::"JgbH, –XTH (da (DV::"), scriba, esperto della
Legge, insegnante religioso; cf. Mc 1,22; compl. partitivo.
¦igÃ: avv. di luogo, indecl., là, lì, in quel posto; cf. Mc 1,38.
i"hZ:g<@4: verbo, nom. plur. m. part. pres. medio da iVh0:"4 (da i"JV e ½:"4), sedere,
sedersi. Questo verbo deponente ricorre 91 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 19 volte in Matteo (corrispondente allo 0,104% del totale delle parole); 11 volte
in Marco (cf. Mc 2,6.14; 3,32.34; 4,1; 5,15; 10,46; 12,36; 13,3; 14,62; 16,5 = 0,097%); 13
volte in Luca (0,067%); 4 volte in Giovanni (0,026%). Participio predicativo del soggetto
J4<gH Jä< (D"::"JXT<. Analogamente all’uso neotestamentario i verbi iVh0:"4 e
i"h\.T, sebbene di diversa etimologia, sono impiegati da Marco come sinonimi per
esprimere due significati fondamentali: a) il più delle volte sono usati in senso letterale
proprio per descrivere la posizione fisica dello stare seduti, per terra o su un supporto; b) in
Mc 2,7 161

senso traslato esprimono l’essere seduto come segno di potere, dignità e autorità (cf. Mc
10,37.40; 12,36; 14,62; 16,19).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
*4"8@(4.`:g<@4: verbo, nom. plur. m. part. pres. medio da *4"8@(\.@:"4 (da *4V e
8@(\.@:"4), ragionare, esaminare, confrontare, deliberare, discutere. Questo verbo
deponente ricorre 16 volte nel NT: Mt 16,7.8; 21,25; Mc 2,6.8[x2]; 8,16.17; 9,33; 11,31; Lc
1,29; 3,15; 5,21.22; 12,17; 20,14. Participio predicativo del soggetto J4<gH Jä< (D"::"-
JXT<. L’uso dei participi i"hZ:g<@4… *4"8@(4.`:g<@4 come verbi personali è raro nel
greco classico ed ellenistico, mentre è assai frequente nell’aramaico: probabilmente si tratta
di un semitismo. Il significato originario del verbo *4"8@(\.@:"4 è quello di «fare i conti»,
«calcolare» (cf. Demostene, Or., 52,3), da cui deriva quello di «ragionare» discutendo (cf.
Senofonte, Mem., 3,5,1). Nel NT *4"8@(\.@:"4 indica sempre una deliberazione o
interrogazione interna, il cui oggetto è deprecabile e condannabile, sia che si tratti di
avversari, come qui oppure degli stessi discepoli (cf. Mc 8,16.17; 9,33).
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J"ÃH: art. determ., dat. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
i"D*\"4H: sost., dat. plur. f. da i"D*\", –"H, cuore; compl. di stato in luogo. Il vocabolo
ricorre 156 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 16 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,087% del totale delle parole); 11 volte in Marco (cf. Mc 2,6.8; 3,5;
6,52; 7,6.19.21; 8,17; 11,23; 12,30.33 = 0,097%); 22 volte in Luca (0,113%); 7 volte in
Giovanni (0,045%). La frase «ragionare nel cuore» è di stampo semitico ed equivale a
«ragionare nella mente» o più semplicemente «pensare» (cf. anche Mc 2,8). Nell’uso
neotestamentario i"D*\" non corrisponde all’accezione greca di organo in senso fisiologico
(cf. Omero, Il., 10,94) o sede delle emozioni e della vita psichica e spirituale (cf. Omero, Il.,
9,646), ma è l’equivalente dell’ebraico "-F, le) b5, il quale nel mondo semitico indica
l’interiorità della persona umana, la sede dell’intelletto, della conoscenza e della volontà,
perfino la coscienza. Detto in termini diretti, la locuzione semitica ¦< J"ÃH i"D*\"4H "ÛJä<
equivale a «dentro di sé», come avviene in Mc 2,8 (¦< ©"LJ@ÃH, «in sé stessi»).
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona plurale
(«di essi» = «loro»).

2,7 I\ @âJ@H @àJTH 8"8gÃp $8"Fn0:g÷ J\H *b<"J"4 •n4X<"4 :"DJ\"H gÆ :¬ gÍH
Ò hg`Hp
2,7 «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati se non Dio
solo?».

I\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24. L’uso di J\ con il valore interrogativo avverbiale
162 Mc 2,7

di «perché?» (lat. quid, cur?), comune anche nel greco classico, viene spiegato come una
specie di accusativo di specificazione o di relazione («di che cosa?», «in relazione a che?»);
cf. Mc 2,7.8.24; 4,40; 5,35.39; 8,12.17; 9,16.33; 10,18; 11,3; 12,15; 14,6. È possibile,
tuttavia, intendere J\ come una esclamativa (semitismo), per esprimere sorpresa e
indignazione da parte dei presenti: «Come! Costui parla in questo modo?…».
@âJ@H: pron. dimostrativo, nom. sing. m. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; soggetto. La
forma @âJ@H ricorre 187 volte nel NT rispetto alle 1387 ricorrenze totali di questo pronome.
La distribuzione nei vangeli è la seguente: 32 volte in Matteo (corrispondente allo 0,174%
del totale delle parole); 12 volte in Marco (cf. Mc 2,7; 3,35; 4,41; 6,3.16; 7,6; 9,7; 12,7.10;
13,13; 14,69; 15,39 = 0,106%); 39 volte in Luca (0,200%); 49 volte in Giovanni (0,313%).
In base al contesto @âJ@H può assumere senso ostile o spregiativo (come qui), corrispondente
all’italiano «costui», «questo tale». Stesso fenomeno in Mc 8,12; 14,69.
@àJTH: avv. di modo, indecl., così, in tal modo, in questa maniera. Il vocabolo ricorre 208 volte
nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 32 volte in Matteo (corrispondente allo
0,174% del totale delle parole); 10 volte in Marco (cf. Mc 2,7.8.12; 4,26; 7,18; 9,3; 10,43;
13,29; 14,59; 15,39 = 0,088%); 21 volte in Luca (0,108%); 14 volte in Giovanni (0,090%).
Da notare la figura etimologica (paronomasia) @âJ@H @àJTH da rendere, letteralmente,
«perché questo in questo modo parla?».
8"8gÃ: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8"8XT, parlare, dire; cf. Mc 1,34. La formula di
domanda retorica, implicante rimprovero o contestazione da parte del soggetto che la emette,
è spesso utilizzata da Marco (cf. Mc 2,8b.16b.18b.24; 3,4; 4,40; 5,39b; 7,5; 8,12b.17; 9,12b;
10,18; 11,3.28; 12,10.11.15.24. 35b; 14,6a).
$8"Fn0:gÃ: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da $8"Fn0:XT, bestemmiare, ingiuriare,
oltraggiare. Questo verbo ricorre 34 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: Mt 9,3; 26,65; 27,39; Mc 2,7; 3,28.29; 15,29; Lc 12,10; 22,65; 23,39; Gv 10,36.
In corrispondenza all’etimologia (da $8"Fn0:–, «che dice parole offensive» e suffisso
verbale –XT) e all’uso classico (cf. Platone, Resp., 381e; Eschine, Or., 1,180; Isocrate, Or.,
12,65), il verbo può avere nel NT il significato di «insultare», «oltraggiare» qualcuno a livello
umano (cf. 1Cor 4,13; 10,30; Tt 3,2). Tuttavia prevale l’uso religioso nel significato di
«bestemmiare» Dio (cf. Ap 13,6; 16,11.21) o un’altra realtà soprannaturale: «lo Spirito
Santo» (cf. Mc 3,29; Lc 12,10), «il nome di Dio» (cf. Rm 2,24; 1Tm 6,1; Ap 16,9), «il
Signore» (cf. 2Pt 2,10), «il Nome» (cf. Gc 2,7), gli «esseri gloriosi» (cf. Gd 1,8), Gesù in
croce (cf. Mt 27,39; Mc 15,29; Lc 23,39), «la parola di Dio» (cf. Tt 2,5). Normalmente
$8"Fn0:XT è costruito con l’oggetto all’accusativo; quando è usato in modo assoluto
(come qui) ha sempre come oggetto sottinteso Dio (cf. Mt 9,2; 26,65; Mc 2,7; Lc 22,65; Gv
10,36; At 18,6; 13,45; 26,11; 1Tm 1,20; Gd 1,10). In quattro ricorrenze soggetto del verbo
è Gesù, accusato di bestemmiare [Dio] (cf. Mt 9,3; 26,65; Mc 2,7; Gv 10,36). Secondo la
Legge giudaica la bestemmia vera e propria consisteva nella maledizione del nome di Dio
(cf. 2Re 19,22) ed era punita con la lapidazione (cf. Lv 24,15; 1Re 21,13; Gv 10,33; At
7,58). Qui, però, si tratta di una “bestemmia” indiretta, ossia dell’attribuzione da parte di una
creatura di una prerogativa propria di Dio (cf. Strack–Bill., I,1009). Il giudaismo, infatti, non
attribuiva neppure al messia il potere di perdonare i peccati (cf. Strack–Bill., II,495–496).
Mc 2,8 163

J\H: pron. interrogativo, nom. sing. m. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?,
che?, quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; soggetto.
*b<"J"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere
in grado di; cf. Mc 1,40.
•n4X<"4: verbo, inf. pres. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare, rimettere,
perdonare; cf. Mc 1,18.
:"DJ\"H: sost., acc. plur. f. da :"DJ\", –"H, sbaglio, errore, colpa, peccato; cf. Mc 1,4;
compl. oggetto.
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora. Questa congiunzione, nella forma gÆ e in quella gÇ davanti a enclitica, ricorre 502
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 55 volte in Matteo (corrispondente
allo 0,300% del totale delle parole); 35 volte in Marco (cf. Mc 2,7.21.22.26; 3,2.26; 4,23;
5,37; 6,4.5.8; 8,12.14.23.34; 9,9.22.23.29.35.42; 10,2.18; 11,13[x2].25; 13,20.22.32;
14,21.29.35; 15,36.44[x2] = 0,310%); 53 volte in Luca (0,272%); 49 volte in Giovanni
(0,313%). La particella gÆ è qui strettamente unita alla negazione per formare la locuzione
congiuntiva gÆ :Z, «tranne», «all’infuori di», «eccetto», che introduce una proposizione
eccettuativa. La formula, generalmente usata senza un verbo seguente, si ritrova in Mc
2,7.26; 5,37; 6,4.5.8; 8,14; 9,9.29; 10,18; 11,13; 13,32.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
gÍH: agg. numerale, cardinale, nom. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno. Il vocabolo ricorre 345 volte
nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 66 volte in Matteo (corrispondente allo
0,360% del totale delle parole); 44 volte in Marco (cf. Mc 2,7; 4,8[x3].20[x3]; 5,22; 6,15;
8,14.28; 9,5[x3].17.37.42; 10,8[x2].17.18.21.37[x2]; 11,29; 12,6.28.29.32.42; 13,1;
14,10.18.19[x2].20.37.43.47.66; 15,6.27[x2]; 16,2 = 0,389%); 43 volte in Luca (0,221%);
40 volte in Giovanni (0,256%). Nel NT gÍH è usato raramente come numerale: nella maggior
parte delle ricorrenze espleta la funzione di un pronome indefinito (per quanto riguarda
Marco, cf. Mc 5,22; 6,15; 8,28; 9,17.37.42; 10,17.37[x2]; 12,28; 13,1; 14,10.18.20.43.
47.66) oppure, se usato in forma aggettivale, significa «unico», «incomparabile», analoga-
mente a quanto avviene per l’ebraico. Anche nel nostro passo l’espressione «Chi può
rimettere i peccati se non l’Uno/Unico?» potrebbe essere un semitismo: il successivo Ò hg`H
sarebbe in tal caso una esplicitazione redazionale (cf. anche Mc 10,18; 12,29.32). È possibile,
tuttavia, assegnare a gÍH un valore aggettivale (come in Mc 8,14; 9,5[x3]; 10,8[x2].18; 11,29;
12,6.29.32; 14,37; 15,6.27[x2]) e tradurre: «Chi può rimettere i peccati se non l’unico Dio?».
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
hg`H: sost., nom. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; soggetto.

2,8 i"Â gÛh×H ¦B4(<@×H Ò z30F@ØH Jè B<gb:"J4 "ÛJ@Ø ÓJ4 @àJTH *4"8@(\.@<J"4
¦< ©"LJ@ÃH 8X(g4 "ÛJ@ÃHs I\ J"ØJ" *4"8@(\.gFhg ¦< J"ÃH i"D*\"4H ß:ä<p
2,8 Ma Gesù, avendo subito conosciuto nel suo spirito che così pensavano in sé stessi,
disse loro: «Perché pensate queste cose nei vostri cuori?
164 Mc 2,8

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
¦B4(<@bH: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ¦B4(4<fFiT (da ¦B\ e (4<fFiT), conoscere,
sapere, scoprire. Questo verbo ricorre 44 volte nel NT: Mt 7,6.20; 11,27[x2]; 14,35; 17,12;
Mc 2,8; 5,30; 6,33.54; Lc 1,4.22; 5,22; 7,37; 23,7; 24,16.31. Participio predicativo del
soggetto z30F@ØH. Sebbene nel NT ¦B4(4<fFiT abbia a volte un valore teologico, nelle
ricorrenze marciane esso è usato nell’accezione comune e profana di «conoscere»,
«riconoscere», «venire a conoscenza», come nell’uso classico (cf. Pindaro, Pyth., 4,279;
Eschilo, Ag., 1598; Polibio, Hist., 2,11,3). Gesù nei vangeli viene sovente rappresentato in
forma analoga all’ellenistico hgÃ@H •<ZD che è in grado di «conoscere» dentro di sé ciò che
gli altri pensano (cf. Mc 2,8), dicono (cf. Mc 8,17), si propongono (cf. Gv 6,15) o sono (cf.
Gv 5,6) ed è cosciente delle forze prodigiose che escono da lui (cf. Mc 5,30). Tale
accostamento, tuttavia, è soltanto apparente: non si deve dimenticare che nella Bibbia questa
capacità di penetrare conoscitivamente nel cuore umano è prerogativa specifica di Dio, il solo
capace di «scrutare i cuori» (cf. 1Re 8,39; 1Cr 28,9; Sal 44,22; Ger 17,10).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B<gb:"J4: sost., dat. sing. n. da B<gØ:", –"J@H, alito, soffio, vento, spirito, Spirito; cf. Mc 1,8;
compl. di stato in luogo. Dativo di circoscrizione, equivalente all’uso pronominale ¦< ©"LJè,
«in sé stesso» o «da sé stesso», come avviene in Mc 5,30: ¦B4(<@×H ¦< ©"LJè, «avendo
conosciuto in sé stesso». Lo «spirito» qui menzionato è quello dell’animo di Gesù, sede dei
suoi sentimenti, dei suoi atti di conoscenza e volontà.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.
@àJTH: avv. di modo, indecl., così, in tal modo, in questa maniera; cf. Mc 2,7.
*4"8@(\.@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. medio da *4"8@(\.@:"4 (da *4V e 8@(\.@-
:"4), ragionare, esaminare, confrontare, deliberare, discutere; cf. Mc 2,6. Presente storico.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
©"LJ@ÃH: pron. riflessivo, dat. plur. m. da ©"LJ@Ø, –­H, –@Ø (non usato al nominativo), lui, lui
stesso, esso; cf. Mc 1,27; compl. di stato in luogo.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. La formula redazionale 8X(g4
Mc 2,9 165

"ÛJ@ÃH ricorre 25 volte, esclusivamente riservata a Gesù (cf. Mc 1,38; 2,8.17.25; 3,4;
4,13.35; 5,39; 6,31.38.50; 7,18; 8,17; 9,35; 10,11.24.42; 11,2.22.33; 12,16; 14,13.27.34.41).
Per quanto riguarda la formula singolare 8X(g4 "ÛJè, avente come soggetto Gesù, cf. Mc
1,41.44; 2,14; 5,9.19; 7,34; per 8X(g4 "ÛJ± cf. Mc 5,41.
I\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24. L’uso di J\ con il valore di «perché?» viene
spiegato come una specie di accusativo di specificazione o di relazione («di che cosa?», «in
relazione a che?»); cf. Mc 2,7.8.24; 4,40; 5,35.39; 8,12.17; 9,16.33; 10,18; 11,3; 12,15; 14,6.
J"ØJ": pron. dimostrativo, acc. plur. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; compl. oggetto.
La forma J"ØJ" ricorre 239 volte nel NT rispetto alle 1387 ricorrenze totali di questo
pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 20 volte in Matteo (corrispondente allo
0,109% del totale delle parole); 16 volte in Marco (cf. Mc 2,8; 6,2; 7,23; 8,7; 10,20;
11,28[x2].29.33; 13,4[x2].8.29.30; 16,12.17 = 0,149%); 47 volte in Luca (0,241%); 61 volte
in Giovanni (0,390%). L’oggetto J"ØJ" è anteposto al verbo in posizione enfatica.
*4"8@(\.gFhg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. medio da *4"8@(\.@:"4 (da *4V e 8@(\.@:"4),
ragionare, esaminare, confrontare, deliberare, discutere; cf. Mc 2,6.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J"ÃH: art. determ., dat. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
i"D*\"4H: sost., dat. plur. f. da i"D*\", –"H, cuore; cf. Mc 2,6; compl. di stato in luogo. La
frase «ragionare nel cuore» è di stampo semitico ed equivale a «ragionare nella mente»; cf.
Mc 2,6.
ß:ä<: pron. personale di 2a pers. gen. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
compl. di specificazione. La forma ß:ä< ricorre 561 volte nel NT rispetto alle 2905
ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 76 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,414% del totale delle parole); 14 volte in Marco (cf. Mc 2,8;
6,11[x2]; 7,6.9.13; 8,17; 9,19; 10,5.43; 11,2.25[x2]; 14,18 = 0,124%); 67 volte in Luca
(0,344%); 48 volte in Giovanni (0,307%). Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona plurale («di voi» =
«vostro»).

2,9 J\ ¦FJ4< gÛi@BfJgD@<s gÆBgÃ< Jè B"D"8LJ4iès z!n\g<J"\ F@L "Ê :"DJ\"4s


´ gÆBgÃ<s }+(g4Dg i" ˜D@< JÎ< iDV$"JJ`< F@L i" BgD4BVJg4p
2,9 Che cosa è più facile: dire al paralitico: “Ti sono perdonati i peccati” oppure dire:
“Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina”?

J\: pron. interrogativo, nom. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
166 Mc 2,9

gÛi@BfJgD@<: agg. qualificativo, di grado comparativo, nom. sing. m. da gÜi@B@H, –@<, facile;
predicato nominale. Il vocabolo ricorre 7 volte nel NT: Mt 9,5; 19,24; Mc 2,9; 10,25; Lc
5,23; 16,17; 18,25. L’aggettivo gÜi@B@H che nel greco classico esprime l’idea di «agevole»,
«comodo», «facile», in senso proprio o figurato (cf. Polibio, Hist., 18,18,2), nelle ricorrenze
neotestamentarie è usato sempre al comparativo e unito al nesso J\ ¦FJ4<, all’interno di
proposizioni interrogative.
gÆBgÃ<: verbo, inf. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc 1,7.
Soggetto del predicato nominale.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B"D"8LJ4iè: sost., dat. sing. m. da B"D"8LJ4i`H, –@Ø, paralitico, storpio; cf. Mc 2,3;
compl. di termine.
z!n\g<J"\: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. pass. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare,
abbandonare, rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
"Ê: art. determ., nom. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 2,5.
:"DJ\"4: sost., nom. plur. f. da :"DJ\", –"H, sbaglio, errore, colpa, peccato; cf. Mc 1,4;
soggetto della proposizione dichiarativa.
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero. Questa congiunzione
ricorre 337 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 65 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,354% del totale delle parole); 33 volte in Marco (cf. Mc 2,9; 3,4[x2];
4,17.21.30; 6,56[x2]; 7,10.11.12; 9,43.45.47; 10,25.29[x6].38.40; 11,28.30; 12,14[x2];
13,32.35[x4]; 14,30 = 0,292%); 43 volte in Luca (0,221%); 12 volte in Giovanni (0,071%).
Nell’uso marciano la particella ³ è generalmente usata come una particella disgiuntiva con
significato non escludente, per coordinare elementi affini, contigui e complementari, elencati
come possibili scelte (cf. Mc 4,17.21.30; 6,56[x2]; 7,10.11.12; 10,29[x6]; 11,28; 13,32). In
altri casi può avere un significato disgiuntivo escludente, per coordinare due o più concetti
che si escludono a vicenda (cf. Mc 2,9; 3,4[x2]; 10,40; 11,30; 12,14[x2]; 13,35[x4]). Altrove
è usata come generica particella comparativa «…che», per introdurre il secondo termine di
paragone (cf. Mc 9,43.45.47; 10,25). In Mc 14,30, unita alla congiunzione temporale BD\<,
corrisponde alla locuzione avverbiale «prima che».
gÆBgÃ<: verbo, inf. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc 1,7.
Soggetto del predicato nominale.
}+(g4Dg: verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. da ¦(g\DT, svegliare, alzare, sollevare, risorgere
[i morti] (trans.); svegliarsi, alzarsi, sollevarsi, risorgere [dai morti] (intr.); cf. Mc 1,31.
L’imperativo di questo verbo è sempre pronunciato da Gesù nel contesto di una guarigione
(cf. Mc 2,9.11; 3,3; 5,41). La forma asindetica è piuttosto frequente con gli imperativi dei
verbi ¦(g\DT (cf. Mc 2,9; 3,3; 5,41; 10,49; 14,42), ßBV(T (cf. Mc 1,44; 5,34; 6,38; 7,29;
10,21.52; 16,7), ÒDVT (cf. Mc 1,44; 6,38; 8,15), F4TBVT (cf. Mc 4,39), n4:`T (cf. Mc
4,39), h"DFXT (cf. Mc 6,50; 10,49), $8XBT (cf. Mc 13,5.23.33).
Mc 2,10 167

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


˜D@<: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da "ÇDT, alzare, sollevare, sostenere, sorreggere,
portare, prendere; cf. Mc 2,3.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
iDV$"JJ`<: sost., acc. sing. m. da iDV$"JJ@H, –@L, lettiga, portantina, pagliericcio, branda;
cf. Mc 2,4; compl. oggetto.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BgD4BVJg4: verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. da BgD4B"JXT (da BgD\ e B"JXT), camminare,
passeggiare, deambulare. Questo verbo ricorre 95 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli
è la seguente: 7 volte in Matteo (corrispondente allo 0,038% del totale delle parole); 9 volte
in Marco (cf. Mc 2,9; 5,42; 6,48.49; 7,5; 8,24; 11,27; 12,38; 16,12 = 0,080%); 5 volte in
Luca (0,026%); 17 volte in Giovanni (0,109%). Nel greco classico questo verbo è usato nel
significato letterale di «andare in giro», «passeggiare», «camminare» (cf. Aristofane, Eq., 744;
Senofonte, Mem., 3,13,5; Platone, Euthyd., 273a). Anche nelle ricorrenze marciane prevale
il significato letterale proprio di «camminare»: quello traslato di «comportarsi», «vivere
secondo...», è presente soltanto in Mc 7,5.

2,10 Ë<" *¥ gÆ*­Jg ÓJ4 ¦>@LF\"< §Pg4 Ò LÊÎH J@Ø •<hDfB@L •n4X<"4 :"DJ\"H ¦BÂ
J­H (­H 8X(g4 Jè B"D"8LJ4iès
2,10 Ora, affinché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla
terra,

Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
*X: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti, dunque, quindi; cf. Mc 1,8. Sebbene
la particella *X «fere semper dicit aliqualem oppositionem» (Zerwick Max, Graec., § 467),
nel vangelo di Marco è talvolta usata in senso esplicativo (cf. Mc 2,10; 4,15.29; 6,19; 7,7.20;
8,9; 10,31.32; 12,26; 13,7.9.14.17.18.23.28.37; 14,9.44; 15,25; 16,9.17).
gÆ*­Jg: verbo, 2a pers. plur. congiunt. perf. da @É*" (una radice con valore di presente connessa
a gÉ*@<, aor. attivo di ÒDVT), vedere, percepire, discernere, conoscere, sapere; cf. Mc 1,24.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.
¦>@LF\"<: sost., acc. sing. f. da ¦>@LF\", –"H (da §>g4:4), potere, autorità, abilità, forza; cf.
Mc 1,22; compl. oggetto.
§Pg4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
LÊ`H: sost., nom. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; soggetto.
168 Mc 2,10

J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•<hDfB@L: sost., gen. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di specificazione. Per la prima volta compare la misteriosa espressione «il Figlio dell’uomo»:
essa ritorna nel NT 82 volte: Mt 8,20; 9,6; 10,23; 11,19; 12,8.32.40; 13,37.41; 16,13.27.28;
17,9.12.22; 19,28; 20,18.28; 24,27.30[x2].37.39.44; 25,31; 26,2.24[x2].45.64; Mc 2,10.28;
8,31.38; 9,9.12.31; 10,33.45; 13,26; 14,21[x2].41.62; Lc 5,24; 6,5.22; 7,34; 9,22.26.44.58;
11,30; 12,8.10.40; 17,22.24.26.30; 18,8.31; 19,10.21.27.36; 22,22.48.69; 24,7; Gv 1,51;
3,13.14; [5,27 nella forma priva di articoli LÊÎH •<hDfB@L]; 6,27.53.62; 8,28; 9,35;
12,23.34[x2]; 13,31; At 7,56.

Nella stragrande maggioranza delle ricorrenze l’espressione è sempre sulla bocca di


Gesù, come autodefinizione: le uniche volte in cui questa locuzione non è sulle labbra di
Gesù sono: Lc 24,7 (detta dagli angeli alle donne recatesi al sepolcro, ma si tratta di una
citazione); Gv 12,34[x2] (detta dalla folla, come domanda a Gesù); At 7,56 (detta da
Stefano, durante la lapidazione); Ap 1,13; 14,14 (come forma redazionale LÊÎH •<hDfB@L).
Appare evidente che pur usato in terza persona con tale titolo Gesù intendesse indicare non
un’altra persona, ma sé stesso. Nonostante la difficoltà della formulazione letterale,
apparentemente priva di senso e quasi assurda nella traduzione, è preferibile lasciare
l’espressione come si trova: non può essere accolta, infatti, la spiegazione di coloro che
intendono il sintagma «Figlio dell’uomo» come la traduzione di una circonlocuzione
aramaica (–1I! B 9"H, b5 ar ’e7 noš) per indicare il soggetto che parla (= «questo uomo», «io»).
Sono da respingere ugualmente altre spiegazioni che danno alla frase il significato generico
corrispondente a «ogni essere umano», «l’uomo per eccellenza», «l’umanità» o quello
corrispondente a un pronome indefinito (= «un uomo», «qualcuno»). Al riguardo non sono
stati addotti paralleli testuali aramaici per l’uso circonlocutorio. Del resto, il senso generico
e indefinito di queste traduzioni se applicato alle ricorrenze evangeliche produce spesso
risultati implausibili, al limite del ridicolo (cf., ad esempio, Mc 9,9; 13,26). Si deve
aggiungere che nella traduzione dei LXX non esiste alcuna attestazione del preteso uso
indefinito o generico con la nostra espressione, formata da due sostantivi singolari muniti di
articolo (Ò LÊÎH J@Ø •<hDfB@L): nei LXX si trova sempre la forma plurale (@Ê LÊ@ Jä<
•<hDfBT<) o singolare inarticolata (LÊÎH •<hDfB@L).
È legittimo, tuttavia, chiedersi in che senso Gesù applicava a sé questa enigmatica
espressione che neppure i suoi ascoltatori riuscivano a comprendere, tanto da domandargli
esplicitamente: «In che modo tu dici che il Figlio dell’uomo deve essere innalzato? Chi è
questo “Figlio dell’uomo”?» (Gv 12,34). Il problema, pertanto, non è quello di sapere se la
frase sia da attribuire a Gesù (l’espressione è certamente storica), ma come debba essere
interpretata. Oggi appare abbastanza certo che il titolo debba essere compreso a partire da
Daniele (cf. Dn 7,13), dove si parla di un personaggio «simile a figlio d’uomo» che viene
sulle nubi del cielo e a cui viene conferito da Dio «potere, gloria e regno» (cf. Dn 7,14).
Questo passo testimonierebbe in epoca intertestamentaria l’attesa di una figura di origine
divina accanto a Dio, a cui si volgono le speranze messianiche di una parte del giudaismo,
la cui attesa di un salvatore non era caratterizzata da un messianismo terreno, bensì da una
Mc 2,10 169

figura dai tratti celesti, trascendentali o almeno superumani. Analoghe idee ritroviamo nel
libro apocrifo di Enoch etiopico (= 1Henoch), scritto poco prima del NT, in cui il Figlio
dell’uomo è inteso in senso individuale: è colui che viene scelto da Dio prima della creazione
del mondo (cf. 1Hen., 48,3) e rivelato soltanto ad alcuni eletti. Ma Dio lo farà uscire
dall’oscurità alla fine dei tempi, quando, seduto alla destra di Dio, giudicherà gli angeli e gli
uomini, annienterà le forze del male (cf. 1Hen., 46,3–6) e salverà i suoi (cf. 1Hen., 51,3.5;
52,9; 69,29). Questo messianismo individuale ritroviamo anche in 4Esdra, un’opera giudaica
risalente al I sec. d.C., dove il Messia, indicato con i titoli di «messia» (4Esd., 12,32), «il mio
[sott. di Dio] servo» (4Esd., 13,32.37.52), «il mio [sott. di Dio] servo e messia» (4Esd.,
7,28.29), «uomo» (4Esd., 13,3), «qualcosa di simile a un uomo» (4Esd., 5,12.25.32), è
descritto nel modo seguente: «Egli è colui che l’Altissimo riserva da lungo tempo, per mezzo
del quale egli darà la liberazione a ciò che ha creato» (4Esd., 13,26). Nell’uso neotestamenta-
rio dell’espressione, tuttavia, ai tratti gloriosi ed escatologici si affiancano anche quelli legati
all’umanità sofferente di Gesù, alla sua passione e morte (cf. Mc 8,31; 9,9.12.31; 10,33.45;
14,21.41), in modo tale che il titolo diventa quasi l’emblema dello stesso mistero di Cristo:
vela e rivela l’identità messianica di Gesù, sofferente da una parte, gloriosa dall’altra. Si deve
osservare, infine, che nello sviluppo post–pasquale della cristologia neotestamentaria
all’arcaico titolo «Figlio dell’uomo» sono state preferite altre formulazioni, quali «Signore»
(5bD4@H), «Cristo» (OD4FJ`H), «Figlio di Dio» (KÊÎH J@Ø 1g@Ø), considerate più efficaci
per esprimere compiutamente la confessione di fede comunitaria. Il titolo «Figlio dell’uomo»
è rimasto cristallizzato al Gesù della storia, come una specie di marchio personale,
inutilizzabile per la confessione di fede, ma ugualmente sacro e immodificabile.
•n4X<"4: verbo, inf. pres. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare, rimettere,
perdonare; cf. Mc 1,18.
:"DJ\"H: sost., acc. plur. f. da :"DJ\", –"H, sbaglio, errore, colpa, peccato; cf. Mc 1,4;
compl. oggetto.
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., in, su, a, davanti a, verso, sopra,
presso; cf. Mc 1,22.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
(­H: sost., gen. sing. f. da (­, (­H, terra; compl. di stato in luogo. Il vocabolo ricorre 250 volte
nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 43 volte in Matteo (corrispondente allo
0,234% del totale delle parole); 19 volte in Marco (cf. Mc 2,10; 4,1.5[x2].8.20.26.28.31[x2];
6,47.53; 8,6; 9,3.20; 13,27.31; 14,35; 15,33 = 0,168%); 25 volte in Luca (0,128%); 13 volte
in Giovanni (0,083%). Analogamente a quanto avviene nel greco classico, nell’uso
neotestamentario il termine (­ non si riferisce soltanto alla terra intesa come «terreno»
coltivabile, con significato agricolo (cf. Mc 4,5), potendo significare molto spesso il territorio
geografico e politico (= «paese», «regione»: Mt 2,6), il «mondo» intero come luogo abitato
nella sua estensione universalistica (cf. Mc 2,10; Mt 6,10; Lc 12,49) oppure in senso traslato
la «condizione terrestre», contrapposta a quella celeste spirituale (cf. Gv 3,31).
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
170 Mc 2,11

B"D"8LJ4iè: sost., dat. sing. m. da B"D"8LJ4i`H, –@Ø, paralitico, storpio; cf. Mc 2,3;
compl. di termine.

2,11 E@ 8X(Ts §(g4Dg ˜D@< JÎ< iDV$"JJ`< F@L i" àB"(g gÆH JÎ< @Éi`< F@L.
2,11 “Ti ordino — disse al paralitico — alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua”».

E@\: pron. personale di 2a pers. dat. sing. m. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg),
tu, te; cf. Mc 1,11; compl. di termine. All’inizio di proposizione ha valore enfatico.
8X(T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. La forma verbale 8X(T ricorre in Mc 20 volte (cf. Mc 2,11; 3,28; 5,41; 8,12;
9,1.13.41; 10,15.29; 11,23.24.33; 12,43; 13,30.37[x2]; 14,9.18.25.30): essa è usata soltanto
da Gesù, ossia è esclusivamente Gesù che parla del proprio parlare e ne sottolinea la forza,
l’insistenza e la validità.
§(g4Dg: verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. da ¦(g\DT, svegliare, alzare, sollevare, risorgere [i
morti] (trans.); svegliarsi, alzarsi, sollevarsi, risorgere [dai morti] (intr.); cf. Mc 1,31. In
Marco la forma asindetica è piuttosto frequente con gli imperativi dei verbi ¦(g\DT (cf. Mc
2,9.11; 5,41; 10,49; 14,42), ßBV(T (cf. Mc 1,44; 5,34; 6,38; 7,29; 10,21.52; 16,7), ÒDVT
(cf. Mc 1,44; 6,38; 8,15), F4TBVT (cf. Mc 4,39), n4:`T (cf. Mc 4,39), h"DFXT (cf. Mc
6,50; 10,49), $8XBT (cf. Mc 13,5.23.33).
˜D@<: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da "ÇDT, alzare, sollevare, sostenere, sorreggere,
portare, prendere; cf. Mc 2,3.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
iDV$"JJ`<: sost., acc. sing. m. da iDV$"JJ@H, –@L, lettiga, portantina, pagliericcio, branda;
cf. Mc 2,4; compl. oggetto.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
àB"(g: verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. da ßBV(T (da ßB` e –(T), andare giù, ritirarsi,
andare via, partire; cf. Mc 1,44. I tre imperativi usati da Gesù («alzati… prendi… va’…»)
hanno valenze diverse: quelli al presente («alzati… va’…») collocano il comando diretto
nella continuità temporale, mentre quello all’aoristo («prendi…») ha connotato puntuale di
minore intensità.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
@Éi`<: sost., acc. sing. m. da @Éi@H, –@L, casa, abitazione; cf. Mc 2,1; compl. di moto a luogo.
Mc 2,12 171

F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).

2,12 i" ²(XDh0 i" gÛh×H –D"H JÎ< iDV$"JJ@< ¦>­8hg< §:BD@Fhg< BV<JT<s
òFJg ¦>\FJ"Fh"4 BV<J"H i"Â *@>V.g4< JÎ< hgÎ< 8X(@<J"H ÓJ4 ?àJTH
@Û*XB@Jg gÇ*@:g<.
2,12 Quello si alzò, prese il lettuccio e subito se ne andò in presenza di tutti, al punto che
tutti rimasero meravigliati e davano gloria a Dio dicendo: «Non abbiamo mai visto
nulla di simile!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


²(XDh0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da ¦(g\DT, svegliare, alzare, sollevare, risorgere
[i morti] (trans.); svegliarsi, alzarsi, sollevarsi, risorgere [dai morti] (intr.); cf. Mc 1,31.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
–D"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da "ÇDT, alzare, sollevare, sostenere, sorreggere, portare,
prendere; cf. Mc 2,3. Participio predicativo del soggetto sottinteso B"D"8LJ4i`H.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
iDV$"JJ@<: sost., acc. sing. m. da iDV$"JJ@H, –@L, lettiga, portantina, pagliericcio, branda;
cf. Mc 2,4; compl. oggetto.
¦>­8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori, uscire;
cf. Mc 1,25.
§:BD@Fhg<: prep. impropria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., davanti a, alla
presenza di, in faccia a, alla vista di. Questa preposizione ricorre 48 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 18 volte in Matteo (corrispondente allo 0,098% del
totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc 2,12; 9,2 = 0,018%); 10 volte in Luca
(0,051%); 5 volte in Giovanni (0,032%). Conformemente al suo significato etimologico (¦<–,
«in», BD@–, «davanti a», F eufonica e suffisso avverbiale –hg<, indicante direzione), questa
preposizione comporta un aspetto locale (davanti a) e temporale (prima di). Nelle ricorrenze
marciane viene impiegata in senso esclusivamente spaziale.
BV<JT<: pron. indefinito, gen. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; compl. di specificazione.
òFJg: cong. subordinativa di valore consecutivo, indecl., così che, cosicché, tanto che, al punto
che; cf. Mc 1,27.
¦>\FJ"Fh"4: verbo, inf. pres. medio da ¦>\FJ0:4 (da ¦i e ËFJ0:4), stupire, meravigliare,
sbalordire (trans.); essere meravigliato, essere fuori della propria mente, essere fuori di sé
(intr.). Questo verbo ricorre 17 volte nel NT: Mt 12,23; Mc 2,12; 3,21; 5,42; 6,51; Lc 2,47;
8,56; 24,22; At 2,7.12; 8,9.11.13; 9,21; 10,45; 12,16; 2Cor 5,13. Nel significato transitivo
causativo il verbo ¦>\FJ0:4 corrisponde a «sconvolgere», «alterare», «confondere» (cf.
172 Mc 2,12

Aristotele, Eth. Nic., 1119a 23; Plutarco, Cic., 10,5,8; Euripide, Bacc., 850). Usato
principalmente come intransitivo, nel senso di «stupirsi», «essere fuori di senno», «essere
sconvolto», ¦>\FJ0:4 esprime lo stato psichico di chi è o si sente fuori di sé per lo
sbigottimento, il timore o per altre esperienze fuori dal comune, specie quelle di carattere
prodigioso (cf. Aristotele, Hist. anim., 577a 13).
BV<J"H: pron. indefinito, acc. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; soggetto della proposizione oggettiva costruita con il verbo infinito ¦>\FJ"Fh"4 e
*@>V.g4<.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
*@>V.g4<: verbo, inf. pres. da *@>V.T, lodare, celebrare, magnificare, glorificare. Questo
verbo ricorre 61 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 4 volte in Matteo
(cf. Mt 5,16; 6,2; 9,8; 15,31, corrispondente allo 0,022% del totale delle parole); 1 volta in
Marco (cf. Mc 2,12, hapax marciano); 9 volte in Luca (cf. Lc 2,20; 4,15; 5,25.26; 7,16;
13,13; 17,15; 18,43; 23,47 = 0,046%); 23 volte in Giovanni (cf. Gv 7,39; 8,54[x2]; 11,4;
12,16.23.28[x3]; 13,31[x2].32[x3]; 14,13; 15,8; 16,14; 17,1[x2].4.5.10; 21,19 = 0,147%); At
3,13; 4,21; 11,18; 13,48; 21,20; Rm 1,21; 8,30; 11,13; 15,6.9; 1Cor 6,20; 12,26; 2Cor
3,10[x2]; 9,13; Gal 1,24; 2Ts 3,1; Eb 5,5; 1Pt 1,8; 2,12; 4,11.16; Ap 15,4; 18,7. Diversamen-
te da quanto avviene nel greco classico, dove *@>V.T corrisponde a «pensare», «ritenere»,
«supporre», «opinare» (cf. Euripide, Suppl., 1043; Eschilo, Ag., 673; Platone, Phil., 48e), in
epoca intertestamentaria il verbo assume una nuova accezione semantica, tanto da venir usato
nel greco biblico nel senso di «glorificare», «magnificare», «esaltare» (cf. Es 15,1; 1Sam
2,29). Nel NT il verbo, analogamente a quanto avviene per il vocabolo *`>" (cf. Mc 8,38),
viene utilizzato nella maggior parte dei casi per indicare l’onore reso a Dio come atto di
esaltazione, adorazione e ringraziamento, in conseguenza di qualche azione salvifica o
prodigio.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
hg`<: sost., acc. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. oggetto.
8X(@<J"H: verbo, acc. plur. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo del soggetto BV<J"H.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
?àJTH: avv. di modo, indecl., così, in tal modo, in questa maniera; cf. Mc 2,7; compl. oggetto.
L’avverbio acquista qui un valore sostantivale, corrispondente a «qualcosa di simile», «cose
di questo genere», «simili azioni».
@Û*XB@Jg: (da @Û*X e B@JX), avv. di tempo, indecl., mai, giammai, non mai. Il vocabolo ricorre
16 volte nel NT: Mt 7,23; 9,33; 21,16.42; 26,33; Mc 2,12.25; Lc 15,29[x2]; Gv 7,46; At
10,14; 11,8; 14,8; 1Cor 13,8; Eb 10,1.11.
gÇ*@:g<: verbo, 1a pers. plur. ind. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc
1,10.
Mc 2,13 173

2,13 5" ¦>­8hg< BV84< B"D J¬< hV8"FF"<· i" BH Ò ÐP8@H ³DPgJ@ BDÎH
"ÛJ`<s i"Â ¦*\*"Fig< "ÛJ@bH.
2,13 In altra occasione uscì lungo il mare. Tutta la folla si recava da lui ed egli insegnava
loro.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦>­8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori, uscire;
cf. Mc 1,25.
BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
L’avverbio non ha qui il consueto valore temporale (= «di nuovo»), perché non esiste un
preciso riferimento a una precedente situazione (in Mc 1,16 Gesù non «esce» sulla riva del
mare, ma la attraversa). In questo caso, quando non c’è identità di azione e di circostanza,
è preferibile esplicitare l’avverbio mediante la locuzione temporale «in altra occasione»,
«un’altra volta», ecc.
B"DV: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., presso, lungo, nei dintorni
di, vicino a; cf. Mc 1,16.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
hV8"FF"<: sost., acc. sing. f. da hV8"FF", –0H, mare; cf. Mc 1,16; compl. di moto a luogo.
L’espressione B"D J¬< hV8"FF"< è una formula utilizzata da Marco per introdurre
avvenimenti di una certa importanza: Mc 1,16 (chiamata dei primi discepoli); Mc 2,13
(chiamata di Levi); Mc 4,1 (discorso in parabole); Mc 5,21 (richiesta da parte di Giairo).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BH: agg. indefinito, nom. sing. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; attributo di ÐP8@H, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
ÐP8@H: sost., nom. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; soggetto.
³DPgJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Imperfetto descrittivo.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5. L’espressione §DP@:"4 BD`H, detta in riferimento
a Gesù, non è rara in Marco: è impiegata per descrivere l’andare verso Gesù da parte di
qualche miracolato (cf. Mc 1,40; 2,3; 10,50), della folla (cf. Mc 1,45; 2,13; 3,8; 5,15) o di
gruppi specifici (cf. Mc 11,27; 12,18). Lo stesso Gesù comanda ai discepoli di lasciar «venire
a sé» i bambini (cf. Mc 10,14).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di moto a luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦*\*"Fig<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da *4*VFiT, insegnare, istruire, ammaestrare;
cf. Mc 1,21. Imperfetto durativo o iterativo per indicare il protrarsi di questa predicazione.
Questo insegnamento impartito «lungo il mare» o comunque all’aria aperta (cf. Mc 4,1; 8,27;
174 Mc 2,14

9,32) è una novità rispetto ai rabbini i quali in genere preferivano lo spazio chiuso delle
sinagoghe.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto. I destinatari di questo insegnamento
sono indicati con un generico pronome plurale: costruzione ad sensum che presuppone la
presenza di una determinata folla.

2,14 i"Â B"DV(T< gÉ*g< 7gLÂ< JÎ< J@Ø {!8n"\@L i"hZ:g<@< ¦BÂ JÎ Jg8f<4@<s
i" 8X(g4 "ÛJès z!i@8@bhg4 :@4. i" •<"FJH ²i@8@bh0Fg< "ÛJè.
2,14 E, passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte e gli disse:
«Seguimi!». Egli si alzò e lo seguì.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


B"DV(T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da B"DV(T (da B"DV e –(T), passare oltre,
andare oltre, camminare lungo, andare via; cf. Mc 1,16. Participio predicativo di valore
espletivo del soggetto sottinteso z30F@ØH. Molto probabilmente questo participio, utilizzato
per introdurre un verbo di movimento, senza nulla aggiungere al senso generale della
proposizione, è un ebraismo, analogamente a quanto avviene in Mc 8,13.
gÉ*g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc 1,10.
7gL\<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da 7gL\, –\H, Levi; compl. oggetto.
Traslitterazione grecizzata del nome proprio maschile di origine ebraica *&E-F, Le) wî, «Unito».
Il vocabolo, riferito al personaggio qui menzionato, ricorre 5 volte nel NT: Mc 2,14 (hapax
marciano); Lc 3,24.29; 5,27.29. Nelle altre 3 ricorrenze il termine è impiegato per designare
il sacerdote Levi vissuto in epoca anticotestamentaria (cf. Eb 7,5.9; Ap 7,7).
J`<: art. determ., con valore pronominale, acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2; compl.
oggetto. «Quello di Alfeo», ossia «il figlio di Alfeo». Uso pronominale dell’articolo,
corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso, senza
enfasi speciale. La designazione di una persona secondo il padre è classica, tuttavia presso
i semiti si preferisce esplicitarla mediante il sostantivo LÊ`H: z3TV<<0< JÎ< -"P"D\@L
LÊ`<, «Giovanni, figlio di Zaccaria» (Lc 3,2). Se LÊ`H viene omesso il legame di parentela
è formulato senza alcun articolo: z3ViT$@< {!8n"\@L, «Giacomo di Alfeo» (Lc 6,15)
oppure compare l’articolo che diversamente dall’uso classico è seguito dall’altro articolo: è
il nostro caso. Stesso fenomeno in Mc 1,19; 3,17.18.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
{!8n"\@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da {!8n"Ã@H, –@L, Alfeo; compl. di
specificazione. Il vocabolo ricorre 5 volte nel NT: Mt 10,3; Mc 2,14; 3,18; Lc 6,15; At 1,13.
Traslitterazione grecizzata del nome proprio maschile di origine ebraica *E-A( H , HE alpî,
«Yah[weh] sostituisca», «Yah[weh] compensi» (assente nell’AT). Soltanto in questo passo
il nome indica il padre di Levi, esattore delle tasse: nelle altre ricorrenze designa il padre
dell’apostolo Giacomo. In Marco non è possibile identificare «Levi, figlio di Alfeo» con
Mc 2,14 175

l’apostolo Giacomo, anch’egli «figlio di Alfeo» (cf. Mc 3,18): si può soltanto ipotizzare,
senza dimostrare, una loro parentela.
i"hZ:g<@<: verbo, acc. sing. m. part. pres. medio da iVh0:"4 (da i"JV e ½:"4), sedere,
sedersi; cf. Mc 2,6. Participio predicativo del complemento oggetto 7gL\<.
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., in, su, a, sopra; cf. Mc 1,22.
La preposizione ¦B\, unita all’accusativo, esprime nel greco classico l’idea di movimento
(moto a luogo), in quello ellenistico può essere impiegata anche per lo stato in luogo, come
avviene nel nostro caso.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
Jg8f<4@<: sost., acc. sing. n. da Jg8f<4@<, –@L, banco delle imposte, dogana, ufficio delle
tasse; compl. di stato in luogo. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mt 9,9; Mc 2,14 (hapax
marciano); Lc 5,27. Il raro sostantivo Jg8f<4@< designa nella grecità il «banco» dell’esattore
(cf. Posidippo, Frag., 13,1) mentre nei territori di confine indica la «dogana» (cf. Strabone,
Geogr., 16,1,27; 17,1,16). Per quanto riguarda l’attività dei «pubblicani», ossia gli esattori
delle imposte, cf. sotto, v. 15.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
z!i@8@bhg4: verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. da •i@8@LhXT, seguire, accompagnare,
mettersi dietro; cf. Mc 1,18. L’imperativo presente denota un comando o una esortazione
permanente che si protrae anche nel tempo futuro: «d’ora in poi seguimi…». Analogo
esempio in Mc 1,15. Rispetto alla chiamata dei primi discepoli (cf. Mc 1,16–20) quella di
Levi presenta alcune differenze che la rendono non una vera e propria chiamata alla
missione (istituzione apostolica), ma soltanto alla sequela. Tra queste differenze ricordiamo:
a) i primi quattro discepoli sono chiamati a coppie (cf. Mc 1,16.19), mentre Levi è chiamato
da solo (cf. Mc 2,14); b) ai primi discepoli è prospettata una determinata missione (cf. Mc
1,17c), mentre a Levi non viene fatta alcuna promessa (cf. Mc 2,14); c) i nomi dei primi
chiamati sono inseriti da Marco nella lista dei Dodici (cf. Mc 3,15–19), mentre Levi non vi
compare.
:@4: pron. personale di 1a pers. dat. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; compl. di termine. La forma enclitica :@\ ricorre 225 volte nel NT rispetto alle 2583
ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 29 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,158% del totale delle parole); 9 volte in Marco (cf. Mc 2,14;
5,9; 6,25; 8,2.34; 10,21; 11,29.30; 12,15 = 0,080%); 28 volte in Luca (0,144%); 39 volte in
Giovanni (0,249%).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•<"FJVH: verbo, nom. sing. m. part. aor. da •<\FJ0:4 (da •<V e ËFJ0:4), sorgere, alzarsi,
sollevarsi, risorgere, risuscitare; cf. Mc 1,35. Participio predicativo di valore espletivo del
soggetto sottinteso 7gL\. La costruzione formata dal participio •<"FJVH + un verbo di
176 Mc 2,15

movimento (cf. Mc 1,35; 2,14; 7,24; 10,1) è comunemente utilizzata nella corrispettiva
forma ebraica e aramaica per segnalare uno stacco narrativo o un cambio di scena: sebbene
si conosca un uso anche nel greco classico, la formula che ritroviamo in Marco è dovuta a
un semitismo.
²i@8@bh0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •i@8@LhXT, seguire, accompagnare, mettersi
dietro; cf. Mc 1,18.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.

2,15 5" (\<gJ"4 i"J"igÃFh"4 "ÛJÎ< ¦< J± @Æi\‘ "ÛJ@Øs i" B@88@ Jg8ä<"4 i"Â
:"DJT8@ FL<"<Xig4<J@ Jè z30F@Ø i" J@ÃH :"h0J"ÃH "ÛJ@Ø· µF"< (D
B@88@Â i"Â ²i@8@bh@L< "ÛJè.
2,15 Mentre stava a tavola in casa di lui, anche molti esattori delle tasse e peccatori si
trovavano a tavola con Gesù e i suoi discepoli: erano molti, infatti, quelli che lo
seguivano.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


(\<gJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4. Presente storico. L’iniziale i"Â (\<gJ"4 (=
i"Â ¦(X<gJ@), di stampo semitico, è il modo in cui i LXX traducono l’ebraico *%E*AC&, wa7 yehî
(«e avvenne che…»), posto all’inizio di una proposizione come riferimento temporale (cf.
Gn 4,3; 6,1; 7,10; 8,6; ecc.). Questa costruzione è presente in Mc 1,9; 2,15.23; 4,4.10.
Quando il significato temporale è già implicito nel successivo genitivo assoluto o in altre
costruzioni temporali la formula può essere omessa.
i"J"igÃFh"4: verbo, inf. pres. pass. da i"JVig4:"4 (da i"JV e igÃ:"4), essersi sdraiato,
giacere prostrato; cf. Mc 1,30. Il verbo, usato anche per indicare la posizione sdraiata dei
malati (cf. Mc 1,30), è qui impiegato nel significato di «giacere [a mensa]», poiché esprime
l’adagiarsi su divani o tappeti dalla parte del fianco sinistro, per consumare i pasti in
occasione di banchetti solenni. Tale usanza, indicata in Marco con i verbi i"JVig4:"4 (cf.
Mc 2,15), FL<"<Vig4:"4 (cf. Mc 2,15; 6,22), •<Vig4:"4 (cf. Mc 6,26; 14,18; 16,14),
•<"i8Ã<"4 (cf. Mc 6,39), •<"B\BJT (cf. Mc 6,40; 8,6), venne introdotta in Palestina a
seguito dell’influsso ellenistico, anche se essa era originaria non della Grecia, ma dell’Orien-
te. Si deve tener presente, tuttavia, che la consuetudine di mangiare distesi sul fianco, alla
moda ellenistica, veniva praticata soltanto in occasione di pranzi solenni; nell’uso ordinario
e quotidiano i Giudei ai tempi di Gesù assumevano i pasti stando seduti su sedie, sgabelli o
direttamente per terra, accovacciati su stuoie, cuscini o tappeti.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; soggetto della proposizione oggettiva costruita con
il verbo infinito i"J"igÃFh"4.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
Mc 2,15 177

J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
@Æi\‘: sost., dat. sing. f. da @Æi\", –"H, casa, abitazione, dimora; cf. Mc 1,29; compl. di stato
in luogo.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»). Analogamente a quanto avviene in Mc 6,56; 7,33[x3] il pronome
dimostrativo/personale "ÛJ`H ha qui un valore equivoco: sintatticamente può riferirsi sia alla
casa di Levi (= «di lui») oppure di Gesù (= «propria»): dal riferimento precedente (v. 14) si
deduce che si sta trattando della casa di Levi, come espressamente afferma Lc 5,29 nel passo
parallelo.
i"\: cong. coordinativa di valore aggiuntivo, indecl., anche, perfino, inoltre, altresì; cf. Mc 1,4.
Il significato aggiuntivo di i"\ è presente in Mc 1,27b.38b; 2,15b.26c.28; 3,19b; 4,24b;
6,34b; 7,18b; 8,3b.7ac.38c; 9,22a; 11,25b; 12,22b; 13,29; 14,9.29.31; 15,31.40ab.43a.
B@88@\: agg. indefinito, nom. plur. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; attributo di Jg8ä<"4 e :"DJT8@\.
Jg8ä<"4: sost., nom. plur. m. da Jg8f<0H, –@L (da JX8@H e é<X@:"4), gabelliere, esattore,
raccoglitore delle tasse; soggetto. Il vocabolo ricorre 21 volte nel NT: Mt 5,46; 9,10.11; 10,3;
11,19; 18,17; 21,31.32; Mc 2,15.16[x2]; Lc 3,12; 5,27.29.30; 7,29.34; 15,1; 18,10.11.13. Dal
punto di vista linguistico il sostantivo Jg8f<0H è composto da JX8@H, nel significato di
«dazio», «imposta» e dal verbo é<X@:"4, «comprare»: come tale esso designa una persona
che acquista dallo Stato, mediante appalto, l’esercizio di riscuotere le imposte dei debitori (cf.
Aristofane, Eq., 248; Eschine, Or., 1,119; Polibio, Hist., 12,13,9). La parola latina
publicanus, utilizzata dalla Vetus Latina e dalla Vulgata per tradurre Jg8f<0H e, peggio,
quella traslitterata italiana «pubblicano», non esprimono compiutamente il senso del termine
greco. Nel sistema fiscale amministrativo imposto dal governo di Roma il publicanus era
l’appaltatore delle imposte pubbliche (= le tasse) che egli prendeva in appalto (ossia a
contratto) dal governo romano. I Jg8ä<"4 nominati nei vangeli, invece, erano agenti di
grado inferiore, corrispondenti ai portitores del sistema fiscale latino, i quali raccoglievano
in sub–appalto le tasse indirette, quali il pedaggio, il dazio, le tariffe doganali, le imposte
locali, ecc. Levi, in Mc 2,14, apparteneva alla categoria di questi esattori locali. Zaccheo, in
Lc 19,2, è qualificato come un •DP4Jg8f<0H, «capo dei Jg8ä<"4». Poiché la Galilea (a
differenza della Giudea) non ricadeva direttamente sotto l’amministrazione romana, le
imposte riscosse da Levi andavano a Erode Antipa. Questi esattori delle tasse di rango
inferiore operanti in Palestina erano detestati dai propri connazionali ebrei, sia a motivo della
loro occupazione vessatoria sia per la durezza, l’avidità e la falsità con cui esercitavano il
loro mestiere, poiché cercavano di trarre il possibile profitto dalla loro posizione passando
senza scrupolo sopra tutte le prescrizioni della legge. Famoso il giudizio di Senone sui
pubblicani: BV<JgH Jg8ä<"4, BV<JgH gÆFÂ< žDB"(gH, «gli esattori, tutti ladri» (Id., Frag.,
1,1). Secondo gli scritti rabbinici i Jg8ä<"4 non potevano diventare né giudici né testimoni,
tanto erano disprezzati moralmente, poiché si riteneva «che essi riscuotevano più del lecito»
(b.Sanh., 25b). Erano scomunicati a causa della loro professione e per essere riammessi nella
178 Mc 2,15

sinagoga dovevano cambiare mestiere. In pratica erano privati di quei diritti religiosi, civili
e politici di cui tutti gli Israeliti liberi potevano godere, compresi quelli, come il bastardo, che
avevano una origine gravemente irregolare (cf. Strack–Bill., I,337–338; I,866; II,248.250).
Nell’elenco dei mestieri disprezzati riportato nel Talmud babilonese (cf. b.Sanh., 25b), i
collettori di imposte e gli esattori sono, rispettivamente, al penultimo e all’ultimo posto, dopo
i giocatori di dadi, gli usurai, gli organizzatori di gare di piccioni, i mercanti di prodotti
agricoli durante l’anno sabatico, i pastori. Si discuteva perfino se e fino a che punto diventava
impura una casa in cui fosse entrato un esattore di imposte: «Se gli esattori delle tasse entrano
in una casa questa casa è impura» (m.Toh., 7,4; cf. m.Hagh., 3,6). Analoghi giudizi negativi
ritroviamo nella letteratura latina, dove gli esattori sono accomunati agli accattoni, ai ladri e
ai rapinatori (cf. Cicerone, De off., 1,20–21; Dione Crisostomo, Or., 14,14). Il comportamen-
to di Gesù che frequenta simili persone, entra nella loro abitazione, mangia con essi e
addirittura chiama alla sequela uno di loro (cf. Mt 9,9), sovverte in modo significativo questo
generalizzato giudizio di condanna.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
:"DJT8@\: agg. qualificativo, di valore sostantivato, nom. plur. m. da :"DJT8`H, –`<,
erroneo, che sbaglia, colpevole, peccatore; soggetto. Il vocabolo ricorre 47 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 5 volte in Matteo (corrispondente allo 0,027% del
totale delle parole); 6 volte in Marco (cf. Mc 2,15.16[x2].17; 8,38; 14,41 = 0,053%); 18 volte
in Luca (0,092%); 4 volte in Giovanni (0,026%). Il vocabolo, un aggettivo usato prevalente-
mente come sostantivo, appartiene al gruppo lessicale neotestamentario formato da
:"DJV<T (assente in Marco), :"DJ\" e :VDJ0:". Nel significato originale
:"DJT8`H è colui che fallisce un bersaglio (cf. Aristotele, Eth. Nic., 1109a 35; Plutarco,
Quom. adol., 25c), per diventare nell’ambito religioso del linguaggio biblico il «colpevole»,
il «malfattore», il «peccatore», ossia chi viene meno alla legge di Dio. Si deve notare, tuttavia,
che già nei LXX il vocabolo traduce quasi sempre il corrispettivo ebraico 3– I 9I, ra) ša) ‘,
«empio», un epiteto usato nel mondo giudaico per indicare chi è alieno dalla legge mosaica
(= il pagano) oppure chi, pur essendo Giudeo, non pratica la legge o vive in compromesso
con gli infedeli (= l’uomo «senza legge»). Rientra in questo ambito la formula Jg8ä<"4 i"Â
:"DJT8@\, nella quale il primo vocabolo indica i Giudei che esercitano un’attività
disonesta (gli esattori delle tasse per conto di Roma, cf. sopra), mentre il secondo vocabolo
indica i Giudei «fuorilegge», ossia coloro che trasgrediscono la legge divina (assassini,
briganti, ladri, adulteri, bestemmiatori, ecc.). Per capire l’esatta portata dell’intervento di Gesù
è fondamentale tenere presente che, come sopra si è accennato, la conversione degli esattori
fiscali e degli «empi» (assassini, ladri, ecc.), era considerata difficile, se non impossibile, a
motivo della loro condotta pertinace, in aperto contrasto con la legge di Dio.
FL<"<Xig4<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. medio da FL<"<Vig4:"4 (da Fb< e
•<Vig4:"4), sedere insieme a mensa, mangiare insieme. Questo verbo ricorre 7 volte nel
NT: Mt 9,10; 11,9; Mc 2,15; 6,22; Lc 7,49; 14,10.15. Il verbo è sconosciuto nel greco
classico, in quello ellenistico e nei LXX. Qualche commentatore ritiene che sia stato coniato
dallo stesso evangelista Marco per essere ripreso successivamente dagli altri sinottici.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
Mc 2,15 179

z30F@Ø: sost., nome proprio di persona, dat. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
compl. di compagnia.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
:"h0J"ÃH: sost., dat. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; compl. di
compagnia. Il vocabolo ricorre 261 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
72 volte in Matteo (corrispondente allo 0,392% del totale delle parole); 46 volte in Marco
(cf. sotto le singole ricorrenze = 0,407%); 37 volte in Luca (0,190%); 78 volte in Giovanni
(0,499%). Nel concetto base dell’uso classico :"h0JZH è l’«apprendista», ossia colui che
impara un mestiere o una attività sotto la guida di un maestro (cf. Erodoto, Hist., 4,77,1;
P.Oxy., IV,725,15), perciò non esiste :"h0JZH senza un *4*VFi"8@H. Nell’ambito più
circoscritto e tecnico, quale quello dell’insegnamento, :"h0JZH equivale a «discepolo»,
«allievo», «alunno» (cf. Aristofane, Nub., 502) e, perciò, si chiamano :"h0J"\ anche gli
«scolari» di un retore (cf. Plutarco, Cons. ad Apoll., 105,d,7; 120,e,7), i discepoli dei sofisti
(cf. Platone, Prot., 315a), gli stessi appartenenti a una “scuola” di pensiero (cf. Diogene
Laerzio, Vitae, 6,95).

Nel NT il termine è riferito nella quasi totalità delle ricorrenze ai discepoli di Gesù e
compare esclusivamente nei vangeli e negli Atti degli Apostoli: non ricorre mai in Paolo e
negli altri scritti. Nel vangelo di Marco il termine :"h0JZH è presente 46 volte: in 42 casi
è usato per designare i discepoli di Gesù, molto spesso mediante il pronome personale: 31
volte con "ÛJ@Ø (cf. Mc 2,15.16.23; 3,7.9; 5,31; 6,1.35.41.45; 7,2.17; 8,4.6.10.27[x2].
33.34; 9,28.31; 10,23.46; 11,1.14; 12,43; 13,1; 14,12.13.32; 16,7); 3 volte con F@Ø/F@\ (cf.
Mc 2,18; 7,5; 9,18); 1 volta con :@Ø (cf. Mc 14,14); 1 volta con l’aggettivo possessivo
Æ*\@4H (cf. Mc 4,34); negli altri 6 casi il termine :"h0JZH è usato in modo assoluto (cf. Mc
8,1; 9,14; 10,10.13.24; 14,16). Si tratta del più antico vocabolo per indicare i seguaci di Gesù:
la denominazione @Ê *f*gi", «I Dodici», è tecnica e successiva (vedi commento a Mc
3,14). Dalla chiamata dei primi quattro discepoli (cf. Mc 1,16–20) fino all’arresto (cf. Mc
14,43–52), Gesù è sempre accompagnato da qualcuno dei discepoli o dal gruppo intero,
tranne nei momenti di solitudine per la preghiera (cf. Mc 1,35; 6,46.47; 14,35–41). Nelle
altre 4 ricorrenze marciane il termine :"h0JZH è impiegato per designare i discepoli di
Giovanni e quelli dei farisei (cf. Mc 2,18[x3]; 6,29). Si deve osservare, infine, che in Marco
«i discepoli» e «i Dodici» non coincidono: parlando dei primi spesso Marco intende includere
anche i Dodici, ma non necessariamente.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
µF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf.
Mc 1,6. Predicato verbale.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16. La formula µF"< (VD
/ µ< (VD, analogamente a i"Â µF"< / i"Â µ< e a µF"< *X / µ< *X, è usata da Marco per
180 Mc 2,16

introdurre un inciso di valore causale o esplicativo (cf. Mc 1,16.33; 2,15; 5,42; 6,31.44.48;
7,26; 8,9; 10,22; 11,13; 14,40; 15,25; 16,14).
B@88@\: pron. indefinito, nom. plur. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore pronominale, indecl., [che, il quale]; cf. Mc 1,4. Il significato
pronominale che può assumere la congiunzione i"\ (qui corrispondente al pronome relativo
@Ë, «quelli che»), si ritrova in Mc 2,15e; 8,1; 9,4b.31b.
²i@8@bh@L<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da •i@8@LhXT, seguire, accompagnare,
mettersi dietro; cf. Mc 1,18. Imperfetto durativo.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.

2,16 i" @Ê (D"::"JgÃH Jä< M"D4F"\T< Æ*`<JgH ÓJ4 ¦Fh\g4 :gJ Jä< :"D-
JT8ä< i" Jg8T<ä< §8g(@< J@ÃH :"h0J"ÃH "ÛJ@Øs ~?J4 :gJ Jä< Jg8T<ä<
i" :"DJT8ä< ¦Fh\g4p
2,16 Gli scribi dei farisei, nel vedere che mangiava con i peccatori e gli esattori delle tasse,
dissero ai suoi discepoli: «Perché mangia insieme agli esattori delle tasse e ai
peccatori?».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
(D"::"JgÃH: sost., nom. plur. m. da (D"::"JgbH, –XTH (da (DV::"), scriba, esperto della
Legge, insegnante religioso; cf. Mc 1,22; soggetto. L’espressione «gli scribi dei farisei» non
è inusuale: indica che non tutti gli scribi erano farisei e, viceversa, non tutti i farisei erano
necessariamente degli scribi (cf. anche Lc 5,30: «I farisei e i loro scribi»; At 23,9: «Alcuni
scribi del partito dei farisei»). Storicamente l’informazione è registrata da altre fonti, le quali
attestano la differenza tra scribi e farisei e l’esistenza di scribi non farisei. Giuseppe Flavio
parla di scribi sadducei (cf. Id., Antiq., 18,16), mentre in 1QS, 3,13 è menzionata l’attività di
impartire una istruzione a scribi esseni. L’informazione marciana, dunque, è storicamente
provata.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
M"D4F"\T<: sost., nome proprio di gruppo religioso, gen. plur. m. da M"D4F"Ã@H, –@L, fariseo;
compl. di specificazione. Il vocabolo ricorre 98 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è
la seguente: 29 volte in Matteo (corrispondente allo 0,158% del totale delle parole); 12 volte
in Marco (cf. Mc 2,16.18[x2].24; 3,6; 7,1.3.5; 8,11.15; 10,2; 12,3 = 0,106%); 27 volte in
Luca (0,139%); 20 volte in Giovanni (0,128%). Dal punto di vista etimologico il vocabolo
è la traslitterazione grecizzata della parola di origine aramaica –{9I, pa) rûš, una forma fatta
derivare dalla radice ebraica o aramaica –95, p) rš, che significa sia «separare» sia «interpreta-
re». La spiegazione più credibile intende i .*– E {9A, perûšîm, «farisei», come «i separati»
rispetto alla massa dei Giudei appartenenti al cosiddetto 69G! I%
I .3H, ‘am ha) ’a) resE, «popolo
della terra», per indicare coloro che non conoscevano o non praticavano la legge mosaica con
Mc 2,16 181

l’esattezza prescritta dalle autorità rabbiniche ed erano ritenuti, per tale motivo, ignoranti,
rozzi e impuri (cf. m.Dem., 2,3; m.Ghit., 5,9; m.Hagh., 2,7; m.Toh., 7,2). L’epiteto, pertanto,
designerebbe quelle persone che si separavano dalla società giudaica e pagana per rispettare
in modo rigoroso la legge giudaica, soprattutto in riferimento alla purità, alle decime e
all’osservanza del riposo sabatico. Nell’altro possibile significato etimologico i farisei
sarebbe «gli interpreti» autentici della Torah, nel senso che propugnavano una interpretazione
propria e rigorosa della legge giudaica e ne erano considerati come i maestri fedeli, in
contrasto con l’interpretazione sacerdotale sadducea. Nessuna attestazione o argomentazione
decisiva ha finora risolto la questione, anche se la prima ipotesi, sul piano storico e
linguistico, è da preferire.

Non è facile avere una conoscenza precisa (e conseguentemente un giudizio equilibrato)


circa i farisei. Il problema è principalmente di ordine storiografico; le fonti che ne parlano
sono soltanto tre: NT (Paolo, Vangeli e Atti; dal 50 al 100 d.C. circa), Giuseppe Flavio (dal
70 al 100 d.C. circa), letteratura rabbinica (Mishnah, attorno al 200–220 d.C.). Tali fonti,
inoltre, differiscono tra loro in modo considerevole al punto che risulta molto difficile, per
non dire impossibile, delineare un quadro attendibile del mondo dei farisei. Marco situa i
farisei sempre in Galilea (cf. Mc 2,16.18.24; 3,2; 7,1.3.5; 8,11.15; 10,2), con l’unica
eccezione di quando vengono inviati insieme agli erodiani a Gerusalemme, per mettere in
difficoltà Gesù (cf. Mc 12,13). Nel secondo vangelo lo sfondo geografico e culturale dei
farisei è, dunque, il contesto rurale delle cittadine galilee e dei luoghi aperti, a differenza di
Giuseppe Flavio il quale descrive i farisei strettamente legati alla gerarchia di Gerusalemme.
Da quanto possiamo sapere le comunità farisaiche erano composte principalmente da persone
del popolo, prive della preparazione Scritturistica e teologica degli scribi di professione: tra
i due gruppi esisteva una netta distinzione. Occorre respingere, pertanto, la generalizzata idea
secondo la quale i farisei, in quanto tali, fossero tutti degli scribi. Soltanto i capi e i membri
influenti delle comunità farisaiche erano anche scribi. Quando Gesù discute con i farisei di
questioni dottrinali ha davanti a sé «gli scribi dei farisei» (come in Mc 2,16), ossia i capi dei
farisei. L’espressione riportata da Marco («gli scribi dei farisei») è, dunque, coerente con il
dato storico: indica quegli uomini all’interno del più ampio gruppo dei farisei che avevano
ufficialmente studiato la Torah, erano diventati maestri e potevano assumere il ruolo di guide
per gli altri membri del gruppo. Come accennato, abbiamo notizie dei farisei sia in Giuseppe
Flavio che nei Vangeli. Il primo ne parla con un giudizio sostanzialmente positivo, mettendo
in evidenza la loro austerità e amabilità, l’attaccamento alla tradizione, l’osservanza delle
leggi riguardanti il sabato, la purezza legale, le decime. Li definisce Fb<J"(:V J4
z3@L*"\T< *@i@Ø< gÛFg$XFJgD@< gÉ<"4 Jä< –88T< i" J@×H <`:@LH •iD4$XFJgD
@< •n0(gÃFh"4, «un gruppo di Giudei in grado di superare tutti gli altri nel rispetto della
religione e nell’esatta interpretazione delle leggi» (Giuseppe Flavio, Bellum, 1,110). Altrove
lo stesso storico ci offre le seguenti informazioni:

… @Ê :gJ •iD4$g\"H *@i@Ø<JgH ¦>0(gÃFh"4 J <`:4:" i" J¬< BDfJ0< •BV(@<JgH


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182 Mc 2,16

ªJgD@< Fä:" J¬< Jä< •("hä< :`<0<, JH *¥ Jä< n"b8T< •4*\å J4:TD\‘
i@8V.gFh"4.
«…i quali [farisei] hanno fama di interpretare esattamente le leggi; costituiscono la setta più
importante e attribuiscono ogni evento al destino e a Dio. Sono convinti che l’agire bene o
male dipenda soprattutto dagli uomini, ma che in ogni avvenimento ha parte anche il destino.
Ritengono, inoltre, che l’anima è immortale, ma soltanto quella dei buoni passa in un altro
corpo, mentre quella dei malvagi viene punita con un castigo eterno» (Id., Bellum,
2,162–163; cf. anche Antiq., 13,171–172; 13,288; 13,294; 13,297–298. 401–402; 17,41;
18,11–15; Vita, 10.12.21.191.197).

In altre parole, i farisei erano persone che cercavano di mettere in pratica l’ideale di una
vita vissuta in piena conformità con la legge scritta e orale, in tutta la complessità conferitale
dagli studiosi. Spesso, tuttavia, questa esasperata osservanza legale giungeva a eccessi
inaccettabili: l’insegnamento rabbinico aveva enormemente moltiplicato la casuistica fino ad
arrivare a un complesso di 613 precetti, dei quali 365 negativi e 248 positivi (cf. Strack–Bill.,
I,814ss.; 900; IV,4.7.9). Un numero tanto grande di precetti uccideva la vita spirituale e
trasferiva l’attenzione dalla sfera etica e religiosa a quella rituale. Questo eccessivo
formalismo, spesso condannato apertamente da Gesù, è quello che troviamo nei Vangeli.
Qualunque possa essere il moderno giudizio sui farisei, di aperta condanna o di riabilitazione,
è certo che nel NT esiste un contrasto insanabile tra Gesù e Paolo, da una parte, e i farisei
dall’altra.
Æ*`<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc
1,10. Participio predicativo del soggetto @Ê (D"::"JgÃH Jä< M"D4F"\T<. Marco usa
spesso il participio con un significato temporale (cf. Mc 2,5.16; 5,6.22; 6,48.49; 7,2; 8,33;
9,20.25; 10,14; 12,34; 14,67.69; 15,39).
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. La congiunzione ÓJ4
ha qui valore interrogativo, corrispondente all’ordinario J\ (neutro avverbiale), ma può anche
intendersi come una abbreviazione di J\ ÓJ4 o *4 J\ (= «perché?»). Stesso fenomeno è
presente in Mc 9,11.28 (cf. 1Cr 17,6).
¦Fh\g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da ¦Fh\T, mangiare, prendere cibo, consumare,
divorare; cf. Mc 1,6.
:gJV: prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con, insieme a, in
compagnia di; cf. Mc 1,13.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
:"DJT8ä<: agg. qualificativo, di valore sostantivato, gen. plur. m. da :"DJT8`H, –`<,
erroneo, che sbaglia, colpevole, peccatore; cf. Mc 2,15; compl. di compagnia.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Jg8T<ä<: sost., gen. plur. m. da Jg8f<0H, –@L (da JX8@H e é<X@:"4), gabelliere, esattore,
raccoglitore delle tasse; cf. Mc 2,15; compl. di compagnia.
§8g(@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo («dicevano», «continuavano
Mc 2,17 183

a dire»), ma puntuale, corrispondente a un aoristo («dissero»): nel greco classico, come in


quello ellenistico, i cosiddetti verba dicendi, rogandi, exhortandi, iubendi, tra i quali 8X(T,
¦BgDTJVT, ¦DTJVT, ecc., preferiscono la forma dell’azione incompiuta (ossia il tempo
imperfetto), poiché l’azione che esprimono attende sempre di essere completata da quella
indicata dal verbo successivo. Questo fenomeno è particolarmente ricorrente nella prosa
storica classica, dove le espressioni §8g(g< J"ØJ", §8g(g< J@4V*g, §8g(g< J@4"ØJ"
devono essere tradotte con «disse queste cose» e non «diceva queste cose». Per altri esempi
di questo imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24. 26.
30.41; 5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70;
15,12a.14; per quanto riguarda l’imperfetto puntuale con ¦BgDTJVT cf. Mc 5,9; 8,23.27.29;
9,11.28.33; 10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; con ¦DTJVT cf. Mc 4,10; 8,5.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
:"h0J"ÃH: sost., dat. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; compl. di termine.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
~?J4: cong. subordinativa di valore interrogativo, indecl., perché?; cf. Mc 1,15. La congiunzione
ÓJ4 ha qui valore interrogativo, corrispondente all’ordinario J\ (neutro avverbiale), ma può
anche intendersi come una abbreviazione di J\ ÓJ4 o *4 J\ (= «perché?»). Stesso fenomeno
è presente in Mc 9,11.28.
:gJV: prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con, insieme a, in
compagnia di; cf. Mc 1,13.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
Jg8T<ä<: sost., gen. plur. m. da Jg8f<0H, –@L (da JX8@H e é<X@:"4), gabelliere, esattore,
raccoglitore delle tasse; cf. Mc 2,15; compl. di compagnia.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
:"DJT8ä<: agg. qualificativo, di valore sostantivato, gen. plur. m. da :"DJT8`H, –`<,
erroneo, che sbaglia, colpevole, peccatore; cf. Mc 2,15; compl. di compagnia.
¦Fh\g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da ¦Fh\T, mangiare, prendere cibo, consumare,
divorare; cf. Mc 1,6.

2,17 i" •i@bF"H Ò z30F@ØH 8X(g4 "ÛJ@ÃH [ÓJ4] ?Û PDg\"< §P@LF4< @Ê ÆFPb@<JgH
Æ"JD@Ø •88z @Ê i"iäH §P@<JgH· @Ûi µ8h@< i"8XF"4 *4i"\@LH •88
:"DJT8@bH.
2,17 Sentendo ciò, Gesù disse loro: «Non hanno bisogno del medico i sani, ma i malati.
Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


184 Mc 2,17

•i@bF"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. Participio predicativo del soggetto z30F@ØH.
Solitamente il verbo •i@bT è costruito con il genitivo della persona che si ode e l’accusativo
di ciò che si sente parlare: qui è senza complemento, come spesso avviene in Marco (cf. Mc
2,17; 3,21; 4,15.33; 6,2.14.16.29; 10,41; 11,14.18; 14,11; 15,35).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. La formula redazionale 8X(g4
"ÛJ@ÃH ricorre 25 volte, esclusivamente riservata a Gesù (cf. Mc 1,38; 2,8.17.25; 3,4;
4,13.35; 5,39; 6,31.38.50; 7,18; 8,17; 9,35; 10,11.24.42; 11,2.22.33; 12,16; 14,13.27.34.41).
Per quanto riguarda la formula singolare 8X(g4 "ÛJè, avente come soggetto Gesù, cf. Mc
1,41.44; 2,14; 5,9.19; 7,34; per 8X(g4 "ÛJ± cf. Mc 5,41.
[ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa. Il vocabolo è assente nei codici !, A, C, D, L, W e nei
manoscritti della famiglia 1 e 13 (f1, f13): l’eventuale aggiunta o omissione della congiunzione
è in questo caso assolutamente ininfluente per la retta comprensione del testo.].
?Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
PDg\"<: sost., acc. sing. f. da PDg\", –"H (dalla radice di PDV@:"4 o PDZ), bisogno, necessità;
compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 49 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 6 volte in Matteo (corrispondente allo 0,033% del totale delle parole); 4 volte in
Marco (cf. Mc 2,17.25; 11,3; 14,63 = 0,035%); 7 volte in Luca (0,036%); 4 volte in
Giovanni (0,026%). Nella maggior parte delle ricorrenze sinottiche il termine PDg\" è usato
in unione al verbo §PT nell’espressione «avere bisogno di…». Il nesso PDg\"< §PT, già
attestato nel greco classico (cf. Eschilo, Prom., 169; Euripide, Andr., 368; Sofocle, Phil.,
646), è usato dai LXX 12 volte (cf. Tb 5,7B; 5,12B; 2Mac 2,15; 8,9; Gb 31,16; Sal 16,2; Prv
18,2; Sap 13,16; Sir 13,6; 15,12; Is 13,17; Dn 3,16).
§P@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
ÆFPb@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da ÆFPbT, essere forte,
essere robusto, essere in buona salute, stare bene, avere forza; soggetto. Questo verbo
ricorre 28 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 4 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,022% del totale delle parole); 4 volte in Marco (cf. Mc 2,17; 5,4; 9,18;
14,37 = 0,035%); 8 volte in Luca (0,041%); 1 volta in Giovanni (0,006%). Nell’uso classico
ÆFPbT indica generalmente la forza fisica (cf. Sofocle, Trach., 234; Aristofane, Ves., 357):
Mc 2,17 185

in questa accezione rientra anche il significato derivato di «essere robusto», «essere in buona
salute», «essere sano».
Æ"JD@Ø: sost., gen. sing. m. da Æ"JD`H, –@Ø, medico; compl. di specificazione. Il vocabolo
ricorre 7 volte nel NT: Mt 9,12; Mc 2,17; 5,26; Lc 4,23; 5,31; 8,43; Col 4,14. Con questo
sostantivo si indica nella grecità il «medico», inteso nel significato di «guaritore», «curatore»
(cf. Omero, Il., 11,514; Aristofane, Av., 584).
•88z: (= •88V), cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però,
piuttosto, nondimeno; cf. Mc 1,44.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
i"iäH: avv. di modo, indecl., male, malamente; cf. Mc 1,32.
§P@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da §PT, avere, possedere,
tenere (trans.); essere nella condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22; soggetto.
Participio sostantivato, modificato da un avverbio. La costruzione @Ê i"iäH §P@<JgH (lett.
«gli aventi male»), determinata dall’articolo, può essere tradotta con una forma pronominale
(«coloro che sono malati») oppure direttamente con un sostantivo («gli ammalati»). Il verbo
§PT normalmente è transitivo e ha una serie di significati che dipendono da quello
fondamentale di «avere». Tuttavia in certe espressioni, come qui, ha valore intransitivo e
forma con gli avverbi delle strutture che denotano una situazione, uno stato, un essere:
i"iäH §Pg4<, «stare male» (cf. Mc 1,32.34; 2,17; 6,55); i"8äH §Pg4<, «stare bene» (cf.
Mc 16,18). Il proverbio ricordato da Gesù doveva essere piuttosto comune nell’antichità
poiché si ritrova anche tra i filosofi della scuola cinica: @Û*z @Ê Æ"JD@\ B"D J@ÃH
ß(4"\<@LF4<, ÓB@L *¥ @Ê <@F@Ø<JgH, *4"JD\$g4< gÆfh"F4<, «i medici non hanno
l’abitudine di stare presso i sani, ma dove ci sono i malati» (detto attribuito a Pausania, in
Plutarco, Apopht. Lac., 230,f,7–8).
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
µ8h@<: verbo, 1a pers. sing. ind. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Abbiamo qui un chiaro esempio di µ8h@< cristologico
formulato in prima persona, pronunciato da Gesù, il quale dichiara di essere «venuto» sulla
terra per compiere la sua missione divina (cf. Mt 5,17[x2]; 9,13; 10,34[x2].35; Mc 2,17; Lc
12,49; Gv 9,39; 10,10; 12,27.47; 15,22). Come tale l’espressione «non sono venuto per…»,
analogamente a Mc 10,45 («il Figlio dell’uomo è venuto per…»; cf. anche Mc 1,38) è
fondamentale dal punto di vista cristologico e soteriologico perché soltanto in questi due detti
marciani lo stesso Gesù esplicita lo scopo della sua incarnazione.
i"8XF"4: verbo, inf. aor. da i"8XT, chiamare, invitare, nominare; cf. Mc 1,20. Infinito con
valore finale retto da µ8h@<. Questa “chiamata” di Gesù rivolta ai pubblicani e ai peccatori
può essere intesa in due modi: se si prende il verbo nel senso letterale di «chiamare» si deve
presupporre come complemento il regno di Dio e più in generale il contesto salvifico (=
chiamare alla salvezza). Il verbo, tuttavia, è impiegato talvolta nel senso di «invitare» a un
banchetto (cf. Mt 22,3.4.8.9; Lc 7,39; 14,7.8[x2].9.10.12.13.16.17.24): in tal caso il contesto
186 Mc 2,18

sarebbe quello escatologico del banchetto (= invitare al banchetto escatologico). La prima


ipotesi è da preferire.
*4i"\@LH: agg. qualificativo, di valore sostantivato, acc. plur. m. da *\i"4@H, –", –@<, retto,
giusto; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 79 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 17 volte in Matteo (corrispondente allo 0,093% del totale delle parole); 2 volte in
Marco (cf. Mc 2,17; 6,20 = 0,018%); 11 volte in Luca (0,056%); 3 volte in Giovanni
(0,019%). L’omissione dell’articolo in alcuni nomi concreti intende richiamare l’attenzione
sulla natura o sulla qualità della cosa (l’essere giusti; l’essere peccatori) anziché sulla sua
singolarità o individualità. Dal punto di vista linguistico il termine neotestamentario *\i"4@H
si rifà all’uso classico di «giusto», ossia conforme alla norma, non necessariamente in ambito
etico (cf. Omero, Il., 11,832; Od., 6,120; Eschilo, Sept., 598). Diverso, tuttavia, è il significato
che troviamo nel greco biblico. Qui, conformemente al concetto biblico di giustizia, intesa
non tanto come una categoria sociale quanto religiosa, il vocabolo sostantivato *\i"4@H
indica una persona che in obbedienza alla legge di Dio agisce in conformità con essa,
attuando le esigenze sia morali che sociali. In particolare nei sinottici il “giusto” è colui che
osserva in modo irreprensibile tutti i comandamenti e i precetti del Signore (cf. Lc 1,6).
Diversi personaggi e lo stesso Gesù sono chiamati “giusti” (cf. Mt 1,19; 23,35; 27,19; Mc
6,20; Lc 1,6; 2,25; 23,47.50; At 3,14; 7,52; 10,22; 22,14). L’espressione di Gesù non deve
essere intesa, quindi, in senso esclusivo negativo, come se dicesse: «non sono venuto a
salvare coloro che si ritengono giusti (e non lo sono), ma soltanto i peccatori». Gesù afferma,
positivamente, che l’oggetto della sua cura e della sua ricerca sono principalmente i
peccatori, senza escludere i giusti. Nel linguaggio biblico e più in generale in quello semitico
una frase espressa in opposizione a un’altra non indica necessariamente l’esclusione di una
delle due frasi: si tratta di una negazione dialettica il cui scopo è quello di esprimere una
preferenza (cf. Mc 3,26.29; 4,17.22; 5,39; 7,19; 9,37b; 10,8; 13,11c). Si deve osservare,
infatti, che nella mentalità e nella lingua ebraica a volte si contrappongono due enunciati dei
quali l’uno viene negato e l’altro affermato soltanto per conferire particolare rilievo
all’elemento affermato. Nel nostro caso la contrapposizione tra «giusti» e «peccatori» (@Ûi…
•88V…) deve essere interpretata non in termini esclusivi, ma inclusivi, alla maniera
semitica: Gesù dichiara di essere venuto in primo luogo per i peccatori che hanno più urgente
bisogno e poi per i giusti che ne hanno meno.
•88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno; cf. Mc 1,44.
:"DJT8@bH: agg. qualificativo, di valore sostantivato, acc. plur. m. da :"DJT8`H, –`<,
erroneo, che sbaglia, colpevole, peccatore; cf. Mc 2,15; compl. oggetto.

2,18 5"Â µF"< @Ê :"h0J"Â z3TV<<@L i"Â @Ê M"D4F"Ã@4 <0FJgb@<JgH. i"Â


§DP@<J"4 i" 8X(@LF4< "ÛJès )4 J\ @Ê :"h0J" z3TV<<@L i" @Ê :"h0J"Â
Jä< M"D4F"\T< <0FJgb@LF4<s @Ê *¥ F@Â :"h0J"Â @Û <0FJgb@LF4<p
2,18 I discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Si recarono allora da
lui e gli dissero: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano,
mentre i tuoi discepoli non digiunano?».
Mc 2,18 187

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


µF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf.
Mc 1,6. Questa pericope inizia ex abrupto con un «ed erano» che sembra tradire la sua
origine a sé stante, in ogni caso non collegata con quanto precede.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
:"h0J"\: sost., nom. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; soggetto.
z3TV<<@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z3TV<<0H, –@L, Giovanni; cf. Mc
1,4; compl. di specificazione.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
M"D4F"Ã@4: sost., nome proprio di gruppo religioso, nom. plur. m. da M"D4F"Ã@H, –@L, fariseo;
cf. Mc 2,16; soggetto.
<0FJgb@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da <0FJgbT, digiunare. Questo verbo ricorre 20
volte nel NT: Mt 4,2; 6,16[x2].17.18; 9,14[x2].15; Mc 2,18[x3].19[x2].20; Lc 5,33.34.35;
18,12; At 13,2.3. Participio predicativo del soggetto @Ê :"h0J"Â z3TV<<@L i"Â @Ê
M"D4F"Ã@4. Il participio è retto da µF"< in costruzione perifrastica («erano digiunanti»), al
posto dell’usuale imperfetto «digiunavano». Sebbene il verbo <0FJgbT assuma anzitutto il
significato di «essere senza nutrimento», «essere affamato» (cf. Aristotele, Probl., 908b 11),
nel greco classico come in quello biblico viene spesso usato per il digiuno rituale e religioso
(cf. Aristofane, Av., 1519; Giuseppe Flavio, Antiq., 20,89; Gdc 20,26; 2Cr 10,12; Zc 7,5). Il
digiuno era uno dei pilastri della pietà giudaica. Il digiuno obbligatorio più importante si
svolgeva nel Giorno dell’espiazione (.*9ELƒE% H .|*, Yôm hakkippurîm) che cadeva il 10 del
mese di Tishri, corrispondente ai mesi di settembre e ottobre (cf. Lv 23,23–32; Nm 29,7). Vi
erano, inoltre, digiuni pubblici imposti per circostanze particolari (cf. Gdc 20,26; 1Sam
14,24; 1Re 21,9; Esd 8,21; Ger 14,12; 36,6; Gio 3,5, ecc.). Altri tipi di digiuno erano attuati
come pratiche individuali: in segno di lutto (cf. 1Re 21,27), per ottenere grazie (cf. 1Sam
31,13; 2Sam 1,12; 3,35; 12,16; Zc 7,3), come forma di penitenza (cf. Ne 9,1) o per prepararsi
all’incontro con Dio (cf. Es 34,28; Dt 9,9.18). In epoca postesilica la pratica del digiuno si
andò sempre più diffondendo come forma di pietà e ascesi. In tutta la storia ebraica il digiuno
era praticato usualmente come segno di dolore e accompagnava le preghiere nei momenti
delle catastrofi nazionali. Il trattato Taanit della Mishnah è interamente dedicato alla pratica
del digiuno: in esso sono stabilite le regole e i motivi dei digiuni, sia pubblici che privati, fissi
e occasionali. Il digiuno ricordato nel nostro passo non è quello obbligatorio prescritto dalla
Legge, ma quello devozionale che i pii si sforzavano di praticare come mezzo di perfeziona-
mento.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
§DP@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Presente storico.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
188 Mc 2,18

8X(@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
)4V: prep. propria di valore causale, seguita dall’accusativo, indecl., a causa di, a motivo di, per;
cf. Mc 2,1.
J\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24. L’espressione *4 J\ è una forma enfatica al posto
dell’usuale avverbio interrogativo «perché?»: la formula si trova in Mc 2,18; 7,5; 11,31.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
:"h0J"\: sost., nom. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; soggetto.
z3TV<<@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z3TV<<0H, –@L, Giovanni; cf. Mc
1,4; compl. di specificazione. L’annotazione di Marco relativa a questo gruppo di discepoli
di Giovanni è in sintonia con altri dati storici che ritroviamo nel NT. Questa cerchia di
discepoli si presenta compatta e piuttosto stabile: sembra che avessero una regola, poiché
rispettano i tempi del digiuno (cf. Mt 9,14; Mc 2,18), usano recitare preghiere insegnate dal
Battista (cf. Lc 11,1), disputano con i Giudei in tema di purificazione (cf. Gv 3,25). Il loro
numero, da quanto si può dedurre da Gv 4,1, era consistente. Questi discepoli di Giovanni
hanno una notevole importanza nel NT per il fatto che, secondo il quarto evangelista, i primi
discepoli di Gesù provenivano dalle loro fila (cf. Gv 1,35ss.). In altre occasioni fanno da
intermediari tra il loro maestro, messo in carcere, e Gesù (cf. Mt 11,2) e dopo l’uccisione del
Battista si preoccupano di prelevare il cadavere e seppellirlo (cf. Mt 14,12).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
:"h0J"\: sost., nom. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; soggetto.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
M"D4F"\T<: sost., nome proprio di gruppo religioso, gen. plur. m. da M"D4F"Ã@H, –@L, farisei;
cf. Mc 2,16; compl. di specificazione. Chi siano questi «discepoli dei farisei» non è facile
definire, poiché l’istituto del discepolato nel tardo giudaismo era appannaggio dei (D"::"-
JgÃH, ossia gli «scribi», i rabbini, mentre i farisei erano piuttosto i praticanti della legge e non
i maestri. L’informazione, tuttavia, corrisponde al dato storico: sappiamo che almeno i capi
farisei erano anche scribi, ossia avevano ufficialmente studiato la Torah ed erano diventati
maestri; come tali potevano, quindi, avere il ruolo di guide per altri membri del gruppo
considerati «discepoli» (cf. sopra, commento a Mc 2,16).
<0FJgb@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da <0FJgbT, digiunare; cf. Mc 2,18.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
Mc 2,19 189

F@\: agg. possessivo, nom. plur. m. da F`H, FZ, F`<, tuo; attributo di :"h0J"\. Questo
aggettivo possessivo della seconda persona singolare ricorre 27 volte nel NT. La distribuzione
nei vangeli è la seguente: Mt 7,3.22[x3]; 13,27; 20,14; 24,3; 25,25; Mc 2,18; 5,19; Lc 5,33;
6,30; 15,31; 22,42; Gv 4,42; 17,6.9.10[x2].17; 18,35. La formula @Ê F@Â :"h0J"\ è poco
frequente rispetto a quella più consueta che impiega il genitivo del pronome personale di 2a
persona: @Ê :"h0J"\ F@L.
:"h0J"\: sost., nom. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; soggetto.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
<0FJgb@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da <0FJgbT, digiunare; cf. Mc 2,18.

2,19 i"Â gÉBg< "ÛJ@ÃH Ò z30F@ØHs 9¬ *b<"<J"4 @Ê LÊ@Â J@Ø <L:nä<@H ¦< ø Ò
<L:n\@H :gJz "ÛJä< ¦FJ4< <0FJgbg4<p ÓF@< PD`<@< §P@LF4< JÎ< <L:n\@<
:gJz "ÛJä< @Û *b<"<J"4 <0FJgbg4<.
2,19 E Gesù disse loro: «Possono forse digiunare gli amici delle nozze mentre lo Sposo è
con loro? Finché hanno lo Sposo con loro non possono digiunare.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
9Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4. La congiunzione negativa :Z
che introduce una proposizione interrogativa retorica equivale a «forse che…», indicante
l’attesa di una risposta negativa (lat. num, numquid).
*b<"<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere
in grado di; cf. Mc 1,40.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
LÊ@\: sost., nom. plur. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; soggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
<L:nä<@H: sost., gen. sing. m. da <L:nf<, –ä<@H, sala del banchetto [nuziale], camera
nuziale; compl. di specificazione. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mt 9,15; Mc 2,19
(hapax marciano); Lc 5,34. L’espressione @Ê LÊ@Â J@Ø <L:nä<@H, letteralmente «i figli
della sala del banchetto [di nozze]», è un ebraismo (= %I( L%H *1FvA, benê hahEuppa) h), costruito
mediante la locuzione «figlio di…» per indicare una stretta connessione tra due concetti o per
esprimere una qualità del sostantivo (analogo fenomeno in Mc 3,17.28; cf. anche Mt 23,15;
190 Mc 2,19

Lc 10,6; 16,8; 20,34.36; Gv 17,12). Nel nostro contesto il sintagma può indicare sia gli
«invitati» in genere (cf. t.Ber., 2,10; b.Suk., 25b) sia tecnicamente gli «amici» dello sposo,
ossia il gruppo dei giovani, più o meno coetanei dello sposo, che tradizionalmente lo
accompagnavano con un festoso corteo e gli facevano compagnia per tutta la durata delle
nozze (solitamente sette giorni), allestendo e adornando il talamo o camera nuziale. Questa
seconda possibilità è da preferire per dare maggior risalto al simbolismo sponsale
soggiacente: Gesù pensa a sé come lo Sposo e qualifica i suoi discepoli come gli amici dello
sposo, i quali, dunque, in presenza dello Sposo devono far festa, ossia, nel caso concreto,
possono continuare a mangiare. Dal punto di vista cristologico ed ecclesiologico
l’autodefinizione di «sposo» che Gesù dà a sé stesso è rilevantissima: l’immagine dello sposo
applicato al messia è sconosciuta al di fuori del NT. Essa si rifà alle parole di Gesù e prende
corpo nel cristianesimo primitivo (cf. Mt 22,1–14; 25,1–12; Gv 3,29; 2Cor 11,2; Ef 5,22–27;
Ap 19,7). Dentro tale immagine c’è la coscienza escatologica di Gesù e quella, in fieri, della
Chiesa–sposa.
¦<: prep. propria di valore temporale, seguita dal dativo, indecl., in, durante, entro; cf. Mc 1,2.
ø: pron. relativo, dat. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; compl. di tempo determinato. La
forma ø ricorre 119 volte nel NT rispetto alle 1407 ricorrenze totali di questo pronome. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 8 volte in Matteo (corrispondente allo 0,044% del
totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc 2,19; 4,24 = 0,018%); 13 volte in Luca
(0,067%); 9 volte in Giovanni (0,058%). Costruzione ellittica, da integrare con il sostantivo
sottinteso PD`<å per indicare una circostanza di tempo determinato (= «nel tempo in cui»,
«fin tanto che»).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
<L:n\@H: sost., nom. sing. m. da <L:n\@H, –@L, sposo; soggetto. Il vocabolo ricorre 16 volte
nel NT: Mt 9,15[x2]; 25,1.5.6.10; Mc 2,19[x2].20; Lc 5,34.35; Gv 2,9; 3,29[x3]; Ap 18,23.
Nel greco classico il sostantivo <L:n\@H indica tecnicamente lo «sposo» giovane (cf.
Omero, Il., 23,223; Od., 7,65). Come sopra riferito l’autodesignazione di «sposo» che Gesù
fa di sé stesso è molto forte e importante se si considera che la metafora dello sposo per
indicare il messia non è usata né nell’AT né nel giudaismo successivo.
:gJz: (= :gJV), prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con,
insieme a, in compagnia di; cf. Mc 1,13.
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di compagnia.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Predicato verbale.
<0FJgbg4<: verbo, inf. pres. da <0FJgbT, digiunare; cf. Mc 2,18. L’infinito è retto dal verbo
servile *b<"<J"4.
ÓF@<: pron. relativo con valore di quantità e misura, acc. sing. m. da ÓF@H, –0, –@<, quanto,
quanto grande, ciò che, quello che; attributo di PD`<@<. Il vocabolo ricorre 110 volte nel
NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 15 volte in Matteo (corrispondente allo
0,082% del totale delle parole); 14 volte in Marco (cf. Mc 2,19; 3,8.10.28; 5,19.20;
Mc 2,20 191

6,30[x2].56; 7,36; 9,13; 10,21; 11,24; 12,44 = 0,124%); 10 volte in Luca (0,051%); 10 volte
in Giovanni (0,064%). Il pronome ÓF@H si trova nel NT quasi esclusivamente al nominativo
o accusativo in funzione di pronome relativo. Talvolta è impiegato come aggettivo di quantità
per indicare una estensione sia spaziale che temporale (come qui) oppure è usato in
correlazione con altri vocaboli, nelle formule «quanto più… tanto più…», «tanto…
quanto…» (cf. Mc 7,36).
PD`<@<: sost., acc. sing. m. da PD`<@H, –@L, tempo; compl. di tempo continuato. Il vocabolo
ricorre 54 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 3 volte in Matteo (cf. Mt
2,7.16; 25,19, corrispondente allo 0,016% del totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc
2,19; 9,21 = 0,018%); 7 volte in Luca (cf. Lc 1,57; 4,5; 8,27.29; 18,4; 20,9; 23,8 = 0,036%);
4 volte in Giovanni (cf. Gv 5,6; 7,33; 12,35; 14,9 = 0,026%). Marco impiega il caso
accusativo con valore temporale 7 volte: Mc 1,13; 2,19; 4,27[x2]; 5,25; 13,35; 14,37. Altrove
l’accusativo temporale è retto dalle preposizioni gÆH (cf. Mc 3,29; 11,14; 13,13), BgD\ (cf.
Mc 6,48), :gJV (cf. Mc 8,31; 9,2.31; 13,24; 14,1; 16,12), i"JV (cf. Mc 14,49; 15,6). Per
quanto riguarda la differenza tra PD`<@H («tempo indeterminato») e i"4D`H («momento
opportuno») vedi commento a Mc 1,15. Il tempo delle nozze potrebbe essere tutta l’epoca
messianica, poiché le nozze sono spesso simbolo della salvezza (cf. Ap 19,7.9; 21,2.9;
22,17). Tuttavia il riferimento successivo fatto da Gesù (v. 20) lascia chiaramente intendere
che la visuale è quella storica, limitata alla sua breve fase terrena.
§P@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. L’espressione ÓF@< PD`<@< §P@LF4<,
alla lettera «per quanto tempo hanno…» può essere resa con «per tutto il tempo in cui
hanno…».
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
<L:n\@<: sost., acc. sing. m. da <L:n\@H, –@L, sposo; cf. Mc 2,19; compl. oggetto.
:gJz: (= :gJV), prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con,
insieme a, in compagnia di; cf. Mc 1,13.
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di compagnia.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
*b<"<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere
in grado di; cf. Mc 1,40.
<0FJgbg4<: verbo, inf. pres. da <0FJgbT, digiunare; cf. Mc 2,18.

2,20 ¦8gbF@<J"4 *¥ º:XD"4 ÓJ"< •B"Dh± •Bz "ÛJä< Ò <L:n\@Hs i" J`Jg
<0FJgbF@LF4< ¦< ¦ig\<® J± º:XD‘.
2,20 Ma verranno giorni, quando lo Sposo sarà tolto via da loro: allora, in quel giorno,
digiuneranno.
192 Mc 2,20

¦8gbF@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
º:XD"4: sost., nom. plur. f. da º:XD", –"H, giorno; cf. Mc 1,9; soggetto. L’espressione
«verranno giorni» è frequente nell’AT (cf. 1Sam 2,31; 2Re 20,17; Is 39,6; Ger 7,32; 9,24;
16,14; 19,6; 31,31, ecc.; Am 4,2; 8,11, ecc.) dove indica un intervento particolare di Dio sia
per punire che per salvare.
ÓJ"<: (= ÓJg e –<), cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, ogni qualvolta,
allorché, appena. Questa congiunzione ricorre 123 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 19 volte in Matteo (corrispondente allo 0,104% del totale delle
parole); 21 volte in Marco (cf. Mc 2,20; 3,11; 4,15.16.29.31.32; 8,38; 9,9; 11,19.25;
12,23.25; 13,4.7.11.14.28.29; 14,7.25 = 0,186%); 29 volte in Luca (0,149%); 17 volte in
Giovanni (0,109%). Nelle ricorrenze marciane la congiunzione è sempre seguita dal
congiuntivo, a eccezione di Mc 3,11 (imperfetto), Mc 11,19 (indicativo aoristo) e Mc 11,25
(indicativo presente).
•B"Dh±: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. pass. da •B"\DT (da •B` e "ÇDT), sollevare,
prendere, portare via, togliere. Questo verbo ricorre 3 volte nel NT, sempre al passivo: Mt
9,15; Mc 2,20 (hapax marciano); Lc 5,35. Spesso la preposizione posta come prefisso a un
verbo composto viene ripetuta davanti al successivo complemento indiretto, come qui; questo
fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56;
7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
L’idea di una soppressione violenta (= senso teologico), come molti commentatori
vorrebbero, non sembra essere sostenuta dal verbo il quale anche nel greco classico indica
un generico «allontanare» o «portare via» (cf. Erodoto, Hist., 1,186,3; Euripide, Iph. Taur.,
967; Hel., 1520). Anche nella traduzione dei LXX il verbo •B"\DT ha il generico significato
di «spostare» da un luogo all’altro. Il significato di soppressione violenta («strappare via»,
«eliminare») si ritrova nella forma semplice del verbo ("ÇDT) e soltanto in poche ricorrenze
(cf. Is 53,8; 57,1.2; 1Mac 5,2, LXX; Lc 23,18; Gv 19,15; At 22,22). In ogni caso la forma
passiva di questo verbo potrebbe far pensare a un passivo divino, per indicare che questo
allontanamento dello Sposo dai suoi amici rientra in un disegno di Dio.
•Bz: (= •B`), prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da;
cf. Mc 1,9.
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di moto da luogo.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
<L:n\@H: sost., nom. sing. m. da <L:n\@H, –@L, sposo; cf. Mc 2,19; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J`Jg: avv. di tempo, indecl., allora, in quel tempo. Il vocabolo ricorre 160 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 90 volte in Matteo (corrispondente allo 0,491% del
totale delle parole); 6 volte in Marco (cf. Mc 2,20; 3,27; 13,14.21.26.27 = 0,053%); 15 volte
in Luca (0,077%); 10 volte in Giovanni (0,064%). Nel NT l’«allora» indicato da questo
Mc 2,21 193

avverbio può riferirsi sia a un tempo passato rispetto a chi parla o scrive (cf. Mt 2,17) sia a
un tempo futuro che ancora deve attuarsi (cf. Mt 13,14.21.26.27) sia a una situazione
atemporale qualsiasi, idealmente rappresentata, in cui si attua una specifica condizione (cf.
Mc 3,27).
<0FJgbF@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. da <0FJgbT, digiunare; cf. Mc 2,18.
¦<: prep. propria di valore temporale, seguita dal dativo, indecl., in, durante, entro; cf. Mc 1,2.
¦ig\<®: agg. dimostrativo, dat. sing. f. da ¦igÃ<@H, –0, –@, quello, quegli, colui, esso; cf. Mc
1,9; attributo di º:XD‘, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
º:XD‘: sost., dat. sing. f. da º:XD", –"H, giorno; cf. Mc 1,9; compl. di tempo determinato. La
frase «in quei giorni», «in quel giorno», si ritrova nel secondo vangelo come generica e
indeterminata indicazione temporale (cf. Mc 1,9; 2,20; 4,35; 8,1; 13,17; [13,19]; 13,24;
[13,32]; [14,25]). L’espressione, tuttavia, è tipica del linguaggio escatologico (cf. Ps. Salom.,
18,6) ed è spesso usata dai profeti per indicare «gli ultimi tempi», ossia l’epoca in cui si
realizzerà l’intervento definitivo di Dio nella storia umana, caratterizzato dall’abbondanza dei
beni messianici (cf. Is 2,11.17.20; 3,18; 4,2; 5,30; 7,18.21; 10,20.27; 11,10; 12,1.4; 14,3.4;
17,7; 19,19.21.23.24; 25,9; 26,1; 29,18; 30,23.25; Ger 3,17; 5,18; 25,33; 30,8; 31,29; Ez
29,21; Os 2,18.20.23; Gl 3,2; 4,1.18; Am 8,9; 9,11.13; Abd 1,8; Mic 4,1.6; 5,9; Sof
3,11.16.20; Ag 2,23; Zc 2,15; 3,10; 8,23; 9,16; 13,1.2; 14,6.8.9).

2,21 @Û*gÂH ¦B\$80:" ÕVi@LH •(<Vn@L ¦B4DVBJg4 ¦B Ê:VJ4@< B"8"4`<· gÆ


*¥ :Zs "ÇDg4 JÎ B8ZDT:" •Bz "ÛJ@Ø JÎ i"4<Î< J@Ø B"8"4@Ø i" PgÃD@<
FP\F:" (\<gJ"4.
2,21 Nessuno cuce una pezza di stoffa nuova su un mantello vecchio, altrimenti l’aggiunta
strappa via da esso il nuovo dal vecchio e lo squarcio diventa peggiore.

@Û*g\H: (da @Û*X e gÍH), pron. indefinito negativo, nom. sing. m. da @Û*g\H, @Û*g:\", @Û*X<,
nessuno, niente; soggetto. Il vocabolo ricorre 234 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli
è la seguente: 19 volte in Matteo (corrispondente allo 0,104% del totale delle parole); 26
volte in Marco (cf. Mc 2,21.22; 3,27; 5,3.4.37; 6,5; 7,12.15.24; 9,8.29.39; 10,18.29; 11,2.13;
12,14.34; 13,32; 14,60.61; 15,4.5; 16,8[x2] = 0,230%); 35 volte in Luca (0,180%); 53 volte
in Giovanni (0,339%).
¦B\$80:": sost., acc. sing. n. da ¦B\$80:", –"J@H, aggiunta, pezza, rattoppo; compl.
oggetto. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mt 9,16; Mc 2,21 (hapax marciano); Lc
5,36[x2]. Nel greco classico il raro sostantivo ¦B\$80:" indica la «coperta» (cf. Galeno, De
praen., 14,638) o il «tappeto» (cf. Plutarco, Cato M., 4,5,1; Arriano, Alex. anab., 6,29,5).
ÕVi@LH: sost., gen. sing. n. da ÕVi@H, –@LH, panno, stoffa; compl. di specificazione. Il
vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mt 9,16; Mc 2,21 (hapax marciano). Nel greco classico il
termine, specie al plurale, indica il «cencio» (cf. Omero, Od., 6,178; Aristofane, Pl., 540), la
«fascia di stoffa» (cf. Erodoto, Hist., 7,76,1). Nei LXX (cf. Ger 45,11) e nei papiri il
significato prevalente è quello di «cencio», «brandello».
194 Mc 2,21

•(<Vn@L: agg. qualificativo, gen. sing. n. da •(<Vn@H, –@<, non lavorato, grezzo, non
cardato; attributo di ÕVi@LH. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mt 9,16; Mc 2,21 (hapax
marciano). Sconosciuto alla letteratura classica, questo vocabolo indica nei vangeli e in
alcuni papiri successivi il pezzo di stoffa non sottoposto al processo di rassodamento in
bagno alcalino (= follatura) che si pratica per impedire al panno nuovo di restringersi quando
viene bagnato e, quindi, asciugato. Nella lavorazione dei tessuti, così come era effettuata
presso gli antichi, il panno grezzo (“nuovo”) era rigido e aveva bisogno di essere lavato e
pestato nell’acqua. Dopo questo trattamento risultava più morbido e poteva essere utilizzato
come pezza per rammendare abiti già usati.
¦B4DVBJg4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da ¦B4DVBJT (da ¦B\ e la radice di Õ"n\H), cucire,
ricucire. Hapax neotestamentario. Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo
composto viene ripetuta davanti al successivo complemento indiretto, come qui; questo
fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].25.26. 42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56;
7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
Sconosciuto nella grecità classica, il verbo ¦B4DVBJT (registrato nei dizionari anche sotto
la forma ¦B4DDVBJT) sembra di origine marciana. Compare raramente in autori successivi,
come Nonno di Panopoli, vissuto nel V secolo d.C. (cf. Id., Dionys., 9,3).
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., in, su, a, sopra; cf. Mc 1,22.
Ê:VJ4@<: sost., acc. sing. n. da Ê:VJ4@<, –@L, sopravveste, indumento, mantello; compl. di stato
in luogo. Il vocabolo ricorre 60 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 13
volte in Matteo (corrispondente allo 0,071% del totale delle parole); 12 volte in Marco (cf.
Mc 2,21; 5,27.28.30; 6,56; 9,3; 10,50; 11,7.8; 13,16; 15,20.24 = 0,106%); 10 volte in Luca
(0,051%); 6 volte in Giovanni (0,038%). Questo vocabolo, diverso dal P4Jf< («sottoveste»,
cf. Mc 6,9), costituiva la «sopravveste» nell’abbigliamento dell’antichità poiché veniva
indossato sopra la tunica o il chitone (cf. Erodoto, Hist., 1,9,2; Aristofane, Pl., 983). In senso
più generale può indicare le vesti, specie se nella forma plurale (cf. Mc 5,30; 9,3; 15,20.24)
oppure il mantello (cf. Mc 2,21; 5,27.28; 6,56; 10,50; 11,7.8; 13,16).
B"8"4`<: agg. qualificativo, acc. sing. n. da B"8"4`H, –V, –`<, vecchio, antico, logorato;
attributo di Ê:VJ4@<. Il vocabolo ricorre 19 volte nel NT: Mt 9,16.17; 13,52; Mc 2,21[x2].22;
Lc 5,36[x2].37.39[x2]; Rm 6,6; 1Cor 5,7.8; 2Cor 3,14; Ef 4,22; Col 3,9; 1Gv 2,7[x2]. Già
a partire da Omero il sostantivo B"8"4`H, quando esprime una qualità o una caratteristica,
assume il significato corrispondente all’italiano «vecchio» (cf. Omero, Il., 14,136; Od.,
1,395); quando esprime una temporalità, quello corrispondente ad «antico» (cf. Omero, Il.,
11,166; Od., 2,118).
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4. La formula gÆ *¥ :Z, «se no»,
«altrimenti» (lat. si minus), con protasi ellittica del predicato, è una locuzione congiuntiva che
può essere tradotta con «altrimenti», «in caso contrario».
Mc 2,21 195

"ÇDg4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da "ÇDT, alzare, sollevare, sostenere, sorreggere, portare,
prendere; cf. Mc 2,3.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
B8ZDT:": sost., acc. sing. n. da B8ZDT:", –J@H, riempimento, completezza, pienezza; compl.
oggetto. Il vocabolo ricorre 17 volte nel NT: Mt 9,16; Mc 2,21; 6,43; 8,20; Gv 1,16; Rm
11,12.25; 13,10; 15,29; 1Cor 10,26; Gal 4,4; Ef 1,10.23; 3,19; 4,13; Fil 1,19; 2,9. Nella sua
accezione etimologica (cf. B8ZD0H, B80D`T) il termine B8ZDT:" esprime l’idea della
misura piena, della compattezza, della pienezza che può essere, ad esempio, di una cesta (cf.
Euripide, Cycl., 209; Ion, 1412), di un calice (cf. Euripide, Ion, 1052; Tr., 823), del carico
di una nave (cf. Polluce, Onom., 1,121,1) oppure in senso traslato la «pienezza» della vita di
un uomo (cf. Erodoto, Hist., 3,22,4) o di una situazione felice (cf. Filone di Alessandria,
Legat., 11). Nel nostro passo, tuttavia, il vocabolo greco è probabilmente la traduzione
dell’aramaico %! I -F/A, mele)’a) h, termine tecnico del vocabolario dei sarti palestinesi per
indicare la «pezza», il «rattoppo», inteso come «riempimento» del tessuto strappato. Il
significato eminentemente cristologico e teologico di B8ZDT:" usato da Paolo nelle lettere
agli Efesini e Colossesi è totalmente assente nei vangeli.
•Bz: (= •B`), prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da;
cf. Mc 1,9.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di moto da luogo. Il riferimento è al
precedente Ê:VJ4@< B"8"4`<, «mantello vecchio».
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
i"4<`<: agg. qualificativo, di valore sostantivato, nom. sing. n. da i"4<`H, –Z, –`<, nuovo,
recente, diverso; cf. Mc 1,27; soggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
B"8"4@Ø: agg. qualificativo, di valore sostantivato, gen. sing. n. da B"8"4`H, –V, –`<, vecchio,
antico, logorato; cf. Mc 2,21; compl. di moto da luogo. La forma genitiva è retta dalla
precedente preposizione •B`, qui sottintesa.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
PgÃD@<: agg. qualificativo, di grado comparativo, nom. sing. n. da Pg\DT<, –@< (irregolare
comparativo di i"i`H, –Z, –`<), più cattivo, peggiore; compl. predicativo. Il vocabolo
ricorre 61 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 6 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,033% del totale delle parole); 4 volte in Marco (Mc 2,21; 5,26; 7,21;
15,14 = 0,035%); 3 volte in Luca (0,015%); 3 volte in Giovanni (0,019%). Nella sua
accezione originaria l’aggettivo i"i`H indica anzitutto ciò che è «brutto» come qualità
esteriore (cf. Omero, Il., 10,316; Od., 11,191). Da questo significato estetico derivano quello
qualitativo di «incapace», «inetto» (cf. Omero, Il., 17,487; Euripide, Andr., 457; Eschilo,
Prom., 473) e quello morale di «cattivo», «malvagio» (cf. Omero, Il., 9,251; Od., 11,384).
FP\F:": sost., nom. sing. n. da FP\F:", –J@H, divisione, scissura, strappo; soggetto. Il
vocabolo ricorre 8 volte nel NT: Mt 9,16; Mc 2,21 (hapax marciano); Gv 7,43; 9,16; 10,19;
1Cor 1,10; 11,18; 12,25. Nel significato letterale proprio FP\F:" indica la «fenditura», quale,
196 Mc 2,22

ad esempio, quella di uno zoccolo (cf. Aristotele, Hist. anim., 499a 27), di una pianta (cf.
Teofrasto, Hist. plant., 3,11,1), di una roccia (cf. Is 2,19.21, LXX).
(\<gJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere, nascere,
essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4. Grammaticalmente è possibile intendere (\<gJ"4
anche come una forma impersonale, nel senso di «formarsi», «accadere», «nascere». In tal
caso la traduzione è la seguente: «…e si forma uno strappo peggiore».

2,22 i" @Û*gÂH $V88g4 @É<@< <X@< gÆH •Fi@×H B"8"4@bH· gÆ *¥ :Zs ÕZ>g4 Ò @É<@H
J@×H •Fi@bH i"Â Ò @É<@H •B`88LJ"4 i" @Ê •Fi@\· •88 @É<@< <X@< gÆH
•Fi@×H i"4<@bH.
2,22 E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spacca gli otri e si
perdono vino e otri. Ma vino nuovo in otri nuovi!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


@Û*g\H: (da @Û*X e gÍH), pron. indefinito negativo, nom. sing. m. da @Û*g\H, @Û*g:\", @Û*X<,
nessuno, niente; cf. Mc 2,21; soggetto.
$V88g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da $V88T, gettare, buttare, mettere. Questo verbo
ricorre 122 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 34 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,185% del totale delle parole); 18 volte in Marco (cf. Mc 2,22; 4,26;
7,27.30.33; 9,22.42.45.47; 11,23; 12,41[x2].42.43[x2].44[x2]; 15,24 = 0,159%); 18 volte in
Luca (0,092%); 17 volte in Giovanni (0,109%). Modellato sull’uso classico questo verbo
assume nel NT diverse sfumature di significato: fondamentalmente esso equivale a «gettare»,
«gettare via», quasi sempre con l’idea di un certo impeto o perfino violenza (cf. Mc 4,26;
7,27; 9,22.42). Talvolta, come qui, il verbo assume il significato più circoscritto di «mettere»
(cf. Mc 2,22; 7,33; 12,41).
@É<@<: sost., acc. sing. m. da @É<@H, –@L, vino; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 34 volte nel
NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 4 volte in Matteo (cf. Mt 9,17[x3].27.34,
corrispondente allo 0,022% del totale delle parole); 5 volte in Marco (cf. Mc 2,22[x4]; 15,23
= 0,044%); 6 volte in Luca (cf. Lc 1,15; 5,37[x2].38; 7,33; 10,34 = 0,031%); 6 volte in
Giovanni (cf. Gv 2,3[x2].9.10[x2]; 4,46 = 0,038%). Il sostantivo @É<@H indica fin da Omero
il «vino» ottenuto con la lavorazione dell’uva (cf. Omero, Il., 5,341; Od., 3,391).
<X@<: agg. qualificativo, acc. sing. m. da <X@H, –", –@<, nuovo, giovane; attributo di @É<@<. Il
vocabolo ricorre 24 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 2 volte in
Matteo (cf. Mt 9,17[x2], corrispondente allo 0,011% del totale delle parole); 2 volte in
Marco (cf. Mc 2,22[x2] = 0,018%); 7 volte in Luca (cf. Lc 5,37[x2].38.39; 15,12.13; 22,26
= 0,036%); 1 volta in Giovanni (cf. Gv 21,18 = 0,006%). Nel greco classico l’aggettivo <X@H
indica originariamente una “giovinezza” nell’ambito temporale e in riferimento alle persone
equivale a «giovane» (cf. Omero, Il., 14,108; Od., 1,395). Il significato di «nuovo», applicato
alle cose o agli avvenimenti in senso qualitativo, rispetto a un’altra realtà o caratteristica
considerata «vecchia», è derivato (cf. Omero, Il., 17,36; Eschilo, Pers., 665; Euripide, Hip.,
794; Ò »84@H <X@H ¦nz º:XD® ¦FJ\<, «il sole è nuovo ogni giorno»: Eraclito, Frag., 6,1,
Mc 2,22 197

citato in Aristotele, Meteor., 355a 13–14). Come tale l’espressione @É<@H <X@H è il «vino
nuovo» (cf. Aristofane, Pax, 916).
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
•Fi@bH: sost., acc. plur. m. da •Fi`H, –@Ø, otre; compl. di stato in luogo. Il vocabolo ricorre
12 volte nel NT: Mt 9,17[x4]; Mc 2,22[x4]; Lc 5,37[x3].38. Si tratta degli otri ottenuti con
pelle di pecora, bue o cammello, usati nell’antichità per la conservazione di liquidi (cf.
Omero, Il., 3,247; Od., 6,78; Erodoto, Hist., 3,9,1).
B"8"4@bH: agg. qualificativo, acc. plur. m. da B"8"4`H, –V, –`<, vecchio, antico, logorato; cf.
Mc 2,21; attributo di •Fi@bH.
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4. La formula gÆ *¥ :Z, «se no»,
«altrimenti» (lat. si minus), con protasi ellittica del predicato, è una locuzione congiuntiva che
può essere tradotta con «altrimenti», «in caso contrario».
ÕZ>g4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. da ÕZ(<L:4, lacerare, strappare, fare a pezzi, rompere.
Questo verbo ricorre 7 volte nel NT: Mt 7,6; 9,17; Mc 2,22; 9,18; Lc 5,37; 9,42; Gal 4,27.
Nella sua accezione propria il verbo ÕZ(<L:4 è usato nella grecità classica nel significato
di «rompere», «infrangere», «lacerare» (cf. Omero, Il., 2,544; Eschilo, Pers., 199).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
@É<@H: sost., nom. sing. m. da @É<@H, –@L, vino; cf. Mc 2,22; soggetto.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
•Fi@bH: sost., acc. plur. m. da •Fi`H, –@Ø, otre; cf. Mc 2,22; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
@É<@H: sost., nom. sing. m. da @É<@H, –@L, vino; cf. Mc 2,22; soggetto.
•B`88LJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. pass. da •B`88L:4 (da •B` e la radice di
Ð8ghD@H), perdere, rovinare, distruggere, togliere di mezzo, sopprimere, uccidere; cf. Mc
1,24.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
•Fi@\: sost., nom. plur. m. da •Fi`H, –@Ø, otre; cf. Mc 2,22; soggetto.
•88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno; cf. Mc 1,44.
@É<@<: sost., acc. sing. m. da @É<@H, –@L, vino; cf. Mc 2,22; compl. oggetto.
<X@<: agg. qualificativo, acc. sing. m. da <X@H, –", –@<, nuovo, giovane; cf. Mc 2,22; attributo
di @É<@<.
198 Mc 2,23

gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
•Fi@bH: sost., acc. plur. m. da •Fi`H, –@Ø, otre; cf. Mc 2,22; compl. di stato in luogo.
i"4<@bH: agg. qualificativo, acc. plur. m. da i"4<`H, –Z, –`<, nuovo, recente, diverso; cf. Mc
1,27; attributo di •Fi@bH. Nonostante qualche difficoltà sintattica e lessicale il significato di
questo doppio detto di Gesù sembra chiaro: il nuovo (di Gesù), indicato con l’immagine della
pezza e del vino, non si accorda con il vecchio (il mantello, l’otre); i beni messianici portati
dallo Sposo Gesù rompono gli schemi antichi, ridotti ormai a rango di tessuto logoro e otri
screpolati. È palese nel detto di Gesù un chiaro riferimento alla contrapposizione tra antica
e nuova economia: il regime della Legge è irrimediabilmente destinato alla scomparsa e ogni
tentativo di mescolare il nuovo con l’antico non solo è impossibile, ma deleterio: se il nuovo
tentasse una combinazione o un compromesso con l’antico non sarebbe più i"4<`H, ma
vecchio anch’esso e rischierebbe di essere distrutto (•B`88L:4). Lo scontro non oppone
Gesù all’AT, ma al giudaismo come sistema cultuale e istituzionale. Gesù non offre una
“mescolanza”, una “aggiunta”, una sintesi, ma una alternativa sostitutiva. La vecchia
economia (= giudaismo) e la nuova economia (= cristianesimo) sono due realtà inconciliabili
e qualsiasi tentativo di compromesso ha conseguenze devastanti per entrambe.

2,23 5" ¦(X<gJ@ "ÛJÎ< ¦< J@ÃH FV$$"F4< B"D"B@DgbgFh"4 *4 Jä< FB@D\:T<s
i"Â @Ê :"h0J"Â "ÛJ@Ø ³D>"<J@ Ò*Î< B@4gÃ< J\88@<JgH J@×H FJVPL"H.
2,23 In giorno di sabato egli passava per i campi coltivati e i suoi discepoli cominciarono
a camminare cogliendo le spighe.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦(X<gJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4. L’iniziale i"Â ¦(X<gJ@, di stampo
semitico, è il modo in cui i LXX traducono l’ebraico *%
E *AC&, wa7 yehî, «e avvenne che…», posto
all’inizio di una proposizione come riferimento temporale (cf. Gn 4,3; 6,1; 7,10; 8,6; ecc.).
Questa costruzione è presente in Mc 1,9; 2,15.23; 4,4.10. Quando il significato temporale è
già implicito nel successivo genitivo assoluto o in altre costruzioni temporali la formula può
essere omessa.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; soggetto della proposizione oggettiva costruita con
il verbo infinito B"D"B@DgbgFh"4.
¦<: prep. propria di valore temporale, seguita dal dativo, indecl., in, durante, entro; cf. Mc 1,2.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
FV$$"F4<: sost., dat. plur. n. da FV$$"J@<, –@L, sabato (= il settimo giorno della settimana
ebraica); cf. Mc 1,21; compl. di tempo determinato. Semitismo.
B"D"B@DgbgFh"4: verbo, inf. pres. medio da B"D"B@Dgb@:"4 (da B"DV e B@Dgb@:"4),
procedere, andare oltre, attraversare, passare. Questo verbo deponente ricorre 5 volte nel
NT: Mt 27,39; Mc 2,23; 9,30; 11,20; 15,29. Conforme alla sua etimologia il verbo
Mc 2,23 199

B"D"B@Dgb@:"4 indica un moto per luogo ed è usato nella grecità nel significato di
«camminare vicino», «procedere presso» (cf. Aristotele, Hist. anim., 577b 34; Polibio, Hist.,
6,40,7).
*4V: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., per, attraverso, tra, lungo; cf.
Mc 2,1.
Jä<: art. determ., gen. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
FB@D\:T<: agg. qualificativo, gen. plur. n., di valore sostantivato, da FB`D4:@H, –@<, adatto
alla semina, coltivabile; al plur. FB`D4:", –T<, seminagione, messi, campi seminati; compl.
di moto per luogo. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT, sempre nella forma plurale di valore
sostantivato: Mt 12,1; Mc 2,23 (hapax marciano); Lc 6,1. Genericamente questo aggettivo
(e il sostantivo derivato) nella letteratura greca corrisponde a «seminato», «coltivato» oppure
«adatto alla semente», senza specificare di quale prodotto si parli (cf. Senofonte, Hell., 3,2,10;
Teofrasto, Hist. plant., 6,5,4). In base al successivo riferimento (J\88g4< J@×H FJVPL"H,
«strappare le spighe») il termine indica qui i campi di grano.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
:"h0J"\: sost., nom. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; soggetto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
³D>"<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. medio da –DPT, dare inizio, cominciare; cf. Mc 1,45.
La frase ³D>"J@ / ³D>"<J@, seguita da un infinito come complemento, è usata da Mc 26
volte (cf. Mc 1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32; 10,28.32.41.47; 11,15; 12,1;
13,5; 14,19.33.65.69.71; 15,8.18). La frequenza di questa formula è dovuta probabilmente
a influsso semitico: quasi sempre equivale a una perifrasi nella quale il verbo –DPT, di
valore pleonastico, può essere omesso, mentre l’infinito dipendente viene reso con la 3a
persona dell’indicativo aoristo o imperfetto corrispondente.
Ò*`<: sost., acc. sing. f. da Ò*`H, –@Ø, strada, via; cf. Mc 1,2; compl. oggetto.
B@4gÃ<: verbo, inf. pres. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere, compiere; cf. Mc 1,3.
L’espressione Ò*Î< B@4gÃ< è un latinismo (= iter facere), ossia «camminare».
J\88@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da J\88T, strappare, strappare via, svellere.
Questo verbo ricorre 3 volte nel NT: Mt 12,1; Mc 2,23 (hapax marciano); Lc 6,1. Participio
predicativo del soggetto :"h0J"\. In senso letterale proprio il verbo J\88T è utilizzato nella
grecità nel significato di «strappare», «estirpare», detto, ad esempio, di capelli o di erbacce
(cf. Omero, Il., 22,406; Plutarco, De aud., 48,b,8). Nella traduzione del nostro passo il verbo
finito B@4XT e il participio J\88@<JgH possono essere scambiati con la stessa efficacia
espressiva: «i suoi discepoli, mentre camminavano, cominciarono a strappare le spighe» (=
@Ê :"h0J"Â ³D>"<J@ Ò*Î< B@4@Ø<JgH J\88g4< J@×H FJVPL"H).
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
200 Mc 2,24

FJVPL"H: sost., acc. plur. m. da FJVPLH, –L@H, spiga; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 6 volte
nel NT: Mt 12,1; Mc 2,23; 4,28[x2]; Lc 6,1; Rm 16,9. Nel greco classico il sostantivo
FJVPLH indica come primo significato la spiga di grano (cf. Omero, Il., 23,598; Eschilo,
Suppl., 761).

2,24 i"Â @Ê M"D4F"Ã@4 §8g(@< "ÛJès }3*g J\ B@4@ØF4< J@ÃH FV$$"F4< Ô @Ûi
§>gFJ4<p
2,24 I farisei gli dissero: «Guarda! Perché essi fanno di sabato quello che non è permes-
so?».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
M"D4F"Ã@4: sost., nome proprio di gruppo religioso, nom. plur. m. da M"D4F"Ã@H, –@L, farisei;
cf. Mc 2,16; soggetto.
§8g(@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo («dicevano», «continuavano
a dire»), ma puntuale, corrispondente a un aoristo («dissero»): nel greco classico come in
quello ellenistico i cosiddetti verba dicendi, rogandi, exhortandi, iubendi, tra i quali 8X(T,
¦BgDTJVT, ¦DTJVT, ecc., preferiscono la forma dell’azione incompiuta (ossia il tempo
imperfetto) poiché l’azione che esprimono attende sempre di essere completata da quella
indicata dal verbo successivo. Per altri esempi di questo imperfetto puntuale con il verbo
8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24.26.30.41; 5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27;
8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70; 15,12a.14; per quanto riguarda l’imperfetto
puntuale con ¦BgDTJVT cf. Mc 5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33; 10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61;
15,4; con ¦DTJVT cf. Mc 4,10; 8,5.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
}3*g: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare. La forma
Ç*g ricorre 34 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 4 volte in Matteo (cf.
Mt 25,20.22.25; 26,65, corrispondente allo 0,022 del totale delle parole); 9 volte in Marco
(cf. Mc 2,24; 3,34; 11,21; 13,1.21[x2]; 15,4.35; 16,6 = 0,080); 19 volte in Giovanni (cf. Gv
1,29.36.46.47; 3,26; 5,14; 7,26.52; 11,3.34.36; 12,19; 16,29; 18,21; 19,4.14.26.27; 20,27 =
0,122); Gal 5,2. Il vocabolo Ç*g, un segnale discorsivo stereotipo, nella maggior parte delle
ricorrenze neotestamentarie assume il valore avverbiale ed esclamativo corrispondente alle
interiezioni «ecco!», «vedi!», «guarda!», «guardate!». Il termine rimane morfologicamente
invariabile, pur conservando il valore semantico dell’azione (vedere) e la forza della forma
originaria espressa all’imperativo («Vedi!»). Pertanto Ç*g può riferirsi a un soggetto anche
plurale. La forma conserva il significato verbale letterale di «vedere» soltanto in Gv 1,46;
7,52; 11,34; 20,27. Non c’è sostanziale diversità con l’equivalente Æ*@b (cf. Mc 1,2).
Entrambe le particelle sono forme vivaci e dinamiche modellate sul corrispondente ebraico
%F%E, hinne)h (1057 volte nell’AT) e in quanto tali possono sottolineare il discorso o la
Mc 2,24 201

narrazione che esse introducono con una energia particolare, esprimente di volta in volta
sorpresa, importanza, novità, reazione.
J\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24. L’uso di J\ con il valore di «perché?» viene
spiegato come una specie di accusativo di specificazione o di relazione («di che cosa?», «in
relazione a che?»); cf. Mc 2,7.8.24; 4,40; 5,35.39; 8,12.17; 9,16.33; 10,18; 11,3; 12,15; 14,6.
B@4@ØF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
FV$$"F4<: sost., dat. plur. n. da FV$$"J@<, –@L, sabato (= il settimo giorno della settimana
ebraica); cf. Mc 1,21; compl. di tempo determinato. Marco impiega il caso dativo con valore
temporale 12 volte: Mc 1,21; 2,24; 3,2.4; 6,21; 11,12; 12,2; 14,12.30; 15,34; 16,2.9. Altrove,
il dativo temporale è retto dalla preposizione ¦< (cf. Mc 1,9; 2,19.20.23; 4,35; 8,1; 10,30[x2];
12,23; 13,11.17.24; 14,2; 15,7.29).
Ó: pron. relativo, nom. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; compl. oggetto. La forma Ó ricorre
251 volte nel NT rispetto alle 1407 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 30 volte in Matteo (corrispondente allo 0,154% del totale delle parole);
29 volte in Marco (cf. Mc 2,24; 3,17; 4,4.25; 5,33.41; 6,22.23; 7,11[x2].15.34; 10,9.35.38
[x2].39[x2]; 11,23; 12,42; 13,11.37; 14,8.9; 15,16.22.34.42.46 = 0,178%); 26 volte in Luca
(0,124%); 39 volte in Giovanni (0,218%). Questa forma fa da complemento oggetto a
B@4@ØF4< e da soggetto a @Ûi §>gFJ4<.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
§>gFJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da §>g4:4 (da ¦i e gÆ:\), è legale, è lecito, è permesso,
è possibile. Analogamente all’uso classico ed ellenistico la forma fissa §>gFJ4< deve essere
considerata come una forma impersonale a sé stante per indicare, soprattutto nel linguaggio
giuridico, la possibilità di compiere una azione in quanto non vi sono ostacoli di sorta (cf.
Eschilo, Prom., 648; Senofonte, Anab., 2,3,26; 5,4,6; Erodoto, Hist., 1,183,2). La formula
ricorre nel NT 28 volte, per indicare ciò che secondo il diritto umano o quello divino è
permesso o, in unione a una negazione, proibito (cf. Mt 12,2.10.12; 14,4; 19,3; 20,15; 22,17;
27,6; Mc 2,24.26; 3,4; 6,18; 10,2; 12,14; Lc 6,2.4.9; 14,3; 20,22; Gv 5,10; 18,31; At 16,21;
21,37; 22,25; 1Cor 6,12[x2]; 10,23[x2]. La questione del riposo sabatico è sollevata più volte
dagli avversari di Gesù (cf. Mc 3,1–6). Nel nostro caso oggetto dell’accusa non è il fatto che
Gesù e i suoi discepoli stanno camminando attraverso i campi: il riposo sabatico permetteva
di fare piccoli viaggi, purché non si superassero 6 stadi (circa 1392 metri: cf. At 1,12) e
neppure che i discepoli raccolgono spighe di proprietà altrui, poiché la legge mosaica lo
permetteva in caso di necessità: «Se passi tra la messe del tuo prossimo potrai coglierne
spighe con la mano, ma non mettere la falce nella messe del tuo prossimo» (Dt 23,26). Ciò
che «non è lecito», a giudizio dei farisei, è il fatto che tale gesto, considerato una piccola
«mietitura», è compiuto in giorno di sabato e tale azione era proibita dalla legge giudaica. La
succinta proibizione di lavorare di sabato contenuta nel Pentateuco (cf. Es 16,23–30;
20,8–11; 23,12; 31,12–17; 34,21; 35,1–3; Lv 23,3; Nm 15,32–36; Dt 5,12–15) nel corso del
202 Mc 2,25

tempo crebbe per opera degli studiosi della Torah fino a trasformarsi in un lungo trattato
della Mishnah. I rabbini, infatti, preoccupati di essere il più possibile precisi nell’osservanza
del sabato, specificarono come proibite le seguenti 39 attività: «seminare, arare, mietere,
legare covoni, trebbiare, spulare, mondare il raccolto, macinare, setacciare, impastare,
cucinare, tosare la lana, lavarla, cardarla, tingerla, filare, ordire, fare due maglie, tessere due
fili, separare due fili, fare un nodo, sciogliere un nodo, dare due punti, strappare per dare due
punti, cacciare un capriolo, ucciderlo, scuoiarlo, salarlo, lavorarne la pelle, raschiarne i peli,
smembrarlo, scrivere due lettere, cancellare per scrivere due lettere, fabbricare, demolire,
spegnere il fuoco, accendere il fuoco, battere con un martello, trasportare oggetti» (m.Shab.,
7,2). Ciascuno di queste norme principali richiedeva un ulteriore dibattito sulla estensione:
è qui che inizia la casuistica vera e propria. Secondo Es 34,21 era proibito arare e mietere in
giorno di sabato, ma al tempo di Gesù e della Mishnah persino raccogliere poche spighe di
grano era considerato una mietitura e, dunque, proibito.

2,25 i" 8X(g4 "ÛJ@ÃHs ?Û*XB@Jg •<X(<TJg J\ ¦B@\0Fg< )"L\* ÓJg PDg\"< §FPg<
i"Â ¦Bg\<"Fg< "ÛJÎH i"Â @Ê :gJz "ÛJ@Øs
2,25 Ma egli rispose loro: «Non avete mai letto che cosa fece Davide quando si trovò nel
bisogno ed ebbe fame, lui e i suoi compagni?

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico. Rispondere a una domanda con un’altra domanda è una
caratteristica della tecnica rabbinica nelle discussioni: ritroviamo questo fenomeno in Mc
10,3; 11,30; 12,16.24.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. La formula redazionale 8X(g4
"ÛJ@ÃH ricorre 25 volte, esclusivamente riservata a Gesù (cf. Mc 1,38; 2,8.17.25; 3,4;
4,13.35; 5,39; 6,31.38.50; 7,18; 8,17; 9,35; 10,11.24.42; 11,2.22.33; 12,16; 14,13.27.34.41).
Per quanto riguarda la formula singolare 8X(g4 "ÛJè, avente come soggetto Gesù, cf. Mc
1,41.44; 2,14; 5,9.19; 7,34; per 8X(g4 "ÛJ± cf. Mc 5,41.
?Û*XB@Jg: (da @Û*X e B@JX), avv. di tempo, indecl., mai, giammai, non mai; cf. Mc 2,12.
L’avverbio di tempo ha qui un valore interrogativo.
•<X(<TJg: verbo, 2a pers. plur. ind. aor. da •<"(4<fFiT (da •<V e (4<fFiT), riconoscere,
conoscere, leggere. Questo verbo ricorre 32 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 7 volte in Matteo (corrispondente allo 0,038% del totale delle parole); 4 volte in
Marco (cf. Mc 2,25; 12,10.26; 13,14 = 0,035%); 3 volte in Luca (0,015%); 1 volta in
Giovanni (0,006%). Nel suo significato originale il verbo •<"(4<fFiT equivale a
«conoscere bene», «riconoscere» (cf. Omero, Il., 13,734; Od., 1,216). Successivamente il
verbo acquista il significato tecnico e circoscritto di «riconoscere uno scritto», ossia «leggere»
(cf. Pindaro, Olym., 10,1; Tucidide, Hist., 3,49,4). Nel NT il verbo è usato per indicare sia
la lettura di una lettera (cf. At 15,31; 23,34; 2Cor 1,13; 3,2; Ef 3,4, ecc.), ma soprattutto la
lettura di brani tratti dall’AT (cf. Mt 12,5; 19,4; 21,16.42; 22,31; Mc 2,25; 13,14; Lc 10,26;
Mc 2,25 203

At 8,28.30.32; Gal 4,21, ecc.). Il significato prevalente del verbo è, dunque, quello tecnico
di leggere ad alta voce, in contesto liturgico o comunitario (cf. Lc 4,16; At 13,27; 15,21;
2Cor 3,15). In Marco il verbo è utilizzato sempre in forma interrogativa retorica («non avete
mai letto?»), come domanda di rimprovero che Gesù rivolge ai suoi oppositori in occasione
di dispute. La presenza della forma assoluta in Mc 13,14 è una aggiunta redazionale dovuta
probabilmente a qualche copista.
J\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24. Questo pronome interrogativo sta al posto del
relativo Ó J4 / òFJ4H («ciò che»), come avviene nei papiri e nelle iscrizioni; si tratta di un uso
piuttosto frequente nella Koiné: «Propositio relativa et interrogatio indirecta post verba
dicendi, cognoscendi etc. valde affines sunt. Hinc fit, ut hellenistice interrogativum J\ loco
pronominis relativi stare possit» (Zerwick Max, Graec., § 221). Analogo fenomeno in Mc
2,25; 4,24; 5,14; 6,36; 8,1.2; 9,6.10; 10,38; 13,11; 14,36[x2].40.68; 15,24.
¦B@\0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3.
)"L\*: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m., indecl., Davide; soggetto. Il vocabolo
ricorre 59 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 17 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,093% del totale delle parole); 7 volte in Marco (cf. Mc 2,25;
10,47.48; 11,10; 12,35.36.37 = 0,062%); 13 volte in Luca (0,067%); 2 volte in Giovanni
(0,013%). Traslitterazione grecizzata del nome proprio maschile di origine ebraica $&Ey I,
Da) wid5, forse «Diletto». L’episodio a cui si sta facendo riferimento e che vede il futuro re
David come protagonista è quello narrato in 1Sam 21,1–10: il sacerdote Achimelek di Nob
(non il Sommo sacerdote Abiatar come scrive Marco) permette a David e ai suo affamati
compagni di mangiare i pani dell’offerta che soltanto i sacerdoti potevano mangiare.
All’interno della disputa con i farisei, a proposito dei discepoli di Gesù che hanno raccolto
spighe in giorno di sabato, si intravvede un modo di pensare tipologico: se David, come typos
del messia, ha potuto annullare la legge cultuale per una necessità di sopravvivenza, tanto più
potrà farlo il Figlio dell’uomo, «padrone del sabato» (Mc 2,28).
ÓJg: cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, allorché, ogni volta che, mentre;
cf. Mc 1,32.
PDg\"<: sost., acc. sing. f. da PDg\", –"H (dalla radice di PDV@:"4 o PDZ), bisogno, necessità;
cf. Mc 2,17; compl. oggetto.
§FPg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦Bg\<"Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da Bg4<VT, avere fame, essere nel bisogno. Questo
verbo ricorre 23 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 9 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,049% del totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc 2,25; 11,12 =
0,018%); 5 volte in Luca (0,026%); 1 volta in Giovanni (0,006%). Nelle ricorrenze marciane
Bg4<VT ha sempre il significato letterale proprio corrispondente ad «aver fame» (cf. Omero,
Il., 3,25; Aristofane, Eq., 1271; Senofonte, Cyr., 1,2,11).
204 Mc 2,26

"ÛJ`H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., nom. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,8; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ê: art. determ., con valore pronominale, nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5;
soggetto. Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale
"ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
:gJz: (= :gJV), prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con,
insieme a, in compagnia di; cf. Mc 1,13.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di compagnia.

2,26 BäH gÆF­8hg< gÆH JÎ< @Éi@< J@Ø hg@Ø ¦B z!$4"hD •DP4gDXTH i" J@×H
–DJ@LH J­H BD@hXFgTH §n"(g<s @áH @Ûi §>gFJ4< n"(gÃ< gÆ :¬ J@×H ÊgDgÃHs
i"Â §*Tig< i"Â J@ÃH F×< "ÛJè @ÞF4<p
2,26 Entrò nella casa di Dio, sotto il sommo sacerdote Abiatar e mangiò i pani dell’offerta
che soltanto ai sacerdoti è lecito mangiare e ne diede anche ai suoi compagni».

BäH: avv. interrogativo di modo, indecl., come?, in quale modo?, in che senso?, perché? Il
vocabolo (da distinguere rispetto alla particella enclitica BfH, assente nei vangeli) ricorre 103
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 14 volte in Matteo (corrispondente
allo 0,076% del totale delle parole); 14 volte in Marco (cf. Mc 2,26; 3,23; 4,13.30; 5,16;
9,12; 10,23.24; 11,18; 12,26.35.41; 14,1.11 = 0,124%); 16 volte in Luca (0,082%); 20 volte
in Giovanni (0,128%). Nel greco ellenistico l’avverbio interrogativo BäH tende ad assumere
nel tempo il significato di ÓJ4.
gÆF­8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare, venire
dentro, recarsi, andare; cf. Mc 1,21. Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo
composto viene ripetuta davanti al successivo complemento indiretto, come qui; questo
fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56;
7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
@Éi@<: sost., acc. sing. m. da @Éi@H, –@L, casa, abitazione; cf. Mc 2,1; compl. di moto a luogo.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione. La «casa
di Dio» non è il Tempio di Gerusalemme, non ancora edificato all’epoca dei fatti riferiti, ma
la tenda o santuario in cui era custodita l’arca dell’alleanza (cf. Gdc 18,31; 1Sam 1,24).
¦B\: prep. propria di valore temporale, seguita dal genitivo, indecl., durante, al tempo di, per il
tempo di; cf. Mc 1,22.
Mc 2,26 205

z!$4"hVD: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m., indecl., Abiatar; compl. di
specificazione. Hapax neotestamentario. Traslitterazione grecizzata del nome proprio
maschile di origine ebraica 9; I I*"A!
G , ’Eb5ya) 5t a) r, «Il padre [Dio] dà abbondanza». Nel TM con
questo nome viene indicato il sacerdote Abiatar, figlio di Achimelek e amico di David (cf.
1Sam 22,20.21.22; 23,6.9; 30,7[x2]; 2Sam 8,17; 15,24.27.29.35[x2].36; 17,15; 19,12; 20,25;
1Re 1,7.19.25.42; 2,22.26.27.35; 4,4; 1Cr 15,11; 18,16; 24,6; 27,34). Abiatar è l’unico che
sfuggì al massacro della sua casa compiuto da Saul per eliminare i sacerdoti di Nob. Munito
di efod (il “pettorale”, presumibilmente una parte del paramento sacro del sommo sacerdote),
Abiatar si rifugiò da David chiedendone protezione. Insieme a Sadoc, dopo l’ascesa al trono
di Davide, venne insignito della carica di sommo sacerdote. Durante la ribellione di
Assalonne, Abiatar restò fedele al re David, ma più tardi insieme a Ioab sostenne Adonia
come successore al trono, al posto di Salomone. Questi, diventato re, lo risparmiò per i meriti
da lui acquisiti, ma lo mandò in esilio ad Anatot. Da allora la gerarchia dei sommi sacerdoti
si fonda su Sadoc. Rievocando il sacerdote di Nob che nutrì Davide con «i pani dell’offerta»,
Marco fa uno scambio di persona: stando al TM il sommo sacerdote del santuario non era
Abiatar, ma suo padre, il sacerdote Achimelek (cf. 1Sam 21,2): forse è per questo motivo che
nei passi paralleli di Matteo (cf. Mt 12,4) e di Luca (cf. Lc 6,4) il riferimento onomastico è
del tutto omesso, per evitare il ripetersi di tale imprecisione.
•DP4gDXTH: sost., gen. sing. m. da •DP4gDgbH, –XTH (da •DPZ e ÊgDgbH), sommo sacerdote,
capo dei sacerdoti; apposizione di z!$4"hVD. Il vocabolo ricorre 122 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 25 volte in Matteo (corrispondente allo 0,136% del
totale delle parole); 22 volte in Marco (cf. Mc 2,26; 8,31; 10,33; 11,18.27; 14,1.10.43.47.
53[x2].54.55.60.61.63.66; 15,1.3.10.11.31 = 0,195%); 15 volte in Luca (0,077%); 21 volte
in Giovanni (0,131%). Sebbene dal punto di vista linguistico il sostantivo •DP4gDgbH è
conosciuto anche nella grecità (cf. Polibio, Hist., 22,3,2; Plutarco, Num., 9,1,1), lo sfondo
religioso, culturale e istituzionale del termine usato nel greco biblico è quello giudaico, dove
•DP4gDgbH traduce il corrispettivo vocabolo ebraico -J$xI% H 0%FJƒ%
H , hakko) he)n hagga) d5o) l (cf.
Nm 35,25). Il sommo sacerdote era il supremo dignitario in campo religioso e politico della
nazione giudica, il presidente del sinedrio, il solo che avesse il diritto di espletare determinati
atti cultuali, come l’offerta del sacrificio nel solenne giorno dell’Espiazione (.*9ELƒE% H .|*,
Yôm hakkippurîm). Nel NT il vocabolo •DP4gDgbH è usato prevalentemente con significato
storico, in relazione al processo di Gesù (Vangeli) e alla persecuzione della prima comunità
(Atti). Nella lettera agli Ebrei il termine compare con significato cristologico, mentre in Mc
2,26 è usato come rinvio letterario al passo di 1Sam 21,7. Il plurale (•DP4gDgÃH, Mt 26,14;
27,6; 28,11; Mc 14,10; 15,3.10; Gv 12,10; 19,6.15.21; At 9,14.21; 26,10.12) indica di regola
il gruppo del sinedrio, costituito dal sommo sacerdote in carica, dai suoi predecessori, dai
membri dell’aristocrazia sacerdotale (cf. At 4,6), dagli scribi, dagli anziani e da alcuni
notabili (cf. Mt 26,59; Mc 14,53.55; At 22,30). Per quanto riguarda la natura e la funzione
degli •DP4gDgÃH nel processo di Gesù vedi commento a Mc 8,31; 14,53.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
206 Mc 2,26

–DJ@LH: sost., acc. plur. m. da –DJ@H, –@L, pane; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 97 volte
nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 21 volte in Matteo (corrispondente allo
0,114% del totale delle parole); 21 volte in Marco (cf. Mc 2,26; 3,20; 6,8.37.38.41[x2].
44.52; 7,2.5.27; 8,4.5.6.14[x2].16.17.19; 14,22 = 0,186%); 15 volte in Luca (0,077%); 24
volte in Giovanni (0,154%). Sebbene il vocabolo –DJ@H designi nella grecità il «pane»,
generalmente di frumento (cf. Omero, Od., 17,343), il pane qui menzionato non è quello
comune ottenuto mescolando farina d’orzo o di frumento (più costoso): si tratta del pane
azzimo, ossia senza lievito, prescritto per il culto (cf. sotto).
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
BD@hXFgTH: sost., gen. sing. f. da BD`hgF4H, –gTH (da BD@J\hg:"4), offerta; compl. di
specificazione. Il vocabolo ricorre 12 volte nel NT: Mt 12,4; Mc 2,26 (hapax marciano); Lc
6,4; At 11,23; 27,13; 8,28; 9,11; Ef 1,11; 3,11; 2Tm 1,9; 3,10; Eb 9,2. L’espressione J@×H
–DJ@LH J­H BD@hXFgTH, «i pani dell’offerta», è un semitismo di traduzione ricalcato
sull’ebraico .*1EI%
H .(G-G, lehEem happa) nîm: esprime una specificazione che in greco classico
verrebbe indicata da un semplice aggettivo («pani sacri»; «pani consacrati»: cf. –DJ@4 ž(4@4,
1Sam 21,5, LXX). Nell’AT questo pane per uso cultuale viene anche definito «pane della
presenza» (1Sam 21,7), «pane sacro» (1Sam 21,4.6), «pane perpetuo» (Nm 4,7). Le dodici
pagnotte o focacce di pane azzimo corrispondevano al numero delle tribù di Israele ed erano
«presentate», ossia offerte a Dio, alla vigilia di ogni sabato (ecco perché venivano chiamate
«pani della presentazione»): separate in due file giacevano per sette giorni su una tavola d’oro
all’interno del santuario. Passati i sette giorni venivano sostituite con altre; poiché erano state
consacrate a Dio potevano essere consumate soltanto dai sacerdoti (cf. Lv 24,9; Es 25,30).
§n"(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦Fh\T, mangiare, prendere cibo, consumare,
divorare; cf. Mc 1,6.
@àH: pron. relativo, acc. plur. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; compl. oggetto. La forma @àH
ricorre 53 volte nel NT rispetto alle 1407 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzio-
ne nei vangeli è la seguente: 1 volta in Matteo (corrispondente allo 0,005% del totale delle
parole); 6 volte in Marco (cf. Mc 2,26; 3,13.14; 12,5[x2]; 13,20 = 0,053%); 7 volte in Luca
(0,036%); 4 volte in Giovanni (0,026%).
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale. La formula @Ûi… gÆ :Z…
(gÆ :Z… @Ûi…), «non… se non…» (cf. Mc 2,26; 5,37; 6,4.5; 8,14; 13,20; cf. anche Mc
6,8; 9,9.29; 10,18; 11,13; 13,32) non è un vero semitismo, poiché è attestata anche nel greco
classico (cf. Erodoto, Hist., 2,73,1; Senofonte, Anab., 1,5,6).
§>gFJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da §>g4:4 (da ¦i e gÆ:\), è legale, è lecito, è permesso,
è possibile; cf. Mc 2,24.
n"(gÃ<: verbo, inf. aor. da ¦Fh\T, mangiare, prendere cibo, consumare, divorare; cf. Mc 1,6.
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7. La particella gÆ è qui strettamente unita alla negazione per formare la
locuzione congiuntiva gÆ :Z, «tranne», «all’infuori», «eccetto», che introduce una
Mc 2,27 207

proposizione eccettuativa. La formula, generalmente usata senza un verbo seguente, si


ritrova in Mc 2,7.26; 5,37; 6,4.5.8; 8,14; 9,9.29; 10,18; 11,13; 13,32.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
ÊgDgÃH: sost., acc. plur. m. da ÊgDgbH, –XTH, sacerdote; cf. Mc 1,44; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
§*Tig<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da *\*T:4, dare. Questo verbo ricorre 415 volte nel NT.
La distribuzione nei vangeli è la seguente: 56 volte in Matteo (corrispondente allo 0,305%
del totale delle parole); 39 volte in Marco (cf. Mc 2,26; 3,6; 4,7.8.11.25; 5,43; 6,2.7.22.23.25.
28[x2].37[x2].41; 8,6.12.37; 10,21.37.40.45; 11,28; 12,9.14[x3]; 13,11.22.24.34; 14,5.11.
22.23. 44; 15,23 = 0,345%); 60 volte in Luca (0,308%); 75 volte in Giovanni (0,480%). Il
verbo, al 9/ posto tra quelli più usati nel NT, ha il significato del generico «dare» (cf. Omero,
Il., 1,96; Od., 24,274) che di volta in volta può assumere significati lessicali più circoscritti:
«concedere», «offrire», «rendere», «donare», «presentare», ecc. L’uso linguistico di Marco
non presenta aspetti singolari: nelle 39 ricorrenze il verbo ha sempre il significato base di
«dare». Fa eccezione il loghion di Mc 10,45 (cf. ad l.) in cui *\*T:4 acquista un forte
significato teologico («donare», «sacrificare»), in riferimento all’offerta espiativa di Gesù.
i"\: cong. coordinativa di valore aggiuntivo, indecl., anche, perfino, inoltre, altresì; cf. Mc 1,4.
Il significato aggiuntivo di i"\ è presente in Mc 1,27b.38b; 2,15b.26c.28; 3,19b; 4,24b;
6,34b; 7,18b; 8,3b.7ac.38c; 9,22a; 11,25b; 12,22b; 13,29; 14,9.29.31; 15,31.40ab.43a.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
Fb<: prep. propria con valore di compagnia, seguita dal dativo, indecl., con, insieme a. Questa
preposizione ricorre 128 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 4 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,022% del totale delle parole); 6 volte in Marco (cf. Mc 2,26;
4,10; 8,34; 9,4; 15,27.32 = 0,053%); 23 volte in Luca (0,118%); 3 volte in Giovanni
(0,019%). Come avviene nell’uso classico, dove Fb< designa la compagnia solitamente di
persone (¦(ã F×< J@ÃF*g, «io solo con costoro», Omero, Od., 9,286) o la generica unione
associativa (F×< ËBB@4F4< i"Â ÐPgFn4<, «con cavalli e carri», Omero, Il., 4,297; F×<
:g(V80 •DgJ±, «con grande virtù», Omero, Od., 24,193), questa preposizione, costruita
soltanto con il dativo, viene usata nel NT con i seguenti significati: a) compagnia e unione
(«con», «insieme a»); b) strumentale («con», «tramite», «per mezzo di»). In tutte le ricorrenze
marciane Fb< è impiegata per introdurre un complemento di compagnia.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di compagnia.
@ÞF4<: verbo, dat. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da gÆ:\, essere, esistere, accadere,
essere presente; cf. Mc 1,6; compl. di termine.

2,27 i" §8g(g< "ÛJ@ÃHs IÎ FV$$"J@< *4 JÎ< –<hDTB@< ¦(X<gJ@ i" @ÛP Ò
–<hDTB@H *4 JÎ FV$$"J@<·
2,27 E disse loro: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato!
208 Mc 2,27

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’espressione [i"Â] §8g(g< "ÛJ@ÃH…, «[e] diceva loro…»; i"Â §8g(g<…, «e
diceva…», posta all’inizio di una proposizione, è usata da Marco come formula abituale di
raccordo per unire sentenze staccate o una serie di sentenze (cf. Mc 2,27; 4,11.21.24.26.30;
6,4.10; 7,9.20; 8,21; 9,1; 11,17; 14,36). L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo
(«diceva», «continuava a dire»), ma quello puntuale corrispondente a un aoristo («disse»): nel
greco classico come in quello ellenistico i cosiddetti verba dicendi, rogandi, exhortandi,
iubendi, tra i quali 8X(T, ¦BgDTJVT, ¦DTJVT, ecc., preferiscono la forma dell’azione
incompiuta (ossia il tempo imperfetto), poiché l’azione che esprimono attende sempre di
essere completata da quella indicata dal verbo successivo. Per altri esempi di questo
imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24.26.30.41;
5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70; 15,12a.14; per
quanto riguarda l’imperfetto puntuale con ¦BgDTJVT cf. Mc 5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33;
10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; con ¦DTJVT cf. Mc 4,10; 8,5.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
I`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
FV$$"J@<: sost., nom. sing. n. da FV$$"J@<, –@L, sabato (= il settimo giorno della settimana
ebraica); cf. Mc 1,21; soggetto. La forma singolare designa qui il sabato come istituzione
religiosa e civile e non come indicazione cronologica («il giorno di sabato»), espressa
mediante la forma plurale ¦< J@ÃH FV$$"F4< (Mc 2,23).
*4V: prep. propria di valore finale, seguita dall’accusativo, indecl., per, allo scopo di, a favore
di; cf. Mc 2,1.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
–<hDTB@<: sost., acc. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di fine.
¦(X<gJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@ÛP: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
–<hDTB@H: sost., nom. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17;
soggetto.
*4V: prep. propria di valore finale, seguita dall’accusativo, indecl., per, allo scopo di, a favore
di; cf. Mc 2,1.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
FV$$"J@<: sost., acc. sing. n. da FV$$"J@<, –@L, sabato (= il settimo giorno della settimana
ebraica); cf. Mc 1,21; compl. di fine.
Mc 2,28 209

2,28 òFJg ibD4`H ¦FJ4< Ò LÊÎH J@Ø •<hDfB@L i" J@Ø F"$$VJ@L.
2,28 Perciò il Figlio dell’uomo è padrone anche del sabato».

òFJg: cong. subordinativa di valore consecutivo, indecl., così che, cosicché, tanto che, al punto
che; cf. Mc 1,27. Questa congiunzione ha qui una sfumatura più conclusiva che consecutiva:
«perciò», «di conseguenza», in riferimento al paragone formulato da Gesù: se David, costretto
dalla fame, poté comportarsi in quel modo (vv. 25–26), estendendo anche ai suoi compagni
la facoltà di cibarsi, tanto più può fare il Figlio dell’uomo permettendo ai suoi discepoli di
sfamarsi. L’uso di òFJg con valore conclusivo («e così», «dunque») è conosciuto anche nel
greco classico (cf. Sofocle, Oed. tyr., 65; 857; Aristotele, Metaph., 1004a 22).
ibD4`H: sost., nom. sing. m. da ibD4@H, –@L, signore, padrone, capo, Signore (riferito a Dio e
Gesù); cf. Mc 1,3; predicato nominale. In posizione enfatica rispetto al soggetto. Analoga-
mente a quanto avviene altrove (cf. Mc 11,3; 12,9; 13,35) il termine assume qui il
significato letterale proprio di «padrone», «proprietario» (eb. -3Hv H , ba‘al), senza alcuna
designazione teologica (titolo cristologico).
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
LÊ`H: sost., nom. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; soggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•<hDfB@L: sost., gen. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di specificazione.
i"\: cong. coordinativa di valore aggiuntivo, indecl., anche, perfino, inoltre, altresì; cf. Mc 1,4.
Il significato aggiuntivo di i"\ è presente in Mc 1,27b.38b; 2,15b.26c.28; 3,19b; 4,24b;
6,34b; 7,18b; 8,3b.7ac.38c; 9,22a; 11,25b; 12,22b; 13,29; 14,9.29.31; 15,31.40ab.43a.
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
F"$$VJ@L: sost., gen. sing. n. da FV$$"J@<, –@L, sabato (= il settimo giorno della settimana
ebraica); cf. Mc 1,21; compl. di specificazione. Nella successiva letteratura giudaica il detto
di Gesù viene attribuito anche ad altri rabbini, come Yonatan ben Yoseph (140 d.C.) e
Simeone ben Menasya (180 d.C.): «Il sabato è stato dato a voi, non voi al sabato» (cf.
Strack–Bill., II,5). Sullo sfondo letterario e simbolico si staglia il comando presente in Es
16,29: «Vedete che il Signore vi ha dato il sabato!». Il modo di interpretare e vivere la legge
da parte di Gesù è radicalmente antitetico a quello dei farisei. Perché il sabato sia santo deve
rivelare la misericordia di Dio e deve essere segno di libertà per l’uomo, come lo fu la
liberazione dall’Egitto di cui il sabato fa memoria (cf. Dt 5,15). La norma dettata da Gesù
è, dunque, quella che meglio rivela la bontà di Dio. E Gesù la segue e la impone con autorità:
«Il Figlio dell’uomo è padrone anche del sabato». Non si tratta di un aforisma che
presuppone una specie di anarchia cultuale e religiosa: Gesù legge la piccola norma del
riposo non in sé stessa, ma nel contesto di tutta la Legge. Le norme sono soltanto una piccola
parte della Legge e hanno senso se viste nel contesto di quel dialogo amoroso che Dio ha
sempre avuto con il suo popolo. Nella risposta di Gesù si rivela qualcosa del suo «insegnare
210 Mc 2,28

con autorità» (cf. Mc 1,22) e del suo atteggiamento libero e sovrano. Secondo la testimonian-
za dei vangeli Gesù spesso è passato sopra alle prescrizioni del sabato, a cui i Giudei a lui
contemporanei davano un’importanza eccezionale e che osservavano con estremo rigore. Con
queste prese di posizioni a volte temerarie e addirittura pericolose per la sua stessa
incolumità, Gesù esprime la propria indipendenza dal giudizio degli uomini e mette in
evidenza una «sovranità» che si manifesta, sotto un’altra forma, anche nell’espellere i demoni
e nel risanare gli ammalati. In questa sua libertà di coscienza che, tuttavia, è adesione alla
volontà di Dio, si nasconde un annuncio di salvezza altrettanto beatificante quale è contenuto
nelle altre sue parole in cui afferma che «il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i
peccati sulla terra» (Mc 2,10). È perciò molto significativo il fatto che i due richiami al
«Figlio dell’uomo» in questo capitolo si trovino a breve distanza l’uno dall’altro: infatti il
perdono dei peccati (cf. Mc 2,10) e la liberazione dalla grettezza umana esprimono
ugualmente bene la medesima potestà salvifica di Gesù.
Mc 3,1

3,1 5" gÆF­8hg< BV84< gÆH J¬< FL<"(T(Z<. i" µ< ¦igà –<hDTB@H ¦>0D"::X-
<0< §PT< J¬< PgÃD".
3,1 Entrò di nuovo nella sinagoga. C’era là un tale che aveva un braccio paralizzato.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÆF­8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare, venire
dentro, recarsi, andare; cf. Mc 1,21. Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo
composto viene ripetuta davanti al successivo complemento indiretto, come qui; questo
fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56;
7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
FL<"(T(Z<: sost., acc. sing. f. da FL<"(T(Z, –­H, raccolta, adunanza, assemblea, riunione,
congregazione, sinagoga (forma raddoppiata di FL<V(T); cf. Mc 1,21; compl. di moto a
luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Predicato verbale.
¦igÃ: avv. di luogo, indecl., là, lì, in quel posto; cf. Mc 1,38.
–<hDTB@H: sost., nom. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17;
soggetto. Senza articolo perché anonimo e non ancora presentato. È probabile che qui il
vocabolo –<hDTB@H sia impiegato alla maniera semitica, al posto del pronome indefinito
J\H, «uno», «qualcuno», «un tale». Questo fenomeno si riscontra in Mc 1,23; 3,1; 4,26; 5,2;
7,11; 8,27.36.37; 10,7.9; 11,2; 12,1.14; 13,34.
¦>0D"::X<0<: verbo, acc. sing. f. part. perf. pass., con valore aggettivale, da >0D"\<T,
seccare, appassire, disseccare (att.); diventare secco, diventare rigido (pass.); attributo di
PgÃD" in posizione predicativa. Questo verbo ricorre 15 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 3 volte in Matteo (corrispondente allo 0,016% del totale delle parole);
6 volte in Marco (cf. Mc 3,1; 4,6; 5,29; 9,18; 11,20.21 = 0,053%); 1 volta in Luca (0,005%);
1 volta in Giovanni (0,006%). Nella diatesi attiva transitiva il verbo >0D"\<T è usato nella
grecità nel significato di «asciugare», «seccare», «inaridire» (cf. Tucidide, Hist., 1,109,4;
Senofonte, Mem., 4,3,8); nella diatesi passiva corrisponde a «seccarsi», «essere asciugato»
(cf. Omero, Il., 21,345; Platone, Tim., 88d). Qui, riferito al «braccio» (cf. sotto), corrisponde
all’aggettivo >0D`H del v. 3 e sta per «paralizzato».
§PT<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. Participio predicativo del soggetto
–<hDTB@H.

211
212 Mc 3,2

JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
PgÃD": sost., acc. sing. f. da Pg\D, Pg4D`H, mano; cf. Mc 1,31; compl. oggetto. Poiché la mano
agisce attraverso la forza del braccio, nel greco classico il termine può indicare per
estensione anche il «braccio», fino alla spalla (cf. Omero, Il., 6,81; Erodoto, Hist., 2,121,g4).
Questo significato si riscontra anche nel linguaggio biblico, dove il vocabolo Pg\D può
riferirsi all’intero braccio, come avviene nei LXX che talvolta traducono l’ebraico $H*, yad5,
«mano», con $D"P\T<, «braccio». In 1Re 13,4, si riferisce che «il re stese il braccio (eb. $H*;
greco $D"P\T<) che gli rimase paralizzato (>0D"\<T) e non poté avvicinarlo al corpo». Qui
come altrove (cf. Mc 1,31.41; 3,1.3.5[x2]; 5,41; 7,32; 8,23; 9,27.43) l’articolo, forse, sta a
indicare il braccio per eccellenza, ossia quello destro, come esplicitamente viene riferito nel
passo parallelo di Lc 6,6 (º PgÂD "ÛJ@Ø º *g>4V).

3,2 i"Â B"DgJZD@L< "ÛJÎ< gÆ J@ÃH FV$$"F4< hgD"BgbFg4 "ÛJ`<s Ë<" i"J0(@DZ-
FTF4< "ÛJ@Ø.
3,2 Lo osservavano con attenzione per vedere se lo avesse guarito in giorno di sabato, per
poi accusarlo.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


B"DgJZD@L<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da B"D"J0DXT (da B"DV e J0DXT), guardare
assiduamente, osservare attentamente, sorvegliare, spiare. Questo verbo ricorre 6 volte nel
NT: Mc 3,2 (hapax marciano); Lc 6,7; 14,1; 20,20; At 9,24; Gal 4,10. Imperfetto durativo
o iterativo per indicare il protrarsi di questa osservazione. Conforme alla sua etimologia il
verbo B"D"J0DXT è usato nella grecità — nella diatesi sia attiva che media — nel
significato di «guardare con attenzione», «sorvegliare» (cf. Polibio, Hist., 1,29,4; Aristotele,
Hist. anim., 620a 8; Esopo, Fab., 156,1; 165,1; 219,2; 211,1). Il verbo è particolarmente
pregnante poiché nei papiri è usato per indicare la vigilanza attenta su delinquenti e
condannati. Nel nostro passo il soggetto esplicito è assente: dal contesto siamo informati che
si tratta ancora dei farisei, menzionati in Mc 2,24 e alla fine dell’episodio (cf. Mc 3,6).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7. La particella è qui usata per introdurre una proposizione interrogativa
indiretta, analogamente a Mc 8,23; 10,2; 15,44.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
FV$$"F4<: sost., dat. plur. n. da FV$$"J@<, –@L, sabato (= il settimo giorno della settimana
ebraica); cf. Mc 1,21; compl. di tempo determinato. Marco impiega il caso dativo con valore
temporale 12 volte: Mc 1,21; 2,24; 3,2.4; 6,21; 11,12; 12,2; 14,12.30; 15,34; 16,2.9. Altrove
il dativo temporale è retto dalla preposizione ¦< (cf. Mc 1,9; 2,19.20.23; 4,35; 8,1; 10,30[x2];
12,23; 13,11.17.24; 14,2; 15,7.29).
Mc 3,3 213

hgD"BgbFg4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. da hgD"BgbT, riparare, guarire, curare, ridare
salute; cf. Mc 1,34. L’uso di un tempo futuro in una proposizione condizionale è corretto,
anche se raro.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
i"J0(@DZFTF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. da i"J0(@DXT, parlare contro,
accusare. Questo verbo ricorre 23 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
2 volte in Matteo (corrispondente allo 0,011% del totale delle parole); 3 volte in Marco (cf.
Mc 3,2; 15,3.4 = 0,027%); 4 volte in Luca (0,021%); 3 volte in Giovanni (0,019%). Esempio
di congiuntivo volitivo, di valore finale (cf. anche Mc 3,14). Nell’uso classico il verbo
i"J0(@DXT esprime un generico «parlare contro» (cf. Platone, Min., 320e); più spesso
assume il significato tecnico di «accusare» in ambito forense (cf. Erodoto, Hist., 8,60,1;
Aristofane, Pl., 1073; Platone, Menex., 244e; Demostene, Or., 21,5). In tutte le ricorrenze
neotestamentarie (a eccezione di Rm 2,15) il verbo è usato in tale senso giuridico e nei
sinottici sempre in riferimento a Gesù.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto. La forma genitiva è retta dal verbo
i"J0(@DXT.

3,3 i" 8X(g4 Jè •<hDfBå Jè J¬< >0D< PgÃD" §P@<J4s }+(g4Dg gÆH JÎ :XF@<.
3,3 Egli disse all’uomo che aveva il braccio paralizzato: «Alzati, mettiti in mezzo!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
•<hDfBå: sost., dat. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di termine.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
>0DV<: agg. qualificativo, acc. sing. f. da >0D`H, –Z, –`<, asciutto, secco, arido; attributo di
PgÃD". Il vocabolo ricorre 8 volte nel NT: Mt 12,10; 23,15; Mc 3,3 (hapax marciano); Lc
6,6.8; 23,31; Gv 5,3; Eb 11,29. Nella grecità l’aggettivo >0D`H sta per «secco», «asciutto»,
detto di occhi, sudore, cibi, fiumi, ecc. (cf. Eschilo, Sept., 696; Euripide, Or., 389; Aristofane,
Nub., 404; Platone, Phaedr., 239c; Erodoto, Hist., 5,45,1). Riferito al «braccio» equivale a
«inaridito», ossia, nel linguaggio medico, «paralizzato».
214 Mc 3,4

PgÃD": sost., acc. sing. f. da Pg\D, Pg4D`H, mano; cf. Mc 1,31; compl. oggetto. Qui come
altrove (cf. Mc 1,31.41; 3,1.3.5[x2]; 5,41; 7,32; 8,23; 9,27.43) l’articolo sta a indicare, forse,
il braccio (o la mano) per eccellenza, ossia quello destro.
§P@<J4: verbo, dat. sing. m. part. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. Participio attributivo del complemento
di termine •<hDfBå, in posizione enfatica.
}+(g4Dg: verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. da ¦(g\DT, svegliare, alzare, sollevare, risorgere
[i morti] (trans.); svegliarsi, alzarsi, sollevarsi, risorgere [dai morti] (intr.); cf. Mc 1,31.
L’espressione }+(g4Dg gÆH JÎ :XF@<, lett. «alzati nel mezzo», è ellittica, ma facilmente
comprensibile; deve essere integrata con la forma verbale imperativa «mettiti», implicitamen-
te presente nella preposizione gÆH che esprime un movimento verso il centro della scena.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
:XF@<: sost., acc. sing. n. da :XF@H, –@L, medio, mezzo; compl. di moto a luogo. Il vocabolo
ricorre 58 volte nel NT come sostantivo, aggettivo, avverbio o preposizione impropria. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 7 volte in Matteo (corrispondente allo 0,038% del
totale delle parole); 5 volte in Marco (cf. Mc 3,3; 6,47; 7,31; 9,36; 14,60 = 0,044%); 14 volte
in Luca (0,072%); 6 volte in Giovanni (0,038%). Nella grecità il sostantivo :XF@H (lat.
medius) esprime il concetto di «centro» come riferimento sia spaziale (cf. Omero, Il., 1,481;
Od., 5,326) sia temporale (cf. Omero, Il., 21,111; Erodoto, Hist., 4,181,4) sia modale, per
indicare ciò che è «medio» per condizione sociale, politica, economica, ecc. (cf. Erodoto,
Hist., 1,107,2; Tucidide, Hist., 6,54,2). La locuzione avverbiale gÆH JÎ :XF@<, «in mezzo»
(= classico :XFF@<: Omero, Il., 12,167; Od., 14,300) corrisponde alla analoghe formule gÆH
:XF@< (cf. Mc 14,60) e ¦< :XFå (cf. Mc 6,47; 9,36).

3,4 i" 8X(g4 "ÛJ@ÃHs }+>gFJ4< J@ÃH FV$$"F4< •("hÎ< B@4­F"4 ´ i"i@B@4­F"4s
RLP¬< FäF"4 ´ •B@iJgÃ<"4p @Ê *¥ ¦F4fBT<.
3,4 Poi domandò loro: «È lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare
una vita o distruggerla?». Ma essi tacevano.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. La formula redazionale 8X(g4
"ÛJ@ÃH ricorre 25 volte, esclusivamente riservata a Gesù (cf. Mc 1,38; 2,8.17.25; 3,4;
4,13.35; 5,39; 6,31.38.50; 7,18; 8,17; 9,35; 10,11.24.42; 11,2.22.33; 12,16; 14,13.27.34.41).
Per quanto riguarda la formula singolare 8X(g4 "ÛJè, avente come soggetto Gesù, cf. Mc
1,41.44; 2,14; 5,9.19; 7,34; per 8X(g4 "ÛJ± cf. Mc 5,41.
Mc 3,4 215

}+>gFJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da §>g4:4 (da ¦i e gÆ:\), è legale, è lecito, è
permesso, è possibile; cf. Mc 2,24.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
FV$$"F4<: sost., dat. plur. n. da FV$$"J@<, –@L, sabato (= il settimo giorno della settimana
ebraica); cf. Mc 1,21; compl. di tempo determinato. Marco impiega il caso dativo con valore
temporale 12 volte: Mc 1,21; 2,24; 3,2.4; 6,21; 11,12; 12,2; 14,12.30; 15,34; 16,2.9. Altrove
il dativo temporale è retto dalla preposizione ¦< (cf. Mc 1,9; 2,19.20.23; 4,35; 8,1; 10,30[x2];
12,23; 13,11.17.24; 14,2; 15,7.29).
•("h`<: agg. qualificativo, di valore sostantivato, acc. sing. n. da •("h`H, –Z, –`<, buono,
utile; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 125 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 16 volte in Matteo (corrispondente allo 0,087% del totale delle parole); 4 volte in
Marco (cf. Mc 3,4; 10,17.18[x2] = 0,035%); 16 volte in Luca (0,082%); 3 volte in Giovanni
(0,019%). Nell’uso classico l’aggettivo sostantivato •("h`H significa «il bene», «il buono»
in senso generico, ossia tutto ciò che è connesso con il benessere dell’uomo (cf. Senofonte,
Mem., 2,4,2; Tucidide, Hist., 5,27,2; Aristofane, Ranae, 1487): l’aspetto specifico di questo
bene cambia a seconda delle concrete situazioni della vita e dell’essere. Nel greco ellenistico
l’aggettivo sostantivato •("h`H assume un significato specificamente religioso, equivalente
a salvezza ottenuta mediante la divinizzazione o il Nous (scritti ermetici). Nei LXX il
vocabolo traduce quasi sempre il corrispettivo ebraico "|), Et ôb5. Diversamente dall’idea del
Bene nel mondo greco, inteso come concetto estetico, nella Bibbia il bene è legato alla
concezione morale e religiosa di un Dio personale e misericordioso che guida la storia del
suo popolo con azioni concrete.
B@4­F"4: verbo, inf. aor. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere, compiere; cf. Mc 1,3;
soggetto.
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9.
i"i@B@4­F"4: verbo, inf. aor. da i"i@B@4XT, fare male, danneggiare; soggetto. Questo
verbo ricorre 4 volte nel NT: Mc 3,4 (hapax marciano); Lc 6,9; 1Pt 3,17; 3Gv 1,11. Nella
grecità i"i@B@4XT viene usato nel significato di «fare del male», «nuocere», «danneggiare»,
non necessariamente limitato all’ambito etico (cf. Aristofane, Pax, 731; Senofonte, Mem.,
3,5,26; Polibio, Hist., 13,4,1).
RLPZ<: sost., acc. sing. f. da RLPZ, –­H, anima, vita, uomo; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre
103 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 16 volte in Matteo (corrispon-
dente allo 0,087% del totale delle parole); 8 volte in Marco (cf. Mc 3,4; 8,35[x2].36.37;
10,45; 12,30; 14,34 = 0,071%); 14 volte in Luca (0,072%); 10 volte in Giovanni (0,064%).
Senza articolo perché si tratta di vita indeterminata: la vita in genere, sia quella umana che
animale. Sebbene nel NT i vocaboli Fä:" e RLPZ possono essere tra loro distinti e
contrapposti (cf. il binomio corpo/anima in Mt 10,28), qui il termine RLPZ non indica la
parte spirituale dell’uomo (= l’anima immortale e immateriale), come avviene nel greco
classico a partire dal VI secolo d.C. (cf. Platone, Apol., 29e), ma secondo la concezione
antropologica anticotestamentaria l’uomo intero. Nei LXX, infatti, RLPZ è termine
privilegiato per tradurre l’ebraico –5G1G, nep) eš, «gola», «respiro», usato più di 750 volte per
indicare l’uomo come essere che respira, l’essere vivente (cf. Gn 2,7). Nel concetto biblico
216 Mc 3,4

RLPZ indica la forza vitale dell’uomo, l’uomo stesso, capace di sensazioni, sentimenti e atti
di volontà: non è una entità più nobile ed elevata rispetto al «corpo» (come ritiene la
concezione dualistica ellenistica fondata sulla speculazione platonica), ma caratterizza
l’uomo nella sua completa vitalità. Nel nostro loghion RLPZ ha un significato metonimico
poiché designa la vita umana in generale, l’uomo come tale. È molto probabile, tuttavia, che
qui il termine RLPZ sia utilizzato alla maniera semitica, per indicare l’uomo come individuo
circoscritto, ossia nel significato di «persona», «uno», «qualcuno», come avviene per il
corrispettivo ebraico –5G1G, nep) eš, usato spesso nel TM in questo senso (cf. Es 12,15; 16,19;
31,14; Lv 2,1; 4,2; 5,1.2.4.15.17.21; 7,18.20.21.25.27; 17,12.15; 18,29; 19,8; 20,6; 22,3.4.6;
23,29.30; Nm 5,6; 9,13; 15,27.28.30.31; 19,13.20.22; 30,3.13; Ez 18,4.20).
FäF"4: verbo, inf. aor. da Fæ.T, guarire, sanare, salvare; soggetto. Questo verbo ricorre 106
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 15 volte in Matteo (cf. Mt 1,21;
8,25; 9,21.22[x2]; 10,22; 14,30; 16,25; 19,25; 24,13.22; 27,40.42[x2].49, corrispondente allo
0,082% del totale delle parole); 15 volte in Marco (cf. Mc 3,4; 5,23.28.34; 6,56; 8,35[x2];
10,26.52; 13,13.20; 15,30.31[x2]; 16,16 = 0,133%); 17 volte in Luca (cf. Lc 6,9; 7,50;
8,12.36.48.50; 9,24[x2]; 13,23; 17,19; 18,26.42; 19,10; 23,35[x2].37.39 = 0,087%); 6 volte
in Giovanni (cf. Gv 3,17; 5,34; 10,9; 11,12; 12,27.47 = 0,038%). Nel greco classico
l’accezione fondamentale del verbo causativo denominativo Fæ.T è quella di «salvare»
qualcuno da un pericolo incombente, spesso mortale (cf. Omero, Il., 15,290; Od., 5,130;
Platone, Symp., 220c). Limitatamente all’ambito della salute il verbo viene raramente
impiegato nel senso di «salvare» dalla malattia, ossia «guarire», «sanare» (cf. Plutarco, Quom.
adul., 55,c,11). Nel greco biblico Fæ.T è particolarmente pregnante. Nei LXX, in quasi tre
quinti delle ricorrenze il verbo viene usato come corrispondente di 3– I I*, ya) ša) ‘ («salvare»,
«liberare», «aiutare»), per indicare la salvezza offerta da Dio. L’uso di Fæ.T nel NT è
positivamente ambiguo: può significare sia la “salvazione” fisica, ossia la guarigione da
qualche malattia sia la liberazione dalla morte sia, infine, la salvezza teologica dal peccato
e dalla morte eterna. L’uso ristretto di Fæ.T in Mc 15,30–31, in particolare l’affermazione
–88@LH §FTFg<, «ha salvato altri», detta dagli avversari nei riguardi del Crocifisso,
riconosce che Gesù ha compiuto questa opera di salvezza nei confronti di altri. Questo
«sanare/salvare» di Gesù non riguarda soltanto alcune parti del corpo, ma la totalità della
persona (cf. Mc 5,34; 8,35; 10,26.52; 13,13.20; 16,16). In particolare l’espressione º B\FJ4H
F@L FXFTiX< Fg, «la tua fede ti ha salvato» (cf. Mc 5,34; 10,52), lascia intendere che il
potere di sanazione di Gesù non si limita alla guarigione fisica o settoriale, ma investe
l’interezza della persona. In tal senso la «sanazione» offerta da Gesù assume una dimensione
soteriologica globale. Anche la legislazione rabbinica prevedeva delle deroghe alla severa
prassi circa il riposo sabatico, in particolare quando si trattava di salvare una vita umana: «Per
qualsiasi dubbio di pericolo di vita si può profanare il sabato. Se, pertanto, un muro crolla
addosso a qualcuno e non si sa bene se egli si trovi o non si trovi sotto le macerie, se sia vivo
o morto, se sia un pagano o un israelita, si possono rimuovere le macerie sopra di lui. Se egli
è ancora in vita si continua a scavare, se è morto si sospende il lavoro» (m.Yom., 8,6–7).
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9.
•B@iJgÃ<"4: verbo, inf. aor. da •B@iJg\<T (da •B` e iJg\<T), uccidere, distruggere, far
perire; soggetto. Questo verbo ricorre 74 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
Mc 3,5 217

seguente: 13 volte in Matteo (corrispondente allo 0,071% del totale delle parole); 11 volte
in Marco (cf. Mc 3,4; 6,19; 8,31; 9,31[x2]; 10,34; 12,5[x2].7.8; 14,1 = 0,097%); 12 volte in
Luca (0,062%); 12 volte in Giovanni (0,077%). Nell’uso classico a partire da Omero il
verbo •B@iJg\<T è impiegato prevalentemente nel senso letterale proprio di «uccidere»,
«far morire» (cf. Omero, Il., 6,414; Od., 23,121). Nel NT il verbo è usato nella maggior parte
delle ricorrenze per descrive la fine violenta della vita umana a opera di altri uomini o per
altre cause naturali.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5; soggetto. Uso pronominale
dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello], egli, lui,
esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
¦F4fBT<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da F4TBVT, stare zitto, rimanere in silenzio, tacere.
Questo verbo ricorre 10 volte nel NT: Mt 20,31; 26,63; Mc 3,4; 4,39; 9,34; 10,48; 14,61; Lc
1,20; 19,40; At 18,9. Imperfetto durativo o iterativo per indicare il protrarsi di questo silenzio.
Analogamente a quanto avviene nel greco classico (cf. Omero, Il., 2,280; 23,568; Aristofane,
Lys., 529) il verbo F4TBVT simile quanto a significato a F4(VT (non presente in Marco)
ricorre negli scritti neotestamentari nella forma intransitiva per indicare uno stato di completo
silenzio che può essere di Gesù (cf. Mc 14,16), dei suoi discepoli (cf. Mc 9,34), dei suoi
avversari (cf. Mc 3,4) o anche metaforicamente delle forze della natura (cf. Mc 4,39).

3,5 i"Â BgD4$8gRV:g<@H "ÛJ@×H :gJz ÏD(­Hs FL88LB@b:g<@H ¦BÂ J± BTDfFg4


J­H i"D*\"H "ÛJä< 8X(g4 Jè •<hDfBås }+iJg4<@< J¬< PgÃD". i" ¦>XJg4<g<
i" •Bgi"JgFJVh0 º PgÂD "ÛJ@Ø.
3,5 E guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza del loro cuore,
disse a quell’uomo: «Stendi il braccio!». Egli lo stese e il suo braccio fu guarito.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


BgD4$8gRV:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. aor. medio da BgD4$8XBT (da BgD\ e $8XBT),
guardare intorno. Questo verbo semideponente ricorre 7 volte nel NT: Mc 3,5.34; 5,32; 9,8;
10,23; 11,11; Lc 6,10. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH. Nella grecità
il verbo BgD4$8XBT nella diatesi sia attiva che media assume il significato base di
«guardare attorno», «osservare con attenzione» (cf. Aristofane, Eccl., 403; Diodoro Siculo,
Bibl., 16,32,2; Polibio, Hist., 9,17,6). In Marco un simile «sguardo circolare» è riferito quasi
esclusivamente a Gesù (cf. Mc 3,5.34; 5,32; 10,23; 11,11). È uno sguardo che lascia
trasparire intima padronanza di sé e spirito di osservazione, ma che intende anche attrarre
l’attenzione su un determinato ordine di idee. In pratica si tratta di uno sguardo che esprime
ed esige un forte coinvolgimento.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
:gJz: (= :gJV), prep. propria di valore modale, seguita dal genitivo, indecl., con; cf. Mc 1,13.
218 Mc 3,5

ÏD(­H: sost., gen. sing. f. da ÏD(Z, –­H, rabbia, ira, indignazione; compl. di modo. Il vocabolo
ricorre 36 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 3,7; Mc 3,5 (hapax
marciano); Lc 3,7; 21,23. Nel greco classico il sostantivo ÏD(Z, oltre a essere usato
nell’accezione generica di «impulso», «sentimento», «disposizione interiore» (cf. Eschilo,
Prom., 378; Tucidide, Hist., 8,83,3), viene impiegato per descrivere uno stato d’animo che
corrisponde ai vocaboli «ira», «collera» (cf. Eschilo, Prom., 190; Erodoto, Hist., 6,85,2;
Tucidide, Hist., 1,92; Aristofane, Pax, 659). Nella maggior parte delle ricorrenze neotesta-
mentarie ÏD(Z è usato per esprimere l’«ira di Dio», ossia come formula escatologica di
giudizio che può tramutarsi in punizione o salvezza. Anche nel nostro passo il vocabolo deve
essere inteso in questa accezione: il sentimento provato da Gesù non è l’ira umana (passione
sempre condannata nel NT: Gal 5,20; Col 3,8; Ef 4,31), ma la «collera» divina, lo zelo, il
sacro sdegno della misericordia che nasce dall’amore ferito, l’indignazione per ogni volontà
contraria al bene (cf. Dt 9,7.8.22; Is 60,10; Sal 6,2; 38,2). L’ira di Dio (e di Gesù) nasce dalla
fedeltà misericordiosa all’alleanza: se questa misericordia divina incontra l’avversa e infedele
volontà dell’uomo l’amore si trasforma in condanna e reazione, in vista del recupero.
FL88LB@b:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. pres. pass. da FL88LBX@:"4 (da Fb< e 8LBXT),
rattristarsi, commuoversi, addolorarsi. Hapax neotestamentario. Participio predicativo del
soggetto sottinteso z30F@ØH. La particolare forma verbale formata dal prefisso Fb<– per
indicare coinvolgimento e intensità è rara nel greco biblico (cf. Is 51,19; Sal 69,21), anche
se attestata in quello classico (cf. Erodoto, Hist., 6,39,2; Antifonte, Tetral. II, 8,7).
¦B\: prep. propria di valore causale, seguita dal dativo, indecl., per, a causa di; cf. Mc 1,22.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
BTDfFg4: sost., dat. sing. f. da BfDTF4H, –gTH, indurimento, durezza, ottusità, caparbietà,
testardaggine; compl. di causa. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mc 3,5 (hapax
marciano); Rm 11,25; Ef 4,18. Marco è il solo degli evangelisti a usare il sostantivo
BfDTF4H e condivide con Gv 12,40 l’uso del corrispondente verbo BTD`T (cf. Mc 6,52;
8,17). Questi termini, derivati da BäDTH, «tufo», «pietra porosa», nel greco biblico sono
usati metaforicamente per indicare l’impenetrabile indurimento e ostinazione del popolo, dei
farisei e dei discepoli, i quali involontariamente, ma più spesso deliberatamente, rifiutano il
messaggio divino. Il tema del cuore indurito, tipico del linguaggio anticotestamentario, indica
un atteggiamento di incomprensione e incredulità e spesso perfino di aperta ostilità
dell’uomo nei riguardi di Dio (cf. Es 4,21; 7,3.13; 14,17; Dt 15,7; 29,18; Gs 11,20; Sal
81,13; 95,8; Pr 28,14; Is 63,17; Ger 3,17; 7,24; 9,13; 13,10; 16,12; 23,17; Ez 3,7). Come tale
è ritenuto peccaminoso. L’espressione BfDTF4H J­H i"D*\"H, «durezza di cuore» (da
integrare con Mc 6,52; 8,17) corrisponde sul piano concettuale alla Fi80D@i"D*\",
«durezza di cuore» di Mc 10,5; 16,14 e al «cuore incirconciso» (i"D*\" •BgD\J:0J@H),
più volte lamentato nella Bibbia per indicare la volontà recalcitrante del popolo nei riguardi
di Dio (cf. Lv 26,41; Ger 9,25; Ez 44,7; At 7,51).
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
i"D*\"H: sost., gen. sing. f. da i"D*\", –"H, cuore; cf. Mc 2,6; compl. di specificazione.
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
Mc 3,5 219

genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona plurale


(«di essi» = «loro»).
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2. L’articolo individuante, specie
anaforico, definito da Girolamo «singularitatis significator», «indicatore di un solo
individuo» (Girolamo, Transl. hom., 35,7, traduzione dell’originale greco di Origene,
Homiliae in Lucam), talvolta ha in sé tanta forza da richiedere nella traduzione un pronome
dimostrativo, come nel nostro caso. Analogo fenomeno in Mc 5,8; 7,5.
•<hDfBå: sost., dat. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di termine.
}+iJg4<@<: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da ¦iJg\<T (da ¦i e Jg\<T), tendere avanti,
stendere, allungare; cf. Mc 1,41.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
PgÃD": sost., acc. sing. f. da Pg\D, Pg4D`H, mano; cf. Mc 1,31; compl. oggetto. Qui come
altrove (cf. Mc 1,31.41; 3,1.3.5[x2]; 5,41; 7,32; 8,23; 9,27.43) l’articolo sta a indicare, forse,
il braccio (o la mano) per eccellenza, ossia quello destro.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦>XJg4<g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦iJg\<T (da ¦i e Jg\<T), tendere avanti, stendere,
allungare; cf. Mc 1,41.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•Bgi"JgFJVh0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da •B@i"h\FJ0:4 (da •B` e i"h\FJ0-
:4), ripristinare allo stato precedente, ristabilire, ricostituire, risanare. Questo verbo ricorre
8 volte nel NT: Mt 12,13; 17,11; Mc 3,5; 8,25; 9,12; Lc 6,10; At 1,6; Eb 13,19. Nella grecità
profana come in quella biblica il verbo •B@i"h\FJ0:4 è usato non soltanto nel senso
letterale proprio di «restituire» una proprietà, «riparare» una costruzione, «guarire» una
malattia, ecc. (cf. Plutarco, Alex., 7,3,3; Polibio, Hist., 3,98,7; Gb 5,18, LXX), ma anche in
quello figurato di «rinnovare» il mondo, «ripristinare» il potere, ecc. (cf. Polibio, Hist.,
23,17,1). Nei LXX, ad esempio, •B@i"h\FJ0:4 ricorre con il significato specifico della
reintegrazione o ristabilimento di Israele alla fine dei tempi, dopo la dispersione dell’esilio
(cf. Sal 14,7; 85,2; Ger 16,15; 23,8; 24,6; Os 11,11). Qui, tuttavia, non è possibile scorgere
tale impronta teologica (allusione alla •B@i"JVFJ"F4H messianica): il verbo deve essere
inteso nel significato letterale di «risanare» in senso fisico (= «guarire»).
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
Pg\D: sost., nom. sing. f. da Pg\D, Pg4D`H, mano; cf. Mc 1,31; soggetto. Qui come altrove (cf.
Mc 1,31.41; 3,1.3.5[x2]; 5,41; 7,32; 8,23; 9,27.43) l’articolo sta a indicare, forse, il braccio
(o la mano) per eccellenza, ossia quello destro.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
220 Mc 3,6

genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare


(«di lui» = «suo»).

3,6 i" ¦>g8h`<JgH @Ê M"D4F"Ã@4 gÛh×H :gJ Jä< {/Då*4"<ä< FL:$@b84@<


¦*\*@L< i"Jz "ÛJ@Ø ÓBTH "ÛJÎ< •B@8XFTF4<.
3,6 Allora i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui sul
modo di eliminarlo.

i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.
21.26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.
48a.50.53a.65a.72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\, di influsso semitico, acquista
il significato avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica), per introdurre come
formula paratattica di passaggio una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra
unità narrativa.
¦>g8h`<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori,
uscire; cf. Mc 1,25. Participio predicativo del soggetto M"D4F"Ã@4.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
M"D4F"Ã@4: sost., nome proprio di gruppo religioso, nom. plur. m. da M"D4F"Ã@H, –@L, farisei;
cf. Mc 2,16; soggetto.
gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
:gJV: prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con, insieme a, in
compagnia di; cf. Mc 1,13.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
{/Då*4"<ä<: sost., nome proprio di setta, gen. plur. m. da {/Då*4"<@\, –ä< (plurale di una
parola derivata da {/Dæ*0H), Erodiani (= membri del partito di Erode); compl. di
compagnia. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mt 22,16; Mc 3,6; 12,13. Non sappiamo
quasi nulla di questo presunto gruppo o partito, a partire dalla stessa terminologia. La forma
neotestamentaria {/Då*4"<@\ (con la desinenza in –ianoi) non è la forma greca utilizzata
ordinariamente per i nomi collettivi: ci si aspetterebbe {/Då*gÃ@4 (che ricorre una sola volta
in Giuseppe Flavio per designare «i fautori di Erode»: Id., Bellum, 1,319) oppure {/Då*4-
FJ"\ (forma non attestata nella letteratura). La forma neotestamentaria {/Då*4"<@\ sembra
basata su una teorica forma latina Herodiani (essendo –iani una desinenza latina regolare),
analogamente a quanto avviene per il sostantivo greco con desinenza latina OD4FJ4"<@\,
«cristiani» (cf. At 11,26; 26,28; 1Pt 4,16), utilizzato per designare, forse all’origine in senso
dispregiativo, i servi o i seguaci del Cristo crocifisso. Alla luce di questo parallelo
neotestamentario non sembra che gli Erodiani costituissero una setta religiosa: erano
probabilmente i domestici della casa di Erode, i suoi funzionari o uomini di corte e più in
generale i Giudei che parteggiavano per la politica filoromana di Erode Antipa. Se questa
designazione è vera, gli Erodiani corrisponderebbero a coloro che Giuseppe Flavio definisce
Mc 3,7 221

anche mediante la circonlocuzione @Ê J {/Df*@L nD@<@Ø<JgH, «quelli che sostenevano


la parte [o partito] di Erode» (cf. Id., Antiq., 14,450) o più genericamente @Ê J@Ø {/Df*@L,
«quelli di Erode» (cf. Id., Antiq., 17,41).
FL:$@b84@<: sost., acc. sing. n. da FL:$@b84@<, –@L, consiglio, consulta, deliberazione,
riunione; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 8 volte nel NT: Mt 12,14; 22,15; 27,1.7; 28,12;
Mc 3,6; 15,1; At 25,12. Il termine FL:$@b84@< è di stampo ellenistico (cf. Plutarco, Romul.,
14,3,4), usato in particolar modo negli scritti neotestamentari e in quelli cristiani.
¦*\*@L<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26. Imperfetto durativo o
iterativo per indicare il protrarsi di questa riunione. L’espressione FL:$@b84@< *@Ø<"4, lett.
«dare consiglio», è piuttosto insolita nella lingua greca, diversamente dalle più comuni
FL:$@b84@< B@4gÃ<, «fare consiglio» (latinismo per consilium facere, cf. Mc 15,1) e
FL:$@b84@< 8"$gÃ<, «tenere consiglio» (Mt 12,14).
i"Jz: (= i"JV), prep. propria di valore avversativo, seguita dal genitivo, indecl., contro; cf. Mc
1,27.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione.
ÓBTH: (da ÓH e BäH), cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, per, perché. Questa
congiunzione ricorre 53 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 17 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,093% del totale delle parole); 1 volta in Marco (cf. Mc 3,6,
hapax marciano); 7 volte in Luca (0,036%); 1 volta in Giovanni (0,006%). Dopo i verbi di
preghiera (cf. Mt 9,38; Lc 10,2) e di decisione (cf. Mt 12,14; 22,15; Mc 3,6) la congiunzione
ÓBTH, pur conservando il suo fondamentale valore finale, è usata in luogo dell’infinito.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
•B@8XFTF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. da •B`88L:4 (da •B` e la radice di
Ð8ghD@H), perdere, rovinare, distruggere, togliere di mezzo, sopprimere, uccidere; cf. Mc
1,24.

3,7 5"Â Ò z30F@ØH :gJ Jä< :"h0Jä< "ÛJ@Ø •<gPfD0Fg< BDÎH J¬< hV8"FF"<s
i" B@8× B8­h@H •BÎ J­H '"848"\"H [²i@8@bh0Fg<]s i" •BÎ J­H z3@L*"\"H
3,7 Gesù, intanto, si ritirò presso il mare con i suoi discepoli. Ma una grande folla
proveniente dalla Galilea, dalla Giudea,

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
:gJV: prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con, insieme a, in
compagnia di; cf. Mc 1,13.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
222 Mc 3,7

:"h0Jä<: sost., gen. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; compl. di compagnia.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
•<gPfD0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •<"PTDXT (da •<V e PTDXT), andare
indietro, ritornare, ritirarsi. Questo verbo ricorre 14 volte nel NT: Mt 2,12.13.14.22; 4,12;
9,24; 12,15; 14,13; 15,21; 27,5; Mc 3,7 (hapax marciano); Gv 6,15; At 23,19; 26,31. Il verbo
indica nel greco classico un generico movimento fisico, spesso ulteriormente specificato
dall’uso delle preposizioni (cf. Omero, Il., 4,305; 10,210; Tucidide, Hist., 1,30,2).
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
hV8"FF"<: sost., acc. sing. f. da hV8"FF", –0H, mare; cf. Mc 1,16; compl. di moto a luogo.
Nei versetti 7–8 è presente un problema di punteggiatura e conseguentemente di diversa
interpretazione. Si danno sostanzialmente tre possibilità: a) la maggior parte dei commentatori
pone il punto dopo '"848"\"H, ritiene autentica la lezione ²i@8@bh0Fg<, assegna al
secondo i"\ del v. 7 un valore copulativo e traduce: «Gesù, intanto, si ritirò presso il mare
con i suoi discepoli e lo seguiva molta folla dalla Galilea. Dalla Giudea… una folla
enorme… si recò da lui»; b) altri, pur assegnando un valore copulativo al secondo i"\ e
accettando la lezione ²i@8@bh0Fg<, pongono il punto alla fine del versetto 8, poiché
considerano i versetti 7–8 una sola unità e traducono: «Gesù, intanto, si ritirò presso il mare
con i suoi discepoli e lo seguiva molta folla dalla Galilea, dalla Giudea…, una folla
enorme…, si recò da lui». Queste traduzioni, seppure grammaticalmente possibili, sono da
respingere per le seguenti ragioni: a) la lezione ²i@8@bh0Fg< non può essere ritenuta
autentica (cf. sotto le motivazioni) e deve essere pertanto espunta dal testo; b) esiste una
inclusione chiastica tra B@8× B8­h@H (v. 7b) e B8­h@H B@8b (v. 8); ciò suggerisce di
dividere il versetto 7 in due parti: la prima parte (7a) si conclude con il punto dopo BDÎH J¬<
hV8"FF"<; la seconda parte (7b) va unita con il versetto 8 per formare una sola proposizio-
ne; c) il secondo i"\ del v. 7 non ha valore copulativo, ma avversativo (= i"\ adversati-
vum). In tal modo il versetto 7, come già detto, viene diviso in due parti: 7a è una
proposizione autonoma che rappresenta la conclusione della pericope sulla guarigione
dell’uomo dal braccio atrofizzato, iniziata in Mc 3,1. Al contrario 7b è l’inizio di una nuova
proposizione che si conclude al v. 8; d) il verbo principale è collocato alla fine del v. 8 e si
riferisce all’insieme delle folle che accorrono da Gesù da diversi territori: si tratta di un’unica
massa di persone che ha un verbo comune (µ8h@< BDÎH "ÛJ`<). È improbabile (come
vogliono le prime due ipotesi) che in uno stesso versetto si faccia una doppia menzione di
«una grande folla» che si reca da Gesù: la prima folla proveniente soltanto dalla Galilea, la
seconda folla proveniente dalle altre regioni citate. In sostanza: si tratta di un’unica, grande
folla. In base a queste considerazioni, ecco la nostra traduzione:
Mc 3,7 223

Mc 3,7a «Gesù, intanto, si ritirò presso il mare con i suoi discepoli.


Mc 3,7b–8 Ma una grande folla proveniente dalla Galilea, dalla Giudea, da Gerusa-
lemme, dall’Idumea, da oltre il Giordano e dalle parti di Tiro e Sidone,
una folla enorme, sentendo quanto faceva, si recò da lui».

i"\: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, però; cf. Mc 1,4. Il
significato avversativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ adversativum)
si riscontra in Mc 1,13c; 3,7b.12.33a; 4,17a.19a.27d; 5,19a; 6,19b.20d.33a; 7,24b.28b;
8,12.16.29.30; 9,12a.30.31c.42a; 10,34; 12,12b.17a; 16,8c.
B@8b: agg. indefinito, nom. sing. n. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; attributo di B8­h@H.
B8­h@H: sost., nom. sing. n. da B8­h@H, –@LH, moltitudine, folla; soggetto. Il vocabolo ricorre
31 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 2 volte in Marco (cf. Mc 3,7.8,
corrispondente allo 0,018% del totale delle parole); 8 volte in Luca (cf. Lc 1,10; 2,13; 5,6;
6,17; 8,37; 19,37; 23,1.27 = 0,041%); 2 volte in Giovanni (cf. Gv 5,3; 21,6 = 0,013%). Per
indicare gruppi indeterminati di persone nel NT sono impiegati vari termini: 1) ÐP8@H (cf.
Mc 2,4; ecc.): indica la moltitudine, la massa di gente comune ed eterogenea, in opposizione
al ceto superiore; 2) *­:@H (assente in Marco): indica il popolo, la popolazione civile che
abita in qualche città; 3) B8­h@H (cf. Mc 3,7.8): indica, secondo l’etimologia, la «pienezza»,
ossia la moltitudine in senso quantitativo, il gran numero o la parte maggiore rispetto a una
massa; 4) 8"`H (cf. Mc 7,6; 14,2): indica il popolo istituzionalizzato e, da un punto di vista
teologico, il popolo di Dio, la comunità cristiana. Si deve notare che queste distinzioni non
sempre sono rispettate e un autore può impiegare uno stesso vocabolo con vari significati.
•B`: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da; cf. Mc
1,9.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
'"848"\"H: sost., nome proprio di regione, gen. sing. f. da '"848"\", –"H, Galilea; cf. Mc
1,9; compl. di moto da luogo.
[²i@8@bh0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •i@8@LhXT, seguire, accompagnare,
mettersi dietro; cf. Mc 1,18. La forma verbale è presente nella maggior parte dei manoscritti;
è assente nei codici D, W e nei manoscritti della famiglia 13 (f13). I codici che riportano la
variante presentano una confusa attestazione: alcuni hanno la forma assoluta ²i@8@bh0Fg<
(B, L, 1, 565, 2427 e altri); altri ²i@8@bh0F"< (!, C, 728, 1071 e altri). Diversi codici
aggiungono il pronome "ÛJè, rispettivamente nella lezione ²i@8@bh0Fg< "ÛJè (A, P, E,
f1, 579, 700, 892 e altri) o ²i@8@bh0F"< "ÛJè (0133, 22, 33, 1009, 1241, 1342, 1424 e
altri). Tutte queste oscillazioni non depongono a favore della lezione. Probabilmente si tratta
del desiderio di qualche copista di armonizzare Marco con Mt 4,25 oppure di ordinare con
più chiarezza la divisione delle pericopi, preferendo Mc 3,1–6; 3,7–12 invece che Mc 3,1–7a;
3,7b–12. Si deve rilevare, inoltre, che il verbo •i@8@LhXT è costruito in Marco sempre con
la forma pronominale "ÛJè o con altri pronomi personali, mai allo stato assoluto
(prescindiamo dall’uso sostantivato @Ê •i@8@Lh@Ø<JgH in Mc 10,32; 11,9): ciò significa
che almeno le varianti che presentano il verbo allo stato assoluto non sono originali.].
224 Mc 3,8

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•B`: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da; cf. Mc
1,9.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
z3@L*"\"H: sost., nome proprio di località, gen. sing. f. da z3@L*"\", –"H, Giudea; compl. di
moto da luogo. Il vocabolo ricorre 43 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 8 volte in Matteo (corrispondente allo 0,044% del totale delle parole); 3 volte in
Marco (cf. Mc 3,7; 10,1; 13,14 = 0,027%); 10 volte in Luca (0,051%); 6 volte in Giovanni
(0,038%). Traslitterazione grecizzata del toponimo di origine ebraica derivato forse dal
patronimico %$ I {%*A, Yehûd5a) h (cf. sotto) oppure dall’aramaico *$H{%*A, Yehûd5ay. Come nome
geografico z3@L*"\" è usato talvolta in funzione di aggettivo (cf. º z3@L*"\" PfD", «la
regione giudaica», per indicare la Giudea, Mc 1,5), ma per lo più ricorre come nome a sé
stante, di valore sostantivato: la sua origine aggettivale è ricordata dalla presenza dell’articolo
che non manca mai. In epoca ellenistica e romana il nome indica la porzione meridionale
della Palestina tra il fiume Giordano e il Mar Morto, distinta dalla Samaria, dalla Galilea,
dalla Perea e dall’Idumea; in senso lato si riferisce a tutta la Palestina. Lo storico Strabone
la definisce così: º *z ßB¥D J"bJ0H [sott. M@4<\i0H] :gF`("4" :XPD4 Jä< z!DV$T<
º :gJ">× 'V.0H i"Â z!<J484$V<@L z3@L*"\" 8X(gJ"4, «La terra che si estende tra la
Fenicia e l’Arabia e tra Gaza e l’Antilibano si chiama Giudea» (Id., Geogr., 16,2,21). Il
termine z3@L*"\", tuttavia, può avere significati molteplici, a seconda del periodo storico
e della fonte che ne fa uso. La Giudea che Erode il Grande governava nel 40/39 a.C. era un
territorio molto più piccolo rispetto all’originale territorio della tribù di Giuda (cf. Gs 15) o
del regno di Giuda da David a Sedecia. Giuseppe Flavio descrive con molti particolari la
Giudea del tempo di Agrippa II, riferendosi in pratica alla stessa realtà geopolitica di Erode
il Grande (cf. Id., Bellum, 3,51–58). A nord il confine con la Samaria era posto a Anuato
Borkeo, identificato con Khirbet Berqit, 15 km a sud di Sichem. A sud il confine viene
indicato con il villaggio di Iardan, posto al confine con l’Arabia, da identificare forse con
Arad del Neghev. L’estensione da ovest a est è compresa tra Ioppe e il Giordano. A partire
dal 6 d.C. la Giudea divenne una provincia amministrata da Roma per mezzo del prefetto con
sede a Cesarea Marittima. Nell’uso neotestamentario il termine z3@L*"\" può indicare sia
la regione della montagna di Giuda del periodo pre–esilico, ossia la parte centrale della
Giudea definita nei particolari da Gs 15,48–60 sia il Regno di Giuda stabilito da David e
soppresso dai babilonesi nel 586 a.C. Per quanto riguarda l’espressione º z3@L*"\" PfD",
«la regione giudaica», per indicare la Giudea, vedi commento a Mc 1,5.

3,8 i" •BÎ {3gD@F@8b:T< i" •BÎ J­H z3*@L:"\"H i" BXD"< J@Ø z3@D*V<@L
i" BgD IbD@< i" E4*ä<"s B8­h@H B@8b •i@b@<JgH ÓF" ¦B@\g4 µ8h@<
BDÎH "ÛJ`<.
3,8 da Gerusalemme, dall’Idumea, da oltre il Giordano e dalle parti di Tiro e Sidone, una
folla enorme, sentendo quanto faceva, si recò da lui.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Mc 3,8 225

•B`: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da; cf. Mc
1,9.
{3gD@F@8b:T<: sost., nome proprio di città, gen. plur. n. da {3gD@F`8L:", –T<, Gerusalem-
me; compl. di moto da luogo. Il vocabolo ricorre 62 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 11 volte in Matteo (corrispondente allo 0,060% del totale delle
parole); 10 volte in Marco (cf. Mc 3,8.22; 7,1; 10,32.33; 11,1.11.15.27.41 = 0,088%); 4 volte
in Luca (0,021%); 12 volte in Giovanni (0,077%). Traslitterazione grecizzata del toponimo
di origine ebraica .-F– I {9*A, Yerûša) le)m. Il nome della città viene ricordato per la prima volta
in caratteri cuneiformi nelle lettere di Tell el–Amarnah (risalenti al XIV secolo a.C.) con la
grafia U–ru–sa–lim (Uru–sa–lim). Stessa pronuncia ritroviamo nella forma assira
Ur–sa–li–im–mu, presente nel prisma di Sennacherib (inizio dell’VIII secolo a.C.). Nel TM
il nome della città ricorre 660 volte nella forma .-F– I {9*A che corrisponde al qere perpetuum
.*E-H– I {9*A, Yerûša) layim. Con ogni probabilità si tratta di una desinenza duale artefatta,
impiegata per esprimere la duplicità della città alta e quella bassa che caratterizzano
l’orografia dell’abitato di Gerusalemme. La pronuncia più antica e corretta è certamente
quella vocalizzata in .-F– I {9*A, YerûšaGlGe m, in conformità alla più antica pronuncia semitica
e confermata dalla traslitterazione {3gD@LF"8Z: che ritroviamo sia in Filone di Alessandria
(cf. Id., Somn., 2,250) sia in Giuseppe Flavio che traslittera il nome della città citando il
filosofo Clearco di Soli, vissuto attorno al IV–III secolo a.C. (cf. Giuseppe Flavio, Contra
Ap., 1,179). Una ulteriore conferma ritroviamo nelle sezioni aramaiche della Bibbia dove la
città è vocalizzata .-F– A {9*A, Yerûšele)m (cf. Esd 4,8.12.20.23.24; 5,1.2.14.15.16.17;
6,3.5[x2].9.12.18; 7,13.14.15.16.17.19; Dn 5,2.3; 6,11). Il nome, forse di derivazione
semitico occidentale, è composto da due elementi: il primo è formato dal vocabolo &9*, yrw
(radice yrh) e racchiude l’idea di «fondazione», «insediamento»; il secondo è costituito dal
nome semitico del dio Ša) le) m; il significato del nome sarebbe, quindi, «Fondazione del [dio]
Ša) le) m», «Città del [dio] Ša) le) m». La traduzione dei LXX riporta il toponimo quasi sempre
nella forma z3gD@LF"8Z: (867 ricorrenze, contro le 23 ricorrenze di {3gD@F`8L:").
Analogo fenomeno ritroviamo nel NT, dove il nome della città è scritto 77 volte con la grafia
z3gD@LF"8Z: e 62 volte con {3gD@F`8L:". Nel vangelo di Marco il toponimo compare
sempre nella grafia {3gD@F`8L:". La forma semitica z3gD@LF"8Z: (indeclinabile) è quella
“sacrale” usata dai LXX e dagli autori giudaici; la forma {3gD@F`8L:" (declinabile) è il
nome profano che usano gli autori non giudaici, ma anche quelli giudaici quando si rivolgono
a lettori pagani.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•B`: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da; cf. Mc
1,9.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
z3*@L:"\"H: sost., nome proprio di regione, gen. sing. f. da z3*@L:"\", –"H, Idumea; compl.
di moto da luogo. Hapax neotestamentario. Traslitterazione grecizzata del toponimo di
origine ebraica derivato dal nome proprio maschile .|$! B , ’Ed5ôm, equivalente a «[Terra di]
Edom». Tradizionalmente indica il territorio montuoso della Palestina meridionale, tra la
Giudea e l’Arabia, abitata dagli Idumei, discendenti di Edom. Al tempo di Gesù era
226 Mc 3,8

governata assieme alla Galilea da Erode Antipa. Il territorio idumeo apparteneva politicamen-
te alla Giudea fin dai tempi di Giovanni Ircano I (135–104 a.C.; cf. Giuseppe Flavio, Antiq.,
13,257) il quale aveva costretto gli abitanti alla circoncisione per poterli incorporare alla
comunità di Gerusalemme e alla religione giudaica. Nonostante ciò gli Idumei non erano ben
visti dagli Israeliti che li consideravano al pari di stranieri. Anche Erode il Grande, padre di
Antipa, era un Idumeo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BXD"<: prep. impropria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., oltre, di là, al di là,
dall’altra parte, sull’altra riva. Il vocabolo ricorre 23 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 7 volte in Matteo (corrispondente allo 0,038% del totale delle parole);
7 volte in Marco (come preposizione impropria: Mc 3,8; 10,1; come avverbio di luogo: Mc
4,35; 5,1.21; 6,45; 8,13 = 0,062%); 1 volta in Luca (0,005%); 8 volte in Giovanni (0,051%).
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
z3@D*V<@L: sost., nome proprio di fiume, gen. sing. m. da z3@D*V<0H, –@L, Giordano; cf. Mc
1,5; compl. di specificazione. L’espressione BXD"< J@Ø z3@D*V<@L (qui e in Mc 10,1)
deriva dalla stessa espressione anticotestamentaria 0yF9AH% H 9"G3FvA, be‘e)b5er hayyarde)n, «al di
là del Giordano» (cf. Gs 1,14–15; 9,1; 12,1; 13,8) che i LXX traducono con BXD"< J@Ø
z3@D*V<@L. Con tale espressione si indica quella che altrove è chiamata AgD"\", Perea (cf.
Giuseppe Flavio, Bellum, 1,586.590; Antiq., 5,255; 15,294) oppure, più estesamente, º ßB¥D
z3@D*V<0< AgD"\", «la Perea al di là del Giordano» (Giuseppe Flavio, Bellum, 2,43).
Stando a questo storico tale regione si estendeva, in latitudine, da Macheronte fino a Pella
della Decapoli. A ovest la Perea era delimitata dal Giordano (da cui la caratteristica
espressione); a est si trovavano i territori di Madaba, Hesbon, Filadelfia e Gerasa; a sud
confinava con il territorio di Moab (cf. Giuseppe Flavio, Bellum, 3,46–47). Dopo la
destituzione di Erode Antipa nel 39 d.C. la Perea fece parte per un certo periodo della
Provincia Iudaea, ma dopo la morte di Agrippa II fu assegnata alla provincia di Siria (dal
100 d.C.).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BgD\: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., intorno a, attorno, in
prossimità di, vicino; cf. Mc 1,6.
IbD@<: sost., nome proprio di città, acc. sing. f. da IbD@H, –@L, Tiro; compl. di moto da luogo.
Il vocabolo ricorre 11 volte nel NT: Mt 11,21.22; 15,21; Mc 3,8; 7,24.31; Lc 6,17;
10,13.14; At 21,3.7. Traslitterazione grecizzata del toponimo di origine ebraica 9J7 (9|7), SEo) r
(SEôr), «Roccia» (cf. 2Sam 5,11; 1Re 5,15, ecc.), a sua volta derivato da una radice fenicia.
Nei testi rabbinici prevale la grafia 9|7, SEôr (cf. m.Bek., 8,7). La città portuale fenicia era
situata anticamente su un’isola (oggi unita al continente). La data di fondazione della città è
sconosciuta, ma certamente anteriore al secolo XIV a.C., poiché Tiro è citata nelle lettere di
Tell el–Amarnah e nella letteratura ugaritica.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
E4*ä<": sost., nome proprio di città, acc. sing. f. da E4*f<, –ä<@H, Sidone; compl. di moto
da luogo. Il vocabolo ricorre 9 volte nel NT: Mt 11,21.22; 15,21; Mc 3,8; 7,31; Lc 6,17;
Mc 3,9 227

10,13.14; At 27,3. Traslitterazione grecizzata del toponimo di origine ebraica 0J$*7E (0|$7E),
SEîd5o) n, «Rifornimento», a sua volta derivato da una radice fenicia. Nei testi rabbinici prevale
la grafia 0|$*7E, SEîd5ôn (cf. m.Ghit., 7,5). Si tratta di una antica e ricca città della Fenicia, posta
sulla costa occidentale del mare Mediterraneo, a circa 30 chilometri a nord di Tiro.
Menzionata già in Omero (cf. Id., Od., 15,425) Sidone compare varie volte nell’AT (cf. Gn
10,15.19; 49,13; Dt 3,9; Gs 11,8; 13,4.6; 19,28; Gdc 1,31; 3,3; 10,6.12; 18,7[x2].28; 1Re
5,20; 11,1.5.33; 16,31; 17,9; 2Re 23,13; 2Sam 24,6; 1Cr 1,13; 22,4; Esd 3,7; Gdt 2,28; 1Mac
5,15; Is 23,2.4.12; Ger 25,22; 27,3; 47,4; Ez 27,8; 28,21.22; 32,30), talvolta in modo
convenzionale, assieme a Tiro, nella formula stereotipa IbD@H i"Â E4*f< (o E4*f< i"Â
IbD@H), «Tiro e Sidone» (cf. 1Cr 22,4; Esd 3,7; Gdt 2,28; 1Mac 5,15; Is 23,1–2; Ger 47,4;
Gl 4,4; Zc 9,2–3; cf. Mt 11,21.22; 15,21; Mc 3,8; 7,31; Lc 6,17; 10,13.14).
B8­h@H: sost., nom. sing. n. da B8­h@H, –@LH, moltitudine, folla; cf. Mc 3,7; soggetto.
B@8b: agg. indefinito, nom. sing. n. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; attributo di B8­h@H.
•i@b@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. Participio predicativo del soggetto B8­h@H.
Costruzione ad sensum: il participio plurale maschile si riferisce a B8­h@H, singolare neutro,
il cui significato collettivo di «moltitudine» giustifica l’anacoluto grammaticale.
ÓF": pron. relativo con valore di quantità e misura, acc. plur. n. da ÓF@H, –0, –@<, quanto,
quanto grande, ciò che, quello che; cf. Mc 2,19; compl. oggetto.
¦B@\g4: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3. Imperfetto durativo o iterativo per indicare il protrarsi di questa azione
di bene.
µ8h@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5. L’espressione §DP@:"4 BD`H, detta in riferimento
a Gesù, non è rara in Marco: è impiegata per descrivere l’andare verso Gesù da parte di
qualche miracolato (cf. Mc 1,40; 2,3; 10,50), della folla (cf. Mc 1,45; 2,13; 3,8; 5,15) o di
gruppi specifici (cf. Mc 11,27; 12,18). Lo stesso Gesù comanda ai discepoli di lasciar «venire
a sé» i bambini (cf. Mc 10,14).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di moto a luogo.

3,9 i" gÉBg< J@ÃH :"h0J"ÃH "ÛJ@Ø Ë<" B8@4VD4@< BD@Fi"DJgD± "ÛJè *4 JÎ<
ÐP8@< Ë<" :¬ h8\$TF4< "ÛJ`<·
3,9 Allora egli disse ai suoi discepoli di mettergli a disposizione una barca, a causa della
folla, perché non lo schiacciassero.

i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
228 Mc 3,9

3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.


21.26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.3a.27a.48a.50.
53a.65a.72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\, di influsso semitico, acquista il
significato avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica), per introdurre come
formula paratattica di passaggio una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra
unità narrativa.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
:"h0J"ÃH: sost., dat. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; compl. di termine.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
Ë<": cong. subordinativa di valore completivo, indecl., di, che; cf. Mc 1,38. La congiunzione Ë<"
non ha qui il consueto valore finale, ma quello completivo (equivalente a ÓJ4 o ÓBTH): in
pratica introduce una proposizione infinitiva (cf. Mc 3,9a.12; 4,22a; 5,10.18.43; 6,8.12.25.56;
7,26.32.36; 8,22.30; 9,9.12.18.30; 10,35.37; 11,16; 13,34; 15,21).
B8@4VD4@<: sost., nom. sing. n. da B8@4VD4@<, –@L, navicella, barca; soggetto. Il vocabolo
ricorre 5 volte nel NT: Mc 3,9 (hapax marciano); Gv 6,22.23.24; 21,8. Per indicare la barca
usata dai discepoli e all’occorrenza da Gesù, solitamente Marco impiega il termine B8@Ã@<
(cf. Mc 1,19.20; 4,1.36[x2].37[x2]; 5,2.18.21; 6,32.45.47.51.54; 8,10.14), di cui B8@4VD4@<
rappresenta la forma diminutiva, secondo l’uso ellenistico (cf. Senofonte, Hell., 4,5,17). L’uso
dei diminutivi è una delle caratteristiche dello stile marciano (cf. Mc 3,9; 5,23.39.41; 6,9;
7,25.27.28.30; 8,7; 9,24.36.37; 10,13–14; 14,47) e più in generale del greco ellenistico.
BD@Fi"DJgD±: verbo, 3a pers. sing. congiunt. pres. da BD@Fi"DJgDXT (da BD`H e
i"DJgDXT), stare pronto, essere a disposizione, avere cura. Questo verbo ricorre 10 volte
nel NT: Mc 3,9 (hapax marciano); At 1,14; 2,42.46; 6,4; 8,13; 10,7; Rm 12,12; 13,6; Col
4,2. Nella diatesi passiva BD@Fi"DJgDXT assume il significato di «essere dedicato»,
«mettere a disposizione» (cf. Diodoro Siculo, Bibl., 2,29,5; cf. At 10,7).
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
*4V: prep. propria di valore causale, seguita dall’accusativo, indecl., a causa di, a motivo di, per;
cf. Mc 2,1.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ÐP8@<: sost., acc. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; compl. di causa.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
Mc 3,10 229

h8\$TF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. pres. da h8\$T, pigiare, premere, schiacciare.
Questo verbo ricorre 10 volte nel NT: Mt 7,14; Mc 3,9 (hapax marciano); 2Cor 1,6; 4,8; 7,5;
1Ts 3,4; 2Ts 1,6.7; 1Tm 5,10; Eb 11,37. Nel significato letterale proprio di «premere»,
«schiacciare», «spingere», h8\$T è presente già in Omero (cf. Id., Od., 17,221), dove il
verbo indica una pressione in senso fisico. All’infuori delle due ricorrenze sinottiche il verbo
è usato nel NT sempre in senso traslato.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.

3,10 B@88@×H (D ¦hgDVBgLFg<s òFJg ¦B4B\BJg4< "ÛJè Ë<" "ÛJ@Ø žRT<J"4 ÓF@4
gÉP@< :VFJ4("H.
3,10 Infatti aveva guarito tutti, al punto che quanti avevano qualche male gli si gettavano
addosso per toccarlo.

B@88@bH: agg. indefinito, di valore sostantivato, acc. plur. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto,
tanto, grande; cf. Mc 1,34; compl. oggetto. L’aggettivo «molti», qui sostantivato, deve essere
inteso non in senso esclusivo o restrittivo, come se l’Autore stesse affermando che alcuni dei
malati non furono guariti, ma alla maniera semitica, corrispondente a «tutti» (senso inclusivo):
Gesù li guarì tutti che in quella occasione erano molti; cf. il passo parallelo di Lc 6,19
(*b<":4H B"Dz "ÛJ@Ø ¦>ZDPgJ@ i" ƐJ@ BV<J"H, «una forza usciva da lui e guariva
tutti») e anche Mt 12,15 (i"Â ¦hgDVBgLFg< "ÛJ@×H BV<J"H, «e li guarì tutti»). Si tratta
di un particolare modo semitico di intendere la realtà e di esprimerlo linguisticamente, come
avviene in Mc 1,34[x2]; 3,10; 6,2; 9,26; 10,31.45; 14,24 (vedi commento ad l.).
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
¦hgDVBgLFg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da hgD"BgbT, riparare, guarire, curare, ridare
salute; cf. Mc 1,34. L’aoristo ha qui valore di piuccheperfetto, come avviene altrove (cf. Mc
3,10; 8,14; 9,34; 12,12[x2]). Da notare l’inclusione tematica e letteraria tra ¦hgDVBgLFg<
B@88@bH (cf. Mc 1,34) e B@88@×H ¦hgDVBgLFg< (cf. Mc 3,10).
òFJg: cong. subordinativa di valore consecutivo, indecl., così che, cosicché, tanto che, al punto
che; cf. Mc 1,27.
¦B4B\BJg4<: verbo, inf. pres. da ¦B4B\BJT (da ¦B\ e B\BJT), cadere su, gettare su, attaccare.
Questo verbo ricorre 11 volte nel NT: Mc 3,10 (hapax marciano); Lc 1,12; 15,20; At 8,16;
10,44; 11,15; 19,17; 20,10.37; Rm 15,3; Ap 11,11. Nel greco classico il verbo ¦B4B\BJT
esprime in senso letterale proprio l’idea di un «cadere addosso» con una certa insistenza e
decisione (cf. Tucidide, Hist., 7,84,3; Senofonte, Oecon., 18,7; Erodoto, Hist., 4,105,1).
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di moto a luogo. Il caso dativo è retto dal
verbo ¦B4B\BJT.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
230 Mc 3,11

"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
žRT<J"4: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. medio da žBJ@:"4, toccare, tenere; cf. Mc 1,41.
ÓF@4: pron. relativo con valore di quantità e misura, nom. plur. m. da ÓF@H, –0, –@<, quanto,
quanto grande, ciò che, quello che; cf. Mc 2,19; soggetto.
gÉP@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. Imperfetto durativo.
:VFJ4("H: sost., acc. plur. f. da :VFJ4>, –4(@H, flagello, piaga, calamità, punizione; compl.
oggetto. Il vocabolo ricorre 6 volte nel NT: Mc 3,10; 5,29.34; Lc 7,21; At 22,24; Eb 11,36.
A partire già da Omero :VFJ4> indica in senso letterale proprio la «sferza», la «frusta» usata
per gli animali (cf. Omero, Il., 5,748) e in senso traslato la tribolazione (cf. Omero, Il., 12,37).
Successivamente il termine passò a designare il generico «dolore», la «piaga», la «malattia»
(cf. Eschilo, Prom., 682; Sal 73,14; Ger 5,3, LXX). Nel NT il significato letterale proprio è
presente soltanto in At 22,24 e Eb 11,36, mentre nei sinottici ricorre quello figurato di
«infermità».

3,11 i" J B<gb:"J" J •iVh"DJ"s ÓJ"< "ÛJÎ< ¦hgfD@L<s BD@FXB4BJ@< "ÛJè


i"Â §iD".@< 8X(@<JgH ÓJ4 E× gÉ Ò LÊÎH J@Ø hg@Ø.
3,11 Gli spiriti cattivi quando lo vedevano si prostravano davanti a lui e gridavano: «Tu sei
il Figlio di Dio!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


JV: art. determ., nom. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
B<gb:"J": sost., nom. plur. n. da B<gØ:", –"J@H, alito, soffio, vento, spirito, Spirito; cf. Mc
1,8; soggetto.
JV: art. determ., nom. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
•iVh"DJ": agg. qualificativo, nom. plur. n. da •iVh"DJ@H, –@< (da –8n" privativa e
i"h"\DT), non pulito, sporco, immondo, impuro; cf. Mc 1,23; attributo di B<gb:"J".
ÓJ"<: (= ÓJg e –<), cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, ogni qualvolta,
allorché, appena; cf. Mc 2,20.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
¦hgfD@L<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da hgTDXT, guardare, vedere. Imperfetto
durativo. Questo verbo ricorre 58 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
2 volte in Matteo (corrispondente allo 0,011% del totale delle parole); 7 volte in Marco (cf.
Mc 3,11; 5,15.38; 12,41; 15,40.47; 16,4 = 0,062%); 7 volte in Luca (0,036%); 24 volte in
Giovanni (0,154%). Il verbo hgTDXT appartiene alla numerosa gamma semantica dei verba
videndi: generalmente nel greco sia classico che biblico indica non soltanto il «vedere»
sensoriale, l’«osservare» come spettatore (cf. Erodoto, Hist., 1,59,1), ma anche la comprensio-
ne mentale di un fatto percepito con i sensi: in tal caso equivale a «considerare», «valutare»
Mc 3,11 231

(cf. Platone, Gorg., 523e; Aristotele, Metaph., 1003b 13) e perfino «contemplare» (= vedere
in visione), come avviene nei Padri della Chiesa. Nell’uso marciano prevale il primo
significato, quello di un «osservare» esteriore che ha come oggetto singole persone (cf. Mc
3,11; 5,15; 15,47), cose (cf. Mc 16,4) o particolari situazioni (cf. Mc 5,38; 12,41; 15,40).
BD@FXB4BJ@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da BD@FB\BJT (da BD`H e B\BJT), cadere
in avanti, cadere giù, prostrarsi. Questo verbo ricorre 8 volte nel NT: Mt 7,25; Mc 3,11;
5,33; 7,25; Lc 5,8; 8,28.47; At 16,29. Imperfetto durativo o iterativo per indicare il ripetersi
di questa azione. Oltre ad avere il generico significato di «cadere in avanti», «cadere addosso»
(cf. Senofonte, De re eq., 7,6), questo verbo è usato nel greco classico anche nel significato
circoscritto di «gettarsi a terra», «prostrarsi», come segno di omaggio, supplica, timore o
venerazione:

z+<JL(PV<@<JgH *t •88Z8@4F4 ¦< J±F4 Ò*@ÃF4, Jè*g –< J4H *4"(<@\0 gÆ Ó:@4@\ gÆFÂ
@Ê FL<JL(PV<@<JgH· •<J (D J@Ø BD@F"(@Dgbg4< •88Z8@LH n48X@LF4 J@ÃF4
FJ`:"F4: ´< *¥ ¹ @àJgD@H ßB@*gXFJgD@H Ï8\(å, JH B"Dg4H n48X@<J"4· ´< *¥
B@88è ¹ @àJgD@H •(g<<XFJgD@H, BD@FB\BJT< BD@FiL<Xg4 JÎ< ªJgD@<.
«Quando [i Persiani] si incontrano per strada è facile capire se coloro che si incontrano sono
della stessa condizione: invece di salutarsi, infatti, si baciano sulla bocca; se però uno dei due
è di condizione inferiore si baciano sulle guance; se, infine, uno è di nascita molto meno
nobile si inginocchia e si prostra davanti all’altro» (Erodoto, Hist., 1,134,1; cf. anche Sofocle,
Ai., 1181; Senofonte, Cyr., 4,6,2; Euripide, Or., 1332).

Nelle tre ricorrenze marciane il verbo è usato con tale accezione, diversamente da
quanto avviene per BD@FiL<XT (cf. Mc 5,6), usato per esprimere positivamente l’atto della
preghiera e dell’adorazione.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
§iD".@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da iDV.T, gridare, strillare, schiamazzare. Questo
verbo ricorre 55 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 12 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,065% del totale delle parole); 10 volte in Marco (cf. Mc 3,11; 5,5.7;
9,24.26; 10,47.48; 11,9; 15,13.14 = 0,088%); 3 volte in Luca (0,015%); 4 volte in Giovanni
(0,026%). Imperfetto durativo o iterativo per indicare il ripetersi di questa azione. Nell’uso
classico il verbo iDV.T è riferito in particolare al “grido” di animali ed equivale a
«gracchiare», «gracidare», «schiamazzare» (cf. Aristofane, Ranae, 258). Detto degli uomini
corrisponde al generico «gridare» (cf. Eschilo, Prom., 743; Aristofane, Ranae, 265;
Senofonte, Cyr., 1,3,10). Nell’uso neotestamentario il verbo iDV.T quando è privo di un
enunciato esplicativo indica un gridare inarticolato, vuoto (come in Mc 5,5; 9,26). Negli altri
casi introduce una formula esclamativa, quasi sempre indirizzata a Gesù e riferita da ossessi
(cf. Mc 5,7), miracolati (cf. Mc 9,24; 10,47.48), gruppi di persone (cf. Mc 11,9; 15,3.14).
8X(@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto J B<gb:"J" J
232 Mc 3,12

•iVh"DJ". L’uso di 8X(T dopo i verbi cosiddetti dicendi («dire», «proclamare»,


«annunciare», «interrogare», «rispondere», «deliberare», ecc.), frequentissimo nel NT, è un
ebraismo dovuto alla traduzione servile della forma verbale 9J/!-F, le) ’mo) r, equivalente al
gerundio «dicendo» e impiegata per introdurre il discorso diretto, in sostituzione del segno
grafico dei due punti (:), inesistente in ebraico come in greco. Nelle traduzioni questa tipica
forma può essere omessa.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
Eb: pron. personale di 2a pers. nom. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,11; soggetto.
gÉ: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc 1,6.
In Marco l’espressione F× gÉ è una affermazione riferita soltanto a Gesù (cf. Mc 1,11; 3,11;
8,29; 14,61; 15,2): essa pone in evidenza la sua identità, in stretto parallelismo con la
dichiarazione ¦(f gÆ:4 (Mc 6,50) che Gesù pronuncia per definire sé stesso.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
LÊ`H: sost., nom. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; predicato nominale.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione.

3,12 i" B@88 ¦BgJ\:" "ÛJ@ÃH Ë<" :¬ "ÛJÎ< n"<gDÎ< B@4ZFTF4<.


3,12 Ma egli intimava loro severamente di non divulgare chi egli fosse.

i"\: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, però; cf. Mc 1,4. Il
significato avversativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ adversativum)
si riscontra in Mc 1,13c; 3,7b.12.33a; 4,17a.19a.27d; 5,19a; 6,19b.20d.33a; 7,24b.28b;
8,12.16.29.30; 9,12a.30.31c.42a; 10,34; 12,12b.17a; 16,8c.
B@88V: agg. indefinito, acc. plur. n. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34. La forma B@88V è qui usata in modo avverbiale («molto», «con insistenza»,
«intensamente») e non quantitativo («molte cose»). Si tratta di una caratteristica di Marco (cf.
Mc 1,45; 3,12; 5,10.23.26.38.43; 6,20.23; 8,31; 9,12.26; 15,3).
¦BgJ\:": verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da ¦B4J4:VT (da ¦B\ e J4:VT), intimare,
ammonire, sgridare, rimproverare, proibire, ordinare severamente; cf. Mc 1,25. Imperfetto
durativo o iterativo per indicare l’insistenza di questo ordine.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
Ë<": cong. subordinativa di valore completivo, indecl., di, che; cf. Mc 1,38. La congiunzione Ë<"
non ha qui il consueto valore finale, ma quello completivo (equivalente a ÓJ4 o ÓBTH): in
pratica introduce una proposizione infinitiva (cf. Mc 3,9a.12; 4,22a; 5,10.18.43; 6,8.12.25.56;
7,26.32.36; 8,22.30; 9,9.12.18.30; 10,35.37; 11,16; 13,34; 15,21).
Mc 3,13 233

:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.


"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
n"<gD`<: agg. qualificativo, acc. sing. m. da n"<gD`H, –V, –`<, apparente, manifesto,
evidente, noto; compl. predicativo dell’oggetto "ÛJ`<. Il vocabolo ricorre 18 volte nel NT.
La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 12,16; Mc 3,12; 4,22; 6,14; Lc 8,17[x2]. In
corrispondenza alla sua etimologia l’aggettivo deverbale n"<gD`H (da n"\<T, cf. Mc 14,64)
indica ciò che è «ben visibile», «chiaro», «evidente», in senso sia letterale proprio che figurato
(cf. Pindaro, Olym., 7,56; Erodoto, Hist., 2,146,1; Tucidide, Hist., 1,42,2). La locuzione
n"<gDÎ< B4­F"4, «rendere chiaro», assume il significato di «manifestare», «rendere noto»,
riferita a ciò che ancora non è stato visto, sentito o conosciuto (cf. Platone, Leg., 630c;
Menandro, Epit., 495) ed equivale a n"<gDÎ< J4hX<"4 (cf. Pindaro, Olym., 13,98).
B@4ZFTF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3.

3,13 5" •<"$"\<g4 gÆH JÎ ÐD@H i" BD@Fi"8gÃJ"4 @áH ³hg8g< "ÛJ`Hs i"Â
•B­8h@< BDÎH "ÛJ`<.
3,13 Salì, quindi, sul monte, chiamò a sé quelli che aveva in cuore ed essi andarono da lui.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•<"$"\<g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da •<"$"\<T (da •<V e la radice di $VF4H),
risalire, ascendere, andare su, sorgere, crescere; cf. Mc 1,10. Presente storico.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
ÐD@H: sost., acc. sing. n. da ÐD@H, –@LH, montagna, monte; compl. di moto a luogo. Il vocabolo
ricorre 63 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 16 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,087% del totale delle parole); 11 volte in Marco (cf. Mc 3,13; 5,5.11;
6,46; 9,2.9; 11,1.23; 13,3.14; 14,26 = 0,097%); 12 volte in Luca (0,062%); 5 volte in
Giovanni (0,032%). Il sostantivo ÐD@H (da non confondersi con ÓD@H, munito di spirito
aspro) corrisponde nell’uso classico al «monte» più o meno elevato, il quale in base ai
singoli contesti può trattarsi di un «colle», una «montagna», una «altura», ecc. (cf. Omero,
Il., 3,34; Od., 2,147). Per il nostro Autore questo monte, munito di articolo («il monte»), è
determinato e conosciuto: a noi resta ignoto, poiché nelle immediate vicinanze del lago (cf.
v. 7) non vi sono rilievi così alti da meritare l’appellativo di «monte». Tuttavia si deve
osservare che nell’uso di Marco il termine «monte» quando è riferito a Gesù ha un
significato più teologico che orografico: è un luogo sottratto alla vista del popolo dove si
rivela la presenza e la vicinanza di Dio; abbiamo così il monte della scelta dei Dodici (cf. Mc
3,13), il monte della preghiera solitaria (cf. Mc 6,46), il monte della Trasfigurazione (cf. Mc
9,2.9), il monte del discorso apocalittico (cf. Mc 13,3), il Monte degli Ulivi (cf. Mc 14,26).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
234 Mc 3,13

BD@Fi"8gÃJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da BD@Fi"8XT (da BD`H e i"8XT),
chiamare a sé, convocare, eleggere. Questo verbo semideponente ricorre 29 volte nel NT,
sempre nella diatesi media. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 6 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,033% del totale delle parole); 9 volte in Marco (cf. Mc 3,13.23; 6,7;
7,14; 8,1.34; 10,42; 12,43; 15,44 = 0,080%); 4 volte in Luca (0,021%). Presente storico. Nel
greco classico il significato fondamentale del verbo BD@Fi"8XT, costruito con il prefisso
BD`H di valore direzionale, è quello di «chiamare a sé», «convocare», «eleggere», sia nella
diatesi attiva (non presente nel NT) che in quella media, con valore di interesse (cf. Sofocle,
Ai., 89; Platone, Meno, 82a; Senofonte, Anab., 7,7,2). Nei LXX il verbo traduce per lo più
il corrispondente ebraico !9I8 I , qa) ra) ’ (cf. Gn 28,1; Es 3,18; 5,3; 1Sam 26,14). Si deve
distinguere dal semplice i"8XT, «chiamare», utilizzato per invitare qualcuno alla sequela (cf.
Mc 1,20; 2,17; 3,31; 11,17).
@àH: pron. relativo, acc. plur. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,26; compl. oggetto.
³hg8g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da hX8T, volere, avere il proposito di; cf. Mc 1,40.
Imperfetto durativo o iterativo per indicare la continuità di tale deliberazione. Si suggerisce
l’idea che la scelta non venne fatta in modo repentino, immediato (aoristo), ma fu il frutto di
una lunga meditazione: «elesse quelli che portava in cuore». Il verbo hX8T (seguito
dall’accusativo di persona) deve essere qui inteso non nel significato classico di «volere»,
«deliberare», «desiderare», ma in quello semitico di «avere in cuore», «amare», «prediligere»
(cf. Sal 18,20; 22,9; 41,12). Il miglior paragone si trova in Mt 27,43 (che cita un passo
dell’AT: Sal 22,9); lanciando invettive contro Gesù in croce, la folla gli grida contro: «Ha
confidato in Dio: lo salvi lui ora, se gli vuol bene» (gÆ hX8g4 "ÛJ`<). In ogni caso, nella
nostra scena Marco pone l’accento sull’autorità del gesto di Gesù. I discepoli si avvicinano
a lui ed egli “estrae” da questa cerchia più ampia il gruppo dei Dodici: c’è chiaramente l’idea
di elezione.
"ÛJ`H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., nom. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,8; soggetto. Il pronome ha qui valore enfatico: chiamò
quelli che lui (e nessun altro) volle.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•B­8h@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •BXDP@:"4 (da •B` e §DP@:"4), andare via,
partire; cf. Mc 1,20. Questo terzo verbo compare nella forma aoristo: il gesto di risposta fu,
dunque, definitivo e immediato; segnò la separazione dei chiamati dalla loro precedente vita
e implicitamente dalla patria e dalla famiglia. Siamo già in contesto di sequela.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5. L’uso della preposizione BD`H per indicare un
movimento verso qualche persona è piuttosto raro (di solito viene usata la preposizione gÆH
per descrivere l’andare a un luogo): si sottolinea il legame di intimità che si viene a creare
tra Gesù e gli eletti.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di moto a luogo.
Mc 3,14 235

3,14 i" ¦B@\0Fg< *f*gi" [@áH i" •B@FJ`8@LH é<`:"Fg<] Ë<" ìF4< :gJz "ÛJ@Ø
i" Ë<" •B@FJX88® "ÛJ@×H i0DbFFg4<
3,14 Costituì i Dodici perché stessero con lui, per mandarli a predicare

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4. La congiunzione
presenta qui una sfumatura anche temporale e consecutiva: «e allora», «e dunque».
¦B@\0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3. La scelta dei Dodici è fatta tra il più ampio cerchio dei discepoli.
Letteralmente: «ne fece Dodici». Il verbo B@4XT non è una allusione alla creazione, come
sostengono molti commentatori, fondandosi sul fatto che i LXX impiegano lo stesso verbo
in Gn 1,1 nel significato di «creare»: B@4XT è qui l’equivalente dell’ebraico %” I 3I, ‘a) 'sa) h,
tradotto sovente dai LXX con B@4XT nel senso di «istituire», «stabilire» qualcuno per
espletare qualche incarico. L’espressione riecheggia la frase semitica usata nei LXX per
indicare la scelta di sacerdoti (cf. 1Re 12,31), di Mosè e di Aronne (cf. 1Sam 12,6). Nel NT
il verbo è riferito allo stesso Gesù che Dio ¦B@\0Fg<, «ha fatto», ossia «ha costituito» (non
«ha creato»!) Signore e messia (cf. At 2,36; Eb 3,2).
*f*gi": agg. numerale, cardinale, di valore sostantivato, acc. plur. m., indecl., dodici, Dodici
(apostoli); compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 75 volte nel NT; in 33 occorrenze si riferisce
al gruppo dei Dodici discepoli scelti da Gesù: 8 volte in Matteo (cf. Mt 10,1.2.5; 11,1; 20,17;
26,14.20.47); 11 volte in Marco (cf. Mc 3,14.16; 4,10; 6,7; 9,35; 10,32; 11,11; 14,10.17.20.
43); 7 volte in Luca (cf. Lc 6,13; 8,2; 9,1.9,12; 18,31; 22,3.47); 4 volte in Giovanni (cf. Gv
6,67.70.71; 20,24); At 6,2; 1Cor 15,5; Ap 21,14. Il vocabolo, come indicazione numerica
riferita ad altre realtà, compare in Mt 9,20; 14,20; 19,28[x2]; 26,53; Mc 5,25.42; 6,43; 8,19;
Lc 2,42; 8,42.43; 9,17; 22,30; Gv 6,13; 11,9; At 7,8; 19,7; 24,11; Gc 1,1; Ap 7,5[x3].6[x3].7
[x3]. 8[x3]; 12,1; 21,12[x3].14[x2].16.21[x2]; 22,2. Per la prima volta viene menzionato il
gruppo dei “Dodici” formato dai discepoli scelti direttamente da Gesù. L’espressione
¦B@\0Fg< *f*gi", senza articolo, si riferisce al fatto iniziale della costituzione dei Dodici.
Negli altri testi Marco fa precedere il termine *f*gi" dall’articolo, lasciando così intendere
che nel nostro versetto ha inizio l’esistenza storica di un gruppo specifico, distinto dai
discepoli. La cifra dodici non è casuale: ha una portata simbolica ed è in relazione alle 12
tribù di Israele (cf. Mt 19,28; Lc 22,30). Esprime la volontà di Gesù di formare e istituire un
nuovo popolo di Dio, una nuova comunità, una nuova -% I8 I , qa) ha) l / ¦ii80F\". I Dodici
rappresentano proletticamente il rinnovato popolo di Dio. Si deve osservare che Gesù non
fu l’unico del suo tempo a strutturare un gruppo di 12 persone che richiamava il numero
degli antichi patriarchi e delle tribù: questo numero svolgeva lo stesso ruolo a Qumran, dove
il consiglio della comunità era costituito da dodici uomini e tre sacerdoti: «Nel consiglio della
comunità (ci siano) dodici uomini e tre sacerdoti, perfetti in tutto ciò che è stato rivelato
dell’intera legge…» (1QS, 8,1). Inoltre dodici capi sacerdoti e dodici capi leviti avrebbero
svolto il ministero del Tempio, al compiersi del tempo finale (cf. 1QM 2,1–3). La precisa
volontà storica di Gesù di costituire un numero fisso di 12 rappresentanti ha un significativo
riscontro nell’epistolario paolino che, non dimentichiamo, sul piano cronologico precede la
redazione dei vangeli: in 1Cor 15,5 l’espressione @Ê *f*gi", per indicare il gruppo degli
apostoli, compare come elemento costitutivo di una formulazione già tradizionale per Paolo;
236 Mc 3,14

questa attestazione indica non soltanto l’antichità dell’istituzione, ma anche la sua


riconosciuta attestazione ecclesiale. Analoghe osservazioni si possono fare per la citazione
presente in At 6,2, poiché la designazione @Ê *f*gi" usata da Luca risale con molta
probabilità a una precedente tradizione del racconto. In sostanza: l’espressione stereotipa @Ê
*f*gi" è il nome fisso di una istituzione pre–pasquale voluta da Gesù costituita da dodici
uomini che si caratterizza come una totalità circoscritta, quasi monolitica, al punto che dopo
la defezione di Giuda Iscariota, «uno dei Dodici» (Mc 14,10), sarà necessario provvedere alla
scelta di un nuovo rappresentante per ricostituire integralmente quella totalità dell’istituzione
voluta espressamente dal fondatore (cf. At 1,15–26).
[@àH: pron. relativo, acc. plur. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,26.].
[i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.].
[•B@FJ`8@LH: sost., acc. plur. m. da •B`FJ@8@H, –@L (da •B@FJX88T), messaggero, inviato,
delegato, apostolo; compl. predicativo. Il vocabolo ricorre 80 volte nel NT: Mt 10,2; Mc
3,14; 6,30; Lc 6,13; 9,10; 11,49; 17,5; 22,14; 24,10; Gv 13,16; At 1,2.26; 2,37.42.43;
4,3.35.36.37; 5,2.12.18.29.40; 6,6; 8,1.14.18; 9,27; 11,1; 14,4.14; 15,2.4.6.22.23; 16,4; Rm
1,1; 11,13; 16,7; 1Cor 1,1; 4,9; 9,1.2.5; 12,28.29; 15,7.9[x2]; 2Cor 1,1; 8,23; 11,5.13;
12,11.12; Gal 1,1.17.19; Ef 1,1; 2,20; 3,5; 4,11; Fil 2,25; Col 1,1; 1Ts 2,7; 1Tm 1,1; 2,7;
2Tm 1,1.11; Tt 1,1; Eb 3,1; 1Pt 1,1; 2Pt 1,1; 3,2; Gd 1,17; Ap 2,2; 18,20; 21,14. Fuori dalla
Bibbia e prima del cristianesimo è raro trovare il termine •B`FJ@8@H nel significato di
«inviato», così come comunemente è inteso nel NT. Qualche esempio abbiamo in Erodoto
dove il termine è impiegato nell’accezione di «inviato», «messo»: Ò :¥< *¬ •B`FJ@8@H ¦H
J¬< 9\80J@< ½<…, «mentre il messo era in viaggio per Mileto…» (Erodoto, Hist., 1,21,1;
cf. anche 5,38,2). Nella letteratura greca il vocabolo •B`FJ@8@H è utilizzato in genere come
termine relativo alla navigazione, potendo significare una «nave da trasporto» (cf. Platone,
Epist., 346a) e per esteso una «flotta», una «spedizione navale» (cf. Tucidide, Hist., 8,8,1;
8,9,3; Lisia, Or., 19,21; Demostene, Or., 3,5; 4,35.46), un generico «viaggio» (cf. Platone,
Epist., 309a). Questo uso ci mostra come il termine •B`FJ@8@H nella grecità profana ha un
carattere prevalentemente oggettuale e passivo, limitato a circa 35 ricorrenze in totale. Una
conferma di questo scarso uso del termine •B`FJ@8@H nella letteratura greca anteriore agli
scritti neotestamentari la troviamo nei LXX: qui il termine si ritrova soltanto una volta (cf.
1Re 14,6, soltanto in alcuni manoscritti) per tradurre il participio passato ebraico ( H {-–
H,
ša) lûahE (da (-H–
I , «inviare»), nel significato di «inviato», «messo», «incaricato», in riferimento
ad Achia, incaricato da Dio a portare un messaggio. Se noi esaminiamo, invece, gli scritti del
NT ci accorgiamo che il termine •B`FJ@8@H è utilizzato 80 volte: una percentuale altissima
rispetto a tutta la precedente letteratura greca. La constatazione di questa alta ricorrenza è
significativa perché dimostra che questo termine è decisamente neotestamentario. Il vocabolo
è usato sia in forma assoluta sostantivata, per indicare un messaggero, un inviato a predicare
il vangelo sia come apposizione, in particolare come riferimento ai dodici discepoli scelti da
Gesù (i «dodici apostoli»).

Sul piano storico si discute se l’istituzione dei dodici apostoli da parte di Gesù dipenda
da analoghe istituzioni giudaiche a lui contemporanee. In effetti anche nel giudaismo esisteva
una figura conosciuta come “apostolo” (( H *-E–
I , ša) lîahE, «inviato»; cf. Strack–Bill., III,2–4), il
Mc 3,14 237

quale, munito di poteri delegati, era inviato dalle autorità palestinesi con l’incarico di
trasmettere un insegnamento o mettere in esecuzione altri ordini. L’istituzione rabbinica di
tali discepoli/inviati aveva assunto un carattere specifico nei circoli religiosi ebraici verso la
fine del I secolo d.C. Tale istituzione, tuttavia, era molto più antica: risalirebbe al post–esilio
(cf. 2Cr 17,7–9), se non a un periodo precedente. Gli inviati erano ordinati mediante una
imposizione delle mani e con tale rito gli šeluhim ricevevano tutta l’autorità dei loro
mandanti. Erano di solito accompagnati da lettere di presentazione (cf. At 9,1). Il compito
di questi inviati giudaici poteva variare: andava da un contesto religioso a uno sociale e
istituzionale. In particolare essi potevano svolgere le seguenti mansioni: a) trattare affari
finanziari (compravendite, testamenti, ecc.); b) riscuotere le decime e le altre tasse per il
Tempio; c) richiamare le verità religiose e gli insegnamenti tradizionali; d) presiedere alla
preghiera sinagogale; e) organizzare collette a favore dei Giudei palestinesi; f) nominare gli
insegnanti; g) presenziare i contratti matrimoniali o patrimoniali, le cause civili e i divorzi;
h) visitare le comunità ebraiche della diaspora. L’istituzione ebraica di questi šeluhim sembra
essere lo sfondo più diretto e plausibile dell’apostolato neotestamentario, ma tra le due
istituzioni vi sono diversità essenziali che negano qualsiasi dipendenza diretta del secondo
dal primo. Gli apostoli nel NT non sono dei semplici messaggeri, portatori di un messaggio
o trasmettitori di un comando, ossia dei semplici porta–voce. Essi, per chiamarsi apostoli,
devono assolvere a determinate condizioni e svolgere mansioni ben definite: a) sono stati
scelti per iniziativa divina in ordine alla salvezza (predicazione, culto, miracoli, ecc.: cf. Mt
10,1; Lc 9,1; Gv 6,70; 15,16). b) Sono stati testimoni della risurrezione di Gesù o hanno
avuto una visione particolare del Gesù risorto (cf. 1Cor 9,1; 15,5–9; At 1,21–22). c)
Svolgono ruoli direttivi all’interno della comunità ecclesiale (cf. At 15; 2,42–43). In sostanza:
gli inviati giudaici sono dei semplici plenipotenziari, la cui azione è limitata e condizionata
dai comandi che un singolo o un gruppo di rabbini ha dato loro. Al contrario l’apostolo del
NT agisce da maestro e annunciatore di una salvezza per una presenza costante dell’Inviante
che non solo ne è all’origine giuridica, ma che diventa la stessa realtà da trasmettere e
testimoniare.].
[é<`:"Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da Ï<@:V.T, chiamare, nominare, mettere nome.
Questo verbo ricorre 10 volte nel NT: Mc 3,14 (hapax marciano); Lc 6,13.14; At 19,13; Rm
15,20; 1Cor 5,11; Ef 1,21; 3,15; 5,3; 2Tm 2,19. L’espressione @áH i" •B@FJ`8@LH
é<`:"Fg< è presente nei codici !, B, C (il quale pone *f*gi" dopo é<`:"Fg<), 1, f13;
è assente, invece, in A, C (secondo correttore), D (Ë<" ìF4< *f*gi"), L, f1, e molti
manoscritti minuscoli. È molto probabile che la frase non appartenga al testo originale, ma
sia una interpolazione tratta da Lc 6,13, nonostante la bontà dei codici che la riportano. Il
verbo Ï<@:V.T usato per «chiamare» non ricorre altrove in Marco, mentre Luca lo usa 3
volte nei suoi due scritti.].
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
ìF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente;
cf. Mc 1,6. Predicato verbale. La proposizione finale ha qui anche un senso volitivo
(congiuntivo volitivo): «oratio finalis exhibet terminum in quem aliqua actio tendit (vel
238 Mc 3,15

potius dirigitur) ex intentione agentis» (Zerwick Max, Graec., § 351); altro esempio in Mc
3,2.
:gJz: (= :gJV), prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con,
insieme a, in compagnia di; cf. Mc 1,13.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di compagnia. Questo «stare con lui», ossia
con Gesù, deve essere preso, anzitutto, in senso fisico. Durante la passione di Gesù la
giovane portinaia nell’accusare Pietro non dice «Tu eri suo discepolo», ma «Anche tu eri con
Gesù» (cf. Mc 14,67). L’espressione :gJz "ÛJ@Ø sovente ha come complemento Gesù (cf.
Mc 3,14; 4,36; 5,18.24.37.40; 14,33; 16,10). Questo “stare” fisico è la prima condizione alla
quale Gesù chiama, ma in questo «essere con lui» possiamo leggere, forse, anche di più se
ricordiamo che questa è la formula tipica dell’alleanza, la cui forma classica è la seguente:
«Io sarò per essi Dio ed essi saranno per me popolo» (Ger 31,33). Notiamo, inoltre, che il
verbo al congiuntivo esprime proprio una stabilità: affinché stessero stabilmente con lui.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
•B@FJX88®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. pres. da •B@FJX88T (•B` e FJX88@:"4), inviare,
mandare; cf. Mc 1,2.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
i0DbFFg4<: verbo, inf. pres. da i0DbFFT, proclamare apertamente, annunciare solennemente,
predicare; cf. Mc 1,4. L’apostolo Paolo in Rm 10,15 mette quasi in rapporto tecnico nei
riguardi della predicazione il «mandare a predicare». È Gesù che invia i Dodici a predicare,
a proclamare: non si esplicita l’oggetto di tale predicazione perché si tratta di predicare colui
stesso che invia. Allora si comprende perché ai Dodici è chiesto, anzitutto, di stare con Gesù:
vivono con lui perché dovranno testimoniare lui.

3,15 i" §Pg4< ¦>@LF\"< ¦i$V88g4< J *"4:`<4"·


3,15 e perché avessero il potere di scacciare i demoni:

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§Pg4<: verbo, inf. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella condizione di,
essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. L’infinito è retto da Ë<" del v. precedente.
¦>@LF\"<: sost., acc. sing. f. da ¦>@LF\", –"H (da §>g4:4), potere, autorità, abilità, forza; cf.
Mc 1,22; compl. oggetto. Senza articolo perché riferentesi a un potere generico. Questo
vocabolo è impiegato da Marco soltanto per Gesù e per i Dodici, i quali condividono con il
Maestro lo stesso potere.
¦i$V88g4<: verbo, inf. pres. da ¦i$V88T (da ¦i e $V88T), scacciare, mandare via, fare
uscire, espellere; cf. Mc 1,12. Il «cacciare i demoni» ha per Marco una grande importanza
Mc 3,16 239

perché indica, attraverso gli esorcismi e ciò che essi significano, la lotta che Gesù conduce
contro il male. Lo stesso potere Gesù rinnova in Mc 6,7, quando invia i Dodici in missione
apostolica: esso, perciò, è strettamente legato alla predicazione.
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
*"4:`<4": sost., acc. plur. n. da *"4:`<4@<, –@L, demonio, spirito cattivo; cf. Mc 1,34; compl.
oggetto.

3,16 [i"Â ¦B@\0Fg< J@×H *f*gi"s] i"Â ¦BXh0ig< Ð<@:" Jè E\:T<4 AXJD@<s
3,16 Simone, al quale diede il nome di Pietro,

[i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.].


[¦B@\0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3.].
[J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.].
[*f*gi": agg. numerale, cardinale, di valore sostantivato, acc. plur. m., indecl., dodici, Dodici
(apostoli); cf. Mc 3,14; compl. oggetto. La frase i"Â ¦B@\0Fg< J@×H *f*gi" è presente
nei codici !, B, C*, ), 565, 579. È assente, invece, in A, C (secondo correttore), D, L, 1,
f1, e in molti codici minuscoli. Nonostante l’attestazione di alcuni importanti codici
l’espressione non sembra essere originale: si tratta probabilmente di un errore di dittografia
rispetto alla precedente frase del v. 14: i"Â ¦B@\0Fg< *f*gi".].
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦BXh0ig<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦B4J\h0:4 (da ¦B\ e J\h0:4), sovrapporre,
imporre, soprannominare. Questo verbo ricorre 39 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 7 volte in Matteo (corrispondente allo 0,038% del totale delle parole);
8 volte in Marco (cf. Mc 3,16.17; 5,23; 6,5; 7,32; 8,23.25; 16,18 = 0,071%); 5 volte in Luca
(0,026%); 2 volte in Giovanni (0,013%). Il verbo, qui e nel v. 17, è usato nella locuzione
stereotipa ¦B4J\h0:4 Ð<@:", «porre nome», ossia «soprannominare» o semplicemente
«chiamare», come avviene nel greco classico (cf. Omero, Od., 19,403).
Ð<@:": sost., acc. sing. n. da Ð<@:", –:"J@H, nome; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 230
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 22 volte in Matteo (corrispondente
allo 0,120% del totale delle parole); 15 volte in Marco (cf. Mc 3,16.17; 5,9[x2].22; 6,14;
9,37.38.39.41; 11,9; 13,6.13; 14,32; 16,17 = 0,133%); 34 volte in Luca (0,175%); 25 volte
in Giovanni (0,160%). Presso le popolazioni dell’antico Vicino Oriente, come del resto in
tutte le culture antiche era convinzione comune ritenere che il nome di una persona fosse più
che un dato anagrafico o una semplice etichetta di riconoscimento: il nome era considerato
come una componente essenziale della persona, una specie di manifestazione esteriore della
sua individualità. Si era convinti che nel nome si nascondesse il destino della persona,
secondo il detto codificato più tardi dal poeta latino Plauto «nomen omen», ossia «il nome
è un presagio» (Plauto, Pers., 625). Di conseguenza conoscere o assegnare un nome
esprimeva simbolicamente il desiderio di assegnare o conoscere le caratteristiche e il destino
di una persona. Questa convinzione spiega, da una parte, il timore di rivelare il proprio nome,
240 Mc 3,16

dall’altra il desiderio di conoscere quello altrui. Questo secondo esempio è particolarmente


importante nel caso degli dèi o dei demoni: conoscere, infatti, il loro nome segreto significava
sottometterli alla propria volontà e utilizzare le loro energie in bene o in male. Anche nella
Bibbia ritroviamo questa tipica mentalità, in particolare il fatto di imporre il nome a qualcuno
stabilisce un rapporto di dominio e proprietà tra colui che denomina e chi è denominato (cf.
Gn 2,19ss.; 17,5.15; 2Sam 12,28; 2Re 23,34; Dn 1,7; ecc.).
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
E\:T<4: sost., nome proprio di persona, dat. sing. m. da E\:T<, –T<@H, Simone, Simeone; cf.
Mc 1,16; compl. di termine.
AXJD@<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da AXJD@H, –@L, Pietro; apposizione di
E\:T<4. Il vocabolo ricorre 155 volte nel NT, sempre in riferimento all’apostolo Simone,
fratello di Andrea. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 23 volte in Matteo (corrispon-
dente allo 0,125% del totale delle parole); 20 volte in Marco (cf. Mc 3,16; 5,37; 8,29.32.33;
9,2.5; 10,28; 11,21; 13,3; 14,29.33.37.54.66.67.70.72; 16,7 = 0,176%); 19 volte in Luca
(0,098%); 34 volte in Giovanni (0,217%). Il termine AXJD@H corrisponde al nome comune
aramaico !5 I *ƒF, kêp) a) ’, «pietra», «roccia» (cf. Gv 1,42; 1Cor 1,12; 3,22; 9,5; 15,5; Gal 1,18;
2,9.11.14; cf. anche Mc 1,16 per quanto riguarda Simone). La forma traslitterata 5gnH,
riportata da Giovanni e Paolo, rappresenta la forma grecizzata del soprannome aramaico che
Gesù dette a Simone. Questo soprannome originale dato da Gesù a Simone (!5 I *ƒF) fu
tradotto in greco usando il nome AXJD@H (cf. Gv 1,42) che ne rappresenta una traduzione
mascolinizzata (la forma !5 I *ƒF, Kêp) a) ’ poteva essere resa più opportunamente con il nome
femminile AXJD", «roccia»). Anche questo nuovo nome (AXJD@H) non era ordinariamente
usato come nome proprio maschile nella prima metà del I secolo d.C. Diversamente dall’altro
soprannome #@"<0D(XH, Boanerghés, che Gesù dette ai figli di Zebedeo (cf. Mc 3,17),
quello di Pietro fu considerato tanto importante che la parola non soltanto fu traslitterata in
greco, ma anche tradotta e usata come nome proprio cristiano a partire dal I secolo d.C. La
stretta connessione di questa imposizione del nuovo nome (Pietro) con la stessa istituzione
apostolica rappresenta una evidente intenzione di Gesù di fare di Simone/Pietro il primo nel
gruppo dei Dodici. Non è, dunque, per caso che, se fino a questo punto Marco designava
l’apostolo sempre con il nome semitico di E\:T<, Simone (cf. Mc 1,16.29.30.36; 3,16),
d’ora innanzi fino alla fine del vangelo lo chiamerà sempre con il nuovo nome di Pietro,
impostogli da Gesù. Dopo Mc 3,16, è vero, il nome di Simone ritorna ancora una volta, nella
scena del Getsemani (cf. Mc 14,37), ma non nella redazione di Marco, bensì sulle labbra di
Gesù, come ricordo storico e simbolico. E anzi Marco stesso conserva qui l’uso che ha
seguito a partire da Mc 3,16: «[Gesù] disse a Pietro: “Simone, dormi?”». Diversamente dagli
altri evangelisti Marco è il solo a distinguere così nettamente tra il nome di Simone e quello
di Pietro secondo il tempo che precede e quello che segue l’istituzione apostolica. Inoltre,
quando nel seguito del vangelo Marco menzionerà insieme con Pietro anche altri apostoli,
Pietro verrà sempre citato al primo posto, come in Mc 3,16 (cf. Mc 5,37; 9,2; 13,3; 14,33).
Infine Marco è il solo dei vangeli in cui, nel messaggio pasquale del giovane vestito di bianco
al mattino della risurrezione, c’è una menzione speciale di Pietro («Andate, dite ai suoi
discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea»). La spiegazione di questa insistenza si
Mc 3,17 241

deve al fatto che Pietro ha ricevuto direttamente da Gesù un “primato” rispetto agli altri
membri del collegio dei Dodici.

3,17 i" z3ViT$@< JÎ< J@Ø -g$g*"\@L i" z3TV<<0< JÎ< •*g8nÎ< J@Ø z3"if$@L
i"Â ¦BXh0ig< "ÛJ@ÃH Ï<`:"[J"] #@"<0D(XHs Ó ¦FJ4< KÊ@Â #D@<J­H·
3,17 Giacomo di Zebedeo e Giovanni, fratello di Giacomo, ai quali diede il soprannome di
Boanerghés, cioè “figli del tuono”,

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


z3ViT$@<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z3ViT$@H, –@L, Giacomo; cf. Mc
1,19; compl. oggetto. La lunga serie dei nomi al caso accusativo (vv. 17–19) dipende da
¦B@\0Fg< del v. 14: praticamente si tratta di una sola lunga proposizione fino al v. 19.
J`<: art. determ., con valore pronominale, acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2; compl.
oggetto. «Quello di Zebedeo», ossia «il figlio di Zebedeo». Uso pronominale dell’articolo,
corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso, senza
enfasi speciale. La designazione di una persona secondo il padre è classica, tuttavia presso
i semiti si preferisce esplicitarla mediante il sostantivo LÊ`H: z3TV<<0< JÎ< -"P"D\@L
LÊ`<, «Giovanni, figlio di Zaccaria» (Lc 3,2). Se LÊ`H viene omesso il legame di parentela
è formulato senza alcun articolo: z3ViT$@< {!8n"\@L, «Giacomo di Alfeo» (Lc 6,15)
oppure compare l’articolo che diversamente dall’uso classico è seguito dall’altro articolo: è
il nostro caso. Stesso fenomeno in Mc 1,19; 2,14; 3,18.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
-g$g*"\@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da -g$g*"Ã@H, –@L, Zebedeo; cf. Mc
1,19; compl. di specificazione.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
z3TV<<0<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z3TV<<0H, –@L, Giovanni; cf. Mc
1,19; compl. oggetto. La coppia dei fratelli z3"if$@L i"Â z3TV<<@L sembra essere uno
stereotipo: sono nominati in questo ordine in Mc 1,19.29; 3,17; 5,37; 9,2; 10,35.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
•*g8n`<: sost., acc. sing. m. da •*g8n`H, –@Ø, fratello; cf. Mc 1,16; apposizione di
z3TV<<0<. Per il commento lessicale a questo vocabolo cf. Mc 3,31.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
z3"if$@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z3ViT$@H, –@L, Giacomo; cf. Mc
1,19; compl. di specificazione.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦BXh0ig<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦B4J\h0:4 (da ¦B\ e J\h0:4), sovrapporre,
imporre, soprannominare; cf. Mc 3,16.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
242 Mc 3,18

Ï<`:"[J"]: sost., acc. plur. n. da Ð<@:", –:"J@H, nome; cf. Mc 3,16; compl. oggetto. Invece
della forma Ï<`:"J" (presente nella maggior parte dei manoscritti) i codici B, D, 28 hanno
il nominativo Ð<@:", ininfluente per quanto riguarda l’esatta interpretazione del passo.
#@"<0D(XH: sost., nome proprio di persona, acc. plur. n., indecl., da #@"<0D(XH, Boanerghés;
apposizione di z3ViT$@< e z3TV<<0<. Hapax neotestamentario. Traslitterazione grecizzata
dell’espressione di origine ebraica o aramaica –#G9G *1FvA, Benê reg) eš, «Figli del tumulto»,
tradotta da Marco con «figli del tuono». È probabile che Gesù abbia dato questo soprannome
a Giacomo e Giovanni a causa del carattere ardente e passionale dei due fratelli, i quali in
occasione del rifiuto ad accogliere Gesù da parte degli abitanti di un villaggio samaritano
chiesero di invocare un fuoco celeste distruttore, meritandosi il rimprovero del Maestro (cf.
Lc 9,51–56). Nonostante la difficoltà filologica di spiegare l’etimologia di questo soprannome
(al riguardo vi sono anche altre spiegazioni) il dato è certamente storico: ciò può essere
dedotto dalla constatazione che sia i vangeli sinottici di Matteo e Luca sia gli altri scritti
neotestamentari dimostrano un totale disinteresse per questo particolare.
Ó: pron. relativo, nom. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24; soggetto.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. L’espressione Ó ¦FJ4<, «che è», equivale alle espressioni «che significa», «che
corrisponde a», «vale a dire». Questa formula è presente 9 volte: Mc 3,17; 5,41; 7,11.34;
12,42; 15,16.22.34.42.
KÊ@\: sost., nom. plur. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; predicato nominale.
#D@<J­H: sost., gen. sing. m. da $D@<JZ, –­H, tuono; compl. di specificazione. Il vocabolo
ricorre 12 volte nel NT: Mc 3,17 (hapax marciano); Gv 12,29; Ap 4,5; 6,1; 8,5; 10,3.4[x2];
11,19; 14,2; 16,18; 19,6. In tutte le ricorrenze neotestamentarie il termine è usato con
significato letterale proprio, in riferimento al tuono come fenomeno atmosferico (cf. Omero,
Omero, Il., 13,796). L’espressione LÊ@Â $D@<J­H è un semitismo costruito mediante la
locuzione «figli di…» per indicare una stretta connessione tra due concetti o per esprimere
una qualità del sostantivo (analogo fenomeno in Mc 2,19; 3,28; cf. anche Mt 23,15; Lc 10,6;
16,8; 20,34.36; Gv 17,12). Nel nostro caso è probabile che l’espressione ebraica «figli del
tuono» equivalga agli aggettivi italiani «impetuosi», «ardenti», «zelanti».

3,18 i" z!<*DX"< i" M\84BB@< i" #"Dh@8@:"Ã@< i" 9"hh"Ã@< i" 1T:<
i"Â z3ViT$@< JÎ< J@Ø {!8n"\@L i"Â 1"**"Ã@< i"Â E\:T<" JÎ< 5"<"<"Ã@<
3,18 Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone
il Cananeo

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


z!<*DX"<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z!<*DX"H, –@L, Andrea; cf. Mc
1,16; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
M\84BB@<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da M\84BB@H, –@L (da n\8@H e
ËBB@H), Filippo; compl. oggetto. Nome di origine greca, dalla radice n48– di n\8@H, «che
Mc 3,18 243

ama», + radice ËBB– di ËBB@H, «cavallo», + suffisso degli aggettivi –@H: «appassionato di
cavalli», «amante dei cavalli». Il vocabolo ricorre 36 volte nel NT. In 16 occorrenze si
riferisce all’apostolo Filippo, uno dei Dodici: Mt 10,3; Mc 3,18; Lc 6,14; Gv 1,43.44.45.46.
48; 6,5.7; 12,21.22[x2]; 14,8.9; At 1,13. Nelle altre ricorrenze è impiegato per designare il
tetrarca Filippo, figlio di Erode il Grande e Cleopatra di Gerusalemme, sua quinta moglie (cf.
Mt 14,3; 16,13; Mc 6,17; 8,27; Lc 3,1), Filippo l’evangelista, uno dei sette della cerchia di
Stefano (cf. At 6,5; 8,5.6.12.13.26.29.30.31.34.35.38.39.40; 21,8.9). Questa è l’unica
ricorrenza dell’apostolo Filippo nel vangelo di Marco.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
#"Dh@8@:"Ã@<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da #"Dh@8@:"Ã@H, –@L,
Bartolomeo; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 4 volte nel NT, sempre in riferimento
all’apostolo Bartolomeo, uno dei Dodici: Mt 10,3; Mc 3,18 (hapax marciano); Lc 6,14; At
1,13. Traslitterazione grecizzata del nome proprio maschile di origine aramaica, */ H -A˜
H << 9vH,
Bar–Talmay, «Figlio di Tolmai» (cf. 2Sam 3,3; 13,37; Gs 15,14) o «figlio di Tolomeo» (cf.
la grafia 1@8@:"Ã@H, Tolomeo / Tolomaio, presente in Giuseppe Flavio, Antiq., 7,21; 20,5).
Verosimilmente non si tratta di un patronimico, poiché ai tempi del NT certi nomi che
tecnicamente possono essere stati all’inizio dei patronimici sembra fossero usati come nomi
propri indipendenti. Inoltre altri patronimici negli elenchi dei Dodici non sono espressi con
l’uso di bar– (aramaico per «figlio di»), ma con il caso genitivo greco, sottintendendo il
sostantivo LÊ`H («figlio di»), come avviene, ad esempio, per «Giacomo [il figlio] di Zebedeo»
(Mc 1,19). Il nome dell’apostolo Bartolomeo compare esclusivamente nelle quattro liste che
riportano i nomi dei Dodici (cf. Mt 10,3; Mc 3,18; Lc 6,14; At 1,13); al di fuori di queste
ricorrenze non viene riferito alcun particolare su di lui.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
9"hh"Ã@<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da 9"hh"Ã@H, –@L, Matteo; compl.
oggetto. Il vocabolo ricorre 5 volte nel NT, sempre in riferimento all’apostolo Matteo, uno
dei Dodici: Mt 9,9; 10,3; Mc 3,18 (hapax marciano); Lc 6,15; At 1,13. Traslitterazione
grecizzata del nome proprio maschile di origine ebraica, *˜ H/H , Mattay, «Dono di Yah[weh]».
Il suo nome non compare più nel vangelo di Marco.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
1T:<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da 1T:H, –, Tommaso; compl.
oggetto. Il vocabolo ricorre 11 volte nel NT, sempre in riferimento a Tommaso, uno dei
Dodici: Mt 10,3; Mc 3,18 (hapax marciano); Lc 6,15; Gv 11,16; 14,5; 20,24.26.27.28; 21,2;
At 1,13. Traslitterazione grecizzata del nome proprio maschile di origine aramaica !/ I |!˜A,
Te’ôma) ’, «Gemello» (cf. Gv 11,16; 20,24; 21,2 dove il nome viene tradotto con )\*4:@H,
«Gemello»). Limitatamente al vangelo di Marco nulla sappiamo di questo personaggio.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
z3ViT$@<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z3ViT$@H, –@L, Giacomo; cf. Mc
1,19; compl. oggetto. L’apostolo «Giacomo di Alfeo» (= figlio di Alfeo) è menzionato 4
volte come uno dei Dodici (cf. Mt 10,3; Mc 3,18; Lc 6,15; At 1,13).
244 Mc 3,18

J`<: art. determ., con valore pronominale, acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2; compl.
oggetto. «Quello di Alfeo», ossia «il figlio di Alfeo». Uso pronominale dell’articolo,
corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso, senza
enfasi speciale. La designazione di una persona secondo il padre è classica, tuttavia presso
i semiti si preferisce esplicitarla mediante il sostantivo LÊ`H: z3TV<<0< JÎ< -"P"D\@L
LÊ`<, «Giovanni, figlio di Zaccaria» (Lc 3,2). Se LÊ`H viene omesso il legame di parentela
è formulato senza alcun articolo: z3ViT$@< {!8n"\@L, «Giacomo di Alfeo» (Lc 6,15)
oppure compare l’articolo che diversamente dall’uso classico è seguito dall’altro articolo: è
il nostro caso. Stesso fenomeno in Mc 1,19; 2,14; 3,17.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
{!8n"\@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da {!8n"Ã@H, –@L, Alfeo; cf. Mc
2,14; compl. di specificazione.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
1"**"Ã@<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da 1"**"Ã@H, –@L, Taddeo; compl.
oggetto. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT, sempre in riferimento all’apostolo Taddeo, uno
dei Dodici nelle liste di Matteo e Marco: Mt 10,3; Mc 3,18 (hapax marciano). Traslitterazio-
ne grecizzata del nome proprio maschile di origine aramaica, *y H˜H , Tadday, «Coraggioso».
È menzionato come uno dei Dodici soltanto nella lista di Matteo (cf. Mt 10,3) e Marco (cf.
Mc 3,18). Il suo nome non compare più nel NT.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
E\:T<": sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da E\:T<, –T<@H, Simone, Simeone; cf.
Mc 1,16; compl. oggetto. Il vocabolo, in riferimento all’apostolo «Simone il Cananeo»,
ricorre 2 volte nel NT: Mt 10,4; Mc 3,18. Le liste lucane al posto di Simone «il Cananeo»
hanno Simone «lo Zelota» (cf. Lc 6,15; At 1,13): si tratta della stessa persona (vedi sotto).
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
5"<"<"Ã@<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da 5"<"<"Ã@H, –@L, Cananeo;
apposizione di E\:T<". Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mt 10,4; Mc 3,18 (hapax
marciano). Traslitterazione grecizzata della parola di origine aramaica 0! I 1A8
H , qan’a) n,
«zelante», «geloso». Simone «il Cananeo» (5"<"<"Ã@H, ricordato nelle liste di Marco e
Matteo) e Simone «lo zelota» (-08TJZH, ricordato nelle liste lucane) debbono essere
identificati con la stessa persona, poiché entrambi i titoli si rifanno alla stessa parola
aramaica 0! I 1A8
H che Matteo e Marco traslitterano (5"<"<"Ã@H), mentre Luca traduce
(-08TJZH). È certo che la parola «zelota» non aveva al tempo di Gesù il significato
collettivo, politico e violento che assunse dopo il 67 d.C., quando venne usata per definire
gli appartenenti al partito degli «zeloti», in lotta armata contro il dominio di Roma. Dunque
è storicamente impossibile che questo Simone fosse o fosse stato un membro di tali
ultranazionalisti, combattenti per la libertà. La fazione rivoluzionaria organizzata che
Giuseppe Flavio chiama gli «zeloti» (@Ê .08TJ"\, Bellum, passim) si costituì a Gerusalem-
me durante la prima guerra giudaica, nell’inverno del 67–68 d.C., per opera di Giuda il
Galileo e del fariseo Sadok, proponendosi come resistenza armata contro la dominazione
romana. Considerare Simone il Cananeo uno «zelota», nel senso tecnico di un membro di
Mc 3,19 245

questo gruppo organizzato, è del tutto anacronistico. L’appellativo rivolto a questo Simone,
certamente datogli per distinguerlo dal più importante Simone (Pietro, il primo dei Dodici),
riflette un più antico e tradizionale uso del termine 0!
I 1A8
H , qan’a) n, utilizzato per definire un
ebreo assai zelante nella pratica della legge mosaica e impegnato affinché i suoi fratelli di
fede osservino con rigore la Legge come mezzo per distinguere e separare Israele dall’idola-
tria e dall’immoralità praticata dai vicini pagani. Il soprannome «zelota/cananeo» dato a
Simone designa, quindi, una semplice caratteristica individuale, sulla linea tradizionale e
religiosa del termine. Paolo, ad esempio, afferma di essere «zelante» (.08TJZH) per quanto
riguarda le tradizioni dei padri (cf. Gal 1,14; cf. At 23,3); in At 21,20 alcuni Giudei sono
chiamati «zeloti della legge» (.08TJ"Â J@Ø <`:@L); nei LXX lo stesso Dio è definito
.08TJZH, «zelota» (Es 20,5; 34,14; Dt 4,24; 5,9; 6,15).

3,19 i"Â z3@b*"< z3Fi"D4fhs ÔH i"Â B"DX*Tig< "ÛJ`<.


3,19 e Giuda Iscariota, quello che poi lo tradì.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


z3@b*"<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z3@b*"H, –", Giuda; compl. oggetto.
Traslitterazione grecizzata del nome proprio maschile di origine ebraica %$
I {%*A, Yehûd5a) h, la
cui etimologia è incerta (forse «Celebrato» o «Lode di Yah[weh]»). Il vocabolo ricorre 44
volte nel NT. In 22 ricorrenze si riferisce all’apostolo Giuda Iscariota, uno dei Dodici: Mt
10,4; 26,14.25.47; 27,3; Mc 3,19; 14,10.43; Lc 6,16; 22,3.47.48; Gv 6,71; 12,4; 13,2.26.29;
18,2.3.5; At 1,16.25. Nelle altre occorrenze il vocabolo è impiegato per designare: b)
l’apostolo «Giuda di Giacomo», uno dei Dodici (cf. Lc 6,16; Gv 14,22; At 1,13); c) Giuda,
figlio del patriarca Giacobbe (cf. Mt 1,2.3; 2,6[x2]; Lc 1,39; 3,33; Eb 7,14; 8,8; Ap 5,5; 7,5);
d) Giuda, antenato di Gesù (cf. Lc 3,30); e) Giuda, fratello di Gesù (cf. Mt 13,55; Mc 6,3);
f) Giuda il Galileo (cf. At 5,37); g) Giuda, detto Barsabba, membro della Chiesa di
Gerusalemme (cf. At 15,22.27.32); h) Giuda, discepolo in Damasco (cf. At 9,11); i) Giuda,
«fratello di Giacomo» (cf. Gd 1,1).
z3Fi"D4fh: sost., nome proprio di persona, acc. sing. n., indecl., da z3Fi"D4fh, –@L,
Iscariota; apposizione di z3@b*"<. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT nella grafia z3Fi"-
D4fh (cf. Mc 3,19; 14,10; Lc 6,16) e 8 volte nella grafia z3Fi"D4fJ0H (cf. Mt 10,4; 26,14;
Lc 22,3; Gv 6,71; 12,4; 13,2.26; 14,22). Entrambi i nomi sono la traslitterazione grecizzata
della probabile espressione di origine ebraica ;|9E8 A –*! E , ’Κ Qeriyyô5t , ossia «Uomo [=
originario] di Qeriot», in riferimento al presunto luogo di origine dell’apostolo Giuda (cf. Gs
15,25). La difficoltà per accogliere come autentica tale interpretazione deriva dal fatto che da
un punto di vista storico e archeologico non esistono certezze circa una città palestinese
chiamata Qeriot. Nel TM di Gs 15,25 nella lista delle città della Giudea compare un
toponimo nella forma 0|97A( G ;|9E8A, Qeriyyô5t HE esErôn, il quale sembrerebbe alludere al nome
in oggetto, ma l’esatta traduzione e comprensione di questa frase è incerta: i LXX traducono
con "Ê B`8g4H !FgDT<, «le città [o i villaggi] di Hezron», mentre per la Vulgata si tratta
di una sola città. Una cittadina moabita chiamata ;|9E8 A , Qeriyyô5t è menzionata anche in Ger
48,24 e Am 2,2, ma anche in questo caso si tratta di un toponimo privo di ogni riscontro
246 Mc 3,19

archeologico o letterario. Un elemento minore, tuttavia, sembra favorire la teoria secondo cui
il soprannome «Iscariota» si riferisce a qualche toponimo: nel vangelo di Giovanni l’apostolo
Giuda è chiamato per tre volte non «Giuda Iscariota», ma «Giuda [figlio] di Simone
Iscariota», attribuendo così il soprannome in oggetto non a lui, ma al padre (cf. Gv 6,71;
13,2.26). La spiegazione più plausibile del perché padre e figlio portassero lo stesso
appellativo «Iscariota» sarebbe che questo termine designava la città da cui entrambi
provenivano. In ogni caso deve essere certamente scartata l’ipotesi della derivazione
grecizzata (da F4iVD4@H), fatta derivare dal termine latino sicarius (da sica, un pugnale a
lama corta), ossia «uomo di pugnale», «sicario», «assassino», appellativo che i Romani
davano agli aderenti di ogni gruppo di resistenti armati. Non soltanto la derivazione di
z3Fi"D4fh / z3Fi"D4fJ0H dalla parola latina sicarius è dubbia su basi filologiche, ma è
da scartare a livello storico, poiché i sicari sorsero come gruppo organizzato soltanto negli
anni 40/50 d.C., ossia almeno un decennio dopo gli eventi in oggetto. Raccogliendo i dati
esclusivamente marciani su questa figura otteniamo le seguenti informazioni:

1) È menzionato all’ultimo posto nella lista dei Dodici scelti da Gesù (cf. Mc 3,19) e
altrove è indicato come membro del gruppo dei Dodici (cf. Mc 14,10.43).
2) Viene indicato con il soprannome Iscariota (cf. Mc 3,19; 14,10).
3) È conosciuto come «colui che consegnò» o «tradì» Gesù (cf. Mc 3,19; 14,44).
4) Di lui fa allusione Gesù in occasione dell’Ultima cena (cf. Mc 14,21).
5) Si reca dai sommi sacerdoti e si accorda con essi per la consegna di Gesù; in cambio
riceve del denaro (cf. Mc 14,10–11).
6) Assieme a una gruppo armato si reca al Getsemani e accostandosi a Gesù gli dice:
«Maestro!», quindi lo bacia come segnale di riconoscimento per farlo arrestare (cf. Mc
14,43–45).
ÓH: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore aggiuntivo, indecl., anche, perfino, inoltre, altresì; cf. Mc 1,4.
Il significato aggiuntivo di i"\ è presente in Mc 1,27b.38b; 2,15b.26c.28; 3,19b; 4,24b;
6,34b; 7,18b; 8,3b.7ac.38c; 9,22a; 11,25b; 12,22b; 13,29; 14,9.29.31; 15,31.40ab.43a.
B"DX*Tig<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da B"D"*\*T:4 (da B"DV e *\*T:4), consegnare,
rimettere, dare (qualcuno) nelle mani (di un altro), consegnare (qualcuno) al potere (di un
altro), tradire; cf. Mc 1,14. Strettamente parlando questo verbo, abitualmente connesso con
il nome di Giuda nei quattro vangeli, significa «dare», «consegnare (qualcuno) nelle mani di»,
«abbandonare»: il significato tecnico di «tradire» non è la traduzione più accurata.
Certamente nel contesto specifico di un discepolo intimo che «consegna» il suo maestro ad
autorità che potrebbero giustiziarlo l’atto di consegnare può, di fatto, costituire un vero e
proprio tradimento, ma questo ulteriore significato deriva dalla cornice storica degli
avvenimenti successivi e non dal significato linguistico del verbo utilizzato.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto. La lista marciana dei Dodici si
conclude qui. Ma quanti e quali erano esattamente gli apostoli scelti da Gesù? La domanda
Mc 3,19 247

non è banale, poiché se si esaminano le quattro liste neotestamentarie si possono scorgere


alcune differenze e difformità, come è possibile constatare da questa tavola sinottica:

Marco 3,16–19 Matteo 10,2–4 Luca 6,14–16 Luca (At 1,13)

Simon Pietro Simon Pietro Simon Pietro Pietro


Giacomo Andrea Andrea Giovanni
Giovanni Giacomo Giacomo Giacomo
Andrea Giovanni Giovanni Andrea

Filippo Filippo Filippo Filippo


Bartolomeo Bartolomeo Bartolomeo Tommaso
Matteo Tommaso Matteo Bartolomeo
Tommaso Matteo Tommaso Matteo

Giacomo di Alfeo Giacomo di Alfeo Giacomo di Alfeo Giacomo di Alfeo


Taddeo Taddeo Simone lo Zelota Simone lo Zelota
Simone il Cananeo Simone il Cananeo Giuda di Giacomo Giuda di Giacomo
Giuda Iscariota Giuda Iscariota Giuda Iscariota ––––––––––

Possiamo notare:
a) Il primo apostolo nominato è sempre Simone, al quale viene aggiunto l’appellativo
AXJD@H, datogli dallo stesso Gesù, corrispondente all’aramaico !5I*ƒF, Kêp) a) ’, «pietra»,
«roccia» (cf. Gv 1,42; 1Cor 1,12; 3,22; 9,5; 15,5; Gal 1,18; 2,9.11.14).

b) Giuda Iscariota è sempre all’ultimo posto. Da notare che è assente nella lista degli Atti:
qui, infatti, Luca sta menzionando il gruppo degli Apostoli a Gerusalemme, dopo l’ascensio-
ne di Gesù, quando Giuda se ne era andato «al posto da lui scelto» (At 1,25).

c) I nomi si presentano divisi in tre gruppi di quattro apostoli: l’ordine all’interno di questi
tre gruppi può variare, ma un nome non passa mai da un gruppo all’altro. È probabile che
tale sistema fosse un espediente mnemonico per fissare e tramandare con cura i nomi dei
Dodici.

d) Non tutti riportano gli stessi nomi: per quanto riguarda Simone «lo Zelota», menzionato
all’undicesimo posto in Marco e Matteo e Simone «il Cananeo», al decimo posto nelle liste
lucane, l’identificazione è pressoché certa: si tratta dello stesso personaggio il cui soprannome
è traslitterato 5"<"<"Ã@H nelle prime due liste, mentre è tradotto -08TJZH in Luca. Il
soprannome, come sopra accennato (cf. Mc 3,18), non significa che egli fosse nativo di Cana
o un discendente dei cananei e neppure che appartenesse al gruppo violento degli «zeloti»:
il termine si rifà all’aramaico 0!I 1A8
H , qan’a) n, «zelante», «geloso». Si tratta, dunque, dello
stesso epiteto applicato alla medesima persona.
248 Mc 3,20

e) Più difficile resta sul piano lessicale l’identificazione di Taddeo, menzionato al decimo
posto in Marco e Matteo, con Giuda di Giacomo, riportato da Luca. Da un punto di vista
strettamente linguistico tale identificazione è impossibile.

f) Soltanto di quattro apostoli si aggiunge qualche altro elemento oltre il nome: è il caso
di Simone «al quale impose il nome di Pietro», di Giacomo e Giovanni «ai quali diede il
nome di Boanerghés, cioè figli del tuono» e di Giuda Iscariota «quello che poi lo tradì».

3,20 5"Â §DPgJ"4 gÆH @Éi@<· i"Â FL<XDPgJ"4 BV84< [Ò] ÐP8@Hs òFJg :¬ *b<"Fh"4
"ÛJ@×H :0*¥ –DJ@< n"(gÃ<.
3,20 Entrò in casa e si radunò di nuovo la folla, al punto che non potevano neppure
mangiare.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§DPgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Presente storico.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
@Éi@<: sost., acc. sing. m. da @Éi@H, –@L, casa, abitazione; cf. Mc 2,1; compl. di moto a luogo.
Senza articolo perché la frase è stereotipa («andare a casa», «uscire da casa»), sottintendendo
la propria o quella abitualmente frequentata.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
FL<XDPgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da FL<XDP@:"4 (da Fb< e §DP@:"4), venire
insieme, convenire, radunarsi, ammassarsi. Questo verbo deponente ricorre 30 volte nel NT.
La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 1,18; Mc 3,20; 14,53; Lc 5,15; 23,55; Gv
11,33; 18,20. Presente storico. Il verbo FL<XDP@:"4 compare nell’uso classico nel
significato originario di «andare insieme» (cf. Omero, Il., 10,224, tmesi), da cui derivano gli
altri significati di «incontrarsi», «radunarsi» (cf. Erodoto, Hist., 1,152,1; Euripide, Bacc., 714;
Aristofane, Lys., 620).
BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
[Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4. L’articolo è assente in !*, C, L*;
W, 1*, f1, f13. È probabile che l’articolo non facesse parte del testo originale, per i motivi
indicati a proposito di ÐP8@H in Mc 2,4. L’eventuale aggiunta o omissione dell’articolo è in
ogni caso assolutamente ininfluente per la retta comprensione del testo.].
ÐP8@H: sost., nom. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; soggetto.
òFJg: cong. subordinativa di valore consecutivo, indecl., così che, cosicché, tanto che, al punto
che; cf. Mc 1,27.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
*b<"Fh"4: verbo, inf. pres. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere in grado di;
cf. Mc 1,40.
Mc 3,21 249

"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; soggetto della proposizione oggettiva costruita con
l’infinito *b<"Fh"4.
:0*X: (da :Z e *X), avv. di negazione, indecl., neppure, nemmeno, neanche, non; cf. Mc 2,2.
La frequenza della doppia negazione (qui :Z… :0*X…) è una caratteristica stilistica di
Marco (cf. Mc 1,44; 2,2; 3,20.27; 5,37; 6,5; 7,12; 9,1.41; 10,15; 13,2[x2].19.30.31;
14,25.31; 16,8.18) per dare maggiore enfasi alla negazione, senza escludere la possibilità che
essa derivi dall’indole popolare della lingua dei vangeli.
–DJ@<: sost., acc. sing. m. da –DJ@H, –@L, pane; cf. Mc 2,26; compl. oggetto. Senza articolo
perché indica un cibo o un alimento generico, non necessariamente il pane.
n"(gÃ<: verbo, inf. aor. da ¦Fh\T, mangiare, prendere cibo, consumare, divorare; cf. Mc 1,6.
L’espressione letterale «mangiare pane» è un semitismo; equivale a «prendere cibo» o
semplicemente «mangiare» (cf. Gn 3,19; 37,25; Es 2,20; 1Sam 20,34; 2Sam 9,7; Ger 41,1;
48,1; 52,33; Lc 14,1). Ritroviamo questo fenomeno in Mc 3,20; 6,44; 7,2.5.

3,21 i" •i@bF"<JgH @Ê B"Dz "ÛJ@Ø ¦>­8h@< iD"J­F"4 "ÛJ`<· §8g(@< (D ÓJ4
¦>XFJ0.
3,21 Allora i suoi familiari, nel sentire ciò, uscirono per andare a prenderlo; erano
convinti, infatti, che stesse esagerando.

i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.
21.26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.
48a.50.53a.65a.72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\, di influsso semitico, acquista
il significato avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica), per introdurre come
formula paratattica di passaggio una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra
unità narrativa.
•i@bF"<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. Participio predicativo del soggetto @Ê B"Dz "ÛJ@Ø.
Solitamente il verbo •i@bT è costruito con il genitivo della persona che si ode e l’accusativo
di ciò che si sente parlare: qui è senza complemento, come spesso avviene in Marco (cf. Mc
2,17; 3,21; 4,15.33; 6,2.14.16.29; 10,41; 11,14.18; 14,11; 15,35).
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5; soggetto. Uso pronominale
dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello], egli, lui,
esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
B"Dz: (= B"DV), prep. propria con valore di agente, seguita dal genitivo, indecl., da, da parte
di; cf. Mc 1,16.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. L’espressione @Ê B"Dz
"ÛJ@Ø (lett. «quelli presso di lui») può essere diversamente intesa. Nel greco classico
250 Mc 3,21

significa «ambasciatori», «inviati», «messi». Nella Koiné acquista il senso generale di «suoi»
che il contesto determina di volta in volta come «amici», «ministri», «parenti», «commilitoni»,
«familiari», ecc. Nei LXX assume per lo più il senso di «aderenti», «seguaci» (cf. 1Mac 9,58;
10,87; 12,27.28.29; 13,52; 15,15; 16,16). Nel NT può indicare sia i «discepoli» sia i
«parenti/familiari». Qui, in base al contesto del versetto precedente, indica i parenti di Gesù:
è difficile, infatti, riferire ai discepoli l’espressione iniziale «avendo udito…» (avente come
oggetto la mancanza di tempo per mangiare): i discepoli erano con Gesù (v. 20) e potevano
direttamente constatare de visu ciò che stava accadendo (la mancanza di tempo per
mangiare). Soltanto i lontani, ossia i familiari, possono conoscere la situazione per sentito dire
e decidere di intervenire.
¦>­8h@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori, uscire;
cf. Mc 1,25.
iD"J­F"4: verbo, inf. aor. da iD"JXT, tenere, prendere, afferrare, catturare; cf. Mc 1,31.
Infinito di valore finale.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
§8g(@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Imperfetto durativo o iterativo. Uso narrativo del verbo 8X(T, il quale non ha qui
l’ordinario significato di «dire», «rispondere», ecc., ma è impiegato per esprimere una intima
convinzione ed equivale a «ritenere», «credere», «pensare» (cf. Lc 12,45). A chi bisogna
attribuire il successivo severo giudizio emesso su Gesù? Sebbene Marco usi altrove il verbo
8X(T in modo impersonale per esprimere un soggetto anonimo, indefinito (cf. Mc 1,30;
3,32; 6,14; 14,2), qui è preferibile ritenere che il soggetto di §8g(@< siano gli stessi parenti:
questa interpretazione si giustifica filologicamente mediante il parallelismo con il successivo
§8g(@< ÓJ4 (v. 22) che ha per soggetto gli scribi e per la presenza della successiva
congiunzione (VD, la quale per il suo valore conclusivo si applica meglio al soggetto iniziale
della proposizione, ossia @Ê B"Dz "ÛJ@Ø, «i suoi» [= i familiari]. In ogni caso, ammesso che
il giudizio negativo su Gesù sia espresso dalla convinzione popolare («si credeva», «si
diceva», forma impersonale di §8g(@<), si deve necessariamente dedurre che anche gli stessi
parenti condividevano tale opinione, poiché si mettono in cammino con l’intenzione di
fermare Gesù e impedirgli ogni successiva attività.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
¦>XFJ0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦>\FJ0:4 (da ¦i e ËFJ0:4), stupire, meravigliare,
sbalordire (trans.); essere meravigliato, essere fuori della propria mente, essere fuori di sé
(intr.); cf. Mc 2,12. Il significato traslato di questo verbo («perdere la calma», «uscire di
senno») è abbastanza attestato nel greco classico ed ellenistico (cf. Euripide, Or., 1021;
Giuseppe Flavio, Antiq., 10,114; Polibio, Hist., 32,15,8). Anche nei LXX ¦>\FJ0:4 ricorre
piuttosto frequentemente (65 volte): nell’uso intransitivo, il più frequente, sta a indicare la
concitazione psichica dello spavento, della paura e dello stupore, talvolta associata alle
Mc 3,22 251

manifestazioni del soprannaturale. Il giudizio riferito a Gesù è certamente duro e la forma


verbale non è di facile traduzione. La Vulgata rende «in furorem versus est». I commentatori
moderni oscillano tra «è fuori di sé», «ha perso la testa» e simili. Più sfumata, anche se
filologicamente sostenibile, la nostra traduzione «sta esagerando», in riferimento alla
incessante attività di Gesù. Non dimentichiamo, infatti, che l’intervento dei familiari è causato
proprio da questa frenetica attività che impediva a Gesù di «prendere cibo» (cf. Mc 3,20): il
participio predicativo •i@bF"<JgH, grammaticalmente riferito ai «suoi», dal punto di vista
del contenuto si riferisce proprio alla notizia di questo versetto: «…si radunò di nuovo la
folla al punto che non potevano [sott. Gesù e i discepoli] neppure mangiare». La prospettiva
di un esaurimento psicofisico di Gesù è alla base dell’intervento dei familiari, i quali, convinti
che il proprio congiunto «stesse esagerando», si dirigono da lui con l’intenzione di ricondurlo
a casa anche con la forza, se necessario. Il tentativo, però, fallirà: è quanto si deduce dal
prosieguo della narrazione.

3,22 i" @Ê (D"::"JgÃH @Ê •BÎ {3gD@F@8b:T< i"J"$V<JgH §8g(@< ÓJ4 #gg8.g-


$@×8 §Pg4 i" ÓJ4 ¦< Jè –DP@<J4 Jä< *"4:@<\T< ¦i$V88g4 J *"4:`<4".
3,22 Gli scribi che erano discesi da Gerusalemme dicevano: «Costui è posseduto da
Beelzebul e scaccia i demoni per mezzo del capo dei demoni!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
(D"::"JgÃH: sost., nom. plur. m. da (D"::"JgbH, –XTH (da (DV::"), scriba, esperto della
Legge, insegnante religioso; cf. Mc 1,22; soggetto.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
•B`: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da; cf. Mc
1,9.
{3gD@F@8b:T<: sost., nome proprio di città, gen. plur. n. da {3gD@F`8L:", –T<, Gerusalem-
me; cf. Mc 3,8; compl. di moto da luogo.
i"J"$V<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da i"J"$"\<T (da i"JV e la radice di $VF4H),
discendere, venire giù, scendere; cf. Mc 1,10. Participio attributivo del soggetto (D"::"-
JgÃH, con valore enfatico. Da Gerusalemme «si scende» (o «si sale») perché la città, rispetto
ai dintorni, è situata a una altezza maggiore. L’espressione è antica e comune nella Bibbia
(cf. 2Sam 19,35; 2Re 16,5; 18,17; Mt 20,17–18; Mc 10,32.33; Lc 2,42; 19,28; Gv 2,13; 5,1;
At 11,2; 25,1.9).
§8g(@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Imperfetto durativo o iterativo per indicare il ripetersi di questa ostile propaganda.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
#gg8.g$@b8: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m., indecl., Beelzebul; compl. oggetto.
Il vocabolo ricorre 7 volte nel NT: Mt 10,25; 12,24.27; Mc 3,22 (hapax marciano); Lc
252 Mc 3,22

11,15.18.19. Traslitterazione grecizzata di un probabile nome proprio maschile di origine


ugaritica -{"'A -3HvH , Ba‘al zeb5ûl, «Baal il principe» (dalla radice ugaritica zb5l, «principe»).
Secondo 2Re 1,2.3.6.16, Beelzebul (modificato nel TM, per disprezzo e con intento
polemico, in "{"'A -3Hv H , Ba‘al zeb5ûb5, «Signore delle mosche»), era il dio principale della città
filistea di Ekron (Accaron). Non esiste alcuna testimonianza nella letteratura antica che
indichi Beelzebul come il nome di un demonio. L’idea di un mondo di demoni centralmente
organizzato sotto un unico signore o “principe” è estranea all’AT. Le origini di tale idea
affiorano soltanto in epoca tardiva, in alcuni apocrifi dell’AT. In 1QS, 3,20–24 si menziona
un «Angelo delle tenebre» che domina sui figli del male e sugli spiriti delle tenebre. In 1QM,
18,1–3 si parla di «Belial e di tutto l’esercito del suo dominio» contro cui Dio alzerà la sua
mano nella battaglia finale, «per un colpo eterno». Probabilmente nel I secolo d.C. era ancora
diffusa a livello popolare l’idea di un dominio di Satana/Beelzebul su un regno di demoni.
§Pg4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. L’espressione letterale «ha Beelzebul»
corrisponde a «è posseduto da Beelzebul», come spesso avviene per analoghe espressioni con
§PT (cf. Mc 3,22.30; 5,15; 7,25; 9,17).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
¦<: prep. propria di valore strumentale, seguita dal dativo, indecl., a, con, per mezzo di; cf. Mc
1,2.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
–DP@<J4: sost., dat. sing. m. da –DPT<, –@<J@H (participio presente di –DPT), governatore,
comandante, capo, principe; compl. di mezzo. Il vocabolo ricorre 37 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 5 volte in Matteo (corrispondente allo 0,027% del
totale delle parole); 1 volta in Marco (cf. Mc 3,22, hapax marciano); 8 volte in Luca
(0,041%); 7 volte in Giovanni (0,045%). Nella sua accezione etimologica il sostantivo
–DPT< designa nella grecità il «capo», il «comandante», in senso sia civile che militare (cf.
Eschilo, Sept., 674; Sofocle, Ai., 668; Tucidide, Hist., 1,126,8). In riferimento a potenze
ultraterrene (in genere negative) questo vocabolo è impiegato in Mc 3,22; Mt 9,34; 12,24;
Lc 11,15; Gv 12,31; 14,30; 16,11; 1Cor 2,6.8; Ef 2,2. In questi passi il termine è usato come
designazione di potenze demoniache ostili a Gesù o a Dio e alla loro azione salvifica.
L’espressione ¦< Jè –DP@<J4 è un esempio di ¦< strumentale dovuto a influsso semitico:
la preposizione greca traduce quella corrispondente ebraica (vA, be), impiegata per esprimere
non un complemento di luogo, ma di mezzo o strumento. Ritroviamo questo uso particolare
in Mc 1,8; 3,22.23; 4,2.11.24.30; 6,14; 9,29.38.50; 11,28.29.33; 12,1.36.38; 16,17.
Jä<: art. determ., gen. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
*"4:@<\T<: sost., gen. plur. n. da *"4:`<4@<, –@L, demonio, spirito cattivo; cf. Mc 1,34;
compl. di specificazione.
Mc 3,23 253

¦i$V88g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da ¦i$V88T (da ¦i e $V88T), scacciare, mandare
via, fare uscire, espellere; cf. Mc 1,12.
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
*"4:`<4": sost., acc. plur. n. da *"4:`<4@<, –@L, demonio, spirito cattivo; cf. Mc 1,34; compl.
oggetto. La severità del triplo giudizio emesso dagli scribi nei confronti di Gesù («è
posseduto da Beelzebul»; «scaccia i demoni in suo nome»; «è posseduto da uno spirito
cattivo»: Mc 3,30) è garanzia di autenticità per quanto riguarda il valore storico di questa
informazione: nessun cristiano avrebbe osato applicare a Gesù simili convinzioni.

3,23 i"Â BD@Fi"8gFV:g<@H "ÛJ@×H ¦< B"D"$@8"ÃH §8g(g< "ÛJ@ÃHs AäH *b<"J"4
E"J"<H E"J"<< ¦i$V88g4<p
3,23 Ma egli li chiamò a sé e disse loro per mezzo di paragoni: «Come può Satana
scacciare Satana?

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


BD@Fi"8gFV:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. aor. medio da BD@Fi"8XT (da BD`H e
i"8XT), chiamare a sé, convocare, eleggere; cf. Mc 3,13. Participio predicativo del
soggetto sottinteso z30F@ØH. I discorsi di Gesù vengono più di una volta introdotti con il
verbo BD@Fi"8X@:"4 seguito dal destinatario delle parole: BD@Fi"8gFV:g<@H "ÛJ@bH
(sott. gli scribi, Mc 3,23); BD@Fi"8gFV:g<@H […] JÎ< ÐP8@< (la folla, Mc 7,14);
BD@Fi"8gFV:g<@H J@×H :"h0JVH (i discepoli, Mc 8,1); BD@Fi"8gFV:g<@H JÎ< ÐP8@<
F×< J@ÃH :"h0J"ÃH (la folla e i discepoli, Mc 8,34); BD@Fi"8gFV:g<@H "ÛJ@bH (sott.
i Dodici, Mc 10,42).
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto. Il pronome si riferisce a @Ê
(D"::"JgÃH del v. 22.
¦<: prep. propria di valore strumentale, seguita dal dativo, indecl., con, per mezzo di; cf. Mc 1,2.
B"D"$@8"ÃH: sost., dat. plur. f. da B"D"$@8Z, –­H, confronto, paragone, similitudine,
parabola; compl. di mezzo. Il vocabolo ricorre 50 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli
è la seguente: 17 volte in Matteo (corrispondente allo 0,093% del totale delle parole); 13
volte in Marco (cf. Mc 3,23; 4,2.10.11.13[x2].30.33.34; 7,17; 12,1.12; 13,28 = 0,115%); 18
volte in Luca (0,092%). L’espressione ¦< B"D"$@8"ÃH (eb. -– I/
I "A, b5ema) ša) l, cf. Sal 78,2)
è un esempio di ¦< strumentale dovuto a influsso semitico: la preposizione greca traduce
quella corrispondente ebraica (vA, be), impiegata per esprimere non un complemento di luogo,
ma di mezzo o strumento. Ritroviamo questo uso particolare in Mc 1,8; 3,22.23; 4,2.11.24.
30; 6,14; 9,29.38.50; 11,28.29.33; 12,1.36.38; 16,17. L’uso di parabole è una caratteristica
del linguaggio di Gesù, tanto da rappresentare la forma estetica dominante del suo kerygma.
Solitamente si definisce «parabola» un paragone concreto preso dalla vita umana, destinato
a far comprendere un insegnamento astratto che, nel caso della predicazione di Gesù, ha
sempre un connotato soprannaturale. Sul piano stilistico e formale il termine B"D"$@8Z
(limitato praticamente all’uso sinottico, con eccezione di Eb 9,9; 11,19) non è facilmente
254 Mc 3,24

definibile, poiché esso corrisponde all’ebraico -– I/ I , ma) ša) l, un vocabolo che abbraccia una
vasta gamma semantica. Per tale motivo B"D"$@8Z può significare, in base al contesto: il
paragone (cf. Mc 13,28), la similitudine (cf. Mc 4,13), la metafora (cf. Mc 3,23), l’esempio
(cf. Lc 12,16), il proverbio (cf. Lc 4,23), la parabola (cf. Mc 12,12), la massima (cf. Mc
7,17), il discorso enigmatico (cf. Mc 4,11), la regola (cf. Lc 14,7). Talvolta le sfumature di
significato sono così fluttuanti che è difficile distinguere esattamente una forma letteraria
dall’altra.
§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo («diceva», «continuava a
dire»), ma quello puntuale corrispondente a un aoristo («disse»): nel greco classico come in
quello ellenistico i cosiddetti verba dicendi, rogandi, exhortandi, iubendi, tra i quali 8X(T,
¦BgDTJVT, ¦DTJVT, ecc., preferiscono la forma dell’azione incompiuta (ossia il tempo
imperfetto), poiché l’azione che esprimono attende sempre di essere completata da quella
indicata dal verbo successivo. Per altri esempi di questo imperfetto puntuale con il verbo
8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24.26.30.41; 5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27;
8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70; 15,12a.14; per quanto riguarda l’imperfetto
puntuale con ¦BgDTJVT cf. Mc 5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33; 10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61;
15,4; con ¦DTJVT cf. Mc 4,10; 8,5.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
AäH: avv. interrogativo di modo, indecl., come?, in quale modo?, in che senso?, perché?; cf.
Mc 2,26.
*b<"J"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere
in grado di; cf. Mc 1,40.
E"J"<H: sost., personificato, nom. sing. m. da E"J"<H, –, Satana; soggetto; cf. Mc 1,13.
E"J"<<: sost., personificato, acc. sing. m. da E"J"<H, –, Satana; cf. Mc 1,13; compl.
oggetto.
¦i$V88g4<: verbo, inf. pres. da ¦i$V88T (da ¦i e $V88T), scacciare, mandare via, fare
uscire, espellere; cf. Mc 1,12.

3,24 i" ¦< $"F48g\" ¦nz ©"LJ¬< :gD4Fh±s @Û *b<"J"4 FJ"h­<"4 º $"F48g\"
¦ig\<0·
3,24 Se un regno è diviso in sé stesso, quel regno non può restare in piedi.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
$"F48g\": sost., nom. sing. f. da $"F48g\", –"H, signoria, potere reale, dominio sovrano,
regno; cf. Mc 1,15; soggetto. Senza articolo perché generico e indeterminato.
Mc 3,25 255

¦nz: (= ¦B\), prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., in, su, a, sopra; cf.
Mc 1,22.
©"LJZ<: pron. riflessivo, acc. sing. f. da ©"LJ@Ø, –­H, –@Ø (non usato al nominativo), lui, lui
stesso, esso; cf. Mc 1,27; compl. di stato in luogo.
:gD4Fh±: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. pass. da :gD\.T, dividere, separare, tagliare.
Questo verbo ricorre 14 volte nel NT: Mt 12,25[x2].26; Mc 3,24.25.26; 6,41; Lc 12,13.
Nell’uso classico il verbo :gD\.T assume il significato di «dividere», «spartire» nella diatesi
sia attiva che media (cf. Platone, Parm., 131c; Aristotele, Polit., 1321b 32; Demostene, Or.,
34,18).
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
*b<"J"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere
in grado di; cf. Mc 1,40. Funzione servile del verbo.
FJ"h­<"4: verbo, inf. aor. pass. da ËFJ0:4, stare, durare, perdurare, fissare, mettere. Questo
verbo ricorre 155 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 21 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,114% del totale delle parole); 10 volte in Marco (cf. Mc 3,24.25.26;
7,9; 9,1.36; 10,49; 11,5; 13,9.14 = 0,088%); 26 volte in Luca (0,133%); 20 volte in Giovanni
(0,128%). Il verbo ËFJ0:4, molto frequente nel greco classico, assume un’ampia gamma di
significati. Come verbo causativo transitivo equivale a «porre», «mettere», in senso sia
proprio che figurato (cf. Omero, Il., 4,298; Od., 1,127; Aristofane, Av., 577). Nell’uso
intransitivo corrisponde a «stare», «porsi», «essere» (cf. Omero, Il., 1,535; Od., 1,333). Nella
maggior parte delle ricorrenze neotestamentarie ËFJ0:4 assume una valenza che oscilla da
un significato prevalentemente statico/locale (= «stare») a uno dinamico/temporale (=
«perdurare»). A partire da questi due sensi fondamentali deriva una vasta gamma semantica
che può specificarsi, a seconda del contesto, in numerosi altri significati: «fermarsi»,
«mettere», «resistere», ecc.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
$"F48g\": sost., nom. sing. f. da $"F48g\", –"H, signoria, potere reale, dominio sovrano,
regno; cf. Mc 1,15; soggetto.
¦ig\<0: agg. dimostrativo, nom. sing. f. da ¦igÃ<@H, –0, –@, quello, quegli, colui, esso; cf. Mc
1,9; attributo di $"F48g\", qui senza articolo perché in posizione predicativa.

3,25 i" ¦< @Æi\" ¦nz ©"LJ¬< :gD4Fh±s @Û *L<ZFgJ"4 º @Æi\" ¦ig\<0 FJ"h­<"4.
3,25 Se una casa è divisa in sé stessa, quella casa non può restare in piedi.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
256 Mc 3,26

@Æi\": sost., nom. sing. f. da @Æi\", –"H, casa, abitazione, dimora; cf. Mc 1,29; soggetto. Senza
articolo perché generica e indeterminata. Probabilmente il vocabolo è qui usato alla maniera
semitica, per indicare non la «casa» fisica, ma il «casato», la «famiglia», la «stirpe».
¦nz: (= ¦B\), prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., in, su, a, sopra; cf.
Mc 1,22.
©"LJZ<: pron. riflessivo, acc. sing. f. da ©"LJ@Ø, –­H, –@Ø (non usato al nominativo), lui, lui
stesso, esso; cf. Mc 1,27; compl. di stato in luogo.
:gD4Fh±: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. pass. da :gD\.T, dividere, separare, tagliare; cf.
Mc 3,24.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
*L<ZFgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere
in grado di; cf. Mc 1,40. Funzione servile.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
@Æi\": sost., nom. sing. f. da @Æi\", –"H, casa, abitazione, dimora; cf. Mc 1,29; soggetto.
¦ig\<0: agg. dimostrativo, nom. sing. f. da ¦igÃ<@H, –0, –@, quello, quegli, colui, esso; cf. Mc
1,9; attributo di @Æi\", qui senza articolo perché in posizione predicativa.
FJ"h­<"4: verbo, inf. aor. pass. da ËFJ0:4, stare, durare, perdurare, fissare, mettere; cf. Mc
3,24.

3,26 i" gÆ Ò E"J"<H •<XFJ0 ¦nz ©"LJÎ< i" ¦:gD\Fh0s @Û *b<"J"4 FJ­<"4 •88
JX8@H §Pg4.
3,26 Se Satana si ribella contro sé stesso ed è diviso non può resistere, ma sta per finire.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7. La particella gÆ è qui usata per introdurre una proposizione ipotetica, la
protasi, la cui conseguenza è costituita dalla proposizione reggente (detta apodosi).
Ritroviamo questa costruzione in Mc 3,26; 4,23; 8,34; 9,22.23.35; 11,25; 13,20.22;
14,21.29.35.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
E"J"<H: sost., personificato, nom. sing. m. da E"J"<H, –, Satana; cf. Mc 1,13; soggetto.
•<XFJ0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •<\FJ0:4 (da •<V e ËFJ0:4), sorgere, alzarsi,
sollevarsi, risorgere, risuscitare; cf. Mc 1,35.
¦nz: (= ¦B\), prep. propria di valore avversativo, seguita dall’accusativo, indecl., contro; cf. Mc
1,22.
©"LJ`<: pron. riflessivo, acc. sing. m. da ©"LJ@Ø, –­H, –@Ø (non usato al nominativo), lui, lui
stesso, esso; cf. Mc 1,27; compl. di moto a luogo.
Mc 3,27 257

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦:gD\Fh0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da :gD\.T, dividere, separare, tagliare; cf. Mc
3,24.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
*b<"J"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere
in grado di; cf. Mc 1,40. Funzione servile.
FJ­<"4: verbo, inf. aor. da ËFJ0:4, stare, durare, perdurare, fissare, mettere; cf. Mc 3,24.
•88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno; cf. Mc 1,44.
JX8@H: sost., acc. sing. m. da JX8@H, –@LH, compimento, fine; compl. oggetto. Il vocabolo
ricorre 40 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 6 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,033% del totale delle parole); 3 volte in Marco (cf. Mc 3,26; 13,7.13
= 0,027%); 4 volte in Luca (0,021%); 1 volta in Giovanni (0,006%). Sebbene nel NT il
vocabolo JX8@H possa esprimere un significato finale, ossia il «compimento» di una realtà
(= il fine, lo scopo), come nel greco classico ed ellenistico (cf. Eschilo, Suppl., 624;
Giuseppe Flavio, Bellum, 4,387), in questo loghion JX8@H assume il significato temporale
di «termine», «conclusione», per indicare cronologicamente la fine di una realtà. In
particolare l’espressione JX8@H §Pg4< è spesso impiegata nella letteratura greca nel senso di
«essere morto», «morire», per indicare la conclusione della vita (cf. Giuseppe Flavio, Bellum,
7,155; Antiq., 17,185; Platone, Leg., 772c).
§Pg4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.

3,27 •88z @Û *b<"J"4 @Û*gÂH gÆH J¬< @Æi\"< J@Ø ÆFPLD@Ø gÆFg8hã< J Figb0
"ÛJ@Ø *4"DBVF"4s ¦< :¬ BDäJ@< JÎ< ÆFPLDÎ< *ZF®s i" J`Jg J¬< @Æi\"<
"ÛJ@Ø *4"DBVFg4.
3,27 Nessuno può entrare nella casa di chi è forte e rubare i suoi oggetti, se prima non
avrà legato colui che è forte; soltanto allora potrà saccheggiare la sua casa.

•88z: (= •88V), cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però,
piuttosto, nondimeno; cf. Mc 1,44.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
*b<"J"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere
in grado di; cf. Mc 1,40. Funzione servile del verbo in riferimento all’infinito *4"DBVF"4.
@Û*g\H: (da @Û*X e gÍH), pron. indefinito negativo, nom. sing. m. da @Û*g\H, @Û*g:\", @Û*X<,
nessuno, niente; cf. Mc 2,21; soggetto. La frequenza della doppia negazione (qui @Û…
@Û*g\H…) è una caratteristica stilistica di Marco (cf. Mc 1,44; 2,2; 3,20.27; 5,37; 6,5; 7,12;
258 Mc 3,27

9,1.41; 10,15; 13,2[x2].19.30. 31; 14,25.31; 16,8.18) per dare maggiore enfasi alla negazione,
senza escludere la possibilità che essa derivi dall’indole popolare della lingua dei vangeli.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
@Æi\"<: sost., acc. sing. f. da @Æi\", –"H, casa, abitazione, dimora; cf. Mc 1,29; compl. di
modo a luogo.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
ÆFPLD@Ø: agg. qualificativo, gen. sing. m. da ÆFPLD`H, –V, –`<, forte, potente; cf. Mc 1,7;
compl. di specificazione. La traduzione «chi è forte», «colui che è forte», è resa in greco dal
semplice aggettivo ÆFPLD`H munito di articolo, equivalente a un sostantivo personificato.
Sebbene l’articolo possa essere generico, all’interno di un detto proverbiale, il riferimento
obbligato è a Satana ricordato nei vv. 23.26. Le parole di Gesù rappresentano una breve
allegoria nella quale l’attenzione è rivolta a uno solo dei due termini di paragone: dal contesto
si capisce che questo personaggio è lo stesso Gesù. Altri accenni per immagini, come la
«casa» in cui penetra «il più forte» o gli «oggetti» che egli rapisce, sono secondari e
subordinati alla sua potente azione.
gÆFg8hf<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare, venire
dentro, recarsi, andare; cf. Mc 1,21. Participio predicativo del soggetto @Û*g\H.
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
Figb0: sost., acc. plur. n. da FigØ@H, –@LH, vaso, utensile, attrezzo, suppellettile; compl.
oggetto. Il vocabolo ricorre 23 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt
12,29; Mc 3,27; 11,16; Lc 8,16; 17,31; Gv 19,29. Il termine FigØ@H può designare nel greco
classico qualsiasi tipo di utensile di vario materiale (metallo, vetro, legno, terracotta, tessuto,
ecc.), quindi qualsiasi oggetto portatile. Platone ne offre questa descrizione: JÎ Fb<hgJ@<
i"Â B8"FJ`<, Ô *¬ FigØ@H é<@:Vi":g<, «definiamo suppellettile ciò che è composto
e modellato» (cf. Platone, Soph., 219a). Usato al plurale il termine acquista il significato
generico di «vettovaglie», «mobilia», «beni mobili», «arredi», come avviene nei LXX (cf. Nm
3,8; Es 22,6; 25,9; 1Cr 9,28; ecc.).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
*4"DBVF"4: verbo, inf. aor. da *4"DBV.T (da *4V e DBV.T), depredare, saccheggiare.
Questo verbo ricorre 3 volte nel NT: Mt 12,29; Mc 3,27[x2]. Nell’uso classico il verbo
assume il significato originario di «fare a pezzi», «sbranare» (cf. Omero, Il., 16,355; Platone,
Resp., 336b), da cui deriva quello di «saccheggiare», «devastare» mediante una azione
violenta (cf. Erodoto, Hist., 1,88,3).
¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
Mc 3,27 259

:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.


BDäJ@<: avv. di tempo, indecl., prima, prima di tutto, in primo luogo. Il vocabolo è
propriamente un dat. sing. n. da BDäJ@H, –0, –@< (cf. Mc 6,21) il quale ricorre 155 volte
nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 25 volte in Matteo (corrispondente allo
0,136% del totale delle parole); 17 volte in Marco (come sostantivo o aggettivo numerale:
Mc 6,21; 9,35; 10,31[x2].44; 12,20.28.29; 14,12; 16,9; come neutro avverbiale: Mc 3,27;
4,28; 7,27; 9,11.12; 13,10; 16,9 = 0,150%); 20 volte in Luca (0,103%); 14 volte in Giovanni
(0,090%). Nel NT il significato fondamentale dell’avverbio BDäJ@< è quello temporale (=
«in un primo momento», «antecedentemente», «prima», «la prima volta»), come avviene nel
greco classico (cf. Esiodo, Theog., 34; Senofonte, Hell., 5,4,1). Non mancano, tuttavia, alcuni
passi nei quali l’avverbio viene usato per esprimere una preminenza qualitativa o gerarchica
(= «anzitutto», «soprattutto»: cf. Mt 6,33).
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ÆFPLD`<: agg. qualificativo, acc. sing. m. da ÆFPLD`H, –V, –`<, forte, potente; cf. Mc 1,7;
compl. oggetto. Munito di articolo l’aggettivo acquista il valore di un sostantivo personificato:
si sta parlando di un essere «forte», ma non in termini assoluti, perché questo essere verrà
“legato”, ossia reso impotente da un altro «più forte» di lui. Il riferimento va a Mc 1,7 dove
Gesù è definito Ò ÆFPLD`JgD`H, «il più forte».
*ZF®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da *XT, legare, assicurare, incatenare. Questo verbo
ricorre 43 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 10 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,055% del totale delle parole); 8 volte in Marco (cf. Mc 3,27; 5,3.4;
6,17; 11,2.4; 15,1.7 = 0,071%); 2 volte in Luca (0,010%); 4 volte in Giovanni (0,026%). Il
verbo *XT viene usato nella grecità per esprimere sia il significato del generico e neutro
«legare», «attaccare» (cf. Omero, Il., 21,30; Od., 22,189) sia quello ostile e violento
corrispondente a «incatenare», «imprigionare» (cf. Eschilo, Eum., 641; Tucidide, Hist.,
1,30,1). In Marco il verbo ha sempre il significato letterale proprio di «legare», «incatenare».
Nel nostro caso l’atto di «legare» qualcuno significa metterlo nell’impossibilità di agire o
nuocere, cioè ridurlo all’impotenza. Si tratta di una terminologia tipica della sconfitta delle
potenze malvage durante i tempi escatologici: i"Â Ò #g8\"D *ghZFgJ"4 ßBz "ÛJ@Ø [=
ÆgDg×H i"4<`H], i" *fFg4 ¦>@LF\"< J@ÃH JXi<@4H "ÛJ@Ø J@Ø B"JgÃ< ¦B J B@<0D
B<gb:"J", «Beliar sarà legato da lui [= il sacerdote nuovo] che darà ai suoi figli il potere
di calpestare gli spiriti malvagi» (cf. Test. Levi, 18,12; cf. anche Is 24,22; Ap 9,14).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J`Jg: avv. di tempo, indecl., allora, in quel tempo; cf. Mc 2,20.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
@Æi\"<: sost., acc. sing. f. da @Æi\", –"H, casa, abitazione, dimora; cf. Mc 1,29; compl.
oggetto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
260 Mc 3,28

*4"DBVFg4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. da *4"DBV.T (da *4V e DBV.T), depredare,
saccheggiare; cf. Mc 3,27.

3,28 z!:¬< 8X(T ß:Ã< ÓJ4 BV<J" •nghZFgJ"4 J@ÃH LÊ@ÃH Jä< •<hDfBT< J
:"DJZ:"J" i" "Ê $8"Fn0:\"4 ÓF" ¦< $8"Fn0:ZFTF4<·
3,28 In verità io vi dico: saranno perdonati agli uomini tutti i peccati e tutte le bestemmie
che diranno,

z!:Z<: avv. di modo, indecl., certamente, veramente, in verità, «amen». Il vocabolo ricorre 129
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 31 volte in Matteo (corrispondente
allo 0,169% del totale delle parole); 13 volte in Marco (cf. Mc 3,28; 8,12; 9,1.41; 10,15.29;
11,23; 12,43; 13,30; 14,9.18.25.30 = 0,124%); 6 volte in Luca (0,031%); 50 volte in
Giovanni (0,320%). Traslitterazione grecizzata della parola di origine ebraica 0/ F!I , ’a) me)n,
aggettivo verbale dalla radice 0/!, «essere stabile», «essere fermo». Nei testi dell’AT la
parola è impiegata dal singolo o dalla comunità per esprimere il proprio assenso nell’accettare
un incarico (cf. 1Re 1,36), come conferma e accettazione di un intervento di Dio (cf. Nm
5,22; Dt 27,15), come attestazione di lode nelle dossologie (cf. 1Cr 16,36; Sal 41,14). In tutti
questi casi il termine ’a) me) n esprime il riconoscimento di determinate parole come vere e
vincolanti: «amen» significa, quindi, ciò che è riconosciuto come certo e valido. Nel
giudaismo la formula è impiegata diffusamente con gli stessi significati, sia nel culto
sinagogale (cf. Strack–Bill., III,456) sia come risposta conclusiva nelle preghiere private o in
occasione di giuramenti. L’uso neotestamentario del vocabolo rispetta questo contesto: •:Z<
è impiegato da singoli o dalla comunità come risposta affermativa e associativa nelle
acclamazioni e nelle dossologie liturgiche (cf. Rm 1,25; 9,5; 11,36; 16,27; Gal 1,5; Ap
22,20.21), ma soprattutto da Gesù, come formula introduttiva a determinate parole. Questo
uso non responsoriale dell’amen è una caratteristica unica di Gesù, poiché non si riscontrano
esempi nella letteratura dell’antico giudaismo: soltanto Gesù colloca il vocabolo •:Z< come
parola introduttiva ai suoi detti, in un modo che è chiaramente non responsoriale. In questi
casi Gesù stesso si fa garante di quanto egli pronuncia, qualificando le sue parole come certe,
fidate e vincolanti. Sulla bocca di Gesù la formula è sempre preposta esclusivamente
all’espressione «dico a te», «dico a voi» (8X(T F@4, 8X(T ß:Ã<: Mc 3,28; 8,12; 9,1.41;
10,15.29; 11,23; 12,43; 13,30; 14,9.18.25.30): esprime il carattere solenne e irrefutabile di
quanto affermato e parafrasando equivale a: «Io vi dichiaro per certo», «io vi attesto
autorevolmente…». Nell’•:Z< pronunciato da Gesù si condensa la stessa cristologia, poiché
la formula riguarda sempre il regno di Dio e il rapporto di Gesù con esso. La comunità
cristiana primitiva ha talmente accolto e rispettato questa parola da lasciare inalterato lo stesso
vocabolo, traslitterandolo, ma senza tradurlo e con tale pronuncia continua ancora oggi a
sussistere nel linguaggio liturgico delle nostre lingue moderne.
8X(T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. La forma verbale 8X(T ricorre in Mc 20 volte (cf. Mc 2,11; 3,28; 5,41; 8,12;
9,1.13.41; 10,15.29; 11,23.24.33; 12,43; 13,30.37[x2]; 14,9.18.25.30): essa è usata soltanto
da Gesù, ossia è esclusivamente Gesù che parla del proprio parlare e ne sottolinea la forza,
l’insistenza e la validità. In particolare la formula •:¬< 8X(T ß:Ã< / F@4 (cf. Mc 3,28; 8,12;
Mc 3,28 261

9,1.41; 10,15.29; 11,23; 12,43; 13,30; 14,9.18.25.30) esprime il carattere solenne e


irrefutabile di quanto affermato da Gesù.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
compl. di termine. La forma ß:Ã< ricorre 608 volte nel NT rispetto alle 2905 ricorrenze
totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 107 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,583% del totale delle parole); 37 volte in Marco (cf. Mc 3,28;
4,11.24[x2]; 8,12; 9,1.13.41; 10,3.5.15.29.36.43[x2].44; 11,3.23.24[x2].25.29.33; 12,43;
13,11.21.23.30.37; 14,9.13.15.18.25. 64; 15,9; 16,7 = 0,327%); 96 volte in Luca (0,493%);
103 volte in Giovanni (0,659%).
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.
BV<J": agg. indefinito, nom. plur. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; attributo di :"DJZ:"J", qui senza articolo perché in posizione predicativa.
•nghZFgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. pass. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare,
abbandonare, rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18. Passivo divino. Quando due o più soggetti
sono posposti al verbo, come nel nostro caso, questo può trovarsi al singolare se il primo
soggetto è un neutro plurale o un singolare. Stesso fenomeno in Mc 3,31.33.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
LÊ@ÃH: sost., dat. plur. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; compl. di termine.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
•<hDfBT<: sost., gen. plur. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di specificazione. L’espressione «i figli degli uomini» non è l’equivalente plurale della
formula tecnica «il Figlio dell’uomo»: si tratta si un semitismo costruito mediante la
locuzione «figli di…» per indicare una stretta connessione tra due concetti o per esprimere
una qualità del sostantivo (analogo fenomeno in Mc 2,19; 3,17; cf. anche Mt 23,15; Lc 10,6;
16,8; 20,34.36; Gv 17,12). Nel nostro caso l’espressione, ricalcata sul semitico .*– E 1I!
C%I *1FvA,
benê ha) ’a7 na) šîm, è utilizzata per indicare la comune condizione umana ed equivale al
semplice «uomini» (cf. J@ÃH •<hDfB@4H nel passo parallelo di Mt 12,31; cf. Sal 10,4; 14,2;
115,16).
JV: art. determ., nom. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
:"DJZ:"J": sost., nom. plur. n. da :VDJ0:", –"J@H (da :"DJV<T), sbaglio, errore,
colpa, peccato; soggetto. Il vocabolo ricorre 4 volte nel NT: Mc 3,28.29; Rm 3,25; 1Cor
6,18. Il termine, un sostantivo verbale, appartiene alla gamma lessicale neotestamentaria
composta da :"DJV<T (assente in Marco), :"DJ\" e :"DJT8`H. Nella sua origine
etimologica indica lo sbaglio nel fallire un bersaglio per errore, inavvertenza o colpa e come
tale non si discosta dal significato di :"DJ\". Nell’uso classico corrisponde a «fallo»,
«errore», senza connotati etici (cf. Erodoto, Hist., 7,194,2; Tucidide, Hist., 2,65,11; Sofocle,
Antig., 1261; Platone, Pol., 296b). Nel linguaggio biblico (LXX, NT) al concetto profano di
:VDJ0:" inteso come generico «sbaglio», «errore», prevale quello religioso di «azione
peccaminosa» (cf. la traduzione latina «peccata», presente nella Vulgata).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
"Ê: art. determ., nom. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 2,5.
262 Mc 3,29

$8"Fn0:\"4: sost., nom. plur. f. da $8"Fn0:\", –"H, maldicenza, ingiuria, bestemmia;


soggetto. Il vocabolo ricorre 18 volte nel NT: Mt 12,31[x2]; 15,19; 26,65; Mc 3,28; 7,22;
14,64; Lc 5,21; Gv 10,33; Ef 4,31; Col 3,8; 1Tm 6,4; Gd 1,9; Ap 2,9; 13,1.5.6; 17,3.
Analogamente al verbo corrispondente $8"Fn0:XT (cf. Mc 2,7) il termine può avere il
significato generico di «insulto», «ingiuria», «diffamazione» (cf. Mc 7,22; Ef 4,31), come
avviene nel greco profano (cf. Demostene, Or., 25,26; Isocrate, Or., 10,45). In altre
occasioni designa l’oltraggio che si reca alla divinità, assumendo il significato circoscritto di
«bestemmia», in riferimento a Dio (cf. Ap 13,6; anche allo stato assoluto: Mt 26,65) o allo
Spirito Santo (cf. Mt 12,31).
ÓF": pron. relativo con valore di quantità e misura, acc. plur. n. da ÓF@H, –0, –@<, quanto,
quanto grande, ciò che, quello che; cf. Mc 2,19; compl. oggetto. Costruzione ad sensum:
invece del genere femminile, da riferirsi all’ultimo vocabolo ($8"Fn0:\"), abbiamo qui il
neutro.
¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
$8"Fn0:ZFTF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. da $8"Fn0:XT, bestemmiare,
ingiuriare, oltraggiare; cf. Mc 2,7. Da notare la figura etimologica (paronomasia) costruita
con l’oggetto interno ($8"Fn0:\"4… $8"Fn0:ZFTF4<), dovuta probabilmente a influsso
semitico (infinito assoluto ebraico). Analogo fenomeno in Mc 1,26; 4,24.41; 5,42; 7,7.13;
10,38; 13,19; 14,6; 15,26.

3,29 ÔH *z —< $8"Fn0:ZF® gÆH JÎ B<gØ:" JÎ ž(4@<s @Ûi §Pg4 –ngF4< gÆH JÎ<
"Æä<"s •88 §<@P`H ¦FJ4< "ÆT<\@L :"DJZ:"J@H.
3,29 ma se qualcuno bestemmia contro lo Spirito santo non avrà perdono in eterno: è
responsabile di una colpa eterna».

ÓH: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2; soggetto.
*z: (= *X) cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf.
Mc 1,8.
–<: partic. modale di valore dubitativo, eventuale o condizionale, indecl., [se, e se, caso mai,
qualora, eventualmente]. Questa particella ricorre 166 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 42 volte in Matteo (corrispondente allo 0,229% del totale delle
parole); 20 volte in Marco (15 volte con il congiuntivo: Mc 3,29.35; 6,10.11; 9,1.37.41.42;
10,11.15.43.44; 11,23; 12,36; 14,44; 5 volte con l’indicativo: Mc 6,56[x2]; 8,35; 9,37; 13,20
= 0,177%); 32 volte in Luca (0,164%); 25 volte in Giovanni (0,160%). Questa particella
(resa con ¦V< dopo proposizioni relative) è intraducibile da sola: in greco viene usata per
indicare una possibilità, una eventualità, una contingenza. Nella traduzione italiana si può
rendere soltanto adattando il modo e il tempo del verbo. Usata con il congiuntivo indica un
fatto o una circostanza eventuale, possibile, la cui realizzazione dipende dall’attuarsi o meno
dei presupposti. Usata con l’indicativo esprime una possibilità condizionata, il cui
compimento è subordinato a certe circostanze espresse o sottintese. Nelle proposizioni
Mc 3,29 263

relative esprime l’idea di generalità o eventualità, in quelle finali una eventualità, una
incertezza, in quelle temporali una eventualità, una possibilità.
$8"Fn0:ZF®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da $8"Fn0:XT, bestemmiare, ingiuriare,
oltraggiare; cf. Mc 2,7.
gÆH: prep. propria di valore avversativo, seguita dall’accusativo, indecl., contro; cf. Mc 1,4. La
preposizione è qui usata in senso avversativo.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
B<gØ:": sost., acc. sing. n. da B<gØ:", –"J@H, alito, soffio, vento, spirito, Spirito; cf. Mc 1,8;
compl. di moto a luogo.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
ž(4@<: agg. qualificativo, acc. sing. n. da ž(4@H, –", –@<, separato, riservato [per Dio],
consacrato, santo; cf. Mc 1,8; attributo di B<gØ:". «Bestemmiare lo Spirito santo» non
indica qui un semplice oltraggio verbale, bensì il rifiuto cosciente (e oltraggioso) della grazia.
Chi respinge deliberatamente il perdono divino si autoesclude dalla salvezza o come
efficacemente afferma Paolo «ha fatto naufragio nella fede»: in simili casi non resta che
«abbandonarlo a Satana perché impari a non più bestemmiare» (1Tm 1,20).
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
§Pg4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
–ngF4<: sost., acc. sing. f. da –ngF4H, –gTH, (da •n\0:4, mandare via), rilascio, licenziamento,
liberazione (dalla servitù o prigionia), remissione, perdono (di peccati); cf. Mc 1,4; compl.
oggetto.
gÆH: prep. propria di valore temporale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, per, fino a, circa; cf.
Mc 1,4.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
"Æä<": sost., acc. sing. m. da "Æf<, –ä<@H, tempo, epoca, eternità, mondo, eone; compl. di
tempo continuato. Il vocabolo ricorre 122 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 8 volte in Matteo (corrispondente allo 0,044% del totale delle parole); 4 volte in
Marco (cf. Mc 3,29; 4,19; 10,30; 11,14 = 0,035%); 7 volte in Luca (0,036%); 13 volte in
Giovanni (0,083%). Il vocabolo a partire da Omero ha avuto una lunga storia semantica.
Fondamentalmente "Æf< indica la forza vitale, l’esistenza, la vita terrena che si prolunga nel
tempo (cf. Omero, Il., 9,415; Od., 5,152). Da questo significato base deriva quello
successivo di «età», «epoca», «secolo». A partire da Platone (cf. Tim., 37d) il termine "Æf<
non è usato soltanto per esprimere il concetto tradizionale di tempo relativo, durata di un
particolare essere, ma passa a indicare l’«eternità» atemporale e ideale, il tempo illimitato,
senza giorni, mesi e anni, in contrapposizione a PD`<@H, riservato per indicare il tempo
creato con il mondo, il tempo relativo e contingente. Nei LXX "Æf< traduce quasi sempre
l’ebraico .-H|3, ‘ôlam, il quale ha fondamentalmente il significato di tempo remoto, indefinito
e insondabile, in riferimento sia al passato che al futuro. Tuttavia nell’AT, diversamente dal
greco classico, il vocabolo non ricorre mai in forma assoluta, come autonomo soggetto o
264 Mc 3,29

oggetto: esso ha sempre una relazione di dipendenza rispetto un soggetto (nomen rectum) o
una preposizione. Questo concetto di tempo è quello che ritroviamo sostanzialmente nel NT.
Nella stragrande maggioranza delle ricorrenze "Æf< compare in unione alle preposizioni ¦i,
•B`, gÆH, BD` con senso avverbiale: ¦i J@Ø "Æä<@H («per l’eternità», «mai»), •Bz "Æä<@H
(«dall’eternità», «da sempre»), gÆH JÎ< "Æä<" («per sempre», «mai più»: cf. Mc 11,14), BDÎ
Jä< "Æf<T< («dall’eternità»). In dipendenza da altri sostantivi "Æf< acquista il significato
di tempo infinito, eternità, soprattutto in riferimento a Dio oppure, attraverso la concezione
del tempo come prolungamento della storia, passa a indicare l’«eone» (= l’epoca attuale o
futura), il mondo, per lo più inteso in termine negativo (cf. Mc 4,19; 10,30). Da questa
constatazione deriva il fatto singolare che la stessa parola è usata nel greco biblico per
esprimere due concetti opposti: da una parte l’eternità di Dio, dall’altra la durata (finitudine)
del mondo. Questa duplicità di significato non deve sorprendere: la mentalità semitica fatica
ad avere concetti astratti, tipici della speculazione greca. Il semita considera l’eternità di Dio
non come una extra temporalità, ma come una successione ininterrotta di tempi finiti.
L’intima contraddittorietà di questo uso risulta chiaramente dalla perifrasi linguistica PD`<@4
"Æf<4@4, «tempi eterni» (cf. Rm 16,25; 2Tm 1,9; Tt 1,2).
•88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno; cf. Mc 1,44.
§<@P`H: agg. qualificativo, nom. sing. m. da §<@P@H, –@<, responsabile, imputato, colpevole;
predicato nominale. Il vocabolo ricorre 10 volte nel NT: Mt 5,21.22[x3]; 26,66; Mc 3,29;
14,64; 1Cor 11,27; Eb 2,15; Gc 2,10. Usato prevalentemente in senso forense, come avviene
nel greco classico (cf. Platone, Leg., 869b; Lisia, Or., 14,9; Aristotele, Polit., 1269a 3),
§<@P@H è costruito con il genitivo per indicare colui che è ritenuto responsabile (=
«colpevole») di un reato e pertanto meritevole di una pena o punizione.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
"ÆT<\@L: agg. qualificativo, gen. sing. n. da "Æf<4@H, –@<, interminabile, eterno, senza fine;
attributo di :"DJZ:"J@H. Il vocabolo ricorre 71 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli
è la seguente: 6 volte in Matteo (corrispondente allo 0,033% del totale delle parole); 3 volte
in Marco (cf. Mc 3,29; 10,17.30 = 0,034%); 4 volte in Luca (0,021%); 17 volte in Giovanni
(0,109%). Il concetto di questo vocabolo si basa su quello di "Æf< (cf. Mc 3,29, sopra). Il
significato fondamentale è quello temporale di «permanente», «che dura tutta la via» e,
dunque, «interminabile», «eterno» (cf. Platone, Resp., 363d; Leg., 904a), riferito negli scritti
neotestamentari a Dio (cf. Rm 16,26), a ciò che viene da Dio (cf. 2Cor 4,17.18; 9,14; 2Ts
2,16; 2Tm 2,10; Eb 13,20; Ap 14,6, ecc.) o ad altre realtà che hanno comunque una
dimensione escatologica, come nelle ricorrenze marciane.
:"DJZ:"J@H: sost., gen. sing. n. da :VDJ0:", –"J@H (da :"DJV<T), sbaglio, errore,
colpa, peccato; cf. Mc 3,28; compl. di colpa. Queste dure parole di Gesù circa un peccato
«eterno», ossia non perdonabile, rivelano la gravità della scelta da parte dell’uomo: il peccato
«eterno» consiste nel fatto che l’uomo, sebbene conosca la missione di Cristo per opera dello
Spirito Santo, vi si oppone ostinatamente e la rifiuta.
Mc 3,30–31 265

3,30 ÓJ4 §8g(@<s A<gØ:" •iVh"DJ@< §Pg4.


3,30 Andavano, infatti, dicendo: «È posseduto da uno spirito cattivo».

ÓJ4: cong. subordinativa di valore causale, indecl., poiché, perché, siccome; cf. Mc 1,15.
§8g(@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Imperfetto descrittivo o iterativo per indicare il protrarsi di questa accusa avanzata
dagli scribi (cf. Mc 3,22) nei confronti di Gesù.
A<gØ:": sost., acc. sing. n. da B<gØ:", –"J@H, alito, soffio, vento, spirito, Spirito; cf. Mc 1,8;
compl. oggetto. Senza articolo perché generico e indeterminato.
•iVh"DJ@<: agg. qualificativo, acc. sing. n. da •iVh"DJ@H, –@< (da –8n" privativa e
i"h"\DT), non pulito, sporco, immondo, impuro; cf. Mc 1,23; attributo di B<gØ:".
L’«impurità», ossia la malvagità, di questo spirito cattivo contrasta apertamente con la santità
dello B<gØ:" JÎ ž(4@< del v. 29: la contrapposizione tra i due Spiriti è alla base della
blasfema accusa contro Gesù: si tratta del tentativo di corrompere la naturale santità dello
Spirito Santo per considerarla satanica e attribuirla a Gesù. L’accusa di ossessione o
possessione diabolica rivolta a Gesù si riflette anche nella tradizione giovannea (cf. Gv 7,20;
8,48.52; 10,20) e nell’accusa di magia che la tradizione giudaica rivolge a Gesù, reo di aver
spinto Israele all’apostasia (cf. b.Sanh., 43a).
§Pg4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. L’espressione letterale «ha uno spirito
cattivo» corrisponde a «è posseduto da uno spirito cattivo», come spesso avviene per
analoghe espressioni con §PT (cf. Mc 3,22.30; 5,15; 7,25; 9,17).

3,31 5" §DPgJ"4 º :ZJ0D "ÛJ@Ø i" @Ê •*g8n@ "ÛJ@Ø i" §>T FJZi@<JgH
•BXFJg48"< BDÎH "ÛJÎ< i"8@Ø<JgH "ÛJ`<.
3,31 Giunse sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§DPgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Presente storico. Quando due o più
soggetti sono posposti al verbo, come nel nostro caso, questo può trovarsi al singolare se il
primo soggetto è un singolare o un neutro plurale. Stesso fenomeno in Mc 3,28.33. La
presenza della terza persona singolare, inoltre, dà un forte risalto al primo soggetto (la
madre) che appare come il personaggio principale di questa piccola carovana. La pericope
deve essere distinta da Mc 3,20–21.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
:ZJ0D: sost., nom. sing. f. da :ZJ0D, :0JD`H, madre; soggetto. Il vocabolo ricorre 83 volte nel
NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 26 volte in Matteo (corrispondente allo
0,142% del totale delle parole); 17 volte in Marco (cf. Mc 3,31.32.33.34.35; 5,40; 6,24.28;
7,10[x2].11.12; 10,7.19.29.30; 15,40 = 0,150%); 17 volte in Luca (0,087%); 11 volte in
Giovanni (0,070%). A partire già da Omero il sostantivo :ZJ0D indica in senso letterale
266 Mc 3,31

proprio la «madre» naturale (cf. Omero, Il., 6,58; Od., 1,215). Nel nostro passo chi giunge
per prima sulla scena è «sua madre», ossia Maria di Nazaret, ricordata da Marco soltanto qui
e con il nome proprio in Mc 6,3 («il figlio di Maria»).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»). Gesù non è esplicitamente menzionato all’inizio di questa pericope, anche
se il pronome dimostrativo "ÛJ@Ø si riferisce ovviamente a lui. Si tratta di un indizio
linguistico che solitamente designa quel materiale della tradizione orale nel quale il
riferimento al nome «Gesù» era ritenuto implicito dal narratore. Il fenomeno ritorna spesso
nel prosieguo del vangelo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
•*g8n@\: sost., nom. plur. m. da •*g8n`H, –@Ø, fratello; cf. Mc 1,16; soggetto. Nel greco
biblico, come in quello classico, il termine •*g8n`H, «fratello», analogamente a •*g8nZ,
«sorella», può designare: a) in senso letterale proprio, la fratellanza carnale; b) in senso
letterale esteso, un grado di parentela (carnale); c) in senso traslato, la “fratellanza” etnica
oppure la “fratellanza” morale/spirituale. Il primo significato (la fratellanza carnale, con
eventuale inclusione del fratellastro, ossia figlio del patrigno o della matrigna) è ampiamente
attestato: limitandoci al NT, tra i discepoli di Gesù vi sono i fratelli carnali Simone e Andrea
(cf. Mc 1,16; Mt 10,2; Gv 1,41), Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo (cf. Mc 1,19; 3,17;
5,37; 10,35; Mt 17,1). Marta e Maria sono sorelle carnali (cf. Lc 10,30; Gv 11,1) e Lazzaro
è il loro fratello (cf. Gv 11,2). Molto spesso, tuttavia, il termine •*g8n`H è usato nel greco
biblico per indicare non il fratello carnale in senso stretto, ma il parente, il consanguineo in
senso più esteso (significato b). Questo uso si fonda sulla constatazione linguistica che né
l’ebraico né l’aramaico hanno termini specifici per indicare i gradi prossimi di parentela
(cugino, nipote, zio, parente in generale). Da ciò l’uso larghissimo che fa l’AT del termine
(! I , ’a) hE, «fratello», con questa accezione (circa 626 ricorrenze). Nella Bibbia il vocabolo
•*g8n`H è usato frequentissimamente anche nel terzo significato, per esprimere una
“fratellanza” metaforica, etnica o religiosa, ossia l’appartenenza alla stessa tribù o alla stessa
comunità di fede (fratello di clan, fratello di razza, membro di una comunità religiosa): gli
apostoli qualificano i Giudei con il titolo •*g8n@\, «fratelli» (cf. At 2,29; 3,17; 7,2;
13,15.26.38; 22,1; 23,1; 28,17) e ne ricevono lo stesso titolo (cf. At 2,37). Gesù invita a non
guardare la pagliuzza nell’occhio del «fratello» (cf. Mt 7,3). Paolo qualifica gli israeliti come
suoi «fratelli» (cf. Rm 9,3). Questo uso non è esclusivo del mondo biblico: Giuseppe Flavio
attesta che gli esseni erano soliti considerarsi •*g8n@\, «fratelli» (cf. Id., Bellum, 2,122). Tale
uso del resto era già conosciuto al di fuori del giudaismo e del cristianesimo. Platone
definisce •*g8n@\ i propri connazionali (cf. Platone, Menex., 239a); i soldati persiani si
considerano e si salutano «come fratelli» (cf. Senofonte, Anab., 6,3,24). Anche la fratellanza
di tipo spirituale (cristiana) è ampiamente attestata nel NT con il vocabolo •*g8n`H. Gli
esempi sono numerosissimi e si trovano in tutti gli scritti neotestamentari: Gesù chiama suo
«fratello» colui che compie la volontà di Dio (cf. Mc 3,35). Dopo la sua conversione, Pietro
Mc 3,31 267

deve confermare nella fede i «fratelli» (cf. Lc 22,32). Paolo si rivolge ai membri delle nuove
comunità cristiane con la frequente apostrofe «fratelli» (cf. 1Cor 15,58; Fil 4,1; Fm 1,16; Ef
6,21; Col 4,7.9; ecc.).

Per quanto riguarda il nostro passo l’interrogativo è il seguente: come deve essere inteso
il vocabolo •*g8n@\ usato da Marco in riferimento ad alcuni personaggi che si recano da
Gesù? Si tratta di fratelli carnali in senso proprio, di fratellastri, di semplici parenti (cugini,
zii), di connazionali o di correligionari? Nel NT si parla varie volte dei «fratelli» di Gesù (cf.
Mc 3,31; 6,3; Mt 12,46; 13,55; Lc 8,19; Gv 2,12; 7,3.5.10; At 1,14; 1Cor 9,5; Gal 1,19); in
Mc 6,3 si fanno anche i loro nomi: «Giacomo, Ioses, Giuda, Simone». Le •*g8n"\,
«sorelle», di Gesù sono ricordate in Mc 3,32; 6,3; Lc 8,20; Gv 19,25. L’antica tradizione
cristiana ha sempre visto in questi «fratelli» e «sorelle» dei semplici congiunti, parenti del suo
clan, secondo l’uso linguistico ebraico/aramaico sopra ricordato (significato b). Nei vangeli,
inoltre, non risulta che Maria e Giuseppe abbiano avuto altri figli e, anzi, per il periodo
precedente la nascita di Gesù lo escludono categoricamente (cf. Lc 1,34). Non è accettabile
neppure l’obiezione linguistica secondo la quale se Gesù è definito «primogenito»
(BDTJ`J@i@H) di Maria (cf. Lc 2,7) si deve dedurre che dopo di lui ci sarebbero stati altri
generati da Maria e, dunque, altri suoi fratelli carnali: il termine BDTJ`J@i@H nel linguaggio
biblico indica colui che apre il seno materno e in questa accezione si prescinde dal fatto che
seguano o no altri fratelli. Ciò può essere facilmente constatato. Nell’AT la parola
«primogenito» era una designazione legale applicata al primo figlio che una madre partoriva,
anche quando successivamente non nascevano altri figli (cf. Es 13,2; Nm 3,12–13; 18,15.17).
Sul piano lessicale tale significato è confermato dalla scoperta fatta a Tell el–Yehudeieh
(l’antica Leontopolis), in Egitto, di una iscrizione funebre giudaica scritta in greco e risalente
al 5 a.C. Si tratta di un epitafio di una giovane madre, di nome Arsinoe, morta dando alla
luce il suo primo figlio. Nell’ottava e nona riga l’iscrizione pone sulla bocca della defunta
queste parole: … é*gÃ<4 *¥ 9@ÃD" BDTJ@J`i@L | :g JXi<@L BDÎH JX8@H µ(g $\@L…,
«…nel travaglio del mio figlio primogenito il Destino mi ha portato alla fine della vita…»
(CII, nr. 1510). Questo primogenito fu ovviamente anche unigenito. È da respingere anche
l’altra obiezione linguistica fondata su Mt 1,25: … i"Â @Ûi ¦(\<TFig< "ÛJ¬< ªTH @â
§Jgig< LÊ`<…, «…[Giuseppe] non la conobbe [sott. Maria] fino a quando ella partorì un
figlio…». In questo caso, si obietta, la deduzione implicita sarebbe che Giuseppe «conobbe»
Maria dopo la nascita di Gesù e, dunque, Gesù ebbe altri fratelli carnali. Al contrario, nella
lingua greca (come in quella ebraica o aramaica) l’uso della preposizione ªTH, a volte in
aggiunta alla negazione @â, non implica che si verifichi necessariamente un cambiamento
rispetto a quanto detto nella proposizione precedente. Abbiamo esempi biblici chiarissimi:
nella citazione del Sal 110,1, presente in Mc 12,36, Dio comanda al re messia di sedere alla
sua destra finché (ªTH –<) egli abbia posto sotto di sé i nemici: non si vuole certo dire che
il re messia cesserà di stare alla destra di Dio dopo tale avvenimento. Matteo 12,20, citando
Is 42,1–4, afferma che il futuro messia «non spezzerà la canna infranta, non spegnerà il
lucignolo fumigante, finché non (ªTH –<) abbia fatto trionfare la giustizia». Non si può certo
qui ritenere che il Servo messia spezzerà la canna e spegnerà la lampada dopo aver fatto
trionfare la giustizia salvifica. In 1Tm 4,13 Paolo esorta Timoteo all’insegnamento «fino a
quando (ªTH) io arrivi»: l’autore non vuole certamente dire a Timoteo che dovrà smettere
268 Mc 3,31

queste attività dopo il suo arrivo. In 2Sam 6,23 (LXX) si legge che «Mikal, figlia di Saul, non
ebbe figli fino al (ªTH) giorno della sua morte»: ha forse avuto figli dopo la sua morte? In
sostanza: quando gli autori biblici usano la preposizione ªTH nel senso di «fino a» il loro
accento è posto su ciò che accade o deve accadere prima che si verifichi l’avvenimento
formulato nella proposizione temporale introdotta da «fino a». Di conseguenza, per quanto
riguarda il nostro caso di Mt 1,25, possiamo ritenere che l’espressione «fino a quando non
la conobbe» non indica necessariamente che Giuseppe ebbe rapporti con Maria dopo la
nascita di Gesù.

All’ipotesi tradizionale che intende i vocaboli •*g8n@\, «fratelli» e •*g8n"\, «sorelle»


di Gesù come cugini o parenti di vario grado, secondo l’uso linguistico ebraico/aramaico, si
può opporre una sola obiezione, come rilevano diversi commentatori: nel NT, nonostante le
numerosissime ricorrenze, in nessun caso il termine •*g8n`H ricorre nel senso di «cugino»,
«zio» o «parente» carnale: lo avrebbe soltanto nei passi relativi ai «fratelli» di Gesù.
Ricordiamo che, come sopra riferito, il termine •*g8n`H viene usato nel NT in due sensi
fondamentali: letterale e metaforico. In senso letterale può indicare un fratello di sangue, detto
tecnicamente «germano», ossia con gli stessi genitori biologici (Giacomo e Giovanni in Mc
1,19–20) oppure un fratellastro, ossia un fratello unilaterale avente un solo genitore biologico
in comune (Filippo ed Erode Antipa in Mc 6,17). In senso metaforico si riferisce a una
“parentela” di ordine etnico, religioso o spirituale: sono chiamati «fratelli» i seguaci di Gesù
(cf. Mc 3,35), i cristiani (cf. 1Cor 1,1; 5,11), i Giudei (cf. At 2,29; Rm 9,3), potenzialmente
ogni essere umano (cf. Eb 2,11.17). Da questa constatazione si sarebbe indotti a ritenere che,
nel nostro caso (cf. Mc 3,31), non potendo intendere la frase in senso metaforico, si stia
parlando qui: a) di veri fratelli carnali di Gesù; oppure b) di fratellastri aventi un solo genitore
biologico in comune (Maria); oppure c) di fratellastri nati da un precedente matrimonio di
Giuseppe (fratelli legali), riprendendo così una idea espressa dai Padri greci da Epifanio di
Salamina in poi (IV secolo d.C.).

L’ipotesi dei fratellastri è possibile sul piano linguistico, ma deve essere scartata: nessun
passo neotestamentario può essere addotto a sostegno di tale soluzione. Anche l’ipotesi dei
«fratelli» in senso carnale non può essere accolta. Sappiamo che nella Chiesa primitiva i
parenti maschi di Gesù costituivano un gruppo distinto rispetto a quello degli apostoli (cf. At
1,14; 1Cor 9,5). Si può essere ragionevolmente sicuri che tali uomini godevano di altissima
stima e, pur essendo soltanto parenti di Gesù, nella Chiesa di lingua aramaica venivano
indicati come «i fratelli» del Signore, non soltanto per il fatto, sopra riferito, che non esiste
in quella lingua un’altra concisa espressione per definire questo rapporto di parentela, ma
anche perché tale titolo esprimeva assai efficacemente in una cultura semitica la particolare
considerazione che veniva riservata a quel determinato gruppo di persone. Nel passaggio
linguistico dalla forma aramaica a quella greca si è obiettato che, se «i fratelli» di Gesù
fossero stati, in realtà, cugini, si sarebbe usata la parola greca equivalente (•<gR4`H, «cugino
di primo grado»; cf. Omero, Il., 9,464). Ma questo argomento non regge se si considera che
nella stessa traduzione greca della Bibbia ebraica (LXX), effettuata negli stessi ambienti
ebraici ed ellenistici, la parola ebraica (! I , ’a) hE, «fratello», è stata quasi sempre tradotta, alla
lettera, con •*g8n`H, anche quando non si riferisce a fratelli carnali. Si deve rilevare, infine,
Mc 3,31 269

che almeno alcuni dei cosiddetti «fratelli» di Gesù erano certamente soltanto parenti. Infatti
in Mc 6,3 Gesù viene indicato come Ò LÊÎH J­H 9"D\"H i" •*g8nÎH z3"if$@L i"Â
z3TF­J@H i"Â z3@b*" i"Â E\:T<@H, «il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses,
di Giuda e di Simone», mentre in Mc 15,40 si afferma che la madre di Giacomo e di Ioses
era un’altra Maria, da distinguersi da Maria di Nazaret (… i"Â 9"D\" º z3"if$@L J@Ø
:4iD@Ø i"Â z3TF­J@H :ZJ0D). Se questa esclusione di una fratellanza carnale vale per due
nominativi della lista (Giacomo, Ioses), non si vede la ragione per non estendere tale
argomentazione anche agli altri componenti (Giuda, Simone). Non resta che accogliere la
tesi tradizionale, la quale vede in questi «fratelli» di Gesù dei semplici parenti.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
§>T: avv. di luogo, indecl., fuori, di fuori, esternamente, all’esterno; cf. Mc 1,45. Questo
avverbio che qualifica il successivo participio FJZi@<JgH è messo in risalto con la sua
posizione in apertura della frase e con la sua iterazione al v. 32. L’avverbio locale non si
riferisce all’esterno della casa menzionata in Mc 3,20, poiché la nostra pericope, come sopra
accennato, forma una unità a sé stante. Il termine §>T può soltanto significare che la madre
e i fratelli si trovano all’esterno della folla, raccolta attorno a Gesù: «fuori dalla cerchia» e
non «fuori dalla casa». Sembra abbastanza evidente, tuttavia, che Marco intenda sottolineare
il fatto che i parenti erano rimasti «fuori» non soltanto in senso fisico: concettualmente questo
«stare fuori» corrisponde a coloro che non riescono a entrare per la porta del regno, dei quali
è detto: –D>0Fhg §>T ©FJV<"4…, «comincerete a starvene fuori…» (Lc 13,25).
FJZi@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da FJZiT (dal perfetto di ËFJ0:4), stare, restare,
perseverare. Questo verbo ricorre 9 volte nel NT: Mc 3,31; 11,25; Rm 14,4; 1Cor 16,13; Gal
5,1; Fil 1,27; 4,1; 1Ts 3,8; 2Ts 2,15. Participio predicativo del soggetto º :ZJ0D… i"Â @Ê
•*g8n@\. Il verbo FJZiT è di formazione ellenistica, derivato dal perfetto di ËFJ0:4
(ªFJgi"), con il quale condivide il significato di «stare», «restare fermo», generalmente nel
significato proprio. Alcuni commentatoti intendono questo «stare fuori» in senso simbolico,
come sopra accennato.
•BXFJg48"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •B@FJX88T (•B` e FJX88@:"4), inviare,
mandare; cf. Mc 1,2.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di moto a luogo.
i"8@Ø<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da i"8XT, chiamare, invitare, nominare; cf. Mc
1,20. Participio predicativo del soggetto º :ZJ0D… i" @Ê •*g8n@\: può essere reso anche
mediante un infinito di valore finale: «mandarono (alcuni)… a chiamarlo».
270 Mc 3,32

"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.

3,32 i"Â ¦iVh0J@ BgDÂ "ÛJÎ< ÐP8@Hs i"Â 8X(@LF4< "ÛJès z3*@× º :ZJ0D F@L i"Â
@Ê •*g8n@\ F@L [i" "Ê •*g8n"\ F@L] §>T .0J@ØF\< Fg.
3,32 Attorno a lui era seduta la folla e gli dissero: «Ecco, tua madre e i tuoi fratelli sono
fuori e ti cercano».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦iVh0J@: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. medio da iVh0:"4 (da i"JV e ½:"4), sedere,
sedersi; cf. Mc 2,6. Imperfetto durativo o iterativo per indicare il protrarsi di tale posizione.
BgD\: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., intorno a, attorno, in
prossimità di, vicino; cf. Mc 1,6.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di stato in luogo.
ÐP8@H: sost., nom. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; soggetto. Non si tratta
dell’anonima massa, la folla in generale che segue Gesù (come, ad esempio, in Mc 3,9) né
del popolo istituzionalizzato (= 8"`H), bensì della piccola folla di coloro che all’interno della
sequela instaurano un legame con Gesù, pur senza ricevere incarichi speciali. Quando Marco
impiega il termine ÐP8@H non si deve pensare a un identico gruppo di persone: si tratta di
una designazione di tipo descrittivo, indefinita ed elastica, la cui conformazione concreta va
ricavata di volta in volta dal contesto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8X(@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Presente storico, di valore impersonale. Alcuni dei presenti, non si specifica chi,
avvisano Gesù: «dicono» è al presente cosiddetto storico, tipico del linguaggio popolare e
dello stile di Marco (151 volte; 162 in Giovanni). L’ambasciata non è altro che la ripetizione
dei concetti già espressi in precedenza: la madre, i fratelli e le sorelle (ossia i parenti) sono
fuori e cercano il Maestro.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
z3*@b: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. medio da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare;
cf. Mc 1,2. Il vocabolo Æ*@b, un segnale discorsivo stereotipo, nella maggior parte delle
ricorrenze neotestamentarie assume il valore avverbiale esclamativo corrispondente alle
interiezioni «ecco!», «vedi!», «guarda!», «guardate!». Non c’è sostanziale diversità con
l’equivalente Ç*g (cf. Mc 2,24). Entrambe le particelle sono forme vivaci e dinamiche
modellate sul corrispondente ebraico %F% E , hinne)h (1057 volte nell’AT) e in quanto tali
possono sottolineare il discorso o la narrazione che esse introducono con una energia
particolare, esprimente di volta in volta sorpresa, importanza, novità, reazione.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
Mc 3,33 271

:ZJ0D: sost., nom. sing. f. da :ZJ0D, :0JD`H, madre; cf. Mc 3,31; soggetto.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
•*g8n@\: sost., nom. plur. m. da •*g8n`H, –@Ø, fratello; cf. Mc 1,16; soggetto. Per il
commento lessicale a questo vocabolo vedi Mc 3,31.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
[i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.].
["Ê: art. determ., nom. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 2,5.].
[•*g8n"\: sost., nom. plur. f. da •*g8nZ, –­H, sorella; soggetto. Il vocabolo ricorre 26 volte
nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 3 volte in Matteo (corrispondente allo
0,016% del totale delle parole); 5 volte in Marco (cf. Mc 3,32.35; 6,3; 10,29.30 = 0,044%);
3 volte in Luca (0,015%); 6 volte in Giovanni (0,038%). Per il commento lessicale di questo
vocabolo cf. Mc 3,31].
[F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
L’espressione i" "Ê •*g8n"\ F@L è presente soltanto nei codici A, D, 180, 700, 1006,
1010, 1243 e in alcuni lezionari. È assente, invece, in !, B, C, L, W, ), 1, f1, f13, 28, 33,
157, 205, 565, 597, 892, 1071, 1241, 1292, 1342, 1424, 1505. La quantità e la qualità dei
codici depone a favore della non autenticità della lezione, la quale è una aggiunta del copista
dovuta o per assimilazione/attrazione con Mc 3,35, in cui Gesù, presentando la nuova
famiglia, parla di «fratello, sorella e madre» oppure per influenza di Mc 6,3 dove si parla
delle «sorelle» di Gesù].
§>T: avv. di luogo, indecl., fuori, di fuori, esternamente, all’esterno; cf. Mc 1,45.
.0J@ØF\<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da .0JXT, cercare (per trovare od ottenere), provare
a, tentare di; cf. Mc 1,37. Il verbo .0JXT è allo stato presente e forse vuole indicare che la
ricerca durava già da un po’ di tempo: i parenti hanno tentato inutilmente di avvicinarsi a
Gesù, ma impossibilitati a farlo a causa della numerosa folla che costituisce come una
barriera fisica si sono decisi a mandare un messaggio.
Fg: pron. personale di 2a pers. acc. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,24; compl. oggetto.

3,33 i" •B@iD4hgÂH "ÛJ@ÃH 8X(g4s I\H ¦FJ4< º :ZJ0D :@L i" @Ê •*g8n@\ [:@L]p
3,33 Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre? Chi sono i miei fratelli?».
272 Mc 3,33

i"\: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, però; cf. Mc 1,4. Il
significato avversativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ adversativum)
si riscontra in Mc 1,13c; 3,7b.12.33a; 4,17a.19a.27d; 5,19a; 6,19b.20d.33a; 7,24b.28b;
8,12.16.29.30; 9,12a.30.31c. 42a; 10,34; 12,12b.17a; 16,8c.
•B@iD4hg\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire. Questo verbo deponente ricorre 231 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 55 volte in Matteo (corrispondente allo 0,300% del
totale delle parole); 30 volte in Marco (cf. Mc 3,33; 6,37; 7,28; 8,4.29; 9,5.6.17.19;
10,3.24.51; 11,14.22.29.30.33; 12,28.29.34.35; 14,40.48.60.61; 15,2.4.5.9.12 = 0,265%); 46
volte in Luca (0,236%); 78 volte in Giovanni (0,499%). Participio predicativo di valore
espletivo del soggetto sottinteso z30F@ØH. Il significato etimologico del verbo, molto usato
nel greco sia classico che biblico, è quello di «separare», «distinguere», «dividere» (cf.
Platone, Pol., 302c; Tim., 73b). Nella diatesi media (la sola attestata nel NT) assume il
significato generico di «rispondere» a un interlocutore o a una domanda all’interno di un
contesto dialogico, come avviene nell’uso classico (cf. Platone, Prot., 358a; Aristofane, Nub.,
1245). Per il significato di •B@iD\<@:"4 in unione ad altro verbo dialogico cf. sotto.
Riferito a Gesù (nelle dispute, nelle singole risposte, nelle reazioni), il verbo è presente
soltanto nella fase pre–pasquale: è, dunque, teologicamente limitato all’ambito umano del
dire di Gesù.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico. L’espressione •B@iD4hg\H… 8X(g4, •B@iD4hg\H… gÉBg< è
ricalcata sull’ebraico 9/ G !J&H… 03HHH&, wayya‘an… wayyo) ’mer, «rispondendo… dice»,
«rispondendo… disse» (cf. Gb 8,1, ecc.). Si tratta di una tipica locuzione semitica
ridondante che può essere tradotta semplicemente con «disse», «rispose», «replicò» e simili.
Si deve osservare, inoltre, che il verbo •B@iD\<@:"4 è usato con valore semitico anche
quando (come qui) non si tratta di dare una risposta a una precisa domanda, ma soltanto
intervenire con una affermazione o una richiesta. Questa formula ricorre 16 volte in Marco
(cf. Mc 3,33; 6,37; 7,28; 8,29; 9,5.19; 10,3.24.51; 11,14.22.33; 12,35; 14,48; 15,2.12).
I\H: pron. interrogativo, nom. sing. m. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?,
che?, quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Quando due o più soggetti sono posposti al verbo, come nel nostro caso, questo può
trovarsi al singolare se il primo soggetto è un singolare o un neutro plurale. Stesso fenomeno
in Mc 3,28.31.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
:ZJ0D: sost., nom. sing. f. da :ZJ0D, :0JD`H, madre; cf. Mc 3,31; soggetto.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
Mc 3,34 273

appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
•*g8n@\: sost., nom. plur. m. da •*g8n`H, –@Ø, fratello; cf. Mc 1,16; soggetto. Per il
commento lessicale a questo vocabolo vedi Mc 3,31.
[:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc.
¦:X/:g), io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo
di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»). La forma pronominale è presente nella maggior parte dei codici. È assente,
invece, in B, D. La quantità e la qualità dei manoscritti depone a favore della sua autenticità.].

3,34 i"Â BgD4$8gRV:g<@H J@×H BgDÂ "ÛJÎ< ibi8å i"h0:X<@LH 8X(g4s }3*g º
:ZJ0D :@L i" @Ê •*g8n@\ :@L.
3,34 E girando lo sguardo su quelli che erano seduti in cerchio attorno a lui disse: «Ecco
mia madre! Ecco i miei fratelli!

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


BgD4$8gRV:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. aor. medio da BgD4$8XBT (da BgD\ e $8XBT),
guardare intorno; cf. Mc 3,5. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso
z30F@ØH. Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo composto viene ripetuta
davanti al successivo complemento indiretto, come qui; questo fenomeno si ritrova in Mc
1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.24.25.26.
31. 33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
BgD\: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., intorno a, attorno, in
prossimità di, vicino; cf. Mc 1,6.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di stato in luogo.
ibi8å: sost., dat. sing. m. da ibi8@H, –@L, cerchio; compl. modale. Il vocabolo ricorre 8 volte
nel NT: Mc 3,34; 6,6.36; Lc 9,12; Rm 15,19; Ap 4,6; 5,11; 7,11. Questa forma può essere
qui usata con il significato di avverbio di modo «in cerchio», «in circolo» o in quello locativo
«attorno», «all’intorno», come avviene nel greco classico (cf. Omero, Od., 8,278; Senofonte,
Anab., 3,1,2).
i"h0:X<@LH: verbo, acc. plur. m. part. pres. medio, di valore sostantivato, da iVh0:"4 (da
i"JV e ½:"4), sedere, sedersi; cf. Mc 2,6; compl. oggetto.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
}3*g: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc
2,24. Il vocabolo Ç*g, un segnale discorsivo stereotipo, nella maggior parte delle ricorrenze
274 Mc 3,35

neotestamentarie assume il valore avverbiale esclamativo corrispondente alle interiezioni


«ecco!», «vedi!», «guarda!», «guardate!». Non c’è sostanziale diversità con l’equivalente Æ*@b
(cf. Mc 1,2). Entrambe le particelle sono forme vivaci e dinamiche modellate sul corrispon-
dente ebraico %F% E , hinne)h (1057 volte nell’AT) e in quanto tali possono sottolineare il
discorso o la narrazione che esse introducono con una energia particolare, esprimente di volta
in volta sorpresa, importanza, novità, reazione.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
:ZJ0D: sost., nom. sing. f. da :ZJ0D, :0JD`H, madre; cf. Mc 3,31; soggetto.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
•*g8n@\: sost., nom. plur. m. da •*g8n`H, –@Ø, fratello; cf. Mc 1,16; soggetto. Per il
commento lessicale a questo vocabolo vedi Mc 3,31.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).

3,35 ÔH [(D] —< B@4ZF® JÎ hX80:" J@Ø hg@Øs @âJ@H •*g8n`H :@L i" •*g8n¬
i"Â :ZJ0D ¦FJ\<.
3,35 Chi, infatti, compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre!».

ÓH: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2; soggetto. L’invito di
Gesù non si dirige a individui particolari, ma è virtualmente universale; il pronome relativo
ÓH corrisponde qui al pronome indefinito ÓFJ4H, «chiunque»: «In lingua autem hellenistica
et biblica distinctio inter ÓH et ÓFJ4H saepe negligitur» (Zerwick Max, Graec., § 216).
Analogo fenomeno in Mc 4,9.25; 6,56. Il successivo pronome dimostrativo @âJ@H che
introduce l’apodosi ha valore enfatico e rafforza il pensiero di Gesù: soltanto colui che
compie la volontà di Dio può dichiararsi parente di Gesù. Si tratta del primo caso di una serie
di «detti gnomici», introdotti dal pronome indefinito nella forma «chi…», «chiunque…»,
«colui che…», «se qualcuno…», ecc., il cui scopo è quello di mettere in evidenza le
caratteristiche della sequela. Ritroviamo questa tipica costruzione in Mc 3,35 («chi compie
la volontà di Dio…»); Mc 6,11 (chi non accoglie i Dodici); Mc 9,37 («chi accoglie un
bambino…»); Mc 9,40 («chi non è contro di noi è per noi»); Mc 9,42 («chi scandalizza uno
dei piccoli…»); Mc 10,11 («chi divorzia dalla moglie…»); Mc 10,29 («chi lascia casa,
fratelli, sorelle…»); Mc 10,43 («chi vuole essere il più grande…»); Mc 11,23 («chi dice a
questo monte…»).
Mc 3,35 275

[(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16. La congiunzione è
presente nella maggior parte dei codici. È assente, invece, in B, W, 2427. La quantità e la
qualità dei manoscritti depone a favore della sua autenticità.].
–<: partic. modale di valore dubitativo, eventuale o condizionale, indecl., [se, e se, caso mai,
qualora, eventualmente]; cf. Mc 3,29.
B@4ZF®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3. Non si tratta di ascoltare, ma di praticare (B@4XT) la volontà di Dio.
Il tema del «fare la volontà di Dio» appare soltanto qui in Marco. Esso, invece, è molto
frequente negli altri scritti neotestamentari, soprattutto in Matteo (cf. Mt 7,21; 12,50; 21,31)
e Giovanni (cf. Gv 4,34; 6,38; 7,17; 9,31; 1Gv 2,17).
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
hX80:": sost., acc. sing. f. da hX80:", –"J@H, volontà; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 62
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 6 volte in Matteo (corrispondente
allo 0,033% del totale delle parole); 1 volta in Marco (cf. Mc 3,35, hapax marciano); 4 volte
in Luca (0,021%); 11 volte in Giovanni (0,070%). Scarsamente attestato nel greco classico,
il sostantivo hX80:" è particolarmente frequente in quello biblico (LXX: 2Sam 23,5; 1Re
5,22.23.24; 9,11; 1Mac 3,60; 2Mac 1,3; Sal 1,2; Is 44,28, ecc.).
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione. In che
cosa consiste esattamente questo compiere «la volontà di Dio»? L’espressione J@Ø hg@Ø ha
qui il valore di genitivo oggettivo (= «ciò che Dio vuole»). Nella primitiva comunità dei
credenti «fare la volontà di Dio» equivale, pertanto, al contenuto stesso della vita cristiana (cf.
Rm 12,2; Eb 13,21; 1Pt 4,2). Del resto lo stesso Gesù non soltanto insegna ai discepoli tale
compimento nella preghiera («Padre… sia fatta la tua volontà», Mt 6,9–10), ma lui stesso
dichiara di essere venuto «per fare la volontà di colui che mi ha mandato a compiere la sua
opera» (Gv 4,34; cf. 5,30; 6,38; 8,42; Mc 2,17; 3,35; 8,31.33; 9,31; 10,33; 14,36) e lo farà
anche nelle ore drammatiche del Getsemani («Padre… sia fatta la tua volontà», Mt 26,42).
«Neque tamen iniuriose refutantur parentes, sed religiosiores copulae mentium docentur esse,
quam corporum», «I parenti non sono respinti con ingiurie, ma apprendono che i legami della
volontà sono più sacri di quelli dei corpi» (Ambrogio, In Lc., 8,21).
@âJ@H: pron. dimostrativo, nom. sing. m. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 2,7;
soggetto. In posizione enfatica (dopo il pronome relativo ÓH, al quale si riferisce), rafforza
l’affermazione di Gesù.
•*g8n`H: sost., nom. sing. m. da •*g8n`H, –@Ø, fratello; cf. Mc 1,16; predicato nominale. Per
il commento lessicale a questo vocabolo cf. Mc 3,31.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
276 Mc 3,35

•*g8nZ: sost., nom. sing. f. da •*g8nZ, –­H, sorella; cf. Mc 3,32; predicato nominale. Per il
commento lessicale a questo vocabolo vedi Mc 3,31.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
:ZJ0D: sost., nom. sing. f. da :ZJ0D, :0JD`H, madre; cf. Mc 3,31; predicato nominale.
¦FJ\<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
Mc 4,1

4,1 5" BV84< ³D>"J@ *4*VFig4< B"D J¬< hV8"FF"<· i" FL<V(gJ"4 BDÎH
"ÛJÎ< ÐP8@H B8gÃFJ@Hs òFJg "ÛJÎ< gÆH B8@Ã@< ¦:$V<J" i"h­Fh"4 ¦< J±
h"8VFF®s i" BH Ò ÐP8@H BDÎH J¬< hV8"FF"< ¦B J­H (­H µF"<.
4,1 Di nuovo si mise a insegnare lungo il mare. E si riunì attorno a lui una folla enorme,
tanto che egli, salito su una barca, restò seduto in mare, mentre tutta la folla era a
terra, lungo la riva.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
³D>"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da –DPT, dare inizio, cominciare; cf. Mc 1,45. La
frase ³D>"J@ / ³D>"<J@ seguita da un infinito come complemento è usata da Marco 26
volte (cf. Mc 1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32; 10,28.32.41.47; 11,15; 12,1;
13,5; 14,19.33.65.69.71; 15,8.18). La frequenza di questa formula è dovuta probabilmente
a influsso semitico: quasi sempre equivale a una perifrasi nella quale il verbo –DPT, di
valore pleonastico, può essere omesso, mentre l’infinito dipendente viene reso con la 3a
persona dell’indicativo aoristo o imperfetto corrispondente.
*4*VFig4<: verbo, inf. pres. da *4*VFiT, insegnare, istruire, ammaestrare; cf. Mc 1,21.
B"DV: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., presso, lungo, nei dintorni
di, vicino a; cf. Mc 1,16.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
hV8"FF"<: sost., acc. sing. f. da hV8"FF", –0H, mare; cf. Mc 1,16; compl. di stato in luogo.
L’espressione B"D J¬< hV8"FF"< è una formula utilizzata da Marco per introdurre
avvenimenti di una certa importanza: Mc 1,16 (chiamata dei primi discepoli); Mc 2,13
(chiamata di Levi); Mc 4,1 (discorso in parabole); Mc 5,21 (richiesta da parte di Giairo).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
FL<V(gJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. pass. da FL<V(T (da Fb< e –(T), raggruppare,
raccogliere, radunare; cf. Mc 2,2. Presente storico.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di moto a luogo.
ÐP8@H: sost., nom. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; soggetto. Senza
articolo perché generico e anonimo.
B8gÃFJ@H: agg. indefinito, di grado superlativo, nom. sing. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto,
tanto, grande; cf. Mc 1,34; attributo di ÐP8@H.
òFJg: cong. subordinativa di valore consecutivo, indecl., così che, cosicché, tanto che, al punto
che; cf. Mc 1,27.

277
278 Mc 4,1

"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; soggetto della proposizione oggettiva costruita con
l’infinito i"h­Fh"4.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
B8@Ã@<: sost., acc. sing. n. da B8@Ã@<, –@L, barca; cf. Mc 1,19; compl. di moto a luogo. Senza
articolo perché generica.
¦:$V<J": verbo, acc. sing. m. part. aor. da ¦:$"\<T (da ¦< e la radice di $VF4H), entrare,
salire. Questo verbo ricorre 16 volte nel NT: Mt 8,23; 9,1; 13,2; 14,22; 15,39; Mc 4,1; 5,18;
6,45; 8,10.13; Lc 5,3; 8,22.37; Gv 6,17.24; 21,3. Participio predicativo del soggetto
sottinteso z30F@ØH. A partire già da Omero il verbo ¦:$"\<T esprime l’idea di «salire»,
«entrare»: riferito alle navi o ad altre imbarcazioni equivale a «imbarcarsi» (cf. Omero, Il.,
1,311; 2,720; Od., 4,656).
i"h­Fh"4: verbo, inf. pres. medio da iVh0:"4 (da i"JV e ½:"4), sedere, sedersi; cf. Mc 2,6.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
h"8VFF®: sost., dat. sing. f. da hV8"FF", –0H, mare; cf. Mc 1,16; compl. di stato in luogo.
L’espressione «stare seduto sul mare» è paradossale, ma efficace: Gesù è seduto su una
barca, poco distante dalla riva. Questo particolare non è semplicemente coreografico: stando
seduto nella barca, con il popolo che l’ascolta dalla riva, Gesù è descritto in qualità di
«Maestro», analogamente agli altri dottori giudaici i quali erano soliti mettersi a sedere
nell’impartire le lezioni ai loro allievi. A differenza di loro, però, Gesù non ha attorno a sé
una minuscola cerchia di discepoli, ma addirittura un’intera popolazione radunata.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BH: agg. indefinito, nom. sing. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; attributo di ÐP8@H, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
ÐP8@H: sost., nom. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; soggetto.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
hV8"FF"<: sost., acc. sing. f. da hV8"FF", –0H, mare; cf. Mc 1,16; compl. di stato in luogo.
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., in, su, a, davanti a, verso, sopra,
presso; cf. Mc 1,22.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
(­H: sost., gen. sing. f. da (­, (­H, terra; cf. Mc 2,10; compl. di stato in luogo.
Mc 4,2 279

µF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf.
Mc 1,6. Predicato verbale. L’uso della terza persona plurale in riferimento a un sostantivo
collettivo singolare è normale.

4,2 i"Â ¦*\*"Fig< "ÛJ@×H ¦< B"D"$@8"ÃH B@88V i"Â §8g(g< "ÛJ@ÃH ¦< J±
*4*"P± "ÛJ@Øs
4,2 Insegnava loro molte cose per mezzo di parabole e disse loro nel suo insegnamento:

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦*\*"Fig<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da *4*VFiT, insegnare, istruire, ammaestrare;
cf. Mc 1,21. Imperfetto durativo o iterativo per indicare il protrarsi di questo insegnamento.
Il verbo è costruito con il doppio accusativo ("ÛJ@bH, B@88V).
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto. Il pronome non si riferisce ai
discepoli ma a BH Ò ÐP8@H del v. 1.
¦<: prep. propria di valore strumentale, seguita dal dativo, indecl., con, per mezzo di; cf. Mc 1,2.
B"D"$@8"ÃH: sost., dat. plur. f. da B"D"$@8Z, –­H, confronto, paragone, similitudine,
parabola; cf. Mc 3,23; compl. di mezzo. L’espressione ¦< B"D"$@8"ÃH è un esempio di
¦< strumentale dovuto a influsso semitico: la preposizione greca traduce quella corrisponden-
te ebraica (vA, be), impiegata per esprimere non un complemento di luogo, ma di mezzo o
strumento. Ritroviamo questo uso particolare in Mc 1,8; 3,22.23; 4,2.11.24.30; 6,14;
9,29.38.50; 11,28.29.33; 12,1.36.38; 16,17. Il genere letterario «parabolico» era caratteristico
della cultura giudaica e più in generale di quella semitica, come ricorda un passo della
Mishnah: «Quando morì Rabbi Meir scomparvero gli autori di parabole» (m.Sot., 9,15).
Nella tradizione giudaica Rabbi Meir (135–160 d.C.) era considerato per antonomasia autore
di parabole, mediante le quali aiutava gli studenti a comprendere meglio quanto egli
insegnava loro.
B@88V: pron. indefinito, di valore sostantivato, acc. plur. n. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto,
tanto, grande; cf. Mc 1,34; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo («diceva», «continuava a
dire»), ma quello puntuale, corrispondente a un aoristo («disse»). Per altri esempi di questo
imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24.26.30.41;
5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70; 15,12a.14; per
quanto riguarda l’imperfetto puntuale con ¦BgDTJVT cf. Mc 5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33;
10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; con ¦DTJVT cf. Mc 4,10; 8,5.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
¦<: prep. propria di valore strumentale, seguita dal dativo, indecl., a, con, per mezzo di; cf. Mc
1,2.
280 Mc 4,3

J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
*4*"P±: sost., dat. sing. f. da *4*"PZ, –­H (da *4*VFiT), insegnamento, dottrina, istruzione;
cf. Mc 1,22; compl. di mezzo.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).

4,3 z!i@bgJg. Æ*@× ¦>­8hg< Ò FBg\DT< FBgÃD"4.


4,3 «Ascoltate. Ecco, il seminatore uscì a seminare.

z!i@bgJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. L’invito ad ascoltare, formulato mediante un
imperativo, è un espediente comune nel linguaggio semitico per avviare un colloquio (cf. Gn
23,6), attirare l’attenzione (cf. Dt 6,4), introdurre una parabola, una metafora e simili (cf. Prv
5,1; 22,17; Sir 3,1; 16,24).
Æ*@b: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. medio da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf.
Mc 1,2. Il vocabolo Æ*@b, un segnale discorsivo stereotipo, nella maggior parte delle
ricorrenze neotestamentarie assume il valore avverbiale esclamativo corrispondente alle
interiezioni «ecco!», «vedi!», «guarda!», «guardate!». Non c’è sostanziale diversità con
l’equivalente Ç*g (cf. Mc 2,24). Entrambe le particelle sono forme vivaci e dinamiche
modellate sul corrispondente ebraico %F% E , hinne)h (1057 volte nell’AT) e in quanto tali
possono sottolineare il discorso o la narrazione che esse introducono con una energia
particolare, esprimente di volta in volta sorpresa, importanza, novità, reazione. Su 7
ricorrenze marciane di Æ*@b 4 sono pronunciate da Gesù, come elemento caratteristico che
intende richiamare l’attenzione degli ascoltatori (cf. Mc 4,3; 10,33; 14,41.42).
¦>­8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori, uscire;
cf. Mc 1,25.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
FBg\DT<: verbo, nom. sing. m. part. pres., di valore sostantivato, da FBg\DT, seminare. Questo
verbo ricorre 52 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 17 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,093% del totale delle parole); 12 volte in Marco (cf. Mc 4,3[x2].4.
14[x2].15[x2].16.18.20.31.32 = 0,106%); 6 volte in Luca (0,031%). Nel greco classico il
significato prevalente di FBg\DT è quello letterale proprio di «seminare», «spargere la
semente»: FBg\Dg4< gÆH BXJD"H Jg i"Â 8\h@LH, «seminare tra le pietre e i sassi» (Platone,
Leg., 838e; cf. anche Esiodo, Op., 391; Erodoto, Hist., 4,17,1), detto anche del seme
maschile. La presenza dell’articolo («il seminatore») non implica necessariamente l’allusione
a un seminatore ben determinato, noto ai lettori, vale a dire Gesù (come vorrebbero molti):
si tratta dell’articolo «di genere», frequente nelle parabole, che riflette lo stato enfatico
aramaico; poco oltre si parlerà de «il sentiero», «gli uccelli», «le spine», tutti termini muniti
di articolo. Nella traduzione il vocabolo potrebbe essere reso anche con «un seminatore».
Mc 4,4 281

FBgÃD"4: verbo, inf. aor. da FBg\DT, seminare; cf. Mc 4,3. Infinito con valore finale.

4,4 i" ¦(X<gJ@ ¦< Jè FBg\Dg4< Ô :¥< §BgFg< B"D J¬< Ò*`<s i" µ8hg< J
BgJg4< i" i"JXn"(g< "ÛJ`.
4,4 Mentre seminava una parte cadde lungo la strada: vennero gli uccelli e la divorarono.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦(X<gJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4. L’iniziale i"Â ¦(X<gJ@, di stampo
semitico, è il modo in cui i LXX traducono l’ebraico *%E *AC&, wa7 yehî, «e avvenne che…», posto
all’inizio di una proposizione come riferimento temporale (cf. Gn 4,3; 6,1; 7,10; 8,6; ecc.).
Questa costruzione è presente in Mc 1,9; 2,15.23; 4,4.10. Quando il significato temporale è
già implicito nel successivo genitivo assoluto o in altre costruzioni temporali la formula può
essere omessa.
¦<: prep. propria di valore temporale, seguita dal dativo, indecl., in, durante, entro; cf. Mc 1,2.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
FBg\Dg4<: verbo, inf. pres. da FBg\DT, seminare; cf. Mc 4,3; compl. di tempo determinato.
L’espressione ¦< Jè FBg\Dg4< è un semitismo di valore temporale, diversamente dall’uso
classico in cui la formula ha significato causale.
Ó: pron. relativo, nom. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24; soggetto. Il relativo ÓH
ha talvolta valore di pronome dimostrativo o indefinito, specie nelle correlazioni: nel nostro
caso equivale al pronome dimostrativo neutro J`.
:X<: particella primaria, indecl., certo, certamente. Il vocabolo ricorre 179 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 20 volte in Matteo (corrispondente allo 0,109% del
totale delle parole); 6 volte in Marco (cf. Mc 4,4; 9,2; 12,5; 14,21.38; 16,19 = 0,053%); 10
volte in Luca (0,051%); 8 volte in Giovanni (0,051%). Rispetto al greco classico la particella
:X< è attestata nella Koiné con minor frequenza. Nell’uso assoluto, senza un’altra particella
correlativa, assume valore enfatico/affermativo, corrispondente agli avverbi «veramente»,
«certamente», «davvero», «appunto». In correlazione con altra particella (*X, –88@[H],
ªJgD@H, ªJgD@<, •88V, B8Z<) esprime un certo contrasto che può assumere all’occorrenza
valore concessivo, avversativo, comparativo, partitivo, elencativo («da una parte…
dall’altra…»; «l’uno… l’altro…»; «alcuni… altri…»; «certo… tuttavia…»). In qualche caso,
tuttavia, non si traduce, poiché non esiste in italiano una analoga struttura coordinante. Unita
ad altra particella (:¥< (VD) esprime contrasto all’inizio di una proposizione oppure, nella
costruzione :¥< @Þ<, connette tra loro due elementi o argomentazioni. Modellata sull’uso
classico la formula Ô :X< è usata da Marco in correlazione con i"\ (cf. Mc 4,4.5), con
–88" (cf. Mc 9,1) e con *X (cf. Mc 12,5; 14,21.38; 16,19).
§BgFg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da B\BJT, cadere, precipitare. Questo verbo ricorre 90
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 19 volte in Matteo (corrispondente
allo 0,104% del totale delle parole); 8 volte in Marco (cf. Mc 4,4.5.7.8; 5,22; 9,20; 13,25;
282 Mc 4,4

14,35 = 0,071%); 17 volte in Luca (0,087%); 3 volte in Giovanni (0,019%). Nella storia
linguistica di questo verbo a partire dal significato fondamentale di «cadere» con un
movimento fisico, dall’alto in basso (cf. Omero, Il., 6,307; 11,425), si sono via via formate
molte altre accezioni («precipitare», «abbattersi», «gettarsi addosso a», «venire ucciso»,
«morire», «cadere in rovina», «svanire», «volgere al termine», ecc.). Nelle ricorrenze
neotestamentarie B\BJT indica quasi sempre il cadere fisico in senso proprio, detto di cose,
animali e persone.
B"DV: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., presso, lungo, nei dintorni
di, vicino a; cf. Mc 1,16.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
Ò*`<: sost., acc. sing. f. da Ò*`H, –@Ø, strada, via; cf. Mc 1,2; compl. di stato in luogo. La
strada di cui si parla è propriamente il sentiero che corre tra un campo e l’altro, segnato dal
passaggio dei viandanti e degli agricoltori. Il seminatore lo percorre per accedere al suo
campo: per quanta attenzione egli faccia non può evitare che alcuni semi, dal sacchetto
appeso al collo o alla cintura, cadano per terra e siano beccati dagli uccelli o calpestati dai
viandanti (cf. Lc 8,5).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
µ8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. L’uso della terza persona singolare in riferimento a un
sostantivo collettivo plurale è normale, tanto più se il vocabolo è di genere neutro.
JV: art. determ., nom. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
BgJg4<V: sost., nom. plur. n. da BgJg4<`<, –@Ø, uccello, volatile, alato; soggetto. Il vocabolo
ricorre 14 volte nel NT: Mt 6,26; 8,20; 13,4.32; Mc 4,4.32; Lc 8,5; 9,58; 12,24; 13,19; At
10,12; 11,6; Rm 1,23; Gc 3,7. Nella grecità il termine BgJg4<`<, propriamente un aggettivo
dal significato di «volante», «alato», è usato nella forma sostantivata generalmente al plurale
per indicare gli «uccelli» (cf. Omero, Il., 8,247; Erodoto, Hist., 1,140,3).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
i"JXn"(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da i"JgFh\T (da i"JV e ¦Fh\T), mangiare,
consumare, divorare. Questo verbo ricorre 14 volte nel NT: Mt 13,4; Mc 4,4; 12,40; Lc 8,5;
15,30; 20,47; 2Cor 11,20; Gal 5,15; Ap 10,9.10; 11,5; 12,4; 20,9. L’uso della terza persona
singolare in riferimento a un sostantivo collettivo plurale è normale, tanto più se il vocabolo
è di genere neutro. In senso letterale proprio il verbo i"JgFh\T esprime a partire da Omero
un mangiare con voracità, ossia «divorare» (cf. Omero, Il., 2,314; Od., 12,256).
"ÛJ`: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. n. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; compl. oggetto. La forma "ÛJ` ricorre 105 volte nel NT rispetto
alle 5600 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 13
volte in Matteo (corrispondente allo 0,071% del totale delle parole); 9 volte in Marco (cf. Mc
4,4.7; 6,29; 9,18.28.36[x2]. 50; 14,25 = 0,080%); 17 volte in Luca (0,087%); 11 volte in
Giovanni (0,070%).
Mc 4,5 283

4,5 i" –88@ §BgFg< ¦B JÎ BgJDä*gH ÓB@L @Ûi gÉPg< (­< B@88Z<s i" gÛh×H
¦>"<XJg48g< *4 JÎ :¬ §Pg4< $Vh@H (­H·
4,5 Un’altra parte cadde nel terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò
subito, perché non c’era un terreno profondo,

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


–88@: pron. indefinito, nom. sing. n. da –88@H, –0, –@, altro, un altro; soggetto. Il vocabolo
ricorre 155 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 29 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,158% del totale delle parole); 22 volte in Marco (cf. Mc 4,5.7.8.18.
36; 6,15[x2]; 7,4; 8,28[x2]; 10,11.12; 11,8; 12,4.5[x2].9.31.32; 14,58; 15,31.41 = 0,195%);
11 volte in Luca (0,056%); 33 volte in Giovanni (0,211%). Nel greco ellenistico e
neotestamentario, a seguito della scomparsa della forma duale la differenza classica tra
–88@H (un altro tra molti) e ªJgD@H (un altro tra due) non è più rispettata e i due vocaboli
sono praticamente usati con lo stesso significato, quello, cioè, di negare l’identità tra due
soggetti o realtà.
§BgFg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da B\BJT, cadere, precipitare; cf. Mc 4,4.
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., in, su, a, sopra; cf. Mc 1,22.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
BgJDä*gH: agg. qualificativo, acc. sing. n. da BgJDä*gH, –@LH, roccioso, pietroso; compl. di
stato in luogo. Il vocabolo ricorre 4 volte nel NT: Mt 13,5.20; Mc 4,5.16. L’aggettivo
descrive nel greco classico terreni o località pietrose, prive di vegetazione (cf. Sofocle, Antig.,
774; Platone, Resp., 612a; Aristotele, Hist. anim., 549b 14).
ÓB@L: (da ÓH e B@Ø), avv. di luogo, indecl., dove, nel luogo in cui; cf. Mc 2,4.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
gÉPg<: verbo, inf. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella condizione di,
essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
(­<: sost., acc. sing. f. da (­, (­H, terra; cf. Mc 2,10; compl. oggetto.
B@88Z<: agg. indefinito, acc. sing. f. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; attributo di (­<.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
¦>"<XJg48g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦>"<"JX88T (da ¦i e •<"JX88T), fare
sorgere, venire su, uscire, spuntare, crescere. Questo verbo ricorre 2 volte nel NT: Mt 13,5;
Mc 4,5 (hapax marciano). L’uso intransitivo di questo verbo nel senso di «sorgere»,
«spuntare», detto di vegetali o piante, è piuttosto raro nella grecità (cf. Empedocle, Frag.,
61,18).
*4V: prep. propria di valore causale, seguita dall’accusativo, indecl., a causa di, a motivo di, per;
cf. Mc 2,1.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
284 Mc 4,6

:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.


§Pg4<: verbo, inf. pres., di valore sostantivato, da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere
nella condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22; compl. di causa. L’infinito,
sostantivato dall’articolo J`, assolve qui la funzione di un complemento di causa: «a motivo
del non avere profondità di terreno»; può essere reso più direttamente: «poiché non aveva un
terreno profondo».
$Vh@H: sost., acc. sing. n. da $Vh@H, –@LH, profondità, altezza; compl. di causa. Il vocabolo
ricorre 8 volte nel NT: Mt 13,5; Mc 4,5 (hapax marciano); Lc 5,4; Rm 8,39; 11,33; 1Cor
2,10; 2Cor 8,2; Ef 3,18. In senso letterale proprio il termine indica la profondità spaziale, sia
essa del terreno (cf. Strabone, Geogr., 3,3,7; Mc 4,5) o dell’acqua (cf. Senofonte, Cyr., 7,5,8;
Lc 5,4). I testi paolini usano $Vh@H sempre in senso traslato, per indicare la profondi-
tà/altezza, ossia l’immensa vastità del mondo e della vita (cf. Rm 8,39; 2Cor 8,2), del mistero
di Dio e di Cristo (cf. Rm 11,33; 1Cor 2,10; Ef 3,18).
(­H: sost., gen. sing. f. da (­, (­H, terra; cf. Mc 2,10; compl. di specificazione. Senza articolo
per assimilazione con il nome reggente, privo anch’esso di articolo. L’espressione $Vh@H
(­H, lett. «profondità di terra», priva di articoli, è modellata sulla costruzione ebraica detta
stato costrutto, in cui il sostantivo che regge il genitivo è sempre senza articolo: in italiano
equivale a «terreno profondo».

4,6 i" ÓJg •<XJg48g< Ò »84@H ¦i"L:"J\Fh0 i" *4 JÎ :¬ §Pg4< Õ\."< ¦>0DV<-
h0.
4,6 ma quando si levò il sole restò bruciata e non avendo radice si seccò.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


ÓJg: cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, allorché, ogni volta che, mentre;
cf. Mc 1,32. La combinazione i"Â ÓJg si trova all’inizio di una proposizione in Mc 4,6.10;
7,17; 11,1; 15,20.
•<XJg48g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •<"JX88T (da •<V e la radice di JX8@H), sorgere,
fare sorgere, uscire, spuntare, crescere. Questo verbo ricorre 9 volte nel NT: Mt 4,16; 5,45;
13,6; Mc 4,6; 16,2; Lc 12,54; Eb 7,14; Gc 1,11; 2Pt 1,19. Usato sia in forma transitiva che
intransitiva, il significato del verbo viene precisato a seconda dell’oggetto di cui si parla.
Detto di cose, come qui, indica generalmente lo spuntare o il sorgere del sole, analogamente
al greco classico (cf. Erodoto, Hist., 1,204,1).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
»84@H: sost., nom. sing. m. da »84@H, –@L, sole; cf. Mc 1,32; soggetto.
¦i"L:"J\Fh0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da i"L:"J\.T, bruciare, bruciacchiare,
seccarsi. Questo verbo ricorre 4 volte nel NT: Mt 13,6; Mc 4,6 (hapax marciano); Ap
16,8.9. L’uso mediopassivo di i"L:"J\.T nel senso di «essere consumato dal calore»,
«bruciarsi», è quasi del tutto sconosciuto nella grecità.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Mc 4,7 285

*4V: prep. propria di valore causale, seguita dall’accusativo, indecl., a causa di, a motivo di, per;
cf. Mc 2,1.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
§Pg4<: verbo, inf. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella condizione di,
essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
Õ\."<: sost., acc. sing. f. da Õ\.", –0H, radice, germoglio; compl. di causa. Senza articolo
perché generico. Il vocabolo ricorre 17 volte nel NT: Mt 3,10; 13,6.21; Mc 4,6.17; 11,20; Lc
3,9; 8,13; Rm 11,16.17.18[x2]; 15,12; 1Tm 6,10; Eb 12,15; Ap 5,5; 22,16. Nella grecità
profana il termine Õ\." indica in senso letterale proprio la radice dei vegetali (cf. Omero, Il.,
11,846; Od., 10,304), mentre nel greco biblico può assumere anche il significato metaforico
di «origine», «stirpe» (cf. Ez 16,3).
¦>0DV<h0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da >0D"\<T, seccare, appassire, disseccare
(att.); diventare secco, diventare rigido (pass.); cf. Mc 3,1.

4,7 i" –88@ §BgFg< gÆH JH •iV<h"Hs i" •<X$0F"< "Ê –i"<h"4 i" FL<XB<4-
>"< "ÛJ`s i"Â i"DBÎ< @Ûi §*Tig<.
4,7 Un’altra parte cadde tra i rovi; i rovi crebbero, la soffocarono e non diede frutto.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


–88@: pron. indefinito, nom. sing. n. da –88@H, –0, –@, altro, un altro; cf. Mc 4,5; soggetto.
§BgFg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da B\BJT, cadere, precipitare; cf. Mc 4,4.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
•iV<h"H: sost., acc. plur. f. da –i"<h", –0H, spina, rovo; compl. di stato in luogo. Il vocabolo
ricorre 14 volte nel NT: Mt 7,16; 13,7[x2].22; 27,29; Mc 4,7[x2].18; Lc 6,44; 8,7[x2].14; Gv
19,2; Eb 6,8. Nella grecità il sostantivo –i"<h" designa in senso esteso ogni pianta spinosa
di varia specie, quali l’eringio, il cardo, l’acacia, ecc. (cf. Omero, Od., 5,328). In Palestina i
campi si coprono spesso di rovi e cardi che talvolta possono raggiungere un metro e mezzo
di altezza, soffocando qualsiasi pianticella sottostante.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•<X$0F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •<"$"\<T (da •<V e la radice di $VF4H), risalire,
ascendere, andare su, sorgere, crescere; cf. Mc 1,10. Per il significato di «germogliare»,
«crescere», cf. Gn 41,5; Dt 29,22; Is 5,6; 32,12.
"Ê: art. determ., nom. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 2,5.
–i"<h"4: sost., nom. plur. f. da –i"<h", –0H, spina, rovo; cf. Mc 4,7; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
286 Mc 4,8

FL<XB<4>"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da FL:B<\(T (da Fb< e B<\(T), soffocare. Questo
verbo ricorre 5 volte nel NT: Mt 13,22; Mc 4,7.19; Lc 8,14.42. Sconosciuto nel greco
classico, FL:B<\(T è attestato nella Koiné nel significato di «premere», «soffocare», in
senso sia letterale proprio che figurato (cf. Teofrasto, De caus. plant., 6,11,6).
"ÛJ`: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. n. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 4,4; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
i"DB`<: sost., acc. sing. m. da i"DB`H, –@Ø, frutto; compl. oggetto. Senza articolo perché
generico. Il vocabolo ricorre 67 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 19
volte in Matteo (corrispondente allo 0,104% del totale delle parole); 5 volte in Marco (Mc
4,7.8.29; 11,14; 12,2 = 0,044%); 12 volte in Luca (0,062%); 10 volte in Giovanni (0,064%).
Analogamente a quanto avviene nel greco classico, nel NT i"DB`H è usato in tre accezioni:
a) in senso letterale proprio indica il «frutto» degli alberi (cf. Mc 4,29); b) in senso improprio
indica il «figlio», la «prole», ossia il bambino come «frutto» della donna e dell’uomo (cf. Lc
1,42); c) in senso traslato assume il significato di «provento», «guadagno», «risultato» (cf. Mt
21,43).
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
§*Tig<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26.

4,8 i" –88" §BgFg< gÆH J¬< (­< J¬< i"8Z< i" ¦*\*@L i"DBÎ< •<"$"\<@<J"
i"Â "Û>"<`:g<" i"Â §ngDg< «< JD4Vi@<J" i"Â «< ©>Zi@<J" i"Â «< ©i"J`<.
4,8 Un’altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto; spuntò, crebbe e produsse il
trenta, il sessanta e il cento per cento».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


–88": pron. indefinito, nom. plur. n. da –88@H, –0, –@, altro, un altro; cf. Mc 4,5; soggetto.
§BgFg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da B\BJT, cadere, precipitare; cf. Mc 4,4. Quando il
soggetto è un neutro plurale (come nel nostro caso) il verbo è per lo più al singolare (è il
cosiddetto «schema Atticum»), soprattutto se i soggetti appartengono al mondo materiale e
inanimato e, perciò, possono essere considerati come una massa. Ritroviamo questo
fenomeno in Mc 4,8.11.36; 7,15.23; 13,4[x2].
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
(­<: sost., acc. sing. f. da (­, (­H, terra; cf. Mc 2,10; compl. di stato in luogo.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
i"8Z<: agg. qualificativo, acc. sing. f. da i"8`H, –Z, –`<, bello, buono, appropriato,
conveniente; attributo di (­<. Il vocabolo ricorre 102 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 21 volte in Matteo (corrispondente allo 0,114% del totale delle
Mc 4,8 287

parole); 11 volte in Marco (cf. Mc 4,8.20; 7,27; 9,5.42.43.45.47.50; 14,6.21 = 0,097%); 9


volte in Luca (0,046%); 7 volte in Giovanni (0,045%). Nell’uso linguistico neotestamentario,
analogamente a quanto avviene nel greco classico, i"8`H è quasi sinonimo di •("h`H con
cui può essere scambiato. In riferimento all’agire umano •("h`H esprime solitamente il
“bene” nella disposizione d’animo e nella dimensione etica dei comportamenti, mentre
i"8`H designa il bene estetico, ossia l’aspetto esteriore e visibile dei comportamenti degni
di lode. Qui il «terreno bello» è il «terreno fertile», prosperoso, come avviene per le
espressioni italiane: «un bel terreno», «una bel campo».
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦*\*@L: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26.
i"DB`<: sost., acc. sing. m. da i"DB`H, –@Ø, frutto; cf. Mc 4,7; compl. oggetto. Senza articolo
perché generico.
•<"$"\<@<J": verbo, nom. plur. n. part. pres. da •<"$"\<T (da •<V e la radice di $VF4H),
risalire, ascendere, andare su, sorgere, crescere; cf. Mc 1,10. Participio predicativo del
soggetto –88".
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
"Û>"<`:g<": verbo, nom. plur. n. part. pres. pass. da "Û>V<T, far crescere, aumentare,
crescere. Questo verbo ricorre 23 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
Mt 6,28; 13,32; Mc 4,8 (hapax marciano); Lc 1,80; 2,40; 12,27; 13,19; Gv 3,30. Participio
predicativo del soggetto –88". Nel greco classico il verbo "Û>V<T è impiegato in senso sia
letterale proprio che figurato nel significato di «accrescere», «aumentare» (cf. Sofocle, Antig.,
191; Erodoto, Hist., 8,30,2; Platone, Leg., 910b). Nella maggior parte delle ricorrenze
neotestamentarie il verbo è usato in senso letterale proprio per indicare la crescita fisica
nell’ambito della natura, specialmente in riferimento alla semina e al raccolto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
§ngDg<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da nXDT, portare; cf. Mc 1,32. Nelle ricorrenze
marciane di nXDT prevale il significato letterale proprio di «portare», «condurre»: qui il
verbo è usato in modo assoluto, nel senso traslato di «portare frutto», ossia «produrre»,
«rendere», significato ugualmente attestato nel greco classico (cf. Omero, Od., 9,10;
Senofonte, Oecon., 20,4).
«<: agg. numerale, cardinale, acc. sing. n. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7.
JD4Vi@<J": agg. numerale, cardinale, acc. sing. n., indecl., trenta; compl. di quantità. Il
vocabolo ricorre 11 volte nel NT: Mt 13,8.23; 26,15; 27,3.9; Mc 4,8.20; Lc 3,23; Gv 5,5;
6,19; Gal 3,17. Le espressioni «il 30 per uno», «il 60 per uno», «il 100 per uno» (numerali
distributivi) sono formulate alla maniera semitica: il numerale gÍH esprime una funzione
moltiplicativa (= 30 volte tanto, 60 volte tanto, 100 volte tanto), come avviene in Gn 26,12;
Dn 3,19; cf. anche Mc 4,20.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
«<: agg. numerale, cardinale, acc. sing. n. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7.
288 Mc 4,9

©>Zi@<J": agg. numerale, cardinale, acc. sing. n., indecl., sessanta; compl. di quantità. Il
vocabolo ricorre 9 volte nel NT: Mt 13,8.23; Mc 4,8.20; Lc 24,13; 1Tm 5,9; Ap 11,3; 12,6;
13,18.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
«<: agg. numerale, cardinale, acc. sing. n. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7.
©i"J`<: agg. numerale, cardinale, acc. sing. n., indecl., cento; compl. di quantità. Il vocabolo
ricorre 17 volte nel NT: Mt 13,8.23; 18,12.28; Mc 4,8.20; 6,40; Lc 15,4; 16,6.7; Gv 19,39;
21,11; At 1,15; Ap 7,4; 14,1.3; 21,17. Le tre cifre del rendimento (30%, 60%, 100%) si
riferiscono non a singoli semi, ma a partite di semenza. Anche in greco, come nelle lingue
moderne, il termine «seme» (sia con il neutro FBXD:" che con il maschile FB`D@H) non
indica soltanto il singolo seme, ossia il «chicco» (i`ii@H: Mc 4,31), ma è usato nel senso
collettivo di «semenza» (cf. Mc 4,26.27; Mt 13,24.27.37.38; Lc 8,5.11; 2Cor 9,10; Is 55,10,
LXX). Tuttavia, anche tenendo presente questa accezione collettiva, la resa di questo terreno
buono può sembrare esagerata se rapportata al sistema agricolo dell’epoca. Eppure esempi
di rendimenti di questo genere ci sono stati tramandati da scrittori antichi che parlano del
100% in alcune zone dell’Italia e dell’Africa: «In Italia in Subaritano dicunt etiam cum
centesimo redire solitum, in Syria ad Gadara et in Africa ad Byzacium item ex modio nasci
centum», «In Italia, presso Sibari, parlano di una resa di uno a cento, mentre in Siria, presso
Gadara e in Africa, presso Byzacio, un moggio ne produce addirittura cento» (Varrone, Res
rust., 1,44). Altri autori parlano di una resa che arrivava al 200% e 300% nei terreni
canalizzati di Babilonia (cf. Erodoto, Hist., 1,193,3). In Gn 26,12, la semina di Isacco
produsse il 100%. Probabilmente qui (e in Mc 4,20) il numero 100 deve essere inteso in
senso simbolico, come immagine esprimente una grande quantità, in quanto indica il più alto
incremento del prodotto ottenuto.

4,9 i" §8g(g<s ?H §Pg4 ìJ" •i@bg4< •i@LXJT.


4,9 E aggiunse: «Chi ha orecchi per capire, cerchi di capire!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo («diceva», «continuava a
dire»), ma quello puntuale corrispondente a un aoristo («disse»). Per altri esempi di questo
imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24.26.30.41;
5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70; 15,12a.14; per
quanto riguarda l’imperfetto puntuale con ¦BgDTJVT cf. Mc 5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33;
10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; con ¦DTJVT cf. Mc 4,10; 8,5.
?H: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2; soggetto. Il
pronome relativo è qui usato come l’indefinito ÓFJ4H («chiunque»), analogamente a quanto
avviene altrove (cf. Mc 3,35; 4,25; 6,56).
§Pg4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
Mc 4,10 289

ìJ": sost., acc. plur. n. da @ÞH, éJ`H, orecchio; compl. oggetto. Senza articolo perché generico
e anonimo. Il vocabolo ricorre 36 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
7 volte in Matteo (corrispondente allo 0,038% del totale delle parole); 4 volte in Marco (cf.
Mc 4,9.23; 7,33; 8,18 = 0,035%); 7 volte in Luca (0,036%). A partire da Omero il
sostantivo @ÞH designa l’«orecchio» umano o quello degli animali (cf. Omero, Il., 10,535;
Od., 12,200). Nell’uso neotestamentario @ÞH indica sempre l’orecchio naturale, l’organo
sensoriale dell’udito; spesso, tuttavia, poiché con l’orecchio è data la capacità dell’ascolto,
il termine serve a indicare il processo naturale e intellettuale che porta all’ascolto e, quindi,
alla comprensione, come, del resto, avviene nella grecità: ôJ" ªPg4<, «avere orecchi per
intendere» (Plutarco, Adv. Col., 1113,c,7).
•i@bg4<: verbo, inf. pres. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire, scoprire, imparare,
sapere; cf. Mc 2,1. Infinito di valore finale. L’espressione ÔH §Pg4 ìJ" •i@bg4< •i@LXJT
si ritrova, quasi alla lettera, in Mc 4,23 (gÇ J4H §Pg4 ìJ" •i@bg4< •i@LXJT). Si tratta di
una frase ellittica: sottintende un verbo come *b<":"4 («chi ha orecchi capaci di
intendere…»: cf. Ger 6,10, LXX).
•i@LXJT: verbo, 3a pers. sing. imperat. pres. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. Nel NT, ma più in generale in tutta la Bibbia, la
funzione dell’udire è fortemente sottolineata, addirittura è più importante del vedere. Nei
vangeli non si descrive mai l’aspetto di Gesù, ma si riferisce ciò che egli ha detto (ossia ciò
che i testimoni hanno udito) e fatto. Le stesse azioni di salvezza sono caratterizzate da una
voce che li accompagna e in qualche modo li interpreta: la voce degli angeli in occasione
della natività di Gesù, la voce celeste che si ode in occasione del suo battesimo e della sua
trasfigurazione. In conformità all’uso dei profeti, il verbo •i@bT in senso assoluto può
addirittura indicare quell’assimilazione interiore che trasforma il semplice «udire» esteriore
nel «capire» o «credere» a livello interiore, il quale può mancare nonostante la percezione
uditiva esterna: è in questo senso che deve essere interpretata la strana espressione «chi ha
orecchi per ascoltare, ascolti!» (Mc 4,9; cf. anche Mc 4,12; 8,18). Il senso non è parenetico
(appello a obbedire e operare), ma noetico (appello a riflettere, a fare attenzione per
comprendere). L’ascolto effettivo interiore si distingue dalla semplice percezione uditiva
perché accende la fede (cf. Mt 8,10; 9,2; 17,20) e sospinge all’azione (cf. Mt 7,16.24.26; Rm
2,13), ossia permette la salvezza.

4,10 5" ÓJg ¦(X<gJ@ i"J :`<"Hs ²DfJT< "ÛJÎ< @Ê BgD "ÛJÎ< F×< J@ÃH *f*gi"
JH B"D"$@8VH.
4,10 Quando poi fu da solo quelli che erano attorno a lui, insieme ai Dodici, lo interrogaro-
no sulle parabole.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


ÓJg: cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, allorché, ogni volta che, mentre;
cf. Mc 1,32.
¦(X<gJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4. L’iniziale i"Â ¦(X<gJ@, di stampo
290 Mc 4,10

semitico, è il modo in cui i LXX traducono l’ebraico *% E *AC&, wa7 yehî, «e avvenne che…», posto
all’inizio di una proposizione come riferimento temporale (cf. Gn 4,3; 6,1; 7,10; 8,6; ecc.).
Questa costruzione è presente in Mc 1,9; 2,15.23; 4,4.10. Quando il significato temporale è
già implicito nel successivo genitivo assoluto o in altre costruzioni temporali la formula può
essere omessa.
i"JV: prep. propria di valore modale, seguita dall’accusativo, indecl., secondo, in conformità a;
cf. Mc 1,27.
:`<"H: agg. qualificativo, acc. plur. f. da :`<@H, –0, –@<, solo, unico, [i"J :`<"H = «da
solo»]; compl. di modo. Il vocabolo ricorre 114 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli
è la seguente: 14 volte in Matteo (corrispondente allo 0,076% del totale delle parole); 6 volte
in Marco (cf. Mc 4,10; 5,36; 6,8.47; 9,2.8 = 0,053%); 10 volte in Luca (0,051%); 15 volte
in Giovanni (0,096%). L’espressione i"J :`<"H è locuzione avverbiale classica (cf.
Aristotele, Polit., 1281b 35). Nel NT compare soltanto qui e in Lc 9,18. Questo stare «da
solo» di Gesù, indicato anche con la formula i"Jz Æ*\"<, «in disparte», «in privato» (cf. Mc
4,34; 6,31.32; 7,33; 9,2.28; 13,3), è tipico di Marco, il quale si serve di questo e di altri mezzi
stilistici per esprimere la teoria del cosiddetto “segreto messianico”: ai discepoli viene data
la possibilità di riconoscere in privato la messianicità di Gesù, alla folla anonima o ai gruppi
eterogenei essa deve restare nascosta. Anche i discepoli, tuttavia, prima della Pasqua non
giungono alla retta conoscenza di tale rivelazione: non capiscono (cf. Mc 4,13.41; 6,52; 7,18;
8,17.21), hanno il cuore indurito (cf. Mc 6,52; 8,17; 16,14), si oppongono a Gesù (cf. Mc
8,33). Per quanto riguarda il cosiddetto “segreto messianico” vedi commento a Mc 1,25.
²DfJT<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da ¦DTJVT, chiedere, domandare, interrogare.
Questo verbo ricorre 63 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 4 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,022% del totale delle parole); 3 volte in Marco (cf. Mc 4,10;
7,26; 8,5 = 0,027%); 15 volte in Luca (0,077%); 28 volte in Giovanni (0,179%). Il verbo è
qui costruito con il doppio accusativo, della persona a cui si chiede ("ÛJ`<) e dell’oggetto
richiesto (B"D"$@8VH). L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo («interrogava-
no», «continuavano a interrogare»), ma puntuale corrispondente a un aoristo («interrogaro-
no»): nel greco classico come in quello ellenistico i cosiddetti verba dicendi, rogandi,
exhortandi, iubendi, tra i quali 8X(T, ¦BgDTJVT, ¦DTJVT, ecc., preferiscono la forma
dell’azione incompiuta (ossia il tempo imperfetto), poiché l’azione che esprimono attende
sempre di essere completata da quella indicata dal verbo successivo. Per altri esempi di
questo imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24.26.
30.41; 5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70;
15,12a.14; per quanto riguarda l’imperfetto puntuale con ¦BgDTJVT cf. Mc 5,9; 8,23.27.29;
9,11.28.33; 10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; con ¦DTJVT cf. Mc 4,10; 8,5. Il verbo
¦DTJVT, al pari del suo composto ¦BgDTJVT (cf. Mc 5,9), sebbene possa significare anche
il semplice «chiedere» (corrispondente ad "ÆJXT), è usato da Marco nel senso di chiedere
per ottenere una risposta, ossia «interrogare», come avviene nel greco classico (cf. Omero,
Od., 4,347; Platone, Theaet., 185c). Trattandosi di più parabole, l’espressione equivale a
«interrogare sul significato delle parabole» (cf. Mc 7,17). La frase è formulata in forma
ellittica: bisognerebbe dire, per esteso, ²DfJT< JVH ¦B48bFg4H Jä< B"D"$@8ä<, ma per
brevità si dice semplicemente ²DfJT< JH B"D"$@8VH.
Mc 4,11 291

"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5; soggetto. Uso pronominale
dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello], egli, lui,
esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
BgD\: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., intorno a, attorno, in
prossimità di, vicino; cf. Mc 1,6.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di stato in luogo. L’espressione @Ê BgDÂ
"ÛJ`< è una perifrasi inclusiva classica: indica le persone di un gruppo omogeneo, in genere
i seguaci o gli allievi di un maestro, un capo, ecc. Qui l’espressione indica un gruppo di
seguaci distinti dai Dodici, i quali non vengono mai menzionati con tale formula: oltre al
ristretto numero dei Dodici, dunque, nell’occasione ci sono altri discepoli vicini a Gesù.
Fb<: prep. propria con valore di compagnia, seguita dal dativo, indecl., con, insieme a; cf. Mc
2,26.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
*f*gi": agg. numerale, cardinale, dat. plur. m., indecl., dodici, Dodici (apostoli); cf. Mc 3,14;
compl. di compagnia.
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
B"D"$@8VH: sost., acc. plur. f. da B"D"$@8Z, –­H, confronto, paragone, similitudine,
parabola; cf. Mc 3,23; compl. oggetto.

4,11 i"Â §8g(g< "ÛJ@ÃHs {K:Ã< JÎ :LFJZD4@< *X*@J"4 J­H $"F48g\"H J@Ø hg@Ø·
¦ig\<@4H *¥ J@ÃH §>T ¦< B"D"$@8"ÃH J BV<J" (\<gJ"4s
4,11 Ed egli disse loro: «A voi è stato consegnato il mistero del regno di Dio; a quelli di
fuori, invece, tutto viene esposto sotto forma di parabole

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’espressione [i"Â] §8g(g< "ÛJ@ÃH…, «[e] diceva loro…»; i"Â §8g(g<…, «e
diceva…», posta all’inizio di una proposizione, è usata da Marco come formula abituale di
raccordo per unire sentenze staccate o una serie di sentenze (cf. Mc 2,27; 4,11.21.24.26.30;
6,4.10; 7,9.20; 8,21; 9,1; 11,17; 14,36). L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo
(«diceva», «continuava a dire»), ma quello puntuale corrispondente a un aoristo («disse»). Per
altri esempi di questo imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23;
4,2.9.11.21.24.26.30.41; 5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28;
12,35.38; 14,70; 15,12a.14; per quanto riguarda l’imperfetto puntuale con ¦BgDTJVT cf. Mc
5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33; 10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; con ¦DTJVT cf. Mc 4,10;
8,5.
292 Mc 4,11

"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
{K:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
cf. Mc 3,28; compl. di termine.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
:LFJZD4@<: sost., acc. sing. n. da :LFJZD4@<, –@L, cosa nascosta, segreto, arcano, mistero;
compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 28 volte nel NT: Mt 13,11; Mc 4,11 (hapax marciano);
Lc 8,10; Rm 11,25; 16,25; 1Cor 2,1.7; 4,1; 13,2; 14,2; 15,51; Ef 1,9; 3,3.4.9; 5,32; 6,19; Col
1,26.27; 2,2; 4,3; 2Ts 2,7; 1Tm 3,9.16; Ap 1,20; 10,7; 17,5.7. La presenza dell’articolo indica
che si tratta di un «mistero» conosciuto e ben determinato; non è facile, tuttavia, capire
immediatamente a che cosa si voglia alludere. Il concetto di :LFJZD4@< che ritroviamo in
questo passo non è di derivazione ellenistica, ma anticotestamentaria: l’equivalente ebraico
$|2, sôd5, compare frequentemente nella letteratura apocalittica e in quella rabbinica, come
pure a Qumran. Nell’AT questo “mistero” si riallaccia al consiglio di Yhwh con la sua corte
celeste (cf. 1Re 22,19; Gb 1,6; Sal 82,1): si tratta di un “mistero” che talvolta viene
comunicato ai profeti (cf. Gb 15,8; Ger 23,18.22; Am 3,7). L’uso cristiano del termine deve
essere probabilmente interpretato tenendo presente questo sfondo comune (AT e Apocalitti-
ca), in cui il vocabolo «mistero» indica il disegno divino circa gli eventi finali della storia e
l’instaurazione del regno escatologico: disegno inaccessibile alle menti, ma rivelato da Dio
ai profeti perché possano confortare i credenti nelle loro prove (cf. Dn 2,18–27.30.47; 1Hen.,
46,2; 106,19; 2Bar., 81,4; 4Esd., 12,36.38). Il vocabolo è usato raramente nei sinottici (3
volte), mentre compare 4 volte in Apocalisse e soprattutto in Paolo (21 volte): rispetto
all’Apocalittica, nell’uso neotestamentario si constata che l’evento escatologico è diventato
già realtà in Gesù Cristo. Il «mistero» è il disegno salvifico di Dio nascosto sin dall’eternità
e ora rivelato in Cristo e proclamato al mondo (cf. Rm 16,25; Ef 1,9; 3,9; 6,19; Col 1,26; 2,2;
4,3). Non si tratta, dunque, di un “mistero” inteso in senso gnostico o esoterico (concetto
ellenistico), ma di una realtà di salvezza che possiede una dimensione storica: in alcuni casi
il termine assume un forte riferimento cristologico, fino a designare praticamente Cristo stesso
(cf. Ef 3,4; Col 4,3; 1Tm 3,16).
*X*@J"4: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. pass. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26. La frase «a voi è
stato dato il mistero…» è ellittica e presuppone la presenza del verbo (4<fFiT: «a voi è
stato dato di conoscere il mistero…». Nel NT non si incontra mai altrove l’espressione «dare
il mistero»: i verbi usati sono sempre quelli appartenenti al contesto conoscitivo (cf. Mt
13,11; Lc 8,10; Rm 11,25; 16,25; 1Cor 13,2; Ef 1,9; 3,3.4; Col 2,2; Ap 17,7) oppure alla
terminologia missionaria della proclamazione (cf. 1Cor 2,1.7; 14,2; 15,51; Ef 3,9; 6,19; Col
1,26.27; 4,3). Si tratta di un passivo divino che, alla maniera semitica, esprime l’agire di Dio,
evitando di nominare il suo Nome: Dio ha concesso ai discepoli non il dono del mistero, ma
quello di conoscerlo, comprenderlo. L’uso del passivo divino di *\*T:4 si ritrova in Mc
4,11.25; 8,12; 13,11.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
$"F48g\"H: sost., gen. sing. f. da $"F48g\", –"H, signoria, potere reale, dominio sovrano,
regno; cf. Mc 1,15; compl. di specificazione. Non si tratta di un genitivo epesegetico o
Mc 4,11 293

esplicativo (= il mistero che ha per oggetto il regno di Dio), quanto soggettivo (= il regno di
Dio con il suo mistero).
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione. Per
quanto riguarda le statistiche e il significato dell’importante espressione º $"F48g\" J@Ø
hg@Ø vedi commento a Mc 1,15.
¦ig\<@4H: pron. dimostrativo, dat. plur. m. da ¦igÃ<@H, –0, –@, quello, quegli, colui, esso; cf.
Mc 1,9; compl. di termine. Il pronome dimostrativo è usato qui in opposizione al precedente
pronome personale ß:Ã<, «voi».
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
§>T: avv. di luogo, di valore sostantivato, indecl., fuori, di fuori, esternamente, all’esterno; cf.
Mc 1,45. In senso letterale l’avverbio §>T, sostantivato dall’articolo J@ÃH, equivale a «gli
esterni», «quelli di fuori»: qui, tuttavia, l’originario aspetto spaziale si è perduto a favore del
senso figurato, di carattere spirituale ed ecclesiale. L’espressione @Ê §>T per indicare «gli
estranei» è ricalcata su quella in uso sia nel greco classico ed ellenistico (cf. Tucidide, Hist.,
5,14,3; Giuseppe Flavio, Antiq., 15,314; cf. 2Mac 1,6) sia nel Giudaismo, dove corrisponde
al vocabolo .*1E|7*( E , hEîsEônîm, «coloro che stanno al di fuori», ossia i non membri della
Sinagoga, i non Ebrei, gli stranieri, gli eretici, i pagani (cf. m.Megh., 4,8). Negli scritti
neotestamentari l’espressione designa coloro che non appartengono alla comunità cristiana
(cf. 1Ts 4,12; 1Cor 5,12; Col 4,5). Qui indica gli occasionali ascoltatori giudei di Gesù che
costituiscono la gran massa del popolo.
¦<: prep. propria di valore strumentale, seguita dal dativo, indecl., con, per mezzo di; cf. Mc 1,2.
B"D"$@8"ÃH: sost., dat. plur. f. da B"D"$@8Z, –­H, confronto, paragone, similitudine,
parabola; cf. Mc 3,23; compl. di mezzo. Senza articolo perché generico. L’espressione ¦<
B"D"$@8"ÃH è un esempio di ¦< strumentale dovuto a influsso semitico: la preposizione
greca traduce quella corrispondente ebraica (vA, be), impiegata per esprimere non un
complemento di luogo, ma di mezzo o strumento. Ritroviamo questo uso particolare in Mc
1,8; 3,22.23; 4,2.11.24.30; 6,14; 9,29.38.50; 11,28.29.33; 12,1.36.38; 16,17. La costruzione
¦< B"D"$@8"ÃH J BV<J" (\<gJ"4 non significa «tutto si svolge in enigmi», nel senso che
per gli estranei ciò che dice Gesù resta enigmatico, incomprensibile: ¦< B"D"$@8"ÃH deve
essere preso nel significato consueto che si ha con i verba dicendi, ossia «mediante
parabole», «per mezzo di parabole». Parafrasando equivarrebbe a «con un linguaggio
parabolico».
JV: art. determ., nom. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
BV<J": agg. indefinito, di valore sostantivato, nom. plur. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni,
ciascuno, ognuno; cf. Mc 1,5; soggetto. L’espressione «tutto in parabole» equivale
concretamente a «soltanto in parabole», in contrapposizione ad altri gruppi o persone non
sottoposte a tale limitazione.
(\<gJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere, nascere,
essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4. Rispettando il senso più ovvio, il verbo deve essere
294 Mc 4,12

qui inteso come un medio («si svolge», «viene esposto»): non si tratta di un passivo divino.
Quando il soggetto è un neutro plurale (come nel nostro caso) il verbo è per lo più al
singolare (è il cosiddetto «schema Atticum»), soprattutto se i soggetti appartengono al mondo
materiale e inanimato e, perciò, possono essere considerati come una massa. Ritroviamo
questo fenomeno in Mc 4,8.11.36; 7,15.23; 13,4[x2].

4,12 Ë<" $8XB@<JgH $8XBTF4< i" :¬ Ç*TF4<s i" •i@b@<JgH •i@bTF4< i" :¬
FL<4äF4<s :ZB@Jg ¦B4FJDXRTF4< i" •ngh± "ÛJ@ÃH.
4,12 affinché pur guardando non vedano e pur ascoltando non comprendano, perché non
si convertano e venga loro perdonato».

Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38. La congiunzione è qui usata con significato finale, analogamente a quanto avviene
altrove (cf. Mc 1,38; 2,10; 3,2.9b.10.14; 4,12.21[x2]; 5,12.23; 6,36.41; 7,9; 8,6; 9,22;
10,13.17.48; 11,25.28; 12,12.13.15; 13,18; 14,10.12.35.38; 15,11.15.20.32; 16,1).
$8XB@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da $8XBT, vedere, percepire, discernere, fare
attenzione. Questo verbo ricorre 132 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 20 volte in Matteo (corrispondente allo 0,109% del totale delle parole); 15 volte
in Marco (cf. Mc 4,12[x2].24; 5,31; 8,15.18.23.24; 12,14.38; 13,2.5.9.23.33 = 0,133%); 16
volte in Luca (0,082%); 17 volte in Giovanni (0,109%). Participio cognato: si tratta di una
tipica costruzione presente nel greco biblico, soprattutto nella versione dei LXX, per rendere
in greco l’infinito assoluto ebraico, usato in unione con una forma finita dello stesso verbo
allo scopo di rinforzarlo enfaticamente, come, ad esempio, nell’espressione ;{/˜ I ;|/, mô5t
ta) mû5t (Gn 2,17), resa nei LXX con h"<VJå •B@h"<gÃFhg, lett. «di morte morirai», ossia
«certamente morirai». Come avviene nella grecità profana (cf. Sofocle, Oed. tyr., 302;
Plutarco, Sept. sap., 160,a,9) il verbo $8XBT è usato nel NT con tre accezioni fondamentali:
a) nel significato letterale proprio di «vedere», «guardare», in senso fisico visivo (cf. Mc
8,23); b) nel significato conseguente di «guardare dentro», ossia «discernere», «considerare»,
nel contesto conoscitivo della percezione intellettuale (cf. 2Cor 7,8; Col 2,5; Eb 10,25); c)
nel significato figurato di «badare», «fare attenzione a» (cf. 1Cor 1,26; Rm 8,24).
$8XBTF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. pres. da $8XBT, vedere, percepire, discernere, fare
attenzione; cf. Mc 4,12.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
Ç*TF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc
1,10.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•i@b@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. Participio cognato.
•i@bTF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. pres. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. Un interessante parallelo letterario di questa
Mc 4,12 295

espressione troviamo in Eraclito: •>b<gJ@4 •i@bF"<JgH iTn@ÃF4< ¦@\i"F4· nVJ4H


"ÛJ@ÃF4< :"DJLDgà B"Dg`<J"H •BgÃ<"4, «Sono simili a sordi: ascoltano e non
intendono. Per loro vale il detto: Anche se presenti, sono assenti» (Eraclito, Frag., 34,1,
citato in Clemente di Alessandria, Strom., 5,115,3). Nonostante un flebile accostamento
linguistico il contenuto delle due affermazioni è, tuttavia, totalmente diverso: nel caso di
Eraclito si tratta di coloro che non accolgono la sapienza, intesa come la Sapienza cosmica,
la legge divina che domina tutte le cose. Al contrario nella biblica espressione ripresa da
Gesù il parallelo letterario e contenutistico corrispondente è quello anticotestamentario, dove
il binomio vedere/non osservare e ascoltare/non capire designa il tema dell’accecamento e
della sordità interiore del popolo, ostinatamente ribelle a vivere secondo i dettami della legge:
«Sordi, ascoltate, ciechi, volgete lo sguardo per vedere. Chi è cieco, se non il mio servo? Chi
è sordo come colui al quale io mandavo araldi? Chi è cieco come il mio privilegiato? Chi è
sordo come il servo del Signore? Hai visto molte cose, ma senza farvi attenzione, hai aperto
gli orecchi, ma senza sentire» (Is 42,18–20). «Questo ascoltate, o popolo stolto e privo di
senno, che ha occhi ma non vede, che ha orecchi ma non ode» (Ger 5,21). «Figlio dell’uomo,
tu abiti in mezzo a una genia di ribelli, che hanno occhi per vedere e non vedono, hanno
orecchi per udire e non odono, perché sono una genia di ribelli» (Ez 12,2). In tal senso il
popolo disobbediente e recalcitrante dell’AT — e nel passo marciano l’uditorio di Gesù —
somiglia agli idoli vani, i quali «hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono,
hanno orecchi e non odono» (Sal 115,5–6; 134,16–17; cf. Dn 5,23).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
FL<4äF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. pres. da FL<\0:4 (da Fb< e \0:4), comprendere,
intendere. Questo verbo ricorre 26 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
9 volte in Matteo (corrispondente allo 0,049% del totale delle parole); 5 volte in Marco (cf.
Mc 4,12; 6,52; 7,14; 8,17.21 = 0,044%); 4 volte in Luca (0,021%). Nel NT il verbo
FL<\0:4 è presente soltanto nel senso traslato di «comprendere», analogamente a quanto
avviene nel greco classico, dove il verbo, oltre al significato proprio di «riunire», «spingere»
(assente negli scritti neotestamentari), designa anzitutto una capacità sensoriale ed equivale
a «percepire», in primo luogo mediante l’ascolto (cf. Omero, Od., 1,271). In senso più esteso
FL<\0:4 indica una attività della mente, tipica dell’uomo, che corrisponde ai verbi «notare»,
«apprendere», «conoscere», «capire» (cf. Eschilo, Pers., 361; Erodoto, Hist., 4,114,2;
Tucidide, Hist., 1,3,4; Senofonte, Cyr., 1,6,2): è questo il significato specifico che ritroviamo
nel NT, dove il verbo indica la comprensione come prodotto sensoriale e mentale.
:ZB@Jg: (da :Z e B@JX), avv. di negazione di valore soggettivo, indecl., neanche, giammai, non
mai. Il vocabolo ricorre 25 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 8 volte
in Matteo (corrispondente allo 0,044% del totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc 4,12;
14,2 = 0,018%); 7 volte in Luca (0,036%); 1 volta in Giovanni (0,006%). Se al :ZB@Jg si
lascia il suo significato ordinario (negativo finale) l’intera frase su «quelli di fuori» si
conclude con un climax terribile e quasi paradossale: la loro esclusione non soltanto dalla
cerchia dei credenti, ma dalla stessa salvezza. Per attenuare tale severa prospettiva qualche
commentatore, rifacendosi all’originale aramaico di questo passo, dà un significato diverso
296 Mc 4,12

alla congiunzione Ë<" e al successivo avverbio :ZB@Jg (cf. At 28,25; Gv 12,40). Secondo
questi autori la forma aramaica del detto sarebbe stata la seguente: «…a quelli che sono fuori
tutto viene esposto sotto forma di parabole, affinché pur guardando non vedano e pur
ascoltando non comprendano, a meno che non si convertano e venga loro perdonato». In
effetti già in Aristotele l’avverbio di negazione :Z B@Jg può avere il significato di «forse»,
«se non» (cf. Id., Eth. Nic., 1172a 30; cf. anche :ZB@Jg in Plutarco, Cons. ad Apoll., 106,d,9
e :Z B@b in Sofocle, Elect., 898), come pure in alcuni passi biblici (cf. Lc 3,15; 2Tm 2,25).
Tuttavia la possibilità di trasferire al nostro testo questa accezione linguistica è pressoché
impossibile: nei paralleli addotti il senso attenuato di :ZB@Jg si ha in proposizioni di tipo
interrogativo (diretto, all’indicativo, in Gv 7,26; indiretto in Gb 1,5; Sir 19,13.14; Lc 3,15),
mentre in Mc 4,12 abbiamo una vera proposizione subordinata, al congiuntivo, non
separabile dalla proposizione precedente e non suscettibile di tonalità interrogativa. Del resto,
altrove Gesù rinfaccia ai discepoli la stessa incomprensione: Ïnh"8:@×H §P@<JgH @Û
$8XBgJg i" ìJ" §P@<JgH @Ûi •i@bgJg, «pur avendo occhi non vedete e pur avendo
orecchi non udite» (Mc 8,18).
¦B4FJDXRTF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. da ¦B4FJDXnT (da ¦B\ e FJDXnT),
ritornare, girarsi, voltarsi, convertirsi. Questo verbo ricorre 36 volte nel NT. La distribuzione
nei vangeli è la seguente: 4 volte in Matteo (corrispondente allo 0,022% del totale delle
parole); 4 volte in Marco (cf. Mc 4,12; 5,30; 8,33; 13,16 = 0,035%); 7 volte in Luca
(0,036%); 1 volta in Giovanni (0,006%). Il verbo ¦B4FJDXnT è impiegato nel greco classico
nel significato di «volgere», «voltarsi», in senso sia letterale proprio che figurato (cf. Omero,
Il., 3,370; Euripide, Her., 942; Teognide, 1083). Nel NT ¦B4FJDXnT è usato in senso
transitivo («volgere», «ricondurre») soltanto in Lc 1,16.17 e Gc 5,19.20: nelle altre ricorrenze
è usato come verbo intransitivo, nel significato letterale di «volgersi», «voltarsi», «tornare
indietro» (ad es. Mc 5,30; 8,33; 13,16) oppure in quello figurato/morale di «convertirsi»,
«cambiare vita» (cf. Mc 4,12): in tal caso il verbo si colloca sulla linea dei LXX che con
¦B4FJDXnT traduce l’ebraico "{–, šûb5, usato spesso per esprimere la «conversione» in
ambito religioso.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•ngh±: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. pass. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare,
abbandonare, rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18. Passivo divino. Questo severissimo
giudizio di Gesù riprende, parafrasando e attualizzando, il detto di Isaia 6,9–10: «Egli [Dio]
mi disse: «Va’ e riferisci a questo popolo: Ascoltate pure, ma senza comprendere, osservate
pure, ma senza conoscere. Rendi insensibile il cuore di questo popolo, fallo duro d’orecchio
e acceca i suoi occhi perché non veda con gli occhi, né oda con gli orecchi né comprenda
con il cuore né si converta in modo da esser guarito». L’oracolo isaiano si inserisce in tutta
una serie di testi biblici sul tema dell’indurimento o accecamento dell’uomo peccatore: si
tratta di una situazione spirituale in cui l’uomo non soltanto non vuole ascoltare la voce di
Dio, ma non può più ascoltarla; al non volersi convertire è subentrato ormai il non potersi
convertire; la cecità che prima era una colpa diventa adesso pena. Non si deve ritenere,
tuttavia, che tale situazione di condanna sia irrimediabilmente definitiva: è tipico del
linguaggio biblico, in tema di indurimento del popolo, intercalare affermazioni sulla sua
irreversibilità con affermazioni in cui si preannuncia che l’indurimento, impossibile a essere
Mc 4,13 297

superato da parte dell’uomo, potrà essere vinto per un intervento salvifico di Dio. Paolo, ad
esempio, parlando dell’accecamento di Israele giustappone varie affermazioni: da un lato
espressioni che sembrerebbero definitive e irrevocabili sull’esclusione dalla salvezza (cf. Rm
9,22; 11,7–9), dall’altro l’annunzio della futura conversione (cf. Rm 11,25–32).
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.

4,13 5" 8X(g4 "ÛJ@ÃHs ?Ûi @Ç*"Jg J¬< B"D"$@8¬< J"bJ0<s i" BäH BVF"H JH
B"D"$@8H (<fFgFhgp
4,13 E disse loro: «Se non comprendete questa parabola come potrete capire tutte le altre
parabole?

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. La formula redazionale 8X(g4
"ÛJ@ÃH ricorre 25 volte, esclusivamente riservata a Gesù (cf. Mc 1,38; 2,8.17.25; 3,4;
4,13.35; 5,39; 6,31.38.50; 7,18; 8,17; 9,35; 10,11.24.42; 11,2.22.33; 12,16; 14,13.27.34.41).
Per quanto riguarda la formula singolare 8X(g4 "ÛJè, avente come soggetto Gesù, cf. Mc
1,41.44; 2,14; 5,9.19; 7,34; per 8X(g4 "ÛJ± cf. Mc 5,41.
?Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
@Ç*"Jg: verbo, 2a pers. plur. ind. perf. da @É*" (una radice con valore di presente connessa a
gÉ*@<, aor. attivo di ÒDVT), vedere, percepire, discernere, conoscere, sapere; cf. Mc 1,24.
Marco sottolinea varie volte l’incomprensione dei Dodici, dei discepoli e delle folle, incapaci
di capire l’identità di Gesù e il significato delle sue azioni salvifiche (cf. Mc 4,13.41; 6,52;
7,18; 8,17–18.21).
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B"D"$@8Z<: sost., acc. sing. f. da B"D"$@8Z, –­H, confronto, paragone, similitudine,
parabola; cf. Mc 3,23; compl. oggetto.
J"bJ0<: agg. dimostrativo, acc. sing. f. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; attributo di
B"D"$@8Z<, qui senza articolo perché in posizione predicativa. La forma J"bJ0< ricorre
53 volte nel NT rispetto alle 1387 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 4 volte in Matteo (corrispondente allo 0,022% del totale delle parole);
4 volte in Marco (cf. Mc 4,13; 10,5; 11,28; 12,10 = 0,035%); 14 volte in Luca (0,072%); 5
volte in Giovanni (0,032%).
i"\: cong. coordinativa di valore conclusivo, indecl., dunque, quindi, pertanto, allora; cf. Mc
1,4. Il significato conclusivo che può assumere la congiunzione i"\ si ritrova in Mc 4,13b;
10,26.
298 Mc 4,14

BäH: avv. interrogativo di modo, indecl., come?, in quale modo?, in che senso?, perché?; cf.
Mc 2,26.
BVF"H: agg. indefinito, acc. plur. f. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; attributo di B"D"$@8VH, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
B"D"$@8VH: sost., acc. plur. f. da B"D"$@8Z, –­H, confronto, paragone, similitudine,
parabola; cf. Mc 3,23; compl. oggetto. Vi sono due possibilità circa l’interpunzione delle
due proposizioni: a) punto interrogativo alla fine di entrambe le proposizione, secondo lo
stile “duale” di Marco (= «Non comprendete questa parabola? E come potrete capire tutte
le altre parabole?»). Dal punto di vista stilistico questa sembra essere l’interpretazione più
verosimile, perché più consona allo stile letterario di Marco. b) Punto interrogativo soltanto
alla fine della seconda proposizione (= «Non riuscite a comprendere questa parabola: come,
allora, potrete capire tutte le altre parabole?»). In quest’ultimo caso la prima proposizione
equivale a una condizionale, fa cioè da protasi alla proposizione seguente e il i"\ assume
valore conclusivo: «se non comprendete questa parabola, come, allora, potrete capire tutte
le altre parabole?». È la traduzione che noi preferiamo.
(<fFgFhg: verbo, 2a pers. plur. ind. fut. medio da (4<fFiT, percepire, sentire, conoscere,
capire. Questo verbo ricorre 222 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 20
volte in Matteo (corrispondente allo 0,109% del totale delle parole); 12 volte in Marco (cf.
Mc 4,13; 5,29.43; 6,38; 7,24; 8,17; 9,30; 12,12; 13,28.29; 15,10.45 = 0,106%); 28 volte in
Luca (0,144%); 57 volte in Giovanni (0,365%). Il tempo futuro, più ancora del presente, può
esprimere la possibilità condizionata di una determinata azione, come nel nostro caso.
Modellato sull’uso profano questo verbo (attestato nel NT soltanto nella forma ionica ed
ellenistica (4<fFiT e non in quella più antica (4(<fFiT) indica propriamente la
percezione sensoria di una realtà e conseguentemente la conoscenza o il sapere che derivano
da tale operazione. A partire da questo concetto base equivalente a «constatare», «sperimenta-
re», il verbo assume altri significati affini, tutti attestati nel NT: «percepire», «avvertire» (cf.
Mc 5,29), «sapere», «conoscere» (cf. Mc 5,43), «capire», «comprendere» (cf. Mc 4,13),
«informare», «prendere atto» (cf. Mc 6,38), ecc.

4,14 Ò FBg\DT< JÎ< 8`(@< FBg\Dg4.


4,14 Il seminatore semina la parola.

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
FBg\DT<: verbo, nom. sing. m. part. pres., di valore sostantivato, da FBg\DT, seminare; cf. Mc
4,3.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
8`(@<: sost., acc. sing. m. da 8`(@H, –@L, parola; cf. Mc 1,45; compl. oggetto.
FBg\Dg4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da FBg\DT, seminare; cf. Mc 4,3. Il paragone si incontra
anche nella letteratura pagana. Per Platone (cf. Phaedr., 260d) insegnare retorica è come un
Mc 4,15 299

«seminare». Nel NT il verbo «seminare», usato nel senso di «predicare», compare anche in
1Cor 9,11.

4,15 @âJ@4 *X gÆF4< @Ê B"D J¬< Ò*Î<· ÓB@L FBg\DgJ"4 Ò 8`(@Hs i" ÓJ"<
•i@bFTF4<s gÛh×H §DPgJ"4 Ò E"J"<H i" "ÇDg4 JÎ< 8`(@< JÎ< ¦FB"D:X<@<
gÆH "ÛJ@bH.
4,15 Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la parola; ma appena
l’hanno ascoltata subito viene Satana e porta via la parola seminata in loro.

@âJ@4: pron. dimostrativo, nom. plur. m. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; soggetto. La
forma @âJ@4 ricorre 74 volte nel NT rispetto alle 1387 ricorrenze totali di questo pronome.
La distribuzione nei vangeli è la seguente: 7 volte in Matteo (corrispondente allo 0,038% del
totale delle parole); 5 volte in Marco (cf. Mc 4,15.16.18; 12,40; 14,60 = 0,044%); 10 volte
in Luca (0,051%); 4 volte in Giovanni (0,026%). Il pronome si riferisce a quanto segue,
secondo l’uso ellenistico. Correlato con @âJ@\ (v. 16) e –88@4 (v. 18) è un semitismo: «gli
uni… gli altri…».
*X: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti, dunque, quindi; cf. Mc 1,8.
gÆF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
B"DV: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., presso, lungo, nei dintorni
di, vicino a; cf. Mc 1,16.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
Ò*`<: sost., acc. sing. f. da Ò*`H, –@Ø, strada, via; cf. Mc 1,2; compl. di stato in luogo.
ÓB@L: (da ÓH e B@Ø), avv. di luogo, indecl., dove, nel luogo in cui; cf. Mc 2,4.
FBg\DgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. pass. da FBg\DT, seminare; cf. Mc 4,3.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
8`(@H: sost., nom. sing. m. da 8`(@H, –@L, parola; cf. Mc 1,45; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
ÓJ"<: (= ÓJg e –<), cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, ogni qualvolta,
allorché, appena; cf. Mc 2,20.
•i@bFTF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire,
capire, scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. Solitamente il verbo •i@bT è costruito con
il genitivo della persona che si ode e l’accusativo di ciò che si sente parlare: qui è senza
complemento, come spesso avviene in Marco (cf. Mc 2,17; 3,21; 4,15.33; 6,2.14.16.29;
10,41; 11,14.18; 14,11; 15,35). L’ascolto della parola da parte di coloro che non portano
frutto è indicato da Marco con la preposizione temporale ÓJ"< seguita da un congiuntivo
aoristo (•i@bFTF4<: Mc 4,15.16) oppure da un participio aoristo (•i@bF"<JgH: Mc 4,18):
l’aoristo indica una azione puntuale e sottolinea che questo ascolto è momentaneo e sterile,
300 Mc 4,16

senza conseguenze. L’ascolto fruttuoso, invece, è indicato da un verbo al presente (cf. Mc


4,20) per esprimere una azione che ha una continuità, un atteggiamento sempre operante.
gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
§DPgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
E"J"<H: sost., personificato, nom. sing. m. da E"J"<H, –, Satana; cf. Mc 1,13; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
"ÇDg4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da "ÇDT, alzare, sollevare, sostenere, sorreggere, portare,
prendere; cf. Mc 2,3.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
8`(@<: sost., acc. sing. m. da 8`(@H, –@L, parola; cf. Mc 1,45; compl. oggetto.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
¦FB"D:X<@<: verbo, acc. sing. m. part. perf. pass. da FBg\DT, seminare; cf. Mc 4,3. Participio
attributivo del complemento oggetto 8`(@<, con valore enfatico.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di stato in luogo.

4,16 i" @âJ@\ gÆF4< @Ê ¦B J BgJDf*0 FBg4D`:g<@4s @Ì ÓJ"< •i@bFTF4< JÎ<
8`(@< gÛh×H :gJ P"DH 8":$V<@LF4< "ÛJ`<s
4,16 Quelli che ricevono il seme sul terreno sassoso sono coloro che, quando ascoltano la
parola, subito l’accolgono con gioia,

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


@âJ@\: pron. dimostrativo, nom. plur. m. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 4,15;
attributo di FBg4D`:g<@4, qui senza articolo perché in posizione predicativa. Correlato con
@âJ@4 (v. 15) e –88@4 (v. 18) è un semitismo: «gli uni… gli altri…».
gÆF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5; soggetto. Uso pronominale
dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello], egli, lui,
esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., in, su, a, sopra; cf. Mc 1,22.
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
BgJDf*0: agg. qualificativo, di valore sostantivato, acc. plur. n. da BgJDä*gH, –@LH, roccioso,
pietroso; compl. di stato in luogo; cf. Mc 4,5.
Mc 4,17 301

FBg4D`:g<@4: verbo, nom. plur. m. part. pres. pass., di valore sostantivato, da FBg\DT,
seminare; cf. Mc 4,3.
@Ë: pron. relativo, nom. plur. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; soggetto. La forma @Ë ricorre 34
volte nel NT rispetto alle 1407 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: Mc 4,16; Lc 5,16.17.29; 6,18; 8,13[x2]; 9,27.31; 10,30; 13,30[x2];
15,2; 17,12; 20,47; 23,29; 24,23; Gv 1,13.14.
ÓJ"<: (= ÓJg e –<), cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, ogni qualvolta,
allorché, appena; cf. Mc 2,20.
•i@bFTF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire,
capire, scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
8`(@<: sost., acc. sing. m. da 8`(@H, –@L, parola; cf. Mc 1,45; compl. oggetto.
gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
:gJV: prep. propria di valore modale, seguita dal genitivo, indecl., con; cf. Mc 1,13.
P"DH: sost., gen. sing. f. da P"DV, –H, gioia, contentezza; compl. di modo. Il vocabolo
ricorre 59 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 6 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,033% del totale delle parole); 1 volta in Marco (cf. Mc 4,16, hapax
marciano); 8 volte in Luca (0,041%); 9 volte in Giovanni (0,058%). Il sostantivo P"DV è
impiegato nella grecità per designare la «gioia» come sentimento degli uomini (cf. Eschilo,
Ag., 270; Plutarco, Sec. Epic., 1087,b,8; Euripide, Alc., 1125). L’importante uso teologico di
P"DV in rapporto all’evento escatologico della salvezza, presente soprattutto in Paolo e
Giovanni, non compare in Marco, dove il sostantivo indica l’umano e generico sentimento
di gioia.
8":$V<@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da 8":$V<T, prendere, afferrare, raccogliere,
ricevere. Questo verbo ricorre 258 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
53 volte in Matteo (corrispondente allo 0,289% del totale delle parole); 20 volte in Marco
(cf. Mc 4,16; 6,41; 7,27; 8,8.14; 9,36; 10,30; 11,24; 12,2.3.8.19.20.21.40; 14,22[x2].23.65;
15,23 = 0,177%); 21 volte in Luca (0,108%); 46 volte in Giovanni (0,294%). Il verbo
8":$V<T, analogamente ai sui derivati ¦B48":$V<@:"4 (cf. Mc 8,23), BD@F8":$V<@-
:"4 (cf. Mc 8,32), i"J"8":$V<T (cf. Mc 9,18), BD@8":$V<T (cf. Mc 14,8),
FL88":$V<T (cf. Mc 14,48), oltre al generico «prendere» (cf. Omero, Il., 1,407; Od., 6,81),
può assumere un’ampia gamma di significati e sfumature in base al contesto.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.

4,17 i" @Ûi §P@LF4< Õ\."< ¦< ©"LJ@ÃH •88 BD`Fi"4D@\ gÆF4<s gÉJ" (g<@:X<0H
h8\RgTH ´ *4T(:@Ø *4 JÎ< 8`(@< gÛh×H Fi"<*"8\.@<J"4.
4,17 ma non hanno radice in sé stessi, sono incostanti: quando sopraggiunge qualche
sofferenza o persecuzione a causa della parola subito perdono la fede.
302 Mc 4,17

i"\: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, però; cf. Mc 1,4. Il
significato avversativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ adversativum)
si riscontra in Mc 1,13c; 3,7b.12.33a; 4,17a.19a.27d; 5,19a; 6,19b.20d.33a; 7,24b.28b;
8,12.16.29.30; 9,12a.30.31c. 42a; 10,34; 12,12b.17a; 16,8c.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
§P@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
Õ\."<: sost., acc. sing. f. da Õ\.", –0H, radice, germoglio; cf. Mc 4,6; compl. oggetto. Senza
articolo perché generico.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
©"LJ@ÃH: pron. riflessivo, dat. plur. m. da ©"LJ@Ø, –­H, –@Ø (non usato al nominativo), lui, lui
stesso, esso; cf. Mc 1,27; compl. di stato in luogo.
•88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno; cf. Mc 1,44.
BD`Fi"4D@\: agg. qualificativo, nom. plur. m. da BD`Fi"4D@H, –@L (da BD`H e i"4D`H),
temporaneo, incostante; predicato nominale. Il vocabolo ricorre 4 volte nel NT: Mt 13,21;
Mc 4,17 (hapax marciano); 2Cor 4,18; Eb 11,25. Nel greco ellenistico l’aggettivo
BD`Fi"4D@H è impiegato nel significato di «passeggero», «temporaneo», «occasionale» (cf.
Strabone, Geogr., 7,3,11).
gÆF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
gÉJ": avv. di tempo, indecl., poi, dopo, in seguito. Il vocabolo ricorre 15 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: Mc 4,17.28[x2]; 8,25; Lc 8,12; Gv 13,5; 19,27;
20,27. Sebbene nel greco classico gÉJ" possa denotare anche una conseguenza di valore
esplicativo o consecutivo («e così», «quindi», «di modo che»), nelle ricorrenze marciane
esprime sempre una successione nel tempo (valore temporale).
(g<@:X<0H: verbo, gen. sing. f. part. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4. Participio al genitivo assoluto.
h8\RgTH: sost., gen. sing. f. da h8ÃR4H, –gTH, pressione, oppressione, difficoltà, tribolazione.
Il vocabolo ricorre 45 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 13,21;
24,9.21.29; Mc 4,17; 13,19.24; Gv 16,21.33. La frase (g<@:X<0H h8\RgTH ´ *4T(:@Ø
appare nella forma detta “genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore temporale o
causale. Sebbene il termine h8ÃR4H indichi nella grecità il generico concetto di «pressione»
(cf. Aristotele, Probl., 890a 2), nell’uso neotestamentario assume sempre il significato traslato
di «oppressione», «tribolazione». Tale preferenza risente dell’influsso dei LXX dove il
termine è impiegato per indicare una situazione di grave difficoltà del popolo di Israele (cf.
Es 3,9; 4,31, ecc.) e quella dei testi apocalittici, dove h8ÃR4H indica la «tribolazione» del
tempo finale (cf. Dn 12,1; Ab 3,16; Sof 1,15). Qui si fa riferimento alle prove o persecuzioni
che debbono affrontare i credenti non nella prospettiva escatologica, ma in quella storica.
Mc 4,18 303

³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9. La


congiunzione non ha qui propriamente un significato alternativo tra h8ÃR4H e *4T(:`H, ma
inclusivo o copulativo: sia l’uno che l’altro, come in Mt 5,17; Gv 8,14; At 1,7; 11,8; 1Ts
2,19.
*4T(:@Ø: sost., gen. sing. m. da *4T(:`H, –@Ø, persecuzione, difficoltà. Il vocabolo ricorre 10
volte nel NT: Mt 13,21; Mc 4,17; 10,30; At 8,1; 13,50; Rm 8,35; 2Cor 12,10; 2Ts 1,4; 2Tm
3,11[x2]. In senso letterale proprio il sostantivo *4T(:`H indica nella grecità l’«inseguimen-
to», la «caccia» (cf. Senofonte, Cyr., 1,4,21; Diodoro Siculo, Bibl., 4,13,1). Da questo
significato deriva quello di «persecuzione», «tormento» (cf. Eschilo, Suppl., 148; Euripide,
Or., 412).
*4V: prep. propria di valore causale, seguita dall’accusativo, indecl., a causa di, a motivo di, per;
cf. Mc 2,1.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
8`(@<: sost., acc. sing. m. da 8`(@H, –@L, parola; cf. Mc 1,45; compl. di causa.
gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
Fi"<*"8\.@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da Fi"<*"8\.T, mettere una pietra
d’inciampo, impedire il cammino, far inciampare, offendere, scandalizzare. Questo verbo
ricorre 29 volte nel NT: 14 volte in Matteo (cf. Mt 5,29.30; 11,6; 13,21.57; 15,12; 17,27;
18,6.8.9; 24,10; 26,31.33[x2], corrispondente allo 0,076% del totale delle parole); 8 volte in
Marco (cf. Mc 4,17; 6,3; 9,42.43.45.47; 14,27.29 = 0,071%); 2 volte in Luca (cf. Lc 7,23;
17,2 = 0,010%); 2 volte in Giovanni (cf. Gv 6,61; 16,1 = 0,013%); 1Cor 8,13[x2]; 2Cor
11,29. Il verbo Fi"<*"8\.T non è attestato nel greco classico: ricorre soltanto nei LXX e
nel NT (e nella letteratura cristiana dipendente da questi). Si tratta di un verbo denominativo,
fatto derivare dal greco profano FiV<*"8@<, «trappola», «laccio», «ostacolo» (non attestato
in Marco), il quale è impiegato nei LXX talvolta in senso letterale proprio (cf. Lv 19,14; Gdt
5,1), ma il più delle volte in quello traslato, equivalente a «causa di rovina» (cf. Gs 23,13;
Gdc 8,27; 1Sam 18,21, ecc.). Poiché il sostantivo FiV<*"8@< veniva utilizzato per indicare
spesso la causa di un castigo divino per il peccato, si giunse ben presto al significato
susseguente di «occasione di peccato» per colpa propria e di «istigazione al peccato» nei
confronti di altri. Nel suo significato generico attivo il biblico Fi"<*"8\.T corrisponde a
«far inciampare», «mettere ostacoli», «far cadere», quasi sempre in senso figurato e in ambito
religioso ed etico, per evocare la perdita o il rifiuto della fede e normalmente tale è il suo
significato quando viene menzionato in un contesto di tribolazione, prova o persecuzione.

4,18 i" –88@4 gÆFÂ< @Ê gÆH JH •iV<h"H FBg4D`:g<@4· @âJ@\ gÆF4< @Ê JÎ< 8`(@<
•i@bF"<JgHs
4,18 Quelli che ricevono il seme tra i rovi sono coloro che hanno ascoltato la parola,

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


304 Mc 4,19

–88@4: pron. indefinito, nom. plur. m. da –88@H, –0, –@, altro, un altro; cf. Mc 4,5; soggetto.
Si riferisce a quanto segue, secondo l’uso ellenistico. Correlato con @âJ@4 (v. 15 e 16) è un
semitismo: «gli uni… gli altri…».
gÆF\<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
•iV<h"H: sost., acc. plur. f. da –i"<h", –0H, spina, rovo; cf. Mc 4,7; compl. di stato in luogo.
FBg4D`:g<@4: verbo, nom. plur. m. part. pres. pass., di valore sostantivato, da FBg\DT,
seminare; cf. Mc 4,3; predicato nominale.
@âJ@\: pron. dimostrativo, nom. plur. m. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 4,15;
soggetto. Si riferisce a quanto segue, secondo l’uso ellenistico.
gÆF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
8`(@<: sost., acc. sing. m. da 8`(@H, –@L, parola; cf. Mc 1,45; soggetto.
•i@bF"<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor., di valore sostantivato, da •i@bT, sentire,
ascoltare, percepire, capire, scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1; predicato nominale.

4,19 i" "Ê :XD4:<"4 J@Ø "Æä<@H i" º •BVJ0 J@Ø B8@bJ@L i" "Ê BgD J 8@4B
¦B4hL:\"4 gÆFB@DgL`:g<"4 FL:B<\(@LF4< JÎ< 8`(@< i" –i"DB@H (\<gJ"4.
4,19 ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo, il desiderio della ricchezza e tutte
le altre passioni: soffocano la parola e questa rimane senza frutto.

i"\: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, però; cf. Mc 1,4. Il
significato avversativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ adversativum)
si riscontra in Mc 1,13c; 3,7b.12.33a; 4,17a.19a.27d; 5,19a; 6,19b.20d.33a; 7,24b.28b;
8,12.16.29.30; 9,12a.30.31c.42a; 10,34; 12,12b.17a; 16,8c.
"Ê: art. determ., nom. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 2,5.
:XD4:<"4: sost., nom. plur. f. da :XD4:<", –0H, cura, ansia, preoccupazione; soggetto. Il
vocabolo ricorre 6 volte nel NT: Mt 13,22; Mc 4,19 (hapax marciano); Lc 8,14; 21,34; 2Cor
11,28; 1Pt 5,7. Nel greco classico il vocabolo :XD4:<" corrisponde all’italiano «preoccupazio-
ne» in tutta l’ampiezza del significato, potendo esprimere una preoccupazione positiva (=
«cura», «sollecitudine»: Pindaro, Olym., 1,108; Aristofane, Nub., 1404) o negativa (=
«affanno», «angustia»: Eschilo, Ag., 460). In ogni caso si tratta di una preoccupazione rivolta
al futuro, in riferimento a situazioni, progetti, attività, sentimenti, ecc.
Mc 4,19 305

J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
"Æä<@H: sost., gen. sing. m. da "Æf<, –ä<@H, tempo, epoca, eternità, mondo, eone; cf. Mc
3,29; compl. di specificazione. Il significato sostanzialmente temporale di "Æf< (durata del
mondo) può trapassare in quello spaziale di «mondo», diventando quasi sinonimo di i`F:@H
e, dunque, le «preoccupazioni del mondo» sono quelle realtà esistenziali concrete (cibo,
vestito, denaro, sicurezza materiale) che hanno il sopravvento sui valori spirituali e religiosi.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
•BVJ0: sost., nom. sing. f. da •BVJ0, –0H, falsità, inganno, seduzione; soggetto. Il vocabolo
ricorre 7 volte nel NT: Mt 13,22; Mc 4,19 (hapax marciano); Ef 4,22; Col 2,8; 2Ts 2,10; Eb
3,13; 2Pt 2,13. Nel greco profano il termine ha un carattere prevalentemente etico poiché è
usato per indicare un comportamento ingannevole ottenuto mediante un raggiro, una falsità,
un traviamento, una seduzione (cf. Omero, Il., 9,21; Pindaro, Frag., 213; Erodoto, Hist.,
1,69,2). Questo contenuto semantico è ripreso dai LXX (cf. Gdt 9,10.13; 16,8) e dal NT,
dove il vocabolo è usato, come qui, in contesto etico e parenetico. L’espressione º •BVJ0
J@Ø B8@bJ@L equivale, pertanto, a «ricchezza fallace, transitoria», ossia una ricchezza che
inganna chi la possiede.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
B8@bJ@L: sost., gen. sing. m. da B8@ØJ@H, –@L, ricchezza, abbondanza; compl. di specificazio-
ne. Il vocabolo ricorre 22 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 13,22;
Mc 4,19 (hapax marciano); Lc 8,14. Già da Omero il sostantivo B8@ØJ@H indica la
«ricchezza» come tale (cf. Omero, Il., 2,670; Od., 24,486), contrapposta a Bg<\", «povertà»
(cf. Platone, Resp., 421d).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
"Ê: art. determ., nom. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 2,5.
BgD\: prep. propria con valore di argomento, seguita dall’accusativo, indecl., per, riguardo a;
cf. Mc 1,6.
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
8@4BV: agg. qualificativo, acc. plur. n. da 8@4B`H, –Z, –`<, rimanente, resto; compl. di
argomento. Il vocabolo ricorre 55 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
4 volte in Matteo (corrispondente allo 0,022% del totale delle parole); 3 volte in Marco (cf.
Mc 4,19; 14,41; 16,13 = 0,027%); 6 volte in Luca (0,031%). Nella grecità l’aggettivo
8@4B`H è detto di «ciò che resta» rispetto a qualche realtà concreta o astratta di cui si parla
(cf. Pindaro, Olym., 1,97; Erodoto, Hist., 1,47,1; Senofonte, Anab., 3,4,46).
¦B4hL:\"4: sost., nom. plur. f. da ¦B4hL:\", –"H, desiderio, brama, cupidigia, concupiscenza;
soggetto. Il vocabolo ricorre 38 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mc
4,19 (hapax marciano); Lc 22,15; Gv 8,14. Diversamente da quanto avviene nel greco
classico (cf. Erodoto, Hist., 1,32,6; Tucidide, Hist., 2,52,2) e nei LXX, dove il sostantivo
¦B4hL:\" designa la «brama», la «voglia», senza connotati necessariamente negativi, nel NT
il termine è usato quasi esclusivamente in senso etico per indicare il desiderio cattivo
306 Mc 4,20

proveniente dalla «carne» (FVD>), intesa non come ambito sessuale, ma come la sfera
contrapposta a quella dello spirito.
gÆFB@DgL`:g<"4: verbo, nom. plur. f. part. pres. medio da gÆFB@Dgb@:"4 (da gÆH e
B@Dgb@:"4), andare dentro, entrare, giungere; cf. Mc 1,21. Participio predicativo del
soggetto :XD4:<"4.
FL:B<\(@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da FL:B<\(T (da Fb< e B<\(T), soffocare; cf.
Mc 4,7.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
8`(@<: sost., acc. sing. m. da 8`(@H, –@L, parola; cf. Mc 1,45; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
–i"DB@H: agg. qualificativo, nom. sing. m. da –i"DB@H, –@< (da –8n" privativa e i"DB`H),
senza frutto, infruttifero, sterile; predicato nominale (in riferimento a 8`(@<, sottinteso). Il
vocabolo ricorre 7 volte nel NT: Mt 13,22; Mc 4,19 (hapax marciano); 1Cor 14,14; Ef 5,11;
Tt 3,14; 2Pt 1,8; Gd 1,12. Nell’AT il frutto è associato all’albero, alla crescita, al raccolto e
al mangiare, ossia al benessere e alla prosperità. L’immagine del frutto è usata metaforica-
mente per descrivere la condotta umana (cf. Sal 1,3; 58,12; Is 3,10). Anche nel NT il
significato di frutto oscilla tra quello letterale proprio (cf. Lc 12,17; At 14,17; Gc 5,18) e
quello figurato/teologico, come nel nostro passo. Un albero senza frutto o che produce frutti
cattivi è destinato alla distruzione (cf. Mt 3,10; Mc 11,12; Lc 3,9; 13,6; Gv 15,2).
(\<gJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4. L’uso di questo verbo con funzione di
copula, seguito da un aggettivo, si riscontra 9 volte in Marco (cf. Mc 4,19.22.32; 6,14.26;
9,3.6.50; 10,43): una frequenza maggiore che negli altri evangelisti (cf. Mt 13,22; 17,2;
20,26; 23,26; 24,32.44; 28,2; Lc 6,49; 11,26; 12,40; 16,12; 19,17).

4,20 i" ¦igÃ<@\ gÆF4< @Ê ¦B J¬< (­< J¬< i"8¬< FB"DX<JgHs @ËJ4<gH •i@b@LF4<
JÎ< 8`(@< i"Â B"D"*XP@<J"4 i"Â i"DB@n@D@ØF4< «< JD4Vi@<J" i"Â «<
©>Zi@<J" i"Â «< ©i"J`<.
4,20 Quelli, invece, che sono seminati su un terreno buono sono coloro che ascoltano la
parola, l’accolgono e fruttano il trenta, il sessanta o il cento per uno».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦igÃ<@\: pron. dimostrativo, nom. plur. m. da ¦igÃ<@H, –0, –@, quello, quegli, colui, esso; cf.
Mc 1,9; predicato nominale. Secondo l’uso ellenistico si riferisce a quanto segue, ossia al
soggetto @Ê FB"DX<JgH, con cui concorda.
gÆF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., in, su, a, sopra; cf. Mc 1,22.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
Mc 4,20 307

(­<: sost., acc. sing. f. da (­, (­H, terra; cf. Mc 2,10; compl. di stato in luogo.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
i"8Z<: agg. qualificativo, acc. sing. f. da i"8`H, –Z, –`<, bello, buono, appropriato,
conveniente; cf. Mc 4,8; attributo di (­<.
FB"DX<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. pass., di valore sostantivato, da FBg\DT, seminare;
cf. Mc 4,3; soggetto.
@ËJ4<gH: pron. relativo, nom. plur. m. da ÓFJ4H, »J4H, ÓJ4 (da ÓH e J\H), chiunque, qualunque
cosa, che; soggetto. Il vocabolo ricorre 144 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 30 volte in Matteo (corrispondente allo 0,164% del totale delle parole); 4 volte in
Marco (cf. Mc 4,20; 9,1; 12,18; 15,7 = 0,035%); 20 volte in Luca (0,103%); 3 volte in
Giovanni (0,019%). Nel NT il pronome ÓFJ4H è usato prevalentemente con valore di
pronome relativo.
•i@b@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
8`(@<: sost., acc. sing. m. da 8`(@H, –@L, parola; cf. Mc 1,45; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
B"D"*XP@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. medio da B"D"*XP@:"4 (da B"DV e
*XP@:"4), ricevere, prendere, accettare. Questo verbo deponente ricorre 6 volte nel NT: Mc
4,20 (hapax marciano); At 15,4; 16,21; 22,18; 1Tm 5,19; Eb 12,6. A partire da Omero il
verbo B"D"*XP@:"4 è usato nel significato base di «ricevere» in senso sia letterale proprio
che figurato (cf. Omero, Il., 6,178; Senofonte, Cyr., 8,6,17).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
i"DB@n@D@ØF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da i"DB@n@DXT, fruttificare, portare frutto.
Questo verbo ricorre 8 volte nel NT (cf. Mt 13,23; Mc 4,20.28; Lc 8,15; Rm 7,4.5; Col
1,6.10), in senso sia letterale proprio, in riferimento alla terra che produce il frutto (cf. Mc
4,28), sia figurato, per indicare l’efficacia della parola in coloro che l’ascoltano e la mettono
in pratica (cf. Mc 4,20).
«<: agg. numerale, cardinale, acc. sing. n. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7. La numerazione che
impiega la successione «<… «<… («uno… uno…») è un semitismo e corrisponde a
«l’uno… l’altro…»; «chi… chi…».
JD4Vi@<J": agg. numerale, cardinale, acc. sing. n., indecl., trenta; compl. di quantità; cf. Mc
4,8.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
«<: agg. numerale, cardinale, acc. sing. n. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7.
©>Zi@<J": agg. numerale, cardinale, acc. sing. n., indecl., sessanta; compl. di quantità; cf. Mc
4,8.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
«<: agg. numerale, cardinale, acc. sing. n. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7.
308 Mc 4,21

©i"J`<: agg. numerale, cardinale, acc. sing. n., indecl., cento; compl. di quantità; cf. Mc 4,8.

4,21 5"Â §8g(g< "ÛJ@ÃHs 9ZJ4 §DPgJ"4 Ò 8bP<@H Ë<" ßBÎ JÎ< :`*4@< Jgh± ´ ßBÎ
J¬< i8\<0<p @ÛP Ë<" ¦BÂ J¬< 8LP<\"< Jgh±p
4,21 Disse loro: «Si porta forse la lampada per metterla sotto il secchio oppure sotto il
letto? O, piuttosto, per metterla sul candeliere?

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’espressione [i"Â] §8g(g< "ÛJ@ÃH…, «[e] diceva loro…»; i"Â §8g(g<…, «e
diceva…», posta all’inizio di una proposizione, è usata da Marco come formula abituale di
raccordo per unire sentenze staccate o una serie di sentenze (cf. Mc 2,27; 4,11.21.24.26.30;
6,4.10; 7,9.20; 8,21; 9,1; 11,17; 14,36). L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo
(«diceva», «continuava a dire»), ma quello puntuale corrispondente a un aoristo («disse»). Per
altri esempi di questo imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23;
4,2.9.11.21.24.26.30.41; 5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28;
12,35.38; 14,70; 15,12a.14.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
9ZJ4: avv. interrogativo che richiede risposta negativa, indecl., forse che…? forse…? Il
vocabolo ricorre 18 volte nel NT: Mt 7,16; 12,23; 26,22.25; Mc 4,21; 14,19; Lc 6,39; 9,13;
Gv 4,29; 8,22; 18,35. Come particella interrogativa :ZJ4 è usata per lo più in domande che
attendono risposta negativa (interrogative retoriche), in un contesto quasi sempre apologetico
o polemico.
§DPgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Questo verbo medio intransitivo
(«viene») è qui usato con il significato passivo corrispondente a «si porta». Nel greco
classico e biblico il verbo esprime un movimento e ordinariamente si riferisce a persone: qui
è applicato metaforicamente a 8bP<@H in modo tale da presentare la lampada come un
soggetto vivente in movimento; spesso, infatti, i semiti attribuiscono vita e movimento a
esseri inanimati e oggetti per conferire loro maggiore enfasi (cf. 2Sam 11,8; 2Re 3,20; Rm
7,9). Suggestiva, ma difficilmente dimostrabile in Marco, l’ipotesi che l’evangelista stia
pensando in maniera giovannea, alludendo al senso metaforico della «luce» che viene nel
mondo (cf. Gv 1,15; 8,12). D’altra parte è importante notare che Marco usa 8 volte il verbo
§DP@:"4 per descrivere il movimento di Gesù (cf. Mc 1,7.9.14.24.29. 39; 2,17; 3,20). Se
questa ipotesi fosse vera, Gesù parlerebbe del mistero del regno di Dio che si manifesta
attraverso la sua persona e la sua rivelazione, intesa come luce che deve illuminare. Anche
i passivi divini Jgh± (v. 21) e n"<gDTh± (v. 22), retti dalla rispettiva congiunzione Ë<"
finale, indicherebbero che dietro il movimento della lampada c’è il piano salvifico di Dio.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
Mc 4,21 309

8bP<@H: sost., nom. sing. m. da 8bP<@H, –@L, lucerna, lampada; soggetto. Il vocabolo ricorre
14 volte nel NT: Mt 5,15; 6,22; Mc 4,21 (hapax marciano); Lc 8,16; 11,33.34.36; 12,35;
15,8; Gv 5,35; 2Pt 1,19; Ap 18,23; 21,23; 22,5. Con il termine 8bP<@H, attestato sia nel
greco classico, a partire da Omero (cf. Id., Od., 19,34), come in quello ellenistico (cf.
Plutarco, Quaest. conv., 702,d,3), viene designata la lampada a olio, di terracotta, usata per
l’illuminazione domestica. Poteva essere appesa all’interno delle abitazioni oppure messa su
un lucerniere (8LP<\", cf. Mc 4,21). La presenza dell’articolo non allude a una particolare
candela: si tratta di un semitismo (= articolo di genere) che riflette lo stato enfatico aramaico
(cf. Mc 4,3).
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
ßB`: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., sotto, presso, a, in, verso; cf.
Mc 1,5.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
:`*4@<: sost., acc. sing. m. da :`*4@H, –@L (dal latino modius), moggio, staio; compl. di stato
in luogo. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mt 5,15; Mc 4,21 (hapax marciano); Lc 11,33.
Traslitterazione grecizzata della parola di origine latina modius (cf. Catone, Agric., 11,3;
Cicerone, De off., 2,58; Petronio, Satyr., 37,2). Il sostantivo :`*4@H, un latinismo coniato nel
tardo ellenismo, indica il recipiente, immancabile tra la suppellettile di una casa rurale, usato
nell’antichità per la misurazione dei cereali. In epoca neotestamentaria corrispondeva a circa
8,75 litri. Nella lingua italiana il termine corrispondente a :`*4@H è quello tecnico di
«moggio» (o «modio», «staio»): un vocabolo desueto e quasi del tutto incomprensibile. Nella
nostra traduzione abbiamo preferito sostituirlo con il vocabolo «secchio» il quale, pur non
essendo linguisticamente esatto, è semanticamente corrispondente e di immediata
comprensione.
Jgh±: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. pass. da J\h0:4, mettere, posare, porre, disporre.
Questo verbo ricorre 100 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 5 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,027% del totale delle parole); 11 volte in Marco (cf. Mc
4,21[x2].30; 6,29.56; 10,16; 12,36; 15,19.46.47; 16,6 = 0,097%); 16 volte in Luca
(0,082%); 18 volte in Giovanni (0,115%). Nel greco classico J\h0:4 (etimologia incerta,
forse derivato dalla radice sanscrita dha) , «porre») è uno dei verbi più usati. L’idea
fondamentale e originaria è quella di un «collocare» in senso fisico spaziale (cf. Omero, Il.,
12,29; Plutarco, Alc., 8,2,5; Erodoto, Hist., 3,3,3), a cui si aggiunge nel tempo una nutrita
gamma di significati derivati, anche traslati: «disporre», «ordinare», «depositare», «amministra-
re», «rendere», «dare», ecc. Nelle ricorrenze marciane il significato letterale locale è
prevalente: in senso figurato il verbo compare soltanto in Mc 4,30 e nell’espressione tecnica
J4hX<JgH J (`<"J", lett. «ponendo le ginocchia [a terra]», ossia «inginocchiarsi» (cf. Mc
15,19).
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9.
ßB`: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., sotto, presso, a, in, verso; cf.
Mc 1,5.
310 Mc 4,22

JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
i8\<0<: sost., acc. sing. f. da i8\<0, –0H, divano, letto; compl. di stato in luogo. Il vocabolo
ricorre 9 volte nel NT: Mt 9,2.6; Mc 4,21; 7,4.30; Lc 5,18; 8,16; 17,34; Ap 2,22. La parola
i8\<0 può indicare sia il «letto» usato per dormire sia il «divano» su cui ci si adagiava per
mangiare, il quale di solito era sollevato da terra di circa 30/40 cm (cf. Erodoto, Hist., 1,50,1;
Euripide, Hec., 1150; Platone, Symp., 217d).
@ÛP: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., in, su, a, sopra; cf. Mc 1,22.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
8LP<\"<: sost., acc. sing. f. da 8LP<\", –"H, candeliere, candelabro; compl. di stato in luogo.
Il vocabolo ricorre 12 volte nel NT: Mt 5,15; Mc 4,21 (hapax marciano); Lc 8,16; 11,33; Eb
9,2; Ap 1,12.13.20[x2]; 2,1.5; 11,4. Si tratta del lucerniere o portalampada (cf. Luciano, Asin.,
40,6), un sostegno metallico usato per sorreggere la lampada accesa, in posizione ottimale
per l’illuminazione dell’ambiente. L’immagine della lampada usata da Gesù risulta
perfettamente chiara se si tiene presente l’ambiente palestinese del I secolo d.C. dove la
«casa» era costituita da un’unica stanza a pian terreno nella quale trovavano posto gli arredi,
gli attrezzi da lavoro e spesso perfino alcuni animali domestici (vedi commento a Mc 2,4).
Nascondere la lampada sotto un recipiente di terracotta oppure sotto il letto, ossia restare
nell’oscurità, significava impedire il normale svolgimento delle attività. Questo sfondo
semitico è ulteriormente accentuato se si tiene presente che in ebraico esiste un gioco di
parole tra «moggio» (%y I /E, midda) h) e «letto» (%€ I /E, mitta) h).
Jgh±: verbo, 3 pers. sing. congiunt. aor. pass. da J\h0:4, mettere, posare, porre, disporre; cf.
a

Mc 4,21.

4,22 @Û (VD ¦FJ4< iDLBJÎ< ¦< :¬ Ë<" n"<gDTh±s @Û*¥ ¦(X<gJ@ •B`iDLn@<
•88z Ë<" §8h® gÆH n"<gD`<.
4,22 Infatti tutto ciò che è nascosto sarà reso manifesto e tutto ciò che è segreto sarà messo
in luce.

@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
iDLBJ`<: agg. qualificativo, di valore sostantivato, nom. sing. n. da iDLBJ`H, –Z, –`<, celato,
segreto, nascosto; soggetto. Il vocabolo ricorre 17 volte nel NT: Mt 6,4[x2].6[x2]; 10,26; Mc
4,22 (hapax marciano); Lc 8,17; 12,2; Gv 7,4.10; 18,20; Rm 2,16.29; 1Cor 4,5; 14,25; 2Cor
Mc 4,22 311

4,2; 1Pt 3,4. A partire da Omero l’aggettivo iDLBJ`H designa ciò che è «nascosto»,
«occulto» e, dunque, «segreto» (cf. Omero, Il., 14,168; Erodoto, Hist., 3,146,2).
¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
Ë<": cong. subordinativa di valore completivo, indecl., di, che; cf. Mc 1,38. La congiunzione Ë<"
non ha qui il consueto valore finale, ma quello completivo (equivalente a ÓJ4 o ÓBTH): in
pratica introduce una proposizione infinitiva (cf. Mc 3,9a.12; 4,22a; 5,10.18.43; 6,8.12.25.56;
7,26.32.36; 8,22.30; 9,9.12.18.30; 10,35.37; 11,16; 13,34; 15,21).
n"<gDTh±: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. pass. da n"<gD`T, manifestare, svelare,
rivelare, notificare. Questo verbo ricorre 49 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: Mc 4,22; 16,12.14; Gv 1,31; 2,11; 3,21; 7,4; 9,3; 17,6; 21,1[x2].14. Assente nel
greco classico, il verbo n"<gD`T è presumibilmente un neologismo ellenistico (cf. Filone
di Alessandria, Leg. all., 3,47; Giuseppe Flavio, Antiq., 20,76; Vita, 231), usato in
particolare nel linguaggio biblico. Come tutti i verbi denominativi in –`T (nel nostro caso
da n"<gD`H), esso assume il significato causativo di «rendere visibile», «far manifesto» ciò
che è invisibile o ancora sconosciuto.
@Û*X: avv. di negazione di valore oggettivo, indecl., né, non, neanche, nemmeno. Il vocabolo
ricorre 143 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 27 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,147% del totale delle parole); 10 volte in Marco (cf. Mc 4,22; 5,3;
6,31; 8,17; 11,33; 12,10; 13,32[x2]; 14,59; 16,13 = 0,088%); 21 volte in Luca (0,108%); 17
volte in Giovanni (0,109%). Nell’uso assoluto @Û*X serve per enfatizzare la negazione, in
riferimento di un particolare evento (cf. Mc 6,31; 11,33; 12,10; 14,59; 16,13). Unita ad altra
negazione (in genere @Û), ne rafforza l’idea negativa (cf. Mc 4,22; 5,3; 8,17). Come
congiunzione negativa @Û*X viene talvolta usata in forma correlata, in unione a un altro @Û*X
(cf. Mc 13,32) o a @Û*g\H, nel significato di «né… neppure…», «né… nessuno…».
¦(X<gJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4.
•B`iDLn@<: agg. qualificativo, di valore sostantivato, nom. sing. n. da •B`iDLn@H, –@L,
nascosto, segreto, celato. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mc 4,22 (hapax marciano); Lc
8,17; Col 2,3. Nella grecità questo aggettivo viene usato nel significato di «nascosto»,
«celato», detto di cose concrete o astratte, come un pensiero, un sentimento, ecc. (cf.
Euripide, Herc., 1070; Erodoto, Hist., 2,35,3).
•88z: (= •88V), cong. coordinativa di valore eccettuativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però,
piuttosto, nondimeno; cf. Mc 1,44. La congiunzione va qui presa non come avversativa, ma
come eccettuativa, in senso parallelo a ¦< :Z.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38. La costruzione •88z Ë<", di valore ellittico, corrisponde qui all’espressione «così
che…», con una sfumatura finale (cf. Mc 14,49).
312 Mc 4,23–24

§8h®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
n"<gD`<: agg. qualificativo, di valore sostantivato, acc. sing. n. da n"<gD`H, –V, –`<,
apparente, manifesto, evidente, noto; cf. Mc 3,12; compl. di moto a luogo.

4,23 gÇ J4H §Pg4 ìJ" •i@bg4< •i@LXJT.


4,23 Se qualcuno ha orecchi per capire, cerchi di capire!».

gÇ: (= gÆ), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché, qualora; cf. Mc 2,7.
La grafia gÇ compare davanti a una forma enclitica. La particella gÆ è qui usata per
introdurre una proposizione ipotetica, la protasi, la cui conseguenza è costituita dalla
proposizione reggente (detta apodosi). Ritroviamo questa costruzione in Mc 3,26; 4,23; 8,34;
9,22.23.35; 11,25; 13,20.22; 14,21.29.35.
J4H: pron. indefinito (enclitico), nom. sing. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; soggetto.
§Pg4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
ìJ": sost., acc. plur. n. da @ÞH, éJ`H, orecchio; cf. Mc 4,9; compl. oggetto. Senza articolo
perché generico.
•i@bg4<: verbo, inf. pres. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire, scoprire, imparare,
sapere; cf. Mc 2,1.
•i@LXJT: verbo, 3a pers. sing. imperat. pres. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. L’espressione gÇ J4H §Pg4 ìJ" •i@bg4< •i@LXJT
si ritrova quasi alla lettera in Mc 4,9 (ÔH §Pg4 ìJ" •i@bg4< •i@LXJT). Si tratta di una
frase ellittica: sottintende un verbo come *b<":"4 («chi ha orecchi capaci di intendere…»:
cf. Ger 6,10, LXX).

4,24 5" §8g(g< "ÛJ@ÃHs #8XBgJg J\ •i@bgJg. ¦< ø :XJDå :gJDgÃJg :gJD0hZFgJ"4
ß:Ã< i"Â BD@FJghZFgJ"4 ß:Ã<.
4,24 Disse loro: «Fate attenzione a quello che ascoltate. Con la stessa misura con la quale
misurate sarà misurato anche a voi; anzi, vi sarà dato di più.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’espressione [i"Â] §8g(g< "ÛJ@ÃH…, «[e] diceva loro…»; i"Â §8g(g<…, «e
diceva…», posta all’inizio di una proposizione, è usata da Marco come formula abituale di
raccordo per unire sentenze staccate o una serie di sentenze (cf. Mc 2,27; 4,11.21.24.26.30;
6,4.10; 7,9.20; 8,21; 9,1; 11,17; 14,36). L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo
Mc 4,24 313

(«diceva», «continuava a dire»), ma quello puntuale corrispondente a un aoristo («disse»). Per


altri esempi di questo imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23;
4,2.9.11.21.24.26.30.41; 5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28;
12,35.38; 14,70; 15,12a.14.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
#8XBgJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da $8XBT, vedere, percepire, discernere, fare
attenzione; cf. Mc 4,12. La forma imperativa plurale di $8XBT, usata come richiamo
all’attenzione e alla vigilanza, compare in Mc 4,24; 8,15; 12,38; 13,5.9.33.
J\: pron. interrogativo, nom. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?,
che?, quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; compl. oggetto. Questo pronome interrogativo
sta al posto del relativo Ó J4 / òFJ4H («ciò che»), come avviene nei papiri e nelle iscrizioni;
si tratta di un uso piuttosto frequente nella Koiné: «Propositio relativa et interrogatio indirecta
post verba dicendi, cognoscendi etc. valde affines sunt. Hinc fit, ut hellenistice interrogativum
J\ loco pronominis relativi stare possit» (Zerwick Max, Graec., § 221). Analogo fenomeno
in Mc 2,25; 4,24; 5,14; 6,36; 8,1.2; 9,6.10; 10,38; 13,11; 14,36[x2].40.68; 15,24.
•i@bgJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. L’unione dei due verbi $8XBgJg J\ •i@bgJg fa sì
che il significato del primo verbo non è il generico «guardare», ma «fare attenzione»;
l’accento, inoltre, è dato al secondo verbo rispetto al primo. Possiamo intendere il senso dei
due verbi come una endiadi: «Badate a ciò che udite». L’impiego di due imperativi in
successione paratattica rivela lo stile duale tipico di Marco (cf. Mc 1,25; 4,24; 6,31.38; 7,14;
8,15; 10,14.21; 11,2; 13,33; 14,34.38.42; 16,7).
¦<: prep. propria di valore strumentale, seguita dal dativo, indecl., con, per mezzo di; cf. Mc 1,2.
Uso pleonastico o hypertrophicus della preposizione ¦< la quale precede senza vera
necessità il successivo caso dativo. Si tratta di un uso piuttosto comune nella Koiné (cf. Mc
4,24; 11,28; 14,1.6).
ø: pron. relativo, dat. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,19.
:XJDå: sost., dat. sing. n. da :XJD@<, –@L, misura; compl. di mezzo. Il vocabolo ricorre 14
volte nel NT: Mt 7,2; 23,32; Mc 4,24 (hapax marciano); Lc 6,38[x2]; Gv 3,34; Rm 12,3;
2Cor 10,13[x2]; Ef 4,7.13.16; Ap 21,15.17. Già a partire da Omero (cf. Id., Il., 7,471)
:XJD@< indica la misura come strumento di misurazione, sia in senso letterale proprio in
riferimento a liquidi o solidi sia in senso traslato in riferimento a realtà spirituali (la «misura
dei peccati» in Mt 23,32; la «misura della fede» in Rm 12,3, ecc.)». L’espressione ¦<…
:XJDå è un esempio di ¦< strumentale dovuto a influsso semitico: la preposizione greca
traduce quella corrispondente ebraica (vA, be), impiegata per esprimere non un complemento
di luogo, ma di mezzo o strumento. Ritroviamo questo uso particolare in Mc 1,8; 3,22.23;
4,2.11.24.30; 6,14; 9,29.38.50; 11,28.29.33; 12,1.36.38; 16,17.
:gJDgÃJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da :gJDXT, misurare, valutare, giudicare. Questo
verbo ricorre 11 volte nel NT: Mt 7,2[x2]; Mc 4,24[x2]; Lc 6,38; 2Cor 10,12; Ap 11,1.2;
21,15.16.17. Il verbo :gJDXT nel greco sia classico che biblico possiede due accezioni: a)
314 Mc 4,25

in senso letterale proprio indica l’atto di «misurare», «sondare», «calcolare» qualche realtà
materiale (cf. Erodoto, Hist., 1,68,3; Ap 11,1); b) in senso figurato significa «valutare»,
«giudicare», in genere realtà spirituali o comportamenti (cf. Aristotele, Rhet., 1389b 10; Mc
4,24). Nell’espressione ¦< ø :XJDå :gJDgÃJg…, lett. «con la quale misura, misurate…»,
abbiamo l’anticipazione del pronome relativo. La frase corrisponde a «con la misura con la
quale misurate…». Si tratta di un detto proverbiale che ha diversi paralleli nella letteratura
rabbinica. Quello più vicino dal punto di vista sia letterario che contenutistico è riportato in
un passo della Mishnah: «Con la misura con cui un uomo misura, con quella verrà [sott. da
Dio] misurato» (m.Sot., 1,7). Da notare la figura etimologica (paronomasia) costruita con
l’oggetto interno (:XJDå :gJDgÃJg), dovuta probabilmente a influsso semitico (infinito
assoluto ebraico); analogo fenomeno in Mc 1,26; 3,28; 4,41; 5,42; 7,7.13; 10,38; 13,19; 14,6;
15,26.
:gJD0hZFgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. pass. da :gJDXT, misurare, valutare, giudicare;
cf. Mc 4,24. Passivo divino.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine.
i"\: cong. coordinativa di valore aggiuntivo, indecl., anche, perfino, inoltre, altresì; cf. Mc 1,4.
Il significato aggiuntivo di i"\ è presente in Mc 1,27b.38b; 2,15b.26c.28; 3,19b; 4,24b;
6,34b; 7,18b; 8,3b.7ac.38c; 9,22a; 11,25b; 12,22b; 13,29; 14,9.29.31; 15,31.40ab. 43a.
BD@FJghZFgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. pass. da BD@FJ\h0:4 (da BD`H e J\h0:4),
aggiungere, apporre, raggruppare. Questo verbo ricorre 18 volte nel NT: Mt 6,27.33; Mc
4,24 (hapax marciano); Lc 3,20; 12,25.31; 17,5; 19,11; 20,11.12. Passivo divino.
Fondamentalmente il verbo BD@FJ\h0:4 è usato nel greco classico nel significato di
«collocare presso», «accostare» (cf. Tucidide, Hist., 3,23,1; Eschilo, Ch., 230; Sofocle, Phil.,
942), con tutta una successiva gamma di sensi derivati, tra i quali quello di «aggiungere»,
«aumentare» (cf. Sofocle, Elect., 47; Platone, Crat., 418a; Erodoto, Hist., 1,20,1).
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine.

4,25 ÔH (D §Pg4s *@hZFgJ"4 "ÛJè· i" ÔH @Ûi §Pg4s i"Â Ô §Pg4 •DhZFgJ"4 •Bz
"ÛJ@Ø.
4,25 Poiché a chi ha sarà dato mentre a chi non ha sarà tolto anche quello che ha».

ÓH: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2; soggetto. Il pronome
relativo (al nominativo pendens) è qui usato come l’indefinito ÓFJ4H («chiunque»),
analogamente a quanto avviene altrove (cf. Mc 3,35; 4,9; 6,56).
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
§Pg4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
*@hZFgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. pass. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26. L’uso del passivo
divino di *\*T:4 si ritrova in Mc 4,11.25; 8,12; 13,11.
Mc 4,26 315

"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine. L’espressione ÔH… "ÛJè…,
«chi… a lui…», con il raddoppiamento enfatico del pronome dimostrativo/personale, è di
stile semitico: analoghe costruzioni in Mc 1,7; 4,25[x2]; 7,25.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
ÓH: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2; soggetto.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
§Pg4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Ó: pron. relativo, nom. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24; soggetto.
§Pg4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
•DhZFgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. pass. da "ÇDT, alzare, sollevare, sostenere,
sorreggere, portare, prendere; cf. Mc 2,3. Passivo divino. L’ultima sentenza di Gesù
presente in questo versetto è una specie di conclusione parenetica e sapienziale: se presa
isolatamente e alla lettera riesce di difficile comprensione e si presta a essere fraintesa. Essa
diventa comprensibile se viene rapportata all’annuncio di Gesù circa la “buona novella” preso
nel suo complesso: chi già ha accolto nel suo cuore questo messaggio di fede e si impegna
a viverlo riceverà doni ancora più grandi e preziosi. Chi invece oppone resistenza vedrà
scomparire anche la fede iniziale, da lui accolta solo esteriormente. Si tratta di una parola
severa, la quale illumina la serietà dell’identità cristiana. Ancora una volta appare chiara la
funzione della parola di Dio, destinata a suscitare delle crisi interiori: essa può condurre a una
fede sempre più matura, ma anche all’incredulità.
•Bz: (= •B`), prep. propria con valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano
da; cf. Mc 1,9.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di moto da luogo. L’espressione ÓH… •Bz
"ÛJ@Ø…, «chi… da lui…», con il raddoppiamento enfatico del pronome dimostrati-
vo/personale, è di stile semitico: analoghe costruzioni in Mc 1,7; 4,25[x2]; 7,25.

4,26 5" §8g(g<s ?àJTH ¦FJÂ< º $"F48g\" J@Ø hg@Ø ñH –<hDTB@H $V8® JÎ<
FB`D@< ¦BÂ J­H (­H
4,26 Disse: «Il regno di Dio è simile a qualcuno che getta il seme nella terra;

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’espressione [i"Â] §8g(g< "ÛJ@ÃH…, «[e] diceva loro…»; i"Â §8g(g<…, «e
diceva…», posta all’inizio di una proposizione, è usata da Marco come formula abituale di
316 Mc 4,27

raccordo per unire sentenze staccate o una serie di sentenze (cf. Mc 2,27; 4,11.21.24.26.30;
6,4.10; 7,9.20; 8,21; 9,1; 11,17; 14,36). L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo
(«diceva», «continuava a dire»), ma quello puntuale corrispondente a un aoristo («disse»). Per
altri esempi di questo imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23;
4,2.9.11.21.24.26.30.41; 5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28;
12,35.38; 14,70; 15,12a.14.
?àJTH: avv. di modo, indecl., così, in tal modo, in questa maniera; cf. Mc 2,7.
¦FJ\<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
$"F48g\": sost., nom. sing. f. da $"F48g\", –"H, signoria, potere reale, dominio sovrano,
regno; cf. Mc 1,15; soggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione.
ñH: avv. con valore di modo e paragone, indecl., come, simile a, alla maniera di, nel modo che,
nella condizione di, in qualità di; cf. Mc 1,10. La sentenza è ellittica, ma comprensibile:
l’avverbio ñH corrisponde a ñH ¦V<, per introdurre una proposizione condizionale della
eventualità; lett. «è come se un uomo gettasse il seme nella terra…».
–<hDTB@H: sost., nom. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17;
soggetto. Senza articolo perché generico. L’impiego del vocabolo –<hDTB@H per il
pronome indefinito J\H, «uno», «qualcuno» («nessuno» con negazione), è un semitismo.
Ritroviamo questo uso in Mc 1,23; 3,1; 4,26; 5,2; 7,11; 8,27.36.37; 10,7.9; 11,2; 12,1.14;
13,34.
$V8®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da $V88T, gettare, buttare, mettere; cf. Mc 2,22.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
FB`D@<: sost., acc. sing. m. da FB`D@H, –@L, seme, semente, seminato; compl. oggetto. Il
vocabolo ricorre 6 volte nel NT: Mc 4,26.27; Lc 8,5.11; 2Cor 9,10[x2]. Concettualmente
corrispondente a FBXD:" (cf. Mc 4,31) FB`D@H indica nel greco classico la semente in
generale (cf. Erodoto, Hist., 8,109,4; Senofonte, Oecon., 7,20). Per quanto riguarda la
differenza rispetto al vocabolo «chicco» vedi commento a Mc 4,8.31.
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., in, su, a, davanti a, verso, sopra,
presso; cf. Mc 1,22.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
(­H: sost., gen. sing. f. da (­, (­H, terra; cf. Mc 2,10; compl. di stato in luogo.

4,27 i" i"hgb*® i" ¦(g\D0J"4 <biJ" i" º:XD"<s i"Â Ò FB`D@H $8"FJ” i"Â
:0ib<0J"4 ñH @Ûi @É*g< "ÛJ`H.
4,27 sia che dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce e neppure lui
sa come ciò avviene.
Mc 4,27 317

i"\: cong. coordinativa di valore correlativo, indecl., e… e…; sia… sia…; non solo… ma
anche…; cf. Mc 1,4. Il significato correlativo che può assumere la congiunzione i"\ si
ritrova in Mc 4,27ab.41cd; 7,37bc; 9,13ab.22bc; 11,9ab.
i"hgb*®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. pres. da i"hgb*T (da i"JV e gà*T), addormentarsi,
dormire, riposare. Questo verbo ricorre 22 volte nel NT: Mt 8,24; 9,24; 13,25; 25,5;
26,40.43.45; Mc 4,27.38; 5,39; 13,36; 14,37[x2].40.41; Lc 8,52; 22,46; Ef 5,14; 1Ts
5,6.7[x2].10. A partire da Omero (cf. Id., Il., 1,611) i"hgb*T è usato nel significato di
«dormire» in senso fisico.
i"\: cong. coordinativa di valore correlativo, indecl., e… e…; sia… sia…; non solo… ma
anche…; cf. Mc 1,4. Il significato correlativo che può assumere la congiunzione i"\ si
ritrova in Mc 4,27ab.41cd; 7,37bc; 9,13ab.22bc; 11,9ab.
¦(g\D0J"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. pass. da ¦(g\DT, svegliare, alzare, sollevare,
risorgere [i morti] (trans.); svegliarsi, alzarsi, sollevarsi, risorgere [dai morti] (intr.); cf. Mc
1,31.
<biJ": sost., acc. sing. f. da <b>, <LiJ`H, notte; compl. di tempo determinato. Il vocabolo
ricorre 61 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 9 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,049% del totale delle parole); 4 volte in Marco (cf. Mc 4,27; 5,5; 6,48;
14,30 = 0,035%); 7 volte in Luca (0,036%); 6 volte in Giovanni (0,038%). Marco impiega
il caso accusativo con valore temporale 7 volte: Mc 1,13; 2,19; 4,27[x2]; 5,25; 13,35; 14,37.
Altrove l’accusativo temporale è retto dalle preposizioni gÆH (cf. Mc 3,29; 11,14; 13,13),
BgD\ (cf. Mc 6,48), :gJV (cf. Mc 8,31; 9,2.31; 13,24; 14,1; 16,12), i"JV (cf. Mc 14,49;
15,6). Nelle ricorrenze marciane <b> è usata sempre in senso letterale proprio.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
º:XD"<: sost., acc. sing. f. da º:XD", –"H, giorno; cf. Mc 1,9; compl. di tempo continuato.
L’espressione <biJ" i"Â º:XD"<, analogamente a <LiJÎH i"Â º:XD"H (Mc 5,5), è di
stile semitico, per indicare il giorno completo: in Palestina la «giornata» viene fatta iniziare
alla sera e terminare il pomeriggio seguente.
i"\: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, però; cf. Mc 1,4. Il
significato avversativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ adversativum)
si riscontra in Mc 1,13c; 3,7b.12.33a; 4,17a.19a.27d; 5,19a; 6,19b.20d.33a; 7,24b.28b;
8,12.16.29.30; 9,12a.30.31c.42a; 10,34; 12,12b.17a; 16,8c.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
FB`D@H: sost., nom. sing. m. da FB`D@H, –@L, seme, semente, seminato; cf. Mc 4,26; soggetto.
$8"FJ”: verbo, 3a pers. sing. congiunt. pres. da $8"FJV<T, germogliare, spuntare, produrre.
Questo verbo ricorre 4 volte nel NT: Mt 13,26; Mc 4,27 (hapax marciano); Eb 9,4; Gc 5,18.
Usato nella diatesi intransitiva, come qui, il verbo assume il significato di germinare,
germogliare, in riferimento alla crescita vegetale (cf. Eschilo, Sept., 594; Tucidide, Hist.,
3,26,3).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
:0ib<0J"4: verbo, 3a pers. sing. congiunt. pres. medio da :0ib<T, allungare, fare crescere,
aumentare. Hapax neotestamentario. Nella grecità è raro trovare il verbo semideponente
318 Mc 4,28

:0ib<T nel significato di «crescere», riferito ai vegetali in senso letterale proprio:


generalmente il verbo compare nella diatesi sia attiva che media nel significato traslato di
«allungare», «prolungare», «allungarsi», «prolungarsi», detto di un discorso, una orazione, il
tempo, ecc. (cf. Senofonte, Mem., 3,13,5; Erodoto, Hist., 2,35,1; Tucidide, Hist., 1,102,1).
ñH: cong. subordinativa di valore incidentale, indecl., come, nel modo che, nella maniera che,
nella misura che; cf. Mc 1,10. L’espressione ellittica ñH @Ûi @É*g< "ÛJ`H è una specie di
anacoluto: viene anteposta la congiunzione ñH per dare un certo rilievo («il come [ciò
avvenga], lui non lo sa»).
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
@É*g<: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. da @É*" (una radice con valore di presente connessa a
gÉ*@<, aor. attivo di ÒDVT), vedere, percepire, discernere, conoscere, sapere; cf. Mc 1,24.
"ÛJ`H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., nom. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,8; soggetto.

4,28 "ÛJ@:VJ0 º (­ i"DB@n@DgÃs BDäJ@< P`DJ@< gÉJ" FJVPL< gÉJ" B8ZD0[H]


FÃJ@< ¦< Jè FJVPL^.
4,28 Poiché la terra produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco
pieno nella spiga.

"ÛJ@:VJ0: agg. qualificativo, con valore avverbiale, nom. sing. f. da "ÛJ`:"J@H, –0, –@<, di
proprio impulso, spontaneo, automatico. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mc 4,28 (hapax
marciano); At 12,10. In corrispondenza alla sua etimologia (dal tema "ÛJ@ di "ÛJ@H, «lui»,
«egli stesso» e l’aggettivo verbale :"J`H, «che agisce», «che prorompe») il vocabolo indica
l’azione inarrestabile prodotta da persone o da cose che agiscono di proprio impulso (cf.
Omero, Il., 2,408; Esiodo, Op., 103; Tucidide, Hist., 6,91,7).
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
(­: sost., nom. sing. f. da (­, (­H, terra; cf. Mc 2,10; soggetto.
i"DB@n@DgÃ: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da i"DB@n@DXT, fruttificare, portare frutto; cf.
Mc 4,20.
BDäJ@<: avv. di tempo, indecl., prima, prima di tutto, in primo luogo; cf. Mc 3,27.
P`DJ@<: sost., acc. sing. m. da P`DJ@H, –@L, erba, fieno, raccolto; compl. oggetto. Senza
articolo perché generico. Il vocabolo ricorre 15 volte nel NT: Mt 6,30; 13,26; 14,19; Mc
4,28; 6,39; Lc 12,28; Gv 6,10; 1Cor 3,12; Gc 1,10.11; 1Pt 1,24[x3]; Ap 8,7; 9,4. Il
significato originale del sostantivo P`DJ@H è quello di «recinto» per il pascolo (cf. Omero,
Il., 24,640); per estensione il termine ha assunto i significati di «terreno da pascolo» (cf.
Euripide, Iph. Taur., 134) e, quindi, «erba», «foraggio», «fieno» (cf. Erodoto, Hist., 9,41,2;
Senofonte, Cyr., 8,6,12).
gÉJ": avv. di tempo, indecl., poi, dopo, in seguito; cf. Mc 4,17.
Mc 4,29 319

FJVPL<: sost., acc. sing. m. da FJVPLH, –L@H, spiga; cf. Mc 2,23; compl. oggetto. Senza articolo
perché generico.
gÉJ": avv. di tempo, indecl., poi, dopo, in seguito; cf. Mc 4,17.
B8ZD0[H]: agg. qualificativo, acc. sing. m. da B8ZD0H, –gH, pieno, riempito, colmo, completo;
attributo di FÃJ@<. Il vocabolo ricorre 16 volte nel NT: Mt 14,20; 15,37; Mc 4,28; 8,19; Lc
4,1; 5,12; Gv 1,14; At 6,3.5.8; 7,55; 9,36; 11,24; 13,10; 19,28; 2Gv 1,8. La lezione B8ZD0H
è presente nei codici C*, E, 13*, 28. Riportano, invece, la lezione B8ZD0 i manoscritti !,
A, C (secondo correttore), L, ), f1, f13 e molti codici minuscoli; quest’ultima variante
asigmatica corrisponde meglio al greco classico, mentre la lezione B8ZD0H è frequentemente
usata nel greco ellenistico come un aggettivo indeclinabile. Da un punto di vista contenutisti-
co la scelta di una lezione rispetto all’altra è assolutamente ininfluente.].
FÃJ@<: sost., acc. sing. m. da FÃJ@H, –@L, grano, frumento; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre
14 volte nel NT: Mt 3,12; 13,25.29.30; Mc 4,28 (hapax marciano); Lc 3,17; 12,18; 16,7;
22,31; Gv 12,24; At 27,38; 1Cor 15,37; Ap 6,6; 18,3. Nel significato originale il sostantivo
FÃJ@H equivale a «grano», «frumento» (cf. Omero, Od., 13,244); Erodoto, Hist., 4,17,1). Per
estensione il termine ricorre nella grecità anche nei significati di «pane» (cf. Omero, Od., 9,9;
Erodoto, Hist., 2,168,2) e «cibo», «alimento» (cf. Omero, Il., 19,306; Od., 9,87).
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
FJVPL^: sost., dat. sing. m. da FJVPLH, –L@H, spiga; cf. Mc 2,23; compl. di stato in luogo.

4,29 ÓJ"< *¥ B"D"*@Ã Ò i"DB`Hs gÛh×H •B@FJX88g4 JÎ *DXB"<@<s ÓJ4 B"DXFJ0ig<


Ò hgD4F:`H.
4,29 Quando il frutto lo permette subito si mette mano alla falce, perché è tempo di
mietitura».

ÓJ"<: (= ÓJg e –<), cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, ogni qualvolta,
allorché, appena; cf. Mc 2,20.
*X: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti, dunque, quindi; cf. Mc 1,8.
B"D"*@Ã: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da B"D"*\*T:4 (da B"DV e *\*T:4),
consegnare, rimettere, dare (qualcuno) nelle mani (di un altro), consegnare (qualcuno) al
potere (di un altro), tradire; cf. Mc 1,14. Nel greco classico l’uso intransitivo di questo
verbo è piuttosto raro: in genere, nel significato di «permettere», «consentire», ha per
soggetto Dio o gli dèi oppure sostantivi inerenti la sfera del tempo. Qui indica la perfetta
maturazione del seme, il raggiungimento del completo sviluppo.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
i"DB`H: sost., nom. sing. m. da i"DB`H, –@Ø, frutto; cf. Mc 4,7; soggetto.
gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
320 Mc 4,30

•B@FJX88g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da •B@FJX88T (•B` e FJX88@:"4), inviare,
mandare; cf. Mc 1,2. Questo verbo può essere inteso come una forma impersonale («si
mette mano») oppure avente come soggetto –<hDTB@H del v. 26. Il testo esclude l’idea che
il contadino «invii» degli operai per la mietitura: il verbo •B@FJX88T è un semitismo che
traduce (-H– I , ša) lahE, non nel senso di «inviare» qualcuno, ma in quello fisico di «allungare»
una parte del corpo, come il braccio o la mano (cf. Gn 3,22; 8,9; 19,10; 22,10.12; ecc.) o un
oggetto che si ha in mano, come nel nostro caso.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
*DXB"<@<: sost., acc. sing. n. da *DXB"<@<, –@L, falcetto, falce; compl. oggetto. Il vocabolo
ricorre 8 volte nel NT: Mc 4,29 (hapax marciano); Ap 14,14.15.16.17.18[x2].19. Il
sostantivo è utilizzato nella grecità per indicare prevalentemente la «falce» per la mietitura
(cf. Omero, Od., 18,368) o anche il «falcetto» per potare (cf. Platone, Resp., 333d).
ÓJ4: cong. subordinativa di valore causale, indecl., poiché, perché, siccome; cf. Mc 1,15.
B"DXFJ0ig<: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. da B"D\FJ0:4 (da B"DV e ËFJ0:4), avvicinare,
presentare, essere presente. Questo verbo ricorre 41 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: Mt 26,53; Mc 4,29; 14,47.69.70; 15,35.39; Lc 1,19; 2,22; 19,24; Gv
18,22; 19,26. L’uso transitivo causativo del verbo B"D\FJ0:4, equivalente a «collocare»,
«avvicinare», non si riscontra nel vangelo di Marco, dove il verbo è qui usato nel significato
intransitivo classico di «stare presso», «avvicinarsi», «essere presente» (cf. Omero, Il., 15,442;
Od., 1,335). Nelle altre ricorrenze marciane il verbo compare sempre nella forma
sostantivata/aggettivale per indicare «colui che è presente» in qualità di ascoltatore o
testimone.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
hgD4F:`H: sost., nom. sing. m. da hgD4F:`H, –@Ø (da hgD\.T), raccolta, messe, mietitura;
soggetto. Il vocabolo ricorre 13 volte nel NT: Mt 9,37.38[x2]; 13,30[x2].39; Mc 4,29 (hapax
marciano); Lc 10,2[x3]; Gv 4,35[x2]; Ap 14,15. Il sostantivo hgD4F:`H è impiegato nella
grecità per indicare la «mietitura», il «raccolto», generalmente di frumento (cf. Senofonte,
Oecon., 18,3; Polibio, Hist., 5,95,5). Il detto di Gesù •B@FJX88g4 JÎ *DXB"<@<s ÓJ4
B"DXFJ0ig< Ò hgD4F:`H richiama letterariamente e concettualmente la stessa immagine
usata da Gioele per indicare l’azione giudicatrice di Dio nel contesto escatologico:
¦>"B@FJg\8"Jg *DXB"<"s ÓJ4 B"DXFJ0ig< JDb(0J@H, «mettete mano alla falce, perché
è arrivata la mietitura» (Gl 4,13; cf. anche Is 27,12).

4,30 5"Â §8g(g<s AäH Ò:@4fFT:g< J¬< $"F48g\"< J@Ø hg@Ø ´ ¦< J\<4 "ÛJ¬<
B"D"$@8± hä:g<p
4,30 E aggiunse: «In che modo possiamo paragonare il regno di Dio o con quale esempio
possiamo descriverlo?

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’espressione [i"Â] §8g(g< "ÛJ@ÃH…, «[e] diceva loro…»; i"Â §8g(g<…, «e
Mc 4,30 321

diceva…», posta all’inizio di una proposizione, è usata da Marco come formula abituale di
raccordo per unire sentenze staccate o una serie di sentenze (cf. Mc 2,27; 4,11.21.24.26.30;
6,4.10; 7,9.20; 8,21; 9,1; 11,17; 14,36). L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo
(«diceva», «continuava a dire»), ma quello puntuale corrispondente a un aoristo («disse»). Per
altri esempi di questo imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23;
4,2.9.11.21.24.26.30.41; 5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28;
12,35.38; 14,70; 15,12a.14.
AäH: avv. interrogativo di modo, indecl., come?, in quale modo?, in che senso?, perché?; cf.
Mc 2,26.
Ò:@4fFT:g<: verbo, 1a pers. plur. congiunt. aor. da Ò:@4`T, rendere simile, comparare,
paragonare, rassomigliare. Questo verbo ricorre 15 volte nel NT: Mt 6,8; 7,24.26; 11,16;
13,24; 18,23; 22,2; 25,1; Mc 4,30 (hapax marciano); Lc 7,31; 13,18.20; At 14,11; Rm 9,29;
Eb 2,17. Nella grecità il verbo Ò:@4`T è usato nella diatesi attiva transitiva con il
significato di «rendere simile, «conformare» (cf. Euripide, Hel., 33; Erodoto, Hist., 8,28,1;
Platone, Phaedr., 261e); in epoca ellenistica il verbo viene ad assumere anche il significato
di «paragonare». Nel nostro caso si tratta di un congiuntivo deliberativo. Marco usa 7 volte
il congiuntivo aoristo di prima persona plurale in un discorso diretto, con senso sia
deliberativo (cf. Mc 4,30; 6,37[x2]), sia esortativo (cf. Mc 1,38; 4,35; 12,7; 14,12). In due
circostanze sono gli apostoli che si esprimono così (cf. Mc 6,37[x2]), in altre due occasioni
sono i vignaioli omicidi (cf. Mc 12,7): nelle altre ricorrenze è Gesù che impiega questa
forma. Si tratta propriamente di un plurale cosiddetto associativo: si verifica quando chi parla
o scrive si coinvolge con gli altri o vuole coinvolgere gli altri. Non ha nulla a che vedere con
il «pluralis maiestatis», sconosciuto nella cultura semitica: il fondamento del plurale
associativo risiede nel più ampio concetto di personalità corporativa, caratteristico elemento
della psicologia e antropologia biblica.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
$"F48g\"<: sost., acc. sing. f. da $"F48g\", –"H, signoria, potere reale, dominio sovrano,
regno; cf. Mc 1,15; compl. oggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione.
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9.
¦<: prep. propria di valore strumentale, seguita dal dativo, indecl., con, per mezzo di; cf. Mc 1,2.
J\<4: agg. interrogativo, dat. sing. f. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; attributo di B"D"$@8±.
"ÛJZ<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,31; compl. oggetto. Questo complemento oggetto,
riferito a «il regno di Dio», è in posizione enfatica per dare a esso un rilievo specifico.
B"D"$@8±: sost., dat. sing. f. da B"D"$@8Z, –­H, confronto, paragone, similitudine, parabola;
compl. di mezzo; cf. Mc 3,23. L’espressione ¦< J\<4 B"D"$@8± è un esempio di ¦<
strumentale dovuto a influsso semitico: la preposizione greca traduce quella corrispondente
ebraica (vA, be), impiegata per esprimere non un complemento di luogo, ma di mezzo o
322 Mc 4,31

strumento. Ritroviamo questo uso particolare in Mc 1,8; 3,22.23; 4,2.11.24.30; 6,14;


9,29.38.50; 11,28.29.33; 12,1.36.38; 16,17.
hä:g<: verbo, 1a pers. plur. congiunt. aor. da J\h0:4, mettere, posare, porre, disporre; cf. Mc
4,21. Congiuntivo deliberativo. Per l’uso del plurale associativo cf. sopra.

4,31 ñH i`iiå F4<VBgTHs ÔH ÓJ"< FB"D± ¦BÂ J­H (­Hs :4iD`JgD@< Ñ< BV<JT<
Jä< FBgD:VJT< Jä< ¦BÂ J­H (­Hs
4,31 È come un granello di senape: quando viene seminato nella terra è il più piccolo di
tutti semi che sono sulla terra,

ñH: avv. con valore di modo e paragone, indecl., come, simile a, alla maniera di, nel modo che,
nella condizione di, in qualità di; cf. Mc 1,10.
i`iiå: sost., dat. sing. m. da i`ii@H, –@L, chicco, grano; compl. di paragone. Il vocabolo
ricorre 7 volte nel NT: Mt 13,31; 7,20; Mc 4,31 (hapax marciano); Lc 13,19; 17,6; Gv
12,24; 1Cor 15,37. Nell’uso classico il sostantivo i`ii@H indica in senso letterale proprio
il «granello», il «chicco», generalmente di melagrana (cf. Erodoto, Hist., 4,143,2). La frase
ñH i`iiå, apparentemente sgrammaticata, sta per ñH i`ii@< o per il semplice dativo
i`iiå. La sentenza è ellittica, ma comprensibile: le parabole di Gesù sul regno, quando non
iniziano con un nominativo senza alcun sintagma introduttorio, si aprono con un dativo greco
che funge da secondo termine di paragone, corrispondente all’aramaico -A (le). Tale formula
è l’abbreviazione letteraria di una sintagma introduttorio più articolato che nella predicazione
orale poteva avere la seguente espressione: «Voglio raccontarvi una parabola. A che cosa
posso paragonarla? La parabola è simile a (-A, le)…». Questa struttura retorica si ritrova in
forma abbreviata nelle parabole di Gesù sul regno dove il dativo iniziale, corrispondente
all’aramaico -A, (le), è sostituito da ñH («come», Mc 4,26.31), òFBgD («come», Mt 25,14),
Ò:@4ThZFgJ"4 («sarà reso simile», Mt 7,24), Ò:@4fhg («è stato reso simile», Mt 13,24),
Ó:@4`H ¦FJ4< («è simile», Mt 13,31). In Marco il dativo che introduce il secondo termine
di paragone è sempre retto da ñH (cf. Mc 4,26.31; 13,34). La costruzione marciana
anacolutica, dunque, mette in rilievo lo stile immediato di Marco e nello stesso tempo
sottolinea bene l’humus semitico che soggiace alla sua traduzione.
F4<VBgTH: sost., gen. sing. n. da F\<"B4, –gTH, senape; compl. di specificazione. Il vocabolo
ricorre 5 volte nel NT: Mt 13,31; 17,20; Mc 4,31 (hapax marciano); Lc 13,19; 17,6.
Barbarismo di incerta derivazione. Il nome indica una pianta (sinapis nigra o brassica nigra)
che in Palestina cresce da un seme straordinariamente piccolo (ne occorrono circa 750 per
fare un grammo), fino a raggiungere e superare i 3 metri di altezza, assumendo l’aspetto di
un albero. Plinio il Vecchio riferisce che si tratta di una pianta resistente in grado di crescere
rapidamente e invadere il terreno circostante (cf. Id., Nat. hist., 19,170). I semi di senape
venivano usati per aromatizzare e condire (cf. Nicandro, Frag., 70,16), mentre le foglie
potevano essere mangiate bollite (cf. Plinio il Vecchio, Nat. hist., 19,171). La senape era
impiegata anche come valido medicinale in svariate applicazioni (cf. Plinio il Vecchio, Nat.
hist., 20,236–240; Dioscoride Pedanio, Mat. med., 2,155,2), in particolare per preparare un
Mc 4,31 323

non meglio precisato F4<"B4F:`H, «senapismo» (cf. Oribasio, Coll. med., 10,12,1; Galeno,
De loc., 8,153).
ÓH: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2; soggetto.
ÓJ"<: (= ÓJg e –<), cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, ogni qualvolta,
allorché, appena; cf. Mc 2,20.
FB"D±: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. pass. da FBg\DT, seminare; cf. Mc 4,3.
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., in, su, a, davanti a, verso, sopra,
presso; cf. Mc 1,22.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
(­H: sost., gen. sing. f. da (­, (­H, terra; cf. Mc 2,10; compl. di stato in luogo.
:4iD`JgD@<: agg. indefinito, di grado comparativo, nom. sing. n. da :4iD`H, –V, –`<, piccolo,
poco, corto, breve. Il vocabolo ricorre 46 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 8 volte in Matteo (corrispondente allo 0,044% del totale delle parole); 5 volte in
Marco (cf. Mc 4,31; 9,42; 14,35.70; 15,40 = 0,044%); 5 volte in Luca (0,026%); 11 volte
in Giovanni (0,070%). Nelle lingue semitiche, come nel greco ellenistico, il grado positivo
o comparativo di un aggettivo, generalmente seguito dal genitivo, è spesso usato con valore
di superlativo relativo o assoluto, come qui: «il più piccolo». Per altri esempi di questo
fenomeno cf. Mc 9,34; 10,43; 12,40. Per il grado positivo al posto del comparativo cf. Mc
9,42.43.45.47; 14,21. Nel greco classico il significato primo e fondamentale di :4iD`H è
«piccolo», in riferimento alla dimensione esteriore di una determinata realtà (persone, animali,
oggetti). Tuttavia, come avviene in tutte le lingue, l’aggettivo «piccolo» è suscettibile di
svariate applicazioni e ricopre una vastissima gamma di ulteriori significati, anche traslati,
quali, ad esempio, «scarso», «breve», «inutile», «insignificante», «giovane», ecc.
Ð<: verbo, nom. sing. n. part. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Participio predicativo del complemento di qualità i`iiå F4<VBgTH. La frase
:4iD`JgD@< Ð< è costruita con un nominativus pendens neutro che Marco fa concordare
con il nome neutro FBXD:", laddove ci si aspetterebbe un maschile, in concordanza con il
pronome relativo ÓH, equivalente al termine i`ii@H.
BV<JT<: agg. indefinito, gen. plur. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; attributo di FBgD:VJT<, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
Jä<: art. determ., gen. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
FBgD:VJT<: sost., gen. plur. n. da FBXD:", –"J@H, seme; compl. di specificazione. Il
vocabolo ricorre 43 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 7 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,038% del totale delle parole); 5 volte in Marco (cf. Mc 4,31;
12,19.20.21.22 = 0,044%); 2 volte in Luca (0,010%); 3 volte in Giovanni (0,019%). Il
sostantivo FBXD:" è usato nella grecità per indicare: a) il «seme» come semente vegetale
(cf. Senofonte, Oecon., 17,8; 17,10); b) il «seme» come liquido seminale umano (cf. Erodoto,
Hist., 3,97,2); c) in senso traslato il vocabolo viene anche usato per indicare per estensione
la «posterità», la «discendenza», la «progenie» (cf. Platone, Leg., 853c; Sofocle, Antig., 981;
Eschilo, Suppl., 290). Soltanto qui Marco usa il termine nel senso letterale di «seme»
vegetale; nelle altre 4 ricorrenze FBXD:" ha il significato traslato di «discendenza».
324 Mc 4,32

Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., in, su, a, davanti a, verso, sopra,
presso; cf. Mc 1,22.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
(­H: sost., gen. sing. f. da (­, (­H, terra; cf. Mc 2,10; compl. di stato in luogo. La frase «di
quelli sulla terra», con la ripetizione dell’articolo Jä< costituisce una frase attributiva del
termine FBXD:", con funzione aggettivale.

4,32 i" ÓJ"< FB"D±s •<"$"\<g4 i" (\<gJ"4 :gÃ.@< BV<JT< Jä< 8"PV<T< i"Â
B@4gà i8V*@LH :g(V8@LHs òFJg *b<"Fh"4 ßBÎ J¬< Fi4< "ÛJ@Ø J BgJg4<
J@Ø @ÛD"<@Ø i"J"Fi0<@Ø<.
4,32 ma, appena seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante da orto e fa rami
così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


ÓJ"<: (= ÓJg e –<), cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, ogni qualvolta,
allorché, appena; cf. Mc 2,20.
FB"D±: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. pass. da FBg\DT, seminare; cf. Mc 4,3.
•<"$"\<g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da •<"$"\<T (da •<V e la radice di $VF4H),
risalire, ascendere, andare su, sorgere, crescere; cf. Mc 1,10. L’uso di questo verbo per
indicare una crescita vegetale è piuttosto strano, forse spiegabile pensando a una traduzione
letterale dell’originale aramaico. Il verbo, infatti, è spesso usato nei sinottici per indicare il
movimento di ascesa di una persona, Gesù compreso (cf. Mc 1,10; 3,13; 6,51; 10,32.33).
Anche nei LXX indica generalmente un movimento di persone; soltanto poche volte ricorre
per descrivere la crescita vegetale di spine e rovi (cf. Is 5,6; 32,13; Os 10,8).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
(\<gJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4.
:gÃ.@<: agg. indefinito, di grado comparativo, nom. sing. n. da :X("H, :g(V80, :X(", grande;
cf. Mc 1,26.
BV<JT<: agg. indefinito, gen. plur. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; attributo di 8"PV<T<, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
Jä<: art. determ., gen. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
8"PV<T<: sost., gen. plur. n. da 8VP"<@<, –@L, erba, vegetale, ortaggio; compl. di
specificazione. Il vocabolo ricorre 4 volte nel NT: Mt 13,32; Mc 4,32 (hapax marciano); Lc
11,42; Rm 14,2. Secondo termine di paragone. Nel greco classico è usato generalmente al
plurale per indicare le erbe commestibili, gli ortaggi coltivati nei campi e negli orti. Anche
da Teofrasto (cf. Id., Hist. plant., 7,1,1) la senape è classificata tra i 8VP"<" e precisamente
tra le piante che vengono coltivate (»:gD", distinte da quelle selvatiche, dette –(D4") e
crescono negli orti (i0BgL`:g<").
Mc 4,32 325

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


B@4gÃ: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere, compiere;
cf. Mc 1,3.
i8V*@LH: sost., acc. plur. m. da i8V*@H, –@L, ramoscello, ramo; compl. oggetto. Il vocabolo
ricorre 11 volte nel NT: Mt 13,32; 21,8; 24,32; Mc 4,32; 13,28; Lc 13,19; Rm 11,16.
17.18.19. 21. Senza articolo perché generico. Nella grecità il sostantivo i8V*@H è il
germoglio o il «ramo» di una pianta o albero destinato, per sua natura, a svilupparsi e
accrescersi (cf. Erodoto, Hist., 7,19,1; Teofrasto, Hist. plant., 1,1,9).
:g(V8@LH: agg. indefinito, acc. plur. m. da :X("H, :g(V80, :X(", grande; cf. Mc 1,26;
attributo di i8V*@LH. La progressione dei tre aggettivi che si susseguono nella parabola in
linea ascendente, :4iD`JgD@H («più piccolo»), :gÃ.@< («grande»), :g(V8@LH («più
grande») si rapporta bene alla teologia di Marco: anche nella parabole del seminatore (cf. Mc
4,8.20) egli usa espressioni in crescendo in riferimento al prodotto ottenuto nella buona terra
(JD4Vi@<J", «trenta»; ©>Zi@<J", «sessanta»; ©i"J`<, «cento»).
òFJg: cong. subordinativa di valore consecutivo, indecl., così che, cosicché, tanto che, al punto
che; cf. Mc 1,27.
*b<"Fh"4: verbo, inf. pres. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere in grado di;
cf. Mc 1,40. Marco usa spesso questo verbo (20 volte su 33) in rapporto più o meno stretto
al regno di Dio che Gesù instaura in questo mondo, per sottolineare sia la possibilità che ha
Cristo di salvare (cf. Mc 1,40; 2,7; 9,22.23), sia la radicale impotenza dell’uomo (cf. Mc
10,26.38; 15,31), sia l’impotenza del regno di Satana in ordine alla salvezza (cf. Mc
3,23.24.25.26.27).
ßB`: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., sotto, presso, a, in, verso; cf.
Mc 1,5.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
Fi4V<: sost., acc. sing. f. da Fi4V, –H, ombra; compl. di stato in luogo. Il vocabolo ricorre 7
volte nel NT: Mt 4,16; Mc 4,32 (hapax marciano); Lc 1,79; At 5,15; Col 2,17; Eb 8,5; 10,1.
In senso letterale proprio Fi4V indica l’ombra, soprattutto quella delle piante e delle rocce:
@Ühz "Ê Jä< *X<*DT< @Ühz "Ê Jä< BgJDä< Fi4"\, «le ombre [offerte] dalle piante e
dalle rupi» (cf. Senofonte, Cyr., 8,8,17).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
JV: art. determ., nom. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
BgJg4<V: sost., nom. plur. n. da BgJg4<`<, –@Ø, uccello, volatile, alato; soggetto; cf. Mc 4,4.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
@ÛD"<@Ø: sost., gen. sing. m. da @ÛD"<`H, –@Ø, cielo, volta celeste; cf. Mc 1,10; compl. di
specificazione. L’espressione «gli uccelli del cielo» è un cliché biblico (cf. Gn 1,26.28.30;
2,19.20; 6,7; 7,3; Dt 28,26; 1Sam 17,44.46; 2Sam 21,10; Gdt 11,7; Gb 12,7; 28,21; 35,11;
326 Mc 4,33

Sal 8,9; 50,11; 79,2; 104,12; Bar 3,17; Ez 29,5; 31,6.13; 32,4; 38,20; Dn 2,38; 4,9.18; Os
2,20; 4,3; Sof 1,3; Mt 6,26; 8,20; 13,32; Lc 8,5; 9,58; 13,19; At 10,12; 11,6).
i"J"Fi0<@Ø<: verbo, inf. pres. da i"J"Fi0<`T (da i"JV e Fi0<`T), piantare la tenda,
fissare la dimora, abitare. Questo verbo ricorre 4 volte nel NT: Mt 13,32; Mc 4,32 (hapax
marciano); Lc 13,19; At 2,26. Nel significato base di «accamparsi», detto di truppe, il verbo
i"J"Fi0<`T appartiene al greco ellenistico (cf. Senofonte, Cyr., 4,5,39): qui è usato in
senso traslato, in riferimento agli uccelli che possono «riposare», «dimorare», ossia,
propriamente, «fare il nido». L’immagine dell’albero alla cui ombra si cerca riposo e
sicurezza è classica nella Bibbia: Gdc 9,15; Ct 2,3; Ez 17,23; 31,6; Dn 4,9.13. Qui illustra
molto efficacemente la realtà del regno di Dio come salvezza universale che manifesterà
nell’eschaton le sue proporzioni cosmiche.

4,33 5"Â J@4"bJ"4H B"D"$@8"ÃH B@88"ÃH ¦8V8g4 "ÛJ@ÃH JÎ< 8`(@< i"hãH
²*b<"<J@ •i@bg4<·
4,33 Con molte parabole dello stesso genere annunziava loro la parola, nella misura in cui
erano in grado di comprendere.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


J@4"bJ"4H: agg. indefinito, dat. plur. f. da J@4@ØJ@H, J@4"bJ0, J@4@ØJ@, simile, tale, di questo
tipo; attributo di B"D"$@8"ÃH. Il vocabolo ricorre 57 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 3 volte in Matteo (corrispondente allo 0,016% del totale delle parole);
6 volte in Marco (cf. Mc 4,33; 6,2; 7,13; 9,37; 10,14; 13,19 = 0,053%); 2 volte in Luca
(0,010%); 3 volte in Giovanni (0,019%). Diversamente dal greco classico, dove il pronome
indefinito J@4@ØJ@H è usato prevalentemente in correlazione con ciò che precede, nel NT
esso è per lo più usato come aggettivo senza articolo, in riferimento a sostantivi, anch’essi
privi di articolo (cf. Mc 4,33). Con nomi articolati compare in posizione attributiva (cf. Mc
9,37) o predicativa (cf. Mc 6,2). Nelle altre ricorrenze J@4@ØJ@H è usato come sostantivo (cf.
Mc 7,13; 10,14). In Mc 13,19 ha un timbro semitico.
B"D"$@8"ÃH: sost., dat. plur. f. da B"D"$@8Z, –­H, confronto, paragone, similitudine,
parabola; cf. Mc 3,23; compl. di mezzo.
B@88"ÃH: agg. indefinito, dat. plur. f. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; attributo di B"D"$@8"ÃH.
¦8V8g4: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8"8XT, parlare, dire; cf. Mc 1,34. Imperfetto
durativo o iterativo per indicare il prolungarsi di questa predicazione in parabole.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
8`(@<: sost., acc. sing. m. da 8`(@H, –@L, parola; cf. Mc 1,45; compl. oggetto.
i"hfH: cong., modale, indecl., come, secondo, quanto; cf. Mc 1,2. La congiunzione ha qui una
valenza limitativa: il senso non è «nella maniera in cui», ma «nella misura in cui»; i"hfH,
analogamente all’italiano «come», indica una conformità la cui concreta portata può variare
Mc 4,34 327

a seconda del contesto: può essere intesa positivamente («tanto… quanto…») oppure, in
senso limitativo, «solo nella misura in cui…».
²*b<"<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. medio da *b<":"4, potere, essere capace di,
essere in grado di; cf. Mc 1,40. Quando *b<":"4 è seguito da un verbo esprimente
percezione normalmente ha il senso di «essere in grado», «avere la capacità di» (cf. Gn
48,10; 1Sam 3,2; Ger 6,10; 20,11, LXX; Gv 6,60; 8,43; 14,17; 16,12; At 21,34; 1Cor 2,14;
3,2).
•i@bg4<: verbo, inf. pres. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire, scoprire, imparare,
sapere; cf. Mc 2,1. Retto da *b<":"4 il verbo acquista qui il significato di «comprendere»,
come nelle altre ricorrenze della sezione (cf. vv. 3a.9.12.23).

4,34 PTDÂH *¥ B"D"$@8­H @Ûi ¦8V8g4 "ÛJ@ÃHs i"Jz Æ*\"< *¥ J@ÃH Æ*\@4H :"h0-
J"ÃH ¦BX8Lg< BV<J".
4,34 Senza parabole non parlava loro, ma ai suoi discepoli, in privato, spiegava ogni cosa.

PTD\H: prep. impropria di valore limitativo, seguita dal genitivo, indecl., lontano da, senza,
indipendentemente da. Questa preposizione ricorre 41 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: Mt 13,34; 14,21; 15,38; Mc 4,34 (hapax marciano); Lc 6,49; Gv 1,3;
15,5; 20,7.
*X: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,8.
B"D"$@8­H: sost., gen. sing. f. da B"D"$@8Z, –­H, confronto, paragone, similitudine,
parabola; cf. Mc 3,23; compl. eccettuativo. Senza articolo perché generico.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
¦8V8g4: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8"8XT, parlare, dire; cf. Mc 1,34. Imperfetto
durativo o iterativo per indicare il prolungarsi di questa predicazione in parabole.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
i"Jz: (= i"JV), prep. propria di valore modale, seguita dall’accusativo, indecl., secondo, in
conformità a; cf. Mc 1,27.
Æ*\"<: agg. possessivo, acc. sing. f. da Ç*4@H, Æ*\", Ç*4@<, proprio, suo, personale, privato. Il
vocabolo ricorre 114 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 10 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,055% del totale delle parole); 8 volte in Marco (cf. Mc
4,34[x2]; 6,31.32; 7,33; 9,2.28; 13,3 = 0,071%); 6 volte in Luca (0,031%); 15 volte in
Giovanni (0,096%). In unione con i"JV (i"Jz Æ*\"<) corrisponde all’avverbio di modo
«in disparte», «in privato», «a parte», «segretamente», come nel greco classico ed ellenistico
(cf. Polibio, Hist., 4,84,8; Plutarco, Cons. ad Apoll., 120,e,4; Diodoro Siculo, Bibl., 1,21,6).
Marco usa 7 volte la formula i"Jz Æ*\"< per indicare che Gesù si trova in un luogo
appartato, con tutti o con alcuni dei suoi discepoli, per comunicare loro un insegnamento
messianico a cui la folla non ha diritto (cf. Mc 4,34; 6,31.32; 7,33; 9,2.28; 13,3).
328 Mc 4,35

*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
Æ*\@4H: agg. possessivo, dat. plur. m. da Ç*4@H, Æ*\", Ç*4@<, proprio, suo, personale; cf. Mc
4,34; attributo di :"h0J"ÃH.
:"h0J"ÃH: sost., dat. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; compl. di termine. L’espressione @Ê :"h0J"Â "ÛJ@Ø, per indicare i discepoli di Gesù,
è unica: nel resto del vangelo tale relazione di appartenenza è resa da Marco 31 volte con il
pronome personale "ÛJ@Ø (cf. Mc 2,15.16.23; 3,7.9; 5,31; 6,1.35.41.45; 7,2.17; 8,4.6.10.27
[x2]. 33. 34; 9,28.31; 10,23.46; 11,1.14; 12,43; 13,1; 14,12.13.32; 16,7); 3 volte con F@Ø/F@\
(cf. Mc 2,18; 7,5; 9,18); 1 volta con :@Ø (cf. Mc 14,14).
¦BX8Lg<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da ¦B48bT (da ¦B\ e 8bT), sciogliere, slegare,
chiarire, spiegare. Questo verbo ricorre 2 volte nel NT: Mc 4,34 (hapax marciano); At
19,39. Il verbo ¦B48bT è qui usato nel significato traslato di «spiegare» (cf. Giuseppe
Flavio, Antiq., 8,167). Imperfetto durativo o iterativo per indicare il prolungarsi di questa
spiegazione impartita al gruppo ristretto dei discepoli.
BV<J": agg. indefinito, di valore sostantivato, acc. plur. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni,
ciascuno, ognuno; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.

4,35 5" 8X(g4 "ÛJ@ÃH ¦< ¦ig\<® J± º:XD‘ ÏR\"H (g<@:X<0Hs )4X8hT:g< gÆH JÎ
BXD"<.
4,35 In quello stesso giorno, sul far della sera, disse loro: «Passiamo all’altra riva».

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. La formula redazionale 8X(g4
"ÛJ@ÃH ricorre 25 volte, esclusivamente riservata a Gesù (cf. Mc 1,38; 2,8.17.25; 3,4;
4,13.35; 5,39; 6,31.38.50; 7,18; 8,17; 9,35; 10,11.24.42; 11,2.22.33; 12,16; 14,13.27.34.41).
Per quanto riguarda la formula singolare 8X(g4 "ÛJè, avente come soggetto Gesù, cf. Mc
1,41.44; 2,14; 5,9.19; 7,34; per 8X(g4 "ÛJ± cf. Mc 5,41.
¦<: prep. propria di valore temporale, seguita dal dativo, indecl., in, durante, entro; cf. Mc 1,2.
¦ig\<®: agg. dimostrativo, dat. sing. f. da ¦igÃ<@H, –0, –@, quello, quegli, colui, esso; cf. Mc
1,9; attributo di º:XD‘, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
º:XD‘: sost., dat. sing. f. da º:XD", –"H, giorno; cf. Mc 1,9; compl. di tempo determinato. La
frase «in quei giorni», «in quel giorno», si ritrova nel secondo vangelo come generica e
indeterminata indicazione temporale (cf. Mc 1,9; 2,20; 4,35; 8,1; 13,17; [13,19]; 13,24;
[13,32]; [14,25]). L’espressione, tuttavia, è tipica del linguaggio escatologico (cf. Ps. Salom.,
18,6) ed è spesso usata dai profeti per indicare «gli ultimi tempi», ossia l’epoca in cui si
Mc 4,36 329

realizzerà l’intervento definitivo di Dio nella storia umana, caratterizzato dall’abbondanza dei
beni messianici (cf. Is 2,11.17.20; 3,18; 4,2; 5,30; 7,18.21; 10,20.27; 11,10; 12,1.4; 14,3.4;
17,7; 19,19.21.23.24; 25,9; 26,1; 29,18; 30,23.25; Ger 3,17; 5,18; 25,33; 30,8; 31,29; Ez
29,21; Os 2,18.20.23; Gl 3,2; 4,1.18; Am 8,9; 9,11.13; Abd 1,8; Mic 4,1.6; 5,9; Sof
3,11.16.20; Ag 2,23; Zc 2,15; 3,10; 8,23; 9,16; 13,1.2; 14,6.8.9).
ÏR\"H: sost., gen. sing. f. da ÏR\", –"H (da ÏRX), sera, vespero, serata; cf. Mc 1,32; compl. di
tempo determinato.
(g<@:X<0H: verbo, gen. sing. f. part. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4. Participio al genitivo assoluto. La frase
ÏR\"H (g<@:X<0H appare nella forma detta “genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con
valore temporale.
)4X8hT:g<: verbo, 1a pers. plur. congiunt. aor. da *4XDP@:"4 (da *4V e §DP@:"4), andare
attraverso, passare attraverso, attraversare. Questo verbo deponente ricorre 43 volte nel NT.
La distribuzione nei vangeli è la seguente: 2 volte in Matteo (corrispondente allo 0,011% del
totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc 4,35; 10,25 = 0,018%); 10 volte in Luca
(0,051%); 2 volte in Giovanni (0,013%). Nel greco classico il verbo *4XDP@:"4 indica per
lo più un viaggio per terra (cf. Omero, Il., 23,876; Erodoto, Hist., 6,31,2), ma qui, come in
Lc 8,22, è usato per una traversata sul “mare”, ossia il lago di Tiberiade. La forma verbale
utilizzata (*4X8hT:g<) costituisce ciò che viene definito un “congiuntivo esortativo”: il
verbo, al modo congiuntivo all’interno di una proposizione principale, è sempre in prima
persona ed è usato per esprimere una esortazione, un incitamento, un incoraggiamento, come
se si trattasse della prima persona del modo imperativo. Per altri esempi di congiuntivo
esortativo cf. Mc 1,38; 4,35; 9,5; 11,32; 12,7; 14,42; 15,36. Il prefisso *4"– esprime l’idea
sia dell’attraversamento spaziale (passare, attraversare) sia del procedere oltre (raggiungere,
arrivare): soltanto il contesto decide come il verbo deve essere correttamente tradotto.
Quando è accompagnato dalla preposizione gÆH, come qui, ha il senso di «raggiungere»,
«arrivare a».
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
BXD"<: avv. di luogo, di valore sostantivato, acc. sing. n., indecl., la riva opposta, l’altra sponda;
cf. Mc 3,8; compl. di moto a luogo. Gli avverbi sostantivati sono locuzioni ellittiche in cui
viene sottinteso un sostantivo che cede il proprio articolo all’avverbio; tale sostantivo viene
facilmente ricavato dal contesto. L’espressione gÆH JÎ BXD"<, tipica di Marco, indica la parte
della costa dirimpetto a chi parla o viene menzionato (cf. Mc 4,35; 5,1.21; 6,45; 8,13). Nel
nostro caso si tratta della sponda orientale del lago di Tiberiade, in territorio pagano.

4,36 i" •nX<JgH JÎ< ÐP8@< B"D"8":$V<@LF4< "ÛJÎ< ñH µ< ¦< Jè B8@\ås i"Â
–88" B8@Ã" µ< :gJz "ÛJ@Ø.
4,36 Congedata la folla lo fecero salire sulla barca così com’era. C’erano anche altre
barche con lui.
330 Mc 4,36

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•nX<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare,
rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto
sottinteso z30F@ØH. Per altri esempi di participio espletivo con il verbo •n\0:4 cf. Mc 4,36;
8,13; 12,12; 14,50.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ÐP8@<: sost., acc. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; compl. oggetto.
B"D"8":$V<@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da B"D"8":$V<T (da B"DV e
8":$V<T), prendere, prendere con sé, ricevere, accogliere. Questo verbo ricorre 49 volte
nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 16 volte in Matteo (corrispondente allo
0,087% del totale delle parole); 6 volte in Marco (cf. Mc 4,36; 5,40; 7,4; 9,2; 10,32; 14,33
= 0,053%); 6 volte in Luca (0,031%); 3 volte in Giovanni (0,019%). Presente storico.
Analogamente a quanto avviene nel greco classico e nei LXX, B"D"8":$V<T è usato nel
NT in una duplice accezione: a) come verbo profano, per designare un generico e neutro
«prendere», «accogliere» qualcosa o qualcuno (cf. Erodoto, Hist., 3,136,2; Tucidide, Hist.,
1,19,1); oppure b) in senso tecnico, nel significato di «osservare», «mettere in pratica» la
tradizione, le usanze (cf. Platone, Resp., 460b; Erodoto, Hist., 2,51,1). Nel vangelo di Marco
questo secondo significato, in riferimento sia alla legge scritta (la Torah) sia al complesso
normativo orale, è presente soltanto in Mc 7,4: in tutte le altre ricorrenze il verbo indica il
generico e neutro «prendere», avente come oggetto Gesù (cf. Mc 4,36), alcuni dei discepoli
(cf. Mc 9,2; 10,32; 14,33), i genitori della fanciulla morta (cf. Mc 5,40).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
ñH: cong. subordinativa di valore incidentale, indecl., come, nel modo che, nella maniera che,
nella misura che; cf. Mc 1,10.
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Predicato verbale. L’espressione B"D"8":$V<@LF4< "ÛJÎ< ñH µ< ¦< Jè B8@\å si
presta grammaticalmente a due interpretazioni: a) per alcuni può essere un riferimento alla
posizione fisica di Gesù, intento a insegnare mentre è seduto sulla barca (cf. Mc 4,1). In tal
caso l’espressione ñH µ< equivarrebbe a ñH ¦iVh0J@ ¦< Jè B8@\å e la traduzione
sarebbe: «…lo presero mentre si trovava [sott. seduto] sulla barca»; b) è però preferibile
collegare le parole ñH µ< a ciò che precede: «…lo fecero salire sulla barca, così come si
trovava», tenendo altresì presente che nell’uso marciano ¦< Jè B8@\å equivale a gÆH JÎ
B8@\@<. Resta difficile, tuttavia, precisare il senso esatto della frase «così come era».
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B8@\å: sost., dat. sing. n. da B8@Ã@<, –@L, barca; cf. Mc 1,19; compl. di stato in luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
–88": agg. indefinito, nom. plur. n. da –88@H, –0, –@, altro, un altro; cf. Mc 4,5; attributo di
B8@Ã".
Mc 4,37 331

B8@Ã": sost., nom. plur. n. da B8@Ã@<, –@L, barca; cf. Mc 1,19; soggetto. Senza articolo perché
generiche.
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Predicato verbale. Quando il soggetto è un neutro plurale (come nel nostro caso), il verbo
è per lo più al singolare (è il cosiddetto «schema Atticum»), soprattutto se i soggetti
appartengono al mondo materiale e inanimato e, perciò, possono essere considerati come una
massa. Ritroviamo questo fenomeno in Mc 4,8.11.36; 7,15.23; 13,4[x2].
:gJz: (= :gJV), prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con,
insieme a, in compagnia di; cf. Mc 1,13.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di compagnia. La locuzione :gJz "ÛJ@Ø
viene solitamente riferita a Gesù, come anche noi riteniamo: «altre barche erano con lui». Nel
contesto dello stile di Marco questa interpretazione è certamente legittima. Si deve notare,
tuttavia, che il pronome "ÛJ`H può grammaticalmente riferirsi anche alla locuzione
immediatamente precedente (¦< Jè B8@\å, «sulla barca»); in tal caso la traduzione sarebbe:
«…altre barche erano con quella», intendendo «quella sulla quale era Gesù».

4,37 i" (\<gJ"4 8"Ã8"R :g(V80 •<X:@Ls i" J ib:"J" ¦BX$"88g< gÆH JÎ
B8@Ã@<s òFJg ³*0 (g:\.gFh"4 JÎ B8@Ã@<.
4,37 Nel frattempo si formò una grande tempesta di vento e rovesciava le onde nella barca,
al punto che la barca era ormai piena.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


(\<gJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4. Presente storico.
8"Ã8"R: sost., nom. sing. f. da 8"Ã8"R, 8"\8"B@H, turbine, tempesta, attacco; soggetto. Il
vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mc 4,37 (hapax marciano); Lc 8,23; 2Pt 2,17. Senza
articolo perché generica. A partire da Omero il sostantivo 8"Ã8"R indica la «tempesta»,
l’«uragano», come fenomeno meteorologico di terra o di mare (cf. Omero, Il., 11,306; Od.,
12,408).
:g(V80: agg. indefinito, nom. sing. f. da :X("H, :g(V80, :X(", grande; cf. Mc 1,26;
attributo di 8"Ã8"R. Qui «grande» corrisponde a «violento», come spesso avviene in tutte
le lingue, dove l’aggettivo «grande» riveste una gamma polisemantica notevolissima.
•<X:@L: sost., gen. sing. m. da –<g:@H, –@L, vento; compl. di specificazione. Il vocabolo
ricorre 31 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 9 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,049% del totale delle parole); 7 volte in Marco (cf. Mc 4,37.39[x2].
41; 6,48.51; 13,27 = 0,062%); 4 volte in Luca (0,021%); 1 volta in Giovanni (0,006%).
Senza articolo per assimilazione con il nome reggente, privo anch’esso di articolo. Il
vocabolo indica il vento come fenomeno meteorologico (cf. Omero, Il., 13,795; Od., 4,839),
senza alcuna connessione con B<gØ:".
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
332 Mc 4,38

J: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
ib:"J": sost., acc. plur. n. da iØ:", –"J@H, onda, flutto; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre
5 volte nel NT: Mt 8,24; 14,24; Mc 4,37 (hapax marciano); At 27,41; Gd 1,13. Già da
Omero il sostantivo iØ:" indica l’«onda» particolarmente violenta (cf. Omero, Il., 2,209;
Eschilo, Prom., 1001).
¦BX$"88g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da ¦B4$V88T (da ¦B\ e $V88T), gettare su,
irrompere, infrangersi. Questo verbo ricorre 18 volte nel NT: Mt 9,16; 26,50; Mc 4,37;
11,7; 14,46.72; Lc 5,36; 9,62; 15,12; 20,19; 21,12; Gv 7,30.44; At 4,3; 5,18; 12,1; 21,27;
1Cor 7,35. Imperfetto descrittivo, con valore di continuità. Nella grecità il verbo è usato nel
significato attivo transitivo di «gettare su» (cf. Omero, Il., 23,135; Erodoto, Hist., 1,202,2).
Grammaticalmente è possibile qui intendere ¦B4$V88T anche nel senso impersonale di
«gettarsi» (cf. Omero, Od., 15,297), avente come soggetto «le onde»: «…e le onde si
abbattevano sulla barca, al punto che…».
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
B8@Ã@<: sost., acc. sing. n. da B8@Ã@<, –@L, barca; cf. Mc 1,19; compl. di moto a luogo.
òFJg: cong. subordinativa di valore consecutivo, indecl., così che, cosicché, tanto che, al punto
che; cf. Mc 1,27.
³*0: avv. di tempo, indecl., già, ora, subito. Il vocabolo ricorre 61 volte nel NT. La distribuzione
nei vangeli è la seguente: 7 volte in Matteo (corrispondente allo 0,038% del totale delle
parole); 8 volte in Marco (cf. Mc 4,37; 6,35[x2]; 8,2; 11,11; 13,28; 15,42.44 = 0,071%); 10
volte in Luca (0,051%); 16 volte in Giovanni (0,102%). Analogamente a quanto avviene nel
greco classico, ³*0 può essere usato nel NT sia come avverbio di tempo («già», «adesso»)
sia come avverbio determinativo («ormai», «senz’altro»), quando esprime un valore e un tono
conclusivo rispetto a fatti davanti ai quali viene riferita una constatazione o tratta una
conseguenza. In Marco prevale il significato temporale.
(g:\.gFh"4: verbo, inf. pres. pass. da (g:\.T, riempire, colmare. Questo verbo ricorre 8 volte
nel NT: Mc 4,37; 15,36; Lc 14,23; Gv 2,7[x2]; 6,13; Ap 8,5; 15,8. L’impiego del verbo,
solitamente usato nel greco classico per il carico delle navi con cibi, liquidi, vettovaglie,
animali, ecc. (cf. Tucidide, Hist., 7,53,4; Polibio, Hist., 1,18,8), esprime molto bene l’idea
della barca riempita dalle acque e quasi sommersa dai flutti.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
B8@Ã@<: sost., nom. sing. n. da B8@Ã@<, –@L, barca; cf. Mc 1,19; soggetto.

4,38 i"Â "ÛJÎH µ< ¦< J± BDb:<® ¦BÂ JÎ BD@FignV8"4@< i"hgb*T<. i"Â ¦(g\D@L-
F4< "ÛJÎ< i" 8X(@LF4< "ÛJès )4*VFi"8gs @Û :X8g4 F@4 ÓJ4 •B@88b:gh"p
4,38 Ma lui se ne stava a poppa, sul cuscino e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero:
«Maestro, non ti importa che stiamo per morire?».
Mc 4,38 333

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


"ÛJ`H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., nom. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,8; soggetto.
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Predicato verbale.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
BDb:<®: sost., dat. sing. f. da BDb:<", –0H, poppa; compl. di stato in luogo. Il vocabolo
ricorre 3 volte nel NT: Mc 4,38 (hapax marciano); At 27,29.41. Usato fin da Omero il
sostantivo BDb:<" è termine tecnico per designare la «poppa» delle imbarcazioni (cf.
Omero, Il., 1,409; Od., 13,84).
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., in, su, a, sopra; cf. Mc 1,22.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
BD@FignV8"4@<: sost., acc. sing. n. da BD@FignV8"4@< (da BD`H e ign"8Z), guanciale,
cuscino; compl. di stato in luogo. Hapax neotestamentario. Il sostantivo indica nella grecità
il «cuscino» per il capo (cf. Aristofane, Pl., 542; Lisia, Or., 12,18). La questione storica se
una barca usata nel lago di Tiberiade nel I secolo d.C. potesse avere un qualche tipo di poppa
protetta da una struttura ha avuto un riscontro archeologico grazie al ritrovamento, avvenuto
nel 1986, di uno scafo di una barca di legno immerso nel fango, presso la riva del lago, a
circa 2 km a nord di Magdala, sulla sponda occidentale. La barca, custodita oggi allo «Yigal
Allon Museum» di Ginnosar, è in ottimo stato di conservazione grazie alla permanenza nel
fango che ne ha impedito il disfacimento dovuto agli agenti batterici. Lo scafo misura 9 metri
di lunghezza, 2,5 metri di larghezza e 1,25 metri di profondità. Secondo gli esperti risale a
un periodo tra il I secolo a.C. e gli inizi del II d.C. Nella struttura è chiaramente visibile una
poppa, probabilmente coperta da qualche rialzamento su cui stava il timoniere. È verosimile
immaginare che Gesù dormisse sotto una piattaforma del genere.
i"hgb*T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da i"hgb*T (da i"JV e gà*T), addormentarsi,
dormire, riposare; cf. Mc 4,27. Participio predicativo del soggetto "ÛJ`H. Il participio è retto
da µ< in costruzione perifrastica («era dormiente»), al posto dell’usuale imperfetto
«dormiva». Unico riferimento nel vangelo di Marco al sonno di Gesù. Il posto a poppa era
solitamente riservato al capitano del naviglio o a qualche passeggero di riguardo. Un curioso
parallelo di questo dettaglio troviamo in Virgilio, a proposito di Enea: «Aeneas celsa in puppi
iam certus eundi | carpebat somnos rebus iam rite paratis», «Su l’alta poppa, deciso a partire,
quando già erano pronte le cose, Enea dormiva» (Virgilio, En., 4,554–455).
i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.
21.26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.
48a.50.53a.65a.72b; 15,2.
334 Mc 4,38

¦(g\D@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da ¦(g\DT, svegliare, alzare, sollevare, risorgere
[i morti] (trans.); svegliarsi, alzarsi, sollevarsi, risorgere [dai morti] (intr.); cf. Mc 1,31.
Presente storico.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8X(@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
)4*VFi"8g: sost., voc. sing. m. da *4*VFi"8@H, –@L, maestro, insegnante; compl. di
vocazione. Il vocabolo ricorre 59 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 12
volte in Matteo (cf. Mt 8,19; 9,11; 10,24.25; 12,38; 17,24; 19,16; 22,16.24.36; 23,8; 26,18,
corrispondente allo 0,065% del totale delle parole); 12 volte in Marco (cf. Mc 4,38; 5,35;
9,17.38; 10,17.20.35; 12,14.19.32; 13,1; 14,14 = 0,106%); 17 volte in Luca (cf. Lc 2,46;
3,12; 6,40[x2]; 7,40; 8,49; 9,38; 10,25; 11,45; 12,13; 18,18; 19,39; 20,21.28.39; 21,7; 22,11
= 0,087%); 8 volte in Giovanni (cf. Gv 1,38; 3,2.10; 8,4; 11,28; 13,13.14; 20,16 = 0,051%).
Nella grecità il sostantivo *4*VFi"8@H è usato soprattutto al plurale per definire il
«maestro», l’«insegnante» (cf. Platone, Alc. I, 110b). Nel nostro caso si tratta di un titolo
ordinario, privo di connotati cristologici, con cui gli interlocutori di Gesù (discepoli, farisei,
sadducei, scribi, miracolati, supplicanti) si rivolgono a lui (o ad altri), secondo la consuetudine
giudaica. Il titolo corrisponde alla forma ebraica/aramaica *vE9H, Rabbî, «Mio signore!», «Mio
maestro!» (traslitterata Õ"$$\ in Mt 23,7.8; 26,25.49; Mc 9,5; 11,21; 14,45; Gv 1,38.49;
3,2.26; 4,31; 6,25; 9,2; 11,8) o *1E|v9H, Rabbônî (traslitterata Õ"$$@L<\ in Mc 10,51; Gv
20,16). Rispetto agli altri sinottici è interessante notare che l’appellativo *4*VFi"8@H dato
a Gesù ricorre 12 volte in Marco e 9 in Matteo; il vocabolo Õ"$$\ dato a Gesù si trova 3
volte in Marco e 2 in Matteo, mentre il titolo Õ"$$@L<\, esclusivo per Gesù, si trova 1 volta
in Marco (cf. Mc 10,51; altrove, soltanto 1 volta in Giovanni). L’appellativo «Maestro» dato
a Gesù è, quindi, più frequente in senso assoluto e ancor più proporzionalmente in Marco che
non in Matteo, sebbene quest’ultimo venga universalmente riconosciuto come l’evangelista
più «giudaico», intento a fare di Gesù un nuovo Mosè. Il greco più ricercato di Luca non usa
il semitico Õ"$$\, ma accanto a *4*VFi"8@H, riferito 13 volte a Gesù, usa anche 7 volte
¦B4FJVJ0H (cf. Lc 5,5; 8,24[x2].45; 9,33.49; 17,13): si tratta sempre di una frequenza
proporzionalmente inferiore a quella di Marco.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
:X8g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da :X8T (forma verbale usata nella terza persona
singolare, nel senso impersonale), preoccupare, darsi pensiero, importare, stare a cuore.
Questo verbo ricorre 10 volte nel NT, 9 volte alla terza persona singolare (fa eccezione At
18,17): Mt 22,16; Mc 4,38; 12,14; Lc 10,40; Gv 10,13; 12,6; At 18,17; 1Cor 7,21; 9,9; 1Pt
5,7. Nella grecità il verbo :X8T è impiegato nel significato di «aver cura», «interessarsi»,
«preoccuparsi» (cf. Omero, Il., 5,708; Eschilo, Ag., 370). Un uso particolare è quello
Mc 4,39 335

impersonale, alla terza persona, equivalente a «importa», seguito dal dativo della persona a
cui sta a cuore qualcosa (cf. Eschilo, Ag., 974; Sofocle, Phil., 1036). L’espressione @Û :X8g4
F@4, «non ti importa», riferita a Gesù, ritorna in un contesto del tutto diverso in Mc 12,14.
F@4: pron. personale di 2a pers. dat. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,11; compl. di termine.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore causale, indecl., poiché, perché, siccome; cf. Mc 1,15.
•B@88b:gh": verbo, 1a pers. plur. ind. pres. medio da •B`88L:4 (da •B` e la radice di
Ð8ghD@H), perdere, rovinare, distruggere, togliere di mezzo, sopprimere, uccidere; cf. Mc
1,24. Usato nella diatesi media (e al perfetto attivo), questo verbo assume il significato
intransitivo di «morire», qui con senso di futuro immediato («stiamo per morire»). Da notare
l’implicita e significativa contrapposizione tra i due soggetti: «non importa a te che periamo
noi?».

4,39 i" *4g(gDhgÂH ¦BgJ\:0Fg< Jè •<X:å i" gÉBg< J± h"8VFF®s E4fB"s


Bgn\:TF@. i" ¦i`B"Fg< Ò –<g:@H i" ¦(X<gJ@ ("8Z<0 :g(V80.
4,39 Svegliatosi, minacciò il vento e disse al mare: «Taci! Calmati!». Il vento cessò e ci fu
grande bonaccia.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


*4g(gDhg\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. pass. da *4g(g\DT (da *4V e ¦(g\DT), svegliare,
risvegliare. Questo verbo ricorre 6 volte nel NT: Mc 4,39 (hapax marciano); Lc 8,24[x2];
Gv 6,18; 2Pt 1,13; 3,1. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso
z30F@ØH. Si tratta di un verbo di stampo ellenistico, usato nella diatesi sia attiva che
mediopassiva, nel significato proprio di «svegliare», «svegliarsi».
¦BgJ\:0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦B4J4:VT (da ¦B\ e J4:VT), intimare,
ammonire, sgridare, rimproverare, proibire, ordinare severamente; cf. Mc 1,25. Poiché il
verbo ¦B4J4:VT è di solito usato nei vangeli in occasione della cacciata dei demoni nel
contesto degli esorcismi, qui viene insinuato che il vento e le onde agitate, destinatari
dell’intimazione, sono sotto il controllo dei demoni. Nell’AT il mare è descritto spesso come
la dimora di tali forze sataniche (cf. Is 27,1; 51,10; Sal 89,10–11; Gb 9,13). Nel sedare la
tempesta Gesù appare come il conquistatore delle forze demoniache del mondo della natura,
in grado di dominare i flutti e i venti, al pari di Dio (cf. Sal 65,8; 89,10; 107,25).
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
•<X:å: sost., dat. sing. m. da –<g:@H, –@L, vento; cf. Mc 4,37; compl. di termine.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
h"8VFF®: sost., dat. sing. f. da hV8"FF", –0H, mare; cf. Mc 1,16; compl. di termine.
336 Mc 4,39

E4fB": verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. da F4TBVT, stare zitto, rimanere in silenzio, tacere;
cf. Mc 3,4. La forma asindetica è piuttosto frequente con gli imperativi dei verbi F4TBVT
(cf. Mc 4,39), ÒDVT (cf. Mc 1,44; 6,38; 8,15), ßBV(T (cf. Mc 1,44; 5,34; 6,38; 7,29;
10,21.52; 16,7), ¦(g\DT (cf. Mc 2,9; 3,3; 5,41; 10,49; 14,42), n4:`T (cf. Mc 4,39),
h"DFXT (cf. Mc 6,50; 10,49), $8XBT (cf. Mc 13,5.23.33).
Bgn\:TF@: verbo, 2a pers. sing. imperat. perf. pass. da n4:`T, chiudere la bocca, ammutolire,
tacere; cf. Mc 1,25. La forma asindetica è piuttosto frequente con gli imperativi dei verbi
n4:`T (cf. Mc 4,39), ÒDVT (cf. Mc 1,44; 6,38; 8,15), ßBV(T (cf. Mc 1,44; 5,34; 6,38;
7,29; 10,21.52; 16,7), ¦(g\DT (cf. Mc 2,9; 3,3; 5,41; 10,49; 14,42), F4TBVT (cf. Mc 4,39),
h"DFXT (cf. Mc 6,50; 10,49), $8XBT (cf. Mc 13,5.23.33). Letteralmente: «metti la
museruola»: nel vicino Oriente, infatti, il vento non «urla», come da noi, ma «abbaia» o
«ringhia» come un cane. Si deve osservare, inoltre, che nella cultura giudaica il mare e il
vento hanno degli spiriti (cf. Lib. Iub., 2,2; 4Esd., 6,41) e, quindi, possono essere oggetto di
esorcismo, essendo a volte strumenti del potere diabolico. Nelle formule magiche dei papiri
n4:`T è usato per «imbavagliare» la bocca di chi sparla a danno di un’altra persona (cf.
P.Oslo, 1,161–162). Nella Mishnah sono previste anche particolari benedizioni da
pronunciarsi nei riguardi di queste forze delle natura, come se fossero animate da spiriti vitali:
«Sulle stelle cadenti, sui terremoti, sui lampi, sui tuoni e sui temporali si dice: “Benedetto sia
Colui la cui forza e potenza riempie il mondo”» (m.Ber., 9,2). L’imperativo perfetto (unico
esempio in Marco) esprime il perdurare di un atto compiuto, nel nostro caso la chiusura della
bocca. Questa scelta di tempo indica che il comando di Gesù è particolarmente forte e deciso:
egli si attende una obbedienza immediata e totale, analogamente a quanto aveva fatto nei
riguardi dello spirito cattivo (cf. Mc 1,25).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦i`B"Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da i@BV.T, diventare stanco, fiaccarsi, cessare.
Questo verbo ricorre 3 volte nel NT: Mt 14,32; Mc 4,39; 6,51. L’aoristo puntuale esprime
l’interrompersi istantaneo e definitivo della tempesta di vento. Il verbo i@BV.T, di stampo
ellenistico, quando viene utilizzato in riferimento ai fenomeni meteorologici assume il
significato di «venir meno», «calmarsi», «esaurirsi» (cf. Erodoto, Hist., 7,191,2; Gn 8,1,
LXX).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
–<g:@H: sost., nom. sing. m. da –<g:@H, –@L, vento; cf. Mc 4,37; soggetto. La frase i"Â
¦i`B"Fg< Ò –<g:@H ritorna, identica, in Mc 6,51 (cammino di Gesù sulle acque).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦(X<gJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4.
("8Z<0: sost., nom. sing. f. da ("8Z<0, –0H, calma, tranquillità, bonaccia; soggetto. Il
vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mt 8,26; Mc 4,39 (hapax marciano); Lc 8,24. Senza
articolo perché generico. Attestato già a partire da Omero (cf. Id., Od., 5,452) il termine (dalla
radice ("8– di (g8VT, «ridere», «sorridere» e suffisso nominale –<0 per l’effetto
Mc 4,40 337

dell’azione) indica la calma del mare dopo una burrasca, diverso da <0<g:\", usato per
indicare la calma dei venti dopo una tempesta.
:g(V80: agg. indefinito, nom. sing. f. da :X("H, :g(V80, :X(", grande; cf. Mc 1,26;
attributo di ("8Z<0. Da notare il notevole effetto onomatopeico (quasi un’anagramma)
dell’espressione ("8Z<0 :g(V80 che, anche foneticamente, mediante la successione di
vocali aperte, mette fine allo sconvolgimento delle forze della natura.

4,40 i"Â gÉBg< "ÛJ@ÃHs I\ *g48@\ ¦FJgp @ÜBT §PgJg B\FJ4<p


4,40 Poi disse loro: «Perché siete spaventati? Non avete ancora fede?».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
I\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24. L’uso di J\ con il valore di «perché?» viene
spiegato come una specie di accusativo di specificazione o di relazione («di che cosa?», «in
relazione a che?»); cf. Mc 2,7.8.24; 4,40; 5,35.39; 8,12.17; 9,16.33; 10,18; 11,3; 12,15; 14,6.
*g48@\: agg. qualificativo, nom. plur. m. da *g48`H, –Z, –`<, timido, impaurito; predicato
nominale. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mt 8,26; Mc 4,40 (hapax marciano); Ap 21,8.
Accanto al significato di «vile», «pusillanime», «meschino», nel greco classico *g48`H
compare anche nel significato di «spaventato», detto di persone e animali (cf. Erodoto, Hist.,
3,108,2).
¦FJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
@ÜBT: (da @Û e Bf), avv. di tempo, indecl., non ancora. Il vocabolo ricorre 26 volte nel NT.
La distribuzione nei vangeli è la seguente: 2 volte in Matteo (corrispondente allo 0,011% del
totale delle parole); 5 volte in Marco (cf. Mc 4,40; 8,17.21; 11,2; 13,7 = 0,044%); 1 volta in
Luca (0,005%); 11 volte in Giovanni (0,070%). La collocazione enfatica dell’avverbio
sottolinea la carenza di fede degli apostoli: con il suo «non ancora» Gesù precisa che essi
hanno fatto un cammino di sequela, ma che non sono ancora giunti alla fede piena.
§PgJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
B\FJ4<: sost., acc. sing. f. da B\FJ4H, –gTH, fede, fiducia; cf. Mc 2,5; compl. oggetto. Senza
articolo perché generica. Soltanto qui il vocabolo è presente in forma assoluta; negli altri casi
è accompagnato da un genitivo soggettivo (cf. Mc 2,5; 5,34; 10,52) o un genitivo oggettivo
(cf. Mc 11,22). Il doppio interrogativo che Gesù rivolge ai discepoli è un rimprovero e un
incoraggiamento. Attraverso la duplice interrogazione egli mette in evidenza la loro paura e
la loro assenza di fede, ma nel contempo li invita a fidarsi di lui e affidarsi a lui. Questa
fede/fiducia che Gesù richiede nei riguardi della propria persona deve resistere di fronte a tutti
338 Mc 4,41

gli attacchi delle potenze ostili. In tal modo anche la comunità cristiana è chiamata in causa.
Per essa il racconto diventa un pressante ammonimento a non perdere la fede a motivo della
propria esistenza in mezzo alle tempeste del mondo.

4,41 i" ¦n@$Zh0F"< n`$@< :X("< i" §8g(@< BDÎH •88Z8@LHs I\H –D" @âJ`H
¦FJ4< ÓJ4 i"Â Ò –<g:@H i" º hV8"FF" ßB"i@bg4 "ÛJèp
4,41 Ma essi furono presi da grande timore e si dissero l’un l’altro: «Chi è, dunque, costui
poiché sia il vento che il mare gli obbediscono?».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦n@$Zh0F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. pass. da n@$XT, mettere in fuga, scacciare,
spaventare (att.); fuggire, avere paura, temere (mediopass.). Questo verbo semideponente
ricorre 95 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 18 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,098% del totale delle parole); 12 volte in Marco (cf. Mc 4,41;
5,15.33.36; 6,20.50; 9,32; 10,32; 11,18.32; 12,12; 16,8 = 0,106%); 23 volte in Luca
(0,118%); 5 volte in Giovanni (0,032%). Il significato originario del verbo denominativo
n@$XT nella diatesi attiva è quello di «mettere in fuga», «far fuggire», «scacciare» (cf.
Omero, Il., 16,689; 20,187), mentre nella diatesi mediopassiva (n@$X@:"4) il verbo assume
il senso di «fuggire» (cf. Omero, Il., 5,498; Od., 16,163). Da questo concetto primitivo si
sono venuti a formare i significati di «spaventare», «impaurire» (attivo) e quello di «aver
paura», «essere spaventato» (mediopassivo), entrambi attestati già a partire da Omero (cf. Id.,
Il., 8,149; 11,172). In epoca post–omerica permangono i significati di «spaventare» e quello
di «spaventarsi», «temere» (cf. Erodoto, Hist., 7,235,3; Sofocle, Oed. tyr., 296; Eschilo, Sept.,
262; Senofonte, Cyr., 7,1,48; Demostene, Or., 19,81). Nell’uso marciano, quando il verbo
è riferito ai discepoli, esprime una condizione interiore di timore, causata dalla incapacità di
comprendere le azioni e l’insegnamento del Maestro (cf. Mc 4,41; 6,50; 9,32; 10,32).
n`$@<: sost., acc. sing. m. da n`$@H, –@L, paura, timore, tremore; compl. oggetto. Il vocabolo
ricorre 47 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 3 volte in Matteo (cf. Mt
14,26; 28,4.8, corrispondente allo 0,016% del totale delle parole); 1 volta in Marco (cf. Mc
4,41, hapax marciano); 7 volte in Luca (cf. Lc 1,12.65; 2,9; 5,26; 7,16; 8,37; 21,26 =
0,036%); 3 volte in Giovanni (cf. Gv 7,13; 19,38; 20,19 = 0,019%). Il sostantivo deverbale
n`$@H appartiene al gruppo lessicale formato dai verbi n@$XT e n@$X@:"4 (cf. sopra) e
dai derivati, attestati nel NT, n@$gD`H, §:n@$@H, •n`$TH, §inT$@H, ¦in@$XT,
n`$0JD@<. Il significato originale del vocabolo è quello di «fuga» (cf. Omero, Il., 8,139),
come reazione a qualche minaccia o pericolo. Da questo concetto primitivo si è formato il
significato derivato di «timore», «paura», «orrore» (cf. Omero, Il., 11,544). Anche nel greco
ellenistico ritroviamo lo stesso uso: in Giuseppe Flavio n`$@H ricorre 150 volte, spesso per
indicare lo spavento e l’orrore in guerra (cf. Id., Bellum, 1,307; 2,226.256; ecc.). Da notare
la figura etimologica (paronomasia) costruita con l’oggetto interno (¦n@$Zh0F"< n`$@<),
dovuta probabilmente a influsso semitico (infinito assoluto ebraico). Analogo fenomeno in
Mc 1,26; 3,28; 4,24; 5,42; 7,7.13; 10,38; 13,19; 14,6; 15,26.
Mc 4,41 339

:X("<: agg. indefinito, acc. sing. m. da :X("H, :g(V80, :X(", grande; cf. Mc 1,26; attributo
di n`$@<.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
§8g(@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo («dicevano», «continuavano
a dire»), ma puntuale («dissero»), corrispondente a un aoristo. Per altri esempi di questo
imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24.26.30.41;
5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70; 15,12a.14.
BD`H: prep. propria con valore locale (di persone), seguita dall’accusativo, indecl., dinanzi a,
alla presenza di, tra; cf. Mc 1,5.
•88Z8@LH: pron. reciproco, acc. plur. m. da •88Z8T< (genitivo plurale di –88@H, con
raddoppiamento), l’un l’altro, reciprocamente, a vicenda; compl. di stato in luogo. Il
vocabolo ricorre 100 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 3 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,016% del totale delle parole); 5 volte in Marco (cf. Mc 4,41;
8,16; 9,34.50; 15,31 = 0,044%); 11 volte in Luca (0,056%); 15 volte in Giovanni (0,096%).
Il vocabolo, attestato già agli inizi della letteratura greca (cf. Omero, Il., 4,62), è usato nel NT
per indicare una relazione paritaria tra persone o gruppi equiparati (due singoli individui, due
popoli, due realtà): non viene mai usato per esprimere il rapporto tra Gesù e i suoi discepoli.
I\H: pron. interrogativo, nom. sing. m. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?,
che?, quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24.
–D": cong. coordinativa di valore conclusivo, indecl., dunque, quindi, allora. Questa
congiunzione ricorre 53 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 7 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,038% del totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc 4,41;
11,13 = 0,018%); 7 volte in Luca (0,036%). L’uso neotestamentario di questa congiunzione
segue generalmente quello classico: la particella ha prevalentemente un significato
consequenziale o conclusivo, spesso all’interno di domande dirette o indirette, corrispondente
all’italiano «dunque», «così dunque», «pertanto». In alcuni casi assume il valore epesegetico
di «infatti», «effettivamente», «naturalmente» (cf. Mc 11,13) oppure quello di semplice
transizione idiomatica, corrispondente ad «allora», «poi», «e» (cf. 1Cor 15,14). Contro l’uso
classico la congiunzione non è collocata sempre al secondo posto di una proposizione, ma
può comparire (in 27 casi) anche al primo posto (cf. Mt 7,20; Lc 11,48; At 11,18; ecc.).
@âJ`H: pron. dimostrativo, nom. sing. m. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 2,7;
soggetto.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore causale, indecl., poiché, perché, siccome; cf. Mc 1,15. La
congiunzione causale ha qui un valore manifestativo: l’obbedienza del vento e del mare non
producono l’onnipotenza di Gesù (ÓJ4 causale), ma la manifestano.
i"\: cong. coordinativa di valore correlativo, indecl., e… e…; sia… sia…; non solo… ma
anche…; cf. Mc 1,4. Il significato correlativo che può assumere la congiunzione i"\ si
ritrova in Mc 4,27ab.41cd; 7,37bc; 9,13ab.22bc; 11,9ab.
340 Mc 4,41

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
–<g:@H: sost., nom. sing. m. da –<g:@H, –@L, vento; cf. Mc 4,37; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore correlativo, indecl., e… e…; sia… sia…; non solo… ma
anche…; cf. Mc 1,4. Il significato correlativo che può assumere la congiunzione i"\ si
ritrova in Mc 4,27ab.41cd; 7,37bc; 9,13ab.22bc; 11,9ab.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
hV8"FF": sost., nom. sing. f. da hV8"FF", –0H, mare; cf. Mc 1,16; soggetto.
ßB"i@bg4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da ßB"i@bT (da ßB` e •i@bT), prestare ascolto,
ascoltare un comando, obbedire, sottomettersi; cf. Mc 1,27. La mancata concordanza tra i
due soggetti (al plurale) e il verbo (al singolare) può essere spiegata con il fenomeno
conosciuto come «schema Pindarico»: si tratta di una anomalia sintattica per la quale, in
presenza di un soggetto plurale («vento», «mare»), il verbo compare al singolare.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine. L’espressione @âJ`H… "ÛJè…,
«costui… a lui…», con il raddoppiamento enfatico del pronome, è di stile semitico: il
secondo pronome dimostrativo equivale al pronome relativo nella forma ø.
Mc 5,1

5,1 5"Â µ8h@< gÆH JÎ BXD"< J­H h"8VFF0H gÆH J¬< PfD"< Jä< 'gD"F0<ä<.
5,1 Giunsero intanto all’altra riva del mare, nella regione dei Geraseni.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


µ8h@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
BXD"<: avv. di luogo, di valore sostantivato, acc. sing. n., indecl., la riva opposta, l’altra sponda;
cf. Mc 3,8; compl. di moto a luogo. Gli avverbi sostantivati sono locuzioni ellittiche in cui
viene sottinteso un sostantivo che cede il proprio articolo all’avverbio; tale sostantivo viene
facilmente ricavato dal contesto. L’espressione gÆH JÎ BXD"<, tipica di Marco, indica la parte
della costa dirimpetto a chi parla o viene menzionato (cf. Mc 4,35; 5,1.21; 6,45; 8,13).
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
h"8VFF0H: sost., gen. sing. f. da hV8"FF", –0H, mare; cf. Mc 1,16; compl. di specificazione.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
PfD"<: sost., acc. sing. f. da PfD", –"H, regione, area, territorio, paese; cf. Mc 1,5; compl. di
moto a luogo.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
'gD"F0<ä<: sost., nome proprio di popolo, gen. plur. m. da 'gD"F0<`H, –@Ø, Geraseno,
abitante di Gerasa; compl. di specificazione. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mc 5,1
(hapax marciano); Lc 8,26.37. L’antica Gerasa ('XD"F"), oggi Jerash, era la più importate
città greca della Decapoli, nella regione del Gilead, a circa 36 km a nord dell’odierna
Amman. Venne edificata nei pressi di un preesistente villaggio dell’età del Bronzo
probabilmente da Alessandro Magno. In epoca neotestamentaria la città era all’apice della
floridezza economica e urbanistica. Poiché Gerasa si trova a notevole distanza dal lago di
Genezaret (circa 60 km) la notizia riportata da Marco («Giunsero intanto all’altra riva del
mare, nella regione dei Geraseni») non sembrerebbe essere sostenibile dal punto di vista
geografico e topografico. È per questo che alcuni copisti fin dall’antichità hanno riportato la
lezione «Gadareni» (per assimilazione con Mt 8,28), in riferimento alla città di Gadara, altra
città ellenistica della Decapoli, molto più vicina al lago di Genezaret (circa 10 km). L’altra
variante, 'XD(gF", Gherghesa, testimoniataci da Origene (cf. Id., Comm. in Ioann.,
6,41,211), località molto vicina al lago, non è testualmente sostenibile. Non resta che ritenere
come autentica l’espressione marciana «dei Geraseni», la quale è lectio difficilior e dal punto
di vista di critica testuale la più antica. La spiegazione sostenuta da alcuni, secondo i quali
Marco stia qui scrivendo il suo racconto come storia di missione, senza alcuna preoccupazio-

341
342 Mc 5,2

ne geografica, non è criticamente accettabile. È assai più probabile che, non la città, ma
almeno il territorio di Gerasa arrivasse realmente fino alle sponde del lago di Genezaret.

5,2 i"Â ¦>g8h`<J@H "ÛJ@Ø ¦i J@Ø B8@\@L gÛh×H ßBZ<J0Fg< "ÛJè ¦i Jä<
:<0:g\T< –<hDTB@H ¦< B<gb:"J4 •i"hVDJås
5,2 Appena sceso dalla barca gli venne subito incontro dai sepolcri un tale posseduto da
uno spirito cattivo.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦>g8h`<J@H: verbo, gen. sing. m. part. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori,
uscire; cf. Mc 1,25. Participio al genitivo assoluto. Spesso la preposizione posta come
prefisso a un verbo composto viene ripetuta davanti al successivo complemento indiretto,
come qui; questo fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34;
5,2.13.17; 6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15;
11,2.11.15.16; 15,32; 16,5. La formula i"Â ¦>g8h`<J@H "ÛJ@Ø ¦i J@Ø B8@\@L
contrassegna la fine di una pericope e l’inizio di una nuova: è analoga a i"Â ¦>g8h`<JT<
"ÛJä< ¦i J@Ø B8@\@L (Mc 6,54).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3. La frase ¦>g8h`<J@H "ÛJ@Ø appare nella forma detta
“genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore temporale. Si tratta di un genitivo assoluto
irregolare, per la presenza del secondo pronome "ÛJè, secondo lo stile semitico: «Scenden-
do egli dalla barca… venne incontro a lui un uomo…». Il greco classico avrebbe preferito
usare un participio predicativo al caso dativo: ¦>g8h`<J4 "ÛJè ¦i J@Ø B8@\@L gÛh×H
ßBZ<J0Fg<…, «a lui che scendeva dalla barca, subito venne incontro un uomo…».
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
B8@\@L: sost., gen. sing. n. da B8@Ã@<, –@L, barca; cf. Mc 1,19; compl. di moto da luogo.
gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
ßBZ<J0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ßB"<JVT (da ßB` e una parola derivata da
•<J\), andare incontro, incontrare, accorrere, avvicinarsi. Questo verbo ricorre 10 volte nel
NT: Mt 8,28; 28,9; Mc 5,2 (hapax marciano); Lc 8,27; 14,31; Gv 4,51; 11,20.30; 12,18;
16,16. Il verbo ßB"<JVT è usato nella grecità per esprimere un moto a luogo che può essere
un generico «andare incontro», senza connotati negativi (cf. Senofonte, Cyr., 3,3,2) oppure
un «andare contro» con ostilità (cf. Senofonte, Cyr., 1,4,22).
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di moto a luogo.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
Jä<: art. determ., gen. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
:<0:g\T<: sost., gen. plur. n. da :<0:gÃ@<, –@L, sepolcro, tomba; compl. di moto da luogo.
Il vocabolo ricorre 40 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 7 volte in
Mc 5,3 343

Matteo (corrispondente allo 0,038% del totale delle parole); 8 volte in Marco (cf. Mc 5,2;
6,29; 15,46[x2]; 16,2.3.5.8 = 0,071%); 8 volte in Luca (0,041%); 16 volte in Giovanni
(0,102%). Nell’accezione originaria il sostantivo :<0:gÃ@< indica il «ricordo» come
sentimento umano (cf. Erodoto, Hist., 2,135,3; Tucidide, Hist., 2,41,4). Riferito ai defunti il
vocabolo acquista il senso concreto di «monumento funebre», «tomba» (cf. Sofocle, Elect.,
1126; Euripide, Iph. Taur., 702; Senofonte, Hell., 2,4,17). In questa pericope Marco impiega
due diversi termini per indicare il «sepolcro»: :<0:gÃ@< (v. 2) e :<­:" (vv. 3.5). Analogo
fenomeno si riscontra in Mc 7,33.35 (@ÞH, •i@Z, «orecchio») e Mc 8,23.25 (Ð::",
Ïnh"8:`H, «occhio»). Per alcuni commentatori l’uso di due termini diversi, esprimenti una
stessa denominazione all’interno di una stessa pericope, è indizio di significato figurato.
–<hDTB@H: sost., nom. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17;
soggetto. È probabile che il vocabolo sia qui usato alla maniera semitica, al posto del
pronome indefinito J\H, «uno», «qualcuno», «un certo». Questo fenomeno si riscontra in Mc
1,23; 3,1; 4,26; 5,2; 7,11; 8,27.36.37; 10,7.9; 11,2; 12,1.14; 13,34.
¦<: prep. propria di valore modale, seguita dal dativo, indecl., in; cf. Mc 1,2. Questa preposizione
è qui usata nel significato semitico corrispondente alla preposizione ebraica vA, be, di valore
assai generico.
B<gb:"J4: sost., dat. sing. n. da B<gØ:", –"J@H, alito, soffio, vento, spirito, Spirito; cf. Mc 1,8;
compl. di modo. L’espressione –<hDTB@H ¦< B<gb:"J4 •i"hVDJå è, alla lettera, quasi
intraducibile: «un uomo in spirito impuro». Si tratta di un semitismo, dove la preposizione
¦<, corrispondente alla preposizione ebraica vA, be, indica che l’uomo si trova sottomesso e
quasi «dentro» lo spirito malvagio (cf. l’analoga espressione in Rm 8,9: ß:gÃH @Ûi ¦FJ¥ ¦<
F"Di •88 ¦< B<gb:"J4, «voi non siete sotto il dominio della carne, ma dello spirito»).
Questo uso particolare della preposizione ¦< (cf. anche Mc 1,23) può essere esplicitato, in
italiano, mediante una proposizione relativa con il verbo essere, per indicare lo stato di
passività («un uomo che era sotto il dominio di uno spirito cattivo») oppure con il verbo
avere («un uomo che aveva uno spirito cattivo») o più semplicemente e direttamente «un
uomo posseduto da uno spirito cattivo».
•i"hVDJå: agg. qualificativo, dat. sing. n. da •iVh"DJ@H, –@< (da –8n" privativa e
i"h"\DT), non pulito, sporco, immondo, impuro; cf. Mc 1,23. L’espressione ¦< B<gb:"J4
•i"hVDJå, di stile semitico, è costruita con un dativus modi: questi indica le circostanze
concomitanti, il modo o la maniera nella quale si manifesta un soggetto.

5,3 ÔH J¬< i"J@\i0F4< gÉPg< ¦< J@ÃH :<Z:"F4<s i" @Û*¥ 8bFg4 @ÛiXJ4 @Û*gÂH
¦*b<"J@ "ÛJÎ< *­F"4
5,3 Costui abitava in mezzo alle tombe e nessuno riusciva più a tenerlo legato, neanche
con catene,

ÓH: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2; soggetto.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
344 Mc 5,3

i"J@\i0F4<: sost., acc. sing. f. da i"J@\i0F4H, –gTH, dimora, abitazione; compl. oggetto.
Hapax neotestamentario. Questo sostantivo deverbale è usato nella grecità nel senso di
«soggiorno», «residenza» (cf. Platone, Tim., 71b; Tucidide, Hist., 2,15,6).
gÉPg<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. Imperfetto durativo o iterativo per
indicare il protrarsi abituale di questo stato.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
:<Z:"F4<: sost., dat. plur. n. da :<­:", –"J@H, sepolcro, tomba; compl. di stato in luogo. Il
vocabolo ricorre 8 volte nel NT: Mc 5,3.5; Lc 8,27; 23,53; 24,1; At 2,29; 7,16; Ap 11,9.
Analogamente a quanto avviene per :<0:gÃ@< (cf. sopra), anche il sostantivo :<­:"
assume nella grecità il significato originario di «ricordo», inteso come sentimento e facoltà
della memoria umana (cf. Omero, Il., 23,619; Sofocle, Ai., 1210). Riferito ai defunti
equivale a «monumento funebre», «tomba» (cf. Erodoto, Hist., 7,228,3; Euripide, Suppl.,
663). In epoca neotestamentaria era piuttosto comune trovare in Palestina tombe scavate
nella roccia o addirittura piccole grotte trasformate in tombe, le quali potevano servire da
rifugio alla gente indigente o a occasionali raminghi (cf. Is 65,4). Un parallelo linguistico e
simbolico tra questo disperato e il mondo del paganesimo che esso rappresenta può essere
rintracciato in Isaia 65,4, dove il profeta, riferendo il castigo che Dio riserva agli infedeli, li
descrive come coloro che «abitano nei sepolcri, passano la notte nei nascondigli, mangiano
carne suina e cibi immondi nei loro piatti». Secondo la letteratura rabbinica abitare nei
cimiteri era uno dei segni di pazzia, assieme all’andare in giro di notte e a strapparsi i vestiti
(cf. Strack–Bill., I,491–492).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Û*X: avv. di negazione di valore oggettivo, indecl., né, non, neanche, nemmeno; cf. Mc 4,22.
8bFg4: sost., dat. sing. f. da ž8LF4H, –gTH, catena, ceppo; compl. di mezzo. Il vocabolo
ricorre 11 volte nel NT: Mc 5,3.4[x2]; Lc 8,29; At 12,6.7; 21,33; 28,20; Ef 6,20; 2Tm 1,16;
Ap 20,1. In senso letterale proprio il sostantivo ž8LF4H indica nella grecità la catena di ferro
(cf. Erodoto, Hist., 9,74,1; Euripide, Or., 983; Tucidide, Hist., 2,76,4).
@ÛiXJ4: (da @Û e §J4), avv. di tempo, indecl., mai, non più, non oltre. Il vocabolo ricorre 47
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 2 volte in Matteo (corrispondente
allo 0,011% del totale delle parole); 7 volte in Marco (cf. Mc 5,3; 7,12; 9,8; 10,8; 12,34;
14,25; 15,5 = 0,062%); 3 volte in Luca (0,015%); 12 volte in Giovanni (0,077%).
@Û*g\H: (da @Û*X e gÍH), pron. indefinito negativo, nom. sing. m. da @Û*g\H, @Û*g:\", @Û*X<,
nessuno, niente; cf. Mc 2,21; soggetto. La triplice negazione @Û*X… @ÛiXJ4… @Û*g\H…,
diversamente da quanto avviene nella lingua latina, sottolinea enfaticamente l’impossibilità
di calmare questo energumeno.
¦*b<"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da *b<":"4, potere, essere capace di, essere in
grado di; cf. Mc 1,40. Imperfetto durativo o iterativo per indicare i vani e inutili tentativi
messi in atto per legare l’indemoniato.
Mc 5,4 345

"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
*­F"4: verbo, inf. aor. da *XT, legare, assicurare, incatenare; cf. Mc 3,27.

5,4 *4 JÎ "ÛJÎ< B@88Vi4H BX*"4H i" 8bFgF4< *g*XFh"4 i" *4gFBVFh"4 ßBz
"ÛJ@Ø JH 8bFg4H i" JH BX*"H FL<JgJDÃnh"4s i" @Û*gÂH ÇFPLg< "ÛJÎ<
*":VF"4·
5,4 perché più volte era stato legato con ceppi di ferro e catene, ma aveva sempre
spezzato da solo le catene e rotto i ceppi. Nessuno riusciva più a domarlo.

*4V: prep. propria di valore causale, seguita dall’accusativo, indecl., a causa di, a motivo di, per;
cf. Mc 2,1.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; soggetto della proposizione oggettiva costruita con
l’infinito *g*XFh"4.
B@88Vi4H: avv. di tempo, indecl., spesso, sovente, più volte. Il vocabolo ricorre 18 volte nel
NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 17,15[x2]; Mc 5,4; 9,22; Gv 18,2.
BX*"4H: sost., dat. plur. f. da BX*0, –0H, catena, ceppo; compl. di mezzo. Il vocabolo ricorre
3 volte nel NT: Mc 5,4[x2]; Lc 8,29. Il sostantivo BX*0 viene usato nella grecità nel
significato proprio di «catena per i piedi», ossia «ceppi», sia per animali (cf. Omero, Il.,
13,36) sia per uomini (cf. Eschilo, Prom., 6; Erodoto, Hist., 5,77,3; Aristofane, Ves., 435).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8bFgF4<: sost., dat. plur. f. da ž8LF4H, –gTH, catena, ceppo; cf. Mc 5,3; compl. di mezzo. I
due vocaboli BX*"4H e 8bFgF4< sono senza articolo perché sovente nella grecità i
sostantivi coordinati tra loro per formare una endiadi di senso determinato sono senza
articolo, come avviene nel nostro caso: BX*"4H i" 8bFgF4<.
*g*XFh"4: verbo, inf. perf. pass. da *XT, legare, assicurare, incatenare; cf. Mc 3,27. Infinito
con valore sostantivato retto da *4V.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
*4gFBVFh"4: verbo, inf. perf. medio da *4"FBVT (da *4V e FBV@:"4), strappare, spezzare,
fare a pezzi, rompere. Questo verbo ricorre 2 volte nel NT: Mc 5,4 (hapax marciano); At
23,10. Infinito con valore sostantivato retto da *4V. Sia nella diatesi attiva che media il verbo
*4"FBVT esprime nel greco classico l’azione violenta di chi divide qualcosa ed equivale a
«separare con forza» (cf. Senofonte, Cyr., 6,1,45; Erodoto, Hist., 3,13,2; Euripide, Hec.,
1126; Aristofane, Ranae, 477), da cui «rompere», «strappare» (cf. Senofonte, Hell., 4,4,10;
Polibio, Hist., 6,55,1).
ßBz: (= ßB`), prep. propria con valore d’agente, seguita dal genitivo, indecl., da, da parte di;
cf. Mc 1,5.
346 Mc 5,5

"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di agente.
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
8bFg4H: sost., acc. plur. f. da ž8LF4H, –gTH, catena, ceppo; cf. Mc 5,3; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
BX*"H: sost., acc. plur. f. da BX*0, –0H, catena, ceppo; cf. Mc 5,4; compl. oggetto.
FL<JgJDÃnh"4: verbo, inf. perf. pass. da FL<JD\$T (da Fb< e la radice di JD\$@H), rompere,
lacerare, fracassare, spezzare. Questo verbo ricorre 7 volte nel NT: Mt 12,20; Mc 5,4; 14,3;
Lc 9,39; Gv 19,36; Rm 16,20; Ap 2,27. Infinito con valore sostantivato retto da *4V.
Attestato a partire dal V secolo a.C., il verbo FL<JD\$T ha il significato base di «triturare»,
«stritolare», da cui deriva quello di «spezzare», «distruggere», in senso sia letterale proprio
sia traslato (cf. Senofonte, Hell., 3,4,14; Diodoro Siculo, Bibl., 12,28,2; 15,86,2). Nelle due
ricorrenze marciane il verbo è impiegato in senso proprio.
i"\: cong. coordinativa di valore consecutivo, indecl., sicché, cosicché, che; cf. Mc 1,4. La
congiunzione assume qui una sfumatura consecutiva: «…sicché nessuno riusciva a
domarlo». Il significato consecutivo che può assumere la congiunzione i"\ (= i"\
consecutivum) si ritrova in Mc 1,17b.27c; 5,4d; 9,5b; 10,21c; 14,62a.
@Û*g\H: (da @Û*X e gÍH), pron. indefinito negativo, nom. sing. m. da @Û*g\H, @Û*g:\", @Û*X<,
nessuno, niente; cf. Mc 2,21; soggetto.
ÇFPLg<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da ÆFPbT, essere forte, essere robusto, essere in
buona salute, stare bene, avere forza; cf. Mc 2,17.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
*":VF"4: verbo, inf. aor. da *":V.T, addomesticare, domare, frenare, reprimere. Questo
verbo ricorre 4 volte nel NT: Mc 5,4 (hapax marciano); Gc 3,7[x2].8. Il verbo *":V.T
viene usato nel greco classico con il significato di «sottomettere», «domare», detto sia di
uomini che di animali (cf. Omero, Il., 16,845; Od., 9,59; Erodoto, Hist., 5,77,4; Senofonte,
Mem., 4,3,10). Usato in Gc 3,7[x2] per gli animali selvatici che devono essere domati o
addomesticati, il verbo esprime molto bene la vitalità quasi animalesca di questo esagitato che
nessuno riesce a frenare.

5,5 i" *4 B"<JÎH <LiJÎH i" º:XD"H ¦< J@ÃH :<Z:"F4< i" ¦< J@ÃH ÐDgF4< µ<
iDV.T< i"Â i"J"i`BJT< ©"LJÎ< 8\h@4H.
5,5 Continuamente, notte e giorno, tra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con
pietre.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


*4V: prep. propria di valore temporale, seguita dal genitivo, indecl., durante, per, dopo, al
termine di; cf. Mc 2,1.
Mc 5,5 347

B"<J`H: agg. indefinito, gen. sing. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; attributo del sostantivo sottinteso PD`<@L.
<LiJ`H: sost., gen. sing. f. da <b>, <LiJ`H, notte; cf. Mc 4,27; compl. di tempo determinato.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
º:XD"H: sost., gen. sing. f. da º:XD", –"H, giorno; cf. Mc 1,9; compl. di tempo determinato.
L’espressione <LiJÎH i"Â º:XD"H, analogamente alla forma accusativa <biJ" i"Â
º:XD"< (cf. Mc 4,27), è di stile semitico, per indicare il giorno completo: in Palestina la
giornata inizia alla sera e termina il pomeriggio seguente. Qui ha il valore continuativo di una
situazione temporale che si protrae incessantemente, corrispondente al nostro «giorno e
notte».
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
:<Z:"F4<: sost., dat. plur. n. da :<­:", –"J@H, sepolcro, tomba; compl. di moto per luogo;
cf. Mc 5,3.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
ÐDgF4<: sost., dat. plur. n. da ÐD@H, –@LH, montagna, monte; cf. Mc 3,13; compl. di stato in
luogo.
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
iDV.T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da iDV.T, gridare, strillare, schiamazzare; cf. Mc
3,11. Participio predicativo del soggetto sottinteso –<hDTB@H ¦< B<gb:"J4 •i"hVDJå.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
i"J"i`BJT<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da i"J"i`BJT (da i"JV e i`BJT), tagliare,
lacerare, colpire, ferire. Hapax neotestamentario. Participio predicativo del soggetto
sottinteso –<hDTB@H ¦< B<gb:"J4 •i"hVDJå. Nel greco classico il verbo i"J"i`BJT
viene impiegato nel significato fondamentale di «fare a pezzi», «rompere», «distruggere» (cf.
Erodoto, Hist., 1,48,2; Polibio, Hist., 5,25,3). Grammaticalmente le due forme verbali
iDV.T< i"Â i"J"i`BJT< possono essere intese anche come rette da µ< in costruzione
perifrastica («era solito gridare e percuotersi»), al posto dell’usuale imperfetto «gridava e si
percuoteva». Sembra però preferibile intenderle come due participi predicativi del soggetto
–<hDTB@H ¦< B<gb:"J4 •i"hVDJå (v. 2), per completare o precisare il senso del verbo
principale: «stava sui monti, gridando e percuotendosi».
©"LJ`<: pron. riflessivo, acc. sing. m. da ©"LJ@Ø, –­H, –@Ø (non usato al nominativo), lui, lui
stesso, esso; cf. Mc 1,27; compl. oggetto.
8\h@4H: sost., dat. plur. m. da 8\h@H, –@L, pietra, sasso; compl. di mezzo. Il vocabolo ricorre
59 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 11 volte in Matteo (corrisponden-
348 Mc 5,6

te allo 0,060% del totale delle parole); 8 volte in Marco (cf. Mc 5,5; 12,10; 13,1.2[x2]; 15,46;
16,3.4 = 0,071%); 14 volte in Luca (0,072%); 7 volte in Giovanni (0,045%). Senza articolo
perché generico. Nel NT il termine 8\h@H (sempre maschile, secondo l’uso linguistico della
Koiné) può riferirsi in senso proprio sia alla piccola pietra che si può tenere in mano (cf. Mc
5,5) sia alla imponente pietra circolare, pesante vari quintali, che chiudeva l’entrata dei
sepolcri (cf. Mc 15,46) sia alle enormi pietre squadrate che costituivano le sostruzioni
dell’antico Tempio di Gerusalemme (cf. Mc 13,1). Per quanto riguarda l’uso traslato e
teologico cf. Mc 12,10.

5,6 i" Æ*ã< JÎ< z30F@Ø< •BÎ :"iD`hg< §*D":g< i" BD@Fgib<0Fg< "ÛJè
5,6 Appena vide Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi,

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Æ*f<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc 1,10.
Participio predicativo del soggetto sottinteso –<hDTB@H ¦< B<gb:"J4 •i"hVDJå. Marco
usa spesso il participio con un significato temporale (cf. Mc 2,5.16; 5,6.22; 6,48.49; 7,2; 8,33;
9,20.25; 10,14; 12,34; 14,67.69; 15,39).
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
z30F@Ø<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
compl. oggetto.
•B`: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da; cf. Mc
1,9. Uso pleonastico di •B`, come avviene altrove (cf. Mc 8,3; 11,13; 14,54; 15,40).
:"iD`hg<: avv. di luogo, indecl., da lontano, in lontananza. Il vocabolo ricorre 14 volte nel
NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 26,58; 27,55; Mc 5,6; 8,3; 11,13; 14,54;
15,40; Lc 16,23; 18,13; 22,54; 23,49.
§*D":g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da JDXPT, correre. Questo verbo ricorre 20 volte nel
NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 27,48; 28,8; Mc 5,6; 15,36; Lc 15,20;
24,12; Gv 20,2.4. A partire da Omero JDXPT è impiegato nel significato di «correre» in
senso proprio, per indicare la corsa di un uomo (cf. Omero, Od., 23,207) o quella di un
animale (cf. Omero, Il., 23,392). Gli stessi significati ritroviamo nei LXX, dove il verbo è
impiegato per descrivere il correre di uomini (cf. Gn 18,7) e quello di animali (cf. Ger 12,5).
Nelle ricorrenze sinottiche prevale questo senso letterale proprio, mentre negli altri scritti
neotestamentari JDXPT è presente in senso traslato.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BD@Fgib<0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da BD@FiL<XT (da BD`H e una probabile parola
derivata da ibT<), prostrarsi, inchinarsi, inginocchiarsi. Questo verbo ricorre 60 volte nel
NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 13 volte in Matteo (corrispondente allo
0,071% del totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc 5,6; 15,19 = 0,018%); 3 volte in
Luca (0,015%); 11 volte in Giovanni (0,070%). Nell’uso linguistico classico e biblico
BD@FiL<XT indica sia il gesto di omaggio e sudditanza (= BD@Fib<gF4H) che l’inferiore
faceva nei riguardi del suo superiore (cf. Erodoto, Hist., 1,134,1; Filone di Alessandria,
Mc 5,7 349

Legat., 116; Giuseppe Flavio, Bellum, 1,621; Gn 23,7; 27,29; 1Sam 24,9; 1Sam 24,9; Est
3,2, ecc.), sia il gesto di prostrazione e adorazione in ambito religioso (agli idoli, alle statue
degli dèi, all’imperatore, ecc.). Nel NT viene sempre mantenuta l’accezione religiosa di
BD@FiL<XT, nel senso che il verbo è utilizzato per indicare l’atto rivolto a qualcosa di
divino o di presunto tale.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.

5,7 i"Â iDV>"H nT<± :g(V8® 8X(g4s I\ ¦:@Â i"Â F@\s z30F@Ø LÊ¥ J@Ø hg@Ø J@Ø
ßR\FJ@Lp ÒDi\.T Fg JÎ< hg`<s :Z :g $"F"<\F®H.
5,7 e urlando a gran voce disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio Altissimo? Ti
scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


iDV>"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da iDV.T, gridare, strillare, schiamazzare; cf. Mc
3,11. Participio predicativo del soggetto sottinteso –<hDTB@H ¦< B<gb:"J4 •i"hVDJå.
nT<±: sost., dat. sing. f. da nT<Z, –­H, voce, suono, discorso; cf. Mc 1,3; compl. di modo.
Nella grecità un sostantivo astratto, indicante natura o qualità, solitamente non richiede
l’articolo.
:g(V8®: agg. indefinito, dat. sing. f. da :X("H, :g(V80, :X(", grande; cf. Mc 1,26; attributo
di nT<±.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
I\: pron. interrogativo, nom. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?,
che?, quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24.
¦:@\: pron. personale di 1a pers. dat. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; compl. di termine. La forma ¦:@\ ricorre 95 volte nel NT rispetto alle 2583
ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 7 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,038% del totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc 5,7;
14,6 = 0,018%); 6 volte in Luca (0,031%); 29 volte in Giovanni (0,185%).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
F@\: pron. personale di 2a pers. dat. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,11; compl. di termine. Il predicato verbale ¦FJ4< è sottinteso. Per il significato della
formula semitica J\ ¦:@Â i"Â F@\ vedi commento a Mc 1,24.
z30F@Ø: sost., nome proprio di persona, voc. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
compl. di vocazione.
LÊX: sost., voc. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; apposizione di z30F@Ø.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione.
350 Mc 5,7

J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
ßR\FJ@L: agg. qualificativo, di grado superlativo, gen. sing. m. da àR4FJ@H, –0, –@<, più alto,
altissimo, sommo; attributo di hg@Ø. Il vocabolo ricorre 13 volte nel NT: Mt 21,9; Mc 5,7;
11,10; Lc 1,32.35.76; 2,14; 6,35; 8,28; 19,38; At 7,48; 16,17; Eb 7,1. L’aggettivo àR4FJ@H
è propriamente un superlativo derivato dall’avverbio àR4. Nel greco classico è impiegato nel
senso letterale proprio di «altissimo», detto di luoghi (cf. Eschilo, Prom., 720) o in quello
figurato di «eccelso» (cf. Pindaro, Pyth., 1,100; Eschilo, Suppl., 479). Come epiteto
sostantivato è applicato talvolta a Zeus, definito «l’Eccelso», «il Supremo» (cf. Pindaro, Nem.,
1,60; Sofocle, Phil., 1289). L’espressione hgÎH àR4FJ@H è usata nei LXX per tradurre
6
l’ebraico 0|*-A3G -!
F , ’El ‘Elyôn, «Dio Altissimo» (cf. Gn 14,18.19.20.22; Gdt 13,18; Sal 7,18;
Is 14,14; Dn 3,93.99; 5,18.21; Mic 6,6), indicato anche nella forma assoluta 0|*-A3G, ‘Elyôn
«l’Altissimo» (cf. Nm 24,16; Dt 32,8; 2Sam 22,14; Sal 9,3; 18,14; Dn 4,13.21.22.29), in
riferimento al Dio che abita il cielo, oltre le stelle. Si tratta della comune, antica designazione
semitica (cananea) della divinità più importante che fu fatta propria da Israele per designare
Yhwh. Anche nell’antica Siria e Palestina l’appellativo 0|*-E3G, ‘Eliyôn, è spesso riferito a
divinità semitiche locali (cf. At 16,17 dove indica «l’Altissimo» di un culto sincretistico). Dai
Giudei della diaspora l’espressione hgÎH àR4FJ@H venne regolarmente usata per indicare
Yhwh (cf. l’iscrizione dedicatoria della sinagoga di Athribis, in OGIS, 96). L’espressione si
ritrova anche in Giuseppe Flavio (cf. Id., Antiq., 16,163) e in Filone di Alessandria (cf. Id.,
Legat., 278; 317). L’uso linguistico dei LXX continua nel NT dove àR4FJ@H ricorre 9 volte
su 13 come designazione di Dio, sia in forma assoluta («l’Altissimo», cf. Lc 1,32.35.76; 6,35;
At 7,48) sia come attributo di hg`H (cf. Mc 5,7; Lc 8,28; At 16,17; Eb 7,1). Nelle restanti
4 ricorrenze àR4FJ@H è usato come perifrasi per indicare lo spazio celeste più alto, luogo
della divinità (cf. Mc 11,10).
ÒDi\.T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da ÒDi\.T, scongiurare, implorare. Questo verbo
ricorre 2 volte nel NT: Mc 5,7 (hapax marciano); At 19,13. Oltre al generico uso equivalente
a «far giurare» (cf. Senofonte, Symp., 4,10), il verbo ellenistico ÒDi\.T è particolarmente
impiegato come verbo degli esorcismi (lat. adiuro), attestato anche nelle formule ellenistiche
per l’esorcismo dei demoni che si trovano nei papiri magici; è costruito con il doppio
accusativo: della persona scongiurata (Fg) e di quella invocata per lo scongiuro (hg`<).
Fg: pron. personale di 2a pers. acc. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,24; compl. oggetto.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
hg`<: sost., acc. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. oggetto.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,40; compl. oggetto.
$"F"<\F®H: verbo, 2a pers. sing. congiunt. aor. da $"F"<\.T, provare, saggiare, opprimere,
tormentare, torturare. Questo verbo ricorre 12 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è
la seguente: Mt 8,6.29; 14,24; Mc 5,7; 6,48; Lc 8,28. Il verbo $"F"<\.T assume nel greco
classico due accezioni fondamentali: a) può indicare il generico «provare», «saggiare»,
Mc 5,8–9 351

«esaminare», detto di persone o cose (cf. Erodoto, Hist., 1,116,2; Platone, Symp., 184a); b)
come forma intensiva, nella diatesi sia attiva che passiva, può equivalere a «sottoporre a
tortura» (cf. Aristofane, Ranae, 616; Tucidide, Hist., 7,86,4). Nel NT il verbo ha sempre il
valore negativo di «tormentare», potendo indicare l’oppressione o la sofferenza per un dolore
fisico (cf. Mt 8,6) oppure il tormento interiore dell’anima (cf. 2Pt 2,8), spesso in contesto
escatologico, in riferimento alla punizione eterna (cf. Ap 20,10).

5,8 §8g(g< (D "ÛJès }+>g8hg JÎ B<gØ:" JÎ •iVh"DJ@< ¦i J@Ø •<hDfB@L.


5,8 Gli aveva infatti detto: «Esci, spirito cattivo, da quest’uomo!».

§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Non si tratta di un imperfetto descrittivo o iterativo: il verbo è usato con valore
di piuccheperfetto (cf. anche Mc 6,18; 9,13): «aveva detto» (cf. passo parallelo di Lc 8,29),
qui nel senso semitico di «aveva comandato/intimato».
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
}+>g8hg: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori,
uscire; cf. Mc 1,25.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
B<gØ:": sost., nom. sing. n. da B<gØ:", –"J@H, alito, soffio, vento, spirito, Spirito; cf. Mc 1,8;
compl. di vocazione. Anche se già nel greco classico il nominativo è attestato come forma
vocativa nei confronti di subalterni, l’uso del nominativo con l’articolo al posto del vocativo
è un semitismo, poiché in ebraico e aramaico il caso vocativo è reso dal nominativo con
l’articolo. Questo fenomeno è presente in Mc 5,8.41; 9,25; 14,36; 15,34[x2].
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
•iVh"DJ@<: agg. qualificativo, nom. sing. n. da •iVh"DJ@H, –@< (da –8n" privativa e
i"h"\DT), non pulito, sporco, immondo, impuro; cf. Mc 1,23; attributo di B<gØ:" in
posizione enfatica.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1. Esempio di articolo individuante,
analogamente a Mc 3,5; 7,5.
•<hDfB@L: sost., gen. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di moto da luogo.

5,9 i"Â ¦B0DfJ" "ÛJ`<s I\ Ð<@:V F@4p i"Â 8X(g4 "ÛJès 7g(4ã< Ð<@:V :@4s ÓJ4
B@88@\ ¦F:g<.
5,9 E gli domandò: «Come ti chiami?». Quello rispose: «Mi chiamo Legione, perché
siamo in molti».
352 Mc 5,9

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦B0DfJ": verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da ¦BgDTJVT (da ¦B\ e ¦DTJVT), richiedere,
domandare, interrogare. Questo verbo ricorre 56 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli
è la seguente: 8 volte in Matteo (corrispondente allo 0,044% del totale delle parole); 25 volte
in Marco (cf. Mc 5,9; 7,5.17; 8,23.27.29; 9,11.16.21.28. 32. 33; 10,2.10.17; 11,29; 12,18.28.3
4; 13,3; 14,60.61; 15,2.4.44 = 0,221%); 17 volte in Luca (0,087%); 2 volte in Giovanni
(0,013%). Questo verbo, analogo al sinonimo ¦DTJVT (cf. Mc 4,10), è frequentemente usato
da Marco per chiedere un’informazione, indagare su un aspetto, porre questioni da esaminare
o formulare una domanda diretta che attende una risposta immediata. L’imperfetto non ha
qui il consueto valore iterativo («domandava», «continuava a domandare»), ma puntuale,
corrispondente a un aoristo («domandò»): nel greco classico come in quello ellenistico i
cosiddetti verba dicendi, rogandi, exhortandi, iubendi, tra i quali ¦BgDTJVT, ¦DTJVT,
8X(T, ecc., preferiscono la forma dell’azione incompiuta (ossia il tempo imperfetto), poiché
l’azione che esprimono attende sempre di essere completata da quella indicata dal verbo
successivo. Per altri esempi di questo imperfetto puntuale con il verbo ¦BgDTJVT cf. Mc
5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33; 10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; per quanto riguarda
l’imperfetto puntuale con ¦DTJVT cf. Mc 4,10; 8,5; con 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23;
4,2.9.11.21.24.26.30.41; 5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28;
12,35.38; 14,70; 15,12a.14.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
I\: agg. interrogativo, nom. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24.
Ð<@:V: sost., nom. sing. n. da Ð<@:", –:"J@H, nome; cf. Mc 3,16; soggetto. Nella antica
mentalità, non soltanto giudaica, conoscere il nome di qualcuno, nel nostro caso dello spirito
cattivo, significava dominare su di lui (vedi commento a Mc 3,16). Un interessante parallelo
con il nostro brano si ritrova nel Testamento di Salomone, un apocrifo risalente all’inizio del
III sec. d.C., dove Salomone chiede a un demonio il suo nome e ottiene questa riposta: ¦<
gÇBT F@4 JÎ Ð<@:" @Ûi ¦:"LJÎ< *gF:gbT :`<@< •88 i" JÎ< ßBz ¦:¥ 8g(gä<"
Jä< *"4:`<T<, «Se ti dico il mio nome metto in catene non soltanto me stesso, ma anche
la legione dei demoni sotto di me» (Test. Salom., 40,9–10). Anche se questo scritto può
essere stato influenzato da Marco esso rispecchia una mentalità e una prassi esorcistica
ampiamente condivisa nell’antichità.
F@4: pron. personale di 2a pers. dat. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,11. L’espressione J\ Ð<@:V F@4, lett. «quale nome [è] a te?», è la forma classica
mediante la quale si chiede il nome di un interlocutore (cf. Gdc 13,17; Eusebio di Cesarea,
Introd., 18,18; J\ F@L JÎ Ð<@:"p Test. Salom., 40,6; cf. anche Ateneo Sofista, Deipn.,
11,41,20: Ð<@:V F@4 J\ hf:gh"p, «Come dobbiamo chiamarti?»), domanda che, in italiano,
è resa con altra formulazione («come ti chiami?»). Alcune lingue moderne esprimono la
richiesta con l’analoga espressione greca, come, ad esempio, l’inglese: «what is your name?».
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Mc 5,10 353

8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
7g(4f<: sost., nom. sing. f. da 8g(4f<, –ä<@H, legione; soggetto. Il vocabolo ricorre 4 volte
nel NT: Mt 26,53; Mc 5,9.15; Lc 8,30. Traslitterazione grecizzata della parola di origine
latina legio. Non si tratta di un vero e proprio latinismo: a seguito della conquista romana
anche nell’area del vicino Oriente erano passati nell’uso greco e aramaico termini
amministrativi e militari latini, tra cui legio, attestato anche in autori greci nella forma
8g(gf< (cf. Plutarco, Romul., 13,1,4; Diodoro Siculo, Bibl., 26,5,1) e nei papiri (cf. P.Oxy.,
II,275,9). Nella letteratura latina il termine «legione», in senso tecnico, indica la più grande
unità dell’esercito romano, costituita di un numero variabile di fanti (da 4200 a 6000) e da
un gruppo di cavalieri (cf. Ennio, Ann., 343; Giulio Cesare, Bell. Gall., 5,53,3; Livio, Ann.,
22,57; Tacito, Hist., 2,43). Nel I secolo d.C. l’effettivo di una legione era formato da 5600
soldati, divisi in 10 cohortes, di 5 o 6 centuriae. Il comandante di una legione era il legatus
legionis, affiancato da 6 tribuni militum e da 60 centuriones. Le singole legioni erano
numerate e avevano un nome di riconoscimento e una insegna. Nella Palestina del I secolo
d.C. il ruolo militare più importante era affidato alla Legio X, detta Fretensis, il cui emblema
era il cinghiale. Nel NT, tuttavia, il vocabolo 8g(4f< non è mai usato in questo senso
tecnico, per indicare l’unità militare dell’esercito romano, ma soltanto per descrivere le forze
organizzate dei demoni, paragonate, metaforicamente, alle legioni romane.
Ð<@:V: sost., nom. sing. n. da Ð<@:", –:"J@H, nome; cf. Mc 3,16; predicato nominale.
:@4: pron. personale di 1a pers. dat. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 2,14.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore causale, indecl., poiché, perché, siccome; cf. Mc 1,15.
B@88@\: agg. indefinito, nom. plur. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; predicato nominale.
¦F:g<: verbo, 1a pers. plur. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.

5,10 i" B"DgiV8g4 "ÛJÎ< B@88 Ë<" :¬ "ÛJ •B@FJg\8® §>T J­H PfD"H.
5,10 E lo supplicava con insistenza di non cacciarli fuori dalla regione.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


B"DgiV8g4: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da B"D"i"8XT (da B"DV e i"8XT), chiamare
accanto, invocare, implorare, supplicare; cf. Mc 1,40. Imperfetto durativo o iterativo per
indicare il protrarsi di questa richiesta.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
354 Mc 5,11

B@88V: agg. indefinito, acc. plur. n. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34. La forma B@88V è qui usata in modo avverbiale («molto», «con insistenza»,
«intensamente») e non quantitativo («molte cose»). Si tratta di una caratteristica di Marco (cf.
Mc 1,45; 3,12; 5,10.23.26.38.43; 6,20.23; 8,31; 9,12.26; 15,3).
Ë<": cong. subordinativa di valore completivo, indecl., di, che; cf. Mc 1,38. La congiunzione Ë<"
non ha qui il consueto valore finale, ma quello completivo (equivalente a ÓJ4 o ÓBTH): in
pratica introduce una proposizione infinitiva (cf. Mc 3,9a.12; 4,22a; 5,10.18.43; 6,8.12.25.56;
7,26.32.36; 8,22.30; 9,9.12.18.30; 10,35.37; 11,16; 13,34; 15,21).
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
"ÛJV: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. n. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; compl. oggetto. La forma "ÛJV ricorre 57 volte nel NT rispetto
alle 5600 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 13
volte in Matteo (corrispondente allo 0,071% del totale delle parole); 6 volte in Marco (cf. Mc
5,10; 8,7; 10,14.16[x2]; 15,24 = 0,053%); 10 volte in Luca (0,051%); 9 volte in Giovanni
(0,058%). Doppia costruzione ad sensum: il pronome non concorda né in genere né in
numero con il termine di riferimento (soggetto implicito di 3a pers. singolare).
•B@FJg\8®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da •B@FJX88T (•B` e FJX88@:"4), inviare,
mandare; cf. Mc 1,2.
§>T: prep. impropria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., fuori da, al di fuori di,
esternamente a, all’esterno di; cf. Mc 1,45.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
PfD"H: sost., gen. sing. f. da PfD", –"H, regione, area, territorio, paese; cf. Mc 1,5; compl. di
moto da luogo.

5,11 ‚/< *¥ ¦igà BDÎH Jè ÐDg4 •(X80 P@\DT< :g(V80 $@Fi@:X<0·


5,11 C’era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo.

‚/<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf.
Mc 1,6. Predicato verbale.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
¦igÃ: avv. di luogo, indecl., là, lì, in quel posto; cf. Mc 1,38.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., a, in, presso, vicino a; cf. Mc
1,5. L’uso di BD`H seguito dal dativo, in senso locale, è molto raro nel NT (cf. Mc 5,11; Lc
19,37; Gv 18,16; 20,11; 12,12; Ap 1,13).
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ÐDg4: sost., dat. sing. n. da ÐD@H, –@LH, montagna, monte; cf. Mc 3,13; compl. di stato in luogo.
•(X80: sost., nom. sing. f. da •(X80, –0H, gregge, branco, mandria; soggetto. Il vocabolo
ricorre 7 volte nel NT: Mt 8,30.31.32; Mc 5,11.13; Lc 8,32.33. Senza articolo perché ancora
non menzionato. Nella greco classico il vocabolo è usato per un gruppo di bovini (cf. Omero,
Il., 11,678), di cavalli (cf. Omero, Il., 19,281), di maiali (cf. Esiodo, Sc., 168), di uccelli (cf.
Mc 5,12 355

Sofocle, Ai., 168), di pesci (cf. Oppiano di Anazarbo, Hal., 3,639), di persone (cf. Pindaro,
Frag., 112). Nel giudaismo ellenistico il termine è usato anche per gli ovini (cf. 1Sam 17,34;
24,4; Prv 27,23; Ct 1,7; 4,1.2; 6,5.6) e le persone (cf. 4Mac., 5,4).
P@\DT<: sost., gen. plur. m. da P@ÃD@H, –@L, porco, maiale; compl. di specificazione. Il
vocabolo ricorre 12 volte nel NT: Mt 7,6; 8,30.31.32; Mc 5,11.12.13.16; Lc 8,32.33;
15,15.16. Senza articolo per assimilazione con il nome reggente, privo anch’esso di articolo.
Il particolare dei «maiali» (termine attestato già da Omero: Od., 14,73) è una conferma che
ci troviamo in territorio pagano. La legislazione contenuta in Lv 11,7 e Dt 14,8 proibiva agli
Ebrei di mangiare carne di maiale (cf. anche Is 65,4.17; 2Mac 6,18; 7,1; cf. anche
Strack–Bill., I,492ss.). Uno stesso divieto osservavano gli Arabi preislamici, i Fenici, gli
Egiziani e gli Etiopi. La carne di maiale era considerata dagli Ebrei simbolo di impurità e
sporcizia e come tale non poteva essere usata come offerta sacrificale (cf. Is 66,3; 1Mac
1,47). Secondo la legislazione rabbinica l’attività di allevare e badare i porci è vietata a un
Giudeo, sotto pena di maledizione: «Non si possono allevare maiali in nessun luogo [della
terra d’Israele]» (m.Baba Qam., 7,7; m.Ned., 3,4; cf. anche Lc 15,11–32). Antioco Epifane
obbligò i Giudei a sacrificare e a mangiare carne di maiale come segno della loro apostasia
dalla fede nei loro padri (cf. 1Mac 1,47.50).
:g(V80: agg. indefinito, nom. sing. f. da :X("H, :g(V80, :X(", grande; cf. Mc 1,26;
attributo di •(X80.
$@Fi@:X<0: verbo, nom. sing. f. part. pres. da $`FiT, pascolare. Questo verbo ricorre 9 volte
nel NT: Mt 8,30.33; Mc 5,11.14; Lc 8,32.34; 15,15; Gv 21,15.17. Participio predicativo del
soggetto •(X80. Nel greco classico il verbo $`FiT è generalmente usato nella diatesi attiva
transitiva con il significato di «condurre al pascolo» (cf. Omero, Il., 15,548; Od., 14,102). Nel
NT il verbo è usato in forma sia transitiva (pascolare un gregge, una mandria: Lc 15,15; Gv
21,15) oppure, come qui, intransitiva (il pascolare del gregge).

5,12 i" B"DgiV8gF"< "ÛJÎ< 8X(@<JgHs AX:R@< º:H gÆH J@×H P@\D@LHs Ë<" gÆH
"ÛJ@×H gÆFX8hT:g<.
5,12 Ed essi lo supplicarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


B"DgiV8gF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da B"D"i"8XT (da B"DV e i"8XT), chiamare
accanto, invocare, implorare, supplicare; cf. Mc 1,40. Il soggetto sottinteso è B<gb:"J" del
v. 13.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
8X(@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso B<gb:"J" (v.
13).
AX:R@<: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da BX:BT, mandare, inviare, spedire. Questo verbo
ricorre 79 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 4 volte in Matteo
356 Mc 5,13

(corrispondente allo 0,022% del totale delle parole); 1 volta in Marco (cf. Mc 5,12, hapax
marciano); 10 volte in Luca (0,051%); 32 volte in Giovanni (0,205%). Il verbo BX:BT è qui
usato nella sua accezione generica e originaria di «mandare», come avviene nel greco classico
(cf. Omero, Il., 3,116; Od., 4,5).
º:H: pron. personale di 1a pers. acc. plur. da º:gÃH (gen. º:ä<, dat. º:Ã<, acc. º:H), noi;
cf. Mc 1,24; compl. oggetto.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
P@\D@LH: sost., acc. plur. m. da P@ÃD@H, –@L, porco, maiale; cf. Mc 5,11; compl. di moto a
luogo.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di moto a luogo.
gÆFX8hT:g<: verbo, 1a pers. plur. congiunt. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare,
venire dentro, recarsi, andare; cf. Mc 1,21. La proposizione finale Ë<" gÆH "ÛJ@×H
gÆFX8hT:g<, «affinché entriamo in essi», anche se ridondante enfatizza quanto già chiesto
mediante l’imperativo («mandaci da quei porci»).

5,13 i" ¦BXJDgRg< "ÛJ@ÃH. i" ¦>g8h`<J" J B<gb:"J" J •iVh"DJ" gÆF­8h@<


gÆH J@×H P@\D@LHs i" òD:0Fg< º •(X80 i"J J@Ø iD0:<@Ø gÆH J¬< hV8"F-
F"<s ñH *4FP\84@4s i"Â ¦B<\(@<J@ ¦< J± h"8VFF®.
5,13 Egli lo permise. Allora gli spiriti cattivi uscirono ed entrarono nei porci e la mandria
si slanciò dal burrone nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦BXJDgRg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦B4JDXBT (da ¦B\ e la radice di JD@BZ),
permettere, lasciare fare, concedere. Questo verbo ricorre 18 volte nel NT. La distribuzione
nei vangeli è la seguente: Mt 8,21; 19,8; Mc 5,13; 10,4; Lc 8,32[x2]; 9,59.61; Gv 19,38.
Oltre al significato originario di «affidare», «trasmettere», il verbo ¦B4JDXBT assume nella
grecità anche il significato derivato di «lasciare», ossia «permettere», «concedere» (cf. Omero,
Il., 21,473; Aristofane, Pl., 1078), come nel nostro caso. Nella maggior parte delle ricorrenze
neotestamentarie ¦B4JDXBT ha come soggetto persone che occupano una posizione di
superiorità rispetto al richiedente: Gesù (cf. Mc 5,13), Mosè (cf. Mc 10,4), Pilato (cf. Gv
19,38), le autorità romane (cf. At 21,39.40).
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
Mc 5,13 357

i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.
21.26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.
48a.50.53a.65a.72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\, di influsso semitico, acquista
il significato avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica), per introdurre come
formula paratattica di passaggio una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra
unità narrativa.
¦>g8h`<J": verbo, nom. plur. n. part. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori,
uscire; cf. Mc 1,25. Participio predicativo del soggetto B<gb:"J".
JV: art. determ., nom. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
B<gb:"J": sost., nom. plur. n. da B<gØ:", –"J@H, alito, soffio, vento, spirito, Spirito; cf. Mc
1,8; soggetto.
JV: art. determ., nom. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
•iVh"DJ": agg. qualificativo, nom. plur. n. da •iVh"DJ@H, –@< (da –8n" privativa e
i"h"\DT), non pulito, sporco, immondo, impuro; cf. Mc 1,23; attributo di B<gb:"J".
gÆF­8h@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare, venire
dentro, recarsi, andare; cf. Mc 1,21. Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo
composto viene ripetuta davanti al successivo complemento indiretto, come qui; questo
fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56;
7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
P@\D@LH: sost., acc. plur. m. da P@ÃD@H, –@L, porco, maiale; cf. Mc 5,11; compl. di moto a
luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
òD:0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ÒD:VT, spingere, precipitare. Questo verbo ricorre
5 volte nel NT: Mt 8,32; Mc 5,13 (hapax marciano); Lc 8,33; At 7,57; 19,29. Nella diatesi
attiva transitiva il verbo ÒD:VT assume nella grecità il significato di «spingere», «muovere»,
in senso sia proprio che figurato (cf. Omero, Il., 6,338; Euripide, Ph., 1064). Nella forma
intransitiva equivale a «slanciarsi», «precipitarsi» (cf. Omero, Il., 4,335; Erodoto, Hist., 1,1,4;
Senofonte, Anab., 4,3,31).
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
•(X80: sost., nom. sing. f. da •(X80, –0H, gregge, branco, mandria; cf. Mc 5,11; soggetto.
i"JV: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, giù da, in, sopra, verso; cf.
Mc 1,27.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
iD0:<@Ø: sost., gen. sing. m. da iD0:<`H, –@Ø, precipizio, dirupo, burrone; compl. di moto
da luogo. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mt 8,32; Mc 5,13 (hapax marciano); Lc 8,33.
358 Mc 5,14

In senso proprio il vocabolo iD0:<`H indica nella grecità l’«argine» o la «sponda» di fiumi,
canali, ecc. (cf. Omero, Il., 12,54; Erodoto, Hist., 7,23,2). Per estensione viene usato anche
nel significato di «scarpata», «precipizio» (cf. Tucidide, Hist., 6,97,5).
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
hV8"FF"<: sost., acc. sing. f. da hV8"FF", –0H, mare; cf. Mc 1,16; compl. di moto a luogo.
ñH: cong. subordinativa con valore di approssimazione, indecl., circa, quasi; cf. Mc 1,10. La
congiunzione ñH con significato di indeterminazione numerica compare anche in Mc 8,9.
*4FP\84@4: agg. numerale, cardinale, nom. plur. m., indecl., duemila; compl. di quantità. Hapax
neotestamentario. Il riferimento numerale della mandria, formata da 2000 maiali, pur
testualmente assodato sembrerebbe esorbitante e sospetto, poiché la legge mosaica proibiva
di cibarsi della carne di maiale (vedi commento a Mc 5,11): non dimentichiamo, tuttavia, che
Gesù si trova in territorio semipagano (la Decapoli) e non in una regione abitata da soli
Giudei, i quali non potevano allevare maiali. Il termine numerale *4FP\84@4 (soltanto qui nel
NT) ricorre abbastanza frequentemente nell’AT dove ha spesso chiaramente il valore di una
cifra tonda, particolarmente atta a esprimere il concetto di una grande quantità in termini
approssimativi, senza una reale esattezza numerica, come avviene, ad esempio, in Nm 35,4.5
(dimensioni del territorio fuori delle mura delle città date ai leviti), Gs 3,4 (distanza che deve
intercorrere tra l’arca e gli Israeliti), 1Re 7,26 (misura di capacità del mare di bronzo nel
tempio di Salomone), 2Re 18,23 (offerta di cavalli da parte del re di Assiria a Ezechia), ecc.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦B<\(@<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. pass. da B<\(T, soffocare, affogare. Questo verbo
ricorre 3 volte nel NT: Mt 13,7; 18,28; Mc 5,13 (hapax marciano). Imperfetto descrittivo: i
maiali affogavano nell’acqua man mano che vi cadevano dall’alto del precipizio. Nella
grecità il verbo B<\(T viene usato sia nella diatesi attiva transitiva che in quella intransitiva
nel significato di «soffocare» (cf. Aristofane, Nub., 1376; Platone, Gorg., 522a). In epoca
ellenistica si aggiunge anche il senso derivato di «affogare» (cf. Senofonte, Anab., 5,7,25),
come propriamente avviene nel nostro caso.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
h"8VFF®: sost., dat. sing. f. da hV8"FF", –0H, mare; cf. Mc 1,16; compl. di stato in luogo.

5,14 i" @Ê $`Fi@<JgH "ÛJ@×H §nL(@< i" •BZ((g48"< gÆH J¬< B`84< i" gÆH J@×H
•(D@bH· i" µ8h@< Æ*gÃ< J\ ¦FJ4< JÎ (g(@<`H
5,14 I mandriani fuggirono, riferirono il fatto in città e nelle borgate di campagna e la
gente venne a vedere che cosa era successo.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Mc 5,14 359

@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
$`Fi@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da $`FiT, pascolare; cf.
Mc 5,11; soggetto.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo, acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z, –`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3;
compl. oggetto. Il pronome, in riferimento a P@\D@LH, maiali, è retto dal verbo $`FiT.
§nL(@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da ngb(T, fuggire, scappare, correre via. Questo verbo
ricorre 29 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 7 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,038% del totale delle parole); 5 volte in Marco (cf. Mc 5,14; 13,14;
14,50.52; 16,8 = 0,044%); 3 volte in Luca (0,015%); 2 volte in Giovanni (0,013%). Nel
greco classico il significato originario del verbo ngb(T, usato in forma assoluta, è quello di
«fuggire», «darsi alla fuga» (cf. Omero, Il., 22,157; Eschilo, Suppl., 777; Sofocle, Ai., 403).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•BZ((g48"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •B"((X88T (da •B` e la radice di –((g8@H),
annunciare, riferire, far conoscere, proclamare. Questo verbo ricorre 45 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 8 volte in Matteo (corrispondente allo 0,044% del
totale delle parole); 5 volte in Marco (cf. Mc 5,14.19; 6,30; 16,10.13 = 0,044%); 11 volte in
Luca (0,056%); 1 volta in Giovanni (0,006%). Usato a partire da Omero il verbo •B"((X8-
8T, forma intensiva del più comune •((X88T (non presente in Marco), equivale al generico
e neutro «riferire», «annunciare» (cf. Omero, Il., 17,640; Od., 9,95). Nel NT questo verbo è
usato come sinonimo di •<"((X88T, assumendo di volta in volta il significato di
«annunciare», «riferire» qualcosa, in contesto sia profano (cf. Mt 2,8; 14,12; Mc 5,14; Lc
13,1; 14,21; 18,37; At 5,22; 16,36; 22,26; 23,16; 28,21) sia religioso (cf. Mt 8,33; Lc
8,34.36.47; At 11,13).
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B`84<: sost., acc. sing. f. da B`84H, –gTH, città, villaggio; cf. Mc 1,33; compl. di moto per
luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
•(D@bH: sost., acc. plur. m. da •(D`H, –@Ø, campo, campagna, podere, borgata [di campagna];
compl. di moto per luogo. Il vocabolo ricorre 36 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli
è la seguente: 17 volte in Matteo (corrispondente allo 0,093% del totale delle parole); 9 volte
in Marco (cf. Mc 5,14; 6,36.56; 10,29.30; 11,8; 13,16; 15,21; 16,12 = 0,080%); 9 volte in
Luca (0,046%). Secondo l’uso classico il vocabolo •(D`H può assumere varie sfumature,
potendo significare all’occorrenza: il «campo», ossia il terreno coltivato, l’appezzamento di
terreno (cf. Omero, Il., 23,832; Od., 4,757; Senofonte, Hell., 2,4,1; Mc 10,29.30; 13,16), la
«campagna» [aperta], in contrapposizione ai centri abitati (cf. Omero, Od., 17,182; Mc 11,8)
360 Mc 5,15

oppure la «borgata di campagna», meno estesa rispetto al villaggio o alla città (cf. Omero,
Od., 24,205; Mc 5,14; 6,36.56; 15,21; 16,12; cf. Gs 19,6).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
µ8h@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Forma impersonale: si sottintende gli abitanti, la gente.
Æ*gÃ<: verbo, inf. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc 1,10. Infinito di
valore finale.
J\: pron. interrogativo, nom. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?,
che?, quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24. Questo pronome interrogativo sta al posto del
relativo Ó J4 / òFJ4H («ciò che»), come avviene nei papiri e nelle iscrizioni; si tratta di un uso
piuttosto frequente nella Koiné: «Propositio relativa et interrogatio indirecta post verba
dicendi, cognoscendi etc. valde affines sunt. Hinc fit, ut hellenistice interrogativum J\ loco
pronominis relativi stare possit» (Zerwick Max, Graec., § 221). Analogo fenomeno in Mc
2,25; 4,24; 5,14; 6,36; 8,1.2; 9,6.10; 10,38; 13,11; 14,36[x2].40.68; 15,24.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
(g(@<`H: verbo, nom. sing. n. part. perf., di valore sostantivato, da (\<@:"4, divenire, iniziare
a esistere, nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4; soggetto.

5,15 i"Â §DP@<J"4 BDÎH JÎ< z30F@Ø< i"Â hgTD@ØF4< JÎ< *"4:@<4.`:g<@<
i"hZ:g<@< Ê:"J4F:X<@< i"Â FTnD@<@Ø<J"s JÎ< ¦FP0i`J" JÎ< 8g(4ä<"s i"Â
¦n@$Zh0F"<.
5,15 Appena giunsero da Gesù videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente — lui
che era stato posseduto dalla Legione! — ed ebbero paura.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§DP@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Presente storico.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5. L’espressione §DP@:"4 BD`H, detta in riferimento
a Gesù, non è rara in Marco: è impiegata per descrivere l’andare verso Gesù da parte di
qualche miracolato (cf. Mc 1,40; 2,3; 10,50), della folla (cf. Mc 1,45; 2,13; 3,8; 5,15) o di
gruppi specifici (cf. Mc 11,27; 12,18). Lo stesso Gesù comanda ai discepoli di lasciar «venire
a sé» i bambini (cf. Mc 10,14).
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
z30F@Ø<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
compl. di moto a luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Mc 5,16 361

hgTD@ØF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da hgTDXT, guardare, vedere; cf. Mc 3,11. Presente
storico.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
*"4:@<4.`:g<@<: verbo, acc. sing. m. part. pres., di valore sostantivato, da *"4:@<\.@:"4,
essere indemoniato, avere un demonio, essere posseduto; cf. Mc 1,32; compl. oggetto.
L’appellativo è diventato quasi un nome proprio.
i"hZ:g<@<: verbo, acc. sing. m. part. pres. medio da iVh0:"4 (da i"JV e ½:"4), sedere,
sedersi; cf. Mc 2,6. Participio predicativo del complemento oggetto *"4:@<4.`:g<@<.
Ê:"J4F:X<@<: verbo, acc. sing. m. part. perf. pass. da Ê:"J\.T, vestire, indossare, rivestire.
Questo verbo ricorre 2 volte nel NT: Mc 5,15 (hapax marciano); Lc 8,35. Participio
predicativo del complemento oggetto *"4:@<4.`:g<@<. Assente nei LXX, Ê:"J\.T è poco
frequente anche nel greco classico, sebbene sia attestato nei papiri.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
FTnD@<@Ø<J": verbo, acc. sing. m. part. pres. da FTnD@<XT, essere sano di mente, essere
cosciente. Questo verbo ricorre 6 volte nel NT: Mc 5,15 (hapax marciano); Lc 8,35; Rm
12,3; 2Cor 5,15; Tt 2,6; 1Pt 4,7. Participio predicativo del complemento oggetto
*"4:@<4.`:g<@<. Nella tradizione speculativa greca, in parte confluita nel pensiero
giudaico, il vocabolo FTnD@Fb<0 (= nDX<gH + FV@H, «di mente sana») indica la virtù
intesa come dominio inalterabile del <@ØH sugli istinti vitali dell’uomo (cf. Senofonte, Mem.,
1,1,16; Platone, Prot., 323a; Symp., 196c): corrispondentemente il verbo FTnD@<XT indica
l’assennatezza della ragione, l’equilibrio mentale, il razionale autocontrollo. Si tratta di un
atteggiamento mentale, psicologico e comportamentale che è esattamente all’opposto rispetto
allo stato compulsivo distruttivo (= :"<\") cha caratterizzava questo ossesso prima
dell’intervento di Gesù.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
¦FP0i`J": verbo, acc. sing. m. part. perf. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. Participio attributivo del complemento
oggetto *"4:@<4.`:g<@<, in posizione enfatica. L’espressione letterale «l’avente avuto la
Legione», corrisponde a «colui che era stato posseduto dalla Legione», come spesso avviene
per analoghe espressioni con §PT (cf. Mc 3,22.30; 5,15; 7,25; 9,17).
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
8g(4ä<": sost., acc. sing. f. da 8g(4f<, –ä<@H, legione; cf. Mc 5,9; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦n@$Zh0F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. pass. da n@$XT, mettere in fuga, scacciare,
spaventare (att.); fuggire, avere paura, temere (mediopass.); cf. Mc 4,41.

5,16 i"Â *40(ZF"<J@ "ÛJ@ÃH @Ê Æ*`<JgH BäH ¦(X<gJ@ Jè *"4:@<4.@:X<å i"Â BgDÂ
Jä< P@\DT<.
5,16 Quelli che avevano visto raccontarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e
anche il fatto dei porci.
362 Mc 5,17

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


*40(ZF"<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. medio da *40(X@:"4 (da *4V e º(X@:"4), narrare,
riferire, descrivere, raccontare. Questo verbo deponente ricorre 8 volte nel NT: Mc 5,16; 9,9;
Lc 8,39; 9,10; At 8,33; 9,27; 12,17; Eb 11,32. Sebbene il verbo *40(X@:"4 assuma negli
scritti neotestamentari il significato neutro di «narrare», «spiegare», «riferire», in conformità
all’uso classico (cf. Aristofane, Av., 198; Platone, Prot., 310a), nel NT oggetto della
narrazione sono sempre eventi prodigiosi o salvifici: i miracoli di Gesù (cf. Mc 5,16; Lc
8,39), la sua trasfigurazione (cf. Mc 9,9), le opere prodigiose dei discepoli (cf. Lc 9,10), le
liberazioni miracolose (cf. At 12,17), la conversione di Paolo (cf. At 9,27), l’azione salvifica
del Servo sofferente (cf. At 8,33), le gesta dei giudici e dei profeti (cf. Eb 11,32).
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
Æ*`<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor., di valore sostantivato, da ÒDVT, vedere, guardare,
scorgere, fissare; cf. Mc 1,10; soggetto.
BäH: avv. interrogativo di modo, indecl., come?, in quale modo?, in che senso?, perché?; cf. Mc
2,26. All’interno delle interrogative indirette l’avverbio BäH corrisponde alla congiunzione
modale ÓBTH, «come». Il fenomeno è presente in Mc 5,16; 11,18; 12,41; 14.1.11.
¦(X<gJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
*"4:@<4.@:X<å: verbo, dat. sing. m. part. pres. pass., di valore sostantivato, da *"4:@<\.@:"4,
essere indemoniato, avere un demonio, essere posseduto; cf. Mc 1,32; compl. di termine.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BgD\: prep. propria con valore di argomento, seguita dal genitivo, indecl., intorno a, riguardo
a, nei confronti di, circa; cf. Mc 1,6.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
P@\DT<: sost., gen. plur. m. da P@ÃD@H, –@L, porco, maiale; cf. Mc 5,11; compl. di argomento.

5,17 i" ³D>"<J@ B"D"i"8gÃ< "ÛJÎ< •Bg8hgÃ< •BÎ Jä< ÒD\T< "ÛJä<.
5,17 Allora essi cominciarono a pregarlo di andarsene dai loro territori.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


³D>"<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. medio da –DPT, dare inizio, cominciare; cf. Mc 1,45.
La frase ³D>"J@ / ³D>"<J@ seguita da un infinito come complemento è usata da Marco 26
volte (cf. Mc 1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32; 10,28.32.41.47; 11,15; 12,1;
13,5; 14,19.33.65.69.71; 15,8.18). La frequenza di questa formula è dovuta probabilmente
a influsso semitico: quasi sempre equivale a una perifrasi nella quale il verbo –DPT, di
valore pleonastico, può essere omesso, mentre l’infinito dipendente viene reso con la 3a
persona dell’indicativo aoristo o imperfetto corrispondente.
Mc 5,18 363

B"D"i"8gÃ<: verbo, inf. pres. da B"D"i"8XT (da B"DV e i"8XT), chiamare accanto,
invocare, implorare, supplicare; cf. Mc 1,40.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; soggetto della proposizione oggettiva costruita con
il verbo infinito •Bg8hgÃ<.
•Bg8hgÃ<: verbo, inf. aor. da •BXDP@:"4 (da •B` e §DP@:"4), andare via, partire; cf. Mc
1,20. Infinito di valore finale. Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo
composto viene ripetuta davanti al successivo complemento indiretto, come qui; questo
fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56;
7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
•B`: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da; cf. Mc
1,9.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
ÒD\T<: sost., gen. plur. n. da ÓD4@<, –@L, confine, regione, distretto, terra, territorio; compl. di
moto da luogo. Il vocabolo ricorre 12 volte nel NT: Mt 2,16; 4,13; 8,34; 15,22.39; 19,1; Mc
5,17; 7,24.31[x2]; 10,1; At 13,50. Nel NT ÓD4@< è sempre usato al plurale per indicare i
confini di un determinato territorio ed equivale, quindi, a «regione», «contrada», «paese»,
come avviene nell’uso classico (cf. Senofonte, Cyr., 1,4,18; Platone, Leg., 842e).
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona plurale
(«di essi» = «loro»).

5,18 i"Â ¦:$"\<@<J@H "ÛJ@Ø gÆH JÎ B8@Ã@< B"DgiV8g4 "ÛJÎ< Ò *"4:@<4FhgÂH Ë<"
:gJz "ÛJ@Ø ¹.
5,18 Mentre risaliva nella barca colui che era stato indemoniato continuava a chiedergli di
poter restare con lui.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦:$"\<@<J@H: verbo, gen. sing. m. part. pres. da ¦:$"\<T (da ¦< e la radice di $VF4H),
entrare, salire; cf. Mc 4,1. Participio al genitivo assoluto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3. La frase ¦:$"\<@<J@H "ÛJ@Ø appare nella forma
detta “genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore temporale.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
B8@Ã@<: sost., acc. sing. n. da B8@Ã@<, –@L, barca; cf. Mc 1,19; compl. di moto a luogo.
364 Mc 5,19

B"DgiV8g4: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da B"D"i"8XT (da B"DV e i"8XT), chiamare
accanto, invocare, implorare, supplicare; cf. Mc 1,40. Imperfetto durativo o iterativo per
sottolineare l’insistenza di questa richiesta.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*"4:@<4Fhg\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. pass., di valore sostantivato, da *"4:@<\.@:"4,
essere indemoniato, avere un demonio, essere posseduto; cf. Mc 1,32; soggetto.
Ë<": cong. subordinativa di valore completivo, indecl., di, che; cf. Mc 1,38. La congiunzione Ë<"
non ha qui il consueto valore finale, ma quello completivo (equivalente a ÓJ4 o ÓBTH): in
pratica introduce una proposizione infinitiva (cf. Mc 3,9a.12; 4,22a; 5,10.18.43; 6,8.12.25.56;
7,26.32.36; 8,22.30; 9,9.12.18.30; 10,35.37; 11,16; 13,34; 15,21).
:gJz: (= :gJV), prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con,
insieme a, in compagnia di; cf. Mc 1,13.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di compagnia.
¹: verbo, 3a pers. sing. congiunt. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Predicato verbale.

5,19 i" @Ûi •n­ig< "ÛJ`<s •88 8X(g4 "ÛJès ~KB"(g gÆH JÎ< @Éi`< F@L BDÎH
J@×H F@bH i" •BV((g48@< "ÛJ@ÃH ÓF" Ò ibD4`H F@4 BgB@\0ig< i" ²8X0FX<
Fg.
5,19 Egli, però, non glielo permise e gli disse: «Va’ nella tua casa, dai tuoi e riferisci loro
ciò che il Signore ti ha fatto nel dimostrarti misericordia».

i"\: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, però; cf. Mc 1,4. Il
significato avversativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ adversativum)
si riscontra in Mc 1,13c; 3,7b.12.33a; 4,17a.19a.27d; 5,19a; 6,19b.20d.33a; 7,24b.28b;
8,12.16.29.30; 9,12a.30.31c.42a; 10,34; 12,12b.17a; 16,8c.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
•n­ig<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare,
rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
•88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno; cf. Mc 1,44.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
Mc 5,19 365

"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
~KB"(g: verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. da ßBV(T (da ßB` e –(T), andare giù, ritirarsi,
andare via, partire; cf. Mc 1,44.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
@Éi`<: sost., acc. sing. m. da @Éi@H, –@L, casa, abitazione; cf. Mc 2,1; compl. di moto a luogo.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
F@bH: pron. possessivo, di valore sostantivato, acc. plur. m. da F`H, FZ, F`<, tuo; cf. Mc 2,18;
compl. di moto a luogo. Come sostantivo con articolo, F`H si trova in poche altre ricorrenze
neotestamentarie: JÎ F`<, «il tuo» (cf. Mt 20,14; 25,25), J FV, «le tue cose» (cf. Lc 6,30;
Gv 17,10). Munito di articolo plurale maschile, come qui, @Ê F@\, «i tuoi», può indicare i
parenti, gli amici, i seguaci (cf. Erodoto, Hist., 7,104,4; Euripide, Andr., 750; Giuseppe
Flavio, Antiq., 8,54). Nel nostro passo il riferimento è la cerchia ristretta dei congiunti.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•BV((g48@<: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da •B"((X88T (da •B` e la radice di
–((g8@H), annunciare, riferire, far conoscere, proclamare; cf. Mc 5,14.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
ÓF": pron. relativo con valore di quantità e misura, acc. plur. n. da ÓF@H, –0, –@<, quanto,
quanto grande, ciò che, quello che; cf. Mc 2,19; compl. oggetto. La proposizione modale
introdotta da questo pronome può avere sia un significato avverbiale (= «riferisci… quanto
di grande ti ha fatto il Signore…») oppure aggettivale (= «riferisci… tutte le cose che ti ha
fatto il Signore…»).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
ibD4`H: sost., nom. sing. m. da ibD4@H, –@L, signore, padrone, capo, Signore (riferito a Dio e
Gesù); cf. Mc 1,3; soggetto. Chi è «il Signore» di cui qui si parla? Dio o Gesù? Tenendo
presente che altrove Marco usa il termine ibD4@H per indicare Dio, seguendo l’uso dei LXX
(in citazioni dall’AT: Mc 1,3; 11,9; 12,11.29[x2].30.36; in un testo proprio: Mc 13,20) si
deve probabilmente ritenere lo stesso significato per la nostra ricorrenza.
F@4: pron. personale di 2a pers. dat. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,11; compl. di termine.
366 Mc 5,20

BgB@\0ig<: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3. Il perfetto sottolinea la permanenza stabile della liberazione operata da
Gesù.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
²8X0FX<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦8gXT, avere misericordia, avere pietà. Questo
verbo ricorre 29 volte nel NT: Mt 5,7; 9,27; 15,22; 17,15; 18,33[x2]; 20,30.31; Mc 5,19;
10,47.48; Lc 16,24; 17,13; 18,38.39; Rm 9,15[x2].18; 11,30.31.32; 12,8; 1Cor 7,25; 2Cor
4,1; Fil 2,27; 1Tm 1,13.16; 1Pt 2,10[x2]. Nel greco classico il verbo ¦8gXT (analogamente
a ¦8gVT: Rm 9,16; Gd 1,22.23) indica la reazione emotiva di fronte al male che ha colpito
qualcuno e il comportamento di benevolenza e solidarietà che ne deriva (cf. Omero, Il., 6,94;
Od., 22,312): come tale esprime compassione, pietà, soccorso. Nei sinottici il verbo è
impiegato per descrivere sia l’intervento della misericordia divina nel campo delle miserie
umane sia la misericordia dell’uomo verso il suo simile sia come invocazione di soccorso
che i malati e i bisognosi rivolgono a Gesù. Riferito a Dio il verbo ¦8gXT si rifà al concetto
anticotestamentario di $2 G (G, hEesed5, termine che i LXX traducono nella stragrande
maggioranza con §8g@H. Lo $2 G (G / §8g@H di Dio nel primitivo senso anticotestamentario
indica la sua fedeltà al patto, una fedeltà che, essendo divina, si traduce in benevolenza.
L’espressione ÓF" Ò ibD4`H F@4 BgB@\0ig< i"Â ²8X0FX< Fg, lett. «tutto ciò che il
Signore a te ha fatto e ha avuto misericordia di te», con la coordinazione dei verbi
all’indicativo perfetto e aoristo, è dovuta a influsso semitico. Nella traduzione italiana è
preferibile la subordinazione: «tutto ciò che il Signore ha fatto per te nel dimostrarti
misericordia». Analogo fenomeno in Mc 11,24.
Fg: pron. personale di 2a pers. acc. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,24; compl. oggetto.

5,20 i" •B­8hg< i" ³D>"J@ i0DbFFg4< ¦< J± )gi"B`8g4 ÓF" ¦B@\0Fg< "ÛJè
Ò z30F@ØHs i"Â BV<JgH ¦h"b:".@<.
5,20 Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decapoli ciò che Gesù aveva fatto per
lui e tutti ne erano meravigliati.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•B­8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •BXDP@:"4 (da •B` e §DP@:"4), andare via,
partire; cf. Mc 1,20.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
³D>"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da –DPT, dare inizio, cominciare; cf. Mc 1,45. La
frase ³D>"J@ / ³D>"<J@ seguita da un infinito come complemento è usata da Marco 26
volte (cf. Mc 1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32; 10,28.32.41.47; 11,15; 12,1;
13,5; 14,19.33.65.69.71; 15,8.18). La frequenza di questa formula è dovuta probabilmente
a influsso semitico: quasi sempre equivale a una perifrasi nella quale il verbo –DPT, di
valore pleonastico, può essere omesso, mentre l’infinito dipendente viene reso con la 3a
persona dell’indicativo aoristo o imperfetto corrispondente.
Mc 5,20 367

i0DbFFg4<: verbo, inf. pres. da i0DbFFT, proclamare apertamente, annunciare solennemente,


predicare; cf. Mc 1,4.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
)gi"B`8g4: sost., nome proprio di località, dat. sing. f. da )giVB@84H, –gTH, territorio delle
dieci città, Decapoli; compl. di stato in luogo. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mt 4,25;
Mc 5,20; 7,31. L’uso del termine «Decapoli» nel vangelo di Marco rappresenta probabilmen-
te la più antica ricorrenza letteraria. Un riferimento alla Decapoli ha anche Plinio il Vecchio
nella sua Storia naturale (cf. Id., Nat. hist., 5,74), un’opera completata attorno al 77 d.C. e
Giuseppe Flavio, nella sua Guerra giudaica (cf. Id., Bellum, 3,446), pubblicata attorno al
78/79 d.C. Se consideriamo che il vangelo di Marco è stata composto certamente prima del
70 d.C., l’uso che l’Autore fa del termine Decapoli è precedente sia a quello di Plinio il
Vecchio sia a quello di Giuseppe Flavio. Il nome )giVB@84H (contrazione di *Xi" e
B`84H) indicava la regione formata da una confederazione di dieci città ellenistiche situate
nella Transgiordania, ossia a est del fiume Giordano (a eccezione di Scitopoli, posta a ovest).
L’origine di questa confederazione è fatta risalire all’epoca di Alessandro Magno. Le città
che facevano parte di questa lega furono conquistate e private della loro indipendenza da
Alessandro Ianneo (103–76 a.C.). Nel 63 a.C., in occasione dell’occupazione della Palestina
da parte di Pompeo, furono liberate e nuovamente riunite in una federazione con amministra-
zione autonoma e con diritto di battere moneta, ma sotto il controllo del governatore romano
della Siria. La Decapoli era formata da popolazione prevalentemente ellenistica, il cui
compito era quello di costituire un argine all’invasione di popoli nomadi del deserto orientale.
Tra le dieci città, Scitopoli (l’antica Bet Shean/Beisan) era l’unica a trovarsi a ovest del
Giordano, mentre tutte la altre si trovavano a est del fiume. Il nome Decapoli indica che in
origine questa confederazione o lega era costituita da dieci città, ma più tardi il numero e le
città che ne facevano parte variò, come suggeriscono le fonti letterarie di cui disponiamo.
Secondo lo storico Plinio il Vecchio le 10 città erano: Damasco, Filadelfia, Rafana, Scitopoli,
Gadara, Hippos, Dion, Pella, Gerasa e Kanata:

«Decapolitana regio, a numero oppidorum, in quo non omnes eadem observant, primum
tamen Damascum epoto riguis amne Chrysorroa fertilem, Philadelphiam, Rhaphanam, omnia
in Arabiam recedentia, Scythopolim, antea Nysam, a Libero Patre sepulta nutrice ibi Scythis
deductis, Gadara, Hieromice praefluente, et iam dictum Hippon, Dion, Pellam aquis divitem,
Garasam, Canatham» (Plinio il Vecchio, Nat. hist., 5,74).

ÓF": pron. relativo con valore di quantità e misura, acc. plur. n. da ÓF@H, –0, –@<, quanto,
quanto grande, ciò che, quello che; cf. Mc 2,19; compl. oggetto.
¦B@\0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
368 Mc 5,21

z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BV<JgH: pron. indefinito, nom. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; soggetto.
¦h"b:".@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da h"L:V.T, meravigliarsi, meravigliare,
stupirsi. Questo verbo ricorre 43 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 7
volte in Matteo (corrispondente allo 0,038% del totale delle parole); 4 volte in Marco (cf. Mc
5,20; 6,6; 15,5.44 = 0,035%); 13 volte in Luca (0,067%); 6 volte in Giovanni (0,038%).
Imperfetto durativo o iterativo per indicare il protrarsi di questo stupore. Affine a hgV@:"4,
«guardare», per quanto riguarda la stessa radice, h"L:V.T indica lo stupore che viene
suscitato dal vedere (cf. Omero, Il., 24,394; Od., 9,153): soltanto il contesto permette di
stabilire se si tratta di un meravigliarsi che esprime sorpresa, gioia, timore, impressione,
disappunto, adorazione, ecc. Nell’uso marciano, soggetto dello stupore sono un gruppo di
persone (cf. Mc 5,20), Pilato (cf. Mc 15,5.44), lo stesso Gesù nei confronti dell’incredulità
dei propri concittadini (cf. Mc 6,6).

5,21 5"Â *4"BgDVF"<J@H J@Ø z30F@Ø [¦< Jè B8@\å] BV84< gÆH JÎ BXD"< FL<ZPh0
ÐP8@H B@8×H ¦Bz "ÛJ`<s i" µ< B"D J¬< hV8"FF"<.
5,21 Appena Gesù fu di nuovo passato all’altra riva gli si radunò attorno molta folla ed egli
rimase lungo il mare.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


*4"BgDVF"<J@H: verbo, gen. sing. m. part. aor. da *4"BgDVT (da *4V e una parola derivata
dalla radice di BXD"<), attraversare, oltrepassare, passare attraverso. Questo verbo ricorre
6 volte nel NT: Mt 9,1; 14,34; Mc 5,21; 6,53; Lc 16,26; At 21,2. Participio al genitivo
assoluto. Nel greco classico il verbo *4"BgDVT è utilizzato per descrivere un generico moto
per luogo che può avvenire sia per terra che per mare (cf. Aristofane, Av., 1264; Euripide,
Suppl., 117).
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
z30F@Ø: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto. La frase *4"BgDVF"<J@H J@Ø z30F@Ø appare nella forma detta “genitivo
assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore temporale.
[¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.].
[Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.].
[B8@\å: sost., dat. sing. n. da B8@Ã@<, –@L, barca; cf. Mc 1,19; compl. di stato in luogo. La
frase ¦< Jè B8@\å è presente nei codici !, A, B (omette Jè), C, L, W (J@Ø z30F@Ø dopo
B8@\å), ), 0107, 0132, f13 e in molti codici minuscoli. È assente, invece, in P45, D, 1, f1,
28, 205, 565, 700. Da un punto di vista di critica testuale è difficile ritenere se la lezione sia
Mc 5,21 369

autentica oppure no: molti autorevoli codici la riportano, ma, in Mc 6,53, l’Autore impiega
per la seconda e ultima ricorrenza lo stesso verbo allo stato assoluto, senza specificare il
mezzo (5"Â *4"BgDVF"<JgH ¦BÂ J¬< (­<). Tenendo presente questo parallelo di critica
interna dobbiamo ritenere che probabilmente la lezione non faceva parte del testo originale.].
BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
BXD"<: avv. di luogo, di valore sostantivato, acc. sing. n., indecl., la riva opposta, l’altra sponda;
cf. Mc 3,8; compl. di moto a luogo. Gli avverbi sostantivati sono locuzioni ellittiche in cui
viene sottinteso un sostantivo che cede il proprio articolo all’avverbio; tale sostantivo viene
facilmente ricavato dal contesto. L’espressione gÆH JÎ BXD"<, tipica di Marco, indica la parte
della costa dirimpetto a chi parla o viene menzionato (cf. Mc 4,35; 5,1.21; 6,45; 8,13). Nel
nostro caso si tratta nuovamente della riva occidentale.
FL<ZPh0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da FL<V(T (da Fb< e –(T), raggruppare,
raccogliere, radunare; cf. Mc 2,2.
ÐP8@H: sost., nom. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; soggetto. Senza
articolo perché generica.
B@8bH: agg. indefinito, nom. sing. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; attributo di ÐP8@H.
¦Bz: (= ¦B\), prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., in, su, a, sopra; cf.
Mc 1,22.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di stato in luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4. La congiunzione
acquista qui una sfumatura temporale: «…mentre egli rimase lungo il mare». Per quanto
riguarda la congiunzione i"\ con valore temporale cf. Mc 1,19c; 10,10; 14,62b; 15,25a.
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Predicato verbale. Imperfetto durativo. Sebbene sintatticamente questa forma verbale
possa riferirsi al termine ÐP8@H (soggetto più vicino), il contesto chiarisce che si riferisce a
Gesù.
B"DV: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., presso, lungo, nei dintorni
di, vicino a; cf. Mc 1,16.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
hV8"FF"<: sost., acc. sing. f. da hV8"FF", –0H, mare; cf. Mc 1,16; compl. di stato in luogo.
L’espressione B"D J¬< hV8"FF"< è una formula utilizzata da Marco per introdurre
avvenimenti di una certa importanza: Mc 1,16 (chiamata dei primi discepoli), Mc 2,13
(chiamata di Levi), Mc 4,1 (discorso in parabole), Mc 5,21 (richiesta da parte di Giairo).
370 Mc 5,22

5,22 i" §DPgJ"4 gÍH Jä< •DP4FL<"(f(T<s Ï<`:"J4 z3V^D@Hs i" Æ*ã< "ÛJÎ<
B\BJg4 BDÎH J@×H B`*"H "ÛJ@Ø
5,22 Venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giairo, il quale, appena lo vide, gli si
gettò ai piedi

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§DPgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Presente storico.
gÍH: agg. numerale, cardinale, nom. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; soggetto. L’uso
del numero cardinale gÍH al posto del pronome indefinito J\H, «uno», «qualcuno» o
dell’articolo indeterminativo «uno», soprattutto nelle espressioni partitive, non è estraneo al
greco classico (cf. Euripide, Bacc., 917). Questo fenomeno, tuttavia, è presente molte volte
nel vangelo di Marco (cf. Mc 5,22; 6,15; 8,28; 9,17.37.42; 10,17.37[x2]; 12,28.42; 13,1;
14,10.18.20.43.47.66) ed è probabilmente dovuto a influsso semitico.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
•DP4FL<"(f(T<: sost., gen. plur. m. da •DP4FL<V(T(@H, –@L, capo della sinagoga,
arcisinagogo; compl. partitivo. Il vocabolo ricorre 9 volte nel NT: Mc 5,22.35.36.38; Lc
8,49; 13,14; At 13,15; 18,8.17. In epoca neotestamentaria questo termine di origine giudaica,
sconosciuto nel greco classico, non indica propriamente il capo della comunità (funzione
civile), ma colui che presiede alle riunioni dei fedeli (funzione religiosa). La conferma
epigrafica ci viene da una iscrizione dedicatoria trovata in un blocco di calcare durante uno
scavo sulla collina sud–orientale di Gerusalemme. L’iscrizione, datata nella prima metà del
I secolo d.C. e in ogni caso anteriore al 70 d.C., fa riferimento a una sinagoga eretta da
Teodoto, definito •DP4FL<V(T(@H (CII, nr. 1404). Era compito dell’arcisinagogo
selezionare i lettori e gli insegnanti nella sinagoga, esaminare i discorsi degli oratori pubblici
e fare sì che tutte le cose fossero fatte con decenza e in concordanza con i costumi. La carica
era spesso a vita e si spiega come potesse essere ereditaria in famiglia, come nel caso citato
(cf. anche At 13,15; 14,2).
Ï<`:"J4: sost., dat. sing. n. da Ð<@:", –:"J@H, nome; cf. Mc 3,16; compl. di denominazione.
Il caso dativo può essere usato specie nel greco biblico come dativo di relazione, per
indicare la cosa o la realtà riguardo alla quale o in relazione alla quale si fa una affermazione.
z3V^D@H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z3V^D@H, –@L, Giairo; apposizione
di gÍH. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mc 5,22 (hapax marciano); Lc 8,41. Traslitterazio-
ne grecizzata del nome proprio maschile di origine ebraica 9*! E I*, Ya) ’îr, «[Dio] illuminerà»
(cf. Nm 32,41; Gs 13,30; Gdc 10,3.4.5; 1Re 4,13; 1Cr 2,22–23; Est 1,1; 2,5). Il nome è stato
rinvenuto anche su un ostrakon di epoca tolemaica e si trova attestato in Giuseppe Flavio
nella forma z3Vg4D@H, in riferimento a un certo Giairo, padre del comandante della
guarnigione di stanza a Masada (cf. Id., Bellum, 2,447).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Æ*f<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc 1,10.
Participio predicativo del soggetto gÍH Jä< •DP4FL<"(f(T<. Marco usa spesso il
Mc 5,23 371

participio con un significato temporale (cf. Mc 2,5.16; 5,6.22; 6,48.49; 7,2; 8,33; 9,20.25;
10,14; 12,34; 14,67.69; 15,39).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
B\BJg4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da B\BJT, cadere, precipitare; cf. Mc 4,4. Presente
storico.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
B`*"H: sost., acc. plur. m. da B@bH, B@*`H, piede; compl. di stato in luogo. Il vocabolo ricorre
93 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 10 volte in Matteo (corrisponden-
te allo 0,055% del totale delle parole); 6 volte in Marco (cf. Mc 5,22; 6,11; 7,25; 9,45[x2];
12,36 = 0,053%); 19 volte in Luca (0,098%); 14 volte in Giovanni (0,090%). Nell’uso
neotestamentario B@bH non indica soltanto il «piede», ma anche la «gamba» intera o le sue
parti, analogamente a quanto avviene nei LXX e nella grecità (cf. Luciano, Alex., 59,5). Il
«cadere ai piedi» di qualcuno, in senso letterale proprio, rientra nel gesto stereotipo della
BD@Fib<gF4H, «prostrazione», mediante il quale nell’antichità si dichiarava la propria
sottomissione, obbedienza e riverenza nei riguardi di qualche personaggio ritenuto superiore
perché insignito di potere o autorità. Questo simbolismo è comune a tutte le culture antiche.
Sul fregio di Pergamo, Afrodite pone il piede sul volto dell’avversario sconfitto. Gli ufficiali
di Giosuè pongono il piede sul collo di cinque re amorrei sconfitti (cf. Gs 10,24). Davide
loda Dio che gli ha posto «i nemici sotto i piedi» (cf. 2Sam 22,39; cf. Sal 18,39). Si deve
osservare, tuttavia, che il gesto di cadere ai piedi di una persona, in segno di inferiorità e
supplica, è presente nel NT soltanto nei riguardi di Gesù (cf. Mc 5,22; 7,25; Lc 8,41; 17,16;
Gv 11,32) o di «uno simile a figlio d’uomo» (Ap 1,17).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).

5,23 i" B"D"i"8gà "ÛJÎ< B@88 8X(T< ÓJ4 IÎ hL(VJD4`< :@L ¦FPVJTH §Pg4s Ë<"
¦8hã< ¦B4h±H JH PgÃD"H "ÛJ± Ë<" FTh± i" .ZF®.
5,23 e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta è in fin di vita. Vieni a imporle le mani
perché si salvi e viva!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


B"D"i"8gÃ: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da B"D"i"8XT (da B"DV e i"8XT), chiamare
accanto, invocare, implorare, supplicare; cf. Mc 1,40. Presente storico.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
372 Mc 5,23

B@88V: agg. indefinito, acc. plur. n. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34. La forma B@88V è qui usata in modo avverbiale («molto», «con insistenza»,
«grandemente») e non quantitativo («molte cose»). Si tratta di una caratteristica di Marco (cf.
Mc 1,45; 3,12; 5,10.23.26.38.43; 6,20.23; 8,31; 9,12.26; 15,3).
8X(T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso gÍH Jä<
•DP4FL<"(f(T<.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
I`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
hL(VJD4`<: sost., nom. sing. n. da hL(VJD4@<, –@L, fanciulla, figlioletta; soggetto. Il vocabolo
ricorre 2 volte nel NT: Mc 5,23; 7,25. Il vocabolo, una forma diminutiva di hL(VJ0D, è
conosciuto nel greco classico (cf. Aristofane, Thesm., 565; Plutarco, Ant., 33,6,1). L’uso dei
diminutivi è una delle caratteristiche dello stile marciano (cf. Mc 3,9; 5,23.39.41; 6,9;
7,25.27.28.30; 8,7; 9,24.36.37; 10,13–14; 14,47) e più in generale del greco ellenistico.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).
¦FPVJTH: avv. di modo, indecl., estremo, all’estremo, alla fine. Hapax neotestamentario.
§Pg4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. La formula ¦FPVJTH §Pg4, «è agli
ultimi», analoga a quelle di Mc 1,32; 2,17, corrisponde alle espressioni «è alla fine», «sta
morendo».
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38. Costruzione ellittica: si può sottintendere un B"D"i"8XT (= «ti supplico di venire e
imporre le mani…») oppure intenderla come una specie di imperativo che segue un presente
descrittivo: «La mia figlioletta è in fin di vita: vieni e imponi le mani…».
¦8hf<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto
sottinteso Fb. Per altri esempi di participio espletivo con il verbo §DP@:"4 cf. Mc 5,23; 7,25;
12,42; 14,40.45; 16,1.
¦B4h±H: verbo, 2a pers. sing. congiunt. aor. da ¦B4J\h0:4 (da ¦B\ e J\h0:4), sovrapporre,
imporre, soprannominare; cf. Mc 3,16.
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
PgÃD"H: sost., acc. plur. f. da Pg\D, Pg4D`H, mano; cf. Mc 1,31; compl. oggetto. Imporre le mani
su un malato per guarirlo è gesto comune nelle narrazioni di guarigioni da parte di Gesù (cf.
Mc 5,23; 6,5; 7,32; 8,23.25; 16,18; cf. anche Mc 10,16, dove tale gesto è usato per benedire).
L’azione di imporre le mani al fine di procurare una guarigione sarà ripetuta dagli apostoli
per espressa volontà di Gesù (cf. Mc 16,18) e diventerà rito della Chiesa.
Mc 5,24 373

"ÛJ±: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. f. da "ÛJ`H, –Z, –`,
[quello], egli, lui, esso; compl. di termine. La forma "ÛJ± ricorre 108 volte nel NT rispetto
alle 5600 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 12
volte in Matteo (corrispondente allo 0,065% del totale delle parole); 12 volte in Marco (cf.
Mc 5,23.33.34.41. 43; 6,23; 7,27.29; 11,13.14; 14,5.6 = 0,106%); 30 volte in Luca (0,154%);
19 volte in Giovanni (0,122%). Costruzione ad sensum: la forma femminile "ÛJ± è usata
con discordanza formale rispetto al termine cui si riferisce, di genere neutro (hL(VJD4@<).
Analogo fenomeno in Mc 5,41; 6,28.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
FTh±: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. pass. da Fæ.T, guarire, sanare, salvare; cf. Mc 3,4.
Come sopra osservato (cf. Mc 3,4) il verbo non indica qui una «salvezza» spirituale o
escatologica (cf. Mc 8,35[x2]; 10,26; 13,13), poiché la fanciulla non è nell’occasione di
perderla. Il significato di Fæ.T è quello fisico di «guarire», «sanare», come in Mc 5,28.34;
6,56; 10,52.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
.ZF®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da .VT, vivere. Questo verbo ricorre 140 volte nel NT.
La distribuzione nei vangeli è la seguente: 6 volte in Matteo (corrispondente allo 0,033% del
totale delle parole); 3 volte in Marco (cf. Mc 5,23; 12,27; 16,11 = 0,027%); 9 volte in Luca
(0,046%); 17 volte in Giovanni (0,109%). La sequenza verbale «si salvi e viva», in forma di
endiadi, sottolinea tutta la forza dell’accorata supplica di questo padre. Conforme al
sostantivo .TZ (cf. Mc 9,43) che nel greco classico indica la vita fisica degli esseri (uomini,
animali e piante), ossia la vita come tale, la vita in senso assoluto (significativamente .TZ
non ha il plurale), anche il verbo .VT possiede la pienezza del verbo «vivere» inteso in senso
globale e materiale, ossia di un vivere in buona salute (cf. Omero, Il., 1,88; Od., 4,833). La
richiesta di ottenere la vita fisica per questa bambina che sta per morire (e che tra poco
morirà) si colloca sullo sfondo religioso e antropologico dell’AT e del pensiero giudaico.
L’uomo possiede la vita in prestito, poiché è mortale (cf. Gn 3,19; 2Sam 14,14; Is 40,6; Sal
78,39; 89,49; 90,3). Soltanto Dio è il signore della vita (cf. Sal 104,29; Gb 34,14–15; Sap
1,13–14); egli è il Vivente (cf. Dt 5,26; 2Re 19,4; Ger 10,10; Sal 42,3).

5,24 i" •B­8hg< :gJz "ÛJ@Ø. 5" ²i@8@bhg4 "ÛJè ÐP8@H B@8bH i" FL<Xh84$@<
"ÛJ`<.
5,24 Egli andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•B­8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •BXDP@:"4 (da •B` e §DP@:"4), andare via,
partire; cf. Mc 1,20. Il soggetto sottinteso è Gesù, menzionato al v. 21.
:gJz: (= :gJV), prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con,
insieme a, in compagnia di; cf. Mc 1,13.
374 Mc 5,25

"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di compagnia.
5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
²i@8@bhg4: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da •i@8@LhXT, seguire, accompagnare, mettersi
dietro; cf. Mc 1,18. Imperfetto durativo.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
ÐP8@H: sost., nom. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; soggetto. Senza
articolo perché generica.
B@8bH: agg. indefinito, nom. sing. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; attributo di ÐP8@H.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
FL<Xh84$@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da FL<h8\$T (da Fb< e h8\$T), pigiare,
comprimere, spingere. Questo verbo ricorre 2 volte nel NT: Mc 5,24.31. Imperfetto storico
descrittivo, usato per mettere in evidenza il protrarsi di tale azione, il suo perdurare nel
passato.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.

5,25 i"Â (L<¬ @ÞF" ¦< ÕbFg4 "Ë:"J@H *f*gi" §J0


5,25 Ora una donna che aveva una perdita di sangue da dodici anni

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


(L<Z: sost., nom. sing. f. da (L<Z, (L<"4i`H, donna; soggetto. Il vocabolo ricorre 215 volte
nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 29 volte in Matteo (corrispondente allo
0,158% del totale delle parole); 17 volte in Marco (cf. Mc 5,25.33; 6,17.18; 7,25.26;
10,2.7.11; 12,19[x2].20.22.23[x2]; 14,3; 15,40 = 0,150%); 41 volte in Luca (0,210%); 22
volte in Giovanni (0,141%). Senza articolo perché anonima e ancora sconosciuta.
Analogamente all’uso classico (cf. Omero, Il., 6,460; 15,683; Aristotele, Polit., 1262a 20),
nel NT il termine (L<Z indica sia la «donna» in generale, distinta dall’uomo (cf. Mc 5,25)
sia la donna sposata, la «moglie» (cf. Mc 6,17) sia la donna nella sua connotazione sessuale
(= «femmina»; Gv 16,21).
@ÞF": verbo, nom. sing. f. part. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Participio predicativo del soggetto (L<Z.
¦<: prep. propria con valore di stato o condizione, seguita dal dativo, indecl., in, con; cf. Mc 1,2.
ÕbFg4: sost., dat. sing. f. da ÕbF4H, –gTH, flusso, fuoriuscita, perdita; compl. di stato o
condizione. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mc 5,25 (hapax marciano); Lc 8,43.44. Nella
grecità il sostantivo ÕbF4H può indicare un «flusso» di acqua (cf. Polibio, Hist., 2,16,6) o
anche di sangue (cf. Aristotele, De gen. anim., 727a 13). L’assenza dell’articolo nelle
espressioni formate con preposizioni, come qui, è frequente nel greco ellenistico. Questo
Mc 5,26 375

fenomeno è ulteriormente accentuato nel greco biblico per influenza semitica dello stato
costrutto ebraico in cui il sostantivo che regge il genitivo è sempre senza articolo.
L’espressione ¦< ÕbFg4 indica qui uno stato o condizione, probabilmente dietro l’influsso
del semitico vA, be (cf. anche Mc 13,17).
"Ë:"J@H: sost., gen. sing. n. da "Í:", "Ë:"J@H, sangue; compl. di specificazione. Il vocabolo
ricorre 97 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 11 volte in Matteo (cf. Mt
16,17; 23,30.35[x3]; 26,28; 27,4.6.8.24.25, corrispondente allo 0,060% del totale delle
parole); 3 volte in Marco (cf. Mc 5,25.29; 14,24 = 0,027%); 8 volte in Luca (cf. Lc 8,43.44;
11,50.51[x2]; 13,1; 22,20.44 = 0,041%); 6 volte in Giovanni (cf. Gv 1,13; 6,53.54.55.56;
19,34 = 0,038%). Quando il nome reggente è privo di articolo (come qui) anche il genitivo
dipendente ne è solitamente sprovvisto. Il vocabolo "Í:" deve essere inteso nella sua
accezione letterale, immediata e originaria di «sangue», ossia come elemento con cui è
composto il corpo umano (cf. Omero, Il., 1,303; Od., 18,97). Poiché secondo la mentalità
anticotestamentaria, condivisa in tutto il mondo antico, «il sangue è la vita di ogni carne» (Lv
17,14) e in esso «risiede l’anima» (cf. Gn 9,4; Lv 17,11.14; Dt 12,23), perdere o versare il
sangue significa distruggere il veicolo della vita e, quindi, la vita stessa. Ciò costituisce un
attentato allo stesso Dio, autore della vita. Da ciò ne deriva che anche il sangue della
mestruazione o di una emorragia «rende impuro» (cf. Lv 12,5.7; 15,19–33; Giuseppe Flavio,
Bellum, 6,426–427; Antiq., 3,261). Secondo questa antropologia religiosa la donna in oggetto
vive nella condizione disperata di essere costantemente impura e addirittura “omicida”,
contravvenendo con le sue continue emorragie alla severa proibizione di Dio che vieta di
«versare il sangue» (cf. Gn 4,10; 9,6).
*f*gi": agg. numerale, cardinale, acc. plur. n., indecl., dodici; cf. Mc 3,14; attributo di §J0.
§J0: sost., acc. plur. n. da §J@H, –§J@LH, anno; compl. di tempo continuato. Il vocabolo ricorre
49 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 1 volta in Matteo (corrispondente
allo 0,005% del totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc 5,25.42 = 0,018%); 15 volte
in Luca (0,077%); 3 volte in Giovanni (0,019%). Curiosa (o volontaria?) coincidenza con
l’età della figlia di Giairo (cf. Mc 5,42). Marco impiega il caso accusativo con valore
temporale 7 volte: Mc 1,13; 2,19; 4,27[x2]; 5,25; 13,35; 14,37. Altrove, l’accusativo
temporale è retto dalle preposizioni gÆH (cf. Mc 3,29; 11,14; 13,13), BgD\ (cf. Mc 6,48),
:gJV (cf. Mc 8,31; 9,2.31; 13,24; 14,1; 16,12), i"JV (cf. Mc 14,49; 15,6).

5,26 i" B@88 B"h@ØF" ßBÎ B@88ä< Æ"JDä< i" *"B"<ZF"F" J B"Dz "ÛJ­H
BV<J" i" :0*¥< éng80hgÃF" •88 :88@< gÆH JÎ PgÃD@< ¦8h@ØF"s
5,26 e aveva molto sofferto a causa di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun
beneficio, anzi peggiorando sempre più,

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


B@88V: agg. indefinito, acc. plur. n. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34. La forma B@88V è qui usata in modo avverbiale («molto», «con insistenza»,
«intensamente») e non quantitativo («molte cose»). Si tratta di una caratteristica di Marco (cf.
Mc 1,45; 3,12; 5,10.23.26.38. 43; 6,20.23; 8,31; 9,12.26; 15,3).
376 Mc 5,26

B"h@ØF": verbo, nom. sing. f. part. aor. da BVFPT, patire, soffrire. Questo verbo ricorre 42
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 16,21; 17,12.15; 27,19; Mc
5,26; 8,31; 9,12; Lc 9,22; 13,2; 17,25; 22,15; 24,26.46. Participio predicativo del soggetto
(L<Z. Oltre al significato primo di «subire», il verbo BVFPT è usato nel greco classico
nell’accezione di «soffrire», in riferimento a una sofferenza sia fisica che morale (cf. Omero,
Od., 16,275; Eschilo, Prom., 751; Erodoto, Hist., 3,146,2). Qui il significato è equivoco: può
indicare le sofferenze che il male procurava alla donna, per l’incapacità dei medici di curarla
oppure le sofferenze che gli stessi medici le procuravano, nel vano tentativo di guarirla. Per
quanto riguarda l’uso di BVFPT in riferimento al soffrire di Gesù cf. Mc 8,31.
ßB`: prep. propria con valore d’agente, seguita dal genitivo, indecl., da, da parte di; cf. Mc 1,5.
B@88ä<: agg. indefinito, gen. plur. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; attributo di Æ"JDä<.
Æ"JDä<: sost., gen. plur. m. da Æ"JD`H, –@Ø, medico; cf. Mc 2,17; compl. di agente. Senza
articolo perché generico. I medici, sul conto dei quali nella stessa Bibbia si trovano giudizi
assai sfavorevoli e sarcastici (cf. Tb 2,10; Gb 13,4; Sir 10,10; 38,15), sono menzionati in
alcuni scritti giudaici tra i «mestieri da ladri», perché si sospettava che preferissero curare i
ricchi a danno dei poveri, spesso impossibilitati a pagare il loro servizio. Il Talmud
babilonese (cf. b.Qid., 82) cita tre motivi per giudicare sfavorevolmente i medici: 1) si
intrattengono con i loro malati e in tal modo li tengono lontani dalla ricerca di Dio; 2) hanno
molte vite umane sulla coscienza come conseguenza della loro imperizia; 3) trascurano i
poveri.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
*"B"<ZF"F": verbo, nom. sing. f. part. aor. da *"B"<VT, spendere, sperperare, dissipare,
consumare. Questo verbo ricorre 5 volte nel NT: Mc 5,26 (hapax marciano); Lc 15,14; At
21,24; 2Cor 12,15; Gc 4,3. Participio predicativo del soggetto (L<Z. Il verbo *"B"<VT è
qui usato come nel greco classico nel significato di spendere inutilmente, «sperperare»:
PDZ:"J" B@88 *"B"<ä<J"H, «avendo speso grosse somme» (Tucidide, Hist., 7,47,4).
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
B"Dz: (= B"DV), prep. propria con valore di provenienza, seguita dal genitivo, indecl., da, da
parte di; cf. Mc 1,16.
"ÛJ­H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,30; compl. di stato in luogo figurato.
BV<J": pron. indefinito, acc. plur. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
:0*X<: (da :Z e gÍH), pron. indefinito negativo, con valore di sostantivo, acc. sing. n. da
:0*g\H, :0*g:\", :0*X<, niente, nulla, alcuna cosa; cf. Mc 1,44; compl. oggetto.
éng80hgÃF": verbo, nom. sing. f. part. aor. pass. da éng8XT, avvantaggiarsi, giovare, trarre
profitto. Questo verbo ricorre 15 volte nel NT: Mt 15,5; 16,26; 27,24; Mc 5,26; 7,11; 8,36;
Lc 9,25; Gv 6,63; 12,19; Rm 2,25; 1Cor 13,3; 14,6; Gal 5,2; Eb 4,2; 13,9. Participio
predicativo del soggetto (L<Z. Come avviene nel greco classico (cf. Euripide, Iph. Aul., 348;
Mc 5,27 377

Erodoto, Hist., 2,95,1), éng8XT può essere usato nel NT sia in forma assoluta (cf. Mc 5,26)
sia nella diatesi attiva transitiva, seguita dall’accusativo (cf. Mt 27,24).
•88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno; cf. Mc 1,44.
:88@<: (forma neutra del comparativo di :V8"), avv. di modo, indecl., piuttosto, di più,
maggiormente. Il vocabolo ricorre 81 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 9 volte in Matteo (corrispondente allo 0,049% del totale delle parole); 5 volte in
Marco (cf. Mc 5,26; 7,36; 9,42; 10,48; 15,11 = 0,044%); 5 volte in Luca (0,026%); 4 volte
in Giovanni (0,026%). Questa forma è presente nel vangelo di Marco con i seguenti
significati: a) in comparazione diretta significa «più», «tanto più» (cf. Mc 7,36); b) usata in
assoluto (in comparazioni indirette) significa «ancor più», «di più», «piuttosto» (cf. Mc
10,48; 15,11); c) in unione con un aggettivo ne accentua il valore comparativo ed equivale
a «piuttosto» (cf. Mc 9,42); d) in corrispondenza a una precedente negazione espressa o
soltanto implicita significa «anzi», «per di più», «piuttosto» (cf. Mc 5,26).
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
PgÃD@<: agg. qualificativo, di grado comparativo, acc. sing. n. da Pg\DT<, –@< (irregolare
comparativo di i"i`H, –Z, –`<), più cattivo, peggiore; cf. Mc 2,21; compl. di moto a
luogo.
¦8h@ØF": verbo, nom. sing. f. part. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Participio predicativo del soggetto (L<Z. L’espressione
§DP@:"4 gÆH JÎ PgÃD@<, «andare verso il peggio», corrisponde all’italiano «andare di male
in peggio», ossia peggiorare sempre più. La disistima nei riguardi dei medici, ritenuti venali
e incapaci, è un cliché largamente diffuso nell’antichità (cf. sopra per le citazioni bibliche).
Tale giudizio negativo si basava sulla constatazione che la terapia per determinate malattie
era del tutto empirica e portava molto spesso non alla guarigione, ma al peggioramento e alla
morte del malato. Esemplare, al riguardo, il testo di una iscrizione funeraria riportata da
Plinio il Vecchio: «Turba se medicorum perisse», «Morto a causa dei molti medici» (Id., Nat.
hist., 29,11). Anche nella Bibbia si fa menzione dell’inefficacia delle medicine prescritte dai
dottori, come riferisce Tobia, vittima di un incidente agli occhi («…dovetti andare dai medici
per la cura; più essi, però, mi applicavano farmaci, più mi si oscuravano gli occhi per le
macchie bianche, finché divenni cieco del tutto»; Tb 2,10). Tagliente, infine, il giudizio della
Mishnah espresso da Rabbi Yeudà: «Il miglior medico è meritevole dell’inferno» (m.Qid.,
4,14).

5,27 •i@bF"F" BgD J@Ø z30F@Øs ¦8h@ØF" ¦< Jè ÐP8å ÐB4Fhg< »R"J@ J@Ø
Ê:"J\@L "ÛJ@Ø·
5,27 avendo sentito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle e toccò il suo
mantello.
378 Mc 5,28

•i@bF"F": verbo, nom. sing. f. part. aor. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. Participio predicativo del soggetto (L<Z.
BgD\: prep. propria con valore di argomento, seguita dal genitivo, indecl., intorno a, riguardo
a, nei confronti di, circa; cf. Mc 1,6.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
z30F@Ø: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
compl. di argomento.
¦8h@ØF": verbo, nom. sing. f. part. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Participio predicativo del soggetto (L<Z.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ÐP8å: sost., dat. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; compl. di stato in luogo.
ÐB4Fhg<: avv. di luogo, indecl., da dietro, indietro. Il vocabolo ricorre 7 volte nel NT: Mt 9,20;
15,23; Mc 5,27 (hapax marciano); Lc 8,44; 23,26; Ap 4,6; 5,1.
»R"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da žBJ@:"4, toccare, tenere; cf. Mc 1,41. Il gesto del
toccare è espresso con un aoristo di valore puntiforme: l’azione si è verificata una sola volta,
in modo istantaneo. Si tratta del verbo principale che conclude il lungo e complesso periodo
sintattico iniziato nel v. 25 e composto da sette proposizioni participiali (@ÞF"… B"h@Ø-
F"… *"B"<ZF"F"… éng80hgÃF"… ¦8h@ØF"… •i@bF"F"… ¦8h@ØF"…).
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
Ê:"J\@L: sost., gen. sing. n. da Ê:VJ4@<, –@L, sopravveste, indumento, mantello; cf. Mc 2,21;
compl. oggetto. Questo vocabolo può indicare le vesti in generale, specie se nella forma
plurale (cf. Mc 5,30; 9,3; 15,20.24) o il mantello (cf. Mc 2,21; 5,27.28; 6,56; 10,50; 11,7.8;
13,16). Presso gli antichi (e molti, tra i moderni!) era comune credenza che la forza
risanatrice di un taumaturgo potesse essere presente anche nelle sue vesti, mantelli e altri
indumenti (cf. At 19,12) e addirittura nella sua ombra (cf. At 5,15).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).

5,28 §8g(g< (D ÓJ4 z+< žRT:"4 i—< Jä< Ê:"J\T< "ÛJ@Ø FThZF@:"4.
5,28 Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita».

§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Imperfetto durativo o iterativo per esprimere la lunga deliberazione di questa
donna che, da tempo, sta pensando dentro di sé come trovare l’occasione propizia.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
Mc 5,29 379

ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
z+V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
žRT:"4: verbo, 1a pers. sing. congiunt. aor. da žBJ@:"4, toccare, tenere; cf. Mc 1,41. Il
contatto diretto è ritenuto dalla gente semplice come necessario per ricevere dal guaritore
qualche beneficio.
i–<: (= i" ¦V<, per crasi), cong. ipotetica, indecl., se anche, se solo, se. Il vocabolo ricorre 17
volte nel NT: Mt 21,21; 26,35; Mc 5,28; 6,56; 16,18; Lc 12,38[x2]; 13,9; Gv 8,14.55; 10,38;
11,25; At 5,15; 1Cor 13,3; 2Cor 11,16; Eb 12,20; Gc 5,15. Per i"\ cf. Mc 1,4; per ¦V< cf.
Mc 1,40. Nell’uso neotestamentario i–< è usato prevalentemente come congiunzione
condizionale e meno spesso concessiva. Talvolta è difficile distinguere un significato
propriamente ipotetico («e se») da uno concessivo («anche solo», «quand’anche»). In alcuni
casi, come qui, assume il valore corrispondente all’avverbio limitativo «almeno», «soltanto».
Jä<: art. determ., gen. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
Ê:"J\T<: sost., gen. plur. n. da Ê:VJ4@<, –@L, sopravveste, indumento, mantello; cf. Mc 2,21;
compl. oggetto. La forma genitiva è retta dal verbo žBJT. Questo vocabolo può indicare le
vesti in generale, specie se nella forma plurale (cf. Mc 5,30; 9,3; 15,20.24) o il mantello (cf.
Mc 2,21; 5,27.28; 6,56; 10,50; 11,7.8; 13,16).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
FThZF@:"4: verbo, 1a pers. sing. ind. fut. pass. da Fæ.T, guarire, sanare, salvare; cf. Mc 3,4.

5,29 i"Â gÛh×H ¦>0DV<h0 º B0(¬ J@Ø "Ë:"J@H "ÛJ­H i"Â §(<T Jè Ff:"J4 ÓJ4
Ç"J"4 •BÎ J­H :VFJ4(@H.
5,29 E all’istante le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era stata guarita
dal male.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
¦>0DV<h0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da >0D"\<T, seccare, appassire, disseccare
(att.); diventare secco, diventare rigido (pass.); cf. Mc 3,1.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
B0(Z: sost., nom. sing. f. da B0(Z, –­H, fonte, sorgente; soggetto. Il vocabolo ricorre 11 volte
nel NT: Mc 5,29 (hapax marciano); Gv 4,6[x2].14; Gc 3,11; 2Pt 2,17; Ap 7,17; 8,10; 14,7;
16,4; 21,6. L’uso traslato di B0(Z è molto antico (cf. Eschilo, Ag., 888; Sofocle, Elect., 895).
380 Mc 5,29

Sempre secondo tale uso, B0(Z può significare «causa», «origine», «radice» (cf. Senofonte,
Cyr., 7,2,13). Qui può essere inteso sia come «flusso», in senso proprio, sia come «causa»,
in senso traslato.
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
"Ë:"J@H: sost., gen. sing. n. da "Í:", "Ë:"J@H, sangue; cf. Mc 5,25; compl. di specificazione.
La frase º B0(¬ J@Ø "Ë:"J@H, «la fonte del sangue», è biblica (cf. Lv 12,7): quanto al
significato è identica a quella tecnica (ÕbF4H "Ë:"J@H) che compare nel v. 25.
"ÛJ­H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,30; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
§(<T: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da (4<fFiT, percepire, sentire, conoscere, capire; cf. Mc
4,13.
Jè: art. determ., dat. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
Ff:"J4: sost., dat. sing. n. da Fä:", –"J@H, corpo; compl. di stato in luogo. Il vocabolo
ricorre 142 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 14 volte in Matteo (cf.
Mt 5,29.30; 6,22[x2].23.25[x2]; 10,28[x2]; 26,12.26; 27,52.58.59, corrispondente allo
0,076% del totale delle parole); 4 volte in Marco (cf. Mc 5,29; 14,8.22; 15,43 = 0,035%);
13 volte in Luca (cf. Lc 11,34[x3].36; 12,4.22.23; 17,37; 22,19; 23,52.55; 24,3.23 =
0,067%); 6 volte in Giovanni (cf. Gv 2,21; 19,31.38[x2].40; 20,12 = 0,038%). Nel greco
classico ed ellenistico Fä:" è un termine onnicomprensivo: sebbene in Omero esso
designasse soltanto il corpo morto, ossia il «cadavere» (cf. Omero, Il., 3,23; Od., 11,53),
successivamente venne impiegato per definire qualsiasi realtà, senza fare distinzione tra
corpo come organismo animale e corpo come entità o struttura generale. In tal modo Fä:"
può definire: il corpo vivente, umano e animale (cf. Erodoto, Hist., 1,32,8; Senofonte, Hell.,
6,1,6; Esiodo, Op., 540), il corpo celeste, il mondo, il cosmo (cf. Platone, Tim., 32a; 34a;
Filone di Alessandria, Somn., 1,21; Sesto Empirico, Adv. math., 9,79,1), il corpo inorganico,
un oggetto inerte (cf. Platone, Soph., 265c), un insieme ordinato, come un complesso di cose
(cf. Platone, Tim., 31b), ecc. Completamente diverso è il concetto di «corpo» nel mondo
biblico. Contrariamente al pensiero greco, per il quale il corpo è nell’uomo la componente
materiale che lo allontana dal mondo divino, in opposizione all’anima o all’intelligenza che
gli permette di parteciparvi, sia l’Antico come il NT considerano il corpo come espressione
dell’uomo nella sua integrità, allo stesso titolo dell’anima e dello spirito. Per il pensiero
giudaico l’uomo non ha carne e anima (concetto platonico), ma è entrambe le cose, in modo
inseparabile. Utilizzando una espressione sintetica e antitetica si potrebbe dire che per la
mentalità greca l’uomo è un’anima incarnata, per quella biblica e giudaica è un corpo
animato. Come tale, sebbene linguisticamente il vocabolo Fä:" appartenga al greco
classico, dal punto di vista biblico e concettuale esso designa l’essere umano in quanto
persona, considerata nella sua esistenza concreta, nel suo comportamento, nel suo modo di
vivere, soprattutto nel suo rapporto con gli altri. È per questo che nei LXX il vocabolo Fä:"
Mc 5,30 381

traduce quasi sempre l’ebraico 9” I vI, ba) s'a) r, il quale, in linea con questa tipica antropologia
biblica, designa l’uomo nel suo insieme, ossia nella sua corporeità animata.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.
Ç"J"4: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. pass. da ÆV@:"4, guarire, sanare. Questo verbo deponente
ricorre 26 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 4 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,022% del totale delle parole); 1 volta in Marco (cf. Mc 5,29, hapax
marciano); 11 volte in Luca (0,056%); 3 volte in Giovanni (0,019%). Già da Omero il verbo
ÆV@:"4 è usato nel senso letterale proprio di «curare», «guarire» qualcuno o qualcosa (cf.
Omero, Il., 5,899; Od., 9,520). Prescindendo dall’uso traslato (cf. Mt 13,15; Gv 12,40; At
28,27; 1Pt 2,24), ÆV@:"4 compare nel NT soltanto a proposito di guarigioni miracolose:
come tale viene praticamente usato in alternativa al più comune hgD"BgbT.
•B`: prep. propria con valore di separazione, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,9.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
:VFJ4(@H: sost., gen. sing. f. da :VFJ4>, –4(@H, flagello, piaga, calamità, punizione; cf. Mc
3,10; compl. di allontanamento. Non si tratta di una semplice malattia, ma di un tormento
simile a una vera e propria tirannia: il vocabolo :VFJ4>, non usato nell’ambito medico, era
lo scudiscio di cuoio con il quale nel mondo greco e romano venivano tormentati i
malfattori (cf. Erodoto, Hist., 7,22,1).

5,30 i"Â gÛh×H Ò z30F@ØH ¦B4(<@×H ¦< ©"LJè J¬< ¦> "ÛJ@Ø *b<":4< ¦>g8h@ØF"<
¦B4FJD"ngÂH ¦< Jè ÐP8å §8g(g<s I\H :@L »R"J@ Jä< Ê:"J\T<p
5,30 Ma subito Gesù, essendosi accorto in sé stesso della forza che era uscita da lui, si
voltò verso la folla e domandò: «Chi ha toccato le mie vesti?».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
¦B4(<@bH: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ¦B4(4<fFiT (da ¦B\ e (4<fFiT), conoscere,
sapere, scoprire; cf. Mc 2,8. Participio predicativo del soggetto z30F@ØH. Gesù nei vangeli
viene sovente rappresentato in forma analoga all’ellenistico hgÃ@H •<ZD che è in grado di
«conoscere» dentro di sé ciò che gli altri pensano (cf. Mc 2,8), dicono (cf. Mc 8,17), si
propongono (cf. Gv 6,15) o sono (cf. Gv 5,6) ed è cosciente delle forze prodigiose che
escono da lui (cf. Mc 5,30).
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
©"LJè: pron. riflessivo, dat. sing. m. da ©"LJ@Ø, –­H, –@Ø (non usato al nominativo), lui, lui
stesso, esso; cf. Mc 1,27; compl. di stato in luogo.
382 Mc 5,30

JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
¦>: (= ¦i), prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di moto da luogo.
*b<":4<: sost., acc. sing. f. da *b<":4H, –gTH, forza, potenza, potere, miracolo; compl.
oggetto. Il vocabolo ricorre 119 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 12
volte in Matteo (cf. Mt 7,22; 11,20.21.23; 13,54.58; 14,2; 22,29; 24,29.30; 25,15; 26,64,
corrispondente allo 0,065% del totale delle parole); 10 volte in Marco (cf. Mc 5,30; 6,2.5.14;
9,1.39; 12,24; 13,25.26; 14,62 = 0,088%); 15 volte in Luca (cf. Lc 1,17.35; 4,14.36; 5,17;
6,19; 8,46; 9,1; 10,13.19; 19,37; 21,26.27; 22,69; 24,49 = 0,077%). Nel significato generico
il sostantivo *b<":4H è usato nel greco classico come equivalente di «potere», «potenza»,
«forza», sia fisica che morale (cf. Omero, Il., 23,891; Od., 2,62). Il vocabolo ha una grande
ampiezza di significati nel NT. Generalmente esso indica la forza come capacità o potenza
positiva e benevola che possiede Dio (cf. Mc 9,1; 12,24), Gesù in veste di Kyrios (cf. Mc
5,30; 13,26), gli spiriti celesti, gli stessi apostoli. Nella forma plurale ("Ê *L<V:g4H), il
sostantivo assume spesso il significato circoscritto di «opere di potenza», ossia i miracoli, i
portenti, i prodigi (cf. Mc 6,2.5.14; 9,39) oppure quello tecnico di «potenze celesti» (cf. Mc
13,25). In Mc 14,62 ritroviamo l’uso assoluto del vocabolo *b<":4H dovuto a influsso
ebraico, per evitare di pronunciare il sacro nome di Dio: in tale contesto l’espressione º
*b<":4H significa «La Potenza di Dio» o più semplicemente «Dio». Secondo la concezione
biblica i miracoli sono operati da Dio: gli stessi vangeli testimoniano questa convinzione,
onde evitare qualsiasi impronta magica. I miracoli di Gesù si pongono su questa ottica: è Dio
che opera mediante Gesù (cf. Lc 5,17: «La potenza del Signore [= di Dio] gli [= a Gesù]
faceva operare guarigioni»).
¦>g8h@ØF"<: verbo, acc. sing. f. part. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori,
uscire; cf. Mc 1,25. Participio predicativo del complemento oggetto *b<":4<.
¦B4FJD"ng\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. pass. da ¦B4FJDXnT (da ¦B\ e FJDXnT),
ritornare, girarsi, voltarsi, convertirsi; cf. Mc 4,12. Participio predicativo del soggetto
z30F@ØH.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ÐP8å: sost., dat. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; compl. di moto a luogo.
§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo («diceva», «continuava a
dire»), ma quello puntuale corrispondente a un aoristo («disse»). Per altri esempi di questo
imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24.26.30.41;
5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70; 15,12a.14; per
quanto riguarda l’imperfetto puntuale con ¦BgDTJVT cf. Mc 5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33;
10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; con ¦DTJVT cf. Mc 4,10; 8,5.
Mc 5,31 383

I\H: pron. interrogativo, nom. sing. m. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?,
che?, quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»). Con valore enfatico, perché in posizione prolettica.
»R"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da žBJ@:"4, toccare, tenere; cf. Mc 1,41.
Jä<: art. determ., gen. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
Ê:"J\T<: sost., gen. plur. n. da Ê:VJ4@<, –@L, sopravveste, indumento, mantello; cf. Mc 2,21;
compl. oggetto. Questo vocabolo può indicare le vesti in generale, specie se nella forma
plurale (cf. Mc 5,30; 9,3; 15,20.24) o il mantello (cf. Mc 2,21; 5,27.28; 6,56; 10,50; 11,7.8;
13,16).

5,31 i"Â §8g(@< "ÛJè @Ê :"h0J"Â "ÛJ@Øs #8XBg4H JÎ< ÐP8@< FL<h8\$@<JV Fgs i"Â
8X(g4Hs I\H :@L »R"J@p
5,31 I suoi discepoli gli risposero: «Tu vedi la folla che si stringe attorno a te e dici: “Chi
mi ha toccato?”».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§8g(@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo («dicevano», «continuavano
a dire»), ma puntuale corrispondente a un aoristo («dissero»). Per altri esempi di questo
imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24.26.30.41;
5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70; 15,12a.14; per
quanto riguarda l’imperfetto puntuale con ¦BgDTJVT cf. Mc 5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33;
10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; con ¦DTJVT cf. Mc 4,10; 8,5.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
:"h0J"\: sost., nom. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; soggetto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
#8XBg4H: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da $8XBT, vedere, percepire, discernere, fare
attenzione; cf. Mc 4,12.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ÐP8@<: sost., acc. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; compl. oggetto.
384 Mc 5,32–33

FL<h8\$@<JV: verbo, acc. sing. m. part. pres. da FL<h8\$T (da Fb< e h8\$T), pigiare,
comprimere, spingere; cf. Mc 5,24. Participio predicativo del complemento oggetto ÐP8@<.
Fg: pron. personale di 2a pers. acc. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,24; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8X(g4H: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7.
I\H: pron. interrogativo, nom. sing. m. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?,
che?, quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. oggetto, retto dal verbo žBJT.
»R"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da žBJ@:"4, toccare, tenere; cf. Mc 1,41.

5,32 i"Â BgD4g$8XBgJ@ Æ*gÃ< J¬< J@ØJ@ B@4ZF"F"<.


5,32 Egli intanto guardava intorno per vedere colei che aveva fatto questo.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


BgD4g$8XBgJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da BgD4$8XB@:"4 (da BgD\ e $8XBT),
guardare intorno; cf. Mc 3,5. Imperfetto durativo o iterativo per indicare il protrarsi di
questa osservazione.
Æ*gÃ<: verbo, inf. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc 1,10. Infinito di
valore finale.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
J@ØJ@: pron. dimostrativo, acc. sing. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 1,27;
compl. oggetto.
B@4ZF"F"<: verbo, acc. sing. f. part. aor., di valore sostantivato, da B@4XT, fare, costruire,
preparare, rendere, compiere; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.

5,33 º *¥ (L<¬ n@$0hgÃF" i"Â JDX:@LF"s gÆ*LÃ" Ô (X(@<g< "ÛJ±s µ8hg< i"Â
BD@FXBgFg< "ÛJè i" gÉBg< "ÛJè BF"< J¬< •8Zhg4"<.
5,33 E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, si gettò ai
suoi piedi e gli disse tutta la verità.

º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
(L<Z: sost., nom. sing. f. da (L<Z, (L<"4i`H, donna; cf. Mc 5,25; soggetto.
n@$0hgÃF": verbo, nom. sing. f. part. aor. pass. da n@$XT, mettere in fuga, scacciare,
spaventare (att.); fuggire, avere paura, temere (mediopass.); cf. Mc 4,41. Participio
predicativo del soggetto (L<Z.
Mc 5,34 385

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


JDX:@LF": verbo, nom. sing. f. part. aor. pass. da JDX:T, tremare, temere, avere paura.
Questo verbo ricorre 3 volte nel NT: Mc 5,33 (hapax marciano); Lc 8,47; 2Pt 2,10.
Participio predicativo del soggetto (L<Z. A partire da Omero il verbo JDX:T assume il
significato di «tremare per paura», per qualche pericolo reale o anche previsto (cf. Omero,
Il., 10,390; Od., 11,527). Secondo la Legge (cf. Lv 15,19–30) durante le mestruazioni la
donna è impura e rende impuro tutto ciò che tocca, vivendo in una specie di segregazione
sociale e religiosa. La malattia ha aggravato tale situazione rendendola permanente «impura»,
come decretava le legge: «La donna che ha un flusso di sangue per molti giorni, fuori del
tempo delle regole o che lo abbia più del normale sarà immonda per tutto il tempo del flusso,
secondo le norme dell’immondezza mestruale» (Lv 15,25). Questo stato continuo di impurità
spiega il timore che la donna prova per aver “toccato” Gesù. L’associazione n@$0hgÃF"
i"Â JDX:@LF" si ritrova in 1Cor 2,3; 2Cor 7,15; Ef 6,5; Fil 2,12. L’espressione è biblica (cf.
Es 15,16; Dt 2,25; 11,25; Gdt 2,28; 15,2).
gÆ*LÃ": verbo, nom. sing. f. part. perf. da @É*" (una radice con valore di presente connessa a
gÉ*@<, aor. attivo di ÒDVT), vedere, percepire, discernere, conoscere, sapere; cf. Mc 1,24.
Participio predicativo del soggetto (L<Z.
Ó: pron. relativo, nom. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24.
(X(@<g<: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere, nascere,
essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4.
"ÛJ±: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. f. da "ÛJ`H, –Z, –`,
[quello], egli, lui, esso; cf. Mc 5,23; compl. di termine.
µ8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BD@FXBgFg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da BD@FB\BJT (da BD`H e B\BJT), cadere in
avanti, cadere giù, prostrarsi; cf. Mc 3,11. Per quanto riguarda il significato della
prostrazione nell’antichità vedi commento a Mc 5,6; 10,17; 15,19.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di stato in luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
BF"<: agg. indefinito, acc. sing. f. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; attributo di •8Zhg4"<, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
•8Zhg4"<: sost., acc. sing. f. da •8Zhg4", –"H, verità; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 109
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 1 volta in Matteo (cf. Mt 22,16,
386 Mc 5,34

corrispondente allo 0,005% del totale delle parole); 3 volte in Marco (cf. Mc 5,33; 12,14.32
= 0,027%); 3 volte in Luca (cf. Lc 4,25; 20,21; 22,59 = 0,015%); 25 volte in Giovanni (cf.
Gv 1,14.17; 3,21; 4,23.24; 5,33; 8,32[x2].40.44[x2].45.46; 14,6.17; 15,26; 16,7.13[x2];
17,17[x2].19; 18,37[x2].38 = 0,160%). Il concetto di verità qui presente non è quello
filosofico e dualistico di stampo platonico (verità come autentica realtà, autenticità formale,
contrapposta all’apparenza del mondo) né quello prettamente gnostico ed ellenistico (verità
come autenticità dell’essere divino) e neppure quello teologico giovanneo (verità come
rivelazione e salvezza): si tratta della verità intesa nel suo significato originale di «ciò che non
è nascosto». Etimologicamente il termine •8Zhg4" è formato da "– privativo, tal tema 80h–
di 8"<hV<@, «essere nascosto» e dal suffisso pronominale –g4", indicante una qualità. Dire
o riferire l’•8Zhg4" significa dire «la cosa com’è», ossia la realtà completa ed effettiva.
L’espressione greca 8X(g4< J¬< •8Zhg4"<, «dire» o «dimostrare la verità», è presente nei
LXX (cf. 2Cr 18,15; Pr 8,7; Tb 7,10), in Giuseppe Flavio (cf. Id., Antiq., 10,124) e nel NT
(cf. Rm 9,1; 2Cor 12,6). La gamma semantica è completata in Marco dall’aggettivo •80hZH
(cf. Mc 14,70; 15,39) e dall’avverbio •80häH (cf. Mc 12,14).

5,34 Ò *¥ gÉBg< "ÛJ±s 1L(VJ0Ds º B\FJ4H F@L FXFTiX< Fg· àB"(g gÆH gÆDZ<0< i"Â
ÇFh4 ß(4¬H •BÎ J­H :VFJ4(`H F@L.
5,34 Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo
male».

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJ±: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. f. da "ÛJ`H, –Z, –`,
[quello], egli, lui, esso; cf. Mc 5,23; compl. di termine.
1L(VJ0D: sost., voc. sing. f. da hL(VJ0D, –JD`H, figlia; compl. di vocazione. Il vocabolo
ricorre 28 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 9,18.22; 10,35.37;
14,6; 15,22.28; 21,5; Mc 5,34.35; 6,22; 7,26.29; Lc 1,5; 2,36; 8,42.48.49; 12,53[x2]; 13,16;
23,28; Gv 12,15. Quando non è usato in senso letterale proprio, per indicare la «figlia» nel
suo rapporto di figliolanza naturale (cf. Omero, Il., 1,13), il termine hL(VJ0D è impiegato
da Marco in senso traslato, come idiomatismo semitico per indicare la donna.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
B\FJ4H: sost., nom. sing. f. da B\FJ4H, –gTH, fede, fiducia; cf. Mc 2,5; soggetto.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
FXFTiX<: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. da Fæ.T, guarire, sanare, salvare; cf. Mc 3,4. Il
perfetto indica la permanenza stabile di questa guarigione/salvezza operata da Gesù. L’uso
di Fæ.T nel NT è (positivamente) ambiguo: può significare sia la guarigione fisica da
Mc 5,34 387

qualche malattia sia la liberazione dalla morte sia, infine, la salvezza teologica dal peccato
e dalla morte eterna. Questo «sanare/salvare» di Gesù non riguarda soltanto alcune parti del
corpo, ma la totalità della persona (cf. Mc 5,34; 8,35; 10,26.52; 13,13.20; 16,16); in
particolare l’espressione º B\FJ4H F@L FXFTiX< Fg, «la tua fede ti ha salvato» (Mc 5,34;
10,52), lascia intendere che il potere di sanazione di Gesù non si limita alla guarigione fisica,
ma investe l’interezza della persona. In tal senso la «sanazione» offerta da Gesù assume una
dimensione soteriologica globale.
Fg: pron. personale di 2a pers. acc. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,24; compl. oggetto.
àB"(g: verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. da ßBV(T (da ßB` e –(T), andare giù, ritirarsi,
andare via, partire; cf. Mc 1,44. La forma asindetica è piuttosto frequente con gli imperativi
dei verbi ßBV(T (cf. Mc 1,44; 5,34; 6,38; 7,29; 10,21.52; 16,7), ¦(g\DT (cf. Mc 2,9; 3,3;
5,41; 10,49; 14,42), ÒDVT (cf. Mc 1,44; 6,38; 8,15), F4TBVT (cf. Mc 4,39), n4:`T (cf. Mc
4,39), h"DFXT (cf. Mc 6,50; 10,49), $8XBT (cf. Mc 13,5.23.33).
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
gÆDZ<0<: sost., acc. sing. f. da gÆDZ<0, –0H, pace; compl. di modo. Il vocabolo ricorre 92 volte
nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 4 volte in Matteo (corrispondente allo
0,022% del totale delle parole); 1 volta in Marco (cf. Mc 5,34, hapax marciano); 14 volte in
Luca (0,072%); 6 volte in Giovanni (0,038%). L’espressione àB"(g [B@Dgb@L] gÆH [¦<]
gÆDZ<0<, «va’ in pace» (cf. Mc 5,34; Lc 7,50; 8,48; Gc 2,16) è traduzione dell’usatissimo
saluto ebraico .|-– I , ša) lôm, formula frequentemente attestata nella Bibbia (cf. Es 4,18; Gdc
18,6; 1Sam 1,17; 20,42; 25,35; 29,7; 2Sam 15,9; 2Re 5,19; Gdt 8,35; ecc.; cf. anche At
16,36). Si tratta di un saluto tipicamente semitico e sotto il profilo sintattico e semantico assai
pregnante, poiché mediante esso si intendeva augurare non soltanto la semplice e generica
«pace» psicologica o la salute fisica, ma la ricchezza e la pienezza di una vita realizzata, in
armonia con la legge di Dio. Il vocabolo gÆDZ<0 deve essere qui inteso in tale accezione
semitica, corrispondente all’ebraico .|-– I , ša) lôm: con tale saluto Gesù indica la meta che
egli propone alla donna: entrare nella pace come nuova condizione di vita.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
ÇFh4: verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf.
Mc 1,6.
ß(4ZH: agg. qualificativo, nom. sing. f. da ß(4ZH, –XH, sano, guarito; predicato nominale. Il
vocabolo ricorre 11 volte nel NT: Mt 12,13; 15,31; Mc 5,34 (hapax marciano); Gv
5,6.9.11.14.15; 7,23; At 4,10; Tt 2,8. Nel greco classico l’aggettivo ß(4ZH è usato con
significato proprio per indicare la salute fisica e psichica (cf. Erodoto, Hist., 3,130,3;
Tucidide, Hist., 2,49,2). In senso traslato il termine designa una capacità più generale e
razionale ed equivale a «sensato», «appropriato», «ragionevole» (cf. Erodoto, Hist., 1,8,3;
Aristofane, Thesm., 636). Questo significato figurato si spiega con la convinzione largamente
attestata nell’antichità secondo la quale tutto ciò che è sano è sempre equilibrato, in armonia
con l’ordine universale. La salute fisica è tenuta dagli antichi in altissimo grado, al punto che
essa è ritenuta il bene più prezioso: •<*D *z ß(4"\<g4< –D4FJ`< ¦FJ4<, òH (z ¦:Â<
388 Mc 5,35

*@igÃ, «a mio avviso, il bene massimo per un uomo è la salute» (Aristotele, Rhet., 1394b
13). Anche i Platonici e i Peripatetici consideravano la salute come il più grande tra i beni
umani.
•B`: prep. propria con valore di separazione, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,9.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
:VFJ4(`H: sost., gen. sing. f. da :VFJ4>, –4(@H, flagello, piaga, calamità, punizione; cf. Mc
3,10; compl. di allontanamento.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).

5,35 }+J4 "ÛJ@Ø 8"8@Ø<J@H §DP@<J"4 •BÎ J@Ø •DP4FL<"(f(@L 8X(@<JgH ÓJ4 {/
hL(VJ0D F@L •BXh"<g<· J\ §J4 Fib88g4H JÎ< *4*VFi"8@<p
5,35 Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a riferire: «Tua
figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?».

}+J4: avv. di tempo, indecl., mentre, durante, ancora. Il vocabolo ricorre 93 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 8 volte in Matteo (corrispondente allo 0,044% del
totale delle parole); 5 volte in Marco (cf. Mc 5,35[x2]; 12,6; 14,43.63 = 0,044%); 16 volte
in Luca (0,082%); 8 volte in Giovanni (0,051%). Negli enunciati temporali (come qui e in
Mc 14,43) §J4 indica la continuità nella durata di una azione, di un fatto, di una situazione.
Altrove (cf. Mc 5,35b; 12,6; 14,63) assume il significato corrispondente a un avverbio
aggiuntivo («di nuovo», «nuovamente»). Nel greco biblico l’espressione §J4 "ÛJ@Ø
8"8@Ø<J@H / §J4 "ÛJä< 8"8@b<JT< è una specie di frase stereotipa per sottolineare un
cambio di scena all’interno della stessa narrazione (cf. Gn 29,9; 1Re 1,42; 2Re 6,33; Est
6,14; Mt 12,46; 17,5; 26,47; Mc 5,35; 14,43; Lc 8,49; 22,47).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3.
8"8@Ø<J@H: verbo, gen. sing. m. part. pres. da 8"8XT, parlare, dire; cf. Mc 1,34. Participio al
genitivo assoluto. La frase "ÛJ@Ø 8"8@Ø<J@H appare nella forma detta “genitivo assoluto”
(cf. Mc 1,32), qui con valore temporale.
§DP@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Presente storico di valore impersonale:
si tratta probabilmente degli inservienti o altri familiari.
•B`: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da; cf. Mc
1,9.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•DP4FL<"(f(@L: sost., gen. sing. m. da •DP4FL<V(T(@H, –@L, capo della sinagoga,
arcisinagogo; cf. Mc 5,22; compl. di moto da luogo. L’espressione §DP@<J"4 •BÎ J@Ø
•DP4FL<"(f(@L può essere intesa in due modi: a) come un plurale semitizzante del
Mc 5,36 389

pronome indefinito, per indicare i servi del capo della sinagoga (= «vennero alcuni del capo
della sinagoga»; b) come formula ellittica, in riferimento alla “casa” del capo della sinagoga
(= «vennero dalla casa del capo della sinagoga»).
8X(@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo del soggetto sottinteso «alcuni»: può essere reso anche
mediante un infinito di valore finale: «vennero (alcuni) a dirgli».
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
{/: art. determ., nom. nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
hL(VJ0D: sost., nom. sing. f. da hL(VJ0D, –JD`H, figlia; cf. Mc 5,34; soggetto.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
•BXh"<g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •B@h<¯FiT (da •B` e h<¯FiT), morire, perire.
Questo verbo ricorre 111 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 5 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,027% del totale delle parole); 8 volte in Marco (cf. Mc
5,35.39; 9,26; 12,19.20.21.22 = 0,071%); 10 volte in Luca (0,051%); 28 volte in Giovanni
(0,179%). Usato a partire da Omero il verbo •B@h<¯FiT assume il significato di «morire»
in senso sia proprio che figurato (cf. Omero, Il., 22,432; Od., 12,393).
J\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24. L’uso di J\ con il valore di «perché?» viene
spiegato come una specie di accusativo di specificazione o di relazione («di che cosa?», «in
relazione a che?»); cf. Mc 2,7.8.24; 4,40; 5,35.39; 8,12.17; 9,16.33; 10,18; 11,3; 12,15; 14,6.
§J4: avv. aggiuntivo, indecl., ancora, nuovamente; cf. Mc 5,35.
Fib88g4H: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da Fib88T, irritare, infastidire, importunare. Questo
verbo ricorre 4 volte nel NT: Mt 9,36; Mc 5,35 (hapax marciano); Lc 7,6; 8,49. Usato
raramente anche nella grecità profana, il verbo Fib88T assume, nell’uso transitivo figurato,
il significato di «molestare», «disturbare» (cf. Erodiano, Ab ex., 4,13,3).
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
*4*VFi"8@<: sost., acc. sing. m. da *4*VFi"8@H, –@L, maestro, insegnante; cf. Mc 4,38;
compl. oggetto.

5,36 Ò *¥ z30F@ØH B"D"i@bF"H JÎ< 8`(@< 8"8@b:g<@< 8X(g4 Jè •DP4FL<"(f-


(ås 9¬ n@$@Øs :`<@< B\FJgLg.
5,36 Ma Gesù, sentendo quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere,
continua soltanto ad aver fede!».

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
390 Mc 5,36

z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
B"D"i@bF"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da B"D"i@bT (da B"DV e •i@bT), sentire,
ascoltare, udire. Questo verbo ricorre 3 volte nel NT: Mt 18,17[x2]; Mc 5,36 (hapax
marciano). Participio predicativo del soggetto z30F@ØH. Nella grecità classica il verbo nella
sua accezione etimologica significa «udire passando», «udire dappresso». Da questo senso
originale derivano: «udire incidentalmente», «udire per caso» (cf. Erodoto, Hist., 3,129,3);
«udire di soppiatto» (cf. Luciano, Anach., 32,1); «udire male», «non capire» (cf. Platone,
Theaet., 195a); in epoca ellenistica perfino «non voler ascoltare», «disubbidire» (cf. Polibio,
Hist., 3,15,2). Qui non può trattarsi di un udire inesatto da parte di Gesù o di un suo cosciente
ignorare, ma di un occasionale sentire quanto i messaggeri hanno detto al padre della
fanciulla.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
8`(@<: sost., acc. sing. m. da 8`(@H, –@L, parola; cf. Mc 1,45; compl. oggetto.
8"8@b:g<@<: verbo, acc. sing. m. part. pres. pass. da 8"8XT, parlare, dire; cf. Mc 1,34.
Participio predicativo del complemento oggetto 8`(@<.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
•DP4FL<"(f(å: sost., dat. sing. m. da •DP4FL<V(T(@H, –@L, capo della sinagoga,
arcisinagogo; cf. Mc 5,22; compl. di termine.
9Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
n@$@Ø: verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. medio da n@$XT, mettere in fuga, scacciare,
spaventare (att.); fuggire, avere paura, temere (mediopass.); cf. Mc 4,41. L’imperativo
presente negativo esprime una proibizione forte e protratta nel tempo che non ammette
eccezioni (cf. Mc 5,36; 9,39; 10,9.14; 13,7.11.21; 16,6). Qui Gesù vieta di continuare a
temere. L’espressione :¬ n@$@Ø traduce la corrispondente forma ebraica !9I*˜ E << -!
H,
’al–tîra) ’: si tratta di una formula imperativa che ricorre 79 volte nell’AT, come espressione
di rassicurazione e assistenza, soprattutto in contesti di morte incombente o di altri gravi
pericoli. A pronunciarla sono gli uomini nei riguardi di altri uomini oppure Dio stesso
(talvolta tramite un incaricato) nei confronti di un singolo o del popolo (cf. Gn 15,1; 21,17;
26,24; 35,17; 43,23; 46,3; 50,19.21; Es 14,13; 20,20; Nm 14,9[x2]; 21,34; Dt 1,21; 3,2; 20,3;
31,6; Gs 8,1; 10,8.25; 11,6; Gdc 4,18; 6,23; Rt 3,11; 1Sam 4,20; 12,20; 22,23; 23,17; 28,13;
2Sam 9,7; 13,28; 1Re 17,23; 2Re 1,15; 6,16; 19,6; 25,24; 1Cr 22,13; 28,20; 2Cr 20,15.17;
32,7; Ne 4,8; Gb 5,22; Sal 49,17; Prv 3,25; Is 7,4; 10,24; 35,4; 37,6; 40,9; 41,10.13.14;
43,1.5; 44,2; 51,7; 54,4; Ger 1,8; 10,5; 30,10; 40,9; 42,11[x2]; 46,27.28; Lam 3,57; Ez
2,6[x3]; Dn 10,12.19; Gl 2,21.22; Sof 3,16; Ag 2,5; Zc 8,13.15). Per quanto riguarda il NT
ritroviamo questa formula in Mt 1,20; 10,28; 14,27; 17,7; 28,5.10; Lc 1,13.20; 2,10; 8,50;
12,4.32; Gv 6,20; 12,15; At 18,9; 27,24; Rm 13,3; Eb 11,27; 1Pt 3,14; Ap 1,17; 15,4.
:`<@<: (forma neutra di :`<@H), avv. di modo, indecl., soltanto, solo, unicamente; cf. Mc 4,10.
Mc 5,37 391

B\FJgLg: verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. da B4FJgbT, credere, fidarsi di, dare fiducia a; cf.
Mc 1,15. L’imperativo presente ordina di continuare a credere. I due imperativi sono uniti
per asindeto: «non temere, ma continua soltanto ad aver fede!». Analogo fenomeno in Mc
6,38.

5,37 i" @Ûi •n­ig< @Û*X<" :gJz "ÛJ@Ø FL<"i@8@Lh­F"4 gÆ :¬ JÎ< AXJD@< i"Â
z3ViT$@< i" z3TV<<0< JÎ< •*g8nÎ< z3"if$@L.
5,37 E non permise a nessuno di seguirlo fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello
di Giacomo.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale. La formula @Ûi… gÆ :Z…
(gÆ :Z… @Ûi…), «non… se non…» (cf. Mc 2,26; 5,37; 6,4.5; 8,14; 13,20; cf. anche Mc
6,8; 9,9.29; 10,18; 11,13; 13,32) non è un vero semitismo, poiché è attestata anche nel greco
classico (cf. Erodoto, Hist., 2,73,1; Senofonte, Anab., 1,5,6).
•n­ig<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare,
rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18.
@Û*X<": (da @Û*X e gÍH), pron. indefinito negativo, acc. sing. m. da @Û*g\H, @Û*g:\", @Û*X<,
nessuno, niente; cf. Mc 2,21; soggetto della proposizione oggettiva costruita con il verbo
infinito FL<"i@8@Lh­F"4. La frequenza della doppia negazione (qui @Ûi… @Û*X<"…)
è una caratteristica stilistica di Marco (cf. Mc 1,44; 2,2; 3,20.27; 5,37; 6,5; 7,12; 9,1.41;
10,15; 13,2[x2].19.30. 31; 14,25.31; 16,8.18) per dare maggiore enfasi alla negazione, senza
escludere la possibilità che essa derivi dall’indole popolare della lingua dei vangeli.
:gJz: (= :gJV), prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con,
insieme a, in compagnia di; cf. Mc 1,13.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di compagnia.
FL<"i@8@Lh­F"4: verbo, inf. aor. da FL<"i@8@LhXT (da Fb< e •i@8@LhXT), accompagna-
re, seguire insieme. Questo verbo, appartenente al gruppo lessicale formato da •i@8@LhXT,
¦B"i@8@LhXT, B"D"i@8@LhXT, ricorre 3 volte nel NT: Mc 5,37; 14,51; Lc 23,49.
Sebbene riferito a Gesù, il verbo indica un semplice accompagnamento esteriore, fisico, come
nel greco profano (cf. Aristofane, Ranae, 400; Tucidide, Hist., 6,44,1), senza assumere il
significato pregnante e teologico di •i@8@LhXT, riservato per descrivere la sequela dei
discepoli.
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7. La particella gÆ è qui strettamente unita alla negazione per formare la
locuzione congiuntiva gÆ :Z, «tranne», «all’infuori», «eccetto», che introduce una
proposizione eccettuativa. La formula, generalmente usata senza un verbo seguente, si
ritrova in Mc 2,7.26; 5,37; 6,4.5.8; 8,14; 9,9.29; 10,18; 11,13; 13,32.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
392 Mc 5,38

J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
AXJD@<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da AXJD@H, –@L, Pietro; cf. Mc 3,16;
compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
z3ViT$@<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z3ViT$@H, –@L, Giacomo; cf. Mc
1,19; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
z3TV<<0<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z3TV<<0H, –@L, Giovanni; cf. Mc
1,9; compl. oggetto. La coppia dei fratelli z3"if$@L i"Â z3TV<<@L sembra essere uno
stereotipo: sono nominati in questo ordine in Mc 1,19.29; 3,17; 5,37; 9,2; 10,35. Analoga
osservazione per quanto riguarda la terna composta da Pietro, Giacomo e Giovanni: sono i
primi discepoli a essere chiamati (cf. Mc 1,16–20), sono nominati per primi e in questa
successione nell’elenco dei Dodici (cf. Mc 3,16–17), sono scelti da Gesù come testimoni
della Trasfigurazione (cf. Mc 9,2) e della preghiera al Getsemani (cf. Mc 14,33).
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
•*g8n`<: sost., acc. sing. m. da •*g8n`H, –@Ø, fratello; cf. Mc 1,16; apposizione di
z3TV<<0<. Per il commento lessicale a questo vocabolo cf. Mc 3,31.
z3"if$@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z3ViT$@H, –@L, Giacomo; cf. Mc
1,19; compl. di specificazione.

5,38 i" §DP@<J"4 gÆH JÎ< @Éi@< J@Ø •DP4FL<"(f(@Ls i" hgTDgà h`DL$@< i"Â
i8"\@<J"H i" •8"8V.@<J"H B@88Vs
5,38 Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e alcuni che
piangevano e gridavano violentemente.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§DP@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Presente storico.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
@Éi@<: sost., acc. sing. m. da @Éi@H, –@L, casa, abitazione; cf. Mc 2,1; compl. di moto a luogo.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•DP4FL<"(f(@L: sost., gen. sing. m. da •DP4FL<V(T(@H, –@L, capo della sinagoga,
arcisinagogo; cf. Mc 5,22; compl. di specificazione.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
hgTDgÃ: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da hgTDXT, guardare, vedere; cf. Mc 3,11. Presente
storico.
Mc 5,38 393

h`DL$@<: sost., acc. sing. m. da h`DL$@H, –@L, rumore, chiasso, tumulto, sommossa; compl.
oggetto. Il vocabolo ricorre 7 volte nel NT: Mt 26,5; 27,24; Mc 5,38; 14,2; At 20,1; 21,34;
24,18. Il sostantivo h`DL$@H designa nel greco classico lo «strepito» prodotto generalmente
da gruppi di persone (cf. Sofocle, Phil., 1263; Tucidide, Hist., 8,92,7). La frase «vedere un
chiasso» è un traslato ardito, ma efficacissimo, tipico del linguaggio semitico: si tratta della
confusione visiva e uditiva che caratterizza le scene di lutto nel mondo orientale. La Bibbia
ci presenta diverse di queste scene: il defunto veniva pianto non solo dai parenti più stretti,
ma anche dagli amici e persino da alcuni estranei di passaggio e da altre persone pagate per
l’occorrenza. Ognuno «si lamenta e si scioglie in lacrime» (Is 15,3), nella generale «amarezza
dell’anima e amaro cordoglio» (Ez 27,31). Dentro la casa, a pianterreno, fanno il lamento
funebre «tutti i cantori e le cantanti» (2Cr 35,25), ossia «quelli che conoscono la nenia» (Am
5,16). Vi sono, inoltre, numerosi suonatori e flautisti (cf. Mt 9,23). Mentre alcuni consumano
«il pane dell’afflizione» (Ger 16,7), le lamentatrici di professione piangono e gridano (cf. Ger
9,16–19). Le loro grida sono accompagnate con gesti di dolore da parte dei presenti, spesso
assai vistosi: alcuni si strappano i capelli e si percuotono il petto (cf. Mic 1,16; Ger 31,19).
Altri si stracciano le vesti e siedono nella cenere (cf. Gb 2,12; Ger 6,26). In altre occasioni
vi è anche l’usanza di coprirsi il capo con le mani o un velo (cf. Ger 14,3–4), camminare
scalzi (cf. Ez 24,17), incidersi il volto, il braccio o il petto (cf. Ger 16,6), spargere cenere e
polvere sul capo (cf. Lam 2,10), vestirsi di sacco (cf. Is 15,3), radersi la testa e la barba (cf.
Is 15,2), curvare ripetutamente il capo fino a terra (cf. Lam 2,10). I giorni di pianto per il
lutto, dopo che la salma è stata seppellita, possono durare sette giorni (cf. Gn 50,10), ma per
le persone importanti si arriva a trenta (cf. Nm 20,29). Anche per i funerali dei poveri si
chiamano almeno due suonatori di flauto e qualche “donna piangente” che unisce i suoi
lamenti a quelli della famiglia.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
i8"\@<J"H: verbo, acc. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da i8"\T, piangere,
lamentarsi; compl. oggetto. Questo verbo ricorre 40 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 2 volte in Matteo (corrispondente allo 0,011% del totale delle parole);
4 volte in Marco (cf. Mc 5,38.39; 14,72; 16,10 = 0,035%); 11 volte in Luca (0,056%); 8
volte in Giovanni (0,051%). Nella grecità classica i8"\T compare sia nel significato
assoluto intransitivo di «piangere» (cf. Omero, Il., 18,340) sia in quello transitivo di
«compiangere» qualcuno o qualcosa (cf. Omero, Od., 1,363). Nell’uso neotestamentario
i8"\T indica spesso (16 ricorrenze su 40) il pianto e il lamento sui morti o su ciò che si è
perduto (6 volte).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•8"8V.@<J"H: verbo, acc. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da •8"8V.T, [ripetere
frequentemente il grido •8"8Z come facevano i soldati quando entravano in battaglia],
gridare, gemere, fare lamenti; compl. oggetto. Questo verbo ricorre 2 volte nel NT: Mc 5,38
(hapax marciano); 1Cor 13,1. L’etimologia del verbo è di carattere onomatopeico, in
riferimento al grido di guerra (una specie di «a–la–là») ripetuto dai soldati poco prima
dell’attacco, con l’intento di terrorizzare i nemici (cf. Senofonte, Anab., 5,2,14; Giuseppe
Flavio, Antiq., 6,191; 8,283; 12,372.427). Il verbo assume, quindi, il significato di «gridare»,
394 Mc 5,39

levando un forte grido di vittoria, gioia, dolore, terrore, ecc. (cf. Sofocle, Antig., 133; Pindaro,
Olym., 7,37; Euripide, El., 855) e per estensione quello di «gridare» alzando grida e lamenti
rituali in occasione di lutti e sciagure (cf. Euripide, Herc., 981). Nei LXX •8"8V.T è usato
nel significato sia di «alzare il grido [di guerra]» (dove traduce l’ebraico 3H{9, rûa‘: Gs 6,20;
1Sam 17,52; cf. anche Gdt 16,11) sia in quello più generico di «alzare il grido [di giubilo]»
(cf. Gdc 15,14; Sal 47,2; 66,1; 81,2; 95,1.2; 98,4.6; 100,1; Ger 30,19) o «alzare il grido [di
lamento]» (cf. Ger 4,8; 32,34; Ez 27,30).
B@88V: agg. indefinito, acc. plur. n. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34. La forma B@88V è qui usata in modo avverbiale («molto», «con insistenza»,
«intensamente») e non quantitativo («molte cose»). Si tratta di una caratteristica di Marco (cf.
Mc 1,45; 3,12; 5,10.23.26.38.43; 6,20.23; 8,31; 9,12.26; 15,3).

5,39 i"Â gÆFg8hã< 8X(g4 "ÛJ@ÃHs I\ h@DL$gÃFhg i"Â i8"\gJgp JÎ B"4*\@< @Ûi
•BXh"<g< •88 i"hgb*g4.
5,39 Entrò e disse loro: «Perché fate tanto chiasso e piangete? La ragazza non è morta, ma
dorme».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÆFg8hf<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare, venire
dentro, recarsi, andare; cf. Mc 1,21. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. La formula redazionale 8X(g4
"ÛJ@ÃH ricorre 25 volte, esclusivamente riservata a Gesù (cf. Mc 1,38; 2,8.17.25; 3,4;
4,13.35; 5,39; 6,31.38.50; 7,18; 8,17; 9,35; 10,11.24.42; 11,2.22.33; 12,16; 14,13.27.34.41).
Per quanto riguarda la formula singolare 8X(g4 "ÛJè, avente come soggetto Gesù, cf. Mc
1,41.44; 2,14; 5,9.19; 7,34; per 8X(g4 "ÛJ± cf. Mc 5,41.
I\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24. L’uso di J\ con il valore di «perché?» viene
spiegato come una specie di accusativo di specificazione o di relazione («di che cosa?», «in
relazione a che?»); cf. Mc 2,7.8.24; 4,40; 5,35.39; 8,12.17; 9,16.33; 10,18; 11,3; 12,15; 14,6.
h@DL$gÃFhg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. pass. da h@DL$XT, rumoreggiare, schiamazzare,
disturbare. Questo verbo ricorre 4 volte nel NT: Mt 9,23; Mc 5,39 (hapax marciano); At
17,5; 20,10. Nella grecità il verbo h@DL$XT è utilizzato nel senso di «fare chiasso»,
«strepitare» a proposito di gruppi o assembramenti di persone, in segno di approvazione o
disapprovazione (cf. Aristofane, Ves., 622).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
i8"\gJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da i8"\T, piangere, lamentarsi; cf. Mc 5,38.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
Mc 5,40 395

B"4*\@<: sost., nom. sing. n. da B"4*\@<, –@L (diminutivo di B"ÃH), bambino, bambina,
fanciullo, fanciulla, ragazzo, ragazza; soggetto. Il vocabolo ricorre 52 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 18 volte in Matteo (corrispondente allo 0,098% del
totale delle parole); 12 volte in Marco (cf. Mc 5,39.40[x2].41; 7,28.30; 9,24.36.37;
10,13.14.15 = 0,106%); 13 volte in Luca (0,067%); 3 volte in Giovanni (0,019%). Nel greco
classico il termine B"4*\@< è impiegato solitamente per indicare il fanciullo / la fanciulla
fino a 7 anni, mentre il vocabolo B"ÃH designa il ragazzo / la ragazza dai 7 ai 14 anni e
:g4DVi4@< o <g"<\Fi@H il giovane dai 14 ai 21 anni. L’uso dei diminutivi è una delle
caratteristiche dello stile marciano (cf. Mc 3,9; 5,23.39.41; 6,9; 7,25.27.28.30; 8,7;
9,24.36.37; 10,13–14; 14,47) e più in generale del greco ellenistico. Non si deve, tuttavia,
forzare troppo il significato reale di tale diminutivo nell’uso ellenistico: nei LXX il vocabolo
B"4*\@< (unitamente a B"4*VD4@<) traduce il corrispettivo ebraico 93H1H, na‘ar, che può
indicare anche un giovane adulto, come nel caso di Tobia, giunto in età di matrimonio (cf.
Tb 6,2.3.5.10.13). In 2Sam 1,5.6 è chiamato B"4*VD4@< l’amalecita che andò ad annunziare
a Davide la morte di Saul. Del resto anche nei riguardi di questa «fanciulla» più avanti si
riferisce che ha 12 anni (v. 42).
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
•BXh"<g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •B@h<¯FiT (da •B` e h<¯FiT), morire, perire;
cf. Mc 5,35.
•88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno; cf. Mc 1,44.
i"hgb*g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da i"hgb*T (da i"JV e gà*T), addormentarsi,
dormire, riposare; cf. Mc 4,27. Poiché la ragazza è morta realmente, l’immagine del sonno,
indicata con il verbo i"hgb*T, deve essere intesa esclusivamente come una designazione
eufemistica della morte (reale) della fanciulla (cf. anche 1Ts 5,10; Gv 11,11–12): l’idea del
sonno dell’anima è estranea a tutto il NT come al tardo giudaismo. L’espressione di Gesù
(«non è morta, ma dorme») ha un significato non soltanto eufemistico, ma escatologico.
«Hominibus mortua qui suscitare nequieverant, Deo dormiebat», «Per gli uomini che erano
nella impossibilità di risuscitarla era morta, per Dio dormiva» (Beda, In Marci evangelium
Expositio, ad l., PL 92,182).

5,40 i"Â i"Jg(X8T< "ÛJ@Ø. "ÛJÎH *¥ ¦i$"8ã< BV<J"H B"D"8":$V<g4 JÎ<


B"JXD" J@Ø B"4*\@L i"Â J¬< :0JXD" i"Â J@×H :gJz "ÛJ@Ø i"Â gÆFB@DgbgJ"4
ÓB@L µ< JÎ B"4*\@<.
5,40 Essi lo deridevano. Ma egli cacciò tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della
fanciulla e quelli che erano con lui ed entrò dove era la ragazza.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


i"Jg(X8T<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da i"J"(g8VT, deridere. Questo verbo ricorre
3 volte nel NT: Mt 9,24; Mc 5,40 (hapax marciano); Lc 8,53. Imperfetto durativo o iterativo
396 Mc 5,40

per indicare la continuità di tali motti di derisione. Nella grecità il verbo i"J"(g8VT è
impiegato nel significato di «schernire», «sbeffeggiare» (cf. Erodoto, Hist., 5,68,1; Aristofane,
Achar., 1081; Platone, Gorg., 482d).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. La forma genitiva è retta dal
verbo i"J"(g8VT.
"ÛJ`H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., nom. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,8; soggetto.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
¦i$"8f<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ¦i$V88T (da ¦i e $V88T), scacciare, mandare
via, fare uscire, espellere; cf. Mc 1,12. Participio predicativo del soggetto sottinteso
z30F@ØH.
BV<J"H: pron. indefinito, acc. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; compl. oggetto.
B"D"8":$V<g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da B"D"8":$V<T (da B"DV e 8":$V<T),
prendere, prendere con sé, ricevere, accogliere; cf. Mc 4,36. Presente storico.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B"JXD": sost., acc. sing. m. da B"JZD, B"JD`H, padre; cf. Mc 1,20; compl. oggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
B"4*\@L: sost., gen. sing. n. da B"4*\@<, –@L (diminutivo di B"ÃH), bambino, bambina,
fanciullo, fanciulla, ragazzo, ragazza; cf. Mc 5,39; compl. di specificazione.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
:0JXD": sost., acc. sing. f. da :ZJ0D, :0JD`H, madre; cf. Mc 3,31; compl. oggetto.
L’espressione JÎ< B"JXD" J@Ø B"4*\@L i"Â J¬< :0JXD", nella quale si mette in risalto
il ruolo generativo del padre e secondariamente quello della madre, è ebraizzante (cf. Gn
40,1).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J@bH: art. determ., con valore pronominale, acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10;
compl. oggetto. Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e
personale "ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
:gJz: (= :gJV), prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con,
insieme a, in compagnia di; cf. Mc 1,13.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di compagnia.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
gÆFB@DgbgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da gÆFB@Dgb@:"4 (da gÆH e B@Dgb@:"4),
andare dentro, entrare, giungere; cf. Mc 1,21. Presente storico.
ÓB@L: (da ÓH e B@Ø), avv. di luogo, indecl., dove, nel luogo in cui; cf. Mc 2,4.
Mc 5,41 397

µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Predicato verbale.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
B"4*\@<: sost., nom. sing. n. da B"4*\@<, –@L (diminutivo di B"ÃH), bambino, bambina,
fanciullo, fanciulla, ragazzo, ragazza; cf. Mc 5,39; soggetto.

5,41 i"Â iD"JZF"H J­H Pg4DÎH J@Ø B"4*\@L 8X(g4 "ÛJ±s I"84h" i@L:s Ó ¦FJ4<
:ghgD:0<gL`:g<@< IÎ i@DVF4@<s F@Â 8X(Ts §(g4Dg.
5,41 Prese la mano della ragazza e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti
dico, alzati!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


iD"JZF"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da iD"JXT, tenere, prendere, afferrare, catturare;
cf. Mc 1,31. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso z30F@ØH.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
Pg4D`H: sost., gen. sing. f. da Pg\D, Pg4D`H, mano; cf. Mc 1,31; compl. oggetto. La forma al
genitivo è retta dal verbo. Qui come altrove (cf. Mc 1,31.41; 3,1.3.5[x2]; 5,41; 7,32; 8,23;
9,27.43) l’articolo, forse, sta a indicare la mano per eccellenza, ossia quella destra. Come nei
precedenti casi del lebbroso (cf. Mc 1,40) e in quello della donna emorragica (cf. Mc 5,27),
Gesù contravviene palesemente e pubblicamente alle prescrizioni della Legge che proibiva
severamente di toccare un cadavere, poiché l’impurità che derivava dal contatto con un
cadavere era ritenuta la più grave delle impurità:

«Chi avrà toccato un cadavere umano sarà immondo per sette giorni […]. Chiunque avrà
toccato un cadavere, cioè il corpo di una persona umana morta e non si sarà purificato, avrà
profanato la Dimora del Signore e sarà sterminato da Israele. Siccome l’acqua di purificazio-
ne non è stata spruzzata su di lui, egli è in stato di immondezza; ha ancora addosso
l’immondezza» (Nm 19,11.13).

Per la legislazione rabbinica codificata nella Mishnah il cadavere umano era considerato la
più alta fattispecie di impurità su una scala di dieci gradi: «Al di sopra di tutti è il cadavere
umano che rende impuro tutto ciò che sta con lui nella casa, una impurità tale che non è
prodotta da nessun altro caso precedente» (m.Kel., 1,3). E altrove: «Due possono diventare
impuri per contatto con un cadavere, di cui il primo assume impurità per sette giorni e il
secondo è impuro fino a sera… Perché due? Se un uomo tocca un morto diventa impuro per
sette giorni, se un altro uomo tocca lui, è impuro fino a sera» (m.Ohal., 1,1).
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
B"4*\@L: sost., gen. sing. n. da B"4*\@<, –@L (diminutivo di B"ÃH), bambino, bambina,
fanciullo, fanciulla, ragazzo, ragazza; cf. Mc 5,39; compl. di specificazione.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
398 Mc 5,41

"ÛJ±: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. f. da "ÛJ`H, –Z, –`,
[quello], egli, lui, esso; cf. Mc 5,23; compl. di termine. Costruzione ad sensum: la forma
femminile non concorda qui con il termine cui si riferisce, di genere neutro (B"4*\@<).
Analogo fenomeno in Mc 5,23; 6,28.
I"84h": sost., indecl., «fanciulla»; compl. di vocazione. Hapax neotestamentario. Traslitterazio-
ne grecizzata della parola di origine aramaica !; I *A-A)
H , Etalye5t a) ’ (o !;
I -E)A, Et eli5t a) ’), stato
enfatico di %I*-A)H , Et alya) h, «ragazza», «fanciulla», «giovinetta».
i@L:: verbo, indecl., «alzati!». Hapax neotestamentario. Traslitterazione grecizzata della forma
verbale aramaica */ E {8, qûmî, seconda persona singolare dell’imperativo .{8, «alzati!».
L’espressione I"84h" i@L:, assieme ad altre disseminate nel vangelo di Marco (cf.
gnn"h" in Mc 7,34; "$$" in Mc 14,36; g8T4 g8T4 8g:" F"$"Ph"<4 in Mc 15,34),
rappresenta l’indizio più sicuro del fatto che il Gesù della storia parlasse la lingua aramaica.
Marco, pur scrivendo in greco, per rispettare questo loghion nel suo contesto di vita
quotidiana, lo traslittera semplicemente, dandone poi la traduzione. Nell’AT l’imperativo
.{8, qûm / */ E {8, qûmî, è rivolto sia per svegliare qualcuno e farlo alzare (cf. Gn 24,54; Nm
22,13; 1Sam 9,26) sia per far innalzare o risorgere qualcuno dalla morte (cf. Is 26,14.19; Gb
14,12). Un interessante particolare filologico riguarda la strana forma maschile «qûm» riferita
a un nome femminile quando, invece, si sarebbe dovuto usare la seconda persona femminile
singolare dell’imperativo, ossia «qûmî» (come, infatti, glossano alcuni manoscritti: A, 1,
0126, f13). È difficile ritenere che Marco o la sua tradizione abbiamo commesso qualche
errore: molto più probabilmente la forma verbale utilizzata da Gesù rappresenta un uso
popolare dell’aramaico parlato in Palestina nel I secolo d.C. che ignorava la doppia forma
distinta dell’imperativo. Per quanto riguarda la formulazione esteriore di tale comando si deve
notare la grande diversità rispetto ad analoghe pratiche magiche: i maghi e i taumaturghi
dell’antichità pronunciavano le loro formule segrete sempre sottovoce e utilizzando nomi
strani e misteriosi, definiti iDLBJ @<`:"J" (Apollonio di Tiana, De hor., 7,180,2) o
$"D$"D4i Ï<`:"J" (cf. Luciano, Menip., 9,20; Meret., 4,5,6; cf. anche Plinio il Vecchio,
Nat. hist., 28,33). Il filosofo e taumaturgo Apollonio di Tiana pronuncia le sue formule
magiche in segreto: … i" J4 •n"<äH ¦Bg4Jf< •nbB<4Fg J¬< i`D0<, «…e pronuncian-
do qualcosa di nascosto, risvegliò la ragazza» (Flavio Filostrato, Vita Ap., 4,45). Sappiamo
dal Talmud che in occasione di qualche guarigione il taumaturgo era solito «sussurrare» o
«bisbigliare all’orecchio» del malato, anche se tale pratica fu espressamente disapprovata da
alcuni maestri (cf. m.Sanh., 10,1). Il comando di Gesù, al contrario, è formulato in maniera
semplice, diretta, perentoria, ad alta voce.
Ó: pron. relativo, nom. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24; soggetto.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. L’espressione Ó ¦FJ4<, «che è», equivale alle espressioni «che significa», «che
corrisponde a», «vale a dire». Questa formula è presente 9 volte: Mc 3,17; 5,41; 7,11.34;
12,42; 15,16.22.34.42.
:ghgD:0<gL`:g<@<: verbo, nom. sing. n. part. pres. pass. da :ghgD:0<gbT (da :gJV e
©D:0<gbT), tradurre, interpretare. Questo verbo ricorre 8 volte nel NT: Mt 1,23; Mc 5,41;
15,22.34; Gv 1,38.41; At 4,36; 13,8. Il participio è retto da ¦FJ4< in costruzione perifrastica
Mc 5,42 399

(«è da tradursi»), al posto dell’usuale presente «si traduce». Appartenente al greco tardivo,
il verbo :ghgD:0<gbT è usato nella forma sia attiva che passiva nel significato di
«interpretare», «tradurre» (cf. Strabone, Geogr., 17,1,29; Polibio, Hist., 6,26,6).
I`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
i@DVF4@<: sost., nom. sing. n. da i@DVF4@<, –@L, fanciulla, ragazza; compl. di vocazione. Il
vocabolo ricorre 8 volte nel NT: Mt 9,24.25; 14,11; Mc 5,41.42; 6,22.28[x2]. Anche se già
nel greco classico il nominativo è attestato come forma vocativa nei confronti di subalterni,
l’uso del nominativo con l’articolo al posto del vocativo è un semitismo, poiché in ebraico
e aramaico il caso vocativo è reso dal nominativo con l’articolo (cf. Mc 5,8.41; 9,25; 14,36;
15,34[x2]). Sul piano lessicale è interessante notare e confrontare le diverse denominazioni
impiegate per indicare la fanciulla: il padre Giairo la chiama JÎ hL(VJD4`< :@L, «la mia
figlioletta», con espressione di tenero affetto (cf. Mc 5,23); gli inviati la qualificano come º
hL(VJ0D F@L, «la tua figlia», sottolineandone la dipendenza e il possesso (cf. Mc 5,35);
Gesù la definisce inizialmente B"4*\@<, «fanciulla», segnalando la sua condizione di minore
(cf. Mc 5,39.40[x2].41) e, infine, i@DVF4@<, «ragazza», in riferimento a una giovane
adolescente, pronta per il matrimonio (cf. Mc 5,41.42). Per alcuni commentatori l’uso di tale
diversa terminologia è intenzionale: «figlioletta» (hL(VJD4@<) e «figlia» (hL(VJ0D) fanno
riferimento al passato; «fanciulla» (B"4*\@<) alla condizione presente, segnata dalla morte;
«ragazza» (i@DVF4@<) alla condizione futura, aperta alla vita e alla fecondità.
F@\: pron. personale di 2a pers. dat. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,11; compl. di termine.
8X(T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. La forma verbale 8X(T ricorre in Mc 20 volte (cf. Mc 2,11; 3,28; 5,41; 8,12;
9,1.13.41; 10,15.29; 11,23.24.33; 12,43; 13,30.37[x2]; 14,9.18.25.30): essa è usata soltanto
da Gesù, ossia è esclusivamente Gesù che parla del proprio parlare e ne sottolinea la forza,
l’insistenza e la validità.
§(g4Dg: verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. da ¦(g\DT, svegliare, alzare, sollevare, risorgere [i
morti] (trans.); svegliarsi, alzarsi, sollevarsi, risorgere [dai morti] (intr.); cf. Mc 1,31. La
forma asindetica è piuttosto frequente con gli imperativi dei verbi ¦(g\DT (cf. Mc 2,9; 3,3;
5,41; 10,49; 14,42), ßBV(T (cf. Mc 1,44; 5,34; 6,38; 7,29; 10,21.52; 16,7), ÒDVT (cf. Mc
1,44; 6,38; 8,15), F4TBVT (cf. Mc 4,39), n4:`T (cf. Mc 4,39), h"DFXT (cf. Mc 6,50;
10,49), $8XBT (cf. Mc 13,5.23.33). Anche se nel v. 39 si è utilizzato il verbo «dormire», in
riferimento allo stato della fanciulla, si deve intendere ¦(g\DT nel significato di «alzarsi» e
non «svegliarsi»: sia in greco classico come nel NT il significato dell’imperativo attivo
intransitivo è «alzati!» (cf. Mt 9,5; Mc 2,9.11; 3,3; 5,41; 10,49; Lc 5,23.24; 6,8; 8,54; Gv 5,8;
At 3,6; Ef 5,14; Ap 11,1).

5,42 i" gÛh×H •<XFJ0 JÎ i@DVF4@< i" BgD4gBVJg4· µ< (D ¦Jä< *f*gi". i"Â
¦>XFJ0F"< [gÛh×H] ¦iFJVFg4 :g(V8®.
5,42 Subito la ragazza si alzò e si mise a camminare: aveva, infatti, dodici anni. Essi furono
presi da grande stupore.
400 Mc 5,42

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
•<XFJ0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •<\FJ0:4 (da •<V e ËFJ0:4), sorgere, alzarsi,
sollevarsi, risorgere, risuscitare; cf. Mc 1,35.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
i@DVF4@<: sost., nom. sing. n. da i@DVF4@<, –@L, fanciulla, ragazza; cf. Mc 5,41; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BgD4gBVJg4: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da BgD4B"JXT (da BgD\ e B"JXT), camminare,
passeggiare, deambulare; cf. Mc 2,9. Imperfetto durativo.
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16. La formula µF"< (VD
/ µ< (VD, analogamente a i"Â µF"< / i"Â µ< e a µF"< *X / µ< *X, è usata da Marco per
introdurre un inciso di valore causale o esplicativo (cf. Mc 1,16.33; 2,15; 5,42; 6,31.44.48;
7,26; 8,9; 10,22; 11,13; 14,40; 15,25; 16,14).
¦Jä<: sost., gen. plur. n. da §J@H, –§J@LH, anno; cf. Mc 5,25; compl. di età. L’espressione µ<
¦Jä< *f*gi", «era di dodici anni», corrisponde secondo l’uso classico a un genitivo di
qualità predicativo, diversamente da quanto avviene nella lingua italiana, dove l’età viene
indicata con il verbo avere: «aveva dodici anni». Questo particolare anagrafico non è privo
di significato, poiché secondo la legislazione giudaica una ragazza acquisiva la maggiore età
e la capacità di celebrare il matrimonio al raggiungimento di dodici anni e alla comparsa di
due peli pubici: «Una ragazza che abbia due peli [pubici] può compiere lo scalzamento o il
matrimonio di levirato ed è tenuta a osservare tutte le prescrizioni imposte dalla Scrittura»
(m.Nid., 6,11; cf. anche m.Nid., 5,9); «A una ragazza che abbia undici anni e un giorno i voti
vengono esaminati, se però ha dodici anni e un giorno i suoi voti sono validi» (m.Nid., 5,6).
*f*gi": agg. numerale, cardinale, gen. plur. n., indecl., dodici; cf. Mc 3,14; attributo di ¦Jä<.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦>XFJ0F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da ¦>\FJ0:4 (da ¦i e ËFJ0:4), stupire, meravigliare,
sbalordire (trans.); essere meravigliato, essere fuori della propria mente, essere fuori di sé
(intr.); cf. Mc 2,12.
[gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10. L’avverbio è presente nei
codici !, B, C, L, ), 33, 579, 892, 2427. È assente, invece, in P45 e nei codici A, W, 1, f1,
f13. L’omissione potrebbe spiegarsi con l’intenzione di evitare la ripetizione della stessa parola
a breve distanza: in tal caso la lezione lunga sarebbe quella originale.].
¦iFJVFg4: sost., dat. sing. f. da §iFJ"F4H, –gTH, stupore, meraviglia, sbalordimento; compl.
di modo. Il vocabolo ricorre 7 volte nel NT: Mc 5,42; 16,8; Lc 5,26; At 3,10; 10,10; 11,5;
22,17. Dativo di modo o maniera, costruito con la figura etimologica (paronomasia)
dell’oggetto interno (¦>XFJ0F"<… ¦iFJVFg4), probabilmente dovuto a influsso semitico
(infinito assoluto ebraico); analogo fenomeno in Mc 1,26; 3,28; 4,24.41; 7,7.13; 10,38;
13,19; 14,6; 15,26. Diversamente dal greco profano, dove il sostantivo §iFJ"F4H ha
Mc 5,43 401

generalmente il significato negativo di «deviazione», «degenerazione», «turbamento»,


«agitazione» (cf. Aristotele, De gen. anim., 768a 27; Menandro, Epit., 893), nei testi del NT
il termine assume una duplice sfumatura: a) può riferirsi a una esperienza semplicemente
umana esprimente un forte senso di stupore e meraviglia per le manifestazioni del
soprannaturale (cf. Mc 5,42; 16,8; Lc 5,26; At 3,10); b) in alcuni casi può indicare una
esperienza mistica, intesa come visione, rapimento, uscita di sé (cf. At 10,10; 11,5; 22,17).
:g(V8®: agg. indefinito, dat. sing. f. da :X("H, :g(V80, :X(", grande; cf. Mc 1,26; attributo
di ¦iFJVFg4.

5,43 i" *4gFJg\8"J@ "ÛJ@ÃH B@88 Ë<" :0*gÂH (<@à J@ØJ@s i" gÉBg< *@h­<"4
"ÛJ± n"(gÃ<.
5,43 Ma egli ordinò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da
mangiare.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


*4gFJg\8"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da *4"FJX88T (da *4V e FJX88T),
disporre, ordinare, comandare. Questo verbo semideponente ricorre 8 volte nel NT: Mt
16,20; Mc 5,43; 7,36[x2]; 8,15; 9,9; At 15,24; Eb 12,20. L’uso del verbo *4"FJX88T alla
voce media, nel senso di «dare ordini», «ammonire», è tipico del greco biblico (cf. Ez 3,21;
At 15,24): questa accezione corrisponde a quella che nel greco classico viene espressa nella
diatesi attiva (cf. Polibio, Hist., 3,23,5; Diodoro Siculo, Bibl., 28,15,2). In Marco il verbo ha
come soggetto Gesù ed è usato sempre all’interno di un divieto.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
B@88V: agg. indefinito, acc. plur. n. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34. La forma B@88V è qui usata in modo avverbiale («molto», «intensamente», «con
insistenza») e non quantitativo («molte cose»). Si tratta di una caratteristica di Marco (cf. Mc
1,45; 3,12; 5,10.23.26.38.43; 6,20.23; 8,31; 9,12.26; 15,3).
Ë<": cong. subordinativa di valore completivo, indecl., di, che; cf. Mc 1,38. La congiunzione Ë<"
non ha qui il consueto valore finale, ma quello completivo (equivalente a ÓJ4 o ÓBTH): in
pratica introduce una proposizione infinitiva (cf. Mc 3,9a.12; 4,22a; 5,10.18.43; 6,8.12.25.56;
7,26.32.36; 8,22.30; 9,9.12.18.30; 10,35.37; 11,16; 13,34; 15,21).
:0*g\H: (da :Z e gÍH), pron. indefinito negativo, nom. sing. m. da :0*g\H, :0*g:\", :0*X<,
nessuno, alcuno, niente; cf. Mc 1,44; soggetto.
(<@Ã: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da (4<fFiT, percepire, sentire, conoscere, capire; cf.
Mc 4,13.
J@ØJ@: pron. dimostrativo, acc. sing. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 1,27;
compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
402 Mc 5,43

gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7. Il verbo 8X(T, qui in forma iussiva dovuta probabilmente a influsso semitico, è
costruito con l’accusativo e l’infinito nel significato di «comandare», «ordinare», «raccomanda-
re»; analogo esempio in Mc 8,7.
*@h­<"4: verbo, inf. aor. pass. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26. Infinito di valore finale.
"ÛJ±: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. f. da "ÛJ`H, –Z, –`,
[quello], egli, lui, esso; cf. Mc 5,23; compl. di termine.
n"(gÃ<: verbo, inf. aor. da ¦Fh\T, mangiare, prendere cibo, consumare, divorare; cf. Mc 1,6.
Mc 6,1

6,1 5" ¦>­8hg< ¦igÃhg< i" §DPgJ"4 gÆH J¬< B"JD\*" "ÛJ@Øs i" •i@8@Lh@ØF4<
"ÛJè @Ê :"h0J"Â "ÛJ@Ø.
6,1 Partì di là e si recò nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦>­8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori, uscire;
cf. Mc 1,25.
¦igÃhg<: avv. di luogo, indecl., di là, da lì. Il vocabolo ricorre 27 volte nel NT. La distribuzione
nei vangeli è la seguente: 12 volte in Matteo (corrispondente allo 0,065% del totale delle
parole); 5 volte in Marco (cf. Mc 6,1.10.11; 7,24; 10,1 = 0,044%); 3 volte in Luca (0,015%);
2 volte in Giovanni (0,013%). A quale indicazione geografica precisa corrisponde questa
generica informazione locale? Il riferimento locale più vicino è la «casa del capo della
sinagoga» (cf. Mc 5,35), ma probabilmente l’avverbio «di là» si riferisce «all’altra riva»
menzionata in Mc 5,21.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
§DPgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Presente storico.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B"JD\*": sost., acc. sing. f. da B"JD\H, B"JD\*@H, patria; compl. di moto a luogo. Il vocabolo
ricorre 8 volte nel NT: Mt 13,54.57; Mc 6,1.4; Lc 4,23.24; Gv 4,44; Eb 11,14. Nel greco
classico il termine B"JD\H nella forma sostantivata non designa il luogo anagrafico di
nascita (il paese che ha dato i natali), ma più in generale la «terra degli antenati», il luogo nel
quale si è stati allevati ed educati fin dall’infanzia (cf. Omero, Il., 5,213; Od., 4,586; Sofocle,
Oed. tyr., 825).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•i@8@Lh@ØF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da •i@8@LhXT, seguire, accompagnare,
mettersi dietro; cf. Mc 1,18. Presente storico.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
:"h0J"\: sost., nom. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; soggetto.

403
404 Mc 6,2

"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).

6,2 i"Â (g<@:X<@L F"$$VJ@L ³D>"J@ *4*VFig4< ¦< J± FL<"(T(±s i"Â B@88@Â
•i@b@<JgH ¦>gB8ZFF@<J@ 8X(@<JgHs A`hg< J@bJå J"ØJ"s i" J\H º F@n\" º
*@hgÃF" J@bJås i" "Ê *L<V:g4H J@4"ØJ"4 *4 Jä< Pg4Dä< "ÛJ@Ø (4<`:g<"4p
6,2 Venuto il sabato si mise a insegnare nella sinagoga. Tutti quelli che lo ascoltavano
rimasero stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è
quella che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani?

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


(g<@:X<@L: verbo, gen. sing. n. part. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4. Participio al genitivo assoluto.
F"$$VJ@L: sost., gen. sing. n. da FV$$"J@<, –@L, sabato (= il settimo giorno della settimana
ebraica); cf. Mc 1,21; compl. di tempo determinato. La frase (g<@:X<@L F"$$VJ@L appare
nella forma detta “genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore temporale.
³D>"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da –DPT, dare inizio, cominciare; cf. Mc 1,45. La
frase ³D>"J@ / ³D>"<J@ seguita da un infinito come complemento è usata da Marco 26
volte (cf. Mc 1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32.28.32.41.47; 11,15; 12,1; 13,5;
14,19.33.65.69.71; 15,8.18).
*4*VFig4<: verbo, inf. pres. da *4*VFiT, insegnare, istruire, ammaestrare; cf. Mc 1,21.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
FL<"(T(±: sost., dat. sing. f. da FL<"(T(Z, –­H, raccolta, adunanza, assemblea, riunione,
congregazione, sinagoga (forma raddoppiata di FL<V(T); cf. Mc 1,21; compl. di stato in
luogo. È l’ultima volta che Gesù insegna in una sinagoga: d’ora in poi lo farà all’aperto o in
privato, dentro qualche abitazione.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
B@88@\: pron. indefinito, nom. plur. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; soggetto.
•i@b@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da •i@bT, sentire,
ascoltare, percepire, capire, scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. Participio predicativo
del soggetto B@88@\. L’espressione B@88@ •i@b@<JgH deve essere intesa non in senso
ristrettivo (molti, ma non tutti), bensì in quello inclusivo, di valore semitico, corrispondente
a «tutti quelli che ascoltavano» (cf. BV<JgH nel passo parallelo di Lc 4,22). Ritroviamo
questo tipico fenomeno linguistico in Mc 1,34[x2]; 3,10; 6,2; 9,26; 10,31.45; 14,24 (vedi
commento ad l.).
Mc 6,2 405

¦>gB8ZFF@<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. pass. da ¦iB8ZFF@:"4 (da ¦i e B8ZFFT),
essere colpito, essere scosso, essere stupefatto; cf. Mc 1,22. Imperfetto durativo o iterativo.
Nella traduzione italiana è preferibile assegnare l’idea durativa al verbo «dire», per
sottolineare il protrarsi degli interrogativi.
8X(@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo del soggetto B@88@\.
A`hg<: avv. interrogativo, indecl., da dove?, donde? Il vocabolo ricorre 29 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 5 volte in Matteo (corrispondente allo 0,027% del
totale delle parole); 3 volte in Marco (cf. Mc 6,2; 8,4; 12,37 = 0,027%); 4 volte in Luca
(0,021%); 13 volte in Giovanni (0,083%). L’avverbio interrogativo sottintende il verbo
«essere» nel significato di «venire»: «da dove [vengono] a costui…».
J@bJå: pron. dimostrativo, dat. sing. m. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; compl. di
termine. La forma J@bJå ricorre 89 volte nel NT rispetto alle 1387 ricorrenze totali di
questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 7 volte in Matteo (corrispondente
allo 0,038% del totale delle parole); 4 volte in Marco (cf. Mc 6,2[x2]; 10,30; 11,23 =
0,035%); 12 volte in Luca (0,062%); 13 volte in Giovanni (0,083%). Un indizio linguistico
della forte ostilità dimostrata dai concittadini nei riguardi di Gesù si riflette nel fatto di non
pronunciare mai il suo nome, ma di indicarlo in tono spregiativo con un pronome
dimostrativo: @âJ@H, «costui», «quel tale» (cf. Mc 6,2[x2].3).
J"ØJ": pron. dimostrativo, nom. plur. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; compl. oggetto;
cf. Mc 2,8. L’espressione «queste cose» corrisponde qui a «queste capacità», «questi doni».
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J\H: agg. interrogativo, nom. sing. f. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; attributo di F@n\", qui senza articolo perché in
posizione predicativa.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
F@n\": sost., nom. sing. f. da F@n\", –"H, saggezza, sapienza, intelligenza; soggetto. Il
vocabolo ricorre 51 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 3 volte in
Matteo (cf. Mt 11,19; 12,42; 13,54, corrispondente allo 0,016% del totale delle parole); 1
volta in Marco (cf. Mc 6,2, hapax marciano); 6 volte in Luca (cf. Lc 2,40.52; 7,35;
11,31.49; 21,15 = 0,031%). Nel greco classico il termine F@n\" a partire dal VI secolo a.C.
non si riferisce più al sapere in campo pratico (significato più antico; cf. Omero, Il., 15,412),
ma assume una connotazione speculativa: indica una qualità della mente, non una attività o
una abilità ottenuta attraverso l’apprendimento. Nel greco biblico, al contrario, il concetto di
sapienza è normalmente in linea con la tradizione anticotestamentaria e il significato più
arcaico del vocabolo: la sapienza non è intesa come una conoscenza astratta, una ricerca
intellettuale fine a sé stessa (mentalità greca), ma come una assennatezza e perizia
finalizzate a esigenze concrete, in ambito sia esistenziale che etico e religioso. Nel nostro
passo la sapienza accreditata a Gesù fa riferimento alla «dottrina» che questi ha esposto nella
sinagoga di Cafarnao (cf. Mc 1,22).
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
406 Mc 6,3

*@hgÃF": verbo, nom. sing. f. part. aor. pass. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26. Participio
attributivo del soggetto F@n\", in posizione enfatica. La costruzione passiva riconosce la
paternità divina della sapienza concessa a Gesù (passivo divino).
J@bJå: pron. dimostrativo, dat. sing. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 6,2; compl.
di termine.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
"Ê: art. determ., nom. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 2,5.
*L<V:g4H: sost., nom. plur. f. da *b<":4H, –gTH, forza, potenza, potere, miracolo; cf. Mc 5,30;
soggetto.
J@4"ØJ"4: agg. indefinito, nom. plur. f. da J@4@ØJ@H, J@4"bJ0, J@4@ØJ@, simile, tale, di questo
tipo; cf. Mc 4,33; attributo di *L<V:g4H, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
*4V: prep. propria di valore strumentale, seguita dal genitivo, indecl., per, tramite, mediante, per
mezzo di; cf. Mc 2,1.
Jä<: art. determ., gen. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
Pg4Dä<: sost., gen. plur. f. da Pg\D, Pg4D`H, mano; cf. Mc 1,31; compl. di mezzo.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
(4<`:g<"4: verbo, nom. plur. f. part. pres. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4. Participio predicativo del soggetto
*L<V:g4H.

6,3 @ÛP @âJ`H ¦FJ4< Ò JXiJT<s Ò LÊÎH J­H 9"D\"H i" •*g8nÎH z3"if$@L i"Â
z3TF­J@H i" z3@b*" i" E\:T<@Hp i" @Ûi gÆFÂ< "Ê •*g8n" "ÛJ@Ø ô*g
BDÎH º:Hp i" ¦Fi"<*"8\.@<J@ ¦< "ÛJè.
6,3 Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda
e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui con noi?». Ed erano scandalizzati per
causa sua.

@ÛP: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
@âJ`H: pron. dimostrativo, nom. sing. m. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 2,7.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
JXiJT<: sost., nom. sing. m. da JXiJT<, –@<@H, carpentiere, falegname, artigiano; soggetto.
Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mt 13,55; Mc 6,3 (hapax marciano). Nonostante la
difficoltà linguistica di determinare esattamente in che cosa consistesse questa professione,
Mc 6,3 407

il vocabolo greco designa un lavoro artigianale manuale, corrispondente al moderno


«falegname» o «carpentiere» (cf. Senofonte, Hell., 3,4,17), ossia più in generale un artigiano
senza studi. L’impronta di derisione riscontrabile nelle parole dei compaesani, in riferimento
al mestiere esercitato da Gesù, è la garanzia più sicura circa la storicità di questo particolare:
per gli stupiti Ebrei di Nazaret un ordinario artigiano, quale era Gesù ai loro occhi, non
avrebbe potuto mai insegnare in una sinagoga. Stando a questa scarna indicazione storica che
accomuna Gesù a un semplice artigiano (un “falegname”) alcuni autori ritengono che Gesù
non avesse compiuto studi formali e, si aggiunge, non sapeva scrivere e forse neppure
leggere. Secondo questi studiosi il racconto di Lc 4,16–30, che riferisce della lettura fatta da
Gesù nella sinagoga di Nazaret, rimane piuttosto discutibile a livello storico: la citazione
riportata da Luca, posta in bocca a Gesù, ha tutta l’apparenza di essere redazionale, poiché
si tratta di un piccolo florilegio costituito da Is 61,1abd; 58,6d; 61,2a con omissione
contemporanea di Is 61,c.2b. Un secondo e significativo riferimento di questa presunta
incapacità di leggere da parte di Gesù si trova in Gv 7,15: «I Giudei erano stupiti e dicevano:
“Come mai costui conosce le Scritture, senza avere studiato?”». Questa affermazione se, da
una parte, riconosce in Gesù la capacità di conoscere le Scritture ebraiche (dovuta all’ascolto
e all’apprendimento orale), dall’altra testimonierebbe che egli non aveva compiuto studi
formali. Si aggiunge, inoltre, che il vocabolo «scuola» non ricorre mai nel NT, a eccezione
della pagana «scuola di Tiranno» citata da Paolo (cf. At 19,9). Sul piano strettamente storico
sarebbe improbabile, dunque, parlare di scuole o istruzione scolastica istituzionalizzata al
tempo di Gesù come di una realtà diffusa nella Palestina. La conoscenza delle sacre Scritture
che potevano avere i giovani ebrei del I secolo d.C. derivava dall’ascolto della lettura
pubblica della Torah nella sinagoga (quando c’era: pochissime sono le attestazioni di
sinagoghe nel I secolo; quelle galilee risalgono addirittura al periodo che va dal tardo II
secolo al IV secolo d.C., vedi commento a Mc 1,21). Nell’ambito di una famiglia pia come
era quella di Gesù è verosimile che il padre impartisse ai propri figli alcuni insegnamenti
orali, ma anche in simili casi non si può parlare di una vera istruzione, ossia della capacità
autonoma di saper scrivere. Questa attività era riservata alle famiglie aristocratiche e ricche
di Gerusalemme e di pochi altri centri ellenizzati: essere in grado di leggere, scrivere e
spiegare le sacre Scritture, per poi diventare uno scriba, era un traguardo non soltanto per
Ebrei pii e religiosi, ma anche facoltosi. Immaginare che tali condizioni si verificassero a
proposito di Gesù, cresciuto in una famiglia appena benestante, in un oscuro villaggio della
Galilea, risulta difficile.

A queste considerazioni, secondo le quali Gesù non era in grado di scrivere né di


leggere, se ne possono addurre altre che, al contrario, testimoniano la sua capacità di leggere
e scrivere. Dal punto di vista storico sappiamo anzitutto che anche nei piccoli villaggi della
Galilea esistevano dei maestri o scrivani di scuola, i iT:ä< (D"::"JgÃH, «gli scrivani di
villaggio», ricordati da Giuseppe Flavio (cf. Id., Bellum, 1,479; Antiq., 16,203). Non è
pertanto inverosimile che anche Gesù abbia potuto ricevere una istruzione, almeno privata,
da parte di questi rabbini. Per quanto riguarda il passo di Luca 4,16–30 sopra ricordato, in
cui si riferisce della lettura fatta da Gesù nella sinagoga di Nazaret, si osservi: il terzo
evangelista utilizza in proposito tre verbi significativi: •<"(4<fFiT, •<"BJbFFT e
BJbFFT. Il primo verbo (•<"(4<fFiT), come già riferito in Mc 2,25, nel suo significato
408 Mc 6,3

originale equivale a «conoscere bene», «riconoscere» (cf. Omero, Il., 13,734; Od., 1,216).
Successivamente acquista il significato tecnico e circoscritto di «riconoscere uno scritto»,
ossia «leggere» (cf. Pindaro, Olym., 10,1; Tucidide, Hist., 3,49,4; •<V(<Th4, «Leggi!»,
Demostene, Or., 18,118). Nel NT il verbo è usato per indicare la lettura di una lettera (cf. At
15,31; 23,34; 2Cor 1,13; 3,2; Ef 3,4, ecc.), ma soprattutto la lettura di brani tratti dall’AT (cf.
Mt 12,5; 19,4; 21,16.42; 22,31; Mc 2,25; 13,14; Lc 10,26; At 8,28.30.32; Gal 4,21, ecc.). Il
significato prevalente del verbo è, dunque, quello tecnico di leggere ad alta voce, in contesto
liturgico o comunitario (cf. At 13,27; 15,21; 2Cor 3,15). Il secondo verbo utilizzato da Luca
(•<"BJbFFT) è usato nella grecità nel significato di «aprire», «dispiegare» (JÎ $4$8\@<,
«il libro», Erodoto, Hist., 1,125,2) e nel nostro passo indica l’atto materiale di “srotolare” il
volume, secondo l’usanza giudaica di scrivere e conservare i libri. Il terzo verbo (BJbFFT),
ossia «piegare», «ripiegare», «chiudere», indica l’atto opposto, ossia nel nostro caso il gesto
di “arrotolare” il volume per poi consegnarlo all’inserviente. Alla luce di questa attestazione
lessicale così ricca e precisa ci si chiede: ammesso anche che la citazione tratta da Isaia sia
un piccolo florilegio redazionale, dobbiamo forse ritenere che anche la descrizione della
scena in cui Gesù è presentato in qualità di lettore sia una libera composizione lucana
totalmente redazionale? La risposta è negativa: i verbi impiegati indicano con accuratezza la
successione materiale di chi, incaricato della lettura sinagogale, si alza per leggere (•<XFJ0
•<"(<ä<"4), gli viene presentato il volume (¦Bg*`h0 "ÛJè $4$8\@<), lo srotola
(•<"BJb>"H), va alla ricerca del passo da leggere (gâDg< JÎ< J`B@<), arrotola il volume
(BJb>"H JÎ $4$8\@<), lo restituisce all’inserviente (•B@*@×H Jè ßB0DXJ®), si siede
(¦iVh4Fg<) e quindi comincia il commento (³D>"J@ 8X(g4<). La descrizione della scena
e l’accuratezza lessicale dei termini impiegati da Luca presuppongono un sottofondo giudaico
e depongono a favore della capacità di saper leggere da parte di Gesù, ossia dell’autenticità
storica di questa pericope, redatta dagli evangelisti sul ricordo visivo e uditivo di chi fu
presente all’avvenimento.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
LÊ`H: sost., nom. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; apposizione di JXiJT<.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
9"D\"H: sost., nome proprio di persona, gen. sing. f. da 9"D\", –"H, Maria; compl. di
specificazione. Traslitterazione grecizzata del nome proprio femminile di origine ebraica
.I*9A/E , Mirya) m (var. 0I*9A/E , Mirya) n), reso dai LXX 9"D4V:. Nessuna certezza per quanto
riguarda l’etimologia. Alcune spiegazioni sono più popolari che scientifiche: a) per alcuni il
nome deriva da .I* 9*! E /A, Me’îr ya) m, «Stella del mare»; b) per altri deriva da .I* 9/ H , Mar
ya) m, «Mare amaro»; c) altri lo fanno derivare da !I*9E/ I , Ma) riya) ’, «Signora». Più credibile,
ma non pienamente dimostrabile sul piano filologico, la derivazione dalla radice !9/, mr’
(«amare») + suffisso %* (= %&%*): «Amata da Yah[weh]», analogamente a .I" E!C , ’{b5iyya) m
(= {%I" E!C , ’{b5iyya) hû, = %I"E!C , ’{b5iyya) h), «Mio padre [è] Yah[weh]». Il vocabolo ricorre
54 volte nel NT. In 19 ricorrenze designa a) Maria di Nazaret, la madre di Gesù: Mt
1,16.18.20; 2,11; 13,55; Mc 6,3; Lc 1,27.30.34.38.39.41.46.56; 2,5.16.19.34; At 1,14. Nelle
altre occorrenze il vocabolo è impiegato per indicare: b) Maria di Magdala (cf. Mt 27,56.61;
28,1; Mc 15,40.47; 16,1.9; Lc 8,2; 24,10; Gv 19,25; 20,1.11.16.18); c) Maria, la sorella di
Mc 6,3 409

Lazzaro (cf. Lc 10,39.42; Gv 11,1.2.19.20.28.31.32.45; 12,3); d) Maria, madre di Giacomo


e Ioses (cf. Mt 27,56.61; 28,1; Mc 15,40.47; 16,1; Lc 24,10); e) Maria, madre di Cleofa (cf.
Gv 19,25); f) Maria, madre di Giovanni Marco (cf. At 12,12); g) Maria, cristiana di Roma
(cf. Rm 12,6). L’espressione «figlio di Maria» per designare il “falegname” Gesù sembra
avere una colorazione di spregio: nel mondo semita ricordare soltanto la madre di qualcuno
e non anche il padre significa trattarlo come un anonimo, un uomo da nulla, senza un preciso
legame con gli ascendenti. Nell’AT il nome della madre è menzionato quando il padre ha
più di una moglie (cf. 1Re 11,26) o non è un giudeo (cf. Lv 24,10) oppure quando si tratta
di figlio unico di una vedova (cf. 1Re 17,17). L’aggiunta di «fratelli e sorelle», anch’essi
senza padre, accomuna tutta la parentela di Gesù alla stregua di un clan familiare di nessun
conto. Tale era la considerazione dei Nazaretani nei riguardi di Gesù.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•*g8n`H: sost., nom. sing. m. da •*g8n`H, –@Ø, fratello; cf. Mc 1,16; apposizione di JXiJT<.
Per il commento lessicale a questo vocabolo e la problematica che esso comporta in
riferimento a Gesù vedi Mc 3,31.
z3"if$@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z3ViT$@H, –@L, Giacomo; cf. Mc
1,19; compl. di specificazione.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
z3TF­J@H: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z3TF­H, –­J@H, Ioses; compl. di
specificazione. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mc 6,3; 15,40.47. Traslitterazione
grecizzata del nome proprio maschile di origine ebraica *2 F |*, Yôsê (o %2G|*, Yôseh), forma
galilea abbreviata da 42 F |*, Yôse)p) (= Giuseppe), «Yah[weh] accresca». Nulla sappiamo di
questo personaggio, riportato con questa grafia soltanto da Marco. Per convenzione nelle
traduzioni moderne si è scelto di tradurre i due nomi z3TF­H / z3TF¬n, rispettivamente con
Ioses e Giuseppe (regola non sempre rispettata). Per quanto riguarda la ricorrenza del nome
42F|*, Yôse)p) in Marco vedi commento a Mc 15,43.45.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
z3@b*": sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z3@b*"H, –", Giuda; cf. Mc 3,19;
compl. di specificazione.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
E\:T<@H: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da E\:T<, –T<@H, Simone, Simeone;
cf. Mc 1,16; compl. di specificazione.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
gÆF\<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Predicato verbale.
"Ê: art. determ., nom. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 2,5.
•*g8n"\: sost., nom. plur. f. da •*g8nZ, –­H, sorella; cf. Mc 3,32; soggetto. Per il commento
lessicale a questo vocabolo cf. Mc 3,31.
410 Mc 6,4

"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
ô*g: avv. di luogo, indecl., qui, qua. Il vocabolo ricorre 61 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 18 volte in Matteo (corrispondente allo 0,098% del totale delle
parole); 10 volte in Marco (cf. Mc 6,3; 8,4; 9,1.5; 11,3; 13,2.21; 14,32.34; 16,6 = 0,088%);
15 volte in Luca (0,077%); 5 volte in Giovanni (0,032%).
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
º:H: pron. personale di 1a pers. acc. plur. da º:gÃH (gen. º:ä<, dat. º:Ã<, acc. º:H), noi;
cf. Mc 1,24; compl. di stato in luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦Fi"<*"8\.@<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. pass. da Fi"<*"8\.T, mettere una pietra
d’inciampo, impedire il cammino, far inciampare, offendere, scandalizzare; cf. Mc 4,17.
Imperfetto durativo o iterativo.
¦<: prep. propria di valore causale, seguita dal dativo, indecl., per, a causa di; cf. Mc 1,2.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di causa. L’espressione ¦< "ÛJè è un
esempio di ¦< strumentale dovuto a influsso semitico: la preposizione greca traduce quella
corrispondente ebraica (vA, be), impiegata per esprimere non un complemento di luogo, ma
di causa. L’espressione i"Â ¦Fi"<*"8\.@<J@ ¦< "ÛJè, «ed erano scandalizzati di lui»,
richiama in forma antitetica quella matteana i" :"iVD4`H ¦FJ4< ÔH ¦< :¬ Fi"<*"84-
Fh± ¦< ¦:@\, «beato chi non si scandalizza di me» (cf. anche Lc 7,23).

6,4 i" §8g(g< "ÛJ@ÃH Ò z30F@ØH ÓJ4 ?Ûi §FJ4< BD@nZJ0H –J4:@H gÆ :¬ ¦< J±
B"JD\*4 "ÛJ@Ø i" ¦< J@ÃH FL((g<gØF4< "ÛJ@Ø i" ¦< J± @Æi\‘ "ÛJ@Ø.
6,4 Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi
parenti e perfino in casa sua».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’espressione [i"Â] §8g(g< "ÛJ@ÃH…, «[e] diceva loro…»; i"Â §8g(g<…, «e
diceva…», posta all’inizio di una proposizione, è usata da Marco come formula abituale di
raccordo per unire sentenze staccate o una serie di sentenze (cf. Mc 2,27; 4,11.21.24.26.30;
6,4.10; 7,9.20; 8,21; 9,1; 11,17; 14,36). L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo
(«diceva», «continuava a dire»), ma quello puntuale corrispondente a un aoristo («disse»). Per
altri esempi di questo imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23;
4,2.9.11.21.24.26.30.41; 5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28;
12,35.38; 14,70; 15,12a.14.
Mc 6,4 411

"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
?Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale. La formula @Ûi… gÆ :Z…
(gÆ :Z… @Ûi…), «non… se non…» (cf. Mc 2,26; 5,37; 6,4.5; 8,14; 13,20; cf. anche Mc
6,8; 9,9.29; 10,18; 11,13; 13,32) non è un vero semitismo poiché è attestata anche nel greco
classico (cf. Erodoto, Hist., 2,73,1; Senofonte, Anab., 1,5,6).
§FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
BD@nZJ0H: nom. sing. m. da BD@nZJ0H, –@L, porta–voce, profeta; cf. Mc 1,2; soggetto.
–J4:@H: agg. qualificativo, nom. sing. m. da –J4:@H, –@< (da –8n" privativa e J4:Z), senza
onore, disonorato, disprezzato; predicato nominale. Il vocabolo ricorre 4 volte nel NT: Mt
13,57; Mc 6,4 (hapax marciano); 1Cor 4,10; 12,23. Nel greco profano il vocabolo indica
tecnicamente colui che è privato dei diritti civili (cf. Erodoto, Hist., 1,173,5) o di altri
privilegi (cf. Tucidide, Hist., 3,58,5). Più in generale, detto di persone, l’aggettivo assume il
significato di «disonorato», «disprezzato», «ritenuto indegno» (cf. Omero, Il., 1,171). Qui il
disprezzo di cui si parla è quello del rifiuto e dell’incredulità.
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7. La particella gÆ è qui strettamente unita alla negazione per formare la
locuzione congiuntiva gÆ :Z, «tranne», «all’infuori», «eccetto», che introduce una
proposizione eccettuativa. La formula, generalmente usata senza un verbo seguente, si
ritrova in Mc 2,7.26; 5,37; 6,4.5.8; 8,14; 9,9.29; 10,18; 11,13; 13,32.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
B"JD\*4: sost., dat. sing. f. da B"JD\H, B"JD\*@H, patria; cf. Mc 6,1; compl. di stato in luogo.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
412 Mc 6,5

J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
FL((g<gØF4<: agg. qualificativo, di valore sostantivato, dat. plur. m. da FL((g<ZH, –XH (da Fb<
e (X<@H), consanguineo, parente, concittadino; compl. di stato in luogo. Il vocabolo ricorre
11 volte nel NT: Mc 6,4 (hapax marciano); Lc 1,58; 2,44; 14,12; 21,16; Gv 18,26; At 10,24;
Rm 9,3; 16,7.11.21. L’aggettivo FL((g<ZH indica colui che ha lo stesso (X<@H, ossia «il
parente» carnale, «il consanguineo» (cf. Eschilo, Prom., 855; Euripide, Andr., 887); nell’uso
sostantivato equivale a «il parente» (cf. Erodoto, Hist., 2,91,6). In un senso più ampio indica
colui che fa parte della stessa famiglia, tribù o popolo (cf. Tucidide, Hist., 1,95,1). Questi
significati ritroviamo in Giuseppe Flavio, dove FL((g<ZH indica i parenti in senso stretto (cf.
Id., Antiq., 1,176.179.252.296, ecc.), i membri della stessa tribù (cf. Id., Antiq., 7,260) o gli
appartenenti alla «stirpe ebraica» (cf. Id., Antiq., 5,267).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
@Æi\‘: sost., dat. sing. f. da @Æi\", –"H, casa, abitazione, dimora; cf. Mc 1,29; compl. di stato
in luogo. Da notare l’effetto prodotto dall’enumerazione, con termini sempre più circoscritti
(«patria», «parentela», «casa»): ciò introduce una progressiva notazione aggravante nel detto,
per cui l’ultimo i"\ della serie si può rendere in italiano con l’avverbio «perfino». Il detto
di Gesù (cf. anche la redazione di Lc 4,24) appartiene a una serie di aforismi che circolavano
indipendenti nel mondo giudaico e in quello greco e romano. Una versione più elaborata
recita: «Gesù ha detto: “Nessun profeta è accettato nella sua patria. Nessun medico guarisce
chi lo conosce”» (Vangelo di Tommaso, 31). Altri paralleli letterari ritroviamo nella
letteratura ellenistica: «È opinione di tutti i filosofi che la vita è difficile nella loro terra natia»
(Dione Crisostomo, Or., 47,6).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).

6,5 i" @Ûi ¦*b<"J@ ¦igà B@4­F"4 @Û*g:\"< *b<":4<s gÆ :¬ Ï8\(@4H •DDfFJ@4H
¦B4hgÂH JH PgÃD"H ¦hgDVBgLFg<.
6,5 Non poté lì compiere nessun prodigio; impose soltanto le mani a pochi ammalati e li
guarì.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Mc 6,5 413

@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale. La formula @Ûi… gÆ :Z…
(gÆ :Z… @Ûi…), «non… se non…» (cf. Mc 2,26; 5,37; 6,4.5; 8,14; 13,20; cf. anche Mc
6,8; 9,9.29; 10,18; 11,13; 13,32) non è un vero semitismo, poiché è attestata anche nel greco
classico (cf. Erodoto, Hist., 2,73,1; Senofonte, Anab., 1,5,6).
¦*b<"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere
in grado di; cf. Mc 1,40. L’imperfetto non ha qui il valore iterativo («poteva»), ma puntuale,
corrispondente a un aoristo («poté»): nel greco classico alcuni verbi cosiddetti “servili” (come
*b<":"4) preferiscono la forma dell’azione incompiuta (ossia il tempo imperfetto) perché
quella determinata azione trova il suo vero fine nell’azione espressa dal verbo che segue,
senza la quale la prima rimane incompleta.
¦igÃ: avv. di luogo, indecl., là, lì, in quel posto; cf. Mc 1,38.
B@4­F"4: verbo, inf. aor. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere, compiere; cf. Mc 1,3.
@Û*g:\"<: (da @Û*X e gÍH), agg. indefinito negativo, acc. sing. f. da @Û*g\H, @Û*g:\", @Û*X<,
nessuno, niente; cf. Mc 2,21; attributo di *b<":4<. La frequenza della doppia negazione (qui
@Ûi… @Û*g:\"<…) è una caratteristica stilistica di Marco (cf. Mc 1,44; 2,2; 3,20.27; 5,37;
6,5; 7,12; 9,1.41; 10,15; 13,2[x2].19.30.31; 14,25.31; 16,8.18) per dare maggiore enfasi alla
negazione, senza escludere la possibilità che essa derivi dall’indole popolare della lingua dei
vangeli.
*b<":4<: sost., acc. sing. f. da *b<":4H, –gTH, forza, potenza, potere, miracolo; cf. Mc 5,30;
compl. oggetto.
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7. La particella gÆ è qui strettamente unita alla negazione per formare la
locuzione congiuntiva gÆ :Z, «tranne», «all’infuori», «eccetto», che introduce una
proposizione eccettuativa. La formula, generalmente usata senza un verbo seguente, si
ritrova in Mc 2,7.26; 5,37; 6,4.5.8; 8,14; 9,9.29; 10,18; 11,13; 13,32. Qui è unita al verbo di
modo finito ¦hgDVBgLFg<.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
Ï8\(@4H: agg. indefinito, dat. plur. m. da Ï8\(@H, –0, –@<, poco, un po’, per un po’; cf. Mc
1,19; attributo di •DDfFJ@4H.
•DDfFJ@4H: agg. qualificativo, di valore sostantivato, dat. plur. m. da –DDTFJ@H, –@< (da
–8n" privativa e una presunta parola derivata da Õf<<L:4), senza forza, debole, infermo,
malato; compl. di termine. Il vocabolo ricorre 5 volte nel NT: Mt 14,14; Mc 6,5.13; 16,18.
Nel greco sia profano che biblico il termine è impiegato per indicare gli infermi o i debilitati
in senso fisico oppure morale (cf. Senofonte, Apol., 30; Aristotele, Hist. anim., 634b 17).
¦B4hg\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ¦B4J\h0:4 (da ¦B\ e J\h0:4), sovrapporre,
imporre, soprannominare; cf. Mc 3,16. Participio predicativo del soggetto sottinteso
z30F@ØH.
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
PgÃD"H: sost., acc. plur. f. da Pg\D, Pg4D`H, mano; cf. Mc 1,31; compl. oggetto. Imporre le mani
su un malato per guarirlo è gesto comune nelle narrazioni di guarigioni da parte di Gesù (cf.
414 Mc 6,6

Mc 5,23; 6,5; 7,32; 8,23.25; cf. anche Mc 10,16, dove tale gesto è usato per benedire).
L’azione di imporre le mani al fine di procurare una guarigione sarà ripetuta dagli apostoli
per espressa volontà di Gesù (cf. Mc 16,18) e diventerà rito della Chiesa.
¦hgDVBgLFg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da hgD"BgbT, riparare, guarire, curare, ridare
salute; cf. Mc 1,34.

6,6 i" ¦h"b:".g< *4 J¬< •B4FJ\"< "ÛJä<. 5" BgD4­(g< JH if:"H ibi8å
*4*VFiT<.
6,6 E si meravigliava della loro incredulità. Allora si mise a percorrere i villaggi
all’intorno, insegnando.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦h"b:".g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da h"L:V.T, meravigliarsi, meravigliare,
stupirsi; cf. Mc 5,20. Imperfetto durativo o iterativo per indicare la meraviglia nel constatare
il perdurare di questa incredulità. Nei racconti di miracoli la “meraviglia” è tipica dei
testimoni o degli ascoltatori (cf. Mt 8,27; 9,33; 15,31; 21,20; Mc 5,20; Lc 8,25; 9,43; 11,14):
qui, al contrario, è riferita a Gesù.
*4V: prep. propria di valore causale, seguita dall’accusativo, indecl., a causa di, a motivo di, per;
cf. Mc 2,1.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
•B4FJ\"<: sost., acc. sing. f. da •B4FJ\", –"H, incredulità, mancanza di fede; compl. di causa.
Il vocabolo ricorre 11 volte nel NT: Mt 13,58; Mc 6,6; 9,24; 16,14; Rm 3,3; 4,20; 11,20.23;
1Tm 1,13; Eb 3,12.19. Il termine indica nel greco sia profano (cf. Plutarco, Alex., 75,2,2) che
biblico (cf. Sap 14,25) il rifiuto, la non accettazione di un messaggio, una notizia, una
testimonianza. Qui esprime il rifiuto deliberato da parte degli abitanti di Nazaret i quali
respingono Gesù a motivo della sua provenienza nota a tutti.
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona plurale
(«di essi» = «loro»).
5"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.
21.26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.
48a.50.53a.65a.72b; 15,2.
BgD4­(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da BgD4V(T (da BgD\ e –(T), andare in giro,
gironzolare, percorrere, attraversare. Questo verbo ricorre 6 volte nel NT: Mt 4,23; 9,35;
23,15; Mc 6,6 (hapax marciano); At 13,11; 1Cor 9,5. Imperfetto durativo o iterativo. Il verbo
BgD4V(T assume il significato letterale proprio di «portare attorno» nella diatesi attiva
transitiva (cf. Erodoto, Hist., 3,85,3; Aristofane, Ves., 990), mentre nell’uso intransitivo
equivale a «girare attorno», «andare in giro» (cf. Aristotele, Meteor., 356a 8).
Mc 6,7 415

JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
if:"H: sost., acc. plur. f. da if:0, –0H, villaggio, borgata; compl. di moto per luogo. Il
vocabolo ricorre 27 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 4 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,022% del totale delle parole); 7 volte in Marco (cf. Mc
6,6.36.56; 8,23.26.27; 11,2 = 0,062%); 12 volte in Luca (0,062%); 3 volte in Giovanni
(0,019%). Nella grecità il sostantivo if:0 indica il «villaggio» aperto (cf. Erodoto, Hist.,
1,97,2; Platone, Leg., 627a; Tucidide, Hist., 3,94,4), distinto dalla B`84H, «città» (cf. Mc
1,33), generalmente circondata da mura.
ibi8å: sost., dat. sing. m. da ibi8@H, –@L, cerchio; cf. Mc 3,34. Questa forma è qui usata con
il significato di avverbio di modo «in cerchio», «in circolo» o in quello locativo «attorno»,
«all’intorno».
*4*VFiT<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da *4*VFiT, insegnare, istruire, ammaestrare; cf.
Mc 1,21. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH.

6,7 i" BD@Fi"8gÃJ"4 J@×H *f*gi" i" ³D>"J@ "ÛJ@×H •B@FJX88g4< *b@ *b@
i" ¦*\*@L "ÛJ@ÃH ¦>@LF\"< Jä< B<gL:VJT< Jä< •i"hVDJT<s
6,7 Chiamò a sé i Dodici e incominciò a mandarli a due a due, dando loro potere sugli
spiriti cattivi.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


BD@Fi"8gÃJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da BD@Fi"8XT (da BD`H e i"8XT),
chiamare a sé, convocare, eleggere; cf. Mc 3,13. Presente storico.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
*f*gi": agg. numerale, cardinale, di valore sostantivato, acc. plur. m., indecl., dodici, Dodici
(apostoli); cf. Mc 3,14; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
³D>"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da –DPT, dare inizio, cominciare; cf. Mc 1,45. La
frase ³D>"J@ / ³D>"<J@ seguita da un infinito come complemento è usata da Marco 26
volte (cf. Mc 1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32; 10,28.32.41.47; 11,15; 12,1;
13,5; 14,19.33.65.69.71; 15,8.18). La frequenza di questa formula è dovuta probabilmente
a influsso semitico: quasi sempre equivale a una perifrasi nella quale il verbo –DPT, di
valore pleonastico, può essere omesso, mentre l’infinito dipendente viene reso con la 3a
persona dell’indicativo aoristo o imperfetto corrispondente.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
•B@FJX88g4<: verbo, inf. pres. da •B@FJX88T (•B` e FJX88@:"4), inviare, mandare; cf. Mc
1,2.
*b@: agg. numerale, cardinale, acc. plur. m. da *b@ (gen. *b@, dat. *LF\<, acc. *b@), due. Il
vocabolo ricorre 135 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 40 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,218% del totale delle parole); 18 volte in Marco (cf. Mc
416 Mc 6,8

6,7[x2].9.38.41[x2].43.45.47; 10,8[x2]; 11,1; 12,42; 14,1.13; 15,27.38; 16,12 = 0,159%); 29


volte in Luca (0,149%); 13 volte in Giovanni (0,083%).
*b@: agg. numerale, cardinale, acc. plur. m. da *b@ (gen. *b@, dat. *LF\<, acc. *b@), due; cf.
Mc 6,7; compl. distributivo. L’espressione distributiva *b@ *b@, con il raddoppiamento del
numero cardinale, è dovuta a influsso semitico (cf. Gn 6,19; 7,3; 1Cr 24,6, LXX), ma non
può essere escluso l’uso ellenistico, poiché il senso distributivo che in classico si esprime con
•<V o i"JV nella Koiné si può esprimere ripetendo il numerale. In altro luogo Marco
scriverà più correttamente i"J ©i"JÎ< i" i"J Bg<JZi@<J" (Mc 6,40). L’espressione
ha il significato avverbiale corrispondente all’italiano «due a due», «due alla volta». Analogo
fenomeno si riscontra in Mc 6,39.40. L’uso di andare in coppia è giudaico e testimoniato
anche nella Bibbia (cf. Gn 19,1; Gs 2,4.23; 1Re 21,13; Tb 11,4; Am 3,3): tale usanza valeva
sia per i messaggeri privati (ad esempio i discepoli di un dottore della legge) sia per incarichi
ufficiali poiché la testimonianza era credibile soltanto sulla base di due persone (cf. Nm
35,30; Dt 17,6; 19,15; Mt 18,16; Gv 8,17; 2Cor 13,1; 1Tm 5,19; Eb 10,28; Ap 11,3). I due
messaggeri venivano chiamati «compagni di giogo»; quello dei due a cui spettava prendere
la parola doveva avere con sé il compagno di giogo a conferma del messaggio che recava.
Questo invio di due persone insieme (cf. anche Mc 11,1; 14,13) si riscontra anche presso i
discepoli di Giovanni Battista (cf. Lc 7,18; Gv 1,37) e nella stessa Chiesa primitiva (cf. At
8,14; 9,38; 13,2–4; 15,27.39.40; 19,22).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦*\*@L: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26. Imperfetto descrittivo,
con valore di continuità: in alcuni casi, come qui, diversamente dalla lingua greca che
preferisce evidenziare la reiterazione aspettuale dell’azione, la lingua italiana preferisce il
riferimento temporale utilizzando non l’imperfetto, ma il passato prossimo o remoto.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
¦>@LF\"<: sost., acc. sing. f. da ¦>@LF\", –"H (da §>g4:4), potere, autorità, abilità, forza; cf.
Mc 1,22; compl. oggetto.
Jä<: art. determ., gen. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
B<gL:VJT<: sost., gen. plur. n. da B<gØ:", –"J@H, alito, soffio, vento, spirito, Spirito; cf. Mc
1,8; compl. di specificazione. Si tratta di un genitivo oggettivo: il potere riguardo gli spiriti
cattivi.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
•i"hVDJT<: agg. qualificativo, gen. plur. n. da •iVh"DJ@H, –@< (da –8n" privativa e
i"h"\DT), non pulito, sporco, immondo, impuro; cf. Mc 1,23; attributo di B<gL:VJT<.

6,8 i"Â B"DZ((g48g< "ÛJ@ÃH Ë<" :0*¥< "ÇDTF4< gÆH Ò*Î< gÆ :¬ ÕV$*@< :`<@<s
:¬ –DJ@<s :¬ BZD"<s :¬ gÆH J¬< .f<0< P"8i`<s
6,8 Ordinò loro che, eccetto il bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane né
bisaccia né denaro nella cintura;
Mc 6,8 417

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


B"DZ((g48g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da B"D"((X88T (da B"DV e la radice di
–((g8@H), comandare, ordinare, incaricare. Questo verbo ricorre 32 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 10,5; 15,35; Mc 6,8; 8,6; Lc 5,14; 8,29.56; 9,21.
Diversamente dai sinonimi •((X88T (non presente in Marco), •<"((X88T (non presente
in Marco), •B"((X88T (cf. Mc 5,14), ¦B"((X88T:"4 (cf. Mc 14,11), il verbo
B"D"((X88T esprime nel NT non un generico «riferire», «annunciare» (cf. Eschilo, Ag.,
289; Euripide, Suppl., 1173), ma un «comandare» con autorità (cf. Eschilo, Pers., 469;
Erodoto, Hist., 7,147,2), un ordinare in base a una propria potestà. Nei vangeli soggetto del
verbo è soltanto Gesù, il quale ordina determinate disposizioni ai Dodici (cf. Mc 6,8), alla
folla (cf. Mc 8,6) o agli spiriti cattivi (cf. Lc 8,29).
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
Ë<": cong. subordinativa di valore completivo, indecl., di, che; cf. Mc 1,38. La congiunzione Ë<"
non ha qui il consueto valore finale, ma quello completivo (equivalente a ÓJ4 o ÓBTH): in
pratica introduce una proposizione infinitiva (cf. Mc 3,9a.12; 4,22a; 5,10.18.43; 6,8.12.25.56;
7,26.32.36; 8,22.30; 9,9.12.18.30; 10,35.37; 11,16; 13,34; 15,21).
:0*X<: (da :Z e gÍH), pron. indefinito negativo, di valore sostantivato, acc. sing. n. da :0*g\H,
:0*g:\", :0*X<, niente, nulla, alcuna cosa; cf. Mc 1,44; compl. oggetto.
"ÇDTF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. pres. da "ÇDT, alzare, sollevare, sostenere, sorreggere,
portare, prendere; cf. Mc 2,3.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
Ò*`<: sost., acc. sing. f. da Ò*`H, –@Ø, strada, via; cf. Mc 1,2; compl. di moto per luogo.
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7. La particella gÆ è qui strettamente unita alla negazione per formare la
locuzione congiuntiva gÆ :Z, «tranne», «all’infuori», «eccetto», che introduce una
proposizione eccettuativa. La formula, generalmente usata senza un verbo seguente, si
ritrova in Mc 2,7.26; 5,37; 6,4.5.8; 8,14; 9,9.29; 10,18; 11,13; 13,32.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
ÕV$*@<: sost., acc. sing. f. da ÕV$*@H, –@L, bastone, verga; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre
12 volte nel NT: Mt 10,10; Mc 6,8 (hapax marciano); Lc 9,3; 1Cor 4,21; Eb 1,8[x2]; 9,4;
11,21; Ap 2,27; 11,1; 12,5; 19,15. Il termine non indica qui la verga o il bastone flessibile
(cf. Senofonte, De re eq., 11,4), ma il bastone rigido, usato non soltanto dal viandante, ma
dal pastore, dai vecchi e dagli infermi. In particolare nell’area del Vicino Oriente il bastone
da viaggio era indispensabile per il viandante sia come strumento di appoggio lungo il
cammino sia come immediata arma di difesa in caso di pericolo (cf. Gn 32,10; Es 12,11).
:`<@<: (forma neutra di :`<@H), avv. di modo, indecl., soltanto, solo, unicamente; cf. Mc 4,10.
Alcuni intendono il vocabolo come un aggettivo («solo») in riferimento al bastone;
grammaticalmente ciò è possibile, ma la traduzione risulta identica, poiché dire «prendere
soltanto un bastone» e dire «prendere un solo bastone» è la stessa cosa.
418 Mc 6,9

:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.


–DJ@<: sost., acc. sing. m. da –DJ@H, –@L, pane; cf. Mc 2,26; compl. oggetto. La funzione
dell’articolo indeterminativo italiano viene espressa nel greco biblico mediante il sostantivo
senza articolo, come avviene qui per i vocaboli ÕV$*@H, –DJ@H, BZD" e P"8i`H.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
BZD"<: sost., acc. sing. f. da BZD", –"H, bisaccia, sacca, sacco; compl. oggetto. Il vocabolo
ricorre 6 volte nel NT: Mt 10,10; Mc 6,8 (hapax marciano); Lc 9,3; 10,4; 22,35.36.
Probabilmente il termine indica non la borsa del mendicante, ma il «tascapane», ossia la
sacca di pelle che, aperta sulla parte superiore, si portava a tracolla, sul fianco sinistro,
mediante una cinghia che passava sulla spalla destra (cf. Omero, Od., 13,437). Il termine
italiano «bisaccia» rende abbastanza adeguatamente tale significato. La menzione in
successione di «pane» e «borsa per il pane» non può essere considerata una tautologia,
poiché in greco i due termini (–DJ@H, BZD") sono assolutamente diversificati.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
.f<0<: sost., acc. sing. fa da .f<0, –0H, fascia, benda; compl. di stato in luogo; cf. Mc 1,6;
compl. di stato in luogo.
P"8i`<: sost., acc. sing. m. da P"8i`H, –@Ø, rame, moneta; compl. oggetto. Il vocabolo
ricorre 5 volte nel NT: Mt 10,9; Mc 6,8; 12,41; Lc 13,1; Ap 18,12. Il significato originario
del sostantivo P"8i`H è quello di «rame» (cf. Omero, Il., 11,133; Od., 2,338). Nel greco
tardivo, per sineddoche, il vocabolo è usato anche nel significato di «moneta di rame» o
semplicemente «moneta» (cf. Plutarco, Quaest. conv., 665,b,3).

6,9 •88 ßB@*g*g:X<@LH F"<*V84"s i" :¬ ¦<*bF0Fhg *b@ P4Jä<"H.


6,9 ma di calzare soltanto i sandali e di non indossare due tuniche.

•88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno; cf. Mc 1,44.
ßB@*g*g:X<@LH: verbo, acc. plur. m. part. perf. medio da ßB@*XT (da ßB` e *XT), legare
sotto, calzare, indossare. Questo verbo semideponente ricorre 3 volte nel NT: Mc 6,9 (hapax
marciano); At 12,8; Ef 6,15. Nella grecità il verbo ßB@*XT è usato nella diatesi sia attiva che
media con il significato di «legare sotto», «allacciare», riferito generalmente a scarpe,
sandali, ecc. (cf. Plutarco, Pomp., 24,7,7; Aristofane, Av., 492; Platone, Symp., 220b). Nel
NT il verbo compare soltanto alla voce media. L’espressione ßB@*g*g:X<@LH F"<*V84"
è un anacoluto: il participio accusativo può essere qui inteso come predicativo del pronome
«essi», soggetto di una proposizione infinitiva non esplicitata: «comandò… che essi
calzassero soltanto i sandali…», «comandò… a essi di calzare soltanto i sandali…».
Mc 6,10 419

F"<*V84": sost., acc. plur. n. da F"<*V84@<, –@L, sandalo; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre
2 volte nel NT: Mc 6,9 (hapax marciano); At 12,8. Nella grecità il sostantivo F"<*V84@<,
sinonimo del più comune FV<*"8@<, indica il «sandalo» (lat. calceamentum), ossia la più
comune calzatura usata dagli antichi (cf. Erodoto, Hist., 2,91,3). Come conferma ampiamente
l’archeologia si trattava propriamente di una risuolatura fatta di legno o cuoio che veniva
adattava sul fondo del piede ed era legata con cinghie al polpaccio. L’uso dei diminutivi è
una delle caratteristiche dello stile marciano (cf. Mc 3,9; 5,23.39.41; 6,9; 7,25.27.28.30; 8,7;
9,24.36.37; 10,13–14; 14,47).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
¦<*bF0Fhg: verbo, 2a pers. plur. congiunt. aor. medio da ¦<*bT, mettersi addosso, indossare,
vestire, vestirsi; cf. Mc 1,6. Con questo congiuntivo (dal valore di imperativo), il discorso
diretto subentra a quello indiretto, fenomeno, questo, non raro anche nel greco classico. La
negazione :Z seguita da un congiuntivo aoristo vieta di intraprendere una azione: Gesù
esclude che gli apostoli possano portare la tunica di scorta; essi devono recarsi in missione
con il solo necessario: un bastone, una tunica, un paio di sandali.
*b@: agg. numerale, cardinale, acc. plur. m. da *b@ (gen. *b@, dat. *LF\<, acc. *b@), due; cf.
Mc 6,7; attributo di P4Jä<"H.
P4Jä<"H: sost., acc. plur. m. da P4Jf<, –ä<@H, chitone, sottoveste, tunica, vestito; compl.
oggetto. Il vocabolo ricorre 11 volte nel NT: Mt 5,40; 10,10; Mc 6,9; 14,63; Lc 3,11; 6,29;
9,3; Gv 19,23[x2]; At 9,39; Gd 1,23. Traslitterazione grecizzata della parola di origine
ebraica ;1GJ˜ƒ L , kutto) ne5t , a sua volta derivata dalla radice fenicia ktn. Nella letteratura greca
il vocabolo (anche nella forma i4hf<) indica la sottoveste o tunica, indossata sulla pelle (cf.
Omero, Od., 15,60), ossia sotto le vesti, sia dagli uomini (cf. Erodoto, Hist., 1,195,1) che
dalle donne (cf. Erodoto, Hist., 1,8,3). Il chitone era il principale capo di vestiario per coprire
il corpo, usato sia dai ricchi che dai poveri: poteva essere di vari colori, di lino o di lana,
lungo fino ai piedi, alle caviglie o alle ginocchia, con lunghe o mezze maniche, abbellito con
frange o fibbie. Assieme all’Ê:VJ4@< («sopravveste») formava l’abito completo.

6,10 i" §8g(g< "ÛJ@ÃHs ~?B@L ¦< gÆFX8h0Jg gÆH @Æi\"<s ¦igà :X<gJg ªTH —<
¦>X8h0Jg ¦igÃhg<.
6,10 E disse loro: «Dovunque entrate in una casa rimanete lì fino a quando non ve ne
andate via.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’espressione [i"Â] §8g(g< "ÛJ@ÃH…, «[e] diceva loro…; i"Â §8g(g<…, «e
diceva…», posta all’inizio di una proposizione, è usata da Marco come formula abituale di
raccordo per unire sentenze staccate o una serie di sentenze (cf. Mc 2,27; 4,11.21.24.26.30;
6,4.10; 7,9.20; 8,21; 9,1; 11,17; 14,36). L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo
(«diceva», «continuava a dire»), ma quello puntuale corrispondente a un aoristo («disse»). Per
420 Mc 6,10

altri esempi di questo imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23;
4,2.9.11.21.24.26.30.41; 5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28;
12,35.38; 14,70; 15,12a.14.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
~?B@L: (da ÓH e B@Ø), avv. di luogo, indecl., dove, nel luogo in cui; cf. Mc 2,4.
¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica. Nel NT l’espressione ÓB@L ¦V< con
il congiuntivo aoristo ricorre soltanto in Mc 6,10; 9,18; 14,9.14; Mt 26,13. Come avviene nel
greco classico (cf. Eschilo, Eum., 277; Senofonte, Hell., 3,3,6; Cyr., 3,3,8) è possibile un
significato non soltanto locale («dovunque»), ma anche temporale («quando»): «Quando
entrerete in una casa…».
gÆFX8h0Jg: verbo, 2a pers. plur. congiunt. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare,
venire dentro, recarsi, andare; cf. Mc 1,21. Spesso la preposizione posta come prefisso a un
verbo composto viene ripetuta davanti al successivo complemento indiretto, come qui;
questo fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17;
6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16;
15,32; 16,5.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
@Æi\"<: sost., acc. sing. f. da @Æi\", –"H, casa, abitazione, dimora; cf. Mc 1,29; compl. di moto
a luogo. Senza articolo perché la frase è stereotipa («andare a casa», «uscire da casa»),
sottintendendo la propria o quella abitualmente frequentata.
¦igÃ: avv. di luogo, indecl., là, lì, in quel posto; cf. Mc 1,38.
:X<gJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da :X<T, rimanere, restare, soggiornare. Questo
verbo ricorre 118 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 3 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,016% del totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc 6,10; 14,34 =
0,018%); 7 volte in Luca (0,036%); 40 volte in Giovanni (0,256%). Nell’uso intransitivo il
verbo :X<T assume già da Omero il significato proprio di «restare» (cf. Omero, Il., 9,45;
Od., 17,570). Nelle due ricorrenze marciane :X<T ha sempre il significato intransitivo di
«restare», «permanere», in senso letterale proprio (restare fisico), diversamente dall’uso
traslato (in senso teologico, come formula di immanenza) presente negli scritti giovannei e
in Paolo («rimanere» in Dio, in Cristo, nel credente in generale).
ªTH: cong. subordinativa di valore temporale, indecl., finché, fintanto, fino a, per tutto il tempo
che. Questa congiunzione ricorre 146 volte nel NT con valore sia temporale che locale e
limitativo. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 49 volte in Matteo (corrispondente allo
0,267% del totale delle parole); 15 volte in Marco (cf. Mc 6,10.23.45; 9,1.19[x2]; 12,36;
13,19.27; 14,25.32.34.54; 15,33.38 = 0,133%); 28 volte in Luca (0,144%); 10 volte in
Giovanni (0,064%).
Mc 6,11 421

–<: partic. modale di valore dubitativo, eventuale o condizionale, indecl., [se, e se, caso mai,
qualora, eventualmente]; cf. Mc 3,29.
¦>X8h0Jg: verbo, 2a pers. plur. congiunt. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori,
uscire; cf. Mc 1,25.
¦igÃhg<: avv. di luogo, indecl., di là, da lì; cf. Mc 6,1.

6,11 i" ÔH —< J`B@H :¬ *X>0J"4 ß:H :0*¥ •i@bFTF4< ß:ä<s ¦iB@DgL`:g<@4
¦igÃhg< ¦iJ4<V>"Jg JÎ< P@Ø< JÎ< ßB@iVJT Jä< B@*ä< ß:ä< gÆH :"DJbD4@<
"ÛJ@ÃH.
6,11 Se in qualche luogo non vi accoglieranno e non vi ascolteranno andate via da lì e
scuotete la polvere dai vostri piedi, come testimonianza contro di loro».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


ÓH: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2;
–<: partic. modale di valore dubitativo, eventuale o condizionale, indecl., [se, e se, caso mai,
qualora, eventualmente]; cf. Mc 3,29.
J`B@H: sost., nom. sing. m. da J`B@H, –@L, luogo, spazio, area; cf. Mc 1,35; soggetto. Nel testo
il sostantivo è quasi personificato, probabilmente per influsso semitico: «se qualche luogo non
vi accoglierà…». Nella traduzione è preferibile esplicitare il soggetto animato mediante la
forma impersonale plurale del verbo: «se in qualche luogo non vi accoglieranno…». Si tratta
di un esempio di «detti gnomici» di Gesù introdotti dal pronome indefinito nella forma
«chi…», «chiunque…», «colui che…», «se qualcuno…», ecc., il cui scopo è quello di
mettere in evidenza le caratteristiche della sequela. Ritroviamo questa tipica costruzione in
Mc 3,35 («chi compie la volontà di Dio…»), Mc 6,11 (chi non accoglie i Dodici), Mc 9,37
(«chi accoglie un bambino…»), Mc 9,40 («chi non è contro di noi è per noi»), Mc 9,42 («chi
scandalizza uno dei piccoli…»), Mc 10,11 («chi divorzia dalla moglie…»), Mc 10,29 («chi
lascia casa, fratelli, sorelle…»), Mc 10,43 («chi vuole essere il più grande…»), Mc 11,23
(«chi dice a questo monte…»).
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
*X>0J"4: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. medio da *XP@:"4, ricevere, accogliere, ospitare.
Questo verbo deponente ricorre 56 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
10 volte in Matteo (corrispondente allo 0,055% del totale delle parole); 6 volte in Marco (cf.
Mc 6,11; 9,37[x4]; 10,15 = 0,053%); 16 volte in Luca (0,082%); 1 volta in Giovanni
(0,006%). L’uso linguistico neotestamentario coincide con quello classico: in senso letterale
proprio il verbo significa «ricevere» (fisicamente) qualcosa o qualcuno (cf. Omero, Il., 1,20;
Tucidide, Hist., 1,96,2; Lc 22,17; At 22,5; Ef 6,17); in senso figurato ha il valore di
«accogliere», «ospitare» (cf. Omero, Il., 18,331; Od., 17,110). Nel NT questa accoglienza è
spesso collegata a Gesù, al suo messaggio e a colui che lo ha mandato, ossia al Padre (cf. Mc
9,37). Chi accoglie i discepoli accoglie il Maestro (Gesù) e colui che lo ha inviato (Dio
Padre): questa concatenazione di incarichi si colloca nell’ambito del diritto semitico che
tutelava il messaggero poiché lo identificava con l’inviante.
422 Mc 6,11

ß:H: pron. personale di 2a pers. acc. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 1,8; compl. oggetto.
:0*X: (da :Z e *X), avv. di negazione, indecl., neppure, nemmeno, neanche, non; cf. Mc 2,2.
•i@bFTF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire,
capire, scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1.
ß:ä<: pron. personale di 2a pers. gen. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
cf. Mc 2,8; compl. oggetto.
¦iB@DgL`:g<@4: verbo, nom. plur. m. part. pres. medio da ¦iB@Dgb@:"4, uscire, venire fuori,
andare, recarsi, accorrere; cf. Mc 1,5. Participio predicativo del soggetto sottinteso «voi»:
qui ha il valore corrispondente a un imperativo («Uscite»).
¦igÃhg<: avv. di luogo, indecl., di là, da lì; cf. Mc 6,1.
¦iJ4<V>"Jg: verbo, 2a pers. plur. imperat. aor. da ¦iJ4<VFFT (da ¦i e J4<VFFT), scuotere,
sbattere. Questo verbo ricorre 4 volte nel NT: Mt 10,14; Mc 6,11 (hapax marciano); At
13,51; 18,6. Usato raramente anche nel greco profano, il verbo ¦iJ4<VFFT equivale a
«scuotere», «sbattere» (cf. Nonno di Panopoli, Dionys., 42,21).
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
P@Ø<: sost., acc. sing. m. da P@ØH, –@Ø, terra, polvere; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 2
volte nel NT: Mc 6,11 (hapax marciano); Ap 18,19. Nella grecità il sostantivo P@ØH indica
propriamente la «terra» scavata e ammucchiata (cf. Erodoto, Hist., 1,185,4): il significato
precipuo di «polvere» è tipico del greco biblico (cf. Gn 2,7).
J`<: art. determ., con valore pronominale, acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2; compl.
oggetto. Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale
"ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
ßB@iVJT: prep. impropria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., sotto, al di sotto di.
Questa preposizione ricorre 11 volte nel NT: Mt 22,44; Mc 6,11; 7,28; 12,36; Lc 8,16; Gv
1,50; Eb 2,8; Ap 5,3.13; 6,9; 12,1.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
B@*ä<: sost., gen. plur. m. da B@bH, B@*`H, piede; cf. Mc 5,22; compl. di specificazione. Il
gesto di scuotere la polvere attaccata ai calzari e ai piedi era compiuto da ogni giudeo al
rientro da una terra pagana, quasi a lasciarsi dietro ogni impurità legale contratta con il
contatto avuto nel frequentare i pagani (cf. m.Toh., 4,5). Compiendo tale gesto simbolico
verso gli stessi connazionali, ostili e increduli, significava trattarli da pagani e indurli alla
riflessione per il loro comportamento. Più tardi gli stessi apostoli ripeteranno questo gesto nei
confronti dei Giudei di Antiochia (cf. At 13,51; cf. anche At 18,6).
ß:ä<: pron. personale di 2a pers. gen. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
cf. Mc 2,8; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona plurale («di voi» = «vostro»).
gÆH: prep. propria di valore finale, seguita dall’accusativo, indecl., per, in vista di, allo scopo di;
cf. Mc 1,4. La preposizione è qui impiegata con valore finale, analogamente a Mc
1,4.38.44; 13,9.12; 14,4.8.9.55; 15,34.
Mc 6,12–13 423

:"DJbD4@<: sost., acc. sing. n. da :"DJbD4@<, –@L, testimonianza; cf. Mc 1,44; compl. di fine.
L’espressione gÆH :"DJbD4@< "ÛJ@ÃH è usata da Marco in tre occasioni: Mc 1,44; 6,11;
13,9. Nel NT la locuzione sembra avere un carattere polemico esprimente l’idea di giudizio:
qualora la predicazione venga respinta diventa una prova a carico degli increduli nel giudizio
finale (cf. Mc 1,44 // Mt 8,4; Mc 6,11 // Lc 9,5; Mc 13,9 // Mt 10,18; cf. anche Mt 10,14;
11,20–24; 12,41ss.; Lc 10,10; At 18,6; 20,26).
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. Si tratta di un dativus commodi.

6,12 5"Â ¦>g8h`<JgH ¦iZDL>"< Ë<" :gJ"<@äF4<s


6,12 Essi partirono, predicarono che la gente si convertisse,

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦>g8h`<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori,
uscire; cf. Mc 1,25. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso «i
discepoli».
¦iZDL>"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da i0DbFFT, proclamare apertamente, annunciare
solennemente, predicare; cf. Mc 1,4.
Ë<": cong. subordinativa di valore completivo, indecl., di, che; cf. Mc 1,38. La congiunzione Ë<"
non ha qui il consueto valore finale, ma quello completivo (equivalente a ÓJ4 o ÓBTH): in
pratica introduce una proposizione infinitiva (cf. Mc 3,9a.12; 4,22a; 5,10.18.43; 6,8.12.25.56;
7,26.32.36; 8,22.30; 9,9.12.18.30; 10,35.37; 11,16; 13,34; 15,21).
:gJ"<@äF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. pres. da :gJ"<@XT (da :gJV e <@XT), cambiare
mentalità, pensare diversamente, cambiare vita, fare penitenza, «convertirsi»; cf. Mc 1,15.
Soggetto implicito del verbo sono «gli ascoltatori» o, in forma generica, «la gente».

6,13 i" *"4:`<4" B@88 ¦>X$"88@<s i" ³8g4n@< ¦8"\å B@88@×H •DDfFJ@LH
i"Â ¦hgDVBgL@<.
6,13 scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


*"4:`<4": sost., acc. plur. n. da *"4:`<4@<, –@L, demonio, spirito cattivo; cf. Mc 1,34; compl.
oggetto. Senza articolo perché generici.
B@88V: agg. indefinito, acc. plur. n. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; attributo di *"4:`<4".
¦>X$"88@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da ¦i$V88T (da ¦i e $V88T), scacciare,
mandare via, fare uscire, espellere; cf. Mc 1,12. Imperfetto durativo o iterativo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
³8g4n@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da •8g\nT, ungere. Questo verbo ricorre 9 volte nel
NT: Mt 6,17; Mc 6,13; 16,1; Lc 7,38.46[x2]; Gv 11,2.3; 5,14. Imperfetto durativo o
424 Mc 6,13

iterativo. A partire da Omero il verbo •8g\nT è usato nel senso letterale proprio di
«ungere» con olio la pelle, generalmente in contesto profano (cf. Omero, Il., 24,582; Od.,
6,227). Anche nel nostro caso non si tratta dell’unzione regale in contesto religioso: il gesto
di ungere con olio i malati al fine di procurare loro la guarigione è costume diffuso nel
mondo orientale. Il NT usa il verbo •8g\nT quando si tratta di descrivere una unzione
materiale, mentre riserva il verbo PD\T per l’unzione in contesto religioso e teologico.
Questa distinzione è già presente nei LXX, dove •8g\nT è impiegato per tradurre
prevalentemente i corrispondenti verbi ebraici +{2, sûk, «ungere» (specie il corpo, dopo il
bagno) e ( H {), Et ûahE, «spalmare», «intonacare», «smaltare»; per il verbo (– H/I , ma) šahE,
«ungere» (in contesto sacro) viene invece preferito PD\T. Nel mondo sia giudaico che
ellenistico l’unzione ai malati per ottenere loro la salute era gesto piuttosto abituale. L’olio
veniva usato come medicina per curare svariate malattie, quali ferite, sciatiche, dolori
muscolari, eruzioni cutanee, ecc. (cf. Strack–Bill., I,426ss.; II,11ss.). A proposito di Erode il
Grande lo storico Giuseppe Flavio riferisce che, come estremo (e inutile) rimedio per la sua
grave malattia, i medici lo immersero in una tinozza piena d’olio caldo (cf. Id., Bellum,
1,657; Antiq., 17,172). L’olio, inoltre, era considerato un rimedio efficace in occasione di
esorcismi. Poiché la malattia era considerata come conseguenza di un influsso malefico, il
confine tra rimedio medico e rimedio magico non era netto e nella pratica l’unzione veniva
considerata come un gesto idoneo a cacciare i demoni, specie nelle malattie di origine
psichica. Il valore medicinale dell’olio si riscontra anche nel cristianesimo: … i"Â ÇF"F4<
ÓF" :gJ B\FJgTH i" º gÛi"\DTH ¦8"\å PD4FV:g<@4 <@FZ:"J" §8LF"<, «…lo
sanno quanti, dopo essere stati unti con olio, al momento opportuno e con fede, hanno
debellato le malattie» (Giovanni Crisostomo, In Matth., 32,6). Palladio riferisce la guarigione
di un ossesso ottenuta mediante l’unzione (cf. Id., Hist. Laus., 18).
¦8"\å: sost., dat. sing. n. da §8"4@<, –@L, olio; compl. di mezzo. Il vocabolo ricorre 11 volte
nel NT: Mt 25,3.4.8; Mc 6,13 (hapax marciano); Lc 7,46; 10,34; 16,6; Eb 1,9; Gc 5,14; Ap
6,6; 18,13. È risaputo che l’olio veniva usato nell’antichità come medicamento nelle più
svariate infermità. In un trattato sugli olivi e la produzione di olio Plinio il Vecchio scrive:
«Oleo natura tepefacere corpus et contra algores munire, eidem fervores capitis refrigerare»,
«Caratteristica dell’olio è quella di riscaldare il corpo e proteggerlo contro l’azione del freddo
e, inoltre, mitigare le vampate della testa» (Id., Nat. hist., 15,19); «Veteri quoque oleo usus
est ad quaedam genera morborum», «L’olio invecchiato è usato, in particolare, per alcune
specie di malattie» (Id., Nat. hist., 15,32). Per quanto riguarda l’uso dell’olio come rimedio
negli esorcismi vedi sopra.
B@88@bH: agg. indefinito, acc. plur. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; attributo di •DDfFJ@LH.
•DDfFJ@LH: agg. qualificativo, di valore sostantivato, acc. plur. m. da –DDTFJ@H, –@< (da
–8n" privativa e una presunta parola derivata da Õf<<L:"4), senza forza, debole, infermo,
malato; cf. Mc 6,5; compl. oggetto. Senza articolo perché generici.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦hgDVBgL@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da hgD"BgbT, riparare, guarire, curare, ridare
salute; cf. Mc 1,34. La forma verbale transitiva deve essere integrata con l’acc. plur. m. del
Mc 6,14 425

pronome dimostrativo/personale (= "ÛJ@bH), in funzione di complemento oggetto,


analogamente a quanto avviene in Mc 2,4; 6,41; 8,6[x2]; 14,22[x2]. È probabile che questo
anacoluto sia dovuto a influsso semitico.

6,14 5" ³i@LFg< Ò $"F48g×H {/Dæ*0Hs n"<gDÎ< (D ¦(X<gJ@ JÎ Ð<@:" "ÛJ@Øs
i" §8g(@< ÓJ4 z3TV<<0H Ò $"BJ\.T< ¦(Z(gDJ"4 ¦i <giDä< i" *4 J@ØJ@
¦<gD(@ØF4< "Ê *L<V:g4H ¦< "ÛJè.
6,14 Il re Erode sentì parlare di ciò, perché il suo nome era diventato famoso. Si diceva:
«Giovanni il Battista è risuscitato dai morti e per questo il potere dei miracoli opera
per mezzo di lui».

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


³i@LFg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. Solitamente il verbo •i@bT è costruito con il
genitivo della persona che si ode e l’accusativo di ciò che si sente parlare: qui è senza
complemento, come spesso avviene in Marco (cf. Mc 2,17; 3,21; 4,15.33; 6,2.14.16.29;
10,41; 11,14.18; 14,11; 15,35).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
$"F48gbH: sost., nom. sing. m. da $"F48gbH, –XTH, re, sovrano, capo, signore; apposizione di
{/Dæ*0H. Il vocabolo ricorre 115 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
22 volte in Matteo (corrispondente allo 0,120% del totale delle parole); 12 volte in Marco
(cf. Mc 6,14.22.25.26. 27; 13,9; 15,2.9.12.18.26. 32 = 0,106%); 11 volte in Luca (0,056%);
16 volte in Giovanni (0,102%). Il titolo di “re” dato a Erode Antipa nei vangeli è soltanto
improprio e popolare: il vero titolo era quello di JgJDVDP0H, «tetrarca», ossia «sovrano di
un quarto», come è indicato nelle monete da lui coniate che riportano su una faccia la scritta
/CS)?K I+IC!C5?K (oppure /CS)/E I+IC!C5/E). Il titolo di «tetrarca» è
altresì confermato dall’iscrizione su una base di statua a lui dedicata trovata presso il tempio
di Apollo in Delo e datata con ogni probabilità al 6 d.C. Nella terza e quarta riga l’iscrizione
definisce Antipa {/Dæ*0< $"F48XT[H {/]D[æ*@L LÊÎ<] JgJDVDP0<, «Erode, tetrarca,
figlio del re Erode» (OGIS, nr. 417).
{/Dæ*0H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da {/Dæ*0H, –@L, Erode; soggetto.
Il vocabolo ricorre 43 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 13 volte in
Matteo (cf. Mt 2,1.3.7.12.13.15.16.19.22; 14,1.3.6[x2], corrispondente allo 0,071% del totale
delle parole); 8 volte in Marco (cf. Mc 6,14.16.17.18.20.21.22; 8,15 = 0,071%); 14 volte in
Luca (cf. Lc 1,5; 3,1.19[x2]; 8,3; 9,7.9; 13,31; 23,7[x2].8.11.12.15 = 0,072%); At 4,27;
12,1.6.11.19.21; 13,1; 23,35. Nome proprio maschile di origine greca composto da »DTH,
«prode» e gÉ*@H, «stirpe». Si tratta di Erode Antipa, figlio di Erode il Grande e della
samaritana Maltace, sua quarta moglie (cf. Giuseppe Flavio, Bellum, 1,562). Antipa
(!<J\B"H, contrazione di !<J\B"JD@H, Antipatro) era il suo nome originario che egli
cambiò in Erode all’assunzione al potere nel 4 a.C. Dopo la morte di suo padre fu nominato
dai Romani tetrarca della Galilea e della Perea, come riferisce Giuseppe Flavio: «Antipa
ottenne la Perea e la Galilea con una rendita di 200 talenti» (Id., Bellum, 2,95). Governò
426 Mc 6,14

questi territori per più di quaranta anni (4 a.C.–39 d.C.). La sua prima capitale fu Sefforis,
da lui ricostruita e fortificata con mura imponenti dopo la distruzione da parte di Varo (cf.
Id., Antiq., 18,27). In seguito fece ricostruire la città di Tiberiade sopra un preesistente
cimitero (cf. Id., Antiq., 18,38), violando così la legge ebraica (cf. Nm 19,11–16): per ovviare
all’opposizione dei Giudei che si rifiutavano di abitarvi dovette colonizzare la città con i ceti
più poveri, gli avventurieri e gli stranieri. Fu Erode Antipa che giustiziò Giovanni il Battista
(cf. Mc 6,16; Mt 14,9; Lc 9,9; Giuseppe Flavio, Antiq., 18,117) ed ebbe anche una parte
nella morte di Gesù, almeno stando alle notizie di Luca (cf. Lc 13,31; 23,6–12). La sua prima
moglie fu la figlia di Areta (cf. Giuseppe Flavio, Antiq., 18,109), re di Arabia, che egli
ripudiò per prendere con sé Erodiade, la moglie del suo fratellastro Erode Filippo. Indotto da
lei si recò a Roma per ottenere dall’imperatore il titolo di re. Ma in conseguenza delle accuse
portate contro di lui dal deposto Erode Agrippa I, l’imperatore Caligola nel 39 d.C. lo
destituì e lo esiliò in Gallia (cf. Id., Antiq., 18,246–252), probabilmente a Lugudunum
Convenarum, nei Pirenei centrali.
n"<gD`<: agg. qualificativo, nom. sing. n. da n"<gD`H, –V, –`<, apparente, manifesto,
evidente, noto; cf. Mc 3,12; predicato nominale.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
¦(X<gJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
Ð<@:": sost., nom. sing. n. da Ð<@:", –:"J@H, nome; cf. Mc 3,16; soggetto. Il termine ha qui
il significato corrispondente a «fama», «nomea»: si tratta di un uso ampiamente riscontrabile
nel greco classico (cf. Omero, Od., 24,93; Tucidide, Hist., 2,64,3; Strabone, Geogr., 9,1,23;
Senofonte, Cyr., 6,4,7; Polibio, Hist., 15,35,1).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»). Il pronome ha valore enfatico: propriamente viene definito "ÛJ`H
cristologico, come in Mc 1,8; 14,44.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
§8g(@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Imperfetto impersonale (è la voce della gente), di valore durativo o iterativo. Si
tratta probabilmente di un semitismo.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
z3TV<<0H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z3TV<<0H, –@L, Giovanni; cf. Mc
1,4; soggetto.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
$"BJ\.T<: verbo, nom. sing. m. part. pres., di valore sostantivato, da $"BJ\.T, immergere,
sommergere, lavare, «battezzare»; cf. Mc 1,4; apposizione di z3TV<<0H. Giovanni è
Mc 6,14 427

conosciuto come «l’immergente», «colui che immerge», poiché immergeva nel fiume
Giordano coloro che accoglievano il suo invito alla conversione. Nel vangelo di Marco
Giovanni viene qualificato con il soprannome Ò $"BJ\.T< in Mc 6,14.24.25, mentre in Mc
6,25; 8,28 viene indicato con l’epiteto Ò $"BJ4FJZH, «il Battista», più arcaico. La
definizione Ò $"BJ\.T< data a Giovanni è riportata anche dallo storico Giuseppe Flavio,
il quale riferisce molti altri particolari su di lui (cf. Id., Antiq., 18,116–119).
¦(Z(gDJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. pass. da ¦(g\DT, svegliare, alzare, sollevare,
risorgere [i morti] (trans.); svegliarsi, alzarsi, sollevarsi, risorgere [dai morti] (intr.); cf. Mc
1,31. Per la «risurrezione dai morti» Marco usa il verbo ¦(g\DT in Mc 6,14.16; 12,26; 14,28;
16,6.14 e •<\FJ0:4 in Mc 8,31; 9,9.10.27.31; 10,34; 12,23.25.26; 16,9. Anche non volendo
intendere le forme ¦(Z(gDJ"4 ed ²(XDh0 (v. 16) come un passivo divino (cf. 1Cor
15,4.12.15) è evidente, tuttavia, che per la mentalità giudaica soltanto Dio può risuscitare i
morti (vedi commento a Mc 16,6).
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
<giDä<: sost., gen. plur. m. da <giD`H, –@Ø, morto; compl. di moto da luogo. Il vocabolo
ricorre 128 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 12 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,065% del totale delle parole); 7 volte in Marco (cf. Mc 6,14;
9,9.10.26; 12,25.26.27 = 0,062%); 14 volte in Luca (0,072%); 8 volte in Giovanni
(0,051%). Senza articolo perché generici. Analogamente a quanto avviene nel greco classico
(cf. Omero, Il., 4,506; Od., 11,34) <giD`H è usato nel NT sia come aggettivo (22 volte), sia
come sostantivo (106 volte). Come aggettivo il termine indica il «non più vivente» e viene
impiegato in senso letterale proprio e traslato sia per gli uomini che per le cose. Come
sostantivo <giD`H è utilizzato prevalentemente al plurale, in senso collettivo (104 volte,
contro 2 al singolare) per definire «coloro che non sono più in vita», ossia la totalità dei morti,
tutti coloro che si trovano negli inferi.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
*4V: prep. propria di valore causale, seguita dall’accusativo, indecl., a causa di, a motivo di, per;
cf. Mc 2,1.
J@ØJ@: pron. dimostrativo, acc. sing. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 1,27.
¦<gD(@ØF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da ¦<gD(XT, essere attivo, agire, operare. Questo
verbo ricorre 21 volte nel NT: Mt 14,2; Mc 6,14 (hapax marciano); Rm 7,5; 1Cor 12,6.11;
2Cor 1,6; 4,12; Gal 2,8[x2]; 3,5; 5,6; Ef 1,11.20; 2,2; 3,20; Fil 2,13[x2]; Col 1,29; 1Ts 2,13;
2Ts 2,7; Gc 5,16. Sebbene nel NT ¦<gD(XT sia usato prevalentemente con significato
teologico, qui e nel passo parallelo di Mt 14,2 il verbo ha il significato intransitivo classico
di «agire», «essere attivo» (cf. Aristotele, Eth. Nic., 1101a 15), nel contesto delle concezioni
demonologiche, per esprimere le «energie miracolose» che nella mentalità popolare operano
in Gesù.
"Ê: art. determ., nom. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 2,5.
*L<V:g4H: sost., nom. plur. f. da *b<":4H, –gTH, forza, potenza, potere, miracolo; cf. Mc 5,30;
soggetto. Plurale di intensità: indica le forze miracolose e misteriose che secondo il popolo
agivano in Gesù considerato come Battista redivivo. A suffragare tale interpretazione è il
428 Mc 6,15

senso intransitivo del verbo ¦<gD(XT: nell’opinione popolare la forza miracolosa del Battista
agirebbe nella persona di Gesù.
¦<: prep. propria di valore strumentale, seguita dal dativo, indecl., con, per mezzo di; cf. Mc 1,2.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di mezzo. L’espressione ¦< "ÛJè è un
esempio di ¦< strumentale dovuto a influsso semitico: la preposizione greca traduce quella
corrispondente ebraica (vA, be), impiegata per esprimere non un complemento di luogo, ma
di mezzo o strumento. Ritroviamo questo uso particolare in Mc 1,8; 3,22.23; 4,2.11.24.30;
6,14; 9,29.38.50; 11,28.29.33; 12,1.36.38; 16,17.

6,15 –88@4 *¥ §8g(@< ÓJ4 z/8\"H ¦FJ\<· –88@4 *¥ §8g(@< ÓJ4 BD@nZJ0H ñH gÍH
Jä< BD@n0Jä<.
6,15 Altri, invece, dicevano: «È Elia!». Altri ancora dicevano: «È un profeta, come uno
degli antichi profeti!».

–88@4: pron. indefinito, nom. plur. m. da –88@H, –0, –@, altro, un altro; cf. Mc 4,5; soggetto.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
§8g(@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Imperfetto durativo o iterativo.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
z/8\"H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z/8\"H, –@L, Elia; soggetto. Il
vocabolo ricorre 29 volte nel NT: Mt 11,14; 16,14; 17,3.4.10.11.12; 27,47.49; Mc 6,15;
8,28; 9,4.5.11.12.13; 15,35.36; Lc 1,17; 4,25.26; 9,8.19.30.33; Gv 1,21.25; Rm 11,2; Gc
5,17. L’ortografia oscilla tra z/8g\"H (così sempre nel codice B, prima mano, 14 volte in
S, 8 volte in A, 19 volte in D) e z/8\"H (così sempre nel codice C, 15 volte in S, 14 volte
in A, 7 volte in D e nella maggior parte dei codici minuscoli). Traslitterazione grecizzata del
6 6
nome proprio maschile di origine ebraica %I-E! F , ’Eliyya
) h (anche {%I-E!
F , ’Eliyya
) hû), «Mio
Dio [è] Yah[weh]». La tradizione popolare fondata su testi dell’AT (cf. 2Re 2,1–18; Sir
48,1–11; Ml 3,23–24) e su altri testi giudaici riteneva che il grande profeta Elia fosse ancora
vivo: egli era salito al cielo su «un carro di fuoco e cavalli di fuoco» (2Re 2,11) e sarebbe
stato inviato nuovamente sulla terra da Dio poco prima dell’apparire del messia: «Ecco, io
invierò il profeta Elia prima che giunga il grande e terribile giorno del Signore, perché
converta il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri» (Ml 3,23–24; cf. Sir
48,10). Tra i vari ruoli espletati da Elia quello di annunciare il tempo della salvezza ormai
imminente era uno dei più importanti e precipui (cf. Strack–Bill., III,8ss.; III,1045): ciò spiega
l’errata convinzione della gente che considera il predicatore Gesù come l’Elia redivivo.
¦FJ\<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
–88@4: pron. indefinito, nom. plur. m. da –88@H, –0, –@, altro, un altro; cf. Mc 4,5; soggetto.
Mc 6,15 429

*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
§8g(@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Imperfetto durativo o iterativo.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
BD@nZJ0H: nom. sing. m. da BD@nZJ0H, –@L, porta–voce, profeta; cf. Mc 1,2; soggetto. Senza
articolo perché generico: uno dei tanti.
ñH: avv. con valore di modo e paragone, indecl., come, simile a, alla maniera di, nel modo che,
nella condizione di, in qualità di; cf. Mc 1,10.
gÍH: agg. numerale, cardinale, nom. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; soggetto. L’uso
del numero cardinale gÍH al posto del pronome indefinito J\H, «uno», «qualcuno» o
dell’articolo indeterminativo «uno», soprattutto nelle espressioni partitive, è un semitismo.
Ritroviamo questo fenomeno in Mc 5,22; 6,15; 8,28; 9,17.37.42; 10,17.37[x2]; 12,28.42;
13,1; 14,10.18.20.43.47.66.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
BD@n0Jä<: gen. plur. m. da BD@nZJ0H, –@L, porta–voce, profeta; cf. Mc 1,2; compl.
partitivo. L’espressione BD@nZJ0H ñH gÍH Jä< BD@n0Jä<, di sapore semitizzante, può
essere interpretata in due modi: a) in forma positiva, indicante rispetto e ammirazione (= «è
un profeta, come uno degli antichi profeti»); b) in forma negativa, indicante poca considera-
zione (= «è un profeta come tanti altri»): in questo caso verrebbe relativizzata la singolarità
di Gesù perché lo si associa alla nutrita categoria dei “profeti” suoi contemporanei,
composta in prevalenza da millantatori carismatici, estatici e predicatori itineranti. Tra questi
personaggi si annoveravano talvolta avventurieri e imbroglioni, come il profeta Teuda e il
profeta egiziano, dei quali ci informano sia Giuseppe Flavio che gli Atti degli Apostoli:

MV*@L *¥ J­H z3@L*"\"H ¦B4JD@Bgb@<J@H (`0H J4H •<¬D 1gL*H Ï<`:"J4 Bg\hg4
JÎ< B8gÃFJ@< ÐP8@< •<"8"$`<J" JH iJZFg4H ªBgFh"4 BDÎH JÎ< z3@D*V<0<
B@J":Î< "ÛJè: BD@nZJ0H (D §8g(g< gÉ<"4, i" BD@FJV(:"J4 JÎ< B@J":Î<
FP\F"H *\@*@< §Pg4< §n0 B"DX>g4< "ÛJ@ÃH Ց*\"<. i" J"ØJ" 8X(T< B@88@×H
²BVJ0Fg<. @Û :¬< gÇ"Fg< "ÛJ@×H J­H •nD@Fb<0H Ð<"Fh"4 M*@H, •88z ¦>XBg:Rg<
Ç80< ÊBBXT< ¦Bz "ÛJ@bH, »J4H •BD@F*`i0J@H ¦B4BgF@ØF" B@88@×H :¥< •<gÃ8g<,
B@88@×H *¥ .ä<J"H §8"$g<, "ÛJÎ< *¥ JÎ< 1gL*< .T(DZF"<JgH •B@JX:<@LF4 J¬<
ign"8¬< i"Â i@:\.@LF4< gÆH {3gD@F`8L:".
«Nel periodo in cui Fado era procuratore della Giudea, un certo sobillatore di nome Teuda
convinse la maggior parte della folla a prendere i propri beni e a seguirlo presso il fiume
Giordano. Diceva di essere un profeta e al suo comando il fiume si sarebbe diviso in due,
permettendo loro un facile passaggio. E con simili parole ingannò molti. Fado, però, non
permise che essi raccogliessero il frutto della loro insensatezza e mandò uno squadrone di
cavalleria che si precipitò contro di essi, uccidendo molti e facendo altri prigionieri; fu
catturato lo stesso Teuda, al quale tagliarono la testa che portarono a Gerusalemme»
(Giuseppe Flavio, Antiq., 20,97–98; cf. At 5,36).
430 Mc 6,16

Per quanto riguarda la testimonianza circa l’anonimo profeta egiziano cf. Giuseppe
Flavio (Antiq., 20,169–172; Bellum, 2,261–263) e At 21,38.

6,16 •i@bF"H *¥ Ò {/Dæ*0H §8g(g<s ?< ¦(㠕BgignV84F" z3TV<<0<s @âJ@H


²(XDh0.
6,16 Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: «Quel Giovanni che io ho fatto decapitare è
risuscitato!».

•i@bF"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. Participio predicativo del soggetto {/Dæ*0H.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
{/Dæ*0H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da {/Dæ*0H, –@L, Erode; cf. Mc
6,14; soggetto.
§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Imperfetto durativo o iterativo.
?<: pron. relativo, acc. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi. La forma Ó< ricorre 168 volte
nel NT rispetto alle 1407 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli
è la seguente: 20 volte in Matteo (corrispondente allo 0,109% del totale delle parole); 7 volte
in Marco (cf. Mc 6,16; 11,2; 12,10; 14,44.71; 15,6.12 = 0,070%); 13 volte in Luca (0,067%);
36 volte in Giovanni (0,230%). Pronome all’accusativo pendente, ripreso dal successivo
pronome dimostrativo @âJ@H. La frase è fortemente enfatizzata e semitizzante: «Quello che
io ho fatto decapitare, Giovanni, costui è risuscitato!».
¦(f: pron. personale di 1a pers. nom. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc.
¦:X/:g), io, me; cf. Mc 1,8; soggetto.
•BgignV84F": verbo, 1a pers. sing. ind. aor. da •B@ign"8\.T (da •B` e ign"8Z),
decapitare, tagliare la testa. Questo verbo ricorre 4 volte nel NT: Mt 14,10; Mc 6,16.27; Lc
9,9. Il senso di questo verbo transitivo è quello causativo, poiché non è il soggetto (Erode)
che compie direttamente l’azione, ma la fa compiere da altri, analogamente al latino «Caesar
pontem fecit», ossia «Cesare fece fare il ponte».
z3TV<<0<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z3TV<<0H, –@L, Giovanni; cf. Mc
1,4; compl. oggetto.
@âJ@H: pron. dimostrativo, nom. sing. m. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 2,7;
soggetto.
²(XDh0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da ¦(g\DT, svegliare, alzare, sollevare, risorgere
[i morti] (trans.); svegliarsi, alzarsi, sollevarsi, risorgere [dai morti] (intr.); cf. Mc 1,31.
Anche non volendo intendere le forme ²(XDh0 ed ¦(Z(gDJ"4 (v. 14) come un passivo
divino (cf. 1Cor 15,4.12.15), è evidente, tuttavia, che per la mentalità giudaica soltanto Dio
può risuscitare i morti (vedi commento a Mc 16,6).
Mc 6,17 431

6,17 !ÛJÎH (D Ò {/Dæ*0H •B@FJg\8"H ¦iDVJ0Fg< JÎ< z3TV<<0< i" §*0Fg<
"ÛJÎ< ¦< nL8"i± *4 {/Då*4V*" J¬< (L<"Ãi" M48\BB@L J@Ø •*g8n@Ø
"ÛJ@Øs ÓJ4 "ÛJ¬< ¦(V:0Fg<·
6,17 Erode stesso, infatti, aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva incatenato in
prigione a causa di Erodiade, moglie di suo fratello Filippo, che egli aveva sposato.

!ÛJ`H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., nom. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso, stesso (lat. ipse); cf. Mc 1,8; attributo di {/Dæ*0H, senza
articolo perché in posizione predicativa; con valore enfatico, perché in posizione prolettica.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
{/Dæ*0H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da {/Dæ*0H, –@L, Erode; cf. Mc
6,14; soggetto.
•B@FJg\8"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da •B@FJX88T (•B` e FJX88@:"4), inviare,
mandare; cf. Mc 1,2. Participio predicativo del soggetto {/Dæ*0H.
¦iDVJ0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da iD"JXT, tenere, prendere, afferrare, catturare;
cf. Mc 1,31. Nel greco ellenistico come in quello classico si preferisce porre il verbo di moto
al participio, mentre lo scopo del movimento viene indicato mediante il verbo finito:
•B@FJg\8"H ¦iDVJ0Fg<, «avendo mandato, arrestò…». Nella struttura linguistica italiana
avviene il contrario: «mandò ad arrestare…».
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
z3TV<<0<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z3TV<<0H, –@L, Giovanni; cf. Mc
1,4; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
§*0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da *XT, legare, assicurare, incatenare; cf. Mc 3,27.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
nL8"i±: sost., dat. sing. f. da nL8"iZ, –­H, custodia, prigione, guardia, turno di guardia
[notturna]; compl. di stato in luogo. Il vocabolo ricorre 47 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 10 volte in Matteo (corrispondente allo 0,055% del totale delle
parole); 3 volte in Marco (cf. Mc 6,17.27.48 = 0,027%); 8 volte in Luca (0,041%); 1 volta
in Giovanni (0,006%). Corrispondentemente al significato etimologico (da nb8">,
«guardiano») il sostantivo nL8"iZ indica originariamente la generica «sorveglianza» o
«guardia», soprattutto di notte (cf. Omero, Il., 7,371; 9,1.471). Da questa accezione primitiva
derivano i significati di a) «corpo di guardia», «presidio», «guardia» (cf. Tucidide, Hist.,
4,30,4; Platone, Prot., 321d; Erodoto, Hist., 2,30,2); b) «turno di guardia» (durante la notte),
lat. vigilia (cf. Erodoto, Hist., 9,51,3; Senofonte, Cyr., 1,6,43); c) «luogo di guardia» sotto
432 Mc 6,17

sorveglianza, ossia «prigione», «carcere» (cf. Diodoro Siculo, Bibl., 10,30,1; Erodoto, Hist.,
1,160,4; Plutarco, Ant., 16,5,3).
*4V: prep. propria di valore causale, seguita dall’accusativo, indecl., a causa di, a motivo di, per;
cf. Mc 2,1.
{/Då*4V*": sost., nome proprio di persona, acc. sing. f. da {/Då*4VH, –V*@H (da {/Dæ-
*0H), Erodiade; compl. di causa. Il vocabolo ricorre 6 volte nel NT: Mt 14,3.6; Mc
6,17.19.22; Lc 3,18. Nome proprio femminile di origine greca, formato dalla stessa radice
di Erode (»DTH, «prode» e gÉ*@H, «stirpe»). Stando alla testimonianza di Giuseppe Flavio
la Erodiade qui menzionata era figlia di Aristobulo e nipote di Erode il Grande (cf. Id.,
Bellum, 1,552; Antiq., 18,109.136.148.240). Fu sposata prima a Erode Filippo I, figlio di
Erode il Grande, per poi convivere in modo illecito con il di lui fratellastro Erode Antipa (cf.
Giuseppe Flavio, Antiq., 18,110). Fu la causa della morte di Giovanni Battista. Quando nel
37 d.C. l’imperatore Caligola nominò Agrippa I (fratello di Erodiade) re della tetrarchia di
Filippo, Erodiade spinse Antipa a chiedere anche lui questo titolo: ciò causò per intrigo di
Agrippa la destituzione di Antipa, il quale nel 39 d.C. venne esiliato nella Gallia, dove
Erodiade lo seguì spontaneamente (cf. Giuseppe Flavio, Antiq., 18,240–255).
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
(L<"Ãi": sost., acc. sing. f. da (L<Z, (L<"4i`H, donna; cf. Mc 5,25; apposizione di
{/Då*4V*". Il vocabolo (L<Z indica la moglie.
M48\BB@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da M\84BB@H, –@L (da n\8@H e
ËBB@H), Filippo; cf. Mc 3,18; compl. di specificazione.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•*g8n@Ø: sost., gen. sing. m. da •*g8n`H, –@Ø, fratello; cf. Mc 1,16; apposizione di
M48\BB@L. Per il commento lessicale a questo vocabolo vedi Mc 3,31. Il termine, riferito
a Filippo rispetto a Erode Antipa, deve essere qui preso nel senso di «fratellastro», ossia di
fratello unilaterale con un solo genitore in comune (Erode il Grande). Si discute se il Filippo
qui ricordato si riferisca a Filippo, figlio di Erode il Grande e di Cleopatra di Gerusalemme,
sua quinta moglie oppure a Erode (che Marco chiama Filippo), figlio di Erode il Grande e
di Mariamne II. In ogni caso resterebbe sempre un «fratellastro» di Erode Antipa, poiché
questi era figlio di madre diversa (la samaritana Maltace). Di conseguenza il legame di
sangue tra Erode “Filippo” e Erode Antipa esisteva soltanto tramite il comune padre
biologico e, perciò, Erode “Filippo”, chiunque fosse, era correttamente •*g8n`H di Antipa
nel senso che ne era il fratellastro.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
ÓJ4: cong. subordinativa di valore causale, indecl., poiché, perché, siccome; cf. Mc 1,15.
"ÛJZ<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,31; compl. oggetto.
Mc 6,18 433

¦(V:0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da (":XT, sposare. Questo verbo ricorre 28 volte nel
NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 6 volte in Matteo (corrispondente allo
0,033% del totale delle parole); 4 volte in Marco (cf. Mc 6,17; 10,11.12; 12,25 = 0,035%);
6 volte in Luca (0,031%). La distinzione classica tra la forma attiva (":XT (dell’uomo che
si sposa con la donna = «sposare», «prendere moglie») e quella media (":X@:"4 (della
donna che si marita con l’uomo = «maritarsi», «prendere marito») nel greco ellenistico tende
a scomparire (cf. tuttavia Mc 12,25). Usato in assoluto (":XT significa «contrarre
matrimonio», «sposarsi», detto per entrambi i sessi (cf. 1Cor 7,9; 1Tm 4,3). Qui il verbo si
riferisce a Erode Antipa il quale aveva illegittimamente sposato la cognata Erodiade, moglie
di Filippo, suo fratellastro. Ciò costituiva in base a Lv 18,16; 20,21 un impedimento al
matrimonio. Un caso analogo riferisce lo storico Giuseppe Flavio a proposito dell’etnarca
Archelao, fratello di Erode Antipa: … i"Â J@Ø B"JD\@L B"DV$"F4< B@40FV:g<@H
'8"nbD"< […], z!8g>V<*D@L *¥ J@Ø •*g8n@Ø (":gJ¬< (g<@:X<0<, ¦> @â i"Â
JXi<" µ< "ÛJ±, •Bf:@J@< Ñ< z3@L*"\@4H (":gJH •*g8nä< –(gFh"4, (":gÃ,
«…[Archelao] trasgredì le leggi dei padri sposando Glafira […] che era stata moglie di suo
fratello Alessandro e aveva avuto figli: per i Giudei è inconcepibile sposare la moglie di un
fratello» (Giuseppe Flavio, Antiq., 17,341).

6,18 §8g(g< (D Ò z3TV<<0H Jè {/Dæ*® ÓJ4 ?Ûi §>gFJ\< F@4 §Pg4< J¬< (L<"Ãi"
J@Ø •*g8n@Ø F@L.
6,18 Giovanni, infatti, aveva detto a Erode: «Non ti è lecito tenere la moglie di tuo
fratello!».

§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Non si tratta di un imperfetto descrittivo o iterativo: il verbo è usato con valore
di piuccheperfetto (cf. anche Mc 5,8; 9,13): «aveva detto», qui nel senso semitico di «aveva
intimato».
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z3TV<<0H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z3TV<<0H, –@L, Giovanni; cf. Mc
1,4; soggetto.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
{/Dæ*®: sost., nome proprio di persona, dat. sing. m. da {/Dæ*0H, –@L, Erode; cf. Mc 6,14;
compl. di termine.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
?Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
§>gFJ\<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da §>g4:4 (da ¦i e gÆ:\), è legale, è lecito, è permesso,
è possibile; cf. Mc 2,24. Giovanni rimprovera Erode non per il suo divorzio o la sua
434 Mc 6,19

poligamia, ma per aver sposato la moglie del suo fratellastro, contravvenendo al divieto
codificato nel Levitico: «Se uno prende la moglie del fratello è una impurità, egli ha scoperto
la nudità del fratello; non avranno figli» (Lv 20,21); «Non scoprirai la nudità di tua cognata:
è la nudità di tuo fratello» (Lv 18,16).
F@4: pron. personale di 2a pers. dat. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,11; compl. di termine.
§Pg4<: verbo, inf. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella condizione di,
essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. Infinito presente di valore durativo o continuativo.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
(L<"Ãi": sost., acc. sing. f. da (L<Z, (L<"4i`H, donna; cf. Mc 5,25; compl. oggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•*g8n@Ø: sost., gen. sing. m. da •*g8n`H, –@Ø, fratello; cf. Mc 1,16; compl. di specificazione.
Per il commento lessicale a questo vocabolo vedi Mc 3,31.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).

6,19 º *¥ {/Då*4H ¦<gÃPg< "ÛJè i" ³hg8g< "ÛJÎ< •B@iJgÃ<"4s i" @Ûi
²*b<"J@·
6,19 Per questo Erodiade lo odiava e cercava di ucciderlo, ma non poteva,

º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
*X: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti, dunque, quindi; cf. Mc 1,8. In questo
caso il *X non ha valore avversativo, quanto esplicativo, corrispondente a *4 J@ØJ@.
{/Då*4VH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. f. da {/Då*4VH, –V*@H (da {/Dæ*0H),
Erodiade; cf. Mc 6,17; soggetto.
¦<gÃPg<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da ¦<XPT (da ¦< e §PT), avere dentro, tenere dentro,
portare rancore. Questo verbo ricorre 3 volte nel NT: Mc 6,19 (hapax marciano); Lc 11,53;
Gal 5,1. Imperfetto durativo o iterativo. Nell’uso profano il verbo ¦<XPT assume il significato
di «tenere dentro», «conservare», detto generalmente di sentimenti (cf. Erodoto, Hist.,
1,118,1). Nel greco ellenistico prevale il significato peggiorativo e intensivo, equivalente ad
«andare contro», «perseguire», «accanirsi», ecc.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
³hg8g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da hX8T, volere, avere il proposito di; cf. Mc 1,40.
Imperfetto durativo o iterativo.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
Mc 6,20 435

•B@iJgÃ<"4: verbo, inf. aor. da •B@iJg\<T (da •B` e iJg\<T), uccidere, distruggere, far
perire; cf. Mc 3,4.
i"\: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, però; cf. Mc 1,4. Il
significato avversativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ adversativum)
si riscontra in Mc 1,13c; 3,7b.12.33a; 4,17a.19a.27d; 5,19a; 6,19b.20d.33a; 7,24b.28b;
8,12.16.29.30; 9,12a.30.31c.42a; 10,34; 12,12b.17a; 16,8c.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
²*b<"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere
in grado di; cf. Mc 1,40. Imperfetto durativo o iterativo.

6,20 Ò (D {/Dæ*0H ¦n@$gÃJ@ JÎ< z3TV<<0<s gÆ*ãH "ÛJÎ< –<*D" *\i"4@< i"Â
ž(4@<s i" FL<gJZDg4 "ÛJ`<s i" •i@bF"H "ÛJ@Ø B@88 ²B`Dg4s i" º*XTH
"ÛJ@Ø ³i@Lg<.
6,20 perché Erode temeva Giovanni, considerandolo uomo giusto e santo e vigilava su di
lui. Nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
{/Dæ*0H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da {/Dæ*0H, –@L, Erode; cf. Mc
6,14; soggetto.
¦n@$gÃJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da n@$XT, mettere in fuga, scacciare, spaventare
(att.); fuggire, avere paura, temere (mediopass.); cf. Mc 4,41. Imperfetto durativo o iterativo.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
z3TV<<0<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z3TV<<0H, –@L, Giovanni; cf. Mc
1,4; compl. oggetto.
gÆ*fH: verbo, nom. sing. m. part. perf. da @É*" (una radice con valore di presente connessa a
gÉ*@<, aor. attivo di ÒDVT), vedere, percepire, discernere, conoscere, sapere; cf. Mc 1,24.
Participio predicativo del soggetto {/Dæ*0H.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
–<*D": sost., acc. sing. m. da •<ZD, •<*D`H, uomo, maschio; compl. predicativo. Senza
articolo perché usato come termine generico e indeterminato. Il vocabolo ricorre 216 volte
nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 8 volte in Matteo (corrispondente allo
0,044% del totale delle parole); 4 volte in Marco (cf. Mc 6,20.44; 10,2.12 = 0,035%); 27
volte in Luca (0,139%); 8 volte in Giovanni (0,051%). Il vocabolo designa il genere homo,
ossia l’individuo umano maschile, contrapposto alla donna. Da questa accezione generica
derivano altre più particolareggiate: nel NT •<ZD è usato, anzitutto, in forma pleonastica con
aggettivi o sostantivi nelle affermazioni di carattere generale (•<ZD 8`(4@H = «colto», At
18,24; •<ZD BD@nZJ0H = «profeta», Lc 24,19). Altrove può indicare l’uomo come
436 Mc 6,20

designazione generica di un individuo (cf. Mc 6,20), il maschio (lat. vir), contrapposto alla
donna (cf. At 8,12), il marito (cf. Mc 10,2.12), l’uomo adulto (cf. 1Cor 13,11) e, specie al
plurale, gli abitanti, la gente (cf. Mt 14,35).
*\i"4@<: agg. qualificativo, acc. sing. m. da *\i"4@H, –", –@<, retto, giusto; cf. Mc 2,17;
attributo di –<*D".
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
ž(4@<: agg. qualificativo, acc. sing. m. da ž(4@H, –", –@<, separato, riservato [per Dio],
consacrato, santo; cf. Mc 1,8; attributo di –<*D".
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
FL<gJZDg4: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da FL<J0DXT (da Fb< e J0DXT), conservare,
custodire, proteggere, difendere. Questo verbo ricorre 3 volte nel NT: Mt 9,17; Mc 6,20
(hapax marciano); Lc 2,19. Imperfetto durativo o iterativo. Nella grecità il significato base
del verbo FL<J0DXT è quello di «conservare», «mantenere», in senso sia proprio che
figurato (cf. Polibio, Hist., 30,30,5).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•i@bF"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. Participio predicativo del soggetto {/Dæ*0H.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
B@88V: agg. indefinito, acc. plur. n. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34. La forma B@88V è qui usata in modo avverbiale («molto», «intensamente», «grandemen-
te») e non quantitativo («molte cose»). Si tratta di una caratteristica di Marco (cf. Mc 1,45;
3,12; 5,10.23.26.38.43; 6,20.23; 8,31; 9,12.26; 15,3).
²B`Dg4: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da •B@DXT (da –8n" privativo e la radice di
B@Dgb@:"4), essere senza risorse, essere in difficoltà, essere imbarazzato, essere incerto,
non sapere cosa fare, dubitare, essere perplesso. Questo verbo ricorre 6 volte nel NT: Mc
6,20 (hapax marciano); Lc 24,4; Gv 13,22; At 25,20; 2Cor 4,8; Gal 4,20. Imperfetto
durativo o iterativo. Nel greco sia profano che biblico il verbo è usato nel significato proprio
di «essere senza risorse», «essere povero» o «essere bisognoso» (cf. Platone, Symp., 203e; Lv
25,47) oppure in quello traslato di «essere in imbarazzo», «essere incerto», «non sapere»
[cosa dire o fare] (cf. Erodoto, Hist., 2,121,(1; Gn 32,7, LXX). Qui deve essere inteso nel
senso di «essere perplesso», «essere dubbioso».
i"\: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, però; cf. Mc 1,4. Il
significato avversativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ adversativum)
si riscontra in Mc 1,13c; 3,7b.12.33a; 4,17a.19a.27d; 5,19a; 6,19b.20d.33a; 7,24b.28b;
8,12.16.29.30; 9,12a.30.31c.42a; 10,34; 12,12b.17a; 16,8c.
º*XTH: avv. di modo, indecl., con piacere, volentieri. Il vocabolo ricorre 5 volte nel NT: Mc
6,20; 12,37; 2Cor 11,19; 12,9.15.
Mc 6,21 437

"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione.
³i@Lg<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. Imperfetto durativo o iterativo.

6,21 5"Â (g<@:X<0H º:XD"H gÛi"\D@L ÓJg {/Dæ*0H J@ÃH (g<gF\@4H "ÛJ@Ø
*gÃB<@< ¦B@\0Fg< J@ÃH :g(4FJF4< "ÛJ@Ø i" J@ÃH P484VDP@4H i" J@ÃH
BDfJ@4H J­H '"848"\"Hs
6,21 Venne però il giorno propizio, quando Erode per il suo compleanno fece un banchetto
per i suoi alti funzionari, gli ufficiali e i notabili della Galilea.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


(g<@:X<0H: verbo, gen. sing. f. part. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4. Participio al genitivo assoluto.
º:XD"H: sost., gen. sing. f. da º:XD", –"H, giorno; cf. Mc 1,9; compl. di tempo determinato.
gÛi"\D@L: agg. qualificativo, gen. sing. f. da gÜi"4D@H, –@< (da gÞ e i"4D`H), opportuno,
conveniente, propizio, favorevole; attributo di º:XD"H. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT:
Mc 6,21 (hapax marciano); Eb 4,16. In conformità all’etimologia l’aggettivo gÜi"4D@H, di
formazione ellenistica, assume il significato «opportuno», «favorevole» (cf. Polibio, Hist.,
4,38,1; Plutarco, Virt. mor., 441,a,2). La frase (g<@:X<0H º:XD"H gÛi"\D@L appare nella
forma detta “genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore temporale.
ÓJg: cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, allorché, ogni volta che, mentre;
cf. Mc 1,32.
{/Dæ*0H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da {/Dæ*0H, –@L, Erode; cf. Mc
6,14; soggetto.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
(g<gF\@4H: sost., dat. plur. n. da (g<XF4", –T<, anniversario [della nascita], genetliaco,
compleanno; compl. di tempo determinato. Marco impiega il caso dativo con valore
temporale 12 volte: Mc 1,21; 2,24; 3,2.4; 6,21; 11,12; 12,2; 14,12.30; 15,34; 16,2.9. Altrove
il dativo temporale è retto dalla preposizione ¦< (cf. Mc 1,9; 2,19.20.23; 4,35; 8,1; 10,30[x2];
12,23; 13,11.17.24; 14,2; 15,7.29). Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mt 14,6; Mc 6,21
(hapax marciano). Derivato dall’aggettivo (g<XF4@H / (g<Xh84@H, il termine, nella forma
sostantivata plurale J (g<XF4" / J (g<Xh84", indica nel greco ellenistico l’anniversario
della nascita, la festa del compleanno. Qualcuno, basandosi su fonti letterarie poco chiare,
ritiene che il termine (g<XF4" indichi non il giorno del compleanno, ma l’anniversario
dell’ascesa al trono di Erode Antipa, ossia «il giorno della nascita» come sovrano, il natalis
imperii (cf. Calendario di Filocalo, IV secolo d.C.). Effettivamente sappiamo che i principi
erodiani festeggiavano non soltanto i loro compleanni, ma anche l’anniversario della loro
ascesa al trono (cf. Giuseppe Flavio, Antiq., 15,423). Tuttavia per quanto riguarda il termine
(g<XF4" questo secondo significato non è dimostrabile nel campo della letteratura greca.
L’uso di festeggiare il genetliaco di principi e sovrani è molto antico e universalmente
438 Mc 6,21

attestato. Già nella Genesi si fa riferimento al compleanno del Faraone (cf. Gn 40,20).
Platone riferisce che in tutta l’Asia si celebrava il compleanno ((g<Xh84") del re persiano
(cf. Platone, Alc. I, 121c). A Roma il genetliaco dell’imperatore e l’anniversario della sua
ascesa al trono venivano festeggiati come solennità pubbliche (cf. CIL, I, 301–303).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
*gÃB<@<: sost., acc. sing. n. da *gÃB<@<, –@L, banchetto, pranzo, cena; compl. oggetto. Il
vocabolo ricorre 16 volte nel NT: Mt 23,6; Mc 6,21; 12,39; Lc 14,12.16.17.24; 20,46; Gv
12,2; 13,2.4; 21,20; 1Cor 11,20.21; Ap 19,9.17. Senza articolo perché usato come termine
generico e indeterminato. Come avviene nel greco classico (cf. Omero, Il., 2,381; Od.,
17,176) il termine *gÃB<@< indica il pasto ordinario, a cui possono essere invitati ospiti (cf.
Mc 12,39). Secondo l’usanza palestinese il *gÃB<@< giudaico era il pasto principale
consumato nei giorni feriali nel tardo pomeriggio, al termine dei lavori. Corrisponde
all’incirca alla nostra cena. Si distingueva dall’–D4FJ@< (cf. Lc 14,12), l’equivalente del
nostro pranzo.
¦B@\0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
:g(4FJF4<: sost., dat. plur. m. da :g(4FJV<, –<@H, maggiorente, magnate, nobile; compl.
di termine. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mc 6,21 (hapax marciano); Ap 6,15; 18,23.
Appartenente al greco tardivo il termine è usato prevalentemente nella forma plurale
:g(4FJ<gH per indicare i nobili che formavano la corte reale o l’entourage dei principi (cf.
Artemidoro di Daldi, Onir., 3,9; cf. 2Cr 36,18; Pr 8,16; Gio 3,7; Na 3,10; ecc., LXX; papiri).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
P484VDP@4H: sost., dat. plur. m. da P48\"DP@H, –@L (da P\84@4 e –DPT), chiliarco (=
comandante di mille soldati), comandante di una coorte, comandante militare; compl. di
termine. Il vocabolo ricorre 21 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mc
6,21 (hapax marciano); Gv 18,12. In senso strettamente militare P48\"DP@H indica il
comandante di una coorte, ossia il «capo di mille uomini» (cf. Eschilo, Pers., 304;
Senofonte, Cyr., 2,1,23; cf. Nm 31,48), corrispondente al latino tribunus militum (cf. Polibio,
Hist., 6,19,1). Più in generale il termine può indicare il comandante di una guarnigione (cf.
Senofonte, Cyr., 8,1,14) oppure, come qui, l’ufficiale militare di corte (cf. Plutarco, Artax.,
5,2,3).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Mc 6,22 439

J@ÃH: art. determ., dat. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
BDfJ@4H: agg. numerale, ordinale, di valore sostantivato, dat. plur. m. da BDäJ@H, –0, –@<,
primo, principale; cf. Mc 3,27; compl. di termine. Come avviene altrove (cf. Mc 9,35;
10,31[x2].44; 12,28) il numerale BDäJ@H acquista il valore di «più importante» e la
locuzione @Ê BDfJ@4, letteralmente «i primi», designa i personaggi più influenti, probabil-
mente in riferimento agli aristocratici della Galilea.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
'"848"\"H: sost., nome proprio di regione, gen. sing. f. da '"848"\", –"H, Galilea; cf. Mc
1,9; compl. di specificazione.

6,22 i"Â gÆFg8h@bF0H J­H hL("JDÎH "ÛJ@Ø {/Då*4V*@H i"Â ÏDP0F":X<0H ³Dg-
Fg< Jè {/Dæ*® i"Â J@ÃH FL<"<"ig4:X<@4H. gÉBg< Ò $"F48g×H Jè i@D"F\ås
!ÇJ0F`< :g Ô ¦< hX8®Hs i" *fFT F@4·
6,22 Entrata sua figlia Erodiade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re
disse alla ragazza: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÆFg8h@bF0H: verbo, gen. sing. f. part. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare,
venire dentro, recarsi, andare; cf. Mc 1,21. Participio al genitivo assoluto. Qui il soggetto
del genitivo assoluto è lo stesso della proposizione principale (gÆFg8h@bF0H J­H
hL("JDÎH… ³DgFg< Jè {/Dæ*®): si tratta di un caso piuttosto raro e stilisticamente
duro, ma attestato nei papiri.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
hL("JD`H: sost., gen. sing. f. da hL(VJ0D, –JD`H, figlia; cf. Mc 5,34. Secondo Giuseppe
Flavio la figlia di Erodiade e di Erode Filippo si chiamava Salome (cf. Id., Antiq., 18,136),
ma né qui né nel resto del NT questa figlia è chiamata per nome.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»). A chi si riferisce questo pronome maschile? Dal punto di vista
grammaticale non può essere riferito al successivo nome proprio Erodiade, di genere
femminile: l’usuale traduzione «la figlia della stessa Erodiade» non sarebbe, perciò,
corrispondente al testo. D’altra parte, riferire il pronome maschile a Erode [Antipa],
menzionato come soggetto nel v. precedente, è grammaticalmente corretto, ma sintatticamen-
te faticoso (bisognerebbe sottintendere una congiunzione o pensare a una coordinazione per
asindeto) e storicamente discutibile. Per ovviare a queste difficoltà qualche commentatore
ritiene che il pronome originario non fosse il maschile "ÛJ@Ø, ma il femminile "ÛJ­H, come
riportano alcuni codici (A, C, 1, W, ecc.): in tal modo la ragazza che entra e balla verrebbe
identificata con Salome, la figlia che Erodiade aveva avuto dal legittimo sposo Filippo, come
riferisce Giuseppe Flavio (cf. Id., Antiq., 18,136–137: propriamente Salome II, per
distinguerla da Salome I, sorella di Erode il Grande). Tuttavia dal punto di vista di critica
440 Mc 6,22

testuale questa opinione non può essere accolta, poiché la lezione "ÛJ­H è certamente una
accomodazione del testo, a partire da considerazioni e deduzioni storiche successive. Né può
essere accettata l’opinione di chi ritiene la forma "ÛJ@Ø un aramaismo per "ÛJ­H (nessun
altro caso nel NT). Non resta che tradurre secondo la testimonianza testuale più autorevole,
preferendo la lectio difficilior: la giovanissima ragazza in questione, di circa dodici anni,
sarebbe stata una figlia di Erodiade avuta da Erode Antipa durante la loro convivenza o in
occasione di qualche precedente incontro. L’obiezione che, in tal caso, avremmo un identico
nome (Erodiade) portato sia dalla madre che dalla figlia è facilmente superabile se pensiamo
che tale usanza era comune presso gli antichi, soprattutto presso le corti regnanti. Nella stessa
famiglia erodiana il nome Erode (anche nella forma femminile) era portato contemporanea-
mente da nonni, genitori, nipoti e cugini. A sostegno della giovane età di questa figlia di
Erode vi è la constatazione linguistica che, più avanti (vv. 22.28), la «figlia» (qui menzionata
hL(VJ0D) è chiamata i@DVF4@<, «ragazza»: si tratta dello stesso termine usato in Mc 5,42
per la «dodicenne» figlia di Giairo. Una implicita prova della giovanissima età della ragazza
è data dallo stesso suo comportamento infantile: si rivolge alla madre per sapere che cosa
deve chiedere in dono, come se fosse incapace di scegliere per sé stessa (cf. Mc 6,24); rientra
nella sala :gJ FB@L*­H, «di corsa», come fanno solitamente gli adolescenti nei loro
spostamenti (cf. Mc 6,25). Anche da un punto di vista cronologico, dunque, questa «figlia»
non può essere identificata con Salome, la quale all’epoca dei fatti aveva circa 20–25 anni,
una età in cui a ballare nei conviti delle corte orientali erano soltanto le prostitute.
{/Då*4V*@H: sost., nome proprio di persona, gen. sing. f. da {/Då*4VH, –V*@H (da
{/Dæ*0H), Erodiade; cf. Mc 6,17; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
ÏDP0F":X<0H: verbo, gen. sing. f. part. aor. medio da ÏDPX@:"4, volteggiare, danzare,
ballare. Questo verbo deponente ricorre 4 volte nel NT: Mt 11,17; 14,6; Mc 6,22 (hapax
marciano); Lc 7,32. Participio al genitivo assoluto. La frase gÆFg8h@bF0H J­H hL("JDÎH
[…] {/Då*4V*@H i"Â ÏDP0F":X<0H appare nella forma detta “genitivo assoluto” (cf. Mc
1,32), qui con valore temporale. Un interessante parallelo storico e linguistico del ballo di una
adolescente presso la corte reale troviamo in Giuseppe Flavio:

J•*g8nè B@Jg FL<g8hã< gÆH z!8g>V<*Dg4"< –(@<J4 i" J¬< hL("JXD" (V:T<
òD"< §P@LF"<, ÓBTH "ÛJ¬< FL<@4i\F® J4< Jä< ¦Bz •>4f:"J@H z3@L*"\T<, i"Â
*g4B<ä< B"D Jè $"F48gÃ, ÏDP0FJD\*@H gÆFg8h@bF0H gÆH JÎ FL:B`F4@< gÛBDgB@ØH
¦D"FhgÂH Jè •*g8nè J@ØJ@ :0<bg4 B"D"i"8ä< "ÛJ`<, ¦Bg i" <`:å igif8LJ"4
B"D z3@L*"\@4H •88@nb8å B80F4V.g4< (L<"4i\, FL(iDbR"<J" JÎ :VDJ0:" i"Â
*4Vi@<@< •("hÎ< (g<`:g<@< B"D"FPgÃ< "ÛJè òFJz ¦iB8­F"4 J¬< ¦B4hL:\"<.
«Una volta [Giuseppe, padre di Ircano, n.d.a.] andò ad Alessandria con suo fratello, il quale
portava con sé la figlia in età da marito, per poterla sposare a qualche Giudeo di alto rango.
Mentre Giuseppe cenava con il re, entrò nella sala una avvenente ballerina della quale egli
si innamorò; lo disse a suo fratello e, siccome la legge giudaica proibiva di avere relazioni
con una donna straniera, lo pregò di tenere segreto il suo peccato e di aiutarlo a realizzare il
proprio desiderio» (Giuseppe Flavio, Antiq., 12,187).
Mc 6,22 441

³DgFg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •DXFiT, piacere. Questo verbo ricorre 17 volte nel
NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 14,6; Mc 6,22 (hapax marciano).
Diversamente dall’uso paolino, dove questo verbo significa per lo più «compiacere»,
«condiscendere», «accontentare» (qualcuno) in contesto spirituale o teologico, qui il
significato è quello classico ed estetico di «piacere a», «essere gradito a» (cf. Erodoto, Hist.,
3,142,3; Platone, Theaet., 157d), senza connotazioni sessuali (cf. 1Mac 6,60; 8,21 e At 6,5
dove troviamo: «Piacque la proposta…»).
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
{/Dæ*®: sost., nome proprio di persona, dat. sing. m. da {/Dæ*0H, –@L, Erode; cf. Mc 6,14;
compl. di termine.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
FL<"<"ig4:X<@4H: verbo, dat. plur. m. part. pres. medio, di valore sostantivato, da FL<"<Vig4-
:"4 (da Fb< e •<Vig4:"4), sedere insieme a mensa, mangiare insieme; cf. Mc 2,15; compl.
di termine.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
$"F48gbH: sost., nom. sing. m. da $"F48gbH, –XTH, re, sovrano, capo, signore; cf. Mc 6,14;
soggetto.
Jè: art. determ., dat. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
i@D"F\å: sost., dat. sing. n. da i@DVF4@<, –@L, fanciulla, ragazza; cf. Mc 5,41; compl. di
termine.
!ÇJ0F`<: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da "ÆJXT, domandare, chiedere, implorare,
richiedere. Questo verbo ricorre 70 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
14 volte in Matteo (corrispondente allo 0,076% del totale delle parole); 9 volte in Marco (cf.
Mc 6,22.23.24.25; 10,35.38; 11,24; 15,8.43 = 0,080%); 11 volte in Luca (0,056%); 11 volte
in Giovanni (0,070%). Il verbo, costruito con il doppio accusativo della cosa che si richiede
e della persona a cui si chiede, deve essere qui inteso nella sua accezione profana e generica
di «chiedere» per ottenere qualcosa, analogamente al greco classico (cf. Omero, Il., 5,358;
Od., 17,365), ai LXX (cf. Gs 15,18; 19,50; 2Sam 3,13) e agli altri passi marciani. Soltanto
in Mc 11,24 "ÆJXT è usato in ambito religioso per indicare la richiesta fatta mediante la
preghiera e il pregare, analogamente ad altri passi del NT (cf. Mt 7,9; 21,22; Lc 11,10; Gv
11,22; 14,13; 16,24.26; Gc 4,2; 1Gv 5,15).
:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,40; compl. di termine. La forma accusativa è retta dal verbo "ÆJXT, costruito
con il doppio accusativo (della persona a cui si chiede e della cosa richiesta).
Ó: pron. relativo, acc. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24; compl. oggetto.
442 Mc 6,23

¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
hX8®H: verbo, 2a pers. sing. congiunt. pres. da hX8T, volere, avere il proposito di; cf. Mc 1,40.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4. La congiunzione ha qui
una sfumatura consecutiva: «chiedimi qualunque cosa così che te la darò».
*fFT: verbo, 1a pers. sing. ind. fut. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26. La successione formata da
imperativo + i"\ + futuro compare anche in Mc 1,17; 10,21; 11,24.29.
F@4: pron. personale di 2a pers. dat. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,11; compl. di termine.

6,23 i"Â ê:@Fg< "ÛJ± [B@88V]s ~? J4 ¦V< :g "ÆJZF®H *fFT F@4 ªTH º:\F@LH J­H
$"F48g\"H :@L.
6,23 E le fece questo giuramento: «Qualsiasi cosa mi chiederai te la darò, fosse anche la
metà del mio regno».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


ê:@Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da Ï:<bT, giurare, promettere, dichiarare solennemente.
Questo verbo ricorre 26 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 13 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,071% del totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc 6,23;
14,71 = 0,018%); 1 volta in Luca (0,005%). Il verbo è la forma ellenizzata dell’attico
Ð:<L:4: indica un atto di volontà irrevocabile e obbligante in riferimento a una affermazione
data per vera o a una promessa presentata come vincolante. Nell’antichità classica si giura
di regola per gli dèi (Ð:<L:4 hg@×H i"Â hgVH, «giuro per gli dèi e per le dee», Senofonte,
Anab., 6,6,17), come avviene nella Bibbia: @Ê Ï:<b@<JgH Jè Ï<`:"J4 iLD\@L hg@Ø
3FD"08, «coloro che giurano nel nome del Signore, Dio di Israele» (Is 48,1); nel periodo
ellenistico e romano si aggiungono anche i giuramenti per il re o per l’imperatore. Quando
è un sovrano a giurare egli può giurare per sé stesso, senza specificare alcun complemento.
"ÛJ±: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. f. da "ÛJ`H, –Z, –`,
[quello], egli, lui, esso; cf. Mc 5,23; compl. di termine.
[B@88V: agg. indefinito, acc. plur. n. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34. La forma B@88V è qui usata in modo avverbiale («intensamente», «grandemente»,
«solennemente») e non quantitativo («molte cose»). Si tratta di una caratteristica di Marco
(cf. Mc 1,45; 3,12; 5,10.23.26.38.43; 6,20.23; 8,31; 9,12.26; 15,3). Il vocabolo è presente in
P45 e nei codici D, 1, 565, 700. È assente, invece, in !, A, B, C (secondo correttore), ), f13,
e in molti codici minuscoli. Da un punto di vista di critica testuale è difficile decidersi: l’uso
di B@88V in senso avverbiale è tipico di Marco (cf. sopra) e ciò deporrebbe a favore della
autenticità anche in questo caso; d’altra parte c’è la testimonianza dei più antichi e importanti
codici che, invece, non riportano il vocabolo, il quale verosimilmente non faceva parte del
testo originale.].
~?: pron. relativo, acc. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; compl. oggetto; cf. Mc 2,24.
Mc 6,24 443

J4: pron. indefinito (enclitico), acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\), un
certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6.
¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,40; compl. di termine.
"ÆJZF®H: verbo, 2a pers. sing. congiunt. aor. da "ÆJXT, domandare, chiedere, implorare,
richiedere; cf. Mc 6,22.
*fFT: verbo, 1a pers. sing. ind. fut. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26.
F@4: pron. personale di 2a pers. dat. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,11; compl. di termine.
ªTH: prep. impropria di valore limitativo, seguita dal genitivo, indecl., fino a, sino a; cf. Mc
6,10.
º:\F@LH: sost., gen. sing. n. da »:4FLH, –@LH, metà; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 5 volte
nel NT: Mc 6,23 (hapax marciano); Lc 19,8; Ap 11,9.11; 12,14. Nell’uso sostantivato,
l’aggettivo »:4FLH assume, a partire da Omero, il significato di «metà» (cf. Omero, Il.,
6,193; Od., 17,322).
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
$"F48g\"H: sost., gen. sing. f. da $"F48g\", –"H, signoria, potere reale, dominio sovrano,
regno; cf. Mc 1,15; compl. di specificazione. La frase «anche metà del mio regno»,
pronunciata in contesto di giuramenti e promesse, è una espressione stereotipa comune
presso i sovrani orientali (cf. 1Re 13,8; Lc 19,8). Analoga promessa rivolge il re di Persia
alla regina Ester, in occasione di un banchetto solenne (cf. Est 5,3.6; 7,2).
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).

6,24 i"Â ¦>g8h@ØF" gÉBg< J± :0JDÂ "ÛJ­Hs I\ "ÆJZFT:"4p º *¥ gÉBg<s I¬<


ign"8¬< z3TV<<@L J@Ø $"BJ\.@<J@H.
6,24 Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella allora rispose: «La
testa di Giovanni il Battista».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦>g8h@ØF": verbo, nom. sing. f. part. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori,
uscire; cf. Mc 1,25. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso
i@DVF4@<.
444 Mc 6,25

gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
:0JD\: sost., dat. sing. f. da :ZJ0D, :0JD`H, madre; cf. Mc 3,31; compl. di termine.
"ÛJ­H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,30; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
I\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24.
"ÆJZFT:"4: verbo, 1a pers. sing. congiunt. aor. medio da "ÆJXT, domandare, chiedere,
implorare, richiedere; cf. Mc 6,22.
º: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5; soggetto.
Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale "ÛJ`H,
[quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
IZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ign"8Z<: sost., acc. sing. f. da ign"8Z, –­H, testa, capo; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre
75 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 12 volte in Matteo (corrisponden-
te allo 0,065% del totale delle parole); 8 volte in Marco (cf. Mc 6,24.25.27.28; 12,10; 14,3;
15,19.29 = 0,071%); 7 volte in Luca (0,036%); 5 volte in Giovanni (0,032%). La risposta
si presenta in forma ellittica: manca il predicato verbale, facilmente ricavabile dal contesto:
«Devi chiedere la testa…». Sebbene anche nel greco classico ign"8Z può essere impiegato
in senso traslato, al posto del vocabolo «vita» (cf. Omero, Il., 4,162; 17,242; Od., 2,237;
Erodoto, Hist., 8,65,5), qui l’espressione «chiedere la testa» non significa metaforicamente
«chiedere la morte», ma in senso letterale «chiedere il capo».
z3TV<<@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z3TV<<0H, –@L, Giovanni; cf. Mc
1,4; compl. di specificazione.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
$"BJ\.@<J@H: verbo, gen. sing. m. part. pres., di valore sostantivato, da $"BJ\.T, immergere,
sommergere, lavare, «battezzare»; cf. Mc 1,4; apposizione di z3TV<<@L.

6,25 i" gÆFg8h@ØF" gÛh×H :gJ FB@L*­H BDÎH JÎ< $"F48X" ¶JZF"J@ 8X(@LF"s
1X8T Ë<" ¦>"LJ­H *èH :@4 ¦BÂ B\<"i4 J¬< ign"8¬< z3TV<<@L J@Ø $"BJ4-
FJ@Ø.
6,25 E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta dicendo: «Voglio che tu mi dia
immediatamente su un vassoio la testa di Giovanni il Battista».
Mc 6,25 445

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÆFg8h@ØF": verbo, nom. sing. f. part. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare,
venire dentro, recarsi, andare; cf. Mc 1,21. Participio predicativo del soggetto sottinteso
i@DVF4@<.
gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
:gJV: prep. propria di valore modale, seguita dal genitivo, indecl., con; cf. Mc 1,13.
FB@L*­H: sost., gen. sing. f. da FB@L*Z, –­H, alacrità, fretta, corsa, premura; compl. di modo.
Il vocabolo ricorre 12 volte nel NT: Mc 6,25 (hapax marciano); Lc 1,39; Rm 12,8.11; 2Cor
7,11.12; 8,7.8.16; Eb 6,11; 2Pt 1,5; Gd 1,3. Attestato già a partire da Omero (cf. Id., Il., 2,99)
il sostantivo deverbale FB@L*Z indica anzitutto la «fretta» in senso sia letterale che traslato
e l’espressione :gJ FB@L*­H equivale alla locuzione italiana «di fretta», «di corsa» (cf.
Giuseppe Flavio, Bellum, 3,344; 5,155.295; Antiq., 2,340; 7,223; 8,306; 10,123; 13,82;
15,147.225; 19,327.348; Vita, 91; Contra Ap., 2,42).
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
$"F48X": sost., acc. sing. m. da $"F48gbH, –XTH, re, sovrano, capo, signore; cf. Mc 6,14;
compl. di moto a luogo.
¶JZF"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da "ÆJXT, domandare, chiedere, implorare,
richiedere; cf. Mc 6,22.
8X(@LF": verbo, nom. sing. f. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso i@DVF4@<. L’uso
di 8X(T dopo i verbi cosiddetti dicendi («dire», «proclamare», «annunciare», «interrogare»,
«rispondere», «deliberare», ecc.), frequentissimo nel NT, è un ebraismo dovuto alla
traduzione servile della forma verbale 9J/!-F, le) ’mo) r, equivalente al gerundio «dicendo» e
impiegata per introdurre il discorso diretto, in sostituzione del segno grafico dei due punti (:),
inesistente in ebraico come in greco. Nelle traduzioni questa tipica forma può essere omessa.
1X8T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da hX8T, volere, avere il proposito di; cf. Mc 1,40.
Ë<": cong. subordinativa di valore completivo, indecl., di, che; cf. Mc 1,38. La congiunzione Ë<"
non ha qui il consueto valore finale, ma quello completivo (equivalente a ÓJ4 o ÓBTH): in
pratica introduce una proposizione infinitiva (cf. Mc 3,9a.12; 4,22a; 5,10.18.43; 6,8.12.25.56;
7,26.32.36; 8,22.30; 9,9.12.18.30; 10,35.37; 11,16; 13,34; 15,21).
¦>"LJ­H: avv. di tempo, indecl., all’istante, immediatamente, subito. Il vocabolo ricorre 6 volte
nel NT: Mc 6,25 (hapax marciano); At 10,33; 11,11; 21,32; 23,30; Fil 2,23. Dopo gÛhbH e
FB@L*Z è il terzo vocabolo usato da Marco per sottolineare la fretta e l’impazienza di
Erodiade, la quale non vuole lasciarsi sfuggire questa occasione propizia.
*èH: verbo, 2a pers. sing. congiunt. aor. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26. La proposizione finale
retta da hX8T («voglio affinché tu mi dia») corrisponde a una proposizione oggettiva: «voglio
che tu mi dia».
446 Mc 6,26

:@4: pron. personale di 1a pers. dat. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 2,14; compl. di termine.
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, su, verso, a, sopra, presso; cf.
Mc 1,22.
B\<"i4: sost., dat. sing. m. da B\<">, –"i@H, piatto, tavola; compl. di stato in luogo. Il
vocabolo ricorre 5 volte nel NT: Mt 14,8.11; Mc 6,25.28; Lc 11,39. Nel greco classico il
sostantivo B\<"> indica propriamente il vassoio o il piatto di legno su cui si deponeva il cibo
(cf. Omero, Od., 1,141). Questo particolare rende la tragica scena ancora più truculenta: la
testa del Battista viene «servita» alla ragazza su di un piatto, alla stregua di un alimento.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ign"8Z<: sost., acc. sing. f. da ign"8Z, –­H, testa, capo; cf. Mc 6,24; compl. oggetto.
z3TV<<@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z3TV<<0H, –@L, Giovanni; cf. Mc
1,4; compl. di specificazione.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
$"BJ4FJ@Ø: sost., gen. sing. m., da $"BJ4FJZH, –@Ø (da $"BJ\.T), uno che amministra il rito
di immersione, battezzatore, «Battista» (il titolo di Giovanni, il precursore di Cristo);
apposizione di z3TV<<@L. Il vocabolo ricorre 12 volte nel NT: Mt 3,1; 11,11.12; 14,2.8;
16,14; 17,13; Mc 6,25; 8,28; Lc 7,20.33; 9,19. Il sostantivo $"BJ4FJZH, propriamente
«immersore», appartiene al greco neotestamentario, dove è impiegato esclusivamente nei
sinottici come fosse un nome proprio per designare Giovanni, il precursore di Gesù.
L’usanza di distinguere persone con un appellativo particolare era comune nel giudaismo (cf.
Mc 3,18; 14,3; Mt 10,2; At 10,6.32). Nel vangelo di Marco Giovanni è esplicitamente
ricordato con il soprannome Ò $"BJ4FJZH, «il Battista», in Mc 6,25; 8,28, mentre in Mc
6,14.24.25 viene indicato con il titolo Ò $"BJ\.T<, «il Battezzatore». La prima denomina-
zione è quella tipica, usata esclusivamente per Giovanni, intesa a indicare la speciale attività
da lui svolta, ossia il battesimo nelle acque del Giordano.

6,26 i" BgD\8LB@H (g<`:g<@H Ò $"F48g×H *4 J@×H ÓDi@LH i" J@×H •<"ig4:X-
<@LH @Ûi ²hX80Fg< •hgJ­F"4 "ÛJZ<·
6,26 Il re fu preso da sgomento, ma a motivo delle promesse e dei commensali non volle
opporle un rifiuto.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


BgD\8LB@H: agg. qualificativo, nom. sing. m. da BgD\8LB@H, –@< (da BgD\ e 8bB0), triste,
addolorato, afflitto, sgomento; predicato nominale. Il vocabolo ricorre 5 volte nel NT: Mt
26,38; Mc 6,26; 14,34; Lc 18,23.24. In posizione prolettica, per dare maggiore enfasi. Nella
grecità l’aggettivo BgD\8LB@H indica una sofferenza interiore molto intensa ed equivale a
«tristissimo», «angosciato» (cf. Isocrate, Or., 1,41; Aristotele, Eth. Nic., 1124a 16).
(g<`:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4. Participio predicativo del soggetto
$"F48gbH.
Mc 6,26 447

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
$"F48gbH: sost., nom. sing. m. da $"F48gbH, –XTH, re, sovrano, capo, signore; cf. Mc 6,14;
soggetto.
*4V: prep. propria di valore causale, seguita dall’accusativo, indecl., a causa di, a motivo di, per;
cf. Mc 2,1.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
ÓDi@LH: sost., acc. plur. m. da ÓDi@H, –@L, vincolo, promessa, giuramento; compl. di causa. Il
vocabolo ricorre 10 volte nel NT: Mt 5,33; 14,7.9; 26,72; Mc 6,26 (hapax marciano); Lc
1,73; At 2,30; Eb 6,16.17; Gc 5,12. Nel greco classico il termine ÓDi@H può indicare sia la
semplice «promessa» giurata, sia il vero e proprio «giuramento» promissorio, nel quale il
contraente si impegnava, sotto pena di auto maledizione, a mettere in atto quanto giurato (cf.
Omero, Il., 19,108; Od., 2,377; Senofonte, Cyr., 2,3,12). Un passo della Mishnah stabilisce
che «i giuramenti hanno maggiore severità che i voti» (m.Ned., 2,2).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
•<"ig4:X<@LH: verbo, acc. plur. m. part. pres. medio, di valore sostantivato, da •<Vig4:"4 (da
•<V e igÃ:"4), sdraiarsi a tavola, mangiare insieme, banchettare, cenare, pranzare; compl.
di causa. Questo verbo ricorre 14 volte nel NT: Mt 9,10; 22,10.11; 26,7.20; Mc 6,26; 14,18;
16,14; Lc 22,27[x2]; Gv 6,11; 12,2; 13,23.28. Usato come participio sostantivato, «colui che
giace sdraiato» corrisponde al «commensale», all’ospite o anche al generico invitato a tavola.
L’usanza di adagiarsi su divani o tappeti dalla parte del fianco sinistro, per consumare i pasti,
è descritta in Marco con i verbi i"JVig4:"4 (cf. Mc 2,15), FL<"<Vig4:"4 (cf. Mc 2,15;
6,22), •<Vig4:"4 (cf. Mc 6,26; 14,18; 16,14), •<"i8Ã<"4 (cf. Mc 6,39), •<"B\BJT (cf.
Mc 6,40; 8,6). Tale consuetudine era stata introdotta in Palestina a seguito dell’influsso
ellenistico, anche se essa era originaria non della Grecia, ma dell’Oriente. Si deve tuttavia
tener presente che l’usanza di mangiare distesi sul fianco, alla moda ellenistica, veniva
praticata soltanto in occasione di pranzi solenni; nell’uso ordinario e quotidiano i Giudei ai
tempi di Gesù assumevano i pasti stando seduti su sedie, sgabelli o direttamente per terra, su
cuscini o tappeti.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
²hX80Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da hX8T, volere, avere il proposito di; cf. Mc 1,40.
•hgJ­F"4: verbo, inf. aor. da •hgJXT (da –8n" privativa e J\h0:4), mettere a parte,
trascurare, annullare, rigettare, rifiutare, disdegnare. Questo verbo ricorre 16 volte nel NT:
Mc 6,26; 7,9; Lc 7,30; 10,16[x4]; Gv 12,48; 1Cor 1,19; 2Cor 2,21; 3,15; 1Ts 4,8[x2]; 1Tm
5,12; Eb 10,28; Gd 1,8. Il significato etimologico di questo verbo è quello di «non posto»,
«non stabilito», da cui «invalidare», «dichiarare nullo», «annullare», specie in contesto legale
(cf. OGIS, Vol. II,444,18). Qui al significato giuridico (cf. Mc 7,9) è da preferire quello
generico di «negare il proprio consenso», «opporre rifiuto», seguito dall’accusativo della
persona a cui si rifiuta qualcosa.
448 Mc 6,27

"ÛJZ<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,31; compl. oggetto.

6,27 i" gÛh×H •B@FJg\8"H Ò $"F48g×H FBgi@L8VJ@D" ¦BXJ">g< ¦<X(i"4 J¬<


ign"8¬< "ÛJ@Ø. i" •Bg8hã< •BgignV84Fg< "ÛJÎ< ¦< J± nL8"i±
6,27 E subito il re mandò un soldato, ordinandogli di portare la testa. Quello andò, lo
decapitò in prigione,

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
•B@FJg\8"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da •B@FJX88T (•B` e FJX88@:"4), inviare,
mandare; cf. Mc 1,2. Participio predicativo del soggetto $"F48gbH.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
$"F48gbH: sost., nom. sing. m. da $"F48gbH, –XTH, re, sovrano, capo, signore; cf. Mc 6,14;
soggetto.
FBgi@L8VJ@D": sost., acc. sing. m. da FBgi@L8VJTD, –@D@H, guardia, sentinella, boia;
compl. oggetto. Hapax neotestamentario. Traslitterazione grecizzata del termine di origine
latina speculator: in senso proprio indica la spia, l’esploratore militare (cf. Cicerone, De
imper., 46; Giulio Cesare, Bell. Gall., 2,11,2); per estensione può indicare anche la guardia
del corpo (cf. Tacito, Hist., 1,27; Svetonio, Calig., 44,2), un attendente militare (cf. Seneca,
De ira, 1,18,4), la sentinella (cf. Cicerone, Nat. deor., 2,140).
¦BXJ">g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦B4JVFFT (da ¦B\ e JVFFT), comandare,
ordinare, imporre, incaricare; cf. Mc 1,27.
¦<X(i"4: verbo, inf. aor. da nXDT, portare; cf. Mc 1,32. Infinito di valore finale.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ign"8Z<: sost., acc. sing. f. da ign"8Z, –­H, testa, capo; cf. Mc 6,24; compl. oggetto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•Bg8hf<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da •BXDP@:"4 (da •B` e §DP@:"4), andare via,
partire; cf. Mc 1,20. Participio predicativo del soggetto sottinteso FBgi@L8VJTD. Il
participio può essere qui inteso anche come espletivo, analogamente ad •Bg8h`<JgH in Mc
6,37; 16,13.
•BgignV84Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •B@ign"8\.T (da •B` e ign"8Z),
decapitare, tagliare la testa; cf. Mc 6,16. Marco usa un verbo greco insolito per la
decapitazione, rispetto al più comune Bg8gi\.T (cf. Giuseppe Flavio, Bellum, 1,185; 2,242;
Antiq., 14,39.140; Ap 20,4).
Mc 6,28 449

"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
nL8"i±: sost., dat. sing. f. da nL8"iZ, –­H, custodia, prigione, guardia, turno di guardia
[notturna]; cf. Mc 6,17; compl. di stato in luogo.

6,28 i"Â ³<g(ig< J¬< ign"8¬< "ÛJ@Ø ¦BÂ B\<"i4 i"Â §*Tig< "ÛJ¬< Jè i@D"F\ås
i"Â JÎ i@DVF4@< §*Tig< "ÛJ¬< J± :0JDÂ "ÛJ­H.
6,28 portò la sua testa su un vassoio, la diede alla ragazza e la ragazza la diede a sua
madre.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


³<g(ig<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da nXDT, portare; cf. Mc 1,32.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ign"8Z<: sost., acc. sing. f. da ign"8Z, –­H, testa, capo; cf. Mc 6,24; compl. oggetto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, su, verso, a, sopra, presso; cf.
Mc 1,22.
B\<"i4: sost., dat. sing. m. da B\<">, –"i@H, piatto, tavola; cf. Mc 6,25; compl. di stato in
luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
§*Tig<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26.
"ÛJZ<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,31; compl. oggetto.
Jè: art. determ., dat. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
i@D"F\å: sost., dat. sing. n. da i@DVF4@<, –@L, fanciulla, ragazza; cf. Mc 5,41; compl. di
termine.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
i@DVF4@<: sost., nom. sing. n. da i@DVF4@<, –@L, fanciulla, ragazza; cf. Mc 5,41; soggetto.
§*Tig<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26.
"ÛJZ<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,31; compl. oggetto.
450 Mc 6,29

J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
:0JD\: sost., dat. sing. f. da :ZJ0D, :0JD`H, madre; cf. Mc 3,31; compl. di termine.
"ÛJ­H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,30; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»). Costruzione ad sensum: la forma femminile non concorda qui con il
termine cui si riferisce, di genere neutro (i@DVF4@<). Analogo fenomeno in Mc 5,23.41.

6,29 i" •i@bF"<JgH @Ê :"h0J" "ÛJ@Ø µ8h@< i" µD"< JÎ BJä:" "ÛJ@Ø i"Â
§h0i"< "ÛJÎ ¦< :<0:g\å.
6,29 I suoi discepoli, saputo il fatto, vennero, presero il suo cadavere e lo misero in un
sepolcro.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•i@bF"<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. Participio predicativo del soggetto :"h0J"\.
Solitamente il verbo •i@bT è costruito con il genitivo della persona che si ode e l’accusativo
di ciò che si sente parlare: qui è senza complemento, come spesso avviene in Marco (cf. Mc
2,17; 3,21; 4,15.33; 6,2.14.16.29; 10,41; 11,14.18; 14,11; 15,35).
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
:"h0J"\: sost., nom. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; soggetto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
µ8h@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
µD"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da "ÇDT, alzare, sollevare, sostenere, sorreggere, portare,
prendere; cf. Mc 2,3.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
BJä:": sost., acc. sing. n. da BJä:", –"J@H, salma, cadavere; compl. oggetto. Il vocabolo
ricorre 7 volte nel NT: Mt 14,12; 24,28; Mc 6,29; 15,45; Ap 11,8.9[x2]. Dal significato
originario di «caduta» (cf. Eschilo, Suppl., 797) deriva quello di «corpo caduto», ossia
«cadavere» che ritroviamo sia nel greco classico (cf. Eschilo, Suppl., 662; Polibio, Hist.,
15,14,2) che biblico.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
Mc 6,30 451

genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare


(«di lui» = «suo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
§h0i"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da J\h0:4, mettere, posare, porre, disporre; cf. Mc 4,21.
"ÛJ`: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. n. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 4,4; compl. oggetto.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
:<0:g\å: sost., dat. sing. n. da :<0:gÃ@<, –@L, sepolcro, tomba; cf. Mc 5,2; compl. di stato
in luogo. Molti termini adoperati da Marco per descrivere la “passione” e morte di Giovanni
il Battista si ritrovano per descrivere quella di Gesù: tutti e due vengono «presi» (iD"JXT:
Mc 6,17; 14,1); si «vuole uccidere» entrambi (•B@iJg\<T: Mc 6,19; 14,1), ma si «ha paura»
di farlo (n@$XT: Mc 6,20; 11,18); vengono «ascoltati volentieri» (•i@bT º*XTH: Mc 6,20;
12,37); si viene a prelevare il loro «cadavere» (BJä:": Mc 6,29a; 15,45), per «metterlo in
un sepolcro» (J\h0:4 ¦< :<0:g\å: Mc 6,29b; 15,46).

6,30 5" FL<V(@<J"4 @Ê •B`FJ@8@4 BDÎH JÎ< z30F@Ø< i" •BZ((g48"< "ÛJè
BV<J" ÓF" ¦B@\0F"< i"Â ÓF" ¦*\*">"<.
6,30 Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto
e insegnato.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


FL<V(@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. pass. da FL<V(T (da Fb< e –(T), raggruppare,
raccogliere, radunare; cf. Mc 2,2. Presente storico. Dopo tanta lussuria, sangue e orrore (vv.
6,17–29) questo presente storico ridà freschezza, bellezza e spontaneità alla narrazione
evangelica.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
•B`FJ@8@4: sost., nom. plur. m. da •B`FJ@8@H, –@L (da •B@FJX88T), messaggero, inviato,
delegato, apostolo; cf. Mc 3,14; soggetto. Per il commento filologico del vocabolo
•B`FJ@8@H vedi Mc 3,14. È la prima volta che compare il termine •B`FJ@8@4 per definire
i dodici uomini scelti da Gesù (la ricorrenza in Mc 3,14 non appartiene al testo originale, vedi
commento ad l.). Finora queste persone sono state indicate o con l’espressione @Ê *f*gi",
«i Dodici» (cf. Mc 3,14; [3,16 non appartiene al testo originale]; 4,10; 6,17) oppure con la
designazione più generica @Ê :"h0J"\, «i discepoli» (cf. Mc 2,15.16.18.23; 3,7.9; 4,34;
5,31; 6,1). Tra queste diverse designazioni degli stessi uomini (*f*gi" / :"h0J"Â e
•B`FJ@8@4) sta l’invio, ossia il conferimento della ¦>@LF\" (potere, Mc 3,15; 6,7), la cui
menzione giustifica la comparsa del termine •B`FJ@8@H. I discepoli (o i Dodici) diventano
“apostoli” soltanto dopo essere stati inviati a espletare la missione per incarico di Gesù.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
452 Mc 6,31

J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
z30F@Ø<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
compl. di stato in luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•BZ((g48"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •B"((X88T (da •B` e la radice di –((g8@H),
annunciare, riferire, far conoscere, proclamare; cf. Mc 5,14.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
BV<J": agg. indefinito, acc. plur. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; attributo di ÓF".
ÓF": pron. relativo con valore di quantità e misura, acc. plur. n. da ÓF@H, –0, –@<, quanto,
quanto grande, ciò che, quello che; cf. Mc 2,19; compl. oggetto.
¦B@\0F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
ÓF": pron. relativo con valore di quantità e misura, acc. plur. n. da ÓF@H, –0, –@<, quanto,
quanto grande, ciò che, quello che; cf. Mc 2,19; compl. oggetto.
¦*\*">"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da *4*VFiT, insegnare, istruire, ammaestrare; cf. Mc
1,21. L’espressione ÓF" ¦B@\0F"< i"Â ÓF" ¦*\*">"<, attribuita da Marco ai Dodici,
viene usata altre volte esclusivamente per Gesù per indicare il “fare” e il “dire” della sua
missione: la formula ÓF" B@4gÃ< è riferita a Gesù come taumaturgo (cf. Mc 3,8; 5,19.20);
il verbo *4*VFiT, al presente o all’imperfetto, è riferito a Gesù in quanto Maestro (cf. Mc
1,21.22; 2,13; 4,1.2; 6,2.6.34; 8,31; 9,31; 10,1; 12,14.35; 14,49).

6,31 i"Â 8X(g4 "ÛJ@ÃHs )gØJg ß:gÃH "ÛJ@Â i"Jz Æ*\"< gÆH §D0:@< J`B@< i"Â
•<"B"bF"Fhg Ï8\(@<. µF"< (D @Ê ¦DP`:g<@4 i" @Ê ßBV(@<JgH B@88@\s i"Â
@Û*¥ n"(gÃ< gÛi"\D@L<.
6,31 Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo solitario e riposatevi un
po’». Erano molti, infatti, quelli che andavano e venivano ed essi non avevano
neanche il tempo di mangiare.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. La formula redazionale 8X(g4
"ÛJ@ÃH ricorre 25 volte, esclusivamente riservata a Gesù (cf. Mc 1,38; 2,8.17.25; 3,4;
4,13.35; 5,39; 6,31.38.50; 7,18; 8,17; 9,35; 10,11.24.42; 11,2.22.33; 12,16; 14,13.27.34.41).
Per quanto riguarda la formula singolare 8X(g4 "ÛJè, avente come soggetto Gesù, cf. Mc
1,41.44; 2,14; 5,9.19; 7,34; per 8X(g4 "ÛJ± cf. Mc 5,41.
Mc 6,31 453

)gØJg: interiez. impropria con valore esortativo (da *gØD@ e ÇJg, 2a pers. plur. imperat. pres. di
gÉ:4), indecl., via!, su!, suvvia!, orsù!, venite!; cf. Mc 1,17.
ß:gÃH: pron. personale di 2a pers. nom. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
soggetto. La forma ß:gÃH ricorre 236 volte nel NT rispetto alle 2905 ricorrenze totali di
questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 31 volte in Matteo (corrisponden-
te allo 0,169% del totale delle parole); 10 volte in Marco (cf. Mc 6,31.37; 7,11.18; 8,29;
11,17; 13,9.11.23.29 = 0,088%); 20 volte in Luca (0,103%); 68 volte in Giovanni (0,435%).
"ÛJ@\: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., nom. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso. La forma "ÛJ@\ ricorre 86 volte nel NT rispetto alle 5600
ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 10 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,055% del totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc 6,31;
7,36 = 0,018%); 19 volte in Luca (0,098%); 9 volte in Giovanni (0,058%).
i"Jz: (= i"JV), prep. propria di valore modale, seguita dall’accusativo, indecl., secondo, in
conformità a; cf. Mc 1,27.
Æ*\"<: agg. possessivo, acc. sing. f. da Ç*4@H, Æ*\", Ç*4@<, proprio, suo, personale, privato; cf.
4,34. In unione con i"JV (i"Jz Æ*\"<) corrisponde all’avverbio di modo «in disparte», «in
privato», «a parte», come nel greco classico ed ellenistico.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
§D0:@<: agg. qualificativo, acc. sing. m. da §D0:@H, –@<, solitario, deserto, desolato, inabitato;
cf. Mc 1,3; attributo di J`B@<.
J`B@<: sost., acc. sing. m. da J`B@H, –@L, luogo, spazio, area; cf. Mc 1,35; compl. di modo a
luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•<"B"bF"Fhg: verbo, 2a pers. plur. imperat. aor. medio da •<"B"bT (da •<V e B"bT),
prendere riposo, riposarsi. Questo verbo ricorre 12 volte nel NT: Mt 11,28; 26,45; Mc 6,31;
14,41; Lc 12,19; 1Cor 16,18; 2Cor 7,13; Fm 1,7.20; 1Pt 4,14; Ap 6,11; 14,13. Sebbene nel
NT questo verbo venga usato anche in senso metaforico («far riposare» o «ristorare lo
spirito») in Marco indica il riposo fisico, secondo l’uso classico (cf. Sofocle, Oed. Col., 1113;
Senofonte, Cyr., 7,1,4). È difficile vedere qui un significato teologico relativo al tema del
“riposo” come premio della salvezza, in conformità alla concezione anticotestamentaria e
giudaica o della salvezza che il discepolo trova già ora in Gesù. L’impiego di due imperativi
in successione paratattica (*gØJg… i" •<"B"bF"Fhg) rivela lo stile duale tipico di Marco
(cf. Mc 1,25; 4,24; 6,31.38; 7,14; 8,15; 10,14.21; 11,2; 13,33; 14,34.38.42; 16,7). In questi
casi l’accento è posto sul secondo verbo rispetto al primo il quale svolge soltanto una
funzione espletiva.
Ï8\(@<: pron. indefinito (qui con valore di avverbio di quantità), acc. sing. n. da Ï8\(@H, –0,
–@<, poco, un po’, per un po’; cf. Mc 1,19.
µF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf.
Mc 1,6. Predicato verbale.
454 Mc 6,32

(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16. La formula µF"< (VD
/ µ< (VD, analogamente a i"Â µF"< / i"Â µ< e a µF"< *X / µ< *X, è usata da Marco per
introdurre un inciso di valore causale o esplicativo (cf. Mc 1,16.33; 2,15; 5,42; 6,31.44.48;
7,26; 8,9; 10,22; 11,13; 14,40; 15,25; 16,14).
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
¦DP`:g<@4: verbo, nom. plur. m. part. pres. medio, di valore sostantivato, da §DP@:"4, venire,
apparire, arrivare, giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
ßBV(@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da ßBV(T (da ßB` e –(T),
andare giù, ritirarsi, andare via, partire; cf. Mc 1,44; soggetto.
B@88@\: agg. indefinito, nom. plur. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; predicato nominale, avente come soggetti i participi sostantivati @Ê ¦DP`:g<@4 i"Â @Ê
ßBV(@<JgH.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Û*X: avv. di negazione di valore oggettivo, indecl., né, non, neanche, nemmeno; cf. Mc 4,22.
n"(gÃ<: verbo, inf. aor. da ¦Fh\T, mangiare, prendere cibo, consumare, divorare; cf. Mc 1,6.
gÛi"\D@L<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da gÛi"4DXT, avere l’opportunità, avere il tempo
adatto, avere l’occasione. Questo verbo ricorre 3 volte nel NT: Mc 6,31 (hapax marciano);
At 17,21; 1Cor 16,12. Assente nei LXX, gÛi"4DXT appartiene al greco tardivo (cf. Polibio,
Hist., 20,9,4) ed è attestato nei papiri.

6,32 i" •B­8h@< ¦< Jè B8@\å gÆH §D0:@< J`B@< i"Jz Æ*\"<.
6,32 Allora partirono in barca verso un luogo solitario, in disparte.

i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.
21.26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.
48a.50.53a.65a.72b; 15,2.
•B­8h@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •BXDP@:"4 (da •B` e §DP@:"4), andare via,
partire; cf. Mc 1,20.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
Jè: art. determ., dat. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B8@\å: sost., dat. sing. n. da B8@Ã@<, –@L, barca; cf. Mc 1,19; compl. di stato in luogo.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
Mc 6,33 455

§D0:@<: agg. qualificativo, acc. sing. m. da §D0:@H, –@<, solitario, deserto, desolato, inabitato;
cf. Mc 1,3; attributo di J`B@<.
J`B@<: sost., acc. sing. m. da J`B@H, –@L, luogo, spazio, area; cf. Mc 1,35; compl. di moto a
luogo.
i"Jz: (= i"JV), prep. propria di valore modale, seguita dall’accusativo, indecl., secondo, in
conformità a; cf. Mc 1,27.
Æ*\"<: agg. possessivo, acc. sing. f. da Ç*4@H, Æ*\", Ç*4@<, proprio, suo, personale, privato; cf.
Mc 4,34. In unione con i"JV (i"Jz Æ*\"<) corrisponde all’avverbio di modo «in
disparte», «in privato», «a parte», come nel greco classico ed ellenistico.

6,33 i" gÉ*@< "ÛJ@×H ßBV(@<J"H i" ¦BX(<TF"< B@88@\ i" Bg.± •BÎ B"Fä<
Jä< B`8gT< FL<X*D":@< ¦igà i" BD@­8h@< "ÛJ@bH.
6,33 Molti però li videro partire e capirono: da tutte le città accorsero là a piedi e li
precedettero.

i"\: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, però; cf. Mc 1,4. Il
significato avversativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ adversativum)
si riscontra in Mc 1,13c; 3,7b.12.33a; 4,17a.19a.27d; 5,19a; 6,19b.20d.33a; 7,24b.28b;
8,12.16.29.30; 9,12a.30.31c.42a; 10,34; 12,12b.17a; 16,8c.
gÉ*@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc 1,10.
Si tratta di una forma verbale impersonale, avente come soggetto implicito «la gente», poiché
il successivo B@88@\ è soggetto di ¦BX(<TF"<.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
ßBV(@<J"H: verbo, acc. plur. m. part. pres. da ßBV(T (da ßB` e –(T), andare giù, ritirarsi,
andare via, partire; cf. Mc 1,44. Participio predicativo del complemento oggetto "ÛJ@bH.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦BX(<TF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da ¦B4(4<fFiT (da ¦B\ e (4<fFiT), conoscere,
sapere, scoprire; cf. Mc 2,8.
B@88@\: pron. indefinito, nom. plur. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Bg.±: avv. di modo, indecl., a piedi, per terra. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mt 14,13; Mc
6,33 (hapax marciano). Si tratta di un dativo avverbiale derivato da Bg.`H, «che cammina
a piedi», «pedestre».
•B`: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da; cf. Mc
1,9.
B"Fä<: agg. indefinito, gen. plur. f. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; attributo di B`8gT<, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
456 Mc 6,34

Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
B`8gT<: sost., gen. plur. f. da B`84H, –gTH, città, villaggio; cf. Mc 1,33; compl. di moto da
luogo.
FL<X*D":@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da FL<JDXPT (da Fb< e JDXPT), correre insieme,
radunarsi. Questo verbo ricorre 3 volte nel NT: Mc 6,23 (hapax marciano); At 3,11; 1Pt 4,4.
Conforme all’etimologia il verbo FL<JDXPT è usato nella grecità nel significato sia di
«correre insieme» (cf. Senofonte, Cyr., 2,2,9), talvolta con senso di ostilità (= «scontrarsi»:
Omero, Il., 16,335) sia di «radunarsi», «riunirsi» (cf. Erodoto, Hist., 8,71,1).
¦igÃ: avv. di luogo, indecl., là, lì, in quel posto; cf. Mc 1,38.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BD@­8h@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da BD@XDP@:"4 (da BD` e §DP@:"4), andare in
avanti, avanzare, procedere. Questo verbo deponente ricorre 9 volte nel NT: Mt 26,39; Mc
6,33; 14,35; Lc 1,17; 22,47; At 12,10; 20,5.13; 2Cor 9,5. Il significato letterale proprio del
verbo BD@XDP@:"4 è quello di un moto a luogo fisico, equivalente a «andare avanti»,
«avanzare» verso una specifica direzione (cf. Erodoto, Hist., 1,207,5; Tucidide, Hist., 5,65,6).
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.

6,34 i"Â ¦>g8hã< gÉ*g< B@8×< ÐP8@< i"Â ¦FB8"(P<\Fh0 ¦Bz "ÛJ@×Hs ÓJ4 µF"<
ñH BD`$"J" :¬ §P@<J" B@4:X<"s i"Â ³D>"J@ *4*VFig4< "ÛJ@×H B@88V.
6,34 Sceso dalla barca, vide una grande folla e si commosse per loro, perché erano come
pecore senza pastore e si mise a insegnare loro molte cose.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦>g8hf<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori,
uscire; cf. Mc 1,25. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH.
gÉ*g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc 1,10.
B@8b<: agg. indefinito, acc. sing. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; attributo di ÐP8@<.
ÐP8@<: sost., acc. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; compl. oggetto. Senza
articolo perché generica.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦FB8"(P<\Fh0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da FB8"(P<\.@:"4, essere commosso
nelle viscere, avere compassione; cf. Mc 1,41.
¦Bz: (= ¦B\), prep. propria con valore di relazione, seguita dall’accusativo, indecl., a, per,
riguardo a, quanto a; cf. Mc 1,22.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di relazione. Costruzione ad sensum: il
Mc 6,34 457

pronome non concorda nel numero plurale con il termine cui si riferisce, al singolare
(ÐP8@H). Analogo fenomeno in Mc 7,14.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore causale, indecl., poiché, perché, siccome; cf. Mc 1,15.
µF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf.
Mc 1,6. Predicato verbale.
ñH: avv. con valore di modo e paragone, indecl., come, simile a, alla maniera di, nel modo che,
nella condizione di, in qualità di; cf. Mc 1,10.
BD`$"J": sost., nom. plur. n. da BD`$"J@<, –@L, pecora; predicato nominale. Il vocabolo
ricorre 39 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 11 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,060% del totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc 6,34; 14,27 =
0,018%); 2 volte in Luca (0,010%); 19 volte in Giovanni (0,122%). Secondo termine di
paragone. Nel greco classico BD`$"J@< indica il generico capo di bestiame che può essere
costituito da «puledre» (cf. Pindaro, Frag., 317), «buoi» (cf. Erodoto, Hist., 4,61,2), «pecore»
(cf. Aristofane, Nub., 1203), «bestiame» generico (cf. Erodoto, Hist., 1,188,1). Poiché in
Palestina gli animali più allevati erano le pecore (cf. Gb 1,3) e i mestieri più diffusi quello del
pastore e del contadino, negli scritti biblici il termine BD`$"J@< ha finito per assumere il
significato specifico di «pecora». In tutte le ricorrenze neotestamentarie prevale il significato
traslato (25 volte su 39), spesso in associazione con la figura del pastore. L’immagine delle
pecore senza pastore è comune nella Bibbia per indicare la condizione di smarrimento di chi
è privo di una guida o un punto di riferimento per la sua esistenza (cf. Nm 27,17; 1Re 22,17;
2Cr 18,16; Ger 50,6; Ez 34,5; Zc 10,2; 13,7; Gdt 11,19; cf. 1Pt 2,25: «eravate come pecore
erranti, ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime»).
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
§P@<J": verbo, nom. plur. n. part. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. Participio attributivo del soggetto
BD`$"J".
B@4:X<": sost., acc. sing. m. da B@4:Z<, –X<@H, pastore; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre
18 volte nel NT: Mt 9,36; 25,32; 26,31; Mc 6,34; 14,27; Lc 2,8.15.18.20; Gv 10,2.
11[x2].12.14.16; Ef 4,11; Eb 13,20; 1Pt 2,25. Senza articolo perché generico. A partire da
Omero il sostantivo B@4:Z< indica il «pastore» di greggi (cf. Omero, Il., 4,455; Euripide,
Bacc., 714). Analogamente a quanto avviene nella letteratura dell’Oriente antico, nella
Bibbia il popolo è talvolta designato come un «gregge» di pecore (cf. 2Sam 24,17; Sal 77,21;
78,52; Is 63,11; Ger 13,20; 23,3; 27,6; 31,10; Ez 34,2.17; Zc 9,16) e il re come «pastore» (cf.
Ez 34,23). Già nelle iscrizioni sumeriche il re viene qualificato come «il pastore» costituito
dalla divinità; in quelle babilonesi e assire il vocabolo rê’û (= «pastore») è l’epiteto comune
riservato ai sovrani e il verbo re’û (= «pascolare») viene sovente impiegato in senso traslato
per «governare». In Egitto il faraone è definito «pastore che veglia sui suoi sudditi» e «pastore
di tutte le genti». In Grecia il sovrano è chiamato a partire da Omero B@4:¬< 8"ä<,
«pastore del popolo» (cf. Omero, Il., 2,243). Tutto ciò trova una corrispondenza antropologi-
ca e culturale nelle condizioni socioeconomiche delle popolazioni locali, dedite soprattutto
alla pastorizia. Anche nell’AT i capi politici e militari sono definiti «pastori» (cf. 1Sam 21,8;
2Sam 7,7; 1Cr 17,6; Ger 2,8; 3,15; 10,21; 22,22; 23,1–4; 25,34–36; 50,6; Ez 34,2–10; Is
458 Mc 6,35

56,11; Mic 5,4; Zc 10,3; 11,5.16). L’epiteto di «pastore» è riservato allo stesso Dio (cf. Gn
48,15; 49,24; Sal 23,1; 80,2), il quale viene descritto come il pastore che sta alla testa del suo
gregge (cf. Sal 68,8), lo guida e lo conduce ai pascoli (cf. Is 40,11; 49,10; Sal 23,2.3; 80,2;
Ger 50,19), chiama le pecore disperse (cf. Zc 10,8) e le raduna con amore (cf. Is 40,11; 56,8).
Per quanto riguarda il nostro passo l’immagine biblica più significativa e corrispondente è
quella di Is 40,11 dove si afferma che «Dio pascerà il suo gregge come un pastore». Gesù
realizza quei testi profetici che parlano di Dio come Pastore del suo popolo (cf. Ez 34,16.22).
Egli è il buon pastore (cf. Gv 10,1–18) che raduna i dispersi, diventando centro del nuovo
popolo di Dio.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
³D>"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da –DPT, dare inizio, cominciare; cf. Mc 1,45. La
frase ³D>"J@ / ³D>"<J@ seguita da un infinito come complemento è usata da Marco 26
volte (cf. Mc 1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32; 10,28.32.41.47; 11,15; 12,1;
13,5; 14,19.33.65.69.71; 15,8.18). La frequenza di questa formula è dovuta probabilmente
a influsso semitico: quasi sempre equivale a una perifrasi nella quale il verbo –DPT di
valore pleonastico può essere omesso, mentre l’infinito dipendente viene reso con la 3a
persona dell’indicativo aoristo o imperfetto corrispondente.
*4*VFig4<: verbo, inf. pres. da *4*VFiT, insegnare, istruire, ammaestrare; cf. Mc 1,21. Il
verbo è costruito con un doppio accusativo: della persona a cui si insegna e della cosa
insegnata.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
B@88V: pron. indefinito, di valore sostantivato, acc. plur. n. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto,
tanto, grande; cf. Mc 1,34; compl. oggetto.

6,35 5"Â ³*0 òD"H B@88­H (g<@:X<0H BD@Fg8h`<JgH "ÛJè @Ê :"h0J"Â "ÛJ@Ø
§8g(@< ÓJ4 }+D0:`H ¦FJ4< Ò J`B@H i"Â ³*0 òD" B@88Z·
6,35 Fattosi ormai molto tardi, gli si avvicinarono i suoi discepoli e gli dissero: «Questo
luogo è deserto ed è ormai tardi;

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


³*0: avv. di tempo, indecl., già, ora, subito; cf. Mc 4,37.
òD"H: sost., gen. sing. f. da òD", –"H, ora, tempo; compl. di tempo determinato. Il vocabolo
ricorre 106 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 21 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,114% del totale delle parole); 12 volte in Marco (cf. Mc 6,35[x2];
11,11; 13,11.32; 14,35.37.41; 15,25.33[x2].34 = 0,106%); 17 volte in Luca (0,087%); 26
volte in Giovanni (0,166%). Nell’uso profano il termine òD" indica una durata di tempo
stabilita, il «tempo giusto» per poter compiere qualcosa (cf. Euripide, Alc., 449; Platone,
Resp., 527d; Senofonte, Mem., 4,7,4). Anche i traduttori dei LXX intendono òD" come
tempo stabilito, il tempo consueto di un avvenimento (cf. Gn 29,7; Rt 2,14). L’uso di òD"
nel NT corrisponde in larga misura a quello dei testi extra–biblici e dei LXX; in senso
Mc 6,35 459

cronologico neutrale il termine può indicare: a) un periodo di tempo indeterminato (cf. Mc


6,35[x2]; 11,11) oppure b) il tempo fissato, il momento preciso, spesso determinato da un
aggettivo numerale (cf. Mc 14,37; 15,25.33[x2].34); c) esiste, inoltre, un uso teologico di
òD", in particolare per quanto riguarda l’«ora» di Gesù fissata dal Padre: in Giovanni, ma
anche negli altri vangeli, questa «ora» è il momento stabilito da Dio che prevede la sofferenza
e la morte del Figlio a causa dello scatenarsi delle forze ostili (cf. Mc 14,35.41); d) collegata
all’«ora» di Gesù c’è, infine, l’«ora» dei discepoli, quella ecclesiale ed escatologica: in questi
contesti il termine òD" indica il tempo escatologico della prova e della decisione dei credenti
(cf. Mc 13,11.32); è «l’ora del giudizio» (Ap 14,7) che figuratamente è detta «l’ora del
raccolto» (Ap 14,15).
B@88­H: agg. indefinito, gen. sing. f. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; attributo di òD"H. L’espressione òD" B@88Z, «molta ora», è probabilmente un
latinismo («multo die»), anche se la frase è abbastanza comune nel greco ellenistico (cf.
Polibio, Hist., 5,8,3; Giuseppe Flavio, Antiq., 8,118; Dionigi di Alicarnasso, Antiq., 2,54,4).
(g<@:X<0H: verbo, gen. sing. f. part. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4. Participio al genitivo assoluto. La frase
òD"H B@88­H (g<@:X<0H appare nella forma detta “genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui
con valore temporale.
BD@Fg8h`<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da BD@FXDP@:"4 (da BD`H e §DP@:"4),
venire, avvicinarsi, precedere, accostarsi; cf. Mc 1,31. Participio predicativo del soggetto
:"h0J"\.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
:"h0J"\: sost., nom. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; soggetto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
§8g(@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo («dicevano», «continuavano
a dire»), ma puntuale, corrispondente a un aoristo («dissero»). Per altri esempi di questo
imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24.26.30.41;
5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70; 15,12a.14.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
}+D0:`H: agg. qualificativo, nom. sing. m. da §D0:@H, –@<, solitario, deserto, desolato,
inabitato; cf. Mc 1,3; predicato nominale.
460 Mc 6,36

¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
J`B@H: sost., nom. sing. m. da J`B@H, –@L, luogo, spazio, area; cf. Mc 1,35; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
³*0: avv. di tempo, indecl., già, ora, subito; cf. Mc 4,37.
òD": sost., nom. sing. f. da òD", –"H, ora, tempo; cf. Mc 6,35; soggetto.
B@88Z: agg. indefinito, nom. sing. f. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; predicato nominale. L’espressione òD" B@88Z, «molta ora», è probabilmente un
latinismo, anche se la frase è conosciuta da altri autori (cf. sopra). Qui l’aggettivo, in
riferimento all’indicazione temporale «ora», assume il significato di «tarda», «avanzata».

6,36 •B`8LF@< "ÛJ@bHs Ë<" •Bg8h`<JgH gÆH J@×H ibi8å •(D@×H i" if:"H
•(@DVFTF4< ©"LJ@ÃH J\ nV(TF4<.
6,36 mandali via, affinché possano andare a comprarsi da mangiare per le borgate di
campagna e i villaggi dei dintorni».

•B`8LF@<: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da •B@8bT (da •B` e 8bT), liberare, lasciare,
congedare, mandare via, licenziare. Questo verbo ricorre 66 volte nel NT. La distribuzione
nei vangeli è la seguente: 19 volte in Matteo (corrispondente allo 0,104% del totale delle
parole); 12 volte in Marco (cf. Mc 6,36.45; 8,3.9; 10,2.4.11.12; 15,6.9.11.15 = 0,106%); 14
volte in Luca (0,072%); 5 volte in Giovanni (0,032%). Generalmente •B@8bT è usato, nel
greco sia classico che biblico, nel significato di «lasciare andare», «mandare via» qualcuno,
ad. esempio, un servo, un prigioniero, la folla, ecc. (cf. Aristofane, Achar., 1155; Senofonte,
Hell., 6,5,21). Per il significato tecnico di «licenziare», «ripudiare», nel contesto del divorzio,
vedi commento a Mc 10,2.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
•Bg8h`<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da •BXDP@:"4 (da •B` e §DP@:"4), andare via,
partire; cf. Mc 1,20. Participio predicativo del soggetto sottinteso "ÛJ@\.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
ibi8å: sost., dat. sing. m. da ibi8@H, –@L, cerchio; cf. Mc 3,34. Questa forma è qui usata con
il significato di avverbio di modo «in cerchio», «in circolo» o in quello locativo «attorno»,
«all’intorno».
Mc 6,37 461

•(D@bH: sost., acc. plur. m. da •(D`H, –@Ø, campo, campagna, podere, borgata [di campagna];
cf. Mc 5,14; compl. di moto a luogo. Il vocabolo ha qui il significato di borgata di campagna,
meno estesa rispetto al villaggio o alla città (cf. Mc 5,14; 6,36.56; 15,21; 16,12).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
if:"H: sost., acc. plur. f. da if:0, –0H, villaggio, borgata; cf. Mc 6,6; compl. di moto a
luogo. Senza articolo perché generici.
•(@DVFTF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. da •(@DV.T, comprare, acquistare,
procurarsi. Questo verbo ricorre 30 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
7 volte in Matteo (corrispondente allo 0,038% del totale delle parole); 5 volte in Marco (cf.
Mc 6,36.37; 11,15; 15,46; 16,1 = 0,044%); 5 volte in Luca (0,026%); 3 volte in Giovanni
(0,019%). Congiuntivo deliberativo. Il significato primitivo del verbo •(@DV.T è quello di
«essere / andare sulla piazza del mercato» (cf. Erodoto, Hist., 2,35,2), da cui per estensione
è derivato il significato di «comparare al mercato» o semplicemente «acquistare» (cf.
Aristofane, Achar., 625; Senofonte, Anab., 1,5,10).
©"LJ@ÃH: pron. riflessivo, dat. plur. m. da ©"LJ@Ø, –­H, –@Ø (non usato al nominativo), lui, lui
stesso, esso; cf. Mc 1,27; compl. di vantaggio. Dativo di vantaggio.
J\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24. Questo pronome interrogativo sta al posto del
relativo Ó J4 / òFJ4H («ciò che»), come avviene nei papiri e nelle iscrizioni; si tratta di un uso
piuttosto frequente nella Koiné: «Propositio relativa et interrogatio indirecta post verba
dicendi, cognoscendi etc. valde affines sunt. Hinc fit, ut hellenistice interrogativum J\ loco
pronominis relativi stare possit» (Zerwick Max, Graec., § 221). Analogo fenomeno in Mc
2,25; 4,24; 5,14; 6,36; 8,1.2; 9,6.10; 10,38; 13,11; 14,36[x2].40.68; 15,24.
nV(TF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. da ¦Fh\T, mangiare, prendere cibo, consumare,
divorare; cf. Mc 1,6. Congiuntivo deliberativo.

6,37 Ò *¥ •B@iD4hgÂH gÉBg< "ÛJ@ÃHs )`Jg "ÛJ@ÃH ß:gÃH n"(gÃ<. i" 8X(@LF4<
"ÛJès z!Bg8h`<JgH •(@DVFT:g< *0<"D\T< *4"i@F\T< –DJ@LH i" *fF@:g<
"ÛJ@ÃH n"(gÃ<p
6,37 Ma egli rispose: «Voi stessi date loro da mangiare». Gli dissero: «Dobbiamo andare
noi a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?».

Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
•B@iD4hg\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33. Participio predicativo di valore espletivo del
soggetto sottinteso z30F@ØH.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7. L’espressione •B@iD4hg\H… 8X(g4, •B@iD4hg\H… gÉBg< è ricalcata sull’ebraico
462 Mc 6,37

9/ G !J&H… 03HHH&, wayya‘an… wayyo) ’mer, «rispondendo… dice», «rispondendo… disse» (cf.
Gb 8,1, ecc.). Si tratta di una tipica locuzione semitica ridondante che può essere tradotta
semplicemente con «disse», «rispose», «replicò» e simili. Questa formula ricorre 16 volte in
Marco (cf. Mc 3,33; 6,37; 7,28; 8,29; 9,5.19; 10,3.24.51; 11,14.22.33; 12,35; 14,48; 15,2.12).
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
)`Jg: verbo, 2a pers. plur. imperat. aor. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
ß:gÃH: pron. personale di 2a pers. nom. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
cf. Mc 6,31; soggetto.
n"(gÃ<: verbo, inf. aor. da ¦Fh\T, mangiare, prendere cibo, consumare, divorare; cf. Mc 1,6.
L’infinito, più che avere valore finale («affinché mangino»), ha qui valore consecutivo: «in
modo che mangino», «cosicché possano mangiare».
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8X(@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
z!Bg8h`<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da •BXDP@:"4 (da •B` e §DP@:"4), andare
via, partire; cf. Mc 1,20. Participio predicativo del soggetto sottinteso :"h0J"\. Il
participio può essere qui inteso anche come espletivo, analogamente a Mc 16,13.27
(•Bg8hf<).
•(@DVFT:g<: verbo, 1a pers. plur. congiunt. aor. da •(@DV.T, comprare, acquistare,
procurarsi; cf. Mc 6,36. Congiuntivo deliberativo/dubitativo.
*0<"D\T<: sost., gen. plur. n. da *0<VD4@<, –@L, denario, denaro; compl. di prezzo. Il
vocabolo ricorre 16 volte nel NT: Mt 18,28; 20,2.9.10.13; 22,19; Mc 6,37; 12,15; 14,5; Lc
7,41; 10,35; 20,24; Gv 6,7; 12,5; Ap 6,6[x2]. Il caso genitivo può essere usato in greco per
indicare, come qui, il complemento di prezzo. Traslitterazione grecizzata della parola di
origine latina denarius, ossia «formato da dieci [assi]», sott. nummus («moneta»). Si tratta
della moneta d’argento standard che circolò dal 209 a.C. al 215 d.C. Inizialmente equivaleva
a 10 assi (da cui il nome), ma in epoca neotestamentaria corrispondeva a 16 assi. Fu coniato
per la prima volta in Roma verso la fine del III secolo a.C. Era la principale moneta d’argento
dell’impero romano: in Palestina venne usata a cominciare dalla seconda metà del I secolo
a.C., dopo la conquista del paese da parte di Pompeo. Come l’aureus (= 25 denari), il
denarius poteva essere coniato soltanto dal sovrano. In epoca imperiale portava impressa
l’immagine di Cesare e una iscrizione: il denaro coniato da Tiberio, all’epoca di Gesù,
portava sul dritto la seguente scritta: «TI[BERIVS] CAESAR DIVI AVG[VSTI] F[ILIVS]
AVGVSTVS», «Tiberio Cesare Augusto, figlio del divino Augusto» e sul rovescio
«PONTIF[EX] MAXIM[VS]», «Sommo Pontefice». Secondo le indicazioni neotestamentarie
un denaro equivaleva al prezzo di due misure di grano e a sei d’orzo (cf. Ap 6,6) o alla paga
Mc 6,38 463

giornaliera di un operaio (cf. Mt 20,9.13). Duecento denari di pane era, dunque, una cifra
notevole.
*4"i@F\T<: agg. numerale, cardinale, gen. plur. n. da *4"i`F4@4, –"4, –" (da *\H e ©i"J`<),
duecento; attributo di *0<"D\T<. Il vocabolo ricorre 8 volte nel NT: Mc 6,37 (hapax
marciano); Gv 6,7; 21,8; At 23,23[x2]; 27,37; Ap 11,3; 12,6. Secondo la Mishnah (cf.
Strack–Bill., I,670) il fabbisogno individuale giornaliero era calcolato un pane del valore di
1/12 di denaro: con 200 denari si potevano acquistare, quindi, circa 2400 razioni giornaliere,
ossia 4800 mezze razioni. Da tale calcolo si può ragionevolmente desumere che la folla fosse
composta da circa 5000 persone, come viene precisato in Mc 6,44.
–DJ@LH: sost., acc. plur. m. da –DJ@H, –@L, pane; cf. Mc 2,26; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4. La congiunzione ha qui
una sfumatura finale: «…per dare loro da mangiare».
*fF@:g<: verbo, 1a pers. plur. ind. fut. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26. Congiuntivo deliberativo.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
n"(gÃ<: verbo, inf. aor. da ¦Fh\T, mangiare, prendere cibo, consumare, divorare; cf. Mc 1,6.

6,38 Ò *¥ 8X(g4 "ÛJ@ÃHs A`F@LH –DJ@LH §PgJgp ßBV(gJg Ç*gJg. i" (<`<JgH
8X(@LF4<s AX<Jgs i"Â *b@ ÆPhb"H.
6,38 Ma egli disse loro: «Quanti pani avete? Andate a vedere». Essi si informarono e
riferirono: «Cinque, più due pesci».

Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. La formula redazionale 8X(g4
"ÛJ@ÃH ricorre 25 volte, esclusivamente riservata a Gesù (cf. Mc 1,38; 2,8.17.25; 3,4;
4,13.35; 5,39; 6,31.38.50; 7,18; 8,17; 9,35; 10,11.24.42; 11,2.22.33; 12,16; 14,13.27.34.41).
Per quanto riguarda la formula singolare 8X(g4 "ÛJè, avente come soggetto Gesù, cf. Mc
1,41.44; 2,14; 5,9.19; 7,34; per 8X(g4 "ÛJ± cf. Mc 5,41.
A`F@LH: agg. interrogativo, acc. plur. m. da B`F@H, –0, –@<, quanto?, quanto grande?;
attributo di –DJ@LH. Il vocabolo ricorre 27 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 8 volte in Matteo (corrispondente allo 0,044% del totale delle parole); 6 volte in
Marco (cf. Mc 6,38; 8,5.19.20; 9,21; 15,4 = 0,053%); 6 volte in Luca (0,031%). Il pronome
e aggettivo B`F@H (lat. quantus?) ricorre in proposizioni interrogative sia dirette sia indirette,
464 Mc 6,39

per indicare una quantità indefinita. In qualche caso assume significato esclamativo (cf. Mc
15,4).
–DJ@LH: sost., acc. plur. m. da –DJ@H, –@L, pane; cf. Mc 2,26; compl. oggetto.
§PgJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
ßBV(gJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da ßBV(T (da ßB` e –(T), andare giù, ritirarsi,
andare via, partire; cf. Mc 1,44. La forma asindetica è piuttosto frequente con gli imperativi
dei verbi ßBV(T (cf. Mc 1,44; 5,34; 6,38; 7,29; 10,21.52; 16,7), ¦(g\DT (cf. Mc 2,9; 3,3;
5,41; 10,49; 14,42), ÒDVT (cf. Mc 1,44; 6,38; 8,15), F4TBVT (cf. Mc 4,39), n4:`T (cf. Mc
4,39), h"DFXT (cf. Mc 6,50; 10,49), $8XBT (cf. Mc 13,5.23.33).
Ç*gJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc
1,10. I due imperativi, uniti per asindeto, hanno valore finale: «andate a vedere»: l’accento
viene posto sul secondo illocutivo, essendo il primo soltanto espletivo. L’impiego di due
imperativi in successione paratattica rivela lo stile duale tipico di Marco (cf. Mc 1,25; 4,24;
6,31.38; 7,14; 8,15; 10,14.21; 11,2; 13,33; 14,34.38.42; 16,7).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
(<`<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da (4<fFiT, percepire, sentire, conoscere, capire; cf.
Mc 4,13. Participio predicativo del soggetto sottinteso :"h0J"\.
8X(@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Presente storico.
AX<Jg: agg. numerale, cardinale, acc. plur. m., indecl., cinque; attributo del sostantivo sottinteso
–DJ@LH. Il vocabolo ricorre 38 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 12
volte in Matteo (corrispondente allo 0,065% del totale delle parole); 3 volte in Marco (cf. Mc
6,38.41; 8,19 = 0,027%); 9 volte in Luca (0,046%); 5 volte in Giovanni (0,032%).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
*b@: agg. numerale, cardinale, acc. plur. m. da *b@ (gen. *b@, dat. *LF\<, acc. *b@), due; cf.
Mc 6,7; attributo di ÆPhb"H.
ÆPhb"H: sost., acc. plur. m. da ÆPhbH, –b@H, pesce; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 20 volte
nel NT: Mt 7,10; 14,17.19; 15,36; 17,27; Mc 6,38.41[x2].43; Lc 5,6.9; 9,13.16; 11,11[x2];
24,42; Gv 21,6.8.11; 1Cor 15,39. Probabilmente si tratta non del pesce fresco, ma di quello
essiccato, come si deduce dal passo parallelo di Gv 6,9 che impiega il termine ÏRVD4@<,
usato nel greco classico per indicare una pietanza a base di pesce (cf. Aristofane, Frag., 45;
Platone il Comico, Frag., 95,2).

6,39 i" ¦BXJ">g< "ÛJ@ÃH •<"i8Ã<"4 BV<J"H FL:B`F4" FL:B`F4" ¦B Jè P8TDè
P`DJå.
6,39 Allora ordinò loro che tutti si mettessero a sedere a gruppi, sull’erba verde.

i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
Mc 6,40 465

3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.


21.26a. 35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.
50.53a.65a.72b; 15,2.
¦BXJ">g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦B4JVFFT (da ¦B\ e JVFFT), comandare,
ordinare, imporre, incaricare; cf. Mc 1,27.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
•<"i8Ã<"4: verbo, inf. aor. da •<"i8\<T (da •<V e i8\<T), appoggiarsi, posare, sedere, far
sdraiare. Questo verbo ricorre 6 volte nel NT: Mt 8,11; 14,18; Mc 6,39 (hapax marciano);
Lc 2,7; 12,37; 13,29. Il verbo, di formazione ellenistica, fa riferimento al particolare modo
di consumare i pasti nel mondo greco e orientale che prevedeva di stendersi o adagiarsi su
di un fianco. Tale usanza è espressa in Marco con i verbi i"JVig4:"4 (cf. Mc 2,15),
FL<"<Vig4:"4 (cf. Mc 2,15; 6,22), •<Vig4:"4 (cf. Mc 6,26; 14,18; 16,14), •<"i8Ã<"4
(cf. Mc 6,39), •<"B\BJT (cf. Mc 6,40; 8,6). Qui il verbo indica il generico «mettersi seduti»
(cf. Ateneo Sofista, Deipn., 5,24,15), poiché alcuni verbi tecnici che in origine erano riferiti
al particolare modo di giacere a mensa, come •<"i8\<T, con il tempo si erano generalizza-
ti, perdendo il loro significato precipuo.
BV<J"H: pron. indefinito, acc. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; soggetto della proposizione oggettiva costruita con il verbo infinito •<"i8Ã<"4.
FL:B`F4": sost., acc. plur. n. da FL:B`F4@<, –@L, banchetto, simposio, gruppo di commensali.
Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mc 6,39[x2]. Nella grecità il sostantivo FL:B`F4@<
indica il «banchetto» come riunione di convitati (cf. Erodoto, Hist., 2,78,1; Senofonte, Cyr.,
8,8,10; Platone, Resp., 363c).
FL:B`F4": sost., acc. plur. n. da FL:B`F4@<, –@L, banchetto, simposio, gruppo di commensali;
cf. Mc 6,39a; compl. distributivo. L’espressione FL:B`F4" FL:B`F4", con il raddoppia-
mento del sostantivo, è dovuto a influsso semitico: ha il significato avverbiale corrispondente
alla locuzione italiana «in gruppi», «a schiere». Analogo fenomeno ritroviamo in Mc 6,7.40.
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, su, verso, a, sopra, presso; cf.
Mc 1,22.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
P8TDè: agg. qualificativo, dat. sing. m. da P8TD`H, –V, –`<, verde; attributo di P`DJå. Il
vocabolo ricorre 4 volte nel NT: Mc 6,39 (hapax marciano); Ap 6,8; 8,7; 9,4. L’aggettivo
P8TD`H è impiegato nella grecità nel significato proprio di «verde» o «verdastro», riferito
in particolare alla vegetazione (cf. Omero, Od., 16,47; Sofocle, Antig., 1132).
P`DJå: sost., dat. sing. m. da P`DJ@H, –@L, erba, fieno, raccolto; cf. Mc 4,28; compl. di stato
in luogo.

6,40 i" •<XBgF"< BD"F4" BD"F4" i"J ©i"JÎ< i" i"J Bg<JZi@<J".
6,40 E tutti sedettero in gruppi di cento e di cinquanta.
466 Mc 6,41

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•<XBgF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •<"B\BJT (da •<V e B\BJT), sdraiarsi,
distendersi, sedere a mensa. Questo verbo ricorre 12 volte nel NT: Mt 15,35; Mc 6,40; 8,6;
Lc 11,37; 14,10; 17,7; 22,14; Gv 6,10[x2]; 13,2.25; 21,20. Verbo descrittivo, analogo, quanto
al significato, a •<Vig4:"4, «sdraiarsi a tavola», «disporsi per mangiare» (cf. Mc 6,26).
BD"F4"\: sost., nom. plur. f. da BD"F4V, –H, aiola, divisione, fila. Il vocabolo ricorre 2 volte
nel NT: Mc 6,40[x2]. A partire da Omero il sostantivo indica in senso letterale proprio
l’«aiuola», ossia lo spazio fiorito (cf. Omero, Od., 7,127). Per quanto riguarda l’uso traslato
avverbiale vedi sotto.
BD"F4"\: sost., nom. plur. f. da BD"F4V, –H, aiola, divisione, fila; cf. Mc 6,40a; compl.
predicativo del soggetto. L’espressione BD"F4"Â BD"F4"\, con il raddoppiamento del
sostantivo, è dovuta a influsso semitico: ha il significato avverbiale corrispondente alla
locuzione italiana «in gruppi», «in ordine». Analogo fenomeno ritroviamo in Mc 6,7.39.
i"JV: prep. propria con valore di approssimazione, seguita dall’accusativo, indecl., circa,
pressappoco, quasi; cf. Mc 1,27.
©i"J`<: agg. numerale, cardinale, acc. plur. m., indecl., cento; compl. distributivo; cf. Mc 4,8.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
i"JV: prep. propria con valore di approssimazione, seguita dall’accusativo, indecl., circa,
pressappoco, quasi; cf. Mc 1,27.
Bg<JZi@<J": agg. numerale, cardinale, acc. plur. m., indecl., cinquanta; compl. distributivo. Il
vocabolo ricorre 7 volte nel NT: Mc 6,40 (hapax marciano); Lc 7,41; 9,14; 16,6; Gv 8,57;
21,11; At 13,20.

6,41 i" 8"$ã< J@×H BX<Jg –DJ@LH i" J@×H *b@ ÆPhb"H •<"$8XR"H gÆH JÎ<
@ÛD"<Î< gÛ8`(0Fg< i" i"JXi8"Fg< J@×H –DJ@LH i" ¦*\*@L J@ÃH :"h0J"ÃH
["ÛJ@Ø] Ë<" B"D"J4häF4< "ÛJ@ÃHs i" J@×H *b@ ÆPhb"H ¦:XD4Fg< BF4<.
6,41 Allora egli prese i cinque pani e i due pesci, levò gli occhi al cielo, pronunziò la
benedizione, spezzò i pani e man mano li consegnava ai discepoli perché li distribuisse-
ro a essi; divise anche i due pesci per tutti.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


8"$f<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da 8":$V<T, prendere, afferrare, raccogliere, ricevere;
cf. Mc 4,16. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
BX<Jg: agg. numerale, cardinale, acc. plur. m., indecl., cinque; cf. Mc 6,38; attributo di –DJ@LH.
–DJ@LH: sost., acc. plur. m. da –DJ@H, –@L, pane; cf. Mc 2,26; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
Mc 6,41 467

*b@: agg. numerale, cardinale, acc. plur. m. da *b@ (gen. *b@, dat. *LF\<, acc. *b@), due; cf.
Mc 6,7; attributo di ÆPhb"H.
ÆPhb"H: sost., acc. plur. m. da ÆPhbH, –b@H, pesce; cf. Mc 6,38; compl. oggetto.
•<"$8XR"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da •<"$8XBT (da •<V e $8XBT), guardare in
su, sollevare lo sguardo, alzare gli occhi. Questo verbo ricorre 25 volte nel NT: Mt 11,5;
14,19; 20,34; Mc 6,41; 7,34; 8,24; 10,51.52; 16,4; Lc 7,22; 9,16; 18,41.42.43; 19,5; 21,1; Gv
9,11.15.18[x2]; At 9,12.17.18; 22,13[x2]. Participio predicativo del soggetto sottinteso
z30F@ØH. Nell’uso classico il verbo •<"$8XBT assume tre significati fondamentali: a)
«guardare in alto», «alzare gli occhi» (cf. Aristofane, Pl., 676; Platone, Resp., 515c); b)
«vedere di nuovo», «recuperare la vista» (cf. Erodoto, Hist., 2,111,2; Platone, Phaedr.,
243b); c) «aprire gli occhi» (cf. Platone, Resp., 621b; Senofonte, Cyr., 8,3,29). Questi
significati ritroviamo anche nel NT dove il verbo è impiegato nel senso di: a) «guardare in
alto», «levare lo sguardo», in senso fisico (significato letterale: cf. Mc 16,4; Lc 19,5); b)
«guardare in alto» in atteggiamento di preghiera o di richiesta di intercessione (cf. Mc 6,41;
7,34; Gv 11,41); c) «guardare di nuovo», «recuperare la vista», ad esempio nelle guarigioni
dei ciechi (cf. Mc 8,24; 10,51.52; Mt 11,5; 20,34; Lc 7,22; 18,43; Gv 9,11.15.18; At 9,12.17;
22,13). In tale triplice accezione si ritrova nell’AT: a) «guardare in alto», in senso fisico (cf.
Gn 13,14.15; 18,2; 22,4.13); «guardare in alto» nel significato di osservare con attenzione (cf.
Es 14,10; Dt 4,19; Gs 5,13; Gdc 19,17); b) «guardare in alto», in atteggiamento di preghiera
e supplica (cf. Gb 22,26; Gl 1,20); c) «recuperare la vista» (cf. Is 42,18).
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
@ÛD"<`<: sost., acc. sing. m. da @ÛD"<`H, –@Ø, cielo, volta celeste; cf. Mc 1,10; compl. di
moto a luogo.
gÛ8`(0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da gÛ8@(XT (da gÞ e 8`(@H), lodare, celebrare,
benedire. Questo verbo ricorre 41 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
5 volte in Matteo (corrispondente allo 0,027% del totale delle parole); 5 volte in Marco (cf.
Mc 6,41; 8,7; 11,9.10; 14,22 = 0,044%); 13 volte in Luca (0,067%); 1 volta in Giovanni
(0,006%). Il verbo gÛ8@(XT è qui usato nel significato ebraico di «benedire» ringraziando
Dio e non in quello classico equivalente a «parlare bene», «magnificare» (cf. Eschilo, Ag.,
580; Sofocle, Phil., 1314). Questa diversità di significato rispetto alla grecità classica è
mutuata dai LXX, dove gÛ8@(XT, presente circa 400 volte, traduce l’ebraico …9Hv I , ba) rak,
«benedire». Usato in forma assoluta, come qui, il verbo indica la recita della benedizione
della mensa che ogni capofamiglia ebreo recitava prima di spezzare il pane e dare avvio alla
consumazione dei pasti (cf. anche Mc 8,6 dove troviamo gÛP"D4FJXT con lo stesso
significato). Tale rendimento di grazie era considerato un dovere imprescindibile: era
rigorosamente prescritto di non mangiare nulla senza aver prima pronunciato la benedizione
rituale (cf. t.Ber., 4,1; y.Ber., 10a). La formula di benedizione o di lode a Dio riportata nei
testi rabbinici prima della consumazione dei pasti è la seguente: «Benedetto sii tu, o Signore,
nostro Dio, re del mondo, che produci il pane dalla terra» (b.Ber., 35a; cf. Strack–Bill.,
I,685).
468 Mc 6,41

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


i"JXi8"Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da i"J"i8VT (da i"JV e i8VT), rompere,
frantumare, spezzare, dividere. Questo verbo ricorre 2 volte nel NT: Mc 6,41 (hapax
marciano); Lc 9,16. Nell’uso classico questo verbo, forma intensiva del più comune i8VT,
assume il significato proprio di «spezzare» con gesto deciso (cf. Omero, Il., 20,227; Erodoto,
Hist., 9,62,2).
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
–DJ@LH: sost., acc. plur. m. da –DJ@H, –@L, pane; cf. Mc 2,26; compl. oggetto. Il pane
costituiva l’alimento principale del pasto ebraico. È per questo che nella Bibbia l’abbondanza
del pane è segno della benedizione da parte di Dio (cf. Sal 132,15) e la mancanza segno di
maledizione e castigo (cf. Ger 5,17; Ez 4,16; Lam 1,11; 2,12; Am 4,6).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦*\*@L: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26. Imperfetto durativo o
iterativo: non si tratta di una azione puntuale («li diede»), ma ripetuta e protratta («li dava»):
«cum omni probabilitate concludere licet hagiographum innuere multiplicationem factam esse
in manibus Domini distribuentis discipulis iterum et iterum ad ipsum redeuntibus» (Zerwick
Max, Graec., § 201). La forma verbale transitiva deve essere integrata con l’accusativo
plurale maschile del pronome dimostrativo (= "ÛJ@bH), in funzione di complemento oggetto,
analogamente a quanto avviene in Mc 2,4; 6,13; 8,6[x2]; 14,22[x2]. È probabile che questo
anacoluto sia dovuto a influsso semitico.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
:"h0J"ÃH: sost., dat. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; compl. di termine.
["ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»). Il pronome è presente in P45, nei codici A, D, W, 1, f1, f13, e in molti
codici minuscoli. È assente in !, B, L, ), 0187 e molti altri codici minuscoli. Da un punto
di vista di critica interna la lezione con "ÛJ@Ø sarebbe originaria, poiché Marco parla di
preferenza de «i suoi» discepoli e non del generico «i discepoli». Il peso dei codici più antichi
e importanti, tuttavia, suggerisce di ritenere come originale la variante senza "ÛJ@Ø.].
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
B"D"J4häF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. pres. da B"D"J\h0:4 (da B"DV e J\h0:4),
mettere davanti, presentare, dare, offrire. Questo verbo ricorre 19 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 13,24.31; Mc 6,41; 8,6[x2].7; Lc 9,16; 10,8; 11,6;
12,48; 23,46. A partire da Omero il verbo B"D"J\h0:4 è usato nel senso letterale proprio
di «porre presso», «mettere vicino» (cf. Omero, Od., 21,177, tmesi); per estensione il verbo
assume i significati di «presentare», «offrire» (cf. Omero, Il., 11,779) e quello di «servire» cibi
o bevande (cf. Omero, Il., 23,810; Od., 1,192).
Mc 6,42–43 469

"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
*b@: agg. numerale, cardinale, acc. plur. m. da *b@ (gen. *b@, dat. *LF\<, acc. *b@), due; cf.
Mc 6,7; attributo di ÆPhb"H.
ÆPhb"H: sost., acc. plur. m. da ÆPhbH, –b@H, pesce; cf. Mc 6,38; compl. oggetto.
¦:XD4Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da :gD\.T, dividere, separare, tagliare; cf. Mc 3,24.
BF4<: pron. indefinito, dat. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; compl. di termine. Si tratta di un dativus commodi, analogamente a Mc 6,11.

6,42 i"Â §n"(@< BV<JgH i"Â ¦P@DJVFh0F"<s


6,42 Tutti mangiarono e si saziarono,

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§n"(@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da ¦Fh\T, mangiare, prendere cibo, consumare,
divorare; cf. Mc 1,6.
BV<JgH: pron. indefinito, nom. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦P@DJVFh0F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. pass. da P@DJV.T, ingrassare, riempire, saziare.
Questo verbo ricorre 16 volte nel NT: Mt 5,6; 14,20; 15,33.37; Mc 6,42; 7,27; 8,4.8; Lc 6,21;
9,17; 15,16; 16,21; Gv 6,26; Fil 4,12; Gc 2,16; Ap 19,21. Propriamente P@DJV.T (da
P`DJ@H, «erba», «fieno») significa «foraggiare», detto degli animali (cf. Aristofane, Pax,
139). Nell’evoluzione semantica successiva il verbo è passato a indicare il generico «nutrire»,
«saziare», «prendere cibo», applicato anche agli uomini (cf. Platone, Resp., 372d; Sal 37,19;
81,17; 107,9; 132,15; Ger 5,7, LXX).

6,43 i" µD"< i8VF:"J" *f*gi" i@n\<T< B80Df:"J" i" •BÎ Jä< ÆPhbT<.
6,43 e portarono via dodici ceste di pezzi avanzati e anche dei pesci.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


µD"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da "ÇDT, alzare, sollevare, sostenere, sorreggere, portare,
prendere; cf. Mc 2,3.
i8VF:"J": sost., acc. plur. n. da i8VF:", –J@H, frammento, pezzo, resto; compl. oggetto. Il
vocabolo ricorre 9 volte nel NT: Mt 14,20; 15,37; Mc 6,43; 8,8.19.20; Lc 9,17; Gv 6,12.13.
Il termine appartiene al greco tardivo (cf. Plutarco, Tib. Gracch., 19,1,4): non indica le
«briciole», ma gli «avanzi», ossia i pezzi di pane avanzati.
470 Mc 6,44

*f*gi": agg. numerale, cardinale, gen. plur. m., indecl., dodici; cf. Mc 3,14; attributo di
i@n\<T<.
i@n\<T<: sost., gen. plur. m. da i`n4<@H, –@L, cesto, canestro, vimine; compl. di specificazio-
ne. Il vocabolo ricorre 6 volte nel NT: Mt 14,20; 16,9; Mc 6,43; 8,19; Lc 9,17; Gv 6,13.
Traslitterazione grecizzata della parola latina cophinus. Giovenale riferisce che questo tipo
di ceste era caratteristico delle classi più povere dei Giudei che vivevano a Roma: «…nunc
sacri fontis nemus et delubra locantur Iudaeis, quorum cophinus fenumque supellex», «…ora
il tempio e il bosco della sacra fonte si affittano ai Giudei, i cui unici beni sono un cesto e
un po’ di fieno» (Id., Sat., 3,14; 6,542; altri riferimenti in Columella, De re rust., 11,3,51).
B80Df:"J": sost., acc. plur. n. da B8ZDT:", –J@H, riempimento, completezza, pienezza; cf.
Mc 2,21; apposizione di i8VF:"J"; alla lettera l’espressione è ostica, ma comprensibile:
«…raccolsero pezzi, riempimenti di dodici ceste», ossia «…raccolsero dodici ceste di pezzi
avanzati». Analoga costruzione in Mc 8,8.
i"\: cong. coordinativa di valore aggiuntivo, indecl., anche, perfino, inoltre, altresì; cf. Mc 1,4.
Il significato aggiuntivo di i"\ è presente in Mc 1,27b.38b; 2,15b.26c.28; 3,19b; 4,24b;
6,34b; 7,18b; 8,3b.7ac.38c; 9,22a; 11,25b; 12,22b; 13,29; 14,9.29.31; 15,31.40ab.43a.
•B`: prep. propria di valore partitivo, seguita dal genitivo, indecl., di; cf. Mc 1,9.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
ÆPhbT<: sost., gen. plur. m. da ÆPhbH, –b@H, pesce; cf. Mc 6,38; compl. partitivo. L’espressione
•BÎ Jä< ÆPhbT< può essere considerata una locuzione preposizionale partitiva, con •B`
al posto del semplice genitivo.

6,44 i" µF"< @Ê n"(`<JgH [J@×H –DJ@LH] Bg<J"i4FP\84@4 –<*DgH.


6,44 Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


µF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf.
Mc 1,6. La formula i"Â µF"< / i"Â µ<, analogamente a µF"< (VD / µ< (VD e a µF"<
*X / µ< *X, è usata da Marco per introdurre un inciso di valore causale o esplicativo (cf. Mc
1,16.33; 2,15; 5,42; 6,31.44.48; 7,26; 8,9; 10,22; 11,13; 14,40; 15,25; 16,14).
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
n"(`<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor., di valore sostantivato, da ¦Fh\T, mangiare,
prendere cibo, consumare, divorare; cf. Mc 1,6; soggetto.
[J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.].
[–DJ@LH: sost., acc. plur. m. da –DJ@H, –@L, pane; cf. Mc 2,26; compl. oggetto. La frase J@×H
–DJ@LH è presente nei codici A, B, L, ), 13, 33, 157, 180, 579, 597, 828, 892, 1006, 1010,
1071, 1241, 1424, 1505, 2427. È assente, invece, in P45, nei codici !, D, W, 1, f1, f13, e in
altri codici minuscoli. La tradizione testuale è sostanzialmente divisa per l’una o l’altra
lettura; si deve notare, tuttavia, che alcuni codici, solitamente a favore della lettura lunga (D,
W), presentano qui quella breve: è dunque probabile che qualche copista sia stato tentato di
Mc 6,45 471

omettere il riferimento ai pani, piuttosto che aggiungerlo. L’espressione @Ê n"(`<JgH J@×H


–DJ@LH è un semitismo; equivale a «prendere cibo» o semplicemente «mangiare» (cf. Gn
3,19; 37,25; Es 2,20; 1Sam 20,34; 2Sam 9,7; Ger 41,1; 48,1; 52,33; Lc 14,1). Ritroviamo
questo fenomeno in Mc 3,20; 6,44; 7,2.5.].
Bg<J"i4FP\84@4: agg. numerale, cardinale, nom. plur. m. da Bg<J"i4FP\84@4, –"4, –" (da
Bg<JVi4H e P\84@4), cinquemila; attributo di –<*DgH. Il vocabolo ricorre 6 volte nel NT:
Mt 14,21; 16,9; Mc 6,44; 8,19; Lc 9,14; Gv 6,10. Per quanto riguarda il valore dei numeri
presenti nella nostra scena sono state avanzate fantasiose ipotesi simboliche: i 5 pani e le
5000 (= 5 x 1000) persone, richiamerebbero i 5 libri di Mosè (il Pentateuco); il numero 2 dei
pesci alluderebbe alle altre due sezioni della Sacra Scrittura, ossia «Profeti» e «Scritti»; il
numero 12 relativo alle ceste indicherebbe le 12 tribù di Israele. Stesse suggestioni per
quanto riguarda la seconda moltiplicazione (cf. Mc 8,5–8): qui il numero 7 dei pani
richiamerebbe i 7 diaconi (cf. At 6,3) oppure i 7 comandamenti dell’alleanza con Noè (cf.
Gn 9,4–7) oppure, a seconda dei gusti, le 7 chiese dell’Apocalisse (cf. Ap 2–3) o le 7
nazioni pagane di Canaan (cf. At 13,19; Dt 7,1). Con altrettanto spirito creativo le 7 sporte
con gli avanzi del pane farebbero riferimento ai 70 (= 7 x 10) popoli della terra (Gn 10); il
numero 4000 (= 4 x 1000) indicherebbe i quattro punti cardinali, ossia la totalità dell’univer-
so abitato. Nessuno, però, è capace di spiegare a che cosa corrisponda il generico riferimento
ÆPhb*4" Ï8\(", «alcuni pesciolini»! Queste ipotesi sono soltanto sterili elucubrazioni, in
quanto spostano l’attenzione verso elementi marginali e difficili da dimostrare, poiché
soltanto poche volte nella Bibbia ai numeri è associato un reale simbolismo.
–<*DgH: sost., nom. plur. m. da •<ZD, •<*D`H, uomo, maschio; cf. Mc 6,20; predicato
nominale. Si parla qui di 5000 «maschi» perché secondo un costume dell’antichità anche
extra–biblica il calcolo dei membri che formavano un gruppo veniva fatto considerando la
componente ritenuta di maggior valore, ossia gli uomini. Se questo dato è sostanzialmente
storico dobbiamo dedurre che le persone presenti, comprendenti donne e bambini, fossero
molto più numerose, come esplicitamente riferisce Mt 14,21.

6,45 5" gÛh×H ²<V(i"Fg< J@×H :"h0JH "ÛJ@Ø ¦:$­<"4 gÆH JÎ B8@Ã@< i"Â
BD@V(g4< gÆH JÎ BXD"< BDÎH #0hF"^*V<s ªTH "ÛJÎH •B@8bg4 JÎ< ÐP8@<.
6,45 E subito obbligò i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva,
verso Betsaida, mentre egli avrebbe rimandato a casa la folla.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
²<V(i"Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •<"(iV.T, costringere, obbligare. Questo verbo
ricorre 9 volte nel NT: Mt 14,22; Mc 6,45 (hapax marciano); Lc 14,23; At 26,11; 28,19;
2Cor 12,11; Gal 2,3.14; 6,12. In conformità alla sua etimologia questo verbo (dalla radice
•<"(i– di •<V(i0, «necessità», «costrizione» e suffisso verbale –V.T a indicare una
attività) significa «forzare» qualcuno a qualcosa, «costringere», ecc. (cf. Erodoto, Hist.,
472 Mc 6,45

1,11,4; Sofocle, Elect., 256), secondo una gradazione che può andare dalla pressione
amichevole (cf. Lc 14,23), fino alla coercizione violenta (cf. At 26,11).
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
:"h0JVH: sost., acc. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; compl. oggetto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
¦:$­<"4: verbo, inf. aor. da ¦:$"\<T (da ¦< e la radice di $VF4H), entrare, salire; cf. Mc 4,1.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
B8@Ã@<: sost., acc. sing. n. da B8@Ã@<, –@L, barca; cf. Mc 1,19; compl. di moto a luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BD@V(g4<: verbo, inf. pres. da BD@V(T (da BD` e V(T), andare avanti, precedere, procedere.
Questo verbo ricorre 20 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 2,9;
14,22; 21,9.31; 26,32; 28,7; Mc 6,45; 10,32; 11,9; 14,28; 16,7; Lc 18,39. Nella grecità
classica e biblica il verbo esprime un precedere sia in senso temporale («venire prima»:
Senofonte, Oecon., 11,15) sia in senso locale e spaziale («andare avanti»: Platone, Leg.,
719a; Giuseppe Flavio, Bellum, 3,116; 6,59).
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
BXD"<: avv. di luogo, di valore sostantivato, acc. sing. n., indecl., la riva opposta, l’altra sponda;
cf. Mc 3,8; compl. di moto a luogo. Gli avverbi sostantivati sono locuzioni ellittiche in cui
viene sottinteso un sostantivo che cede il proprio articolo all’avverbio; tale sostantivo viene
facilmente ricavato dal contesto. L’espressione gÆH JÎ BXD"<, tipica di Marco, indica la parte
della costa dirimpetto a chi parla o viene menzionato (cf. Mc 4,35; 5,1.21; 6,45; 8,13).
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
#0hF"^*V<: sost., nome proprio di città, acc. sing. f. da #0hF"^*V, –*V, Betsaida; compl. di
moto a luogo. Il vocabolo ricorre 7 volte nel NT: Mt 11,21; Mc 6,45; 8,22; Lc 9,10; 10,13;
Gv 1,44; 12,21. Traslitterazione grecizzata del toponimo di origine aramaica %$ I *A7H ;*vF, Bê5t
sEayd5a) h, «Casa della pesca», un villaggio posto sulla riva nord orientale del lago di Genezaret,
proprio all’imboccatura del fiume Giordano nel lago (cf. Giuseppe Flavio, Antiq., 18,28).
Nella letteratura antica questa cittadina è menzionata come Bethsaida Iulias o semplicemente
Iulias, poiché, come riferisce Giuseppe Flavio, la città fu fondata dal tetrarca Filippo, il quale
la denominò z3@L84VH in onore di Giulia, madre dell’imperatore Tiberio (cf. Giuseppe
Flavio, Bellum, 2,168). Plinio il Vecchio menziona «Iulias» tra le città che circondano il lago
Mc 6,46 473

di Genezaret: «…amoenis circumsaeptum oppidis, ab oriente Iuliade et Hippo», «…è


circondato da ridenti cittadine, come Iulias e Hippo a oriente» (Id., Nat. hist., 5,71). Claudio
Tolomeo la elenca al terzo posto tra le quattro città della Galilea: '"848"\"H· E"Bn@LDgÃ
´ E"Bn@LD\Hs 5"B"Di@J<gà ´ 5"B"D<"@b:s z3@L84VHs I4$gD4H [8\:<0], «Città
della Galilea: Sapphourei, ossia Sapphouris [= Sefforis], Kaparkotni, ossia Kaparnaum [=
Cafarnao], Iulias e Tiberiade sul lago» (Id., Geogr., 5,16,4).
ªTH: cong. subordinativa di valore temporale, indecl., finché, fintanto, fino a, per tutto il tempo
che; cf. Mc 6,10.
"ÛJ`H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., nom. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,8; soggetto.
•B@8bg4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da •B@8bT (da •B` e 8bT), liberare, lasciare,
congedare, mandare via, licenziare; cf. Mc 6,36. L’uso di un indicativo dopo la congiunzio-
ne ªTH è regolare nel greco biblico: cf. ªTH §DP@:"4 (Gv 21,22; 1Tm 4,13).
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ÐP8@<: sost., acc. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; compl. oggetto.

6,46 i" •B@J">V:g<@H "ÛJ@ÃH •B­8hg< gÆH JÎ ÐD@H BD@Fgb>"Fh"4.


6,46 Dopo essersi separato da loro salì sul monte a pregare.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•B@J">V:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. aor. medio da •B@JVFFT (da •B` e JVFFT),
separarsi, ritirarsi, congedarsi. Questo verbo semideponente ricorre 6 volte nel NT: Mc 6,46
(hapax marciano); Lc 9,61; 14,33; At 18,18.21; 2Cor 2,13. Participio predicativo del
soggetto sottinteso z30F@ØH.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
•B­8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •BXDP@:"4 (da •B` e §DP@:"4), andare via,
partire; cf. Mc 1,20.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
ÐD@H: sost., acc. sing. n. da ÐD@H, –@LH, montagna, monte; cf. Mc 3,13; compl. di moto a luogo.
Nell’uso di Marco il termine «monte» quando è riferito a Gesù ha un significato più
teologico che orografico: è un luogo sottratto alla vista del popolo dove si rivela la presenza
e la vicinanza di Dio; abbiamo così il monte della scelta dei Dodici (cf. Mc 3,13), il monte
della preghiera solitaria (cf. Mc 6,46), il monte della Trasfigurazione (cf. Mc 9,2.9), il monte
del discorso apocalittico (cf. Mc 13,3), il Monte degli Ulivi (cf. Mc 14,26).
BD@Fgb>"Fh"4: verbo, inf. aor. medio da BD@FgbP@:"4 (da BD`H e gÜP@:"4), offrire
preghiere, pregare; cf. Mc 1,35. Infinito di valore finale. È la seconda volta che Marco
accenna esplicitamente alla preghiera solitaria di Gesù (cf. Mc 1,35; 14,22.32.35).
474 Mc 6,47–48

6,47 i"Â ÏR\"H (g<@:X<0H µ< JÎ B8@Ã@< ¦< :XFå J­H h"8VFF0Hs i"Â "ÛJÎH :`<@H
¦BÂ J­H (­H.
6,47 Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli, solo, a terra.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


ÏR\"H: sost., gen. sing. f. da ÏR\", –"H (da ÏRX), sera, vespero, serata; cf. Mc 1,32.
(g<@:X<0H: verbo, gen. sing. f. part. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4. Participio al genitivo assoluto. La frase
ÏR\"H (g<@:X<0H appare nella forma detta “genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con
valore temporale.
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Predicato verbale.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
B8@Ã@<: sost., nom. sing. n. da B8@Ã@<, –@L, barca; cf. Mc 1,19; soggetto.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
:XFå: sost., dat. sing. n. da :XF@H, –@L, medio, mezzo; cf. Mc 3,3; compl. di stato in luogo. La
locuzione avverbiale ¦< :XFå, «in mezzo» (cf. Mc 6,47; 9,36) corrisponde alle analoghe
formule gÆH JÎ :XF@< (cf. Mc 3,3) e gÆH :XF@< (cf. Mc 14,60).
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
h"8VFF0H: sost., gen. sing. f. da hV8"FF", –0H, mare; cf. Mc 1,16; compl. di specificazione.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
"ÛJ`H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., nom. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,8; soggetto. Il predicato verbale µ< è sottinteso.
:`<@H: agg. qualificativo, nom. sing. m. da :`<@H, –0, –@<, solo, unico; cf. Mc 4,10; attributo
di "ÛJ`H. Il predicato verbale µ< è sottinteso.
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., in, su, a, davanti a, verso, sopra,
presso; cf. Mc 1,22.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
(­H: sost., gen. sing. f. da (­, (­H, terra; cf. Mc 2,10; compl. di stato in luogo.

6,48 i" Æ*ã< "ÛJ@×H $"F"<4.@:X<@LH ¦< Jè ¦8"b<g4<s µ< (D Ò –<g:@H ¦<"<J\@H
"ÛJ@ÃHs BgDÂ JgJVDJ0< nL8"i¬< J­H <LiJÎH §DPgJ"4 BDÎH "ÛJ@×H BgD4B"-
Jä< ¦BÂ J­H h"8VFF0H· i"Â ³hg8g< B"Dg8hgÃ< "ÛJ@bH.
6,48 Vedendoli affaticati nel remare, poiché avevano il vento contrario, sul finire della notte
andò verso di loro camminando sul mare, con l’intenzione di raggiungerli.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Mc 6,48 475

Æ*f<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc 1,10.
Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH. Marco usa spesso il participio con un
significato temporale (cf. Mc 2,5.16; 5,6.22; 6,48.49; 7,2; 8,33; 9,20.25; 10,14; 12,34;
14,67.69; 15,39).
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
$"F"<4.@:X<@LH: verbo, acc. plur. m. part. pres. pass. da $"F"<\.T, provare, saggiare,
opprimere, tormentare, torturare; cf. Mc 5,7. Participio predicativo del complemento
oggetto "ÛJ@bH. Nel NT il verbo indica non soltanto sofferenza fisica, ma anche morale,
causata dalla prova. Esso esprime un senso di oppressione e tormento, provocati da avversità
come la malattia (cf. Mt 6,8), il demonio (cf. Mt 8,29; Mc 5,7; Lc 8,28) o situazioni
atmosferiche (cf. Mt 14,24; Mc 6,48).
¦<: prep. propria di valore temporale, seguita dal dativo, indecl., in, durante, mentre; cf. Mc 1,2.
Jè: art. determ., dat. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
¦8"b<g4<: verbo, inf. pres. da ¦8"b<T, spingere avanti, sospingere, remare. Questo verbo
ricorre 5 volte nel NT: Mc 6,48 (hapax marciano); Lc 8,29; Gv 6,19; Gc 3,4; 2Pt 2,17.
L’infinito sostantivato è retto dalla preposizione ¦< con valore temporale. Nell’uso classico
il verbo ¦8"b<T esprime l’idea di un moto a luogo, equivalente a un generico «spingere
avanti» (cf. Omero, Il., 2,764; Od., 12,109; Erodoto, Hist., 1,59,4).
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Predicato verbale.
(VD: cong. coordinativa di valore causale, indecl., poiché, perché, giacché; cf. Mc 1,16. La
formula µF"< (VD / µ< (VD, analogamente a µF"< *X / µ< *X e a i"Â µF"< / i"Â µ<,
è usata da Marco per introdurre un inciso di valore causale o esplicativo (cf. Mc 1,16.33;
2,15; 5,42; 6,31.44.48; 7,26; 8,9; 10,22; 11,13; 14,40; 15,25; 16,14).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
–<g:@H: sost., nom. sing. m. da –<g:@H, –@L, vento; cf. Mc 4,37; soggetto.
¦<"<J\@H: agg. qualificativo, nom. sing. m. da ¦<"<J\@H, –", –@<, opposto, contrario, ostile;
attributo di –<g:@H, qui senza articolo perché in posizione predicativa. Il vocabolo ricorre
8 volte nel NT: Mt 14,24; Mc 6,48; 15,39; At 26,9; 27,4; 28,17; 1Ts 2,15; Tt 2,8. Il
significato primo dell’aggettivo ¦<"<J\@H è quello spaziale corrispondente a «dirimpetto»,
«di fronte» (cf. Omero, Il., 9,190; Od., 6,329). Per estensione il termine assume anche il
significato negativo di «opposto», «contrario», «ostile» (cf. Omero, Il., 5,12; Euripide, Suppl.,
856; Senofonte, Anab., 3,2,10). I venti contrari erano particolarmente temuti nella
navigazione degli antichi poiché rappresentavano la principale causa di naufragio delle
imbarcazioni.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
BgD\: prep. propria di valore temporale, seguita dall’accusativo, indecl., intorno, attorno, circa,
verso; cf. Mc 1,6.
476 Mc 6,48

JgJVDJ0<: agg. numerale, ordinale, acc. sing. f. da JXJ"DJ@H, –0, –@<, quarto; attributo di
nL8"iZ<. Il vocabolo ricorre 10 volte nel NT: Mt 14,25; Mc 6,48 (hapax marciano); At
10,30; Ap 4,7; 6,7[x2].8; 8,12; 16,8; 21,19.
nL8"iZ<: sost., acc. sing. f. da nL8"iZ, –­H, custodia, prigione, guardia, turno di guardia
[notturna]; cf. Mc 6,17; compl. di tempo determinato. Il vocabolo va qui inteso non nel
significato locale, ma in quello temporale di «turno di guardia», corrispondente al latino
vigilia. L’usanza di contare le «veglie» della notte era di origine militare, ma venne ben
presto impiegata anche nella vita civile. Il «quarto turno di guardia» della notte andava dalle
ore 3 alle 6 del nostro computo. Nel mondo romano ed ellenistico la notte era divisa in
quattro turni (= vigiliae) di tre ore ciascuno: il primo turno (= prima vigilia) andava dalle sei
alle nove della sera; il secondo turno (= secunda vigilia) dalle nove a mezzanotte; il terzo
turno (= terza vigilia) da mezzanotte alle tre del mattino; il quarto turno (= quarta vigilia)
dalle tre alle sei del mattino. L’indicazione marciana «attorno al quarto turno di guardia»
equivale, quindi, all’espressione italiana «sul finire della notte». Per quanto riguarda
l’esplicitazione di queste particolari indicazione delle ore (cf. anche Mc 15,25) non è
possibile una traduzione alla lettera, poiché i due sistemi di computare il trascorrere del
tempo — quello greco e romano accettato anche nell’area del Vicino oriente e quello
moderno — sono completamente diversi.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
<LiJ`H: sost., gen. sing. f. da <b>, <LiJ`H, notte; cf. Mc 4,27; compl. di specificazione.
§DPgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Presente storico.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di moto a luogo.
BgD4B"Jä<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da BgD4B"JXT (da BgD\ e B"JXT), camminare,
passeggiare, deambulare; cf. Mc 2,9. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH.
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., in, su, a, davanti a, verso, sopra,
presso; cf. Mc 1,22.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
h"8VFF0H: sost., gen. sing. f. da hV8"FF", –0H, mare; cf. Mc 1,16; compl. di stato in luogo.
Sebbene ¦B\ seguito dal genitivo possa significare nel greco sia classico che biblico «in
prossimità», «vicino» (cf. Es 14,2; Gv 21,1; At 5,23), la traduzione «andò verso di loro
camminando lungo il bordo del mare» (ossia lungo la spiaggia) non è sostenibile, poiché più
avanti si specifica che Gesù «salì sulla barca con loro» (v. 51). La preposizione ha qui il
valore di «sopra», analogamente all’¦BÂ J­H (­H (= «per terra») del v. 47.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
³hg8g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da hX8T, volere, avere il proposito di; cf. Mc 1,40.
Imperfetto di conato («de conatu»): si usa questo imperfetto per indicare una azione
desiderata o tentata, ma non portata a realizzazione; altri esempi in Mc 9,38; 14,51; 15,23.
Mc 6,49 477

Il verbo hX8T ha qui lo stesso significato di :X88T: indica più un desiderio che una
decisione.
B"Dg8hgÃ<: verbo, inf. aor. da B"DXDP@:"4 (da B"DV e §DP@:"4), andare oltre, passare
oltre, superare, precedere. Questo verbo deponente ricorre 29 volte nel NT. La distribuzione
nei vangeli è la seguente: 9 volte in Matteo (corrispondente allo 0,049% del totale delle
parole); 5 volte in Marco (cf. Mc 6,48; 13,30.31[x2]; 14,35 = 0,044%); 9 volte in Luca
(0,046%). Nel greco biblico il verbo B"DXDP@:"4 quando è seguito da un accusativo di
persona assume il significato di «oltrepassare», «passare accanto», «precedere» (cf. Gn 18,3;
Es 23,5; Dt 2,8; 29,15; Gb 9,11; 14,16; Sir 14,14): è difficile, tuttavia, precisare il significato
esatto della frase «…e voleva precederli». Al riguardo vi sono due interpretazioni: a) si tratta
di un «precedere» in senso letterale proprio: Gesù cammina sulle acque e intende raggiungere
la riva opposta, aspettando lì i Dodici; b) per altri si tratta di un «oltrepassare» teologico, da
intendere sulla stregua del «passare accanto» di Dio nell’AT. In alcune teofanie Dio «passa
oltre» perché questo è l’unico modo di manifestare la sua divinità: è impossibile vederlo
senza morire (cf. Gn 18,3; 32,31; Es 33,20–23; Lv 16,2; Gdc 13,21–22; Is 6,5; Gb 9,11). A
nostro avviso il verbo B"DXDP@:"4 presente del nostro versetto non ha il significato di
«oltrepassare», «andare oltre» (cf. Omero, Od., 8,230), ma secondo l’etimologia quello
ordinario di «muovere verso», «andare vicino», «raggiungere» (cf. Lc 12,37; 17,7). Una
conferma di questo significato ritroviamo nell’episodio parallelo narrato da Giovanni, dove
viene riferito che «[i discepoli] videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla
barca» (hgTD@ØF4< JÎ< z30F@Ø< BgD4B"J@Ø<J" ¦BÂ J­H h"8VFF0H i"Â ¦((×H J@Ø
B8@\@L (4<`:g<@<; Gv 6,19). In sintesi: Gesù «ha visto» i discepoli «affaticati nel remare»;
decide quindi di raggiungerli per portare loro soccorso, ma, nel vederlo camminare sulle
acque agitate, i discepoli lo scambiano per un fantasma e gridano per la paura.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.

6,49 @Ê *¥ Æ*`<JgH "ÛJÎ< ¦BÂ J­H h"8VFF0H BgD4B"J@Ø<J" §*@>"< ÓJ4 nV<J"F:V
¦FJ4<s i" •<XiD">"<·
6,49 Essi, però, nel vederlo camminare sul mare, pensarono che fosse un fantasma e
gridarono.

@Ê: art. determ., con valore pronominale, nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5;
soggetto. Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale
"ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
Æ*`<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc
1,10. Participio predicativo del soggetto @Ê. Marco usa spesso il participio con un significato
temporale (cf. Mc 2,5.16; 5,6.22; 6,48.49; 7,2; 8,33; 9,20.25; 10,14; 12,34; 14,67.69; 15,39).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
478 Mc 6,50

¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., in, su, a, davanti a, verso, sopra,
presso; cf. Mc 1,22.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
h"8VFF0H: sost., gen. sing. f. da hV8"FF", –0H, mare; cf. Mc 1,16; compl. di stato in luogo.
BgD4B"J@Ø<J": verbo, acc. sing. m. part. pres. da BgD4B"JXT (da BgD\ e B"JXT),
camminare, passeggiare, deambulare; cf. Mc 2,9. Participio predicativo del complemento
oggetto "ÛJ`<.
§*@>"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da *@iXT, ritenere, supporre, pensare, stimare, credere.
Questo verbo ricorre 62 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 10 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,055% del totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc 6,49;
10,42 = 0,018%); 10 volte in Luca (0,051%); 8 volte in Giovanni (0,051%). Il verbo *@iXT
è usato nella grecità con varie sfumature di significati: da quello originale di «sembrare» (cf.
Eschilo, Sept., 592) derivano quello di «ritenere» in seguito a riflessione (cf. Omero, Il.,
13,735; Od., 5,342) e, quindi, quello di «reputare», «credere» (cf. Omero, Il., 7,192; Euripide,
Or., 259).
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.
nV<J"F:V: sost., nom. sing. n. da nV<J"F:", –@H, apparizione, fantasma; soggetto. Il
vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mt 14,26; Mc 6,49 (hapax marciano). Senza articolo
perché generico. Il mediopassivo del verbo n"<JV.T (= «far apparire», soltanto in Eb
12,21) viene spesso utilizzato nel greco classico nell’accezione di «apparire», detto a
proposito di fenomeni straordinari o soprannaturali, come, ad esempio, un sogno, una
visione o altri avvenimenti terrificanti (cf. Erodoto, Hist., 7,15,2; Apollonio di Rodi, Arg.,
4,1285). A questo significato si ricollega il sostantivo deverbale nV<J"F:" (o nVF:", da
n"\<T), impiegato per indicare una «apparizione» di fantasmi celesti, visioni, spettri o
anime di defunti (cf. Eschilo, Sept., 710; Platone, Phaed., 81d; Luciano, Philop., 29,18;
Giuseppe Flavio, Antiq., 1,331.333; 2,82; 3,62; 5,213.277; 10,272; cf. anche Sap 17,14).
Nell’antichità l’apparizione di uno spettro era ritenuta non soltanto possibile, ma anche di
cattivo presagio (cf. Sap 17,14; Gb 20,8).
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•<XiD">"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •<"iDV.T (da •<V e iDV.T), gridare, alzare
la voce; cf. Mc 1,23.

6,50 BV<JgH (D "ÛJÎ< gÉ*@< i" ¦J"DVPh0F"<. Ò *¥ gÛh×H ¦8V80Fg< :gJz
"ÛJä<s i"Â 8X(g4 "ÛJ@ÃHs 1"DFgÃJgs ¦(f gÆ:4· :¬ n@$gÃFhg.
6,50 Tutti, infatti, lo avevano visto ed erano rimasti spaventati. Ma egli subito parlò loro e
disse: «Coraggio! Sono io! Non abbiate paura!».

BV<JgH: pron. indefinito, nom. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; soggetto. In posizione enfatica.
Mc 6,50 479

(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.


"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
gÉ*@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc 1,10.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦J"DVPh0F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. pass. da J"DVFFT, agitare, turbare, inquietare.
Questo verbo ricorre 17 volte nel NT: Mt 2,3; 14,26; Mc 6,50 (hapax marciano); Lc 1,12;
24,38; Gv 5,7; 11,33; 12,27; 13,21; 14,1.27; At 15,24; 17,8.13; Gal 1,7; 5,10; 1Pt 3,14. Nel
greco classico il verbo J"DVFFT è impiegato nel senso di «sconvolgere» per descrivere una
agitazione fisica (cf. Omero, Od., 5,291; Aristofane, Eq., 867) o in quello traslato di «turbare»
per uno sconvolgimento interiore (cf. Eschilo, Ag., 1216; Euripide, Hip., 969).
Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
¦8V80Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8"8XT, parlare, dire; cf. Mc 1,34.
:gJz: (= :gJV), prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con,
insieme a, in compagnia di; cf. Mc 1,13.
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di compagnia. La costruzione :gJz "ÛJä<
è di stile semitico: corrisponde a un complemento di termine, reso in greco classico con il
semplice dativo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. La formula redazionale 8X(g4
"ÛJ@ÃH ricorre 25 volte, esclusivamente riservata a Gesù (cf. Mc 1,38; 2,8.17.25; 3,4;
4,13.35; 5,39; 6,31.38.50; 7,18; 8,17; 9,35; 10,11.24.42; 11,2.22.33; 12,16; 14,13.27.34.41).
Per quanto riguarda la formula singolare 8X(g4 "ÛJè, avente come soggetto Gesù, cf. Mc
1,41.44; 2,14; 5,9.19; 7,34; per 8X(g4 "ÛJ± cf. Mc 5,41.
1"DFgÃJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da h"DDXT / h"DFXT, confidare, avere fiducia,
avere coraggio. Questo verbo ricorre 13 volte nel NT: 7 volte nella forma h"DFXT (cf. Mt
9,2.22; 14,27; Mc 6,50; 10,49; Gv 16,33; At 23,11); 6 volte nella più comune forma
h"DDXT (cf. 2Cor 5,6.8; 7,16; 10,1.2; Eb 13,6). Nella seconda persona dell’imperativo
presente (hVDDg4 / h"DDgÃJg) il verbo è frequentemente usato come esortazione e
incitamento, corrispondente alle espressioni italiane «Fatti animo!», «Coraggio!», «Sta’
tranquillo!» e simili (cf. Senofonte, Cyr., 5,1,6; Giuseppe Flavio, Antiq., 7,266). La forma
asindetica è piuttosto frequente con gli imperativi dei verbi h"DFXT (cf. Mc 6,50; 10,49),
480 Mc 6,51

ÒDVT (cf. Mc 1,44; 6,38; 8,15), ßBV(T (cf. Mc 1,44; 5,34; 6,38; 7,29; 10,21.52; 16,7),
¦(g\DT (cf. Mc 2,9; 3,3; 5,41; 10,49; 14,42), n4:`T (cf. Mc 4,39), F4TBVT (cf. Mc 4,39),
$8XBT (cf. Mc 13,5.23.33).
¦(f: pron. personale di 1a pers. nom. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc.
¦:X/:g), io, me; cf. Mc 1,8; soggetto.
gÆ:4: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. La formula ¦(f gÆ:4 deve essere intesa, anzitutto, come formula stereotipa di
riconoscimento (= «Sono io!»), mediante la quale Gesù chiarisce la propria identità per
tranquillizzare i discepoli; si tratta di una risposta generica che ritroviamo altrove nella
Bibbia, come risposta generica a una richiesta di identità (cf. 1Sam 9,19; Gv 9,9; 18,5). Tale
uso si riscontra anche nella grecità (cf. Senofonte, Anab., 6,6,21; Hell., 2,3,45). Si deve tener
presente, però, che l’espressione «Io sono» nel suo uso assoluto ha una densità teologica
notevolissima, poiché compare nell’AT come formula stabile delle rivelazioni solenni di Dio
(cf. Es 3,14; Dt 32,39; Is 41,4; 43,10; 45,18; 48,12; 52,6): pronunciata da Gesù si colloca
sulla linea delle rivelazioni anticotestamentarie di Dio e riveste l’intento di manifestare il
mistero che avvolge la sua identità. Nei vangeli la formula ¦(f gÆ:4 come auto definizione
assoluta di Gesù si trova in Mt 14,27; Mc 6,50; 14,62; Lc 22,70; 24,39; Gv 8,24.28.58; 13,19
(cf. anche Gv 4,26; 6,20.35.41.48. 51; 8,12.18; 9,9; 10,7; 11,25; 14,6; 15,1.5; 18,5.6.8).
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
n@$gÃFhg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. medio da n@$XT, mettere in fuga, scacciare,
spaventare (att.); fuggire, avere paura, temere (mediopass.); cf. Mc 4,41. Gesù rivolge lo
stesso invito a non temere (:¬ n@$gÃFhg) sia a Giairo (cf. Mc 5,36) sia ai discepoli, in
occasione della Trasfigurazione (cf. Mt 17,7). Altrove nella Bibbia è un elemento tipico delle
manifestazioni soprannaturali, divine o angeliche (cf. Gn 15,1; 26,24; 28,13; 46,3; Gdc 6,23;
Dn 10,12.19; Tb 12,17; Mt 28,5.10; Lc 1,13.30; 2,10; At 27,27.

6,51 i" •<X$0 BDÎH "ÛJ@×H gÆH JÎ B8@Ã@< i" ¦i`B"Fg< Ò –<g:@Hs i" 8\"< [¦i
BgD4FF@Ø] ¦< ©"LJ@ÃH ¦>\FJ"<J@·
6,51 Salì sulla barca con loro e il vento cessò. Essi restarono grandemente meravigliati in
sé stessi,

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•<X$0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •<"$"\<T (da •<V e la radice di $VF4H), risalire,
ascendere, andare su, sorgere, crescere; cf. Mc 1,10.
BD`H: prep. propria con valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di moto a luogo.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
Mc 6,52 481

B8@Ã@<: sost., acc. sing. n. da B8@Ã@<, –@L, barca; cf. Mc 1,19; compl. di moto a luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦i`B"Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da i@BV.T, diventare stanco, fiaccarsi, cessare; cf.
Mc 4,39.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
–<g:@H: sost., nom. sing. m. da –<g:@H, –@L, vento; cf. Mc 4,37; soggetto. La frase i"Â
¦i`B"Fg< Ò –<g:@H ritorna identica in Mc 4,39 (episodio della tempesta sedata).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8\"<: avv. di modo, indecl., grandemente, molto, oltre misura, estremamente; cf. Mc 1,35.
[¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.].
[BgD4FF@Ø: agg. qualificativo, gen. sing. n. da BgD4FF`H, –Z, –`<, abbondante, più, di più,
maggiormente, estremo, straordinario, eccessivo. Il vocabolo ricorre 22 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 5,37.47; 11,9; Mc 6,51; 7,36; 12,33.40; Lc 7,26;
12,4.48; 20,47; Gv 10,10. La locuzione ¦i BgD4FF@Ø ha il valore avverbiale di «in modo
eccessivo», «in modo straordinario», «in modo insolito». L’espressione ¦i BgD4FF@Ø è
presente nei codici A, f13, 33, 157, 180, 205, 579, 597, 1006, 1010, 1071, 1241, 1243, 1292,
1424, 1505, 2427; è assente, invece, in !, B, L ("ÛJ@ÃH), ), 892, 1342. Da un punto di vista
di critica interna il doppio superlativo rientra nello stile marciano, ma la testimonianza dei
codici più antichi sembra deporre a favore della lezione breve.].
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
©"LJ@ÃH: pron. riflessivo, dat. plur. m. da ©"LJ@Ø, –­H, –@Ø (non usato al nominativo), lui, lui
stesso, esso; cf. Mc 1,27; compl. di stato in luogo.
¦>\FJ"<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. medio da ¦>\FJ0:4 (da ¦i e ËFJ0:4), stupire,
meravigliare, sbalordire (trans.); essere meravigliato, essere fuori della propria mente,
essere fuori di sé (intr.); cf. Mc 2,12. Imperfetto durativo o iterativo.

6,52 @Û (D FL<­i"< ¦B J@ÃH –DJ@4Hs •88z µ< "ÛJä< º i"D*\" BgBTDT:X<0.
6,52 poiché non lo avevano ancora capito circa il fatto dei pani: il loro cuore era indurito.

@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
FL<­i"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da FL<\0:4 (da Fb< e \0:4), comprendere, intendere;
cf. Mc 4,12. Questo verbo, presente nel NT soltanto nel significato di «comprendere»,
«capire», è transitivo: quando non è usato in forma assoluta è costruito o con il genitivo o
con l’accusativo, mai con ¦B\ + dativo: ciò significa che l’oggetto dell’incomprensione dei
discepoli non sono i pani moltiplicati (retti da ¦B\ + dativo), ma implicitamente Gesù stesso.
Di conseguenza l’espressione ¦B J@ÃH –DJ@4H non assolve la funzione di complemento
oggetto (= «non avevano capito il fatto dei pani»), ma di argomento (= «non lo avevano
482 Mc 6,52

capito circa il fatto dei pani») o di complemento temporale (= «non lo avevano capito in
occasione [della moltiplicazione] dei pani»). Il fatto di non comprendere chi sia Gesù e il
contenuto del suo messaggio è una costante dei discepoli durante la prima parte del vangelo
(cf. Mc 4,13.41; 6,52; 7,18; 8,17.18.21).
¦B\: prep. propria con valore di argomento, seguita dal dativo, indecl., circa, riguardo, in
riferimento a; cf. Mc 1,22.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
–DJ@4H: sost., dat. plur. m. da –DJ@H, –@L, pane; cf. Mc 2,26; compl. di argomento.
•88z: (= •88V), cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però,
piuttosto, nondimeno; cf. Mc 1,44. Questa congiunzione, in correlazione con @Û (VD,
acquista una sfumatura causale («poiché», «dal momento che»).
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona plurale
(«di essi» = «loro»).
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
i"D*\": sost., nom. sing. f. da i"D*\", –"H, cuore; cf. Mc 2,6; soggetto.
BgBTDT:X<0: verbo, nom. sing. f. part. perf. pass., con valore aggettivale, da BTD`T, coprire,
rendere oscuro, rendere ottuso, indurire. Participio predicativo del soggetto i"D*\". Questo
verbo ricorre 5 volte nel NT: Mc 6,52; 8,17; Gv 12,40; Rm 11,7; 2Cor 3,14. Nel greco
classico BTD`T è spesso utilizzato in senso letterale proprio per indicare come termine
tecnico l’indurimento delle ossa, fino alla loro totale solidificazione (cf. Aristotele, De aud.,
802b 8; Ippocrate, Fract., 47,21) o l’indurimento delle cortecce degli alberi (cf. Teofrasto,
Hist. plant., 4,15,2). In senso traslato significa «irrigidire», «rendere insensibile». Il tema del
cuore indurito, tipico del linguaggio anticotestamentario, indica un atteggiamento di
incomprensione e incredulità e spesso perfino di aperta ostilità dell’uomo nei riguardi Dio
(cf. Es 4,21; 7,3.13; 14,17; Dt 15,7; Gs 11,20; Sal 95,8; Pr 28,14; Is 63,17; Ger 3,17; 7,24;
Ez 3,7). Come tale questo comportamento è ritenuto peccaminoso perché rappresenta la
volontaria ribellione alla santità, alla legge e alla provvidenza divina. L’espressione i"D*\"
BgBTDT:X<0, «cuore indurito», corrisponde alla BfDTF4H J­H i"D*\"H, «durezza di
cuore» di Mc 3,5 e sul piano concettuale alla Fi80D@i"D*\", «durezza di cuore» di Mc
10,5; 16,14 e al «cuore incirconciso» (i"D*\" •BgD\J:0J@H), più volte lamentato nella
Bibbia per indicare la volontà recalcitrante del popolo nei riguardi di Dio (cf. Lv 26,41; Ger
9,25; Ez 44,7; At 7,51). A livello strutturale si può osservare una efficace inclusione con Mc
8,17 dove il termine BgBTDT:X<0< è posto enfaticamente non alla fine, ma all’inizio del
testo per indicare che il cuore dei discepoli non è ancora cambiato (BgBTDT:X<0< §PgJg
J¬< i"D*\"< ß:ä<p).
Mc 6,53–54 483

6,53 5"Â *4"BgDVF"<JgH ¦BÂ J¬< (­< µ8h@< gÆH 'g<<0F"D¥J i"Â BD@FTD:\-
Fh0F"<.
6,53 Compiuta la traversata verso terra giunsero a Genezaret e approdarono.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


*4"BgDVF"<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da *4"BgDVT (da *4V e una parola derivata
dalla radice di BXD"<), attraversare, oltrepassare, passare attraverso; cf. Mc 5,21. Participio
predicativo del soggetto sottinteso «Gesù e i discepoli».
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., in, su, a, sopra; cf. Mc 1,22.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
(­<: sost., acc. sing. f. da (­, (­H, terra; cf. Mc 2,10; compl. di moto a luogo.
µ8h@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
'g<<0F"DXJ: sost., nome proprio di città, acc. sing. f., indecl., Genezaret; compl. di stato in
luogo. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mt 14,34; Mc 6,53 (hapax marciano); Lc 5,1.
Traslitterazione grecizzata del toponimo di origine ebraica 92 H *F*xE, Gînnêsar, «Mare delle
cetre», con allusione alla forma dell’omonimo lago (cf. Nm 34,11: ;9GGƒE<< .I*). Con il nome
di 'g<<0F"DXJ viene indicato un territorio piuttosto che una singola città: ciò è supposto
dal riferimento che compare subito dopo («tutta quella regione», Mc 6,55) e dalla
constatazione letteraria che nessun testo dell’antichità parla di Genezaret come una città, pur
associando questo nome al «lago di Genezaret», come fa Giuseppe Flavio, il quale riferisce
che «il lago di Genezaret prende il nome dal vicino territorio» (Id., Bellum, 3,506).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BD@FTD:\Fh0F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. pass. da BD@F@D:\.@:"4 (da BD`H e
ÒD:Z), ancorare, attraccare, ormeggiare. Hapax neotestamentario. Questo verbo, di
formazione ellenistica, viene usato nella diatesi sia attiva che media nel significato di
«approdare», detto di navi o di persone (cf. Erodoto, Hist., 6,97,1).

6,54 i"Â ¦>g8h`<JT< "ÛJä< ¦i J@Ø B8@\@L gÛh×H ¦B4(<`<JgH "ÛJÎ<


6,54 Appena scesi dalla barca, la gente subito lo riconobbe.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦>g8h`<JT<: verbo, gen. plur. m. part. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori,
uscire; cf. Mc 1,25. Participio al genitivo assoluto. Spesso la preposizione posta come
prefisso a un verbo composto viene ripetuta davanti al successivo complemento indiretto,
come qui; questo fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34;
5,2.13.17; 6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15;
11,2.11.15.16; 15,32; 16,5. La formula i"Â ¦>g8h`<JT< "ÛJä< ¦i J@Ø B8@\@L
484 Mc 6,55

contrassegna la fine di una pericope e l’inizio di una nuova: è analoga a i"Â ¦>g8h`<J@H
"ÛJ@Ø ¦i J@Ø B8@\@L (Mc 5,2).
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5. La frase ¦>g8h`<JT< "ÛJä< appare nella forma
detta “genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore temporale.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
B8@\@L: sost., gen. sing. n. da B8@Ã@<, –@L, barca; cf. Mc 1,19; compl. di moto da luogo.
gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
¦B4(<`<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da ¦B4(4<fFiT (da ¦B\ e (4<fFiT), conoscere,
sapere, scoprire; cf. Mc 2,8. Participio predicativo del soggetto sottinteso «la gente», plurale
collettivo.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.

6,55 BgD4X*D":@< Ó80< J¬< PfD"< ¦ig\<0< i"Â ³D>"<J@ ¦BÂ J@ÃH iD"$VJJ@4H
J@×H i"iäH §P@<J"H BgD4nXDg4< ÓB@L ³i@L@< ÓJ4 ¦FJ\<.
6,55 Accorsero da tutta quella regione e cominciarono a portare sulle barelle i malati,
dovunque udivano che egli si trovasse.

BgD4X*D":@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da BgD4JDXPT (da BgD\ e JDXPT), girare
intorno, percorrere, aggirarsi. Hapax neotestamentario. Già in Omero il verbo è utilizzato
nel significato proprio di «accorrere attorno», per indicare un rapido movimento verso un
determinato punto (cf. Omero, Il., 22,369; Aristofane, Ves., 138).
Ó80<: agg. indefinito, acc. sing. f. da Ó8@H, –0, –@<, tutto, ogni; cf. Mc 1,28; attributo di
PfD"<, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
PfD"<: sost., acc. sing. f. da PfD", –"H, regione, area, territorio, paese; cf. Mc 1,5; compl.
oggetto.
¦ig\<0<: agg. dimostrativo, acc. sing. f. da ¦igÃ<@H, –0, –@, quello, quegli, colui, esso; cf. Mc
1,9; attributo di PfD"<, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
³D>"<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. medio da –DPT, dare inizio, cominciare; cf. Mc 1,45.
La frase ³D>"J@ / ³D>"<J@, seguita da un infinito come complemento, è usata da Marco
26 volte (cf. Mc 1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32; 10,28.32.41.47; 11,15;
12,1; 13,5; 14,19.33.65.69.71; 15,8.18). La frequenza di questa formula è dovuta probabil-
mente a influsso semitico: quasi sempre equivale a una perifrasi nella quale il verbo –DPT,
di valore pleonastico, può essere omesso, mentre l’infinito dipendente viene reso con la 3a
persona dell’indicativo aoristo o imperfetto corrispondente.
Mc 6,56 485

¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, su, verso, a, sopra, presso; cf.
Mc 1,22.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
iD"$VJJ@4H: sost., dat. plur. m. da iDV$"JJ@H, –@L, lettiga, portantina, pagliericcio, branda;
cf. Mc 2,4; compl. di stato in luogo.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
i"iäH: avv. di modo, indecl., male, malamente; cf. Mc 1,32.
§P@<J"H: verbo, acc. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da §PT, avere, possedere,
tenere (trans.); essere nella condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22; compl.
oggetto. Participio sostantivato, modificato da un avverbio. La costruzione J@×H i"iäH
§P@<J"H (lett. «gli aventi male») può essere tradotta con una forma pronominale («coloro
che erano malati») oppure direttamente con un sostantivo («gli ammalati»). Il verbo §PT
normalmente è transitivo e ha una serie di significati che dipendono da quello fondamentale
di avere. Tuttavia in certe espressioni, come qui, ha valore intransitivo e forma con gli
avverbi delle strutture che denotano una situazione, uno stato, un essere: i"iäH §Pg4<,
«stare male» (cf. Mc 1,32.34; 2,17; 6,55); i"8äH §Pg4<, «stare bene» (cf. Mc 16,18).
BgD4nXDg4<: verbo, inf. pres. da BgD4nXDT (da BgD\ e nXDT), portare in giro, portare
dappertutto. Questo verbo ricorre 3 volte nel NT: Mc 6,55 (hapax marciano); 2Cor 4,10; Ef
4,14. L’infinito è retto dalla precedente forma finita ³D>"<J@. Il verbo è qui impiegato nel
significato generico di «portare in giro», «portare», in conformità all’uso classico (cf.
Erodoto, Hist., 4,36,1; Aristofane, Eccl., 128).
ÓB@L: (da ÓH e B@Ø), avv. di luogo, indecl., dove, nel luogo in cui; cf. Mc 2,4.
³i@L@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.
¦FJ\<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Predicato verbale.

6,56 i" ÓB@L —< gÆFgB@DgbgJ@ gÆH if:"H ´ gÆH B`8g4H ´ gÆH •(D@×Hs ¦< J"ÃH
•(@D"ÃH ¦J\hgF"< J@×H •Fhg<@Ø<J"H i" B"DgiV8@L< "ÛJÎ< Ë<" i—< J@Ø
iD"FBX*@L J@Ø Ê:"J\@L "ÛJ@Ø žRT<J"4· i" ÓF@4 —< »R"<J@ "ÛJ@Ø
¦Fæ.@<J@.
6,56 E là dove giungeva, in villaggi o città o borgate di campagna, mettevano i malati nelle
piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno la frangia del suo mantello; e quanti
lo toccavano guarivano.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


ÓB@L: (da ÓH e B@Ø), avv. di luogo, indecl., dove, nel luogo in cui; cf. Mc 2,4.
–<: partic. modale di valore dubitativo, eventuale o condizionale, indecl., [se, e se, caso mai,
qualora, eventualmente]; cf. Mc 3,29. Nella letteratura greca sono pochi gli esempi di –<
486 Mc 6,56

costruito con l’indicativo: nel greco classico come in quello ellenistico o in quello più
popolare conservatoci nei papiri la costruzione usuale è quella con il congiuntivo. Questo
fenomeno si ritrova in Mc 6,56[x2]; 8,35; 9,37; 13,20.
gÆFgB@DgbgJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. medio da gÆFB@Dgb@:"4 (da gÆH e B@Dgb@-
:"4), andare dentro, entrare, giungere; cf. Mc 1,21. Imperfetto durativo o iterativo. Spesso
la preposizione posta come prefisso a un verbo composto viene ripetuta davanti al successivo
complemento indiretto, come qui; questo fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2]. 25. 26. 42;
2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.
45. 47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
if:"H: sost., acc. plur. f. da if:0, –0H, villaggio, borgata; cf. Mc 6,6; compl. di moto a
luogo. Senza articolo generici.
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
B`8g4H: sost., acc. plur. f. da B`84H, –gTH, città, villaggio; cf. Mc 1,33; compl. di moto a
luogo. Senza articolo perché generici.
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
•(D@bH: sost., acc. plur. m. da •(D`H, –@Ø, campo, campagna, podere, borgata [di campagna];
cf. Mc 5,14; compl. di moto a luogo. Senza articolo perché generici. Il vocabolo ha qui il
significato di borgata di campagna, meno estesa rispetto al villaggio o alla città (cf. Mc 5,14;
6,36.56; 15,21; 16,12).
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J"ÃH: art. determ., dat. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
•(@D"ÃH: sost., dat. plur. f. da •(@DV, –H, piazza, spianata, mercato; compl. di stato in luogo.
Il vocabolo ricorre 11 volte nel NT: Mt 11,16; 20,3; 23,7; Mc 6,56; 7,4; 12,38; Lc 7,32;
11,43; 20,46; At 16,19; 17,17. Nel greco classico il termine indica, anzitutto, l’assemblea
popolare (cf. Omero, Il., 2,51; Od., 2,26) e conseguentemente il luogo di riunione, la piazza,
l’Agorà (cf. Senofonte, Oecon., 7,1). Come significati derivati •(@DV passa a indicare la
piazza [del mercato] e per estensione lo stesso mercato (cf. Tucidide, Hist., 1,62,1; Erodoto,
Hist., 4,181,3). È questo il senso prevalente che ritroviamo nel NT.
¦J\hgF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da J\h0:4, mettere, posare, porre, disporre; cf. Mc
4,21.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
•Fhg<@Ø<J"H: verbo, acc. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da •Fhg<XT, essere
debole, essere senza forza, essere impotente, essere infermo. Questo verbo ricorre 33 volte
Mc 6,56 487

nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 10,8; 25,36.39; Mc 6,56 (hapax
marciano); Lc 4,40; Gv 4,46; 5,3.7. Il verbo indica una mancanza di forze o debolezza di
vario genere: con significato letterale proprio si riferisce all’essere debole in senso fisico (cf.
Euripide, Or., 228; Platone, Lys., 209e). Nell’uso sostantivato il vocabolo indica «coloro che
sono deboli», ossia «i malati» (paralitici, ciechi, ecc.). Altrove nel NT il verbo è usato nel
significato metaforico di debolezza morale e religiosa, propria della “carne”.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
B"DgiV8@L<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da B"D"i"8XT (da B"DV e i"8XT), chiamare
accanto, invocare, implorare, supplicare; cf. Mc 1,40. Imperfetto durativo o iterativo.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
Ë<": cong. subordinativa di valore completivo, indecl., di, che; cf. Mc 1,38. La congiunzione Ë<"
non ha qui il consueto valore finale, ma quello completivo (equivalente a ÓJ4 o ÓBTH): in
pratica introduce una proposizione infinitiva (cf. Mc 3,9a.12; 4,22a; 5,10.18.43; 6,8.12.25.56;
7,26.32.36; 8,22.30; 9,9.12.18.30; 10,35.37; 11,16; 13,34; 15,21).
i–<: (= i" ¦V<, per crasi), cong. ipotetica, indecl., se anche, se solo, se; cf. Mc 5,28. Per i"\
cf. Mc 1,4; per ¦V< cf. Mc 1,40. La congiunzione i–< combina in se il significato ipotetico
«e se» e quello concessivo «anche solo». Qui assume il significato corrispondente all’avver-
bio limitativo «almeno», «soltanto».
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
iD"FBX*@L: sost., gen. sing. n. da iDVFBg*@<, –@L, estremità, margine, orlo, frangia; compl.
oggetto. Il vocabolo ricorre 5 volte nel NT: Mt 9,20; 14,36; 23,5; Mc 6,56 (hapax
marciano); Lc 8,44. Nel nostro contesto il vocabolo designa non l’orlo del mantello in
generale, ma probabilmente una delle quattro frange (;*7E*7E, sEîsEî5t ), formata da fiocchi o
piccole nappe di lana bianca o azzurra che si aggiungevano ai quattro angoli del vestito,
secondo la tradizione giudaica fondata su Nm 15,38–39 e Dt 22,12. Come specifica il passo
citato di Numeri lo scopo di queste frange era quello di rammentare, con la loro presenza,
i comandamenti del Signore per metterli in pratica. Secondo l’interpretazione e l’uso giudaico
le frange (o fiocchi) in questione sono formate da cordoni composti da sette fili di lana ritorta
che pendono per la lunghezza di circa 15–20 cm dai quattro angoli del tallit o mantello
indossato durante le funzioni liturgiche della sinagoga.
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
Ê:"J\@L: sost., gen. sing. n. da Ê:VJ4@<, –@L, sopravveste, indumento, mantello; cf. Mc 2,21;
compl. di specificazione. Questo vocabolo può indicare le vesti in generale, specie se nella
forma plurale (cf. Mc 5,30; 9,3; 15,20.24) o il mantello (cf. Mc 2,21; 5,27.28; 6,56; 10,50;
11,7.8; 13,16).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
žRT<J"4: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. medio da žBJ@:"4, toccare, tenere; cf. Mc 1,41.
488 Mc 6,56

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


ÓF@4: pron. relativo con valore di quantità e misura, nom. plur. m. da ÓF@H, –0, –@<, quanto,
quanto grande, ciò che, quello che; cf. Mc 2,19; soggetto. Il pronome relativo è qui usato
come l’indefinito ÓFJ4H («chiunque»), analogamente a quanto avviene altrove (cf. Mc 3,35;
4,9.25).
–<: partic. modale di valore dubitativo, eventuale o condizionale, indecl., [se, e se, caso mai,
qualora, eventualmente]; cf. Mc 3,29.
»R"<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. medio da žBJ@:"4, toccare, tenere; cf. Mc 1,41.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto. La forma genitiva è retta dal verbo
žBJT. Analogamente a Mc 2,15; 7,33[x3] il pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H ha qui
un valore equivoco: sintatticamente può riferirsi sia a J@Ø iD"FBX*@L J@Ø Ê:"J\@L (l’orlo
del mantello) sia al primo pronome "ÛJ@Ø (suo/di lui = di Gesù); è preferibile la seconda
interpretazione: quanti toccavano Gesù venivano guariti.
¦Fæ.@<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. pass. da Fæ.T, guarire, sanare, salvare; cf. Mc
3,4. Imperfetto durativo o iterativo.
Mc 7,1–2

7,1 5"Â FL<V(@<J"4 BDÎH "ÛJÎ< @Ê M"D4F"Ã@4 i"\ J4<gH Jä< (D"::"JXT<
¦8h`<JgH •BÎ {3gD@F@8b:T<.
7,1 Allora si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi venuti da Gerusalemme.

5"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.
7a.21.26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.
48a.50.53a.65a.72b; 15,2.
FL<V(@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. pass. da FL<V(T (da Fb< e –(T), raggruppare,
raccogliere, radunare; cf. Mc 2,2. Presente storico.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di moto a luogo.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
M"D4F"Ã@4: sost., nome proprio di gruppo religioso, nom. plur. m. da M"D4F"Ã@H, –@L, farisei;
cf. Mc 2,16; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J4<gH: pron. indefinito (enclitico), nom. plur. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; soggetto.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
(D"::"JXT<: sost., gen. plur. m. da (D"::"JgbH, –XTH (da (DV::"), scriba, esperto della
Legge, insegnante religioso; cf. Mc 1,22; compl. partitivo.
¦8h`<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere,
farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Participio predicativo del soggetto @Ê M"D4F"Ã@4
i"\ J4<gH Jä< (D"::"JXT<.
•B`: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da; cf. Mc
1,9.
{3gD@F@8b:T<: sost., nome proprio di città, gen. plur. n. da {3gD@F`8L:", –T<, Gerusalem-
me; cf. Mc 3,8; compl. di moto da luogo.

7,2 i" Æ*`<JgH J4<H Jä< :"h0Jä< "ÛJ@Ø ÓJ4 i@4<"ÃH PgDF\<s J@ØJz §FJ4<
•<\BJ@4Hs ¦Fh\@LF4< J@×H –DJ@LH
7,2 Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non
lavate

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.

489
490 Mc 7,2

Æ*`<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc
1,10. Participio predicativo del soggetto sottinteso @Ê M"D4F"Ã@4 i"\ J4<gH Jä<
(D"::"JXT<. Marco usa spesso il participio con un significato temporale (cf. Mc 2,5.16;
5,6.22; 6,48.49; 7,2; 8,33; 9,20.25; 10,14; 12,34; 14,67.69; 15,39).
J4<VH: pron. indefinito (enclitico), acc. plur. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; compl. oggetto.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
:"h0Jä<: sost., gen. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; compl. partitivo.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.
i@4<"ÃH: agg. qualificativo, dat. plur. f. da i@4<`H, –Z, –`<, comune, ordinario; attributo di
PgDF\<. Il vocabolo ricorre 14 volte nel NT: Mc 7,2.5; At 2,44; 4,32; 10,14.28; 11,8; Rm
14,14[x3]; Tt 1,4; Eb 10,29; Gd 1,3; Ap 21,27. L’espressione i@4<"ÃH PgDF\< significa
letteralmente «con mani ordinarie», ma corrisponde quanto al significato a "i"hVDJ@4H
PgDF\<, «con mani impure». In epoca ellenistica, sotto l’influsso della mentalità farisaica che
esagerava certe pratiche di purità ritualistica, molte cose «ordinarie», «comuni» (i@4<V),
erano considerate «impure» perché ritenute occasioni di peccato (cf. 1Mac 1,47.62; 4Mac.,
7,6). Nell’ambiente giudaico anche lo stesso vocabolo subì questa trasformazione semantica
e assunse il significato di «impuro», «contaminato», analogamente al verbo i@4<`T,
«contaminare» (cf. Mc 7,15.20.23). Questo senso peggiorativo dei due termini è presente
anche in altri scritti neotestamentari (cf. At 10,14.15.28; 11,8.9; 21,28; Rm 14,14[x2]; Eb
9,13; 10,29; Ap 21,27).
PgDF\<: sost., dat. plur. f. da Pg\D, Pg4D`H, mano; cf. Mc 1,31; compl. di mezzo. Per dare
maggiore enfasi il complemento di mezzo i@4<"ÃH PgDF\< è posto in posizione prolettica
rispetto alla successiva proposizione.
J@ØJz: (= J@ØJ@) pron. dimostrativo, nom. sing. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc
1,27; soggetto.
§FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
•<\BJ@4H: agg. qualificativo, dat. plur. f. da –<4BJ@H (da –8n" privativa e <\BJT), non lavato;
attributo di PgDF\<. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mt 15,20; Mc 7,2 (hapax marciano).
Nella grecità il raro aggettivo –<4BJ@H assume il significato di «non lavato» (cf. Omero, Il.,
6,266) o «non lavabile» (cf. Eschilo, Ag., 1460).
¦Fh\@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da ¦Fh\T, mangiare, prendere cibo, consumare,
divorare; cf. Mc 1,6.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
Mc 7,3 491

–DJ@LH: sost., acc. plur. m. da –DJ@H, –@L, pane; cf. Mc 2,26; compl. oggetto. La frase
¦Fh\@LF4< J@×H –DJ@LH, lett. «mangiavano i pani», è un semitismo; equivale a «prendere
cibo» o semplicemente «mangiare» (cf. Gn 3,19; 37,25; Es 2,20; 1Sam 20,34; 2Sam 9,7; Ger
41,1; 48,1; 52,33; Lc 14,1). Ritroviamo questo fenomeno in Mc 3,20; 6,44; 7,2.5.

7,3 @Ê (D M"D4F"Ã@4 i" BV<JgH @Ê z3@L*"Ã@4 ¦< :¬ BL(:± <\RT<J"4 JH
PgÃD"H @Ûi ¦Fh\@LF4<s iD"J@Ø<JgH J¬< B"DV*@F4< Jä< BDgF$LJXDT<s
7,3 — i farisei, infatti, e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavate le mani con un
po’ d’acqua, attenendosi alla tradizione degli antichi,

@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16. Questa congiunzione
introduce in forma di anacoluto la lunga disgressione sugli usi giudaici relativi alle abluzioni.
M"D4F"Ã@4: sost., nome proprio di gruppo religioso, nom. plur. m. da M"D4F"Ã@H, –@L, farisei;
cf. Mc 2,16; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BV<JgH: agg. indefinito, nom. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; attributo di z3@L*"Ã@4, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
z3@L*"Ã@4: agg. determinativo, di valore sostantivato, nome proprio di popolo, nom. plur. m. da
z3@L*"Ã@H, –", –@<, giudeo, Giudeo; cf. Mc 1,5; soggetto. Il vocabolo è la forma
grecizzata del nome gentilizio derivato dal nome proprio maschile di origine ebraica %$ I {%*A,
Yehûd5a) h, Giuda. Il testo storico più antico in cui il termine compare risale ai tempi del re
Acaz, quando si dice che il re di Edom scacciò da Elat i «Giudei» (cf. 2Re 16,6): l’appellati-
vo, pertanto, è in opposizione a stranieri e designa gli Israeliti del regno di Giuda. In epoca
postesilica, scomparsa l’antica divisione tribale, il termine «Giudeo» fu usato per indicare in
modo più esteso coloro che facevano parte del popolo ebraico e divenne sinonimo di
«israelita». Si deve osservare che il termine «Giudeo» (generalmente nella forma plurale @Ê
z3@L*"Ã@4) era usato piuttosto da coloro che non erano Ebrei, come si può dedurre dagli
scrittori greci di epoca posteriore (Ecateo di Abdera, Agatarchide, Clearco, Teofrasto,
Megastene, Dione Cassio, Plutarco, ecc.), da alcuni libri scritti in Palestina (1Maccabei,
Tobia, Giuditta, Baruc, Siracide), dalle iscrizioni delle monete asmonee e da quelle coniate
durante le due rivolte contro i Romani. Nella diaspora gli Israeliti si adattano all’uso straniero
e designano sé stessi come «Giudei» fuori dai testi specificatamente religiosi (cf. 2Mac
1,25–26; 6,1–8; 9,5; 10,14–15.38). Così l’aramaico *$ H {%*A, Yehûd5ay, è l’autodenominazione
normale dei Giudei a Elefantina. In Filone di Alessandria il termine z3@L*"Ã@4 è usato con
significato sia etnografico (= i Giudei) sia religioso (= gli Ebrei). Giuseppe Flavio si serve del
termine rare volte, riferendosi agli antichi; per i tempi recenti offre questa spiegazione: i"Â
@Ê z3@L*"Ã@4 BDÎH JÎ §D(@< B"DgFigLV.@<J@. ¦i8Zh0F"< *¥ JÎ Ð<@:" •nz ½H
º:XD"H ¦i #"$L8ä<@H •<X$0F"< ¦i J­H z3@b*" nL8­H, ½H BDfJ0H ¦8h@bF0H gÆH
¦ig\<@LH J@×H J`B@LH "ÛJ@\ Jg i"Â º PfD" J¬< BD@F0(@D\"< "ÛJ@ÃH :gJX8"$@<,
492 Mc 7,3

«I Giudei si chiamarono così da quando, nel ritorno da Babilonia, la tribù di Giuda fu la


prima che arrivò in quelle regioni» (cf. Giuseppe Flavio, Antiq., 11,173). Nella nostra
citazione marciana sembra trasparire una certa lontananza, se non addirittura una leggera
sfumatura di critica e ostilità, nei riguardi dell’appellativo z3@L*"Ã@4, come se l’Autore e i
lettori, parlando delle usanze dei Giudei, si considerassero fuori da tale gruppo etnico. Una
analoga presa di distanza si può notare in Mc 1,22.39.
¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
BL(:±: sost., con valore avverbiale, dat. sing. f. da BL(:Z, –­H, pugno, polso. Hapax
neotestamentario. Per il significato di «manciata» (lat. pugillus), cf. sotto.
<\RT<J"4: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. medio da <\BJT, lavare; lavarsi (medio).
Questo verbo ricorre 17 volte nel NT: Mt 6,17; 15,2; Mc 7,3 (hapax marciano); Gv
9,7[x2].11[x2].15; 13,5.6.8[x2].10.12.14[x2]; 1Tm 5,10. In senso comune e profano <\BJT
(anche nella forma <\.T) significa «lavare», «pulire», particolarmente in riferimento al corpo
o alle parti del corpo, come le mani e i piedi (cf. Omero, Il., 16,229; Od., 19,376). Spesso,
tuttavia, il verbo descrive specialmente nel greco biblico il lavaggio rituale per stabilire o
ristabilire una purezza cultuale. L’esigenza di lavacri rituali, comune a tutte le religioni, è
connessa all’idea religiosa che l’impurità rituale (le cui forme variano da cultura a cultura)
aderisce “fisicamente” al corpo e, quindi, deve essere eliminata per mezzo di lavaggi.
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
PgÃD"H: sost., acc. plur. f. da Pg\D, Pg4D`H, mano; cf. Mc 1,31; compl. oggetto. La lezione
greca anche se testualmente sicura è alla lettera paradossale: «…se non si sono lavati le mani
con il pugno, non mangiano». Per ovviare all’incomprensibile significato letterale sono state
proposte varie interpretazioni: a) alcuni traducono il termine BL(:Z con «gomito» e
intendono la forma dativa BL(:± come una specie di avverbio di moto a luogo («fino al
gomito»): in tal modo si indicherebbe l’accuratezza e la completezza di questi lavacri che non
erano limitati alle sole mani, ma si estendevano anche a tutto l’avambraccio, fino al gomito.
b) Altri, facendo ricorso al substrato aramaico, danno al vocabolo BL(:Z, raro anche in
greco classico, il significato di «vaso» e traducono: «se non si sono lavati le mani nel catino,
non mangiano». c) Per altri la forma avverbiale BL(:± corrisponde a «pugno [d’acqua]»,
intesa come popolare unità di misura (cf. il latino pugnus, pugillus e l’italiano «manciata»)
e, dunque, l’espressione farebbe riferimento alla esigua quantità di acqua con la quale
vengono effettuate queste abluzioni: «…non mangiano se non si sono lavate le mani con un
po’ d’acqua…». Dal punto di vista strettamente linguistico le prime due traduzioni non
sembrano essere sostenibili: è preferibile dare al vocabolo BL(:Z il senso ordinario di
«pugno» (cf. Vulgata: «nisi pugillo laverint») e ritenere l’espressione un latinismo, all’interno
della più ampia spiegazione che l’evangelista sta facendo per i suoi lettori circa le usanze
giudaiche. Nella tradizione farisaica, codificata successivamente nella Mishnah e nella
letteratura rabbinica, la purificazione delle mani aveva una grande importanza. L’abitudine
presso i farisei e in generale presso i Giudei di lavarsi le mani prima di prendere il pasto fu
Mc 7,3 493

inserita nella sfera rituale dai rabbini che motivarono tale pratica rifacendosi a Lv 11,44;
15,11. La Mishnah fa esplicito riferimento a questa usanza: «Questi sono i punti di
divergenza tra la scuola di Shammai e quella di Hillel in quanto al pasto […]. La scuola di
Shammai dice: “Si deve prima lavarsi le mani e poi riempire il bicchiere”. La scuola di Hillel
dice: “Si deve prima riempire il bicchiere e poi lavarsi le mani”» (m.Ber., 8,1–2). Anche nel
Talmud è strettamente prescritto di lavarsi le mani prima di prendere cibo: «Chi mangia pane
senza essersi purificato [= lavato] le mani è come se mangiasse pane impuro» (b.Sot., 4b);
«La persona che disprezza la lavanda delle mani prima del pasto deve essere scomunicata»
(b.Ber., 19a); «Santificatevi lavandovi le mani prima del pasto e siate santi lavandovele dopo
il pasto» (b.Ber., 53b). La legislazione giudaica contenuta nella Mishnah arriva al punto da
discutere anche sui tipi di recipienti che si dovevano usare per versare l’acqua, quale tipo di
acqua fosse adatta, chi avrebbe dovuto versarla e quanta parte delle mani dovesse essere
ricoperta d’acqua (cf. m.Ber., 8,2–4; m.Hagh., 2,5–6; m.Yad., 1,1–5; 2,1–3). Poiché la
Mishnah è la codifica scritta di una precedente tradizione orale, l’informazione di Marco
dimostra che tale costume esisteva tra alcuni gruppi giudaici già nel I secolo d.C.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
¦Fh\@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da ¦Fh\T, mangiare, prendere cibo, consumare,
divorare; cf. Mc 1,6.
iD"J@Ø<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da iD"JXT, tenere, prendere, afferrare, catturare;
cf. Mc 1,31. Participio predicativo del soggetto @Ê M"D4F"Ã@4 i"Â BV<JgH @Ê z3@L*"Ã@4.
Il verbo è qui usato con valore transitivo.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B"DV*@F4<: sost., acc. sing. f. da B"DV*@F4H, –gTH, consegna, tradizione, precetto; compl.
oggetto. Il vocabolo ricorre 13 volte nel NT: Mt 15,2.3.6; Mc 7,3.5.8.9.13; 1Cor 11,2; Gal
1,14; Col 2,8; 2Ts 2,15; 3,6. Mentre nel greco classico B"DV*@F4H indica «ciò che viene
trasmesso», la «tradizione» in senso generico (cf. Platone, Leg., 803a; Polibio, Hist., 12,6,1),
nel NT assume un significato quasi tecnico, corrispondente a «statuto», «regolamento»,
«legge tradizionale». Ciò corrisponde bene alla prassi giudica, secondo la quale la tradizione
(orale) e la legge (scritta) sono così intimamente collegate da formare un unico complesso
normativo.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
BDgF$LJXDT<: agg. qualificativo, di grado comparativo, di valore sostantivato, gen. plur. m. da
BDgF$bJgD@H, –", –@< (comparativo di BDXF$LH), più vecchio, più anziano, predecessore,
antenato, «presbitero»; compl. di specificazione. Il vocabolo ricorre 66 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 12 volte in Matteo (corrispondente allo 0,065% del
totale delle parole); 7 volte in Marco (cf. Mc 7,3.5; 8,31; 11,27; 14,43.53; 15,1 = 0,062%);
5 volte in Luca (0,026%); 1 volta in Giovanni (0,006%). Sebbene il termine BDgF$bJgD@H
sia propriamente il comparativo dell’aggettivo BDXF$LH, in epoca ellenistica viene usato
come sostantivo, equivalente al semplice «anziano», «vecchio» (cf. Giuseppe Flavio, Antiq.,
13,226), non tanto nel senso letterale proprio di «uomo vecchio», ma in quello improprio di
«personaggio importante», venerabile. Nell’AT non esiste alcun passo che menzioni l’origine
494 Mc 7,4

e la costituzione del gruppo di questi «anziani [d’Israele]» (-! F 9I”A*E *1F8A'E, ziqnê yis'ra) ’e)l: Es
3,16): in tutti gli strati tradizionali l’istituto degli anziani costituisce un dato di fatto, risalente
all’antichissimo ordinamento patriarcale d’Israele. Nel nostro passo, tuttavia, l’espressione
@Ê BDgF$bJgD@4, «gli anziani», si riferisce non tanto agli antichi rappresentanti del popolo
(cf. Es 3,16.18; 12,21; 18,12; 24,1.9; ecc.) quanto agli scribi del passato appartenenti al
fariseismo che nei secoli pre–cristiani avevano elaborato la Torah di Mosè in senso
casuistico. Per quanto riguarda il particolare uso di @Ê BDgF$bJgD@4, «gli anziani», per
indicare una delle componenti del sinedrio cf. Mc 8,31; 14,55. Secondo la prospettiva
farisaica che conosciamo dalle fonti letterarie, per la religione giudaica erano vincolanti non
soltanto la Torah scritta, ma anche º B"DV*@F4H Jä< BDgF$LJXDT<, «la tradizione degli
antichi», ossia l’insegnamento, l’esposizione complementare conosciuta come Torah orale,
tramandata da una folta schiera di scribi. Questa Torah orale era considerata la corretta
interpretazione della Torah scritta. Come afferma Giuseppe Flavio «i farisei, a partire dalla
tradizione dei padri (¦i B"JXDT< *4"*@P­H), hanno imposto al popolo molte leggi, non
scritte nella legge di Mosè» (Id., Antiq., 13,297; cf. anche 18,12). L’espressione º
B"DV*@F4H Jä< BDgF$LJXDT<, «la tradizione degli antichi», si ritrova in Id., Antiq., 10,51
e una simile in Filone di Alessandria: –(D"n@H "ÛJä< º B"DV*@F4H (Id., Spec., 4,150).
Sul finire del I secolo d.C. la halakhah, ossia la legge tradizionale sviluppata e stabilita dagli
studiosi della Torah, fu dichiarata vincolante come la Torah scritta.

7,4 i" •Bz •(@DH ¦< :¬ $"BJ\FT<J"4 @Ûi ¦Fh\@LF4<s i" –88" B@88V
¦FJ4< Ÿ B"DX8"$@< iD"JgÃ<s $"BJ4F:@×H B@J0D\T< i" >gFJä< i"Â
P"8i\T< [i"Â i84<ä<]
7,4 e tornando dal mercato non mangiano senza aver fatto le abluzioni e osservano
molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie e di oggetti di
rame —

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•Bz: (= •B`), prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da;
cf. Mc 1,9.
•(@DH: sost., gen. sing. f. da •(@DV, –H, piazza, spianata, mercato; cf. Mc 6,56; compl. di
moto da luogo. In alcune espressioni stereotipe relative a locuzioni preposizionali l’articolo
può mancare, analogamente a quanto avviene in italiano («tornare a/da casa»). Stesso
fenomeno in Mc 11,4; 13,29. L’espressione •Bz •(@DH (lett. «dal mercato») è ellittica: può
essere riferita alle persone (= «e [tornati] dal mercato non mangiano…») oppure in senso
partitivo alle merci acquistate (= «e [ciò che proviene] dal mercato non mangiano…»).
¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
$"BJ\FT<J"4: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. medio da $"BJ\.T, immergere, sommerge-
re, lavare, «battezzare»; cf. Mc 1,4. Il verbo è usato nella diatesi media con il significato
Mc 7,4 495

riflessivo di «lavarsi». In epoca neotestamentaria ai riti di abluzione prescritti dalla legge (cf.
Lv 14–15) si aggiunsero altri dovuti all’iniziativa di determinati gruppi, non soltanto dei
farisei, ma anche degli Esseni.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
¦Fh\@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da ¦Fh\T, mangiare, prendere cibo, consumare,
divorare; cf. Mc 1,6.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
–88": pron. indefinito, nom. plur. n. da –88@H, –0, –@, altro, un altro; cf. Mc 4,5; soggetto.
B@88V: agg. indefinito, nom. plur. n. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; attributo di –88".
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
ž: pron. relativo, acc. plur. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,44; compl. oggetto.
B"DX8"$@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da B"D"8":$V<T (da B"DV e 8":$V<T),
prendere, prendere con sé, ricevere, accogliere; cf. Mc 4,36.
iD"JgÃ<: verbo, inf. pres. da iD"JXT, tenere, prendere, afferrare, catturare; cf. Mc 1,31.
$"BJ4F:@bH: sost., acc. plur. m. da $"BJ4F:`H, –@Ø, immersione, lavaggio, lavatura; compl.
oggetto. Il vocabolo ricorre 4 volte nel NT: Mc 7,4 (hapax marciano); Col 2,12; Eb 6,2; 9,10.
Raramente usato nella grecità classica (sembra che ci sia una sola attestazione: Plutarco, De
superst., 166,a,9), il termine $"BJ4F:`H si riferisce in senso letterale proprio all’immersione
o all’abluzione di un corpo o un oggetto (cf. Oribasio, Coll. med., 10,3,9). In Col 2,12 (cf.
Eb 6,2) assume il significato tecnico e teologico di «battesimo» (cf. anche Giuseppe Flavio,
Antiq., 18,117).
B@J0D\T<: sost., gen. plur. n. da B@JZD4@<, –@L, calice, tazza, bicchiere; compl. di
specificazione. Quando il nome reggente è privo di articolo (come qui), anche il genitivo
dipendente ne è solitamente sprovvisto. Il vocabolo ricorre 31 volte nel NT: Mt 10,42;
20,22.23; 23,25.26; 26,27.39; Mc 7,4; 9,41; 10,38.39; 14,23.36; Lc 11,39; 22,17.20[x2].42;
Gv 18,11; 1Cor 10,16.21[x2]; 11,25[x2].26.27.28; Ap 14,10; 16,19; 17,4; 18,6. Usato in
senso proprio (qui come in Mc 9,41; 14,23) B@JZD4@< indica un recipiente per bere, di
legno o di terracotta, secondo l’uso classico (cf. Alceo, Frag., 376,1; Erodoto, Hist., 2,37,1;
Aristofane, Eq., 120). Nell’antica Palestina il recipiente usato comunemente per bere durante
i pasti era una ciotola di coccio (in ebraico 2|,, kôs). Presso le famiglie benestanti si usavano
anche calici o tazze di metallo a cui si aggiunsero in epoca ellenistica bicchieri, calici e
coppe di vetro. Nella maggior parte delle ricorrenze neotestamentarie, tuttavia, il vocabolo
B@JZD4@< è impiegato in senso metaforico, come immagine di grave sofferenza (cf. Mc
10,38.39; 14,36).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
>gFJä<: sost., gen. plur. m. da >XFJ0H, –@L, sestario, recipiente, stoviglia; compl. di
specificazione. Hapax neotestamentario. Traslitterazione grecizzata della parola di origine
496 Mc 7,5

latina sextarius, una misura di capacità di circa mezzo litro, equivalente a 1/6 di congius (cf.
Catone, Agric., 104,2; Cicerone, De off., 2,56) oppure a 1/4 di moggio (cf. Plinio il Vecchio,
Nat. hist., 18,131). Quando il nome reggente è privo di articolo (come qui), anche il genitivo
dipendente ne è solitamente sprovvisto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
P"8i\T<: sost., gen. plur. n. da P"8i\@<, –@L (diminutivo di P"8i`H), vaso di rame; compl.
di specificazione. Hapax neotestamentario. Quando il nome reggente è privo di articolo
(come qui), anche il genitivo dipendente ne è solitamente sprovvisto. Il vocabolo P"8i\@<
indica nell’uso classico il vaso di rame o bronzo, per usi generalmente domestici (cf.
Aristofane, Achar., 1128; Senofonte, Oecon., 8,19). Il trattato Kelim della Mishnah contiene
numerose e dettagliate istruzioni circa la pratica della lavatura di utensili da cucina. In
particolare nei capitoli 10–11 si insegna come preservare da impurità vasi e altri utensili
diventati impuri e come si debba procedere alla loro purificazione. Qui finisce la lunga
parentesi esplicativa: si tratta dell’indizio letterario più chiaro per ritenere che Marco abbia
inteso scrivere la sua opera soprattutto per una comunità di cristiani provenienti dal
paganesimo.
[i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.].
[i84<ä<: sost., gen. plur. f. da i8\<0, –0H, divano, letto; cf. Mc 4,21; compl. di specificazione.
Quando il nome reggente è privo di articolo (come qui), anche il genitivo dipendente ne è
solitamente sprovvisto. La frase i"Â i84<ä< è presente nei codici A, D, W, 1, f1, f13, 28
(corretto), 33, 157, 180, 205, 565, 579, 597, 700, 892, 1006, 1010, 1071, 1241, 1243, 1292,
1424, 1505. È assente, invece, in P45 e in !, B, L, ), 28*, 1342. Si tratta di una aggiunta o
di una omissione? Non è facile decidere stando alla tradizione testuale, sostanzialmente divisa
tra la lezione lunga e quella breve. È forse ipotizzabile che si tratti di una aggiunta che un
copista ha voluto apporre in forma di complemento, tenendo presente le prescrizioni rituali
di Lv 15,4–5 relative all’«impurità» dei giacigli.].

7,5 i" ¦BgDTJäF4< "ÛJÎ< @Ê M"D4F"Ã@4 i" @Ê (D"::"JgÃHs )4 J\ @Û


BgD4B"J@ØF4< @Ê :"h0J"\ F@L i"J J¬< B"DV*@F4< Jä< BDgF$LJXDT<s •88
i@4<"ÃH PgDFÂ< ¦Fh\@LF4< JÎ< –DJ@<p
7,5 quei farisei e scribi, dunque, lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si
comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani
impure?».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4. Si tratta di un i"\
iniziale di ripresa della narrazione, dopo la lunga parentesi circa gli usi giudaici in materia
di abluzioni. In italiano può essere reso mediante l’avverbio temporale/narrativo «allora»
oppure la congiunzione conclusiva «dunque».
¦BgDTJäF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da ¦BgDTJVT (da ¦B\ e ¦DTJVT), richiedere,
domandare, interrogare; cf. Mc 5,9. Presente storico. Il verbo è la continuazione, mediante
un anacoluto, della proposizione principale del v. 1: «Allora si riunirono attorno a lui i farisei
e alcuni degli scribi venuti da Gerusalemme […] e i farisei e gli scribi lo interrogarono…».
Mc 7,5 497

"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5. Esempio di articolo individuante,
analogamente a Mc 3,5; 5,8.
M"D4F"Ã@4: sost., nome proprio di gruppo religioso, nom. plur. m. da M"D4F"Ã@H, –@L, farisei;
cf. Mc 2,16; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5. Esempio di articolo individuante,
analogamente a Mc 3,5; 5,8.
(D"::"JgÃH: sost., nom. plur. m. da (D"::"JgbH, –XTH (da (DV::"), scriba, esperto della
Legge, insegnante religioso; cf. Mc 1,22; soggetto.
)4V: prep. propria di valore causale, seguita dall’accusativo, indecl., a causa di, a motivo di, per;
cf. Mc 2,1.
J\: pron. interrogativo, nom. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?,
che?, quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24. L’espressione *4 J\ è una forma enfatica
al posto dell’usuale avverbio interrogativo «perché?»: la formula si trova in Mc 2,18; 7,5;
11,31.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
BgD4B"J@ØF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da BgD4B"JXT (da BgD\ e B"JXT), camminare,
passeggiare, deambulare; cf. Mc 2,9. L’uso del verbo «camminare» in senso metaforico e
morale per «comportarsi» è un semitismo (ebr. …-H% I , ha) lak) frequentemente attestato nella
Bibbia (cf. 2Re 20,3; Sal 119,1; Prv 8,20; Qo 11,9; Gv 8,12; 13,35; Rm 8,4; 14,15; 1Ts 2,12;
4,1[x2].12; 1Cor 3,3; 7,17, ecc.).
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
:"h0J"\: sost., nom. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; soggetto.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
i"JV: prep. propria di valore modale, seguita dall’accusativo, indecl., secondo, in conformità a;
cf. Mc 1,27.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B"DV*@F4<: sost., acc. sing. f. da B"DV*@F4H, –gTH, consegna, tradizione, precetto; cf. Mc
7,3; compl. di modo.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
BDgF$LJXDT<: agg. qualificativo, di grado comparativo, di valore sostantivato, gen. plur. m. da
BDgF$bJgD@H, –", –@< (comparativo di BDXF$LH), più vecchio, più anziano, predecessore,
antenato, «presbitero»; cf. Mc 7,3; compl. di specificazione. I discepoli e lo stesso Gesù sono
498 Mc 7,5

qui equiparati dai farisei e dagli scribi ai «peccatori», appartenenti al cosiddetto 69G!
I%I .3H,
‘am ha) ’a) resE, «popolo della terra». Nel linguaggio del tempo con questa espressione veniva
indicata la popolazione ignorante, priva di istruzione, il volgo «che non conosce la legge» ed
è maledetto (Gv 7,49). Questo senso peggiorativo dell’espressione è presente anche nella
Mishnah e nella successiva letteratura rabbinica in riferimento a Ebrei che non conoscono
o non praticano la legge mosaica con l’esattezza prescritta dalle autorità rabbiniche (cf.
m.Dem., 2,3). Una massima dei rabbini recita: «Un ignorante non teme il peccato e chi
appartiene al popolo della terra non è pio» (m.Ab., 2,5). In altri passi del Talmud si legge:
«Sei cose sono state dette riguardo a quelli del popolo della terra (69G! I%I .3H): Non si affidi
loro alcuna testimonianza, non si accolga da loro alcuna testimonianza, non si riveli loro
alcun segreto, non li si scelga come tutori degli orfani, non li si scelga come amministratori
della cassa dei poveri, non si faccia un viaggio insieme con loro» (b.Pesah., 49b; cf. altra
documentazione in Strack–Bill., II,494–519). Gesù e i discepoli sono ritenuti peccatori non
in quanto violano apertamente la Legge, ma in quanto non la osservano nell’interpretazione
farisaica che prescriveva la lavanda delle mani prima dei pasti. Secondo la testimonianza di
Giuseppe Flavio i Farisei erano celebri per l’osservanza esasperata della Legge: … @Ì BgDÂ
J BVJD4" <`:4:" *@i@ØF4< Jä< –88T< •iD4$g\‘ *4"nXDg4<, «…i quali [Farisei]
hanno fama di superare chiunque nell’esatta interpretazione delle patrie leggi» (Giuseppe
Flavio, Vita, 191). Si deve qui osservare che nella mentalità giudaica dell’epoca non esisteva
praticamente alcuna differenza tra il comando della Legge scritta e una prescrizione orale
degli «antichi». L’opinione corrente riteneva che, assieme alla legge scritta, anche quella
orale fosse stata rivelata da Dio a Mosè sul Sinai e trasmessa di bocca in bocca da un Rabbi
all’altro (cf. t.Pea., 3,2). Anzi i precetti orali non solo avevano l’identico valore di quelli
scritti, ma anche superiore, cosicché la trasgressione di un comandamento della Torah era
ritenuto da alcuni peccato minore rispetto alla violazione della tradizione scribale: «Colui che
trasgredisce le parole degli scribi pecca più gravemente di colui che trasgredisce i comandi
della legge» (b.Sanh., 88b). Un altro testo relativamente tardo paragona la legge scritta
all’acqua, quella orale al vino: «La Torah è acqua, le parole degli anziani vino generoso»
(Masseket Soferim 15,6). Un midrash spiega la superiorità della legge orale rispetto a quella
scritta nel modo seguente:

«Più che alle parole della legge scritta fai attenzione alle parole degli scribi […]. Perché?
Perché non si può dedurre correttamente un insegnamento giuridico dalle parole della legge
scritta, la quale è vaga e piena di allusioni […]. Partendo invece dalle parole dei maestri che
interpretano la legge scritta si possono dedurre regole certe» (Midrash Rabbah, Nm 14,4).

•88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno; cf. Mc 1,44.
i@4<"ÃH: agg. qualificativo, dat. plur. f. da i@4<`H, –Z, –`<, comune, ordinario; cf. Mc 7,2;
attributo di PgDF\<. L’aggettivo assume qui il senso di «volgare», «impuro».
PgDF\<: sost., dat. plur. f. da Pg\D, Pg4D`H, mano; cf. Mc 1,31; compl. di mezzo.
¦Fh\@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da ¦Fh\T, mangiare, prendere cibo, consumare,
divorare; cf. Mc 1,6.
Mc 7,6 499

J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
–DJ@<: sost., acc. sing. m. da –DJ@H, –@L, pane; cf. Mc 2,26; compl. oggetto. L’espressione
letterale «mangiare il pane» è un semitismo; equivale a «prendere cibo» o semplicemente
«mangiare» (cf. Gn 3,19; 37,25; Es 2,20; 1Sam 20,34; 2Sam 9,7; Ger 41,1; 48,1; 52,33; Lc
14,1). Ritroviamo questo fenomeno in Mc 3,20; 6,44; 7,2.5.

7,6 Ò *¥ gÉBg< "ÛJ@ÃHs 5"8äH ¦BD@nZJgLFg< z/F"Ä"H BgDÂ ß:ä< Jä< ßB@iD4-
Jä<s ñH (X(D"BJ"4 [ÓJ4] ?âJ@H Ò 8"ÎH J@ÃH Pg\8gF\< :g J4:”s º *¥ i"D*\"
"ÛJä< B`DDT •BXPg4 •Bz ¦:@Ø·
7,6 Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come è scritto: “Questo
popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me.

Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
5"8äH: avv. di modo, indecl., bene, giustamente, veramente. In posizione enfatica. Il vocabolo
ricorre 36 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 12,12; 15,7; Mc
7,6.9.37; 12,28.32; 16,18; Lc 6,26.27.48; 20,39; Gv 4,17; 8,48; 13,13; 18,23. Nell’uso
linguistico neotestamentario, analogamente a quanto avviene nel greco classico, i"8`H è
quasi sinonimo di •("h`H, con cui può essere scambiato: stessa fenomeno avviene per
l’avverbio i"8äH il quale indica prevalentemente l’opportunità, la convenienza, la giustezza
di un modo di agire, una situazione o una caratteristica. Nel nostro caso l’avverbio non deve
essere inteso nel significato di un elogio ironico, quanto affermativo e modale: «a ragione»,
«in modo appropriato», «opportunamente».
¦BD@nZJgLFg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da BD@n0JgbT, preannunciare, predire,
profetizzare. Questo verbo ricorre 28 volte nel NT: Mt 7,22; 11,13; 15,7; 26,68; Mc 7,6;
14,65; Lc 1,67; 22,64; Gv 11,51; At 2,17.18; 19,6; 21,9; 1Cor 11,4.5; 13,9; 14,1.3.4.5[x2].
24.31.39; 1Pt 1,10; Gd 1,14; Ap 10,11; 11,3. Questo verbo denominativo (da BD@nZJ0H,
cf. Mc 1,2) è attestato nel greco classico a partire dal V secolo a.C. nel significato sia di
«essere profeta», «svolgere attività profetica» (cf. Pindaro, Frag., 150; Platone, Phaedr.,
244d) sia di «dare oracoli», «predire», «profetizzare» (cf. Euripide, Ion, 369; Filone di
Alessandria, Spec., 1,219).
z/F"Ä"H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z/F"Ä"H, –@L, Isaia; soggetto; cf.
Mc 1,2. Sebbene Marco riporti citazioni o allusioni del profeta Isaia (cf. Mc 1,3; 2,7; 3,21;
500 Mc 7,6

9,12; 10,34.45; 11,17; 12,32.40; 13,8.13.31; 14,49.61; 15,27), il verbo BD@n0JgbT, in


riferimento a Isaia, compare soltanto qui.
BgD\: prep. propria con valore di argomento, seguita dal genitivo, indecl., intorno a, riguardo
a, nei confronti di, circa; cf. Mc 1,6.
ß:ä<: pron. personale di 2a pers. gen. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
cf. Mc 2,8; compl. di argomento.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
ßB@iD4Jä<: sost., gen. plur. m. da ßB@iD4JZH, –@Ø, interprete, attore, dissimulatore, ipocrita;
apposizione di ß:ä<. Il vocabolo ricorre 17 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: Mt 6,2.5.16; 7,5; 15,7; 22,18; 23,12.15.23.25.27.29; 24,51; Mc 7,6 (hapax
marciano); Lc 6,42; 12,56; 13,15. Nella letteratura greca il vocabolo ßB@iD4JZH designa in
origine il «risponditore», ossia l’«attore» che nelle tragedie risponde al coro con l’aiuto di
maschera e travestimento (cf. Aristofane, Ves., 1279; Platone, Resp., 373b; Symp., 194b).
Poiché l’attore interpreta la parte di un altro, esagerando e simulando, in epoca ellenistica il
termine è passato a indicare chi finge, ossia «commediante, «ipocrita», «simulatore» (cf.
Giuseppe Flavio, Bellum, 2,586). Questo significato negativo è quello che ritroviamo nel NT,
analogamente a quanto è avvenuto per il sostantivo deverbale ßB`iD4F4H (da ßB@PD\<@-
:"4), attestato in Mc 12,15.
ñH: cong. subordinativa di valore incidentale, indecl., come, nel modo che, nella maniera che,
nella misura che; cf. Mc 1,10.
(X(D"BJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. pass. da (DVnT, scrivere; cf. Mc 1,2. L’espressione
«è scritto» è la tipica formula marciana per l’adempimento delle profezie anticotestamentarie,
a volte seguita da una citazione esplicita (cf. Mc 1,2; 7,6; 11,17; 14,27), altre volte per
indicare sotto forma di allusione quanto nell’AT venne scritto sotto ispirazione divina (cf. Mc
9,12.13; 14,21; [14,49]). La citazione tratta da Isaia 29,13 presenta alcune varianti rispetto sia
al testo masoretico sia a quello della traduzione greca dei LXX, come è possibile evidenziare
in questo confronto sinottico:

Mc 7,6–7 ?âJ@H Ò 8"ÎH J@ÃH Pg\8gF\< :g J4:”s º *¥ i"D*\" "ÛJä< B`DDT


•BXPg4 •Bz ¦:@Ø· :VJ0< *¥ FX$@<J"\ :g *4*VFi@<JgH *4*"Fi"8\
"H ¦<JV8:"J" •<hDfBT<.
Is 29,13 (LXX) z+((\.g4 :@4 Ò 8"ÎH @âJ@H J@ÃH Pg\8gF4< "ÛJä< J4:äF\< :gs º *¥
i"D*\" "ÛJä< B`DDT •BXPg4 •Bz ¦:@Øs :VJ0< *¥ FX$@<J"\ :g
*4*VFi@<JgH ¦<JV8:"J" •<hDfBT< i" *4*"Fi"8\"H.
Is 29,13 (TM) «Questo popolo si avvicina con la bocca e mi onora con le labbra, mentre
il suo cuore è lontano da me e il culto che mi rendono è un insegnamento
di precetti umani».

[ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa. La congiunzione è presente nei codici !, B, L, 0274, 892, 2427.
Mc 7,6 501

È assente, invece, in A, D, W, 1, f1, f13, 33. L’eventuale aggiunta o omissione della


congiunzione è in questo caso assolutamente ininfluente per la retta comprensione del
testo.].
?âJ@H: agg. dimostrativo, nom. sing. m. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 2,7;
attributo di 8"`H, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
8"`H: sost., nom. sing. m. da 8"`H, –@Ø, popolo; soggetto. Il vocabolo ricorre 142 volte nel NT.
La distribuzione nei vangeli è la seguente: 14 volte in Matteo (corrispondente allo 0,076%
del totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc 7,6; 14,2 = 0,018%); 36 volte in Luca
(0,185%); 3 volte in Giovanni (0,019%). Per indicare gruppi indeterminati di persone nel NT
sono impiegati vari termini che corrispondono generalmente all’uso classico: 1) ÐP8@H (cf.
Mc 2,4; ecc.): indica la moltitudine, la massa di gente comune ed eterogenea, in opposizione
al ceto superiore; 2) *­:@H (assente in Marco): indica il popolo, la popolazione civile che
abita in qualche città; 3) B8­h@H (cf. Mc 3,7.8): indica la moltitudine in senso quantitativo,
il gran numero o la parte maggiore rispetto a una massa; 4) 8"`H: indica il popolo
istituzionalizzato e, da un punto di vista teologico, il popolo di Dio, la comunità cristiana. Si
deve notare, tuttavia, che queste distinzioni non sempre sono rispettate e un autore può
impiegare uno stesso vocabolo con vari significati.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
Pg\8gF\<: sost., dat. plur. n. da PgÃ8@H, –@LH, labbro, bocca; compl. di mezzo. Il vocabolo
ricorre 7 volte nel NT: Mt 15,8; Mc 7,6 (hapax marciano); Rm 3,13; 1Cor 14,21; Eb 11,12;
13,15; 1Pt 3,10. Nella grecità il sostantivo PgÃ8@H è usato generalmente al plurale nel senso
letterale proprio di «labbra» (cf. Omero, Il., 15,102; Euripide, Bacc., 621; Aristofane, Nub.,
873).
:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,40; compl. oggetto.
J4:”: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da J4:VT, valutare, stimare, onorare, riverire, venerare.
Questo verbo ricorre 21 volte nel NT: Mt 15,4.6.8; 19,19; 27,9[x2]; Mc 7,6.10; 10,19; Lc
18,20; Gv 5,23[x4]; 8,49; 12,26; At 28,10; Ef 6,2; 1Tm 5,3; 2Pt 2,17[x2]. Nel greco classico
J4:VT indica la stima, la valutazione positiva, l’apprezzamento che si ha verso qualcuno e,
dunque, il verbo è impiegato all’attivo nel significato di «onorare», detto di uomini verso
divinità (cf. Erodoto, Hist., 2,29,7; Eschilo, Sept., 236), di divinità verso uomini (cf. Omero,
Il., 11,46; Sofocle, Antig., 288), di uomini verso i propri simili (cf. Omero, Od., 5,36;
Sofocle, Ai., 688). In ambito strettamente religioso, riferito agli dèi, J4:VT esprime la
venerazione, il culto e la stessa adorazione a loro riservata (cf. Platone, Leg., 723e; Euripide,
Bacc., 342; Sofocle, Oed. Col., 277; 1070; Senofonte, Mem., 4,3,13). Questi significati sono
quelli che ritroviamo nel greco biblico dei LXX, dove il verbo — che traduce per lo più il
corrispettivo ebraico $"Fƒ I , ka) b5e)d5 (Piel) — è impiegato nel senso di «onorare», ad esempio
Dio (cf. Is 29,13; Prv 3,9), il re (cf. Sap 14,17), i genitori (cf. Es 20,12), i poveri (cf. Prv
14,31), gli anziani (cf. Lv 19,32), gli schiavi fedeli (cf. Prv 27,18), i medici (cf. Sir 38,1), il
tempio (cf. 2Mac 3,2.12).
502 Mc 7,7

º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
i"D*\": sost., nom. sing. f. da i"D*\", –"H, cuore; cf. Mc 2,6; soggetto.
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona plurale
(«di essi» = «loro»).
B`DDT: avv. di luogo, indecl., lontano, distante. Il vocabolo ricorre 4 volte nel NT: Mt 15,8; Mc
7,6 (hapax marciano); Lc 14,32; 24,28.
•BXPg4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da •BXPT (da •B` e §PT), essere lontano, essere
distante, astenersi. Questo verbo ricorre 19 volte nel NT: Mt 6,2.5.16; 14,24; 15,8; Mc 7,6;
14,41; Lc 6,24; 7,6; 15,20; 24,13; At 15,20.29; Fil 4,18; 1Ts 4,3; 5,22; 1Tm 4,3; Fm 1,15;
1Pt 2,11. Nella diatesi attiva transitiva il verbo •BXPT sta per «separare», «allontanare» (cf.
Omero, Il., 6,96; Od., 15,33); nell’uso intransitivo equivale a «essere lontano» (cf. Tucidide,
Hist., 6,97,1; Erodoto, Hist., 1,179,4). Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo
composto viene ripetuta davanti al successivo complemento indiretto, come qui; questo
fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56;
7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
•Bz: (= •B`), prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da;
cf. Mc 1,9.
¦:@Ø: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc.
¦:X/:g), io, me; compl. di moto da luogo. La forma ¦:@Ø ricorre 109 volte nel NT rispetto
alle 2583 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 18
volte in Matteo (corrispondente allo 0,098% del totale delle parole); 8 volte in Marco (cf. Mc
7,6.11; 8,35; 10,29; 13,9; 14,18.20.36 = 0,071%); 19 volte in Luca (0,098%); 24 volte in
Giovanni (0,166%).

7,7 :VJ0< *¥ FX$@<J"\ :g *4*VFi@<JgH *4*"Fi"8\"H ¦<JV8:"J" •<hDfBT<.


7,7 Inutilmente essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.

:VJ0<: avv. di modo, indecl., invano, inutilmente, senza successo. Il vocabolo ricorre 2 volte
nel NT: Mt 15,9; Mc 7,7 (hapax marciano). Derivato da :VJ"4@H che nel greco classico
indica ciò che è fittizio e artificiale, in opposizione al mondo della realtà, l’avverbio :VJ0<
ricorre nel significato di «senza scopo», «inutilmente» (cf. Pindaro, Olym., 1,83). È uno dei
vocaboli preferiti dal traduttore di Isaia (cf. Is 27,3; 28,17; 29,13; 30,4; 41,29) e dei Salmi (cf.
Sal 35,7; 39,7.12; 41,7; 63,10; 127,1[x2].2); altrove nei LXX compare in 1Re 20,20; 2Mac
7,18.34; Prv 3,30; Ger 4,30; 8,8; Ez 14,23. Qui l’avverbio è in posizione enfatica.
*X: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti, dunque, quindi; cf. Mc 1,8.
FX$@<J"\: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. medio da FX$@:"4, riverire, venerare, adorare.
Questo verbo deponente ricorre 10 volte nel NT: Mt 15,9; Mc 7,7 (hapax marciano); At
13,43.50; 16,14; 17,4.17; 18,7.13; 19,27. Il significato originario di FX$@:"4 (dalla radice
Mc 7,8 503

Fg$–) è quello di «arretrare davanti» a qualcuno, come gesto di timore e tremore (cf.
Eschilo, Eum., 749; Sofocle, Antig., 745). Soggetto di questo atteggiamento interiore
possono essere dèi o uomini, ma lentamente il verbo ha acquistato un significato marcata-
mente religioso per indicare non soltanto una manifestazione interiore di timore verso gli dèi,
bensì anche la loro «venerazione» mediante una serie di atti (cf. Senofonte, Hell., 3,4,18).
L’uso limitato del verbo nel NT conserva questa impronta religiosa, poiché FX$@:"4 non
viene mai utilizzato in riferimento a esseri umani, ma esclusivamente nei riguardi di Dio o
della dea Artemide (cf. At 19,27).
:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,40; compl. oggetto.
*4*VFi@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da *4*VFiT, insegnare, istruire, ammaestrare;
cf. Mc 1,21. Participio predicativo del soggetto sottinteso «essi».
*4*"Fi"8\"H: sost., acc. plur. f. da *4*"Fi"8\" –"H, insegnamento, istruzione, dottrina,
precetto; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 21 volte nel NT: Mt 15,9; Mc 7,7 (hapax
marciano); Rm 12,7; 15,4; Ef 4,14; Col 2,22; 1Tm 1,10; 4,1.6.13.16; 5,17; 6,1.3; 2Tm
3,10.16; 4,3; Tt 1,9; 2,1.7.10. Senza articolo perché generica. Nella grecità il sostantivo
*4*"Fi"8\" ricorre con il significato generico di «insegnamento», «spiegazione» (cf.
Platone, Resp., 493b; Tucidide, Hist., 2,42,1). Nel NT il termine, quando compare nella
forma plurale, ha sempre il significato negativo di insegnamenti deleteri, dottrine di uomini,
in contrapposizione all’autentica dottrina apostolica o cristiana. Da notare la figura
etimologica costruita con l’oggetto interno (*4*VFi@<JgH *4*"Fi"8\"H), dovuta
probabilmente a influsso semitico (infinito assoluto ebraico). Analogo fenomeno in Mc 1,26;
3,28; 4,24.41; 5,42; 7,13; 10,38; 13,19; 14,6; 15,26.
¦<JV8:"J": sost., acc. plur. n. da §<J"8:", –J@H, precetto; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre
3 volte nel NT: Mt 15,9; Mc 7,7 (hapax marciano); Col 2,22. Senza articolo perché generico.
Sconosciuto al greco sia classico che ellenistico, il sostantivo §<J"8:" è tipico del greco
biblico (cf. Is 29,13).
•<hDfBT<: sost., gen. plur. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di specificazione. Senza articolo perché genitivo ebraico, usato per esprimere l’aggettivo
corrispondente (= precetti umani).

7,8 •nX<JgH J¬< ¦<J@8¬< J@Ø hg@Ø iD"JgÃJg J¬< B"DV*@F4< Jä< •<hDfBT<.
7,8 Trascurando il comandamento di Dio voi osservate la tradizione degli uomini».

•nX<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare,
rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18. Participio predicativo unito per asindeto al soggetto
sottinteso «voi».
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
¦<J@8Z<: sost., acc. sing. f. da ¦<J@8Z, –­H, ordine, comando, precetto, ingiunzione,
comandamento; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 67 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 6 volte in Matteo (corrispondente allo 0,033% del totale delle parole);
504 Mc 7,9

6 volte in Marco (cf. Mc 7,8.9; 10,5.19; 12,28.31 = 0,053%); 4 volte in Luca (0,021%); 10
volte in Giovanni (0,064%). Sebbene attestato nel greco ellenistico, dove ¦<J@8Z ricorre nel
significato profano di «ingiunzione», «ordine», «prescrizione» (cf. Erodoto, Hist., 1,22,2), lo
sfondo linguistico e culturale del termine è quello biblico e giudaico. Nella maggior parte
delle ricorrenze neotestamentarie ¦<J@8Z indica un comando impartito da Dio o da Cristo;
soltanto in pochi casi designa un ordine dato da un uomo (cf. Lc 15,29; Gv 11,57; At 17,15;
Col 4,10; Tt 1,14). Il significato religioso del vocabolo deve necessariamente essere messo
in connessione con quello presente nell’AT e negli altri scritti giudaici: qui ¦<J@8Z (più
spesso nella forma plurale ¦<J@8"\) traduce prevalentemente il termine ebraico %&I7A/ E,
misEwa) h, che nel testo masoretico indica il «comandamento» divino espresso nella Torah (cf.
Gn 26,5; Es 15,26; Lv 22,31, ecc.). Nel detto di Gesù il singolare ¦<J@8Z si riferisce a un
preciso comandamento di Dio o più in generale al complesso legislativo della Torah? Non
è facile rispondere: in ogni caso, a questo singolo «comando divino» o alla «legge divina»
come tale, viene contrapposta la tradizione degli «antichi», la quale nella sua incalcolabile
molteplicità di precetti (vedi commento a Mc 2,16; 12,28) rendeva spesso assai difficile
riconoscere il volere divino dalla casuistica umana.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione.
iD"JgÃJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da iD"JXT, tenere, prendere, afferrare, catturare; cf.
Mc 1,31.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B"DV*@F4<: sost., acc. sing. f. da B"DV*@F4H, –gTH, consegna, tradizione, precetto; cf. Mc
7,3; compl. oggetto. Le sentenze degli anziani avevano sempre riscosso grande prestigio in
Israele, come in tutto l’antico Oriente. La tradizione era considerata la migliore fonte di
sapienza pratica, ma il giudaismo tardivo era giunto a vere aberrazioni attribuendo alle parole
o ai precetti degli anziani dignità e autorità uguali, se non superiori, alla stessa Legge: «La
Torah è acqua, le parole degli anziani vino generoso» (Masseket Soferim 15,6); «Le
decisioni degli scribi sono più obbligatorie di quelle della Legge» (vedi commento a Mc 7,5).
Tali tradizioni furono più tardi messe per iscritto, dando origine alla Mishnah e successiva-
mente ai due Talmud, babilonese e palestinese. Gesù riporta al loro posto queste tradizioni
definendole “di uomini”.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
•<hDfBT<: sost., gen. plur. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di specificazione.

7,9 5" §8g(g< "ÛJ@ÃHs 5"8äH •hgJgÃJg J¬< ¦<J@8¬< J@Ø hg@Øs Ë<" J¬<
B"DV*@F4< ß:ä< FJZF0Jg.
7,9 E aggiunse: «Siete veramente abili nel mettere da parte il comandamento di Dio per
osservare la vostra tradizione!

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Mc 7,10 505

§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’espressione [i"Â] §8g(g< "ÛJ@ÃH…, «[e] diceva loro…»; i"Â §8g(g<…, «e
diceva…» posta all’inizio di una proposizione è usata da Marco come formula abituale di
raccordo per unire sentenze staccate o una serie di sentenze (cf. Mc 2,27; 4,11.21.24.26.30;
6,4.10; 7,9.20; 8,21; 9,1; 11,17; 14,36). L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo
(«diceva», «continuava a dire»), ma quello puntuale corrispondente a un aoristo («disse»). Per
altri esempi di questo imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23;
4,2.9.11.21.24.26.30.41; 5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28;
12,35.38; 14,70; 15,12a.14; per quanto riguarda l’imperfetto puntuale con ¦BgDTJVT cf. Mc
5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33; 10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; con ¦DTJVT cf. Mc 4,10;
8,5.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
5"8äH: avv. di modo, indecl., bene, giustamente, veramente; cf. Mc 7,6. In posizione enfatica.
Detto in tono ironico i"8äH (= «bellamente») corrisponde ad «astutamente», «scaltramente»,
«abilmente».
•hgJgÃJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da •hgJXT (da –8n" privativa e J\h0:4), mettere a
parte, trascurare, annullare, rigettare, rifiutare, disdegnare; cf. Mc 6,26.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
¦<J@8Z<: sost., acc. sing. f. da ¦<J@8Z, –­H, ordine, comando, precetto, ingiunzione,
comandamento; cf. Mc 7,8; compl. oggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B"DV*@F4<: sost., acc. sing. f. da B"DV*@F4H, –gTH, consegna, tradizione, precetto; cf. Mc
7,3; compl. oggetto.
ß:ä<: pron. personale di 2a pers. gen. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
cf. Mc 2,8; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona plurale («di voi» = «vostro»).
FJZF0Jg: verbo, 2a pers. plur. congiunt. aor. da ËFJ0:4, stare, durare, perdurare, fissare,
mettere; cf. Mc 3,24. Qui ËFJ0:4 assume il significato di «mettere in pratica», «attuare».

7,10 9TdF­H (D gÉBg<s I\:" JÎ< B"JXD" F@L i" J¬< :0JXD" F@Ls i"\s {?
i"i@8@(ä< B"JXD" ´ :0JXD" h"<VJå Jg8gLJVJT.
7,10 Mosè, infatti, ha detto: “Onora tuo padre e tua madre” e anche: “Chi maledice il
padre e la madre sia messo a morte”.
506 Mc 7,10

9TdF­H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da 9TdF­H, –XTH, Mosè; cf. Mc 1,44;
soggetto.
(D: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
I\:": verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. da J4:VT, valutare, stimare, onorare, riverire,
venerare; cf. Mc 7,6.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B"JXD": sost., acc. sing. m. da B"JZD, B"JD`H, padre; cf. Mc 1,20; compl. oggetto.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
:0JXD": sost., acc. sing. f. da :ZJ0D, :0JD`H, madre; cf. Mc 3,31; compl. oggetto.
L’espressione I\:" JÎ< B"JXD" F@L i"Â J¬< :0JXD" F@L è una citazione del precetto
sul dovere verso i genitori presente nel Decalogo (cf. Es 20,12; Dt 5,16). Il testo citato è
quello di Dt 5,16 secondo i LXX: in Es 20,12 i LXX omettono il secondo F@L, mentre
l’ebraico ha il suo equivalente, come in Dt 5,16.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
{?: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
i"i@8@(ä<: verbo, nom. sing. m. part. pres., di valore sostantivato, da i"i@8@(XT (da
i"i`H e 8`(@H), parlare male di, ingiuriare, maledire. Questo verbo ricorre 4 volte nel NT:
Mt 15,4; Mc 7,10; 9,39; At 19,9. Nelle grecità il termine è attestato a partire da Isocrate nel
significato sia di un generico «parlare male» sia in quello tecnico di «maledire» (cf. Isocrate,
Or., 6,98; Demostene, Or., 25,94; Diogene Laerzio, Vitae, 1,69.70; Ateneo Sofista, Deipn.,
11,114,3; Lisia, Or., 8,5; Es 21,16; 22,27; 1Sam 3,13; 2Mac 4,1; Prv 20,9; Ez 22,7). La
formulazione del comando {? i"i@8@(ä< B"JXD" ´ :0JXD" h"<VJå Jg8gLJVJT
riproduce quasi alla lettera Es 21,16 (LXX): Ò i"i@8@(ä< B"JXD" "ÛJ@Ø ´ :0JXD"
"ÛJ@Ø Jg8gLJZFg4 h"<VJå (cf. anche Lv 20,9; Dt 27,16; Prv 20,9; Ez 22,7).
B"JXD": sost., acc. sing. m. da B"JZD, B"JD`H, padre; cf. Mc 1,20; compl. oggetto. Senza
articolo perché generica.
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9.
:0JXD": sost., acc. sing. f. da :ZJ0D, :0JD`H, madre; cf. Mc 3,31; compl. oggetto. Senza
articolo perché generico. L’assenza del possessivo «suo», nella consueta forma pronominale
"ÛJ@Ø («di lui»), in riferimento al padre e alla madre, è probabilmente un aramaismo. Stesso
fenomeno in Mc 7,11.12.
Mc 7,11 507

h"<VJå: sost., dat. sing. m. da hV<"J@H, –@L, morte; compl. di mezzo. Il vocabolo ricorre 120
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 7 volte in Matteo (corrispondente
allo 0,038% del totale delle parole); 6 volte in Marco (cf. Mc 7,10; 9,1; 10,33; 13,12;
14,34.64 = 0,053%); 7 volte in Luca (0,036%); 8 volte in Giovanni (0,051%). A partire da
Omero il sostantivo hV<"J@H indica la morte naturale o violenta come cessazione della vita
umana o animale (cf. Omero, Il., 1,60; Od., 12,341).
Jg8gLJVJT: verbo, 3a pers. sing. imperat. pres. da Jg8gLJVT, finire, terminare, morire. Questo
verbo ricorre 11 volte nel NT: Mt 2,19; 9,18; 15,4; 22,25; Mc 7,10; 9,48; Lc 7,2; Gv 11,39;
At 2,29; 7,15; Eb 11,22. Nell’uso classico il verbo Jg8gLJVT assume nella diatesi attiva
transitiva il significato di «compiere», «eseguire» (cf. Omero, Il., 8,9; Od., 2,275) e in quella
intransitiva il significato di «compiersi», «realizzarsi», «venire a finire» (cf. Euripide, Bacc.,
908; Eschilo, Ag., 635; Erodoto, Hist., 9,45,3). L’espressione h"<VJå Jg8gLJVJT è un
semitismo corrispondente alla formula ebraica ;/ I {* ;|/ di Es 19,12; 21,17 (lat. morte
moriatur): si tratta di una tipica costruzione per rendere con maggior enfasi il significato del
verbo utilizzato.

7,11 ß:gÃH *¥ 8X(gJgs z+< gÇB® –<hDTB@H Jè B"JD ´ J± :0JD\s 5@D$<s Ó


¦FJ4<s )äD@<s Ô ¦< ¦> ¦:@Ø éng80h±Hs
7,11 Voi, invece, dite: “Se uno dichiara al padre o alla madre: Ciò che ti spetta da me è
Korban”, cioè offerta sacra,

ß:gÃH: pron. personale di 2a pers. nom. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
cf. Mc 6,31; soggetto. In posizione enfatica e in contrapposizione a 9TdF­H del v. 10.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
8X(gJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7.
z+V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
gÇB®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7.
–<hDTB@H: sost., nom. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17;
soggetto. L’impiego del vocabolo –<hDTB@H per il pronome indefinito J\H, «uno»,
«qualcuno» («nessuno» con negazione) è un semitismo. Ritroviamo questo uso in Mc 1,23;
3,1; 4,26; 5,2; 7,11; 8,27.36.37; 10,7.9; 11,2; 12,1.14; 13,34.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B"JD\: sost., dat. sing. m. da B"JZD, B"JD`H, padre; cf. Mc 1,20; compl. di termine.
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
:0JD\: sost., dat. sing. f. da :ZJ0D, :0JD`H, madre; cf. Mc 3,31; compl. di termine.
508 Mc 7,12

5@D$<: sost., nom. sing. m., indecl., da i@D$<, dono, offerta; soggetto. Hapax neotestamen-
tario. Traslitterazione grecizzata della parola di origine ebraica 0v I 9A8
I , qorba) n, «offerta»,
«dono», più esattamente, «offerta [fatta a Dio]». Giuseppe Flavio traduce i@D$< con
*äD@< 1g@Ø (cf. Id., Antiq., 4,73; Contra Ap., 1,167; cf. anche Lv 2,1.4.12.13). Frase
ellittica: si sottintende la forma verbale gÇ0 o §FJT o ¦FJ\< («sia Korban»; «è Korban»). Nel
linguaggio religioso giudaico la parola 5@D$< era una formula di consacrazione rivolta a
Dio in virtù della quale determinati oggetti o proprietà erano sottratti agli usi profani, sotto
pena di sacrilegio (cf. Strack–Bill., I,711–717). Nell’esempio riportato da Gesù i farisei e gli
scribi (soggetto implicito, cf. v. 5) giungevano al punto di consacrare a Dio ciò che, per
dovere di pietà familiare, avrebbero dovuto dare ai loro genitori. E siccome, in forza della
legge (cf. Dt 23,22–24), tutto ciò che era oggetto di voto non poteva essere toccato, essi con
la parvenza della religiosità si tenevano il frutto dell’offerta, mentre i genitori languivano
nelle ristrettezze. La formula consacratoria riportata da Marco è molto simile nella struttura
e perfino nelle parole a quella trovata su un’urna funeraria del Gebel Hallet et–Turi, a sud
di Gerusalemme. L’iscrizione, datata alla fine del I secolo a.C., dice: «Tutto ciò che qualcuno
potrebbe trovare a suo beneficio in questa urna funeraria [è] Qorban [0"98] a Dio da parte
di colui che è dentro».
Ó: pron. relativo, nom. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24; soggetto.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. L’espressione Ó ¦FJ4<, «che è», equivale alle espressioni «che significa», «che
corrisponde a», «vale a dire». Questa formula è presente 9 volte: Mc 3,17; 5,41; 7,11.34;
12,42; 15,16.22.34.42.
)äD@<: sost., nom. sing. n. da *äD@<, –@L, dono, offerta; predicato nominale. Il vocabolo
ricorre 19 volte nel NT: Mt 2,11; 5,23.24[x2]; 8,4; 15,5; 23,18.19[x2]; Mc 7,11 (hapax
marciano); Lc 21,1.4; Ef 2,8; Eb 5,1; 8,3.4; 9,9; 11,4.10. Nell’uso classico il sostantivo
*äD@< indica sia il generico «dono», «regalo» (cf. Omero, Il., 9,576; Sofocle, Ai., 665), sia
l’«offerta» votiva fatta agli dèi (cf. Omero, Il., 6,293).
Ó: pron. relativo, acc. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24; compl. oggetto.
¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
¦>: (= ¦i), prep. propria con valore d’agente, seguita dal genitivo, indecl., da, per opera di; cf.
Mc 1,10.
¦:@Ø: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc.
¦:X/:g), io, me; cf. Mc 7,6; compl. di agente.
éng80h±H: verbo, 2a pers. sing. congiunt. aor. pass. da éng8XT, avvantaggiarsi, giovare,
trarre profitto; cf. Mc 5,26.

7,12 @ÛiXJ4 •n\gJg "ÛJÎ< @Û*¥< B@4­F"4 Jè B"JD ´ J± :0JD\s


7,12 non permettete che egli faccia più nulla per il padre e la madre.
Mc 7,13 509

@ÛiXJ4: (da @Û e §J4), avv. di tempo, indecl., mai, non più, non oltre; cf. Mc 5,3.
•n\gJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare,
rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; soggetto della proposizione oggettiva costruita con
il verbo infinito B@4­F"4.
@Û*X<: (da @Û*X e gÍH), pron. indefinito negativo, acc. sing. n. da @Û*g\H, @Û*g:\", @Û*X<,
nessuno, niente; cf. Mc 2,21; compl. oggetto. La frequenza della doppia negazione (qui
@ÛiXJ4… @Û*X<…) è una caratteristica stilistica di Marco (cf. Mc 1,44; 2,2; 3,20.27; 5,37;
6,5; 7,12; 9,1.41; 10,15; 13,2[x2].19.30.31; 14,25.31; 16,8.18) per dare maggiore enfasi alla
negazione, senza escludere la possibilità che essa derivi dall’indole popolare della lingua dei
vangeli.
B@4­F"4: verbo, inf. aor. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere, compiere; cf. Mc 1,3.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B"JD\: sost., dat. sing. m. da B"JZD, B"JD`H, padre; cf. Mc 1,20; compl. vantaggio. Dativo
di vantaggio.
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
:0JD\: sost., dat. sing. f. da :ZJ0D, :0JD`H, madre; cf. Mc 3,31; compl. di vantaggio. Dativo
di vantaggio.

7,13 •iLD@Ø<JgH JÎ< 8`(@< J@Ø hg@Ø J± B"D"*`Fg4 ß:ä< Á B"Dg*fi"Jg· i"Â
B"D`:@4" J@4"ØJ" B@88 B@4gÃJg.
7,13 E così annullate la parola di Dio con la tradizione che voi avete introdotto. E di cose
simili ne fate molte».

•iLD@Ø<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da •iLD`T (da –8n" privativa e iLD`T),
rendere vuoto, svuotare, annullare, vanificare, privare di forza. Questo verbo ricorre 3 volte
nel NT: Mt 15,6; Mc 7,13 (hapax marciano); Gal 3,17. Participio predicativo del soggetto
sottinteso «voi». Il verbo •iLD`T è termine tecnico per indicare l’annullamento di
testamenti, contratti e leggi (analogo al nostro «abrogare»). Giuseppe Flavio usa •iLD`T per
indicare l’annullamento degli ordini dell’imperatore (cf. Id., Antiq., 18,304) o della
concessione di diritti civili (cf. Id., Antiq., 20,183).
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
8`(@<: sost., acc. sing. m. da 8`(@H, –@L, parola; cf. Mc 1,45; compl. oggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
510 Mc 7,14

B"D"*`Fg4: sost., dat. sing. f. da B"DV*@F4H, –gTH, consegna, tradizione, precetto; cf. Mc 7,3;
compl. di mezzo. Dativo strumentale costruito con la figura etimologica (paronomasia)
dell’oggetto interno (B"D"*`Fg4… B"Dg*fi"Jg), probabilmente dovuta a influsso
semitico (infinito assoluto ebraico). Analogo fenomeno in Mc 1,26; 3,28; 4,24.41; 5,42; 7,7;
10,38; 13,19; 14,6; 15,26.
ß:ä<: pron. personale di 2a pers. gen. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
cf. Mc 2,8; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona plurale («di voi» = «vostro»).
Á: pron. relativo, dat. sing. f. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi. Il pronome relativo, per attrazione,
compare non nella forma corretta »<, ma nello stesso caso dativo del sostantivo cui si
riferisce (B"D"*`Fg4). La forma Á ricorre 37 volte nel NT rispetto alle 1407 ricorrenze
totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 3 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,016% del totale delle parole); 1 volta in Marco (cf. Mc 7,13 =
0,009%); 12 volte in Luca (0,062%); 5 volte in Giovanni (0,032%).
B"Dg*fi"Jg: verbo, 2a pers. plur. ind. aor. da B"D"*\*T:4 (da B"DV e *\*T:4),
consegnare, rimettere, dare (qualcuno) nelle mani (di un altro), consegnare (qualcuno) al
potere (di un altro), tradire; cf. Mc 1,14.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
B"D`:@4": agg. indefinito, acc. plur. n. da B"D`:@4@H, –@< (da B"DV e Ó:@4@H), simile,
siffatto, analogo, uguale; attributo di J@4"ØJ". Hapax neotestamentario.
J@4"ØJ": agg. indefinito, di valore sostantivato, acc. plur. n. da J@4@ØJ@H, J@4"bJ0, J@4@ØJ@,
simile, tale, di questo tipo; cf. Mc 4,33; compl. oggetto.
B@88V: agg. indefinito, acc. plur. n. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34. La forma B@88V è qui usata in modo avverbiale («molto», «grandemente», «frequente-
mente») e non quantitativo («molte cose»). Si tratta di una caratteristica di Marco (cf. Mc
1,45; 3,12; 5,10.23.26.38. 43; 6,20.23; 8,31; 9,12.26; 15,3).
B@4gÃJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere, compiere;
cf. Mc 1,3.

7,14 5"Â BD@Fi"8gFV:g<@H BV84< JÎ< ÐP8@< §8g(g< "ÛJ@ÃHs z!i@bF"JX :@L
BV<JgH i"Â Fb<gJg.
7,14 Chiamata di nuovo la folla, disse loro: «Ascoltatemi tutti e intendete bene:

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


BD@Fi"8gFV:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. aor. medio da BD@Fi"8XT (da BD`H e
i"8XT), chiamare a sé, convocare, eleggere; cf. Mc 3,13. Participio predicativo del
soggetto sottinteso z30F@ØH. I discorsi di Gesù vengono più di una volta introdotti con il
verbo BD@Fi"8XT seguito dal destinatario delle parole: BD@Fi"8gFV:g<@H "ÛJ@bH (sott.
gli scribi, Mc 3,23); BD@Fi"8gFV:g<@H […] JÎ< ÐP8@< (la folla, Mc 7,14);
BD@Fi"8gFV:g<@H J@×H :"h0JVH (i discepoli, Mc 8,1); BD@Fi"8gFV:g<@H JÎ< ÐP8@<
Mc 7,15 511

F×< J@ÃH :"h0J"ÃH (la folla e i discepoli, Mc 8,34); BD@Fi"8gFV:g<@H "ÛJ@bH (sott.
i Dodici, Mc 10,42).
BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ÐP8@<: sost., acc. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; compl. oggetto.
§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo («diceva», «continuava a
dire»), ma quello puntuale corrispondente a un aoristo («disse»). Per altri esempi di questo
imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24.26.30.41;
5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70; 15,12a.14; per
quanto riguarda l’imperfetto puntuale con ¦BgDTJVT cf. Mc 5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33;
10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; con ¦DTJVT cf. Mc 4,10; 8,5.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. Costruzione ad sensum: il
pronome non concorda nel numero plurale con il termine cui si riferisce, al singolare
(ÐP8@H). Analogo fenomeno in Mc 6,34.
z!i@bF"JX: verbo, 2a pers. plur. imperat. aor. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. oggetto.
BV<JgH: pron. indefinito, voc. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; compl. di vocazione.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Fb<gJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. aor. da FL<\0:4 (da Fb< e \0:4), comprendere,
intendere; cf. Mc 4,12. Questo verbo transitivo quando non è usato in forma assoluta regge
un complemento che nel nostro caso resta implicito: tale complemento potrebbe riferirsi al
contenuto dell’intero mashal che segue (cf. Mc 7,15); ciò comporterebbe che gli ascoltatori
devono comprendere il detto di Gesù sulla purità del cuore. Ma l’oggetto implicito della
comprensione potrebbe essere lo stesso Gesù, analogamente a quanto avviene in Mc 6,52.
In tal caso è possibile anche la traduzione: «Ascoltatemi tutti e comprendetemi bene».
L’impiego di due verbi imperativi in successione paratattica (•i@bF"JX… i" Fb<gJg)
rivela lo stile duale tipico di Marco (cf. Mc 1,25; 4,24; 6,31.38; 7,14; 8,15; 10,14.21; 11,2;
13,33; 14,34.38.42; 16,7). In questi casi l’accento è posto sul secondo verbo rispetto al primo
il quale svolge soltanto una funzione espletiva.

7,15 @Û*X< ¦FJ4< §>Thg< J@Ø •<hDfB@L gÆFB@DgL`:g<@< gÆH "ÛJÎ< Ô *b<"J"4
i@4<äF"4 "ÛJ`<s •88 J ¦i J@Ø •<hDfB@L ¦iB@DgL`:g<V ¦FJ4< J
i@4<@Ø<J" JÎ< –<hDTB@<.
7,15 non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono, invece,
le cose che escono dall’uomo a contaminare l’uomo».
512 Mc 7,15

@Û*X<: (da @Û*X e gÍH), pron. indefinito negativo, nom. sing. n. da @Û*g\H, @Û*g:\", @Û*X<,
nessuno, niente; cf. Mc 2,21; soggetto.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Predicato verbale.
§>Thg<: prep. impropria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., al di fuori di, da fuori,
esternamente a. Il vocabolo ricorre 13 volte nel NT, sia come avverbio di luogo (con valore
statico o dinamico) sia come preposizione impropria: Mt 23,25.27.28; Mc 7,15.18; Lc
11,39.40; 2Cor 7,5; 1Tm 3,7; 1Pt 3,3; Ap 11,2[x2]; 14,20.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•<hDfB@L: sost., gen. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di moto da luogo.
gÆFB@DgL`:g<@<: verbo, nom. sing. n. part. pres. medio da gÆFB@Dgb@:"4 (da gÆH e
B@Dgb@:"4), andare dentro, entrare, giungere; cf. Mc 1,21. Participio predicativo del
soggetto @Û*X<. Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo composto viene
ripetuta davanti al successivo complemento indiretto, come qui; questo fenomeno si ritrova
in Mc 1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.
24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di moto a luogo.
Ó: pron. relativo, nom. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24; soggetto.
*b<"J"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere
in grado di; cf. Mc 1,40.
i@4<äF"4: verbo, inf. aor. da i@4<`T, [rendere comune], contaminare, dichiarare impuro,
profanare. Questo verbo ricorre 14 volte nel NT: Mt 15,11[x2].18.20[x2]; Mc 7,15[x2].18.
20.23; At 10,15; 11,9; 21,28; Eb 9,13. Analogamente all’aggettivo i@4<`H (cf. Mc 7,2)
anche il verbo i@4<`T in epoca ellenistica subisce una trasformazione semantica rispetto
all’uso classico («mettere in comune», «rendere comune», «avere in comune») e finisce per
acquistare nel NT il significato peggiorativo di «profanare», «contaminare». Sotto l’influsso
della mentalità farisaica che esagerava certe pratiche di purità ritualistica, compiere alcune
azioni «ordinarie» era considerato occasione di peccato. Anche lo stesso verbo i@4<`T
subisce questa trasformazione semantica e in tutte le ricorrenze neotestamentarie finisce per
assumere il significato peggiorativo di «contaminare», «profanare», «dichiarare impuro». Al
tempo di Gesù il problema dell’impurità era molto sentito. Si discuteva non soltanto su che
cosa potesse essere impuro, ma sulla stessa essenza dell’impurità. In tema di alimentazione
erano considerati impuri tutti gli animali che avessero contatto con il suolo: ciò si può
spiegare pensando che originariamente la terra fosse considerata sacra. Pertanto il contatto
con essa trasmetteva all’animale una certa quantità di sacro non capace di uccidere, ma di
depotenziare, ossia di «rendere impuri». Era sommamente impuro il sangue, anche quello di
animali puri, in quanto il sangue era la sede della vita che aveva valore divino e poteva
Mc 7,15 513

essere usato soltanto per i sacrifici espiatori (cf. Lv 17,11). Anche dell’animale puro, del
quale era lecito cibarsi, il sangue doveva essere scolato. Mangiare la carne con il sangue era
considerata impurità gravissima (cf. Lv 17,12). Molti trattati della Mishnah (redatta attorno
al 200 d.C.) sono dedicati alla trattazione del problema dell’impurità.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
•88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno; cf. Mc 1,44.
JV: art. determ., nom. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•<hDfB@L: sost., gen. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di moto da luogo.
¦iB@DgL`:g<V: verbo, nom. plur. n. part. pres. medio, di valore sostantivato, da ¦iB@Dgb@:"4,
uscire, venire fuori, andare, recarsi, accorrere; cf. Mc 1,5.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Quando il soggetto è un neutro plurale (come nel nostro caso) il verbo è per lo più al
singolare (è il cosiddetto «schema Atticum»), soprattutto se i soggetti appartengono al mondo
materiale e inanimato e, perciò, possono essere considerati come una massa. Ritroviamo
questo fenomeno in Mc 4,8.11.36; 7,15.23; 13,4[x2].
JV: art. determ., nom. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
i@4<@Ø<J": verbo, nom. plur. n. part. pres., di valore sostantivato, da i@4<`T, [rendere
comune], contaminare, dichiarare impuro, profanare; cf. Mc 7,15; predicato nominale.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
–<hDTB@<: sost., acc. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
oggetto. Un aforisma di Marco Aurelio (121–180 d.C.) presenta qualche affinità con il
loghion di Gesù: BF" iD\F4H i" ÒD:¬ i" ÐDg>4H i" §ii84F4H §<*@< i" @Û*¥<
i"iÎ< ô*g •<"$V4<g4, «Ogni giudizio, ogni impulso, ogni desiderio, ogni avversione è
un fatto interiore e nulla di male può penetrarvi dall’esterno» (Marco Aurelio, In se ipso,
8,28,1).

[7,16] [Questo versetto è presente nei manoscritti A, D, W, ) (corretto), 1, f1, f13, 33, 157,
180, 205, 565, 579, 597, 700, 892, 1006, 1010, 1241, 1243 (corretto), 1292, 1424, 1505, i
quali qui aggiungono: gÇ J4H §Pg4 ìJ" •i@bg4< •i@LXJT, «se uno ha orecchi per
intendere, intenda». Il versetto è assente, invece, in !, B, L, )*, 0274, 28, 1342, 2427. Tale
lezione variante non offre garanzia di autenticità poiché i testimoni più antichi e autorevoli
non la riportano: quasi certamente si tratta di una glossa (una dittografia) introdotta da
qualche copista dietro suggestione di Mc 4,9.23. La critica recente ha espunto il testo senza
modificare l’ordine e la numerazione successiva dei versetti.].
514 Mc 7,17

7,17 5" ÓJg gÆF­8hg< gÆH @Éi@< •BÎ J@Ø ÐP8@Ls ¦B0DfJT< "ÛJÎ< @Ê :"h0J"Â
"ÛJ@Ø J¬< B"D"$@8Z<.
7,17 Quando entrò in casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli gli chiesero il significato
della parabola.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


ÓJg: cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, allorché, ogni volta che, mentre;
cf. Mc 1,32.
gÆF­8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare, venire
dentro, recarsi, andare; cf. Mc 1,21. Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo
composto viene ripetuta davanti al successivo complemento indiretto, come qui; questo
fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56;
7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
@Éi@<: sost., acc. sing. m. da @Éi@H, –@L, casa, abitazione; cf. Mc 2,1; compl. di moto a luogo.
Senza articolo perché la frase è stereotipa («andare a casa», «uscire da casa»), sottintendendo
la propria o quella abitualmente frequentata. Questo stare da solo di Gesù in una casa (cf. Mc
3,20; 7,17.24; 9,28.33; 10,10), espresso altrove anche con la formula i"J :`<"H, «da solo»
(cf. Mc 4,10) e i"Jz Æ*\"<, «in disparte», «in privato» (cf. Mc 4,34; 6,31.32; 7,33; 9,2.28;
13,3) è tipico di Marco, il quale si serve di questo e di altri mezzi stilistici per esprimere la
teoria del cosiddetto “segreto messianico” (vedi commento a Mc 1,25): ai discepoli viene
data la possibilità di riconoscere in privato la messianicità di Gesù, alla folla anonima o ai
gruppi eterogenei essa deve restare nascosta. Anche i discepoli, tuttavia, prima della Pasqua
non giungono alla retta conoscenza di tale rivelazione: non capiscono (cf. Mc 4,13.41; 6,52;
7,18; 8,17.21), hanno il cuore indurito (cf. Mc 6,52; 8,17; 16,14), si oppongono a Gesù (cf.
Mc 8,33).
•B`: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da; cf. Mc
1,9.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
ÐP8@L: sost., gen. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; compl. di moto da
luogo.
¦B0DfJT<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da ¦BgDTJVT (da ¦B\ e ¦DTJVT), richiedere,
domandare, interrogare; cf. Mc 5,9. Il verbo è qui costruito con il doppio accusativo, della
persona a cui si chiede ("ÛJ`<) e dell’oggetto richiesto (J¬< B"D"$@8Z<): stessa
costruzione in Mc 11,29 (cf. Mc 4,10 con ¦DTJVT). L’imperfetto non ha qui il consueto
valore iterativo («interrogavano», «continuavano a interrogare»), ma puntuale, corrispondente
a un aoristo («interrogarono»). Per altri esempi di questo imperfetto puntuale con il verbo
¦BgDTJVT cf. Mc 5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33; 10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; con
¦DTJVT cf. Mc 4,10; 8,5; per quanto riguarda l’imperfetto puntuale con 8X(T cf. Mc
Mc 7,18 515

2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24.26.30.41; 5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24;


9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70; 15,12a.14.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
:"h0J"\: sost., nom. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; soggetto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B"D"$@8Z<: sost., acc. sing. f. da B"D"$@8Z, –­H, confronto, paragone, similitudine,
parabola; cf. Mc 3,23; compl. di argomento. Il vocabolo va qui inteso nel senso di parola
oscura e enigmatica (cf. Prv 1,6).

7,18 i" 8X(g4 "ÛJ@ÃHs ?àJTH i" ß:gÃH •Fb<gJ@\ ¦FJgp @Û <@gÃJg ÓJ4 B< JÎ
§>Thg< gÆFB@DgL`:g<@< gÆH JÎ< –<hDTB@< @Û *b<"J"4 "ÛJÎ< i@4<äF"4
7,18 Egli rispose loro: «E così anche voi non riuscite a comprendere? Non capite che tutto
ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può contaminarlo,

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. La formula redazionale 8X(g4
"ÛJ@ÃH ricorre 25 volte, esclusivamente riservata a Gesù (cf. Mc 1,38; 2,8.17.25; 3,4;
4,13.35; 5,39; 6,31.38.50; 7,18; 8,17; 9,35; 10,11.24.42; 11,2.22.33; 12,16; 14,13.27.34.41).
Per quanto riguarda la formula singolare 8X(g4 "ÛJè, avente come soggetto Gesù, cf. Mc
1,41.44; 2,14; 5,9.19; 7,34; per 8X(g4 "ÛJ± cf. Mc 5,41.
?àJTH: avv. di modo, indecl., così, in tal modo, in questa maniera; cf. Mc 2,7.
i"\: cong. coordinativa di valore aggiuntivo, indecl., anche, perfino, inoltre, altresì; cf. Mc 1,4.
Il significato aggiuntivo di i"\ è presente in Mc 1,27b.38b; 2,15b.26c.28; 3,19b; 4,24b;
6,34b; 7,18b; 8,3b.7ac.38c; 9,22a; 11,25b; 12,22b; 13,29; 14,9.29.31; 15,31.40ab.43a.
ß:gÃH: pron. personale di 2a pers. nom. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
cf. Mc 6,31; soggetto.
•Fb<gJ@\: agg. qualificativo, nom. plur. m. da •Fb<gJ@H, –@< (da –8n" privativa e FL<gJ`H),
senza intelligenza, senza comprensione, stolto, stupido; predicato nominale. Il vocabolo
ricorre 5 volte nel NT: Mt 15,16; Mc 7,18 (hapax marciano); Rm 1,21.31; 10,19. In
conformità alla sua etimologia (mancanza di intelligenza, assenza di comprensione) il
516 Mc 7,18

vocabolo esprime una deficienza nell’ambito dell’intelletto, ossia l’ottusità della mente (cf.
Erodoto, Hist., 3,81,1). I LXX impiegano •Fb<gJ@H per tradurre l’ebraico -v I I1, na) ba) l,
«insensato» (cf. Dt 32,21; Gb 13,2) e -*2 E ƒA, kesîl, «stolto» (cf. Sal 92,7).
¦FJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
<@gÃJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da <@XT, pensare, comprendere, capire, considerare.
Questo verbo ricorre 14 volte nel NT: Mt 15,17; 16,9.11; 24,15; Mc 7,18; 8,17; 13,14; Gv
12,40; Rm 1,20; Ef 3,4.20; 1Tm 1,7; 2Tm 2,7; Eb 11,3. A partire da Omero il verbo <@XT
assume una triplice connotazione semantica: al primo livello esso significa «percepire con
i sensi», «vedere» (cf. Omero, Il., 3,396). Come significato derivato il verbo equivale a
«conoscere» per aver veduto (cf. Omero, Il., 11,599). Finalmente può essere usato in modo
assoluto nel significato di «pensare», «riflettere», «ragionare» (cf. Omero, Il., 10,225; Od.,
15,170). Nell’uso neotestamentario <@XT esprime la comprensione oggettivamente
appropriata di uno stato di fatto e, dunque, non soltanto il «pensare» come astrazione delle
mente, ma soprattutto il «comprendere» come acquisizione di un processo che è, insieme,
sperimentale e mentale. Marco sottolinea varie volte l’incomprensione dei Dodici, dei
discepoli e delle folle, incapaci di capire l’identità e il significato delle azioni di Gesù (cf. Mc
4,13.41; 6,52; 7,18; 8,17–18.21).
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.
B<: agg. indefinito, nom. sing. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; attributo di gÆFB@DgL`:g<@<, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
§>Thg<: avv. di luogo, indecl., dal di fuori, dall’esterno; cf. Mc 7,15.
gÆFB@DgL`:g<@<: verbo, nom. sing. n. part. pres. medio, di valore sostantivato, da gÆFB@Dgb@-
:"4 (da gÆH e B@Dgb@:"4), andare dentro, entrare, giungere; cf. Mc 1,21; soggetto. Spesso
la preposizione posta come prefisso a un verbo composto viene ripetuta davanti al successivo
complemento indiretto, come qui; questo fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].25.26.42;
2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.
45. 47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
–<hDTB@<: sost., acc. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di moto a luogo.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
*b<"J"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere
in grado di; cf. Mc 1,40.
Mc 7,19 517

"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
i@4<äF"4: verbo, inf. aor. da i@4<`T, [rendere comune], contaminare, dichiarare impuro,
profanare; cf. Mc 7,15.

7,19 ÓJ4 @Ûi gÆFB@DgbgJ"4 "ÛJ@Ø gÆH J¬< i"D*\"< •88z gÆH J¬< i@48\"<s i" gÆH
JÎ< •ng*Dä<" ¦iB@DgbgJ"4s i"h"D\.T< BV<J" J $Df:"J"p
7,19 perché non gli entra nel cuore, ma nello stomaco e va a finire nella fogna?».
Dichiarava così puri tutti gli alimenti.

ÓJ4: cong. subordinativa di valore causale, indecl., poiché, perché, siccome; cf. Mc 1,15.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
gÆFB@DgbgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da gÆFB@Dgb@:"4 (da gÆH e B@Dgb@:"4),
andare dentro, entrare, giungere; cf. Mc 1,21. Spesso la preposizione posta come prefisso
a un verbo composto viene ripetuta davanti al successivo complemento indiretto, come qui;
questo fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17;
6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16;
15,32; 16,5.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»). Con valore enfatico, perché in posizione prolettica.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
i"D*\"<: sost., acc. sing. f. da i"D*\", –"H, cuore; cf. Mc 2,6; compl. di moto a luogo.
•88z: (= •88V), cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però,
piuttosto, nondimeno; cf. Mc 1,44.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
i@48\"<: sost., acc. sing. f. da i@48\", –"H, ventre, stomaco, pancia; compl. di moto a luogo.
Il vocabolo ricorre 22 volte nel NT: Mt 12,40; 15,17; 19,12; Mc 7,19 (hapax marciano); Lc
1,15.41.42.44; 2,21; 11,27; 23,29; Gv 3,4; 7,38; At 3,2; 14,8; Rm 16,18; 1Cor 6,13[x2]; Gal
1,15; Fil 3,19; Ap 10,9.10. Il termine i@48\" è propriamente la «cavità» in relazione al corpo
umano o animale (cf. Ippocrate, Artic., 46,6.22), in particolare la cavità del basso ventre,
equivalente, a seconda del contesto, alle viscere, allo stomaco, all’intestino, al grembo o più
raramente all’utero (cf. Nm 5,21.22.27; Is 44,2.24; 46,3; 49,1.5; Lc 1,15.41.42.44; 2,21;
11,27; Fil 3,19; 1Cor 6,13; 1Tm 5,23; Ap 10,9–10).
518 Mc 7,19

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
•ng*Dä<": sost., acc. sing. m. da •ng*Df<, –ä<@H (da •B` e ª*D"), latrina, fogna; compl.
di moto a luogo. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mt 15,17; Mc 7,19 (hapax marciano).
Sconosciuto al greco classico, il sostantivo •ng*Df< è raro anche in quello biblico, dove
ricorre soltanto nelle 2 ricorrenze indicate nel significato di «latrina».
¦iB@DgbgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da ¦iB@Dgb@:"4, uscire, venire fuori,
andare, recarsi, accorrere; cf. Mc 1,5.
i"h"D\.T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da i"h"D\.T, rendere pulito, mondare,
purificare, guarire; cf. Mc 1,40. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH.
Talvolta, come qui, il participio predicativo viene usato in modo staccato, a continuazione
o a conclusione di una precedente proposizione («E [Gesù] diceva loro…», v. 18). Questa
struttura forma una specie di anacoluto che nella traduzione deve necessariamente essere
esplicitato con un tempo finito, una proposizione dipendente o una circonlocuzione.
BV<J": agg. indefinito, acc. plur. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; attributo di $Df:"J", qui senza articolo perché in posizione predicativa.
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
$Df:"J": sost., acc. plur. n. da $Dä:", –"J@H, alimento, cibo, pasto; compl. oggetto. Il
vocabolo ricorre 17 volte nel NT: Mt 14,15; Mc 7,19 (hapax marciano); Lc 3,11; 9,13; Gv
4,34; Rm 14,15[x2].20; 1Cor 3,2; 6,13[x2]; 8,8.13; 10,3; 1Tm 4,3; Eb 9,10; 13,9. Nella
grecità il sostantivo $Dä:" ricorre nel significato proprio di «alimento», «cibo solido» (cf.
Tucidide, Hist., 4,26,5; Senofonte, Mem., 4,7,9). Nel NT il termine è usato in senso sia
letterale proprio sia figurato (metaforico, tipologico). La frase i"h"D\.T< BV<J" J
$Df:"J" è sintatticamente sospesa: è difficile esplicitarne il significato corrispondente. Vi
sono varie possibilità, tutte grammaticalmente sostenibili: a) i"h"D\.T< è un participio
congiunto di valore consecutivo da legare a i"Â 8X(g4 "ÛJ@ÃH…, come una ulteriore e
conclusiva esplicitazione (= «…dichiarando in tal modo puri tutti i cibi»); b) la frase è una
glossa marginale staccata, il commento dell’Autore o di qualche altro redattore (= «Tutti i
cibi sono, dunque, dichiarati puri»); c) i"h"D\.T< è un participio nominativo che, mediante
un anacoluto, deve essere collegato con l’accusativo •ng*Dä<" (= «…finisce nella latrina
che elimina tutti i cibi»); d) si tratta dell’inizio di una nuova proposizione, alla quale la frase
si riferisce come introduzione (= «Dopo aver dichiarato puri tutti i cibi, aggiungeva…»). Da
un punto di vista sintattico la soluzione a) è da preferire. In ogni caso il significato del detto
è cristallino: tutti i cibi sono dichiarati “puri” da Gesù, come più tardi ripeterà Paolo (cf. Rm
14,14.20). Affermando che il cibo materiale è indifferente ai fini religiosi, Gesù segna
definitivamente il superamento della distinzione tra cibi «mondi» e cibi «immondi», tipica
delle prescrizioni del giudaismo.
Mc 7,20 519

7,20 §8g(g< *¥ ÓJ4 IÎ ¦i J@Ø •<hDfB@L ¦iB@DgL`:g<@<s ¦igÃ<@ i@4<@à JÎ<


–<hDTB@<.
7,20 E aggiunse: «È ciò che esce dall’uomo a contaminare l’uomo!

§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’espressione [i"Â] §8g(g< "ÛJ@ÃH…, «[e] diceva loro…»; i"Â §8g(g<…, «e
diceva…» posta all’inizio di una proposizione è usata da Marco come formula abituale di
raccordo per unire sentenze staccate o una serie di sentenze (cf. Mc 2,27; 4,11.21.24.26.30;
6,4.10; 7,9.20; 8,21; 9,1; 11,17; 14,36). L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo
(«diceva», «continuava a dire»), ma quello puntuale corrispondente a un aoristo («disse»). Per
altri esempi di questo imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23;
4,2.9.11.21.24.26.30.41; 5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28;
12,35.38; 14,70; 15,12a.14; per quanto riguarda l’imperfetto puntuale con ¦BgDTJVT cf. Mc
5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33; 10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; con ¦DTJVT cf. Mc 4,10;
8,5.
*X: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti, dunque, quindi; cf. Mc 1,8.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
I`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•<hDfB@L: sost., gen. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di moto da luogo.
¦iB@DgL`:g<@<: verbo, nom. sing. n. part. pres. medio, di valore sostantivato, da ¦iB@Dgb@-
:"4, uscire, venire fuori, andare, recarsi, accorrere; cf. Mc 1,5. La frase JÎ ¦i J@Ø
•<hDfB@L ¦iB@DgL`:g<@< costituisce il soggetto al nominativo pendente, in quanto il
verbo principale i@4<@Ã è retto dal pronome dimostrativo “quello”, secondo la fraseologia
popolare.
¦igÃ<@: pron. dimostrativo, nom. sing. n. da ¦igÃ<@H, –0, –@, quello, quegli, colui, esso; cf. Mc
1,9; soggetto. Questo pronome riprende in forma enfatica e semitizzante il soggetto al
nominativo pendente JÎ ¦i J@Ø •<hDfB@L ¦iB@DgL`:g<@<. Letteralmente: «ciò che esce
dall’uomo, quello contamina l’uomo!».
i@4<@Ã: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da i@4<`T, [rendere comune], contaminare, dichiarare
impuro, profanare; cf. Mc 7,15.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
–<hDTB@<: sost., acc. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
oggetto.
520 Mc 7,21

7,21 §FThg< (D ¦i J­H i"D*\"H Jä< •<hDfBT< @Ê *4"8@(4F:@ @Ê i"i@Â


¦iB@Dgb@<J"4s B@D<gÃ"4s i8@B"\s n`<@4s
7,21 Dal di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive:
immoralità, furti, omicidi,

§FThg<: avv. di luogo, indecl., dall’interno, dal di dentro, da dentro. Il vocabolo ricorre 12
volte nel NT: Mt 7,15; 23,25.27.28; Mc 7,21.23; Lc 11,7.39.40; 2Cor 7,5; Ap 4,8; 5,1.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
i"D*\"H: sost., gen. sing. f. da i"D*\", –"H, cuore; cf. Mc 2,6; compl. di moto da luogo.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
•<hDfBT<: sost., gen. plur. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di specificazione.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
*4"8@(4F:@\: sost., nom. plur. m. da *4"8@(4F:`H, –@Ø, pensiero, ragionamento; soggetto.
Il vocabolo ricorre 14 volte nel NT: Mt 15,19; Mc 7,21 (hapax marciano); Lc 2,35; 5,22; 6,8;
9,46.47; 24,38; Rm 1,21; 14,1; 1Cor 3,20; Fil 2,14; 1Tm 2,8; Gc 2,4. Nella grecità il
sostantivo *4"8@(4F:`H indica il «ragionamento» interiore, la «considerazione» (cf.
Giuseppe Flavio, Bellum, 1,320; Test. Iud., 14,3; Strabone, Geogr., 5,3,7). Queste intenzioni
o pensieri cattivi, frutto della mente presso i Greci, escono qui «dal cuore», poiché secondo
la mentalità semitica la sede dell’attività cosciente e intellettiva non è la mente, ma il cuore.
Nella Bibbia assai ricorrente è l’espressione «i pensieri del cuore». Un altro esempio
marciano di questo cuore che pensa si trova in Mc 2,6.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
i"i@\: agg. qualificativo, nom. plur. m. da i"i`H, –Z, –`<, cattivo, malvagio, pernicioso;
attributo di *4"8@(4F:@\. Il vocabolo ricorre 50 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli
è la seguente: Mt 21,41; 24,48; 27,23; Mc 7,21; 15,14; Lc 16,25; 23,22; Gv 18,23.30.
Modellato sull’uso del corrispondente contrario •("h`H (buono/bene) il termine i"i`H
indica nella grecità un generico e indeterminato concetto di “male”, la cui traduzione deve
essere specificata se il contesto o un altro nesso semantico lo impongono.
¦iB@Dgb@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. medio da ¦iB@Dgb@:"4, uscire, venire fuori,
andare, recarsi, accorrere; cf. Mc 1,5.
B@D<gÃ"4: sost., nom. plur. f. da B@D<g\", –"H, prostituzione, adulterio, immoralità;
apposizione di *4"8@(4F:@Â i"i@\. Il vocabolo ricorre 25 volte nel NT: Mt 5,32; 15,19;
19,9; Mc 7,21 (hapax marciano); Gv 8,41; At 15,20.29; 21,25; 1Cor 5,1[x2]; 6,13.18; 7,2;
2Cor 12,21; Gal 5,19; Ef 5,3; Col 3,5; 1Ts 4,3; Ap 2,21; 9,21; 14,8; 17,2.4; 18,3; 19,2.
Analogamente a quanto avviene nel greco classico il vocabolo B@D<g\" indica, anzitutto,
la «prostituzione» femminile (cf. Ippocrate, Epid., 7,1,122), come si evince dai sostantivi
semanticamente corrispondenti: B@D<gÃ@<, «postribolo» (cf. Aristofane, Ves., 1283),
Mc 7,22 521

B`D<gL:", «prostituzione» (cf. P.Grenf., 1,53,20), B@D<gbJD4", «prostituta» (cf. Aristofane,


Frag., 124), B`D<0, «prostituta, (cf. Aristofane, Eq., 1400), B@D<\*4@<, «puttanella» (cf.
Aristofane, Nub., 997). In senso generico B@D<g\" indica ogni comportamento immorale in
campo sessuale, suscettibile di essere meglio identificato in base al contesto (infedeltà
coniugale, adulterio, ecc.). I sostantivi che seguono, 6 al plurale per indicare atti esteriori e
6 al singolare per indicare intenzioni, sono privi di articolo perché considerati categorie
generalizzanti. Cataloghi di peccati e vizi erano comuni nel giudaismo ellenistico (cf. Sap
14,25–26; 1Hen., 91,6–7; Test. Rub., 3,3–6; Test. Iud., 16,1.3; 3Bar., 4,17; 4Mac., 1,3–4 e
soprattutto Filone di Alessandria, Sacrif., 32,1–23, che può essere considerato la “summa”
di questo genere letterario). Nel NT ritroviamo altri elenchi di peccati in Mc 7,21–22 (// Mt
15,19); Rm 1,29–31; 13,13; 1Cor 5,10–11; 6,9–10; 2Cor 12,20–21; Gal 5,19–21; Ef 5,3–5;
Col 3,5.8; 1Tm 1,9–10; 2Tm 3,2–5; Tt 3,3; 1Pt 2,1; 4,3.15; Ap 21,8; 22,15.
i8@B"\: sost., nom. plur. f. da i8@BZ, –­H, furto, rapina; apposizione di *4"8@(4F:@Â
i"i@\. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mt 15,19; Mc 7,21 (hapax marciano). Nell’uso
classico il sostantivo i8@BZ indica il generico «furto», «rapimento» (cf. Eschilo, Ag., 402;
Euripide, Hel., 1175; Platone, Prot., 322a).
n`<@4: sost., nom. plur. m. da n`<@H, –@L, assassinio, omicidio; apposizione di *4"8@(4F:@Â
i"i@\. Il vocabolo ricorre 9 volte nel NT: Mt 15,19; Mc 7,21; 15,7; Lc 23,19.25; At 9,1;
Rm 1,29; Eb 11,37; Ap 9,21. A partire da Omero il sostantivo n`<@H indica l’«uccisione»
violenta, ossia l’«assassinio» (cf. Omero, Od., 2,165; Euripide, Or., 1579).

7,22 :@4PgÃ"4s B8g@<g>\"4s B@<0D\"4s *`8@Hs •FX8(g4"s Ïnh"8:ÎH B@<0D`Hs


$8"Fn0:\"s ßBgD0n"<\"s •nD@Fb<0·
7,22 adulteri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia,
stoltezza.

:@4PgÃ"4: sost., nom. plur. f. da :@4Pg\", –"H, adulterio; apposizione di *4"8@(4F:@Â i"i@\.
Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mt 15,19; Mc 7,22 (hapax marciano); Gv 8,3. Derivato
dalla radice :@4P– di :@4PgbT, «commettere adulterio» e dal suffisso nominale –g\", a
indicare l’azione e l’effetto dell’azione, il termine :@4Pg\" è usato nel greco classico sia in
senso tecnico per definire l’adulterio sia nel significato più ampio di «amore illecito» (cf.
Lisia, Or., 1,36).
B8g@<g>\"4: sost., nom. plur. f. da B8g@<g>\", –"H, bramosia, avidità, cupidigia; apposizione
di *4"8@(4F:@Â i"i@\. Il vocabolo ricorre 10 volte nel NT: Mc 7,22 (hapax marciano);
Lc 12,15; Rm 1,29; 1Cor 9,5; Ef 4,19; 5,3; Col 3,5; 1Ts 2,5; 2Tm 2,3.14. Il termine
B8g@<g>\" deriva dal neutro B8X@< di B8XT<, «il di più», seguito dal tema ¦P– di §PT,
«avere», più il suffisso nominale –F\", a indicare uno stato, una qualità: «l’avere il di più»,
ossia il «vantaggio», il «guadagno», l’«eccesso» e nell’ambito morale l’«avidità», la
«cupidigia». Nella antica cultura greca la B8g@<g>\" è considerata come uno dei vizi
peggiori, «la causa dei mali più grandi» (cf. Dione Crisostomo, Or., 17,6) perché era contraria
a quella armonia, misura e buon ordine che sono propri delle cose create. Anche presso i
latini la cupiditas era considerata come una «aegrotatio animi», «una malattia dell’anima» (cf.
522 Mc 7,22

Cicerone, Tusc., 4,79). Nell’uso neotestamentario prevale il concetto di B8g@<g>\" intesa


come avidità di un possesso materiale: nella ricorrenza marciana si tratta di un impulso
interiore che spinge l’uomo al possesso smodato di beni.
B@<0D\"4: sost., nom. plur. f. da B@<0D\", –"H, cattiveria, malvagità, depravazione;
apposizione di *4"8@(4F:@Â i"i@\. Il vocabolo ricorre 7 volte nel NT: Mt 22,18; Mc 7,22
(hapax marciano); Lc 11,39; At 3,26; Rm 1,29; 1Cor 5,8; Ef 6,12. Nella grecità il sostantivo
B@<0D\" compare con due accezioni fondamentali: in ambito profano esprime il concetto
originario e generico equivalente a «cattiva condizione», detto della salute fisica (cf. Platone,
Resp., 609c), dello Stato (cf. Tucidide, Hist., 8,47,2), ecc. Nell’ambito morale equivale a
«malvagità», «cattiveria» (cf. Aristofane, Nub., 1066; Senofonte, Cyr., 7,5,75). Nel NT il
termine è presente soltanto in questo secondo significato, per indicare le cattiverie che
caratterizzano il genere letterario dei cataloghi di vizi.
*`8@H: sost., nom. sing. m. da *`8@H, –@L, furbizia, falsità, astuzia, inganno; apposizione di
*4"8@(4F:@Â i"i@\. Il vocabolo ricorre 11 volte nel NT: Mt 26,4; Mc 7,22; 14,1; Gv
1,47; At 13,10; Rm 1,29; 2Cor 12,16; 1Ts 2,3; 1Pt 2,1.22; 3,10. Dal significato originale di
«esca» per pesci (cf. Omero, Od., 12,252), per estensione il termine ha assunto il significato
di «trappola», «insidia» (cf. Omero, Od., 8,282) e, quindi, «inganno», «frode», «falsità» (cf.
Omero, Il., 23,725; Od., 9,406; Eschilo, Prom., 213). Nelle ricorrenze neotestamentarie il
termine è usato per indicare il comportamento di falsità e inganno che sconvolge le relazioni
interpersonali e si pone in contrasto con la volontà di Dio.
•FX8(g4": sost., nom. sing. f. da •FX8(g4", –"H, scostumatezza, licenziosità, lascivia,
spudoratezza, insolenza; apposizione di *4"8@(4F:@Â i"i@\. Il vocabolo ricorre 10 volte
nel NT: Mc 7,22 (hapax marciano); Rm 13,13; 2Cor 12,21; Gal 5,19; Ef 4,19; 1Pt 4,3; 2Pt
2,2.7.18; Gd 1,4. In quasi tutte le ricorrenze neotestamentarie il vocabolo indica non
l’«insolenza», la «brutalità», come avviene nel greco profano (cf. Platone, Resp., 424e),
quanto la «dissolutezza» morale in ambito sessuale (cf. Polibio, Hist., 36,15,4). In 2Pt 2,7 tale
sfrenatezza è presentata come caratteristica di Sodoma e Gomorra, in Ef 4,19 dei pagani.
Ïnh"8:`H: sost., nom. sing. m. da Ïnh"8:`H, –@Ø, occhio; apposizione di *4"8@(4F:@Â
i"i@\. Il vocabolo ricorre 100 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 24
volte in Matteo (corrispondente allo 0,131% del totale delle parole); 7 volte in Marco (cf. Mc
7,22; 8,18.25; 9,47[x2]; 12,11; 14,40 = 0,062%); 17 volte in Luca (0,087%); 18 volte in
Giovanni (0,115%). A partire da Omero il sostantivo Ïnh"8:`H indica l’«occhio», in senso
sia letterale proprio che figurato (cf. Omero, Il., 10,275; Od., 8,459). Nella maggior parte
delle ricorrenze neotestamentarie Ïnh"8:`H è impiegato in senso letterale proprio per
indicare l’organo della vista, anche se in qualche caso il vocabolo può indicare metaforica-
mente la capacità della percezione sensibile e la stessa comprensione o conoscenza che
deriva dall’esperienza visiva. Qui la locuzione «occhio cattivo» equivale probabilmente
all’invidia.
B@<0D`H: agg. qualificativo, nom. sing. m. da B@<0D`H, –V, –`<, cattivo, malvagio; attributo
di Ïnh"8:`H. Il vocabolo ricorre 78 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
26 volte in Matteo (corrispondente allo 0,142% del totale delle parole); 2 volte in Marco (cf.
Mc 7,22.23 = 0,018%); 13 volte in Luca (0,067%); 3 volte in Giovanni (0,019%).
Mc 7,23 523

L’aggettivo B@<0D`H copre nella grecità un’ampia gamma semantica, potendo indicare a
seconda del contesto ciò che è «penoso», «fastidioso» (cf. Aristofane, Pl., 352), ciò che è
«inetto», «inutile» (cf. Aristofane, Pl., 220) oppure ciò che è «spregevole», «grossolano» (cf.
Senofonte, Cyr., 1,4,19; Aristofane, Nub., 542). In ambito morale, riferito a persone, equivale
a «cattivo», «malvagio» (cf. Aristofane, Pl., 502; Senofonte, Cyr., 8,4,33). Analogamente a
quanto avviene per il sostantivo B@<0D\" (cf. sopra, 7,22), l’aggettivo B@<0D`H è
prevalentemente impiegato nel NT nel significato etico e morale.
$8"Fn0:\": sost., nom. sing. f. da $8"Fn0:\", –"H, maldicenza, ingiuria, bestemmia; cf. Mc
3,28; apposizione di *4"8@(4F:@Â i"i@\.
ßBgD0n"<\": sost., nom. sing. f. da ßBgD0n"<\", –"H, altezzosità, arroganza, alterigia;
apposizione di *4"8@(4F:@Â i"i@\. Hapax neotestamentario. Derivato dall’aggettivo
ßBgDZn"<@H il sostantivo ßBgD0n"<\" nella sua accezione etimologica indica l’alterigia,
l’altezzosità, la vanteria, l’arroganza e la superbia che derivano dalla presunzione (falsa) di
possedere uno status che altri non hanno, quali, ad esempio, il proprio modo di vivere (cf.
Demostene, Or., 21,137), il proprio carattere (cf. Senofonte, Cyr., 5,2,27), la propria
considerazione rispetto gli dèi e gli altri uomini (cf. Platone, Resp., 391c). Nei LXX
ßBgD0n"<\" ricorre 40 volte, soprattutto nei Salmi e negli scritti sapienziali, per descrivere
l’arroganza del cuore e della mente (cf. Sal 18,28; 89,11; 94,2; 101,5; 119,21.51.69.78.122;
123,4; 140,6; Prv 3,34; Gb 38,15; 40,12; Sap 14,6; Sir 3,28; 11,30; 13,1.20; 21,4; 23,8; 25,2;
27,15.28; 31,26; 32,12.18). Nel NT il sostantivo ricorre soltanto in Mc 7,22, mentre
dell’aggettivo ßBgDZn"<@H si hanno 5 attestazioni (cf. Lc 1,51; Rm 1,30; 2Tm 3,2; Gc 4,6;
1Pt 5,5).
•nD@Fb<0: sost., nom. sing. f. da •nD@Fb<0, –0H, sciocchezza, stoltezza; apposizione di
*4"8@(4F:@Â i"i@\. Il vocabolo ricorre 4 volte nel NT: Mc 7,22 (hapax marciano); 2Cor
11,1.17.21. In conformità all’etimologia (•– privativa, tema nD@< di nD@<XT, «essere
assennato» e suffisso nominale –Fb<0 a indicare una qualità) il vocabolo indica una
insensatezza intesa come mancanza o difetto della ragione (cf. Omero, Il., 7,110; Erodoto,
Hist., 3,146,1): non si tratta di un difetto in ambito morale, comportamentale, ma razionale
(insipienza). Posta a conclusione dell’elenco dei vizi, l’•nD@Fb<0 è il male fondamentale:
indica l’errato giudizio che è profondamente radicato nell’uomo «senza senno», caratteristica
del pagano che non conosce la legge (cf. Rm 1,29–31).

7,23 BV<J" J"ØJ" J B@<0D §FThg< ¦iB@DgbgJ"4 i" i@4<@à JÎ< –<hDTB@<.
7,23 Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e contaminano l’uomo».

BV<J": agg. indefinito, nom. plur. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; attributo di B@<0DV, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J"ØJ": pron. dimostrativo, nom. plur. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 2,8;
attributo di B@<0DV, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
JV: art. determ., nom. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
524 Mc 7,24

B@<0DV: agg. qualificativo, di valore sostantivato, nom. plur. n. da B@<0D`H, –V, –`<, cattivo,
malvagio; cf. Mc 7,22.
§FThg<: avv. di luogo, indecl., dall’interno, dal di dentro, da dentro; cf. Mc 7,21.
¦iB@DgbgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da ¦iB@Dgb@:"4, uscire, venire fuori,
andare, recarsi, accorrere; cf. Mc 1,5. Quando il soggetto è un neutro plurale (come nel
nostro caso) il verbo è per lo più al singolare (è il cosiddetto «schema Atticum»), soprattutto
se i soggetti appartengono al mondo materiale e inanimato e, perciò, possono essere
considerati come una massa. Ritroviamo questo fenomeno in Mc 4,8.11.36; 7,15.23;
13,4[x2].
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
i@4<@Ã: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da i@4<`T, [rendere comune], contaminare, dichiarare
impuro, profanare; cf. Mc 7,15.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
–<hDTB@<: sost., acc. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17;
soggetto.

7,24 z+igÃhg< *¥ •<"FJH •B­8hg< gÆH J ÓD4" IbD@L. i" gÆFg8hã< gÆH @Æi\"<
@Û*X<" ³hg8g< (<ä<"4s i"Â @Ûi ²*L<Zh0 8"hgÃ<·
7,24 Partito di là andò nella regione di Tiro. Entrò in una casa e non voleva che qualcuno
lo sapesse, ma non poté restare nascosto.

z+igÃhg<: avv. di luogo, indecl., di là, da lì; cf. Mc 6,1. A quale indicazione geografica
corrisponde questa generica informazione locale? Probabilmente l’avverbio «di là» si
riferisce alla «casa» menzionata in Mc 7,17.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
•<"FJVH: verbo, nom. sing. m. part. aor. da •<\FJ0:4 (da •<V e ËFJ0:4), sorgere, alzarsi,
sollevarsi, risorgere, risuscitare; cf. Mc 1,35. Participio predicativo di valore espletivo del
soggetto sottinteso z30F@ØH. La costruzione formata dal participio •<"FJVH («essendosi
alzato…») + un verbo di movimento (cf. Mc 1,35; 2,14; 7,24; 10,1) è comunemente
utilizzata nella lingua ebraica e aramaica per segnalare uno stacco narrativo o un cambio di
scena: sebbene si conosca un uso anche nel greco classico, la formula che ritroviamo in
Marco è dovuta a un semitismo. La frase è stereotipa e nella traduzione può essere omessa.
•B­8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •BXDP@:"4 (da •B` e §DP@:"4), andare via,
partire; cf. Mc 1,20.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
ÓD4": sost., acc. plur. n. da ÓD4@<, –@L, confine, regione, distretto, terra, territorio; cf. Mc 5,17;
compl. di moto a luogo.
Mc 7,24 525

IbD@L: sost., nome proprio di città, gen. sing. f. da IbD@H, –@L, Tiro; cf. Mc 3,8; compl. di
specificazione. I «territori di Tiro» indicano la regione della costa mediterranea (= la Fenicia)
che a quel tempo era incorporata alla provincia romana della Siria. Che Gesù sia arrivato sino
alla città di Tiro qui non è detto esplicitamente; in ogni caso ci troviamo fuori dai confini
tradizionali dell’Israele antico. Giuseppe Flavio parla di Tiro come la frontiera settentrionale
della Galilea (cf. Id., Bellum, 3,38) e aggiunge che gli abitanti di Tiro erano acerrimi nemici
dei Giudei (cf. Id., Contra Ap., 1,71), tanto che allo scoppio della guerra giudaica nel 66 d.C.
i suoi abitanti fecero prigionieri e uccisero molti Giudei (cf. Id., Bellum, 2,478). L’importanza
della segnalazione locale sta nel fatto che Gesù entra in un territorio che non è soltanto
pagano, ma anche potenzialmente ostile.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
gÆFg8hf<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare, venire
dentro, recarsi, andare; cf. Mc 1,21. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH.
Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo composto viene ripetuta davanti al
successivo complemento indiretto, come qui; questo fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].
25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33;
9,25[x2].28.43.45. 47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
@Æi\"<: sost., acc. sing. f. da @Æi\", –"H, casa, abitazione, dimora; cf. Mc 1,29; compl. di moto
a luogo.
@Û*X<": (da @Û*X e gÍH), pron. indefinito negativo, acc. sing. m. da @Û*g\H, @Û*g:\", @Û*X<,
nessuno, niente; cf. Mc 2,21; soggetto, in posizione enfatica, della proposizione oggettiva
costruita con il verbo infinito (<ä<"4.
³hg8g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da hX8T, volere, avere il proposito di; cf. Mc 1,40.
Imperfetto durativo o iterativo.
(<ä<"4: verbo, inf. aor. da (4<fFiT, percepire, sentire, conoscere, capire; cf. Mc 4,13.
i"\: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, però; cf. Mc 1,4. Il
significato avversativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ adversativum)
si riscontra in Mc 1,13c; 3,7b.12.33a; 4,17a.19a.27d; 5,19a; 6,19b.20d.33a; 7,24b.28b;
8,12.16.29.30; 9,12a.30.31c. 42a; 10,34; 12,12b.17a; 16,8c.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
²*L<Zh0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da *b<":"4, potere, essere capace di, essere in
grado di; cf. Mc 1,40.
8"hgÃ<: verbo, inf. aor. da 8"<hV<T, essere nascosto, nascondersi, celarsi. Questo verbo
ricorre 6 volte nel NT: Mc 7,24 (hapax marciano); Lc 8,47; At 26,26; Eb 13,2; 2Pt 3,5.8.
Nella grecità il verbo 8"<hV<T assume il significato fondamentale di «essere» o «stare
nascosto», «sfuggire all’attenzione» (cf. Omero, Il., 12,390; Eschilo, Ag., 796; Tucidide, Hist.,
1,37,4).
526 Mc 7,25

7,25 •88z gÛh×H •i@bF"F" (L<¬ BgD "ÛJ@Øs ºH gÉPg< JÎ hL(VJD4@< "ÛJ­H
B<gØ:" •iVh"DJ@<s ¦8h@ØF" BD@FXBgFg< BDÎH J@×H B`*"H "ÛJ@Ø·
7,25 Subito, infatti, appena seppe di lui, una donna, la cui figlia era posseduta da uno
spirito cattivo, andò e si gettò ai suoi piedi.

•88z: (= •88V), cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però,
piuttosto, nondimeno; cf. Mc 1,44.
gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10. L’espressione •88z gÛhbH
è unica in Marco, il quale è solito adoperare i"Â gÛhbH (cf. Mc 1,10.12.18.20.21.
23.29.30.42; 2,8.12; 4,5; 5,29.30.42; 6,27.45; 8,10; 9,15; 10,52; 11,2.3; 14,43.72; 15,1): la
formula non introduce un contrasto o una contrapposizione, ma soltanto una novità o un
elemento di discontinuità rispetto alla precedente narrazione.
•i@bF"F": verbo, nom. sing. f. part. aor. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. Participio predicativo, coordinato per asindeto, al
soggetto (L<Z.
(L<Z: sost., nom. sing. f. da (L<Z, (L<"4i`H, donna; cf. Mc 5,25; soggetto. Senza articolo
perché anonima e non ancora presentata.
BgD\: prep. propria con valore di argomento, seguita dal genitivo, indecl., intorno a, riguardo
a, nei confronti di, circa; cf. Mc 1,6.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di argomento.
½H: pron. relativo, gen. sing. f. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; compl. di specificazione. La forma
½H ricorre 49 volte nel NT rispetto alle 1407 ricorrenze totali di questo pronome. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 2 volte in Matteo (corrispondente allo 0,011% del
totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc 7,25; 16,9 = 0,018%); 4 volte in Luca
(0,021%); 1 volta in Giovanni (0,006%).
gÉPg<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. L’espressione letterale «aveva uno
spirito cattivo», corrisponde a «era posseduta da uno spirito cattivo», come spesso avviene
per analoghe espressioni con §PT (cf. Mc 3,22.30; 5,15; 7,25; 9,17).
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
hL(VJD4@<: sost., nom. sing. n. da hL(VJD4@<, –@L, fanciulla, figlioletta; soggetto; cf. Mc
5,23. L’uso dei diminutivi è una delle caratteristiche dello stile marciano (cf. Mc 3,9;
5,23.39.41; 6,9; 7,25.27.28.30; 8,7; 9,24.36.37; 10,13–14; 14,47) e più in generale del greco
ellenistico.
"ÛJ­H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,30; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»). L’espressione ½H… "ÛJ­H…, «di lei»… della quale…», con il
raddoppiamento enfatico del pronome dimostrativo/personale, è di stile semitico; analoghe
costruzioni in Mc 1,7; 4,25[x2]; 7,25.
Mc 7,26 527

B<gØ:": sost., acc. sing. n. da B<gØ:", –"J@H, alito, soffio, vento, spirito, Spirito; cf. Mc 1,8;
compl. oggetto. Senza articolo perché ancora sconosciuto.
•iVh"DJ@<: agg. qualificativo, acc. sing. n. da •iVh"DJ@H, –@< (da –8n" privativa e
i"h"\DT), non pulito, sporco, immondo, impuro; cf. Mc 1,23; attributo di B<gØ:".
¦8h@ØF": verbo, nom. sing. f. part. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto
(L<Z. Per altri esempi di participio espletivo con il verbo §DP@:"4 cf. Mc 5,23; 7,25; 12,42;
14,40.45; 16,1.
BD@FXBgFg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da BD@FB\BJT (da BD`H e B\BJT), cadere in
avanti, cadere giù, prostrarsi; cf. Mc 3,11. Spesso la preposizione posta come prefisso a un
verbo composto viene ripetuta davanti al successivo complemento indiretto, come qui;
questo fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17;
6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16;
15,32; 16,5. Per quanto riguarda il significato della prostrazione nell’antichità vedi commento
a Mc 5,6; 10,17; 15,19.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
B`*"H: sost., acc. plur. m. da B@bH, B@*`H, piede; cf. Mc 5,22; compl. di moto a luogo.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).

7,26 º *¥ (L<¬ µ< {+880<\Hs ELD@n@4<\i4FF" Jè (X<g4· i"Â ²DfJ" "ÛJÎ< Ë<" JÎ
*"4:`<4@< ¦i$V8® ¦i J­H hL("JDÎH "ÛJ­H.
7,26 La donna era pagana, di origine sirofenicia e lo supplicava di scacciare il demonio da
sua figlia.

º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
(L<Z: sost., nom. sing. f. da (L<Z, (L<"4i`H, donna; cf. Mc 5,25; soggetto.
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Imperfetto narrativo. La formula µF"< *X / µ< *X, analogamente a i"Â µF"< / i"Â µ<
e a µF"< (VD / µ< (VD, è usata da Marco per introdurre un inciso di valore causale o
esplicativo (cf. Mc 1,16.33; 2,15; 5,42; 6,31.44.48; 7,26; 8,9; 10,22; 11,13; 14,40; 15,25;
16,14).
{+880<\H: agg. determinativo, nom. sing. f. da {+880<\H, –\*@H, greco, pagano; predicato
nominale. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mc 7,26 (hapax marciano); At 17,12.
Unitamente al sinonimo ~+880< (25 ricorrenze neotestamentarie, nessuna nei sinottici) il
528 Mc 7,26

termine {+880<\H è impiegato in epoca ellenistica con due accezioni diverse: a) dal punto
di vista dei Greci esso è riservato per designare positivamente il «greco» di etnia o di cultura
(cf. Euripide, El., 1076; Tucidide, Hist., 1,36,3), in opposizione ai $VD$"D@4 (= «stranieri»);
b) dal punto di vista dei non–greci, come i Giudei, il termine {+880<\H viene impiegato
negativamente, come sinonimo di «pagano», in riferimento agli idolatri non appartenenti al
popolo eletto. Nel nostro caso il termine è, dunque, ambivalente: può essere inteso sia come
riferimento neutro alla lingua o alla cultura (= una donna «greca») sia come accezione
religiosa comportante un giudizio negativo da parte di chi scrive (= una donna «pagana»). In
entrambi i casi si sottolinea l’origine non giudica della donna. Poiché il successivo termine
ELD@n@4<\i4FF" fa chiaro riferimento all’origine etnografica è molto probabile che
{+880<\H venga impiegato nel significato di «pagano».
ELD@n@4<\i4FF": sost., nome proprio di popolo, nom. sing. f. da ELD@n@4<\i4FF", –0H (da
EbD@H e M@4<\i0), Sirofenicia; predicato nominale. Hapax neotestamentario e, sembra,
della lingua greca (il maschile ELD@n@Ã<4> è attestato a partire dal II secolo d.C., cf.
Luciano, Concil., 4,5). La specificazione riportata da Marco fa riferimento all’origine etnica
della donna, la quale abitava nella regione costiera della provincia romana della Siria, detta
in epoca ellenistica ELD@n@Ã<4> (cf. Diodoro Siculo, Bibl., 19,93,7: M@Ã<4> ELD\"), per
distinguere la Fenicia vera e propria dalla Libio–Fenicia, conosciuta come 7L$L@n@Ã<4> (cf.
Polibio, Hist., 3,33,15; Diodoro Siculo, Bibl., 17,113,2).
Jè: art. determ., dat. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
(X<g4: sost., dat. sing. n. da (X<@H, –@LH, nascita, genere, stirpe, discendenza, nazionalità;
compl. di limitazione. Il vocabolo ricorre 20 volte nel NT: Mt 13,47; Mc 7,26; 9,29; At
4,6.36; 7,13.19; 13,26; 17,28.29; 18,2.24; 1Cor 12,10.28; 14,10; 2Cor 11,26; Gal 1,14; Fil
3,5; 1Pt 2,9; Ap 22,16. Il termine viene usato nella grecità per indicare la «nascita» sia come
avvenimento anagrafico sia come «origine» geografica (cf. Omero, Il., 5,544; Od., 14,199)
sia come «stirpe», «razza» etnica (cf. Omero, Od., 17,523; Sofocle, Oed. tyr., 1383).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
²DfJ": verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da ¦DTJVT, chiedere, domandare, interrogare; cf. Mc
4,10. Imperfetto durativo o iterativo.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
Ë<": cong. subordinativa di valore completivo, indecl., di, che; cf. Mc 1,38. La congiunzione Ë<"
non ha qui il consueto valore finale, ma quello completivo (equivalente a ÓJ4 o ÓBTH): in
pratica introduce una proposizione infinitiva (cf. Mc 3,9a.12; 4,22a; 5,10.18.43; 6,8.12.25.56;
7,26.32.36; 8,22.30; 9,9.12.18.30; 10,35.37; 11,16; 13,34; 15,21).
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
*"4:`<4@<: sost., acc. sing. n. da *"4:`<4@<, –@L, demonio, spirito cattivo; cf. Mc 1,34;
compl. oggetto. Solo in questa pericope di parla di *"4:`<4@<, al singolare (cf. Mc
7,26.29.30): altrove sempre di *"4:`<4", al plurale (cf. Mc 1,34[x2].39; 3,15.22[x2]; 6,13;
9,38; 16,9.17).
Mc 7,27 529

¦i$V8®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da ¦i$V88T (da ¦i e $V88T), scacciare, mandare
via, fare uscire, espellere; cf. Mc 1,12. Spesso la preposizione posta come prefisso a un
verbo composto viene ripetuta davanti al successivo complemento indiretto, come qui; questo
fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56;
7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
hL("JD`H: sost., gen. sing. f. da hL(VJ0D, –JD`H, figlia; cf. Mc 5,34; compl. di moto da
luogo.
"ÛJ­H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,30; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).

7,27 i" §8g(g< "ÛJ±s }!ngH BDäJ@< P@DJ"Fh­<"4 J JXi<"s @Û (VD ¦FJ4<
i"8Î< 8"$gÃ< JÎ< –DJ@< Jä< JXi<T< i" J@ÃH iL<"D\@4H $"8gÃ<.
7,27 Ed egli le disse: «Lascia prima che si sfamino i figli; non è bene, infatti, prendere il
pane dei figli e gettarlo ai cagnolini».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo («diceva», «continuava a
dire»), ma quello puntuale corrispondente a un aoristo («disse»). Per altri esempi di questo
imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24.26.30.41;
5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70; 15,12a.14; per
quanto riguarda l’imperfetto puntuale con ¦BgDTJVT cf. Mc 5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33;
10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; con ¦DTJVT cf. Mc 4,10; 8,5.
"ÛJ±: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. f. da "ÛJ`H, –Z, –`,
[quello], egli, lui, esso; cf. Mc 5,23; compl. di termine.
}!ngH: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare,
rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18.
BDäJ@<: avv. di tempo, indecl., prima, prima di tutto, in primo luogo; cf. Mc 3,27. L’avverbio
BDäJ@< viene usato anche in altri passi di Marco in relazione ai tempi che scandiscono il
piano salvifico di Dio: in Mc 9,11–12 si riferisce al ministero del precursore che deve venire
«prima» di quello del Figlio dell’uomo. In Mc 13,10 si riferisce all’evangelizzazione dei
pagani «prima» della fine del mondo.
P@DJ"Fh­<"4: verbo, inf. aor. pass. da P@DJV.T, ingrassare, riempire, saziare; cf. Mc 6,42.
Probabilmente si tratta di un passivo divino: in tal caso la traduzione più appropriata è «siano
sfamati».
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
530 Mc 7,27

JXi<": sost., acc. plur. n. da JXi<@<, –@L, figlio, bambino; cf. Mc 2,5; soggetto della
proposizione oggettiva costruita con il verbo infinito P@DJ"Fh­<"4. Diversamente da
B"4*\@< dei vv. 29 e 30 il vocabolo JXi<@< indica il bambino dal punto di vista della
discendenza: il riferimento è alla discendenza di Abramo dei «figli» giudei (cf. Mt 3,9) che
è, insieme, discendenza divina (cf. Dt 14,1; Os 11,1). Anche se il termine JXi<@< non ricorre
spesso nei LXX per indicare il popolo di Israele, l’idea di «figli» di Dio in riferimento a
Israele è bene attestata (cf. Dt 32,20.43; Sal 82,6; Is 1,2; 63,8; Os 11,1).
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
i"8`<: agg. qualificativo, nom. sing. n. da i"8`H, –Z, –`<, bello, buono, appropriato,
conveniente; cf. Mc 4,8; predicato nominale.
8"$gÃ<: verbo, inf. aor. da 8":$V<T, prendere, afferrare, raccogliere, ricevere; cf. Mc 4,16.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
–DJ@<: sost., acc. sing. m. da –DJ@H, –@L, pane; cf. Mc 2,26; compl. oggetto.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
JXi<T<: sost., gen. plur. n. da JXi<@<, –@L, figlio, bambino; cf. Mc 2,5; compl. di specificazio-
ne.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
iL<"D\@4H: sost., dat. plur. n. da iL<VD4@<, –@L, cagnolino; compl. di termine. Il vocabolo
ricorre 4 volte nel NT: Mt 15,26.27; Mc 7,27.28. La risposta di Gesù sembra essere molto
dura, poiché nell’antico mondo giudaico dare del «cane» a qualcuno era considerato un
grave insulto (cf. 1Sam 17,43; Is 56,10–11). In forma figurata l’immagine del «cane»,
associata a quella del «maiale», viene talvolta impiegata nella letteratura rabbinica in modo
sprezzante per definire i «pagani», ossia i non appartenenti al popolo giudaico (cf. b.Shab.,
155b). Del resto nella Bibbia il cane è considerato un animale immondo e quasi sempre ha
una connotazione spregevole (cf. 1Sam 24,15; 2Re 8,13; Prv 26,11; Mt 7,6). Questa
impronta sostanzialmente negativa associata al vocabolo «cane» si ritrova anche nella
tradizione neotestamentaria e in quella cristiana, dove gli oppositori e gli eretici sono definiti
metaforicamente ib<gH, «cani» (cf. 2Pt 2,22; Fil 3,2; Ap 22,15; Ignazio di Antiochia, Ad
Eph., 7,1). Per mitigare in parte la durezza dell’epiteto sulla bocca di Gesù, si può osservare
che il diminutivo ellenistico iL<VD4@< usato da Marco, analogamente al classico iL<\*4@<,
indica non il cane randagio, ma il cucciolo domestico che veniva tollerato nelle abitazioni dei
Giudei. L’uso dei diminutivi è una delle caratteristiche dello stile marciano (cf. Mc 3,9;
5,23.39.41; 6,9; 7,25.27.28.30; 8,7; 9,24.36.37; 10,13–14; 14,47) e più in generale del greco
ellenistico.
Mc 7,28 531

$"8gÃ<: verbo, inf. aor. da $V88T, gettare, buttare, mettere; cf. Mc 2,22. Infinito di valore
finale.

7,28 º *¥ •BgiD\h0 i" 8X(g4 "ÛJès 5bD4gs i" J iL<VD4" ßB@iVJT J­H
JD"BX.0H ¦Fh\@LF4< •BÎ Jä< R4P\T< Jä< B"4*\T<.
7,28 Ma essa gli rispose: «Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano delle
briciole dei bambini!».

º: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5; soggetto.
Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale "ÛJ`H,
[quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
•BgiD\h0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico. L’espressione •B@iD4hg\H… 8X(g4, •B@iD4hg\H… gÉBg< è
ricalcata sull’ebraico 9/ G !J&H… 03HHH&, wayya‘an… wayyo) ’mer, «rispondendo… dice»,
«rispondendo… disse» (cf. Gb 8,1, ecc.). Si tratta di una tipica locuzione semitica
ridondante che può essere tradotta semplicemente con «disse», «rispose», «replicò» e simili.
Si deve osservare, inoltre, che il verbo •B@iD\<@:"4 è usato con valore semitico anche
quando (come qui) non si tratta di dare una risposta a una precisa domanda, ma soltanto
intervenire con una affermazione o una richiesta. Questa formula ricorre 16 volte in Marco
(cf. Mc 3,33; 6,37; 7,28; 8,29; 9,5.19; 10,3.24.51; 11,14.22.33; 12,35; 14,48; 15,2.12).
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
5bD4g: sost., voc. sing. m. da ibD4@H, –@L, signore, padrone, capo, Signore (riferito a Dio e
Gesù); cf. Mc 1,3; compl. di vocazione. È l’unica volta nel vangelo di Marco che una
persona, per di più straniera e pagana, si rivolge a Gesù con il titolo di «Signore» (in Mc
11,3 il titolo compare sulla bocca dello stesso Gesù). In tutti gli altri casi, sia che si tratta dei
Dodici, dei discepoli, degli avversari o della folla, si usa sempre *4*VFi"8@H (cf. Mc 4,38;
5,35; 9,17.38; 10,17.20.35; 12,14.19.32; 13,1; 14,14), Õ"$$\ (cf. Mc 9,5; 11,21; 14,45) o
Õ"$$@L<\ (cf. Mc 10,51). È difficile ritenere questo epiteto come un titolo cristologico, un
termine teologico: verosimilmente si tratta di una formula di cortesia e rispetto, secondo l’uso
ordinario in epoca ellenistica (come del resto avviene ancora oggi da noi): con tale titolo,
infatti, si rivolge un figlio al padre (cf. Mt 21,29), le fanciulle allo sposo (cf. Mt 25,11), i
sommi sacerdoti e i farisei a Pilato (cf. Mt 27,63), i Greci a Filippo (cf. Gv 12,21), alcuni
miracolati e seguaci a Gesù (cf. Mt 8,21).
i"\: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, però; cf. Mc 1,4. Il significato
avversativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ adversativum) si riscontra
532 Mc 7,29

in Mc 1,13c; 3,7b.12.33a; 4,17a.19a.27d; 5,19a; 6,19b.20d.33a; 7,24b.28b; 8,12.16.29.30;


9,12a.30.31c.42a; 10,34; 12,12b.17a; 16,8c.
JV: art. determ., nom. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
iL<VD4": sost., nom. plur. n. da iL<VD4@<, –@L, cagnolino; cf. Mc 7,27; soggetto.
ßB@iVJT: prep. impropria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., sotto, al di sotto di; cf.
Mc 6,11.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
JD"BX.0H: sost., gen. sing. f. da JDVBg.", –0H, tavola; compl. di stato in luogo. Il vocabolo
ricorre 15 volte nel NT: Mt 15,27; 21,12; Mc 7,28; 11,15; Lc 16,21; 19,23; 22,21.30; Gv
2,15; At 6,2; 16,34; Rm 11,9; 1Cor 10,21[x2]; Eb 9,2. Nell’accezione originale attestata già
a partire da Omero JDVBg." indica la tavola per le vivande, priva di gambe e poggiante
direttamente al suolo (cf. Omero, Il., 11,628; Od., 10,354). In base alla metafora utilizzata da
questa anonima donna si potrebbe dedurre che ella appartenesse al ceto superiore: in epoca
ellenistica, infatti, nell’area greco–romana si usava consumare i pasti stando seduti
direttamente per terra, su stuoie e tappeti o in particolari circostanze semisdraiati su di un
fianco su bassi divani (vedi commento a Mc 14,18). Soltanto tra i benestanti si usavano sedie
e tavoli regolari.
¦Fh\@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da ¦Fh\T, mangiare, prendere cibo, consumare,
divorare; cf. Mc 1,6.
•B`: prep. propria di valore partitivo, seguita dal genitivo, indecl., di; cf. Mc 1,9. L’espressione
¦Fh\@LF4< •B`, di valore partitivo (= «mangiare da…») è un ebraismo che corrisponde a
0/E -,H!I , ’a) k5al min.
Jä<: art. determ., gen. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
R4P\T<: sost., gen. plur. n. da R4P\@<, –@< (diminutivo di R\>), briciola, mollica; compl.
partitivo. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mt 15,27; Mc 7,28 (hapax marciano).
Sostantivo raro, di formazione ellenistica, derivato da R\> nel significato di «pezzetto»,
«briciola», riferito generalmente al pane (cf. Plutarco, Quom. quis, 77,f,8).
Jä<: art. determ., gen. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
B"4*\T<: sost., gen. plur. n. da B"4*\@<, –@L (diminutivo di B"ÃH), bambino, bambina,
fanciullo, fanciulla, ragazzo, ragazza; cf. Mc 5,39; compl. di specificazione.

7,29 i" gÉBg< "ÛJ±s )4 J@ØJ@< JÎ< 8`(@< àB"(gs ¦>g8Z8Lhg< ¦i J­H hL("JD`H
F@L JÎ *"4:`<4@<.
7,29 Allora egli le disse: «Per questa tua parola va’, il demonio è uscito da tua figlia».

i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.
21.26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.
48a.50.53a.65a.72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\, di influsso semitico, acquista
Mc 7,30 533

il significato avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica), per introdurre come
formula paratattica di passaggio una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra
unità narrativa.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJ±: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. f. da "ÛJ`H, –Z, –`,
[quello], egli, lui, esso; cf. Mc 5,23; compl. di termine.
)4V: prep. propria di valore causale, seguita dall’accusativo, indecl., a causa di, a motivo di, per;
cf. Mc 2,1.
J@ØJ@<: agg. dimostrativo, acc. sing. m. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; attributo di
8`(@<, qui senza articolo perché in posizione predicativa. La forma J@ØJ@< ricorre 60 volte
nel NT rispetto alle 1387 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli
è la seguente: 3 volte in Matteo (corrispondente allo 0,016% del totale delle parole); 3 volte
in Marco (cf. Mc 7,29; 14,58.71 = 0,027%); 11 volte in Luca (0,056%); 13 volte in Giovanni
(0,083%).
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
8`(@<: sost., acc. sing. m. da 8`(@H, –@L, parola; cf. Mc 1,45; compl. di causa.
àB"(g: verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. da ßBV(T (da ßB` e –(T), andare giù, ritirarsi,
andare via, partire; cf. Mc 1,44. La forma asindetica è piuttosto frequente con gli imperativi
dei verbi ßBV(T (cf. Mc 1,44; 5,34; 6,38; 7,29; 10,21.52; 16,7), ¦(g\DT (cf. Mc 2,9; 3,3;
5,41; 10,49; 14,42), ÒDVT (cf. Mc 1,44; 6,38; 8,15), F4TBVT (cf. Mc 4,39), n4:`T (cf. Mc
4,39), h"DFXT (cf. Mc 6,50; 10,49), $8XBT (cf. Mc 13,5.23.33).
¦>g8Z8Lhg<: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori,
uscire; cf. Mc 1,25.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
hL("JD`H: sost., gen. sing. f. da hL(VJ0D, –JD`H, figlia; cf. Mc 5,34; compl. di moto da
luogo.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
*"4:`<4@<: sost., nom. sing. n. da *"4:`<4@<, –@L, demonio, spirito cattivo; cf. Mc 1,34;
soggetto.

7,30 i" •Bg8h@ØF" gÆH JÎ< @Éi@< "ÛJ­H gâDg< JÎ B"4*\@< $g$80:X<@< ¦B J¬<
i8\<0< i"Â JÎ *"4:`<4@< ¦>g808Lh`H.
7,30 Essa tornò a casa sua e trovò la bambina coricata sul letto e il demonio se n’era
andato.
534 Mc 7,31

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•Bg8h@ØF": verbo, nom. sing. f. part. aor. da •BXDP@:"4 (da •B` e §DP@:"4), andare via,
partire; cf. Mc 1,20. Participio predicativo del soggetto sottinteso º [(L<Z].
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
@Éi@<: sost., acc. sing. m. da @Éi@H, –@L, casa, abitazione; cf. Mc 2,1; compl. di moto a luogo.
"ÛJ­H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,30; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
gâDg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da gßD\FiT, trovare, incontrare; cf. Mc 1,37.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
B"4*\@<: sost., acc. sing. n. da B"4*\@<, –@L (diminutivo di B"ÃH), bambino, bambina,
fanciullo, fanciulla, ragazzo, ragazza; cf. Mc 5,39; compl. oggetto.
$g$80:X<@<: verbo, acc. sing. n. part. perf. pass. da $V88T, gettare, buttare, mettere; cf. Mc
2,22. Participio predicativo del complemento oggetto B"4*\@<.
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., in, su, a, sopra; cf. Mc 1,22.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
i8\<0<: sost., acc. sing. f. da i8\<0, –0H, divano, letto; cf. Mc 4,21; compl. di stato in luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
*"4:`<4@<: sost., acc. sing. n. da *"4:`<4@<, –@L, demonio, spirito cattivo; cf. Mc 1,34;
compl. oggetto.
¦>g808Lh`H: verbo, acc. sing. n. part. perf. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori,
uscire; cf. Mc 1,25. Participio predicativo del complemento oggetto *"4:`<4@<.

7,31 5" BV84< ¦>g8hã< ¦i Jä< ÒD\T< IbD@L µ8hg< *4 E4*ä<@H gÆH J¬<
hV8"FF"< J­H '"848"\"H •< :XF@< Jä< ÒD\T< )gi"B`8gTH.
7,31 Di nuovo uscì dai territori di Tiro e, passando per Sidone, si diresse verso il mare di
Galilea, attraverso il territorio della Decapoli.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
¦>g8hf<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori,
uscire; cf. Mc 1,25. Participio del soggetto sottinteso z30F@ØH. Spesso la preposizione posta
come prefisso a un verbo composto viene ripetuta davanti al successivo complemento
indiretto, come qui; questo fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26;
Mc 7,31 535

3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15;


11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
Jä<: art. determ., gen. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
ÒD\T<: sost., gen. plur. n. da ÓD4@<, –@L, confine, regione, distretto, terra, territorio; cf. Mc
5,17; compl. di moto da luogo.
IbD@L: sost., nome proprio di città, gen. sing. f. da IbD@H, –@L, Tiro; cf. Mc 3,8; compl. di
specificazione.
µ8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7.
*4V: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., per, attraverso, tra, lungo; cf.
Mc 2,1.
E4*ä<@H: sost., nome proprio di città, gen. sing. f. da E4*f<, –ä<@H, Sidone; cf. Mc 3,8;
compl. di moto per luogo.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
hV8"FF"<: sost., acc. sing. f. da hV8"FF", –0H, mare; cf. Mc 1,16; compl. di moto a luogo.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
'"848"\"H: sost., nome proprio di regione, gen. sing. f. da '"848"\", –"H, Galilea; cf. Mc
1,9; compl. di specificazione.
•<V: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., tra, attraverso. Questa
preposizione ricorre 13 volte nel NT: Mt 13,25; 20,9.10; Mc 7,31 (hapax marciano); Lc
9,3.14; 10,1; Gv 2,6; 1Cor 6,5; 14,27; Ap 4,8; 7,17; 21,21. Questa preposizione, già rara
nella prosa attica, è qui usata in connessione con il termine :XF@< in espressione fissa,
corrispondente alla locuzione avverbiale «in mezzo a», «attraverso», a cui segue un genitivo.
:XF@<: sost., acc. sing. n. da :XF@H, –@L, medio, mezzo; cf. Mc 3,3; compl. di stato in luogo.
Jä<: art. determ., gen. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
ÒD\T<: sost., gen. plur. n. da ÓD4@<, –@L, confine, regione, distretto, terra, territorio; cf. Mc
5,17; compl. di specificazione.
)gi"B`8gTH: sost., nome proprio di località, gen. sing. f. da )giVB@84H, –gTH, territorio
delle dieci città, Decapoli; compl. di specificazione; cf. Mc 5,20. Riguardo al viaggio di
Gesù riferito da Marco in questo versetto si deve osservare che da un punto di vista
topografico si tratta di un itinerario quanto meno improbabile, una geografia impossibile.
Letteralmente la frase suona: «E di nuovo, uscendo dai territori di Tiro, raggiunse, attraverso
Sidone, il mare di Galilea, in mezzo al territorio della Decapoli». Ci si chiede come Gesù,
uscito da Tiro (a nord della Galilea), possa essersi diretto in Galilea (ossia verso sud) andando
in direzione opposta: prima verso Sidone (più a nord di Tiro) e quindi attraversando la
Decapoli (a est di Tiro). È probabile che il versetto concentri, in sintesi, le tappe di un lungo
536 Mc 7,32

viaggio di Gesù, il quale ritornò in Galilea facendo un ampio giro a semicerchio, dapprima
in direzione nord (Sidone) e successivamente verso oriente (la Decapoli).

7,32 i"Â nXD@LF4< "ÛJè iTnÎ< i"Â :@(48V8@< i"Â B"D"i"8@ØF4< "ÛJÎ< Ë<"
¦B4h± "ÛJè J¬< PgÃD".
7,32 Gli portarono un sordomuto e lo supplicarono di imporre la mano su di lui.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


nXD@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da nXDT, portare; cf. Mc 1,32. Presente storico.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
iTn`<: agg. qualificativo, di valore sostantivato, acc. sing. m. da iTn`H, –Z, –`<, sordo;
compl. oggetto. Senza articolo perché anonimo e non ancora conosciuto. Il vocabolo ricorre
14 volte nel NT: Mt 9,32.33; 11,5; 12,22[x2]; 15,30.31; Mc 7,32.37; 9,25; Lc 1,22; 7,22;
11,14[x2]. Il significato originario dell’aggettivo è quello di «ottuso», «smussato», «insensibi-
le»: riferito agli organi sensoriali dell’uomo può significare sia «muto» (cf. Erodoto, Hist.,
1,47,3; Mt 9,32.33) sia «sordo» (cf. Eschilo, Sept., 202; Mc 9,25) sia «sordomuto» (cf.
Erodoto, Hist., 1,34,2; Mc 7,32).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
:@(48V8@<: agg. qualificativo, acc. sing. m. da :@(48V8@H, –@< (da :`(4H e 8"8XT),
impedito nel parlare, balbuziente; attributo di iTn`<. Hapax neotestamentario. Sconosciuto
al greco classico il vocabolo è attestato nel greco biblico soltanto in un’altra occasione (cf.
Is 35,5–6, LXX). È formato dall’avverbio :`(4H, usato fin da Omero nel senso di «con
fatica», «a stento» (cf. Omero, Il., 9,355; Od., 3,119) e dal verbo 8"8XT, «parlare» e,
dunque, sta a indicare «chi parla a stento», ciò che noi definiamo «balbuziente».
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
B"D"i"8@ØF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da B"D"i"8XT (da B"DV e i"8XT),
chiamare accanto, invocare, implorare, supplicare; cf. Mc 1,40. Presente storico.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
Ë<": cong. subordinativa di valore completivo, indecl., di, che; cf. Mc 1,38. La congiunzione Ë<"
non ha qui il consueto valore finale, ma quello completivo (equivalente a ÓJ4 o ÓBTH): in
pratica introduce una proposizione infinitiva (cf. Mc 3,9a.12; 4,22a; 5,10.18.43; 6,8.12.25.56;
7,26.32.36; 8,22.30; 9,9.12.18.30; 10,35.37; 11,16; 13,34; 15,21).
¦B4h±: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da ¦B4J\h0:4 (da ¦B\ e J\h0:4), sovrapporre,
imporre, soprannominare; cf. Mc 3,16.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
Mc 7,33 537

PgÃD": sost., acc. sing. f. da Pg\D, Pg4D`H, mano; cf. Mc 1,31; compl. oggetto. Qui come altrove
(cf. Mc 1,31.41; 3,1.3.5[x2]; 5,41; 7,32; 8,23; 9,27.43) l’articolo indica forse la mano per
eccellenza, ossia quella destra. Imporre le mani su un malato per guarirlo è gesto comune
nelle narrazioni di guarigioni da parte di Gesù (cf. Mc 5,23; 6,5; 7,32; 8,23.25; cf. anche Mc
10,16, dove tale gesto è usato per benedire). L’azione di imporre le mani al fine di procurare
una guarigione sarà ripetuta dagli apostoli per espressa volontà di Gesù (cf. Mc 16,18) e
diventerà rito della Chiesa.

7,33 i" •B@8"$`:g<@H "ÛJÎ< •BÎ J@Ø ÐP8@L i"Jz Æ*\"< §$"8g< J@×H *"iJb8@LH
"ÛJ@Ø gÆH J ìJ" "ÛJ@Ø i" BJbF"H »R"J@ J­H (8fFF0H "ÛJ@Øs
7,33 Egli lo portò in disparte lontano dalla folla, gli mise le sue dita negli orecchi, sputò e
gli toccò la lingua.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•B@8"$`:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. aor. medio da •B@8":$V<T (da •B` e
8":$V<T), ricevere, prendere di nuovo, prendere separatamente, prendere a parte. Questo
verbo ricorre 10 volte nel NT: Mc 7,33 (hapax marciano); Lc 6,34; 15,27; 16,25; 18,30;
23,41; Rm 1,27; Gal 4,5; Col 3,24; 2Gv 1,8. Participio predicativo del soggetto sottinteso
z30F@ØH. Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo composto viene ripetuta
davanti al successivo complemento indiretto, come qui; questo fenomeno si ritrova in Mc
1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.24.25.
26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5. Nel greco classico
questo verbo è molto usato specialmente nel linguaggio commerciale nel significato di
«ricevere», «riscuotere», «ottenere» un pagamento, una somma, una mercede, ecc. Il
significato locale e circoscritto di «prendere a parte» qualcuno è attestato sia nel greco
profano (cf. Erodoto, Hist., 1,209,3) che nei LXX (cf. 2Mac 4,46; 6,21).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
•B`: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da; cf. Mc
1,9.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
ÐP8@L: sost., gen. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; compl. di moto da
luogo.
i"Jz: (= i"JV), prep. propria di valore modale, seguita dall’accusativo, indecl., secondo, in
conformità a; cf. Mc 1,27.
Æ*\"<: agg. possessivo, acc. sing. f. da Ç*4@H, Æ*\", Ç*4@<, proprio, suo, personale, privato; cf.
Mc 4,34. In unione con i"JV (i"Jz Æ*\"<) corrisponde all’avverbio di modo «in
disparte», «in privato», «a parte», come nel greco classico ed ellenistico.
§$"8g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da $V88T, gettare, buttare, mettere; cf. Mc 2,22.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
538 Mc 7,33

*"iJb8@LH: sost., acc. plur. m. da *ViJL8@H, –@L, dito; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 8
volte nel NT: Mt 23,4; Mc 7,33 (hapax marciano); Lc 11,20.46; 16,24; Gv 8,6; 20,25.27. Il
sostantivo *ViJL8@H è impiegato nella grecità per indicare il «dito» sia della mano come del
piede (cf. Erodoto, Hist., 6,63,2; Senofonte, Anab., 4,5,12). Lo strano gesto di Gesù di
«gettare» le sue dita nell’orecchio del malato e addirittura di sputargli sulla lingua deve essere
inquadrato nell’ottica delle guarigioni e degli esorcismi. Come sopra si è accennato (cf. Mc
1,32.34) per gli antichi, non solo Giudei, guarigioni e cacciate di demoni erano la stessa
cosa, poiché si riteneva che i demoni fossero la causa delle malattie del corpo e dello spirito.
I gesti descritti da Marco rientrano nel quadro delle tecniche esorcistiche di allora che
prevedevano l’impiego di gesti e di sostanze di vario genere (terra, saliva, acqua, sangue,
vino, olio, sale, ecc.).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»). Analogamente a Mc 2,15; 6,56; 7,33[x3] il pronome dimostrativo e
personale "ÛJ`H ha qui un valore equivoco: sintatticamente può riferirsi sia alle dita del
sordo (= le dita di lui / «le sue dita») sia a quelle di Gesù (= le dita di lui / «le proprie dita»);
dal contesto si deduce che è Gesù a toccare con le proprie dita gli orecchi del malato.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
ìJ": sost., acc. plur. n. da @ÞH, éJ`H, orecchio; cf. Mc 4,9; compl. di stato in luogo. In questa
pericope Marco impiega due diversi termini per indicare l’«orecchio»: @ÞH (v. 33) e •i@Z
(v. 35). Analogo fenomeno si riscontra in Mc 5,2.3.5 (:<0:gÃ@<, :<­:", «sepolcro») e Mc
8,23.25 (Ð::", Ïnh"8:`H, «occhio»). Per alcuni commentatori l’uso di due termini diversi
esprimenti una stessa denominazione all’interno di una stessa pericope è indizio di significato
figurato.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»). Analogamente a Mc 2,15; 6,56; 7,33[x3] il pronome dimostrativo e
personale "ÛJ`H ha qui un valore equivoco: sintatticamente può riferirsi sia agli orecchi del
sordo (= gli orecchi di lui / «i suoi orecchi») sia a quelli di Gesù (= gli orecchi di lui / «i
propri orecchi»); dal contesto si deduce che è Gesù a toccare con le proprie dita gli orecchi
del malato.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BJbF"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da BJbT, sputare. Questo verbo ricorre 3 volte nel NT:
Mc 7,33; 8,23; Gv 9,6. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso
z30F@ØH. Nel greco classico il verbo BJbT è impiegato nel significato proprio di «sputare»
(cf. Omero, Il., 23,697; Sofocle, Antig., 1232; Senofonte, Cyr., 8,1,42). Diversamente
dall’altro racconto di guarigione, nel quale ci viene riferito che Gesù sputa direttamente sugli
occhi del cieco (cf. Mc 8,23), qui egli si limita presumibilmente a sputare sulle punte delle
Mc 7,34 539

proprie dita (uso assoluto del verbo) e, quindi, a bagnare con la saliva la lingua dell’infermo.
Come mezzo di guarigione la saliva si ritrova largamente attestata non soltanto nei racconti
extra–biblici, ma negli stessi vangeli: oltre al nostro racconto è presente in Mc 8,23 e in Gv
9,6. Nel testo giovanneo Gesù sputa per terra, poi con la saliva fa del fango e lo spalma sugli
occhi del cieco, quindi lo invita a lavarsi nella piscina di Siloe. È risaputo che presso gli
antichi lo sputo era ritenuto un efficace rimedio medico e terapeutico, strettamente collegato
con quello apotropaico e addirittura fondato su di esso. Scrive lo storico Plinio il Vecchio:
«Despuimus comitiales morbos, hoc est contagia regerimus, simili modo et fascinationes
repercutimus dextraeque clauditatis occursum. Veniam quoque a deis spei alicuius audacioris
petimus in sinum spuendo, et iam eadem ratione terna despuere praedicatione in omni
medicina mos est atque ita effectus adiuvare, incipientes furunculos ter praesignare ieiuna
saliva» (Plinio il Vecchio, Nat. hist., 28,35–36). Per quanto riguarda l’uso terapeutico (e
magico) della saliva presso gli antichi cf. anche Mc 8,23.
»R"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da žBJ@:"4, toccare, tenere; cf. Mc 1,41.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
(8fFF0H: sost., gen. sing. f. da (8äFF", –0H, lingua; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 50
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mc 7,33.35; 16,17; Lc 1,64; 16,24.
Nelle ricorrenze marciane il termine ha sempre il significato letterale proprio di «lingua»
come organo fisico, conforme all’uso classico (cf. Omero, Il., 1,249). Il significato di
«linguaggio», «idioma» in Mc 16,24, ugualmente attestato nel greco profano (cf. Omero, Il.,
4,438; Od., 19,175), non appartiene al vocabolario marciano.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»). Analogamente a Mc 2,15; 6,56; 7,33[x3], il pronome dimostrativo e
personale "ÛJ`H ha qui un valore equivoco: sintatticamente può riferirsi sia alla lingua del
sordo (= la lingua di lui / «la sua lingua») sia a quella di Gesù (= la lingua di lui / «la propria
lingua»); dal contesto si deduce che è Gesù a toccare con la propria saliva la lingua del
malato.

7,34 i" •<"$8XR"H gÆH JÎ< @ÛD"<Î< ¦FJX<">g< i" 8X(g4 "ÛJès gnn"h"s Ó
¦FJ4<s )4"<@\Ph0J4.
7,34 Guardò quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà!» cioè: «Apriti!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•<"$8XR"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da •<"$8XBT (da •<V e $8XBT), guardare in
su, sollevare lo sguardo, alzare gli occhi; cf. Mc 6,41. Participio predicativo del soggetto
sottinteso z30F@ØH. Non si tratta qui del guardare in alto in modo generico (come in Mc
16,4), ma del tipico gesto di guardare in alto (verso il cielo) come atteggiamento di preghiera
o di richiesta di intercessione (cf. Mc 6,41; 7,34; Gv 11,41).
540 Mc 7,34

gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
@ÛD"<`<: sost., acc. sing. m. da @ÛD"<`H, –@Ø, cielo, volta celeste; cf. Mc 1,10; compl. di
moto a luogo.
¦FJX<">g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da FJg<V.T, sospirare, gemere. Questo verbo ricorre
6 volte nel NT: Mc 7,34 (hapax marciano); Rm 8,33; 2Cor 5,2.4; Eb 13,17; Gc 5,9. Derivato
da FJX<T il verbo FJg<V.T è usato nel greco classico per indicare il «gemere» o il
«lamentarsi» come espressione esteriore di una afflizione o una sofferenza. Nei poeti tragici
questo gemere è posto in relazione al destino miserevole dell’uomo o ai singoli colpi di un
destino avverso (cf. Euripide, Alc., 199; Iph. Taur., 957; Ph., 1035; Sofocle, Elect., 1299).
Più in generale FJg<V.T descrive uno stato oppressivo, di cui l’uomo soffre e dal quale
aspira a uscire, perché non corrisponde alle sue attese e speranze. Tenendo presente questo
sfondo lessicale e concettuale, il «sospirare» o «gemere» di Gesù è di difficile interpretazione:
a) può essere espressione stereotipa, comune alle pratiche magiche, per indicare la forza
sanatrice che il taumaturgo emette dalla sua bocca; b) è un elemento della preghiera giudaica,
mediante il quale l’orante stabilisce una intima unione con Dio per ottenere la forza
necessaria alla guarigione; c) più verosimilmente si tratta del gemito che Gesù in rappresen-
tanza del malato rivolge a Dio, al fine di ottenere la salute/salvezza: nell’AT il verbo
FJg<V.T e il corrispettivo sostantivo FJg<"(:`H sono per lo più usati come metonimie per
indicare i gemiti e i lamenti che gli uomini alzano a Dio perché questi intervenga e li soccorra
(cf. Gb 23,2; 30,25; Sal 31,11; Ger 4,31).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
gnn"h": vocabolo indecl., «Apriti!». Hapax neotestamentario. Traslitterazione grecizzata della
forma verbale aramaica (; H A;A!G , ’e5tpe5tahE, seconda persona singolare maschile dell’imperati-
vo hitpael del verbo aramaico (; H A, pe5t ahE, «aprire».
Ó: pron. relativo, nom. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24; soggetto.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. L’espressione Ó ¦FJ4<, «che è», equivale alle espressioni «che significa», «che
corrisponde a», «vale a dire». Questa formula è presente 9 volte: Mc 3,17; 5,41; 7,11.34;
12,42; 15,16.22.34.42.
)4"<@\Ph0J4: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. pass. da *4"<@\(T (da *4V e •<@\(T),
aprire, aprire completamente, separare. Questo verbo ricorre 8 volte nel NT: Mc 7,34
(hapax marciano); Lc 2,23; 24,31.32.45; Gv 7,56; 16,14; 17,3. In senso letterale proprio il
verbo *4"<@\(T viene usato nel greco classico nel significato di «aprire», «dischiudere» (cf.
Platone, Lys., 210a). Il comando, formulato all’imperativo singolare, è rivolto alla persona,
non agli orecchi malati del sordo (che sono due).
Mc 7,35 541

7,35 i" [gÛhXTH] ²<@\(0F"< "ÛJ@Ø "Ê •i@"\s i" ¦8bh0 Ò *gF:ÎH J­H (8fFF0H
"ÛJ@Ø i"Â ¦8V8g4 ÏDhäH.
7,35 Allora gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava
correttamente.

i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.
21.26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.
48a.50.53a.65a.72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\, di influsso semitico, acquista
il significato avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica) per introdurre come
formula paratattica di passaggio una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra
unità narrativa.
[gÛhXTH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente. Il vocabolo ricorre 36 volte nel NT.
La distribuzione nei vangeli è la seguente: 13 volte in Matteo (corrispondente allo 0,071%
del totale delle parole); 1 volta in Marco (cf. Mc 7,35, hapax marciano); 6 volte in Luca
(0,031%); 3 volte in Giovanni (0,019%). Il vocabolo è presente in P45, A, W, 1, 0131c, f1,
f13, e in numerosi codici minuscoli; è assente, invece, in !, B, C, L, ), 0131*, 0274, e in
altri codici minuscoli. Non sembra essere la lezione originaria, sia perché Marco usa per 41
volte la forma avverbiale gÛhbH e non gÛhXTH (sarebbe, questa, l’unica attestazione in
Marco) sia perché tale inserimento ha lo scopo evidente di conferire maggior rilievo al
miracolo con l’istantaneità dell’esecuzione, analogamente ad altre scene di miracoli (cf. Mc
1,42; 2,12; 5,29.42; 10,52).].
²<@\(0F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. pass. da •<@\(T, aprire. Questo verbo ricorre 77
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 11 volte in Matteo (corrispondente
allo 0,060% del totale delle parole); 1 volta in Marco (cf. Mc 7,35, hapax marciano); 6 volte
in Luca (0,031%); 11 volte in Giovanni (0,070%). Nel greco profano il verbo •<@\(T è
impiegato in senso sia letterale proprio che figurato (cf. Omero, Il., 24,455; Eschilo, Suppl.,
322). Stesso uso ritroviamo nell’AT, dove Dio «apre» la bocca (cf. Es 4,12.15), l’occhio (cf.
Gn 21,19), l’orecchio (cf. Is 50,5), la mano (cf. Sal 145,16), l’utero (cf. Gn 29,31) di
qualcuno come espressione concreta del suo intervento. Il NT riprende questa convinzione:
per i sinottici Dio, attraverso l’azione di Gesù, è la potenza che apre, ossia comunica una
salvezza concreta (passivo divino).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
"Ê: art. determ., nom. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 2,5.
•i@"\: sost., nom. plur. f. da •i@Z, –­H (da •i@bT), udito, orecchio, cosa sentita, diceria,
clamore, fama; cf. Mc 1,28; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
542 Mc 7,36

¦8bh0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da 8bT, sciogliere, slegare (in senso letterale o
metaforico), liberare, rilasciare, dissolvere, abolire; cf. Mc 1,7. Passivo divino.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*gF:`H: sost., nom. sing. m. da *gF:`H, –@Ø, legame, vincolo, nodo; soggetto. Il vocabolo
ricorre 18 volte nel NT: Mc 7,35 (hapax marciano); Lc 8,29; 13,16; At 16,26; 20,23; 23,29;
26,29.31; Fil 1,7.13.14.17; Col 4,18; 2Tm 2,9; Fm 1,10.13; Eb 11,36; Gd 1,6. A partire da
Omero il sostantivo *gF:`H indica «ciò che serve per legare» ed equivale a «fune», «corda»,
«catena», ecc. (cf. Omero, Il., 6,507; Od., 13,100). Per analogia il vocabolo è usato anche
nell’accezione di «legamento», «vincolo», «impedimento» (cf. Erodoto, Hist., 6,91,2; Platone,
Euth., 9a). L’espressione letterale «il legame della sua lingua», riferita al sordomuto, indica
plasticamente la sua precedente impossibilità di parlare dovuta all’azione del demonio che
aveva “legato” la sua lingua.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
(8fFF0H: sost., gen. sing. f. da (8äFF", –0H, lingua; cf. Mc 7,33; compl. di specificazione.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦8V8g4: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8"8XT, parlare, dire; cf. Mc 1,34. Imperfetto
durativo o iterativo.
ÏDhäH: avv. di modo, indecl., correttamente, bene, speditamente. Il vocabolo ricorre 4 volte nel
NT: Mc 7,35 (hapax marciano); Lc 7,43; 10,28; 20,21. Il linguaggio usato (analogamente a
Mc 7,37) richiama spontaneamente le profezia di Is 35,5–6 in riferimento all’era messianica:
«Allora si apriranno (•<@4PhZF@<J"4) gli occhi dei ciechi e si schiuderanno (•i@bF@<J"4)
gli orecchi dei sordi (ìJ" iTnä<). Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia
la lingua del muto ((8äFF" :@(48V8T<).

7,36 i"Â *4gFJg\8"J@ "ÛJ@ÃH Ë<" :0*g<Â 8X(TF4<· ÓF@< *¥ "ÛJ@ÃH *4gFJX88gJ@s
"ÛJ@ :88@< BgD4FF`JgD@< ¦iZDLFF@<.
7,36 E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma quanto più egli lo proibiva, tanto più essi
lo raccontavano

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


*4gFJg\8"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da *4"FJX88T (da *4V e FJX88@:"4),
disporre, ordinare, comandare; cf. Mc 5,43.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
Ë<": cong. subordinativa di valore completivo, indecl., di, che; cf. Mc 1,38. La congiunzione Ë<"
non ha qui il consueto valore finale, ma quello completivo (equivalente a ÓJ4 o ÓBTH): in
Mc 7,37 543

pratica introduce una proposizione infinitiva (cf. Mc 3,9a.12; 4,22a; 5,10.18.43; 6,8.12.25.56;
7,26.32.36; 8,22.30; 9,9.12.18.30; 10,35.37; 11,16; 13,34; 15,21).
:0*g<\: (da :Z e gÍH), pron. indefinito negativo, dat. sing. m. da :0*g\H, :0*g:\", :0*X<,
nessuno, alcuno, niente; cf. Mc 1,44; compl. di termine.
8X(TF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere,
esortare; cf. Mc 1,7.
ÓF@<: pron. relativo con valore di quantità e misura, acc. sing. n. da ÓF@H, –0, –@<, quanto,
quanto grande, ciò che, quello che; cf. Mc 2,19. Il pronome ha qui valore comparativo, in
parallelo con il successivo :88@< BgD4FF`JgD@<: «quanto più… tanto più…».
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
*4gFJX88gJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. medio da *4"FJX88T (da *4V e FJX88@:"4),
disporre, ordinare, comandare; cf. Mc 5,43. Imperfetto durativo o iterativo.
"ÛJ@\: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., nom. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 6,31; soggetto.
:88@<: (forma neutra del comparativo di :V8"), avv. di modo, indecl., piuttosto, di più,
maggiormente; cf. Mc 5,26.
BgD4FF`JgD@<: agg. qualificativo, di grado comparativo, acc. sing. n. da BgD4FF`H, –Z, –`<,
abbondante, più, di più, maggiormente, estremo, straordinario, eccessivo; cf. Mc 6,51.
Forma pleonastica, rispetto al semplice :88@<.
¦iZDLFF@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da i0DbFFT, proclamare apertamente,
annunciare solennemente, predicare; cf. Mc 1,4. Imperfetto durativo o iterativo.

7,37 i"Â ßBgDBgD4FFäH ¦>gB8ZFF@<J@ 8X(@<JgHs 5"8äH BV<J" BgB@\0ig<s i"Â


J@×H iTn@×H B@4gà •i@bg4< i" [J@×H] •8V8@LH 8"8gÃ<.
7,37 e pieni di stupore dicevano: «Riesce a far bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare
i muti!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


ßBgDBgD4FFäH: avv. di quantità, indecl., oltre misura, oltremodo. Hapax neotestamentario.
¦>gB8ZFF@<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. pass. da ¦iB8ZFF@:"4 (da ¦i e B8ZFFT),
essere colpito, essere scosso, essere stupefatto; cf. Mc 1,22. Imperfetto durativo o iterativo.
8X(@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo del soggetto sottinteso «la gente», plurale collettivo.
5"8äH: avv. di modo, indecl., bene, giustamente, veramente; cf. Mc 7,6.
BV<J": pron. indefinito, acc. plur. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; compl. oggetto.
544 Mc 7,37

BgB@\0ig<: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3. L’usuale traduzione «ha fatto bene…» non esplicita compiutamente
il valore del tempo perfetto, impiegato per indicare un risultato duraturo che, nella
prospettiva di chi parla o scrive, giunge fino al suo presente.
i"\: cong. coordinativa di valore correlativo, indecl., e… e…; sia… sia…; non solo… ma
anche…; cf. Mc 1,4. Il significato correlativo che può assumere la congiunzione i"\ si
ritrova in Mc 4,27ab.41cd; 7,37bc; 9,13ab.22bc; 11,9ab.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
iTn@bH: agg. qualificativo, di valore sostantivato, acc. plur. m. da iTn`H, –Z, –`<, sordo; cf.
Mc 7,32; compl. oggetto.
B@4gÃ: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere, compiere;
cf. Mc 1,3.
•i@bg4<: verbo, inf. pres. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire, scoprire, imparare,
sapere; cf. Mc 2,1.
i"\: cong. coordinativa di valore correlativo, indecl., e… e…; sia… sia…; non solo… ma
anche…; cf. Mc 1,4. Il significato correlativo che può assumere la congiunzione i"\ si
ritrova in Mc 4,27ab.41cd; 7,37bc; 9,13ab.22bc; 11,9ab.
[J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10. L’articolo è presente in A,
D, 1, 0131, f1, f13; è assente, invece, in !, B, L, ), 33, 892, 1241, 2427. È difficile decidere
se sia o no la lezione originaria; in ogni caso l’omissione o l’aggiunta dell’articolo è
assolutamente ininfluente per la retta comprensione del testo.].
•8V8@LH: agg. qualificativo, di valore sostantivato, acc. plur. m. da –8"8@H, –@< (da –8n"
privativa e 8"8XT), non parlante, muto; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT:
Mc 7,37; 9,17.25. L’uso dell’aggettivo –8"8@H nel significato di «muto» si ritrova soltanto
nel greco biblico (cf. Sal 31,19; 38,14).
8"8gÃ<: verbo, inf. pres. da 8"8XT, parlare, dire; cf. Mc 1,34. L’espressione «fa udire i sordi
e fa parlare i muti» è un’altra allusione alla profezia di Is 35,5–6 (cf. sopra, v. 35), relativa
all’era messianica.
Mc 8,1

8,1 z+< ¦ig\<"4H J"ÃH º:XD"4H BV84< B@88@Ø ÐP8@L Ð<J@H i"Â :¬ ¦P`<JT< J\
nV(TF4<s BD@Fi"8gFV:g<@H J@×H :"h0JH 8X(g4 "ÛJ@ÃHs
8,1 In quei giorni, essendoci di nuovo molta folla che non aveva da mangiare, chiamò a
sé i discepoli e disse loro:

z+<: prep. propria di valore temporale, seguita dal dativo, indecl., in, durante, entro; cf. Mc 1,2.
¦ig\<"4H: agg. dimostrativo, dat. plur. f. da ¦igÃ<@H, –0, –@, quello, quegli, colui, esso; cf. Mc
1,9; attributo di º:XD"4H, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J"ÃH: art. determ., dat. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
º:XD"4H: sost., dat. plur. f. da º:XD", –"H, giorno; cf. Mc 1,9; compl. di tempo determinato.
La frase «in quei giorni», «in quel giorno», si ritrova nel secondo vangelo come generica e
indeterminata indicazione temporale (cf. Mc 1,9; 2,20; 4,35; 8,1; 13,17; [13,19]; 13,24;
[13,32]; [14,25]). L’espressione, tuttavia, è tipica del linguaggio escatologico (cf. Ps. Salom.,
18,6) ed è spesso usata dai profeti per indicare «gli ultimi tempi», ossia l’epoca in cui si
realizzerà l’intervento definitivo di Dio nella storia umana, caratterizzato dall’abbondanza dei
beni messianici (cf. Is 2,11.17.20; 3,18; 4,2; 5,30; 7,18.21; 10,20.27; 11,10; 12,1.4; 14,3.4;
17,7; 19,19.21.23.24; 25,9; 26,1; 29,18; 30,23.25; Ger 3,17; 5,18; 25,33; 30,8; 31,29; Ez
29,21; Os 2,18.20.23; Gl 3,2; 4,1.18; Am 8,9; 9,11.13; Abd 1,8; Mic 4,1.6; 5,9; Sof
3,11.16.20; Ag 2,23; Zc 2,15; 3,10; 8,23; 9,16; 13,1.2; 14,6.8.9).
BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
B@88@Ø: agg. indefinito, gen. sing. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; attributo di ÐP8@L.
ÐP8@L: sost., gen. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4.
Ð<J@H: verbo, gen. sing. m. part. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf.
Mc 1,6. Participio al genitivo assoluto. La frase B@88@Ø ÐP8@L Ð<J@H appare nella forma
detta “genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore causale.
i"\: coordinativa di valore pronominale, indecl., [che, il quale]; cf. Mc 1,4. Il significato
pronominale che può assumere la congiunzione i"\ (qui corrispondente al pronome relativo
ÓH, «il quale») si ritrova in Mc 2,15e; 8,1; 9,4b.31b.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
¦P`<JT<: verbo, gen. plur. m. part. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. Participio predicativo del soggetto
ÐP8@H. Costruzione ad sensum: il participio plurale maschile si riferisce al singolare ÐP8@H
il cui significato collettivo di «moltitudine» giustifica l’anacoluto grammaticale.
J\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24. Questo pronome interrogativo sta al posto del
relativo Ó J4 / òFJ4H («ciò che»), come avviene nei papiri e nelle iscrizioni; si tratta di un uso
piuttosto frequente nella Koiné: «Propositio relativa et interrogatio indirecta post verba
dicendi, cognoscendi etc. valde affines sunt. Hinc fit, ut hellenistice interrogativum J\ loco

545
546 Mc 8,2

pronominis relativi stare possit» (Zerwick Max, Graec., § 221). Analogo fenomeno in Mc
2,25; 4,24; 5,14; 6,36; 8,1.2; 9,6.10; 10,38; 13,11; 14,36[x2].40.68; 15,24.
nV(TF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. da ¦Fh\T, mangiare, prendere cibo, consumare,
divorare; cf. Mc 1,6.
BD@Fi"8gFV:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. aor. medio da BD@Fi"8XT (da BD`H e
i"8XT), chiamare a sé, convocare, eleggere; cf. Mc 3,13. Participio predicativo del
soggetto sottinteso z30F@ØH. Il verbo assume qui un implicito significato di comando,
analogamente a Mc 3,13; 6,7; 7,14; 8,34; 10,42. I discorsi di Gesù vengono più di una volta
introdotti con il verbo BD@Fi"8XT seguito dal destinatario delle parole: BD@Fi"8gFV:g-
<@H "ÛJ@bH (sott. gli scribi, Mc 3,23), BD@Fi"8gFV:g<@H […] JÎ< ÐP8@< (la folla, Mc
7,14), BD@Fi"8gFV:g<@H J@×H :"h0JVH (i discepoli, Mc 8,1), BD@Fi"8gFV:g<@H JÎ<
ÐP8@< F×< J@ÃH :"h0J"ÃH (la folla e i discepoli, Mc 8,34), BD@Fi"8gFV:g<@H "ÛJ@bH
(sott. i Dodici, Mc 10,42).
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
:"h0JVH: sost., acc. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; compl. oggetto.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.

8,2 EB8"(P<\.@:"4 ¦BÂ JÎ< ÐP8@<s ÓJ4 ³*0 º:XD"4 JDgÃH BD@F:X<@LF\< :@4
i"Â @Ûi §P@LF4< J\ nV(TF4<·
8,2 «Sento compassione per la folla, perché già da tre giorni stanno con me e non hanno
niente da mangiare.

EB8"(P<\.@:"4: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. medio da FB8"(P<\.T, essere commosso
nelle viscere, avere compassione; cf. Mc 1,41.
¦B\: prep. propria con valore di relazione, seguita dall’accusativo, indecl., circa, riguardo a, in
riferimento a, nei confronti di; cf. Mc 1,22.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ÐP8@<: sost., acc. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; compl. di limitazione.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore causale, indecl., poiché, perché, siccome; cf. Mc 1,15.
³*0: avv. di tempo, indecl., già, ora, subito; cf. Mc 4,37.
º:XD"4: sost., nom. plur. f. da º:XD", –"H, giorno; cf. Mc 1,9; compl. di tempo determinato.
Nominativo pendente o parentetico: non è il soggetto del verbo che segue. L’uso del
nominativo con valore temporale è piuttosto raro anche nel greco classico: qui può derivare
dal sostrato aramaico o dallo stile semitico. Più frequenti in Marco sono il dativo temporale
(cf. Mc 1,21; 2,24; 3,2.4; 6,21; 11,12; 12,2; 14,12.30; 15,34; 16,2.9), l’accusativo temporale
(cf. Mc 1,13; 2,19; 4,27[x2]; 5,25; 13,35; 14,37) e il genitivo temporale (cf. Mc 13,18.35).
Mc 8,2 547

JDgÃH: agg. numerale, cardinale, nom. plur. f. da JDgÃH, JD\", –ä<, tre; attributo di º:XD"4. Il
vocabolo ricorre 69 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 12 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,065% del totale delle parole); 7 volte in Marco (cf. Mc 8,2.31;
9,5.31; 10,34; 14,58; 15,29 = 0,062%); 10 volte in Luca (0,051%); 4 volte in Giovanni
(0,026%). L’espressione «tre giorni» non deve essere necessariamente intesa in senso
strettamente cronologico. Nel mondo biblico (come del resto nella cultura orientale e greca)
il numero tre, associato alle indicazioni di tempo, è spesso usato con significato approssimati-
vo o simbolico, per indicare un periodo o una situazione che possono essere più o meno
lunghi, a seconda dell’accento che intende dare chi scrive o parla. Eccone alcuni esempi: per
tre giorni il popolo di Israele si inoltra nel deserto per fare un sacrificio a Dio (cf. Es 3,18;
5,3; 8,23); tre giorni durano le tenebre inviate da Dio su tutto l’Egitto (cf. Es 10,22); per tre
giorni il popolo di Israele erra nel deserto senz’acqua (cf. Es 15,22); per tre giorni restano
nascosti gli esploratori nella terra di Canaan, prima di far ritorno (cf. Gs 2,16); per tre giorni
si cerca la soluzione a un indovinello (cf. Gdc 14,14); per tre giorni si cerca inutilmente una
persona smarrita (cf. 2Re 2,17); tre giorni dura il saccheggio della preda (cf. 2Cr 20,25); per
tre giorni si è soliti digiunare (cf. Est 4,16); dopo tre giorni di ricerca Gesù dodicenne viene
ritrovato nel tempio (cf. Lc 2,46); per tre giorni Saulo resta a Damasco senza vedere e senza
mangiare né bere (cf. At 9,8); per tre giorni Paolo e i suoi compagni vengono ospitati da
Publio, governatore dell’isola di Malta (cf. At 28,7). Per quanto riguarda il particolare uso
“teologico” dell’espressione «dopo tre giorni» riferita alla morte di Gesù vedi commento a
Mc 8,31.
BD@F:X<@LF\<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da BD@F:X<T (da BD`H e :X<T), rimanere
con, restare, stare, persistere. Questo verbo ricorre 7 volte nel NT: Mt 15,32; Mc 8,2 (hapax
marciano); At 11,23; 13,43; 18,18. Il verbo BD@F:X<T è qui impiegato nel significato
ellenistico di «rimanere presso», «restare attaccato» (cf. Arriano, Diss., 4,11,11).
:@4: pron. personale di 1a pers. dat. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 2,14; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
§P@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
J\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; compl. oggetto. Questo pronome interrogativo sta
al posto del relativo Ó J4 / òFJ4H («ciò che»), come avviene nei papiri e nelle iscrizioni; si
tratta di un uso piuttosto frequente nella Koiné: «Propositio relativa et interrogatio indirecta
post verba dicendi, cognoscendi etc. valde affines sunt. Hinc fit, ut hellenistice interrogativum
J\ loco pronominis relativi stare possit» (Zerwick Max, Graec., § 221). Analogo fenomeno
in Mc 2,25; 4,24; 5,14; 6,36; 8,1.2; 9,6.10; 10,38; 13,11; 14,36[x2].40.68; 15,24.
nV(TF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. da ¦Fh\T, mangiare, prendere cibo, consumare,
divorare; cf. Mc 1,6.
548 Mc 8,3

8,3 i" ¦< •B@8bFT "ÛJ@×H <ZFJg4H gÆH @Éi@< "ÛJä<s ¦i8LhZF@<J"4 ¦< J±
Ò*è· i"\ J4<gH "ÛJä< •BÎ :"iD`hg< »i"F4<.
8,3 Se li rimando digiuni alle loro case verranno meno lungo il cammino. Inoltre, alcuni
di loro sono venuti da lontano».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
•B@8bFT: verbo, 1a pers. sing. congiunt. aor. da •B@8bT (da •B` e 8bT), liberare, lasciare,
congedare, mandare via, licenziare; cf. Mc 6,36.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
<ZFJg4H: agg. qualificativo, acc. plur. m. da <­FJ4H, –4*@H, digiuno, affamato; attributo di
"ÛJ@bH. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mt 15,32; Mc 8,3 (hapax marciano). Impiegato
a partire da Omero (cf. Id., Il., 19,207) <­FJ4H indica colui che non ha mangiato, l’affamato,
ossia chi è digiuno per causa di forza maggiore. La prospettiva cultuale e religiosa è assente
nelle ricorrenze neotestamentarie.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
@Éi@<: sost., acc. sing. m. da @Éi@H, –@L, casa, abitazione; cf. Mc 2,1; compl. di moto a luogo.
Senza articolo perché la frase è stereotipa («andare a casa», «uscire da casa»), sottintendendo
la propria o quella abitualmente frequentata.
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona plurale
(«di essi» = «loro»).
¦i8LhZF@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. pass. da ¦i8bT (da ¦i e 8bT), indebolirsi,
stancarsi, venir meno, perdersi d’animo. Questo verbo ricorre 5 volte nel NT: Mt 15,32; Mc
8,3 (hapax marciano); Gal 6,9; Eb 12,3.5. A partire da Omero il verbo è usato nella diatesi
sia attiva che media con il significato di «sciogliere», «rilasciare», «liberare», in senso proprio
o figurato (cf. Omero, Od., 10,286; Sofocle, Oed. tyr., 1003; Euripide, Hip., 809; 1335;
Erodoto, Hist., 2,173,3). Nella diatesi passiva assume il significato di «essere sfinito», «essere
indebolito», «venir meno» (cf. Isocrate, Or., 15,59; Polibio, Hist., 20,4,7; Senofonte, Cyn.,
5,5). Nel NT ¦i8bT compare soltanto nella diatesi passiva con significato sia proprio che
figurato.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
Ò*è: sost., dat. sing. f. da Ò*`H, –@Ø, strada, via; cf. Mc 1,2; compl. di moto per luogo.
L’espressione ¦< J± Ò*è ricorre 6 volte in Marco (cf. Mc 8,3.27; 9,33.34; 10,32.52) e
Mc 8,4 549

forma una importante inclusione con Mc 10,52: non indica soltanto un cammino fisico, un
percorso geografico, ma soprattutto l’itinerario spirituale che Gesù fa compiere ai discepoli.
Si tratta della “via” di Gesù verso la sua passione e morte, ma si tratta anche del “cammino”
dei discepoli durante il quale saranno da lui educati.
i"\: cong. coordinativa di valore aggiuntivo, indecl., anche, perfino, inoltre, altresì; cf. Mc 1,4.
Il significato aggiuntivo di i"\ è presente in Mc 1,27b.38b; 2,15b.26c.28; 3,19b; 4,24b;
6,34b; 7,18b; 8,3b.7ac.38c; 9,22a; 11,25b; 12,22b; 13,29; 14,9.29.31; 15,31.40ab.43a.
J4<gH: pron. indefinito (enclitico), nom. plur. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; soggetto.
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione.
•B`: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da; cf. Mc
1,9. Uso pleonastico di •B`, come avviene altrove (cf. Mc 5,6; 11,13; 14,54; 15,40).
:"iD`hg<: avv. di luogo, indecl., da lontano, in lontananza; cf. Mc 5,6.
»i"F4<: verbo, 3a pers. plur. ind. perf. da »iT, venire, giungere, arrivare. Questo verbo ricorre
26 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 8,11; 23,36; 24,14.50; Mc
8,3 (hapax marciano); Lc 12,46; 13,29.35; 15,27; 19,43; Gv 2,4; 4,47; 6,37; 8,42. Sebbene
nel greco classico »iT è spesso usato in contesto cultuale e sacrificale per indicare il
«venire» (= il «manifestarsi») della divinità e nel NT il «venire» escatologico del Signore, qui
compare nell’accezione profana in riferimento a un venire in senso spaziale (cf. Erodoto,
Hist., 8,50,1).

8,4 i" •BgiD\h0F"< "ÛJè @Ê :"h0J" "ÛJ@Ø ÓJ4 A`hg< J@bJ@LH *L<ZFgJ"\ J4H
ô*g P@DJVF"4 –DJT< ¦Bz ¦D0:\"Hp
8,4 I suoi discepoli gli risposero: «Come si possono sfamare di pane, qui, in un deserto?».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•BgiD\h0F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
:"h0J"\: sost., nom. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; soggetto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
550 Mc 8,5

ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
A`hg<: avv. interrogativo, indecl., da dove?, donde?; cf. Mc 6,2. L’avverbio può essere inteso:
a) in senso locale («da dove»), per indicare che non esiste luogo alcuno, nel deserto, in cui
si possa procurare il pane (= «da dove è possibile saziarli di pane?»); b) in senso modale,
corrispondente all’avverbio interrogativo BäH («come?», «in che modo?»), analogamente a
quanto avviene in Mc 12,37.
J@bJ@LH: pron. dimostrativo, acc. plur. m. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; compl. oggetto.
La forma J@bJ@LH ricorre 28 volte nel NT rispetto alle 1387 ricorrenze totali di questo
pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 6 volte in Matteo (corrispondente allo
0,033% del totale delle parole); 1 volta in Marco (cf. Mc 8,4 = 0,009%); 5 volte in Luca
(0,026%); 2 volte in Giovanni (0,013%). In posizione enfatica.
*L<ZFgJ"\: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere
in grado di; cf. Mc 1,40.
J4H: pron. indefinito (enclitico), nom. sing. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; soggetto. Il pronome indefinito espleta in
questo caso una funzione impersonale: l’espressione letterale «come qualcuno potrebbe
sfamarli…» corrisponde a: «come si possono sfamare…».
ô*g: avv. di luogo, indecl., qui, qua; cf. Mc 6,3.
P@DJVF"4: verbo, inf. aor. da P@DJV.T, ingrassare, riempire, saziare; cf. Mc 6,42.
–DJT<: sost., gen. plur. m. da –DJ@H, –@L, pane; cf. Mc 2,26; compl. di mezzo. La forma
plurale è dovuta a influsso semitico.
¦Bz: (= ¦B\), prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., in, su, a, davanti a,
verso, sopra, presso; cf. Mc 1,22.
¦D0:\"H: sost., gen. sing. f. da §D0:@H, –@L, regione desertica, luogo solitario, landa desolata;
cf. Mc 1,3; compl. di stato in luogo.

8,5 i" ²DfJ" "ÛJ@bHs A`F@LH §PgJg –DJ@LHp @Ê *¥ gÉB"<s {+BJV.


8,5 Egli domandò loro: «Quanti pani avete?». Gli risposero: «Sette».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


²DfJ": verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da ¦DTJVT, chiedere, domandare, interrogare; cf. Mc
4,10. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo («domandava», «continuava a
domandare»), ma puntuale, corrispondente a un aoristo («domandò»). Per altri esempi di
questo imperfetto puntuale con il verbo ¦BgDTJVT cf. Mc 5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33;
10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; per quanto riguarda l’imperfetto puntuale con 8X(T cf.
Mc 2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24.26.30.41; 5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24;
9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70; 15,12a.14.
Mc 8,6 551

"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
A`F@LH: agg. interrogativo, acc. plur. m. da B`F@H, –0, –@<, quanto?, quanto grande?; cf. Mc
6,38; attributo di –DJ@LH.
§PgJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
–DJ@LH: sost., acc. plur. m. da –DJ@H, –@L, pane; cf. Mc 2,26; compl. oggetto. Senza articolo
perché generico.
@Ê: art. determ., con valore pronominale, nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5;
soggetto. Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale
"ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
gÉB"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7.
{+BJV: agg. numerale, cardinale, acc. plur. m., indecl., sette; attributo del sostantivo sottinteso
–DJ@LH. Il vocabolo ricorre 88 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 9
volte in Matteo (corrispondente allo 0,049% del totale delle parole); 9 volte in Marco (cf. Mc
8,5.6.8.20[x2]; 12,20.22.23; 16,9 = 0,080%); 6 volte in Luca (0,031%). Sebbene nella Bibbia
esista un uso anche simbolico legato ai numeri qui il numero sette è una cifra tonda che non
sembra comportare nessun senso recondito. Per altre osservazioni circa il presunto
simbolismo numerico presente in questa scena vedi commento a Mc 6,44.

8,6 i" B"D"((X88g4 Jè ÐP8å •<"BgFgÃ< ¦B J­H (­H· i" 8"$ã< J@×H ©BJ
–DJ@LH gÛP"D4FJZF"H §i8"Fg< i" ¦*\*@L J@ÃH :"h0J"ÃH "ÛJ@Ø Ë<"
B"D"J4häF4<s i"Â B"DXh0i"< Jè ÐP8å.
8,6 Allora egli ordinò alla folla di sedersi per terra. Prese i sette pani, rese grazie, li
spezzò e li diede ai suoi discepoli perché li distribuissero; ed essi li distribuirono alla
folla.

i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.
7a.21.26a. 35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.
48a.50.53a.65a.72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\, di influsso semitico, acquista
il significato avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica) per introdurre come
formula paratattica di passaggio una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra
unità narrativa.
B"D"((X88g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da B"D"((X88T (da B"DV e la radice di
–((g8@H), comandare, ordinare, incaricare; cf. Mc 6,8. Presente storico.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
552 Mc 8,6

ÐP8å: sost., dat. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; compl. di termine.
•<"BgFgÃ<: verbo, inf. aor. da •<"B\BJT (da •<V e B\BJT), sdraiarsi, distendersi, sedere a
mensa; cf. Mc 6,40.
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., in, su, a, davanti a, verso, sopra,
presso; cf. Mc 1,22.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
(­H: sost., gen. sing. f. da (­, (­H, terra; cf. Mc 2,10; compl. di stato in luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8"$f<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da 8":$V<T, prendere, afferrare, raccogliere, ricevere;
cf. Mc 4,16. Participio predicativo unito per asindeto al soggetto sottinteso z30F@ØH. Il gesto
compiuto da Gesù e la descrizione della scena, come avviene anche in Mc 6,41, risentono
del simbolismo eucaristico (cf. Mc 14,22). Ciò può essere evidenziato mediante un confronto
sinottico:

I moltiplicazione II moltiplicazione Ultima cena


(Mc 6,41) (Mc 8,6) (Mc 14,22)

i" 8"$ã< i" 8"$ã< 8"$ã< –DJ@<


J@×H BX<Jg –DJ@LH J@×H ©BJ –DJ@LH

•<"$8XR"H gÆH
JÎ< @ÛD"<`<

gÛ8`(0Fg< gÛP"D4FJZF"H gÛ8@(ZF"H

i"JXi8"Fg< §i8"Fg< §i8"Fg<

i"Â ¦*\*@L J@ÃH :"h0J"ÃH i"Â ¦*\*@L J@ÃH :"h0J"ÃH i"Â §*Tig< "ÛJ@ÃH

J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
©BJV: agg. numerale, cardinale, acc. plur. m., indecl., sette; cf. Mc 8,5; attributo di –DJ@LH.
–DJ@LH: sost., acc. plur. m. da –DJ@H, –@L, pane; cf. Mc 2,26; compl. oggetto.
gÛP"D4FJZF"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da gÛP"D4FJXT, rendere grazie, ringraziare.
Questo verbo ricorre 38 volte nel NT: Mt 15,36; 26,27; Mc 8,6; 14,23; Lc 17,16; 18,11;
22,17.19; Gv 6,11.23; 11,41; At 27,35; 28,15; Rm 1,8.21; 14,6[x2]; 16,4; 1Cor 1,4.14; 10,30;
11,24; 14,17.18; 2Cor 1,11; Ef 1,16; 5,20; Fil 1,3; Col 1,3.12; 3,17; 1Ts 1,2; 2,13; 5,18; 2Ts
1,3; 2,13; Fm 1,4; Ap 11,17. Participio predicativo unito per asindeto al soggetto sottinteso
z30F@ØH. Nell’uso linguistico primitivo il verbo gÛP"D4FJXT, di epoca post–classica, indica
il generico «fare un favore a qualcuno»: JÎ gÛP"D4FJgÃ< ¦BÂ J@Ø *4*`<"4 PVD4<, @Ûi
¦BÂ J@Ø gÆ*X<", «[il verbo] gÛP"D4FJgÃ< indica il fare un favore, non il ringraziare» (cf.
Polluce, Onom., 5,141,1). Poiché un favore implica la riconoscenza il verbo ha finito per
Mc 8,6 553

assumere il significato derivato di «essere riconoscente», «rendere grazie», «ringraziare» (cf.


Polibio, Hist., 16,25,1). Destinatari di questa «riconoscenza» (gÛP"D4FJ\") possono essere
gli dèi (cf. Epitteto, Diss., 1,19,25) o gli uomini (cf. Diodoro Siculo, Bibl., 17,59,7). Nel
nostro caso, tenendo presente il particolare contesto dell’assunzione dei pasti nel mondo
giudaico, gÛP"D4FJXT riveste il significato tecnico di «rendere grazie» (sott. a Dio),
recitando la benedizione della mensa (ebraico …9Hv I , ba) rak) ed è impiegato in alternanza a
gÛ8@(XT che troviamo in Mc 6,41, quantunque i LXX abbiano abitualmente tradotto …9HvI,
ba) rak, con gÛ8@(XT e soltanto raramente con gÛP"D4FJXT. Tale rendimento di grazie era
considerato un dovere imprescindibile: era rigorosamente prescritto di non mangiare nulla
senza aver prima pronunciato la benedizione rituale (cf. t.Ber., 4,1; y.Ber., 10a). La formula
di benedizione o di lode a Dio prima della consumazione dei pasti riportata nei testi rabbinici
è la seguente: «Benedetto sii tu, o Signore, nostro Dio, re del mondo, che produci il pane
dalla terra» (cf. b.Ber., 35a; cf. Strack–Bill., I,685).
§i8"Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da i8VT, rompere, spezzare, frangere. Questo verbo
ricorre 14 volte nel NT: Mt 14,19; 15,36; 26,26; Mc 8,6.19; 14,22; Lc 22,19; 24,30; At 2,46;
20,7.11; 27,35; 1Cor 10,16; 11,24. La forma verbale transitiva deve essere integrata con
l’accusativo plurale maschile del pronome dimostrativo/personale (= "ÛJ@bH) in funzione
di complemento oggetto, analogamente a quanto avviene in Mc 2,4; 6,13.41; 14,22. È
probabile che questo anacoluto sia dovuto a influsso semitico. Nell’uso neotestamentario il
verbo i8VT, «spezzare» in senso fisico (cf. Omero, Od., 6,128) è utilizzato soltanto in
connessione con il gesto della frazione del pane in occasione del pasto, come avviene per il
derivato i"J"i8VT (cf. Mc 6,41; Lc 9,16). Nel vangelo di Marco il verbo è riservato
esclusivamente a Gesù, presentato come il padre di famiglia giudaico il quale mediante la
frazione del pane dà inizio al pasto. Siamo abbastanza informati su come si svolgeva questa
usanza: all’inizio del pasto comune il padre di famiglia prende una focaccia di pane (per lo
più a forma schiacciata) e pronuncia su di essa una preghiera di benedizione, come, ad
esempio, quella riportata da m.Ber., 6,1: «Benedetto sii tu, o Signore, nostro Dio, re del
mondo, che produci il pane dalla terra» (cf. anche b.Ber., 35a). Quindi con le mani spezza
il pane in piccole porzioni che distribuisce per ciascuno; poi ne spezza un boccone per sé
stesso e mangia: ciò è per tutti il segno dell’inizio del pasto. Quando Gesù spezza il pane alla
moltitudine stanca e affamata (cf. Mc 6,41; 8,6), ai discepoli nell’ultima cena (cf. Mc 14,22;
1Cor 11,24) o ai pellegrini di Emmaus (cf. Lc 24,30.35) si attiene a questa usanza, come il
padre di famiglia nei riguardi dei commensali.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦*\*@L: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26. La forma verbale
transitiva deve essere integrata con l’accusativo plurale maschile del pronome dimostrativo
personale (= "ÛJ@bH) in funzione di complemento oggetto, analogamente a quanto avviene
in Mc 2,4; 6,13.41; 14,22. È probabile che questo anacoluto sia dovuto a influsso semitico.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
:"h0J"ÃH: sost., dat. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; compl. di termine.
554 Mc 8,7

"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
B"D"J4häF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. pres. da B"D"J\h0:4 (da B"DV e J\h0:4),
mettere davanti, presentare, dare, offrire; cf. Mc 6,41.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
B"DXh0i"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da B"D"J\h0:4 (da B"DV e J\h0:4), mettere
davanti, presentare, dare, offrire; cf. Mc 6,41.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ÐP8å: sost., dat. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; compl. di termine.

8,7 i" gÉP@< ÆPhb*4" Ï8\("· i" gÛ8@(ZF"H "ÛJ gÉBg< i" J"ØJ" B"D"J4hX-
<"4.
8,7 Avevano anche pochi pesciolini; dopo aver recitato la benedizione su di essi, ordinò
di distribuire anche quelli.

i"\: cong. coordinativa di valore aggiuntivo, indecl., anche, perfino, inoltre, altresì; cf. Mc 1,4.
Il significato aggiuntivo di i"\ è presente in Mc 1,27b.38b; 2,15b.26c.28; 3,19b; 4,24b;
6,34b; 7,18b; 8,3b.7ac.38c; 9,22a; 11,25b; 12,22b; 13,29; 14,9.29.31; 15,31.40ab.43a.
gÉP@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. Imperfetto descrittivo.
ÆPhb*4": sost., acc. plur. n. da ÆPhb*4@<, –@L (diminutivo di ÆPhbH), pesciolino; compl.
oggetto. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mt 15,34; Mc 8,7 (hapax marciano). Senza
articolo perché indeterminati e generici. L’uso dei diminutivi è una delle caratteristiche dello
stile marciano (cf. Mc 3,9; 5,23.39.41; 6,9; 7,25.27.28.30; 8,7; 9,24.36.37; 10,13–14; 14,47)
e più in generale del greco ellenistico.
Ï8\(": agg. indefinito, acc. plur. n. da Ï8\(@H, –0, –@<, poco; un po’, per un po’; cf. Mc 1,19;
attributo di ÆPhb*4".
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
gÛ8@(ZF"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da gÛ8@(XT (da gÞ e 8`(@H), lodare, celebrare,
benedire; cf. Mc 6,41. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH.
"ÛJV: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. n. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 5,10; compl. oggetto.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7. Il verbo 8X(T è qui costruito con l’accusativo e l’infinito nel significato di «comandare»,
«ordinare», «raccomandare» (con il pronome sottinteso "ÛJ@ÃH, «a loro»). Analogo esempio
in Mc 5,43.
Mc 8,8–9 555

i"\: cong. coordinativa di valore aggiuntivo, indecl., anche, perfino, inoltre, altresì; cf. Mc 1,4.
Il significato aggiuntivo di i"\ è presente in Mc 1,27b.38b; 2,15b.26c.28; 3,19b; 4,24b;
6,34b; 7,18b; 8,3b.7ac.38c; 9,22a; 11,25b; 12,22b; 13,29; 14,9.29.31; 15,31.40ab.43a.
J"ØJ": pron. dimostrativo, acc. plur. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 2,8; compl.
oggetto.
B"D"J4hX<"4: verbo, inf. pres. da B"D"J\h0:4 (da B"DV e J\h0:4), mettere davanti,
presentare, dare, offrire; cf. Mc 6,41.

8,8 i" §n"(@< i" ¦P@DJVFh0F"<s i" µD"< BgD4FFgb:"J" i8"F:VJT< ©BJ
FBLD\*"H.
8,8 Mangiarono e si saziarono e raccolsero sette sporte di pezzi avanzati.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§n"(@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da ¦Fh\T, mangiare, prendere cibo, consumare,
divorare; cf. Mc 1,6.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦P@DJVFh0F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. pass. da P@DJV.T, ingrassare, riempire, saziare;
cf. Mc 6,42.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
µD"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da "ÇDT, alzare, sollevare, sostenere, sorreggere, portare,
prendere; cf. Mc 2,3.
BgD4FFgb:"J": sost., acc. plur. n. da BgD\FFgL:", –J@H, abbondanza, avanzo, residuo;
compl. predicativo dell’oggetto. Il vocabolo ricorre 5 volte nel NT: Mt 12,34; Mc 8,8 (hapax
marciano); Lc 6,45; 2Cor 8,14[x2]. Derivato dal verbo BgD4FFgbT (cf. Mc 12,44) il termine
indica l’eccedenza, la sovrabbondanza di cose (cf. Oribasio, Coll. med., 8,26,2; 14,1,2).
i8"F:VJT<: sost., gen. plur. n. da i8VF:", –J@H, frammento, pezzo, resto; cf. Mc 6,43;
compl. di specificazione. La frase i" µD"< BgD4FFgb:"J" i8"F:VJT< ©BJ
FBLD\*"H è ostica, ma comprensibile: «e raccolsero sette sporte come avanzi di pezzi»,
ossia «raccolsero sette sporte di pezzi avanzati». Analoga costruzione in Mc 6,43.
©BJV: agg. numerale, cardinale, acc. plur. m., indecl., sette; cf. Mc 8,5; attributo di FBLD\*"H.
Per quanto riguarda il presunto valore simbolico dei numeri soggiacente a questa scena vedi
commento a Mc 6,44.
FBLD\*"H: sost., acc. plur. f. da FBLD\H, –\*@H, cesto, canestro; compl. oggetto. Il vocabolo
ricorre 5 volte nel NT: Mt 15,37; 16,10; Mc 8,8.20; At 9,25. Nella grecità il sostantivo
FBLD\H indica il generico «cesto», utilizzato per il trasporto di pane, pesci, ortaggi, ecc. (cf.
Erodoto, Hist., 5,16,4; Aristofane, Pax, 1005).

8,9 µF"< *¥ ñH JgJD"i4FP\84@4. i" •BX8LFg< "ÛJ@bH.


8,9 Erano circa quattromila. Poi li rimandò a casa.
556 Mc 8,10

µF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf.
Mc 1,6.
*X: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti, dunque, quindi; cf. Mc 1,8. La
formula µF"< *X» / µ< *X, analogamente a i"Â µF"< / i"Â µ< e a µF"< (VD / µ< (VD,
è usata da Marco per introdurre un inciso di valore causale o esplicativo (cf. Mc 1,16.33;
2,15; 5,42; 6,31.44.48; 7,26; 8,9; 10,22; 11,13; 14,40; 15,25; 16,14).
ñH: cong. subordinativa con valore di approssimazione, indecl., circa, quasi; cf. Mc 1,10. La
congiunzione ñH, nel significato di indeterminazione numerica, compare anche in Mc 5,13.
JgJD"i4FP\84@4: agg. numerale, cardinale, nom. plur. m. da JgJD"i4FP\84@4, –"4, –",
quattromila; predicato nominale. Il vocabolo ricorre 5 volte nel NT: Mt 15,38; 16,10; Mc
8,9.20; At 21,38.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•BX8LFg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •B@8bT (da •B` e 8bT), liberare, lasciare,
congedare, mandare via, licenziare; cf. Mc 6,36.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.

8,10 5" gÛh×H ¦:$H gÆH JÎ B8@Ã@< :gJ Jä< :"h0Jä< "ÛJ@Ø µ8hg< gÆH J :XD0
)"8:"<@LhV.
8,10 Subito dopo salì sulla barca con i suoi discepoli e andò dalle parti di Dalmanuta.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
¦:$VH: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ¦:$"\<T (da ¦< e la radice di $VF4H), entrare, salire;
cf. Mc 4,1. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
B8@Ã@<: sost., acc. sing. n. da B8@Ã@<, –@L, barca; cf. Mc 1,19; compl. di moto a luogo.
:gJV: prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con, insieme a, in
compagnia di; cf. Mc 1,13.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
:"h0Jä<: sost., gen. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; compl. di compagnia.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
Mc 8,11 557

µ8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
:XD0: sost., acc. plur. n. da :XD@H, –@LH, parte; compl. di moto a luogo. Il vocabolo ricorre 42
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 2,22; 15,21; 16,13; 24,51; Mc
8,10 (hapax marciano); Lc 11,36; 12,46; 15,12; 24,42. Conforme all’uso classico (cf.
Tucidide, Hist., 2,96,1; Platone, Leg., 795e) il sostantivo :XD@H è presente nel NT in tre
accezioni fondamentali: a) in senso geografico e cosmologico, corrispondente a «contrada»,
«regione» (cf. Mt 2,22; cf. 1Sam 30,14; Is 9,1, LXX); b) nel significato di «partito» religioso
(cf. At 23,6.9); c) con significato traslato, proprio di Paolo, equivalente a «corpo», «membra»,
in contesto ecclesiologico (cf. 1Cor 12,27).
)"8:"<@LhV: sost., nome proprio di località, gen. sing. f., indecl., Dalmanuta; compl. di
specificazione. Hapax neotestamentario. Traslitterazione grecizzata di un toponimo
probabilmente di origine aramaica indicante una presunta regione situata sulla riva
occidentale del lago di Genezaret, vicina a Magdala. L’etimologia del nome e l’esatta
ubicazione sono sconosciuti. Per alcuni sarebbe una espressione aramaica rimasta non
tradotta (= «luogo del soggiorno»). Il passo parallelo di Matteo riporta la grafia 9"("*V<,
«Magadan» (cf. Mt 15,39), sito ugualmente sconosciuto. La lezione )"8:"<@LhV è attestata
nei migliori codici e la proposta di correggere la parola con la variante 9"(*"8V,
«Magdala», presente in altri codici con intento chiaramente armonizzante (1, f1, f13), non può
essere accolta dal punto di vista di critica testuale.

8,11 5"Â ¦>­8h@< @Ê M"D4F"Ã@4 i"Â ³D>"<J@ FL.0JgÃ< "ÛJès .0J@Ø<JgH B"Dz
"ÛJ@Ø F0:gÃ@< •BÎ J@Ø @ÛD"<@Øs Bg4DV.@<JgH "ÛJ`<.
8,11 Allora vennero i farisei e cominciarono a discutere con lui, chiedendogli un segno dal
cielo, per metterlo alla prova.

5"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.21.
26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.
50.53a.65a.72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\, di influsso semitico, acquista il
significato avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica) per introdurre come
formula paratattica di passaggio una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra
unità narrativa.
¦>­8h@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori, uscire;
cf. Mc 1,25.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
558 Mc 8,11

M"D4F"Ã@4: sost., nome proprio di gruppo religioso, nom. plur. m. da M"D4F"Ã@H, –@L, farisei;
cf. Mc 2,16; soggetto. Articolo generalizzante con valore di totalità per indicare che il
gruppo era costituito esclusivamente dai farisei.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
³D>"<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. medio da –DPT, dare inizio, cominciare; cf. Mc 1,45.
La frase ³D>"J@ / ³D>"<J@ seguita da un infinito come complemento è usata da Marco 26
volte (cf. Mc 1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32; 10,28.32.41.47; 11,15; 12,1;
13,5; 14,19.33.65.69.71; 15,8.18). La frequenza di questa formula è dovuta probabilmente
a influsso semitico: quasi sempre equivale a una perifrasi nella quale il verbo –DPT, di
valore pleonastico, può essere omesso, mentre l’infinito dipendente viene reso con la 3a
persona dell’indicativo aoristo o imperfetto corrispondente.
FL.0JgÃ<: verbo, inf. pres. da FL.0JXT (da Fb< e .0JXT), discutere, disputare, domandare;
cf. Mc 1,27.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
.0J@Ø<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da .0JXT, cercare (per trovare od ottenere),
provare a, tentare di; cf. Mc 1,37. Participio predicativo del soggetto @Ê M"D4F"Ã@4.
B"Dz: (= B"DV), prep. propria con valore di agente, seguita dal genitivo, indecl., da, da parte
di; cf. Mc 1,16.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di agente.
F0:gÃ@<: sost., acc. sing. n. da F0:gÃ@<, –@L, segno; compl. oggetto. Senza articolo perché
generico. Il vocabolo ricorre 77 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 13
volte in Matteo (corrispondente allo 0,071% del totale delle parole); 7 volte in Marco (cf. Mc
8,11.12[x2]; 13,4.22; 16,17.20 = 0,062%); 11 volte in Luca (0,056%); 17 volte in Giovanni
(0,109%). Il termine F0:gÃ@< indica nel greco classico il segnale o contrassegno, solitamente
di tipo visivo o uditivo, con il quale si riconosce una determinata persona, cosa o avvenimen-
to (cf. Erodoto, Hist., 2,38,2; Senofonte, Cyr., 8,3,13; Eschilo, Suppl., 218). I LXX con
F0:gÃ@< traducono il termine ebraico ;|!, ’ô5t (80 volte su 125 ricorrenze), il quale può
assumere in ambito profano il significato di «segno», «contrassegno», «garanzia» (cf. Gn
4,15; 9,8; 17,11; Es 12,13; 31,13, ecc.) oppure in ambito religioso quello di «segno
prodigioso», «miracolo», in particolare nella formula stereotipa di stampo deuteronomistico
F0:gÃ" i"Â JXD"J", «segni e prodigi» (cf. Dt 6,22; 28,46; 34,11; Sal 135,9; Sap 8,8; Is
8,18; 20,3; Ger 39,20.21; Dn 4,37; 6,28; cf. anche Mt 24,24; Mc 13,22; Gv 4,18; At 4,30;
5,12; 14,3; 15,12; Rm 15,19; 2Ts 2,9). Si tratta in ogni caso di un segno esteriore (visibile,
udibile o sperimentabile) che rimanda a qualcosa d’altro. Anche se il testo marciano non è
molto esplicito è probabile che a Gesù venga richiesto un segno di tipo messianico, per
attestare la sua presunta autorità di compiere determinate azioni (cf. Mc 11,28: «Con quale
autorità fai queste cose? Chi ti ha dato l’autorizzazione di farle?»).
•B`: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da; cf. Mc
1,9.
Mc 8,12 559

J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
@ÛD"<@Ø: sost., gen. sing. m. da @ÛD"<`H, –@Ø, cielo, volta celeste; cf. Mc 1,10; compl. di
moto da luogo. La locuzione F0:gÃ@< •BÎ J@Ø @ÛD"<@Ø può essere interpretata in due
modi: a) la frase «dal cielo» può essere intesa come una semplice perifrasi del nome divino
(cf. Mc 1,11). In questo caso verrebbe richiesto un segno di tipo profetico o messianico
dell’autorità di Gesù: «un segno da parte di Dio» che legittimi in modo chiaro e palese il dire
e il fare di Gesù; b) se invece la frase «dal cielo» viene intesa come riferimento al luogo in
cui il segno deve avvenire, allora il rimando sarebbe piuttosto alla tradizione apocalittica (=
«un segno [fisico] proveniente dal cielo»). La prima ipotesi è più probabile.
Bg4DV.@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da Bg4DV.T, provare, esaminare, saggiare,
tentare, mettere alla prova; cf. Mc 1,13. Participio predicativo del soggetto @Ê M"D4F"Ã@4:
può essere reso anche mediante un infinito di valore finale: «cominciarono a discutere… per
metterlo alla prova».
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.

8,12 i" •<"FJg<V>"H Jè B<gb:"J4 "ÛJ@Ø 8X(g4s I\ º (g<g "àJ0 .0Jgà F0:gÃ@<p
•:¬< 8X(T ß:Ã<s gÆ *@hZFgJ"4 J± (g<g” J"bJ® F0:gÃ@<.
8,12 Ma egli, sospirando profondamente in sé stesso, disse: «Perché questa generazione
chiede un segno? In verità io vi dico: nessun segno sarà dato a una tale generazione».

i"\: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, però; cf. Mc 1,4. Il
significato avversativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ adversativum)
si riscontra in Mc 1,13c; 3,7b.12.33a; 4,17a.19a.27d; 5,19a; 6,19b.20d.33a; 7,24b.28b;
8,12.16.29.30; 9,12a.30.31c.42a; 10,34; 12,12b.17a; 16,8c.
•<"FJg<V>"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da •<"FJg<V.T (da •<V e FJg<V.T),
sospirare, gemere. Hapax neotestamentario. Participio predicativo di valore espletivo del
soggetto sottinteso z30F@ØH. Nel greco classico il verbo è impiegato nei significati di
«gemere», «lamentarsi», «piangere» (cf. Erodoto, Hist., 1,86,3; Senofonte, Symp., 1,15;
Euripide, Herc., 118). Abbiamo soltanto 4 ricorrenze nei LXX (cf. Sir 25,18; Lam 1,4;
2Mac 6,29; Susanna, 22 Teod.).
Jè: art. determ., dat. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B<gb:"J4: sost., dat. sing. n. da B<gØ:", –"J@H, alito, soffio, vento, spirito, Spirito; cf. Mc 1,8;
compl. di stato in luogo.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
560 Mc 8,12

I\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24. L’uso di J\ con il valore di «perché?» viene
spiegato come una specie di accusativo di specificazione o di relazione («di che cosa?», «in
relazione a che?)». Corrisponde a *4 J\ (cf. Mc 2,18; 7,5; 11,31). È però possibile ritenere
che si tratti qui di un semitismo, per tradurre l’esclamazione «come!», «che!», usata per
esprimere indignazione e meraviglia: in tal caso avremmo la seguente traduzione: «Come!
Questa generazione chiede un segno?».
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
(g<gV: sost., nom. sing. f. da (g<gV, –H, generazione, stirpe, genia; soggetto. Il vocabolo
ricorre 43 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 13 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,071% del totale delle parole); 5 volte in Marco (cf. Mc 8,12[x2].38;
9,19; 13,30 = 0,044%); 15 volte in Luca (0,077%). A partire da Omero il sostantivo (g<gV
indica la «stirpe», la «generazione» (cf. Omero, Il., 1,250; Od., 19,294). Il termine nella
maggior parte delle ricorrenze sinottiche (25 volte su 33) sta a indicare la «generazione» per
eccellenza, ossia la stirpe giudaica del tempo di Gesù. In particolare la formula «questa
generazione» ricorre 19 volte: in tutte le ricorrenze è pronunciata da Gesù con una coloritura
escatologica negativa, poiché è usata per designare il popolo di Israele, a lui contemporaneo,
accusato di infedeltà e malvagità e soprattutto di aver rifiutato la salvezza da lui offerta (cf.
Mt 11,16; 12,41.42.45; 23,36; 24,34; Mc 8,12[x2].38; 13,30; Lc 7,31; 11,29.30.31.32.50.51;
17,25; 21,32). In questi casi l’espressione, pur intesa in senso temporale, in riferimento alla
stirpe giudaica contemporanea a Gesù, contiene sempre una implicazione di condanna.
"àJ0: pron. dimostrativo, nom. sing. f. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; attributo di (g<gV,
qui senza articolo perché in posizione predicativa. La forma "àJ0 ricorre 73 volte nel NT
rispetto alle 1387 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 9 volte in Matteo (corrispondente allo 0,049% del totale delle parole); 9 volte in
Marco (cf. Mc 8,12; 12,11.16.31.43. 44; 13,30; 14,4.9 = 0,080%); 13 volte in Luca
(0,067%); 8 volte in Giovanni (0,051%).
.0JgÃ: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da .0JXT, cercare (per trovare od ottenere), provare a,
tentare di; cf. Mc 1,37.
F0:gÃ@<: sost., acc. sing. n. da F0:gÃ@<, –@L, segno; cf. Mc 8,11; compl. oggetto. Senza
articolo perché generico.
•:Z<: avv. di modo, indecl., così è, così sia, in verità, certamente, veramente, «amen»; cf. Mc
3,28. Questa solenne formula introduttiva compare in Mc 3,28; 8,12; 9,1.41; 10,15.29; 11,23;
12,43; 13,30; 14,9.18.25.30. Per quanto riguarda il significato vedi commento a Mc 3,28.
8X(T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. La forma verbale 8X(T ricorre in Mc 20 volte (cf. Mc 2,11; 3,28; 5,41; 8,12;
9,1.13.41; 10,15.29; 11,23.24.33; 12,43; 13,30.37[x2]; 14,9.18.25.30): essa è usata soltanto
da Gesù, ossia è esclusivamente Gesù che parla del proprio parlare e ne sottolinea la forza,
l’insistenza e la validità. In particolare la formula •:¬< 8X(T ß:Ã< / F@4 (cf. Mc 3,28; 8,12;
9,1.41; 10,15.29; 11,23; 12,43; 13,30; 14,9.18.25.30) esprime il carattere solenne e
irrefutabile di quanto affermato da Gesù.
Mc 8,13 561

ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine.
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7. Alla lettera la frase «in verità vi dico se sarà dato un segno a questa
generazione» è ellittica e costruita secondo le formule imprecatorie del giuramento ebraico.
Queste si esprimono mediante quattro tipiche costruzioni che prevedono, in successione: a)
una formula introduttiva variamente indicata (… %&I%*A %” G 3CH* %Jƒ, «Questo mi faccia
Yhwh…»; …*˜ E 3AvH–A1E, «Giuro…»; …%&I%*A *( H : «Per la vita di Yhwh…»; … ‰–A5A1H *( H , «Per
la tua vita…»); b) l’uso della particella condizionale .! E («se…») per un proposito negativo
oppure *ƒ E / !J- .! E («se non…») per un proposito positivo; c) l’oggetto del giuramento. Nel
nostro caso la frase •:¬< 8X(T ß:Ã< sostituisce la formula introduttiva, mentre la
congiunzione gÆ corrisponde all’ebraico .! E con valore negativo: «Per la vita di Yhwh se
sarà dato un segno», ossia in senso diretto «nessun segno sarà dato». In pratica: si tratta di
una solenne affermazione di Gesù mediante la quale egli nega la possibilità di concedere
quanto richiesto dai farisei (il segno dal cielo). Nel NT la costruzione con gÆ (= .! E ) si trova
soltanto qui e in Eb 3,11; 4,3.5.
*@hZFgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. pass. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26. La forma passiva
è adoperata per evitare il nome di Dio (= passivo divino). L’uso del passivo divino di
*\*T:4 si ritrova in Mc 4,11.25; 8,12; 13,11.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
(g<g”: sost., dat. sing. f. da (g<gV, –H, generazione, stirpe, genia; cf. Mc 8,12; compl. di
termine.
J"bJ®: pron. dimostrativo, dat. sing. f. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; attributo di (g<g”,
qui senza articolo perché in posizione predicativa. La forma J"bJ® ricorre 32 volte nel NT
rispetto alle 1387 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 5 volte in Matteo (corrispondente allo 0,027% del totale delle parole); 3 volte in
Marco (cf. Mc 8,12.38; 14,30 = 0,027%); 8 volte in Luca (0,041%). In base al contesto
@âJ@H può assumere senso ostile o spregiativo (come qui) corrispondente all’italiano «tale»,
«simile», «siffatto». Stesso fenomeno in Mc 2,7; 14,69.
F0:gÃ@<: sost., nom. sing. n. da F0:gÃ@<, –@L, segno; cf. Mc 8,11; soggetto. Senza articolo
perché generico.

8,13 i" •ngÂH "ÛJ@×H BV84< ¦:$H •B­8hg< gÆH JÎ BXD"<.


8,13 Li lasciò, salì di nuovo sulla barca e si diresse verso l’altra sponda.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•ng\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare,
rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto
sottinteso z30F@ØH. Per altri esempi di participio espletivo con il verbo •n\0:4 cf. Mc 4,36;
8,13; 12,12; 14,50.
562 Mc 8,14

"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
¦:$VH: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ¦:$"\<T (da ¦< e la radice di $VF4H), entrare, salire;
cf. Mc 4,1. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso z30F@ØH. Molto
probabilmente questo participio, utilizzato per introdurre un verbo di movimento senza nulla
aggiungere al senso generale della proposizione, è un ebraismo, analogamente a quanto
avviene in Mc 2,14.
•B­8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •BXDP@:"4 (da •B` e §DP@:"4), andare via,
partire; cf. Mc 1,20.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
BXD"<: avv. di luogo, di valore sostantivato, acc. sing. n., indecl., la riva opposta, l’altra sponda;
cf. Mc 3,8; compl. di moto a luogo. Gli avverbi sostantivati sono locuzioni ellittiche in cui
viene sottinteso un sostantivo che cede il proprio articolo all’avverbio; tale sostantivo viene
facilmente ricavato dal contesto. L’espressione gÆH JÎ BXD"<, tipica di Marco, indica la parte
della costa dirimpetto a chi parla o viene menzionato (cf. Mc 4,35; 5,1.21; 6,45; 8,13).

8,14 5" ¦Bg8Vh@<J@ 8"$gÃ< –DJ@LH i" gÆ :¬ ª<" –DJ@< @Ûi gÉP@< :ghz ©"LJä<
¦< Jè B8@\å.
8,14 [I discepoli] avevano dimenticato di prendere dei pani: non avevano con loro, nella
barca, che un pane solo.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦Bg8Vh@<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. medio da ¦B48"<hV<T (da ¦B\ e 8"<hV<T),
dimenticare, trascurare. Questo verbo ricorre 8 volte nel NT: Mt 16,5; Mc 8,14 (hapax
marciano); Lc 12,6; Fil 3,13; Eb 6,10; 13,2.16; Gc 1,24. Nella grecità il verbo ¦B48"<hV<T,
anche se impiegato nella diatesi attiva con il senso di «far dimenticare» (cf. Omero, Od.,
20,85), compare generalmente in quella media nel significato di «dimenticarsi», «scordare»
(cf. Omero, Od., 1,57; Sofocle, Elect., 146; Euripide, Hel., 265). Il soggetto sottinteso
deducibile dal contesto è @Ê :"h0J"\, «i discepoli», il quale deve essere necessariamente
esplicitato nella traduzione. Il tempo aoristo ha qui valore di piuccheperfetto, come avviene
altrove (cf. Mc 3,10; 8,14; 9,34; 12,12[x2]).
8"$gÃ<: verbo, inf. aor. da 8":$V<T, prendere, afferrare, raccogliere, ricevere; cf. Mc 4,16.
–DJ@LH: sost., acc. plur. m. da –DJ@H, –@L, pane; cf. Mc 2,26; compl. oggetto. Senza articolo
perché generici.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7. La particella gÆ è qui strettamente unita alla negazione per formare la
Mc 8,15 563

locuzione congiuntiva gÆ :Z, «tranne», «all’infuori», «eccetto», che introduce una


proposizione eccettuativa. La formula, generalmente usata senza un verbo seguente, si
ritrova in Mc 2,7.26; 5,37; 6,4.5.8; 8,14; 9,9.29; 10,18; 11,13; 13,32.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
ª<": agg. numerale, cardinale, acc. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; attributo di –DJ@<.
–DJ@<: sost., acc. sing. m. da –DJ@H, –@L, pane; cf. Mc 2,26; compl. oggetto. Il complemento
oggetto ª<" –DJ@< è posto in posizione prolettica rispetto alla successiva proposizione
principale.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale. La formula @Ûi… gÆ :Z…
(gÆ :Z… @Ûi…), «non… se non…» (cf. Mc 2,26; 5,37; 6,4.5; 8,14; 13,20; cf. anche Mc
6,8; 9,9.29; 10,18; 11,13; 13,32) non è un vero semitismo poiché è attestata anche nel greco
classico (cf. Erodoto, Hist., 2,73,1; Senofonte, Anab., 1,5,6).
gÉP@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
:ghz: (= :gJV), prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con,
insieme a, in compagnia di; cf. Mc 1,13.
©"LJä<: pron. riflessivo, gen. plur. m. da ©"LJ@Ø, –­H, –@Ø (non usato al nominativo), lui, lui
stesso, esso; cf. Mc 1,27; compl. di compagnia.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
Jè: art. determ., dat. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B8@\å: sost., dat. sing. n. da B8@Ã@<, –@L, barca; cf. Mc 1,19; compl. di stato in luogo.

8,15 i" *4gFJX88gJ@ "ÛJ@ÃH 8X(T<s {?DJgs $8XBgJg •BÎ J­H .b:0H Jä<
M"D4F"\T< i"Â J­H .b:0H {/Dæ*@L.
8,15 Egli li stava ammonendo: «Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal
lievito di Erode!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


*4gFJX88gJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. medio da *4"FJX88T (da *4V e FJX88@:"4),
disporre, ordinare, comandare; cf. Mc 5,43. Imperfetto progressivo.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
8X(T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso z30F@ØH.
{?DJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf.
Mc 1,10. La forma asindetica è piuttosto frequente con gli imperativi dei verbi ÒDVT (cf. Mc
1,44; 6,38; 8,15), ßBV(T (cf. Mc 1,44; 5,34; 6,38; 7,29; 10,21.52; 16,7), ¦(g\DT (cf. Mc
564 Mc 8,15

2,9; 3,3; 5,41; 10,49; 14,42), F4TBVT (cf. Mc 4,39), n4:`T (cf. Mc 4,39), h"DFXT (cf. Mc
6,50; 10,49), $8XBT (cf. Mc 13,5.23.33).
$8XBgJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da $8XBT, vedere, percepire, discernere, fare
attenzione; cf. Mc 4,12. L’impiego di due imperativi in successione ravvicinata (ÒDJgs
$8XBgJg) rivela lo stile duale tipico di Marco (cf. Mc 1,25; 4,24; 6,31.38; 7,14; 8,15;
10,14.21; 11,2; 13,33; 14,34.38.42; 16,7). In questi casi l’accento è posto sul secondo verbo
rispetto al primo il quale svolge soltanto una funzione espletiva. Il verbo $8XBT costruito
con •B`, corrispondente al latino caveo ab (cf. anche Mc 12,38), non necessariamente deve
ritenersi un semitismo, poiché compare con questo significato anche su alcuni papiri di epoca
ellenistica. La forma imperativa plurale di $8XBT, usata come richiamo all’attenzione e alla
vigilanza, compare in Mc 4,24; 8,15; 12,38; 13,5.9.33.
•B`: prep. propria con valore di separazione, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,9.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
.b:0H: sost., gen. sing. f. da .b:0, –0H, lievito; compl. di moto da luogo. Il vocabolo ricorre 13
volte nel NT: Mt 13,33; 16,6.11.12; Mc 8,15[x2]; Lc 12,1; 13,21; 1Cor 5,6.7.8[x2]; Gal 5,9.
Il lievito ricordato nella Bibbia consisteva in una porzione di pasta conservata senza cuocerla
che inacidiva da sola e che, mescolata al nuovo impasto di farina, serviva a far lievitare il
pane prima della cottura. Nelle offerte prescritte dal Levitico era proibito servirsi del lievito
per ottenere il pane (cf. Lv 2,4.11): ciò rientra nella concezione primitiva che vedeva nel
fermento una forma di corruzione e di impurità che lo rendeva inetto al servizio sacro. In
senso metaforico il lievito è preso abitualmente nel NT con significato peggiorativo (a
eccezione di Mt 13,33 // Lc 13,20), come principio di corruzione che nuoce non soltanto al
soggetto, ma a tutto l’ambiente circostante (cf. 1Cor 5,6.7.8; Gal 5,9). Anche presso alcuni
scrittori profani il lievito assume il significato simbolico di un elemento di corruzione morale
(cf. Plutarco, Aet. Rom., 289,e,8; Persio, Sat., 1,24). Questa interpretazione metaforica e
negativa del lievito come segno di imperfezione e adulterazione è quella che ritroviamo nel
nostro passo, dove .b:0 indica non tanto l’ipocrisia dei farisei e di Erode, come esplicita
Luca (cf. Lc 12,1), quanto la loro errata ideologia o modo di pensare: negli scritti rabbinici
spesso il «lievito» è preso come immagine per indicare l’atteggiamento malvagio, la
cattiveria, la cattiva tendenza nell’uomo (b.Ber., 17a; cf. Strack–Bill., I,728–729; IV,466.468).
L’ammonimento, in tal caso, rappresenta uno dei più aspri attacchi contro il fariseismo e la
condotta peccaminosa e sanguinaria di Erode Antipa.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
M"D4F"\T<: sost., nome proprio di gruppo religioso, gen. plur. m. da M"D4F"Ã@H, –@L, farisei;
cf. Mc 2,16; compl. di specificazione.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
.b:0H: sost., gen. sing. f. da .b:0, –0H, lievito; cf. Mc 8,15a; compl. di moto da luogo.
{/Dæ*@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da {/Dæ*0H, –@L, Erode; cf. Mc
6,14; compl. di specificazione.
Mc 8,16–17 565

8,16 i" *4g8@(\.@<J@ BDÎH •88Z8@LH ÓJ4 }!DJ@LH @Ûi §P@LF4<.


8,16 Ma essi si misero a discutere tra loro, poiché non avevano pani.

i"\: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, però; cf. Mc 1,4. Il
significato avversativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ adversativum)
si riscontra in Mc 1,13c; 3,7b.12.33a; 4,17a.19a.27d; 5,19a; 6,19b.20d.33a; 7,24b.28b;
8,12.16.29.30; 9,12a.30.31c.42a; 10,34; 12,12b.17a; 16,8c.
*4g8@(\.@<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. medio da *4"8@(\.@:"4 (da *4V e
8@(\.@:"4), ragionare, esaminare, confrontare, deliberare, discutere; cf. Mc 2,6. Il
soggetto sottinteso, deducibile dal contesto, è @Ê :"h0J"\, «i discepoli». Imperfetto
progressivo.
BD`H: prep. propria con valore locale (di persone), seguita dall’accusativo, indecl., dinanzi a,
alla presenza di, tra; cf. Mc 1,5.
•88Z8@LH: pron. reciproco, acc. plur. m. da •88Z8T< (genitivo plurale di –88@H, con
raddoppiamento), l’un l’altro, reciprocamente, a vicenda; cf. Mc 4,41; compl. di stato in
luogo. La frase *4g8@(\.@<J@ BDÎH •88Z8@LH ricorda BDÎH •88Z8@LH […] *4g8XPh0-
F"< di Mc 9,34, sempre in riferimento ai Dodici.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore causale, indecl., poiché, perché, siccome; cf. Mc 1,15. Qualche
commentatore considera ÓJ4 come recitativum e di conseguenza rende l’espressione
successiva con il discorso diretto: «Non abbiamo più pane!».
}!DJ@LH: sost., acc. plur. m. da –DJ@H, –@L, pane; cf. Mc 2,26; compl. oggetto.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
§P@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.

8,17 i" (<@×H 8X(g4 "ÛJ@ÃHs I\ *4"8@(\.gFhg ÓJ4 –DJ@LH @Ûi §PgJgp @ÜBT
<@gÃJg @Û*¥ FL<\gJgp BgBTDT:X<0< §PgJg J¬< i"D*\"< ß:ä<p
8,17 Ed egli, accortosi di ciò, disse loro: «Perché discutete che non avete pani? Non
intendete e non capite ancora? Avete il cuore indurito?

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


(<@bH: verbo, nom. sing. m. part. aor. da (4<fFiT, percepire, sentire, conoscere, capire; cf.
Mc 4,13. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH. Gesù nei vangeli viene
sovente rappresentato in forma analoga all’ellenistico hgÃ@H •<ZD che è in grado di
«conoscere» dentro di sé ciò che gli altri pensano (cf. Mc 2,8), dicono (cf. Mc 8,17), si
propongono (cf. Gv 6,15) o sono (cf. Gv 5,6) ed è cosciente delle forze prodigiose che
escono da lui (cf. Mc 5,30). Tuttavia il verbo (4<fFiT non indica qui una conoscenza
soprannaturale, poiché Gesù poteva direttamente venire a conoscenza di quanto i discepoli
stavano dicendo, essendo presente alla scena.
566 Mc 8,17

8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. La formula redazionale 8X(g4
"ÛJ@ÃH ricorre 25 volte, esclusivamente riservata a Gesù (cf. Mc 1,38; 2,8.17.25; 3,4;
4,13.35; 5,39; 6,31.38.50; 7,18; 8,17; 9,35; 10,11.24.42; 11,2.22.33; 12,16; 14,13.27.34.41).
Per quanto riguarda la formula singolare 8X(g4 "ÛJè, avente come soggetto Gesù, cf. Mc
1,41.44; 2,14; 5,9.19; 7,34; per 8X(g4 "ÛJ± cf. Mc 5,41.
I\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24. L’uso di J\ con il valore di «perché?» viene
spiegato come una specie di accusativo di specificazione o di relazione («di che cosa?», «in
relazione a che?»); cf. Mc 2,7.8.24; 4,40; 5,35.39; 8,12.17; 9,16.33; 10,18; 11,3; 12,15; 14,6.
*4"8@(\.gFhg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. medio da *4"8@(\.@:"4 (da *4V e 8@(\.@:"4),
ragionare, esaminare, confrontare, deliberare, discutere; cf. Mc 2,6.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.
–DJ@LH: sost., acc. plur. m. da –DJ@H, –@L, pane; cf. Mc 2,26; compl. oggetto. Senza articolo
perché generici.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
§PgJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
@ÜBT: (da @Û e Bf), avv. di tempo, indecl., non ancora; cf. Mc 4,40.
<@gÃJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da <@XT, pensare, comprendere, capire, considerare; cf.
Mc 7,18. Marco sottolinea varie volte l’incomprensione dei Dodici, dei discepoli e delle folle,
incapaci di capire l’identità e il significato delle azioni di Gesù (cf. Mc 4,13.41; 6,52; 7,18;
8,17–18.21).
@Û*X: avv. di negazione di valore oggettivo, indecl., né, non, neanche, nemmeno; cf. Mc 4,22.
FL<\gJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da FL<\0:4 (da Fb< e \0:4), comprendere, intendere;
cf. Mc 4,12.
BgBTDT:X<0<: verbo, acc. sing. f. part. perf. pass., con valore aggettivale, da BTD`T, coprire,
rendere oscuro, rendere ottuso, indurire; cf. Mc 6,52; attributo di i"D*\"<, qui senza
articolo perché in posizione predicativa. Per dare maggiore enfasi all’interrogativo l’attributo
è messo in posizione prolettica rispetto all’oggetto a cui si riferisce: questa accentuazione
focalizza l’idea di indurimento del cuore e di fissazione delle proprie idee. La forma
interrogativa con cui Gesù si rivolge ai discepoli mostra che il loro indurimento, anche se
completamente insoddisfacente, non è definitivo: si tratta di una situazione temporanea. A
livello strutturale si può osservare una efficace inclusione con Mc 6,52 dove il termine
BgBTDT:X<0< è posto non all’inizio, ma alla fine del testo (•88z µ< "ÛJä< º i"D*\"
BgBTDT:X<0).
Mc 8,18 567

§PgJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
i"D*\"<: sost., acc. sing. f. da i"D*\", –"H, cuore; cf. Mc 2,6; compl. oggetto.
ß:ä<: pron. personale di 2a pers. gen. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
cf. Mc 2,8; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona plurale («di voi» = «vostro»).

8,18 Ïnh"8:@×H §P@<JgH @Û $8XBgJg i" ìJ" §P@<JgH @Ûi •i@bgJgp i" @Û
:<0:@<gbgJgs
8,18 Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate,

Ïnh"8:@bH: sost., acc. plur. m. da Ïnh"8:`H, –@Ø, occhio; cf. Mc 7,22; compl. oggetto. In
posizione enfatica; senza articolo perché generici.
§P@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. Participio predicativo del soggetto
sottinteso «voi».
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
$8XBgJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da $8XBT, vedere, percepire, discernere, fare
attenzione; cf. Mc 4,12.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
ìJ": sost., acc. plur. n. da @ÞH, éJ`H, orecchio; cf. Mc 4,9; compl. oggetto. Senza articolo
perché generici.
§P@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. Participio predicativo del soggetto
sottinteso «voi».
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
•i@bgJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. L’interrogativo formulato da Gesù in forma di
citazione (Ïnh"8:@×H §P@<JgH @Û $8XBgJg i" ìJ" §P@<JgH @Ûi •i@bgJgp) riprende
in un solo detto i lamenti rivolti da Ger 5,21 ed Ez 12,2 ai loro connazionali, i quali, accecati
e incapaci di ascoltare la predicazione profetica e di convertirsi, sono paragonati agli idoli
muti, ciechi e sordi (cf. Sal 135,16–17). Il testo fa riferimento a Mc 4,12 che riprende Is
6,9–10. Sul piano lessicale gli elementi che compongono il detto (Ïnh"8:@\ / $8XBT e
ìJ" / •i@bT) richiamano gli stessi termini presenti nei racconti di guarigione del sordomuto
(cf. Mc 7,31–35) e del cieco (cf. Mc 8,22–25), per ricordare che la comprensione della fede
passa attraverso il dono di Gesù di orecchi capaci di ascoltare e occhi capaci di vedere.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
568 Mc 8,19

@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
:<0:@<gbgJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da :<0:@<gbT, ricordare. Questo verbo ricorre
21 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 16,9; Mc 8,18 (hapax
marciano); Lc 17,32; Gv 15,20; 16,4.21. Nell’unica ricorrenza marciana :<0:@<gbT ha il
significato del profano e generico «ricordare» (cf. Eschilo, Pers., 783; Sofocle, Phil., 121).

8,19 ÓJg J@×H BX<Jg –DJ@LH §i8"F" gÆH J@×H Bg<J"i4FP48\@LHs B`F@LH i@n\<@LH
i8"F:VJT< B8ZDg4H ³D"Jgp 8X(@LF4< "ÛJès )f*gi".
8,19 quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete
portato via?». Gli risposero: «Dodici».

ÓJg: cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, allorché, ogni volta che, mentre;
cf. Mc 1,32.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
BX<Jg: agg. numerale, cardinale, acc. plur. m., indecl., cinque; cf. Mc 6,38; attributo di –DJ@LH.
–DJ@LH: sost., acc. plur. m. da –DJ@H, –@L, pane; cf. Mc 2,26; compl. oggetto.
§i8"F": verbo, 1a pers. sing. ind. aor. da i8VT, rompere, spezzare, frangere; cf. Mc 8,6.
gÆH: prep. propria con valore di relazione, seguita dall’accusativo, indecl., verso, riguardo a, nei
confronti di, per; cf. Mc 1,4. La preposizione gÆH è qui usata nel significato di relazione o di
termine, analogamente a Mc 8,20; [9,42]; 13,10. Sintatticamente corrisponde a un dativo di
vantaggio o di interesse (dativus commodi) per indicare la persona nell’interesse del quale
(o a vantaggio del quale) si svolge l’azione.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
Bg<J"i4FP48\@LH: agg. numerale, cardinale, di valore sostantivato, acc. plur. m. da
Bg<J"i4FP\84@4, –"4, –", cinquemila; cf. Mc 6,44; compl. di termine.
B`F@LH: agg. interrogativo, acc. plur. m. da B`F@H, –0, –@<, quanto?, quanto grande?; cf. Mc
6,38; attributo di i@n\<@LH.
i@n\<@LH: sost., acc. plur. m. da i`n4<@H, –@L, cesto, canestro, vimine; cf. Mc 6,43; compl.
oggetto.
i8"F:VJT<: sost., gen. plur. n. da i8VF:", –J@H, frammento, pezzo, resto; cf. Mc 6,43;
compl. di specificazione.
B8ZDg4H: agg. qualificativo, acc. plur. m. da B8ZD0H, –gH, pieno, riempito, colmo, completo;
cf. Mc 4,28; attributo di i@n\<@LH.
³D"Jg: verbo, 2a pers. plur. ind. aor. da "ÇDT, alzare, sollevare, sostenere, sorreggere, portare,
prendere; cf. Mc 2,3.
8X(@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Presente storico.
Mc 8,20 569

"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
)f*gi": agg. numerale, cardinale, acc. plur. m., indecl., dodici; cf. Mc 3,14; attributo del
sostantivo sottinteso i@n\<@LH; compl. oggetto.

8,20 ~?Jg J@×H ©BJ gÆH J@×H JgJD"i4FP48\@LHs B`FT< FBLD\*T< B80Df:"J"
i8"F:VJT< ³D"Jgp i"Â 8X(@LF4< ["ÛJè]s {+BJV.
8,20 «E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi
avete portato via?». Gli risposero: «Sette».

~?Jg: cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, allorché, ogni volta che, mentre;
cf. Mc 1,32.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
©BJV: agg. numerale, cardinale, acc. plur. m., indecl., sette; cf. Mc 8,5; attributo del sostantivo
sottinteso –DJ@LH; compl. oggetto. La domanda è formulata in maniera ellittica: «Quando
i sette per i quattromila, quante…». Nella traduzione occorre necessariamente integrare
l’espressione con il verbo «spezzare» e il complemento oggetto «pani», facilmente sottintesi.
gÆH: prep. propria con valore di relazione, seguita dall’accusativo, indecl., verso, riguardo a, nei
confronti di, per; cf. Mc 1,4. La preposizione gÆH è qui usata nel significato di relazione o di
termine, analogamente a Mc 8,19; [9,42]; 13,10. Sintatticamente corrisponde a un dativo di
vantaggio o di interesse (dativus commodi) per indicare la persona nell’interesse del quale
(o a vantaggio del quale) si svolge l’azione.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
JgJD"i4FP48\@LH: agg. numerale, cardinale, di valore sostantivato, acc. plur. m. da
JgJD"i4FP\84@4, –"4, –", quattromila; cf. Mc 8,9; compl. di termine.
B`FT<: agg. interrogativo, gen. plur. f. da B`F@H, –0, –@<, quanto?, quanto grande?; cf. Mc
6,38; attributo di FBLD\*T<.
FBLD\*T<: sost., gen. plur. f. da FBLD\H, –\*@H, cesto, canestro; cf. Mc 8,8; compl. di
specificazione.
B80Df:"J": sost., acc. plur. n. da B8ZDT:", –J@H, riempimento, completezza, pienezza; cf.
Mc 2,21; compl. oggetto.
i8"F:VJT<: sost., gen. plur. n. da i8VF:", –J@H, frammento, pezzo, resto; cf. Mc 6,43;
compl. di specificazione.
³D"Jg: verbo, 2a pers. plur. ind. aor. da "ÇDT, alzare, sollevare, sostenere, sorreggere, portare,
prendere; cf. Mc 2,3.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8X(@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Presente storico.
570 Mc 8,21–22

["ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13. Il pronome è presente in B, C, L, ), 579, 892, 2427;
è assente, invece, in !. Il peso e la quantità dei codici sembrerebbe deporre a favore della
autenticità della lezione, anche perché da un punto di vista di critica interna nella stragrande
maggioranza delle ricorrenze il verbo 8X(T è costruito con un complemento di termine al
caso dativo, sia esso pronominale ("ÛJè, "ÛJ@ÃH, ß:Ã<, ecc.) che nominale (B"D"8LJ4iè,
h"8VFF®, •DP4FL<"(f(å, ecc.). L’eventuale aggiunta o omissione del pronome è,
tuttavia, assolutamente ininfluente per la retta comprensione del testo.].
{+BJV: agg. numerale, cardinale, acc. plur. f., indecl., sette; cf. Mc 8,5; attributo del sostantivo
sottinteso FBLD\*"H; compl. oggetto.

8,21 i"Â §8g(g< "ÛJ@ÃHs ?ÜBT FL<\gJgp


8,21 E disse loro: «Non capite ancora?».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’espressione [i"Â] §8g(g< "ÛJ@ÃH…, «[e] diceva loro…»; i"Â §8g(g<…, «e
diceva…», posta all’inizio di una proposizione, è usata da Marco come formula abituale di
raccordo per unire sentenze staccate o una serie di sentenze (cf. Mc 2,27; 4,11.21.24.26.30;
6,4.10; 7,9.20; 8,21; 9,1; 11,17; 14,36). L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo
(«diceva», «continuava a dire»), ma quello puntuale corrispondente a un aoristo («disse»). Per
altri esempi di questo imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23;
4,2.9.11.21.24.26.30.41; 5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28;
12,35.38; 14,70; 15,12a.14; per quanto riguarda l’imperfetto puntuale con ¦BgDTJVT cf. Mc
5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33; 10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; con ¦DTJVT cf. Mc 4,10;
8,5.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
?ÜBT: (da @Û e Bf), avv. di tempo, indecl., non ancora; cf. Mc 4,40.
FL<\gJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da FL<\0:4 (da Fb< e \0:4), comprendere, intendere;
cf. Mc 4,12. Marco sottolinea varie volte l’incomprensione dei Dodici, dei discepoli e delle
folle, incapaci di capire l’identità e il significato delle azioni di Gesù (cf. Mc 4,13.41; 6,52;
7,18; 8,17–18.21).

8,22 5"Â §DP@<J"4 gÆH #0hF"^*V<. i"Â nXD@LF4< "ÛJè JLn8Î< i"Â B"D"i"8@Ø-
F4< "ÛJÎ< Ë<" "ÛJ@Ø žR0J"4.
8,22 Giunsero a Betsaida. Gli portarono un cieco e lo supplicarono di toccarlo.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Mc 8,22 571

§DP@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Presente storico, costruito con il soggetto
plurale implicito (= Gesù e i discepoli).
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
#0hF"^*V<: sost., nome proprio di città, acc. sing. f. da #0hF"^*V, –*V, Betsaida; cf. Mc
6,45; compl. di moto a luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
nXD@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da nXDT, portare; cf. Mc 1,32. Presente storico
costruito con il plurale impersonale (= la gente).
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
JLn8`<: agg. qualificativo, di valore sostantivato, acc. sing. m. da JLn8`H, –Z, –`<, cieco;
compl. oggetto. Senza articolo perché anonimo e non ancora presentato. Il vocabolo ricorre
50 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 17 volte in Matteo (corrisponden-
te allo 0,093% del totale delle parole); 5 volte in Marco (cf. Mc 8,22.23; 10,46.49.51 =
0,044%); 8 volte in Luca (0,041%); 16 volte in Giovanni (0,102%). Nel greco classico a
partire da Omero l’aggettivo JLn8`H viene spesso utilizzato con significato sostantivato per
indicare colui che è cieco (cf. Omero, Il., 6,139). In senso figurato l’aggettivo designa una
«cecità» o una chiusura applicata a cose, situazioni o realtà astratte, quali, ad esempio, un
sentiero (cf. Strabone, Geogr., 1,1,17), l’animo umano (cf. Pindaro, Nem., 7,23), gli orecchi,
la mente, gli occhi (cf. Sofocle, Oed. tyr., 371), la speranza (cf. Eschilo, Prom., 250). Nella
maggior parte dei passi neotestamentari JLn8`H ricorre come sostantivo: l’uso aggettivale,
talvolta traslato, compare soltanto in Mt 12,22; 15,14a; 23,16.24.26; Mc 10,46; Gv
9,1.18.24.25.40. 41; At 13,11; 2Pt 1,9; Ap 3,17. In genere nel mondo antico per cecità si
intende la perdita completa della facoltà visiva, come conseguenza di qualche trauma,
malattia, vecchiaia, punizione o come situazione congenita ereditaria. L’esistenza dei ciechi
era quasi sempre miserabile. La maggior parte di loro viveva nella marginalizzazione
sociale, civile ed economica. Il cieco era spesso costretto a mendicare sulle strade o in altri
luoghi di maggior afflusso, quali i templi, il mercato, i crocicchi, dove poteva sperare di
ricevere delle elemosine più consistenti. La guarigione dalla cecità era ritenuta impossibile.
Soltanto un intervento miracoloso da parte della divinità poteva procurare la guarigione a un
cieco, come, ad esempio, nel caso di Atena (cf. Pausania, Perieg., 3,18,2), Apollo (cf.
Pausania, Perieg., 7,19,7), Serapide (cf. Diogene Laerzio, Vitae, 5,76), Asclepio (cf.
Aristofane, Pl., 636), ecc. Anche in Israele la cecità era considerata una sventura molto grave
e, pur ritenendo questa menomazione come un impedimento all’ufficio sacerdotale e
cultuale (cf. Lv 21,18; 22,22), la legislazione prevedeva particolare attenzione nei loro
confronti. Il complesso normativo di Sichem prescriveva la maledizione contro «colui che
fa smarrire il cammino a un cieco» (Dt 27,18). Il cosiddetto «codice di santità» comanda di
non imprecare al sordo né «mettere un inciampo sulla strada del cieco» (Lv 19,14). Dio
stesso è definito come colui che «ridona la vista ai ciechi e rialza chi è caduto» (Sal 146,8).
Particolare risalto assume la figura del cieco nell’annuncio escatologico dei profeti, in
572 Mc 8,23

particolare di Isaia. La promessa di guarigione dalla cecità in senso sia proprio che figurato
diventa un topos per qualificare la speranza escatologica come tale, contrassegnata dalla
salvezza offerta da Dio e dalla assenza di ogni miseria fisica: «Udranno in quel giorno i sordi
le parole di un libro; liberati dall’oscurità e dalle tenebre gli occhi dei ciechi vedranno» (Is
29,18); «Poiché il Signore è nostro giudice, il Signore è nostro legislatore, il Signore è nostro
re; egli ci salverà. Allora anche i ciechi divideranno una preda enorme, gli zoppi faranno un
ricco bottino» (Is 33,22–23); «Dite agli smarriti di cuore: “Coraggio! Non temete; ecco il
vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi”. Allora si
apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà
come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto,
scorreranno torrenti nella steppa» (Is 35,4–6); «Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia
e ti ho preso per mano; ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo e luce delle
nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla
reclusione coloro che abitano nelle tenebre» (Is 42,6–7); «Farò camminare i ciechi per vie
che non conoscono, li guiderò per sentieri sconosciuti; trasformerò davanti a loro le tenebre
in luce, i luoghi aspri in pianura. Tali cose io ho fatto e non cesserò di farle» (Is 42,16). Il
passo anticotestamentario fondamentale al quale si ricollega lo stesso Gesù è Is 61,1 nella
versione dei LXX, dove il messaggero di gioia afferma: «Lo spirito del Signore Dio è su di
me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto
annunzio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi
e il recupero della vista ai ciechi (JLn8@ÃH •<V$8gR4<)» (cf. anche Lc 4,18).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
B"D"i"8@ØF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da B"D"i"8XT (da B"DV e i"8XT),
chiamare accanto, invocare, implorare, supplicare; cf. Mc 1,40. Presente storico costruito
con il plurale impersonale (= la gente).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
Ë<": cong. subordinativa di valore completivo, indecl., di, che; cf. Mc 1,38. La congiunzione Ë<"
non ha qui il consueto valore finale, ma quello completivo (equivalente a ÓJ4 o ÓBTH): in
pratica introduce una proposizione infinitiva (cf. Mc 3,9a.12; 4,22a; 5,10.18.43; 6,8.12.25.56;
7,26.32.36; 8,22.30; 9,9.12.18.30; 10,35.37; 11,16; 13,34; 15,21).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto. La forma genitiva è retta dal verbo
žBJT.
žR0J"4: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. medio da žBJ@:"4, toccare, tenere; cf. Mc 1,41.

8,23 i"Â ¦B48"$`:g<@H J­H Pg4DÎH J@Ø JLn8@Ø ¦>Z<g(ig< "ÛJÎ< §>T J­H if:0H
i" BJbF"H gÆH J Ð::"J" "ÛJ@Øs ¦B4hgÂH JH PgÃD"H "ÛJè ¦B0DfJ"
"ÛJ`<s gÇ J4 $8XBg4Hp
8,23 Allora egli prese il cieco per mano, lo portò fuori del villaggio e, dopo avergli sputato
sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: «Vedi qualcosa?».
Mc 8,23 573

i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.
7a.21.26a. 35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.
48a.50.53a.65a. 72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\, di influsso semitico, acquista
il significato avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica) per introdurre come
formula paratattica di passaggio una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra
unità narrativa.
¦B48"$`:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. aor. medio da ¦B48":$V<@:"4, prendere,
afferrare, apprendere. Questo verbo ricorre 19 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è
la seguente: Mt 14,31; Mc 8,23 (hapax marciano); Lc 9,47; 14,4; 20,20.26; 23,26. Participio
predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH. Nell’accezione classica fondamentale
¦B48":$V<@:"4 è utilizzato nel senso di «prendere», «tenere», «fermare» (cf. Erodoto,
Hist., 2,87,2; Aristofane, Pl., 703; Senofonte, Anab., 4,7,12). Il verbo appartiene all’ampia
gamma semantica costituita da 8":$V<T (cf. Mc 4,16), ¦B48":$V<@:"4 (cf. Mc 8,23),
BD@F8":$V<@:"4 (cf. Mc 8,32), i"J"8":$V<T (cf. Mc 9,18), FL88":$V<T (cf. Mc
14,48).
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
Pg4D`H: sost., gen. sing. f. da Pg\D, Pg4D`H, mano; cf. Mc 1,31; compl. oggetto. Qui come
altrove (cf. Mc 1,31.41; 3,1.3.5[x2]; 5,41; 7,32; 8,23; 9,27.43) l’articolo indica forse la mano
per eccellenza, ossia quella destra. Il caso genitivo è retto dal verbo ¦B48":$V<@:"4. A
causa della sua incapacità visiva il cieco era costretto a lasciarsi condurre da altri per gli
spostamenti più impegnativi. Nel mondo greco egli si serve spesso di un º(g:f<, ossia di
una «guida» che lo conduca (cf. Euripide, Ph., 1616) o di un Pg4D"(T(`H, «di uno che lo
tenga per mano» (cf. Plutarco, Comm. not., 1063,b,6). In genere sono gli stessi parenti che
si prendono cura del cieco, come nel caso della figlia di Tiresia (cf. Euripide, Ph., 834) e di
Antigone, figlia di Edipo (cf. Sofocle, Oed. Col., 21).
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
JLn8@Ø: agg. qualificativo, gen. sing. m. da JLn8`H, –Z, –`<, cieco; cf. Mc 8,22; compl. di
specificazione. Gesù prende «la mano del cieco»: nella traduzione italiana è preferibile la
dizione «prese il cieco per mano».
¦>Z<g(ig<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦inXDT (da ¦i e nXDT), portare fuori, portare
avanti, condurre fuori. Questo verbo ricorre 8 volte nel NT: Mc 8,23 (hapax marciano); Lc
15,22; At 5,6.9.10.15; 1Tm 6,7; Eb 6,8. Nel verbo è già contenuta l’idea di «portare fuori»
(cf. Omero, Il., 5,664), «trarre in disparte» (indicata dalla preposizione ¦i, «da», «fuori»):
questo movimento all’esterno è ulteriormente esplicitato dal successivo avverbio §>T che
specifica «all’esterno» del villaggio. Tale sottolineatura, diversa da quella più generica di Mc
7,33 («dalla folla»), può essere spiegata in riferimento al fenomeno del cosiddetto «segreto
messianico», tipico di Marco (vedi commento a Mc 1,25).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
574 Mc 8,23

§>T: prep. impropria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., fuori da, al di fuori di,
esternamente a, all’esterno di; cf. Mc 1,45.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
if:0H: sost., gen. sing. f. da if:0, –0H, toccare, tenere; cf. Mc 6,6; compl. di moto da luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BJbF"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da BJbT, sputare; cf. Mc 7,33. Participio predicativo
del soggetto sottinteso z30F@ØH. Il gesto di Gesù che «sputa» direttamente sugli occhi di
questo cieco è certamente duro per la nostra moderna sensibilità, ma non dovrebbe essere
attenuato, come invece avviene in molte traduzioni, le quali rendono il testo con formule
generiche più soft, quali, ad esempio, «dopo avergli applicato della saliva sugli occhi…».
Stando all’espressione testuale nulla fa ritenere che Gesù abbia portato le dita alla propria
bocca, le abbia inumidite con la saliva e, quindi, abbia applicato la saliva sugli occhi del
cieco con la sua mano. Il gesto compiuto da Gesù riferito in questa guarigione è più violento
rispetto a quello compiuto nei riguardi del sordomuto (cf. Mc 7,33, dove ci viene detto che
Gesù BJbF"H »R"J@ J­H (8fFF0H "ÛJ@Ø, «…avendo sputato, toccò la sua lingua», il
che fa pensare che egli abbia sputato sulle proprie mani e, quindi, abbia toccato la lingua del
sordomuto con le dita bagnate). Anche nella letteratura pagana esistono racconti di guarigioni
avvenuti per mezzo della saliva, come pure presso gli empirici Giudei (cf. Strack–Bill., II,15).
In particolare per il nostro testo il parallelo più interessante sembra quello che ha come
protagonista l’imperatore Vespasiano (cf. Tacito, Hist., 4,81; Dione Cassio, Hist. rom.,
66,8,1). Per quanto riguarda l’uso terapeutico della saliva nell’antichità vedi commento a Mc
7,33.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
Ð::"J": sost., acc. plur. n. da Ð::", –J@H, occhio; compl. di moto a luogo. Il vocabolo ricorre
2 volte nel NT: Mt 20,34; Mc 8,23 (hapax marciano). In questa pericope Marco impiega due
diversi termini per indicare l’«occhio»: Ð::" (v. 23) e Ïnh"8:`H (v. 25). Analogo
fenomeno si riscontra in Mc 5,2.3.5 (:<0:gÃ@<, :<­:", «sepolcro») e Mc 7,33.35 (@ÞH,
•i@Z, «orecchio»). Per alcuni commentatori l’uso di due termini diversi esprimenti una
stessa denominazione all’interno di una stessa pericope è indizio di significato figurato.
Come sopra riferito, in tutte le culture antiche l’uso della saliva è stato sempre considerato
una pratica non solo terapeutica, ma taumaturgica, esorcistica: anche per il giudeo il gesto
dello sputare ha risonanze se non strettamente esorcistiche certamente evocative di un potere
soprannaturale. In Gv 9,6 e in Mc 7,33 lo spargimento della saliva sembra piuttosto rinviare
all’applicazione di un preparato; qui, invece, lo sputare direttamente sugli occhi potrebbe
esprimere un coinvolgimento della forza del taumaturgo per scacciare il male, senza
necessariamente intendere da parte dell’evangelista che ci si trovi di fronte a una azione
magica. Ricordiamo che presso gli antichi, in particolare presso gli Ebrei, guarigioni e
cacciate di demoni sono la stessa cosa.
Mc 8,23 575

"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
¦B4hg\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ¦B4J\h0:4 (da ¦B\ e J\h0:4), sovrapporre,
imporre, soprannominare; cf. Mc 3,16. Participio predicativo del soggetto sottinteso
z30F@ØH. Dal punto di vista sintattico le due azioni espresse con un participio al tempo
aoristo (BJbF"H… ¦B4hg\H) sono enfatizzate dall’uso dell’asindeto.
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
PgÃD"H: sost., acc. plur. f. da Pg\D, Pg4D`H, mano; cf. Mc 1,31; compl. oggetto. Imporre le mani
su un malato per guarirlo è gesto comune nelle narrazioni di guarigioni da parte di Gesù (cf.
Mc 5,23; 6,5; 7,32; 8,23.25; cf. anche Mc 10,16, dove tale gesto è usato per benedire).
Questo particolare uso contrasta con quello anticotestamentario e giudaico: il gesto di imporre
una o due mani sulla testa di un uomo o un animale si trova 23 volte nell’AT, tutte facenti
parte della tradizione sacerdotale (Es 29,10.15.19; Lv 1,4; 3,2.8.13; 4,4.15.24.33; 8,14.18.22;
16,21; 24,14; Nm 8,10.12; 27,18.23; Dt 34,9; 2Cr 29,23). Al di fuori del contesto cultuale,
dove l’imposizione delle mani è fatta sugli animali sacrificati per indicare il trasferimento dei
peccati o l’identificazione con la vittima, il gesto esprime simbolicamente una trasmissione
di autorità (come nel caso di Mosè che trasmette la sua autorità a Giosuè, cf. Nm 27,18ss.)
o una attestazione giuridica (come nel caso del bestemmiatore che deve essere lapidato, cf.
Lv 24,14): il gesto non viene mai effettuato per procurare una guarigione. La menzione del
tocco con la mano o dell’imposizione delle mani sui malati da parte di Gesù è, dunque, un
tratto tipico della sua azione benefica nei riguardi di malati e afflitti. L’azione di imporre le
mani al fine di ottenere una guarigione sarà ripetuta dagli apostoli per espressa volontà di
Gesù (cf. Mc 16,18) e diventerà rito della Chiesa.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
¦B0DfJ": verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da ¦BgDTJVT (da ¦B\ e ¦DTJVT), richiedere,
domandare, interrogare; cf. Mc 5,9. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo
(«domandava», «continuava a domandare»), ma puntuale, corrispondente a un aoristo
(«domandò»). Per altri esempi di questo imperfetto puntuale con il verbo ¦BgDTJVT cf. Mc
5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33; 10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; per quanto riguarda
l’imperfetto puntuale con ¦DTJVT cf. Mc 4,10; 8,5; con 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23;
4,2.9.11.21.24.26.30.41; 5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28; 12,35.
38; 14,70; 15,12a.14.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
gÇ: (= gÆ), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché, qualora; cf. Mc 2,7.
La grafia gÇ compare davanti a una forma enclitica. L’espressione …¦B0DfJ" "ÛJ`<s gÇ
J4 $8XBg4H, alla lettera «…gli chiese, se vedi qualcosa» è una inconsueta costruzione greca.
Molto probabilmente la congiunzione condizionale gÆ ha qui un valore interrogativo (discorso
diretto), perché è usata alla maniera semitica, corrispondente alla particella interrogativa
576 Mc 8,24

ebraica –% H , prefissa al termine che introduce una proposizione interrogativa: nel nostro caso
si tratterebbe di una clausola indefinita condizionale (equivalente a ¦< J4H) traducibile in
italiano anche con il discorso indiretto: «…gli chiese se vedesse qualcosa».
J4: pron. indefinito (enclitico), acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\), un
certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; compl. oggetto.
$8XBg4H: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da $8XBT, vedere, percepire, discernere, fare
attenzione; cf. Mc 4,12.

8,24 i" •<"$8XR"H §8g(g<s #8XBT J@×H •<hDfB@LH ÓJ4 ñH *X<*D" ÒDä
BgD4B"J@Ø<J"H.
8,24 Quello, cominciando di nuovo a vedere, disse: «Vedo gli uomini, poiché vedo che
camminano come fossero alberi».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•<"$8XR"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da •<"$8XBT (da •<V e $8XBT), guardare in
su, sollevare lo sguardo, alzare gli occhi; cf. Mc 6,41. Participio predicativo di valore
espletivo del soggetto sottinteso JLn8`H. Qui il verbo non ha il significato letterale proprio
del generico «guardare in alto», come nel modo usuale di colui che vede (cf. Mc 16,4), ma
quello circoscritto di «vedere di nuovo», «recuperare la vista» (cf. Mc 10,51.52; Mt 11,5;
20,34; Lc 7,22; 18,43; Gv 9,11.15.18; At 9,12.17; 22,13).
§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo («diceva», «continuava a
dire»), ma quello puntuale corrispondente a un aoristo («disse»). Per altri esempi di questo
imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24.26.30.41;
5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70; 15,12a.14; per
quanto riguarda l’imperfetto puntuale con ¦BgDTJVT cf. Mc 5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33;
10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; con ¦DTJVT cf. Mc 4,10; 8,5.
#8XBT: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da $8XBT, vedere, percepire, discernere, fare
attenzione; cf. Mc 4,12.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
•<hDfB@LH: sost., acc. plur. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
oggetto.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore causale, indecl., poiché, perché, siccome; cf. Mc 1,15.
ñH: avv. con valore di modo e paragone, indecl., come, simile a, alla maniera di, nel modo che,
nella condizione di, in qualità di; cf. Mc 1,10.
*X<*D": sost., acc. plur. n. da *X<*D@<, –@L, albero; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 25
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 3,10[x2]; 7,17[x2].18[x2].19;
12,33[x3]; 13,32; 21,8; Mc 8,24 (hapax marciano); Lc 3,9[x2]; 6,43[x2].44; 13,19; 21,29.
Senza articolo perché generici. Il sostantivo *X<*D@< designa nella grecità l’«albero» o la
«pianta» di grosso fusto (cf. Erodoto, Hist., 1,193,3; Aristofane, Av., 617). La frase «come
Mc 8,25 577

alberi» o «come una specie di alberi» dal punto di vista sintattico corrisponde a un predicato
dell’oggetto («gli uomini»), introdotto da ñH, secondo un influsso semitico.
ÒDä: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc 1,10.
BgD4B"J@Ø<J"H: verbo, acc. plur. m. part. pres. da BgD4B"JXT (da BgD\ e B"JXT),
camminare, passeggiare, deambulare; cf. Mc 2,9. Participio predicativo del complemento
oggetto •<hDfB@LH. Dal punto di vista strettamente sintattico questo verbo, al genere
maschile, può essere concordato soltanto al precedente sostantivo «uomini», da cui l’usuale
traduzione: «vedo gli uomini, poiché vedo che essi camminano (sott. gli uomini) come
alberi». La frase, tuttavia, non sembra avere molto senso e alcuni commentatori preferiscono
concordare il participio maschile non al sostantivo «uomini», ma a quello neutro «alberi»,
rendendo: «Vedo gli uomini, poiché vedo come degli alberi che camminano». Di per sé in
questa seconda ipotesi si è davanti a una scorrettezza, perché il sostantivo «alberi» è di genere
neutro, mentre il participio «che camminano» è di genere maschile. Si può ovviare a questa
difficoltà sostenendo che ci si trova di fronte a una costruzione ad sensum, tipica del
linguaggio parlato, per cui gli alberi «che camminano», quasi fossero realtà animate,
acquistano una valenza maschile (cf. la Vulgata: «video homines velut arbores ambulantes»).
Nel contesto della resa delle sensazioni visive questa seconda traduzione, pur non sostenuta
grammaticalmente, sarebbe da preferire. Non dimentichiamo, infatti, che i semiti spesso
attribuiscono vita e movimento a esseri inanimati e oggetti per conferire loro maggiore enfasi.

8,25 gÉJ" BV84< ¦BXh0ig< JH PgÃD"H ¦B J@×H Ïnh"8:@×H "ÛJ@Øs i" *4X$8g-
Rg< i" •Bgi"JXFJ0 i" ¦<X$8gBg< J08"L(äH žB"<J".
8,25 Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente: fu guarito
e vedeva distintamente ogni cosa.

gÉJ": avv. di tempo, indecl., poi, dopo, in seguito; cf. Mc 4,17.


BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
¦BXh0ig<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦B4J\h0:4 (da ¦B\ e J\h0:4), sovrapporre,
imporre, soprannominare; cf. Mc 3,16.
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
PgÃD"H: sost., acc. plur. f. da Pg\D, Pg4D`H, mano; cf. Mc 1,31; compl. oggetto. Imporre le mani
su un malato per guarirlo è gesto comune nelle narrazioni di guarigioni da parte di Gesù (cf.
Mc 5,23; 6,5; 7,32; 8,23.25; cf. anche Mc 10,16, dove tale gesto è usato per benedire).
L’azione di imporre le mani al fine di procurare una guarigione sarà ripetuta dagli apostoli
per espressa volontà di Gesù (cf. Mc 16,18) e diventerà rito della Chiesa.
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., in, su, a, sopra; cf. Mc 1,22.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
Ïnh"8:@bH: sost., acc. plur. m. da Ïnh"8:`H, –@Ø, occhio; cf. Mc 7,22; compl. di moto a
luogo.
578 Mc 8,26

"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
*4X$8gRg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da *4"$8XBT (da *4V e $8XBT), vedere distintamen-
te, discernere bene. Questo verbo ricorre 3 volte nel NT: Mt 7,5; Mc 8,25 (hapax
marciano); Lc 6,42. Il significato base del verbo *4"$8XBT è quello di «guardare con
attenzione», «fissare attentamente» e, quindi, «vedere distintamente» (cf. Platone, Phaed.,
86d; Plutarco, De sera, 548,b,4).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•Bgi"JXFJ0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •B@i"h\FJ0:4 (da •B` e i"h\FJ0:4),
ripristinare al stato precedente, ristabilire, ricostituire, risanare; cf. Mc 3,5.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦<X$8gBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da ¦:$8XBT (da ¦< e $8XBT), guardare, vedere,
distinguere. Questo verbo ricorre 12 volte nel NT: Mt 6,26; 19,26; Mc 8,25; 10,21.27; 14,67;
Lc 20,17; 22,61; Gv 1,36.42; At 1,11; 22,11. Imperfetto durativo o iterativo. Nella letteratura
classica il verbo esprime una forma di guardare più intensa rispetto al generico «vedere» e
corrisponde a «guardare intensamente», «fissare», anche nel senso metaforico di «guardare
dentro», per descrivere una visione spirituale (cf. Platone, Charm., 155c; Polibio, Hist.,
15,28,3; Giuseppe Flavio, Bellum, 3,385). Nel vangelo di Marco il verbo è usato con
significato intensivo nel senso di capire una situazione o una persona a partire da un semplice
sguardo. In Mc 10,21 indica lo sguardo introspettivo ed elettivo di Gesù che sa leggere nel
cuore dell’uomo ricco; in Mc 10,27 esprime lo sguardo di comprensione di Gesù davanti
all’atteggiamento stupito degli apostoli che ritengono sia impossibile entrare nel regno di Dio;
in Mc 14,67 indica lo sguardo attento e scrutatore della serva che riconosce Pietro come uno
degli apostoli.
J08"L(äH: avv. di modo, indecl., distintamente, chiaramente. Hapax neotestamentario.
žB"<J": pron. indefinito, acc. plur. n. da žB"H, žB"F", žB"<, tutto, tutto intero; pl. tutti, tutti
quanti; compl. oggetto; cf. Mc 1,27.

8,26 i" •BXFJg48g< "ÛJÎ< gÆH @Éi@< "ÛJ@Ø 8X(T<s 90*¥ gÆH J¬< if:0<
gÆFX8h®H.
8,26 E lo rimandò a casa dicendo: «Non entrare nemmeno nel villaggio».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•BXFJg48g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •B@FJX88T (•B` e FJX88@:"4), inviare,
mandare; cf. Mc 1,2.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
Mc 8,27 579

gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
@Éi@<: sost., acc. sing. m. da @Éi@H, –@L, casa, abitazione; cf. Mc 2,1; compl. di moto a luogo.
Senza articolo perché la frase è stereotipa («andare a casa», «uscire da casa»), sottintendendo
la propria o quella abitualmente frequentata.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
8X(T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH. L’uso di 8X(T dopo i
verbi cosiddetti dicendi («dire», «proclamare», «annunciare», «interrogare», «rispondere»,
«deliberare», ecc.), frequentissimo nel NT, è un ebraismo dovuto alla traduzione servile della
forma verbale 9J/!-F, le) ’mo) r, equivalente al gerundio «dicendo» e impiegata per introdurre
il discorso diretto, in sostituzione del segno grafico dei due punti (:), inesistente in ebraico
come in greco. Nelle traduzioni questa tipica forma può essere omessa.
90*X: (da :Z e *X), avv. di negazione, indecl., neppure, nemmeno, neanche, non; cf. Mc 2,2.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
if:0<: sost., acc. sing. f. da if:0, –0H, toccare, tenere; cf. Mc 6,6; compl. di moto a luogo.
gÆFX8h®H: verbo, 2a pers. sing. congiunt. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare,
venire dentro, recarsi, andare; cf. Mc 1,21.

8,27 5" ¦>­8hg< Ò z30F@ØH i" @Ê :"h0J" "ÛJ@Ø gÆH JH if:"H 5"4F"Dg\"H
J­H M48\BB@L· i" ¦< J± Ò*è ¦B0DfJ" J@×H :"h0JH "ÛJ@Ø 8X(T< "ÛJ@ÃHs
I\<" :g 8X(@LF4< @Ê –<hDTB@4 gÉ<"4p
8,27 Poi Gesù si recò con i suoi discepoli verso i villaggi di Cesarea di Filippo. Lungo la
strada interrogò i suoi discepoli dicendo loro: «La gente chi dice che io sia?».

5"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.
21.26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.
50.53a.65a.72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\, di influsso semitico, acquista il
significato avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica) per introdurre come
formula paratattica di passaggio una nuova scena.
¦>­8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori, uscire;
cf. Mc 1,25.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
580 Mc 8,27

z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
:"h0J"\: sost., nom. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; soggetto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
if:"H: sost., acc. plur. f. da if:0, –0H, toccare, tenere; cf. Mc 6,6; compl. di moto a luogo.
Nel riferimento ai «villaggi» di Cesarea di Filippo il genitivo non significa soltanto un
rapporto spaziale dei villaggi con la città, ma anche che queste borgate le appartenevano e
le erano sottomesse. Come tutte le altre importanti città dell’epoca anche Cesarea possedeva
e governava un proprio territorio.
5"4F"Dg\"H: sost., nome proprio di città, gen. sing. f. da 5"4FVDg4", –"H, Cesarea (da
5"ÃF"D); compl. di specificazione. Il vocabolo ricorre 17 volte nel NT: Mt 16,13; Mc 8,27
(hapax marciano); At 8,40; 9,30; 10,1.24; 11,11; 12,19; 18,22; 21,8.16; 23,23.33; 25,1.4.6.13.
Cesarea di Filippo era situata nell’alta Galilea, ai piedi del Libano, vicino alle fonti orientali
del Giordano. Il nome primitivo della città era quello di Panias (A"<4VH o A"<gVH), in
riferimento a una grotta limitrofa dedicata al dio Pan (cf. Giuseppe Flavio, Bellum, 2,168;
Antiq., 18,28; 15,363–364). Già al tempo di Antioco il Grande (circa 200 a.C.) si fa
riferimento alla località come a JÎ AV<4@< (cf. Polibio, Hist., 16,18,2). In epoca neotesta-
mentaria la città fu ricostruita dal tetrarca Erode Filippo che ne mutò il nome in 5"4FVDg4",
in onore dell’imperatore (cf. Giuseppe Flavio, Bellum, 2,168; Antiq., 18,28). Nel I secolo d.C.
la città era solitamente designata come 5"4FVDg4" º M48\BB@L, per distinguerla dall’altra
Cesarea, sulla riva del mar Mediterraneo. La popolazione era prevalentemente non giudaica.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
M48\BB@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da M\84BB@H, –@L (da n\8@H e
ËBB@H), Filippo; cf. Mc 3,18; apposizione di 5"4F"Dg\"H.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
Ò*è: sost., dat. sing. f. da Ò*`H, –@Ø, strada, via; cf. Mc 1,2; compl. di moto per luogo.
L’espressione ¦< J± Ò*è ricorre 6 volte in Marco (cf. Mc 8,3.27; 9,33.34; 10,32.52) e
forma una importante inclusione con Mc 10,52: non indica soltanto un cammino fisico, un
Mc 8,27 581

percorso geografico, ma soprattutto l’itinerario spirituale che Gesù fa compiere ai discepoli.


Si tratta della “via” di Gesù verso la sua passione e morte, ma si tratta anche del “cammino”
dei discepoli durante il quale saranno da lui educati. Qui siamo al punto critico di questo
percorso, il punto più a nord del territorio di Israele, al confine con i pagani; è da qui che si
snoderà il viaggio a ritroso verso Gerusalemme.
¦B0DfJ": verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da ¦BgDTJVT (da ¦B\ e ¦DTJVT), richiedere,
domandare, interrogare; cf. Mc 5,9. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo
(«domandava», «continuava a domandare»), ma puntuale, corrispondente a un aoristo
(«domandò»). Per altri esempi di questo imperfetto puntuale con il verbo ¦BgDTJVT cf. Mc
5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33; 10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; per quanto riguarda
l’imperfetto puntuale con ¦DTJVT cf. Mc 4,10; 8,5; con 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23;
4,2.9.11.21.24.26.30.41; 5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28;
12,35.38; 14,70; 15,12a.14.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
:"h0JVH: sost., acc. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; compl. oggetto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
8X(T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto z30F@ØH.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
I\<": pron. interrogativo, acc. sing. m. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?,
che?, quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24.
:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,40; soggetto della proposizione oggettiva costruita con il verbo infinito
gÉ<"4.
8X(@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
–<hDTB@4: sost., nom. plur. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17;
soggetto. L’impiego del vocabolo –<hDTB@H per il pronome indefinito J\H, «uno»,
«qualcuno» («nessuno» con negazione) è un semitismo. Qui la forma plurale sta per
«persone», «gente». Ritroviamo questo uso in Mc 1,23; 3,1; 4,26; 5,2; 7,11; 8,27.36.37;
10,7.9; 11,2; 12,1.14; 13,34.
gÉ<"4: verbo, inf. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc 1,6. La
domanda che Gesù rivolge ai Dodici è eminentemente cristologica, si potrebbe dire perfino
ontologica: riguarda la stessa identità di Gesù. Questo interesse cristologico è tipico del
secondo vangelo. Il tema dell’identità di Gesù è presente nel versetto di apertura («Compen-
582 Mc 8,28

dio del vangelo di Gesù Cristo», confessione della comunità, Mc 1,1) e alla fine del vangelo
(«Veramente quest’uomo era figlio di Dio!», confessione del centurione pagano, Mc 15,39).

8,28 @Ê *¥ gÉB"< "ÛJè 8X(@<JgH [ÓJ4] z3TV<<0< JÎ< $"BJ4FJZ<s i" –88@4s
z/8\"<s –88@4 *¥ ÓJ4 gÍH Jä< BD@n0Jä<.
8,28 Essi gli risposero: «Giovanni il Battista. Altri invece dicono Elia e altri uno dei
profeti».

@Ê: art. determ., con valore pronominale, nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5;
soggetto. Uso pronominale dell’articolo corrispondente al pronome dimostrativo/personale
"ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
gÉB"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
8X(@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso @Ê :"h0J"\.
[ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa. La congiunzione è presente in !*, B, C*, 2427; è assente,
invece, in !c, A, D, L, 1, 0143, f1, 33; i codici C (secondo correttore), W, ), f13, 579, 1241,
1424, al posto di ÓJ4 presentano la lezione @Ê :X<. L’eventuale aggiunta o omissione della
congiunzione è in ogni caso assolutamente ininfluente per la retta comprensione del testo.].
z3TV<<0<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z3TV<<0H, –@L, Giovanni; cf. Mc
1,4; soggetto della proposizione oggettiva costruita con il verbo infinito gÉ<"4, sottinteso.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
$"BJ4FJZ<: sost., acc. sing. m. da $"BJ4FJZH, –@Ø (da $"BJ\.T), uno che amministra il rito
di immersione, battista, «Battista» (il titolo di Giovanni, il precursore di Cristo); cf. Mc 6,25;
apposizione di z3TV<<0<.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
–88@4: pron. indefinito, nom. plur. m. da –88@H, –0, –@, altro, un altro; cf. Mc 4,5; soggetto.
z/8\"<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z/8\"H, –@L, Elia; cf. Mc 6,15;
soggetto della proposizione oggettiva costruita con il verbo infinito gÉ<"4, sottinteso.
–88@4: pron. indefinito, nom. plur. m. da –88@H, –0, –@, altro, un altro; cf. Mc 4,5; soggetto.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
Mc 8,29 583

gÍH: agg. numerale, cardinale, nom. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; soggetto. Al
nominativo, in quanto è discorso diretto dopo il secondo ÓJ4 dichiarativo. L’uso del numero
cardinale gÍH al posto del pronome indefinito J\H, «uno», «qualcuno» o dell’articolo
indeterminativo «uno», soprattutto nelle espressioni partitive, è un semitismo. Ritroviamo
questo fenomeno in Mc 5,22; 6,15; 8,28; 9,17.37.42; 10,17.37[x2]; 12,28.42; 13,1;
14,10.18.20.43.47.66.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
BD@n0Jä<: sost., gen. plur. m. da BD@nZJ0H, –@L, porta–voce, profeta; cf. Mc 1,2; compl.
partitivo. Come già visto a proposito di Mc 6,15, l’espressione gÍH Jä< BD@n0Jä<, di
sapore semitizzante, può essere interpretata in due modi: a) in forma positiva, indicante
riguardo e ammirazione (= «è uno degli antichi profeti»); b) in forma negativa, indicante
poca considerazione (= «è uno tra i tanti profeti»): in questo caso viene relativizzata la
singolarità di Gesù perché lo si associa alla categoria dei vari pseudo profeti a lui
contemporanei, composta da millantatori carismatici, estatici e predicatori.

8,29 i" "ÛJÎH ¦B0DfJ" "ÛJ@bHs {K:gÃH *¥ J\<" :g 8X(gJg gÉ<"4p •B@iD4hgÂH Ò
AXJD@H 8X(g4 "ÛJès E× gÉ Ò OD4FJ`H.
8,29 Ma egli domandò: «E voi chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il messia!».

i"\: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, però; cf. Mc 1,4. Il
significato avversativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ adversativum)
si riscontra in Mc 1,13c; 3,7b.12.33a; 4,17a.19a.27d; 5,19a; 6,19b.20d.33a; 7,24b.28b;
8,12.16.29.30; 9,12a.30.31c.42a; 10,34; 12,12b.17a; 16,8c. L’espressione i"Â "ÛJ`H riferita
a Gesù equivale in pratica a Ò *X, poiché segna uno stacco rispetto alla risposta precedente
data dai Dodici.
"ÛJ`H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., nom. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,8; soggetto.
¦B0DfJ": verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da ¦BgDTJVT (da ¦B\ e ¦DTJVT), richiedere,
domandare, interrogare; cf. Mc 5,9. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo
(«domandava», «continuava a domandare»), ma puntuale, corrispondente a un aoristo
(«domandò»). Per altri esempi di questo imperfetto puntuale con il verbo ¦BgDTJVT cf. Mc
5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33; 10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; per quanto riguarda
l’imperfetto puntuale con ¦DTJVT cf. Mc 4,10; 8,5; con 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23;
4,2.9.11.21.24.26.30.41; 5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28;
12,35.38; 14,70; 15,12a.14.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
{K:gÃH: pron. personale di 2a pers. nom. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
cf. Mc 6,31; soggetto. La domanda di Gesù è introdotta dal pronome personale di 1a persona
plurale «voi» (ß:gÃH), enfatico.
584 Mc 8,29

*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
La forza della domanda è ulteriormente accentuata dalla particella *X qui con valore
avversativo («ma»).
J\<": pron. interrogativo, acc. sing. m. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?,
che?, quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24.
:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,40; soggetto della proposizione oggettiva costruita con il verbo infinito
gÉ<"4.
8X(gJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7.
gÉ<"4: verbo, inf. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc 1,6.
•B@iD4hg\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33. Participio predicativo di valore espletivo del
soggetto AXJD@H.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
AXJD@H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da AXJD@H, –@L, Pietro; cf. Mc 3,16;
soggetto.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico. L’espressione •B@iD4hg\H… 8X(g4, •B@iD4hg\H… gÉBg< è
ricalcata sull’ebraico 9/ G !J&H… 03HHH&, wayya‘an… wayyo) ’mer, «rispondendo… dice»,
«rispondendo… disse» (cf. Gb 8,1, ecc.). Si tratta di una tipica locuzione semitica
ridondante che può essere tradotta semplicemente con «disse», «rispose», «replicò» e simili.
Questa formula ricorre 16 volte in Marco (cf. Mc 3,33; 6,37; 7,28; 8,29; 9,5.19; 10,3.24.51;
11,14.22.33; 12,35; 14,48; 15,2.12).
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
Eb: pron. personale di 2a pers. nom. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,11; soggetto.
gÉ: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc 1,6.
In Marco l’espressione F× gÉ è una affermazione riferita soltanto a Gesù (cf. Mc 1,11; 3,11;
8,29; 14,61; 15,2): essa pone in evidenza la sua identità, in stretto parallelismo con la
dichiarazione ¦(f gÆ:4 (cf. Mc 6,50) che Gesù pronuncia per definire sé stesso.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
OD4FJ`H: agg. qualificativo, nom. sing. m. da PD4FJ`H, –Z, –`<, unto, messia, «Cristo»; cf. Mc
1,1; predicato nominale. Qui, come in Mc 12,35; 13,21; 14,61; 15,32, è preferibile tradurre
OD4FJ`H con «messia», poiché il vocabolo viene impiegato per indicare il figlio di David,
atteso come salvatore del suo popolo; al contrario nelle altre due ricorrenze (cf. Mc 1,1;
9,41) la traduzione più appropriata è quella di «Cristo», poiché il termine è utilizzato
redazionalmente per indicare il messia già venuto, figlio di Maria e Figlio di Dio, salvatore
dell’umanità. Le parole E× gÉ Ò OD4FJ`H ricorrono sia in Mc 8,29 sia in Mc 14,61: nel
Mc 8,30 585

primo caso in forma assertiva, come oggetto della confessione di Pietro («Tu sei il messia!»),
nel secondo come domanda interrogativa e dubitativa del sommo sacerdote («Sei tu il
messia?»). La dichiarazione resa da Pietro a Gesù, sebbene non compiutamente compresa,
non è necessariamente post–pasquale, come alcuni sostengono, ma, come prova Mc 14,61
(il tenore dell’interrogazione del Sommo sacerdote è certamente autentico), può essere
benissimo anche anteriore alla risurrezione.

8,30 i"Â ¦BgJ\:0Fg< "ÛJ@ÃH Ë<" :0*g<Â 8X(TF4< BgDÂ "ÛJ@Ø.


8,30 Ma egli ordinò severamente di non riferire ciò a nessuno.

i"\: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, però; cf. Mc 1,4. Il
significato avversativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ adversativum)
si riscontra in Mc 1,13c; 3,7b.12.33a; 4,17a.19a.27d; 5,19a; 6,19b.20d.33a; 7,24b.28b;
8,12.16.29.30; 9,12a.30.31c.42a; 10,34; 12,12b.17a; 16,8c.
¦BgJ\:0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦B4J4:VT (da ¦B\ e J4:VT), intimare,
ammonire, sgridare, rimproverare, proibire, ordinare severamente; cf. Mc 1,25.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
Ë<": cong. subordinativa di valore completivo, indecl., di, che; cf. Mc 1,38. La congiunzione Ë<"
non ha qui il consueto valore finale, ma quello completivo (equivalente a ÓJ4 o ÓBTH): in
pratica introduce una proposizione infinitiva (cf. Mc 3,9a.12; 4,22a; 5,10.18.43; 6,8.12.25.56;
7,26.32.36; 8,22.30; 9,9.12.18.30; 10,35.37; 11,16; 13,34; 15,21).
:0*g<\: (da :Z e gÍH), pron. indefinito negativo, dat. sing. m. da :0*g\H, :0*g:\", :0*X<,
nessuno, alcuno, niente; cf. Mc 1,44; compl. di termine.
8X(TF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere,
esortare; cf. Mc 1,7.
BgD\: prep. propria con valore di argomento, seguita dal genitivo, indecl., intorno a, riguardo
a, nei confronti di, circa; cf. Mc 1,6.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. n. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di argomento. Gesù non proibisce di «parlare
di lui», come solitamente si traduce: la forma pronominale "ÛJ@Ø non deve essere intesa
come pronome dimostrativo/personale maschile («circa lui»), ma come un pronome
dimostrativo neutro («circa quella cosa»), analogamente a Mc 7,25; 14,21 e in modo
esplicito nel passo parallelo di Matteo 16,20 («Allora ordinò ai discepoli di non dire ad
alcuno che egli era il messia»). Tale ordine di non parlare dell’argomento “messia” implica
indirettamente che Gesù accetta quello che ha detto Pietro, ma vuole anche correggere e
completare un modo di vedere ancora ambiguo e incompleto, legato alla concezione di un
messianismo trionfale. Questa concezione errata a cui allude il contesto non è tanto quella
confessata da Pietro (e dagli altri apostoli), quanto quella del popolo. L’ordine di tacere si
capisce bene alla luce della seconda parte del vangelo: soltanto dopo la rivelazione della
586 Mc 8,31

passione, della morte e della risurrezione del messia, non ci sarà più nessun pericolo di falsa
concezione messianica. Allora si potrà proclamare pubblicamente che Gesù è il messia.

8,31 5" ³D>"J@ *4*VFig4< "ÛJ@×H ÓJ4 *gà JÎ< LÊÎ< J@Ø •<hDfB@L B@88 B"hgÃ<
i" •B@*@i4:"Fh­<"4 ßBÎ Jä< BDgF$LJXDT< i" Jä< •DP4gDXT< i" Jä<
(D"::"JXT< i" •B@iJ"<h­<"4 i" :gJ JDgÃH º:XD"H •<"FJ­<"4·
8,31 Poi cominciò a insegnare loro: «Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere
rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, essere ucciso e dopo tre
giorni risuscitare».

5"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.
21.26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.
50.53a.65a.72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\, di influsso semitico, acquista il
significato avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica), per introdurre, come
formula paratattica di passaggio, una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra
unità narrativa.
³D>"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da –DPT, dare inizio, cominciare; cf. Mc 1,45. La
frase ³D>"J@ / ³D>"<J@ seguita da un infinito come complemento è usata da Marco 26
volte (cf. Mc 1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32; 10,28.32.41.47; 11,15; 12,1;
13,5; 14,19.33.65.69.71; 15,8.18). La frequenza di questa formula è dovuta probabilmente
a influsso semitico: quasi sempre equivale a una perifrasi nella quale il verbo –DPT, di valore
pleonastico, può essere omesso, mentre l’infinito dipendente viene reso con la 3a persona
dell’indicativo aoristo o imperfetto corrispondente.
*4*VFig4<: verbo, inf. pres. da *4*VFiT, insegnare, istruire, ammaestrare; cf. Mc 1,21.
Ultima ricorrenza della perifrasi ³D>"J@ *4*VFig4< che compare nel vangelo (cf. Mc 4,1;
6,2.34).
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
*gÃ: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da *gÃ, forma impersonale con il significato di «bisogna», «è
necessario». Questa forma verbale ricorre 77 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: Mt 16,21; 17,10; 24,6; 26,54; Mc 8,31; 9,11; 13,7.10.14; Lc 2,49; 4,43; 9,22;
12,12; 13,14.33; 17,25; 19,5; 21,9; 22,37; 24,7.44; Gv 3,7.14.30; 4,20.24; 9,4; 10,16; 12,34;
20,9. L’espressione greca *gà + infinito non ha equivalenti nella lingua semitica. Nei LXX
ricorre circa 40 volte per indicare: a) un obbligo religioso (cf. Lv 5,17; Ez 13,19; 1Mac
12,11); b) un obbligo civile (cf. Rut 4,5; Tb 6,12); c) un obbligo legale (cf. Est 1,15; Dn
6,15); d) un obbligo di convenienza (cf. Prv 22,29; 2Re 4,13; Sap 12,19; 2Mac 1,18; Dn
3,19); e) una necessità legata agli eventi escatologici (cf. Dn 2,18.19). Nelle ricorrenze
Mc 8,31 587

marciane la formula è impiegata con senso sempre teologico, per indicare una necessità
incondizionata, quasi deterministica. Anche negli altri scritti neotestamentari la formula viene
usata in riferimento all’attuazione di una disposizione divina che non può non verificarsi. Si
tratta di una necessità oggettiva, immanente, che riguarda direttamente o indirettamente le
vicende umane: gli uomini agiscono, ma quanto fanno è inserito nel piano salvifico di Dio,
secondo una necessità teologica. La forma presente del verbo sottolinea con più forza che si
tratta di una decisione stabilita da Dio e alla quale non ci si può sottrarre. Non è facile
cogliere lo sfondo storico e religioso di questa tipica formula, utilizzata per esprimere
l’attuarsi ineluttabile del progetto divino. Il termine può essere interpretato come riferimento
scritturistico, in analogia all’espressione impersonale (X(D"BJ"4, «è scritto», usata nel NT
come espressione tecnica per introdurre una citazione anticotestamentaria (56 volte su 63; cf.
Mc 1,2). In questo senso il *gà si inquadrerebbe nel contesto della promessa e
dell’adempimento.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
LÊ`<: sost., acc. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; soggetto della proposizione oggettiva
costruita con i verbi infiniti B"hgÃ<, •B@*@i4:"Fh­<"4, •B@iJ"<h­<"4, •<"FJ­<"4.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•<hDfB@L: sost., gen. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di specificazione.
B@88V: agg. indefinito, acc. plur. n. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34. La forma B@88V è qui usata in modo avverbiale («molto», «grandemente», «intensamen-
te») e non quantitativo («molte cose»). Si tratta di una caratteristica di Marco (cf. Mc 1,45;
3,12; 5,10.23.26.38.43; 6,20.23; 8,31; 9,12.26; 15,3).
B"hgÃ<: verbo, inf. aor. da BVFPT, patire, soffrire; cf. Mc 5,26. Il tema della «grande
sofferenza» subita dal giusto è abbastanza ricorrente nella Bibbia (cf. Sal 22; 68; Is 53, ecc.).
È probabile che l’espressione B@88 B"hgÃ<, che ricorre anche nel secondo annuncio della
passione (cf. Mc 9,12), alluda a questo tema, anche se la formula nella sua generica
indeterminatezza non sembra rivestire un particolare significato teologico, ma riferirsi
semplicemente agli avvenimenti che caratterizzano tale soffrire (cattura, processo,
flagellazione, crocifissione).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•B@*@i4:"Fh­<"4: verbo, inf. aor. pass. da •B@*@i4:V.T (da •B` e *@i4:V.T), scartare,
rigettare, ripudiare, respingere, rifiutare. Questo verbo ricorre 9 volte nel NT: Mt 21,42; Mc
8,31; 12,10; Lc 9,22; 17,25; 20,17; Eb 12,17; 1Pt 2,4.7. Il significato etimologico di questo
verbo non è quello di «respingere», «rifiutare» (con idea di ostilità e violenza), ma quello di
«escludere», «scartare» qualcosa o qualcuno perché ritenuto non idoneo, in riferimento, ad
esempio, a candidati, pretendenti e simili (cf. Erodoto, Hist., 6,130,1; Lisia, Or., 13,10).
L’essere respinto o scartato come persona incapace richiama «la pietra che i costruttori hanno
scartato» la quale, invece, «è diventata testata d’angolo» (cf. Mc 12,10; cf. At 4,11; 1Pt 2,7).
ßB`: prep. propria con valore d’agente, seguita dal genitivo, indecl., da, da parte di; cf. Mc 1,5.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
588 Mc 8,31

BDgF$LJXDT<: agg. qualificativo, di grado comparativo, con valore sostantivato, gen. plur. m.
da BDgF$bJgD@H, –", –@< (comparativo di BDXF$LH), più vecchio, più anziano,
predecessore, antenato, «presbitero»; cf. Mc 7,3; compl. di agente. Nel NT (cf. Mt 21,23;
26,3.47; 27,1.3.12.20; 28,11–12; Lc 22,52; At 4,23; 25,15) e nella letteratura rabbinica (cf.
m.Yom., 1,5) gli «anziani» sono descritti come rappresentanti del sinedrio e custodi della
tradizione farisaica. Il termine designa in senso stretto tutti i membri laici del sinedrio distinti
dai sacerdoti e dagli scribi. Questi «anziani» erano capifamiglia non sacerdoti, aventi funzioni
direttive e rappresentanti la nobiltà laica nel supremo consiglio. Negli scritti giudaici sono
indicati in vari modi: Giuseppe Flavio li indica con le espressioni @Ê *L<"J@\, «i maggioren-
ti» (cf. Id., Bellum, 2,301.316), @Ê (<TD\:@4, «i notabili» (cf. Id., Bellum, 2,301.410). In
epoca postesilica in ogni città esisteva un consiglio degli anziani, i quali godevano di grande
prestigio, soprattutto a Gerusalemme dove al tempo del NT formavano la parte più cospicua
del sinedrio. Erode il Grande, appena assunto il potere, fece uccidere in massa gli anziani del
sinedrio e li sostituì con altri che simpatizzavano per il suo regime (cf. Giuseppe Flavio,
Antiq., 14,175). Il loro potere era molto grande poiché, oltre ad avere la maggioranza nel
sinedrio, erano equiparati ai capi dei sacerdoti, ai quali spettava di eleggerli. Per quanto
riguarda la divisione del grande sinedrio in tre classi o raggruppamenti vedi commento a Mc
14,55.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
•DP4gDXT<: sost., gen. plur. m. da •DP4gDgbH, –XTH (da •DPZ e ÊgDgbH), sommo sacerdote,
capo dei sacerdoti; cf. Mc 2,26; compl. di agente. Grazie agli scritti giudaici siamo
abbastanza informati circa l’esistenza di una precisa gerarchia all’interno della classe
sacerdotale. Al vertice di questa piramide si trovava il sommo sacerdote, «unto con l’olio
dell’unzione… consacrato con le vesti sacerdotali» (m.Mak., 2,6; m.Hor., 3,4). A esso
seguivano, in ordine di importanza decrescente, gli altri «capi dei sacerdoti»: il sacerdote
comandante del Tempio, il capo della sezione sacerdotale settimanale, il capo della sezione
sacerdotale giornaliera, il sorvegliante del Tempio, il tesoriere, il semplice sacerdote, il levita.
Tutti costoro, unitamente ai sommi sacerdoti scaduti e ad alcuni membri delle famiglie nobili
da cui erano scelti i sommi sacerdoti, formavano il gruppo degli •DP4gDgÃH, «capi dei
sacerdoti», che costituivano una parte notevole del sinedrio. Per quanto riguarda la divisione
del grande sinedrio in tre classi o raggruppamenti vedi commento a Mc 14,55.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
(D"::"JXT<: sost., gen. plur. m. da (D"::"JgbH, –XTH (da (DV::"), scriba, esperto della
Legge, insegnante religioso; cf. Mc 1,22; compl. di agente.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•B@iJ"<h­<"4: verbo, inf. aor. pass. da •B@iJg\<T (da •B` e iJg\<T), uccidere,
distruggere, far perire; cf. Mc 3,4.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Mc 8,32 589

:gJV: prep. propria di valore temporale, seguita dall’accusativo, indecl., dopo, dopo di; cf. Mc
1,13.
JDgÃH: agg. numerale, cardinale, acc. plur. f. da JDgÃH, JD\", –ä<, tre; cf. Mc 8,2; attributo di
º:XD"H.
º:XD"H: sost., acc. plur. f. da º:XD", –"H, giorno; cf. Mc 1,9; compl. di tempo determinato.
L’indicazione temporale «dopo tre giorni» (:gJ JDgÃH º:XD"H), in luogo di quella più
precisa «al terzo giorno» (J± JD\J® º:XD‘), usata da Matteo (cf. Mt 16,21; 17,23; 20,19;
27,64), da Luca (cf. Lc 9,22; 18,33; 24,7.21.46; At 10,40) e da Paolo (cf. 1Cor 15,4),
corrisponde al modo ebraico di contare il tempo, secondo cui una parte del giorno vale come
un giorno intero. Benché nella predicazione della Chiesa primitiva sia prevalso l’uso della
seconda espressione, la frase di Marco, di stampo semitico, è da ritenersi più antica e
originale.
•<"FJ­<"4: verbo, inf. aor. da •<\FJ0:4 (da •<V e ËFJ0:4), sorgere, alzarsi, sollevarsi,
risorgere, risuscitare; cf. Mc 1,35. Il verbo è qui impiegato nel senso intransitivo di
«levarsi», «alzarsi», «risuscitare». Si tratta del verbo preferito da Marco per indicare la
risurrezione di Gesù (cf. Mc 9,9.10.31; 10,34; 16,9), rispetto al più tecnico ¦(g\D@
(«risvegliarsi», «risorgere»: Mc 14,28; 16,6.14), il quale mette in evidenza l’azione del Padre
(usato in prevalenza da Matteo, Luca e Paolo).

8,32 i" B"DD0F\‘ JÎ< 8`(@< ¦8V8g4. i" BD@F8"$`:g<@H Ò AXJD@H "ÛJÎ<
³D>"J@ ¦B4J4:< "ÛJè.
8,32 Egli faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte e si mise
a rimproverarlo.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


B"DD0F\‘: sost., dat. sing. f. da B"DD0F\", –"H, franchezza, schiettezza, coraggio; compl. di
modo. Il vocabolo ricorre 31 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mc
8,32 (hapax marciano); Gv 7,4.13.26; 10,24; 11,14.54; 16,25.29; 18,20. Sulla base del
significato etimologico (da B< Õ­F4H, «libertà di dire tutto») il sostantivo B"DD0F\" è
usato nel greco classico con il significato fondamentale di «libertà di parola» (cf. Euripide,
Hip., 422; Platone, Leg., 694b; Aristofane, Thesm., 541) e per analogia nel significato più
generico di «franchezza». La forma B"DD0F\‘ (dativus modi) è qui usata con il significato
avverbiale «apertamente», «francamente», «risolutamente».
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
8`(@<: sost., acc. sing. m. da 8`(@H, –@L, parola; cf. Mc 1,45; compl. oggetto.
¦8V8g4: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8"8XT, parlare, dire; cf. Mc 1,34. Imperfetto
durativo o iterativo. Ultima ricorrenza della perifrasi JÎ< 8`(@< ¦8V8g4 (cf. Mc 2,2; 4,33).
i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.
21.26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.
590 Mc 8,33

50.53a.65a.72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\, di influsso semitico, acquista il


significato avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica) per introdurre come
formula paratattica di passaggio una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra
unità narrativa.
BD@F8"$`:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. aor. medio da BD@F8":$V<T (da BD`H e
8":$V<T), prendere, afferrare, stringere. Questo verbo ricorre 12 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 16,22; Mc 8,32 (hapax marciano). Participio
predicativo del soggetto AXJD@H. Il verbo appartiene all’ampia gamma semantica costituita
da 8":$V<T (cf. Mc 4,16), ¦B48":$V<@:"4 (cf. Mc 8,23), BD@F8":$V<@:"4 (cf. Mc
8,32), i"J"8":$V<T (cf. Mc 9,18), FL88":$V<T (cf. Mc 14,48). Analogamente agli altri
verbi assume il significato fondamentale del generico «prendere», «afferrare» (cf. Sofocle,
Trach., 1025).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
AXJD@H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da AXJD@H, –@L, Pietro; cf. Mc 3,16;
soggetto.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
³D>"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da –DPT, dare inizio, cominciare; cf. Mc 1,45. La
frase ³D>"J@ / ³D>"<J@ seguita da un infinito come complemento è usata da Marco 26
volte (cf. Mc 1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32; 10,28.32.41.47; 11,15; 12,1;
13,5; 14,19.33.65.69.71; 15,8.18). La frequenza di questa formula è dovuta probabilmente
a influsso semitico: quasi sempre equivale a una perifrasi nella quale il verbo –DPT, di
valore pleonastico, può essere omesso, mentre l’infinito dipendente viene reso con la 3a
persona dell’indicativo aoristo o imperfetto corrispondente.
¦B4J4:<: verbo, inf. pres. da ¦B4J4:VT (da ¦B\ e J4:VT), intimare, ammonire, sgridare,
rimproverare, proibire, ordinare severamente; cf. Mc 1,25.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.

8,33 Ò *¥ ¦B4FJD"ngÂH i" Æ*ã< J@×H :"h0JH "ÛJ@Ø ¦BgJ\:0Fg< AXJDå i"Â
8X(g4s ~KB"(g ÏB\FT :@Ls F"J"<s ÓJ4 @Û nD@<gÃH J J@Ø hg@Ø •88 J Jä<
•<hDfBT<.
8,33 Ma egli, voltandosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro dicendo:
«Rimettiti dietro di me, Satana, perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli
uomini!».

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
¦B4FJD"ng\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. pass. da ¦B4FJDXnT (da ¦B\ e FJDXnT),
ritornare, girarsi, voltarsi, convertirsi; cf. Mc 4,12. Participio predicativo di valore espletivo
Mc 8,33 591

del soggetto sottinteso z30F@ØH. Alla reazione di Pietro segue la contro reazione di Gesù,
altrettanto forte e decisa. Egli, anzitutto, «si volta e guarda i discepoli»: il voltarsi di Gesù è
un atto caratteristico (cf. Mc 5,30; Mt 9,22; Lc 7,9.44; 9,55; 10,23; 14,25; 22,61; 23,28; Gv
1,38), quasi per affrontare chi ha parlato. Con questo gesto egli vuole chiaramente far capire
che tutti sono coinvolti: le parole che rivolgerà a Pietro sono destinate anche agli altri
discepoli.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Æ*f<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc 1,10.
Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH. Marco usa spesso il participio con un
significato temporale (cf. Mc 2,5.16; 5,6.22; 6,48.49; 7,2; 8,33; 9,20.25; 10,14; 12,34;
14,67.69; 15,39).
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
:"h0JVH: sost., acc. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; compl. oggetto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
¦BgJ\:0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦B4J4:VT (da ¦B\ e J4:VT), intimare,
ammonire, sgridare, rimproverare, proibire, ordinare severamente; cf. Mc 1,25.
AXJDå: sost., nome proprio di persona, dat. sing. m. da AXJD@H, –@L, Pietro; cf. Mc 3,16;
compl. di termine.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
~KB"(g: verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. da ßBV(T (da ßB` e –(T), andare giù, ritirarsi,
andare via, partire; cf. Mc 1,44.
ÏB\FT: prep. impropria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., dietro, dietro di; cf. Mc
1,7. I sinottici uniscono la preposizione ÏB\FT a diversi verbi ai quali danno sempre il
significato di moto a luogo, corrispondente a «andare dietro a», «seguire»; in nessun caso
ÏB\FT è utilizzato per esprimere un moto da luogo, nel senso di «allontanarsi», «andare via
da»: •i@8@LhgÃ< ÏB\FT (Mt 10,38; Mc 8,34); (•B–) §DPgFh"4 ÏB\FT (Mt 3,11; 16,24;
Mc 1,7.20; Lc 9,23; 14,27); *gØJg ÏB\FT (Mt 4,19; Mc 1,17); B@DgbgFh"4 ÏB\FT (Lc
21,8); ßBV(g4< ÏB\FT (Mt 16,23; Mc 8,33). Stessa constatazione possiamo fare per quanto
riguarda l’uso di ÏB\FT nei LXX: in particolare, quando ÏB\FT è seguito da un pronome
personale di 1a o di 2a persona singolare (:@L, F@L) assume sempre il significato di «dietro
a», «dietro di», «al seguito di», ossia di un moto a luogo (cf. Gn 31,36; Es 33,23; Nm 32,11;
Dt 24,20.21; 25,18; Gdc 3,28; 1Sam 14,12; 24,22; 1Re 1,14.24; 19,20; 20,21; 2Re 6,19;
9,18.19; Ne 4,17; 1Mac 2,27; Sal 62,9; Ct 1,4; Na 3,5; Is 38,17; 45,14; Ger 12,6; 13,26.27;
17,16). Non sembra pertanto corrispondente al testo la traduzione riportata da molti
592 Mc 8,33

commentatori «Allontanati da me, Satana», dietro influsso della Vulgata («Vade retro,
Satana»).
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di moto a luogo. Con questo imperativo Gesù fa capire ai
discepoli che Pietro ha completamente rovesciato la condizione della sequela. L’espressione,
infatti, richiama in forma antitetica l’analogo imperativo che Gesù rivolse allo stesso Pietro
e Andrea sulla riva del lago, in occasione della loro vocazione: *gØJg ÏB\FT :@L («Venite
dietro di me», Mc 1,17). Pietro viene esortato a rientrare in quella situazione originaria: con
il suo gesto e la sua protesta egli ha rigettato la condizione del discepolato; adesso deve
ritornare al suo posto e continuare a stare dietro a Gesù, seguendolo da vicino, come si
conviene a un discepolo, il quale non si mette davanti al Maestro, come egli sta facendo con
presunzione e neppure al suo fianco, come può fare un consigliere autorizzato, tanto meno
seguirlo •BÎ :"iD`hg<, «da lontano», come farà in occasione del suo tradimento (cf. Mc
14,54).
E"J"<: sost., personificato, voc. sing. m. da E"J"<H, –, Satana; cf. Mc 1,13; compl. di
vocazione. L’epiteto dato a Pietro è certamente forte (in nessun altro testo del NT il termine
F"J"<H viene indirizzato a una persona), ma non dobbiamo qui vedere una sua
diabolizzazione, come se Pietro fosse diventato un seguace del demonio o l’incarnazione
stessa del diavolo. Il vocabolo va qui inteso nel significato originario e generico di
«avversario», «accusatore», «oppositore», «nemico» (cf. Nm 22,22.32; 1Sam 29,4; 1Re 5,18;
11,14.23.25). David definisce 0) I”I , 'sa) Et a) n (F"J"<H), colui che gli suggerisce di uccidere
il suo nemico (cf. 2Sam 19,23).
ÓJ4: cong. subordinativa di valore causale, indecl., poiché, perché, siccome; cf. Mc 1,15.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
nD@<gÃH: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da nD@<XT, pensare, comprendere, capire. Questo
verbo ricorre 26 volte nel NT: Mt 16,23; Mc 8,33 (hapax marciano); At 28,22; Rm 8,5;
11,20; 12,3[x2].16[x2]; 14,6[x2]; 15,5; 1Cor 13,11; 2Cor 13,11; Gal 5,10; Fil 1,7; 2,2[x2].5;
3,15[x2].19; 4,2.10[x2]; Col 3,2. Nel greco classico il verbo nD@<XT indica non soltanto il
semplice e generico «pensare», come attività speculativa della mente, ma anche «ricercare»
attivamente, «dedicare attenzione» all’obiettivo prefissato. In particolare il sintagma nD@<XT
JV J4<@H, già usato nella grecità classica, può anche significare «essere della stessa idea di
qualcuno», «stare dalla parte di qualcuno» (cf. Erodoto, Hist., 2,162,6; Aristofane, Pax, 640;
Giuseppe Flavio, Antiq., 14,450; Est 8,12, LXX; 1Mac 10,20). Il richiamo di Gesù non è
soltanto di tipo gnoseologico, ma assiologico.
JV: art. determ., con valore pronominale, acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18; compl.
oggetto. Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale
"ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione.
Mc 8,34 593

•88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno; cf. Mc 1,44.
JV: art. determ., con valore pronominale, acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18; compl.
oggetto. Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale
"ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
•<hDfBT<: sost., gen. plur. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di specificazione. L’espressione @Û nD@<gÃH J J@Ø hg@Ø •88 J Jä< •<hDfBT<, alla
lettera «non pensi quelle di Dio, ma quelle degli uomini», presenta un richiamo concettuale
con Col 3,2 dove Paolo invita i credenti a «pensare alle cose di lassù, non a quelle della
terra» (J –<T nD@<gÃJgs :¬ J ¦B J­H (­H).

8,34 5"Â BD@Fi"8gFV:g<@H JÎ< ÐP8@< F×< J@ÃH :"h0J"ÃH "ÛJ@Ø gÉBg< "ÛJ@ÃHs
gÇ J4H hX8g4 ÏB\FT :@L •i@8@LhgÃ<s •B"D<0FVFhT ©"LJÎ< i" •DVJT JÎ<
FJ"LDÎ< "ÛJ@Ø i" •i@8@Lhg\JT :@4.
8,34 Convocata la folla insieme ai suoi discepoli disse loro: «Se qualcuno vuole venire
dietro di me rinunci a sé stesso, prenda la sua croce e mi segua.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


BD@Fi"8gFV:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. aor. medio da BD@Fi"8XT (da BD`H e
i"8XT), chiamare a sé, convocare, eleggere; cf. Mc 3,13. Participio predicativo del
soggetto sottinteso z30F@ØH. I discorsi di Gesù vengono più di una volta introdotti con il
verbo BD@Fi"8XT seguito dal destinatario delle parole: BD@Fi"8gFV:g<@H "ÛJ@bH (sott.
gli scribi, Mc 3,23), BD@Fi"8gFV:g<@H […] JÎ< ÐP8@< (la folla, Mc 7,14),
BD@Fi"8gFV:g<@H J@×H :"h0JVH (i discepoli, Mc 8,1), BD@Fi"8gFV:g<@H JÎ< ÐP8@<
F×< J@ÃH :"h0J"ÃH (la folla e i discepoli, Mc 8,34), BD@Fi"8gFV:g<@H "ÛJ@bH (sott.
i Dodici, Mc 10,42).
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ÐP8@<: sost., acc. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; compl. oggetto.
Fb<: prep. propria con valore di compagnia, seguita dal dativo, indecl., con, insieme a; cf. Mc
2,26.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
:"h0J"ÃH: sost., dat. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; compl. di compagnia.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
594 Mc 8,34

"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
gÇ: (= gÆ), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché, qualora; cf. Mc 2,7.
La grafia gÇ compare davanti a una forma enclitica. La particella gÆ è qui usata per
introdurre una proposizione ipotetica, la protasi, la cui conseguenza è costituita dalla
proposizione reggente (detta apodosi). Ritroviamo questa costruzione in Mc 3,26; 4,23; 8,34;
9,22.23.35; 11,25; 13,20.22; 14,21.29.35.
J4H: pron. indefinito (enclitico), nom. sing. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; soggetto.
hX8g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da hX8T, volere, avere il proposito di; cf. Mc 1,40.
ÏB\FT: prep. impropria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., dietro, dietro di; cf. Mc
1,7.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di moto a luogo.
•i@8@LhgÃ<: verbo, inf. pres. da •i@8@LhXT, seguire, accompagnare, mettersi dietro; cf. Mc
1,18. Questo verbo è solitamente unito direttamente al proprio complemento (al caso
dativo). La costruzione con la preposizione ÏB\FT e il genitivo è rara e di stampo ebraico:
probabilmente è imitazione di §DP@:"4 ÏB\FT + gen., «andare dietro a…» che nei LXX
traduce l’ebraico *9F(C!H …-H%I , ha) lak ’ahEarê (cf. 1Re 19,20).
•B"D<0FVFhT: verbo, 3a pers. sing. imperat. aor. medio da •B"D<X@:"4 (da •B` e
•D<X@:"4), negare, rifiutare, rinunciare, rinnegare. Questo verbo deponente ricorre 11
volte nel NT: Mt 16,24; 26,34.35.75; Mc 8,34; 14,30.31.72; Lc 12,9; 22,34.61. Sostanzial-
mente uguale quanto al significato ad •D<X@:"4, questo verbo, che nella grecità assume il
significato di «negare», «rifiutare» (cf. Erodoto, Hist., 6,69,2; Tucidide, Hist., 6,56,1), indica
qui il «rinunciare» al proprio essere, il «rinnegare» sé stesso, non nel senso di un masochismo
ascetico autolesionistico, ma come volontà di saper rinunciare al proprio modo di pensare e
vivere, mettersi in discussione per accogliere la radicalità evangelica.
©"LJ`<: pron. riflessivo, acc. sing. m. da ©"LJ@Ø, –­H, –@Ø (non usato al nominativo), lui, lui
stesso, esso; cf. Mc 1,27; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•DVJT: verbo, 3a pers. sing. imperat. aor. da "ÇDT, alzare, sollevare, sostenere, sorreggere,
portare, prendere; cf. Mc 2,3.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
FJ"LD`<: sost., acc. sing. m. da FJ"LD`H, –@Ø, croce; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 27
volte nel NT: Mt 10,38; 16,24; 27,32.40.42; Mc 8,34; 15,21.30.32; Lc 9,23; 14,27; 23,26;
Gv 19,17.19.25.31; 1Cor 1,17.18; Gal 5,11; 6,12.14; Ef 2,16; Fil 2,8; 3,18; Col 1,20; 2,14;
Eb 12,2. Per quanto riguarda la «croce» sotto l’aspetto linguistico, come strumento di
esecuzione capitale, vedi commento a Mc 15,24. L’espressione «prendere (= portare) la
propria croce» è una rappresentazione metaforica della disposizione al martirio e dello spirito
di abnegazione che devono contraddistinguere i seguaci di Gesù. Un accostamento linguistico
e tematico può essere visto nell’espressione «portare ("ÇDT) il giogo [di Gesù]» (cf. Mt
Mc 8,35 595

11,29), che intende designare l’obbedienza alla volontà di Cristo e ai suoi comandamenti. In
tutta la letteratura giudaica non esiste alcun detto che corrisponda alle parole di Gesù;
l’espressione, come tale, non appare in alcun ambito semitico. Alcuni commentatori si
chiedono come mai Gesù prepari i suoi discepoli alla prospettiva della croce quando questa
metafora poteva nascere soltanto dopo l’avvenuta sua esecuzione al Calvario. In questo
senso, si aggiunge, il loghion è una formulazione che risale non al Gesù della storia, ma alla
comunità primitiva. Questa difficoltà è facilmente superabile se si considera che, come
avviene altrove nel greco classico (cf. Diodoro Siculo, Bibl., 2,18,1; Plutarco, De sera,
554,a,11), il vocabolo «croce» è usato in senso figurato (cf. anche il «giogo» di Mt 11,29),
senza riferirsi necessariamente al supplizio romano.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•i@8@Lhg\JT: verbo, 3a pers. sing. imperat. pres. da •i@8@LhXT, seguire, accompagnare,
mettersi dietro; cf. Mc 1,18.
:@4: pron. personale di 1a pers. dat. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 2,14; compl. di termine. Il detto di Gesù è formulato mediante un chiasmo,
più evidente in greco che nelle traduzioni: nella frase iniziale (protasi) l’espressione «dietro
di me» è collocata prima del verbo «seguire», mentre nella frase conclusiva del periodo
(apodosi) il pronome «me» ricorre dopo «seguire»: ÏB\FT :@L •i@8@LhgÃ<…
•i@8@Lhg\JT :@4.

8,35 ÔH (D ¦< hX8® J¬< RLP¬< "ÛJ@Ø FäF"4 •B@8XFg4 "ÛJZ<· ÔH *z —<
•B@8XFg4 J¬< RLP¬< "ÛJ@Ø ª<gig< ¦:@Ø i" J@Ø gÛ"((g8\@L FfFg4 "ÛJZ<.
8,35 Perché chi vuole salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per
causa mia e del vangelo la salverà.

ÓH: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2; soggetto.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
hX8®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. pres. da hX8T, volere, avere il proposito di; cf. Mc 1,40.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
RLPZ<: sost., acc. sing. f. da RLPZ, –­H, anima, vita, uomo; cf. Mc 3,4; compl. oggetto. Il detto
di Gesù ha una chiara impronta semitica sia per l’uso del parallelismo antitetico e del
chiasmo sia per la presenza del termine RLPZ il quale traduce quasi certamente il
corrispettivo aramaico –5 H 1G, nep) aš (eb. nep) eš): questa parola nel mondo semitico non
esprime il concetto di «anima», alla maniera greca, ma l’esistenza concreta della singola
596 Mc 8,35

persona, con tutto il suo potenziale fisico e psicologico (vedi commento a Mc 3,4). Con
linguaggio moderno si potrebbe tradurre correttamente RLPZ mediante un pronome
riflessivo, poiché il termine è qui usato come perifrasi semitica in luogo di ©"LJ`<: «Chi
vuol salvare sé stesso si perderà…», analogamente a quanto avviene in Mc 8,36.37; 10,45.
In ogni caso non si può intendere la parola RLPZ come «anima» o «vita terrena», in
contrapposizione a «vita celeste»: Gesù parla di salvare o perdere l’intera vita o esistenza, non
di salvare la «propria anima».
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»). L’espressione º RLPZ "ÛJ@Ø, modellata sull’ebraico |–5A1H, nap) šô, è un
semitismo: equivale al pronome riflessivo ©"LJ`H (= «sé stesso»), come in Mc 8,36.37.
FäF"4: verbo, inf. aor. da Fæ.T, guarire, sanare, salvare; cf. Mc 3,4.
•B@8XFg4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. da •B`88L:4 (da •B` e la radice di Ð8ghD@H),
perdere, rovinare, distruggere, togliere di mezzo, sopprimere, uccidere; cf. Mc 1,24.
"ÛJZ<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,31; compl. oggetto.
ÓH: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2; soggetto.
*z: (= *X) cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf.
Mc 1,8.
–<: partic. modale di valore dubitativo, eventuale o condizionale, indecl., [se, e se, caso mai,
qualora, eventualmente]; cf. Mc 3,29.
•B@8XFg4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. da •B`88L:4 (da •B` e la radice di Ð8ghD@H),
perdere, rovinare, distruggere, togliere di mezzo, sopprimere, uccidere; cf. Mc 1,24.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
RLPZ<: sost., acc. sing. f. da RLPZ, –­H, anima, vita, uomo; cf. Mc 3,4; compl. oggetto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»). L’espressione º RLPZ "ÛJ@Ø, modellata sull’ebraico |–5A1H, nap) šô, è un
semitismo: equivale al pronome riflessivo ©"LJ`H (= «sé stesso»), come in Mc 8,36.37;
10,45.
ª<gig<: prep. impropria di valore causale, seguita dal genitivo, indecl., per, a causa di. Questa
preposizione ricorre 26 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 7 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,038% del totale delle parole); 5 volte in Marco (cf. Mc 8,35;
10,7.29[x2]; 13,9 = 0,044%); 5 volte in Luca (0,026%). La preposizione, in questa forma,
compare soltanto nei vangeli sinottici: altrove ricorre anche nella forma attica ª<gi" (cf. Mt
19,5; Lc 6,22; At 19,32; 26,21) e in quella posteriore gË<gig< (cf. Lc 4,18; 2Cor 3,10),
sempre con significato causale.
Mc 8,36 597

¦:@Ø: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc.
¦:X/:g), io, me; cf. Mc 7,6; compl. di causa.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
gÛ"((g8\@L: sost., gen. sing. n. da gÛ"((X84@<, –@L, lieto annuncio, buona novella,
«vangelo»; cf. Mc 1,1; compl. di causa. Con ogni probabilità la frase «e del vangelo»,
analogamente a i"Â ª<gig< J@Ø gÛ"((g8\@L di Mc 10,29, non risale a Gesù, ma è una
aggiunta di Marco, il quale è l’unico tra gli evangelisti a usare il termine gÛ"((X84@< in
senso assoluto (cf. Mc 1,14; 8,35; 10,29; 13,10; 14,9).
FfFg4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. da Fæ.T, guarire, sanare, salvare; cf. Mc 3,4.
"ÛJZ<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,31; compl. oggetto.

8,36 J\ (D éng8gà –<hDTB@< igD*­F"4 JÎ< i`F:@< Ó8@< i" .0:4Th­<"4 J¬<
RLP¬< "ÛJ@Øp
8,36 Che giova, infatti, a qualcuno guadagnare il mondo intero se poi perde la propria
vita?

J\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
éng8gÃ: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da éng8XT, avvantaggiarsi, giovare, trarre profitto; cf.
Mc 5,26.
–<hDTB@<: sost., acc. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di termine. La forma accusativa è retta dal verbo éng8XT. L’impiego del vocabolo
–<hDTB@H per il pronome indefinito J\H, «uno», «qualcuno» («nessuno» con negazione),
è un semitismo. Ritroviamo questo uso in Mc 1,23; 3,1; 4,26; 5,2; 7,11; 8,27.36.37; 10,7.9;
11,2; 12,1.14; 13,34.
igD*­F"4: verbo, inf. aor. da igD*"\<T, guadagnare, acquistare, ottenere. Questo verbo
ricorre 17 volte nel NT: Mt 16,26; 18,15; 25,16.17.20.22; Mc 8,36 (hapax marciano); Lc
9,25; At 27,21; 1Cor 9,19.20[x2].21.22; Fil 3,8; Gc 4,13; 1Pt 3,1. Usato in forma assoluta
o con l’indicazione di ciò che apporta l’utile (cf. Erodoto, Hist., 8,5,3; Giuseppe Flavio,
Antiq., 5,135), il verbo igD*"\<T è impiegato generalmente nell’ambito del commercio, per
esprimere un guadagno in termini materiali (denaro, merci, ecc.).
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
i`F:@<: sost., acc. sing. m. da i`F:@H, –@L, mondo, universo; compl. oggetto. Il vocabolo
ricorre 186 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 9 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,049% del totale delle parole); 3 volte in Marco (cf. Mc 8,36; 14,9;
16,15 = 0,027%); 3 volte in Luca (0,015%); 78 volte in Giovanni (0,499%). Nella grecità
classica il vocabolo i`F:@H, di incerta etimologia, assume una vasta gamma di significati.
598 Mc 8,37

Originariamente esprime l’idea del disporre, costruire, ed equivale a «ordine» in generale (cf.
Omero, Il., 2,214; Od., 13,77). Per estensione il vocabolo è altresì impiegato nel significato
di «buon ordine», «regola», «norma», «misura» (cf. Erodoto, Hist., 1,99,1; Platone, Symp.,
223b) e, quindi, «ornamento» (cf. Omero, Il., 14,187; Platone, Resp., 373c). Nella filosofia
diventa il termine principale per indicare l’ordine cosmico, il «mondo» in senso spaziale,
l’«universo», il «cosmo» (cf. Platone, Tim., 27a; Aristotele, De cae., 274a 27). Nel greco
ellenistico il termine acquista un significato ulteriore, potendo indicare il «mondo abitato»,
ossia gli abitanti della terra, l’«umanità», con significato antropologico. Nel NT i`F:@H è
utilizzato nel significato di «mondo» in senso globale (spaziale e antropologico), come
avviene nel greco profano e in quello del giudaismo ellenistico. Il vocabolo assume tre
sfumature principali: a) come sinonimo dell’espressione anticotestamentaria «cielo e terra»,
corrispondente a «mondo», «universo», «cosmo» (cf. Gv 1,3.10; 21,25; At 17,24, ecc.); b)
con significato fisico per indicare la dimora degli uomini, la «terra», l’ecumene (cf. Mt 4,8;
16,26; 26,13; Mc 16,15; 8,36; Lc 9,25; 12,30; Gv 1,10; ecc.); c) nel significato antropologico
di «umanità», creazione decaduta (cf. Mt 5,14; 26,13; Mc 14,9; 16,15; ecc.).
Ó8@<: agg. indefinito, acc. sing. m. da Ó8@H, –0, –@<, tutto, ogni; cf. Mc 1,28; attributo di
i`F:@<, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4. La congiunzione
acquista qui una sfumatura avversativa.
.0:4Th­<"4: verbo, inf. aor. pass. da .0:4`T, danneggiare, rovinare, perdere. Questo verbo
ricorre 6 volte nel NT, sempre nella diatesi passiva: Mt 16,26; Mc 8,36 (hapax marciano);
Lc 9,25; 1Cor 3,15; 2Cor 7,9; Fil 3,8. Originariamente .0:4`T significa «mettere [qualcuno]
in una situazione svantaggiosa», «arrecare [a qualcuno] uno svantaggio o un male»,
«danneggiare» (cf. Isocrate, Or., 6,5; Platone, Leg., 846a; Senofonte, Cyr., 3,1,30). In genere
questo svantaggio prende la forma di una perdita, una rovina, relativa non soltanto ai beni
materiali, ma anche a quelli spirituali e spesso morali. È probabile che qui sia stato scelto il
verbo .0:4`T, «perdere», per contrapporlo in significativa antitesi con igD*"\<T,
«guadagnare». La posta in gioco, tuttavia, non è quella commerciale o economica, ma quella
escatologica della «vita eterna»: la perdita della RLPZ non può essere compensata nemmeno
con il guadagno del i`F:@H.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
RLPZ<: sost., acc. sing. f. da RLPZ, –­H, anima, vita, uomo; cf. Mc 3,4; compl. oggetto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»). L’espressione º RLPZ "ÛJ@Ø, modellata sull’ebraico |–5A1H, nap) šô, è un
semitismo: equivale al pronome riflessivo ©"LJ`H (= «sé stesso»), come in Mc 8,35[x2].37;
10,45.

8,37 J\ (D *@à –<hDTB@H •<JV88"(:" J­H RLP­H "ÛJ@Øp


8,37 E che cosa potrebbe dare qualcuno in cambio della propria vita?
Mc 8,38 599

J\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
*@Ã: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26.
–<hDTB@H: sost., nom. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17;
soggetto. L’impiego del vocabolo –<hDTB@H per il pronome indefinito J\H, «uno»,
«qualcuno» («nessuno» con negazione), è un semitismo. Ritroviamo questo uso in Mc 1,23;
3,1; 4,26; 5,2; 7,11; 8,27.36.37; 10,7.9; 11,2; 12,1.14; 13,34.
•<JV88"(:": sost., acc. sing. n. da •<JV88"(:", –J@H (da •<J\ e •88VFFT), scambio,
prezzo di compenso; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mt 16,26; Mc 8,37
(hapax marciano). Nel greco classico il temine è presente con lo stesso significato di
«contraccambio», «baratto», «compenso» (cf. Euripide, Or., 1157). La domanda retorica
presuppone una risposta negativa: «Che cosa potrebbe dare l’uomo in cambio della sua vita
[perduta]? Niente». Il detto vuole sottolineare il valore assoluto e definitivo del giudizio di
Dio che non lascia all’uomo nessuna possibilità di riscatto.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
RLP­H: sost., gen. sing. f. da RLPZ, –­H, anima, vita, uomo; cf. Mc 3,4; compl. di specificazio-
ne.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»). L’espressione º RLPZ "ÛJ@Ø, modellata sull’ebraico |–5A1H, nap) šô, è un
semitismo: equivale al pronome riflessivo ©"LJ`H (= «sé stesso»), come in Mc 8,35[x2].36;
10,45.

8,38 ÔH (D ¦< ¦B"4FPL<h± :g i" J@×H ¦:@×H 8`(@LH ¦< J± (g<g” J"bJ® J±
:@4P"8\*4 i" :"DJT8ès i"Â Ò LÊÎH J@Ø •<hDfB@L ¦B"4FPL<hZFgJ"4
"ÛJÎ<s ÓJ"< §8h® ¦< J± *`>® J@Ø B"JDÎH "ÛJ@Ø :gJ Jä< •((X8T< Jä<
(\T<.
8,38 Se qualcuno si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione
adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui quando verrà
nella gloria del Padre suo con gli angeli santi».

ÓH: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2; soggetto.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
¦B"4FPL<h±: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. pass. da ¦B"4FPb<@:"4 (da ¦B\ e "ÆFPb<@-
:"4), vergognarsi. Questo verbo deponente ricorre 11 volte nel NT: Mc 8,38[x2]; Lc
600 Mc 8,38

9,26[x2]; Rm 1,16; 6,21; 2Tm 1,8.12.16; Eb 2,11; 11,16. Il verbo ¦B"4FPb<T, appartenente
al gruppo lessicale composto da "4FPb<T e i"J"4FPb<T, è di uso frequente nel greco sia
profano che biblico. Nella diatesi attiva conserva il significato originale di «infamare»,
«disonorare» (cf. 1Cor 11,4) oppure, biblicamente, «far vergognare» (= «confondere»; 1Cor
1,27). Nella diatesi media, più frequente nella grecità (cf. Platone, Resp., 573b; Erodoto,
Hist., 1,143,3; Senofonte, Hell., 4,1,34), assume il significato di «vergognarsi», sia per
qualcosa (i peccati in Rm 6,21; il vangelo in Rm 1,16) sia di qualcuno (cf. Mc 8,38). In
senso assoluto si trova in 2Tm 1,12.
:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,40; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
¦:@bH: agg. possessivo, acc. plur. m. da ¦:`H, ¦:Z, ¦:`<, mio; attributo di 8`(@LH. Il
vocabolo ricorre 74 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 4 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,022% del totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc 8,38;
10,40 = 0,018%); 3 volte in Luca (0,015%); 39 volte in Giovanni (0,249%). Nel greco
ellenistico prevale l’uso linguistico di esprimere gli aggettivi e i pronomi possessivi mediante
l’impiego del genitivo dei pronomi personali (:@L, F@L, ecc.): le antiche forme possessive
sono attestate con scarso rilievo, eccetto il pronome possessivo di prima persona ¦:`H il
quale ricorre relativamente spesso, anche nell’uso aggettivale.
8`(@LH: sost., acc. plur. m. da 8`(@H, –@L, parola; cf. Mc 1,45; compl. oggetto.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
(g<g”: sost., dat. sing. f. da (g<gV, –H, generazione, stirpe, genia; cf. Mc 8,12; compl. di stato
in luogo.
J"bJ®: pron. dimostrativo, dat. sing. f. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 8,12;
attributo di (g<g”, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
:@4P"8\*4: agg. qualificativo, dat. sing. f. da :@4P"8\H, –\*@H, adultera; attributo di (g<g”.
Il vocabolo ricorre 7 volte nel NT: Mt 12,39; 16,4; Mc 8,38 (hapax marciano); Rm 7,3[x2];
Gc 4,4; 2Pt 2,14. L’aggettivo :@4P"8\H appartiene al greco biblico. Nei LXX è presente in
Prv 18,22; 30,20; Os 3,1; Ml 3,5; Ez 16,38; 23,45[x2]. L’espressione «generazione adultera»,
che si trova anche altrove nel NT (cf. Mt 12,39; 16,4; Gc 4,4; 2Pt 2,14), proviene dalla
letteratura profetica (cf. Os 2,4; Is 1,4.21; Ez 16,32), dove viene utilizzata per indicare,
all’interno del simbolismo matrimoniale, le “infedeltà” del popolo, ossia le violazioni
all’alleanza. Si tratta di un uso traslato di :@4PgbT (cf. Mc 10,19; cf. anche Mc 10,11),
frequentissimo negli scritti profetici, orientato al modello anticotestamentario che considerava
l’alleanza tra Dio e il popolo in chiave simbolica, come un matrimonio e di conseguenza il
venir meno all’osservanza degli obblighi era descritto come un adulterio (cf. Os 2,4; 4,12;
Ger 3,8; 13,26–27; Ez 16,30–38).
Mc 8,38 601

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


:"DJT8è: agg. qualificativo, dat. sing. f. da :"DJT8`H, –`<, erroneo, che sbaglia,
colpevole, peccatore; cf. Mc 2,15; attributo di (g<g”, qui senza articolo perché in posizione
predicativa.
i"\: cong. coordinativa di valore aggiuntivo, indecl., anche, perfino, inoltre, altresì; cf. Mc 1,4.
Il significato aggiuntivo di i"\ è presente in Mc 1,27b.38b; 2,15b.26c.28; 3,19b; 4,24b;
6,34b; 7,18b; 8,3b.7ac.38c; 9,22a; 11,25b; 12,22b; 13,29; 14,9.29.31; 15,31.40ab.43a.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
LÊ`H: sost., nom. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; soggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•<hDfB@L: sost., gen. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di specificazione. L’espressione «Figlio dell’uomo» non ha qui il connotato di debolezza e
finitudine come nelle altre ricorrenze ma è associato alla gloria del «Padre»: viene
confermata l’identità del Cristo, Figlio di Dio con il Figlio dell’uomo (cf. Mc 14,61–62).
Gesù descrive sé stesso come il giudice glorioso che presiederà il giudizio ultimo (cf. Mt
7,22–23; 13,41–42; 16,27; 25,31–46; Lc 21,36; Gv 5,22.27; At 10,42; 17,31; 2Ts 1,7–10;
2Tm 4,1; 1Pt 4,5).
¦B"4FPL<hZFgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. pass. da ¦B"4FPb<@:"4 (da ¦B\ e
"ÆFPb<@:"4), vergognarsi; cf. Mc 8,38a.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
ÓJ"<: (= ÓJg e –<), cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, ogni qualvolta,
allorché, appena; cf. Mc 2,20.
§8h®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7.
¦<: prep. propria di valore modale, seguita dal dativo, indecl., in; cf. Mc 1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
*`>®: sost., dat. sing. f. da *`>", –0H, gloria; compl. di modo. Il vocabolo ricorre 166 volte nel
NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 7 volte in Matteo (corrispondente allo
0,038% del totale delle parole); 3 volte in Marco (cf. Mc 8,38; 10,37; 13,26 = 0,027%); 13
volte in Luca (0,067%); 19 volte in Giovanni (0,122%). Diversamente dal greco profano,
dove *`>" ha il significato fondamentale di «opinione», «parere», «stima» (cf. Erodoto, Hist.,
8,132,3; Eschilo, Ag., 275; Tucidide, Hist., 5,105,2), nel greco biblico il vocabolo assume
nella stragrande maggioranza delle ricorrenze il nuovo senso religioso di «gloria [divina]»,
splendore divino. Può darsi che tale uso si ricolleghi al linguaggio ellenistico di corte, dove
il termine era impiegato per esprimere la potenza del sovrano; si deve osservare, tuttavia, che
tale evoluzione semantica in chiave religiosa risale ai traduttori dei LXX che utilizzarono il
vocabolo *`>" per l’ebraico $|"ƒ I , ka) b5ôd5, impiegato nel TM per esprimere la «gloria», la
«magnificenza», l’«onore», la «maestà», lo «splendore» che compete a un uomo (un re), ma
soprattutto a Dio, sovrano universale.
602 Mc 8,38

J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
B"JD`H: sost., gen. sing. m. da B"JZD, B"JD`H, padre; cf. Mc 1,20; compl. di specificazione.
Nella maggior parte delle ricorrenze marciane, come del resto nei vangeli sinottici, B"JZD
indica il padre carnale, il padre naturale. Soltanto in 3 casi il vocabolo è indirizzato a Dio,
definito da Gesù «Padre» sia in senso personale, in riferimento alla sua ontologica relazione
(cf. Mc 8,38; 13,32; 14,36) sia in senso metaforico, quando indica la paternità di Dio in
relazione all’umanità (cf. Mc 11,25). L’espressione Ò B"JZD "ÛJ@Ø, «il padre suo»,
formulata in terza persona, equivale a Ò B"JZD :@L, «il padre mio», che Gesù indirizza
spesso a Dio (cf. Mt 7,21; 10,32.33; 12,50; 15,13; 16,17; 18,10.19.35; Lc 2,49; 22,29; 24,49;
Gv 2,16; 5,17; 6,32; 8,19.54; 10,25.29; 14,2.7.20.23; 15,1.10.15.23; 20,17): si tratta di una
formula posta in relazione antitetica con Ò LÊ`H :@L, pronunciata da Dio Padre nei riguardi
del Figlio (cf. Mt 3,17; 17,5; Mc 1,11; 9,7; Lc 3,22; 9,35).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
:gJV: prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con, insieme a, in
compagnia di; cf. Mc 1,13.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
•((X8T<: sost., gen. plur. m. da –((g8@H, –@L, messaggero, inviato, nunzio, legato, «angelo»;
cf. Mc 1,2; compl. di compagnia.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
(\T<: agg. qualificativo, gen. plur. m. da ž(4@H, –", –@<, separato, riservato [per Dio],
consacrato, santo; cf. Mc 1,8; attributo di •((X8T<.
Mc 9,1

9,1 5"Â §8g(g< "ÛJ@ÃHs z!:¬< 8X(T ß:Ã< ÓJ4 gÆF\< J4<gH ô*g Jä< ©FJ0i`JT<
@ËJ4<gH @Û :¬ (gbFT<J"4 h"<VJ@L ªTH —< Ç*TF4< J¬< $"F48g\"< J@Ø hg@Ø
¦808LhLÃ"< ¦< *L<V:g4.
9,1 E disse loro: «In verità io vi dico: vi sono alcuni qui presenti che non moriranno senza
aver visto il regno di Dio venire con potenza».

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’espressione [i"Â] §8g(g< "ÛJ@ÃH…, «[e] diceva loro…»; i"Â §8g(g<…, «e
diceva…», posta all’inizio di una proposizione, è usata da Marco come formula abituale di
raccordo per unire sentenze staccate o una serie di sentenze (cf. Mc 2,27; 4,11.21.24.26.30;
6,4.10; 7,9.20; 8,21; 9,1; 11,17; 14,36). L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo
(«diceva», «continuava a dire»), ma quello puntuale corrispondente a un aoristo («disse»). Per
altri esempi di questo imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23;
4,2.9.11.21.24.26.30.41; 5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28;
12,35.38; 14,70; 15,12a.14.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
z!:Z<: avv. di modo, indecl., così è, così sia, in verità, certamente, veramente, «amen»; cf. Mc
3,28. Questa solenne formula introduttiva compare in Mc 3,28; 8,12; 9,1.41; 10,15.29; 11,23;
12,43; 13,30; 14,9.18.25.30. Per quanto riguarda il significato vedi commento a Mc 3,28.
8X(T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. La forma verbale 8X(T ricorre in Mc 20 volte (cf. Mc 2,11; 3,28; 5,41; 8,12;
9,1.13.41; 10,15.29; 11,23.24.33; 12,43; 13,30.37[x2]; 14,9.18.25.30): essa è usata soltanto
da Gesù, ossia è esclusivamente Gesù che parla del proprio parlare e ne sottolinea la forza,
l’insistenza e la validità. In particolare la formula •:¬< 8X(T ß:Ã< / F@4 (cf. Mc 3,28; 8,12;
9,1.41; 10,15.29; 11,23; 12,43; 13,30; 14,9.18.25.30) esprime il carattere solenne e
irrefutabile di quanto affermato da Gesù.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
gÆF\<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
J4<gH: pron. indefinito (enclitico), nom. plur. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; soggetto.
ô*g: avv. di luogo, indecl., qui, qua; cf. Mc 6,3.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.

603
604 Mc 9,1

©FJ0i`JT<: verbo, gen. plur. m. part. perf., di valore sostantivato, da ËFJ0:4, stare, durare,
perdurare, fissare, mettere; cf. Mc 3,24; compl. partitivo.
@ËJ4<gH: pron. relativo, nom. plur. m. da ÓFJ4H, »J4H, ÓJ4 (da ÓH e J\H), chiunque, qualunque
cosa, che; cf. Mc 4,20; soggetto.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4. Nelle proposizioni affermative
le due negazioni in successione @Û :Z sono utilizzate per enfatizzare la negazione, per
esprimere un forte diniego: si tratta di un uso piuttosto frequente nel greco ellenistico. Questa
doppia negazione ricorre 97 volte nel NT: delle 61 ricorrenze evangeliche 57 si incontrano
nei detti pronunciati da Gesù. Questa percentuale è rispettata da Marco (prescindiamo dalla
ricorrenza di Mc 16,18) che utilizza la doppia negazione @Û :Z 10 volte, 9 delle quali sulla
bocca di Gesù (cf. Mc 9,1.41; 10,15; 13,2[x2].19.30.31; 14,25); in Mc 14,31 è usata da
Pietro.
(gbFT<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. medio da (gb@:"4, assaggiare, saporire, gustare.
Questo verbo deponente ricorre 15 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
Mt 16,28; 27,34; Mc 9,1 (hapax marciano); Lc 9,27; 14,24; Gv 2,9; 8,52. Nel NT il verbo
è usato in senso sia letterale proprio, sia figurato («gustare» = «sperimentare», «provare»,
«condividere»). In 5 ricorrenze compare in unione a hV<"J@H, nell’espressione «gustare la
morte» (cf. Mt 16,28; Mc 9,1; Lc 9,27; Gv 8,52; Eb 2,9; per il senso traslato cf. anche Gb
20,18; Sal 34,9, LXX): si tratta di una forma enfatica corrispondente a «fare esperienza della
morte», ossia «morire», analogamente ad altre espressioni quali (gb@:"4 B`<T<, «gustare
le sofferenze», ossia «soffrire» (cf. Pindaro, Nem., 6,24), «gustare i travagli» (cf. Sofocle,
Trach., 1101). Sebbene l’uso metaforico del verbo si ritrovi nel greco classico è probabile
che l’espressione «gustare la morte» sia di origine aramaica (= %; I |/ .3H)A, Et e‘am mô5t a) h),
come è attestato nel giudaismo antico (cf. 4Esd., 6,26; cf. Strack–Bill., I,751–752).
h"<VJ@L: sost., gen. sing. m. da hV<"J@H, –@L, morte; cf. Mc 7,10; compl. oggetto. La forma
genitiva è retta dal verbo (gb@:"4.
ªTH: cong. subordinativa di valore temporale, indecl., finché, fintanto, fino a, per tutto il tempo
che; cf. Mc 6,10.
–<: partic. modale di valore dubitativo, eventuale o condizionale, indecl., [se, e se, caso mai,
qualora, eventualmente]; cf. Mc 3,29.
Ç*TF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc
1,10.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
$"F48g\"<: sost., acc. sing. f. da $"F48g\", –"H, signoria, potere reale, dominio sovrano,
regno; cf. Mc 1,15; compl. oggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione.
L’espressione «vedere il regno di Dio» (che si ritrova anche in Gv 3,3) deve essere
interpretata sulla base dei LXX dove il verbo ÒDVT, quando è seguito da una proposizione
Mc 9,2 605

participiale (cf. 1Cr 29,17; 2Mac 4,6), può assumere il significato di «sperimentare», «fare
esperienza».
¦808LhLÃ"<: verbo, acc. sing. f. part. perf. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere,
farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Participio predicativo del complemento oggetto
$"F48g\"<.
¦<: prep. propria di valore modale, seguita dal dativo, indecl., in; cf. Mc 1,2.
*L<V:g4: sost., dat. sing. f. da *b<":4H, –gTH, forza, potenza, potere, miracolo; cf. Mc 5,30;
compl. di modo. L’espressione ¦< *L<V:g4 equivale a :gJ *L<V:gTH di Mc 13,26: si
tratta di un semitismo che può essere inteso anche come un semplice avverbio (= «potentemen-
te»), per indicare la manifestazione pubblica, visibile e avvertibile del Regno di Dio. La
formula si trova soltanto qui nei vangeli, mentre è usata varie volte in Paolo per denotare
l’energia e i miracoli che accompagnano la predicazione apostolica (cf. Rm 1,4; 15,19; 1Cor
4,20).

9,2 5" :gJ º:XD"H «> B"D"8":$V<g4 Ò z30F@ØH JÎ< AXJD@< i" JÎ< z3ViT$@<
i" JÎ< z3TV<<0< i" •<"nXDg4 "ÛJ@×H gÆH ÐD@H ßR08Î< i"Jz Æ*\"< :`<@LH.
i"Â :gJg:@Dnfh0 §:BD@Fhg< "ÛJä<s
9,2 Sei giorni dopo Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un alto
monte, in un luogo appartato, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


:gJV: prep. propria di valore temporale, seguita dall’accusativo, indecl., dopo, dopo di; cf. Mc
1,13.
º:XD"H: sost., acc. plur. f. da º:XD", –"H, giorno; cf. Mc 1,9; compl. di tempo determinato.
«>: agg. numerale, cardinale, indecl., sei; attributo di º:XD"H. Il vocabolo ricorre 13 volte nel
NT: Mt 17,1; Mc 9,2 (hapax marciano); Lc 4,25; 13,14; Gv 2,6.20; 12,1; At 11,12; 18,11;
27,37. Simili indicazioni temporali, specificate da numeri, sono rare in Marco. Si ritrovano
in Mc 1,13; 8,2.31; 9,2.31; 10,34; 14,1.58; 15,29. Qui l’espressione è sospesa nel vuoto,
poiché non vi è alcun riferimento cronologico preciso: «sei giorni dopo» rispetto a che cosa?
Non viene detto. Per tale ragione diversi commentatori assegnano all’indicazione temporale
non un valore storico, ma simbolico e teologico.
B"D"8":$V<g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da B"D"8":$V<T (da B"DV e 8":$V<T),
prendere, prendere con sé, ricevere, accogliere; cf. Mc 4,36. Presente storico.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
AXJD@<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da AXJD@H, –@L, Pietro; cf. Mc 3,16;
compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
606 Mc 9,2

J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
z3ViT$@<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z3ViT$@H, –@L, Giacomo; cf. Mc
1,19; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
z3TV<<0<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z3TV<<0H, –@L, Giovanni; cf. Mc
1,19; compl. oggetto. La coppia dei fratelli z3"if$@L i"Â z3TV<<@L sembra essere uno
stereotipo: sono nominati in questo ordine in Mc 1,19.29; 3,17; 5,37; 9,2; 10,35.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•<"nXDg4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da •<"nXDT (da •<V e nXDT), portare, condurre
su, far salire. Questo verbo ricorre 10 volte nel NT: Mt 17,1; Mc 9,2 (hapax marciano); Lc
24,51; Eb 7,27[x2]; 9,28; 13,15; Gc 2,21; 2Pt 2,5.24. Presente storico. Nella sua accezione
fondamentale il verbo •<"nXDT è impiegato nella grecità con il significato di «portare su»,
«recare» (cf. Omero, Od., 11,625; Erodoto, Hist., 4,195,3). Nel NT il verbo ricorre tre volte
nel senso letterale proprio di «portare in su», «condurre in alto» (cf. Mc 9,2; Mt 17,1; Lc
24,51). Nelle altre ricorrenze assume il significato tecnico e metaforico di «far salire» [il fumo
di] un sacrificio, ossia «offrire» (semitismo). È difficile ritenere che Marco abbia usato questo
verbo con una sfumatura teologica.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
ÐD@H: sost., acc. sing. n. da ÐD@H, –@LH, montagna, monte; cf. Mc 3,13; compl. di moto a luogo.
Senza articolo perché generico. Nell’uso di Marco il termine «monte» quando è riferito a
Gesù ha un significato più teologico che orografico: è un luogo sottratto alla vista del popolo
dove si rivela la presenza e la vicinanza di Dio; abbiamo così il monte della scelta dei Dodici
(cf. Mc 3,13), il monte della preghiera solitaria (cf. Mc 6,46), il monte della Trasfigurazione
(cf. Mc 9,2.9), il monte del discorso apocalittico (cf. Mc 13,3), il Monte degli Ulivi (cf. Mc
14,26). Sul piano prettamente storico le ipotesi parlano dell’Ermon, del Carmelo o del Tabor.
ßR08`<: agg. qualificativo, acc. sing. n. da ßR08`H, –Z, –`<, alto, elevato; attributo di ÐD@H.
Il vocabolo ricorre 11 volte nel NT: Mt 4,8; 17,1; Mc 9,2 (hapax marciano); Lc 16,15; At
13,17; Rm 11,20; 12,16; Eb 1,3; 7,26; Ap 21,10.12. Testimoniato a partire già da Omero
l’aggettivo ßR08`H assume il significato letterale proprio di «alto», «elevato», detto in
particolare dei monti (cf. Omero, Il., 3,384; 16,213). In senso figurato equivale a «grandioso»,
«sublime», «eccelso», in riferimento alla virtù (cf. Pindaro, Olym., 5,1), alle arti e capacità
umane (cf. Platone, Euthyd., 289e), a una persona (cf. Euripide, Her., 613), ecc.
i"Jz: (= i"JV), prep. propria di valore modale, seguita dall’accusativo, indecl., secondo, in
conformità a; cf. Mc 1,27.
Æ*\"<: agg. possessivo, acc. sing. f. da Ç*4@H, Æ*\", Ç*4@<, proprio, suo, personale, privato; cf.
Mc 4,34. In unione con i"JV (i"Jz Æ*\"<) corrisponde all’avverbio di modo «in
disparte», «in privato», «a parte», come nel greco classico ed ellenistico.
Mc 9,3 607

:`<@LH: agg. qualificativo, acc. plur. m. da :`<@H, –0, –@<, solo, unico; cf. Mc 4,10; attributo
di "ÛJ@bH.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
:gJg:@Dnfh0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da :gJ":@Dn`@:"4 (da :gJV e :@Dn`T),
cambiare forma, trasformarsi, trasfigurarsi. Questo verbo ricorre 4 volte nel NT: Mt 17,2;
Mc 9,2 (hapax marciano); Rm 12,2; 2Cor 3,18. Nel greco classico :gJ":@Dn`T è usato
prevalentemente al passivo o al medio, nel significato base di «trasformarsi», «ridursi in altra
forma», «cambiare aspetto», detto nei riguardi delle divinità, degli uomini e degli animali, più
raramente delle cose. Tale trasformazione è quasi sempre esteriore e sensibile, anche se non
mancano esempi in cui il verbo viene riferito a una trasformazione interiore, invisibile (cf.
Filone di Alessandria, Spec., 4,147). Lo Pseudo Ammonio definisce il verbo in oggetto nel
modo seguente: :gJ":@Dn@ØFh"4 *¥ :gJ"P"D"iJ0D4F:ÎH i"Â :gJ"JbBTF4H
Ff:"J@H gÆH ªJgD@< P"D"iJ­D", «passaggio della forma e dell’immagine del corpo a un
altro aspetto» (cf. Id., Vocab., 316). Nel nostro passo il verbo non è usato al medio, ma al
passivo: il significato non è «si trasformò», ma «fu trasformato». La trasformazione è causata
da un intervento di Dio (= passivo divino). Sebbene sul piano lessicale il vocabolo rimanda
al culto dei misteri e dei miti pagani, perfino della magia, lo sfondo religioso è quello
giudaico apocalittico, dove la metamorfosi luminosa viene presentata come una caratteristica
degli eletti: «il loro volto [sott. degli eletti] risplenderà come il sole, essi assomiglieranno alla
luce delle stelle e saranno d’ora in poi incorruttibili» (4Esd., 7,97; cf. anche Dn 12,3; 1Hen.,
38,4; 50,1; 2Bar., 51,1–14). «Transfiguratus Salvator non substantiam verae carnis amisit,
sed gloriam futurae vel suae vel nostrae resurrectionis ostendit», «Il Salvatore nella
trasfigurazione non perdette la sostanza della vera carne, ma mostrò la gloria tanto della sua,
quanto della nostra futura risurrezione» (Beda, In Marci evangelium Expositio, ad l., PL
92,217). Come, visibilmente, avvenne tale trasformazione è impossibile precisare. Lo
splendore emanato da Gesù risultò ancora più impressionante ai tre discepoli se si considera
che, quasi certamente, tale “trasfigurazione” avvenne di notte.
§:BD@Fhg<: prep. impropria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., davanti a, alla
presenza di, in faccia a, alla vista di; cf. Mc 2,12.
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di stato in luogo.

9,3 i" J Ê:VJ4" "ÛJ@Ø ¦(X<gJ@ FJ\8$@<J" 8gLi 8\"< @Í" (<"ng×H ¦B J­H
(­H @Û *b<"J"4 @àJTH 8gLi<"4.
9,3 e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra
potrebbe renderle così bianche.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


JV: art. determ., nom. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
608 Mc 9,3

Ê:VJ4": sost., nom. plur. n. da Ê:VJ4@<, –@L, sopravveste, indumento, mantello; cf. Mc 2,21;
soggetto. Questo vocabolo può indicare le vesti in generale, specie se nella forma plurale (cf.
Mc 5,30; 9,3; 15,20.24) o il mantello (cf. Mc 2,21; 5,27.28; 6,56; 10,50; 11,7.8; 13,16).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
¦(X<gJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4. Il verbo al singolare con un soggetto plurale
neutro è regolare.
FJ\8$@<J": verbo, nom. plur. n. part. pres., con valore aggettivale, da FJ\8$T, splendere,
brillare; predicato nominale. Hapax neotestamentario. Questo verbo è usato nel greco
classico per descrivere lo splendore degli oggetti, come gli scudi o i vestiti (cf. Omero, Il.,
18,596) o quello delle persone (cf. Omero, Il., 3,392; Od., 6,237). Platone impiega il verbo
in funzione aggettivale per indicare lo splendore dell’oro (cf. Tim., 59b), la lucentezza
dell’olio (cf. Tim., 60a) e delle lacrime (cf. Tim., 68a). Nei LXX è detto dei metalli (cf. 1Esd.,
8,56; 2Esd., 8,27; Lettera di Geremia 1,23; Na 3,3; Ez 21,33; 40,3) o del sole (cf. 1Mac
6,39). In generale si può dire che la parola viene usata per indicare tutto ciò che risplende,
come caratteristica di ciò che è bello e nobile.
8gLiV: agg. qualificativo, nom. plur. n. da 8gLi`H, –Z, –`<, chiaro, candido, bianco, brillante;
predicato nominale. Il vocabolo ricorre 25 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: Mt 5,36; 17,2; 28,3; Mc 9,3; 16,5; Lc 9,29; Gv 4,35; 20,12. A partire da Omero
l’aggettivo 8gLi`H è usato nel senso primario di «brillante», «splendente» (cf. Omero, Il.,
14,185; Od., 6,45), da cui il significato derivato di «bianco» (cf. Omero, Il., 3,103; Sofocle,
Antig., 1092). In quasi tutte le ricorrenze neotestamentarie (fanno eccezione soltanto Mt 5,36
e Gv 4,35) il termine 8gLi`H è utilizzato in senso divino ed escatologico per esprimere la
condizione della magnificenza celeste. Ciò corrisponde al simbolismo cromatico di questo
colore il quale, per il suo carattere luminoso, abbacinante, è particolarmente associato alla
sfera del divino e dello spirituale; tale caratteristica si ritrova non soltanto nella Bibbia e nella
letteratura giudaica ma, più in generale, in tutto il mondo antico.
8\"<: avv. di modo, indecl., grandemente, molto, oltre misura, estremamente; cf. Mc 1,35.
@Í": pron. relativo, acc. plur. n. da @Í@H, @Ë", @Í@<, quale, simile, come, alla maniera di; compl.
oggetto. Il vocabolo ricorre 14 volte nel NT: Mt 24,21; Mc 9,3; 13,19; Rm 9,6; 1Cor
15,48[x2]; 2Cor 10,11; 12,20[x2]; Fil 1,30; 1Ts 1,5; 2Tm 3,11[x2]; Ap 16,18.
(<"ngbH: sost., nom. sing. m. da (<"ngbH, –XTH, lavandaio; soggetto. Hapax neotestamenta-
rio. Senza articolo perché generico. Nella grecità il termine (conosciuto anche nella grafia
i<"ngbH) sta a indicare sia il generico operaio incaricato di lavare e candeggiare la stoffa
(= «lavandaio»), sia il cardatore, tecnicamente il gualchieraio o il follatore (cf. Erodoto, Hist.,
4,14,1; Aristofane, Ves., 1128; Senofonte, Ages., 1,26).
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., in, su, a, davanti a, verso, sopra,
presso; cf. Mc 1,22.
Mc 9,4 609

J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
(­H: sost., gen. sing. f. da (­, (­H, terra; cf. Mc 2,10; compl. di stato in luogo.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
*b<"J"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere
in grado di; cf. Mc 1,40.
@àJTH: avv. di modo, indecl., così, in tal modo, in questa maniera; cf. Mc 2,7. L’uso di @àJTH,
di per sé superfluo dopo il relativo @Í@H, è probabilmente un semitismo dovuto
all’indeclinabilità del relativo ebraico 9–
G!C , ’a7 šer e dell’aramaico *yE, dî: «Hoc phaenomenon
in NT certe considerari debet tamquam semitismus, quamvis idem modus dicendi iam
classice (raro) occurrat, in Graeco moderno valde communis sit, nec analogiis in aliis linguis
popularibus careat» (Zerwick Max, Graec., § 203). Analogo esempio in Mc 13,19.
8gLi<"4: verbo, inf. aor. da 8gLi"\<T, sbiancare, rendere bianco. Hapax neotestamentario.
Attestato già in Omero (cf. Id., Od., 12,172), il verbo è usato nel greco classico in riferimento
sia a realtà materiali (l’acqua, i capelli, ecc.) sia soprattutto nella sfera del culto, poiché il
bianco era considerato il colore della divinità. Questa caratteristica si riscontra anche nell’area
culturale giudaica, dove il bianco ha sempre avuto una particolare importanza. Il giudaismo
attendeva per gli ultimi tempi la trasformazione dei giusti in uno splendore ultraterreno e in
una raggiante bellezza: «Allora il loro splendore [sott. dei giustificati] sarà glorificato con
trasformazioni e l’aspetto del loro volto si convertirà nella luce della loro bellezza» (cf. 2Bar.,
51,3). Nel libro dell’Apocalisse il colore bianco o candido associato alle vesti è immagine
di risurrezione e vittoria (cf. Ap 3,4–5; 4,4; 6,11; 7,9.13.14). La gloria della risurrezione già
albeggia su Gesù.

9,4 i"Â ênh0 "ÛJ@ÃH z/8\"H F×< 9TdFgÃs i"Â µF"< FL88"8@Ø<JgH Jè z30F@Ø.
9,4 E apparve loro Elia con Mosè mentre conversavano con Gesù.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


ênh0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc
1,10. Il verbo al passivo acquista il significato di «apparire», «farsi vedere»: in conformità
all’uso linguistico dei LXX è impiegato come termine tecnico di teofanie (cf. Gn 12,7; 17,1;
Es 3,2; 6,3; 16,10), angelofanie (cf. Lc 1,11; 22,43; At 7,30), apparizioni del Cristo risorto
(cf. Lc 24,34; At 9,17; 13,31; 1Cor 15,5–8). Non sono, dunque, gli apostoli che vedono: sono
Elia e Mosè che si lasciano vedere; i discepoli non sono la parte attiva, ma i ricettori di questa
apparizione/comunicazione.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
z/8\"H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z/8\"H, –@L, Elia; cf. Mc 6,15;
soggetto.
Fb<: prep. propria con valore di compagnia, seguita dal dativo, indecl., con, insieme a; cf. Mc
2,26. L’insolito uso della preposizione Fb< che antepone Elia a Mosè implica la subordina-
610 Mc 9,5

zione di una figura (quella di Mosè) all’altra: la loro uguaglianza, infatti, sarebbe stata
espressa con un semplice i"\. Altre volte in Marco la preposizione Fb< pone in primo
piano i personaggi per i quali si ha un particolare interesse (cf. Mc 4,10; 8,34; 15,27.32). Dal
punto di vista letterario, dunque, il personaggio principale è Elia, perché è soggetto di ênh0,
mentre F×< 9TdFgà è soltanto complemento di compagnia.
9TdFgÃ: sost., nome proprio di persona, dat. sing. m. da 9TdF­H, –XTH, Mosè; cf. Mc 1,44;
compl. di compagnia. Fuori del racconto della trasfigurazione Elia e Mosè non compaiono
mai insieme. Nell’AT i due personaggi sono associati soltanto in Ml 3,22–23.
i"\: cong. coordinativa di valore pronominale, indecl., [che, il quale]; cf. Mc 1,4. Il significato
pronominale che può assumere la congiunzione i"\ (qui corrispondente al pronome relativo
@ËJ4<gH, «…i quali stavano conversando»), si ritrova in Mc 2,15e; 8,1; 9,4b.31b. Nella
traduzione italiana la proposizione relativa può essere resa anche mediante una temporale
(«…mentre conversavano»).
µF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf.
Mc 1,6.
FL88"8@Ø<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da FL88"8XT (da Fb< e 8"8XT), parlare,
conversare, discutere. Questo verbo ricorre 6 volte nel NT: Mt 17,3; Mc 9,4 (hapax
marciano); Lc 4,36; 9,30; 22,4; At 25,12. Participio predicativo del soggetto z/8\"H F×<
9TdFgÃ. Il participio è retto da µF"< in costruzione perifrastica («erano discorrenti»), al
posto dell’usuale imperfetto «discorrevano». La formula è probabilmente dovuta a una
precedente tradizione orale aramaica. Il verbo FL88"8XT, di formazione ellenistica (cf.
Polibio, Hist., 4,22,8), non definisce una conversazione amichevole, ma una discussione che
tende a una decisione (cf. Lc 4,36; 22,4; At 25,12).
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
z30F@Ø: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
compl. di compagnia.

9,5 i" •B@iD4hgÂH Ò AXJD@H 8X(g4 Jè z30F@Øs {C"$$\s i"8`< ¦FJ4< º:H ô*g
gÉ<"4s i" B@4ZFT:g< JDgÃH Fi0<VHs F@ :\"< i" 9TdFgà :\"< i" z/8\‘
:\"<.
9,5 Allora Pietro intervenne e disse a Gesù: «Maestro, è bene che noi siamo qui, così
possiamo fare tre capanne: una per te, una per Mosè e una per Elia!».

i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4.
•B@iD4hg\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33. Participio predicativo di valore espletivo del
soggetto AXJD@H.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
AXJD@H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da AXJD@H, –@L, Pietro; cf. Mc 3,16;
soggetto.
Mc 9,5 611

8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico. L’espressione •B@iD4hg\H… 8X(g4, •B@iD4hg\H… gÉBg< è
ricalcata sull’ebraico 9/ G !J&H… 03HHH&, wayya‘an… wayyo) ’mer, «rispondendo… dice»,
«rispondendo… disse» (cf. Gb 8,1, ecc.). Si tratta di una tipica locuzione semitica
ridondante che può essere tradotta semplicemente con «disse», «rispose», «replicò» e simili.
Si deve osservare, inoltre, che il verbo •B@iD\<@:"4 è usato con valore semitico anche
quando (come qui) non si tratta di dare una risposta a una precisa domanda, ma soltanto
intervenire con una affermazione o una richiesta. Questa formula ricorre 16 volte in Marco
(cf. Mc 3,33; 6,37; 7,28; 8,29; 9,5.19; 10,3.24.51; 11,14.22.33; 12,35; 14,48; 15,2.12).
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
z30F@Ø: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
compl. di termine.
{C"$$\: sost., voc. sing. m., indecl., da Õ"$$4, maestro, «rabbi»; compl. di vocazione. Il
vocabolo ricorre 15 volte nel NT: Mt 23,7.8; 26,25.49; Mc 9,5; 11,21; 14,45; Gv 1,38.49;
3,2.26; 4,31; 6,25; 9,2; 11,8. Traslitterazione grecizzata dell’espressione esclamativa di
origine ebraica e aramaica *vE9H, rabbî, «Mio signore!», «Mio maestro!», corrispondente alla
forma aramaica intensiva *1E|v9H, rabbônî, «Mio signore!», «Mio maestro!». Nel corso del
tempo il suffisso perse gradualmente il suo significato pronominale e fu assimilato con il
vocabolo, per formare un solo titolo, come è avvenuto, ad esempio, per l’italiano «monsigno-
re», il francese «monsieur», l’inglese «mylord». Tale allocutivo onorifico veniva indirizzato
a persone dotate di autorità e prestigio: era consuetudine che i discepoli usassero questa
formula, nel significato di «mio maestro!», quando si rivolgevano ai loro insegnanti scribi (cf.
la traduzione esplicita *4*VFi"8g in Gv 20,16). La forma più comune e semplificata, *vE9H,
rabbî, presente nel vangelo di Marco, è sempre rivolta a Gesù da parte di un discepolo (cf.
Mc 9,5; 11,21; 14,45). Anche la forma intensiva *1E|v9H, rabbônî, nelle uniche due ricorrenze
neotestamentarie è utilizzata esclusivamente come appellativo rivolto a Gesù (in Mc 10,51
dal cieco; in Gv 20,16 da Maria di Magdala al Risorto). L’appellativo di «Rabbi» /
«Rabbuni» indirizzato a Gesù dimostra che egli era considerato dalla gente e dai discepoli
un esperto nella Torah, sebbene non avesse compiuto studi formali e non avesse ancora la
prescritta età canonica. Il suo prestigio era ritenuto diverso da quello degli altri scribi poiché
gli veniva riconosciuta una ¦>@LF\", una «autorità» che gli altri maestri della legge non
possedevano (cf. Mc 1,22).
i"8`<: agg. qualificativo, nom. sing. n. da i"8`H, –Z, –`<, bello, buono, appropriato,
conveniente; cf. Mc 4,8; predicato nominale.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
º:H: pron. personale di 1a pers. acc. plur. da º:gÃH (gen. º:ä<, dat. º:Ã<, acc. º:H), noi;
cf. Mc 1,24; soggetto della proposizione oggettiva costruita con il verbo infinito gÉ<"4.
ô*g: avv. di luogo, indecl., qui, qua; cf. Mc 6,3.
gÉ<"4: verbo, inf. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc 1,6. La frase
i"8`< ¦FJ4< º:H ô*g gÉ<"4 non è costruita con il dativo (cf. Mc 9,42; 14,21; Mt
612 Mc 9,6

18,8ss.), ma con l’accusativo più l’infinito: non significa «è bello per noi essere qui», come
traducono molti commentatori, ma «è bene che noi siamo qui».
i"\: cong. coordinativa di valore consecutivo, indecl., sicché, cosicché, che; cf. Mc 1,4. Il
significato consecutivo che può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ consecutivum) si
ritrova in Mc 1,17b.27c; 5,4d; 9,5b; 10,21c; 14,62a.
B@4ZFT:g<: verbo, 1a pers. plur. congiunt. aor. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3. Questa forma verbale costituisce ciò che viene definito un “congiuntivo
esortativo”: il verbo, al modo congiuntivo all’interno di una proposizione principale, è sempre
in prima persona ed è usato per esprimere una esortazione, un incitamento, un incoraggia-
mento, come se si trattasse della prima persona del modo imperativo. Per altri esempi di
congiuntivo esortativo cf. Mc 1,38; 4,35; 9,5; 11,32; 12,7; 14,42; 15,36.
JDgÃH: agg. numerale, cardinale, acc. plur. f. da JDgÃH, JD\", –ä<, tre; cf. Mc 8,2; attributo di
Fi0<VH.
Fi0<VH: sost., acc. plur. f. da Fi0<Z, –­H, tenda, tabernacolo; compl. oggetto. Il vocabolo
ricorre 20 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 17,4; Mc 9,5 (hapax
marciano); Lc 9,33; 16,9. Sebbene Fi0<Z indichi nel greco classico semplicemente la
«tenda» o la «capanna» dei pastori e dei soldati, costruita con rami, stuoie e pelli di animali
(cf. Eschilo, Eum., 686; Sofocle, Ai., 3; Senofonte, Cyr., 4,5,39, ecc.), si deve tenere presente
la coloritura liturgica insita nel termine, poiché esso nella maggior parte delle ricorrenze
bibliche indica la tenda mobile del deserto (cf. At 7,44) o il padiglione («tabernacolo») quale
simbolo della liturgia ebraica e di tutto l’AT (cf. Eb 9,2.3–6.8.9.21; 13,10). Il contesto e la
particolarità dei tre personaggi che devono entrare nelle «tende» connotano la scena di un
significato messianico, ma è difficile specificarne ulteriormente il preciso significato.
F@\: pron. personale di 2a pers. dat. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,11; compl. di termine.
:\"<: agg. numerale, cardinale, acc. sing. f. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; attributo del
sostantivo sottinteso Fi0<Z<.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
9TdFgÃ: sost., nome proprio di persona, dat. sing. m. da 9TdF­H, –XTH, Mosè; cf. Mc 1,44;
compl. di termine.
:\"<: agg. numerale, cardinale, acc. sing. f. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; attributo del
sostantivo sottinteso Fi0<Z<.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
z/8\‘: sost., nome proprio di persona, dat. sing. m. da z/8\"H, –@L, Elia; cf. Mc 6,15; compl.
di termine.
:\"<: agg. numerale, cardinale, acc. sing. f. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; attributo del
sostantivo sottinteso Fi0<Z<.

9,6 @Û (D ·*g4 J\ •B@iD4h±s §in@$@4 (D ¦(X<@<J@.


9,6 Non sapeva, infatti, che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento.
Mc 9,7 613

@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
·*g4: verbo, 3a pers. sing. ind. piucch. da @É*" (una radice con valore di presente connessa a
gÉ*@<, aor. attivo di ÒDVT), vedere, percepire, discernere, conoscere, sapere; cf. Mc 1,24.
J\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; compl. oggetto. Questo pronome interrogativo sta
al posto del relativo Ó J4 / òFJ4H («ciò che»), come avviene nei papiri e nelle iscrizioni; si
tratta di un uso piuttosto frequente nella Koiné: «Propositio relativa et interrogatio indirecta
post verba dicendi, cognoscendi etc. valde affines sunt. Hinc fit, ut hellenistice interrogativum
J\ loco pronominis relativi stare possit» (Zerwick Max, Graec., § 221). Analogo fenomeno
in Mc 2,25; 4,24; 5,14; 6,36; 8,1.2; 9,6.10; 10,38; 13,11; 14,36[x2].40.68; 15,24.
•B@iD4h±: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33. Analogamente a Mc 10,24; 11,14; 12,35; 15,12
il verbo •B@iD\<@:"4 ha qui il valore del generico «dire», poiché Pietro non deve
«rispondere» a nessuna domanda. L’espressione @Û (D ·*g4 J\ •B@iD4h± è di difficile
comprensione, poiché manca una precisa domanda rivolta a Pietro.
§in@$@4: agg. qualificativo, nom. plur. m. da §in@$@H, –@< (da ¦i e n`$@H), spaventato,
intimorito, turbato, atterrito; predicato nominale. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mc 9,6
(hapax marciano); Eb 12,21. Il significato è quello corrispondente al classico «spaventato»
(cf. Plutarco, Fab. Max., 6,8,5).
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
¦(X<@<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4. Rispetto alla concatenazione delle forme
verbali precedenti questo aoristo corrisponde al nostro trapassato remoto: «erano stati presi
dallo spavento».

9,7 i"Â ¦(X<gJ@ <gnX80 ¦B4Fi4V.@LF" "ÛJ@ÃHs i"Â ¦(X<gJ@ nT<¬ ¦i J­H
<gnX80Hs ?âJ`H ¦FJ4< Ò LÊ`H :@L Ò •("B0J`Hs •i@bgJg "ÛJ@Ø.
9,7 Poi si formò una nube che li avvolse nell’ombra e dalla nube venne una voce: «Questi
è il mio Figlio diletto: ascoltatelo!».

i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4.
¦(X<gJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere, nascere,
essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4.
<gnX80: sost., nom. sing. f. da <gnX80, –0H, nuvola, nube; soggetto. Il vocabolo ricorre 25
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 17,5[x2]; 24,30; 26,64; Mc
9,7[x2]; 13,26; 14,62; Lc 9,34[x2].35; 12,54; 21,27. Senza articolo perché generica.
L’associazione tra nube e divinità è un tema ricorrente nella letteratura greco–romana: una
densa nube custodisce l’entrata della sede degli dèi sul monte Olimpo (cf. Omero, Il., 5,751;
614 Mc 9,7

8,394); Apollo e Iride trovano Zeus sulla cima del monte Gargaro, avvolto da una nube
profumata (cf. Omero, Il., 15,153); le spalle splendenti di Apollo sono avvolte da una nube
(cf. Orazio, Carm., 1,2,31); le divinità appaiono circondate da nuvole (cf. Ovidio, Metam.,
5,251). Nonostante questi attributi in comune lo sfondo linguistico e concettuale con il nostro
testo non è quello mitologico, ma quello biblico. La manifestazione di Dio nella nube è un
tema caratteristico dell’AT: essa è segno della presenza potente e nascosta di Dio durante il
cammino del popolo di Israele attraverso il deserto (cf. Es 13,21–22; 14,24; 19,16); la nube
copre il monte Sinai e indica la presenza della gloria di Dio (cf. Es 24,15–18); la presenza
delle nubi è costante nei patti con Noè (cf. Gn 9,13), Abramo (cf. Gn 15,12.17), Mosè (cf.
Es 19,16–19; Nm 14,14). Nei diversi racconti la nube esplica una doppia funzione: rende
palese la vicinanza del Dio salvatore, ma, a causa della stessa natura di velo, rende
inaccessibile tale trascendenza divina. Vela e rivela la presenza di Dio.
¦B4Fi4V.@LF": verbo, nom. sing. f. part. pres. da ¦B4Fi4V.T, adombrare, oscurare. Questo
verbo ricorre 5 volte nel NT: Mt 17,5; Mc 9,7 (hapax marciano); Lc 1,35; 9,34; At 5,15.
Participio attributivo del soggetto º <gnX80. Il verbo ¦B4Fi4V.T, costruito con l’accusativo
(cf. Erodoto, Hist., 1,209,1) o con il dativo (cf. Teofrasto, De sens., 79,7), è usato nei LXX
in senso fortemente positivo per descrivere l’adombramento della nube posta sul tabernacolo
(cf. Es 40,35) o quello della gloria di Dio (cf. Prv 18,11). In Sal 91,4; 140,8 è impiegato
come parafrasi della protezione divina. Questo connotato positivo si riscontra anche nelle
scarse ricorrenze neotestamentarie dove ¦B4Fi4V.T compare nel racconto della trasfigura-
zione di Gesù (cf. Mc 9,7; Mt 17,5; Lc 9,34), nel racconto dell’annunciazione a Maria (cf.
Lc 1,35), nella descrizione della virtù risanatrice dell’ombra di Pietro (cf. At 5,15).
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. Il pronome si riferisce al
soggetto implicito (Gesù, Elia e Mosè), non ai discepoli che fungono da testimoni. Non si
deve intendere, dunque, che la nube abbia gettato la sua ombra sui discepoli, che si
trovavano fuori di essa, ma che i tre personaggi celesti ne furono avvolti, come si deduce dal
fatto che la voce divina si rivolge ai discepoli «da dentro la nube».
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦(X<gJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4.
nT<Z: sost., nom. sing. f. da nT<Z, –­H, voce, suono, discorso; cf. Mc 1,3; soggetto. Senza
articolo perché sconosciuta. La voce divina che viene «dal cielo» (cf. Mc 1,11; 8,11), dal
«tempio» (cf. Ap 16,1) o «dalla nube» (cf. Mc 9,7) è un elemento tipico delle teofanie.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
<gnX80H: sost., gen. sing. f. da <gnX80, –0H, nuvola, nube; cf. Mc 9,7; compl. di moto da
luogo.
?âJ`H: pron. dimostrativo, nom. sing. m. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 2,7;
soggetto.
Mc 9,8 615

¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Questa «voce» celeste è la stessa che si è fatta sentire in occasione del battesimo di Gesù
(cf. Mc 1,11): lì proveniva ¦i Jä< @ÛD"<ä<, «dal cielo», qui ¦i J­H <gnX80H, «dalla
nube»; lì riguardava direttamente il solo Gesù (E× gÉ, «Tu sei»), qui si rivolge ai testimoni
(?âJ`H ¦FJ4<, «Questi è»).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
LÊ`H: sost., nom. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; predicato nominale.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
•("B0J`H: agg. qualificativo, nom. sing. m. da •("B0J`H, –Z, –`<, amato, caro, adorato,
prediletto; cf. Mc 1,11; attributo di LÊ`H. In Marco il vocabolo è rivolto sempre da Dio («la
voce celeste», «il padrone») nei riguardi di Gesù: direttamente nell’episodio del battesimo (cf.
Mc 1,11) e della trasfigurazione (cf. Mc 9,7); indirettamente all’interno della parabola dei
vignaioli omicidi (cf. Mc 12,6). Nella versione dei LXX il termine traduce l’ebraico $*( E I*,
ya) hEîd5, «unigenito», «unico» (cf. Gn 22,2.12.16; Gdc 11,34; Am 8,10; Ger 6,26; Zc 12,10).
•i@bgJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. Il verbo ha qui il significato di «dare ascolto» a
qualcuno, «obbedire a», secondo il modello anticotestamentario che ritroviamo, ad esempio,
in Dt 18,15. La coordinazione per asindeto rispetto alla proposizione precedente sottintende
una sfumatura consecutiva: Gesù, in quanto Figlio diletto di Dio, deve essere ascoltato in
tutto ciò che insegna. Nel linguaggio biblico l’invito ad “ascoltare” non comporta soltanto il
dovere fisico dell’attenzione, ma quello più vasto ed esistenziale dell’obbedienza e della
sottomissione. Il tempo utilizzato, il presente, indica un atteggiamento di fede e di ascolto
permanente e costante.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto. La forma genitiva è retta dal verbo
•i@bT.

9,8 i" ¦>VB4<" BgD4$8gRV:g<@4 @ÛiXJ4 @Û*X<" gÉ*@< •88 JÎ< z30F@Ø<
:`<@< :ghz ©"LJä<.
9,8 E all’improvviso, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con
loro.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦>VB4<": avv. di tempo, indecl., subito, all’improvviso. Hapax neotestamentario.
BgD4$8gRV:g<@4: verbo, nom. plur. m. part. aor. medio da BgD4$8XBT (da BgD\ e $8XBT),
guardare intorno; cf. Mc 3,5. Participio predicativo del soggetto sottinteso AXJD@H i"Â
616 Mc 9,9

z3ViT$@H i"Â z3TV<<0H. Designa lo sguardo di colui che prende in esame tutta la
situazione e precede una sua parola o una sua azione significativa.
@ÛiXJ4: (da @Û e §J4), avv. di tempo, indecl., mai, non più, non oltre; cf. Mc 5,3.
@Û*X<": (da @Û*X e gÍH), pron. indefinito negativo, acc. sing. m. da @Û*g\H, @Û*g:\", @Û*X<,
nessuno, niente; cf. Mc 2,21; compl. oggetto.
gÉ*@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc 1,10.
•88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno; cf. Mc 1,44. Nel greco ellenistico è piuttosto frequente l’uso di •88V al posto
di gÆ :Z, nel significato eccettuativo corrispondente alle locuzioni congiuntive «tranne che»,
«se non», «eccetto».
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
z30F@Ø<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
compl. oggetto.
:`<@<: (forma neutra di :`<@H), avv. di modo, indecl., soltanto, solo, unicamente; cf. Mc 4,10.
:ghz: (= :gJV), prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con,
insieme a, in compagnia di; cf. Mc 1,13.
©"LJä<: pron. riflessivo, gen. plur. m. da ©"LJ@Ø, –­H, –@Ø (non usato al nominativo), lui, lui
stesso, esso; cf. Mc 1,27; compl. di compagnia.

9,9 5" i"J"$"4<`<JT< "ÛJä< ¦i J@Ø ÐD@LH *4gFJg\8"J@ "ÛJ@ÃH Ë<" :0*g< Ÿ
gÉ*@< *40(ZFT<J"4s gÆ :¬ ÓJ"< Ò LÊÎH J@Ø •<hDfB@L ¦i <giDä< •<"FJ±.
9,9 Mentre scendevano dal monte egli ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che
avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


i"J"$"4<`<JT<: verbo, gen. plur. m. part. pres. da i"J"$"\<T (da i"JV e la radice di
$VF4H), discendere, venire giù, scendere; cf. Mc 1,10. Participio al genitivo assoluto.
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5. La frase i"J"$"4<`<JT< "ÛJä< appare nella
forma detta “genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore temporale.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
ÐD@LH: sost., gen. sing. n. da ÐD@H, –@LH, montagna, monte; cf. Mc 3,13; compl. di moto da
luogo.
*4gFJg\8"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da *4"FJX88T (da *4V e FJX88T),
disporre, ordinare, comandare; cf. Mc 5,43.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
Mc 9,10 617

Ë<": cong. subordinativa di valore completivo, indecl., di, che; cf. Mc 1,38. La congiunzione Ë<"
non ha qui il consueto valore finale, ma quello completivo (equivalente a ÓJ4 o ÓBTH): in
pratica introduce una proposizione infinitiva (cf. Mc 3,9a.12; 4,22a; 5,10.18.43; 6,8.12.25.56;
7,26.32.36; 8,22.30; 9,9.12.18.30; 10,35.37; 11,16; 13,34; 15,21).
:0*g<\: (da :Z e gÍH), pron. indefinito negativo, dat. sing. m. da :0*g\H, :0*g:\", :0*X<,
nessuno, alcuno, niente; cf. Mc 1,44; compl. di termine.
ž: pron. relativo, acc. plur. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,44; compl. oggetto.
gÉ*@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc 1,10.
*40(ZFT<J"4: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. medio da *40(X@:"4 (da *4V e º(X@:"4),
narrare, riferire, descrivere, raccontare; cf. Mc 5,16.
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7. La particella gÆ è qui strettamente unita alla negazione per formare la
locuzione congiuntiva gÆ :Z, «tranne», «all’infuori», «eccetto», che introduce una
proposizione eccettuativa. La formula, generalmente usata senza un verbo seguente, si
ritrova in Mc 2,7.26; 5,37; 6,4.5.8; 8,14; 9,9.29; 10,18; 11,13; 13,32.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
ÓJ"<: (= ÓJg e –<), cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, ogni qualvolta,
allorché, appena; cf. Mc 2,20.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
LÊ`H: sost., nom. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; soggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•<hDfB@L: sost., gen. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di specificazione.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
<giDä<: sost., gen. plur. m. da <giD`H, –@Ø, morto; cf. Mc 6,14; compl. di moto da luogo.
•<"FJ±: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da •<\FJ0:4 (da •<V e ËFJ0:4), sorgere, alzarsi,
sollevarsi, risorgere, risuscitare; cf. Mc 1,35.

9,10 i"Â JÎ< 8`(@< ¦iDVJ0F"< BDÎH ©"LJ@×H FL.0J@Ø<JgH J\ ¦FJ4< JÎ ¦i <giDä<
•<"FJ­<"4.
9,10 Essi tennero per sé la raccomandazione, domandandosi, però, che cosa volesse dire
quel “risuscitare dai morti”.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
8`(@<: sost., acc. sing. m. da 8`(@H, –@L, parola; cf. Mc 1,45; compl. oggetto. Qui il termine
non si riferisce al «fatto» (come in Mc 1,45), ossia all’episodio della trasfigurazione, ma,
secondo Mc 9,9.10b, alla «parola» risurrezione.
618 Mc 9,10

¦iDVJ0F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da iD"JXT, tenere, prendere, afferrare, catturare;
cf. Mc 1,31. Il verbo iD"JXT, oltre a esprimere un senso di violenza (cf. Mc 3,21; 6,17;
12,12; 14,1.44.46.49.51) e di non violenza (cf. Mc 1,31; 5,41; 9,27), presenta un significato
simbolico di conservare, tenere fermo, adempiere (cf. Mc 7,3.4.8; 9,9). Qui sono possibili due
interpretazioni: «afferrarono» la parola (ossia capirono sul momento il messaggio); oppure,
più verosimilmente «tennero» la parola (ossia si impressero nella mente l’accaduto).
Qualcuno ritiene che nell’espressione JÎ< 8`(@< ¦iDVJ0F"< sia celato un latinismo
(«memoria tenere» o «memoria custodire»): è possibile.
BD`H: prep. propria con valore locale (di persone), seguita dall’accusativo, indecl., dinanzi a,
alla presenza di, tra; cf. Mc 1,5.
©"LJ@bH: pron. riflessivo, acc. plur. m. da ©"LJ@Ø, –­H, –@Ø (non usato al nominativo), lui, lui
stesso, esso; cf. Mc 1,27; compl. di stato in luogo. Il verbo iD"JXT va preso nel senso di
«afferrare» e 8`(@H in quello di «contenuto della parola» di Gesù; di conseguenza
l’espressione BDÎH ©"LJ@bH, «a vicenda», va collegata al verbo FL.0JXT. Si constata che
i discepoli si sono impadroniti della parola di Gesù e hanno discusso tra loro il significato di
«risuscitare dai morti».
FL.0J@Ø<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da FL.0JXT (da Fb< e .0JXT), discutere,
disputare, domandare; cf. Mc 1,27. Participio predicativo del soggetto sottinteso AXJD@H
i"Â z3ViT$@H i"Â z3TV<<0H. Il verbo è unito con un pronome in Mc 1,27; 9,14.16; Lc
22,23. Il participio ha qui un valore non coordinativo, ma avversativo o concessivo:
«…sebbene si domandassero…».
J\: pron. interrogativo, nom. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?,
che?, quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24. Questo pronome interrogativo sta al posto del
relativo Ó J4 / òFJ4H («ciò che»), come avviene nei papiri e nelle iscrizioni; si tratta di un uso
piuttosto frequente nella Koiné: «Propositio relativa et interrogatio indirecta post verba
dicendi, cognoscendi etc. valde affines sunt. Hinc fit, ut hellenistice interrogativum J\ loco
pronominis relativi stare possit» (Zerwick Max, Graec., § 221). Analogo fenomeno in Mc
2,25; 4,24; 5,14; 6,36; 8,1.2; 9,6.10; 10,38; 13,11; 14,36[x2].40.68; 15,24.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Il verbo gÆ:\ è qui usato nel senso di «significare», «voler dire», «equivalere», come
avviene nel greco classico (cf. Platone, Crat., 398d; Plutarco, Publ., 17,5).
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
<giDä<: sost., gen. plur. m. da <giD`H, –@Ø, morto; cf. Mc 6,14; compl. di moto da luogo.
•<"FJ­<"4: verbo, inf. aor. da •<\FJ0:4 (da •<V e ËFJ0:4), sorgere, alzarsi, sollevarsi,
risorgere, risuscitare; cf. Mc 1,35; il soggetto è costituito dalla frase JÎ ¦i <giDä<
•<"FJ­<"4. I tre discepoli non discutono sull’affermazione «risuscitare dai morti»,
concetto, questo, noto al pensiero giudaico del primo secolo d.C., ma come si possa
applicare «quel risuscitare dai morti» al loro maestro. L’articolo J`, certamente anaforico,
equivale al pronome dimostrativo.
Mc 9,11 619

9,11 i"Â ¦B0DfJT< "ÛJÎ< 8X(@<JgHs ~?J4 8X(@LF4< @Ê (D"::"JgÃH ÓJ4 z/8\"<
*gà ¦8hgÃ< BDäJ@<p
9,11 E lo interrogarono: «Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elia?».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦B0DfJT<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da ¦BgDTJVT (da ¦B\ e ¦DTJVT), richiedere,
domandare, interrogare; cf. Mc 5,9. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo
(«domandavano», «continuavano a domandare»), ma puntuale, corrispondente a un aoristo
(«domandarono»). Per altri esempi di questo imperfetto puntuale con il verbo ¦BgDTJVT
cf. Mc 5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33; 10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
8X(@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso AXJD@H i"Â
z3ViT$@H i"Â z3TV<<0H (cf. v. 2).
~?J4: cong. subordinativa di valore interrogativo, indecl., perché?; cf. Mc 1,15. La congiunzione
ÓJ4 ha qui valore interrogativo, corrispondente all’ordinario J\ (neutro avverbiale), ma può
anche intendersi come una abbreviazione di J\ ÓJ4 o *4 J\ (= «perché?»). Stesso fenomeno
è presente in Mc 2,16; 9,28 (cf. 1Cr 17,6 = %/ I -A).
8X(@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
(D"::"JgÃH: sost., nom. plur. m. da (D"::"JgbH, –XTH (da (DV::"), scriba, esperto della
Legge, insegnante religioso; cf. Mc 1,22; soggetto.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.
z/8\"<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z/8\"H, –@L, Elia; cf. Mc 6,15;
compl. oggetto.
*gÃ: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da *gÃ, forma impersonale con il significato di «bisogna», «è
necessario»; cf. Mc 8,31. Il ritorno di Elia alla fine dei tempi era un punto fermo della fede
dell’ebraismo. Questa convinzione si basava in Ml 3,23–24, secondo cui Elia sarebbe
ritornato nei tempi escatologici come inviato di Dio, portando la pace e l’unificazione del
popolo: «Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del
Signore, perché converta il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri; così
che io venendo non colpisca il paese con lo sterminio». Da questa fonte si sviluppò la
tradizione che Elia sarebbe comparso come precursore del futuro messia. Gli scribi erano i
depositari di tale credenza. La presenza della forma *gà mostra la convinzione che la Sacra
Scrittura garantiva l’attesa di Elia come una necessità ineluttabile. È sulla base di questa
necessità scritturistica che gli scribi (e i tre discepoli con loro) cercano di contestare la pretesa
messianica di Gesù, appellandosi al ritardo della venuta di Elia: se il messia (ossia Gesù
stesso) è già presente, come mai Elia non è ancora apparso?
620 Mc 9,12

¦8hgÃ<: verbo, inf. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi avanti, recarsi,
sorgere; cf. Mc 1,7.
BDäJ@<: avv. di tempo, indecl., prima, prima di tutto, in primo luogo; cf. Mc 3,27.

9,12 Ò *¥ §n0 "ÛJ@ÃHs z/8\"H :¥< ¦8hã< BDäJ@< •B@i"h4FJV<g4 BV<J"· i" BäH
(X(D"BJ"4 ¦B JÎ< LÊÎ< J@Ø •<hDfB@L Ë<" B@88 BVh® i" ¦>@L*g<0h±p
9,12 Ma egli dichiarò loro: «Davvero Elia, venendo per primo, dovrà ristabilire ogni cosa?
E allora in che senso è scritto riguardo al Figlio dell’uomo che deve soffrire molto ed
essere disprezzato?

Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
§n0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da n0:\, dichiarare, dire, affermare. Questo verbo ricorre
66 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 16 volte in Matteo (corrisponden-
te allo 0,087% del totale delle parole); 6 volte in Marco (cf. Mc 9,12.38; 10,20.29; 12,24;
14,29 = 0,053%); 8 volte in Luca (0,041%); 3 volte in Giovanni (0,019%). Grammaticalmen-
te questa forma verbale può essere anche intesa come 3a persona singolare indicativo
imperfetto. Nel NT n0:\ non indica il generico e neutro «dire», «affermare», «parlare»,
come nel greco classico (cf. Omero, Il., 8,153; Od., 21,194), ma assume il significato
intensivo e quasi tecnico di «dichiarare», «proclamare», detto a proposito di una valutazione
soggettiva, una notifica ufficiale, una asserzione normativa. In Marco il verbo è presente
sempre nella forma stereotipa §n0.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
z/8\"H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z/8\"H, –@L, Elia; cf. Mc 6,15;
soggetto.
:X<: particella primaria, indecl., certo, certamente; cf. Mc 4,4. Nell’uso assoluto, senza un’altra
particella correlativa, assume valore enfatico/affermativo, corrispondente agli avverbi
«veramente», «certamente», «davvero», «appunto» (ma talvolta non si traduce). Qui implica
contrasto o antitesi con la precedente affermazione degli scribi (= Elia dovrà venire) e
introduce in forma interrogativa retorica la contro domanda di Gesù, per il quale Elia è già
venuto.
¦8hf<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Participio predicativo del soggetto z/8\"H.
BDäJ@<: avv. di tempo, indecl., prima, prima di tutto, in primo luogo; cf. Mc 3,27.
•B@i"h4FJV<g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da •B@i"h\FJ0:4 (da •B` e i"h\FJ0:4),
ripristinare al stato precedente, ristabilire, ricostituire, risanare; cf. Mc 3,5. Nel giudaismo
questo verbo, quando non è impiegato per esprimere una guarigione fisica, diventa termine
tecnico per designare il ristabilimento di Israele nel possesso dei suoi beni a opera di Dio.
Mc 9,12 621

Negli scritti giudaici l’iniziatore di tale “restaurazione”, a partire da Ml 3,23 è considerato


Elia redivivo (cf. anche Sir 48,10). Il NT riprende questo significato messianico e politico
legato al verbo «ristabilire» (cf. Mt 17,11; Mc 9,12), ma lo pone in relazione diretta non con
il messia che giunge nella potenza, ma con il suo precursore, Giovanni il Battista, nel quale
Gesù riconosce il profeta Elia promesso (cf. Mt 11,10.14). Marco è conforme a questa nuova
interpretazione: riprende la venuta di Elia da Ml 3,23, ma con un intervento redazionale lo
situa in una prospettiva nuova:

Ml 3,23 (LXX) •B@i"J"FJZFg4 i"D*\"< B"JDÎH BDÎH LÊÎ< i" i"D*\"<


•<hDfB@L BDÎH JÎ< B80F\@< "ÛJ@Ø
Mc 9,12b •B@i"h4FJV<g4 BV<J"
L’azione futura di Malachia («ristabilirà») viene espressa all’indicativo presente
(«ristabilisce»); gli eventi che caratterizzano l’azione del profeta Elia sono sintetizzate da
Marco con il vocabolo «tutto»: nella prospettiva redazionale dell’Autore c’è la chiara
intenzione di affermare che l’Elia tanto atteso è in realtà già venuto sotto altra identità.
Diversamente da Matteo (cf. Mt 11,14) Marco non opera una identificazione esplicita tra Elia
e Giovanni Battista: è il lettore che deve attribuire al Battista il ruolo e l’identità di Elia,
mediante gli indizi forniti dall’Autore.
BV<J": pron. indefinito, acc. plur. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, però; cf. Mc 1,4.
BäH: avv. interrogativo di modo, indecl., come?, in quale modo?, in che senso?, perché?; cf.
Mc 2,26.
(X(D"BJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. pass. da (DVnT, scrivere; cf. Mc 1,2. Il perfetto
passivo esprime l’autorità permanente della Scrittura: alla necessità divina che Elia deve
venire prima (v. 12a), Gesù aggiunge quella della sofferenza del Figlio dell’uomo (v. 12b).
Sia il ritorno di Elia sia la passione, morte e risurrezione del Figlio appartengono al progetto
di Dio. L’espressione (X(D"BJ"4, «è scritto», è la tipica formula marciana per l’adempimen-
to delle profezie anticotestamentarie, a volte seguita da una citazione esplicita (cf. Mc 1,2;
7,6; 11,17; 14,27), altre volte per indicare sotto forma di allusione quanto nell’AT venne
scritto sotto ispirazione divina (cf. Mc 9,12.13; 14,21; [14,49]).
¦B\: prep. propria con valore di relazione, seguita dall’accusativo, indecl., circa, riguardo a, in
riferimento a, nei confronti di; cf. Mc 1,22.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
LÊ`<: sost., acc. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; compl. di argomento.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•<hDfB@L: sost., gen. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di specificazione.
622 Mc 9,13

Ë<": cong. subordinativa di valore completivo, indecl., di, che; cf. Mc 1,38. La congiunzione Ë<"
non ha qui il consueto valore finale, ma quello completivo (equivalente a ÓJ4 o ÓBTH): in
pratica introduce una proposizione infinitiva (cf. Mc 3,9a.12; 4,22a; 5,10.18.43; 6,8.12.25.56;
7,26.32.36; 8,22.30; 9,9.12.18.30; 10,35.37; 11,16; 13,34; 15,21).
B@88V: agg. indefinito, acc. plur. n. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34. La forma B@88V è qui usata in modo avverbiale («molto», «grandemente», «intensamen-
te») e non quantitativo («molte cose»). Si tratta di una caratteristica di Marco (cf. Mc 1,45;
3,12; 5,10.23.26.38.43; 6,20.23; 8,31; 9,12.26; 15,3).
BVh®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da BVFPT, patire, soffrire; cf. Mc 5,26.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦>@L*g<0h±: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. pass. da ¦>@L*g<XT (da ¦i e il neutro di
@Û*g\H), disdegnare, disprezzare. Hapax neotestamentario. Presente anche nella forma
¦>@Lhg<XT, questo verbo ricorre altre 13 volte nel NT con lo stesso significato (cf. Lc 18,9;
23,11; At 4,11; Rm 14,3.10; 1Cor 1,28; 6,4; 16,11; 2Cor 10,10; Gal 4,14; 1Ts 5,20). Il
significato del verbo è quello corrispondente al classico ¦>@L*g<\.T, ossia «non tenere in
alcun conto», «disprezzare» (cf. Plutarco, Par. min., 308,e,9).

9,13 •88 8X(T ß:Ã< ÓJ4 i" z/8\"H ¦8Z8Lhg<s i" ¦B@\0F"< "ÛJè ÓF" ³hg8@<s
i"hãH (X(D"BJ"4 ¦Bz "ÛJ`<.
9,13 Tuttavia io vi dico che Elia non soltanto è già venuto, ma gli hanno fatto ciò che
hanno voluto, come è scritto su di lui».

•88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno; cf. Mc 1,44. Con questa iniziale congiunzione Gesù esprime con forza il
compimento della venuta di Elia smentendo l’interpretazione degli scribi i quali la
negavano:

v. 11: 8X(@LF4< @Ê (D"::"JgÃH ÓJ4 z/8\"< *gà ¦8hgÃ< BDäJ@< [Gli scribi dicono che
prima deve venire Elia]
v. 13: 8X(T ß:Ã< ÓJ4 i"Â z/8\"H ¦8Z8Lhg< [Io vi dico che Elia è già venuto].

Si tratta di una contrapposizione chiara e significativa: mentre gli scribi attendono


ancora la venuta di Elia, Gesù afferma con autorità che essa si è compiuta.

8X(T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. La forma verbale 8X(T ricorre in Mc 20 volte (cf. Mc 2,11; 3,28; 5,41; 8,12;
9,1.13.41; 10,15.29; 11,23.24.33; 12,43; 13,30.37[x2]; 14,9.18.25.30): essa è usata soltanto
da Gesù, ossia è esclusivamente Gesù che parla del proprio parlare e ne sottolinea la forza,
l’insistenza e la validità. In particolare la formula •88 8X(T ß:Ã<, analoga a quella di
giuramento •:¬< 8X(T ß:Ã< / F@4 (cf. Mc 3,28; 8,12; 9,1.41; 10,15.29; 11,23; 12,43;
13,30; 14,9.18.25.30) esprime il carattere solenne e irrefutabile di quanto affermato da Gesù.
Mc 9,13 623

ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
i"\: cong. coordinativa di valore correlativo, indecl., e… e…; sia… sia…; non solo… ma
anche…; cf. Mc 1,4. Il significato correlativo che può assumere la congiunzione i"\ si
ritrova in Mc 4,27ab.41cd; 7,37bc; 9,13ab.22bc; 11,9ab.
z/8\"H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z/8\"H, –@L, Elia; cf. Mc 6,15;
soggetto.
¦8Z8Lhg<: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere,
farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7.
i"\: cong. coordinativa di valore correlativo, indecl., e… e…; sia… sia…; non solo… ma
anche…; cf. Mc 1,4. Il significato correlativo che può assumere la congiunzione i"\ si
ritrova in Mc 4,27ab.41cd; 7,37bc; 9,13ab.22bc; 11,9ab.
¦B@\0F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
ÓF": pron. relativo con valore di quantità e misura, acc. plur. n. da ÓF@H, –0, –@<, quanto,
quanto grande, ciò che, quello che; cf. Mc 2,19; compl. oggetto.
³hg8@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da hX8T, volere, avere il proposito di; cf. Mc 1,40.
Non si tratta di un imperfetto descrittivo o iterativo: il verbo è usato con valore di
piuccheperfetto (cf. anche Mc 5,8; 6,18): «hanno voluto».
i"hfH: cong. comparativa, indecl., come, secondo quanto; cf. Mc 1,2.
(X(D"BJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. pass. da (DVnT, scrivere; cf. Mc 1,2. L’espressione
«è scritto» è la tipica formula marciana per l’adempimento delle profezie anticotestamentarie,
a volte seguita da una citazione esplicita (cf. Mc 1,2; 7,6; 11,17; 14,27), altre volte per
indicare, sotto forma di allusione, quanto nell’AT venne scritto sotto ispirazione divina (cf.
Mc 9,12.13; 14,21; [14,49]). Poiché in nessun passo dell’AT si narra della predizione della
sofferenza dell’Elia redivivus (ossia Giovanni Battista) non si deve considerare l’espressione
i"hãH (X(D"BJ"4 un riferimento letterale a un passo anticotestamentario, ma una formula
o una conclusione esegetica con cui Marco armonizza le sofferenze del precursore con quelle
del messia: se Dio ha stabilito che Gesù debba essere una messia sofferente (cf. Mc 8,31;
9,12b), il suo precursore deve essere un Elia sofferente (cf. Mc 6,17–29; 9,12b).
¦Bz: (= ¦B\), prep. propria con valore di relazione, seguita dall’accusativo, indecl., circa,
riguardo a, in riferimento a, nei confronti di; cf. Mc 1,22.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di argomento.
624 Mc 9,14–15

9,14 5" ¦8h`<JgH BDÎH J@×H :"h0JH gÉ*@< ÐP8@< B@8×< BgD "ÛJ@×H i"Â
(D"::"JgÃH FL.0J@Ø<J"H BDÎH "ÛJ@bH.
9,14 Arrivando presso i discepoli videro molta folla attorno a essi e alcuni scribi che
discutevano con loro.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦8h`<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere,
farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Participio predicativo del soggetto sottinteso «Gesù,
Pietro, Giacomo e Giovanni».
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
:"h0JVH: sost., acc. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; compl. di moto a luogo.
gÉ*@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc 1,10.
ÐP8@<: sost., acc. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; compl. oggetto. Senza
articolo perché generica.
B@8b<: agg. indefinito, acc. sing. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; attributo di ÐP8@<.
BgD\: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., intorno a, attorno, in
prossimità di, vicino; cf. Mc 1,6.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di stato in luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
(D"::"JgÃH: sost., acc. plur. m. da (D"::"JgbH, –XTH (da (DV::"), scriba, esperto della
Legge, insegnante religioso; cf. Mc 1,22; compl. oggetto. Senza articolo perché generici e
non ancora presentati.
FL.0J@Ø<J"H: verbo, acc. plur. m. part. pres. da FL.0JXT (da Fb< e .0JXT), discutere,
disputare, domandare; cf. Mc 1,27. Participio predicativo del complemento oggetto
(D"::"JgÃH.
BD`H: prep. propria con valore locale (di persone), seguita dall’accusativo, indecl., dinanzi a,
alla presenza di, tra; cf. Mc 1,5.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di stato in luogo.

9,15 i" gÛh×H BH Ò ÐP8@H Æ*`<JgH "ÛJÎ< ¦>gh":$Zh0F"< i" BD@FJDXP@<JgH
²FBV.@<J@ "ÛJ`<.
9,15 All’improvviso tutta la folla, nel vederlo, fu presa da meraviglia e corse a salutarlo.
Mc 9,15 625

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
BH: agg. indefinito, nom. sing. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; attributo di ÐP8@H, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
ÐP8@H: sost., nom. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; soggetto.
Æ*`<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc
1,10. Participio predicativo del soggetto ÐP8@H, singolare collettivo. Costruzione ad sensum:
il participio plur. m. si riferisce a ÐP8@H, sing. m., il cui significato collettivo di «moltitudine»
giustifica l’anacoluto grammaticale. Stessa osservazione per quanto riguarda le successive
forme verbali ¦>gh":$Zh0F"<, BD@FJDXP@<JgH, ²FBV.@<J@.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
¦>gh":$Zh0F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. pass. da ¦ih":$XT, stupire, meravigliare
(att.); essere sorpreso, essere meravigliato, essere stupito, essere spaventato (pass.). Questo
verbo ricorre 4 volte nel NT, soltanto al passivo: Mc 9,15; 14,33; 16,5.6. È difficile
esplicitare il senso preciso di questo raro verbo, tipico del greco biblico (cf. Sir 30,9, unica
ricorrenza) ed esclusivo di Marco: nella forma semplice (h":$X@:"4) indica il sacro timore
che la gente prova alla presenza di Gesù, dopo che egli ha scacciato un demonio (cf. Mc
1,27) oppure lo sbigottimento degli apostoli nell’ascoltare il loghion di Gesù relativo al
pericolo delle ricchezze (cf. Mc 10,24.32). Nelle altre ricorrenze il verbo ¦ih":$X@:"4 è
usato per descrivere la paura di Gesù al Getsemani (cf. Mc 14,33) e il timore sacro delle
donne all’ingresso del sepolcro vuoto, alla vista del giovane in bianche vesti (cf. Mc 16,5.6).
Il significato più probabile nella nostra occorrenza è, dunque, quello del timore reverenziale,
misto a turbamento.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BD@FJDXP@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da BD@FJDXPT (da BD`H e JDXPT), correre,
accorrere. Questo verbo ricorre 3 volte nel NT: Mc 9,15; 10,17; At 8,30. Participio
predicativo del soggetto ÐP8@H, singolare collettivo. Conforme all’etimologia il verbo
BD@FJDXPT è utilizzato nella grecità nel significato di «correre verso», «accorrere presso»
(cf. Aristofane, Achar., 1084; Senofonte, Anab., 4,3,10; Platone, Resp., 440a).
²FBV.@<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. medio da •FBV.@:"4, salutare, accogliere, dare
il benvenuto. Questo verbo deponente ricorre 59 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli
è la seguente: Mt 5,47; 10,12; Mc 9,15; 15,18; Lc 1,40; 10,4. Imperfetto durativo o iterativo.
L’etimologia del verbo è incerta: probabilmente deriva da •FB"F:`H che nel greco profano
indica il saluto affettuoso e gioioso manifestato a qualcuno in occasione di un incontro o di
un congedo. Come tale nella grecità il verbo assume il significato di «accogliere affettuosa-
mente», «accogliere con gioia» (cf. Omero, Il., 10,542; Erodoto, Hist., 1,122,1; Eschilo, Ag.,
524; Sofocle, Oed. tyr., 596). Diversamente dalla nostra cultura, in cui il saluto è quasi
sempre spiccio e formale, nella mentalità antica l’azione di salutare aveva una grande
importanza sociale. Il saluto, oltre allo scambio di parole beneauguranti, consisteva in altre
626 Mc 9,16–17

espressioni caratteristiche: l’abbraccio, il bacio, la stretta di mano, le riverenze, la richiesta


di informazioni, ecc.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.

9,16 i"Â ¦B0DfJ0Fg< "ÛJ@bHs I\ FL.0JgÃJg BDÎH "ÛJ@bHp


9,16 Ed egli li interrogò: «Di che cosa discutete con loro?».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦B0DfJ0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦BgDTJVT (da ¦B\ e ¦DTJVT), richiedere,
domandare, interrogare; cf. Mc 5,9.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
I\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24. L’uso di J\ con il valore di «perché?» viene
spiegato come una specie di accusativo di specificazione o di relazione («di che cosa?», «in
relazione a che?»); cf. Mc 2,7.8.24; 4,40; 5,35.39; 8,12.17; 9,16.33; 10,18; 11,3; 12,15; 14,6.
FL.0JgÃJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da FL.0JXT (da Fb< e .0JXT), discutere, disputare,
domandare; cf. Mc 1,27.
BD`H: prep. propria con valore locale di relazione, seguita dall’accusativo, indecl., per, in
rapporto a, nei confronti di, verso; cf. Mc 1,5.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di compagnia.

9,17 i" •BgiD\h0 "ÛJè gÍH ¦i J@Ø ÐP8@Ls )4*VFi"8gs ³<g(i" JÎ< LÊ`< :@L BDÎH
FXs §P@<J" B<gØ:" –8"8@<·
9,17 Gli rispose uno dalla folla: «Maestro, ho portato da te mio figlio che ha uno spirito
muto.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•BgiD\h0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33. Aoristo narrativo.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
gÍH: agg. numerale, cardinale, nom. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; soggetto. L’uso
del numero cardinale gÍH al posto del pronome indefinito J\H, «uno», «qualcuno» o
dell’articolo indeterminativo «uno», soprattutto nelle espressioni partitive, è un semitismo.
Ritroviamo questo fenomeno in Mc 5,22; 6,15; 8,28; 9,17.37.42; 10,17.37[x2]; 12,28.42;
13,1; 14,10.18.20.43.47.66.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
Mc 9,18 627

J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
ÐP8@L: sost., gen. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; compl. di moto da
luogo.
)4*VFi"8g: sost., voc. sing. m. da *4*VFi"8@H, –@L, maestro, insegnante; cf. Mc 4,38;
compl. di vocazione.
³<g(i": verbo, 1a pers. sing. ind. aor. da nXDT, portare; cf. Mc 1,32.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
LÊ`<: sost., acc. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; compl. oggetto.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
FX: pron. personale di 2a pers. acc. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,24; compl. di moto a luogo.
§P@<J": verbo, acc. sing. m. part. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. Participio predicativo del complemento
oggetto LÊ`<. L’espressione letterale «avente uno spirito muto» corrisponde a «posseduto da
uno spirito muto», come spesso avviene per analoghe espressioni con §PT (cf. Mc 3,22.30;
5,15; 7,25; 9,17).
B<gØ:": sost., acc. sing. n. da B<gØ:", –"J@H, alito, soffio, vento, spirito, Spirito; cf. Mc 1,8;
compl. oggetto. Senza articolo perché generico e non ancora presentato.
–8"8@<: agg. qualificativo, acc. sing. n. da –8"8@H, –@< (da –8n" privativa e 8"8XT), non
parlante, muto; cf. Mc 7,37; attributo di B<gØ:". A essere «senza parola» o «incapace di
parlare» non è lo spirito cattivo, ma il giovane che subisce il suo influsso negativo.

9,18 i" ÓB@L ¦< "ÛJÎ< i"J"8V$® ÕZFFg4 "ÛJ`<s i" •nD\.g4 i" JD\.g4 J@×H
Ï*`<J"H i"Â >0D"\<gJ"4· i"Â gÉB" J@ÃH :"h0J"ÃH F@L Ë<" "ÛJÎ ¦i$V8TF4<s
i"Â @Ûi ÇFPLF"<.
9,18 Dovunque si impossessa di lui, lo scuote violentemente ed egli schiuma, digrigna i
denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


ÓB@L: (da ÓH e B@Ø), avv. di luogo, indecl., dove, nel luogo in cui; cf. Mc 2,4.
¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica. Nel NT l’espressione ÓB@L ¦V< con
il congiuntivo aoristo ricorre soltanto in Mc 6,10; 9,18; 14,9.14; Mt 26,13. Come avviene nel
greco classico (cf. Eschilo, Eum., 277; Senofonte, Hell., 3,3,6; Cyr., 3,3,8) è possibile un
628 Mc 9,18

significato non soltanto locale («dovunque»), ma anche temporale («quando»): «Quando si


impossessa di lui…».
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
i"J"8V$®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da i"J"8":$V<T (da i"JV e 8":$V<T),
afferrare. Questo verbo ricorre 15 volte nel NT: Mc 9,18 (hapax marciano); Gv 1,5; 8,3.4;
12,35; At 4,13; 10,34; 25,25; Rm 9,30; 1Cor 9,24; Ef 3,18; Fil 3,12[x2].13; 1Ts 5,4. Il verbo
appartiene all’ampia gamma semantica costituita da 8":$V<T (cf. Mc 4,16), ¦B48":$V<@-
:"4 (cf. Mc 8,23), BD@F8":$V<@:"4 (cf. Mc 8,32), i"J"8":$V<T (cf. Mc 9,18),
FL88":$V<T (cf. Mc 14,48). Quanto al significato corrisponde a quello classico del
generico «prendere», «afferrare» (cf. Omero, Od., 9,433, tmesi; Aristofane, Lys., 624).
ÕZFFg4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da ÕZ(<L:4, lacerare, strappare, fare a pezzi, rompere;
cf. Mc 2,22. Il soggetto è ancora B<gØ:" –8"8@H.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•nD\.g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da •nD\.T, spumare, schiumare, sbavare. Questo
verbo ricorre 2 volte nel NT: Mc 9,18.20. Il soggetto implicito è Ò LÊ`H. Il verbo è piuttosto
raro anche in greco classico (cf. Sofocle, Elect., 719). La più comune variante •nDXT è usata
per indicare lo schiumare dei cavalli (cf. Omero, Il., 11,282).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
JD\.g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da JD\.T, digrignare, stridere. Hapax neotestamentario.
Nella grecità il verbo JD\.T è usato prevalentemente nella forma intransitiva con il
significato di «stridere», detto generalmente a proposito di animali (cf. Omero, Od., 24,7;
Erodoto, Hist., 4,183,4). Qui il significato è quello transitivo causativo, corrispondente a «far
stridere».
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
Ï*`<J"H: sost., acc. plur. m. da Ï*@bH, –`<J@H, dente; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 12
volte nel NT: Mt 5,38[x2]; 8,12; 13,42.50; 22,13; 24,51; 25,30; Mc 9,18 (hapax marciano);
Lc 13,28; At 7,54; Ap 9,8. A partire da Omero il sostantivo Ï*@bH designa, generalmente
al plurale, i «denti» sia di uomini che di animali (cf. Omero, Il., 5,74; Od., 1,64).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
>0D"\<gJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. pass. da >0D"\<T, seccare, appassire, disseccare
(att.); diventare secco, diventare rigido (pass.); cf. Mc 3,1.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
gÉB": verbo, 1a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
:"h0J"ÃH: sost., dat. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; compl. di termine.
Mc 9,19 629

F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
Ë<": cong. subordinativa di valore completivo, indecl., di, che; cf. Mc 1,38. La congiunzione Ë<"
non ha qui il consueto valore finale, ma quello completivo (equivalente a ÓJ4 o ÓBTH): in
pratica introduce una proposizione infinitiva (cf. Mc 3,9a.12; 4,22a; 5,10.18.43; 6,8.12.25.56;
7,26.32.36; 8,22.30; 9,9.12.18.30; 10,35.37; 11,16; 13,34; 15,21).
"ÛJ`: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. n. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 4,4; compl. oggetto.
¦i$V8TF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. da ¦i$V88T (da ¦i e $V88T), scacciare,
mandare via, fare uscire, espellere; cf. Mc 1,12.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
ÇFPLF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da ÆFPbT, essere forte, essere robusto, essere in buona
salute, stare bene, avere forza, essere capace; cf. Mc 2,17. La frase @Ûi ÇFPLF"<
letteralmente suona: «non sono stati forti [abbastanza]»; abbiamo un parallelo antitetico con
lo stesso Gesù, presentato in Mc 3,27 come «il più forte» nei confronti del demonio, il quale
a sua volta è «l’uomo forte» (Lc 11,21) che viene legato e ridotto all’impotenza.

9,19 Ò *¥ •B@iD4hgÂH "ÛJ@ÃH 8X(g4s ‚S (g<g –B4FJ@Hs ªTH B`Jg BDÎH ß:H
§F@:"4p ªTH B`Jg •<X>@:"4 ß:ä<p nXDgJg "ÛJÎ< BD`H :g.
9,19 Egli disse loro: «Gente senza fede! Fino a quando dovrò stare con voi? Fino a
quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me».

Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
•B@iD4hg\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33. Participio predicativo di valore espletivo del
soggetto sottinteso z30F@ØH.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico. L’espressione •B@iD4hg\H… 8X(g4, •B@iD4hg\H… gÉBg< è
ricalcata sull’ebraico 9/ G !J&H… 03HHH&, wayya‘an… wayyo) ’mer, «rispondendo… dice»,
«rispondendo… disse» (cf. Gb 8,1, ecc.). Si tratta di una tipica locuzione semitica
ridondante che può essere tradotta semplicemente con «disse», «rispose», «replicò» e simili.
Si deve osservare, inoltre, che il verbo •B@iD\<@:"4 è usato con valore semitico anche
630 Mc 9,19

quando (come qui) non si tratta di dare una risposta a una precisa domanda, ma soltanto
intervenire con una affermazione o una richiesta. Questa formula ricorre 16 volte in Marco
(cf. Mc 3,33; 6,37; 7,28; 8,29; 9,5.19; 10,3.24.51; 11,14.22.33; 12,35; 14,48; 15,2.12).
‚S: interiez. propria di valore esclamativo, indecl., o!, oh! Il vocabolo ricorre 22 volte nel NT:
Mt 15,28; 17,17; Mc 9,19 (hapax marciano); Lc 9,41; 24,25; Gv 9,5; At 1,1; 13,10; 18,14;
27,21; Rm 2,1.3; 9,20; 11,33; Gal 3,1; Fil 2,28; 1Tm 6,11.20; Gc 2,20; Ap 1,8; 21,6; 22,13.
La forma esclamativa è molto rara nel greco ellenistico. Nelle ricorrenze neotestamentarie
in 16 casi su 17 l’interiezione precede il termine allocutivo, generalmente posto al caso
vocativo.
(g<gV: sost., voc. sing. f. da (g<gV, –H, generazione, stirpe, genia; cf. Mc 8,12; compl. di
vocazione.
–B4FJ@H: agg. qualificativo, voc. sing. f. da –B4FJ@H, –@< (da –8n" privativa e B4FJ`H), senza
fede, incredulo, infedele; attributo di (g<gV. Il vocabolo ricorre 23 volte nel NT: Mt 17,17;
Mc 9,19 (hapax marciano); Lc 9,41; 12,46; Gv 20,27; At 26,8; 1Cor 6,6; 7,12.13.14[x2].15;
10,27; 14,22[x2].23.24; 2Cor 4,4; 6,14.15; 1Tm 5,8; Tt 1,15; Ap 21,8. In corrispondenza alla
gamma semantica formata dal verbo •B4FJXT e dal sostantivo •B4FJ\", anche l’aggettivo
–B4FJ@H esprime nel greco classico il significato fondamentale e profano di «incredulo» (cf.
Omero, Od., 14,150; Erodoto, Hist., 1,8,2). Nel nostro contesto, tuttavia, questa incredulità
corrisponde più profondamente alla mancanza di fede, qui concretizzata nel rifiuto da parte
della gente nei confronti di Gesù, della sua missione e del suo potere. L’esclamazione «O
generazione incredula!» è l’unica formulata in Marco con la particella esclamativa ì: essa
rimanda all’analoga frase «generazione incredula e ribelle» che compare nel Deuteronomio
per definire il popolo dell’esodo, infedele e privo di fede (cf. Dt 32,5.20). L’apostrofe ha
ulteriori paralleli nell’AT a proposito dei lamenti di Dio o dei profeti nei confronti
dell’Israele incredulo e ostinato (cf. Is 65,2; Ger 5,21.23; Ez 12,2). Si direbbe che Gesù stia
qui provando lo stesso sentimento degli antichi profeti i quali spesso si mostravano
esasperati e sconfortati nel vedere fallire la loro missione in mezzo a un popolo ribelle,
recalcitrante, insofferente a qualsiasi richiamo di conversione.
ªTH: cong. subordinativa di valore temporale, indecl., finché, fintanto, fino a, per tutto il tempo
che; cf. Mc 6,10.
B`Jg: avv. di tempo, indecl., quando? Il vocabolo ricorre 48 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 7 volte in Matteo (corrispondente allo 0,038% del totale delle parole);
5 volte in Marco (cf. Mc 9,19[x2]; 13,4.33.35 = 0,044%); 5 volte in Luca (0,026%); 3 volte
in Giovanni (0,019%). Questo avverbio è usato sia in proposizioni interrogative dirette, sia
indirette, come in Mc 13,33.35.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
ß:H: pron. personale di 2a pers. acc. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 1,8; compl. di stato in luogo.
§F@:"4: verbo, 1a pers. sing. ind. fut. medio da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente;
cf. Mc 1,6. Alla prima esclamazione di Gesù («O generazione senza fede!»), seguono due
Mc 9,20 631

domande retoriche che esprimono la sua indignazione: «Fino a quando starò con voi? Fino
a quando dovrò sopportarvi?». Le parole di Gesù sono dure e dirette. La forma interrogativa
«fino a quando?» ha diversi paralleli nell’AT (nelle forme %/ G << $3H; %I!
F << $3H; *;
H/I << $3H).
Essa compare in contesti umani di biasimo e rimprovero (cf. Gs 18,3; 1Sam 1,14; 2Sam
2,26). Altrove la domanda riecheggia nella preghiera del giusto perseguitato e nel lamento
dei profeti di fronte alle difficoltà che devono incontrare nella loro missione (cf. 1Re 18,21;
Gb 19,2; Sal 4,3; 6,4; 13,2.3; 62,4; 74,10; 79,5; 80,5; 82,2; 89,47; 90,13; 94,3; Is 6,11; Ger
4,21; 12,4; Zc 1,12). Infine — ed è questo il parallelo più significativo — la stessa domanda
esprime la reazione di Dio di fronte all’ostinazione e all’infedeltà del suo popolo: «Il Signore
disse ancora a Mosè e ad Aronne: Fino a quando dovrò sopportare questa comunità malvagia
che mormora contro di me?» (Nm 14,27; cf. anche Es 16,28; Nm 14,11; Ger 4,14; 23,26;
31,22). La stessa constatazione di ira, stupore e rimprovero si trova in Mc 6,6.14: Gesù per
tutta la vita dovette far fronte a simili situazioni di incredulità nei suoi confronti.
ªTH: cong. subordinativa di valore temporale, indecl., finché, fintanto, fino a, per tutto il tempo
che; cf. Mc 6,10.
B`Jg: avv. di tempo, indecl., quando?; cf. Mc 9,19.
•<X>@:"4: verbo, 1a pers. sing. ind. fut. medio da •<XPT (da •<V e §PT), sollevare,
sostenere, sopportare. Questo verbo semideponente ricorre 15 volte nel NT: Mt 17,17; Mc
9,19 (hapax marciano); Lc 9,41; At 18,14; 1Cor 4,12; 2Cor 11,1[x2].4.19.20; Ef 4,2; Col
3,13; 1Ts 1,4; 2Tm 4,3; Eb 13,22. Usato nella diatesi media questo verbo acquista il senso
metaforico di «sostenere», «sopportare» con fermezza o pazienza affanni (cf. Omero, Il.,
18,430), mali (cf. Omero, Il., 24,518), servitù (cf. Erodoto, Hist., 1,169,1), stranieri (cf.
Omero, Od., 7,32), tribolazioni (cf. 2Ts 1,4), stolti (cf. 2Cor 11,19). Qui prevale il significato
di «sopportare» la «generazione incredula» formata dai presenti, ossia prendere su di sé il
peso degli altri. Per Gesù essere tra gli uomini significa caricarsi del loro peso.
ß:ä<: pron. personale di 2a pers. gen. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
cf. Mc 2,8; compl. oggetto.
nXDgJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da nXDT, portare; cf. Mc 1,32.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,40; compl. di moto a luogo.

9,20 i"Â ³<g(i"< "ÛJÎ< BDÎH "ÛJ`<. i"Â Æ*ã< "ÛJÎ< JÎ B<gØ:" gÛh×H FL<gFBV-
D">g< "ÛJ`<s i" BgFã< ¦B J­H (­H ¦iL8\gJ@ •nD\.T<.
9,20 E glielo portarono. Appena lo spirito lo vide, subito lo scosse con convulsioni ed egli,
caduto a terra, si rotolava schiumando.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


632 Mc 9,20

³<g(i"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da nXDT, portare; cf. Mc 1,32.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto. Si tratta del ragazzo.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di moto a luogo. Si tratta di Gesù.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Æ*f<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc 1,10.
Participio predicativo del soggetto B<gØ:". Costruzione ad sensum: il participio singolare
maschile si riferisce a B<gØ:", singolare neutro. Marco usa spesso il participio con un
significato temporale (cf. Mc 2,5.16; 5,6.22; 6,48.49; 7,2; 8,33; 9,20.25; 10,14; 12,34;
14,67.69; 15,39).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto. Si riferisce al ragazzo.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
B<gØ:": sost., nom. sing. n. da B<gØ:", –"J@H, alito, soffio, vento, spirito, Spirito; cf. Mc 1,8;
soggetto.
gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
FL<gFBVD">g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da FLFB"DVFFT (da Fb< e FB"DVFFT),
sconvolgere, contorcere. Questo verbo ricorre 2 volte nel NT: Mc 9,20 (hapax marciano);
Lc 9,42. Verbo sconosciuto al greco classico e ai LXX; deve considerarsi una forma
intensiva di FB"DVFFT.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto. Si tratta del ragazzo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BgFf<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da B\BJT, cadere, precipitare; cf. Mc 4,4. Participio
predicativo del soggetto sottinteso LÊ`H.
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., in, su, a, davanti a, verso, sopra,
presso; cf. Mc 1,22. Il soggetto sottinteso è LÊ`H.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
(­H: sost., gen. sing. f. da (­, (­H, terra; cf. Mc 2,10; compl. di moto a luogo.
¦iL8\gJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. medio da iL8\T, rotolare, contorcere. Hapax
neotestamentario. Questo verbo semideponente è la forma tardiva di i@8\<*T. Nella grecità
assume il significato generico di «rotolare», detto in particolare a proposito di pietre (cf.
Aristotele, Hist. anim., 552a 17; Teocrito, Idyl., 7,145; 22,49; 25,93).
•nD\.T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da •nD\.T, spumare, schiumare, sbavare; cf. Mc
9,18. Participio predicativo del soggetto sottinteso LÊ`H.
Mc 9,21 633

9,21 i"Â ¦B0DfJ0Fg< JÎ< B"JXD" "ÛJ@Øs A`F@H PD`<@H ¦FJÂ< ñH J@ØJ@ (X(@<g<
"ÛJèp Ò *¥ gÉBg<s z+i B"4*4`hg<·
9,21 Allora chiese a suo padre: «Da quanto tempo gli accade ciò?». Quello rispose:
«Dall’infanzia;

i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4.
¦B0DfJ0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦BgDTJVT (da ¦B\ e ¦DTJVT), richiedere,
domandare, interrogare; cf. Mc 5,9. Il soggetto implicito è Gesù.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B"JXD": sost., acc. sing. m. da B"JZD, B"JD`H, padre; cf. Mc 1,20; compl. oggetto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
A`F@H: agg. interrogativo, nom. sing. m. da B`F@H, –0, –@<, quanto?, quanto grande?; cf. Mc
6,38; attributo di PD`<@H.
PD`<@H: sost., nom. sing. m. da PD`<@H, –@L, tempo; cf. Mc 2,19; soggetto.
¦FJ\<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
ñH: cong. subordinativa di valore incidentale, indecl., come, nel modo che, nella maniera che,
nella misura che; cf. Mc 1,10.
J@ØJ@: pron. dimostrativo, nom. sing. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 1,27;
soggetto.
(X(@<g<: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere, nascere,
essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
z+i: prep. propria di valore temporale, seguita dal genitivo, indecl., da, fin da; cf. Mc 1,10.
B"4*4`hg<: avv. di tempo, indecl., dall’infanzia, dalla giovinezza; compl. di tempo determinato.
Hapax neotestamentario. La frase ¦i B"4*4`hg<, «dall’infanzia» non corrisponde
esattamente a ¦i <g`J0J@H, «dalla giovinezza», presente in Mc 10,20, una espressione
stereotipa impiegata per sottolineare che colui che parla ha già una certa età.
634 Mc 9,22

9,22 i" B@88Vi4H i" gÆH BØD "ÛJÎ< §$"8g< i" gÆH à*"J" Ë<" •B@8XF® "ÛJ`<·
•88z gÇ J4 *b<®s $@Zh0F@< º:Ã< FB8"(P<4FhgÂH ¦nz º:H.
9,22 anzi, spesso lo ha buttato nel fuoco e nell’acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi
qualcosa, aiutaci, abbi pietà di noi!».

i"\: cong. coordinativa di valore aggiuntivo, indecl., anche, perfino, inoltre, altresì; cf. Mc 1,4.
Il significato aggiuntivo di i"\ è presente in Mc 1,27b.38b; 2,15b.26c.28; 3,19b; 4,24b;
6,34b; 7,18b; 8,3b.7ac.38c; 9,22a; 11,25b; 12,22b; 13,29; 14,9.29.31; 15,31.40ab. 43a.
B@88Vi4H: avv. di tempo, indecl., spesso, sovente, più volte; cf. Mc 5,4.
i"\: cong. coordinativa di valore correlativo, indecl., e… e…; sia… sia…; non solo… ma
anche…; cf. Mc 1,4. Il significato correlativo che può assumere la congiunzione i"\ si
ritrova in Mc 4,27ab.41cd; 7,37bc; 9,13ab.22bc; 11,9ab.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
BØD: sost., acc. sing. n. da BØD, BLD`H, fuoco; compl. di moto a luogo. Il vocabolo ricorre 71
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 12 volte in Matteo (corrispondente
allo 0,065% del totale delle parole); 4 volte in Marco (cf. Mc 9,22.43.48.49 = 0,035%); 7
volte in Luca (0,036%); 1 volta in Giovanni (0,006%). Senza articolo perché generico.
Soltanto in questo passo il termine BØD ha il significato letterale proprio corrispondente al
classico «fuoco» (cf. Omero, Il., 6,182; Od., 7,13); nelle altre ricorrenze marciane è usato in
senso traslato, in contesti relativi al tempo finale, analogamente a quanto avviene nel NT,
dove BØD compare prevalentemente come elemento escatologico di purificazione e giudizio.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
§$"8g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da $V88T, gettare, buttare, mettere; cf. Mc 2,22.
i"\: cong. coordinativa di valore correlativo, indecl., e… e…; sia… sia…; non solo… ma
anche…; cf. Mc 1,4. Il significato correlativo che può assumere la congiunzione i"\ si
ritrova in Mc 4,27ab.41cd; 7,37bc; 9,13ab.22bc; 11,9ab.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
à*"J": sost., acc. plur. n. da à*TD, à*"J@H, acqua; cf. Mc 1,8; compl. di moto a luogo. Senza
articolo perché generico.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
•B@8XF®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da •B`88L:4 (da •B` e la radice di Ð8ghD@H),
perdere, rovinare, distruggere, togliere di mezzo, sopprimere, uccidere; cf. Mc 1,24.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
•88z: (= •88V), cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però,
piuttosto, nondimeno; cf. Mc 1,44.
Mc 9,23 635

gÇ: (= gÆ), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché, qualora; cf. Mc 2,7.
La grafia gÇ compare davanti a una forma enclitica. La particella gÆ è qui usata per
introdurre una proposizione ipotetica, la protasi, la cui conseguenza è costituita dalla
proposizione reggente (detta apodosi). Ritroviamo questa costruzione in Mc 3,26; 4,23; 8,34;
9,22.23.35; 11,25; 13,20.22; 14,21.29.35.
J4: pron. indefinito (enclitico), acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\), un
certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; compl. oggetto.
*b<®: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere in
grado di; cf. Mc 1,40.
$@Zh0F@<: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da $@0hXT, aiutare, soccorrere, portare aiuto.
Questo verbo ricorre 8 volte nel NT: Mt 15,25; Mc 9,22.24; At 16,9; 21,28; 2Cor 6,2; Eb
2,18; Ap 12,16. Nella grecità il verbo $@0hXT è impiegato nel significato di «accorrere in
aiuto», «soccorrere», in contesti militari o di necessità varie (cf. Erodoto, Hist., 6,103,1;
Tucidide, Hist., 1,35,4; Euripide, Iph. Aul., 79). Nell’uso neotestamentario il verbo compare
all’imperativo in 5 ricorrenze, come accorata richiesta di aiuto rivolta a Gesù (cf. Mt 15,25;
Mc 9,22.24), a Paolo (cf. At 16,9) o agli Israeliti (cf. At 21,28).
º:Ã<: pron. personale di 1a pers. dat. plur. da º:gÃH (gen. º:ä<, dat. º:Ã<, acc. º:H), noi;
cf. Mc 1,24; compl. di termine. Da notare la forza del pronome personale plurale «noi»: la
sofferenza del padre si identifica con quella del figlio; entrambi stanno sperimentando la
stessa miseria. È una supplica che almeno inizialmente esprime anche dubbi e incertezze: la
richiesta è formulata, infatti, in forma ipotetica (proposizione condizionale), analogamente
a Mc 1,40 (guarigione di un lebbroso).
FB8"(P<4Fhg\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da FB8"(P<\.@:"4, essere commosso nelle
viscere, avere compassione; cf. Mc 1,41. Participio predicativo del soggetto sottinteso «tu»,
riferito a Gesù. Nei vangeli questo verbo è riferito soltanto a Gesù o a parabole che hanno
speciale rapporto con lui e nel resto del NT all’•(VB0 divina: il termine designa, dunque,
sia la compassione umana, sia la benevolenza divina di Gesù.
¦nz: (= ¦B\), prep. propria con valore di relazione, seguita dall’accusativo, indecl., a, per,
riguardo a, quanto a; cf. Mc 1,22.
º:H: pron. personale di 1a pers. acc. plur. da º:gÃH (gen. º:ä<, dat. º:Ã<, acc. º:H), noi;
cf. Mc 1,24; compl. di relazione. L’espressione «abbi pietà di noi» è resa in greco con il
verbo FB8"(P<\.T (muovere a compassione, avere pietà).

9,23 Ò *¥ z30F@ØH gÉBg< "ÛJès IÎ gÆ *b<®s BV<J" *L<"J Jè B4FJgb@<J4.


9,23 Gesù gli disse: «Questo “se puoi”! Tutto è possibile per chi crede!».

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
636 Mc 9,24

gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
I`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10; soggetto. Articolo con funzione
pronominale.
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7.
*b<®: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere in
grado di; cf. Mc 1,40. La frase iniziale è generalmente tradotta come una esclamativa («Se
tu puoi!») o una interrogativa («Se tu puoi?»). Stando al testo greco (JÎ gÆ *b<®) essa più
opportunamente deve essere esplicitata in forma diretta, da contrapporsi all’analoga
affermazione del padre. Questi si rivolge a Gesù, implorando: «Se tu puoi qualcosa, aiutaci!».
Gesù replica: «[Quanto a] Questo “se puoi”… [sappi che]: tutto è possibile per chi crede!».
BV<J": pron. indefinito, nom. plur. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; compl. oggetto.
*L<"JV: agg. qualificativo, nom. plur. n. da *L<"J`H, –Z, –`<, forte, potente, capace, possibile;
predicato nominale (sentenza gnomica, con ellissi di ¦FJ\< sottinteso). Il vocabolo ricorre
32 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 19,26; 24,24; 26,39; Mc 9,23;
10,27; 13,22; 14,35.36; Lc 1,49; 14,31; 18,27; 24,19. In Marco il vocabolo compare soltanto
nel significato verbale di [essere] «possibile», [essere] «capace», sull’esempio del greco
classico (cf. Erodoto, Hist., 9,111,1). La formula BV<J" *L<"JV («tutto è possibile») ritorna
in Mc 10,27; 14,36 in riferimento all’onnipotenza di Dio: dunque la fede del credente è
partecipazione di questa onnipotenza divina; Dio agisce in colui che ha fede. È la stessa fede
pronta e decisa che Gesù esige da quanti si rivolgono a lui (cf. Mc 2,5; 5,36; 6,5; 10,52;
11,22–24). In sostanza: Gesù fa capire che tutto dipende dalla fede del supplicante. Il
problema, infatti, non è che manchi la potenza di Gesù, ma che sia insufficiente la fede da
parte del richiedente (il padre del ragazzo). Le parole di Gesù («Tutto è possibile per chi
crede») non si riferiscono a lui stesso (in nessun passo dei vangeli si parla della fede di Gesù),
ma alla fede di colui che supplica ed equivalgono: «Posso fare tutto a favore di chi crede».
Sono una esortazione rivolta al padre del ragazzo e al tempo stesso alla comunità cristiana
(cf. Mc 11,22).
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B4FJgb@<J4: verbo, dat. sing. m. part. pres., di valore sostantivato, da B4FJgbT, credere, fidarsi
di, dare fiducia a; cf. Mc 1,15; compl. di termine.

9,24 gÛh×H iDV>"H Ò B"J¬D J@Ø B"4*\@L §8g(g<s A4FJgbT· $@Zhg4 :@L J±
•B4FJ\‘.
9,24 Subito il padre del fanciullo, gridando, disse: «Credo! Aiuta la mia mancanza di
fede!».
Mc 9,25 637

gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.


iDV>"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da iDV.T, gridare, strillare, schiamazzare; cf. Mc
3,11. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto B"JZD.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
B"JZD: sost., nom. sing. m. da B"JZD, B"JD`H, padre; cf. Mc 1,20; soggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
B"4*\@L: sost., gen. sing. n. da B"4*\@<, –@L (diminutivo di B"ÃH), bambino, bambina,
fanciullo, fanciulla, ragazzo, ragazza; cf. Mc 5,39; compl. di specificazione.
§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo («diceva», «continuava a
dire»), ma quello puntuale corrispondente a un aoristo («disse»). Per altri esempi di questo
imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24.26.30.41;
5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70; 15,12a.14.
A4FJgbT: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da B4FJgbT, credere, fidarsi di, dare fiducia a; cf. Mc
1,15.
$@Zhg4: verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. da $@0hXT, aiutare, soccorrere, portare aiuto; cf.
Mc 9,22.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»). Il pronome è posto, in forma enfatica, prima del sostantivo a cui si riferisce.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
•B4FJ\‘: sost., dat. sing. f. da •B4FJ\", –"H, infedeltà, incredulità; cf. Mc 6,6; compl. di
termine.

9,25 Æ*ã< *¥ Ò z30F@ØH ÓJ4 ¦B4FL<JDXPg4 ÐP8@Hs ¦BgJ\:0Fg< Jè B<gb:"J4 Jè


•i"hVDJå 8X(T< "ÛJès IÎ –8"8@< i" iTnÎ< B<gØ:"s ¦(ã ¦B4JVFFT
F@4s §>g8hg ¦> "ÛJ@Ø i"Â :0iXJ4 gÆFX8h®H gÆH "ÛJ`<.
9,25 Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito cattivo dicendogli:
«Spirito muto e sordo, io ti ordino: esci da lui e non vi rientrare più!».

Æ*f<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc 1,10.
Participio predicativo del soggetto z30F@ØH. Marco usa spesso il participio con un
significato temporale (cf. Mc 2,5.16; 5,6.22; 6,48.49; 7,2; 8,33; 9,20.25; 10,14; 12,34;
14,67.69; 15,39).
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
638 Mc 9,25

ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.


¦B4FL<JDXPg4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da ¦B4FL<JDXPT (da ¦B\ e FL<JDXPT),
accorrere, radunarsi, raggrupparsi. Hapax neotestamentario e, sembra, della lingua greca.
Presente storico. Questo verbo con doppia preposizione (cf. il più comune BD@FJDXPT in
Mc 9,15) è sconosciuto sia al greco classico, sia ai LXX.
ÐP8@H: sost., nom. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; soggetto. Senza
articolo perché generica.
¦BgJ\:0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦B4J4:VT (da ¦B\ e J4:VT), intimare,
ammonire, sgridare, rimproverare, proibire, ordinare severamente; cf. Mc 1,25. Nei casi
rigorosi di possessione demoniaca, come quello riferito in questa pericope, l’esorcismo
compiuto da Gesù si discosta da tutti quelli praticati nel mondo antico: egli non impone le
mani né usa incantesimi elaborati, formule magiche o oggetti religiosi e neppure prega Dio.
I demoni non vengono scacciati «nel nome» di qualcuno, diversamente dai cristiani
primitivi, i quali lo faranno nel nome di Gesù (cf. At 16,18; 19,13). Tutto quello che Gesù
fa è «minacciare» (¦B4J4:VT), «comandare» (¦B4JVFFT), «espellere» (¦i$V88T).
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B<gb:"J4: sost., dat. sing. n. da B<gØ:", –"J@H, alito, soffio, vento, spirito, Spirito; cf. Mc 1,8;
compl. di termine.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
•i"hVDJå: agg. qualificativo, dat. sing. n. da •iVh"DJ@H, –@< (da –8n" privativa e
i"h"\DT), non pulito, sporco, immondo, impuro; cf. Mc 1,23; attributo di B<gb:"J4.
8X(T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto z30F@ØH. L’uso di 8X(T
dopo i verbi cosiddetti dicendi («dire», «proclamare», «annunciare», «interrogare»,
«rispondere», «deliberare», ecc.), frequentissimo nel NT, è un ebraismo dovuto alla
traduzione servile della forma verbale 9J/!-F, le) ’mo) r, equivalente al gerundio «dicendo» e
impiegata per introdurre il discorso diretto, in sostituzione del segno grafico dei due punti (:),
inesistente in ebraico come in greco. Nelle traduzioni questa tipica forma può essere omessa.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
I`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
–8"8@<: agg. qualificativo, nom. sing. n. da –8"8@H, –@< (da –8n" privativa e 8"8XT), non
parlante, muto; cf. Mc 7,37; attributo di B<gØ:".
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
iTn`<: agg. qualificativo, nom. sing. n. da iTn`H, –Z, –`<, sordo; cf. Mc 7,32; attributo di
B<gØ:".
B<gØ:": sost., nom. sing. n. da B<gØ:", –"J@H, alito, soffio, vento, spirito, Spirito; cf. Mc 1,8;
compl. di vocazione. Anche se già nel greco classico il nominativo è attestato come forma
vocativa nei confronti di subalterni, l’uso del nominativo con l’articolo al posto del vocativo
Mc 9,26 639

è un semitismo, poiché in ebraico e aramaico il caso vocativo è reso dal nominativo con
l’articolo (cf. Mc 5,8.41; 9,25; 14,36; 15,34[x2]).
¦(f: pron. personale di 1a pers. nom. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc.
¦:X/:g), io, me; cf. Mc 1,8; soggetto. Il pronome non è pleonastico: Gesù comanda in nome
proprio, senza invocare il nome di Dio. Nei sinottici Gesù usa il pronome personale ¦(f
quando proferisce in tono solenne comandi, promesse o rassicurazioni con l’autorità che gli
deriva dalla sua missione divina (cf. Mt 5,22.28.32.34. 39. 44; 8,7; 10,16; 12,27; 14,27;
20,22; 21,27; 23,34; 26,39; 28,20; Mc 6,50; 9,25; 10,38[x2].39[x2]; 11,33; 14,36.58.62; Lc
8,46; 11,19.20; 16,9; 20,8; 21,15; 22,27.32.70; 24,39.49).
¦B4JVFFT: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da ¦B4JVFFT (da ¦B\ e JVFFT), comandare,
ordinare, imporre, incaricare; cf. Mc 1,27.
F@4: pron. personale di 2a pers. dat. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,11; compl. oggetto.
§>g8hg: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori,
uscire; cf. Mc 1,25. Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo composto viene
ripetuta davanti al successivo complemento indiretto, come qui e subito dopo; questo
fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56;
7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
¦>: (= ¦i), prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di moto da luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
:0iXJ4: (da :Z e §J4), avv. di negazione, indecl., non più, mai più, non oltre, neanche; cf. Mc
1,45.
gÆFX8h®H: verbo, 2a pers. sing. congiunt. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare,
venire dentro, recarsi, andare; cf. Mc 1,21.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4. Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo composto viene
ripetuta davanti al successivo complemento indiretto, come qui.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di moto a luogo.

9,26 i" iDV>"H i" B@88 FB"DV>"H ¦>­8hg<· i" ¦(X<gJ@ ñFg <giD`Hs òFJg
J@×H B@88@×H 8X(g4< ÓJ4 •BXh"<g<.
9,26 Gridando e dibattendosi violentemente uscì. Ed egli rimase come morto, tanto che tutti
dicevano: «È morto».

i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4.
iDV>"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da iDV.T, gridare, strillare, schiamazzare; cf. Mc
3,11. Participio predicativo del soggetto sottinteso B<gØ:". Da notare l’uso del nominativo
640 Mc 9,26

maschile, mentre il soggetto implicito B<gØ:" è neutro: ciò si spiega per il fatto che lo
«spirito» è concepito come un essere personale (stesso fenomeno in Mc 13,14).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
B@88V: agg. indefinito, acc. plur. n. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34. La forma B@88V è qui usata in modo avverbiale («molto», «grandemente», «intensamen-
te») e non quantitativo («molte cose»). Si tratta di una caratteristica di Marco (cf. Mc 1,45;
3,12; 5,10.23.26.38.43; 6,20.23; 8,31; 9,12.26; 15,3).
FB"DV>"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da FB"DVFFT (prolungamento di FB"\DT,
«afferrare» o di FBV@:"4, «lacerare», tramite l’idea di contrazione spasmodica), spaccare,
squarciare, lacerare; cf. Mc 1,26. Participio predicativo del soggetto sottinteso B<gØ:". Da
notare l’uso del nominativo maschile, mentre il soggetto implicito B<gØ:" è neutro: ciò si
spiega per il fatto che lo «spirito» è concepito come un essere personale (stesso fenomeno
in Mc 13,14). Il verbo FB"DVFFT, senza complemento, è da intendersi come verbo
intransitivo riferito al soggetto («spirito») e non come verbo transitivo avente come oggetto
il pronome "ÛJ`< sottinteso.
¦>­8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori, uscire;
cf. Mc 1,25.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦(X<gJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4.
ñFg\: (da ñH e gÆ), avv. di modo, indecl., come se, come, similmente. Il vocabolo ricorre 21
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 3,16; 9,36; 14,21; Mc 9,26
(hapax marciano); Lc 3,23; 9,14[x2].28; 22,41.44.59; 23,44; 24,11.
<giD`H: agg. qualificativo, nom. sing. m. da <giD`H, –V, –`<, morto; cf. Mc 6,14; predicato
nominale.
òFJg: cong. subordinativa di valore consecutivo, indecl., così che, cosicché, tanto che, al punto
che; cf. Mc 1,27.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
B@88@bH: pron. indefinito, acc. plur. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; soggetto della proposizione oggettiva costruita con il verbo infinito 8X(g4<.
L’espressione J@×H B@88@bH, lett. «i molti», è un semitismo (eb. .*v E9H%
I , ha) rabbîm) ed
equivale a «tutti, che erano molti», come avviene in Mc 1,34[x2]; 3,10; 6,2; 9,26; 10,31.45;
14,24 (vedi commento ad l.).
8X(g4<: verbo, inf. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc 1,7.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
•BXh"<g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •B@h<¯FiT (da •B` e h<¯FiT), morire, perire;
cf. Mc 5,35. I verbi usati sono estremamente significativi: «è morto…» (•B@h<ZFiT); «lo
risvegliò…» (¦(g\DT); «si alzò» (•<\FJ0:4): gli stessi tre verbi sono usati nel NT per
Mc 9,27–28 641

definire la morte e la risurrezione di Cristo, la radice di ogni liberazione dalla morte e dal
male (•B@h<ZFiT: Gv 12,33; 19,7; Rm 5,6; 8,34; 14,15; 1Cor 8,11; 15,3; Gal 2,21; 1Ts
4,14; 5,10; ¦(g\DT: Mt 16,21; 17,9; 26,32; 27,64; 28,6; Gv 2,22; At 3,15; Rm 4,24.25;
6,4.9; 7,4; 8,11.34; 10,9; 1Cor 6,14; 15,4.12.20; 2Cor 4,14; 5,15; Gal 1,1; Ef 1,20; 1Ts 1,10;
2Tm 2,8; •<\FJ0:4: Mc 8,31; 9,9.31; 16,9; Lc 24,7; At 2,24; 3,26; 10,41; 17,3; 1Ts 4,14).
Dunque nel nostro episodio si nasconde velatamente una allusione alla morte e risurrezione
di Gesù, come se Marco volesse dirci che la definitiva vittoria sul potere del male passa
attraverso la passione, morte e risurrezione di Cristo.

9,27 Ò *¥ z30F@ØH iD"JZF"H J­H Pg4DÎH "ÛJ@Ø ³(g4Dg< "ÛJ`<s i" •<XFJ0.
9,27 Ma Gesù, prendendogli la mano, lo sollevò ed egli si alzò in piedi.

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
iD"JZF"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da iD"JXT, tenere, prendere, afferrare, catturare;
cf. Mc 1,31. Participio predicativo del soggetto z30F@ØH.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
Pg4D`H: sost., gen. sing. f. da Pg\D, Pg4D`H, mano; cf. Mc 1,31; compl. oggetto. Qui come
altrove (cf. Mc 1,31.41; 3,1.3.5[x2]; 5,41; 7,32; 8,23; 9,27.43) l’articolo sta forse a indicare
la mano per eccellenza, ossia quella destra.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
³(g4Dg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦(g\DT, svegliare, alzare, sollevare, risorgere [i
morti] (trans.); svegliarsi, alzarsi, sollevarsi, risorgere [dai morti] (intr.); cf. Mc 1,31.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•<XFJ0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •<\FJ0:4 (da •<V e ËFJ0:4), sorgere, alzarsi,
sollevarsi, risorgere, risuscitare; cf. Mc 1,35.

9,28 i"Â gÆFg8h`<J@H "ÛJ@Ø gÆH @Éi@< @Ê :"h0J"Â "ÛJ@Ø i"Jz Æ*\"< ¦B0DfJT<
"ÛJ`<s ~?J4 º:gÃH @Ûi ²*L<Zh0:g< ¦i$"8gÃ< "ÛJ`p
9,28 Quando poi entrò in casa i suoi discepoli, in privato, gli domandarono: «Perché noi
non siamo riusciti a scacciarlo?».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


642 Mc 9,28

gÆFg8h`<J@H: verbo, gen. sing. m. part. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare,
venire dentro, recarsi, andare; cf. Mc 1,21. Participio al genitivo assoluto. Spesso la
preposizione posta come prefisso a un verbo composto viene ripetuta davanti al successivo
complemento indiretto, come qui; questo fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].25.26.42;
2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.
45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3. La frase gÆFg8h`<J@H "ÛJ@Ø appare nella forma
detta “genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore temporale.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
@Éi@<: sost., acc. sing. m. da @Éi@H, –@L, casa, abitazione; cf. Mc 2,1; compl. di moto a luogo.
Senza articolo perché la frase è stereotipa («andare a casa», «uscire da casa»), sottintendendo
la propria o quella abitualmente frequentata. Forse qui si tratta di quella di Pietro a Cafarnao
(cf. Mc 2,1).
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
:"h0J"\: sost., nom. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; soggetto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
i"Jz: (= i"JV), prep. propria di valore modale, seguita dall’accusativo, indecl., secondo, in
conformità a; cf. Mc 1,27.
Æ*\"<: agg. possessivo, acc. sing. f. da Ç*4@H, Æ*\", Ç*4@<, proprio, suo, personale, privato; cf.
Mc 4,34. In unione con i"JV (i"Jz Æ*\"<) corrisponde all’avverbio di modo «in
disparte», «in privato», «a parte», come nel greco classico ed ellenistico.
¦B0DfJT<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da ¦BgDTJVT (da ¦B\ e ¦DTJVT), richiedere,
domandare, interrogare; cf. Mc 5,9. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo
(«domandavano», «continuavano a domandare»), ma puntuale, corrispondente a un aoristo
(«domandarono»). Per altri esempi di questo imperfetto puntuale con il verbo ¦BgDTJVT
cf. Mc 5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33; 10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
~?J4: cong. subordinativa di valore interrogativo, indecl., perché?; cf. Mc 1,15. La congiunzione
ÓJ4 ha qui valore interrogativo, corrispondente all’ordinario J\ (neutro avverbiale), ma può
anche intendersi come una abbreviazione di J\ ÓJ4 o *4 J\ (= «perché?»). Stesso fenomeno
è presente in Mc 2,16; 9,11 (cf. 1Cr 17,6 = %/ I -A).
º:gÃH: pron. personale di 1 pers. nom. plur. da º:gÃH (gen. º:ä<, dat. º:Ã<, acc. º:H), noi;
a

soggetto. In posizione enfatica. La forma º:gÃH ricorre 127 volte nel NT rispetto alle 2583
ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 5 volte in
Mc 9,29 643

Matteo (corrispondente allo 0,027% del totale delle parole); 3 volte in Marco (cf. Mc 9,28;
10,28; 14,58 = 0,027%); 5 volte in Luca (0,026%); 18 volte in Giovanni (0,115%). Seguendo
l’uso classico il nominativo º:gÃH è qui impiegato soltanto come elemento di contrapposizio-
ne o di rilievo all’interno della frase.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
²*L<Zh0:g<: verbo, 1a pers. plur. ind. aor. pass. da *b<":"4, potere, essere capace di, essere
in grado di; cf. Mc 1,40.
¦i$"8gÃ<: verbo, inf. aor. da ¦i$V88T (da ¦i e $V88T), scacciare, mandare via, fare uscire,
espellere; cf. Mc 1,12.
"ÛJ`: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. n. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 4,4; compl. oggetto.

9,29 i"Â gÉBg< "ÛJ@ÃHs I@ØJ@ JÎ (X<@H ¦< @Û*g<Â *b<"J"4 ¦>g8hgÃ< gÆ :¬ ¦<
BD@FgLP±.
9,29 Egli rispose loro: «Questa specie non si può scacciare in alcun modo se non con la
preghiera».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
I@ØJ@: pron. dimostrativo, nom. sing. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 1,27;
attributo di (X<@H, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
(X<@H: sost., nom. sing. n. da (X<@H, –@LH, nascita, genere, stirpe, discendenza, nazionalità; cf.
Mc 7,26; soggetto. Il termine è qui usato nel senso dispregiativo di «specie», «razza». C’è una
sottile, ma evidente allusione alla (g<g –B4FJ@H di Mc 9,19: «questa genia» di spiriti
cattivi rinvia alla «generazione senza fede» stigmatizzata da Gesù.
¦<: prep. propria di valore modale, seguita dal dativo, indecl., in; cf. Mc 1,2.
@Û*g<\: (da @Û*X e gÍH), pron. indefinito negativo, dat. sing. n. da @Û*g\H, @Û*g:\", @Û*X<,
nessuno, niente; cf. Mc 2,21; compl. di modo.
*b<"J"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere
in grado di; cf. Mc 1,40.
¦>g8hgÃ<: verbo, inf. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori, uscire; cf. Mc 1,25.
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7. La particella gÆ è qui strettamente unita alla negazione per formare la
locuzione congiuntiva gÆ :Z, «tranne», «all’infuori», «eccetto», che introduce una
644 Mc 9,30

proposizione eccettuativa. La formula, generalmente usata senza un verbo seguente, si


ritrova in Mc 2,7.26; 5,37; 6,4.5.8; 8,14; 9,9.29; 10,18; 11,13; 13,32.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
¦<: prep. propria di valore strumentale, seguita dal dativo, indecl., con, per mezzo di; cf. Mc 1,2.
BD@FgLP±: sost., dat. sing. f. da BD@FgLPZ, –­H, preghiera; compl. di mezzo. Il vocabolo
ricorre 36 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 21,13.22; Mc 9,29;
11,17; Lc 6,12; 19,46; 22,45. Senza articolo perché si tratta non di una preghiera particolare,
ma di quella generica, dello spirito di orazione. Il sostantivo BD@FgLPZ è di formazione
ellenistica ed è impiegato in particolare nel greco biblico e negli scritti giudaici, dove assume
due diversi significati, anche se tra loro in relazione: a) «preghiera» come espressione di pietà
religiosa rivolta a Dio (cf. Is 56,7, LXX; Giuseppe Flavio, Bellum, 5,388); b) «luogo di
preghiera», ossia «santuario», «sinagoga» (cf. At 16,13; Giuseppe Flavio, Antiq., 14,258; Vita,
277.280.293). L’espressione ¦< BD@FgLP± è un esempio di ¦< strumentale dovuto a influsso
semitico: la preposizione greca traduce quella corrispondente ebraica (vA, be), impiegata per
esprimere non un complemento di luogo, ma di mezzo o strumento. Ritroviamo questo uso
particolare in Mc 1,8; 3,22.23; 4,2.11.24.30; 6,14; 9,29.38.50; 11,28.29.33; 12,1.36.38; 16,17.
Analogamente a quanto avviene per il verbo BD@FgbP@:"4, utilizzato quasi esclusivamente
nel significato di «pregare», «recitare preghiere», per lo più nella forma assoluta (cf. Mc
1,35), anche il sostantivo BD@FgLPZ è usato nel NT per indicare la preghiera (a Dio) in
senso generico. Per l’uso tecnico del vocabolo nel significato di «luogo di preghiera»,
«sinagoga», cf. At 16,13.

9,30 5•igÃhg< ¦>g8h`<JgH B"DgB@Dgb@<J@ *4 J­H '"848"\"Hs i" @Ûi ³hg8g<
Ë<" J4H (<@÷
9,30 Partiti di là attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che qualcuno lo sapesse.

5•igÃhg<: (= i"\ ¦igÃhg<, per crasi), avv. di luogo, indecl., da lì, di là. Il vocabolo ricorre 10
volte nel NT: Mc 9,30 (hapax marciano); Lc 11,53; At 7,14; 13,21; 14,26; 16,12; 20,15;
21,1; 27,4; 28,15. Per i"\ cf. Mc 1,4; per ¦igÃhg< cf. Mc 6,1.
¦>g8h`<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori,
uscire; cf. Mc 1,25. Participio predicativo del soggetto sottinteso «Gesù e i discepoli».
B"DgB@Dgb@<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. medio da B"D"B@Dgb@:"4 (da B"DV e
B@Dgb@:"4), procedere, andare oltre, attraversare, passare; cf. Mc 2,23. Imperfetto
durativo o iterativo.
*4V: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., per, attraverso, tra, lungo; cf. Mc
2,1.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
'"848"\"H: sost., nome proprio di regione, gen. sing. f. da '"848"\", –"H, Galilea; cf. Mc
1,9; compl. di moto per luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, però; cf. Mc 1,4. Il
significato avversativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ adversativum)
Mc 9,31 645

si riscontra in Mc 1,13c; 3,7b.12.33a; 4,17a.19a.27d; 5,19a; 6,19b.20d.33a; 7,24b.28b;


8,12.16.29.30; 9,12a.30.31c.42a; 10,34; 12,12b.17a; 16,8c.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
³hg8g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da hX8T, volere, avere il proposito di; cf. Mc 1,40.
Imperfetto durativo o iterativo.
Ë<": cong. subordinativa di valore completivo, indecl., di, che; cf. Mc 1,38. La congiunzione Ë<"
non ha qui il consueto valore finale, ma quello completivo (equivalente a ÓJ4 o ÓBTH): in
pratica introduce una proposizione infinitiva (cf. Mc 3,9a.12; 4,22a; 5,10.18.43; 6,8.12.25.56;
7,26.32.36; 8,22.30; 9,9.12.18.30; 10,35.37; 11,16; 13,34; 15,21).
J4H: pron. indefinito (enclitico), nom. sing. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; soggetto.
(<@Ã: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da (4<fFiT, percepire, sentire, conoscere, capire; cf.
Mc 4,13.

9,31 ¦*\*"Fig< (D J@×H :"h0JH "ÛJ@Ø i" §8g(g< "ÛJ@ÃH ÓJ4 {? LÊÎH J@Ø
•<hDfB@L B"D"*\*@J"4 gÆH PgÃD"H •<hDfBT<s i" •B@iJg<@ØF4< "ÛJ`<s
i" •B@iJ"<hgÂH :gJ JDgÃH º:XD"H •<"FJZFgJ"4.
9,31 Istruiva, infatti, i suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo sta per essere
consegnato nelle mani degli uomini i quali lo uccideranno; ma, anche se sarà ucciso,
dopo tre giorni risusciterà».

¦*\*"Fig<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da *4*VFiT, insegnare, istruire, ammaestrare;
cf. Mc 1,21. Imperfetto durativo o iterativo.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
:"h0JVH: sost., acc. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; compl. oggetto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Imperfetto durativo o iterativo, qui con valore fraseologico pleonastico.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
646 Mc 9,31

{?: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
LÊ`H: sost., nom. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; soggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•<hDfB@L: sost., gen. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di specificazione.
B"D"*\*@J"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. pass. da B"D"*\*T:4 (da B"DV e *\*T:4),
consegnare, rimettere, dare (qualcuno) nelle mani (di un altro), consegnare (qualcuno) al
potere (di un altro), tradire; cf. Mc 1,14. La prevalenza delle forme al futuro nella
predizione di Gesù colora con una sfumatura di futuro anche questo indicativo presente che
risale a un participio aramaico: «è consegnato» = «sta per essere consegnato», ossia «sarà
consegnato». Come già accennato (cf. Mc 1,14) questo verbo quando è riferito a Gesù ha un
significato tecnico, poiché assume il significato di una “consegna” in tema di passione e
morte; in tal senso Giuda «consegna» Gesù ai capi di Israele (cf. Mc 14,10), questi ultimi lo
«consegnano» a Pilato (cf. Mc 15,1), questi lo «consegna» alla croce (cf. Mc 15,15). In
ultima analisi è Dio stesso che «consegna» Gesù (cf. Mc 9,31; 10,33; 14,41), ecco perché
anche in questo caso si può parlare di passivo divino.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
PgÃD"H: sost., acc. plur. f. da Pg\D, Pg4D`H, mano; cf. Mc 1,31; compl. di moto a luogo.
L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è frequente nel
greco ellenistico. Questo fenomeno è ulteriormente accentuato nel greco biblico per
influenza semitica dello stato costrutto ebraico in cui il sostantivo che regge il genitivo è
sempre senza articolo. L’espressione B"D"*\*@J"4 gÆH PgÃD"H, «essere consegnato nelle
mani» di qualcuno, pur essendo usata nel greco classico per indicare l’abbandono di
qualcuno in potere di un altro (cf. Filone di Alessandria, Spec., 3,120), è presumibilmente di
stampo biblico. Nei LXX la frase assume il significato metaforico per indicare il potere ostile
al quale Israele viene consegnato da Dio (cf. Gdc 4,2; 6,1; 10,7; 2Re 21,14; Sal 106,41).
Stesso significato ritroviamo nel NT (cf. Mc 14,41; Lc 1,71.74; At 12,11; cf. «fuggire dalle
mani» in 2Cor 11,33).
•<hDfBT<: sost., gen. plur. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di specificazione. Quando il nome reggente è privo di articolo (come qui) anche il genitivo
dipendente ne è solitamente sprovvisto.
i"\: cong. coordinativa di valore pronominale, indecl., [che, il quale]; cf. Mc 1,4. Il significato
pronominale che può assumere la congiunzione i"\ (qui corrispondente al pronome relativo
@ËJ4<gH, «…i quali lo uccideranno») si ritrova in Mc 2,15e; 8,1; 9,4b.31b.
•B@iJg<@ØF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. da •B@iJg\<T (da •B` e iJg\<T), uccidere,
distruggere, far perire; cf. Mc 3,4.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, però; cf. Mc 1,4. Il significato
avversativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ adversativum) si riscontra
Mc 9,32 647

in Mc 1,13c; 3,7b.12.33a; 4,17a.19a.27d; 5,19a; 6,19b.20d.33a; 7,24b.28b; 8,12.16.29.30;


9,12a.30.31c.42a; 10,34; 12,12b.17a; 16,8c.
•B@iJ"<hg\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. pass. da •B@iJg\<T (da •B` e iJg\<T),
uccidere, distruggere, far perire; cf. Mc 3,4. Participio predicativo del soggetto LÊÎH J@Ø
•<hDfB@L. Il verbo acquista valore concessivo: «sebbene sia ucciso…».
:gJV: prep. propria di valore temporale, seguita dall’accusativo, indecl., dopo, dopo di; cf. Mc
1,13.
JDgÃH: agg. numerale, cardinale, acc. plur. f. da JDgÃH, JD\", –ä<, tre; cf. Mc 8,2; attributo di
º:XD"H. Per quanto riguarda l’uso linguistico dell’espressione «dopo tre giorni» (:gJ JDgÃH
º:XD"H), usata nelle predizioni che annunciano la morte del Figlio dell’uomo e la sua
risurrezione, cf. Mc 8,31.
º:XD"H: sost., acc. plur. f. da º:XD", –"H, giorno; cf. Mc 1,9; compl. di tempo determinato.
•<"FJZFgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. medio da •<\FJ0:4 (da •<V e ËFJ0:4), sorgere,
alzarsi, sollevarsi, risorgere, risuscitare; cf. Mc 1,35.

9,32 @Ê *¥ ²(<`@L< JÎ Õ­:"s i"Â ¦n@$@Ø<J@ "ÛJÎ< ¦BgDTJ­F"4.


9,32 Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli
spiegazioni.

@Ê: art. determ., con valore pronominale, nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5;
soggetto. Si tratta di @Ê :"h0J"\, ricordati in Mc 9,31. Uso pronominale dell’articolo,
corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc
1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
²(<`@L<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da •(<@XT (da –8n" privativa e <@XT), non
conoscere, ignorare, non capire. Imperfetto durativo o iterativo. Questo verbo ricorre 22
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mc 9,32 (hapax marciano); Lc 9,45.
Unitamente alla gamma lessicale corrispettiva (•(<`0:", –(<@4", •(<TF\", «ignoranza»;
–(<TFJ@H, «sconosciuto»), il verbo •(<@XT, che nel greco classico ha il significato del
profano «non conoscere», «non riconoscere», «non sapere» (cf. Omero, Od., 20,15; Platone,
Phaedr., 228a; Sofocle, Trach., 78), assume nel NT un significato marcatamente teologico,
in dipendenza dal giudaismo ellenistico per il quale il rifiuto (–(<@4") di Dio è una
colpevole ignoranza e segno caratteristico del paganesimo (cf. Test. Levi, 3,5; Test. Zab., 1,5).
L’incomprensione dei discepoli, qui ricordata a proposito della passione, morte e risurrezione
di Gesù, deve essere vista su questo sfondo: non si tratta di una ignoranza generica, di una
non conoscenza nozionistica (concetto greco), quanto di una incapacità a comprendere
(incomprensione teologica). I discepoli non sono ancora in grado di capire e accettare lo
scandalo della croce.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
Õ­:": sost., acc. sing. n. da Õ­:", ÕZ:"J@H, parola, discorso, detto, affermazione; compl.
oggetto. Il vocabolo ricorre 68 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 5
648 Mc 9,33

volte in Matteo (corrispondente allo 0,027% del totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc
9,32; 14,72 = 0,018%); 19 volte in Luca (0,098%); 12 volte in Giovanni (0,077%). Nel greco
classico Õ­:" indica l’oggetto del dire, assumendo il significato esclusivo di «parola»,
«detto» (cf. Erodoto, Hist., 6,65,4; Pindaro, Pyth., 4,277), «frase» (cf. Platone, Crat., 399b).
Nel greco biblico, tuttavia, Õ­:" può anche avere il significato di «cosa», «fatto» (cf. Lc
1,37, ecc.), poiché nei LXX tale termine traduce spesso il corrispettivo ebraico 9" I yI, da) ba) r.
Si tratta di un fenomeno che avviene anche per il vocabolo 8`(@H (cf. Mc 1,45). Non
sempre è facile distinguere se Õ­:" / 8`(@H debbano essere intesi nel significato classico
di «parola», «discorso», «comando» (come nelle due ricorrenze marciane) oppure in quello
semitico di «fatto», «avvenimento».
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦n@$@Ø<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. medio da n@$XT, mettere in fuga, scacciare,
spaventare (att.); fuggire, avere paura, temere (mediopass.); cf. Mc 4,41. Imperfetto
durativo o iterativo.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto. Il pronome è complemento oggetto
non di n@$X@:"4 (= «temevano lui»), ma del verbo seguente ¦BgDTJVT: «temevano di
interrogare lui».
¦BgDTJ­F"4: verbo, inf. aor. da ¦BgDTJVT (da ¦B\ e ¦DTJVT), richiedere, domandare,
interrogare; cf. Mc 5,9. Infinito completivo: assolve la funzione di complemento oggetto
diretto del verbo n@$X@:"4.

9,33 5" µ8h@< gÆH 5"n"D<"@b:. i" ¦< J± @Æi\‘ (g<`:g<@H ¦B0DfJ" "ÛJ@bHs
I\ ¦< J± Ò*è *4g8@(\.gFhgp
9,33 Giunsero intanto a Cafarnao. Quando fu in casa egli chiese loro: «Di che cosa
stavate discutendo lungo la via?».

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


µ8h@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
5"n"D<"@b:: sost., nome proprio di città, acc. sing. f., indecl., Cafarnao; cf. Mc 1,21; compl.
di moto a luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
@Æi\‘: sost., dat. sing. f. da @Æi\", –"H, casa, abitazione, dimora; cf. Mc 1,29; compl. di stato
in luogo.
Mc 9,34 649

(g<`:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4. Participio predicativo del soggetto sottinteso
z30F@ØH.
¦B0DfJ": verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da ¦BgDTJVT (da ¦B\ e ¦DTJVT), richiedere,
domandare, interrogare; cf. Mc 5,9. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo
(«domandava», «continuava a domandare»), ma puntuale, corrispondente a un aoristo
(«domandò»). Per altri esempi di questo imperfetto puntuale con il verbo ¦BgDTJVT cf. Mc
5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33; 10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
I\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24. L’uso di J\ con il valore di «perché?» viene
spiegato come una specie di accusativo di specificazione o di relazione («di che cosa?», «in
relazione a che?»); cf. Mc 2,7.8.24; 4,40; 5,35.39; 8,12.17; 9,16.33; 10,18; 11,3; 12,15; 14,6.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
Ò*è: sost., dat. sing. f. da Ò*`H, –@Ø, strada, via; cf. Mc 1,2; compl. di stato in luogo.
L’espressione ¦< J± Ò*è ricorre 6 volte in Marco (cf. Mc 8,3.27; 9,33.34; 10,32.52): non
indica soltanto un cammino fisico, un percorso geografico, ma soprattutto l’itinerario
spirituale che Gesù fa compiere ai discepoli. Si tratta della “via” di Gesù verso la sua
passione e morte, ma si tratta anche del “cammino” dei discepoli durante il quale saranno da
lui educati.
*4g8@(\.gFhg: verbo, 2a pers. plur. ind. imperf. medio da *4"8@(\.@:"4 (da *4V e
8@(\.@:"4), ragionare, esaminare, confrontare, deliberare, discutere; cf. Mc 2,6.
Imperfetto durativo o iterativo.

9,34 @Ê *¥ ¦F4fBT<· BDÎH •88Z8@LH (D *4g8XPh0F"< ¦< J± Ò*è J\H :g\.T<.
9,34 Ma essi tacevano. Per la strada, infatti, avevano discusso tra loro chi fosse il più
grande.

@Ê: art. determ., con valore pronominale, nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5;
soggetto; si tratta di @Ê :"h0J"\, ricordati al v. 31. Uso pronominale dell’articolo,
corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc
1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
¦F4fBT<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da F4TBVT, stare zitto, rimanere in silenzio, tacere;
cf. Mc 3,4. Imperfetto durativo o iterativo.
BD`H: prep. propria con valore locale (di persone), seguita dall’accusativo, indecl., dinanzi a, alla
presenza di, tra; cf. Mc 1,5.
650 Mc 9,35

•88Z8@LH: pron. reciproco, acc. plur. m. da •88Z8T< (genitivo plurale di –88@H, con
raddoppiamento), l’un l’altro, reciprocamente, a vicenda; cf. Mc 4,41; compl. di stato in
luogo.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
*4g8XPh0F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. pass. da *4"8X(@:"4 (da *4V e 8X(T),
conversare, dissertare, disputare, discutere. Questo verbo deponente ricorre 13 volte nel NT:
Mc 9,34 (hapax marciano); At 17,2.17; 18,4.19; 19,8.9; 20,7.9; 24,12.25; Eb 12,5; Gd 1,9.
In riferimento alla successione cronologica dei verbi (= consecutio temporum) l’aoristo ha
qui valore di piuccheperfetto, come avviene altrove (cf. Mc 3,10; 8,14; 9,34; 12,12[x2]). La
sfumatura filosofica e dialettica che il verbo ha nella grecità classica ed ellenistica è
totalmente assente nel greco biblico, dove il verbo ha il senso neutro di «conversare»,
«discutere». La frase BDÎH •88Z8@LH […] *4g8XPh0F"< ricorda *4g8@(\.@<J@ BDÎH
•88Z8@LH di Mc 8,16, sempre in riferimento ai Dodici.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
Ò*è: sost., dat. sing. f. da Ò*`H, –@Ø, strada, via; cf. Mc 1,2; compl. di stato in luogo.
J\H: pron. interrogativo, nom. sing. m. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?,
che?, quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; soggetto.
:g\.T<: agg. indefinito, di grado comparativo, nom. sing. m. da :X("H, :g(V80, :X(",
grande; cf. Mc 1,26; predicato nominale. Nelle lingue semitiche come nel greco ellenistico
il grado positivo o comparativo di un aggettivo, generalmente seguito dal genitivo, è spesso
usato con valore di superlativo relativo o assoluto, come qui: «il più grande», non in senso
assoluto, ma relativamente al gruppo dei Dodici. Per altri esempi di questo fenomeno cf. Mc
4,31; 10,43; 12,40. Per il grado positivo al posto del comparativo cf. Mc 9,42.43.45.47;
14,21. Il pronome "ÛJä<, «di essi», è sottinteso (cf. Lc 9,46: :g\.T< "ÛJä<).

9,35 i"Â i"h\F"H ¦nf<0Fg< J@×H *f*gi" i"Â 8X(g4 "ÛJ@ÃHs gÇ J4H hX8g4 BDäJ@H
gÉ<"4s §FJ"4 BV<JT< §FP"J@H i"Â BV<JT< *4Vi@<@H.
9,35 Allora si sedette, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo sia
l’ultimo di tutti e il servo di tutti».

i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4.
i"h\F"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da i"h\.T, sedere, sedersi, assidersi. Questo verbo
ricorre 46 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 8 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,044% del totale delle parole); 8 volte in Marco (cf. Mc 9,35; 10,37.40;
11,2.7; 12,41; 14,32; 16,19 = 0,071%); 7 volte in Luca (0,036%); 3 volte in Giovanni
(0,019%). Participio predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso z30F@ØH.
Analogamente all’uso neotestamentario i verbi i"h\.T e iVh0:"4, sebbene di diversa
etimologia, sono impiegati da Marco come sinonimi per esprimere due significati
fondamentali: a) il più delle volte sono usati in senso letterale proprio per descrivere la
Mc 9,35 651

posizione fisica dello stare seduti, per terra o su un supporto; b) in senso traslato esprimono
l’essere seduto come segno di potere, dignità e autorità (cf. Mc 10,37.40; 12,36; 14,62;
16,19). Qui il verbo ricorre non tanto come ricordo storico, quanto come espediente
redazionale per descrivere Gesù nel tipico atteggiamento del maestro (cf. Mc 4,1; 9,35; 13,3;
cf. anche Mt 5,1; 13,1; Lc 5,3; Gv 8,2).
¦nf<0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da nT<XT, chiamare, gridare; cf. Mc 1,26.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
*f*gi": agg. numerale, cardinale, acc. plur. m., indecl., dodici, Dodici (apostoli); cf. Mc 3,14;
compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. La formula redazionale 8X(g4
"ÛJ@ÃH ricorre 25 volte, esclusivamente riservata a Gesù (cf. Mc 1,38; 2,8.17.25; 3,4;
4,13.35; 5,39; 6,31.38.50; 7,18; 8,17; 9,35; 10,11.24.42; 11,2.22.33; 12,16; 14,13.27.34.41).
Per quanto riguarda la formula singolare 8X(g4 "ÛJè, avente come soggetto Gesù, cf. Mc
1,41.44; 2,14; 5,9.19; 7,34; per 8X(g4 "ÛJ± cf. Mc 5,41.
gÇ: (= gÆ), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché, qualora; cf. Mc 2,7.
La grafia gÇ compare davanti a una forma enclitica. La particella gÆ è qui usata per
introdurre una proposizione ipotetica, la protasi, la cui conseguenza è costituita dalla
proposizione reggente (detta apodosi). Ritroviamo questa costruzione in Mc 3,26; 4,23; 8,34;
9,22.23.35; 11,25; 13,20.22; 14,21.29.35.
J4H: pron. indefinito (enclitico), nom. sing. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; soggetto.
hX8g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da hX8T, volere, avere il proposito di; cf. Mc 1,40.
BDäJ@H: agg. numerale, ordinale, nom. sing. m. da BDäJ@H, –0, –@<, primo, principale; cf. Mc
3,27; predicato nominale. Il vocabolo BDäJ@H compare nel greco classico con tre accezioni
fondamentali: a) significato spaziale, per indicare l’anteriore o ciò che sta davanti rispetto al
posteriore o ciò che sta dietro (cf. Omero, Il., 15,340); b) significato temporale, per indicare
il primo in ordine di tempo rispetto al secondo o al successivo (cf. Erodoto, Hist., 7,168,1);
c) significato gerarchico, per indicare il primo (ossia il più importante, il più nobile, ecc.)
rispetto al rango, al grado o al valore che viene predicato a qualcuno o a qualcosa (cf. Omero,
Od., 6,60; Tucidide, Hist., 6,28,1). Nel NT il significato spaziale di BDäJ@H si ritrova
soltanto in Eb 9,2.6.8, mentre prevale l’accezione di «primo» in riferimento al tempo, a una
successione, a una numerazione o a una serie (significati b e c). Nel nostro passo BDäJ@H
deve essere inteso in senso qualitativo o gerarchico, corrispondente a «il più importante»,
come avviene in Mc 6,21; 9,35; 10,31[x2].44; 12,28.
gÉ<"4: verbo, inf. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc 1,6.
§FJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. medio da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente;
cf. Mc 1,6. Il tempo futuro ha qui valore di imperativo per influsso semitico.
652 Mc 9,36

BV<JT<: pron. indefinito, gen. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; compl. di specificazione.
§FP"J@H: agg. qualificativo, di grado superlativo, con valore sostantivato, nom. sing. m. da
§FP"J@H, –0, –@<, estremo, ultimo, infimo; soggetto. Il vocabolo ricorre 52 volte nel NT.
La distribuzione nei vangeli è la seguente: 10 volte in Matteo (corrispondente allo 0,055%
del totale delle parole); 5 volte in Marco (cf. Mc 9,35; 10,31[x2]; 12,6.22 = 0,044%); 6 volte
in Luca (0,031%); 7 volte in Giovanni (0,045%). Apodosi. L’assenza dell’articolo è dovuta
a influsso dello stato costrutto ebraico. L’aggettivo §FP"J@H è usato nel greco classico con
tre accezioni: a) «estremo», «lontano», con significato spaziale (cf. Omero, Il., 10,434; Od.,
1,23; Sofocle, Elect., 900; b) «estremo», «culminante», con significato modale, detto di realtà
astratte, situazioni, ecc. (cf. Platone, Prot., 354b; Erodoto, Hist., 8,52,1; Sofocle, Antig., 853);
c) «ultimo», con significato temporale (cf. Sofocle, Antig., 599). Nel NT il termine §FP"J@H
esprime la conclusione irrevocabile di una serie: un oggetto (cf. Mt 5,26), una realtà spaziale
(cf. At 1,8), una indicazione temporale (cf. Mc 11,6.22).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BV<JT<: pron. indefinito, gen. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; compl. di specificazione.
*4Vi@<@H: sost., nom. sing. m. da *4Vi@<@H, –@L, servo, «diacono»; soggetto. Il vocabolo
ricorre 29 volte nel NT: Mt 20,26; 22,13; 23,11; Mc 9,35; 10,43; Gv 2,5.9; 12,26; Rm
13,4[x2]; 15,8; 16,1; 1Cor 3,5; 2Cor 3,6; 6,4; 11,15[x2].23; Gal 2,17; Ef 3,7; 6,21; Fil 1,1;
Col 1,7.23.25; 4,7; 1Tm 3,8.12; 4,6. L’assenza dell’articolo è dovuta a influsso dello stato
costrutto ebraico. Il vocabolo è qui usato nel significato più ampio di «servitore», come
avviene nel greco classico (cf. Erodoto, Hist., 4,71,4; Sofocle, Phil., 497), ossia di colui che
espleta un servizio, non necessariamente limitato alla mensa. Questo capovolgimento del
concetto umano di grandezza non è soltanto un insegnamento teorico, una metafora del
servizio: lo stesso predicatore (Gesù) si mette a servire i discepoli (cf. Lc 22,27; Gv 13),
dimostrando così di essere venuto «non per essere servito, ma per servire» (cf. Mc 10,45).
Ciò che vale per Cristo in persona, il Maestro, diventa comandamento fondamentale per tutti
i discepoli.

9,36 i"Â 8"$ã< B"4*\@< §FJ0Fg< "ÛJÎ ¦< :XFå "ÛJä< i"Â ¦<"(i"84FV:g<@H
"ÛJÎ gÉBg< "ÛJ@ÃHs
9,36 E, preso un bambino, lo mise in mezzo a loro, lo abbracciò e disse loro:

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


8"$f<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da 8":$V<T, prendere, afferrare, raccogliere, ricevere;
cf. Mc 4,16. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH.
B"4*\@<: sost., acc. sing. n. da B"4*\@<, –@L (diminutivo di B"ÃH), bambino, bambina,
fanciullo, fanciulla, ragazzo, ragazza; cf. Mc 5,39; compl. oggetto.
§FJ0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ËFJ0:4, stare, durare, perdurare, fissare, mettere;
cf. Mc 3,24.
Mc 9,37 653

"ÛJ`: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. n. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 4,4; compl. oggetto.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
:XFå: sost., dat. sing. n. da :XF@H, –@L, medio, mezzo; cf. Mc 3,3; compl. di stato in luogo. La
locuzione avverbiale ¦< :XFå, «in mezzo» (cf. Mc 6,47; 9,36) corrisponde alle analoghe
formule gÆH JÎ :XF@< (cf. Mc 3,3) e gÆH :XF@< (cf. Mc 14,60).
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦<"(i"84FV:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. aor. medio da ¦<"(i"8\.@:"4 (da ¦< e
•(iV80), abbracciare, prendere tra le braccia. Questo verbo deponente ricorre 2 volte nel
NT: Mc 9,36; 10,16. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH. Nella grecità il
verbo ¦<"(i"8\.@:"4 viene usato sia nel significato di «portare in braccio» sia in quello
di «abbracciare» (cf. Plutarco, Cam., 5,2,5; Diodoro Siculo, Bibl., 3,58,3). Nel mondo
giudaico i rabbini prendevano i bambini sulle loro braccia al fine di benedirli. Anche sul
piccolo Gesù fu compiuto questo gesto, quando l’anziano Simeone «lo prese tra le sua
braccia» (… ¦*X>"J@ "ÛJÎ gÆH JH •(iV8"H: Lc 2,28).
"ÛJ`: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. n. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 4,4; compl. oggetto.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.

9,37 ?H —< «< Jä< J@4@bJT< B"4*\T< *X>0J"4 ¦B Jè Ï<`:"J\ :@Ls ¦:¥ *XPgJ"4·
i" ÔH —< ¦:¥ *XP0J"4s @Ûi ¦:¥ *XPgJ"4 •88 JÎ< •B@FJg\8"<JV :g.
9,37 «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome accoglie me e chi accoglie me non
accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

?H: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2; soggetto.
–<: partic. modale di valore dubitativo, eventuale o condizionale, indecl., [se, e se, caso mai,
qualora, eventualmente]; cf. Mc 3,29.
«<: agg. numerale, cardinale, acc. sing. n. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; compl. oggetto.
L’uso del numero cardinale gÍH al posto del pronome indefinito J\H, «uno», «qualcuno» o
dell’articolo indeterminativo «uno», soprattutto nelle espressioni partitive, è un semitismo.
Ritroviamo questo fenomeno in Mc 5,22; 6,15; 8,28; 9,17.37.42; 10,17.37[x2]; 12,28.42;
13,1; 14,10.18.20.43.47.66.
Jä<: art. determ., gen. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
654 Mc 9,37

J@4@bJT<: agg. indefinito, gen. plur. n. da J@4@ØJ@H, J@4"bJ0, J@4@ØJ@, simile, tale, di questo
tipo; cf. Mc 4,33; attributo di B"4*\T<.
B"4*\T<: sost., gen. plur. n. da B"4*\@<, –@L (diminutivo di B"ÃH), bambino, bambina,
fanciullo, fanciulla, ragazzo, ragazza; cf. Mc 5,39; compl. di specificazione.
*X>0J"4: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. medio da *XP@:"4, ricevere, accogliere, ospitare;
cf. Mc 6,11. Questa accoglienza nel NT è spesso collegata a Gesù, al suo messaggio e a colui
che lo ha mandato, ossia al Padre. Qui i bambini sono equiparati ai discepoli di Mc 6,11: chi
accoglie i discepoli accoglie il Maestro (Gesù) e colui che lo ha inviato (Dio Padre). Tale
concatenamento di incarichi si colloca nell’ambito del diritto semitico che tutelava il
messaggero poiché lo identificava con l’inviante. Si tratta di un esempio di «detti gnomici»
di Gesù, introdotti dal pronome indefinito nella forma «chi…», «chiunque…», «colui che…»,
«se qualcuno…», ecc., il cui scopo è quello di mettere in evidenza le caratteristiche della
sequela. Ritroviamo questa tipica costruzione in Mc 3,35 («chi compie la volontà di Dio…»),
Mc 6,11 (chi non accoglie i Dodici), Mc 9,37 («chi accoglie un bambino…»), Mc 9,40 («chi
non è contro di noi è per noi»), Mc 9,42 («chi scandalizza uno dei piccoli…»), Mc 10,11
(«chi divorzia dalla moglie…»), Mc 10,29 («chi lascia casa, fratelli, sorelle…»), Mc 10,43
(«chi vuole essere il più grande…»), Mc 11,23 («chi dice a questo monte…»).
¦B\: prep. propria di valore modale, seguita dal dativo, indecl., in; cf. Mc 1,22.
Jè: art. determ., dat. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
Ï<`:"J\: sost., dat. sing. n. da Ð<@:", –:"J@H, nome; cf. Mc 3,16; compl. di modo. Nel
vangelo di Marco l’espressione «nel mio/tuo nome» in riferimento a Gesù compare nelle
seguenti formule: ¦BÂ Jè Ï<`:"J4 (Mc 9,37.39; 13,6), ¦< Jè Ï<`:"J4 (Mc 9,38; 16,17),
¦< Ï<`:"J4 (Mc 9,41), *4 JÎ Ð<@:" (Mc 13,13). Sono assenti altre analoghe espressioni
che, invece, compaiono nel resto del NT, sempre in riferimento a Gesù: gÆH [JÎ] Ð<@:" (Mt
28,19; Gv 1,12; 2,23; 3,18; At 8,16; 19,5; 1Gv 5,13); ßB¥D J@Ø Ï<`:"J@H (At 5,41; 9,16;
15,26; 21,13; Rm 1,5; 3Gv 1,7); BDÎH JÎ Ð<@:" (At 26,9). Dal punto di vista linguistico
si deve osservare che la grecità non conosce l’espressione ¦< Jè Ï<`:"J4 seguita dal
genitivo della persona alla quale si fa riferimento. Rara è anche la forma ¦BÂ Jè Ï<`:"J4
[J4<@H], ossia «invocando il nome» di qualcuno (cf. Demostene, Or., 20,126, «facendo il
nome» di qualcuno (cf. Luciano, Pisc., 15,15). In epoca ellenistica si assiste a un cambiamen-
to di significato di certe locuzioni preposizionali: nei papiri ¦< [Jè] Ï<`:"J4 è una formula
burocratica usata nell’ufficio del catasto con il significato di «sotto il nome» di qualcuno;
analogo significato si riscontra per la formula ¦BÂ [Jè] Ï<`:"J4, usata per indicare i diritti
o i doveri che sono legati «al nome» di un tale o qualche operazione effettuata «sotto il
nome» di qualcuno. Nei papiri magici la divinità agisce *4 JÎ Ð<@:", «a motivo del
nome», «in forza del nome». Nei LXX la formula ¦B\ ed ¦< [Jè] Ï<`:"J4, che traduce il
corrispettivo ebraico .– F vA, beše)m, si equivale e può avere sostanzialmente un doppio
significato: a) «facendo / invocando / pronunciando il nome» di qualcuno; b) «a nome di»,
«per incarico di», «da parte di». In base a questa oscillazione di significati, in parte diversi tra
loro, non è facile precisare esattamente come debba essere tradotta nel NT la formula ¦< Jè
Ï<`:"J4 (20 ricorrenze), ¦< Ï<`:"J4 (8 ricorrenze) ed ¦BÂ Jè Ï<`:"J4 (12 ricorrenze).
Si deve notare, anzitutto, che si tratta di una formula cristologica, poiché, eccetto Gv 5,43
Mc 9,37 655

(«…se un altro venisse nel proprio nome…») e Lc 1,59 («…nel nome di suo padre,
Zaccaria») essa è riferita 29 volte a Gesù / Cristo (cf. Mt 18,5; 24,5; Mc 9,37.38.39.41; 13,6;
Lc 10,17; 24,47; Gv 14,13.14; 16,23.24.26; At 2,38; 3,6; 4,17.18; 5,28.40; 9,27; 10,48; 1Cor
5,4; 6,11; Fil 2,10; Ef 5,20; 2Ts 3,6; 1Pt 4,14), 7 volte al generico Signore (cf. Mt 21,9;
23,39; Mc 11,9; Lc 19,38; At 9,28; Gc 5,10.14), 3 volte a Dio Padre (cf. Gv 5,43; 10,25;
17,12). A seconda del contesto l’espressione assume una doppia sfumatura: a) generalmente
significa «invocando il nome di», «facendo il nome di», «richiamandosi al nome di». Altrove
significa «da parte di», «per incarico di», «con l’autorità di», «per volontà di», «con la forza
di». Sovente, però, è difficile determinare il senso preciso della formula, come nel caso di Mc
9,41, anche perché dobbiamo sempre supporre una base semitica di tale locuzione. Nella
nostra ricorrenza, tenendo presente la particolare valenza che assume il termine Ð<@:", la
locuzione potrebbe significare «al mio posto», «in vece mia», «come se fossi io stesso».
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).
¦:X: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; compl. oggetto. La forma ¦:X ricorre 90 volte nel NT rispetto alle 2583 ricorrenze
totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 9 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,049% del totale delle parole); 5 volte in Marco (cf. Mc 9,37[x3].42;
14,7 = 0,044%); 9 volte in Luca (0,046%); 41 volte in Giovanni (0,262%).
*XPgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da *XP@:"4, ricevere, accogliere, ospitare; cf.
Mc 6,11.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
ÓH: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2; soggetto.
–<: partic. modale di valore dubitativo, eventuale o condizionale, indecl., [se, e se, caso mai,
qualora, eventualmente]; cf. Mc 3,29.
¦:X: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 9,37; compl. oggetto.
*XP0J"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da *XP@:"4, ricevere, accogliere, ospitare; cf.
Mc 6,11.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
¦:X: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 9,37; compl. oggetto.
*XPgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da *XP@:"4, ricevere, accogliere, ospitare; cf.
Mc 6,11.
•88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno; cf. Mc 1,44.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
656 Mc 9,38

•B@FJg\8"<JV: verbo, acc. sing. m. part. aor., di valore sostantivato, da •B@FJX88T (•B` e
FJX88@:"4), inviare, mandare; cf. Mc 1,2; compl. oggetto.
:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,40; compl. oggetto.

9,38 }+n0 "ÛJè Ò z3TV<<0Hs )4*VFi"8gs gÇ*@:X< J4<" ¦< Jè Ï<`:"J\ F@L
¦i$V88@<J" *"4:`<4"s i"Â ¦iT8b@:g< "ÛJ`<s ÓJ4 @Ûi ²i@8@bhg4 º:Ã<.
9,38 Giovanni gli disse: «Maestro, abbiamo visto un tale che scacciava demoni servendosi
del tuo nome e glielo abbiamo vietato perché non era uno dei nostri».

}+n0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da n0:\, dichiarare, dire, affermare; cf. Mc 9,12. La
forma verbale può essere intesa anche come 3a pers. sing. ind. imperf.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z3TV<<0H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z3TV<<0H, –@L, Giovanni; cf. Mc
1,19; soggetto.
)4*VFi"8g: sost., voc. sing. m. da *4*VFi"8@H, –@L, maestro, insegnante; cf. Mc 4,38;
compl. di vocazione.
gÇ*@:X<: verbo, 1a pers. plur. ind. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc
1,10.
J4<": pron. indefinito (enclitico), acc. sing. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; compl. oggetto.
¦<: prep. propria di valore strumentale, seguita dal dativo, indecl., con, per mezzo di; cf. Mc 1,2.
Jè: art. determ., dat. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
Ï<`:"J\: sost., dat. sing. n. da Ð<@:", –:"J@H, nome; cf. Mc 3,16; compl. di mezzo. Molto
probabilmente l’espressione precedente ¦BÂ Jè Ï<`:"J\ :@L (Mc 9,37) ha fornito
all’evangelista il richiamo per inserire a questo punto il nuovo episodio. L’espressione ¦< Jè
Ï<`:"J\ è un esempio di ¦< strumentale dovuto a influsso semitico: la preposizione greca
traduce quella corrispondente ebraica (vA, be), impiegata per esprimere non un complemento
di luogo, ma di mezzo o strumento. Ritroviamo questo uso particolare in Mc 1,8; 3,22.23;
4,2.11.24.30; 6,14; 9,29.38.50; 11,28.29.33; 12,1.36.38; 16,17. Qui la frase «nel tuo nome»
significa «servendosi del tuo nome», ossia «pronunciando il tuo nome»: la preposizione ¦<
deve essere intesa non come semplice preposizione strumentale, ma in senso pieno, con
l’implicazione del “nome” di Gesù che veniva pronunciato nell’atto dell’esorcismo. Lo stesso
uso del nome viene ricordato negli Atti degli Apostoli, dove gli apostoli operano delle
guarigioni «nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno» (cf. At 3,6; 4,10; cf. anche Mc 9,34).
Altrettanto cercano di fare alcuni esorcisti ambulanti giudei i quali «provarono a invocare
anch’essi il nome del Signore Gesù sopra quanti avevano spiriti cattivi» (At 19,13).
Mc 9,39 657

F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
¦i$V88@<J": verbo, acc. sing. m. part. pres. da ¦i$V88T (da ¦i e $V88T), scacciare,
mandare via, fare uscire, espellere; cf. Mc 1,12. Participio predicativo del complemento
oggetto J4<".
*"4:`<4": sost., acc. plur. n. da *"4:`<4@<, –@L, demonio, spirito cattivo; cf. Mc 1,34; compl.
oggetto. Senza articolo perché generici.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦iT8b@:g<: verbo, 1a pers. plur. ind. imperf. da iT8bT, impedire, negare, proibire. Questo
verbo ricorre 23 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 19,14; Mc
9,38.39; 10,14; Lc 6,29; 9,49.50; 11,52; 18,16; 23,2. Imperfetto di conato («de conatu»): si
usa questo imperfetto per indicare una azione desiderata o tentata, ma non portata a
realizzazione; altri esempi in Mc 6,48; 14,51; 15,23. Il verbo iT8bT è usato nella grecità
nel significato base di «impedire», «ostacolare», «vietare» (cf. Euripide, Alc., 897; Tucidide,
Hist., 6,91,7; Sofocle, Phil., 1241).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore causale, indecl., poiché, perché, siccome; cf. Mc 1,15.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
²i@8@bhg4: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da •i@8@LhXT, seguire, accompagnare, mettersi
dietro; cf. Mc 1,18. Imperfetto durativo o iterativo.
º:Ã<: pron. personale di 1a pers. dat. plur. da º:gÃH (gen. º:ä<, dat. º:Ã<, acc. º:H), noi;
cf. Mc 1,24; compl. di termine.

9,39 Ò *¥ z30F@ØH gÉBg<s 9¬ iT8bgJg "ÛJ`<. @Û*gÂH (VD ¦FJ4< ÔH B@4ZFg4


*b<":4< ¦BÂ Jè Ï<`:"J\ :@L i"Â *L<ZFgJ"4 J"P× i"i@8@(­F"\ :g·
9,39 Ma Gesù rispose: «Non glielo proibite! Non c’è nessuno, infatti, che faccia un
miracolo servendosi del mio nome e subito dopo possa parlare male di me.

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
9Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
658 Mc 9,40

iT8bgJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da iT8bT, impedire, negare, proibire; cf. Mc
9,38. L’imperativo presente negativo esprime una proibizione forte e protratta nel tempo che
non ammette eccezioni (cf. Mc 5,36; 9,39; 10,9.14; 13,7.11.21; 16,6). Il comando di Gesù
è una norma valida per tutti e sempre. Con essa Gesù ordina ai Dodici di non impedire a
nessuno di compiere il bene in suo nome, anche se non è un esplicito discepolo.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
@Û*g\H: (da @Û*X e gÍH), pron. indefinito negativo, nom. sing. m. da @Û*g\H, @Û*g:\", @Û*X<,
nessuno, niente; cf. Mc 2,21; soggetto.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
ÓH: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2; soggetto.
B@4ZFg4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere, compiere;
cf. Mc 1,3. I due futuri B@4ZFg4 e *L<ZFgJ"4 corrispondono per influsso semitico al tempo
presente. Nella traduzione italiana è preferibile il modo congiuntivo.
*b<":4<: sost., acc. sing. f. da *b<":4H, –gTH, forza, potenza, potere, miracolo; cf. Mc 5,30;
compl. oggetto. Senza articolo perché generico.
¦B\: prep. propria di valore strumentale, seguita dal dativo, indecl., con, per mezzo di; cf. Mc
1,22.
Jè: art. determ., dat. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
Ï<`:"J\: sost., dat. sing. n. da Ð<@:", –:"J@H, nome; cf. Mc 3,16; compl. di mezzo.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
*L<ZFgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere
in grado di; cf. Mc 1,40.
J"Pb: avv. di tempo, indecl., subito, rapidamente, velocemente. Il vocabolo ricorre 13 volte nel
NT: Mt 5,25; 28,7.8; Mc 9,39 (hapax marciano); Lc 15,22; Gv 11,29; Gc 1,19; Ap 2,16;
3,11; 11,14; 22,7.12.20.
i"i@8@(­F"\: verbo, inf. aor. da i"i@8@(XT (da i"i`H e 8`(@H), parlare male di,
ingiuriare, maledire; cf. Mc 7,10.
:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,40; compl. oggetto.

9,40 ÔH (D @Ûi §FJ4< i"hz º:ä<s ßB¥D º:ä< ¦FJ4<.


9,40 Chi, infatti, non è contro di noi è per noi.
Mc 9,40 659

ÓH: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2; soggetto.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
§FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
i"hz: (= i"JV), prep. propria di valore avversativo, seguita dal genitivo, indecl., contro; cf. Mc
1,27.
º:ä<: pron. personale di 1a pers. gen. plur. da º:gÃH (gen. º:ä<, dat. º:Ã<, acc. º:H), noi;
compl. di svantaggio. La forma º:ä< ricorre 402 volte nel NT rispetto alle 2583 ricorrenze
totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 13 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,071% del totale delle parole); 6 volte in Marco (cf. Mc 9,40[x2];
11,10; 12,7.11.29 = 0,053%); 19 volte in Luca (0,098%); 12 volte in Giovanni (0,083%).
ßBXD: prep. propria con valore di vantaggio, seguita dal genitivo, indecl., per, a favore di.
Questa preposizione ricorre 150 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 5
volte in Matteo (corrispondente allo 0,027% del totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc
9,40; 14,24 = 0,018%); 5 volte in Luca (0,026%); 13 volte in Giovanni (0,083%). Nella
stragrande maggioranza delle ricorrenze neotestamentarie la preposizione ßBXD è costruita
con il genitivo nel significato classico di «per», «a favore di» (complemento di vantaggio) o
«al posto di» (complemento di sostituzione). Altrove la preposizione, sempre seguita dal
genitivo, può assumere il significato di argomento o di relazione corrispondente a «riguardo
a», «in quanto a» (cf. Gv 1,30; Rm 9,27; 2Cor 1,7.8.11; 5,12; 7,4.14; 8,23.24; 9,2; 12,5; 2Ts
1,4; 2,1) oppure quello causale equivalente a «per», «a motivo di», «a causa di» (cf. At 9,16;
21,13; Rm 15,9; 1Cor 10,30; 2Cor 1,11; 12,8.10; Ef 5,20; Fil 1,29; 2Ts 1,5). Il significato
spaziale «al di sopra», «al di là», che pure ricorre nel greco classico (cf. Erodoto, Hist.,
7,115,2), è reso negli scritti neotestamentari con ßBXD seguita dall’accusativo e soltanto in
pochi passi (cf. Ef 1,22; 1Cor 4,6; 10,13; 2Cor 1,8; 12,6; Flm 1,21). Dopo forme comparative
di maggioranza, come un aggettivo o un avverbio, ßBXD, sempre unita all’accusativo, può
svolgere la stessa funzione della particella ³ nel significato «che», «di», «rispetto a»,
«superiore a» (cf. Mt 10,37; Lc 6,40; 16,8; Gal 1,14; 2Cor 12,13; Ef 3,20; Fil 2,9; Flm 1,16;
Eb 4,12). Per quanto riguarda l’uso “teologico” di ßBXD negli enunciati riguardanti il valore
espiatorio della morte di Gesù vedi commento a Mc 14,24.
º:ä<: pron. personale di 1a pers. gen. plur. da º:gÃH (gen. º:ä<, dat. º:Ã<, acc. º:H), noi;
cf. Mc 9,40; compl. di vantaggio.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Si tratta di un esempio di «detti gnomici» di Gesù, introdotti dal pronome indefinito nella
forma «chi…», «chiunque…», «colui che…», «se qualcuno…», ecc., il cui scopo è quello
di mettere in evidenza le caratteristiche della sequela. Ritroviamo questa tipica costruzione
in Mc 3,35 («chi compie la volontà di Dio…»), Mc 6,11 (chi non accoglie i Dodici), Mc
9,37 («chi accoglie un bambino…»), Mc 9,40 («chi non è contro di noi è per noi»), Mc 9,42
(«chi scandalizza uno dei piccoli…»), Mc 10,11 («chi divorzia dalla moglie…»), Mc 10,29
660 Mc 9,41

(«chi lascia casa, fratelli, sorelle…»), Mc 10,43 («chi vuole essere il più grande…»), Mc
11,23 («chi dice a questo monte…»).

9,41 ?H (D —< B@J\F® ß:H B@JZD4@< à*"J@H ¦< Ï<`:"J4 ÓJ4 OD4FJ@Ø ¦FJgs
•:¬< 8X(T ß:Ã< ÓJ4 @Û :¬ •B@8XF® JÎ< :4FhÎ< "ÛJ@Ø.
9,41 Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua per il fatto che siete di Cristo, in verità
io vi dico che certamente non perderà la sua ricompensa.

?H: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2; soggetto.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
–<: partic. modale di valore dubitativo, eventuale o condizionale, indecl., [se, e se, caso mai,
qualora, eventualmente]; cf. Mc 3,29.
B@J\F®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da B@J\.T, dare da bere, far bere. Questo verbo
ricorre 15 volte nel NT: Mt 10,42; 25,35.37.42; 27,48; Mc 9,41; 15,36; Lc 13,15; Rm 12,20;
1Cor 3,2.6.7.8; 12,13; Ap 14,8. Il verbo causativo B@J\.T regge i due accusativi ß:H e
B@JZD4@<. Quanto al significato esso corrisponde a quello classico di «dare da bere»,
«abbeverare» (cf. Platone, Phaedr., 247e; Aristotele, Phys., 199a 34).
ß:H: pron. personale di 2a pers. acc. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 1,8; compl. oggetto.
B@JZD4@<: sost., acc. sing. n. da B@JZD4@<, –@L, calice, tazza, bicchiere; cf. Mc 7,4; compl.
di mezzo. Senza articolo perché generico.
à*"J@H: sost., gen. sing. n. da à*TD, à*"J@H, acqua; cf. Mc 1,8; compl. di specificazione.
Quando il nome reggente è privo di articolo (come qui), anche il genitivo dipendente ne è
solitamente sprovvisto.
¦<: prep. propria di valore causale, seguita dal dativo, indecl., per, a causa di; cf. Mc 1,2.
Ï<`:"J4: sost., dat. sing. n. da Ð<@:", –:"J@H, nome; cf. Mc 3,16; compl. di causa. L’assenza
dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è frequente nel greco
ellenistico.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore causale, indecl., poiché, perché, siccome; cf. Mc 1,15.
OD4FJ@Ø: agg. qualificativo, di valore sostantivato, gen. sing. m. da PD4FJ`H, –Z, –`<, unto,
messia, «Cristo»; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione. La frase ¦< Ï<`:"J4 ÓJ4 OD4FJ@Ø
¦FJg non equivale a «nel nome di Cristo», ma «per il fatto che voi siete di Cristo»: si tratta
di una espressione di valore causale corrispondente a ¦BÂ Jè Ï<`:"J4. La formula [¦<]
Ï<`:"J4 è usata anche nel greco classico nel significato «per la ragione di…», «con il
motivo…» (cf. Dione Cassio, Hist. rom., 38,44,1; 42,24,3; 42,43,1; Tucidide, Hist., 4,60,1).
¦FJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Molto probabilmente l’espressione «essere di Cristo», ossia «appartenere a Cristo», di
stampo paolino (cf. Rm 8,9; 1Cor 1,12; 3,23; 2Cor 10,7), è concepibile soltanto nel quadro
della comunità post–pasquale: è improbabile che il Gesù della storia abbia usato questo titolo
con riferimento alla sua persona messianica. L’espressione è linguaggio della Chiesa.
Mc 9,41 661

•:Z<: avv. di modo, indecl., così è, così sia, in verità, certamente, veramente, «amen»; cf. Mc
3,28. Questa solenne formula introduttiva compare in Mc 3,28; 8,12; 9,1.41; 10,15.29; 11,23;
12,43; 13,30; 14,9.18.25.30. Per quanto riguarda il significato vedi commento a Mc 3,28.
8X(T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. La forma verbale 8X(T ricorre in Mc 20 volte (cf. Mc 2,11; 3,28; 5,41; 8,12;
9,1.13.41; 10,15.29; 11,23.24.33; 12,43; 13,30.37[x2]; 14,9.18.25.30): essa è usata soltanto
da Gesù, ossia è esclusivamente Gesù che parla del proprio parlare e ne sottolinea la forza,
l’insistenza e la validità. In particolare la formula •:¬< 8X(T ß:Ã< / F@4 (cf. Mc 3,28; 8,12;
9,1.41; 10,15.29; 11,23; 12,43; 13,30; 14,9.18.25.30) esprime il carattere solenne e
irrefutabile di quanto affermato da Gesù.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente è usato con verbi
al modo indicativo per negare un fatto reale.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4. Nelle proposizioni affermative
le due negazioni in successione @Û :Z sono utilizzate per enfatizzare la negazione, per
esprimere un forte diniego: si tratta di un uso piuttosto frequente nel greco ellenistico. Marco
utilizza la doppia negazione @Û :Z 10 volte (prescindiamo dalla ricorrenza di Mc 16,18), 9
delle quali sulla bocca di Gesù (cf. Mc 9,1.41; 10,15; 13,2[x2].19.30. 31; 14,25); in Mc 14,31
è usata da Pietro.
•B@8XF®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da •B`88L:4 (da •B` e la radice di Ð8ghD@H),
perdere, rovinare, distruggere, togliere di mezzo, sopprimere, uccidere; cf. Mc 1,24.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
:4Fh`<: sost., acc. sing. m. da :4Fh`H, –@Ø, mercede, paga, ricompensa; compl. oggetto. Il
vocabolo ricorre 29 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 5,12.46;
6,1.2.5.16; 10,41[x2].42; 20,8; Mc 9,41 (hapax marciano); Lc 6,23.35; 10,7; Gv 4,36. In
senso letterale proprio :4Fh`H indica negli scritti neotestamentari la remunerazione, la
retribuzione salariale, ossia il pagamento del lavoratore a giornata (cf. Mt 20,8). Ciò
corrisponde all’uso linguistico della grecità, dove il sostantivo :4Fh`H sta per «salario»,
«paga», «compenso» (cf. Omero, Il., 21,445; Od., 4,525; Erodoto, Hist., 4,9,2) e a quello dei
LXX che usa :4Fh`H per la paga del soldato (cf. Ez 29,18), per la ricompensa ai leviti (cf.
Nm 18,31) e ai sacerdoti (cf. Mic 3,11), per la retribuzione ai lavoratori (cf. Es 2,9). Negli
enunciati di Gesù il vocabolo indica la ricompensa che viene da Dio, non come contrattazio-
ne sindacale a seguito di una prestazione, ma come ricompensa di grazia.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
662 Mc 9,42

9,42 5" ÔH —< Fi"<*"8\F® ª<" Jä< :4iDä< J@bJT< Jä< B4FJgL`<JT< [gÆH ¦:X]s
i"8`< ¦FJ4< "ÛJè :88@< gÆ BgD\ig4J"4 :b8@H Ï<4iÎH BgD JÎ< JDVP08@<
"ÛJ@Ø i"Â $X$80J"4 gÆH J¬< hV8"FF"<.
9,42 Ma se qualcuno scandalizza uno di questi piccoli che credono sarebbe meglio per lui
che gli venisse messa al collo una macina da mulino e fosse gettato nel mare.

5"\: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, però; cf. Mc 1,4. Il
significato avversativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ adversativum)
si riscontra in Mc 1,13c; 3,7b.12.33a; 4,17a.19a.27d; 5,19a; 6,19b.20d.33a; 7,24b.28b;
8,12.16.29.30; 9,12a.30.31c.42a; 10,34; 12,12b.17a; 16,8c.
ÓH: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2; soggetto.
–<: partic. modale di valore dubitativo, eventuale o condizionale, indecl., [se, e se, caso mai,
qualora, eventualmente]; cf. Mc 3,29.
Fi"<*"8\F®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da Fi"<*"8\.T, mettere una pietra
d’inciampo, impedire il cammino, far inciampare, offendere, scandalizzare; cf. Mc 4,17. Si
tratta di un esempio di «detti gnomici» di Gesù, introdotti dal pronome indefinito nella forma
«chi…», «chiunque…», «colui che…», «se qualcuno…», ecc., il cui scopo è quello di
mettere in evidenza le caratteristiche della sequela. Ritroviamo questa tipica costruzione in
Mc 3,35 («chi compie la volontà di Dio…»), Mc 6,11 (chi non accoglie i Dodici), Mc 9,37
(«chi accoglie un bambino…»), Mc 9,40 («chi non è contro di noi è per noi»), Mc 9,42 («chi
scandalizza uno dei piccoli…»), Mc 10,11 («chi divorzia dalla moglie…»), Mc 10,29 («chi
lascia casa, fratelli, sorelle…»), Mc 10,43 («chi vuole essere il più grande…»), Mc 11,23
(«chi dice a questo monte…»).
ª<": agg. numerale, cardinale, acc. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; compl. oggetto.
L’uso del numero cardinale gÍH al posto del pronome indefinito J\H, «uno», «qualcuno» o
dell’articolo indeterminativo «uno», soprattutto nelle espressioni partitive, è un semitismo.
Ritroviamo questo fenomeno in Mc 5,22; 6,15; 8,28; 9,17.37.42; 10,17.37[x2]; 12,28.42;
13,1; 14,10.18.20.43.47.66.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
:4iDä<: agg. indefinito, di grado comparativo, gen. plur. m. da :4iD`H, –V, –`<, piccolo,
poco, corto, breve; cf. Mc 4,31; attributo di B4FJgL`<JT<. Il contesto immediatamente
precedente farebbe pensare che «i piccoli» di cui parla Gesù siano i discepoli, ma i
riferimenti sinottici, in particolare Mt 18,10.14, sembrano escludere questa possibilità. I
piccoli di cui parla Gesù, anzi, i «piccolissimi», poiché l’aramaico non ha il superlativo, non
sono neppure i piccoli di statura (= «bassi») o di età, ossia «i bambini» (vedi commento a Mc
4,31). Si tratta di un loghion nel quale Gesù afferma una particolare predilezione nei riguardi
di questi «piccoli» che egli prende sotto la sua speciale protezione. Diversamente da quanto
avviene nel giudaismo, dove l’espressione «i piccoli» è quasi sempre usata in senso negativo
per indicare gli immaturi, gli incapaci di osservare la legge, come anche nella grecità, dove
l’aggettivo :4iD`H esprime una disistima, una inferiorità, lo stesso termine sulla bocca di
Gesù contiene una dignità nascosta, una rivelazione misteriosa. Nel concetto evangelico de
«i piccoli», quindi, coesistono due idee: la poca importanza che gli uomini danno a una
Mc 9,42 663

determinata categoria di persone e la grande importanza che, invece, Dio e Gesù danno a
costoro. Concettualmente non resta che considerare questi «piccoli» come gli .*&E1I3 C, ‘a7 na) wîm
presenti nell’AT, corrispondenti ai BJTP@\ (cf. Mc 10,21) e ai J"Bg<@\ (cf. Mt 5,3) del
vangelo: in senso traslato sono i discepoli indifesi, i più insignificanti, i reietti, gli oppressi,
i poveri, gli emarginati, gli ignoranti, i malati, i declassati dai gruppi dominanti, i deboli nella
fede.
J@bJT<: pron. dimostrativo, gen. plur. m. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; attributo di
B4FJgL`<JT<. La forma J@bJT< ricorre 72 volte nel NT rispetto alle 1387 ricorrenze totali
di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 12 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,065% del totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc 9,42; 12,31 =
0,018%); 11 volte in Luca (0,056%); 8 volte in Giovanni (0,051%).
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
B4FJgL`<JT<: verbo, gen. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da B4FJgbT, credere,
fidarsi di, dare fiducia a; cf. Mc 1,15; compl. di specificazione.
[gÆH: prep. propria con valore di relazione, seguita dall’accusativo, indecl., verso, riguardo a, nei
confronti di, in; cf. Mc 1,4. La preposizione gÆH è qui usata nel significato di relazione o di
termine, analogamente a Mc 8,19.20; 13,10. Sintatticamente corrisponde a un dativo di
vantaggio o di interesse (dativus commodi) per indicare la persona nell’interesse del quale
(o a vantaggio del quale) si svolge l’azione.].
[¦:X: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 9,37; compl. di termine. La frase gÆH ¦:X (cf. Mt 18,6) è presente nei codici
A, B, C (secondo correttore), L, W, 1, Q, 0274, f1, f13, 28, 157, 180, 205, 565, 579, 597,
700, 892, 1006, 1010, 1071, 1241, 1243, 1292, 1342, 1424, 1505, 2427; è assente, invece,
in !, C*, ). Da un punto di vista di critica testuale la lezione è testimoniata da un folto
gruppo di codici; d’altra parte l’assenza delle parole in altri importanti codici sembra
suggerire che il copista si sia lasciato influenzare dal passo parallelo di Matteo. Scarso aiuto
viene anche dalla critica interna, poiché Marco impiega il verbo B4FJgbT sia allo stato
assoluto (cf. Mc 5,36; 9,23.24; 13,21; 15,32; 16,16.17) sia con ¦< e dativo della cosa (cf. Mc
1,15) sia con il semplice dativo della persona (cf. Mc 11,31; 16,13.14) sia con la congiunzio-
ne ÓJ4 con valore dichiarativo (cf. Mc 11,23.24). Poiché è necessaria una scelta optiamo per
la non autenticità della lezione].
i"8`<: agg. qualificativo, nom. sing. n. da i"8`H, –Z, –`<, bello, buono, appropriato,
conveniente; cf. Mc 4,8. Il grado positivo di un aggettivo corrisponde, per influsso semitico,
al grado comparativo: «è buono» = «è meglio». La costruzione è conosciuta anche nel greco
classico. Ritroviamo questo fenomeno in Mc 9,42.43.45.47; 10,43; 14,21. Per il grado
comparativo al posto del superlativo, cf. Mc 4,31; 9,34; 12,40.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di vantaggio.
664 Mc 9,42

:88@<: (forma neutra del comparativo di :V8"), avv. di modo, indecl., piuttosto, di più,
maggiormente; cf. Mc 5,26.
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7. Questa particella può essere qui intesa come: a) congiunzione
condizionale introducente una proposizione dipendente irreale unita agli indicativi
BgD\ig4J"4 e $X$80J"4 intesi come irreali (= «sarebbe stato meglio per lui se gli fosse
stata messa al collo una macina da asino e fosse stato gettato nel mare»; b) come equivalente
alla congiunzione dichiarativa ÓJ4 («che»), per introdurre una proposizione oggettiva (=
«sarebbe meglio che gli venisse messa al collo una macina da asino e che fosse gettato nel
mare»).
BgD\ig4J"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. pass. da BgD\ig4:"4 (da BgD\ e igÃ:"4), cingere,
chiudere attorno. Questo verbo ricorre 5 volte nel NT: Mc 9,42 (hapax marciano); Lc 17,2;
At 28,20; Eb 5,2; 12,1. In conformità all’etimologia il verbo BgD\ig4:"4 è usato nella
grecità con il significato di «porre attorno», «collocare», «attaccare attorno» (cf. Omero, Od.,
21,54; Pindaro, Olym., 8,76).
:b8@H: sost., nom. sing. m. da :b8@H, –@L, pietra [di un mulino], macina; soggetto. Il
vocabolo ricorre 4 volte nel NT: Mt 18,6; 24,41; Mc 9,42 (hapax marciano); Ap 18,22.
Senza articolo perché generico: una macina qualunque. Il sostantivo :b8@H è raramente
attestato nella grecità (cf. Es 11,5), dove prevale la forma :b80 per indicare la mola
azionata a mano (cf. Aristofane, Ves., 648).
Ï<4i`H: agg. qualificativo, nom. sing. m. da Ï<4i`H, –Z, –`<, di un asino, per un asino;
attributo di :b8@H. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mt 18,6; Mc 9,42 (hapax marciano).
Senza articolo perché generico. Si tratta della mola «d’asino», per distinguerla da quella a
mano (Pg4D@:b80, Pg4D@:\8T<) utilizzata ugualmente per macinare il grano, ma di
proporzioni ridotte e mossa da una o più donne (cf. Es 11,5; Gdc 9,53; Mt 24,41). Le pietre
impiegate nei mulini erano due: una inferiore fissa e una superiore mobile (Ð<@H), la quale
veniva fatta girare da un asino per triturare le granaglie. È a questa pietra che allude Gesù.
BgD\: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., intorno a, attorno, in
prossimità di, vicino; cf. Mc 1,6.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
JDVP08@<: sost., acc. sing. m. da JDVP08@H, –@L, collo, nuca; compl. di stato in luogo. Il
vocabolo ricorre 7 volte nel NT: Mt 18,6; Mc 9,42 (hapax marciano); Lc 15,20; 17,2; At
15,10; 20,37; Rm 16,4. In senso letterale proprio il sostantivo JDVP08@H indica nella grecità
il «collo», detto di uomini e animali (cf. Euripide, Bacc., 241; Erodoto, Hist., 2,40,2).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
$X$80J"4: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. pass. da $V88T, gettare, buttare, mettere; cf. Mc
2,22.
Mc 9,43 665

gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
hV8"FF"<: sost., acc. sing. f. da hV8"FF", –0H, mare; cf. Mc 1,16; compl. di moto a luogo.
L’immagine usata da Gesù è dura e spaventosa se pensiamo che la morte per annegamento
era per gli Ebrei una delle più orribili, non soltanto per il modo (asfissia, ingerimento di
acqua), ma anche perché tale uccisione impediva di procedere alla sepoltura. L’esecuzione
capitale per mezzo di annegamento (i"J"B@<J4F:`H), mediante grosse pietre legate al
collo, sconosciuta nel mondo giudaico, era stata introdotta in Palestina dai Romani.
L’imperatore Augusto fece giustiziare con questa pena il precettore e i domestici di suo figlio
Gaio, facendoli affogare nel fiume (cf. Svetonio, Aug., 67). Lo storico Giuseppe Flavio
riferisce che alcuni Galilei usarono questo sistema durante una sommossa per affogare nel
lago i partigiani di Erode il Grande (cf. Giuseppe Flavio, Antiq., 14,450).

9,43 5" ¦< Fi"<*"8\.® Fg º Pg\D F@Ls •B`i@R@< "ÛJZ<· i"8`< ¦FJ\< Fg
iL88Î< gÆFg8hgÃ< gÆH J¬< .T¬< ´ JH *b@ PgÃD"H §P@<J" •Bg8hgÃ< gÆH J¬<
(Xg<<"<s gÆH JÎ BØD JÎ –F$gFJ@<.
9,43 Se la tua mano ti è occasione di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita
con una sola mano anziché con due mani finire nella Gheenna, nel fuoco inestinguibile.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
Fi"<*"8\.®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. pres. da Fi"<*"8\.T, mettere una pietra
d’inciampo, impedire il cammino, far inciampare, offendere, scandalizzare; cf. Mc 4,17.
Fg: pron. personale di 2a pers. acc. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,24; compl. oggetto.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
Pg\D: sost., nom. sing. f. da Pg\D, Pg4D`H, mano; cf. Mc 1,31; soggetto. Qui come altrove (cf.
Mc 1,31.41; 3,1.3.5[x2]; 5,41; 7,32; 8,23; 9,27.43) l’articolo sta forse a indicare la mano per
eccellenza, ossia quella destra.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
•B`i@R@<: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da •B@i`BJT (da •B` e i`BJT), tagliare via,
recidere, tagliare, mozzare, amputare. Questo verbo ricorre 6 volte nel NT: Mc 9,43.45; Gv
18,10.26; At 27,32; Gal 5,12. Il significato base del verbo •B@i`BJT a partire da Omero
è quello di «tagliare», «recidere» (cf. Omero, Il., 11,261; Erodoto, Hist., 6,91,2). Nel NT il
verbo è usato sempre nel significato letterale proprio di «tagliare» in senso fisico (l’orecchio
in Gv 18,10.26; la gomena in At 27,32; i genitali (sott.) in Gal 5,12). I tre verbi imperativi
666 Mc 9,43

aoristi •B`i@R@< (v. 43.45) ed §i$"8g (v. 47), uniti asindeticamente con una paratassi
causale alle rispettive protasi, esprimono comandi specifici presi in senso globale. La durezza
del detto di Gesù è ulteriormente accentuata se si considera che l’automutilazione, in
particolare quella idolatrica cultuale, era proibita nell’ebraismo (cf. Dt 14,1; 1Re 18,28; Ger
31,19).
"ÛJZ<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,31; compl. oggetto.
i"8`<: agg. qualificativo, nom. sing. n. da i"8`H, –Z, –`<, bello, buono, appropriato,
conveniente; cf. Mc 4,8. Il grado positivo di un aggettivo corrisponde per influsso semitico
al grado comparativo: «è buono» = «è meglio». La costruzione è conosciuta anche nel greco
classico. Ritroviamo questo fenomeno in Mc 9,42.43.45.47; 10,43; 14,21. Per il grado
comparativo al posto del superlativo cf. Mc 4,31; 9,34; 12,40. La comparazione introdotta
dalla successiva congiunzione ³ descrive la necessità del sacrificio parziale in vista del bene
definitivo da conseguire.
¦FJ\<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
Fg: pron. personale di 2a pers. acc. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,24; soggetto della proposizione oggettiva costruita con il verbo infinito gÆFg8hgÃ<.
iL88`<: agg. qualificativo, acc. sing. m. da iL88`H, –Z, –`<, piegato, deforme, mutilato;
compl. predicativo. Il vocabolo ricorre 4 volte nel NT: Mt 15,30.31; 18,8; Mc 9,43 (hapax
marciano). Nella grecità l’aggettivo iL88`H indica una deformità propria degli arti umani;
come tale equivale a «monco», «storpio», detto sia di piedi (cf. Aristofane, Av., 1379) che di
mani (cf. Aristofane, Eq., 1083).
gÆFg8hgÃ<: verbo, inf. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare, venire dentro, recarsi,
andare; cf. Mc 1,21. Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo composto viene
ripetuta davanti al successivo complemento indiretto, come qui; questo fenomeno si ritrova
in Mc 1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.
24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
.TZ<: sost., acc. sing. f. da .TZ, –­H, vita; compl. di moto a luogo. Il vocabolo ricorre 135
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 7 volte in Matteo (corrispondente
allo 0,038% del totale delle parole); 4 volte in Marco (cf. Mc 9,43.45; 10,17.30 = 0,035%);
5 volte in Luca (0,026%); 36 volte in Giovanni (0,230%). Il sostantivo .TZ assume nel
greco classico il significato di «vita» intesa non tanto come processo biologico, quanto come
concetto esistenziale totalizzante (cf. Erodoto, Hist., 1,32,2; Platone, Tim., 44c). Nell’uso
assoluto che ritroviamo nella Bibbia, al concetto profano di «vita» prevale quello religioso,
poiché il termine .TZ indica la «vita eterna» (.TZ "Æf<4@H, come viene ulteriormente
specificato in Mc 10,17.30), ossia la vita dell’eone futuro, la ricompensa escatologica: in
linguaggio teologico, la «salvezza eterna». Poiché la .TZ futura è quella vera, può essere
Mc 9,43 667

chiamata semplicemente .TZ, «vita»: @Ê ÓF4@4 iLD\@L i80D@<@:ZF@LF4< .T¬< ¦<


gÛnD@Fb<0, «i santi del Signore erediteranno la vita nella letizia» (cf. Ps. Salom., 14,10).
In altri testi si parla di «risurrezione per la vita» (cf. 2Mac 7,14); «risvegliarsi alla vita» (cf.
Test. Iud., 25,4). Qui Gesù condivide il pensiero apocalittico del giudaismo ellenistico che
attende una risurrezione dai morti «per la vita eterna» (cf. 2Mac 7,9; 4Mac., 15,3; Ps. Salom.,
3,12), verità che egli espliciterà in riferimento a sé stesso («Sono io la risurrezione e la vita!»,
Gv 11,25) e che il cristianesimo riproporrà con forza come centro e fondamento di tutta la
sua fede (cf. Rm 6,10; 14,9; 2Cor 13,4; At 25,19; Eb 7,8.25; Ap 1,18; 2,8).
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9. La particella
è qui usata in senso comparativo («…che», «…anziché», «…piuttosto che») per introdurre
il secondo termine di paragone (cf. Mc 9,43.45.47; 10,25).
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
*b@: agg. numerale, cardinale, acc. plur. f. da *b@ (gen. *b@, dat. *LF\<, acc. *b@), due; cf. Mc
6,7; attributo di PgÃD"H.
PgÃD"H: sost., acc. plur. f. da Pg\D, Pg4D`H, mano; cf. Mc 1,31; compl. oggetto.
§P@<J": verbo, acc. sing. m. part. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. Participio predicativo del soggetto
sottinteso «tu».
•Bg8hgÃ<: verbo, inf. aor. da •BXDP@:"4 (da •B` e §DP@:"4), andare via, partire; cf. Mc
1,20.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
(Xg<<"<: sost., acc. sing. f. da (Xg<<", –0H, gheenna; compl. di moto a luogo. Il vocabolo
ricorre 12 volte nel NT: Mt 5,22.29.30; 10,28; 18,9; 23,15.33; Mc 9,43.45.47; Lc 12,5; Gc
3,6. Traslitterazione grecizzata del toponimo di origine aramaica .I% E *#F, G
5 êhinna) m, derivato
dall’ebraico .J% E !*xF, Gê’ hinno) m, «Valle di Hinnom». La denominazione ebraica, attestata
anche nella forma «Valle del figlio di Hinnom» (cf. Gs 15,8a; 18,16a) o «Valle dei figli di
Hinnom» (cf. 2Re 23,10), è propriamente un toponimo: nel TM indica la valle a sud–ovest
di Gerusalemme che sbocca nella Valle del Cedron, dove sotto i re Achaz e Manasse si
compivano sacrifici di bambini, bruciati nel fuoco in onore degli dèi pagani (cf. 2Re 16,3;
21,6; 2Cr 28,3; 33,6). Per tale motivo il re Giosia in occasione della sua riforma religiosa fece
dissacrare la «Valle di Hinnom», riducendola a una discarica per immondizia e animali morti
(cf. 2Re 23,10). La letteratura profetica e quella apocalittica giudaica a partire dal II secolo
a.C. hanno fatto di tale sito il luogo proverbiale della maledizione e della condanna,
l’«inferno di fuoco», la «fornace di fuoco ardente», dove gli empi nel giudizio escatologico
saranno gettati per essere bruciati (cf. Ger 7,32; 19,6; 1Hen., 10,13; 18,11–16; 27,1–3;
54,1–6; 90,26; Lib. Iub., 9,15). Nella successiva letteratura giudaica il vocabolo .I% E *#F,
G5 êhinna) m, grecizzato in (Xg<<", passò a indicare lo stesso inferno di fuoco come concetto
a sé stante, senza alcun riferimento topografico, «la fossa dei tormenti… il forno della
Gheenna» (4Esd., 7,36; cf. anche 2Bar., 59,10; 85,13; Or. Sib., 4,186). È questo il significato
668 Mc 9,45

che ritroviamo nel NT, secondo il quale la «gheenna» corrisponde al luogo di supplizio
eterno degli empi dopo il giudizio.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
BØD: sost., acc. sing. n. da BØD, BLD`H, fuoco; cf. Mc 9,22; compl. di moto a luogo.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
–F$gFJ@<: agg. qualificativo, acc. sing. n. da –F$gFJ@H, –@< (da –8n" privativa e F$X<<L:4),
inestinguibile, che non si spegne; attributo di BØD. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mt
3,12; Mc 9,43 (hapax marciano); Lc 3,17. L’espressione è concettualmente equivalente al
passo parallelo di Mt 18,8; 25,41: JÎ BØD JÎ "Æf<4@<, «il fuoco eterno»). Anche nel greco
classico si parla di –F$gFJ@< BØD, «fuoco inestinguibile» (cf. Omero, Il., 16,123; Plutarco,
Num., 9,5,10).

[9,44] [Questo versetto (analogamente a Mc 9,46) è presente nei manoscritti A, D, 1, f13,


e in molti codici minuscoli, i quali qui riportano: ÓB@L Ò Fif80> "ÛJä< @Û Jg8gLJ” i"Â
JÎ BØD @Û F$X<<LJ"4, «dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue». Il
versetto è assente, invece, nei manoscritti più antichi e autorevoli: !, B, C, L, W, ), Q,
0274, f1, 28, 205, 565, 892, 2427. La lezione variante è certamente una dittografia di Mc
9,48 e la critica recente ha espunto il testo senza modificare l’ordine e la numerazione
successiva dei versetti.].

9,45 i" ¦< Ò B@bH F@L Fi"<*"8\.® Fgs •B`i@R@< "ÛJ`<· i"8`< ¦FJ\< Fg
gÆFg8hgÃ< gÆH J¬< .T¬< PT8Î< ´ J@×H *b@ B`*"H §P@<J" $80h­<"4 gÆH J¬<
(Xg<<"<.
9,45 E se il tuo piede ti è occasione di scandalo taglialo: è meglio per te entrare nella vita
con un piede solo, anziché con due piedi essere gettato nella Gheenna.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
B@bH: sost., nom. sing. m. da B@bH, B@*`H, piede; cf. Mc 5,22; soggetto.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
Fi"<*"8\.®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. pres. da Fi"<*"8\.T, mettere una pietra
d’inciampo, impedire il cammino, far inciampare, offendere, scandalizzare; cf. Mc 4,17.
Mc 9,45 669

Fg: pron. personale di 2a pers. acc. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,24; compl. oggetto.
•B`i@R@<: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da •B@i`BJT (da •B` e i`BJT), tagliare via,
recidere, tagliare, mozzare, amputare; cf. Mc 9,43. I tre imperativi aoristi •B`i@R@< (v.
43.45) ed §i$"8g (v. 47), uniti asindeticamente con una paratassi causale alle rispettive
protasi, esprimono comandi specifici presi in senso globale.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
i"8`<: agg. qualificativo, nom. sing. n. da i"8`H, –Z, –`<, bello, buono, appropriato,
conveniente; cf. Mc 4,8. Il grado positivo di un aggettivo corrisponde per influsso semitico
al grado comparativo: «è buono» = «è meglio». La costruzione è conosciuta anche nel greco
classico. Ritroviamo questo fenomeno in Mc 9,42.43.45.47; 10,43; 14,21. Per il grado
comparativo al posto del superlativo cf. Mc 4,31; 9,34; 12,40. La comparazione introdotta
dalla successiva congiunzione ³ descrive la necessità del sacrificio parziale in vista del bene
definitivo da conseguire.
¦FJ\<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
Fg: pron. personale di 2a pers. acc. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,24; soggetto della proposizione oggettiva costruita con il verbo infinito gÆFg8hgÃ<.
gÆFg8hgÃ<: verbo, inf. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare, venire dentro, recarsi,
andare; cf. Mc 1,21. Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo composto viene
ripetuta davanti al successivo complemento indiretto, come qui; questo fenomeno si ritrova
in Mc 1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.
24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
.TZ<: sost., acc. sing. f. da .TZ, –­H, vita; cf. Mc 9,43; compl. di moto a luogo. L’espressione
º .TZ, «la vita», per designare la ricompensa escatologica (= «la vita eterna»), è rara nel NT.
PT8`<: agg. qualificativo, acc. sing. m. da PT8`H, –`<, zoppo; compl. predicativo. Il vocabolo
ricorre 14 volte nel NT: Mt 11,5; 15,30.31; 18,8; 21,14; Mc 9,45 (hapax marciano); Lc 7,22;
14,13.21; Gv 5,3; At 3,2; 8,7; 14,8; Eb 12,13. A partire da Omero l’aggettivo PT8`H indica
una deformità degli arti inferiori ed equivale a «zoppo», «storpio» (cf. Omero, Il., 18,397;
Od., 8,308).
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9. La particella
è qui usata in senso comparativo («…che», «…anziché», «…piuttosto che») per introdurre
il secondo termine di paragone (cf. Mc 9,43.45.47; 10,25).
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
*b@: agg. numerale, cardinale, acc. plur. m. da *b@ (gen. *b@, dat. *LF\<, acc. *b@), due; cf.
Mc 6,7; attributo di B`*"H.
670 Mc 9,47

B`*"H: sost., acc. plur. m. da B@bH, B@*`H, piede; cf. Mc 5,22; compl. oggetto.
§P@<J": verbo, acc. sing. m. part. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. Participio predicativo del soggetto
sottinteso «tu».
$80h­<"4: verbo, inf. aor. pass. da $V88T, gettare, buttare, mettere; cf. Mc 2,22. Passivo
divino. Come espressione di un gettare violento, in conformità al suo significato fondamenta-
le, questo verbo ricorre più volte negli enunciati di giudizio (cf. anche Mc 9,47; Mt 5,29;
13,42.50; 18,8.9; Lc 12,5; Ap 20,15). In particolare l’Apocalisse usa spesso $V88T per
descrivere fenomeni apocalittici (cf. Ap 6,13; 8,5.7.8; 12,4; 14,9; 18,21), la descrizione dello
scatenarsi di piaghe escatologiche (cf. Ap 8,5.7), la caduta di Satana (cf. Ap 12,9.10.13;
19,20; 20,3.10.14.15) e il giudizio finale (cf. Ap 14,16.19).
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
(Xg<<"<: sost., acc. sing. f. da (Xg<<", –0H, gheenna; cf. Mc 9,43; compl. di moto a luogo.

[9,46] [Questo versetto (analogamente a Mc 9,44) è presente nei manoscritti A, D, 1, f13,


e in molti codici minuscoli i quali qui riportano: ÓB@L Ò Fif80> "ÛJä< @Û Jg8gLJ” i"Â
JÎ BØD @Û F$X<<LJ"4, «dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue». Il
versetto è assente, invece, nei manoscritti più antichi e autorevoli: !, B, C, L, W, ), Q,
0274, f1, 28, 205, 565, 892, 2427. La lezione variante è certamente una dittografia di Mc
9,48 e la critica recente ha espunto il testo senza modificare l’ordine e la numerazione
successiva dei versetti.].

9,47 i" ¦< Ò Ïnh"8:`H F@L Fi"<*"8\.® Fgs §i$"8g "ÛJ`<· i"8`< FX ¦FJ4<
:@<`nh"8:@< gÆFg8hgÃ< gÆH J¬< $"F48g\"< J@Ø hg@Ø ´ *b@ Ïnh"8:@×H
§P@<J" $80h­<"4 gÆH J¬< (Xg<<"<s
9,47 E se il tuo occhio ti è occasione di scandalo cavalo: è meglio per te entrare nel regno
di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Gheenna,

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
Ïnh"8:`H: sost., nom. sing. m. da Ïnh"8:`H, –@Ø, occhio; cf. Mc 7,22; soggetto.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
Mc 9,47 671

Fi"<*"8\.®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. pres. da Fi"<*"8\.T, mettere una pietra
d’inciampo, impedire il cammino, far inciampare, offendere, scandalizzare; cf. Mc 4,17.
Fg: pron. personale di 2a pers. acc. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,24; compl. oggetto.
§i$"8g: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da ¦i$V88T (da ¦i e $V88T), scacciare, mandare
via, fare uscire, espellere; cf. Mc 1,12. I tre imperativi aoristi •B`i@R@< (v. 43.45) ed
§i$"8g (v. 47), uniti asindeticamente con una paratassi causale alle rispettive protasi,
esprimono comandi specifici presi in senso globale.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
i"8`<: agg. qualificativo, nom. sing. n. da i"8`H, –Z, –`<, bello, buono, appropriato,
conveniente; cf. Mc 4,8. Il grado positivo di un aggettivo corrisponde per influsso semitico
al grado comparativo: «è buono» = «è meglio». La costruzione è conosciuta anche nel greco
classico. Ritroviamo questo fenomeno in Mc 9,42.43.45.47; 10,43; 14,21. Per il grado
comparativo al posto del superlativo cf. Mc 4,31; 9,34; 12,40. La comparazione introdotta
dalla successiva congiunzione ³ descrive la necessità del sacrificio parziale in vista del bene
definitivo da conseguire.
FX: pron. personale di 2a pers. acc. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,24; soggetto della proposizione oggettiva costruita con il verbo infinito gÆFg8hgÃ<.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
:@<`nh"8:@<: agg. qualificativo, acc. sing. m. da :@<`nh"8:@H (da :`<@H e Ïnh"8:`H),
con uno occhio, senza un occhio; compl. predicativo. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mt
18,9; Mc 9,47 (hapax marciano). Nella grecità l’aggettivo :@<`nh"8:@H è usato nel
significato «che ha un occhio solo» (cf. Erodoto, Hist., 3,116,1; 4,13,1).
gÆFg8hgÃ<: verbo, inf. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare, venire dentro, recarsi,
andare; cf. Mc 1,21. Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo composto viene
ripetuta davanti al successivo complemento indiretto, come qui; questo fenomeno si ritrova
in Mc 1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.
24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
$"F48g\"<: sost., acc. sing. f. da $"F48g\", –"H, signoria, potere reale, dominio sovrano,
regno; cf. Mc 1,15; compl. di moto a luogo.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione. Rispetto
al precedente schema retorico dei vv. 43.45 («entrare nella vita») questa seconda variazione
(«entrare nel regno di Dio») suggerisce che vi sia una equivalenza o almeno un collegamento
672 Mc 9,48

tra «vita» e «regno di Dio». Per quanto riguarda l’entrare (gÆFXDP@:"4) nel regno di Dio cf.
Mc 10,15.23.24.25.
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9. La particella
è qui usata in senso comparativo («…che», «…anziché», «…piuttosto che») per introdurre
il secondo termine di paragone (cf. Mc 9,43.45.47; 10,25).
*b@: agg. numerale, cardinale, acc. plur. m. da *b@ (gen. *b@, dat. *LF\<, acc. *b@), due; cf.
Mc 6,7; attributo di Ïnh"8:@bH.
Ïnh"8:@bH: sost., acc. plur. m. da Ïnh"8:`H, –@Ø, occhio; cf. Mc 7,22; compl. oggetto.
§P@<J": verbo, acc. sing. m. part. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. Participio predicativo del soggetto
sottinteso «tu».
$80h­<"4: verbo, inf. aor. pass. da $V88T, gettare, buttare, mettere; cf. Mc 2,22. Passivo
divino.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
(Xg<<"<: sost., acc. sing. f. da (Xg<<", –0H, gheenna; cf. Mc 9,43; compl. di moto a luogo.

9,48 ÓB@L Ò Fif80> "ÛJä< @Û Jg8gLJ” i" JÎ BØD @Û F$X<<LJ"4.


9,48 dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue.

ÓB@L: (da ÓH e B@Ø), avv. di luogo, indecl., dove, nel luogo in cui; cf. Mc 2,4.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
Fif80>: sost., nom. sing. m. da Fif80>, –0i@H, verme; soggetto. Hapax neotestamentario.
A partire da Omero (cf. Id., Il., 13,654) il vocabolo è utilizzato — in particolare negli scritti
di storia naturale e nei comici — per indicare il verme comune, conosciuto anche come
«lombrico» (cf. Teofrasto, Hist. plant., 3,12,6). Questo significato letterale proprio si
riscontra anche nei LXX (cf. Dt 28,39; Es 16,20.24, ecc.) dove, tuttavia, il termine viene
talvolta impiegato in senso figurato, come immagine della dannazione eterna. Dal punto di
vista terminologico e contenutistico il parallelo più vicino è Is 66,24: … Ò (D Fif80>
"ÛJä< @Û Jg8gLJZFg4 i"Â JÎ BØD "ÛJä< @Û F$gFhZFgJ"4…, «…poiché il loro verme
non morirà e il loro fuoco non si spegnerà…» (cf. anche sotto). Nell’oracolo isaiano
(probabilmente una aggiunta posteriore) viene descritta la sorte di coloro che hanno
rinnegato Dio: i «vermi» e il «fuoco» sono gli elementi caratteristici della distruzione dei
cadaveri, accatastati fuori della città santa, nella valle di Hinnom (vedi commento a Mc 9,43).
In particolare l’espressione «verme che non muore» intende probabilmente sottolineare
l’interminabile processo di decomposizione del corpo che diventa pena eterna per il defunto
(cf. Is 50,11), al pari del «fuoco inestinguibile».
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
Mc 9,49 673

genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona plurale


(«di essi» = «loro»).
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
Jg8gLJ”: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da Jg8gLJVT, finire, terminare, morire; cf. Mc 7,10.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
BØD: sost., nom. sing. n. da BØD, BLD`H, fuoco; cf. Mc 9,22; soggetto.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
F$X<<LJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. pass. da F$X<<L:4, estinguere, spegnersi. Questo
verbo ricorre 6 volte nel NT: Mt 12,20; 25,8; Mc 9,48 (hapax marciano); Ef 6,16; 1Ts 5,19;
Eb 11,34. Nel greco classico F$X<<L:4 è prevalentemente usato in senso letterale proprio
a proposito del fuoco o di oggetti che bruciano (cf. Omero, Il., 9,471; Erodoto, Hist., 2,66,3).
Stessa attestazione ritroviamo nei LXX (cf. Sir 3,30; 2Cr 29,7; Lv 6,5, ecc.). La frase «dove
il loro verme non muore e il fuoco non si estingue» è presa da Is 66,24, il versetto finale che
chiude l’intero libro (… Ò (D Fif80> "ÛJä< @Û Jg8gLJZFg4 i" JÎ BØD "ÛJä< @Û
F$gFhZFgJ"4…): con tale espressione il profeta Isaia descrive i tormenti che subiranno
nell’oltretomba i morti, i quali, quando erano in vita, si erano ribellati contro Dio.

9,49 BH (D BLD 84FhZFgJ"4.


9,49 Ognuno, infatti, dovrà essere salato con il fuoco.

BH: pron. indefinito, di valore sostantivato, nom. sing. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni,
ciascuno, ognuno; cf. Mc 1,5; soggetto.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
BLD\: sost., dat. sing. n. da BØD, BLD`H, fuoco; cf. Mc 9,22; compl. di mezzo. Senza articolo
perché generico. Il dativo BLD\ non è un dativus commodi (= «salato per il fuoco»), ma
strumentale (= «salato per mezzo del fuoco»), sinonimo di ¦< […] BLD\ di Mt 3,11.
Nonostante il nesso letterario offerto da (VD e BØD con il contesto precedente (cf. v. 48),
questo loghion sembra essere a sé stante, sia per il senso da dare al pronome maschile BH
sia per il nuovo tema proposto dal binomio sale e fuoco.
84FhZFgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. pass. da 8\.T, salare. Questo verbo ricorre 2
volte nel NT: Mt 5,13; Mc 9,49 (hapax marciano). Questo verbo denominativo (da ž8H,
«sale»), da non confondere con l’omonimo 8\.T (da 8ZH, nel significato di «radunare»,
pass. «essere radunato»), indica la salatura degli alimenti (cf. Aristotele, Hist. anim., 574a 9),
sia come condimento ordinario dei cibi sia come processo conservativo per i prodotti
deperibili. Nell’antichità il sale veniva usato in abbondanza anche nel culto, a proposito delle
vittime cosparse o intrise di sale: «Dovrai salare ogni tua offerta di oblazione: nella tua
oblazione non lascerai mancare il sale dell’alleanza del tuo Dio; sopra ogni tua offerta offrirai
674 Mc 9,50

del sale» (Lv 2,13; cf. Es 30,35; Ez 43,24). Si usava altresì il sale in occasione di patti e
alleanze: per dare solidità agli accordi stabiliti i contraenti erano soliti mangiare pane e sale
o anche soltanto sale: è il «patto di sale» ricordato in Nm 18,19; 2Cr 13,5. Per alcuni l’oscura
espressione di Gesù («Ognuno sarà salato con il fuoco») deve essere interpretata sullo sfondo
cultuale anticotestamentario: in questo senso il discepolo deve essere trattato con il sale come
se fosse una vittima, cioè deve passare attraverso ogni sorta di prova (come quella del fuoco
di 1Cor 3,13) in modo che in lui venga cancellato ogni peccato. La forma passiva e
impersonale del verbo lascerebbe supporre che il soggetto implicito che compie l’azione di
«salare» con il fuoco sia Dio (= passivo divino). Secondo un’altra interpretazione il verbo
greco 8\.T sarebbe una traduzione non perfettamente corrispondente all’originale
aramaico, poiché il verbo (-H/ I , ma) lahE può significare sia «salare» sia «dissolvere» (cf. Is
51,6): se tale ipotesi è corretta, Gesù non avrebbe detto «ognuno sarà salato con il fuoco»,
ma «ognuno sarà consumato/purificato con il fuoco». L’ipotesi è suggestiva, ma non
dimostrabile.

9,50 5"8Î< JÎ ž8"H· ¦< *¥ JÎ ž8"H –<"8@< (X<0J"4s ¦< J\<4 "ÛJÎ •DJbFgJgp
§PgJg ¦< ©"LJ@ÃH ž8" i" gÆD0<gbgJg ¦< •88Z8@4H.
9,50 Buona cosa è il sale; ma se il sale diventa insipido con che cosa gli darete sapore?
Abbiate sale in voi stessi se volete vivere in pace gli uni con gli altri».

5"8`<: agg. qualificativo, nom. sing. n. da i"8`H, –Z, –`<, bello, buono, appropriato,
conveniente; cf. Mc 4,8; predicato nominale.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
ž8"H: sost., nom. sing. n. da ž8"H, –"J@H, sale; soggetto. Il vocabolo ricorre 8 volte nel NT:
Mt 5,13[x2]; Mc 9,50[x3]; Lc 14,34[x2]; Col 4,6. Nel mondo semitico, ma più in generale
per tutti gli antichi, il sale aveva una speciale importanza alimentare e religiosa. Tra le cose
di prima necessità per la vita dell’uomo elencate in Sir 39,26 compare il sale. In un’epoca e
in un ambiente privi di sistemi refrigeranti artificiali la conservazione dei cibi deperibili era
affidata al sale. Il sale, inoltre, era molto usato per condire gli alimenti, spesso alterati dalla
cattiva conservazione o senza sapore («Si mangia forse un cibo insipido, senza sale?», Gb
6,6). Per tali motivi il sale è preso come simbolo di durata, efficacia e conservazione e come
tale è messo in relazione a Dio, mentre la decomposizione è messa in relazione ai demoni
che nel costume orientale vengono scacciati con il sale. Il detto di Gesù si comprende bene
nell’ambiente palestinese dove il sale era procurato in massima parte dai depositi del Mar
Morto e misto ad altre sostanze diventava facilmente insipido, prendendo un sapore alcalino
(cf. Plinio il Vecchio, Nat. hist., 31,67).
¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
Mc 9,50 675

ž8"H: sost., nom. sing. n. da ž8"H, –"J@H, sale; cf. Mc 9,50a; soggetto.
–<"8@<: agg. qualificativo, nom. sing. n. da –<"8@H, –@< (da –8n" privativa e ž8H), senza
sale, non salato, insipido; predicato nominale. Hapax neotestamentario. L’aggettivo –<"8@H
è raramente attestato nella grecità: indica ciò che è «privo di sale» (cf. Aristotele, Probl., 927a
35). Il sale grezzo, molto usato nell’antichità (cf. sopra, commento a ž8"H), poteva perdere
la sua efficacia a causa dell’umidità o per effetto del sole, diventando così insipido, ossia
inutile per gli alimenti.
(X<0J"4: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4.
¦<: prep. propria di valore strumentale, seguita dal dativo, indecl., con, per mezzo di; cf. Mc 1,2.
J\<4: pron. interrogativo, dat. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?,
che?, quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; compl. di mezzo. L’espressione ¦< J\<4 è
un esempio di ¦< strumentale dovuto a influsso semitico: la preposizione greca traduce
quella corrispondente ebraica (vA, be), impiegata per esprimere non un complemento di luogo,
ma di mezzo o strumento. Ritroviamo questo uso particolare in Mc 1,8; 3,22.23; 4,2.11.24.
30; 6,14; 9,29.38.50; 11,28.29.33; 12,1.36.38; 16,17.
"ÛJ`: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. n. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 4,4; compl. oggetto.
•DJbFgJg: verbo, 2a pers. plur. ind. fut. da •DJbT, preparare, condire. Questo verbo ricorre 3
volte nel NT: Mc 9,50 (hapax marciano); Lc 14,34; Col 4,6. Detto di cibi, come qui, il verbo
assume già nel greco classico il significato di «preparare», «condire», «insaporire» (cf.
Aristotele, Eth. Nic., 1118a 29).
§PgJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2. La preposizione ¦< è qui usata con la sfumatura di «tra», «in mezzo a» (cf. 1Ts 5,13:
gÆD0<gbgJg ¦< ©"LJ@ÃH, «state in pace tra voi»). Per l’uso di ¦< in questo senso cf. Mc 6,4;
8,38; 10,43; 15,40; Mt 2,6; Lc 2,14; Rm 1,12; 15,5.
©"LJ@ÃH: pron. riflessivo, dat. plur. m. da ©"LJ@Ø, –­H, –@Ø (non usato al nominativo), lui, lui
stesso, esso; cf. Mc 1,27; compl. di stato in luogo.
ž8": sost., acc. sing. n. da ž8"H, –"J@H, sale; cf. Mc 9,50a; compl. oggetto. Senza articolo
perché generico. «Avere sale» può significare avere prudenza: un agire che sia orientato al
contenuto di questo insegnamento sul servizio.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4. La congiunzione ha qui,
per influsso semitico, il valore della particella condizionale «se».
gÆD0<gbgJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da gÆD0<gbT, fare pace, stare in pace, vivere
in pace, coltivare la pace. Questo verbo ricorre 4 volte nel NT: Mc 9,50 (hapax marciano);
Rm 12,18; 2Cor 13,11; 1Ts 5,13. Il verbo denominativo gÆD0<gbT è attestato nel greco
classico nel significato etimologico di «essere in pace» (cf. Aristotele, Hist. anim., 608b 29).
I due imperativi §PgJg… ž8" i" gÆD0<gbgJg sono una paratassi condizionale: «abbiate
sale… se volete vivere in pace».
676 Mc 9,50

¦<: prep. propria di valore locale (di persone), seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su,
fra; cf. Mc 1,2.
•88Z8@4H: pron. reciproco, dat. plur. m. da •88Z8T< (genitivo plurale di –88@H, con
raddoppiamento), l’un l’altro, reciprocamente, a vicenda; cf. Mc 4,41; compl. di stato in
luogo.
Mc 10,1

10,1 5" ¦igÃhg< •<"FJH §DPgJ"4 gÆH J ÓD4" J­H z3@L*"\"H [i"Â] BXD"< J@Ø
z3@D*V<@Ls i"Â FL:B@Dgb@<J"4 BV84< ÐP8@4 BDÎH "ÛJ`<s i"Â ñH gÆfhg4
BV84< ¦*\*"Fig< "ÛJ@bH.
10,1 Partito di là si recò nei territori della Giudea e al di là del Giordano. Le folle
accorsero di nuovo da lui e di nuovo egli si mise a insegnare loro, come era solito
fare.

5"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.21.
26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.
50.53a.65a.72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\ di influsso semitico acquista il
significato avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica), per introdurre come
formula paratattica di passaggio una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra
unità narrativa.
¦igÃhg<: avv. di luogo, indecl., di là, da lì; cf. Mc 6,1.
•<"FJVH: verbo, nom. sing. m. part. aor. da •<\FJ0:4 (da •<V e ËFJ0:4), sorgere, alzarsi,
sollevarsi, risorgere, risuscitare; cf. Mc 1,35. Participio predicativo di valore espletivo del
soggetto sottinteso z30F@ØH. La costruzione formata dal participio •<"FJVH + un verbo di
movimento (cf. Mc 1,35; 2,14; 7,24; 10,1) è comunemente utilizzata nella lingua ebraica e
aramaica per segnalare uno stacco narrativo o un cambio di scena: sebbene si conosca un uso
anche nel greco classico la formula che ritroviamo in Marco è dovuta a un semitismo.
§DPgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Presente storico.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
ÓD4": sost., acc. plur. n. da ÓD4@<, –@L, confine, regione, distretto, terra, territorio; cf. Mc 5,17;
compl. di moto a luogo.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
z3@L*"\"H: sost., nome proprio di località, gen. sing. f. da z3@L*"\", –"H, Giudea; cf. Mc 3,7;
compl. di specificazione.
[i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4. La congiunzione è
assente in C (secondo correttore), D, G, W, ), 1, f1, f13, 28, 205, 565, 579, 1241, 1243,
1342, 1424. È presente, invece, nei codici !, B, C*, L, Q, 0274, 892, 2474. I testimoni
testuali sono esitanti circa questa congiunzione. Si possono dividere in due gruppi: a) la
lezione senza i"\ fa estendere la Giudea al di là del Giordano (= «si recò nei territori della
Giudea, al di là del Giordano»): affermazione, questa, che non corrisponde né alla realtà
geografica né a quella storica e politica, poiché la provincia romana della Giudea includeva

677
678 Mc 10,1

la Samaria e l’Idumea, ma non il territorio a oriente del Giordano (qui inteso probabilmente
come toponimo per indicare la Transgiordania); b) La lezione con i"\ (= «si recò nei territori
della Giudea e al di là del Giordano»), attestata da un folto gruppo di manoscritti della
tradizione alessandrina, fa compiere un lungo e apparentemente incomprensibile giro al
gruppo formato da Gesù e i discepoli, i quali, lasciata la Galilea per «passare» in Giudea, cioè
a Gerusalemme, non si dirigono a sud, attraversando la Samaria, ma si recano prima a est del
Giordano per poi riattraversare il fiume presso Gerico e salire a Gerusalemme. La prima
variante (senza i"\), pur risultando la lectio difficilior, ha contro di sé il sospetto di essere
una assimilazione a Mt 19,1 (che non riporta la congiunzione: µ8hg< gÆH J ÓD4" J­H
z3@L*"\"H BXD"< J@Ø z3@D*V<@L). La seconda variante (con il i"\) è attestata da
testimoni più antichi e autorevoli e probabilmente è da preferire.].
BXD"<: prep. impropria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., oltre, di là, al di là,
dall’altra parte, sull’altra riva; cf. Mc 3,8.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
z3@D*V<@L: sost., nome proprio di fiume, gen. sing. m. da z3@D*V<0H, –@L, Giordano; cf. Mc
1,5; compl. di denominazione.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
FL:B@Dgb@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. medio da FL:B@Dgb@:"4 (da Fb< e
B@Dgb@:"4), andare insieme, venire insieme, riunirsi, convenire, radunarsi. Questo verbo
deponente ricorre 4 volte nel NT: Mc 10,1 (hapax marciano); Lc 7,11; 14,25; 24,15. Presente
storico. Il significato di «accorrere», «riunirsi», è attestato sia nel greco classico (cf. Polibio,
Hist., 5,75,1) sia nei LXX (cf. Dt 31,11; Gb 1,4).
BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
ÐP8@4: sost., nom. plur. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; soggetto. Senza
articolo perché generico.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di moto a luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
ñH: cong. subordinativa di valore incidentale, indecl., come, nel modo che, nella maniera che,
nella misura che; cf. Mc 1,10.
gÆfhg4: verbo, 3a pers. sing. ind. piucch. da §hT, essere abituato, essere solito. Questo verbo
ricorre 4 volte nel NT: Mt 27,15; Mc 10,1 (hapax marciano); Lc 4,16; At 17,2. Nella grecità
sia classica che biblica questo verbo è generalmente usato al perfetto gÇTh", con valore di
presente o al piuccheperfetto gÆfhg4<, con valore di imperfetto.
BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
¦*\*"Fig<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da *4*VFiT, insegnare, istruire, ammaestrare;
cf. Mc 1,21. Imperfetto durativo o iterativo.
Mc 10,2 679

"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.

10,2 i" BD@Fg8h`<JgH M"D4F"Ã@4 ¦B0DfJT< "ÛJÎ< gÆ §>gFJ4< •<*D (L<"Ãi"


•B@8ØF"4s Bg4DV.@<JgH "ÛJ`<.
10,2 Si avvicinarono alcuni farisei e, per metterlo alla prova, gli chiesero se è lecito a un
marito divorziare dalla moglie.

i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.21.
26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.50.
53a.65a.72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\ di influsso semitico acquista il
significato avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica), per introdurre come
formula paratattica di passaggio una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra
unità narrativa.
BD@Fg8h`<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da BD@FXDP@:"4 (da BD`H e §DP@:"4),
venire, avvicinarsi, precedere, accostarsi; cf. Mc 1,31. Participio predicativo del soggetto
M"D4F"Ã@4.
M"D4F"Ã@4: sost., nome proprio di gruppo religioso, nom. plur. m. da M"D4F"Ã@H, –@L, farisei;
cf. Mc 2,16; soggetto. Senza articolo perché ancora sconosciuti.
¦B0DfJT<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da ¦BgDTJVT (da ¦B\ e ¦DTJVT), richiedere,
domandare, interrogare; cf. Mc 5,9. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo
(«domandavano», «continuavano a domandare»), ma puntuale, corrispondente a un aoristo
(«domandarono»): nel greco classico come in quello ellenistico i cosiddetti verba dicendi,
rogandi, exhortandi, iubendi, tra i quali ¦BgDTJVT, ¦DTJVT, 8X(T, ecc., preferiscono la
forma dell’azione incompiuta (ossia il tempo imperfetto), poiché l’azione che esprimono
attende sempre di essere completata da quella indicata dal verbo successivo. Per altri esempi
di questo imperfetto puntuale con il verbo ¦BgDTJVT cf. Mc 5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33;
10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; per quanto riguarda l’imperfetto puntuale con ¦DTJVT
cf. Mc 4,10; 8,5; con 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24.26.30.41; 5,30.31a;
6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70; 15,12a.14.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7. La particella è qui usata per introdurre una proposizione interrogativa
indiretta, analogamente a Mc 3,2; 8,23; 15,44.
§>gFJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da §>g4:4 (da ¦i e gÆ:\), è legale, è lecito, è permesso,
è possibile; cf. Mc 2,24.
680 Mc 10,3

•<*D\: sost., dat. sing. m. da •<ZD, •<*D`H, uomo, maschio; cf. Mc 6,20; compl. di termine.
Senza articolo perché generico. Il vocabolo è qui impiegato nel significato di «marito» (cf.
Mc 10,12).
(L<"Ãi": sost., acc. sing. f. da (L<Z, (L<"4i`H, donna; cf. Mc 5,25; compl. oggetto. Senza
articolo perché generico.
•B@8ØF"4: verbo, inf. aor. da •B@8bT (da •B` e 8bT), liberare, lasciare, congedare,
mandare via, licenziare; cf. Mc 6,36. In senso tecnico questo verbo è usato nel significato
di «divorziare» e, dunque, l’espressione letterale «mandare via la moglie» equivale a
«ripudiare la moglie», ossia «divorziare dalla moglie». Nei vangeli sinottici il verbo è usato
con questo significato in 13 occasioni, per indicare il “ripudio” della moglie fatto dal marito
mediante un certificato di divorzio. Il caso che viene sottoposto a Gesù non tiene conto della
donna, poiché secondo la legislazione che ritroviamo codificata nella Mishnah soltanto
l’uomo aveva il diritto di «ripudiare» la moglie, ossia divorziare da lei: «Una donna può
essere ripudiata sia con il suo consenso sia senza il suo consenso, mentre l’uomo può
ripudiare anche di sua spontanea volontà» (m.Yeb., 14,1). Poiché lo scioglimento del
matrimonio consisteva nella presentazione alla moglie dell’atto di divorzio da parte del marito
o di un suo legale rappresentante, in pratica era il marito che «ripudiava» la moglie, mentre
la moglie non poteva ripudiare il marito.
Bg4DV.@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da Bg4DV.T, provare, esaminare, saggiare,
tentare, mettere alla prova; cf. Mc 1,13. Participio predicativo del soggetto M"D4F"Ã@4, con
valore finale.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.

10,3 Ò *¥ •B@iD4hgÂH gÉBg< "ÛJ@ÃHs I\ ß:Ã< ¦<gJg\8"J@ 9TdF­Hp


10,3 Egli disse loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?».

Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
•B@iD4hg\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33. Participio predicativo di valore espletivo del
soggetto sottinteso z30F@ØH.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7. L’espressione •B@iD4hg\H… 8X(g4, •B@iD4hg\H… gÉBg< è ricalcata sull’ebraico
9/G !J&H… 03HHH&, wayya‘an… wayyo) ’mer, «rispondendo… dice», «rispondendo… disse» (cf.
Gb 8,1, ecc.). Si tratta di una tipica locuzione semitica ridondante che può essere tradotta
semplicemente con «disse», «rispose», «replicò» e simili. Questa formula ricorre 16 volte in
Marco (cf. Mc 3,33; 6,37; 7,28; 8,29; 9,5.19; 10,3.24.51; 11,14.22.33; 12,35; 14,48; 15,2.12).
Mc 10,4 681

"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
I\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine.
¦<gJg\8"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da ¦<JX88T (da ¦< e JX88T), ordinare,
comandare, prescrivere. Questo verbo semideponente ricorre 15 volte nel NT: Mt 4,6; 17,9;
19,7; 28,20; Mc 10,3; 13,34; Lc 4,10; Gv 8,5; 14,31; 15,14.17; At 1,2; 13,47; Eb 9,20; 11,22.
Nel greco classico questo verbo nella diatesi media ¦<JX88@:"4 è impiegato in contesto
profano, per indicare un incarico, una disposizione, un comando da parte di qualcuno (cf.
Erodoto, Hist., 1,47,1; Polibio, Hist., 18,2,1; Platone, Resp., 393e). In questa accezione si
ritrova in Mc 13,34 e Eb 11,22. Nelle altre ricorrenze neotestamentarie il verbo è usato per
indicare comunicazioni, ordini e precetti divini o altre realtà che sono in connessione con
Dio.
9TdF­H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da 9TdF­H, –XTH, Mosè; cf. Mc 1,44;
soggetto.

10,4 @Ê *¥ gÉB"<s z+BXJDgRg< 9TdF­H $4$8\@< •B@FJ"F\@L (DVR"4 i"Â


•B@8ØF"4.
10,4 Quelli risposero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di divorzio e di mandarla
via».

@Ê: art. determ., con valore pronominale, nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5;
soggetto. Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale
"ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
gÉB"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7.
z+BXJDgRg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦B4JDXBT (da ¦B\ e la radice di JD@BZ),
permettere, lasciare fare, concedere; cf. Mc 5,13.
9TdF­H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da 9TdF­H, –XTH, Mosè; cf. Mc 1,44;
soggetto.
$4$8\@<: sost., acc. sing. n. da $4$8\@<, –@L, libro, rotolo, documento, atto; compl. oggetto.
Il vocabolo ricorre 34 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 19,7; Mc
10,4 (hapax marciano); Lc 4,17[x2].20; Gv 20,30; 21,25. L’assenza dell’articolo è dovuta a
influsso dello stato costrutto ebraico. Analogamente a $\$8@H (cf. Mc 12,26) il vocabolo,
derivato dal nome della città di Byblos, in Fenicia, patria della scoperta del papiro, può
indicare un «libro», un «rotolo [di libro]» o anche, come qui, un «documento» scritto.
682 Mc 10,5

•B@FJ"F\@L: sost., gen. sing. n. da •B@FJVF4@<, –@L, divorzio, ripudio; compl. di


specificazione. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mt 5,31; 19,7; Mc 10,4 (hapax
marciano). Quando il nome reggente è privo di articolo (come qui) anche il genitivo
dipendente ne è solitamente sprovvisto. L’uso del vocabolo (da solo o nell’espressione
$4$8\@< •B@FJ"F\@L) per indicare in senso tecnico il «certificato di divorzio» si trova
soltanto nei testi greco–giudaici. Si riferisce all’attestato di divorzio (;; L *9EƒA 95G2G, se)p) er
kerî5t u5t , lett. «libretto del taglio») che il marito doveva rilasciare alla moglie dalla quale
intendeva divorziare. Tale legislazione è ricordata in Dt 24,1.3; Is 50,1; Ger 3,8. Ecco il
contenuto di uno di questi attestati di divorzio, redatto in aramaico attorno al 70 d.C. e
proveniente da Wadi Murabbaat:

«Primo di Mareshwan, anno 6, a Masada. Io oggi licenzio e ripudio di mia volontà te. Io,
Giuseppe, figlio di Naqsan, te, Maria, figlia di Gionata di Hanablata, residente a Masada, te
che prima d’ora eri mia moglie, sicché tu da parte tua sei libera di andare e di diventare
moglie di qualunque uomo giudeo di tua scelta. Pertanto ecco da parte mia l’attestato di
separazione e il documento di congedo. Io ti consegno poi il prezzo pagato per le nozze e
[risarcisco] tutto ciò che si è rovinato e danneggiato. In qualsiasi momento, se tu lo richiedi,
io rinnovo il documento, lo garantisco sulla mia vita. Giuseppe, figlio di Naqsan per sé stesso.
Eleazaro, figlio di Malka, testimone. Giuseppe, figlio di Malka, testimone. Eleazaro, figlio
di Hananah, testimone» (P.Murabbaat, 19, DJD, Vol. II, n. 22).

Secondo la legislazione giudaica soltanto il marito poteva rilasciare un atto di divorzio,


per motivi a volta anche banali (in Dt 24,1 è sufficiente «qualcosa di ripugnante» nella
moglie). La legge prevedeva alcune restrizioni: un marito non aveva diritto di divorziare se
aveva disonorato una vergine (cf. Dt 22,29) o se aveva ingiustamente accusato la moglie di
adulterio (cf. Dt 22,19). Il trattato Ghittin della Mishnah è interamente dedicato a presentare
la legislazione che regolava i vari casi di divorzio. Esistevano addirittura dei libretti di
divorzio già precompilati a seconda delle esigenze, a cui bastava aggiungere i nomi dei
divorziandi e la data dell’atto: «Chi scrive formulari di libretti di divorzio deve lasciare libero
il posto per il nome del marito, per il nome della moglie e per la data» (m.Ghit., 3,2). Il
rilascio di un attestato di divorzio da parte della moglie, impensabile in ambiente strettamente
giudaico, era possibile, invece, in qualche ambiente di influenza ellenistico–romana, come
nel caso di Salome che divorziò da Costabaro inviandogli il documento di divorzio (cf.
Giuseppe Flavio, Antiq., 15,259–260).
(DVR"4: verbo, inf. aor. da (DVnT, scrivere; cf. Mc 1,2.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•B@8ØF"4: verbo, inf. aor. da •B@8bT (da •B` e 8bT), liberare, lasciare, congedare,
mandare via, licenziare; cf. Mc 6,36.

10,5 Ò *¥ z30F@ØH gÉBg< "ÛJ@ÃHs ADÎH J¬< Fi80D@i"D*\"< ß:ä< §(D"Rg< ß:Ã<
J¬< ¦<J@8¬< J"bJ0<.
10,5 Ma Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa
norma.
Mc 10,5 683

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto. Delle 81 ricorrenze del nome di «Gesù» in Marco (150 in Matteo, 87 in Luca, 244
in Giovanni) ben 18 sono concentrate nel capitolo 10.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
AD`H: prep. propria di valore causale, seguita dall’accusativo, indecl., in considerazione di, a
causa di, a motivo di; cf. Mc 1,5.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
Fi80D@i"D*\"<: sost., acc. sing. f. da Fi80D@i"D*\", –"H (da Fi80D`H e i"D*\"),
durezza di cuore; compl. di causa. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mt 19,8; Mc 10,5;
16,14. Si tratta di un neologismo coniato nel giudaismo ellenistico (cf. Filone di Alessandria,
Spec., 1,305; LXX). Il vocabolo, formato dal sostantivo i"D*\", «cuore» e dall’aggettivo
Fi80D`H, «duro», «rigido», «secco», traduce l’espressione anticotestamentaria ""H-A ;-H9A3I,
‘orla5t leb5ab5, utilizzata nell’AT in modo metaforico per designare l’ostinata insensibilità
umana verso le manifestazioni salvifiche di Dio e la sua legge (cf. Dt 10,16; Prv 17,20; Sir
16,10; Ger 4,4; Ez 3,7, LXX). Come tale corrisponde alla BfDTF4H J­H i"D*\"H,
«durezza di cuore» di Mc 3,5 (cf. anche Mc 6,52; 8,17) e al «cuore incirconciso» (i"D*\"
•BgD\J:0J@H), più volte lamentato nella Bibbia, per indicare la volontà recalcitrante del
popolo nei riguardi di Dio (cf. Lv 26,41; Ger 9,25; Ez 44,7; At 7,51).
ß:ä<: pron. personale di 2a pers. gen. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
cf. Mc 2,8; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona plurale («di voi» = «vostro»).
§(D"Rg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da (DVnT, scrivere; cf. Mc 1,2.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di vantaggio.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
¦<J@8Z<: sost., acc. sing. f. da ¦<J@8Z, –­H, ordine, comando, precetto, ingiunzione,
comandamento; cf. Mc 7,8; compl. oggetto. La legislazione giudaica concernente il
matrimonio e il divorzio è esposta nella Mishnah, Tosefta e Talmud, in particolare nei
trattati Ghittin, Qiddushin, Sotah, Yebamot, Ketubot. La necessità storica della legge
mosaica che permetteva l’istituto del divorzio non è approvata da Gesù, ma soltanto riferita
come tappa intermedia di quell’etica e spiritualità coniugale che con la nuova rivelazione da
lui proposta arriva alla sua definitiva fase finale. Il Gesù di Marco dà alla legge mosaica un
valore storico e contingente; il valore assoluto è quello della legge che fu «da principio»:
quella sola è legge di Dio.
684 Mc 10,6

J"bJ0<: agg. dimostrativo, acc. sing. f. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 4,13;
attributo di ¦<J@8Z<, qui senza articolo perché in posizione predicativa.

10,6 •BÎ *¥ •DP­H iJ\FgTH –DFg< i" h­8L ¦B@\0Fg< "ÛJ@bH·


10,6 Ma a iniziare dalla creazione [Dio] li creò maschio e femmina;

•B`: prep. propria con valore temporale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,9.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
•DP­H: sost., gen. sing. f. da •DPZ, –­H, principio, inizio, origine, riassunto, compendio; cf. Mc
1,1; compl. di tempo determinato. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con
preposizioni, come qui, è frequente nel greco ellenistico.
iJ\FgTH: sost., gen. sing. f. da iJ\F4H, –gTH, creazione; compl. di specificazione. Il vocabolo
ricorre 19 volte nel NT: Mc 10,6; 13,19; 16,15; Rm 1,20.25; 8,19.20.21.22. 39; 2Cor 5,17;
Gal 6,15; Col 1,15.23; Eb 4,13; 9,11; 1Pt 2,13; 2Pt 3,4; Ap 3,14. Il significato di iJ\F4H
come «cosa creata», «creazione», è tipico del greco bilico (cf. Sal 5,17; Tb 8,5), poiché nella
grecità il sostantivo è impiegato nel senso profano di «fondazione» (cf. Tucidide, Hist., 6,5,3;
Polibio, Hist., 9,1,4) e «azione», «compimento» (cf. Pindaro, Olym., 13,83). Quando il nome
reggente è privo di articolo (come qui) anche il genitivo dipendente ne è solitamente
sprovvisto. Soggetto implicito è Dio, definito e conosciuto come Ò iJ\F"H, «il creatore» (cf.
Qo 12,1; Sir 24,8). Nella traduzione il vocabolo deve essere necessariamente esplicitato, per
non lasciare la frase sospesa.
–DFg<: agg. qualificativo, acc. sing. n. da –DF0<, –g<, maschio; compl. predicativo. Il
vocabolo ricorre 9 volte nel NT: Mt 19,4; Mc 10,6 (hapax marciano); Lc 2,23; Rm
1,27[x3]; Gal 3,28; Ap 12,5.13. Senza articolo perché generico. Nel greco sia classico (cf.
Omero, Il., 7,315; Euripide, Tr., 503; Eschilo, Ag., 861) che biblico (cf. Gn 1,27; 5,2; 6,19,
ecc.) il vocabolo, spesso usato sostantivato e nella forma –DD0<, indica il «maschio»
sessuato, il partner sessuale maschile, di persone, animali o divinità, contrapposto alla
femmina.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
h­8L: agg. qualificativo, acc. sing. n. da h­8LH, hZ8g4", h­8L, femmina; compl. predicativo.
Il vocabolo ricorre 5 volte nel NT: Mt 19,4; Mc 10,6 (hapax marciano); Rm 1,26.27; Gal
3,28. Senza articolo perché generico. Riferito a animali, uomini e dèi, il termine è usato nel
greco sia classico (cf. Omero, Il., 8,7; Euripide, Bacc., 796) che biblico (cf. Gn 1,27; 5,2;
6,19) per esprimere il genus femminile, contrapposto nella sua diversità sessuale a quello
maschile.
¦B@\0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
Mc 10,7 685

10,7 ª<gig< J@bJ@L i"J"8g\Rg4 –<hDTB@H JÎ< B"JXD" "ÛJ@Ø i" J¬< :0JXD"
[i"Â BD@Fi@880hZFgJ"4 BDÎH J¬< (L<"Ãi" "ÛJ@Ø]s
10,7 per questo ciascuno lascerà suo padre e sua madre

ª<gig<: prep. impropria di valore causale, seguita dal genitivo, indecl., per, a causa di; cf. Mc
8,35.
J@bJ@L: pron. dimostrativo, gen. sing. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; compl. di causa.
La forma J@bJ@L ricorre 69 volte nel NT rispetto alle 1387 ricorrenze totali di questo
pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 4 volte in Matteo (corrispondente allo
0,022% del totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc 10,7.10 = 0,018%); 7 volte in Luca
(0,036%); 19 volte in Giovanni (0,122%).
i"J"8g\Rg4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. da i"J"8g\BT (da i"JV e 8g\BT), lasciare,
lasciare indietro, abbandonare. Questo verbo ricorre 24 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: Mt 4,13; 16,4; 19,5; 21,17; Mc 10,7; 12,19.21; 14,52; Lc 5,28; 10,40;
15,4; 20,31; Gv 8,9. Ampiamente attestato nel greco biblico questo verbo esprime un
«lasciare» in senso generico, in riferimento sia a luoghi che a cose o persone, in conformità
all’uso classico (cf. Omero, Il., 12,92; Od., 15,89; Euripide, Suppl., 45).
–<hDTB@H: sost., nom. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17;
soggetto. Senza articolo perché generico. L’impiego del vocabolo –<hDTB@H per il
pronome indefinito J\H, «uno», «qualcuno» («nessuno» con negazione), è un semitismo.
Ritroviamo questo uso in Mc 1,23; 3,1; 4,26; 5,2; 7,11; 8,27.36.37; 10,7.9; 11,2; 12,1.14;
13,34.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B"JXD": sost., acc. sing. m. da B"JZD, B"JD`H, padre; cf. Mc 1,20; compl. oggetto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
:0JXD": sost., acc. sing. f. da :ZJ0D, :0JD`H, madre; cf. Mc 3,31; compl. oggetto.
[i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.].
[BD@Fi@880hZFgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. pass. da BD@Fi@88V@:"4 (da BD`H e
i@88V@:"4), incollare, unire, attaccare, congiungere. Questo verbo ricorre 2 volte nel NT:
Mc 10,7 (hapax marciano); Ef 5,31. Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo
composto viene ripetuta davanti al successivo complemento indiretto, come qui; questo
fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56;
7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.].
[BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.].
686 Mc 10,8

[JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.].
[(L<"Ãi": sost., acc. sing. f. da (L<Z, (L<"4i`H, donna; cf. Mc 5,25; compl. di moto a
luogo.].
["ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»). L’espressione i"Â BD@Fi@880hZFgJ"4 BDÎH J¬< (L<"Ãi" "ÛJ@Ø
è presente nei codici D, W, 1, f13, 28, 157, 180, 565, 597, 700c, 892c, 1006, 1010, 1071,
1241, 1243, 1292, 1424, 1505; è assente, invece, in !, B, Q, 892*, 2427. Coloro che
sostengono la sua autenticità ritengono che l’omissione che si registra in importanti codici sia
dovuta a un errore di trascrizione (aplogafia): l’occhio dello scriba sarebbe passato dal i"\
di Mc 10,7 al i"\ di Mc 10,8, saltando il testo in oggetto. Tuttavia è preferibile ritenere che
la frase sia stata aggiunta per un intento di completezza, dietro suggestione del passo parallelo
di Mt 19,5; l’espressione, infatti, è incongruente con l’inizio del versetto, dove il termine
–<hDTB@H non ha il significato di «uomo», «maschio», ma quello corrispondente al
pronome indefinito «ciascuno», «ognuno».].

10,8 i" §F@<J"4 @Ê *b@ gÆH FVDi" :\"<· òFJg @ÛiXJ4 gÆFÂ< *b@ •88 :\" FVD>.
10,8 e i due diventeranno un solo essere: non sono più due, ma un solo essere.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§F@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. medio da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere
presente; cf. Mc 1,6. L’espressione §F@<J"4… gÆH è un semitismo: la preposizione regge
il predicato nominale («una carne sola»), mentre il verbo «essere» ha il senso di «diventare».
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
*b@: agg. numerale, cardinale, di valore sostantivato, nom. plur. m. da *b@ (gen. *b@, dat.
*LF\<, acc. *b@), due; cf. Mc 6,7; soggetto.
gÆH: prep. propria di valore modale, seguita dall’accusativo, indecl., secondo, conforme a, in; cf.
Mc 1,4. Un uso particolare di gÆH è quello chiamato “predicativo”, in unione a un sostantivo
che funge da predicato nominale o da complemento predicativo del soggetto: si tratta di un
semitismo dove gÆH corrisponde alla preposizione ebraica -A, le, con valore modale (cf. anche
Mc 12,10).
FVDi": sost., acc. sing. f. da FVD>, F"Di`H, carne; predicato nominale. Il vocabolo ricorre 147
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 5 volte in Matteo (corrispondente
allo 0,027% del totale delle parole); 4 volte in Marco (cf. Mc 10,8[x2]; 13,20; 14,38 =
0,035%); 2 volte in Luca (0,010%); 13 volte in Giovanni (0,083%). Nel greco classico FVD>
ha il significato letterale di «carne», distinta dalle ossa (cf. Omero, Od., 9,293; Polluce,
Onom., 2,232,1) oppure designa, in senso globale, l’intero corpo fisico (cf. Eschilo, Ag., 72).
Il termine denota in modo particolare la carne intesa come materia caduca dell’uomo, a cui
si contrappone la RLPZ che costituisce la sua parte spirituale e imperitura. I LXX impiegano
FVD> per tradurre nella stragrande maggioranza delle ricorrenze l’ebraico 9” I vI, ba) 'sa) r (266
Mc 10,9 687

volte; 9!F –A, še’e)r, 17 volte), il quale nel Testo masoretico ha una ampia gamma semantica,
poiché designa la carne, intesa di volta in volta come il «cibo» (cf. Gn 41,2), il «corpo»
umano intero (cf. 1Re 21,27), la «persona», l’«essere individuale» (cf. Sal 62,2), la
«parentela» (cf. Gn 37,27). Questa molteplicità di significati si riscontra anche nel NT, dove
il termine FVD> a seconda del contesto può indicare la «carne» come sostanza corporea (cf.
1Cor 15,39), il «corpo» umano nella sua totalità (cf. At 2,31), l’«uomo» o la «persona» come
individualità (cf. Lc 3,6). La frase gÆH FVDi" :\"< è una traduzione servile dell’ebraico
$( I !G 9”
I "I-A, leb5a) 'sa) r ’ehEa) d5 (cf. Gn 2,24): in questo contesto il termine FVD> assume il
significato di «essere», «persona», «individuo».
:\"<: agg. numerale, cardinale, acc. sing. f. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; attributo di
FVDi".
òFJg: cong. subordinativa di valore consecutivo, indecl., così che, cosicché, tanto che, al punto
che; cf. Mc 1,27.
@ÛiXJ4: (da @Û e §J4), avv. di tempo, indecl., mai, non più, non oltre; cf. Mc 5,3.
gÆF\<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
*b@: agg. numerale, cardinale, nom. plur. m. da *b@ (gen. *b@, dat. *LF\<, acc. *b@), due; cf.
Mc 6,7; predicato nominale.
•88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno; cf. Mc 1,44.
:\": agg. numerale, cardinale, nom. sing. f. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; attributo di FVD>.
FVD>: sost., nom. sing. f. da FVD>, F"Di`H, carne; cf. Mc 10,8; soggetto.

10,9 Ô @Þ< Ò hgÎH FL<X.gL>g< –<hDTB@H :¬ PTD4.XJT.


10,9 Nessuno, dunque, divida ciò che Dio ha unito».

Ó: pron. relativo, acc. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24; compl. oggetto. In
posizione enfatica.
@Þ<: cong. conclusiva, indecl., dunque, pertanto. Questa congiunzione ricorre 499 volte nel NT.
La distribuzione nei vangeli è la seguente: 56 volte in Matteo (corrispondente allo 0,305%
del totale delle parole); 6 volte in Marco (cf. Mc 10,9; 11,31; 12,9; 13,35; 15,12; 16,19 =
0,053%); 33 volte in Luca (0,169%); 200 volte in Giovanni (1,279%).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
hg`H: sost., nom. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; soggetto.
FL<X.gL>g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da FL.gb(<L:4 (da Fb< e .gØ(@H), legare [a un
giogo], aggiogare, unire insieme, unire, congiungere. Questo verbo ricorre 2 volte nel NT:
Mt 19,6; Mc 10,9 (hapax marciano). Nel significato traslato FL.gb(<L:4 è usato nel greco
classico (cf. Aristotele, Polit., 1335a 17; Senofonte, Oecon., 7,30) per indicare l’unione, il
vincolo e perfino l’atto coniugale (cf. il latino coniugium, da iugum, «giogo»).
688 Mc 10,10

–<hDTB@H: sost., nom. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17;
soggetto. Senza articolo perché generico. L’impiego del vocabolo –<hDTB@H per il
pronome indefinito J\H, «uno», «qualcuno» («nessuno» con negazione), è un semitismo.
Ritroviamo questo uso in Mc 1,23; 3,1; 4,26; 5,2; 7,11; 8,27.36.37; 10,7.9; 11,2; 12,1.14;
13,34.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
PTD4.XJT: verbo, 3a pers. sing. imperat. pres. da PTD\.T, separare, dividere. Questo verbo
ricorre 13 volte nel NT: Mt 19,6; Mc 10,9 (hapax marciano); At 1,4; 18,1.2; Rm 8,35.39;
1Cor 7,10.11.15[x2]; Fm 1,15; Eb 7,26. Il verbo PTD\.T deve essere qui inteso non tanto
nel significato generico e profano di «separare», «dividere», come nel greco classico (cf.
Platone, Pol., 268c; Senofonte, Oecon., 9,8), quanto in quello tecnico di «separare», nel
contesto della normativa contrattuale matrimoniale. L’imperativo presente negativo esprime
una proibizione forte e protratta nel tempo che non ammette eccezioni (cf. Mc 5,36; 9,39;
10,9.14; 13,7.11.21; 16,6). Qui il presente fa dell’illocutivo direttivo una norma generale
valida per tutti e per sempre.

10,10 5"Â gÆH J¬< @Æi\"< BV84< @Ê :"h0J"Â BgDÂ J@bJ@L ¦B0DfJT< "ÛJ`<.
10,10 Quando furono a casa i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento.

5"\: cong. coordinativa di valore temporale, indecl., mentre, quando; cf. Mc 1,4. Il significato
temporale che può assumere la congiunzione i"\ si ritrova in Mc 1,19c; 10,10; 14,62b;
15,25a.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
@Æi\"<: sost., acc. sing. f. da @Æi\", –"H, casa, abitazione, dimora; cf. Mc 1,29; compl. di moto
a luogo.
BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
:"h0J"\: sost., nom. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; soggetto.
BgD\: prep. propria con valore di argomento, seguita dal genitivo, indecl., intorno a, riguardo
a, nei confronti di, circa; cf. Mc 1,6.
J@bJ@L: pron. dimostrativo, gen. sing. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 10,7;
compl. di argomento.
¦B0DfJT<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da ¦BgDTJVT (da ¦B\ e ¦DTJVT), richiedere,
domandare, interrogare; cf. Mc 5,9. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo
(«domandavano», «continuavano a domandare»), ma puntuale, corrispondente a un aoristo
(«domandarono»): nel greco classico come in quello ellenistico i cosiddetti verba dicendi,
rogandi, exhortandi, iubendi, tra i quali ¦BgDTJVT, ¦DTJVT, 8X(T, ecc., preferiscono la
Mc 10,11 689

forma dell’azione incompiuta (ossia il tempo imperfetto), poiché l’azione che esprimono
attende sempre di essere completata da quella indicata dal verbo successivo. Per altri esempi
di questo imperfetto puntuale con il verbo ¦BgDTJVT cf. Mc 5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33;
10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; per quanto riguarda l’imperfetto puntuale con ¦DTJVT
cf. Mc 4,10; 8,5; con 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24.26.30.41; 5,30.31a;
6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70; 15,12a.14.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.

10,11 i" 8X(g4 "ÛJ@ÃHs ?H —< •B@8bF® J¬< (L<"Ãi" "ÛJ@Ø i" (":ZF® –880<
:@4PJ"4 ¦Bz "ÛJZ<·
10,11 Ed egli disse loro: «Chi divorzia dalla propria moglie e ne sposa un’altra, commette
adulterio verso di lei;

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. La formula redazionale 8X(g4
"ÛJ@ÃH ricorre 25 volte, esclusivamente riservata a Gesù (cf. Mc 1,38; 2,8.17.25; 3,4;
4,13.35; 5,39; 6,31.38.50; 7,18; 8,17; 9,35; 10,11.24.42; 11,2.22.33; 12,16; 14,13.27.34.41).
Per quanto riguarda la formula singolare 8X(g4 "ÛJè, avente come soggetto Gesù, cf. Mc
1,41.44; 2,14; 5,9.19; 7,34; per 8X(g4 "ÛJ± cf. Mc 5,41.
?H: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2; soggetto.
–<: partic. modale di valore dubitativo, eventuale o condizionale, indecl., [se, e se, caso mai,
qualora, eventualmente]; cf. Mc 3,29.
•B@8bF®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da •B@8bT (da •B` e 8bT), liberare, lasciare,
congedare, mandare via, licenziare; cf. Mc 6,36. Si tratta di un esempio di «detti gnomici»
di Gesù, introdotti dal pronome indefinito nella forma «chi…», «chiunque…», «colui che…»,
«se qualcuno…», ecc., il cui scopo è quello di mettere in evidenza le caratteristiche della
sequela. Ritroviamo questa costruzione in Mc 3,35 («chi compie la volontà di Dio…»), Mc
6,11 (chi non accoglie i Dodici), Mc 9,37 («chi accoglie un bambino…»), Mc 9,40 («chi non
è contro di noi è per noi»), Mc 9,42 («chi scandalizza uno dei piccoli…»), Mc 10,11 («chi
divorzia dalla moglie…»), Mc 10,29 («chi lascia casa, fratelli, sorelle…»), Mc 10,43 («chi
vuole essere il più grande…»), Mc 11,23 («chi dice a questo monte…»).
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
(L<"Ãi": sost., acc. sing. f. da (L<Z, (L<"4i`H, donna; cf. Mc 5,25; compl. oggetto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
690 Mc 10,12

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4. La congiunzione ha qui
una sfumatura finale: «per sposarne un’altra».
(":ZF®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da (":XT, sposare; cf. Mc 6,17.
–880<: pron. indefinito, acc. sing. f. da –88@H, –0, –@, altro, un altro; cf. Mc 4,5; compl.
oggetto.
:@4PJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. pass. da :@4PV@:"4, commettere adulterio. Questo
verbo deponente ricorre 4 volte nel NT: Mt 5,32; 19,9; Mc 10,11.12. Nella grecità classica
:@4PV@:"4, analogamente al sinonimo :@4PgbT (cf. Mc 10,19), ha come soggetto
unicamente l’uomo; oggetto è principalmente la donna sposata. Nella diatesi media e passiva
i verbi acquistano un diverso significato: a proposito dell’uomo significano «essere indotto
all’adulterio», «lasciarsi sedurre», mentre in riferimento alla donna significano «commettere
adulterio» (!). Nel greco ellenistico, tuttavia, questa distinzione tende a scomparire, al punto
che lo stesso verbo può essere applicato a entrambi i sessi, intesi come soggetti agenti in
grado di «compiere adulterio». Nella legislazione dell’antichità, non solo biblica, l’adulterio,
inteso come violazione di un matrimonio altrui, era considerato una colpa particolarmente
grave. Nell’AT esso è punito con la morte, perché costituisce una rottura del patto con Dio
(cf. Lv 20,10; Dt 22,22). In epoca ellenistica la pena di morte non era quasi mai applicata e
veniva sostituita dall’atto di ripudio della donna adultera.
¦Bz: (= ¦B\), prep. propria con valore di relazione, seguita dall’accusativo, indecl., circa,
riguardo a, in riferimento a, nei confronti di; cf. Mc 1,22.
"ÛJZ<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,31; compl. di relazione. A chi si riferisce questo
pronome? Due possibilità, con due diverse interpretazioni: a) alla propria moglie ((L<Z) e,
pertanto, il significato sarebbe «l’uomo commette adulterio nei suoi confronti», ossia nei
confronti della legittima moglie; b) «all’altra» donna (–880): in tal caso il significato
sarebbe «l’uomo commette adulterio con lei». Grammaticalmente, in questa seconda
possibilità, la preposizione ¦B\ è usata alla maniera semitica nel significato di «con»,
«assieme a». Si deve osservare, tuttavia, che Marco non usa ¦B\ con questo significato e,
inoltre, la ripetizione del pronome "ÛJZ all’inizio del versetto successivo (v. 12), dimostra
che si tratta qui della prima moglie.

10,12 i" ¦< "ÛJ¬ •B@8bF"F" JÎ< –<*D" "ÛJ­H (":ZF® –88@< :@4PJ"4.
10,12 e se è lei a divorziare dal proprio marito e a sposarne un altro commette adulterio».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
"ÛJZ: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., nom. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; soggetto. La forma "ÛJZ ricorre 11 volte nel NT rispetto alle
Mc 10,13 691

5600 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mc


10,12; Lc 1,36; 2,37; 7,12; 8,42.
•B@8bF"F": verbo, nom. sing. f. part. aor. da •B@8bT (da •B` e 8bT), liberare, lasciare,
congedare, mandare via, licenziare; cf. Mc 6,36. Participio predicativo del soggetto "ÛJZ.
Può darsi che questo versetto sia un adattamento delle parole di Gesù alla prassi legale del
mondo greco–romano, dove, diversamente da quello ebraico, anche la donna poteva prendere
l’iniziativa del divorzio.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
–<*D": sost., acc. sing. m. da •<ZD, •<*D`H, uomo, maschio; cf. Mc 6,20; compl. oggetto. Il
vocabolo è qui impiegato nel significato di marito (cf. Mc 10,2).
"ÛJ­H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,30; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
(":ZF®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da (":XT, sposare; cf. Mc 6,17.
–88@<: pron. indefinito, acc. sing. m. da –88@H, –0, –@, altro, un altro; cf. Mc 4,5; compl.
oggetto.
:@4PJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. pass. da :@4PV@:"4, commettere adulterio; cf. Mc
10,11.

10,13 5" BD@FXngD@< "ÛJè B"4*\" Ë<" "ÛJä< žR0J"4· @Ê *¥ :"h0J" ¦BgJ\:0-
F"< "ÛJ@ÃH.
10,13 Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li sgridavano.

5"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.21.
26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.50.
53a.65a.72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\ di influsso semitico acquista il
significato avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica), per introdurre come
formula paratattica di passaggio una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra
unità narrativa.
BD@FXngD@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da BD@FnXDT (da BD`H e nXDT), portare,
offrire; cf. Mc 1,44. Imperfetto durativo o iterativo, di valore impersonale: quasi certamente
sono gli stessi genitori, soggetto implicito.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
B"4*\": sost., acc. plur. n. da B"4*\@<, –@L (diminutivo di B"ÃH), bambino, bambina, fanciullo,
fanciulla, ragazzo, ragazza; cf. Mc 5,39; compl. oggetto. Senza articolo perché generici.
692 Mc 10,14

Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. n. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
žR0J"4: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. medio da žBJ@:"4, toccare, tenere; cf. Mc 1,41.
L’usanza presso gli Ebrei di benedire i bambini mediante una imposizione delle mani è bene
attestata; i padri erano soliti benedire i figli e il maestro i suoi discepoli (cf. Strack–Bill.,
I,807–808). In particolare a Gerusalemme in occasione del solenne giorno dell’espiazione
(.*9ELƒE%
H .|*, Yôm hakkippurîm) i fanciulli che avevano partecipato al digiuno venivano
portati dinanzi agli scribi, affinché questi li benedicessero e pregassero per loro (cf.
Strack–Bill., II,138).
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
:"h0J"\: sost., nom. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; soggetto.
¦BgJ\:0F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da ¦B4J4:VT (da ¦B\ e J4:VT), intimare,
ammonire, sgridare, rimproverare, proibire, ordinare severamente; cf. Mc 1,25. Il verbo è
qui nella forma indicativo aoristo forse per indicare che il rimprovero ebbe successo in un
primo momento; quando, però, ci furono altri tentativi intervenne Gesù.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. Il pronome personale (e, dunque,
il rimprovero) può riferirsi tanto ai bambini quanto alle persone adulte che li accompagnava-
no, soggetto implicito. Il significato generale comunque rimane: i discepoli vogliono impedire
questo avvicinamento.

10,14 Æ*ã< *¥ Ò z30F@ØH ²("<ViJ0Fg< i" gÉBg< "ÛJ@ÃHs }!ngJg J B"4*\"


§DPgFh"4 BD`H :gs :¬ iT8bgJg "ÛJVs Jä< (D J@4@bJT< ¦FJÂ< º $"F48g\"
J@Ø hg@Ø.
10,14 Gesù, al vedere questo, si indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me
e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio!

Æ*f<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc 1,10.
Participio predicativo del soggetto z30F@ØH. Marco usa spesso il participio con un
significato temporale (Mc 2,5.16; 5,6.22; 6,48.49; 7,2; 8,33; 9,20.25; 10,14; 12,34; 14,67.69;
15,39).
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
Mc 10,14 693

²("<ViJ0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •("<"iJXT, essere indignato, essere
sdegnato. Questo verbo ricorre 7 volte nel NT: Mt 20,24; 21,15; 26,8; Mc 10,14.41; 14,4;
Lc 13,14. Nel greco classico ed ellenistico il verbo, riferito all’uomo, indica il fremito
dell’anima, l’indignazione interiore (cf. Platone, Phaedr., 251c; Aristofane, Lys., 499, ecc.).
Nei vangeli è l’unica volta in cui si parla apertamente di questo sdegno di Gesù. Nelle altre
ricorrenze il verbo è usato per indicare lo sdegno degli apostoli (cf. Mc 10,41; Mt 20,24;
26,8), dei capi dei sacerdoti e scribi (cf. Mt 21,15), dei commensali (cf. Mc 14,4) o del capo
della sinagoga (cf. Lc 13,14). Si tratta, dunque, di una reazione tipicamente umana.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
}!ngJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. aor. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare,
rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18.
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
B"4*\": sost., acc. plur. n. da B"4*\@<, –@L (diminutivo di B"ÃH), bambino, bambina,
fanciullo, fanciulla, ragazzo, ragazza; cf. Mc 5,39; soggetto della proposizione oggettiva
costruita con il verbo infinito §DPgFh"4.
§DPgFh"4: verbo, inf. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. L’intervento di Gesù si apre con un primo comando:
«Lasciate che vengano»: è un vero ordine formulato con un imperativo aoristo. Il verbo
«venire» è all’infinito presente per indicare una azione continuativa e non per una volta
soltanto. Letteralmente: «Lasciate venire i bambini a me».
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5. L’espressione §DP@:"4 BD`H detta in riferimento
a Gesù non è rara in Marco: è impiegata per descrivere l’andare verso Gesù da parte di
qualche miracolato (cf. Mc 1,40; 2,3; 10,50), della folla (cf. Mc 1,45; 2,13; 3,8; 5,15) o di
gruppi specifici (cf. Mc 11,27; 12,18). Qui è lo stesso Gesù che comanda ai suoi discepoli
di lasciar «venire a sé» i bambini (cf. Mc 10,14).
:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,40; compl. di moto a luogo.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
iT8bgJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da iT8bT, impedire, negare, proibire; cf. Mc
9,38. L’impiego di due imperativi in successione paratattica (–ngJg… :¬ iT8bgJg) rivela
lo stile duale tipico di Marco (cf. Mc 1,25; 4,24; 6,31.38; 7,14; 8,15; 10,14.21; 11,2; 13,33;
14,34.38.42; 16,7). In questi casi l’accento è posto sul secondo verbo rispetto al primo il
quale svolge soltanto una funzione espletiva. L’imperativo presente negativo esprime una
proibizione forte e protratta nel tempo che non ammette eccezioni (cf. Mc 5,36; 9,39;
10,9.14; 13,7.11.21; 16,6).
694 Mc 10,15

"ÛJV: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. n. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 5,10; compl. oggetto. Qui il pronome dimostrativo fa le
veci del pronome personale di 3a pers. plur.
Jä<: art. determ., gen. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
(VD: cong. coordinativa di valore causale, indecl., poiché, perché, giacché; cf. Mc 1,16.
J@4@bJT<: pron. dimostrativo, di valore sostantivato, gen. plur. n. da J@4@ØJ@H, J@4"bJ0,
J@4@ØJ@, simile, tale, di questo tipo; cf. Mc 4,33; compl. di specificazione. Il genitivo
anteposto è un genitivo di appartenenza: la costruzione greca gÉ<"4 J4<`H (lett. «essere di
qualcuno») è usata per esprimere l’idea di possesso (= «appartenere a qualcuno»).
L’espressione greca resta, tuttavia, ambigua. Letteralmente la frase suona: «…infatti di tali
è il regno di Dio». Grammaticalmente è possibile una duplice traduzione: a) «…infatti il
regno di Dio appartiene a essi» (ossia ai bambini presenti nella scena); b) «…infatti il regno
di Dio appartiene a quelli simili [ai bambini]». Il contesto successivo chiarisce che non sono
soltanto i bambini in quanto tali quelli che posseggono il Regno di Dio, ma anche tutti coloro
che, pur non essendo piccoli per età, diventano come bambini, ossia assumono le loro stesse
caratteristiche: «Hac voce tam parvulos quam eorum similes comprehendit» (Calvino).
¦FJ\<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
$"F48g\": sost., nom. sing. f. da $"F48g\", –"H, signoria, potere reale, dominio sovrano,
regno; cf. Mc 1,15; soggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione.

10,15 •:¬< 8X(T ß:Ã<s ÔH —< :¬ *X>0J"4 J¬< $"F48g\"< J@Ø hg@Ø ñH B"4*\@<s @Û
:¬ gÆFX8h® gÆH "ÛJZ<.
10,15 In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come un bambino non entrerà in
esso».

•:Z<: avv. di modo, indecl., così è, così sia, in verità, certamente, veramente, «amen»; cf. Mc
3,28. Questa solenne formula introduttiva compare in Mc 3,28; 8,12; 9,1.41; 10,15.29; 11,23;
12,43; 13,30; 14,9.18.25.30. Per quanto riguarda il significato vedi commento a Mc 3,28.
8X(T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. La forma verbale 8X(T ricorre in Mc 20 volte (cf. Mc 2,11; 3,28; 5,41; 8,12;
9,1.13.41; 10,15.29; 11,23.24.33; 12,43; 13,30.37[x2]; 14,9.18.25.30): essa è usata soltanto
da Gesù, ossia è esclusivamente Gesù che parla del proprio parlare e ne sottolinea la forza,
l’insistenza e la validità. In particolare la formula •:¬< 8X(T ß:Ã< / F@4 (cf. Mc 3,28; 8,12;
9,1.41; 10,15.29; 11,23; 12,43; 13,30; 14,9.18.25.30) esprime il carattere solenne e
irrefutabile di quanto affermato da Gesù.
Mc 10,15 695

ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine. L’omissione della congiunzione dichiarativa ÓJ4 dopo un verbo
di locuzione (asindeto) conferisce alle parole di Gesù immediatezza e forza. Stesso
fenomeno in Mc 10,29; 14,9.
ÓH: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2; soggetto.
–<: partic. modale di valore dubitativo, eventuale o condizionale, indecl., [se, e se, caso mai,
qualora, eventualmente]; cf. Mc 3,29.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
*X>0J"4: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. medio da *XP@:"4, ricevere, accogliere, ospitare;
cf. Mc 6,11.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
$"F48g\"<: sost., acc. sing. f. da $"F48g\", –"H, signoria, potere reale, dominio sovrano,
regno; cf. Mc 1,15; compl. oggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione.
ñH: avv. con valore di modo e paragone, indecl., come, simile a, alla maniera di, nel modo che,
nella condizione di, in qualità di; cf. Mc 1,10.
B"4*\@<: sost., nom. sing. n. da B"4*\@<, –@L (diminutivo di B"ÃH), bambino, bambina,
fanciullo, fanciulla, ragazzo, ragazza; cf. Mc 5,39; soggetto. Senza articolo perché generico.
L’espressione ñH B"4*\@< è ellittica: «chi non accoglie il Regno di Dio come [lo accoglie]
un bambino…». Qualche commentatore interpreta B"4*\@< come accusativo dell’oggetto,
traducendo: «chi non accoglie il Regno di Dio come [si accoglie] un bambino…». È
preferibile la prima interpretazione.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4. Nelle proposizioni affermative
le due negazioni in successione @Û :Z sono utilizzate per enfatizzare la negazione, per
esprimere un forte diniego: si tratta di un uso piuttosto frequente nel greco ellenistico. Marco
utilizza la doppia negazione @Û :Z 10 volte (prescindiamo dalla ricorrenza di Mc 16,18), 9
delle quali sulla bocca di Gesù (cf. Mc 9,1.41; 10,15; 13,2[x2].19.30. 31; 14,25); in Mc 14,31
è usata da Pietro.
gÆFX8h®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare,
venire dentro, recarsi, andare; cf. Mc 1,21. Spesso la preposizione posta come prefisso a un
verbo composto viene ripetuta davanti al successivo complemento indiretto, come qui;
questo fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17;
6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16;
15,32; 16,5.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
696 Mc 10,16–17

"ÛJZ<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,31; compl. di moto a luogo.

10,16 i" ¦<"(i"84FV:g<@H "ÛJ i"JgL8`(g4 J4hgÂH JH PgÃD"H ¦Bz "ÛJV.
10,16 E prendendoli tra le braccia li benediceva, ponendo le mani su di loro.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦<"(i"84FV:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. aor. medio da ¦<"(i"8\.@:"4 (da ¦< e
•(iV80), abbracciare, prendere tra le braccia; cf. Mc 9,36. Participio predicativo del
soggetto z30F@ØH.
"ÛJV: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. n. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 5,10; compl. oggetto.
i"JgL8`(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da i"JgL8@(XT (da i"JV e gÛ8@(XT),
benedire. Hapax neotestamentario. Imperfetto durativo o iterativo. Di formazione ellenistica,
il verbo i"JgL8@(XT è usato nel greco profano nel significato di «lodare», «esaltare» (cf.
Plutarco, Quom. adul., 66,a,4), mentre assume quello di «benedire» nel greco biblico.
L’azione principale di Gesù è quella di «benedire»: gli altri verbi, al participio, descrivono
il modo in cui tale benedizione è svolta.
J4hg\H: verbo, nom. sing. m. part. pres. da J\h0:4, mettere, posare, porre, disporre; cf. Mc
4,21. Participio predicativo del soggetto z30F@ØH.
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
PgÃD"H: sost., acc. plur. f. da Pg\D, Pg4D`H, mano; cf. Mc 1,31; compl. oggetto. L’imposizione
delle mani da parte di Gesù è in genere gesto comune nelle narrazioni di guarigioni (cf. Mc
5,23; 6,5; 7,32; 8,23.25. L’azione di imporre le mani al fine di procurare una guarigione sarà
ripetuta dagli apostoli per espressa volontà di Gesù (cf. Mc 16,18) e diventerà rito della
Chiesa. Qui tale gesto è usato per benedire.
¦Bz: (= ¦B\), prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., in, su, a, sopra; cf.
Mc 1,22.
"ÛJV: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. n. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 5,10; compl. di stato in luogo.

10,17 5"Â ¦iB@DgL@:X<@L "ÛJ@Ø gÆH Ò*Î< BD@F*D":ã< gÍH i"Â (@<LBgJZF"H
"ÛJÎ< ¦B0DfJ" "ÛJ`<s )4*VFi"8g •("hXs J\ B@4ZFT Ë<" .T¬< "Æf<4@<
i80D@<@:ZFTp
10,17 Mentre andava per la strada un tale gli corse incontro, si gettò in ginocchio davanti
a lui e gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?».

5"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.21. 26a.
Mc 10,17 697

35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.50.53a.


65a.72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\ di influsso semitico acquista il significato
avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica), per introdurre come formula
paratattica di passaggio una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra unità
narrativa.
¦iB@DgL@:X<@L: verbo, gen. sing. m. part. pres. medio da ¦iB@Dgb@:"4, uscire, venire fuori,
andare, recarsi, accorrere; cf. Mc 1,5. Participio al genitivo assoluto. Marco parla sovente
dell’«entrare e uscire» di Gesù (con ¦iB@Dgb@:"4: Mc 10,17.46; 11,19; con ¦>XDP@:"4:
Mc 1,35; 2,13; 5,2; 6,1.34; 7,31; 8,27; 11,11).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3. La frase ¦iB@DgL@:X<@L "ÛJ@Ø appare nella forma
detta “genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore temporale.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
Ò*`<: sost., acc. sing. f. da Ò*`H, –@Ø, strada, via; cf. Mc 1,2; compl. di moto a luogo.
L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è frequente nel
greco ellenistico.
BD@F*D":f<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da BD@FJDXPT (da BD`H e JDXPT), correre,
accorrere; cf. Mc 9,15. Participio predicativo del soggetto gÍH.
gÍH: agg. numerale, cardinale, nom. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; soggetto. L’uso
del numero cardinale gÍH al posto del pronome indefinito J\H, «uno», «qualcuno» o
dell’articolo indeterminativo «uno» soprattutto nelle espressioni partitive è un semitismo.
Ritroviamo questo fenomeno in Mc 5,22; 6,15; 8,28; 9,17.37.42; 10,17.37[x2]; 12,28.42;
13,1; 14,10.18.20.43.47.66.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
(@<LBgJZF"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da (@<LBgJXT (da (`<L e B\BJT), cadere sulle
ginocchia, inginocchiarsi; cf. Mc 1,40. Participio predicativo del soggetto gÍH. Nell’antichità
la genuflessione non era riservata soltanto alle divinità, ma veniva praticata anche verso gli
uomini in segno di rispetto, omaggio o supplica (cf. Est 3,2; Gdt 10,23; 1Sam 25,23.41;
2Sam 1,2; 14,4; Mc 1,40; 10,17). Essa, inoltre, era usuale come gesto di preghiera (cf. Lc
22,41; At 9,40; 20,36; 21,5). La forma verbale, usata qui in modo assoluto, equivale
all’espressione J4hX<JgH J (`<"J", lett. «ponendo le ginocchia [a terra]», «cadere in
ginocchio», ossia «inginocchiarsi» (cf. Lc 22,41; At 7,60; 9,40; 20,36; 21,5), corrispondente
all’analoga formula paolina iV:BJg4< (`<L, «piegare il ginocchio» (cf. Rm 11,4; 14,11; Ef
3,14; Fil 2,10).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di stato in luogo. L’accusativo è retto dal
verbo (@<LBgJXT.
¦B0DfJ": verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da ¦BgDTJVT (da ¦B\ e ¦DTJVT), richiedere,
domandare, interrogare; cf. Mc 5,9. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo
(«domandava», «continuava a domandare»), ma puntuale, corrispondente a un aoristo
698 Mc 10,17

(«domandò»): nel greco classico come in quello ellenistico i cosiddetti verba dicendi,
rogandi, exhortandi, iubendi, tra i quali ¦BgDTJVT, ¦DTJVT, 8X(T, ecc., preferiscono la
forma dell’azione incompiuta (ossia il tempo imperfetto), poiché l’azione che esprimono
attende sempre di essere completata da quella indicata dal verbo successivo. Per altri esempi
di questo imperfetto puntuale con il verbo ¦BgDTJVT cf. Mc 5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33;
10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; per quanto riguarda l’imperfetto puntuale con ¦DTJVT
cf. Mc 4,10; 8,5; con 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24.26.30.41; 5,30.31a;
6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70; 15,12a.14.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
)4*VFi"8g: sost., voc. sing. m. da *4*VFi"8@H, –@L, maestro, insegnante; cf. Mc 4,38;
compl. di vocazione.
•("hX: agg. qualificativo, voc. sing. m. da •("h`H, –Z, –`<, buono, utile; cf. Mc 3,4; attributo
di *4*VFi"8g. Molto probabilmente l’aggettivo ha qui il significato corrispondente al nostro
«egregio», «stimato», «insigne»: un tale modo di salutare era insolito nel mondo giudaico, ma
possibile nell’ambito linguistico dell’ellenismo. La rarità di tale appellativo nella letteratura
giudaica dipende dal fatto che nell’AT •("h`H è attributo di Dio (cf. Sal 118,1; 1Cr 16,34;
2Cr 5,13; Esd 3,11), inteso come benefattore misericordioso.
J\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; compl. oggetto.
B@4ZFT: verbo, 1a pers. sing. congiunt. aor. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3. Questa forma può essere intesa anche come un indicativo futuro: nel
primo caso si tratta di un congiuntivo con sfumatura deliberativa al presente (= «che cosa
debbo fare…»), nel secondo caso la prospettiva è rivolta al futuro (= «che cosa dovrò
fare…»): il senso della domanda, comunque, resta chiaramente comprensibile.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
.TZ<: sost., acc. sing. f. da .TZ, –­H, vita; cf. Mc 9,43; compl. oggetto. Senza articolo perché
generica.
"Æf<4@<: agg. qualificativo, acc. sing. f. da "Æf<4@H, –@<, interminabile, eterno, senza fine; cf.
Mc 3,29; attributo di .TZ<. Senza articolo perché un sostantivo astratto indicante natura o
qualità solitamente non lo richiede. L’espressione .TZ "Æf<4@H, «vita eterna» è tratta dal
libro di Daniele (.-I|3 *F(H , hEayyê ‘ôla) m, Dn 12,2), per poi passare in altri testi biblici (cf.
2Mac 7,9) e nella letteratura giudaica extra–biblica (cf. Ps. Salom., 3,12; 1Hen., 37,4; 40,9;
4Mac., 15,3): non indica l’«immortalità» dell’anima (concetto filosofico) né la vita divina
nell’anima del giusto, ma la piena realizzazione dell’esistenza umana dopo la morte, concessa
da Dio agli eletti. L’espressione come tale equivale a .TZ di Mc 9,43.45.
i80D@<@:ZFT: verbo, 1a pers. sing. congiunt. aor. da i80D@<@:XT, ereditare, prendere
possesso. Questo verbo ricorre 18 volte nel NT: Mt 5,5; 19,29; 25,34; Mc 10,17 (hapax
marciano); Lc 10,25; 18,18; 1Cor 6,9.10; 15,50[x2]; Gal 4,30; 5,21; Eb 1,4; 6,12; 12,17; 1Pt
3,9; Ap 21,7. Il verbo i80D@<@:XT di formazione ellenistica è usato nel greco profano nel
Mc 10,18 699

significato generico di «ereditare», in senso sia proprio che figurato (cf. Demostene, Or.,
18,312; Isocrate, Or., 1,2). In Israele si è sempre parlato di «ereditare» le promesse di Dio (cf.
Es 32,13), perché si sapeva che la certezza del possesso futuro della terra e dei beni
dipendeva unicamente dalla volontà divina (cf. Nm 26,52–56) e non dai meriti dell’uomo,
appunto come avviene nelle eredità.

10,18 Ò *¥ z30F@ØH gÉBg< "ÛJès I\ :g 8X(g4H •("h`<p @Û*gÂH •("hÎH gÆ :¬ gÍH Ò


hg`H.
10,18 Gesù gli rispose: «Perché dici che io sono buono? Nessuno è buono, se non Dio solo.

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
I\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24. L’uso di J\ con il valore di «perché?» viene
spiegato come una specie di accusativo di specificazione o di relazione («di che cosa?», «in
relazione a che?»); cf. Mc 2,7.8.24; 4,40; 5,35.39; 8,12.17; 9,16.33; 10,18; 11,3; 12,15; 14,6.
:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,40; soggetto della proposizione oggettiva costruita con il verbo infinito gÉ<"4
(sottinteso).
8X(g4H: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7.
•("h`<: agg. qualificativo, acc. sing. m. da •("h`H, –Z, –`<, buono, utile; cf. Mc 3,4; compl.
predicativo. La replica di Gesù è apparentemente fuori luogo e per certi aspetti sconcertante:
egli, infatti, sembra ritenersi non buono, rispetto all’unico buono, ossia Dio. Il loghion è
certamente autentico, proprio per questa sua difficoltà interpretativa. L’affermazione deve
essere collegata alla tradizione anticotestamentaria nella quale Yahweh è spesso considerato
e definito «buono» in rapporto al dono della Legge che egli ha fatto a Israele, come proclama
l’acclamazione liturgica: «Tu sei buono [o Signore] e nella tua bontà insegnami i tuoi
comandamenti» (cf. Sal 119,68). Secondo Filone di Alessandria i dieci comandamenti
riflettono la bontà di Dio, perché ibD4@H •("h`Hs :`<T< •("hä< "ÇJ4@Hs i"i@Ø *z
@Û*g<`H, «il Signore è buono: è causa di tutti i beni e non dei mali» (cf. Id., Dec., 176).
L’aggettivo •("h`H applicato a Dio esprime la sua divinità e benevolenza in relazione alla
Legge: è, infatti, dei comandamenti del decalogo che si parla subito dopo. In tal senso Gesù
vuole che l’interlocutore si concentri sul rapporto che lega Dio ai comandamenti, oggetto
della disputa.
700 Mc 10,19

@Û*g\H: (da @Û*X e gÍH), pron. indefinito negativo, nom. sing. m. da @Û*g\H, @Û*g:\", @Û*X<,
nessuno, niente; cf. Mc 2,21; soggetto.
•("h`H: agg. qualificativo, nom. sing. m. da •("h`H, –Z, –`<, buono, utile; cf. Mc 3,4;
predicato nominale.
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7. La particella gÆ è qui strettamente unita alla negazione per formare la
locuzione congiuntiva gÆ :Z, «tranne», «all’infuori», «eccetto», che introduce una
proposizione eccettuativa. La formula, generalmente usata senza un verbo seguente, si
ritrova in Mc 2,7.26; 5,37; 6,4.5.8; 8,14; 9,9.29; 10,18; 11,13; 13,32.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
gÍH: agg. numerale, cardinale, nom. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
hg`H: sost., nom. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; soggetto.

10,19 JH ¦<J@8H @É*"H· 9¬ n@<gbF®Hs 9¬ :@4PgbF®Hs 9¬ i8XR®Hs 9¬


RgL*@:"DJLDZF®Hs 9¬ •B@FJgDZF®Hs I\:" JÎ< B"JXD" F@L i" J¬< :0JXD".
10,19 Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non
testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre».

JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
¦<J@8VH: sost., acc. plur. f. da ¦<J@8Z, –­H, ordine, comando, precetto, ingiunzione,
comandamento; cf. Mc 7,8; compl. oggetto. In posizione enfatica.
@É*"H: verbo, 2a pers. sing. ind. perf. da @É*" (una radice con valore di presente connessa a
gÉ*@<, aor. attivo di ÒDVT), vedere, percepire, discernere, conoscere, sapere; cf. Mc 1,24.
9Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
n@<gbF®H: verbo, 2a pers. sing. congiunt. aor. da n@<gbT, uccidere, assassinare. Questo verbo
ricorre 12 volte nel NT: Mt 5,21[x2]; 19,18; 23,31.35; Mc 10,19 (hapax marciano); Lc
18,20; Rm 13,9; Gc 2,11[x2]; 4,2; 5,6. Nell’uso profano il verbo n@<gbT indica un
«uccidere» in modo violento, ossia «ammazzare», «massacrare» (cf. Eschilo, Sept., 340;
Erodoto, Hist., 1,35,3; Sofocle, Oed. tyr., 716). La lista che segue, nonostante si ispiri al
decalogo, non è una citazione vera e propria, ma un richiamo ad alcuni comandamenti. Il loro
ordine non è quello del testo masoretico: soltanto i primi quattro seguono l’ordine riportato
in Es 20,12–15; Dt 5,17–18; il quinto comandamento, :¬ •B@FJgDZF®H, «non frodare»,
raggruppa il nono e il decimo comandamento di Es 20,17; Dt 5,21; il sesto comandamento,
J\:" JÎ< B"JXD" F@L i"Â J¬< :0JXD", «onora tuo padre e tua madre», è spostato alla
fine della lista, mentre nella tavola di Es 20 e Dt 5 precede gli altri. Anche dal punto di vista
grammaticale vi sono delle differenze: nei LXX la negazione è espressa dalla congiunzione
@Û seguita dall’indicativo futuro; qui si usa :Z con il congiuntivo aoristo.
9Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
Mc 10,19 701

:@4PgbF®H: verbo, 2a pers. sing. congiunt. aor. da :@4PgbT, commettere adulterio. Questo
verbo ricorre 9 volte nel NT: Mt 5,27.28.32; 19,18; Mc 10,19 (hapax marciano); Gv 8,4; Rm
2,22[x2]; 13,9; Gc 2,11[x2]; Ap 2,22. Per quanto riguarda le caratteristiche linguistiche e
l’uso di questo verbo nel greco profano e biblico vedi commento a Mc 10,11.
9Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
i8XR®H: verbo, 2a pers. sing. congiunt. aor. da i8XBJT, rubare. Questo verbo ricorre 13 volte
nel NT: Mt 6,19.20; 19,18; 27,64; 28,13; Mc 10,19 (hapax marciano); Lc 18,20; Gv 20,10;
Rm 2,21[x2]; 13,9; Ef 4,28[x2]. A partire da Omero il verbo i8XBJT è usato nel
significato di «derubare», «sottrarre», con azione furtiva (cf. Omero, Il., 24,24; Erodoto, Hist.,
2,174,1). Nei LXX i8XBJT è considerato uno dei peccati capitali assieme a uccidere,
commettere adulterio e giurare il falso. Perciò il comando apodittico @Û i8XRg4H ha valore
assoluto (cf. Es 20,14; Dt 5,19; Lv 19,11).
9Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
RgL*@:"DJLDZF®H: verbo, 2a pers. sing. congiunt. aor. da RgL*@:"DJLDXT, testimoniare il
falso, dire falsa testimonianza. Questo verbo ricorre 5 volte nel NT: Mt 19,18; Mc 10,19;
14,56.57; Lc 18,20. Nelle ricorrenze sinottiche RgL*@:"DJLDXT compare soltanto nel
contesto del processo giudaico contro Gesù. Il verbo è tecnico e, analogamente al sostantivo
RgL*@:"DJLD\", «falsa testimonianza», fa parte del linguaggio giuridico (cf. Plutarco,
Marius, 5,7,1; Pomp., 53,2,7; Ateneo Sofista, Deipn., 6,65,7; Demostene, Or., 41,16; Filone
di Alessandria, Decal., 138; Senofonte, Mem., 4,4,11; Platone, Theaet., 148b; Leg., 937b;
937c; Aristotele, Eth. Nic., 1131a 7; Polit., 1263b 21; 1274b 6; Giuseppe Flavio, Antiq., 3,92;
4,219; Anassimene di Lampsaco, Rhet., 15,6): non significa semplicemente «dire il falso»,
ossia «essere bugiardo» in situazioni ordinarie, ma «testimoniare il falso» in occasione di
qualche processo. Nell’AT la falsa testimonianza di colui che è chiamato a deporre viene
gravemente minacciata di punizione a norma dello ius talionis (cf. Dt 19,16–19). Il testimone
falso o semplicemente avventato è meritevole di particolare riprovazione (cf. Es 23,1; Sal
27,12; 35,11; Prv 6,19; 12,17.19; 19,5.9; 21,28).
9Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
•B@FJgDZF®H: verbo, 2a pers. sing. congiunt. aor. da •B@FJgDXT (da •B` e FJgDXT), portare
via, defraudare, rubare, derubare. Questo verbo ricorre 6 volte nel NT: Mc 10,19 (hapax
marciano); 1Cor 6,7.8; 7,5; 1Tm 6,5; Gc 5,4. Nella grecità il verbo •B@FJgDXT è
impiegato nel significato generico di «privare», «spogliare» (cf. Sofocle, Elect., 1276;
Senofonte, Anab., 7,6,9); per estensione e in senso peggiorativo il verbo assume il senso di
«defraudare» (cf. Erodoto, Hist., 7,155,1; Aristofane, Nub., 487).
I\:": verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. da J4:VT, valutare, stimare, onorare, riverire,
venerare; cf. Mc 7,6.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B"JXD": sost., acc. sing. m. da B"JZD, B"JD`H, padre; cf. Mc 1,20; compl. oggetto.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
702 Mc 10,20

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
:0JXD": sost., acc. sing. f. da :ZJ0D, :0JD`H, madre; cf. Mc 3,31; compl. oggetto.

10,20 Ò *¥ §n0 "ÛJès )4*VFi"8gs J"ØJ" BV<J" ¦nL8">V:0< ¦i <g`J0J`H :@L.


10,20 Egli allora gli rispose: «Maestro, tutte queste cose le ho messe in pratica fin dalla mia
giovinezza».

Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
§n0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da n0:\, dichiarare, dire, affermare; cf. Mc 9,12.
Grammaticalmente questa forma verbale può essere anche intesa come 3a persona singolare
indicativo imperfetto.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
)4*VFi"8g: sost., voc. sing. m. da *4*VFi"8@H, –@L, maestro, insegnante; cf. Mc 4,38;
compl. di vocazione.
J"ØJ": pron. dimostrativo, acc. plur. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 2,8; compl.
oggetto.
BV<J": agg. indefinito, acc. plur. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; attributo di J"ØJ".
¦nL8">V:0<: verbo, 1a pers. sing. ind. aor. medio da nL8VFFT, badare, custodire, osservare,
rispettare. Questo verbo ricorre 31 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
Mt 19,20; Mc 10,20 (hapax marciano); Lc 2,8; 8,29; 11,21.28; 12,15; 18,21; Gv 12,25.47;
17,12. Esempio di verbo alla diatesi media con valore dinamico; si può meglio esplicitare:
«mi sono impegnato a metterle in pratica». Semanticamente il verbo nL8VFFT (attico
nL8VJJT), derivato dal sostantivo nb8">, «guardiano», assume il significato originario di
«vegliare» (intr.), «sorvegliare» (trans.) e conseguentemente «proteggere», «custodire», in
senso fisico (cf. Omero, Il., 10,309.417; Od., 15,35). Da questo significato base deriva quello
traslato di «rispettare», «adempiere», «mettere in pratica», con particolare riferimento alla
legge e al complesso normativo che ne deriva (cf. Sofocle, Trach., 616; Platone, Pol., 292a).
Nei LXX nL8VFFT esprime soprattutto l’«osservanza» richiesta da Dio all’uomo nei
riguardi dell’alleanza, delle prescrizioni cultuali, del complesso legislativo: in questo senso
il verbo diventa un termine tecnico nelle tradizioni della legge dall’Esodo al Deuteronomio
(cf. Es 12,17.24.25; 13,10; 15,26; 19,5; 20,6; 23,13.15.22; 31,13.14.16; 34,18; Lv 8,35;
18,4.5.26.30; 19,3.19.30.37; 20,8.22; 22,9.31; 25,18; 26,2.3; Nm 9,19.23; Dt 4,2.6.9.40;
5,1.10.12.15.29. 32; 6,2.3.17[x2].25; 7,9[x2].11.12; 8,1.2.6.11; 10,13; 11,1.8.32; 12,1.28;
13,1.5.19; 15,5; 16,1.12; 17,10.19; 23,24; 24,8[x2]; 26,16.17.18; 27,1; 28,1.13.15.45; 29,8;
30,10.16; 32,46; 33,9).
Mc 10,21 703

¦i: prep. propria di valore temporale, seguita dal genitivo, indecl., da, fin da; cf. Mc 1,10.
<g`J0J`H: sost., gen. sing. f. da <g`J0H, –0J@H, gioventù, giovinezza; compl. di tempo
determinato. Il vocabolo ricorre 4 volte nel NT: Mc 10,20 (hapax marciano); Lc 18,21; At
26,4; 1Tm 4,12. A partire da Omero il sostantivo <g`J0H è usato nel significato di
«giovinezza», riferita all’uomo (cf. Omero, Il., 14,86; Aristofane, Ves., 1199). L’assenza
dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è frequente nel greco
ellenistico. La frase ¦i <g`J0J`H è stereotipa e si trova anche nell’AT (cf. Gn 8,21; 1Sam
12,2; Sal 71,17, LXX): viene impiegata per sottolineare che colui che parla ha già una certa
età. Come tale l’espressione non corrisponde esattamente a ¦i B"4*4`hg<, «dall’infanzia»
di Mc 9,21.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).

10,21 Ò *¥ z30F@ØH ¦:$8XR"H "ÛJè ²(VB0Fg< "ÛJÎ< i"Â gÉBg< "ÛJès ~+< Fg
ßFJgDg÷ àB"(gs ÓF" §Pg4H Bf80F@< i" *ÎH [J@ÃH] BJTP@ÃHs i" ª>g4H
h0F"LDÎ< ¦< @ÛD"<ès i" *gØD@ •i@8@bhg4 :@4.
10,21 Allora Gesù lo guardò con affetto e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi
quello che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni! Seguimi!».

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
¦:$8XR"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ¦:$8XBT (da ¦< e $8XBT), guardare, vedere,
distinguere; cf. Mc 8,25. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto z30F@ØH.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
²(VB0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •("BVT, amare. Questo verbo ricorre 143 volte
nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 8 volte in Matteo (corrispondente allo
0,044% del totale delle parole); 5 volte in Marco (cf. Mc 10,21; 12,30.31.33[x2] = 0,044%);
13 volte in Luca (0,067%); 37 volte in Giovanni (0,237%). Nel greco classico il verbo
•("BVT non ha la carica e il carattere passionale dell’analogo verbo ¦DVT (amore
passionale, amore di desiderio) né l’inclinazione, il calore umano e l’affetto premuroso
espresso da n48XT (amore di amicizia): indica l’amore di predilezione, l’amore diffusivo,
attivo, che vuole il bene dell’altro (amore di benevolenza, lat. diligere). Nei LXX il verbo
traduce nella stragrande maggioranza il corrispettivo ebraico "% H!I , ’a) hab, che nel TM indica
l’amore fondamentale come sentimento spontaneo che spinge a far dono di sé stessi alla
persona amata o, se si tratta di cose, al possesso dell’oggetto. Poiché lo stesso verbo è usato
per esprimere i rapporti tra l’uomo e Dio e tra Dio e l’uomo, l’idea di amore espressa con
704 Mc 10,21

•("BVT ha nell’AT un carattere profano o immanente e uno religioso e teologico. Nel NT


il verbo è prevalentemente usato per esprimere l’amore interpersonale, anche se non mancano
casi in cui tale amore è rivolto a oggetti o ad altre realtà inanimate: «i posti di onore e i
saluti» (Lc 11,43); «le tenebre più della luce» (Gv 12,43); «la gloria degli uomini più di
quella di Dio» (Gv 12,43); «la sua manifestazione» (2Tm 4,8); «l’eone presente» (2Tm 4,10);
«la giustizia» (Eb 1,9); «la vita» (1Pt 3,10; «un compenso iniquo» (2Pt 2,15); «il mondo»
(1Gv 2,15); «la propria vita» (Ap 12,11); «la città [Gerusalemme]» (Ap 20,9). Nel nostro
passo il verbo, all’aoristo, indica un moto di affetto di Gesù nei riguardi di questo giovane:
l’interpretazione di un singolo gesto di tenerezza (= «lo baciò») è da scartare, poiché il verbo
•("BVT, nel senso di «dare un bacio», compare soltanto in epoca molto tardiva e tale
significato è del tutto assente nel NT che usa per questo scopo n48XT (cf. Mt 26,48; Mc
14,14; Lc 22,47) e i"J"n48XT (cf. Mt 26,49; Mc 14,45; Lc 7,38.45; 15,20; At 20,37).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
~+<: agg. numerale, cardinale, di valore sostantivato, nom. sing. n. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc
2,7; soggetto. L’uso dell’aggettivo neutro con valore di «cosa» è comune sia in greco che in
latino.
Fg: pron. personale di 2a pers. acc. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,24; compl. di termine.
ßFJgDgÃ: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da ßFJgDXT, essere privo di, venire a mancare. Questo
verbo ricorre 16 volte nel NT: Mt 19,20; Mc 10,21 (hapax marciano); Lc 15,14; 22,35; Gv
2,3; Rm 3,23; 1Cor 1,7; 8,8; 12,24; 2Cor 11,5.9; 12,11; Fil 4,12; Eb 4,1; 11,37; 12,15. Il
verbo denominativo ßFJgDXT (da àFJgD@H, «ultimo») nel greco classico ha originariamente
un significato locale e temporale equivalente a «essere indietro», «essere in ritardo», «arrivare
dopo», «arrivare alla fine» (cf. Euripide, Ph., 976; Erodoto, Hist., 6,89,1; Platone, Gorg.,
447a; Isocrate, Or., 4,164). In epoca ellenistica prevale il significato di «essere privo», «venire
a mancare» (con accusativo di persona) e al passivo «essere in necessità» (cf. Giuseppe
Flavio, Antiq., 1,98; 6,194.235; 15,200).
àB"(g: verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. da ßBV(T (da ßB` e –(T), andare giù, ritirarsi,
andare via, partire; cf. Mc 1,44. La forma asindetica è piuttosto frequente con gli imperativi
dei verbi ßBV(T (cf. Mc 1,44; 5,34; 6,38; 7,29; 10,21.52; 16,7), ¦(g\DT (cf. Mc 2,9; 3,3;
5,41; 10,49; 14,42), ÒDVT (cf. Mc 1,44; 6,38; 8,15), F4TBVT (cf. Mc 4,39), n4:`T (cf. Mc
4,39), h"DFXT (cf. Mc 6,50; 10,49), $8XBT (cf. Mc 13,5.23.33). Spesso Marco usa ßBV(T
all’imperativo, facendolo seguire da altri imperativi uniti paratatticamente (cf. Mc 1,44; 6,38;
10,21; 16,7).
Mc 10,21 705

ÓF": pron. relativo con valore di quantità e misura, acc. plur. n. da ÓF@H, –0, –@<, quanto,
quanto grande, ciò che, quello che; cf. Mc 2,19; compl. oggetto.
§Pg4H: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
Bf80F@<: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da BT8XT, barattare, vendere. Questo verbo
ricorre 22 volte nel NT: Mt 10,29; 13,44; 19,21; 21,12[x2]; 25,9; Mc 10,21; 11,15[x2]; Lc
12,6.33; 17,28; 18,22; 19,45; 22,36; Gv 2,14.16; At 4,34.37; 5,1; 1Cor 10,25; Ap 13,17.
Nell’uso classico il verbo BT8XT assume il significato base di «vendere» (cf. Aristofane,
Achar., 722; Erodoto, Hist., 1,165,1; Senofonte, Mem., 2,5,5).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
*`H: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26. L’impiego di due
imperativi in successione paratattica (Bf80F@< i"Â *`H) rivela lo stile duale tipico di
Marco (cf. Mc 1,25; 4,24; 6,31.38; 7,14; 8,15; 10,14.21; 11,2; 13,33; 14,34.38.42; 16,7). In
questi casi l’accento è posto sul secondo verbo rispetto al primo, il quale svolge soltanto una
funzione espletiva.
[J@ÃH: art. determ., dat. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21. L’articolo è presente nei
codici !, C, D, 1, 0274, f1, 28, 565, 892, 2427; è assente, invece, in A, B, W, Q, f13..
L’eventuale aggiunta o omissione dell’articolo è in ogni caso assolutamente ininfluente per
la retta comprensione del testo.].
BJTP@ÃH: agg. qualificativo, di valore sostantivato, dat. plur. m. da BJTP`H, –Z, –`<, povero,
indigente, misero; compl. di termine. Il vocabolo ricorre 34 volte nel NT. La distribuzione
nei vangeli è la seguente: 5 volte in Matteo (corrispondente allo 0,027% del totale delle
parole); 5 volte in Marco (cf. Mc 10,21; 12,42.43; 14,5.7 = 0,044%); 10 volte in Luca
(0,051%); 4 volte in Giovanni (0,026%). Nel greco classico BJTP`H, usato prevalentemente
come aggettivo, designa il misero che è costretto a chiedere l’elemosina e più in generale il
povero privo di beni, il bisognoso in senso materiale, il «mendicante» (cf. Omero, Od.,
14,400; Erodoto, Hist., 3,14,7; Callimaco, Frag., 724). Il concetto neotestamentario di
«povero», tuttavia, deve essere completato tenendo conto dello sfondo linguistico e religioso
dell’AT. Mentre BJTP`H nel greco pagano assume in pratica un significato solamente
socioeconomico, il corrispondente aggettivo ebraico *1E3 I , ‘a) nî (insieme al suo più recente
sinonimo &1I3 I , ‘a) na) w) è presente nel Testo Masoretico in un duplice significato: indica sia
uno stato sociale di povertà, miseria materiale (cf. Es 22,24; Lv 19,10; 23,22; Dt 15,11;
24,12.14.15, ecc.), sia un atteggiamento religioso per definire una persona umile e pia che
davanti all’oppressione dei potenti e alle ingiustizie dei prepotenti affida la sua esistenza alla
protezione e alla provvidenza di Dio (cf. Sof 3,12). Il termine ebraico, quindi, implica non
soltanto la mancanza di beni materiali, ma anche l’impotenza e la vulnerabilità di una
categoria di persone comprendente altri tipi di povertà, come i deboli, gli indifesi, gli orfani,
le vedove, gli stranieri, i malati fisici e mentali, gli emarginati. Di conseguenza gli avversari
usuali dei «poveri» nell’AT non sono i ricchi, ma i malvagi, gli arroganti, gli oppressori, i
violenti.
i"\: cong. coordinativa di valore consecutivo, indecl., sicché, cosicché, che; cf. Mc 1,4. La
congiunzione assume qui una sfumatura consecutiva che introduce il futuro del verbo §PT:
706 Mc 10,22

«vendi quello che hai… cosicché avrai un tesoro nel cielo». Il significato consecutivo che può
assumere la congiunzione i"\ (= i"\ consecutivum) si ritrova in Mc 1,17b.27c; 5,4d; 9,5b;
10,21c; 14,62a.
ª>g4H: verbo, 2a pers. sing. ind. fut. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. La successione formata da imperativo
+ i"\ + futuro compare anche in Mc 1,17; 6,22; 11,24.29.
h0F"LD`<: sost., acc. sing. m. da h0F"LD`H, –@Ø, tesoro; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre
17 volte nel NT: Mt 2,11; 6,19.20.21; 12,35[x2]; 13,44.52; 19,21; Mc 10,21 (hapax
marciano); Lc 6,45; 12,33.34; 18,22; 2Cor 4,7; Col 2,3; Eb 11,26. Senza articolo perché
generico. Nella grecità il sostantivo h0F"LD`H indica il deposito di denaro, ossia il «tesoro»
(cf. Aristofane, Av., 599; Erodoto, Hist., 1,14,2). In una epoca che non conosceva l’economia
di capitale il futuro veniva assicurato accumulando denaro o valori reali: rovesciando questa
mentalità Gesù invita a formarsi «un tesoro nel cielo». Questa concezione era già presente
nel mondo giudaico: il denaro non deve essere sperperato, ma riposto in Dio e produrre
benefici in situazioni di necessità (cf. Tb 4,9; 12,8; Sir 3,4; 29,10–12). Negli scritti apocalittici
giudaici del I secolo d.C. il tesoro delle buone opere riposto in cielo sarà manifesto agli eletti
nel giorno del giudizio: «I giusti attendono bene la loro fine e se ne vanno da questa dimora
senza timore, perché hanno presso di te [sott. Dio], custodita in deposito, la ricchezza delle
loro opere» (2Bar., 14,12). «Tu hai un tesoro di opere riposto presso l’Altissimo, ma non ti
sarà mostrato se non alla fine dei tempi» (4Esd., 7,77; cf. anche 2Bar., 24,1; 4Esd., 6,5; 8,33).
Secondo t.Pea., 4,18 il re Monabaz distribuì i suoi averi ai poveri per accumulare un tesoro
in cielo (cf. Strack–Bill., I,430).
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
@ÛD"<è: sost., dat. sing. m. da @ÛD"<`H, –@Ø, cielo, volta celeste; cf. Mc 1,10; compl. di stato
in luogo. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è
frequente nel greco ellenistico.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
*gØD@: avv. di luogo, indecl., qui, qua. Il vocabolo ricorre 9 volte nel NT: Mt 19,21; Mc 10,21
(hapax marciano); Lc 18,22; Gv 11,43; At 7,3.34; Rm 1,13; Ap 17,1; 21,9. Formula
stereotipa di valore esortativo usata come esclamazione di incoraggiamento: «qui!», «vieni!»,
«su!», «forza!», «coraggio!».
•i@8@bhg4: verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. da •i@8@LhXT, seguire, accompagnare,
mettersi dietro; cf. Mc 1,18.
:@4: pron. personale di 1a pers. dat. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 2,14; compl. di termine.

10,22 Ò *¥ FJL(<VF"H ¦B Jè 8`(å •B­8hg< 8LB@b:g<@H· µ< (D §PT< iJZ:"J"
B@88V.
10,22 Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e andò via amareggiato, poiché
possedeva molti beni.
Mc 10,22 707

Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
FJL(<VF"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da FJL(<V.T, oscurarsi, incupirsi. Questo verbo
ricorre 2 volte nel NT: Mt 16,3; Mc 10,22 (hapax marciano). Participio predicativo del
soggetto sottinteso gÍH. Il verbo FJL(<V.T (da FJL(<`H, «cupo», «scuro»), di formazione
ellenistica, indica l’oscuramento quasi fisico del volto di questo giovane, esteriorizzando il
suo andare via 8LB@b:g<@H, «rattristato».
¦B\: prep. propria di valore causale, seguita dal dativo, indecl., per, a causa di; cf. Mc 1,22.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
8`(å: sost., dat. sing. m. da 8`(@H, –@L, parola; cf. Mc 1,45; compl. di causa.
•B­8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •BXDP@:"4 (da •B` e §DP@:"4), andare via,
partire; cf. Mc 1,20.
8LB@b:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. pres. pass., con valore aggettivale, da 8LBXT,
addolorare, rattristare, soffrire; compl. predicativo. Questo verbo ricorre 26 volte nel NT:
Mt 14,9; 17,23; 18,31; 19,22; 26,22.37; Mc 10,22; 14,19; Gv 16,20; 21,17; Rm 14,15; 2Cor
2,2[x2].4.5[x2]; 6,10; 7,8[x2].9[x3].11; Ef 4,30; 1Ts 4,13; 1Pt 1,6. Nella grecità il verbo
8LBXT, analogamente al sostantivo 8bB0 da cui deriva, viene impiegato nella diatesi passiva
per descrivere l’esperienza del dolore nel senso più ampio della parola, la sofferenza sia fisica
che psichica, propria dell’essere umano (cf. Sofocle, Ai., 1086; Euripide, Ion, 632; Erodoto,
Hist., 8,100,2). Nelle due ricorrenze marciane è usato per descrivere un dolore interiore.
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
(VD: cong. coordinativa di valore causale, indecl., poiché, perché, giacché; cf. Mc 1,16. La
formula µF"< (VD / µ< (VD, analogamente a i"Â µF"< / i"Â µ< e a µF"< *X / µ< *X,
è usata da Marco per introdurre un inciso di valore causale o esplicativo (cf. Mc 1,16.33;
2,15; 5,42; 6,31.44.48; 7,26; 8,9; 10,22; 11,13; 14,40; 15,25; 16,14).
§PT<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. Participio predicativo del soggetto
sottinteso gÍH. Il participio è retto da µ< in costruzione perifrastica («era avente»), al posto
dell’usuale imperfetto «aveva». Per esprimere l’attaccamento fermo e durevole di questo
uomo ai suoi beni non viene usato il semplice imperfetto (gÉPg<), ma la costruzione
perifrastica all’imperfetto che accentua ulteriormente la persistenza di questo stato.
iJZ:"J": sost., acc. plur. n. da iJ­:", –J@H, possesso, proprietà, dominio; compl. oggetto. Il
vocabolo ricorre 4 volte nel NT: Mt 19,22; Mc 10,22 (hapax marciano); At 2,45; 5,1. Senza
articolo perché generici. Già a partire da Omero il sostantivo iJ­:" è utilizzato per indicare
le «proprietà», i «beni» materiali, sia mobili che immobili (cf. Omero, Il., 3,72; Od., 4,127;
Eschilo, Sept., 790).
B@88V: agg. indefinito, acc. plur. n. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; attributo di iJZ:"J".
708 Mc 10,23

10,23 5"Â BgD4$8gRV:g<@H Ò z30F@ØH 8X(g4 J@ÃH :"h0J"ÃH "ÛJ@Øs AäH *LFi`8TH
@Ê J PDZ:"J" §P@<JgH gÆH J¬< $"F48g\"< J@Ø hg@Ø gÆFg8gbF@<J"4.
10,23 Allora Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmen-
te coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!».

5"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.21.
26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.50.
53a.65a.72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\ di influsso semitico acquista il
significato avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica), per introdurre come
formula paratattica di passaggio una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra
unità narrativa.
BgD4$8gRV:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da BgD4$8XB@:"4 (da BgD\ e $8XBT),
guardare intorno; cf. Mc 3,5. Participio predicativo del soggetto z30F@ØH.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
:"h0J"ÃH: sost., dat. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; compl. di termine.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
AäH: avv. interrogativo di modo, indecl., come?, in quale modo?, in che senso?, perché?; cf.
Mc 2,26. In espressioni di stupore o sbigottimento, l’avverbio BäH assume il significato
esclamativo di ñH, corrispondente a «come!», «quanto!» (cf. anche Mc 10,24).
*LFi`8TH: avv. di modo, indecl., difficilmente, con difficoltà, faticosamente. Il vocabolo ricorre
3 volte nel NT: Mt 19,23; Mc 10,23 (hapax marciano); Lc 18,24. Come l’aggettivo
corrispondente (cf. Mc 10,24) il termine si trova soltanto nei detti che si riferiscono all’entrare
nel regno di Dio.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
PDZ:"J": sost., acc. plur. n. da PD­:", –J@H, ricchezza, denaro; compl. oggetto. Il vocabolo
ricorre 6 volte nel NT: Mc 10,23 (hapax marciano); Lc 18,24; At 4,37; 8,18.20; 24,26. Nel
greco classico il termine PD­:", al plurale, designa in primo luogo le «ricchezze» in denaro
(cf. Omero, Od., 2,78; Senofonte, Mem., 1,2,45; cf. At 4,37; 8,18.20; 24,26), ma può riferirsi
Mc 10,24 709

più genericamente a ogni tipo di «bene», come i possedimenti, gli oggetti di valore, il
bestiame, ecc. (cf. Senofonte, Anab., 5,2,4).
§P@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da §PT, avere, possedere,
tenere (trans.); essere nella condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22; soggetto.
L’espressione @Ê J PDZ:"J" §P@<JgH, «coloro che hanno ricchezze», ossia i ricchi,
ricorre anche in Senofonte, Mem., 1,2,45.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
$"F48g\"<: sost., acc. sing. f. da $"F48g\", –"H, signoria, potere reale, dominio sovrano,
regno; cf. Mc 1,15; compl. di moto a luogo.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione.
gÆFg8gbF@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. medio da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4),
entrare, venire dentro, recarsi, andare; cf. Mc 1,21.

10,24 @Ê *¥ :"h0J"Â ¦h":$@Ø<J@ ¦BÂ J@ÃH 8`(@4H "ÛJ@Ø. Ò *¥ z30F@ØH BV84<


•B@iD4hgÂH 8X(g4 "ÛJ@ÃHs IXi<"s BäH *bFi@8`< ¦FJ4< gÆH J¬< $"F48g\"< J@Ø
hg@Ø gÆFg8hgÃ<·
10,24 I discepoli rimasero stupefatti a queste sue parole; ma Gesù, di nuovo, disse loro:
«Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio!

@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
:"h0J"\: sost., nom. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; soggetto.
¦h":$@Ø<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. pass. da h":$XT, stupire, spaventare, atterrire
(att.); essere stupito, essere spaventato, essere terrorizzato (pass.); cf. Mc 1,27. Imperfetto
durativo o iterativo.
¦B\: prep. propria di valore causale, seguita dal dativo, indecl., per, a causa di; cf. Mc 1,22.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
8`(@4H: sost., dat. plur. m. da 8`(@H, –@L, parola; cf. Mc 1,45; compl. di causa.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
710 Mc 10,24

z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
•B@iD4hg\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33. Participio predicativo di valore espletivo del
soggetto z30F@ØH.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico. L’espressione •B@iD4hg\H… 8X(g4, •B@iD4hg\H… gÉBg< è
ricalcata sull’ebraico 9/ G !J&H… 03HHH&, wayya‘an… wayyo) ’mer, «rispondendo… dice»,
«rispondendo… disse» (cf. Gb 8,1, ecc.). Si tratta di una tipica locuzione semitica
ridondante che può essere tradotta semplicemente con «disse», «rispose», «replicò» e simili.
Si deve osservare, inoltre, che il verbo •B@iD\<@:"4 è usato con valore semitico anche
quando (come qui) non si tratta di dare una risposta a una precisa domanda, ma soltanto
intervenire con una affermazione o una richiesta. Questa formula ricorre 16 volte in Marco
(cf. Mc 3,33; 6,37; 7,28; 8,29; 9,5.19; 10,3.24.51; 11,14.22.33; 12,35; 14,48; 15,2.12).
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. La formula redazionale 8X(g4
"ÛJ@ÃH ricorre 25 volte, esclusivamente riservata a Gesù (cf. Mc 1,38; 2,8.17.25; 3,4;
4,13.35; 5,39; 6,31.38.50; 7,18; 8,17; 9,35; 10,11.24.42; 11,2.22.33; 12,16; 14,13.27.34.41).
Per quanto riguarda la formula singolare 8X(g4 "ÛJè, avente come soggetto Gesù, cf. Mc
1,41.44; 2,14; 5,9.19; 7,34; per 8X(g4 "ÛJ± cf. Mc 5,41.
IXi<": sost., voc. plur. n. da JXi<@<, –@L, figlio, bambino; cf. Mc 2,5; compl. di vocazione.
Senza articolo, secondo l’uso ellenistico. Usato in modo traslato JXi<@< compare talvolta
al vocativo sulla bocca di Gesù, il quale si rivolge a un adulto con questo titolo per
esprimere una specie di figliolanza spirituale o elettiva: cf. Mc 2,5; 10,24 (cf. anche il
femminile hL(VJ0D, «figlia», in Mc 5,34).
BäH: avv. interrogativo di modo, indecl., come?, in quale modo?, in che senso?, perché?; cf.
Mc 2,26. In espressioni di stupore o sbigottimento, l’avverbio BäH assume il significato
esclamativo di ñH, corrispondente a «come!», «quanto!» (cf. anche Mc 10,23).
*bFi@8`<: agg. qualificativo, nom. sing. n. da *bFi@8@H, –@<, difficile, arduo, duro, faticoso;
predicato nominale. Hapax neotestamentario. Nell’accezione originaria l’aggettivo
*bFi@8@H viene riferito generalmente a persone nel significato di «difficile da accontentare»,
«scontroso», «irritabile» (cf. Aristofane, Ves., 942). Per estensione il termine assume il
significato generico di «difficile» (cf. Aristotele, Metaph., 1001b 1; Senofonte, Oecon.,
15,10).
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
Mc 10,25 711

$"F48g\"<: sost., acc. sing. f. da $"F48g\", –"H, signoria, potere reale, dominio sovrano,
regno; cf. Mc 1,15; compl. di moto a luogo.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione.
gÆFg8hgÃ<: verbo, inf. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare, venire dentro, recarsi,
andare; cf. Mc 1,21; soggetto.

10,25 gÛi@BfJgD`< ¦FJ4< iV:08@< *4 [J­H] JDL:"84H [J­H] Õ"n\*@H *4g8hgÃ< ´
B8@bF4@< gÆH J¬< $"F48g\"< J@Ø hg@Ø gÆFg8hgÃ<.
10,25 È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno
di Dio!».

gÛi@BfJgD`<: agg. qualificativo, di grado comparativo, nom. sing. n. da gÜi@B@H, –@<, facile;
cf. Mc 2,9; predicato nominale.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
iV:08@<: sost., acc. sing. m. da iV:08@H, –@L, cammello; cf. Mc 1,6; soggetto della
proposizione oggettiva costruita con il verbo infinito *4g8hgÃ<. Senza articolo perché
generico. Per attutire la paradossale esagerazione del paragone alcuni, senza fondamento
testuale, vogliono correggere iV:08@H, «cammello» con iV:48@H, «gomena», «corda».
Altri fanno riferimento a una ipotetica porta posta a sud delle mura di Gerusalemme,
chiamata «cruna d’ago», così stretta e bassa da impedire il passaggio ai cammelli. Non vi è
alcun motivo per accogliere tali ipotesi: si deve conservare letteralmente l’espressione. Il
cammello era l’animale di maggiori dimensioni in Palestina e nel linguaggio ordinario era
preso come immagine di riferimento nell’uso di similitudini e confronti, specie quando si
trattava di esprimere l’impossibilità di certe azioni (cf. l’analoga metafora in Mt 23,24:
«Guide cieche che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello»). Il Talmud si esprime in
termini analoghi a quelli di Gesù alludendo all’elefante che deve passare per la cruna di un
ago (cf. b.Ber., 55b). Un analogo riferimento al loghion di Gesù troviamo anche nel Corano:
«Per coloro che considerano falsi i nostri segni e che se ne distolgono con superbia [= gli
infedeli] le porte del cielo non saranno aperte ed essi entreranno in Paradiso soltanto quando
un cammello passerà per la cruna di un ago» (Corano, Sûra 7,40).
*4V: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., per, attraverso, tra, lungo; cf. Mc
2,1.
[J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9. L’articolo è presente nei codici
B, E, 2427; è assente, invece, nella maggior parte dei manoscritti: !, A, C, D, K, N, W, ),
1, Q, f1, f13, 579, 700, 892, 1241, 1424. È difficile decidere se qui, come nella frase
successiva (J­H Õ"n\*@H), gli articoli femminili appartengano al testo originale oppure no.
A sostegno dell’autenticità si fa presente che normalmente Marco fa seguire l’articolo alla
preposizione *4V con valore locale: ciò avviene in 3 casi su 4 (cf. Mc 2,23; 9,30; 11,16).
Inoltre, si aggiunge, è probabile che qui si tratti di un semitismo, poiché nell’aramaico del I
712 Mc 10,26

secolo si adoperava la forma enfatica (equivalente al sostantivo con l’articolo in ebraico e


greco) anche nel caso che il termine fosse indeterminato. Si deve rilevare, però, che nei codici
più antichi e autorevoli l’articolo non è presente: verosimilmente esso non faceva parte del
testo originale.].
JDL:"84H: sost., gen. sing. f. da JDL:"84V, –H, buco, cruna; compl. di moto per luogo.
Hapax neotestamentario. Il sostantivo JDL:"84V, una specie di diminutivo di formazione
ellenistica, viene fatto derivare dal più comune JDØ:", «buco» (cf. Aristofane, Nub., 447).
[J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9. L’articolo è presente nei codici
B, E, 2427; è assente, invece, nella maggior parte dei manoscritti: !, A, C, D, K, N, W, ),
1, Q, f1, f13, 579, 700, 892, 1241, 1424. Cf. sopra per il commento testuale.].
Õ"n\*@H: sost., gen. sing. f. da Õ"n\H, –\*@H, ago; compl. di specificazione. Il vocabolo ricorre
2 volte nel NT: Mt 19,24; Mc 10,25 (hapax marciano). Il sostantivo Õ"n\H, usato raramente
nella grecità, indica l’«ago» (cf. Ippocrate, Morb., 2,66,7).
*4g8hgÃ<: verbo, inf. aor. da *4XDP@:"4 (da *4V e §DP@:"4), andare attraverso, passare
attraverso, attraversare; cf. Mc 4,35.
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9. La particella
è qui usata in senso comparativo («…che», «…anziché», «…piuttosto che») per introdurre
il secondo termine di paragone (cf. Mc 9,43.45.47; 10,25).
B8@bF4@<: agg. qualificativo, di valore sostantivato, acc. sing. m. da B8@bF4@H, –", –@<, ricco;
soggetto della proposizione oggettiva costruita con il verbo infinito gÆFg8hgÃ<. Senza articolo
perché generico, per indicare una categoria. Il vocabolo ricorre 28 volte nel NT: Mt 19,23.24;
27,57; Mc 10,25; 12,41; Lc 6,24; 12,16; 14,12; 16,1.19.21.22; 18,23.25; 19,2; 21,1; 2Cor 8,9;
Ef 2,4; 1Tm 6,17; Gc 1,10.11; 2,5.6; 5,1; Ap 2,9; 3,17; 6,15; 13,16. L’uso dell’aggettivo
sostantivato con o senza articolo per indicare «il ricco», è ampiamente attestato nel greco
classico (cf. Platone, Resp., 521a; Aristofane, Pl., 346).
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
$"F48g\"<: sost., acc. sing. f. da $"F48g\", –"H, signoria, potere reale, dominio sovrano,
regno; cf. Mc 1,15; compl. di moto a luogo.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione.
gÆFg8hgÃ<: verbo, inf. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare, venire dentro, recarsi,
andare; cf. Mc 1,21.

10,26 @Ê *¥ BgD4FFäH ¦>gB8ZFF@<J@ 8X(@<JgH BDÎH ©"LJ@bHs 5"Â J\H *b<"J"4


FTh­<"4p
10,26 Essi, ancora più sbigottiti, dicevano tra loro: «E chi mai può essere salvato?».
Mc 10,27 713

@Ê: art. determ., con valore pronominale, nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5; soggetto.
Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale "ÛJ`H,
[quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
BgD4FFäH: avv. di modo, indecl., oltre misura, grandemente, maggiormente, di più. Il
vocabolo ricorre 4 volte nel NT: Mt 27,23; Mc 10,26; 15,14; At 26,11.
¦>gB8ZFF@<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. pass. da ¦iB8ZFF@:"4 (da ¦i e B8ZFFT),
essere colpito, essere scosso, essere stupefatto; cf. Mc 1,22. Imperfetto durativo o iterativo.
8X(@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo del soggetto sottinteso :"h0J"\ (cf. v. 24).
BD`H: prep. propria con valore locale (di persone), seguita dall’accusativo, indecl., dinanzi a,
alla presenza di, tra; cf. Mc 1,5.
©"LJ@bH: pron. riflessivo, acc. plur. m. da ©"LJ@Ø, –­H, –@Ø (non usato al nominativo), lui, lui
stesso, esso; cf. Mc 1,27; compl. di stato in luogo. Il riflessivo della terza persona viene usato
per stabilire l’identità con le persone che parlano o agiscono. Talvolta, come nel nostro caso,
sostituisce il pronome reciproco •88Z8T< (l’un l’altro, a vicenda). Analogo fenomeno in
Mc 1,27; 11,31; 12,7; 14,4; 16,3.
5"\: cong. coordinativa di valore conclusivo, indecl., dunque, quindi, pertanto, allora; cf. Mc
1,4. Il significato conclusivo che può assumere la congiunzione i"\ si ritrova in Mc 4,13b;
10,26.
J\H: pron. interrogativo, nom. sing. m. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?,
che?, quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; soggetto.
*b<"J"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere
in grado di; cf. Mc 1,40.
FTh­<"4: verbo, inf. aor. pass. da Fæ.T, guarire, sanare, salvare; cf. Mc 3,4. La forma
passiva sottolinea che la salvezza escatologica è esclusivamente opera di Dio: non c’è
possibilità di «salvarsi» da soli, ma di «essere salvati» da Dio.

10,27 ¦:$8XR"H "ÛJ@ÃH Ò z30F@ØH 8X(g4s A"D •<hDfB@4H •*b<"J@<s •88z @Û


B"D hgè· BV<J" (D *L<"J B"D Jè hgè.
10,27 Ma Gesù, fissando lo sguardo su di loro, disse: «È impossibile agli uomini, ma non a
Dio! Perché tutto è possibile a Dio».

¦:$8XR"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ¦:$8XBT (da ¦< e $8XBT), guardare, vedere,
distinguere; cf. Mc 8,25. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto z30F@ØH.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
714 Mc 10,28

8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
A"DV: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., presso, vicino a; cf. Mc 1,16.
•<hDfB@4H: sost., dat. plur. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di stato in luogo. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui,
è frequente nel greco ellenistico.
•*b<"J@<: agg. qualificativo, nom. sing. n. da •*b<"J@H, –@< (da –8n" privativa e *L<"J`H),
impotente, incapace, impossibile; predicato nominale. Il vocabolo ricorre 10 volte nel NT:
Mt 19,26; Mc 10,27 (hapax marciano); Lc 18,27; At 14,8; Rm 8,3; 15,1; Eb 6,4.18; 10,4;
11,6. Il significato etimologico di questo vocabolo è quello di «senza forza», da cui i sensi
derivati di «debole», «impotente», «incapace», detto di uomini (cf. Lisia, Or., 2,73; Euripide,
Herc., 56) e «impossibile», detto di cose (cf. Euripide, Or., 665).
•88z: (= •88V), cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però,
piuttosto, nondimeno; cf. Mc 1,44.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
B"DV: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., presso, vicino a; cf. Mc 1,16.
hgè: sost., dat. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di stato in luogo. L’assenza
dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è frequente nel greco
ellenistico.
BV<J": pron. indefinito, nom. plur. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; soggetto.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
*L<"JV: agg. qualificativo, nom. plur. n. da *L<"J`H, –Z, –`<, capace, possibile; cf. Mc 9,23;
predicato nominale. Questa potenza di Dio in contrapposizione all’impotenza degli uomini
viene messa in risalto altrove nel NT (cf. Mt 19,26; Lc 1,37; 18,27; Rm 8,3; 1Cor 1,25; 2Cor
13,4). Dietro il loghion di Gesù si può scorgere l’eco di Gn 18,14 («C’è forse qualche cosa
impossibile per il Signore?»; cf. anche Gb 42,2; Zc 8,6).
B"DV: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., presso, vicino a; cf. Mc 1,16.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
hgè: sost., dat. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di stato in luogo.

10,28 }/D>"J@ 8X(g4< Ò AXJD@H "ÛJès z3*@× º:gÃH •nZi":g< BV<J" i"Â
²i@8@LhZi":X< F@4.
10,28 Allora Pietro gli disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito».

}/D>"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da –DPT, dare inizio, cominciare; cf. Mc 1,45.
La frase ³D>"J@ / ³D>"<J@ seguita da un infinito come complemento è usata da Marco 26
volte (cf. Mc 1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32; 10,28.32.41.47; 11,15; 12,1;
13,5; 14,19.33.65.69.71; 15,8.18). La frequenza di questa formula è dovuta probabilmente
Mc 10,29 715

a influsso semitico: quasi sempre equivale a una perifrasi nella quale il verbo –DPT di
valore pleonastico può essere omesso, mentre l’infinito dipendente viene reso con la 3a
persona dell’indicativo aoristo o imperfetto corrispondente.
8X(g4<: verbo, inf. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc 1,7.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
AXJD@H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da AXJD@H, –@L, Pietro; cf. Mc 3,16;
soggetto.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine. L’espressione ³D>"J@ 8X(g4<
Ò AXJD@H "ÛJè, «Pietro cominciò a dirgli», richiama quella analoga in Mc 8,32: Ò AXJD@H
³D>"J@ ¦B4J4:< "ÛJè, «Pietro cominciò a rimproverarlo».
z3*@b: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. medio da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare;
cf. Mc 1,2. Il vocabolo Æ*@b, un segnale discorsivo stereotipo, nella maggior parte delle
ricorrenze neotestamentarie assume il valore avverbiale esclamativo corrispondente alle
interiezioni «ecco!», «vedi!», «guarda!», «guardate!». Non c’è sostanziale diversità con
l’equivalente Ç*g (cf. Mc 2,24). Entrambe le particelle sono forme vivaci e dinamiche
modellate sul corrispondente ebraico %F% E , hinne)h (1057 volte nell’AT) e in quanto tali
possono sottolineare il discorso o la narrazione che esse introducono con una energia
particolare, esprimente di volta in volta sorpresa, importanza, novità, reazione.
º:gÃH: pron. personale di 1a pers. nom. plur. da º:gÃH (gen. º:ä<, dat. º:Ã<, acc. º:H), noi;
cf. Mc 9,28; soggetto.
•nZi":g<: verbo, 1a pers. plur. ind. aor. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare,
rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18.
BV<J": pron. indefinito, acc. plur. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
²i@8@LhZi":X<: verbo, 1a pers. plur. ind. perf. da •i@8@LhXT, seguire, accompagnare,
mettersi dietro; cf. Mc 1,18.
F@4: pron. personale di 2a pers. dat. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,11; compl. di termine.

10,29 §n0 Ò z30F@ØHs z!:¬< 8X(T ß:Ã<s @Û*g\H ¦FJ4< ÔH •n­ig< @Æi\"< ´
•*g8n@×H ´ •*g8nH ´ :0JXD" ´ B"JXD" ´ JXi<" ´ •(D@×H ª<gig< ¦:@Ø
i"Â ª<gig< J@Ø gÛ"((g8\@Ls
10,29 Gesù rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa, fratelli,
sorelle, madre, padre, figli o campi per causa mia e per causa del vangelo,

§n0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da n0:\, dichiarare, dire, affermare; cf. Mc 9,12.
Grammaticalmente questa forma verbale può essere anche intesa come 3a persona singolare
indicativo imperfetto.
716 Mc 10,29

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
z!:Z<: avv. di modo, indecl., così è, così sia, in verità, certamente, veramente, «amen»; cf. Mc
3,28. Questa solenne formula introduttiva compare in Mc 3,28; 8,12; 9,1.41; 10,15.29; 11,23;
12,43; 13,30; 14,9.18.25.30. Per quanto riguarda il significato vedi commento a Mc 3,28.
8X(T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. La forma verbale 8X(T ricorre in Mc 20 volte (cf. Mc 2,11; 3,28; 5,41; 8,12;
9,1.13.41; 10,15.29; 11,23.24.33; 12,43; 13,30.37[x2]; 14,9.18.25.30): essa è usata soltanto
da Gesù, ossia è esclusivamente Gesù che parla del proprio parlare e ne sottolinea la forza,
l’insistenza e la validità. In particolare la formula •:¬< 8X(T ß:Ã< / F@4 (cf. Mc 3,28; 8,12;
9,1.41; 10,15.29; 11,23; 12,43; 13,30; 14,9.18.25.30) esprime il carattere solenne e
irrefutabile di quanto affermato da Gesù.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine. L’omissione della congiunzione dichiarativa ÓJ4 dopo un verbo
di locuzione (asindeto) conferisce alle parole di Gesù immediatezza e forza. Stesso
fenomeno in Mc 10,15; 14,9.
@Û*g\H: (da @Û*X e gÍH), pron. indefinito negativo, nom. sing. m. da @Û*g\H, @Û*g:\", @Û*X<,
nessuno, niente; cf. Mc 2,21; soggetto.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
ÓH: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2; soggetto.
•n­ig<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare,
rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18. Si tratta di un esempio di «detti gnomici» di Gesù,
introdotti dal pronome indefinito nella forma «chi…», «chiunque…», «colui che…», «se
qualcuno…», ecc., il cui scopo è quello di mettere in evidenza le caratteristiche della
sequela. Ritroviamo questa costruzione in Mc 3,35 («chi compie la volontà di Dio…»), Mc
6,11 (chi non accoglie i Dodici), Mc 9,37 («chi accoglie un bambino…»), Mc 9,40 («chi non
è contro di noi è per noi»), Mc 9,42 («chi scandalizza uno dei piccoli…»), Mc 10,11 («chi
divorzia dalla moglie…»), Mc 10,29 («chi lascia casa, fratelli, sorelle…»), Mc 10,43 («chi
vuole essere il più grande…»), Mc 11,23 («chi dice a questo monte…»).
@Æi\"<: sost., acc. sing. f. da @Æi\", –"H, casa, abitazione, dimora; cf. Mc 1,29; compl.
oggetto. Senza articolo perché generico, analogamente alla serie di sostantivi seguenti
(•*g8n@bH, •*g8nVH, :0JXD", JXi<", •(D@bH).
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9.
•*g8n@bH: sost., acc. plur. m. da •*g8n`H, –@Ø, fratello; cf. Mc 1,16; compl. oggetto. Per il
commento lessicale a questo vocabolo vedi Mc 3,31.
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9.
•*g8nVH: sost., acc. plur. f. da •*g8nZ, –­H, sorella; cf. Mc 3,32; compl. oggetto. Per il
commento lessicale a questo vocabolo vedi Mc 3,31.
Mc 10,30 717

³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9.


:0JXD": sost., acc. sing. f. da :ZJ0D, :0JD`H, madre; cf. Mc 3,31; compl. oggetto.
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9.
B"JXD": sost., acc. sing. m. da B"JZD, B"JD`H, padre; cf. Mc 1,20; compl. oggetto.
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9.
JXi<": sost., acc. plur. n. da JXi<@<, –@L, figlio, bambino; cf. Mc 2,5; compl. oggetto.
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9.
•(D@bH: sost., acc. plur. m. da •(D`H, –@Ø, campo, campagna, podere, borgata [di campagna];
cf. Mc 5,14; compl. oggetto. Il vocabolo ha qui il significato di campo, ossia il terreno
coltivato, l’appezzamento di terreno (cf. Mc 10,29.30; 13,16).
ª<gig<: prep. impropria di valore causale, seguita dal genitivo, indecl., per, a causa di; cf. Mc
8,35.
¦:@Ø: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc.
¦:X/:g), io, me; cf. Mc 7,6; compl. di causa.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
ª<gig<: prep. impropria di valore causale, seguita dal genitivo, indecl., per, a causa di; cf. Mc
8,35.
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
gÛ"((g8\@L: sost., gen. sing. n. da gÛ"((X84@<, –@L, lieto annuncio, buona novella,
«vangelo»; cf. Mc 1,1; compl. di causa. Analogamente a i"Â J@Ø gÛ"((g8\@L di Mc 8,35,
quasi certamente l’espressione «e a causa del vangelo» che compare in questo versetto non
risale al Gesù della storia, ma è una aggiunta di qualche primo glossatore o dello stesso
Marco, il quale è l’unico tra gli evangelisti a usare il termine gÛ"((X84@< in senso assoluto
(cf. Mc 1,14; 8,35; 10,29; 13,10; 14,9). L’aggiunta risente della prima predicazione apostolica
quando ormai il “vangelo” si stava diffondendo grazie all’opera dei primi missionari e
catechisti cristiani.

10,30 ¦< :¬ 8V$® ©i"J@<J"B8"F\@<" <Ø< ¦< Jè i"4Dè J@bJå @Æi\"H i"Â
•*g8n@×H i" •*g8nH i" :0JXD"H i" JXi<" i" •(D@×H :gJ *4T(:ä<s
i"Â ¦< Jè "Æä<4 Jè ¦DP@:X<å .T¬< "Æf<4@<.
10,30 che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case, fratelli, sorelle,
madri, figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nell’epoca futura.

¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
8V$®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da 8":$V<T, prendere, afferrare, raccogliere,
ricevere; cf. Mc 4,16.
718 Mc 10,30

©i"J@<J"B8"F\@<": agg. numerale, moltiplicativo, di valore sostantivato, acc. plur. n. da


©i"J@<J"B8"F\T<, –@L, cento volte, centuplo; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 3 volte
nel NT: Mt 19,29; Mc 10,30 (hapax marciano); Lc 8,8.
<Ø<: avv. di tempo, indecl., ora, adesso. Il vocabolo ricorre 147 volte nel NT. La distribuzione
nei vangeli è la seguente: 4 volte in Matteo (corrispondente allo 0,022% del totale delle
parole); 3 volte in Marco (cf. Mc 10,30; 13,19; 15,32 = 0,027%); 14 volte in Luca (0,072%);
29 volte in Giovanni (0,185%). Analogamente ad altri avverbi di tempo <Ø< esprime un
concetto elastico di durata temporale, potendo indicare un periodo sfuggente tra il passato e
l’avvenire. Nel greco classico come nel NT il <Ø< esprime un momento del periodo preso
in considerazione da chi parla o scrive: può trattarsi di un «adesso» di lunga durata, di un
«ora» più raccorciato oppure di un presente momentaneo, sfuggente («in questo momento»).
Nel nostro caso si tratta di un <Ø< rivolto al futuro, ossia di un «adesso» esistenziale inteso
come un presente escatologico che illumina il divenire del credente.
¦<: prep. propria di valore temporale, seguita dal dativo, indecl., in, durante, entro; cf. Mc 1,2.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
i"4Dè: sost., dat. sing. m. da i"4D`H, –@Ø, circostanza favorevole, tempo propizio, occasione
opportuna, giusta misura; cf. Mc 1,15; compl. di tempo determinato.
J@bJå: pron. dimostrativo, dat. sing. m. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 6,2;
attributo di i"4Dè, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
@Æi\"H: sost., gen. sing. f. da @Æi\", –"H, casa, abitazione, dimora; cf. Mc 1,29; compl.
oggetto. Senza articolo perché generico, analogamente alla serie di sostantivi seguenti
(•*g8n@bH, •*g8nVH, :0JXD", JXi<", •(D@bH).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•*g8n@bH: sost., acc. plur. m. da •*g8n`H, –@Ø, fratello; cf. Mc 1,16; compl. oggetto. Per il
commento lessicale a questo vocabolo vedi Mc 3,31.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•*g8nVH: sost., acc. plur. f. da •*g8nZ, –­H, sorella; cf. Mc 3,32; compl. oggetto. Per il
commento lessicale a questo vocabolo vedi Mc 3,31.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
:0JXD"H: sost., acc. plur. f. da :ZJ0D, :0JD`H, madre; cf. Mc 3,31; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
JXi<": sost., acc. plur. n. da JXi<@<, –@L, figlio, bambino; cf. Mc 2,5; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•(D@bH: sost., acc. plur. m. da •(D`H, –@Ø, campo, campagna, podere, borgata [di campagna];
cf. Mc 5,14; compl. oggetto. Il vocabolo ha qui il significato di campo, ossia il terreno
coltivato, l’appezzamento di terreno (cf. Mc 10,29.30; 13,16).
:gJV: prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con, insieme a, in
compagnia di; cf. Mc 1,13.
Mc 10,31 719

*4T(:ä<: sost., gen. plur. m. da *4T(:`H, –@Ø, persecuzione, difficoltà; cf. Mc 4,17; compl.
di unione. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è
frequente nel greco ellenistico.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦<: prep. propria di valore temporale, seguita dal dativo, indecl., in, durante, entro; cf. Mc 1,2.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
"Æä<4: sost., dat. sing. m. da "Æf<, –ä<@H, tempo, epoca, eternità, mondo, eone; cf. Mc 3,29;
compl. di tempo determinato.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
¦DP@:X<å: verbo, dat. sing. m. part. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Participio attributivo del complemento
di tempo determinato "Æä<4, in posizione enfatica.
.TZ<: sost., acc. sing. f. da .TZ, –­H, vita; cf. Mc 9,43; compl. oggetto. Senza articolo perché
generica.
"Æf<4@<: agg. qualificativo, acc. sing. f. da "Æf<4@H, –@<, interminabile, eterno, senza fine; cf.
Mc 3,29; attributo di .TZ<.

10,31 B@88@Â *¥ §F@<J"4 BDäJ@4 §FP"J@4 i"Â [@Ê] §FP"J@4 BDäJ@4.


10,31 Tuttavia tutti coloro che sono primi saranno ultimi e tutti coloro che sono ultimi
saranno primi».

B@88@\: agg. indefinito, nom. plur. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; attributo di BDäJ@4. Come avviene altrove (cf. Mc 1,34[x2]; 3,10; 6,2; 9,26; 10,45;
14,24) il pronome indefinito B@88@\ è usato in questo passo alla maniera semitica per
indicare la “totalità” (= «tutti») di una pluralità numerosa. Mentre, infatti, nella lingua greca
l’indefinito B@88@\ si differenzia da BV<JgH per il fatto che esprime una maggioranza (=
«molti») rispetto alla totalità (= «tutti») e di conseguenza viene impiegato con un significato
di esclusione (= «molti, ma non tutti»), l’ebraico .*v E9H%
I , ha) rabbîm, tradotto semiticamente
con B@88@\, ha significato di inclusione: «le moltitudini», «gli innumerevoli molti», ossia
«tutti» (vedi commento a Mc 14,24). Anche nel nostro passo il pronome B@88@\ deve essere
tradotto con «tutti», perché concettualmente esso esprime questa idea, mentre la traduzione
letteralista «molti», riportata da vari commentatori, introduce eccezioni al loghion di Gesù e
ne falsa il contenuto. Si deve intendere, infatti, questo loghion in forma di antitesi: l’usuale
traduzione «molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi primi» non corrisponde al
testo. Anzitutto si deve osservare che il “primato” di cui qui si parla non è di ordine
temporale: non si dice che i primi nell’ordine di tempo dovranno attendere e arrivare per
ultimi nel nuovo eone, ma che coloro che si considerano primi o vengono messi al primo
posto da altri, verranno collocati all’ultimo posto (ordine di rango). In questo senso si deve
assegnare alla congiunzione *X tutto il suo valore avversativo, in riferimento al contesto
precedente (quello della sequela e della ricompensa promessa da Gesù): il discepolo che,
lasciando tutto, si è messo al servizio di Gesù e del vangelo, riceverà fin da adesso «cento
720 Mc 10,31

volte tanto», afferma Gesù, tuttavia (= *X, con valore avversativo), nel nuovo ordine vi sarà
una diversa ridistribuzione delle “ricompense”, le quali verranno assegnate in forma antitetica:
coloro che sulla terra sono stati considerati e trattati come «primi» (ordine di rango) saranno
considerati «ultimi» e viceversa. Il detto di Gesù si iscrive nella più ampia logica di Dio che
ritroviamo spesso nella Bibbia: si tratta della preferenza che viene accordata da Dio al più
piccolo, al più debole e indifeso, all’ultimo di una serie rispetto a ciò che, umanamente
parlando, gli è superiore. Secondo questa sorprendente didattica soprannaturale, Dio
preferisce gli ultimi, gli inferiori, i secondi, con uno strano capovolgimento di prospettiva che
disintegra ogni nostra convinzione e sicurezza, seguendo quella pedagogia che egli stesso
rivela di applicare: «Io, il Signore, sono il primo, eppure io stesso sono con gli ultimi» (Is
41,4).
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
§F@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. medio da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere
presente; cf. Mc 1,6.
BDäJ@4: agg. numerale, ordinale, di valore sostantivato, nom. plur. m. da BDäJ@H, –0, –@<,
primo, principale; cf. Mc 3,27; soggetto. Il vocabolo BDäJ@H compare nel greco classico
con tre accezioni fondamentali: a) nel significato spaziale, per indicare l’anteriore o ciò che
sta davanti rispetto al posteriore o ciò che sta dietro (cf. Omero, Omero, Il., 15,340); b) nel
significato temporale, per indicare il primo in ordine di tempo rispetto al secondo o al
successivo (cf. Erodoto, Hist., 7,168,1); c) nel significato gerarchico, per indicare il primo
(ossia il più importante, il più nobile, ecc.) rispetto al rango, al grado o al valore che viene
predicato a qualcuno o a qualcosa (cf. Omero, Od., 6,60; Tucidide, Hist., 6,28,1). Nel NT
il significato spaziale di BDäJ@H si ritrova soltanto in Eb 9,2.6.8, mentre prevale l’accezione
di «primo» in riferimento al tempo, a una successione, a una numerazione o a una serie
(significati b e c). Nel nostro passo BDäJ@H deve essere inteso in senso qualitativo o
gerarchico, corrispondente a «il più importante», come avviene in Mc 6,21; 9,35;
10,31[x2].44; 12,28.
§FP"J@4: agg. qualificativo, di grado superlativo, nom. plur. m. da §FP"J@H, –0, –@<, estremo,
ultimo, infimo; cf. Mc 9,35; predicato nominale.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
[@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5. L’articolo è presente nei codici
B, C, f13, 157, 892, 1006, 1010, 1342; è assente, invece, in !, A, D, L, W, ), 1, Q, 0233,
f1, 28, 180, 205, 565, 579, 597, 700, 1071, 1241, 1243, 1292, 1424, 1505, 2427. L’eventuale
aggiunta o omissione dell’articolo è in ogni caso assolutamente ininfluente per la retta
comprensione del testo.].
§FP"J@4: agg. qualificativo, di grado superlativo, con valore sostantivato, nom. plur. m. da
§FP"J@H, –0, –@<, estremo, ultimo, infimo; cf. Mc 9,35; soggetto.
BDäJ@4: agg. numerale, ordinale, nom. plur. m. da BDäJ@H, –0, –@<, primo, principale; cf. Mc
3,27; predicato nominale.
Mc 10,32 721

10,32 ‚/F"< *¥ ¦< J± Ò*è •<"$"\<@<JgH gÆH {3gD@F`8L:"s i" µ< BD@V(T<
"ÛJ@×H Ò z30F@ØHs i" ¦h":$@Ø<J@s @Ê *¥ •i@8@Lh@Ø<JgH ¦n@$@Ø<J@. i"Â
B"D"8"$ã< BV84< J@×H *f*gi" ³D>"J@ "ÛJ@ÃH 8X(g4< J :X88@<J" "ÛJè
FL:$"\<g4<
10,32 Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro
ed essi erano stupiti; anche coloro che lo seguivano erano pieni di timore. Egli allora
prese di nuovo in disparte i Dodici e cominciò a ripetere loro quello che stava per
accadergli:

‚/F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf.
Mc 1,6.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
Ò*è: sost., dat. sing. f. da Ò*`H, –@Ø, strada, via; cf. Mc 1,2; compl. di stato in luogo.
L’espressione ¦< J± Ò*è ricorre 6 volte in Marco (cf. Mc 8,3.27; 9,33.34; 10,32.52): non
indica soltanto un cammino fisico, un percorso geografico, ma soprattutto l’itinerario
spirituale che Gesù fa compiere ai discepoli. Si tratta della “via” di Gesù verso la sua
passione e morte, ma si tratta anche del “cammino” dei discepoli durante il quale saranno da
lui educati.
•<"$"\<@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da •<"$"\<T (da •<V e la radice di $VF4H),
risalire, ascendere, andare su, sorgere, crescere; cf. Mc 1,10. Participio predicativo del
soggetto sottinteso «Gesù e i discepoli». Il participio è retto da µF"< in costruzione
perifrastica («erano salenti»), al posto dell’usuale imperfetto «salivano». La formula è
probabilmente dovuta a una precedente tradizione orale aramaica. La costruzione perifrastica
all’imperfetto esprime che questo cammino è la situazione generale di ciò che segue. A
Gerusalemme «si sale» (o «si scende»: Mc 3,22) perché la città, rispetto ai dintorni, è situata
a una altezza maggiore. L’espressione è antica e comune nella Bibbia (cf. 2Sam 19,35; 2Re
16,5; 18,17; Mt 20,17–18; Lc 2,42; 19,28; Gv 2,13; 5,1; At 11,2; 25,1.9; Gal 2,1).
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
{3gD@F`8L:": sost., nome proprio di città, acc. plur. n. da {3gD@F`8L:", –T<, Gerusalemme;
cf. Mc 3,8; compl. di moto a luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
BD@V(T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da BD@V(T (da BD` e V(T), andare avanti,
precedere, procedere; cf. Mc 6,45. Participio predicativo del soggetto z30F@ØH. Il participio
è retto da µ< in costruzione perifrastica («era camminante davanti»), al posto dell’usuale
imperfetto «camminava davanti». Nei vangeli viene sovente riferito che Gesù «precede» i
722 Mc 10,32

suoi discepoli. Questa affermazione ha probabilmente un carattere cristologico, per indicare


l’assoluta preminenza del Maestro rispetto ai discepoli e il dovere dei discepoli di seguire il
loro Maestro (cf. anche Mc 14,28; 16,7), mettendosi costantemente dietro di lui. Per quanto
riguarda la descrizione di Gesù quale •DP0(`H, «condottiero», «antesignano», «leader», cf.
At 3,15; 5,31; Eb 2,10; 12,2.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦h":$@Ø<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. pass. da h":$XT, stupire, spaventare, atterrire
(att.); essere stupito, essere spaventato, essere terrorizzato (pass.); cf. Mc 1,27. Imperfetto
durativo o iterativo.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
*X: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti, dunque, quindi; cf. Mc 1,8.
•i@8@Lh@Ø<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da •i@8@LhXT,
seguire, accompagnare, mettersi dietro; cf. Mc 1,18; soggetto. Questo secondo gruppo,
formato da «quelli che lo seguivano», sembra essere distinto dal primo gruppo, presumibil-
mente costituito dai Dodici: la fraseologia non è molto chiara.
¦n@$@Ø<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. medio da n@$XT, mettere in fuga, scacciare,
spaventare (att.); fuggire, avere paura, temere (mediopass.); cf. Mc 4,41. Imperfetto
durativo o iterativo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
B"D"8"$f<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da B"D"8":$V<T (da B"DV e 8":$V<T),
prendere, prendere con sé, ricevere, accogliere; cf. Mc 4,36. Participio predicativo del
soggetto z30F@ØH.
BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
*f*gi": agg. numerale, cardinale, acc. plur. m., indecl., dodici, Dodici (apostoli); cf. Mc 3,14;
compl. oggetto.
³D>"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da –DPT, dare inizio, cominciare; cf. Mc 1,45. La
frase ³D>"J@ / ³D>"<J@ seguita da un infinito come complemento è usata da Marco 26
volte (cf. Mc 1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32; 10,28.32.41.47; 11,15; 12,1;
13,5; 14,19.33.65.69.71; 15,8.18). La frequenza di questa formula è dovuta probabilmente
a influsso semitico: quasi sempre equivale a una perifrasi nella quale il verbo –DPT di valore
pleonastico può essere omesso, mentre l’infinito dipendente viene reso con la 3a persona
dell’indicativo aoristo o imperfetto corrispondente.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
Mc 10,33 723

8X(g4<: verbo, inf. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc 1,7.
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
:X88@<J": verbo, acc. plur. n. part. pres., di valore sostantivato, da :X88T, stare per, essere
sul punto di; compl. oggetto. Questo verbo ricorre 109 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 9 volte in Matteo (corrispondente allo 0,049% del totale delle parole);
2 volte in Marco (cf. Mc 10,32; 13,4 = 0,018%); 12 volte in Luca (0,062%); 12 volte in
Giovanni (0,077%). Nell’uso classico il verbo :X88T è impiegato a partire da Omero nel
significato di «essere sul punto di», «stare per» (cf. Omero, Il., 6,393; Od., 6,110). Nella
forma sostantivata equivale a «ciò che sta per accadere», «le cose future», «il futuro» (cf.
Eschilo, Prom., 211; Tucidide, Hist., 1,42,2; Platone, Theaet., 178a).
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
FL:$"\<g4<: verbo, inf. pres. da FL:$"\<T, accadere, capitare, succedere. Questo verbo
ricorre 8 volte nel NT: Mc 10,32 (hapax marciano); Lc 24,14; At 3,10; 20,19; 21,35; 1Cor
10,11; 1Pt 4,12; 2Pt 2,22. Tra i vari significati che assume il verbo FL:$"\<T nella grecità,
prevale nel nostro passo quello di «accadere», «avvenire», «succedere», detto di eventi (cf.
Eschilo, Pers., 802; Sofocle, Trach., 173), poiché l’infinito è strettamente unito al participio
J :X88@<J" per formare un’unica espressione sostantivata: «le cose che stavano per
accadergli».

10,33 ÓJ4 z3*@× •<"$"\<@:g< gÆH {3gD@F`8L:"s i"Â Ò LÊÎH J@Ø •<hDfB@L
B"D"*@hZFgJ"4 J@ÃH •DP4gDgØF4< i" J@ÃH (D"::"JgØF4<s i" i"J"iD4<@Ø-
F4< "ÛJÎ< h"<VJå i"Â B"D"*fF@LF4< "ÛJÎ< J@ÃH §h<gF4<
10,33 «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei
sacerdoti e agli scribi: lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani,

ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
z3*@b: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. medio da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare;
cf. Mc 1,2. Il vocabolo Æ*@b, un segnale discorsivo stereotipo, nella maggior parte delle
ricorrenze neotestamentarie assume il valore avverbiale esclamativo corrispondente alle
interiezioni «ecco!», «vedi!», «guarda!», «guardate!». Non c’è sostanziale diversità con
l’equivalente Ç*g (cf. Mc 2,24). Entrambe le particelle sono forme vivaci e dinamiche
modellate sul corrispondente ebraico %F% E , hinne)h (1057 volte nell’AT) e in quanto tali
possono sottolineare il discorso o la narrazione che esse introducono con una energia
particolare, esprimente di volta in volta sorpresa, importanza, novità, reazione. Su 7
ricorrenze marciane di Æ*@b 4 sono pronunciate da Gesù, come elemento caratteristico che
intende richiamare l’attenzione degli ascoltatori (cf. Mc 4,3; 10,33; 14,41.42).
•<"$"\<@:g<: verbo, 1a pers. plur. ind. pres. da •<"$"\<T (da •<V e la radice di $VF4H),
risalire, ascendere, andare su, sorgere, crescere; cf. Mc 1,10.
724 Mc 10,33

gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
{3gD@F`8L:": sost., nome proprio di città, acc. plur. n. da {3gD@F`8L:", –T<, Gerusalemme;
cf. Mc 3,8; compl. di moto a luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
LÊ`H: sost., nom. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; soggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•<hDfB@L: sost., gen. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di specificazione.
B"D"*@hZFgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. pass. da B"D"*\*T:4 (da B"DV e *\*T:4),
consegnare, rimettere, dare (qualcuno) nelle mani (di un altro), consegnare (qualcuno) al
potere (di un altro), tradire; cf. Mc 1,14. Il verbo, al passivo, può riferirsi sia all’azione di
Giuda (cf. Mc 3,19; 14,10, ecc.), soggetto implicito sia al disegno di Dio (cf. Mc 9,31;
14,41): in tal caso si tratterebbe di un passivo divino.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
•DP4gDgØF4<: sost., dat. plur. m. da •DP4gDgbH, –XTH (da •DPZ e ÊgDgbH), sommo sacerdote,
capo dei sacerdoti; cf. Mc 2,26, compl. di termine.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
(D"::"JgØF4<: sost., dat. plur. m. da (D"::"JgbH, –XTH (da (DV::"), scriba, esperto della
Legge, insegnante religioso; cf. Mc 1,22; compl. di termine.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
i"J"iD4<@ØF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. da i"J"iD\<T (da i"JV e iD\<T),
condannare, sentenziare, giudicare. Questo verbo ricorre 18 volte nel NT: Mt 12,41.42;
20,18; 27,3; Mc 10,33; 14,64; 16,16; Lc 11,31.32; Gv 8,10.11; Rm 2,1; 8,3.34; 14,23; 1Cor
11,32; Eb 11,7; 2Pt 2,6. Nella grecità il verbo i"J"iD\<T è impiegato nel significato base
di «condannare», specialmente in ambito giudiziario (cf. Erodoto, Hist., 6,85,1; Giuseppe
Flavio, Antiq., 3,308; Senofonte, Hell., 2,3,54). Nelle ricorrenze marciane i"J"iD\<T è
usato con significato giuridico per indicare la condanna a morte di Gesù emessa dai capi dei
sacerdoti e degli scribi (cf. Mc 10,33) o dai sinedriti (cf. Mc 14,64). Nella cosiddetta finale
lunga, non marciana, il verbo è presente come passivo divino.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
h"<VJå: sost., dat. sing. m. da hV<"J@H, –@L, morte; cf. Mc 7,10; compl. di pena. L’espressio-
ne i"J"iD4<@ØF4< "ÛJÎ< h"<VJå è un latinismo modellato sulla locuzione «damnare
aliquem ad mortem», «condannare qualcuno a morte» (Tacito, Ann., 16,21).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Mc 10,34 725

B"D"*fF@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. da B"D"*\*T:4 (da B"DV e *\*T:4),
consegnare, rimettere, dare (qualcuno) nelle mani (di un altro), consegnare (qualcuno) al
potere (di un altro), tradire; cf. Mc 1,14.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
§h<gF4<: sost., dat. plur. n. da §h<@H, –@LH, popolo, nazione. Al plur. anche straniero, pagano;
compl. di termine. Il vocabolo ricorre 162 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 15 volte in Matteo (corrispondente allo 0,082% del totale delle parole); 6 volte in
Marco (cf. Mc 10,33.42; 11,17; 13,8[x2].10 = 0,053%); 13 volte in Luca (0,067%); 5 volte
in Giovanni (0,032%). Nel greco classico a partire da Aristotele il termine §h<@H applicato
agli uomini è prevalentemente usato in senso dispregiativo per indicare il «popolo straniero»,
il «popolo barbaro», ossia il non–greco, rispetto all’etnia ellenica (cf. Polit., 1324b 10).
Analogo fenomeno linguistico e culturale — in forma speculare — si riscontra nella
letteratura giudaica: nei LXX su circa 1014 ricorrenze §h<@H traduce nella stragrande
maggioranza l’ebraico *|x, gôy, per lo più al plurale, nell’accezione tecnica di «popolazioni
pagane», «pagani», ossia di popoli non israeliti (cf. Dt 4,19.27; 6,14; 12,29; 2Esd., 9,7.11; Ne
5,17; Ger 10,2.3; ecc.). Anche presso i Giudei il termine *|x / §h<@H comporta, quindi, un
giudizio negativo, poiché con questo vocabolo venivano indicati gli stranieri pagani non
appartenenti al popolo d’Israele. Con lo stesso significato è presente in Mc 10,42; 11,17 (=
Is 56,7); 13,10.

10,34 i"Â ¦:B"\>@LF4< "ÛJè i"Â ¦:BJbF@LF4< "ÛJè i"Â :"FJ4(fF@LF4< "ÛJÎ<
i" •B@iJg<@ØF4<s i" :gJ JDgÃH º:XD"H •<"FJZFgJ"4.
10,34 lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno, ma dopo
tre giorni risusciterà».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦:B"\>@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. da ¦:B"\.T (da ¦< e B"\.T), beffeggiare,
schernire, deridere. Questo verbo ricorre 13 volte nel NT: Mt 2,16; 20,19; 27,29.31.41; Mc
10,34; 15,20.31; Lc 14,29; 18,32; 22,63; 23,11.36. Il verbo ¦:B"\.T allo stato assoluto o
con il dativo è usato nel greco classico nel significato di «schernire», «farsi beffe» (cf.
Euripide, Bacc., 867; Sofocle, Antig., 800; Erodoto, Hist., 4,134,2). Stesso significato di
«deridere» ritroviamo nei LXX (cf. Nm 22,29; Gdc 16,25.27; 1Sam 31,4; 2Cr 36,16; 1Mac
9,26; Sal 104,26; Ger 10,15; Bar 3,17; Ez 22,5). Nei sinottici il verbo è costruito con il dativo
ed è presente nel senso fondamentale di «schernire» sia a parole sia mediante qualche azione
di dileggio.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
726 Mc 10,34

¦:BJbF@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. da ¦:BJbT (da ¦< e BJbT), sputare. Questo verbo
ricorre 6 volte nel NT: Mt 26,67; 27,30; Mc 10,34; 14,65; 15,19; Lc 18,32. Sostanzialmente
identico quanto al significato con il più comune BJbT, il verbo ¦:BJbT ricorre nella grecità
nel significato di «sputare», in genere seguito dalla proposizione gÇH (cf. Erodoto, Hist.,
1,138,2). Il gesto di sputare è reso nei vangeli sia con BJbT (cf. Mc 7,33) che con ¦:BJbT:
quest’ultimo, costruito in Marco con il dativo, è riferito agli sputi subiti da Gesù durante la
passione.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
:"FJ4(fF@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. da :"FJ4(`T, flagellare, frustare. Questo
verbo ricorre 7 volte nel NT: Mt 10,17; 20,19; 23,34; Mc 10,34 (hapax marciano); Lc
18,33; Gv 19,1; Eb 12,6. Conosciuto a partire già da Omero (cf. Id., Il., 5,366.768),
:"FJ4(`T significa «fustigare», «frustare», «flagellare», detto a proposito di animali e
persone oppure in senso traslato di cose («battere» l’aria, l’anima, ecc.). Per quanto riguarda
il sinonimo nD"(g88`T, per indicare la pena romana della flagellazione (verberatio),
diversa dalla punizione sinagogale della fustigazione, vedi commento a Mc 15,15.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•B@iJg<@ØF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. da •B@iJg\<T (da •B` e iJg\<T), uccidere,
distruggere, far perire; cf. Mc 3,4.
i"\: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, però; cf. Mc 1,4. Il
significato avversativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ adversativum)
si riscontra in Mc 1,13c; 3,7b.12.33a; 4,17a.19a.27d; 5,19a; 6,19b.20d.33a; 7,24b.28b;
8,12.16.29.30; 9,12a.30.31c.42a; 10,34; 12,12b.17a; 16,8c.
:gJV: prep. propria di valore temporale, seguita dall’accusativo, indecl., dopo, dopo di; cf. Mc
1,13.
JDgÃH: agg. numerale, cardinale, acc. plur. f. da JDgÃH, JD\", –ä<, tre; cf. Mc 8,2; attributo di
º:XD"H.
º:XD"H: sost., acc. plur. f. da º:XD", –"H, giorno; cf. Mc 1,9; compl. oggetto. Per quanto
riguarda l’uso linguistico dell’espressione «dopo tre giorni» (:gJ JDgÃH º:XD"H), usata
nelle predizioni che annunciano la morte del Figlio dell’uomo e la sua risurrezione, vedi
commento a Mc 8,31.
•<"FJZFgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. medio da •<\FJ0:4 (da •<V e ËFJ0:4), sorgere,
alzarsi, sollevarsi, risorgere, risuscitare; cf. Mc 1,35. È la terza volta che Gesù annunzia
esplicitamente la sua passione, morte e risurrezione (cf. Mc 8,31; 9,31–32). A differenza delle
precedenti predizioni quest’ultima è la più particolareggiata, come è possibile constatare dal
seguente prospetto sinottico:
Mc 10,35 727

I II III Passione
Annuncio Annuncio Annuncio (adempimento)

Consegna ai capi 9,31 10,33 14,53


giudei

Condanna 8,31 10,33 14,64

Consegna 10,33 15,1


ai pagani

Insulti, sputi, 10,34 14,65; 15,15.16–20


flagellazione

Morte 8,31 9,31 10,34 15,24.37

Risurrezione 8,31 9,31 10,34 16,1–8

10,35 5"Â BD@FB@Dgb@<J"4 "ÛJè z3ViT$@H i"Â z3TV<<0H @Ê LÊ@Â -g$g*"\@L


8X(@<JgH "ÛJès )4*VFi"8gs hX8@:g< Ë<" Ô ¦< "ÆJZFT:X< Fg B@4ZF®H º:Ã<.
10,35 Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro,
vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo».

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


BD@FB@Dgb@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. medio da BD@FB@Dgb@:"4 (da BD`H e
B@Dgb@:"4), venire vicino, avvicinarsi, accostarsi. Hapax neotestamentario. Verbo
deponente, qui al presente storico: è usato nella grecità nel senso sia proprio che figurato di
«andare presso», «avvicinarsi» (cf. Aristotele, Hist. anim., 625a 13; Polibio, Hist., 10,27,8).
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
z3ViT$@H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z3ViT$@H, –@L, Giacomo; cf. Mc
1,19; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
z3TV<<0H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z3TV<<0H, –@L, Giovanni; cf. Mc
1,19; soggetto. La coppia dei fratelli z3"if$@L i"Â z3TV<<@L sembra essere uno
stereotipo: sono nominati in questo ordine in Mc 1,19.29; 3,17; 5,37; 9,2; 10,35.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
LÊ@\: sost., nom. plur. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; apposizione di z3ViT$@H e
z3TV<<0H.
728 Mc 10,36

-g$g*"\@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da -g$g*"Ã@H, –@L, Zebedeo; cf. Mc
1,19; compl. di specificazione.
8X(@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo del soggetto z3ViT$@H i"Â z3TV<<0H, con valore finale.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
)4*VFi"8g: sost., voc. sing. m. da *4*VFi"8@H, –@L, maestro, insegnante; cf. Mc 4,38;
compl. di vocazione.
hX8@:g<: verbo, 1a pers. plur. ind. pres. da hX8T, volere, avere il proposito di; cf. Mc 1,40. Il
verbo hX8T non ha qui il significato autoritario corrispondente a «volere», ma è usato nel
senso di «desiderare» oppure equivale al nostro condizionale «vorremmo».
Ë<": cong. subordinativa di valore completivo, indecl., di, che; cf. Mc 1,38. La congiunzione Ë<"
non ha qui il consueto valore finale, ma quello completivo (equivalente a ÓJ4 o ÓBTH): in
pratica introduce una proposizione infinitiva (cf. Mc 3,9a.12; 4,22a; 5,10.18.43; 6,8.12.25.56;
7,26.32.36; 8,22.30; 9,9.12.18.30; 10,35.37; 11,16; 13,34; 15,21). La costruzione senza Ë<",
con il semplice congiuntivo di hX8T, compare in Mc 10,51; 14,12; Mt 13,28; Lc 9,54.
Ó: pron. relativo, acc. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24; compl. oggetto.
¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
"ÆJZFT:X<: verbo, 1a pers. plur. congiunt. aor. da "ÆJXT, domandare, chiedere, implorare,
richiedere; cf. Mc 6,22.
Fg: pron. personale di 2a pers. acc. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,24; compl. di termine. La forma accusativa è retta dal verbo "ÆJXT.
B@4ZF®H: verbo, 2a pers. sing. congiunt. aor. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3.
º:Ã<: pron. personale di 1a pers. dat. plur. da º:gÃH (gen. º:ä<, dat. º:Ã<, acc. º:H), noi;
cf. Mc 1,24; compl. di termine.

10,36 Ò *¥ gÉBg< "ÛJ@ÃHs I\ hX8gJX [:g] B@4ZFT ß:Ã<p


10,36 Egli disse loro: «Cosa volete che io faccia per voi?».

Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
Mc 10,37 729

"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
I\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; compl. oggetto.
hX8gJX: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da hX8T, volere, avere il proposito di; cf. Mc 1,40.
[:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,40; soggetto della proposizione oggettiva costruita con il verbo infinito
B@4ZF"4, qui nella forma congiuntiva B@4ZFT. Il pronome è presente nei codici ! (primo
correttore), B, Q, 0233; è assente, invece, in C, 1, f1, f13, 205, 565, 1424. Se si accetta come
autentica la lezione con :g ci dovremmo aspettare l’infinito B@4ZF"4 (proposizione oggettiva
costruita con un infinito) come avviene in alcuni manoscritti più tardivi che correggono
deliberatamente B@4ZFT con B@4ZF"4: ma tale lezione “corretta” è quella più facile e,
dunque, da un punto di vista di critica testuale la meno sicura; è pertanto probabile ritenere
che il testo originale riportasse il pronome.].
B@4ZFT: verbo, 1a pers. sing. congiunt. aor. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3. Congiuntivo deliberativo.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28, compl. di termine.

10,37 @Ê *¥ gÉB"< "ÛJès )ÎH º:Ã< Ë<" gÍH F@L ¦i *g>4ä< i" gÍH ¦> •D4FJgDä<
i"h\FT:g< ¦< J± *`>® F@L.
10,37 Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua
sinistra».

@Ê: art. determ., con valore pronominale, nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5;
soggetto. Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale
"ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
gÉB"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
)`H: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26.
º:Ã<: pron. personale di 1a pers. dat. plur. da º:gÃH (gen. º:ä<, dat. º:Ã<, acc. º:H), noi;
cf. Mc 1,24; compl. di termine.
Ë<": cong. subordinativa di valore completivo, indecl., di, che; cf. Mc 1,38. La congiunzione Ë<"
non ha qui il consueto valore finale, ma quello completivo (equivalente a ÓJ4 o ÓBTH): in
pratica introduce una proposizione infinitiva (cf. Mc 3,9a.12; 4,22a; 5,10.18.43; 6,8.12.25.56;
7,26.32.36; 8,22.30; 9,9.12.18.30; 10,35.37; 11,16; 13,34; 15,21).
gÍH: agg. numerale, cardinale, nom. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; soggetto.
730 Mc 10,37

F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
*g>4ä<: agg. qualificativo, gen. plur. n. da *g>4`H, –V, –`<, destro; compl. di stato in luogo. Il
vocabolo ricorre 54 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 12 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,065% del totale delle parole); 7 volte in Marco (cf. Mc
10,37.40; 12,36; 14,62; 15,27; 16,5.19 = 0,062%); 6 volte in Luca (0,031%); 2 volte in
Giovanni (0,013%). A partire da Omero l’aggettivo *g>4`H è usato nel significato di
«destro» per indicare «ciò che è situato a destra» rispetto a ciò di cui si parla o scrive (cf.
Omero, Il., 4,481; Od., 2,154). La destra e la sinistra sono due concetti fondamentali non
soltanto della dimensione spaziale e organizzativa, ma anche di quella antropologica e
religiosa di tutte le culture umane. Alla necessità di questa asimmetria (destra/sinistra)
corrisponde la curiosa constatazione che in tutte le culture umane il lato destro è quello
preferito e associato al bene, mentre il lato sinistro, meno utilizzato, è associato al negativo.
Anche nella Bibbia è presente questo singolare dato culturale e teologico. Anzitutto la
ricorrenza dei termini destra/sinistra rispecchia il dato statistico, poiché nell’Antico come nel
NT la destra viene menzionata molto più spesso della sinistra (191 ricorrenze per la destra;
66 per la sinistra). Per quanto riguarda i significati simbolici si deve osservare che alla destra
è riservato il ruolo dominante, mentre alla sinistra quello subalterno. In una nutrita serie di
passi la mano destra è indicata come la mano usata per giurare, benedire o stringere dei patti
tra due contraenti: è risaputo, infatti, che nelle culture dell’Antico Oriente le promesse e i
giuramenti venivano fatti alzando la mano destra, considerata la mano della verità e della
giustizia (cf. Is 62,8; 1Mac 6,58; Gal 2,9). La connotazione positiva della destra rispetto alla
sinistra viene chiaramente riflessa anche nelle cerimonie liturgiche e cultuali che si riferiscono
alle procedure di sacrificio degli animali (cf. Es 29,19–20) o di investitura sacerdotale (cf. Lv
8,23–25). In questo contesto il lato destro è quello considerato eminentemente sacro (cf. Lv
14,14). In un’altra serie di passi il lato destro è descritto come il posto d’onore riservato alle
persone di riguardo, le quali stanno sedute o camminano a destra del personaggio principale
(cf. 1Re 2,19–20; Esd 4,29; Giuseppe Flavio, Antiq., 6,235). Quando qualcuno non ha più
amici alla sua destra, ma soltanto nemici, allora la sua situazione è veramente disperata e
senza via d’uscita (cf. Gb 30,12; Sal 142,5). La polarità simbolica destra/sinistra è applicata
poeticamente anche a Dio. L’intero universo è stato creato dalla destra di Dio (cf. Is 48,13)
e la creazione continua perché la destra di Dio salva gli oppressi, amministra la giustizia,
dona la terra al suo popolo e punisce i nemici (cf. Sal 16,8; 20,7; 44,4). Il lato destro (rispetto
a Dio) ha assunto un significato particolare nel NT dove esprime simbolicamente la
glorificazione di Cristo, il quale, dopo la sua risurrezione e ascensione, «è stato innalzato alla
destra di Dio…» (At 2,33). Questa differente connotazione simbolica spiega la separazione
delle genti nel giudizio finale, quando coloro che stanno alla destra del Cristo, Giudice
supremo, riceveranno in eredità il regno, mentre quelli che stanno alla sua sinistra verranno
cacciati nel fuoco eterno (cf. Mt 25,31–46). In alcuni casi l’espressione essere «a destra e a
sinistra» di qualcuno è usata in senso neutro, senza una ravvisabile valutazione simbolica o
Mc 10,38 731

teologica (cf. Mc 10,37; 2Cor 6,7): tuttavia, anche in questi casi, il vocabolo «destra» è posto
prima della «sinistra».
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
gÍH: agg. numerale, cardinale, nom. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7, soggetto.
¦>: (= ¦i), prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
•D4FJgDä<: agg. qualificativo, gen. plur. n. da •D4FJgD`H, –V, –`<, sinistro, posto a sinistra;
compl. di stato in luogo. Il vocabolo ricorre 4 volte nel NT: Mt 6,3; Mc 10,37 (hapax
marciano); Lc 23,33; 2Cor 6,7. A partire da Omero l’aggettivo •D4FJgD`H è usato nel
significato di «sinistro», per indicare «ciò che è situato a sinistra» rispetto a ciò di cui si parla
o scrive (cf. Omero, Il., 23,336; Od., 5,277). L’espressione ¦> •D4FJgDä< già nel greco
classico assume il valore avverbiale locale di «a sinistra». In riferimento alle cariche di corte
il dignitario che sedeva a sinistra del re era il secondo in ordine di importanza, dopo quello
che sedeva alla destra (cf. sopra, *g>4ä<). Altrove (cf. Mc 10,40; 15,27) Marco utilizza un
diverso vocabolo per indicare il lato «sinistro» (gÛf<L:@H).
i"h\FT:g<: verbo, 1a pers. plur. congiunt. aor. da i"h\.T, sedere, sedersi, assidersi; cf. Mc
9,35. Il verbo è qui inteso per esprimere la dignità del dignitario di corte, non per esprimere
l’idea della distribuzione dei posti d’onore alla mensa nel regno di Gesù.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
*`>®: sost., dat. sing. f. da *`>", –0H, gloria; cf. Mc 8,38; compl. di stato in luogo. A quale
«gloria» stanno facendo allusione Giacomo e Giovanni? Il riferimento può essere inteso in
senso storico e politico alla gloria che spetta al sovrano: in tal caso l’aspettativa dei due è
quella di un messianismo umano. Nel vangelo di Marco, tuttavia, la «gloria» di Gesù è la
magnificenza escatologica e celeste del Figlio dell’uomo, relativa alla sua seconda venuta (cf.
Mc 8,38; 13,26), quando il Figlio dell’uomo sederà sul suo trono. È però difficile che la
richiesta dei due apostoli faccia riferimento a questa seconda prospettiva: in ogni caso
l’ambizione è sostanzialmente la stessa.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).

10,38 Ò *¥ z30F@ØH gÉBg< "ÛJ@ÃHs ?Ûi @Ç*"Jg J\ "ÆJgÃFhg. *b<"Fhg B4gÃ< JÎ


B@JZD4@< Ô ¦(ã B\<T ´ JÎ $VBJ4F:" Ô ¦(ã $"BJ\.@:"4 $"BJ4Fh­<"4p
10,38 Gesù disse loro: «Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo
o essere immersi in quel battesimo in cui io stesso sarò immerso?».

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
732 Mc 10,38

z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
?Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
@Ç*"Jg: verbo, 2a pers. plur. ind. perf. da @É*" (una radice con valore di presente connessa a
gÉ*@<, aor. attivo di ÒDVT), vedere, percepire, discernere, conoscere, sapere; cf. Mc 1,24.
J\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; compl. oggetto. Questo pronome interrogativo sta
al posto del relativo Ó J4 / òFJ4H («ciò che»), come avviene nei papiri e nelle iscrizioni; si
tratta di un uso piuttosto frequente nella Koiné: «Propositio relativa et interrogatio indirecta
post verba dicendi, cognoscendi etc. valde affines sunt. Hinc fit, ut hellenistice interrogativum
J\ loco pronominis relativi stare possit» (Zerwick Max, Graec., § 221). Analogo fenomeno
in Mc 2,25; 4,24; 5,14; 6,36; 8,1.2; 9,6.10; 10,38; 13,11; 14,36[x2].40.68; 15,24.
"ÆJgÃFhg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. medio da "ÆJXT, domandare, chiedere, implorare,
richiedere; cf. Mc 6,22. Nella diatesi media questo verbo acquista una particolare sfumatura:
«quello che state chiedendo per voi».
*b<"Fhg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere
in grado di; cf. Mc 1,40.
B4gÃ<: verbo, inf. aor. da B\<T, bere. Questo verbo ricorre 73 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 15 volte in Matteo (corrispondente allo 0,082% del totale delle
parole); 8 volte in Marco (cf. Mc 10,38[x2]. 39[x2]; 14,23.25[x2]; 16,18 = 0,071%); 17 volte
in Luca (0,087%); 11 volte in Giovanni (0,070%). In senso letterale proprio il verbo B\<T
è usato fin da Omero nel significato di «bere» (cf. Omero, Il., 11,641; Od., 2,305).
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
B@JZD4@<: sost., acc. sing. n. da B@JZD4@<, –@L, calice, tazza, bicchiere; cf. Mc 7,4; compl.
oggetto. L’espressione «bere il calice», analoga alla nostra «bere un bicchiere», è una
metonimia comune a tutte le lingue; qui, tuttavia, il verbo B\<T è usato in senso traslato.
Nell’AT come in alcuni scritti giudaici apocrifi, l’immagine del calice (o «coppa») è
ambigua: simboleggia il destino che si sta per subire, sia esso individuale o collettivo:
soltanto il contesto determina se si tratta di un destino di gioia (cf. Sal 23,5; 116,13) oppure
più sovente di retribuzione punitiva di Dio e di sofferenza (cf. Sal 75,9; Is 51,17.22; Ger
25,15.17.28; 49,12; 51,7; Lam 4,21; Ez 23,31–34; Ab 2,16; Zc 12,2; 1QpHab, 11,14–15; Ps.
Salom., 8,14; cf. anche Ap 14,10; 18,6). Qui il vocabolo equivale a «destino» non come cieco
e predestinato avverarsi, ma come giudizio di Dio che comporta per Gesù una morte
dolorosa. In questo senso l’espressione «bere il calice» significa «sperimentare un destino di
morte violenta».
Ó: pron. relativo, acc. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24; compl. oggetto.
Mc 10,39 733

¦(f: pron. personale di 1a pers. nom. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc.
¦:X/:g), io, me; cf. Mc 1,8; soggetto. Posizione enfatica.
B\<T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da B\<T, bere; cf. Mc 10,38.
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
$VBJ4F:": sost., acc. sing. n. da $VBJ4F:", –"J@H, immersione, il sommergere, «battesimo»;
cf. Mc 1,4; compl. di mezzo. Il termine è qui usato non nel significato cristiano e
sacramentale, ma in quello letterale figurato di «immersione». Nell’AT l’immagine di trovarsi
o essere sommersi dall’acqua evoca l’idea di un grave pericolo, una grande sofferenza o un
imminente rischio di morte (cf. 2Sam 22,5; Sal 18,5; 42,8; 69,2–3). Che il Gesù storico,
parlando delle proprie sofferenze, abbia usato l’immagine tradizionale della «immersione»
trova conferma nella molteplice attestazione di fonti, vale a dire Mc 10,38–39 e la tradizione
speciale di Lc 12,50.
Ó: pron. relativo, acc. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24; compl. di mezzo.
¦(f: pron. personale di 1a pers. nom. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc.
¦:X/:g), io, me; cf. Mc 1,8; soggetto. Posizione enfatica.
$"BJ\.@:"4: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. pass. da $"BJ\.T, immergere, sommergere,
lavare, «battezzare»; cf. Mc 1,4. Passivo divino. Da notare la figura etimologica (paronoma-
sia) costruita con l’oggetto interno ($VBJ4F:"… $"BJ\.T), dovuta probabilmente a
influsso semitico (infinito assoluto ebraico). Analogo fenomeno in Mc 1,16; 3,28; 4,24.41;
5,42; 7,7.13; 13,19; 14,6; 15,26. È probabile che i due presenti B\<T e $"BJ\.@:"4
(«bevo», «sono battezzato») riflettano una sottostante impronta aramaica e in tal caso
tradurrebbero servilmente due perfetti ebraici, da intendersi al futuro prossimo («sto per
bere», «sarò immerso»).
$"BJ4Fh­<"4: verbo, inf. aor. pass. da $"BJ\.T, immergere, sommergere, lavare, «battezza-
re»; cf. Mc 1,4. Passivo divino.

10,39 @Ê *¥ gÉB"< "ÛJès )L<V:gh". Ò *¥ z30F@ØH gÉBg< "ÛJ@ÃHs IÎ B@JZD4@< Ô


¦(ã B\<T B\gFhg i"Â JÎ $VBJ4F:" Ô ¦(ã $"BJ\.@:"4 $"BJ4FhZFgFhgs
10,39 Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo anche voi lo
berrete e il battesimo che io sto per ricevere anche voi lo riceverete.

@Ê: art. determ., con valore pronominale, nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5;
soggetto. Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale
"ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
gÉB"<: (= gÉB@<) verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere,
esortare; cf. Mc 1,7.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
734 Mc 10,40

)L<V:gh": verbo, 1a pers. plur. ind. pres. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere
in grado di; cf. Mc 1,40.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
I`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
B@JZD4@<: sost., acc. sing. n. da B@JZD4@<, –@L, calice, tazza, bicchiere; cf. Mc 7,4; compl.
oggetto.
Ó: pron. relativo, acc. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24; compl. oggetto.
¦(f: pron. personale di 1a pers. nom. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc.
¦:X/:g), io, me; cf. Mc 1,8; soggetto. Posizione enfatica.
B\<T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da B\<T, bere; cf. Mc 10,38.
B\gFhg: verbo, 2a pers. plur. ind. fut. medio da B\<T, bere; cf. Mc 10,38.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
$VBJ4F:": sost., acc. sing. n. da $VBJ4F:", –"J@H, immersione, il sommergere, «battesimo»;
cf. Mc 1,4; compl. oggetto.
Ó: pron. relativo, acc. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24; compl. oggetto.
¦(f: pron. personale di 1a pers. nom. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc.
¦:X/:g), io, me; cf. Mc 1,8; soggetto. Posizione enfatica.
$"BJ\.@:"4: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. pass. da $"BJ\.T, immergere, sommergere,
lavare, «battezzare»; cf. Mc 1,4. Passivo divino.
$"BJ4FhZFgFhg: verbo, 2a pers. plur. ind. fut. pass. da $"BJ\.T, immergere, sommergere,
lavare, «battezzare»; cf. Mc 1,4. Passivo divino.

10,40 JÎ *¥ i"h\F"4 ¦i *g>4ä< :@L ´ ¦> gÛT<b:T< @Ûi §FJ4< ¦:Î< *@Ø<"4s •88z
@ÍH ºJ@\:"FJ"4.
10,40 Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro
per i quali è stato preparato».

J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
Mc 10,40 735

i"h\F"4: verbo, inf. aor. da i"h\.T, sedere, sedersi, assidersi; cf. Mc 9,35; soggetto. Infinito
sostantivato dall’articolo J`. Non si tratta di un anacoluto, quanto del fenomeno della
prolessi: il soggetto della dipendente è messo prima della proposizione reggente.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
*g>4ä<: agg. qualificativo, di valore sostantivato, gen. plur. n. da *g>4`H, –V, –`<, destro; cf.
Mc 10,37; questo aggettivo, se inteso in forma sostantivata, corrisponde a un complemento
di stato in luogo («nella [parte] destra»); sintatticamente può essere considerato, assieme alla
preposizione ¦i, una locuzione avverbiale di luogo («a destra»).
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9.
¦>: (= ¦i), prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
gÛT<b:T<: agg. qualificativo, gen. plur. n. da gÛf<L:@H, –@<, sinistro; compl. di stato in
luogo. Il vocabolo ricorre 9 volte nel NT: Mt 20,21.23; 25,33.41; 27,38; Mc 10,40; 15,27;
At 21,3; Ap 10,2. Oltre al significato originario di «rinomato», «di buon nome», «onorevole»
(cf. Esiodo, Theog., 409; Platone, Leg., 754e) l’aggettivo gÛf<L:@H è usato nella grecità nel
significato di «sinistro», come collocazione spaziale (cf. Sofocle, Trach., 926; Erodoto, Hist.,
1,72,2), anche se per questo concetto si preferisce il più comune vocabolo •D4FJgD`H (cf.
Mc 10,37).
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
§FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
¦:`<: agg. possessivo, nom. sing. n. da ¦:`H, ¦:Z, ¦:`<, mio; cf. Mc 8,38; predicato
nominale.
*@Ø<"4: verbo, inf. aor. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26; soggetto.
•88z: (= •88V), cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però,
piuttosto, nondimeno; cf. Mc 1,44.
@ÍH: pron. relativo, dat. plur. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; compl. di termine. La forma @ÍH
ricorre 46 volte nel NT rispetto alle 1407 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzio-
ne nei vangeli è la seguente: 2 volte in Matteo (corrispondente allo 0,011% del totale delle
parole); 1 volta in Marco (cf. Mc 10,40 =0,009%); 7 volte in Luca (0,036%).
ºJ@\:"FJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. pass. da ©J@4:V.T, preparare, apparecchiare,
rendere pronto; cf. Mc 1,3. Passivo divino. L’affermazione che spetta soltanto a Dio Padre
prendere simili decisioni può sorprendere, ma deve essere messa in relazione con Mc 13,32,
dove lo stesso Gesù riconosce alcune prerogative esclusive di Dio («Quanto a quel giorno
o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, ma soltanto il Padre»).
Entrambi i passi suggeriscono che alcuni poteri o funzioni sono riservate a Dio come Padre.
736 Mc 10,41

10,41 5" •i@bF"<JgH @Ê *Xi" ³D>"<J@ •("<"iJgÃ< BgD z3"if$@L i" z3TV<-
<@L.
10,41 Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•i@bF"<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. Participio predicativo del soggetto @Ê *Xi".
Solitamente il verbo •i@bT è costruito con il genitivo della persona che si ode e l’accusativo
di ciò che si sente parlare: qui è senza complemento, come spesso avviene in Marco (cf. Mc
2,17; 3,21; 4,15.33; 6,2.14.16.29; 10,41; 11,14.18; 14,11; 15,35).
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
*Xi": agg. numerale, cardinale, nom. plur. m., indecl., dieci; soggetto. Il vocabolo ricorre 25
volte nel NT: Mt 20,24; 25,1.28; Mc 10,41 (hapax marciano); Lc 13,16; 14,31; 15,8;
17,12.17; 19,13[x2]16.17.24.25; At 25,6; Ap 2,10; 12,3; 13,1[x2]; 17,3.7.12[x2].16.
L’espressione @Ê *Xi", «gli [altri] dieci», è formulata in maniera ellittica: l’omissione del
concetto «altro» in alcune formule convenzionali è un caratteristica del greco. Sebbene nella
Bibbia il numero 10 è simbolo positivo di perfetta totalità (10 comandamenti, 10 piaghe, 10
patriarchi), qui assume un significato sostanzialmente negativo, poiché è in contrapposizione
al numero 12 (*f*gi"), usato per indicare il gruppo degli apostoli scelti da Gesù. Ci viene
implicitamente riferito che in occasione dell’arrogante richiesta dei figli Zebedeo l’unità
monolitica dell’istituzione apostolica è venuta meno: gli apostoli non sono più indicati con
il consueto titolo @Ê *f*gi", «I Dodici», risalente alla volontà storica del Fondatore, ma con
la denominazione @Ê *Xi", «I Dieci», ottenuta per sottrazione rispetto alla “pienezza”
dell’istituzione.
³D>"<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. medio da –DPT, dare inizio, cominciare; cf. Mc 1,45.
La frase ³D>"J@ / ³D>"<J@ seguita da un infinito come complemento è usata da Marco 26
volte (cf. Mc 1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32; 10,28.32.41.47; 11,15; 12,1;
13,5; 14,19.33.65.69.71; 15,8.18). La frequenza di questa formula è dovuta probabilmente
a influsso semitico: quasi sempre equivale a una perifrasi nella quale il verbo –DPT di valore
pleonastico può essere omesso, mentre l’infinito dipendente viene reso con la 3a persona
dell’indicativo aoristo o imperfetto corrispondente.
•("<"iJgÃ<: verbo, inf. pres. da •("<"iJXT, essere indignato, essere sdegnato; cf. Mc
10,14.
BgD\: prep. propria con valore di relazione, seguita dal genitivo, indecl., riguardo a, nei
confronti di; cf. Mc 1,6.
z3"if$@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z3ViT$@H, –@L, Giacomo; cf. Mc
1,19; compl. di relazione.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
z3TV<<@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z3TV<<0H, –@L, Giovanni; cf. Mc
1,19; compl. di relazione.
Mc 10,42 737

10,42 i"Â BD@Fi"8gFV:g<@H "ÛJ@×H Ò z30F@ØH 8X(g4 "ÛJ@ÃHs ?Ç*"Jg ÓJ4 @Ê


*@i@Ø<JgH –DPg4< Jä< ¦h<ä< i"J"iLD4gb@LF4< "ÛJä< i" @Ê :g(V8@4
"ÛJä< i"Jg>@LF4V.@LF4< "ÛJä<.
10,42 Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro che credono di
governare le nazioni dominano su di esse e i loro capi esercitano su di esse il potere.

i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.21.
26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.50.
53a.65a.72b; 15,2.
BD@Fi"8gFV:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. aor. medio da BD@Fi"8XT (da BD`H e
i"8XT), chiamare a sé, convocare, eleggere; cf. Mc 3,13. Participio predicativo di valore
espletivo del soggetto z30F@ØH. I discorsi di Gesù vengono più di una volta introdotti con
il verbo BD@Fi"8XT seguito dal destinatario delle parole: BD@Fi"8gFV:g<@H "ÛJ@bH
(sott. gli scribi, Mc 3,23); BD@Fi"8gFV:g<@H […] JÎ< ÐP8@< (la folla, Mc 7,14);
BD@Fi"8gFV:g<@H J@×H :"h0JVH (i discepoli, Mc 8,1); BD@Fi"8gFV:g<@H JÎ< ÐP8@<
F×< J@ÃH :"h0J"ÃH (la folla e i discepoli, Mc 8,34); BD@Fi"8gFV:g<@H "ÛJ@bH (sott.
i Dodici, Mc 10,42).
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. La formula redazionale 8X(g4
"ÛJ@ÃH ricorre 25 volte, esclusivamente riservata a Gesù (cf. Mc 1,38; 2,8.17.25; 3,4;
4,13.35; 5,39; 6,31.38.50; 7,18; 8,17; 9,35; 10,11.24.42; 11,2.22.33; 12,16; 14,13.27.34.41).
Per quanto riguarda la formula singolare 8X(g4 "ÛJè, avente come soggetto Gesù, cf. Mc
1,41.44; 2,14; 5,9.19; 7,34; per 8X(g4 "ÛJ± cf. Mc 5,41.
?Ç*"Jg: verbo, 2a pers. plur. ind. perf. da @É*" (una radice con valore di presente connessa a
gÉ*@<, aor. attivo di ÒDVT), vedere, percepire, discernere, conoscere, sapere; cf. Mc 1,24.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
*@i@Ø<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da *@iXT, ritenere,
supporre, pensare, stimare, credere; cf. Mc 6,49; soggetto.
–DPg4<: verbo, inf. pres. da –DPT, essere primo, reggere, comandare, condurre; cf. Mc 1,45.
Nella diatesi attiva questo verbo assume il significato di «essere il primo», «guidare»,
«comandare», seguito dal genitivo (cf. Omero, Il., 2,494; Od., 3,12; Erodoto, Hist., 5,1,1).
738 Mc 10,43

Nel NT questa accezione si trova soltanto in Mc 10,42 e Rm 15,12. L’espressione di Gesù


lascia intendere che egli, riferendosi ai dominatori terreni, non parla di vera e propria potenza,
ma ascrive questa soltanto a Dio.
Jä<: art. determ., gen. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
¦h<ä<: sost., gen. plur. n. da §h<@H, –@LH, popolo, nazione. Al plurale anche «straniero»,
«pagano»; cf. Mc 10,33; compl. di specificazione.
i"J"iLD4gb@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da i"J"iLD4gbT (da i"JV e iLD4gbT),
soggiogare, dominare, signoreggiare, spadroneggiare. Questo verbo ricorre 4 volte nel NT:
Mt 20,25; Mc 10,42 (hapax marciano); At 19,16; 1Pt 5,3. Verbo raro di formazione
ellenistica usato nel significato etimologico di «assoggettare», «signoreggiare», «tiranneggia-
re» (cf. Sal 9,26; 72,8; Diodoro Siculo, Bibl., 14,64,1).
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto. La forma genitiva è retta dal verbo
i"J"iLD4gbT.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
:g(V8@4: agg. indefinito, nom. plur. m. da :X("H, :g(V80, :X(", grande; cf. Mc 1,26;
soggetto. L’uso sostantivato plurale di questo aggettivo nel senso di «nobili», «capi»,
«magnati», non è attestato nel greco classico ed è raro anche nei LXX (cf. 2Sam 7,9).
Probabilmente si tratta di un semitismo per tradurre il corrispondente ebraico .*-EJ$xA% H,
hagged5o) lîm, «i grandi», ossia «i potenti» (cf. 2Sam 7,9; Ger 5,5). Si tratta di una fraseologia
ancora oggi in uso quando, con l’espressione metaforica «i grandi», vengono indicati
particolari personaggi insigniti di autorità e potere («i grandi della terra»).
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona plurale
(«di essi» = «loro»).
i"Jg>@LF4V.@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da i"Jg>@LF4V.T (da i"JV e ¦>@LF4V-
.T), esercitare il potere, padroneggiare, tiranneggiare. Questo verbo ricorre 2 volte nel NT:
Mt 20,25; Mc 10,42 (hapax marciano). Di formazione ellenistica il raro verbo i"Jg>@LF4V-
.T è usato nel senso di «dominare».
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto. La forma genitiva è retta dal verbo
i"Jg>@LF4V.T.

10,43 @ÛP @àJTH *X ¦FJ4< ¦< ß:Ã<s •88z ÔH —< hX8® :X("H (g<XFh"4 ¦< ß:Ã<s §FJ"4
ß:ä< *4Vi@<@Hs
10,43 Tra voi, però, non è così; ma chi vuole essere il più grande tra voi, si faccia vostro
servitore,
Mc 10,43 739

@ÛP: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale. La proibizione @ÛP ¦FJ4< ha
significato di imperativo categorico e, quindi, un valore assoluto.
@àJTH: avv. di modo, indecl., così, in tal modo, in questa maniera; cf. Mc 2,7.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. L’uso del tempo presente in questo detto di Gesù esprime velatamente l’idea di un
comando: il loghion potrebbe essere opportunamente reso nella traduzione con l’espressione
«tra voi non deve essere così».
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di stato in luogo.
•88z: (= •88V), cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però,
piuttosto, nondimeno; cf. Mc 1,44.
ÓH: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2; soggetto.
–<: partic. modale di valore dubitativo, eventuale o condizionale, indecl., [se, e se, caso mai,
qualora, eventualmente]; cf. Mc 3,29.
hX8®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. pres. da hX8T, volere, avere il proposito di; cf. Mc 1,40.
:X("H: agg. indefinito, nom. sing. m. da :X("H, :g(V80, :X(", grande; cf. Mc 1,26;
predicato nominale. Nelle lingue semitiche come nel greco ellenistico il grado positivo o
comparativo di un aggettivo, generalmente seguito dal genitivo, è spesso usato con valore di
superlativo relativo o assoluto, come qui: «il più grande». Ritroviamo questo fenomeno in Mc
9,42.43.45.47; 10,43; 14,21. Per il grado comparativo al posto del superlativo cf. Mc 4,31;
9,34; 12,40. Il nostro loghion appartiene a una serie di «detti gnomici» di Gesù, introdotti dal
pronome indefinito nella forma «chi…», «chiunque…», «colui che…», «se qualcuno…»,
ecc., il cui scopo è quello di mettere in evidenza le caratteristiche della sequela. Ritroviamo
questa tipica costruzione in Mc 3,35 («chi compie la volontà di Dio…»), Mc 6,11 (chi non
accoglie i Dodici), Mc 9,37 («chi accoglie un bambino…»), Mc 9,40 («chi non è contro di
noi è per noi»), Mc 9,42 («chi scandalizza uno dei piccoli…»), Mc 10,11 («chi divorzia dalla
moglie…»), Mc 10,29 («chi lascia casa, fratelli, sorelle…»), Mc 10,43 («chi vuole essere il
più grande…»), Mc 11,23 («chi dice a questo monte…»).
(g<XFh"4: verbo, inf. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere, nascere, essere,
accadere, apparire; cf. Mc 1,4.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di stato in luogo.
§FJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. medio da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente;
cf. Mc 1,6.
740 Mc 10,44

ß:ä<: pron. personale di 2a pers. gen. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
cf. Mc 2,8; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona plurale («di voi» = «vostro»).
*4Vi@<@H: sost., nom. sing. m. da *4Vi@<@H, –@L, servo, «diacono»; cf. Mc 9,35; predicato
nominale.

10,44 i" ÔH —< hX8® ¦< ß:Ã< gÉ<"4 BDäJ@H §FJ"4 BV<JT< *@Ø8@H·
10,44 e chi vuol essere il primo tra voi si faccia il servo di tutti.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


ÓH: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2; soggetto.
–<: partic. modale di valore dubitativo, eventuale o condizionale, indecl., [se, e se, caso mai,
qualora, eventualmente]; cf. Mc 3,29.
hX8®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. pres. da hX8T, volere, avere il proposito di; cf. Mc 1,40.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di stato in luogo.
gÉ<"4: verbo, inf. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc 1,6.
BDäJ@H: agg. numerale, ordinale, nom. sing. m. da BDäJ@H, –0, –@<, primo, principale; cf. Mc
3,27; predicato nominale. Il vocabolo BDäJ@H compare nel greco classico con tre accezioni
fondamentali: a) significato spaziale, per indicare l’anteriore o ciò che sta davanti rispetto al
posteriore o ciò che sta dietro (cf. Omero, Omero, Il., 15,340); b) significato temporale, per
indicare il primo in ordine di tempo rispetto al secondo o al successivo (cf. Erodoto, Hist.,
7,168,1); c) significato gerarchico, per indicare il primo (ossia il più importante, il più nobile,
ecc.) rispetto al rango, al grado o al valore che viene predicato a qualcuno o a qualcosa (cf.
Omero, Od., 6,60; Tucidide, Hist., 6,28,1). Nel NT il significato spaziale di BDäJ@H si
ritrova soltanto in Eb 9,2.6.8, mentre prevale l’accezione di «primo» in riferimento al tempo,
a una successione, a una numerazione o a una serie (significati b e c). Nel nostro passo
BDäJ@H deve essere inteso in senso qualitativo o gerarchico, corrispondente a «il più
importante», come avviene in Mc 6,21; 9,35; 10,31[x2].44; 12,28.
§FJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. medio da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente;
cf. Mc 1,6.
BV<JT<: pron. indefinito, gen. plur. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; compl. di specificazione.
*@Ø8@H: sost., nom. sing. m. da *@Ø8@H, –@L, schiavo, servo; predicato nominale. Il vocabolo
ricorre 126 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 30 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,164% del totale delle parole); 5 volte in Marco (cf. Mc 10,44; 12,2.4;
13,34; 14,47 = 0,044%); 26 volte in Luca (0,133%); 11 volte in Giovanni (0,070%).
Conforme al greco classico (cf. Sofocle, Oed. tyr., 764; Senofonte, Oecon., 1,22) anche nel
greco biblico il vocabolo ricorre nel significato base di «servo», non necessariamente
Mc 10,45 741

nell’ambito giuridico dello stato di schiavitù come condizione sociale. Sotto il profilo
linguistico la contrapposizione tra «grande» (:X("H) e «servitore» (*4Vi@<@H) e tra «primo»
(BDäJ@H) e «servo» (*@Ø8@H) non è corrispondente: dovrebbero comparire i binomi
«grande» / «piccolo» (:X("H / :4iD`H) e «primo» / «ultimo» (BDäJ@H / §FP"J@H). Questa
mancata corrispondenza accentua maggiormente l’idea del servizio. In particolare il
riferimento allo schiavo, il quale non è libero, ma sottomesso alla volontà del suo padrone,
può accennare al fatto che, per coloro che vogliono seguire Gesù, il servizio è un
atteggiamento obbligatorio, non facoltativo.

10,45 i" (D Ò LÊÎH J@Ø •<hDfB@L @Ûi µ8hg< *4"i@<0h­<"4 •88 *4"i@<­F"4
i" *@Ø<"4 J¬< RLP¬< "ÛJ@Ø 8bJD@< •<J B@88ä<.
10,45 Il Figlio dell’uomo, infatti, non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare
la propria vita come riscatto al posto di tutti».

i"\: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti, cioè, ossia; cf. Mc 1,4. Il
significato esplicativo che può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ epexegeticum) si
riscontra in Mc 10,45a; 14,70b. Qui la congiunzione viene usata per introdurre la spiegazione
su che cosa consista il servizio di Gesù.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
LÊ`H: sost., nom. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; soggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•<hDfB@L: sost., gen. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di specificazione.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
µ8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Spesso negli scritti neotestamentari Gesù è qualificato
come Ò ¦DP`:g<@H, «il veniente» (Mt 3,11; 11,3; 21,9; 23,39; Mc 11,9; Lc 7,19.20; 13,35;
19,38; Gv 1,15.27; 6,14; 11,27; 12,13; Eb 10,37; Ap 1,4.8; 4,8). Anche il nostro loghion
appartiene a quel gruppo di detti che qualificano il senso teologico della comparsa di Gesù
usando il verbo §DP@:"4 e, come soggetto, l’espressione «Il Figlio dell’uomo» (cf. Mc
10,45; Mt 20,28; Lc 19,10) oppure il semplice «io» (cf. Mc 2,17; Mt 5,17; 9,13; 10,34; Lc
5,32; 12,49.51).
*4"i@<0h­<"4: verbo, inf. aor. medio da *4"i@<XT, servire, amministrare, provvedere; cf.
Mc 1,13. Infinito di valore finale.
•88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno; cf. Mc 1,44.
*4"i@<­F"4: verbo, inf. aor. da *4"i@<XT, servire, amministrare, provvedere; cf. Mc 1,13.
Infinito di valore finale.
742 Mc 10,45

i"\: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti, cioè, ossia; cf. Mc 1,4. La
congiunzione non ha qui il solito valore copulativo; si tratta di un i"\ semitizzante, dal
valore esplicativo (= i"\ epexegeticum). Nella traduzione sono possibili varie formulazioni:
«è venuto per servire, ossia dare la propria vita…»; «è venuto per servire, nel dare la propria
vita…»; ecc.
*@Ø<"4: verbo, inf. aor. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26. Infinito di valore finale.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
RLPZ<: sost., acc. sing. f. da RLPZ, –­H, anima, vita, uomo; cf. Mc 3,4; compl. oggetto.
L’espressione *@Ø<"4 J¬< RLPZ<, «dare la vita», è una locuzione metonimica per indicare
l’offerta della propria vita per il bene di qualche altro, nella linea del martirio volontario (cf.
1Mac 2,50; 6,44). Questo loghion di Gesù è una delle più pregnanti ed evidenti affermazioni
neotestamentarie riguardanti la finalità salvifica della sua missione. A favore dell’arcaicità e,
quindi, della gesuanità della formula depongono vari elementi, tra i quali: la presenza di
alcuni semitismi come l’uso di J¬< RLP¬< "ÛJ@Ø, equivalente all’ebraico |–5A1H, nap) šô, al
posto del riflessivo ©"LJ`< («sé stesso»); l’uso di B@88@\, equivalente all’ebraico .*v E9H%
I,
ha) rabbîm, per indicare «le moltitudini», «gli innumerevoli molti», ossia «tutti»; l’uso
paratattico della congiunzione i"\ al posto di una proposizione subordinata; l’uso della
formula Ò LÊÎH J@Ø •<hDfB@L, esclusiva di Gesù per designare sé stesso in terza persona
(cf. Mc 2,10); l’uso di µ8hg< in terza persona che caratterizza vari detti di Gesù; la
mancanza di qualsiasi accenno alla risurrezione, presente, invece, nelle predizioni della
passione (cf. Mc 8,31; 9,31; 10,34).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»). L’espressione º RLPZ "ÛJ@Ø, modellata sull’ebraico |–5A1H, nap) šô,
equivale al pronome riflessivo ©"LJ`H (= «sé stesso»), come avviene in Mc 8,35[x2].36.37.
8bJD@<: sost., acc. sing. n. da 8bJD@<, –@L, riscatto; compl. predicativo dell’oggetto: è una
costruzione di *\*T:4 che regge il doppio accusativo (RLPZ< e 8bJD@<). Il vocabolo
8bJD@< ricorre 2 volte nel NT: Mt 20,28; Mc 10,45 (hapax marciano). Il termine 8bJD@<
è un sostantivo verbale derivato da 8bT e nel greco classico è usato generalmente al plurale
per indicare «ciò che serve per liberare», ossia il «prezzo del riscatto» per ottenere la
liberazione di qualcuno (cf. Erodoto, Hist., 5,77,4): 8bJD" •B@*4*`<"4, «pagare il prezzo
del riscatto» (cf. Demostene, Or., 53,12); •n­i"< –<gL 8bJDT<, «[lo] liberarono senza
prezzo di riscatto» (Senofonte, Hell., 7,2,16). Nell’uso neotestamentario oltre al sostantivo
8bJD@< è presente il verbo denominativo 8LJD`T, «liberare» (dietro versamento del
riscatto), «riscattare» (cf. Lc 24,21; Tt 2,14; 1Pt 1,18). La gamma semantica comprende,
quindi, i sostantivi deverbali 8bJDTF4H, «riscatto» (cf. Lc 1,68; 2,38; Eb 9,12), •<J\8LJD@<,
«riscatto» (cf. 1Tm 2,6), •B@8bJDTF4H, «liberazione», «riscatto», «redenzione» (cf. Lc
21,28; Rm 3,24; 8,23; 1Cor 1,30; Ef 1,7.14; 4,30; Col 1,14; Eb 9,15; 11,35) e 8LJDTJZH,
«colui che riscatta», «liberatore», «“redentore”» (At 7,35). Nell’antichità il termine 8bJD@<
aveva un senso molto concreto poiché indicava il prezzo con il quale venivano riscattati i
prigionieri di guerra, gli schiavi e gli insolventi di debiti, condannati altrimenti a essere
Mc 10,45 743

venduti o a restare in prigione. Anche nell’AT si fa menzione del prezzo o dell’indennizzo


da versare per riscattare qualcuno dalla pena di morte (cf. Es 21,30; 30,12), una donna dalla
schiavitù (cf. Lv 19,20), il povero che si è venduto come schiavo (cf. Lv 25,51.52), i
primogeniti che appartengono a Dio (cf. Nm 3,12.46.48.49. 51; 18,15), una proprietà (cf. Lv
25,24.26; 27,31). In tutti questi casi è presente l’idea di sostituzione: viene dato qualcosa in
cambio di un’altra cosa. Tale sostituzione diventa particolarmente evidente quando il
sostantivo 8bJD@< è seguito (come nel nostro passo) dalla preposizione •<J\ (cf. Nm 3,12).
In Nm 35,31 compare questa legge: «Non accetterete il riscatto (95FJƒ, ko) p) e) r, TM; 8bJD@<,
LXX) per la vita di un omicida, reo di morte, perché dovrà essere messo a morte»: come si
vede, nel caso di un omicida non esiste la possibilità di versare un riscatto, ma va eseguita
la condanna a morte.

Nel nostro passo è lo stesso Gesù che dichiara di offrire la sua vita «come riscatto»:
offrendo sé stesso alla morte egli compie ciò che non possono fare «i molti», i quali hanno
bisogno di un altro per essere liberati. L’idea di espiazione vicaria è palese: nella locuzione
«in riscatto per i molti» è incluso il concetto del Servo di Dio e della sua sofferenza espiatrice
che troviamo in Is 53. Di quella singolare figura viene riferito che «egli ha consegnato sé
stesso alla morte… mentre portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori» (cf. Is
53,12). Il termine a cui si riferisce Marco sembra essere .– I! I , ’a) ša) m di Is 53,10: questa
equivalenza concettuale tra 8bJD@< di Mc 10,45 e .– I!
I di Is 53,10 dà al primo verbo un
senso sacrificale e lascia intendere che l’Autore voglia qui alludere deliberatamente
all’oracolo isaiano. Al riguardo è interessante notare che la versione letterale di Aquila usa
8bJDTF4H per rendere l’ebraico .– I!I , ’a) ša) m di Lv 5,18.25: ciò lascia supporre una
vicinanza concettuale tra il termine ebraico e il 8bJD@< di Marco. In questa prospettiva
redentiva di sostituzione vicaria non si trova affermazione più chiara di quella che troviamo
in Gal 3,13: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso
maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno». Nel passo marciano
lo scambio viene chiaramente espresso dalla preposizione •<J\ con valore di sostituzione (cf.
sotto): la maledizione riposava “su di noi”, ma Cristo ha offerto la sua vita al posto dei
“molti” che non avrebbero potuto distruggerla. Egli l’ha presa su di sé quando è stato sospeso
sulla croce, cioè quando è stato messo a morte in un modo che, secondo Dt 21,23,
comportava la maledizione. Tale calamità è ricaduta sul messia al nostro posto. Questo
concetto della sostituzione vicaria, in cui uno prende il posto dei “molti”, cioè di tutti, in loro
vece e per la loro salvezza, è chiaramente affermato nel presente versetto di Marco. Il
concetto di espiazione vicaria, pertanto, non può essere né attenuato né tanto meno
annullato. Alcuni ritengono che non è pensabile che Gesù abbia attribuito alla sua morte una
efficacia espiatoria. Si tratta di una opinione che suscita meraviglia, quando soltanto si rifletta
sul valore espiatorio che avevano i sacrifici nell’AT, in particolare i sacrifici che comportava-
no lo spargimento di sangue (il sacrificio per il peccato e quello di riparazione), i quali
avevano lo scopo di ristabilire il rapporto di alleanza interrotto dal peccato. Secondo la
legislazione rabbinica i peccati più gravi potevano essere perdonati soltanto in occasione del
solenne giorno dell’Espiazione (.*9ELƒE% H .|*, Yôm hakkippurîm): «La morte [della vittima
sacrificale] e il giorno dell’espiazione recano il perdono se vi si accompagna il pentimento.
La sola penitenza ottiene il perdono per colpe leggere, per un precetto positivo che non è
744 Mc 10,45

stato eseguito o per un precetto negativo che è stato trasgredito. Per colpe più gravi l’effetto
della penitenza resta sospeso fino alla venuta del giorno dell’espiazione che apporta il
perdono» (m.Yom., 8,8). Questo, dunque, dice Gesù nel suo detto (e in occasione della cena,
cf. Mc 14,24), gli unici due passi marciani in cui Gesù dichiara lo scopo della sua morte
violenta: la sua offerta/morte è la morte vicaria del «servo» che si sostituisce ai B@88@\, ossia
alle moltitudini dei popoli, morte espiatrice dei peccati che introduce la redenzione finale.
Non si deve, tuttavia, insistere troppo sulla metafora del «prezzo» e domandarsi a chi venga
pagato, poiché esso non va inteso nel senso di un contratto né in quello di esigenza giuridica
e nemmeno di sanzione penale. Si tratta piuttosto di una suprema dedizione personale:
mentre Gesù affronta liberamente la morte, Dio gratuitamente ci testimonia la sua infinita
misericordia e ci accoglie nel suo amore. La giustizia divina non è affatto vendicativa e tanto
meno pretende di essere soddisfatta, perché ha tutte le caratteristiche di un intervento libero,
misericordioso e salvifico. In questo senso l’espiazione non deve essere intesa come una
punizione o una pena inflitta da Dio Padre a Gesù e nemmeno come un placamento o un
tributo che il Figlio deve pagare per “soddisfare” un Dio irato. Al contrario la redenzione è
compiuta e offerta da Dio stesso, attraverso Gesù, all’uomo che ne ha bisogno. È Dio stesso
che attua l’espiazione per i peccati degli uomini attraverso l’obbedienza sacrificale del Figlio.
L’espiazione la realizza non l’uomo Gesù, come Figlio di Dio, ma il Figlio di Dio che, per
questo, si fa uomo.
•<J\: prep. propria con valore di sostituzione, seguita dal genitivo, indecl., in luogo di, al posto
di, in sostituzione di. Questa preposizione ricorre 22 volte nel NT: Mt 2,22; 5,38[x2]; 17,27;
20,28; Mc 10,45 (hapax marciano); Lc 1,20; 11,11; 12,3; 19,44; Gv 1,16; At 12,23; Rm
12,17; 1Cor 11,15; Ef 5,31; 1Ts 5,15; 2Ts 2,10; Eb 12,2.16; Gc 4,15; 1Pt 3,9[x2]. Nel NT
la preposizione •<J\, seguita del genitivo, esprime l’idea di sostituzione (al posto di…, in
luogo di…), non di cumulazione, di vantaggio o di favore (cf. sotto).
B@88ä<: pron. indefinito, gen. plur. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; compl. di sostituzione. L’espressione •<J B@88ä< non significa «a favore di tutti»
(compl. di vantaggio), ma, in forma di sostituzione, «al posto di tutti». La preposizione •<J\
nelle 22 ricorrenze neotestamentarie esprime sempre l’idea di sostituzione (al posto di… in
luogo di…). Stesso significato in Giuseppe Flavio: «…quando [Eleazaro] vide Crasso intento
a raccogliere l’oro, ebbe paura che avvenisse la stessa cosa con tutto l’arredo del tempio e
così gli diede la spranga in riscatto di tutto il resto», … "ÛJè J¬< PDLF­< 8bJD@< •<JÂ
BV<JT< §*Tig< (= «al posto» di tutto il resto: Id., Antiq., 14,107; cf. anche 14,371 e
Bellum, 1,325). L’idea di scambio o di sostituzione non solo è chiaramente attestata
grammaticalmente nel loghion di Gesù, ma è l’unica teologicamente possibile: il Cristo fa
dono di sé stesso e della sua vita in cambio di ciò che tutti hanno perduto. Si tratta di una
vicarietà sostitutiva con una finalità salvifica di portata universale. Il termine 8bJD@< inteso
come «riscatto» deve essere necessariamente seguito dalla preposizione •<J\ con senso di
sostituzione. Questo «al posto di» (•<J\) con valore sostitutivo viene ulteriormente precisato
nel NT dall’uso della preposizione ßBXD (= «a favore di…») che serve per meglio definire
le conseguenze e la finalità dell’offerta vicaria di Cristo «a vantaggio» di qualcuno: il Padre
ha dato il Figlio «per noi» (Rm 8,32); Cristo si è offerto «per noi» (Ef 5,2), «per la sua
Chiesa» (Ef 5,25); è morto «per noi empi e peccatori» (Rm 5,8); egli è morto «per tutti»
Mc 10,46 745

(2Cor 5,14); «per i nostri peccati» (Rm 4,24); «per i nostri peccati, secondo le Scritture»
(1Cor 15,3). Si badi, tuttavia, che anche la preposizione ßBXD in questi casi si carica di un
valore non soltanto di vantaggio, ma anche di sostituzione: la frase paolina «Cristo è morto
per i nostri peccati» (1Cor 15,3) non significa soltanto «Cristo è morto a causa dei nostri
peccati» (senso causale), ma anche «Cristo è morto in espiazione dei nostri peccati» (senso
finale). Per quanto riguarda l’uso di B@88@\ inteso non in senso limitativo greco (=
«alcuni»), ma inclusivo semitico (= «tutti») cf. Mc 1,34[x2]; 3,10; 6,2; 9,26; 10,31; 14,24.

10,46 5" §DP@<J"4 gÆH z3gD4Pf. i" ¦iB@DgL@:X<@L "ÛJ@Ø •BÎ z3gD4Pã i" Jä<
:"h0Jä< "ÛJ@Ø i"Â ÐP8@L Êi"<@Ø Ò LÊÎH I4:"\@L #"DJ4:"Ã@Hs JLn8ÎH
BD@F"\J0Hs ¦iVh0J@ B"D J¬< Ò*`<.
10,46 E giunsero a Gerico. Mentre ripartiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a
numerosa folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, cieco e mendicante, sedeva lungo la
strada.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§DP@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Presente storico. Il soggetto del verbo è
implicito: si tratta di Gesù con i suoi discepoli (cf. Mc 10,42).
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
z3gD4Pf: sost., nome proprio di città, acc. sing. f., indecl., Gerico; compl. di moto a luogo. Il
vocabolo ricorre 7 volte nel NT: Mt 20,29; Mc 10,46[x2]; Lc 10,30; 18,35; 19,1; Eb 11,30.
Traslitterazione grecizzata del toponimo di origine ebraica |(*9E*A, YerîhEô, «[Città del dio]
luna». Nella letteratura greca compare anche con la grafia z3gD4i@ØH (Strabone, Geogr.,
16,2,41) e z3gD4P@ØH (Giuseppe Flavio, Antiq., 5,32). Antichissima e celebre città situata
vicino la riva settentrionale del Mar Morto, tra Gerusalemme e il fiume Giordano,
ristrutturata, ingrandita e abbellita da Erode il Grande. Gerico è l’ultimo centro abitato sulla
via che dalla Perea, a est, porta a Gerusalemme, a ovest, dopo aver attraversato per circa 30
km il deserto di Giuda. Posta a circa 250 metri sotto il livello del mare, Gerico è la città più
bassa sulla superficie della terra. In epoca neotestamentaria la popolazione aveva abbandona-
to l’antico sito di Tell el–Sultan per trasferirsi all’imbocco del Wadi el–Qelt dove Erode e
Archelao avevano ampliato il luogo abitato abbellendolo con grandiosi edifici. Difesa dai
venti del nord e irrigata da numerose sorgenti, la città doveva possedere una magnifica
vegetazione, tanto da giustificarne il nome biblico di «città delle palme» (cf. Dt 34,3). Erode
il Grande vi fece costruire la cittadella di Kypros, il quartiere nuovo, uno stadio e il palazzo
d’inverno, in cui morì. Archelao la riedificò a seguito di una incursione di ribelli, costruendo
un anfiteatro, un ippodromo, la reggia invernale e numerose piscine (cf. Giuseppe Flavio,
Antiq., 17,340).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦iB@DgL@:X<@L: verbo, gen. sing. m. part. pres. medio da ¦iB@Dgb@:"4, uscire, venire fuori,
andare, recarsi, accorrere; cf. Mc 1,5. Participio al genitivo assoluto. Proposizione
746 Mc 10,46

subordinata avente come soggetto implicito Gesù (la proposizione principale ha per soggetto
Bartimeo, il quale è il personaggio principale della pericope). Sorprende questo brusco
entrare e uscire dalla città: Gesù giunge a Gerico e immediatamente se ne riparte, senza che
ci viene offerta nessuna informazione di quanto lì è avvenuto. Marco parla sovente
dell’«entrare e uscire» di Gesù (con ¦iB@Dgb@:"4: Mc 10,17.46; 11,19; con ¦>XDP@:"4:
Mc 1,35; 2,13; 5,2; 6,1.34; 7,31; 8,27; 11,11). In occasione della conquista della celebre città
da parte di Giosuè ci viene riferito che @ÛhgÂH ¦>gB@DgbgJ@ ¦> "ÛJ­H @Û*¥ gÆFgB@Dgbg-
J@, «nessuno poteva uscire ed entrare da essa» (Gs 6,1).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3. La frase ¦iB@DgL@:X<@L "ÛJ@Ø […] i"Â Jä<
:"h0Jä< "ÛJ@Ø i"Â ÐP8@L Êi"<@Ø appare nella forma detta “genitivo assoluto” (cf. Mc
1,32), qui con valore temporale.
•B`: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da; cf. Mc
1,9.
z3gD4Pf: sost., nome proprio di città, gen. sing. f., indecl., Gerico; cf. Mc 10,46a; compl. di
moto da luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
:"h0Jä<: sost., gen. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; soggetto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
ÐP8@L: sost., gen. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; soggetto. Senza
articolo perché generica.
Êi"<@Ø: agg. qualificativo, gen. sing. m. da Êi"<`H, –Z, –`<, sufficiente, adatto, capace,
idoneo, degno, gradito, considerevole; cf. Mc 1,7; attributo di ÐP8@L. Il significato del
vocabolo è quello classico di «sufficiente», «bastevole», «idoneo» (cf. Mc 1,7), ma qui
Êi"<`H può essere impiegato anche nel significato ellenistico di «considerevole», «grande»,
per indicare un assembramento di persone (cf. Lc 7,12). La traduzione «molta folla», sebbene
accettabile, non è corrispondente, perché altrove l’evangelista usa il più usuale B@8bH (cf.
Mc 5,21.24; 6,34; 9,14; 12,37). Una traduzione più precisa è «folla considerevole», «folla
ingente», «folla cospicua».
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
LÊ`H: sost., nom. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; apposizione di #"DJ4:"Ã@H.
I4:"\@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da I4:"Ã@H, –@L, Timeo; compl. di
specificazione. Hapax neotestamentario. Traslitterazione grecizzata del nome proprio
Mc 10,47 747

maschile di origine aramaica */ H )E, TE imay, «Molto apprezzato». L’etimologia di Timeo,


tuttavia, è dubbia: il ricorso al nome greco I\:"4@H (il «Timeo» di Platone) è problematica.
#"DJ4:"Ã@H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da #"DJ4:"Ã@H, –@L, Bartimeo;
soggetto. Hapax neotestamentario. Traslitterazione grecizzata del nome proprio maschile di
origine aramaica */ H )E<< 9vH, Bar–TE imay, «Figlio di Timeo». Si tratta di una tautologia, poiché
l’espressione «il figlio di Timeo» è la ripetizione greca del patronimico aramaico #"DJ4-
:"Ã@H. Il modo in cui è disposto il vocabolo (Ò LÊÎH I4:"\@L #"DJ4:"Ã@H, «il figlio di
Timeo, Bartimeo») non corrisponde alla disposizione delle parole secondo l’ordine usato da
Marco quando spiega, in greco, un termine aramaico. Marco di solito riporta prima la parola
aramaica, alla quale fa seguire una spiegazione introdotta dalla formula Ó ¦FJ4<
[:ghgD:0<gL`:g<@<]: Mc 3,17; 5,41; 7,11.34; 12,42; 15,16.22.34.42. Inoltre di alcuni
personaggi egli presenta prima il nome proprio, poi il grado di parentela (cf. Mc 1,19;
3,17.18; 10,35; 15,21.40; 16,1): nel nostro caso tutto ciò non è rispettato. Può darsi che
Marco abbia utilizzato senza modificarla questa tipica espressione che circolava nella
tradizione a lui precedente.
JLn8`H: agg. qualificativo, nom. sing. m. da JLn8`H, –Z, –`<, cieco; cf. Mc 8,22; attributo di
BD@F"\J0H. In Marco il termine è usato anche per indicare la cecità spirituale (cf. Mc 4,12;
8,18), ma qui il vocabolo è impiegato nel suo senso proprio, analogamente a Mc 8,22.26;
10,49.51. Nell’AT la cecità veniva considerata tra le impurità cultuali (cf. Lv 21,18; 22,22;
Dt 15,21), anche se non mancano passi in cui si raccomanda compassione verso i ciechi (cf.
Lv 19,14; Dt 27,18). All’epoca di Gesù era ancora mentalità comune considerare la cecità
come una malattia causata da colpe proprie o dei genitori: al riguardo è eloquente il dialogo
tra Gesù e i discepoli in Gv 9,1–3.
BD@F"\J0H: sost., nom. sing. m. da BD@F"\J0H, –@L, mendicante; apposizione di #"DJ4-
:"Ã@H. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mc 10,46 (hapax marciano); Gv 9,8. Di
formazione ellenistica, il sostantivo è usato raramente nella grecità nel senso di «mendicante»
(cf. Plutarco, Aet. Rom., 294,a,7).
¦iVh0J@: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. medio da iVh0:"4 (da i"JV e ½:"4), sedere,
sedersi; cf. Mc 2,6. Imperfetto durativo o iterativo. Il verbo iVh0:"4 è impiegato nel greco
biblico per esprimere tre significati fondamentali: a) quello neutro e normale della posizione
fisica (cf. Mc 2,6; 3,32.34; 4,1; 5,15; 13,3); b) quello simbolico per esprimere potere, dignità
e autorità (cf. Sal 110,1; Mc 12,36; 14,62); c) quello metaforico per esprimere uno stato di
miseria, di difficoltà o di abbandono (cf. Gb 2,8.13; Sal 107,10; Is 42,7; 1Mac 1,27; Mt 4,16;
Mc 10,46; Lc 1,79). Formulazioni come Ò i"hZ:g<@H i"Â BD@F"4Jä<, «colui che sedeva
e mendicava» (Gv 9,8) e Ò BDÎH J¬< ¦8g0:@Fb<0< i"hZ:g<@H, «quello seduto per
l’elemosina» (At 3,10), confermano che nella mentalità di allora lo stare seduti accompagna-
va una situazione di malattia, miseria ed emarginazione, quella, appunto, che ritroviamo nel
nostro personaggio.
B"DV: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., presso, lungo, nei dintorni
di, vicino a; cf. Mc 1,16.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
Ò*`<: sost., acc. sing. f. da Ò*`H, –@Ø, strada, via; cf. Mc 1,2; compl. di stato in luogo.
748 Mc 10,47

10,47 i" •i@bF"H ÓJ4 z30F@ØH Ò ;"."D0<`H ¦FJ4< ³D>"J@ iDV.g4< i" 8X(g4<s
KÊ¥ )"LÂ* z30F@Øs ¦8X0F`< :g.
10,47 Nel sentire che era Gesù il Nazareno cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide,
Gesù, abbi pietà di me!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•i@bF"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. Participio predicativo del soggetto sottinteso Ò LÊÎH
I4:"\@L.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
compl. soggetto.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
;"."D0<`H: agg. determinativo, nom. sing. m. da ;"."D0<`H, –@Ø, Nazareno, Nazaretano;
cf. Mc 1,24; attributo di z30F@ØH.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
³D>"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da –DPT, dare inizio, cominciare; cf. Mc 1,45. La
frase ³D>"J@ / ³D>"<J@ seguita da un infinito come complemento è usata da Marco 26
volte (cf. Mc 1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32; 10,28.32.41.47; 11,15; 12,1;
13,5; 14,19.33.65.69.71; 15,8.18). La frequenza di questa formula è dovuta probabilmente
a influsso semitico: quasi sempre equivale a una perifrasi nella quale il verbo –DPT di
valore pleonastico può essere omesso, mentre l’infinito dipendente viene reso con la 3a
persona dell’indicativo aoristo o imperfetto corrispondente.
iDV.g4<: verbo, inf. pres. da iDV.T, gridare, strillare, schiamazzare; cf. Mc 3,11.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8X(g4<: verbo, inf. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc 1,7. Nel
NT quando i verbi iDV.T e 8X(T compaiono in successione concatenata è messo in
rilievo il «gridare» come azione principale, mentre il secondo verbo (8X(T), di valore
pleonastico, può essere reso con un gerundio o anche omesso (cf. Mt 8,29; 9,27; 14,30;
15,22; 20,30.31; 21,9.15; 27,23; Mc 3,11; 5,7; 9,24; 10,47; Lc 4,41; Gv 1,15; 7,37; At
16,17; 19,28; Ap 6,10; 7,10; 18,2.18.19; 19,17). Nell’AT compaiono numerosi esempi in cui
si riferisce il «gridare» (iDV.T, LXX) di qualcuno a Dio per invocare il suo intervento: Gdc
3,9.15; 4,3; 6,6; Sal 3,5; 77,2; 107,6.13.19.28; 120,1; 142,2.6; Mic 3,4; Gl 1,14; Is 19,20.
KÊX: sost., voc. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; apposizione di z30F@Ø.
)"L\*: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m., indecl., Davide; cf. Mc 2,25; compl. di
specificazione. La denominazione LÊÎH )"L\*, riferita a Gesù, è di notevole importanza
cristologica. Nel NT la definizione compare soltanto nei vangeli di Matteo (cf. Mt 1,1; 9,27;
12,23; 15,22; 20,30.31; 21,9.15; 22,42), di Marco (cf. Mc 10,47.48; 12,35) e di Luca (cf. Lc
18,38.39; 20,41). Il messianismo regale imperniato su un discendente di Davide si fonda sulla
Mc 10,48 749

promessa divina riportata in 2Sam 7,16 (cf. 1Mac 2,57) e su altri passi biblici che vi si
richiamano (cf. Sal 2,7; 110,1ss.; Is 9,5–6; 11,1.10; 55,3; Mic 5,1–3; Ger 23,5–6; 33,14–26;
Ez 34,23–24; Zc 6,12). A tale promessa il giudaismo posteriore collegò la speranza che Dio,
un giorno, avrebbe suscitato un nuovo sovrano, destinato a liberare il proprio popolo e a
elevarlo in splendida fama. In epoca intertestamentaria il titolo «figlio di Davide» è presente
soltanto nei Salmi di Salomone: «Guarda, o Signore e suscita a essi il loro re, il figlio di
David, nel tempo che tu hai scelto, o Dio, affinché egli regni sopra Israele, tuo servo. Cingilo
di forza per schiacciare i governanti ingiusti e purificare Gerusalemme dai popoli pagani…»
(Ps. Salom., 17,21–22). In questa descrizione l’attesa di un Unto che si sarebbe presentato
come figlio di David trova la sua più chiara espressione. Il denominatore comune nell’idea
del messia davidico resta l’affermazione che il re messia comparirà come un sovrano terreno
il quale, su incarico e con l’aiuto di Dio, ristabilirà lo splendore dell’antico regno di Israele,
sottomettendo i popoli pagani. Diversi passi del NT riflettono questa comune credenza che
il messia dovesse provenire dal casato di Davide (cf. Gv 7,42; At 13,23). Le genealogie di
Matteo e Luca si propongono di presentare Gesù nella linea della discendenza davidica (cf.
Mt 1,6.16.17.20; Lc 3,31). Gli stessi contemporanei di Gesù conoscono la corrispondenza
del titolo in questione con la persona del messia (cf. Mc 12,35: AäH 8X(@LF4< @Ê
(D"::"JgÃH ÓJ4 Ò OD4FJÎH LÊÎH )"L\* ¦FJ4<p). Tenendo presente questo sfondo, il
titolo «figlio di David», nell’invocazione del cieco, diventa una professione di fede
messianica, analoga a quella di Pietro in Mc 8,29.
z30F@Ø: sost., nome proprio di persona, voc. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
compl. di vocazione.
¦8X0F`<: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da ¦8gVT, avere misericordia, avere pietà; cf. Mc
5,19. Nei vangeli il verbo ¦8gVT ricorre 15 volte: in 12 casi si tratta di una supplica rivolta
a Gesù mediante la forma imperativa ¦8X0F@<, «abbi pietà!» (cf. Mt 9,27; 15,22; 17,15;
18,33[x2]; 20,30.31; Mc 10,47.48; Lc 17,13; 18,38.39). Nell’AT (LXX), pur non mancando
l’uso dell’imperativo ¦8X0F@< in riferimento a singole persone (cf. 2Mac 7,27), molto più
numerosi sono i passi in cui con esso si invoca la misericordia di Dio (cf. Sal 6,3; 9,14;
25,16; 26,11; 27,7; 31,10; 41,5.11; 51,3; 56,2; 57,2[x2]; 86,3.16; 119,58.132; 123,3[x2]; Sir
36,1.11; Bar 3,2; cf. in particolare Sal 86,3, dove ricorrono i verbi iDV.T ed ¦8gVT).
:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,40; compl. oggetto.

10,48 i" ¦BgJ\:T< "ÛJè B@88@ Ë<" F4TBZF®· Ò *¥ B@88è :88@< §iD".g<s KÊ¥
)"L\*s ¦8X0F`< :g.
10,48 Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di
Davide, abbi pietà di me!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦BgJ\:T<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da ¦B4J4:VT (da ¦B\ e J4:VT), intimare,
ammonire, sgridare, rimproverare, proibire, ordinare severamente; cf. Mc 1,25. Imperfetto
durativo o iterativo. Come già visto (cf. Mc 1,25), questo verbo ha un connotato prevalente-
750 Mc 10,49

mente esorcistico: Marco lo usa per indicare la forte azione di Gesù contro i demoni (cf. Mc
1,25; 3,12; 9,25), contro la forza ostile del vento (cf. Mc 4,39) e nei confronti dell’oppositore
Pietro che vuole distogliere Gesù dal suo cammino verso la Passione (cf. Mc 8,33). In Mc
10,13 i discepoli sgridano (¦B4J4:VT) alcuni bambini, ma la reazione di Gesù mostra che
il loro comportamento è errato. Anche nel nostro passo è sottintesa questa incomprensione
da parte dei «molti»: Gesù non dovrebbe perdere tempo con un miserabile.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
B@88@\: pron. indefinito, nom. plur. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; soggetto.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
F4TBZF®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da F4TBVT, stare zitto, rimanere in silenzio,
tacere; cf. Mc 3,4.
Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
B@88è: agg. indefinito, dat. sing. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34. La forma al caso dativo è qui usata con il valore di avverbio di quantità «molto»,
«maggiormente». Da un punto di vista letterario abbiamo un richiamo e un contrasto con il
soggetto B@88@\ all’inizio del versetto: ai «molti» che intervengono per far tacere il cieco,
si contrappone il «molto di più» del gridare da parte del cieco.
:88@<: (forma neutra del comparativo di :V8"), avv. di modo, indecl., piuttosto, di più,
maggiormente; cf. Mc 5,26.
§iD".g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da iDV.T, gridare, strillare, schiamazzare; cf. Mc
3,11. Imperfetto durativo o iterativo.
KÊX: sost., voc. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; compl. di vocazione.
)"L\*: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m., indecl., Davide; cf. Mc 2,25; compl. di
specificazione.
¦8X0F`<: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da ¦8gVT, avere misericordia, avere pietà; cf. Mc
5,19.
:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,40; compl. oggetto.

10,49 i" FJH Ò z30F@ØH gÉBg<s MT<ZF"Jg "ÛJ`<. i" nT<@ØF4< JÎ< JLn8Î<
8X(@<JgH "ÛJès 1VDFg4s §(g4Dgs nT<gà Fg.
10,49 Allora Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco dicendogli:
«Coraggio! Alzati, ti chiama!».
Mc 10,49 751

i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.21.
26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.50.
53a.65a.72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\ di influsso semitico acquista il
significato avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica), per introdurre come
formula paratattica di passaggio una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra
unità narrativa.
FJVH: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ËFJ0:4, stare, durare, perdurare, fissare, mettere; cf.
Mc 3,24. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto z30F@ØH. Il significato di
questo verbo all’aoristo atematico con valore intransitivo corrisponde al latino sisto,
fermarsi, restare in piedi. Il vocabolo indica non soltanto la posizione eretta di Gesù, in
contrasto con quella seduta del cieco (v. 46: ¦iVh0J@), ma soprattutto il suo arrestarsi. È,
infatti, l’unica volta che viene indicato esplicitamente il «fermarsi» di Gesù: ciò è ancor più
significativo se consideriamo che le prime parole della pericope descrivono un frettoloso
movimento di entrare/uscire da Gerico da parte di Gesù.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
MT<ZF"Jg: verbo, 2a pers. plur. imperat. aor. da nT<XT, chiamare, gridare; cf. Mc 1,26. Il
verbo nT<XT, diversamente da i"8XT (cf. Mc 1,20), non ha il valore tecnico e simbolico
della sequela: si tratta di un generico chiamare. Gesù non «grida» nei riguardi del cieco, ma
lo chiama, rivolgendo il comando proprio a coloro che poco prima avevano cercato di
impedire tale incontro.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
nT<@ØF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da nT<XT, chiamare, gridare; cf. Mc 1,26. Presente
storico. Il soggetto è indistinto: dal contesto immediato si deve dedurre che sono i B@88@\
del v. 48.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
JLn8`<: agg. qualificativo, di valore sostantivato, acc. sing. m. da JLn8`H, –Z, –`<, cieco; cf.
Mc 8,22; compl. oggetto.
8X(@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo del soggetto sottinteso «la gente», «i presenti».
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
752 Mc 10,50

1VDFg4: verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. da h"DDXT / h"DFXT, confidare, avere fiducia,
avere coraggio; cf. Mc 6,50. La forma asindetica è piuttosto frequente con gli imperativi dei
verbi h"DFXT (cf. Mc 6,50; 10,49), ÒDVT (cf. Mc 1,44; 6,38; 8,15), ßBV(T (cf. Mc 1,44;
5,34; 6,38; 7,29; 10,21.52; 16,7), ¦(g\DT (cf. Mc 2,9; 3,3; 5,41; 10,49; 14,42), n4:`T (cf.
Mc 4,39), F4TBVT (cf. Mc 4,39), $8XBT (cf. Mc 13,5.23.33). Nella forma h"DFXT questo
verbo compare nel NT sempre all’imperativo e sulla bocca di Gesù (cf. Mt 9,2.22; 14,27; Mc
6,50; 10,49; Gv 16,33; At 23,11): l’unica eccezione è nel nostro passo dove l’esortazione
proviene dagli improvvisati soccorritori i quali, tuttavia, stanno eseguendo un ordine ingiunto
dallo stesso Gesù.
§(g4Dg: verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. da ¦(g\DT, svegliare, alzare, sollevare, risorgere [i
morti] (trans.); svegliarsi, alzarsi, sollevarsi, risorgere [dai morti] (intr.); cf. Mc 1,31.
L’imperativo §(g4Dg, di valore intransitivo, compare nella medesima forma in Mc 2,9.11;
3,3; 5,41, sempre sulla bocca di Gesù in episodi di miracoli. La forma asindetica è piuttosto
frequente con gli imperativi dei verbi ¦(g\DT (cf. Mc 2,9; 3,3; 5,41; 10,49; 14,42), ßBV(T
(cf. Mc 1,44; 5,34; 6,38; 7,29; 10,21.52; 16,7), ÒDVT (cf. Mc 1,44; 6,38; 8,15), F4TBVT (cf.
Mc 4,39), n4:`T (cf. Mc 4,39), h"DFXT (cf. Mc 6,50; 10,49), $8XBT (cf. Mc 13,5.23.33).
nT<gÃ: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da nT<XT, chiamare, gridare; cf. Mc 1,26. La
concatenazione dei tre verbi (due imperativi e un presente) è un forte esempio di paratassi
asindetica: sembra di sentire le stesse parole che qualcuno rivolse al cieco in quella
occasione. Il tempo presente suggerisce il carattere durativo dell’azione: in italiano potrebbe
essere reso con «ti sta chiamando».
Fg: pron. personale di 2a pers. acc. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,24; compl. oggetto.

10,50 Ò *¥ •B@$"8ã< JÎ Ê:VJ4@< "ÛJ@Ø •<"B0*ZF"H µ8hg< BDÎH JÎ< z30F@Ø<.


10,50 Egli gettò via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.

Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
•B@$"8f<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da •B@$V88T (da •B` e $V88T), gettare via,
buttare. Questo verbo ricorre 2 volte nel NT: Mc 10,50 (hapax marciano); Eb 10,35.
Participio predicativo del soggetto sottinteso Ò LÊÎH I4:"\@L. Verbo raro in ambito biblico:
nel NT compare soltanto qui e in Eb 10,35; nei LXX ricorre 5 volte (cf. Dt 26,5; Is 1,30; Prv
28,24; Tb 11,8; Bel 17). Il significato del verbo, analogo alla grecità classica (cf. Aristofane,
Ves., 22; Platone, Symp., 179a), è quello di «gettare via», «respingere», «abbandonare».
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
Ê:VJ4@<: sost., acc. sing. n. da Ê:VJ4@<, –@L, sopravveste, indumento, mantello; cf. Mc 2,21;
compl. oggetto. Questo vocabolo può indicare le vesti in generale, specie se nella forma
plurale (cf. Mc 5,30; 9,3; 15,20.24) o il mantello (cf. Mc 2,21; 5,27.28; 6,56; 10,50; 11,7.8;
Mc 10,51 753

13,16). Per un povero il mantello poteva essere l’unico mezzo per coprirsi di notte o ripararsi
dai raggi solari del caldo estivo (cf. Es 22,25–26; Dt 24,13). I mendicanti, inoltre, si servivano
del mantello per raccogliere le offerte: abbandonare questo indumento era, dunque, molto
rischioso, soprattutto per un mendicante cieco. Il gesto di gettare via il mantello è adatto a
simbolizzare l’abbandono dell’«uomo vecchio» che deve caratterizzare la condizione del
discepolo. La catechesi cristiana prescriveva di abbandonare i peccati e i vizi del passato per
entrare nell’acqua del battesimo ed essere rigenerati a vita nuova (cf. Ef 4,22.24; Col 3,8; Eb
12,1; Gc 1,21; 1Pt 2,1; 3,21).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
•<"B0*ZF"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da •<"B0*VT, balzare in piedi, saltare, rizzarsi.
Hapax neotestamentario. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso Ò
LÊÎH I4:"\@L. Nel greco classico il verbo •<"B0*VT descrive un rapido movimento del
corpo, equivalente a «slanciarsi», «balzare» (cf. Omero, Il., 11,379; Erodoto, Hist., 3,155,1;
Senofonte, Cyr., 1,3,9). Nei LXX descrive il «balzare su» in modo rapido e deciso (cf. Tb
6,2), in genere da una posizione seduta (cf. 1Sam 20,34; 25,9; Tb 2,4; 7,6; 9,6; Est 5,1).
µ8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Dai margini della strada, ossia dell’emarginazione fisica
e morale, il cieco si avvicina a Gesù, ossia alla reintegrazione.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5. L’espressione §DP@:"4 BD`H…, detta in riferimento
a Gesù, non è rara in Marco: è impiegata per descrivere l’andare verso Gesù da parte di
qualche miracolato (cf. Mc 1,40; 2,3; 10,50), della folla (cf. Mc 1,45; 2,13; 3,8; 5,15) o di
gruppi specifici (cf. Mc 11,27; 12,18). Lo stesso Gesù comanda ai discepoli di lasciar «venire
a sé» i bambini (cf. Mc 10,14).
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
z30F@Ø<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
compl. di moto a luogo.

10,51 i" •B@iD4hgÂH "ÛJè Ò z30F@ØH gÉBg<s I\ F@4 hX8g4H B@4ZFTp Ò *¥ JLn8ÎH
gÉBg< "ÛJès C"$$@L<4s Ë<" •<"$8XRT.
10,51 Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». Il cieco gli rispose: «Maestro,
che io possa vedere!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•B@iD4hg\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33. Participio predicativo di valore espletivo del
soggetto z30F@ØH.
754 Mc 10,51

"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7. L’espressione •B@iD4hg\H… 8X(g4, •B@iD4hg\H… gÉBg< è ricalcata sull’ebraico
9/G !J&H… 03HHH&, wayya‘an… wayyo) ’mer, «rispondendo… dice», «rispondendo… disse» (cf.
Gb 8,1, ecc.). Si tratta di una tipica locuzione semitica ridondante che può essere tradotta
semplicemente con «disse», «rispose», «replicò» e simili. Si deve osservare, inoltre, che il
verbo •B@iD\<@:"4 è usato con valore semitico anche quando (come qui) non si tratta di
dare una risposta a una precisa domanda, ma soltanto intervenire con una affermazione o una
richiesta. Questa formula ricorre 16 volte in Marco (cf. Mc 3,33; 6,37; 7,28; 8,29; 9,5.19;
10,3.24.51; 11,14.22.33; 12,35; 14,48; 15,2.12).
I\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; compl. oggetto.
F@4: pron. personale di 2a pers. dat. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,11; compl. di vantaggio.
hX8g4H: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da hX8T, volere, avere il proposito di; cf. Mc 1,40.
B@4ZFT: verbo, 1a pers. sing. congiunt. aor. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3. Congiuntivo deliberativo.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
JLn8`H: agg. qualificativo, di valore sostantivato, nom. sing. m. da JLn8`H, –Z, –`<, cieco; cf.
Mc 8,22; soggetto.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
C"$$@L<4: sost., voc. sing. m., indecl., da Õ"$$@L<\, maestro, «rabbi»; compl. di vocazione.
Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mc 10,51 (hapax marciano); Gv 20,16. Traslitterazione
grecizzata dell’espressione esclamativa aramaica *1E|v9H, rabbônî, «Mio signore!», «Mio
maestro!», forma intensiva del più comune *vE9H, rabbî. Questo titolo veniva indirizzato a
persone dotate di autorità e prestigio: era consuetudine che i discepoli usassero questa
formula, nel significato di «[mio] maestro!», quando si rivolgevano ai loro insegnanti (cf. la
traduzione esplicita *4*VFi"8g in Gv 20,16). La forma più comune e semplificata, *vE9H,
rabbî, nel vangelo di Marco è sempre rivolta a Gesù da parte di un discepolo (cf. Mc 9,5;
11,21; 14,45). La forma intensiva *1E|v9H, rabbônî, ricorre esclusivamente come appellativo
rivolto a Gesù (in Mc 10,51 dal cieco; in Gv 20,16 da Maria di Magdala al Risorto).
Mc 10,52 755

Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38. Unita a un congiuntivo, come qui, non ha valore finale, ma esprime l’oggetto della
richiesta e corrisponde alla congiunzione subordinativa di valore dichiarativo «che» (= «che
io veda!»).
•<"$8XRT: verbo, 1a pers. sing. congiunt. aor. da •<"$8XBT (da •<V e $8XBT), guardare
in su, sollevare lo sguardo, alzare gli occhi; cf. Mc 6,41. Il significato usuale di questo verbo
è quello di «alzare gli occhi», «sollevare lo sguardo», in senso neutro (cf. Mc 6,41; 7,34;
16,4), ma, come qui, può indicare anche «recuperare la vista», «vedere di nuovo» (cf. Mc
8,24; 10,51.52; Gv 9,11.15.18; At 9,12.27).

10,52 i"Â Ò z30F@ØH gÉBg< "ÛJès ~KB"(gs º B\FJ4H F@L FXFTiX< Fg. i"Â gÛh×H
•<X$8gRg< i" ²i@8@bhg4 "ÛJè ¦< J± Ò*è.
10,52 Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e si mise a
seguirlo per la strada.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
~KB"(g: verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. da ßBV(T (da ßB` e –(T), andare giù, ritirarsi,
andare via, partire; cf. Mc 1,44. La forma asindetica è piuttosto frequente con gli imperativi
dei verbi ßBV(T (cf. Mc 1,44; 5,34; 6,38; 7,29; 10,21.52; 16,7), ¦(g\DT (cf. Mc 2,9; 3,3;
5,41; 10,49; 14,42), ÒDVT (cf. Mc 1,44; 6,38; 8,15), F4TBVT (cf. Mc 4,39), n4:`T (cf. Mc
4,39), h"DFXT (cf. Mc 6,50; 10,49), $8XBT (cf. Mc 13,5.23.33).
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
B\FJ4H: sost., nom. sing. f. da B\FJ4H, –gTH, fede, fiducia; cf. Mc 2,5; soggetto.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
FXFTiX<: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. da Fæ.T, guarire, sanare, salvare; cf. Mc 3,4. L’uso
del verbo «salvare» (Fæ.T), al posto del classico e più corrispondente «guarire», «curare»
(ÆV@:"4, hgD"BgbT), sottolinea la dimensione profonda del racconto: la guarigione (fisica)
del cieco diventa segno di salvezza che si rifà alla fede del miracolato. L’uso di Fæ.T nel
NT è (positivamente) ambiguo: può significare sia la guarigione fisica da qualche malattia
sia la liberazione dalla morte sia, infine, la salvezza teologica dal peccato e dalla morte
eterna. Questo «sanare/salvare» di Gesù non riguarda soltanto alcune parti del corpo, ma la
756 Mc 10,52

totalità della persona (cf. Mc 5,34; 8,35; 10,26.52; 13,13.20; 16,16); in particolare
l’espressione º B\FJ4H F@L FXFTiX< Fg, «la tua fede ti ha salvato» (Mc 5,34; 10,52) lascia
intendere che il potere di sanazione di Gesù non si limita alla guarigione fisica, ma investe
l’interezza della persona. In tal senso la «sanazione» offerta da Gesù assume una dimensione
soteriologica globale.
Fg: pron. personale di 2a pers. acc. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,24; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
•<X$8gRg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •<"$8XBT (da •<V e $8XBT), guardare in su,
sollevare lo sguardo, alzare gli occhi; cf. Mc 6,41.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
²i@8@bhg4: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da •i@8@LhXT, seguire, accompagnare, mettersi
dietro; cf. Mc 1,18. Imperfetto durativo o iterativo.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
Ò*è: sost., dat. sing. f. da Ò*`H, –@Ø, strada, via; cf. Mc 1,2; compl. di stato in luogo.
L’espressione ¦< J± Ò*è ricorre 6 volte in Marco (cf. Mc 8,3.27; 9,33.34; 10,32.52): non
indica soltanto un cammino fisico, un percorso geografico, ma soprattutto l’itinerario
spirituale che Gesù fa compiere ai discepoli. Si tratta della “via” di Gesù verso la sua
passione e morte, ma si tratta anche del “cammino” dei discepoli durante il quale saranno da
lui educati. Nel nostro caso da una situazione statica di B"D J¬< Ò*`<, «ai margini della
strada» (v. 46), il cieco si sposta dinamicamente e teologicamente BDÎH JÎ< z30F@Ø<,
«vicino a Gesù» (v. 50).
Mc 11,1

11,1 5"Â ÓJg ¦((\.@LF4< gÆH {3gD@F`8L:" gÆH #0hn"(¬ i"Â #0h"<\"< BDÎH JÎ
}?D@H Jä< z+8"4ä<s •B@FJX88g4 *b@ Jä< :"h0Jä< "ÛJ@Ø
11,1 Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Betfage e Betania, presso il Monte degli
Ulivi, mandò due dei suoi discepoli

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


ÓJg: cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, allorché, ogni volta che, mentre;
cf. Mc 1,32.
¦((\.@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da ¦((\.T, avvicinare, accostare, attirare,
congiungere; cf. Mc 1,15. Presente storico. Il soggetto sottinteso è deducibile dal contesto:
si tratta di Gesù e dei discepoli. In tutto il NT questo è l’unico caso di un presente storico in
una proposizione temporale introdotta da ÓJg, a cui corrispondono i due successivi presenti
storici della proposizione principale (•B@FJX88g4… 8X(g4…). Il tempo più frequente nelle
proposizioni con ÓJg è l’aoristo o l’imperfetto: il presente si usa soltanto in Mc 11,1; Gv 9,4
ed Eb 9,17. Tuttavia in Gv 9,4 il presente sostituisce un futuro e in Eb 9,17 si esprime una
massima: soltanto in Mc 11,1 si tratta di un autentico presente storico di valore narrativo.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4. Nei vv. 1–11 vi è un eccezionale accumulo di indicazioni locali: gÆH
#0hn"(¬ i"Â #0h"<\"<; BDÎH JÎ }?D@H Jä< z+8"4ä< (v. 1); gÆH J¬< if:0< J¬<
i"JX<"<J4 ß:ä<; gÆH "ÛJZ<; ¦nz Ó< (v. 2); ô*g (v. 3); BDÎH hbD"< §>T ¦BÂ J@Ø
•:n`*@L (v. 4); ¦igà (v. 5); BDÎH JÎ< z30F@Ø<; ¦Bz "ÛJ`< (v. 7); gÆH J¬< Ò*`<; ¦i
Jä< •(Dä< (v. 8); ¦< J@ÃH ßR\FJ@4H (v. 10); gÆH {3gD@F`8L:" gÆH JÎ ÊgD`<; gÆH
#0h"<\"< (v. 11).
{3gD@F`8L:": sost., nome proprio di città, acc. plur. n. da {3gD@F`8L:", –T<, Gerusalemme;
cf. Mc 3,8; compl. di moto a luogo.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
#0hn"(Z: sost., nome proprio di località, acc. sing. f., indecl., Betfage; compl. di moto a luogo.
Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mt 21,1; Mc 11,1 (hapax marciano); Lc 19,29.
Traslitterazione grecizzata del toponimo di origine aramaica !xFH ;*v F , Bê5t page)’, «Casa dei
fichi». Il piccolo villaggio è situato vicino Gerusalemme, in direzione di Betania, tanto che
entrambi i Talmud ne parlano come di un sobborgo della capitale (cf. Strack–Bill., I,839).
L’esatta ubicazione, tuttavia, non è sicura. Eusebio di Cesarea parla di Betfage come if:0
BDÎH Jè ÐDg Jä< ¦8"4ä<, §<h" µ8hg< ibD4@H z30F@ØH, «villaggio vicino al Monte
degli Ulivi, dove andò il Signore Gesù» (Id., Onom., 58,13–14).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
#0h"<\"<: sost., nome proprio di località, acc. sing. f. da #0h"<\", –"H, Betania; compl. di
moto a luogo. Il vocabolo ricorre 12 volte nel NT: Mt 21,17; 26,6; Mc 11,1.11.12; 14,3; Lc
19,29; 24,50; Gv 1,28; 11,1.18; 12,1. Traslitterazione grecizzata del toponimo di origine

757
758 Mc 11,2

aramaica %I1E3C ;*vF, Bê5t ‘a7 niyyâh, «Casa di miseria». L’etimologia del nome è, tuttavia,
controversa (altri ipotizzano «Casa di Anania»). Il villaggio è posto vicino al Monte degli
Ulivi, a circa tre chilometri da Gerusalemme, sulla strada per Gerico. Per le fonti letterarie
cf. sopra, a proposito di Betfage.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
}?D@H: sost., acc. sing. n. da ÐD@H, –@LH, montagna, monte; cf. Mc 3,13; compl. di moto a
luogo.
Jä<: art. determ., gen. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
z+8"4ä<: sost., gen. plur. f. da ¦8"\", –"H, ulivo; compl. di specificazione. Il vocabolo ricorre
15 volte nel NT: Mt 21,1; 24,3; 26,30; Mc 11,1; 13,3; 14,26; Lc 19,29.37; 21,37; 22,39; Gv
8,1; Rm 11,17.24; Gc 3,12; Ap 11,14. In 9 ricorrenze il termine si trova nel nesso }?D@H
Jä< z+8"4ä< per indicare il Monte degli Ulivi (cf. Mc 11,1; 13,3; 14,26; Mt 21,1; 24,3;
26,30; Lc 19,37; 22,39; Gv 8,1). Il Monte degli Ulivi è situato a nord–est di Gerusalemme.
Era importante non soltanto dal punto di vista economico, a motivo delle sue olive, ma anche
da quello simbolico e religioso. Era infatti un luogo di preghiera (cf. 2Sam 15,32), sul quale
il Sommo sacerdote bruciava la vacca rossa (m.Mid., 1,3). Su di esso, secondo la profezia di
Zaccaria, doveva svolgersi la causa contro i nemici di Israele (cf. Zc 14,4). In epoca
neotestamentaria era comune convinzione che il messia sarebbe apparso sul Monte degli
Ulivi (cf. Strack–Bill., I,840–842). Dal punto di vista letterario le fonti più antiche sono:
Eusebio di Cesarea, Dem. ev., 6,18; Vita Const., 3,41,43; Anonimo di Bordeaux, Itin., 595,4.
•B@FJX88g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da •B@FJX88T (•B` e FJX88@:"4), inviare,
mandare; cf. Mc 1,2. Presente storico.
*b@: agg. numerale, cardinale, acc. plur. m. da *b@ (gen. *b@, dat. *LF\<, acc. *b@), due; cf.
Mc 6,7; compl. oggetto.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
:"h0Jä<: sost., gen. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; compl. partitivo.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).

11,2 i"Â 8X(g4 "ÛJ@ÃHs {KBV(gJg gÆH J¬< if:0< J¬< i"JX<"<J4 ß:ä<s i"Â gÛh×H
gÆFB@DgL`:g<@4 gÆH "ÛJ¬< gßDZFgJg Bä8@< *g*g:X<@< ¦nz Ô< @Û*gÂH @ÜBT
•<hDfBT< ¦iVh4Fg<· 8bF"Jg "ÛJÎ< i" nXDgJg.
11,2 e disse loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, appena entrati in esso,
troverete un asinello legato, sul quale nessuno si è ancora seduto. Slegatelo e
portatelo qui.
Mc 11,2 759

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. La formula redazionale 8X(g4
"ÛJ@ÃH ricorre 25 volte, esclusivamente riservata a Gesù (cf. Mc 1,38; 2,8.17.25; 3,4;
4,13.35; 5,39; 6,31.38.50; 7,18; 8,17; 9,35; 10,11.24.42; 11,2.22.33; 12,16; 14,13.27.34.41).
Per quanto riguarda la formula singolare 8X(g4 "ÛJè, avente come soggetto Gesù, cf. Mc
1,41.44; 2,14; 5,9.19; 7,34; per 8X(g4 "ÛJ± cf. Mc 5,41.
{KBV(gJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da ßBV(T (da ßB` e –(T), andare giù,
ritirarsi, andare via, partire; cf. Mc 1,44.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
if:0<: sost., acc. sing. f. da if:0, –0H, toccare, tenere; cf. Mc 6,6; compl. di moto a luogo.
JZ<: art. determ., con valore pronominale, acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2; compl.
oggetto. Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale
"ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
i"JX<"<J4: prep. impropria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., di fronte, davanti.
Questa preposizione ricorre 8 volte nel NT: Mt 21,2; Mc 11,2; 12,41; 13,3; Lc 19,30; Rm
4,17; 2Cor 2,17; 12,19.
ß:ä<: pron. personale di 2a pers. gen. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
cf. Mc 2,8; compl. di specificazione.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
gÆFB@DgL`:g<@4: verbo, nom. plur. m. part. pres. medio da gÆFB@Dgb@:"4 (da gÆH e
B@Dgb@:"4), andare dentro, entrare, giungere; cf. Mc 1,21. Participio predicativo di valore
espletivo del soggetto sottinteso «voi». Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo
composto viene ripetuta davanti al successivo complemento indiretto, come qui; questo
fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56;
7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
"ÛJZ<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,31; compl. di moto a luogo; compl. di moto a luogo.
gßDZFgJg: verbo, 2a pers. plur. ind. fut. da gßD\FiT, trovare, incontrare; cf. Mc 1,37.
Bä8@<: sost., acc. sing. m. da Bä8@H, –@L, puledro, asinello; compl. oggetto. Senza articolo
perché ancora non presentato. Il vocabolo ricorre 12 volte nel NT: Mt 21,2.5.7; Mc
11,2.4.5.7; Lc 19,30.33[x2].35; Gv 12,15. Di per sé il termine Bä8@H nel greco classico ha
il significato generico corrispondente all’italiano «puledro», potendo per questo designare
760 Mc 11,2

anche un giovane cavallo (cf. Omero, Il., 11,681; Sofocle, Elect., 705) o addirittura il giovane
di elefante (cf. Aristotele, Hist. anim., 610a 33), di cammello (cf. Aristotele, Hist. anim., 630b
34), di gazzella (cf. Eliano, Nat. anim., 7,47). Tuttavia non vi è dubbio che, nel nostro passo,
si sta parlando di un asinello, sia perché ci troviamo nell’antica Palestina, dove l’uso del
cavallo come animale da trasporto per usi civili era sconosciuto sia soprattutto per il
riscontro linguistico che troviamo nei LXX, dove Bä8@H senza altra specificazione designa
il «puledro d’asina» (cf. Gn 32,15; 49,11; Gdc 10,4; 12,14; Zc 9,9, ecc.). L’evangelista
Giovanni nel passo parallelo lo definisce esplicitamente Ï<VD4@<, «asinello» (cf. Gv 12,14).
*g*g:X<@<: verbo, acc. sing. m. part. perf. pass., con valore aggettivale, da *XT, legare,
assicurare, incatenare; cf. Mc 3,27. Participio predicativo del complemento oggetto Bä8@<.
¦nz: (= ¦B\), prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., in, su, a, sopra; cf.
Mc 1,22.
Ó<: pron. relativo, acc. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 6,16; compl. di stato in
luogo.
@Û*g\H: (da @Û*X e gÍH), pron. indefinito negativo, nom. sing. m. da @Û*g\H, @Û*g:\", @Û*X<,
nessuno, niente; cf. Mc 2,21; soggetto.
@ÜBT: (da @Û e Bf), avv. di tempo, indecl., non ancora; cf. Mc 4,40.
•<hDfBT<: sost., gen. plur. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di specificazione. L’impiego del vocabolo –<hDTB@H per il pronome indefinito J\H, «uno»,
«qualcuno» («nessuno» con negazione) è un semitismo. Ritroviamo questo uso in Mc 1,23;
3,1; 4,26; 5,2; 7,11; 8,27.36.37; 10,7.9; 11,2; 12,1.14; 13,34.
¦iVh4Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da i"h\.T, sedere, sedersi, assidersi; cf. Mc 9,35. Il
particolare che nessuna persona «si è seduta» sull’asinello ha un significato peculiare:
secondo la mentalità giudaica e greca l’animale destinato ai sacrifici o ad altri usi sacri non
doveva essere stato né cavalcato né adoperato per servizi profani (cf. Nm 19,2; Dt 15,19;
21,3; 1Sam 6,7; 2Sam 6,3; Ovidio, Metam., 3,11; Orazio, Ep., 9,22; Virgilio, Georg., 4,540).
Il diritto rabbinico codificato nella Mishnah prescrive quanto segue a proposito del rito della
«vacca rossa» (cf. Nm 19,1–22), prescelta per il sacrificio: «Se qualcuno l’ha cavalcata, se
si è appoggiato a essa, se si è attaccato alla sua coda e ha attraversato con lei il fiume, se ha
attorcigliato il freno e lo ha messo su di lei o se ha posato il mantello su di essa, l’ha resa
invalida per il sacrificio» (m.Par., 2,5).
8bF"Jg: verbo, 2a pers. plur. imperat. aor. da 8bT, sciogliere, slegare (in senso letterale o
metaforico), liberare, rilasciare, dissolvere, abolire; cf. Mc 1,7.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
nXDgJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da nXDT, portare; cf. Mc 1,32. L’impiego di due
imperativi in successione paratattica (8bF"Jg… i"Â nXDgJg) rivela lo stile duale tipico di
Marco (cf. Mc 1,25; 4,24; 6,31.38; 7,14; 8,15; 10,14.21; 11,2; 13,33; 14,34.38.42; 16,7). In
questi casi l’accento è posto sul secondo verbo rispetto al primo il quale svolge soltanto una
funzione espletiva.
Mc 11,3 761

11,3 i"Â ¦V< J4H ß:Ã< gÇB®s I\ B@4gÃJg J@ØJ@p gÇB"Jgs {? ibD4@H "ÛJ@Ø PDg\"<
§Pg4s i" gÛh×H "ÛJÎ< •B@FJX88g4 BV84< ô*g.
11,3 Se qualcuno vi dirà: “Perché fate questo?”, rispondete: “Il suo padrone ne ha
bisogno, ma subito lo rimanderà di nuovo qui”».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
J4H: pron. indefinito (enclitico), nom. sing. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; soggetto.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine.
gÇB®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7.
I\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24. L’uso di J\ con il valore avverbiale di «perché?»,
presente anche nel greco classico, viene spiegato come una specie di accusativo di
specificazione o di relazione («di che cosa?», «in relazione a che?»); cf. Mc 2,7.8.24; 4,40;
5,35.39; 8,12.17; 9,16.33; 10,18; 11,3; 12,15; 14,6.
B@4gÃJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere, compiere;
cf. Mc 1,3.
J@ØJ@: pron. dimostrativo, acc. sing. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 1,27;
compl. oggetto.
gÇB"Jg: verbo, 2a pers. plur. imperat. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7.
{?: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
ibD4@H: sost., nom. sing. m. da ibD4@H, –@L, signore, padrone, capo, Signore (riferito a Dio e
Gesù); cf. Mc 1,3; soggetto. Posto sulle stesse labbra di Gesù il titolo ibD4@H, se inteso
come autodesignazione della divinità (= «Signore»), è sorprendente e poco credibile, poiché
non sembra possibile che il Gesù della storia qualifichi se stesso come «il Signore».
Analogamente a quanto avviene altrove (cf. Mc 2,28; 12,9; 13,35) il termine assume qui il
significato letterale proprio di «padrone», «proprietario» (eb. -3Hv H , ba‘al), senza alcuna
designazione teologica. Su questa premessa linguistica l’espressione Ò ibD4@H "ÛJ@Ø
PDg\"< §Pg4 non significa «il padrone ha bisogno di quello (sott. l’asino)», ma «il suo
padrone [ne] ha bisogno»: il pronome "ÛJ@Ø si riferisce a ibD4@H, non a Bä8@H del versetto
precedente. A sostegno di questa interpretazione vi è anche la considerazione che l’espressio-
ne PDg\"< §Pg4< quando regge un complemento è usata in Mc 2,17; 14,63 con il genitivo
posposto, come avviene nella maggior parte degli altri passi del NT. Qui Gesù è descritto
come il «padrone» dell’asino che reclama in prestito l’animale, ma in nessun passo dei
vangeli ci viene riferito che Gesù possedesse un asino. La spiegazione sembra essere
762 Mc 11,4

un’altra. È probabile che si stia facendo riferimento all’antico diritto regale noto come
•(("Dg\", “angaria”, consistente nella requisizione più o meno forzata di animali e cose da
mettere a disposizione del sovrano. Anche nell’AT troviamo traccia di questa usanza. In
1Sam 8,16, tra i diritti del re, si elenca il seguente: «Vi sequestrerà gli schiavi e le schiave,
i vostri armenti migliori e i vostri asini e li adopererà nei suoi lavori» (cf. anche Nm 16,15).
In epoca tannaitica alcuni discepoli di rabbini compivano requisizioni per i loro maestri (cf.
b.Yom., 35b). Alla luce di ciò, presentando Gesù come «il padrone» dell’asino, l’Autore
descrive velatamente il Maestro come il re messianico, il quale sta esercitando il suo diritto
regale.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
PDg\"<: sost., acc. sing. f. da PDg\", –"H (dalla radice di PDV@:"4 o PDZ), bisogno, necessità;
cf. Mc 2,17; compl. oggetto.
§Pg4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
•B@FJX88g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da •B@FJX88T (•B` e FJX88@:"4), inviare,
mandare; cf. Mc 1,2.
BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
ô*g: avv. di luogo, indecl., qui, qua; cf. Mc 6,3.

11,4 i" •B­8h@< i" gâD@< Bä8@< *g*g:X<@< BDÎH hbD"< §>T ¦B J@Ø •:n`*@L
i"Â 8b@LF4< "ÛJ`<.
11,4 Essi andarono e trovarono un asinello legato vicino alla porta, fuori, sulla strada e lo
slegarono.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•B­8h@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •BXDP@:"4 (da •B` e §DP@:"4), andare via,
partire; cf. Mc 1,20.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
gâD@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da gßD\FiT, trovare, incontrare; cf. Mc 1,37.
Bä8@<: sost., acc. sing. m. da Bä8@H, –@L, puledro, asinello; cf. Mc 11,2; compl. oggetto.
Senza articolo perché generico.
Mc 11,5 763

*g*g:X<@<: verbo, acc. sing. m. part. perf. pass., con valore aggettivale, da *XT, legare,
assicurare, incatenare; cf. Mc 3,27. Participio predicativo del complemento oggetto Bä8@<.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
hbD"<: sost., acc. sing. f. da hbD", –"H, porta [di casa], ingresso, vestibolo; cf. Mc 1,33;
compl. di stato in luogo. In alcune espressioni stereotipe relative a locuzioni preposizionali,
l’articolo può mancare, analogamente a quanto avviene in italiano («tornare a/da casa»).
Stesso fenomeno in Mc 7,4; 13,29.
§>T: avv. di luogo, indecl., fuori, di fuori, esternamente, all’esterno; cf. Mc 1,45.
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., in, su, a, davanti a, verso, sopra,
presso; cf. Mc 1,22.
J@Ø: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•:n`*@L: sost., gen. sing. f. da –:n@*@<, –@L, strada, via; compl. di stato in luogo. Hapax
neotestamentario. Il vocabolo, raro anche nel greco classico, è formato dal prefisso •:n–,
«da due parti» e dalla radice Ò*– di Ò*`H, strada: indica non la strada aperta, in campagna,
ma le piccole viuzze cittadine che si snodano tra file di case poste ai due lati.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8b@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da 8bT, sciogliere, slegare (in senso letterale o
metaforico), liberare, rilasciare, dissolvere, abolire; cf. Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.

11,5 i"\ J4<gH Jä< ¦igà ©FJ0i`JT< §8g(@< "ÛJ@ÃHs I\ B@4gÃJg 8b@<JgH JÎ<
Bä8@<p
11,5 Alcuni dei presenti dissero loro: «Che cosa fate? Perché slegate questo asinello?».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


J4<gH: pron. indefinito (enclitico), nom. plur. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; soggetto.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
¦igÃ: avv. di luogo, indecl., là, lì, in quel posto; cf. Mc 1,38.
©FJ0i`JT<: verbo, gen. plur. m. part. perf., di valore sostantivato, da ËFJ0:4, stare, durare,
perdurare, fissare, mettere; cf. Mc 3,24; compl. di specificazione.
§8g(@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo («dicevano», «continuavano
a dire»), ma puntuale, corrispondente a un aoristo («dissero»). Per altri esempi di questo
imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24. 26.30.41;
5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70; 15,12a.14.
764 Mc 11,6

"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
I\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24.
B@4gÃJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere, compiere;
cf. Mc 1,3.
8b@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da 8bT, sciogliere, slegare (in senso letterale o
metaforico), liberare, rilasciare, dissolvere, abolire; cf. Mc 1,7. Participio predicativo del
soggetto sottinteso «voi».
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
Bä8@<: sost., acc. sing. m. da Bä8@H, –@L, puledro, asinello; cf. Mc 11,2; compl. oggetto.

11,6 @Ê *¥ gÉB"< "ÛJ@ÃH i"hãH gÉBg< Ò z30F@ØHs i" •n­i"< "ÛJ@bH.


11,6 Ed essi risposero come aveva detto loro Gesù. Allora li lasciarono fare.

@Ê: art. determ., con valore pronominale, nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5;
soggetto. Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale
"ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
gÉB"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
i"hfH: cong. modale, indecl., come, secondo quanto; cf. Mc 1,2.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.21.
26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.50.
53a.65a.72b; 15,2.
•n­i"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare,
rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
Mc 11,7–8 765

11,7 i" nXD@LF4< JÎ< Bä8@< BDÎH JÎ< z30F@Ø< i" ¦B4$V88@LF4< "ÛJè J
Ê:VJ4" "ÛJä<s i"Â ¦iVh4Fg< ¦Bz "ÛJ`<.
11,7 Essi portarono l’asinello da Gesù e vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi sedette
sopra.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


nXD@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da nXDT, portare; cf. Mc 1,32. Presente storico.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
Bä8@<: sost., acc. sing. m. da Bä8@H, –@L, puledro, asinello; cf. Mc 11,2; compl. oggetto.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
z30F@Ø<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
compl. di moto a luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦B4$V88@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da ¦B4$V88T (da ¦B\ e $V88T), gettare su,
irrompere, infrangersi; cf. Mc 4,37. Presente storico.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di stato in luogo.
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
Ê:VJ4": sost., acc. plur. n. da Ê:VJ4@<, –@L, sopravveste, indumento, mantello; cf. Mc 2,21;
compl. oggetto. Questo vocabolo può indicare le vesti in generale, specie se nella forma
plurale (cf. Mc 5,30; 9,3; 15,20.24) o il mantello (cf. Mc 2,21; 5,27.28; 6,56; 10,50; 11,7.8;
13,16).
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona plurale
(«di essi» = «loro»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦iVh4Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da i"h\.T, sedere, sedersi, assidersi; cf. Mc 9,35.
¦Bz: (= ¦B\), prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., in, su, a, sopra; cf.
Mc 1,22.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di stato in luogo.

11,8 i" B@88@ J Ê:VJ4" "ÛJä< §FJDTF"< gÆH J¬< Ò*`<s –88@4 *¥ FJ4$V*"H
i`R"<JgH ¦i Jä< •(Dä<.
11,8 Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri, invece, delle fronde che avevano
tagliato dalle campagne.
766 Mc 11,8

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


B@88@\: pron. indefinito, nom. plur. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; soggetto. Senza articolo indica una grande quantità, ma non la totalità dei presenti.
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
Ê:VJ4": sost., acc. plur. n. da Ê:VJ4@<, –@L, sopravveste, indumento, mantello; cf. Mc 2,21;
compl. oggetto. Questo vocabolo può indicare le vesti in generale, specie se nella forma
plurale (cf. Mc 5,30; 9,3; 15,20.24) o il mantello (cf. Mc 2,21; 5,27.28; 6,56; 10,50; 11,7.8;
13,16).
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona plurale
(«di essi» = «loro»).
§FJDTF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da FJDf<<L:4, spargere, cospargere, distendere,
riordinare. Questo verbo ricorre 6 volte nel NT: Mt 21,8[x2]; Mc 11,8; 14,15; Lc 22,12; At
9,34. Il verbo FJDf<<L:4 (varianti: FJ`D<L:4, FJ@DX<<L:4, FJDT<<bT) è utilizzato a
partire da Omero nel significato proprio di «stendere», «distendere», detto in particolare di
giacigli, coperte, ecc. (cf. Omero, Il., 9,621; Od., 4,301; Sofocle, Trach., 902). Il gesto di
stendere per terra i mantelli è un omaggio che si rendeva ai sovrani e agli altri dignitari: per
festeggiare l’elezione di Yehu a re di Israele «tutti presero i loro mantelli e li misero ai suoi
piedi lungo la scalinata» (2Re 9,13). Il gesto è attestato anche nel Vangelo di Nicodemo
come segno di omaggio e venerazione: «L’incaricato uscì e, riconosciuto Gesù, lo adorò. Poi,
prendendo la fascia del copricapo che aveva in mano, la stese per terra e gli disse: Signore,
passa sopra ed entra. Ti chiama il governatore» (Id., 1,2). Altre attestazioni ritroviamo in
Plutarco, Cato, 12,1,3 e in testi rabbinici (cf. Strack–Bill., I,844).
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
Ò*`<: sost., acc. sing. f. da Ò*`H, –@Ø, strada, via; cf. Mc 1,2; compl. di stato in luogo.
–88@4: pron. indefinito, nom. plur. m. da –88@H, –0, –@, altro, un altro; cf. Mc 4,5; soggetto.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
FJ4$V*"H: sost., acc. plur. f. da FJ4$VH, –V*@H, ramo, fronda; compl. oggetto. Hapax
neotestamentario. Senza articolo perché generici. Il vocabolo FJ4$VH viene usato nel greco
classico nel significato di «giaciglio di foglie» o paglia (cf. Euripide, Hel., 798; Aristofane,
Pl., 541; Platone, Resp., 372b) e per estensione «pagliericcio» (cf. Erodoto, Hist., 4,71,4;
Aristofane, Pl., 663). In corrispondenza a questo dato linguistico, probabilmente nel nostro
passo si sta alludendo non a singole fronde stese lungo il sentiero, ma a una specie di
«infiorata», ossia di un tappeto vegetale formato da rami e foglie precedentemente tagliati e
sul quale Gesù è fatto passare.
i`R"<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da i`BJT, tagliare. Questo verbo ricorre 8 volte nel
NT: Mt 11,17; 21,8; 24,30; Mc 11,8 (hapax marciano); Lc 8,52; 23,27; Ap 1,7; 18,9.
Participio predicativo del complemento oggetto FJ4$V*"H. Il participio aoristo esprime qui
Mc 11,9 767

anteriorità rispetto al verbo principale. Oltre al significato originale di «battere», «colpire»,


attestato già da Omero (cf. Id., Il., 10,513; Od., 8,528), il verbo i`BJT è usato nell’accezio-
ne di «tagliare», «recidere» (cf. Omero, Il., 13,203; Od., 22,477).
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
•(Dä<: sost., gen. plur. m. da •(D`H, –@Ø, campo, campagna, podere, borgata [di campagna];
cf. Mc 5,14; compl. di moto da luogo. Il vocabolo ha qui il significato di campagna [aperta],
in contrapposizione ai centri abitati.

11,9 i" @Ê BD@V(@<JgH i" @Ê •i@8@Lh@Ø<JgH §iD".@<s {SF"<<V· +Û8@(0:X<@H


Ò ¦DP`:g<@H ¦< Ï<`:"J4 iLD\@L·
11,9 Quelli che lo precedevano e quelli che lo seguivano gridavano: «Osanna! Sia
benedetto nel nome del Signore colui che viene!

i"\: cong. coordinativa di valore correlativo, indecl., e… e…; sia… sia…; non solo… ma
anche…; cf. Mc 1,4. Il significato correlativo che può assumere la congiunzione i"\ si
ritrova in Mc 4,27ab.41cd; 7,37bc; 9,13ab.22bc; 11,9ab.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
BD@V(@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da BD@V(T (da BD` e
V(T), andare avanti, precedere, procedere; cf. Mc 6,45; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore correlativo, indecl., e… e…; sia… sia…; non solo… ma
anche…; cf. Mc 1,4. Il significato correlativo che può assumere la congiunzione i"\ si
ritrova in Mc 4,27ab.41cd; 7,37bc; 9,13ab.22bc; 11,9ab.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
•i@8@Lh@Ø<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da •i@8@LhXT,
seguire, accompagnare, mettersi dietro; cf. Mc 1,18; soggetto. Le persone indicate con le
frasi «quelli che [lo] precedevano» (@Ê BD@V(@<JgH) e «quelli che [lo] seguivano» (@Ê
•i@8@Lh@Ø<JgH) sono da identificare con i gruppi di pellegrini che si recavano a
Gerusalemme in occasione della Pasqua e non con gli abitanti di Gerusalemme.
§iD".@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da iDV.T, gridare, strillare, schiamazzare; cf. Mc
3,11. Imperfetto durativo o iterativo.
{SF"<<V: interiez., indecl., «Osanna». Il vocabolo ricorre 6 volte nel NT: Mt 21,9[x2].15; Mc
11,9.10; Gv 12,13. Traslitterazione grecizzata dell’espressione di origine aramaica !1I<< 3– H |%,
hôša‘–na) ’ (ebraico !I<< %3I*–E |%, hôšî‘a) h–na) ’), «salva, ti prego», formata dalla seconda
persona maschile singolare dell’imperativo hiphil di 3– H I*, ya) ša‘, «salvare» e dalla particella
supplicatoria !1I–. Questa invocazione al tempo dell’antico Israele veniva usata all’indirizzo
del re con il significato di «liberaci», «salvaci» (cf. 2Sam 14,4; 2Re 6,26) oppure nei
confronti dello stesso Dio come invocazione di aiuto e salvezza (cf. Sal 12,2; 20,10; 28,9;
60,7; 86,16; 108,7; 118,25; LXX: FäF@< *Z), in particolare durante la liturgia della festa
delle Tende (cf. Strack–Bill., I,845–849). Più tardi, quando la festa delle Tende non ebbe più
768 Mc 11,9

un carattere di implorazione, ma divenne una festa di gioia, cambiò anche il significato della
parola “osanna” che non indicò più una esclamazione liturgica di supplica, ma una
acclamazione di gioia legata alle attese messianiche: da invocazione di aiuto divenne grido
di lode, mediante il quale risuonava l’eco di una speranza messianica. E poiché mentre si
gridava l’osanna si agitavano le fronde festive (cf. m.Suk., 3,9), anche questo gesto fu talvolta
chiamato !1I<< 3– H |%, hôša‘–na) ’ (cf. b.Suk., 37a; cf. Strack–Bill., I,850). Possiamo ritenere,
dunque, che anche nel nostro contesto l’invocazione ñF"<<V abbia un connotato di gioia
escatologica e messianica. La forma traslitterata ñF"<<V, assente nei LXX, ricorre nel NT
soltanto nel contesto della venuta di Gesù a Gerusalemme (cf. Mt 21,9.15; Mc 11,9.10; Gv
12,13).
gÛ8@(0:X<@H: verbo, nom. sing. m. part. perf. pass., con valore aggettivale, da gÛ8@(XT (da
gÞ e 8`(@H), lodare, celebrare, benedire; cf. Mc 6,41; predicato nominale. Il predicato può
essere retto dalla forma verbale sottintesa ¦FJ\< («è benedetto…») oppure, in senso
esortativo ed esclamativo, §FJT («sia benedetto…»).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
¦DP`:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. pres. medio, di valore sostantivato, da §DP@:"4, venire,
apparire, arrivare, giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7; soggetto.
¦<: prep. propria di valore modale, seguita dal dativo, indecl., in; cf. Mc 1,2.
Ï<`:"J4: sost., dat. sing. n. da Ð<@:", –:"J@H, nome; cf. Mc 3,16; compl. di modo. L’assenza
dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è frequente nel greco
ellenistico. Questo fenomeno è ulteriormente accentuato nel greco biblico per influenza
semitica dello stato costrutto ebraico in cui il sostantivo che regge il genitivo è sempre senza
articolo.
iLD\@L: sost., gen. sing. m. da ibD4@H, –@L, signore, padrone, capo, Signore (riferito a Dio e
Gesù); cf. Mc 1,3; compl. di specificazione; senza articolo per influsso dello stato costrutto
ebraico. La traduzione solitamente riportata, «Benedetto colui che viene nel nome del
Signore», non è corrispondente né al testo né al contesto. La frase gÛ8@(0:X<@H Ò
¦DP`:g<@H ¦< Ï<`:"J4 iLD\@L è l’esatta riproduzione delle parole che si ritrovano in Sal
118,26. Analoga espressione ritroviamo in Sal 129,8: «I passanti non possono dire: “La
benedizione del Signore sia su di voi, vi benediciamo nel nome del Signore”». Anche di
David viene riferito che «benedisse il popolo nel nome del Signore» (2Sam 6,18). Nel nostro
caso si tratta dell’acclamazione che i sacerdoti, secondo il privilegio del loro stato (cf. Nm
6,23; Dt 21,5; 1Sam 2,20), pronunciavano nell’accogliere i pellegrini che entravano nel
Tempio oppure subito dopo, quando si svolgeva la processione attorno all’altare. La
traduzione più appropriata, pertanto, è la seguente: «Sia benedetto nel nome del Signore
colui che viene!». Non si tratta, dunque, di «uno che viene nel nome del Signore», ma di uno
che, giungendo al Tempio, «è benedetto nel nome del Signore» dai sacerdoti, i soli deputati
a tale compito (cf. Dt 18,5; 21,5; Sir 45,15; Sal 129,8). Rivolte a Gesù queste parole non
indicano soltanto un saluto di benvenuto, ma, dato il contesto, acquistano un significato
messianico.
Mc 11,10 769

11,10 gÛ8@(0:X<0 º ¦DP@:X<0 $"F48g\" J@Ø B"JDÎH º:ä< )"L\*· {SF"<< ¦<
J@ÃH ßR\FJ@4H.
11,10 Benedetto il regno che viene, il regno del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei
cieli!».

gÛ8@(0:X<0: verbo, nom. sing. f. part. perf. pass. da gÛ8@(XT (da gÞ e 8`(@H), lodare,
celebrare, benedire; cf. Mc 6,41; predicato nominale. Il predicato può essere retto dalla
forma verbale sottintesa ¦FJ\< («è benedetto…») oppure, in senso esortativo ed esclamativo,
§FJT («sia benedetto…»).
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
¦DP@:X<0: verbo, nom. sing. f. part. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Participio attributivo del soggetto º
$"F48g\". Secondo l’attesa della gente «il regno di David» sta arrivando: la data di questo
avvenimento non è esattamente indicata, poiché il participio può riferirsi a un evento attuale
o futuro. In Mc 11,9b, a proposito dell’arrivo di Gesù al Tempio, ha valore di un presente.
A causa di questo parallelismo si può supporre lo stesso per il participio di Mc 11,10: ciò
significa che secondo l’acclamazione del popolo il regno di David sta arrivando insieme con
la venuta di Gesù, il quale porta o inaugura questo regno.
$"F48g\": sost., nom. sing. f. da $"F48g\", –"H, signoria, potere reale, dominio sovrano,
regno; cf. Mc 1,15; soggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
B"JD`H: sost., gen. sing. m. da B"JZD, B"JD`H, padre; cf. Mc 1,20; apposizione di )"L\*.
º:ä<: pron. personale di 1a pers. gen. plur. da º:gÃH (gen. º:ä<, dat. º:Ã<, acc. º:H), noi;
cf. Mc 9,40; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona plurale («di noi» = «nostro»).
David viene qui proclamato come «il nostro padre». Non si tratta di una formula inconsueta:
David è annoverato fra i «padri» in Sir 47,2–11 e nel passo controverso di At 4,25 (J@Ø
B"JDÎH º:ä<; cf. anche At 2,29 dove David è detto B"JD4VDP0H). Nel NT la frase
«nostro padre» è riservata ad Abramo (cf. Mt 3,9; Lc 3,8; 16,24.30; Gv 8,39.53; At 7,32; Rm
4,1.12; Gc 2,21), Isacco (cf. Rm 9,10) e Giacobbe (cf. Gv 4,12). Questa equiparazione di
David agli antichi patriarchi segnala il diritto ereditario, la più viva speranza ai benefici di
questo regno da parte della folla osannante.
)"L\*: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m., indecl., Davide; cf. Mc 2,25; compl. di
specificazione. L’espressione «regno di David» ricorre soltanto qui nel NT: vi si può
scorgere un certo contrasto antitetico con la predicazione di Gesù che, al contrario, proclama
l’avvicinarsi definitivo del «regno di Dio» (cf. Mc 1,15). Nella tradizione giudaica di epoca
neotestamentaria la più completa presentazione del messia davidico è quella che ritroviamo
nei Salmi di Salomone (cf. Ps. Salom., 17,21–43), dove il futuro re e liberatore, di cui si
descrivono le caratteristiche, viene definito PD4FJÎH iLD\@L, «l’Unto del Signore» (cf. Ps.
Salom., 17,32).
{SF"<<V: interiez., indecl., Osanna; cf. Mc 11,9.
770 Mc 11,11

¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
ßR\FJ@4H: agg. qualificativo, di grado superlativo dat. plur. n. da àR4FJ@H, –0, –@<, più alto,
altissimo, sommo; cf. Mc 5,7; compl. di stato in luogo. Nel nostro caso l’espressione ellittica
¦< J@ÃH ßR\FJ@4H («nelle altezze») può essere diversamente intesa. Il vocabolo àR4FJ@H
è abbastanza raro nel NT (cf. ricorrenze e significato in Mc 5,7): usato al singolare assoluto
designa «l’Altissimo», ossia Dio (9 volte). Nella forma plurale compare soltanto nella frase
¦< [J@ÃH] ßR\FJ@4H (cf. Mt 21,9; Mc 11,10; Lc 2,14; 19,38). Analogo uso si trova nei LXX.
Il parallelo anticotestamentario più vicino è Sal 148,1: "Æ<gÃJg JÎ< ibD4@< ¦i Jä<
@ÛD"<ä<, "Æ<gÃJg "ÛJÎ< ¦< J@ÃH ßR\FJ@4H («lodate il Signore dai cieli, lodatelo nelle
altezze»). Nei vv. successivi si invitano tutti gli esseri che si trovano nella sfera celeste a
lodare Dio (v. 2: "Æ<gÃJg "ÛJ`< BV<JgH @Ê –((g8@4 "ÛJ@Ø, "Æ<gÃJg "ÛJ`< BF"4 "Ê
*L<V:g4H "ÛJ@Ø; «lodatelo voi tutti, suoi angeli, lodatelo voi tutte, sue schiere»). Se
interpretiamo Mc 11,10b secondo il modello di questo salmo la frase {SF"<< ¦< J@ÃH
ßR\FJ@4H è una esortazione rivolta agli essere celesti affinché si associno alla comune lode
di Dio e corrisponderebbe a «Lodate [Dio] voi che abitate nel più alto dei cieli». Diversamen-
te, altri ritengono che l’espressione {SF"<< ¦< J@ÃH ßR\FJ@4H sia una invocazione rivolta
6
direttamente a Dio, sovente definito come 0|*-A3G -! F , ’El ‘Elyôn, hgÎH àR4FJ@H, «Dio
Altissimo» (cf. Gn 14,18.19.20.22; Gdt 13,18; Sal 7,18; Is 14,14; Dn 3,93.99; 5,18.21; Mic
6,6). Poiché secondo l’uso giudaico il nome di Dio non può essere pronunciato, esso sarebbe
stato sostituito dall’espressione metaforica «Da’ salvezza, tu che sei nelle altezze» (= «nei
cieli altissimi») e pertanto la frase equivarrebbe a «Da’ salvezza, tu che sei l’Altissimo».
Secondo questa interpretazione non si tratterebbe di una esortazione alla lode indirizzata agli
esseri celesti, ma di una invocazione rivolta direttamente a Dio che abita nei cieli.

11,11 5"Â gÆF­8hg< gÆH {3gD@F`8L:" gÆH JÎ ÊgD`< i"Â BgD4$8gRV:g<@H BV<J"s
ÏR\"H ³*0 @ÜF0H J­H òD"Hs ¦>­8hg< gÆH #0h"<\"< :gJ Jä< *f*gi".
11,11 Ed entrò a Gerusalemme, nel Tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno,
essendo ormai sera inoltrata, uscì con i Dodici verso Betania.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÆF­8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare, venire
dentro, recarsi, andare; cf. Mc 1,21.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4. Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo composto viene ripetuta
davanti al successivo complemento indiretto, come qui; questo fenomeno si ritrova in Mc
1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.
24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
{3gD@F`8L:": sost., nome proprio di città, acc. plur. n. da {3gD@F`8L:", –T<, Gerusalemme;
cf. Mc 3,8; compl. di moto a luogo. Nel racconto di Marco questa è la prima e l’unica volta
che Gesù «entra» a Gerusalemme, diversamente da quanto riferisce Luca (cf. Lc 2,41–52:
Mc 11,11 771

prima visita di Gesù dodicenne al Tempio) e soprattutto Giovanni, il quale parla di almeno
tre viaggi di Gesù nella Città santa (cf. Gv 2,13; 5,1; 7,14; 12,12).
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
ÊgD`<: sost., acc. sing. n. da ÊgD`<, –@Ø, tempio; compl. di moto a luogo. Il vocabolo ricorre 72
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 11 volte in Matteo (corrispondente
allo 0,060% del totale delle parole); 9 volte in Marco (cf. Mc 11,11.15[x2].16. 27; 12,35;
13,1.3; 14,49 = 0,080%); 14 volte in Luca (0,072%); 11 volte in Giovanni (0,070%). Sul
piano linguistico e teologico si dovrebbe ben distinguere (come fa Marco) tra ÊgD`<,
«tempio» e <"`H, «santuario»: il primo termine indica l’intera area sacra del Tempio, estesa
circa un ettaro, alla quale avevano libero accesso tutti gli israeliti (in Marco: Gesù, i discepoli,
i venditori, i cambiamonete, le folle, la vedova che fa l’offerta). Altro è il <"`H, ossia il
piccolo edificio centrale composto di vestibolo, Santo e Santo dei Santi. Essendo il luogo
della presenza divina (cf. Mt 23,21), era topograficamente e teologicamente il centro dello
ÊgD`<. L’accesso al <"`H, separato dal velo di cui parla Mc 15,38, era interdetto a tutti: vi
poteva entrare soltanto il sommo sacerdote in occasione del solenne giorno dell’espiazione
(.*9ELƒE%
H .|*, Yôm hakkippurîm). Per i pagani anche l’ingresso allo ÊgD`< era proibito dalla
legge giudaica. Un muro di separazione (cf. l’allusione in Ef 2,14) girava tutto attorno all’area
templare impedendo così l’accesso agli stranieri. Lo storico Giuseppe Flavio ci informa che
alcune scritte in greco e latino erano apposte su questa balaustrata per avvisare i pagani di
non varcare la soglia. Per i trasgressori era prevista la pena di morte (cf. Id., Bellum, 5,194).
Nel 1871, a nord del sito del Tempio, fu ritrovata una di queste scritte in parte danneggiata,
ma perfettamente leggibile. L’iscrizione, in caratteri maiuscoli e scriptio continua, è disposta
su sette righe. Il testo è il seguente:

9/1+;! !77?'+;/ +3EA? 90hX<" •88@(g<­ gÆFB@-


C+K+E1!3 +;I?E I?K A+ DgbgFh"4 ¦<JÎH J@Ø Bg-
C3 I? 3+C?; ICKM!5I?K 5!3 DÂ JÎ ÊgDÎ< JDLnViJ@L i"Â
A+C3#?7?K ?E ) !; 7/ BgD4$`8@L· ÔH *z —< 80-
M1/ +!KIS3 !3I3?E +E nh­ ©"LJä4 "ÇJ4@H §F-
I!3 )3! I? +=!5?7?K J"4 *4 JÎ ¦>"i@8@L-
1+3; 1!;!I?; hgÃ< hV<"J@<.
«Nessun straniero penetri dentro la balaustrata che circonda il Tempio e il recinto. Colui che
vi fosse sorpreso sarà causa a sé stesso della morte che ne seguirà» (OGIS, nr. 598).

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


BgD4$8gRV:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. aor. medio da BgD4$8XBT (da BgD\ e $8XBT),
guardare intorno; cf. Mc 3,5. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH.
BV<J": pron. indefinito, acc. plur. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; compl. oggetto.
ÏR\"H: sost., gen. sing. f. da ÏR\", –"H (da ÏRX), sera, vespero, serata; cf. Mc 1,32.
772 Mc 11,12

³*0: avv. di tempo, indecl., già, ora, subito; cf. Mc 4,37.


@ÜF0H: verbo, gen. sing. f. part. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Participio al genitivo assoluto.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
òD"H: sost., gen. sing. f. da òD", –"H, ora, tempo; cf. Mc 6,35. La frase ÏR\"H […] @ÜF0H
J­H òD"H appare nella forma detta “genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore
causale.
¦>­8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori, uscire;
cf. Mc 1,25.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
#0h"<\"<: sost., nome proprio di località, acc. sing. f. da #0h"<\", –"H, Betania; cf. Mc
11,1; compl. di moto a luogo.
:gJV: prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con, insieme a, in
compagnia di; cf. Mc 1,13.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
*f*gi": agg. numerale, cardinale, gen. plur. m., indecl., dodici, Dodici (apostoli); cf. Mc 3,14;
compl. di compagnia.

11,12 5" J± ¦B"bD4@< ¦>g8h`<JT< "ÛJä< •BÎ #0h"<\"H ¦Bg\<"Fg<.


11,12 La mattina seguente, mentre uscivano da Betania, ebbe fame.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
¦B"bD4@<: avv. di tempo, di valore sostantivato, indecl., domani, il giorno dopo, l’indomani;
compl. di tempo determinato. Il vocabolo ricorre 17 volte nel NT: Mt 27,62; Mc 11,12
(hapax marciano); Gv 1,29.35.43; 6,22; 12,12. Gli avverbi sostantivati sono locuzioni
ellittiche in cui viene sottinteso un sostantivo che cede il proprio articolo all’avverbio; tale
sostantivo viene facilmente ricavato dal contesto: nel nostro caso si tratta di º:XD",
analogamente a Mc 16,2.9 ed esplicitamente a Mc 14,12. Marco impiega il caso dativo con
valore temporale 12 volte: Mc 1,21; 2,24; 3,2.4; 6,21; 11,12; 12,2; 14,12.30; 15,34; 16,2.9.
Altrove, il dativo temporale è retto dalla preposizione ¦< (cf. Mc 1,9; 2,19.20.23; 4,35; 8,1;
10,30[x2]; 12,23; 13,11.17.24; 14,2; 15,7.29).
¦>g8h`<JT<: verbo, gen. plur. m. part. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori,
uscire; cf. Mc 1,25. Participio al genitivo assoluto.
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5. La frase ¦>g8h`<JT< "ÛJä< appare nella forma
detta “genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore temporale.
Mc 11,13 773

•B`: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da; cf. Mc
1,9.
#0h"<\"H: sost., nome proprio di località, gen. sing. f. da #0h"<\", –"H, Betania; cf. Mc
11,1; compl. di moto da luogo.
¦Bg\<"Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da Bg4<VT, avere fame, essere nel bisogno; cf. Mc
2,25. È l’unica volta in Marco che si accenna alla «fame» di Gesù. Per quanto riguarda la
fame dei discepoli cf. Mc 2,23–28. Per quanto riguarda l’azione di «mangiare» riferita a
Gesù cf. Mc 2,16; 3,20; 6,31; 14,12.14.18.22.

11,13 i" Æ*ã< FLi­< •BÎ :"iD`hg< §P@LF"< nb88" µ8hg<s gÆ –D" J4 gßDZFg4
¦< "ÛJ±s i" ¦8hã< ¦Bz "ÛJ¬< @Û*¥< gâDg< gÆ :¬ nb88"· Ò (D i"4DÎH @Ûi
µ< FbiT<.
11,13 Avendo visto da lontano un fico che aveva delle foglie si avvicinò, se per caso vi
trovasse qualche cosa, ma giuntovi sotto non trovò altro che foglie. Non era, infatti, la
stagione dei fichi.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Æ*f<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc 1,10.
Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH.
FLi­<: sost., acc. sing. f. da FLi­, –­H, fico; compl. oggetto. Senza articolo perché generico
e non ancora menzionato. Il vocabolo ricorre 16 volte nel NT: Mt 21,19[x2].20.21; 24,32;
Mc 11,13[x2].20.21; 13,28; Lc 13,6.7; 21,29; Gv 1,48.50; Gc 3,12; Ap 6,13. L’albero del
fico (ficus carica), menzionato già da Omero (nella forma FLiX": Od., 7,116), è stato
sempre abbondante in tutta l’area del Mediterraneo per la poca cura che esige. Per quanto
riguarda la Palestina si hanno attestazioni letterarie a partire addirittura dal III millennio a.C.
(cf. iscrizione sepolcrale egizia di Uni, risalente al 2375/2350 a.C., riga 24). Nel territorio
palestinese si conoscono due tipi di fichi: i fichi primaticci o fioroni, che giungono a
maturazione tra giugno e luglio; i fichi propriamente detti (detti forniti o tardivi) che maturano
tra agosto e settembre. Alcune specie di piante danno soltanto fioroni, altre soltanto fichi
tardivi, mentre altre producono ambedue i tipi; queste piante hanno, quindi, due produzioni
all’anno: il fiorone di giugno–luglio che si mangia soltanto fresco; il fico tardivo di
agosto–settembre che si mangia fresco oppure essiccato. Nel passo marciano ci si riferisce
alla pianta del fico primaticcio che nei mesi di marzo–aprile non ha ancora prodotto i
fioroni, ma i cui rami sono già coperti da larghe foglie che formano un fogliame ombroso e
ben visibile da lontano.
•B`: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da; cf. Mc
1,9. Uso pleonastico di •B`, come avviene altrove (cf. Mc 5,6; 8,3; 14,54; 15,40).
:"iD`hg<: avv. di luogo, indecl., da lontano, in lontananza; cf. Mc 5,6.
§P@LF"<: verbo, acc. sing. f. part. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. Participio predicativo del complemento
oggetto FLi­<.
774 Mc 11,13

nb88": sost., acc. plur. n. da nb88@<, –@L, foglia; compl. oggetto. Senza articolo perché
generico. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mt 21,19; 24,32; Mc 11,13[x2]; 13,28; Ap
22,2. Attestato già da Omero il sostantivo nb88@< è usato generalmente al plurale nel
significato di «foglie», «fogliame» (cf. Omero, Il., 1,234; Aristofane, Av., 685).
µ8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7.
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7. In alcuni casi, come qui e in Mc 15,36, la congiunzione gÆ non viene
usata per introdurre una proposizione ipotetica o una proposizione interrogativa indiretta o
dubitativa, ma con un valore particolare, per esprimere l’aspettazione che accompagna una
azione o un moto dell’animo (lat. si forte). Rafforzata da –D" in italiano equivale alla
locuzione «se per caso», «caso mai», «se forse».
–D": cong. coordinativa di valore conclusivo, indecl., dunque, quindi, allora; cf. Mc 4,41.
J4: pron. indefinito (enclitico), acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\), un
certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; compl. oggetto.
gßDZFg4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. da gßD\FiT, trovare, incontrare; cf. Mc 1,37. Il tempo
futuro è usato al posto dell’ottativo (quasi scomparso nel greco ellenistico), come se si
trattasse di una interrogazione diretta.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
"ÛJ±: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. f. da "ÛJ`H, –Z, –`,
[quello], egli, lui, esso; cf. Mc 5,23; compl. di stato in luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦8hf<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH.
¦Bz: (= ¦B\), prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., in, su, a, sopra; cf.
Mc 1,22.
"ÛJZ<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,31; compl. di stato in luogo.
@Û*X<: (da @Û*X e gÍH), pron. indefinito negativo, acc. sing. n. da @Û*g\H, @Û*g:\", @Û*X<,
nessuno, niente; cf. Mc 2,21; compl. oggetto.
gâDg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da gßD\FiT, trovare, incontrare; cf. Mc 1,37.
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7. La particella gÆ è qui strettamente unita alla negazione per formare la
locuzione congiuntiva gÆ :Z, «tranne», «all’infuori», «eccetto», che introduce una
proposizione eccettuativa. La formula, generalmente usata senza un verbo seguente, si
ritrova in Mc 2,7.26; 5,37; 6,4.5.8; 8,14; 9,9.29; 10,18; 11,13; 13,32.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
nb88": sost., acc. plur. n. da nb88@<, –@L, foglia; cf. Mc 11,13; compl. oggetto. Senza
articolo perché generico.
Mc 11,14 775

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
i"4D`H: sost., nom. sing. m. da i"4D`H, –@Ø, circostanza favorevole, tempo propizio,
occasione opportuna, giusta misura; cf. Mc 1,15; soggetto.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. La formula µF"< (VD / µ< (VD, analogamente a i"Â µF"< / i"Â µ< e a µF"< *X /
µ< *X, è usata da Marco per introdurre un inciso di valore causale o esplicativo (cf. Mc
1,16.33; 2,15; 5,42; 6,31.44.48; 7,26; 8,9; 10,22; 11,13; 14,40; 15,25; 16,14).
FbiT<: sost., gen. plur. n. da FLi­, –­H, fico; cf. Mc 11,13; compl. di specificazione. Senza
articolo perché generici.

11,14 i" •B@iD4hgÂH gÉBg< "ÛJ±s 90iXJ4 gÆH JÎ< "Æä<" ¦i F@Ø :0*gÂH i"DBÎ<
nV(@4. i"Â ³i@L@< @Ê :"h0J"Â "ÛJ@Ø.
11,14 Allora si rivolse a quello dicendo: «Mai più in eterno qualcuno possa mangiare i tuoi
frutti!». E i suoi discepoli l’udirono.

i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.21.
26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.50.
53a.65a. 72b; 15,2.
•B@iD4hg\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33. Participio predicativo di valore espletivo del
soggetto sottinteso z30F@ØH.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7. L’espressione •B@iD4hg\H… 8X(g4, •B@iD4hg\H… gÉBg< è ricalcata sull’ebraico
9/ G !J&H… 03HHH&, wayya‘an… wayyo) ’mer, «rispondendo… dice», «rispondendo… disse» (cf.
Gb 8,1, ecc.). Si tratta di una tipica locuzione semitica ridondante che può essere tradotta
semplicemente con «disse», «rispose», «replicò» e simili. Si deve osservare, inoltre, che il
verbo •B@iD\<@:"4 è usato con valore semitico anche quando (come qui) non si tratta di
dare una risposta a una precisa domanda, ma soltanto intervenire con una affermazione o una
richiesta. Questa formula ricorre 16 volte in Marco (cf. Mc 3,33; 6,37; 7,28; 8,29; 9,5.19;
10,3.24.51; 11,14.22.33; 12,35; 14,48; 15,2.12). Sorprende che tale formula sia utilizzata nei
riguardi non di una persona, ma di un albero che viene in un certo senso personificato:
probabilmente si vuole sottolineare la violenta reazione di Gesù di fronte alla sterilità del fico,
il quale simboleggia il popolo di Israele (vedi commento a Mc 11,21).
"ÛJ±: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. f. da "ÛJ`H, –Z, –`,
[quello], egli, lui, esso; cf. Mc 5,23; compl. di termine.
776 Mc 11,14

90iXJ4: (da :Z e §J4), avv. di negazione, indecl., non più, mai più, non oltre, neanche; cf. Mc
1,45.
gÆH: prep. propria di valore temporale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, per, fino a, circa; cf.
Mc 1,4.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
"Æä<": sost., acc. sing. m. da "Æf<, –ä<@H, tempo, epoca, eternità, mondo, eone; cf. Mc 3,29;
compl. di tempo continuato.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
F@Ø: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di moto da luogo.
:0*g\H: (da :Z e gÍH), pron. indefinito negativo, nom. sing. m. da :0*g\H, :0*g:\", :0*X<,
nessuno, alcuno, niente; cf. Mc 1,44; soggetto.
i"DB`<: sost., acc. sing. m. da i"DB`H, –@Ø, frutto; cf. Mc 4,7; compl. oggetto. Senza articolo
perché generico.
nV(@4: verbo, 3a pers. sing. ott. aor. da ¦Fh\T, mangiare, prendere cibo, consumare, divorare;
cf. Mc 1,6. L’uso dell’ottativo è piuttosto raro nel NT: esso ricorre circa 70 volte (in Marco
questa è l’unica ricorrenza): l’eclissi dell’ottativo è comune a tutto il greco ellenistico che
preferisce sostituirlo con il congiuntivo unito a particelle. Questo impiego solitario del modo
ottativo in Mc 11,14 è tanto più sorprendente se si considera che nel greco classico l’ottativo
è il modo proprio delle maledizioni, mentre il greco neotestamentario preferisce usare
l’imperativo (cf. Gal 1,8–9). La formula marciana esprime, quindi, una proibizione con una
violenza che non ha eguali: mediante questo tipico linguaggio Marco (e prima di lui il Gesù
della storia) intende chiaramente affermare che l’apostrofe rivolta al fico sterile intende essere
una vera maledizione, come più tardi riconoscerà, apertis verbis, Pietro stesso («il fico che
tu hai maledetto…», Mc 11,21).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
³i@L@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. Imperfetto durativo o iterativo. Solitamente il verbo
•i@bT è costruito con il genitivo della persona che si ode e l’accusativo di ciò che si sente
parlare: qui è senza complemento, come spesso avviene in Marco (cf. Mc 2,17; 3,21;
4,15.33; 6,2.14.16.29; 10,41; 11,14.18; 14,11; 15,35).
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
:"h0J"\: sost., nom. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; soggetto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
Mc 11,15 777

11,15 5"Â §DP@<J"4 gÆH {3gD@F`8L:". i"Â gÆFg8hã< gÆH JÎ ÊgDÎ< ³D>"J@ ¦i$V8-
8g4< J@×H BT8@Ø<J"H i" J@×H •(@DV.@<J"H ¦< Jè ÊgDès i" JH JD"BX."H
Jä< i@88L$4FJä< i" JH i"hX*D"H Jä< BT8@b<JT< JH BgD4FJgDH
i"JXFJDgRg<s
11,15 Giunsero intanto a Gerusalemme. Entrato nel Tempio si mise a scacciare quelli che
vendevano e comperavano nel Tempio. Rovesciò i tavoli dei cambiamonete e i
banchetti dei venditori di colombe

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§DP@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Presente storico.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
{3gD@F`8L:": sost., nome proprio di città, acc. plur. n. da {3gD@F`8L:", –T<, Gerusalemme;
cf. Mc 3,8; compl. di moto a luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
gÆFg8hf<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare, venire
dentro, recarsi, andare; cf. Mc 1,21. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH.
Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo composto viene ripetuta davanti al
successivo complemento indiretto, come qui; questo fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].
25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33;
9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
ÊgD`<: sost., acc. sing. n. da ÊgD`<, –@Ø, tempio; cf. Mc 11,11; compl. di moto a luogo.
³D>"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da –DPT, dare inizio, cominciare; cf. Mc 1,45. La
frase ³D>"J@ / ³D>"<J@ seguita da un infinito come complemento è usata da Marco 26
volte (cf. Mc 1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32; 10,28.32.41.47; 11,15; 12,1;
13,5; 14,19.33.65.69.14,71; 15,8.15,18). La frequenza di questa formula è dovuta
probabilmente a influsso semitico: quasi sempre equivale a una perifrasi nella quale il verbo
–DPT di valore pleonastico può essere omesso, mentre l’infinito dipendente viene reso con
la 3a persona dell’indicativo aoristo o imperfetto corrispondente.
¦i$V88g4<: verbo, inf. pres. da ¦i$V88T (da ¦i e $V88T), scacciare, mandare via, fare
uscire, espellere; cf. Mc 1,12.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
BT8@Ø<J"H: verbo, acc. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da BT8XT, barattare,
vendere; cf. Mc 10,21; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
778 Mc 11,15

•(@DV.@<J"H: verbo, acc. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da •(@DV.T, comprare,
acquistare, procurarsi; cf. Mc 6,36; compl. oggetto.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
Jè: art. determ., dat. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ÊgDè: sost., dat. sing. n. da ÊgD`<, –@Ø, tempio; cf. Mc 11,11; compl. di stato in luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
JD"BX."H: sost., acc. plur. f. da JDVBg.", –0H, tavola; cf. Mc 7,28; compl. oggetto.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
i@88L$4FJä<: sost., gen. plur. m. da i@88L$4FJZH, –@Ø, cambiavalute; compl. di
specificazione. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mt 21,12; Mc 11,15 (hapax marciano);
Gv 2,15. Questo termine deriva da i`88L$@H (forma grecizzata dell’ebraico 0|v-A|8,
qôlbôn), termine per indicare una piccola moneta, un «soldino» (cf. Aristofane, Pax, 1200;
Menandro, Frag., 1023,1; Eupoli, Frag., 247,3; Callimaco, Iam., 191,2; Polluce, Onom.,
9,72,7) o un piccolo peso, detto di moneta (cf. Teofrasto, De lapid., 46). I cambiavalute
esercitavano una attività quotidiana e stabilita dalla legge: erano coloro che cambiavano il
denaro dei pellegrini in moneta accettabile dal Tempio per il pagamento della tassa di mezzo
siclo. Tra il 25 del mese di Adar e il 1 di Nisan si raccoglieva nel Tempio il mezzo siclo che
ogni ebreo adulto doveva offrire per sostenere le spese per il culto. Il cambio di moneta era
necessario affinché i fedeli fossero muniti del siclo di Tiro, la moneta ufficialmente adottata
per la qualità della lega e l’esattezza del peso. Ogni anno, secondo quanto riferisce la
Mishnah, ogni adulto maschio ebreo doveva pagare al Tempio una tassa di mezzo shekel,
a eccezione dei sacerdoti, per non precludere i buoni rapporti (!). Le donne, gli schiavi e le
categorie minori non vi erano tenute, ma potevano versarla ugualmente. Ecco come questa
disposizione è riportata nella Mishnah:

«A chi si richiedeva la tassa? Ai leviti, agli israeliti, a coloro che si erano convertiti
all’ebraismo, agli schiavi resi liberi, non però alle donne, agli schiavi e ai minori […]. Non
si richiedeva la tassa neppure ai sacerdoti, per mantenere con essi la concordia […]. Sebbene
abbiamo detto che non si richiedono tasse a donne, schiavi e minori, qualora avessero pagato
si accetta la loro offerta, mentre non si accetta il pagamento dal pagano e dall’idolatra»
(m.Sheq., 1,3.5).

Già nella Bibbia si trovano disposizioni legali riguardanti la tassa individuale «per
Yhwh» o «per il Tempio» (cf. Es 30,12–16; Ne 10,33–34). Giuseppe Flavio precisa che al
pagamento di tale tassa erano sottomessi «tutti gli uomini liberi, dai venti ai cinquant’anni»
(Id., Antiq., 3,196). Anche i Giudei della Diaspora praticavano questa usanza. Il trattato
Sheqalim della Mishnah è quasi interamente dedicato a questa imposta. Il valore dello shekel
(siclo) non fu sempre costante e in diversi momenti storici mutò l’ammontare della tassa, sia
perché si rapportava al valore della moneta in circolazione sia per fronteggiare esigenze
particolari del Tempio, i cui acquisti erano legati al mercato delle merci. In ogni caso a
Mc 11,15 779

ciascuno veniva richiesta una offerta non inferiore al valore originario del mezzo shekel
descritto nella Torah. A che cosa serviva il denaro raccolto? Ce lo riferisce la Mishnah: «Con
quei fondi si attingeva per procure i sacrifici quotidiani, quelli aggiuntivi, le loro libagioni,
l’offerta del covone d’orzo, i due pani, i pani di presentazione e, inoltre, tutti i sacrifici
pubblici» (m.Sheq., 4,1). I cambiavalute erano essenziali per assolvere tale compito: essi
formavano una parte integrante nel sistema di riparazione e espiazione per i peccati. Il
pagamento del mezzo siclo, infatti, permetteva a ogni israelita di provvedere all’offerta che
procurava espiazione per i peccati del popolo. Ciò spiega perché Samaritani e pagani non
potevano pagare il mezzo siclo: non facendo parte del popolo di Israele non erano toccati
dall’espiazione. La presenza di questi cambiamonete, dunque, non era una deformazione del
culto, ma una parte della sua perfezione. Il gesto di Gesù è apparentemente inconcepibile per
un pio ebreo, il quale riteneva assodato che le offerte giornaliere espiavano i peccati e
ristabilivano il rapporto tra Dio e Israele, guastato dal peccato. Soltanto qualcuno che
rifiutasse l’esplicito insegnamento della Torah concernente l’offerta giornaliera avrebbe
potuto rovesciare i tavoli, qualcuno che avesse in mente una differente «tavola» sulla quale
procurare l’espiazione. Il rovesciamento dei tavoli dei cambiamonete da parte di Gesù
rappresenta l’atto di rifiuto e di sostituzione del più importante rito del culto israelitico e nello
stesso tempo l’affermazione che vi è un mezzo di espiazione diverso da quello dell’offerta
giornaliera che d’ora in poi non avrà più alcun valore. Non si tratta della «purificazione» del
Tempio da parte di Gesù, come comunemente si afferma, ma della sua sostituzione.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
i"hX*D"H: sost., acc. plur. f. da i"hX*D", –"H, sedia, sedile, scanno; compl. oggetto. Il
vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mt 21,12; 23,2; Mc 11,15 (hapax marciano). Nell’accezione
propria, il sostantivo i"hX*D" indica nella grecità il «sedile», il «seggio» (cf. Plutarco,
Quaest. conv., 714,e,4; Polibio, Hist., 1,21,2).
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
BT8@b<JT<: verbo, gen. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da BT8XT, barattare,
vendere; cf. Mc 10,21; compl. oggetto. Si tratta di venditori abituali, non occasionali.
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
BgD4FJgDVH: sost., acc. plur. f. da BgD4FJgDV, –H, colomba; cf. Mc 1,10; compl. oggetto.
Sono le colombe destinate al sacrificio. Secondo la testimonianza rabbinica il numero delle
colombe messe in vendita negli spazi antistanti l’area templare per i sacrifici era enorme,
poiché le colombe erano gli animali più ricercati dalla classe povera e proletaria che non
poteva permettersi offerte più costose.
i"JXFJDgRg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da i"J"FJDXnT (da i"JV e FJDXnT), voltare,
girare, rovesciare, gettare giù. Questo verbo ricorre 2 volte nel NT: Mt 21,12; Mc 11,15
(hapax marciano). In senso letterale proprio il verbo i"J"FJDXnT è usato nella grecità con
il significato di «rovesciare», «capovolgere» (cf. Hymn. hom., In Ap., 73; Aristotele, Hist.
anim., 622b 8).
780 Mc 11,16

11,16 i" @Ûi ³n4g< Ë<" J4H *4g<X(i® FigØ@H *4 J@Ø ÊgD@Ø.
11,16 e non permetteva a nessuno di trasportare oggetti attraverso il Tempio.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
³n4g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare,
rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18. Imperfetto durativo o iterativo.
Ë<": cong. subordinativa di valore completivo, indecl., di, che; cf. Mc 1,38. La congiunzione Ë<"
non ha qui il consueto valore finale, ma quello completivo (equivalente a ÓJ4 o ÓBTH): in
pratica introduce una proposizione infinitiva (cf. Mc 3,9a.12; 4,22a; 5,10.18.43; 6,8.12.
25.56; 7,26.32.36; 8,22.30; 9,9.12.18.30; 10,35.37; 11,16; 13,34; 15,21).
J4H: pron. indefinito (enclitico), nom. sing. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; soggetto.
*4g<X(i®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da *4"nXDT (da *4V e nXDT), portare via,
trasportare, spostare. Questo verbo ricorre 13 volte nel NT: Mt 6,26; 10,31; 12,12; Mc
11,16 (hapax marciano); Lc 12,7.24; At 13,49; 27,27; Rm 2,18; 1Cor 15,41; Gal 2,6; 4,1;
Fil 1,10. Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo composto viene ripetuta
davanti al successivo complemento indiretto, come qui; questo fenomeno si ritrova in Mc
1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.24.25.
26.31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5. Nella diatesi attiva
transitiva il verbo *4"nXDT viene usato nella grecità con il significato di «trasportare»,
«portare» (cf. Tucidide, Hist., 8,8,3; Aristofane, Lys., 570). Nel NT il verbo è usato in senso
transitivo soltanto 3 volte (cf. Mc 11,16; At 13,49; 27,27); negli altri casi ha il senso
intransitivo di «distinguersi». È probabile che si stia qui facendo riferimento ai facchini di
professione i quali, per accorciare il cammino tra la porta occidentale e quella orientale di
Gerusalemme, attraversavano la spianata del Tempio riducendo il percorso e la fatica. Per
contrastare questa cattiva abitudine vigeva la prescrizione (evidentemente poco osservata) di
non attraversare la spianata del Tempio come fosse una scorciatoia: «Nessuno si soffermi
senza motivo davanti alla porta orientale del Tempio che sta dirimpetto al Santissimo.
Nessuno salga sull’altura del Tempio con il bastone, con le scarpe, con la borsa o con la
polvere sui piedi. Nessuno lo utilizzi come fosse una scorciatoia né vi sputi sopra» (m.Ber.,
9,5).
FigØ@H: sost., acc. sing. n. da FigØ@H, –@LH, vaso, utensile, attrezzo, suppellettile; cf. Mc 3,27;
compl. oggetto. Senza articolo perché generico.
*4V: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., per, attraverso, tra, lungo; cf. Mc
2,1.
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
ÊgD@Ø: sost., gen. sing. n. da ÊgD`<, –@Ø, tempio; cf. Mc 11,11; compl. di moto per luogo.
Mc 11,17 781

11,17 i"Â ¦*\*"Fig< i"Â §8g(g< "ÛJ@ÃHs ?Û (X(D"BJ"4 ÓJ4 {? @Éi`H :@L @Éi@H
BD@FgLP­H i80hZFgJ"4 BF4< J@ÃH §h<gF4<p ß:gÃH *¥ BgB@4Zi"Jg "ÛJÎ<
FBZ8"4@< 8®FJä<.
11,17 E insegnava loro dicendo: «Non è forse scritto: “La mia casa sarà chiamata casa di
preghiera per tutte le nazioni”? Voi, invece, ne avete fatto un covo di ladri!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦*\*"Fig<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da *4*VFiT, insegnare, istruire, ammaestrare;
cf. Mc 1,21. Imperfetto durativo o iterativo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’espressione [i"Â] §8g(g< "ÛJ@ÃH…, «[e] diceva loro…»; i"Â §8g(g<…, «e
diceva…», posta all’inizio di una proposizione, è usata da Marco come formula abituale di
raccordo per unire sentenze staccate o una serie di sentenze (cf. Mc 2,27; 4,11.21.24.26.30;
6,4.10; 7,9.20; 8,21; 9,1; 11,17; 14,36).
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
?Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale. La congiunzione negativa @Û
che introduce una proposizione interrogativa retorica equivale a «forse che non…?»,
indicante l’attesa di una risposta affermativa (eb. !J-% C , ha7 lo) ’; lat. nonne): «non è forse
scritto…?», ossia «è scritto…». Si tratta di una caratteristica delle lingue semitiche
largamente attestata nella Bibbia. Qualche esempio: «Non è forse Dio che ha in suo potere
le interpretazioni?» (Gn 40,8), ossia, affermativamente: «Dio ha in suo potere le interpretazio-
ni»; «Non è forse scritto nel libro del Giusto…?» (= «È scritto nel libro del Giusto…»; Gs
10,13); «Non è il Dio di Israele che ti dà questo ordine?» (= «È il Dio di Israele che ti da
questo ordine»; Gdc 4,6); «La freccia non è forse più avanti di te?» (= «La freccia è più
avanti di te»; 1Sam 10,13); «Non siete anche voi colpevoli nei confronti del Signore?» (=
«Anche voi siete colpevoli nei confronti del Signore»; 2Cr 28,10).
(X(D"BJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. pass. da (DVnT, scrivere; cf. Mc 1,2. L’espressione
«è scritto» è la tipica formula marciana per l’adempimento delle profezie anticotestamentarie,
a volte seguita da una citazione esplicita (cf. Mc 1,2; 7,6; 11,17; 14,27), altre volte per
indicare sotto forma di allusione quanto nell’AT venne scritto sotto ispirazione divina (cf. Mc
9,12.13; 14,21; [14,49]).
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
{?: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
@Éi`H: sost., nom. sing. m. da @Éi@H, –@L, casa, abitazione; cf. Mc 2,1; soggetto.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
782 Mc 11,17

appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).
@Éi@H: sost., nom. sing. m. da @Éi@H, –@L, casa, abitazione; cf. Mc 2,1; predicato nominale. La
mancanza dell’articolo non ha qui particolari significati, ma è un segnale linguistico del modo
di esprimere il genitivo in ebraico, detto stato costrutto, in cui il sostantivo che regge il
genitivo è sempre senza articolo.
BD@FgLP­H: sost., gen. sing. f. da BD@FgLPZ, –­H, preghiera; cf. Mc 9,29; compl. di
specificazione. Quando il nome reggente è privo di articolo (come qui), anche il genitivo
dipendente ne è solitamente sprovvisto.
i80hZFgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. pass. da i"8XT, chiamare, invitare, nominare; cf.
Mc 1,20. Il verbo i"8XT esplica qui la funzione del verbo «essere» (come in Lc 1,32.35.76;
2,23; 15,19.21; 1Cor 15,9; Rm 9,7; Eb 3,13; 11,18): non si tratta di un passivo divino.
BF4<: agg. indefinito, dat. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; attributo di §h<gF4<, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
§h<gF4<: sost., dat. plur. n. da §h<@H, –@LH, popolo, nazione. Al plur. anche straniero, pagano;
cf. Mc 10,33; compl. di vantaggio. La prima citazione, riportata integralmente soltanto da
Marco, è tratta da Isaia 56,7, secondo la versione dei LXX (Ò @Éi`H :@L @Éi@H BD@FgLP­H
i80hZFgJ"4 BF4< J@ÃH §h<gF4<).
ß:gÃH: pron. personale di 2a pers. nom. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
cf. Mc 6,31; soggetto.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
BgB@4Zi"Jg: verbo, 2a pers. plur. ind. perf. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
FBZ8"4@<: sost., acc. sing. n. da FBZ8"4@<, –@L, caverna, covo, spelonca; compl. predicativo.
Il vocabolo ricorre 6 volte nel NT: Mt 21,13; Mc 11,17 (hapax marciano); Lc 19,46; Gv
11,38; Eb 11,38; Ap 6,15. Nell’uso classico il sostantivo FBZ8"4@< indica la «grotta»,
l’«antro» (cf. Platone, Resp., 514a). La mancanza dell’articolo non ha qui particolari
significati, ma è un segnale linguistico del modo di esprimere il genitivo in ebraico, detto
stato costrutto, in cui il sostantivo che regge il genitivo è sempre senza articolo.
8®FJä<: sost., gen. plur. m. da 8®FJZH, –@Ø, predone, bandito, brigante; compl. di
specificazione. Il vocabolo ricorre 15 volte nel NT: Mt 21,13; 26,55; 27,38.44; Mc 11,17;
14,48; 15,27; Lc 10,30.36; 19,46; 22,52; Gv 10,1.8; 18,40; 2Cor 11,26. Quando il nome
reggente è privo di articolo (come qui), anche il genitivo dipendente ne è solitamente
sprovvisto. In conformità all’uso classico (cf. Euripide, Alc., 766; Senofonte, Hell., 3,4,19;
Platone, Resp., 351c) il termine 8®FJZH ha qui il significato generico di «ladrone»,
«predone» (cf. Os 7,1; Abd 1,5; Ez 22,9, LXX): per la discussione linguistica su un
possibile significato “politico” (= «rivoluzionario») vedi Mc 15,27. L’espressione «spelonca
di ladri» è tratta da Ger 7,11 (FBZ8"4@< 8®FJä< Ò @Éi`H :@L, LXX).
Mc 11,18 783

11,18 i" ³i@LF"< @Ê •DP4gDgÃH i" @Ê (D"::"JgÃH i" ¦.ZJ@L< BäH "ÛJÎ<
•B@8XFTF4<· ¦n@$@Ø<J@ (D "ÛJ`<s BH (D Ò ÐP8@H ¦>gB8ZFFgJ@ ¦B J±
*4*"P± "ÛJ@Ø.
11,18 L’udirono i capi dei sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire.
Avevano, però, paura di lui, perché tutto il popolo era ammirato per il suo insegna-
mento.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


³i@LF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. Solitamente il verbo •i@bT è costruito con il
genitivo della persona che si ode e l’accusativo di ciò che si sente parlare: qui è senza
complemento, come spesso avviene in Marco (cf. Mc 2,17; 3,21; 4,15.33; 6,2.14.16.29;
10,41; 11,14.18; 14,11; 15,35).
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
•DP4gDgÃH: sost., nom. plur. m. da •DP4gDgbH, –XTH (da •DPZ e ÊgDgbH), sommo sacerdote,
capo dei sacerdoti; cf. Mc 2,26; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
(D"::"JgÃH: sost., nom. plur. m. da (D"::"JgbH, –XTH (da (DV::"), scriba, esperto della
Legge, insegnante religioso; cf. Mc 1,22; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦.ZJ@L<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da .0JXT, cercare (per trovare od ottenere), provare
a, tentare di; cf. Mc 1,37. Imperfetto durativo o iterativo.
BäH: avv. interrogativo di modo, indecl., come?, in quale modo?, in che senso?, perché?; cf.
Mc 2,26. All’interno delle interrogative indirette l’avverbio BäH corrisponde alla congiunzio-
ne modale ÓBTH, «come». Il fenomeno è presente in Mc 5,16; 11,18; 12,41; 14.1.11.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
•B@8XFTF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. da •B`88L:4, perdere, rovinare, distruggere,
togliere di mezzo, sopprimere, uccidere; cf. Mc 1,14.
¦n@$@Ø<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. medio da n@$XT, mettere in fuga, scacciare,
spaventare (att.); fuggire, avere paura, temere (mediopass.); cf. Mc 4,41. Imperfetto
durativo o iterativo.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
BH: agg. indefinito, nom. sing. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; soggetto.
(VD: cong. coordinativa di valore causale, indecl., poiché, perché, giacché; cf. Mc 1,16.
784 Mc 11,19–20

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
ÐP8@H: sost., nom. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; soggetto.
¦>gB8ZFFgJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. pass. da ¦iB8ZFF@:"4 (da ¦i e B8ZFFT),
essere colpito, essere scosso, essere stupefatto; cf. Mc 1,22. Imperfetto durativo o iterativo.
¦B\: prep. propria di valore causale, seguita dal dativo, indecl., per, a causa di; cf. Mc 1,22.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
*4*"P±: sost., dat. sing. f. da *4*"PZ, –­H (da *4*VFiT), insegnamento, dottrina, istruzione;
cf. Mc 1,22; compl. di causa.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).

11,19 5"Â ÓJ"< ÏR¥ ¦(X<gJ@s ¦>gB@Dgb@<J@ §>T J­H B`8gTH.


11,19 Quando fu sera uscirono dalla città.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


ÓJ"<: (= ÓJg e –<), cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, ogni qualvolta,
allorché, appena; cf. Mc 2,20.
ÏRX: avv. di tempo, indecl., nel tardo giorno, di sera. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mt
28,1; Mc 11,19; 13,35.
¦(X<gJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4.
¦>gB@Dgb@<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. medio da ¦iB@Dgb@:"4, uscire, venire fuori,
andare, recarsi, accorrere; cf. Mc 1,5. Imperfetto durativo o iterativo. Il soggetto implicito
non sono i capi dei sacerdoti e gli scribi del versetto precedente, ma Gesù e i discepoli,
menzionati in Mc 11,14.
§>T: prep. impropria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., fuori da, al di fuori di,
esternamente a, all’esterno di; cf. Mc 1,45.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
B`8gTH: sost., gen. sing. f. da B`84H, –gTH, città, villaggio; cf. Mc 1,33; compl. di moto da
luogo.

11,20 5"Â B"D"B@DgL`:g<@4 BDTÅ gÉ*@< J¬< FLi­< ¦>0D"::X<0< ¦i Õ4.ä<.


11,20 La mattina seguente, passando, videro il fico seccato fin dalle radici.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Mc 11,21 785

B"D"B@DgL`:g<@4: verbo, nom. plur. m. part. pres. medio da B"D"B@Dgb@:"4 (da B"DV e
B@Dgb@:"4), procedere, andare oltre, attraversare, passare; cf. Mc 2,23. Participio
predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso z30F@ØH.
BDTÄ: avv. di tempo, indecl., al mattino, di mattina, di buon mattino; cf. Mc 1,35.
gÉ*@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc 1,10.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
FLi­<: sost., acc. sing. f. da FLi­, –­H, fico; cf. Mc 11,13; compl. oggetto.
¦>0D"::X<0<: verbo, acc. sing. f. part. perf. pass. da >0D"\<T, seccare, appassire, disseccare
(att.); diventare secco, diventare rigido (pass.); cf. Mc 3,1. Participio predicativo del
complemento oggetto J¬< FLi­<.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
Õ4.ä<: sost., gen. plur. f. da Õ\.", –0H, radice, germoglio; cf. Mc 4,6; compl. di moto da
luogo. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è
frequente nel greco ellenistico. L’inaridimento dell’albero di fico, metafora della sterilità e del
rifiuto di Israele (vedi commento a Mc 11,21) richiama linguisticamente e concettualmente
la profezia di Osea 9,16: «Efraim è stato percosso, la loro radice è inaridita, non daranno più
frutto».

11,21 i" •<":<0FhgÂH Ò AXJD@H 8X(g4 "ÛJès {C"$$\s Ç*g º FLi­ ¼< i"J0DVFT
¦>ZD"<J"4.
11,21 Allora Pietro, ricordandosi, gli disse: «Maestro, guarda: il fico che hai maledetto si è
seccato!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•<":<0Fhg\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. medio da •<":4:<¯FiT (da •<V e :4:<¯Fi@-
:"4), ricordare, ricordarsi. Questo verbo ricorre 6 volte nel NT: Mc 11,21; 14,72; 1Cor
4,17; 2Cor 7,15; 2Tm 1,6; Eb 10,32. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto
Ò AXJD@H. Utilizzato già da Omero il verbo •<":4:<¯FiT è usato nella grecità nel
significato di «ricordare» nella diatesi attiva (cf. Omero, Od., 3,211; Euripide, Alc., 1045) e
di «ricordarsi» nella diatesi media (cf. Erodoto, Hist., 2,151,3; Platone, Phaed., 72e;
Senofonte, Anab., 7,1,26).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
AXJD@H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da AXJD@H, –@L, Pietro; cf. Mc 3,16;
soggetto.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
{C"$$\: sost., voc. sing. m., indecl., da Õ"$$4, maestro, «rabbi»; cf. Mc 9,5; compl. di
vocazione. Traslitterazione grecizzata dell’appellativo ebraico/aramaico *vE9H, rabbî, «mio
786 Mc 11,21

signore!», «(mio) maestro!», corrispondente alla forma aramaica intensiva *1E|v9H, rabbônî,
«mio signore!», «(mio) maestro!». I titoli venivano indirizzati a persone dotate di autorità e
prestigio: era consuetudine che i discepoli usassero questa formula, nel significato di «(mio)
maestro!», quando si rivolgevano ai loro insegnanti (cf. la traduzione esplicita *4*VFi"8g
in Gv 20,16). La forma più comune, *v E9H, rabbî, si ritrova in Mc 9,5; 11,21; 14,45 sempre
sulla bocca di un discepolo nei riguardi di Gesù.
Ç*g: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc
2,24. Il vocabolo Ç*g, un segnale discorsivo stereotipo, nella maggior parte delle ricorrenze
neotestamentarie assume il valore avverbiale esclamativo corrispondente alle interiezioni
«ecco!», «vedi!», «guarda!», «guardate!». Non c’è sostanziale diversità con l’equivalente Æ*@b
(cf. Mc 1,2).
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
FLi­: sost., nom. sing. f. da FLi­, –­H, fico; cf. Mc 11,13; soggetto.
»<: pron. relativo, acc. sing. f. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; compl. oggetto. La forma »<
ricorre 98 volte nel NT rispetto alle 1407 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzio-
ne nei vangeli è la seguente: 4 volte in Matteo (corrispondente allo 0,022% del totale delle
parole); 2 volte in Marco (cf. Mc 11,21; 13,19 = 0,018%); 11 volte in Luca (0,056%); 8 volte
in Giovanni (0,051%).
i"J0DVFT: verbo, 2a pers. sing. ind. aor. medio da i"J"DV@:"4, maledire, condannare,
imprecare. Questo verbo deponente ricorre 5 volte nel NT: Mt 25,41; Mc 11,21 (hapax
marciano); Lc 6,28; Rm 12,14; Gc 3,9. A partire da Omero il verbo i"J"DV@:"4 è usato
nel significato di «maledire», «imprecare» (cf. Omero, Il., 9,454; Aristofane, Nub., 871;
Erodoto, Hist., 4,184,2). Questo è l’unico passo del NT in cui viene storicamente posta in
bocca a Gesù una parola di maledizione (in Mt 25,41 colui che «maledice» è il giudice
universale).
¦>ZD"<J"4: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. pass. da >0D"\<T, seccare, appassire, disseccare
(att.); diventare secco, diventare rigido (pass.); cf. Mc 3,1. La maledizione e il successivo
inaridimento del fico è segno profetico del giudizio divino sull’indurimento e il rifiuto di
Israele. Il tempo utilizzato, il perfetto, indica una azione passata i cui effetti permangono
ancora al presente. Nell’AT il ricorso all’uso simbolico di alberi e piante in generale e del
fico in particolare, per dipingere lo scenario di Dio che viene a giudicare Israele, è molto
frequente, specialmente in contesto escatologico. Mentre la mancanza del fico (o della vite)
è presentata semplicemente come un segno di desolazione e miseria (cf. Gl 1,7.12; Ab 3,17),
il fico devastato o seccato è un emblema della punizione di Dio che colpisce il suo popolo
(cf. Ger 5,17; 8,13; Os 2,14; 9,10.16; Am 4,9; Sal 105,33; Is 28,4; 34,4; Na 3,12). Se il fico
Israele rigetta il messia e non lo accoglie allora perde la linfa e si secca. Il cercare frutti fuori
stagione non è un capriccio di Gesù, né la sua maledizione è una vendetta: si tratta soltanto
di una esplicitazione di quello che accade contro la sua volontà, per scelta del popolo. Dal
punto di vista teologico la pianta Israele ha perduto il suo ruolo e la sua missione come
popolo dell’alleanza. La porta della salvezza non è per questo chiusa ai singoli Ebrei, ma la
loro salvezza, come quella di tutti gli uomini — siano essi cristiani, musulmani, induisti,
animisti, ecc. — passa ormai attraverso il messia Gesù, unico Salvatore. Non si dimentichi
Mc 11,22 787

che questo è l’unico miracolo compiuto da Gesù che non avviene per aiutare qualcuno o
qualcosa, ma che si conclude con un effetto negativo.

11,22 i" •B@iD4hgÂH Ò z30F@ØH 8X(g4 "ÛJ@ÃHs }+PgJg B\FJ4< hg@Ø.


11,22 Gesù rispose loro: «Abbiate fede in Dio!

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•B@iD4hg\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33. Participio predicativo di valore espletivo del
soggetto z30F@ØH.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico. L’espressione •B@iD4hg\H… 8X(g4, •B@iD4hg\H… gÉBg< è
ricalcata sull’ebraico 9/ G !J&H… 03HHH&, wayya‘an… wayyo) ’mer, «rispondendo… dice»,
«rispondendo… disse» (cf. Gb 8,1, ecc.). Si tratta di una tipica locuzione semitica
ridondante che può essere tradotta semplicemente con «disse», «rispose», «replicò» e simili.
Si deve osservare, inoltre, che il verbo •B@iD\<@:"4 è usato con valore semitico anche
quando (come qui) non si tratta di dare una risposta a una precisa domanda, ma soltanto
intervenire con una affermazione o una richiesta. Questa formula ricorre 16 volte in Marco
(cf. Mc 3,33; 6,37; 7,28; 8,29; 9,5.19; 10,3.24.51; 11,14.22.33; 12,35; 14,48; 15,2.12).
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. La formula redazionale 8X(g4
"ÛJ@ÃH ricorre 25 volte, esclusivamente riservata a Gesù (cf. Mc 1,38; 2,8.17.25; 3,4;
4,13.35; 5,39; 6,31.38.50; 7,18; 8,17; 9,35; 10,11.24.42; 11,2.22.33; 12,16; 14,13.27.34.41).
Per quanto riguarda la formula singolare 8X(g4 "ÛJè, avente come soggetto Gesù, cf. Mc
1,41.44; 2,14; 5,9.19; 7,34; per 8X(g4 "ÛJ± cf. Mc 5,41.
}+PgJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
B\FJ4<: sost., acc. sing. f. da B\FJ4H, –gTH, fede, fiducia; cf. Mc 2,5; compl. oggetto. La
mancanza dell’articolo non ha qui particolari significati, ma è un segnale linguistico del
modo di esprimere il genitivo in ebraico, detto stato costrutto, in cui il sostantivo che regge
il genitivo è sempre senza articolo.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione. Quando
il nome reggente è privo di articolo (come qui), anche il genitivo dipendente ne è solitamente
sprovvisto. L’espressione letterale B\FJ4< hg@Ø, «fede di Dio», ricorre soltanto qui nel NT.
In Rm 3,3 troviamo l’espressione articolata º B\FJ4< J@Ø hg@Ø con il significato «la fedeltà
di Dio» (genitivo soggettivo). Nel nostro caso si tratta di un genitivo oggettivo mediante il
quale viene indicata la fede che ha per oggetto Dio (= avere fede in Dio: B\FJ4H BD`H JÎ<
hg`< o B\FJ4H gÆH J@< hg`<). Non si parla, cioè, della fede che ha Dio, ma della fede
788 Mc 11,23

rivolta in Dio. La locuzione è costruita in analogia a n`$@H hg@Ø, «timore di Dio», ossia
«timore verso Dio» (cf. Prv 1,7, LXX; Rm 3,18; 2Cor 7,1), n`$@H J@Ø iLD\@L, «timore del
Signore» (cf. At 9,31; 2Cor 5,11), n`$@H J@Ø OD4FJ@Ø, «timore di Cristo» (cf. Ef 5,21),
tutti genitivi oggettivi.

11,23 •:¬< 8X(T ß:Ã< ÓJ4 ÔH —< gÇB® Jè ÐDg4 J@bJås }!Dh0J4 i" $8Zh0J4 gÆH J¬<
hV8"FF"<s i" :¬ *4"iD4h± ¦< J± i"D*\‘ "ÛJ@Ø •88 B4FJgb® ÓJ4 Ô 8"8gÃ
(\<gJ"4s §FJ"4 "ÛJè.
11,23 In verità io vi dico: se qualcuno dice a questo monte: “Sollevati e gettati nel mare”,
senza dubitare in cuor suo, ma credendo che quanto dice possa accadere, ciò gli sarà
accordato.

•:Z<: avv. di modo, indecl., così è, così sia, in verità, certamente, veramente, «amen»; cf. Mc
3,28. Questa solenne formula introduttiva compare in Mc 3,28; 8,12; 9,1.41; 10,15.29; 11,23;
12,43; 13,30; 14,9.18.25.30. Per quanto riguarda il significato vedi commento a Mc 3,28.
8X(T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. La forma verbale 8X(T ricorre in Mc 20 volte (cf. Mc 2,11; 3,28; 5,41; 8,12;
9,1.13.41; 10,15.29; 11,23.24.33; 12,43; 13,30.37[x2]; 14,9.18.25.30): essa è usata soltanto
da Gesù, ossia è esclusivamente Gesù che parla del proprio parlare e ne sottolinea la forza,
l’insistenza e la validità. In particolare, la formula •:¬< 8X(T ß:Ã< / F@4 (cf. Mc 3,28;
8,12; 9,1.41; 10,15.29; 11,23; 12,43; 13,30; 14,9.18.25.30), esprime il carattere solenne e
irrefutabile di quanto affermato da Gesù.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
ÓH: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2; soggetto.
–<: partic. modale di valore dubitativo, eventuale o condizionale, indecl., [se, e se, caso mai,
qualora, eventualmente]; cf. Mc 3,29.
gÇB®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Si tratta di un esempio di «detti gnomici» di Gesù, introdotti dal pronome
indefinito nella forma «chi…», «chiunque…», «colui che…», «se qualcuno…», ecc., il cui
scopo è quello di mettere in evidenza le caratteristiche della sequela. Ritroviamo questa tipica
costruzione in Mc 3,35 («chi compie la volontà di Dio…»), Mc 6,11 (chi non accoglie i
Dodici), Mc 9,37 («chi accoglie un bambino…»), Mc 9,40 («chi non è contro di noi è per
noi»), Mc 9,42 («chi scandalizza uno dei piccoli…»), Mc 10,11 («chi divorzia dalla
moglie…»), Mc 10,29 («chi lascia casa, fratelli, sorelle…»), Mc 10,43 («chi vuole essere il
più grande…»), Mc 11,23 («chi dice a questo monte…»).
Jè: art. determ., dat. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ÐDg4: sost., dat. sing. n. da ÐD@H, –@LH, montagna, monte; cf. Mc 3,13; compl. di termine.
Mc 11,23 789

J@bJå: pron. dimostrativo, dat. sing. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 6,2;
attributo di ÐDg4, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
}!Dh0J4: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. pass. da "ÇDT, alzare, sollevare, sostenere,
sorreggere, portare, prendere; cf. Mc 2,3.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
$8Zh0J4: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. pass. da $V88T, gettare, buttare, mettere; cf. Mc
2,22.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
hV8"FF"<: sost., acc. sing. f. da hV8"FF", –0H, mare; cf. Mc 1,16; compl. di moto a luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
*4"iD4h±: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. pass. da *4"iD\<T (da *4V e iD\<T), separare,
distinguere, esaminare, giudicare, dubitare, esitare. Questo verbo ricorre 19 volte nel NT:
Mt 16,3; 21,21; Mc 11,23 (hapax marciano); At 10,20; 11,2.12; 15,9; Rm 4,20; 14,23; 1Cor
4,7; 6,5; 11,29.31; 14,29; Gc 1,6[x2]; 2,4; Gd 1,9.22. Nella grecità il verbo *4"iD\<T è
usato con diverse sfumature: fondamentalmente esso equivale a «separare», «disgiungere»,
detto in senso proprio (cf. Omero, Od., 4,179; Erodoto, Hist., 8,114,1); in senso figurato
assume il significato di «distinguere», «discernere» (cf. Omero, Od., 8,195; Erodoto, Hist.,
3,39,4) e, quindi, quello di «decidere», «giudicare» (cf. Erodoto, Hist., 1,11,3; Aristofane, Av.,
719). Nel nostro passo si tratta di un giudizio dubbioso, inteso come un calcolo, una
congettura, una valutazione soggettiva: tale atteggiamento “razionalista” è in opposizione alla
fede o fiducia che si fonda non sulla sicurezza del proprio ragionamento, ma sulla parola di
Cristo.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
i"D*\‘: sost., dat. sing. f. da i"D*\", –"H, cuore; cf. Mc 2,6; compl. di stato in luogo.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
•88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno; cf. Mc 1,44.
B4FJgb®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. pres. da B4FJgbT, credere, fidarsi di, dare fiducia a;
cf. Mc 1,15.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.
Ó: pron. relativo, acc. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24; compl. oggetto.
790 Mc 11,24

8"8gÃ: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8"8XT, parlare, dire; cf. Mc 1,34.
(\<gJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere, nascere,
essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4.
§FJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. medio da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente;
cf. Mc 1,6.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.

11,24 *4 J@ØJ@ 8X(T ß:Ã<s BV<J" ÓF" BD@FgbPgFhg i" "ÆJgÃFhgs B4FJgbgJg ÓJ4
¦8V$gJgs i"Â §FJ"4 ß:Ã<.
11,24 Per questo io vi dico: tutto ciò che chiedete nella preghiera abbiate fede di averlo
ottenuto e vi sarà accordato.

*4V: prep. propria di valore causale, seguita dall’accusativo, indecl., a causa di, a motivo di, per;
cf. Mc 2,1.
J@ØJ@: pron. dimostrativo, acc. sing. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 1,27;
compl. di causa.
8X(T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. La forma verbale 8X(T ricorre in Mc 20 volte (cf. Mc 2,11; 3,28; 5,41; 8,12;
9,1.13.41; 10,15.29; 11,23.24.33; 12,43; 13,30.37[x2]; 14,9.18.25.30): essa è usata soltanto
da Gesù, ossia è esclusivamente Gesù che parla del proprio parlare e ne sottolinea la forza,
l’insistenza e la validità.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine.
BV<J": agg. indefinito, acc. plur. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; attributo di ÓF". L’espressione BV<J" ÓF" BD@FgbPgFhg i"Â "ÆJgÃFhgs B4FJgbgJg
ÓJ4 ¦8V$gJgs i"Â §FJ"4 ß:Ã< è fortemente semitizzante (lett. «tutto quanto pregate e
chiedete, credete che avete ottenuto e sarà vostro»). La frase equivale a un periodo ipotetico
privo di congiunzione, con apodosi al futuro e protasi all’imperativo (B4FJgbgJg). La
successione formata da imperativo + i"\ + futuro compare anche in Mc 1,17; 6,22; 10,21;
11,29.
ÓF": pron. relativo con valore di quantità e misura, acc. plur. n. da ÓF@H, –0, –@<, quanto,
quanto grande, ciò che, quello che; cf. Mc 2,19; compl. oggetto.
BD@FgbPgFhg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. medio da BD@FgbP@:"4 (da BD`H e gÜP@:"4),
offrire preghiere, pregare; cf. Mc 1,35. Il verbo è qui usato nella forma transitiva, come in
Rm 8,26, analogamente a quanto avviene nel greco classico (cf. Senofonte, Hell., 3,2,22;
Euripide, Hip., 116).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
"ÆJgÃFhg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. medio da "ÆJXT, domandare, chiedere, implorare,
richiedere; cf. Mc 6,22. L’espressione BV<J" ÓF" BD@FgbPgFhg i"Â "ÆJgÃFhg, «tutto ciò
Mc 11,25 791

che pregate e chiedete», con la coordinazione dei verbi all’indicativo presente, è dovuta a
influsso semitico. Nella traduzione italiana è preferibile la subordinazione: «tutto ciò che
chiedete pregando» (cf. Vg. «orantes petitis») oppure «tutto ciò che chiedete nella preghiera».
Analogo fenomeno in Mc 5,19.
B4FJgbgJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da B4FJgbT, credere, fidarsi di, dare fiducia a;
cf. Mc 1,15.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.
¦8V$gJg: verbo, 2a pers. plur. ind. aor. da 8":$V<T, prendere, afferrare, raccogliere, ricevere;
cf. Mc 4,16. Il tempo aoristo è qui impiegato alla maniera semitica: equivale al perfetto
cosiddetto “profetico”, usato allo scopo di esprimere l’attuarsi certo di una azione futura (cf.
Is 9,1; 10,28; 14,4). Nella traduzione può essere esplicitato anche mediante il futuro: «tutto
ciò che chiedete nella preghiera abbiate fede che lo otterrete…».
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
§FJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. medio da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente;
cf. Mc 1,6.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine. In greco il caso dativo, particolarmente in unione ai verbi gÆ:\
e (\<@:"4, può avere valore possessivo per indicare la persona che possiede o ha qualcosa.

11,25 i" ÓJ"< FJZigJg BD@FgLP`:g<@4s •n\gJg gÇ J4 §PgJg i"JV J4<@Hs Ë<" i" Ò
B"J¬D ß:ä< Ò ¦< J@ÃH @ÛD"<@ÃH •n± ß:Ã< J B"D"BJf:"J" ß:ä<.
11,25 Quando vi mettete a pregare se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché
anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


ÓJ"<: (= ÓJg e –<), cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, ogni qualvolta,
allorché, appena; cf. Mc 2,20.
FJZigJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da FJZiT (dal perfetto di ËFJ0:4), stare, restare,
perseverare; cf. Mc 3,31.
BD@FgLP`:g<@4: verbo, nom. plur. m. part. pres. medio da BD@FgbP@:"4 (da BD`H e
gÜP@:"4), offrire preghiere, pregare; cf. Mc 1,35. Participio predicativo del soggetto
sottinteso «voi», con valore perifrastico. Oltre al verbo «essere» anche il perfetto ªFJ0i" e
il suo derivato FJZiT possono formare la costruzione perifrastica (cf. Lc 23,35.49; Gv
20,11; At 1,11), equivalente al nostro «stare» + il gerundio («stando a pregare», ossia «nel
mettervi a pregare»).
•n\gJg: verbo, 2a pers. plur. congiunt. aor. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare,
rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18. Nei sinottici il verbo •n\0:4 indica di solito il perdono
di Dio e del Figlio dell’uomo. Soltanto qui si fa riferimento al perdono offerto dagli uomini
verso altri uomini.
792 Mc 11,25

gÇ: (= gÆ), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché, qualora; cf. Mc 2,7.
La grafia gÇ compare davanti a una forma enclitica. La particella gÆ è qui usata per
introdurre una proposizione ipotetica, la protasi, la cui conseguenza è costituita dalla
proposizione reggente (detta apodosi). Ritroviamo questa costruzione in Mc 3,26; 4,23; 8,34;
9,22.23.35; 11,25; 13,20.22; 14,21.29.35.
J4: pron. indefinito (enclitico), acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\), un
certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; compl. oggetto.
§PgJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
i"JV: prep. propria di valore avversativo, seguita dal genitivo, indecl., contro; cf. Mc 1,27.
J4<@H: pron. indefinito (enclitico), gen. sing. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; compl. di relazione.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
i"\: cong. coordinativa di valore aggiuntivo, indecl., anche, perfino, inoltre, altresì; cf. Mc 1,4.
Il significato aggiuntivo di i"\ è presente in Mc 1,27b.38b; 2,15b.26c.28; 3,19b; 4,24b;
6,34b; 7,18b; 8,3b.7ac.38c; 9,22a; 11,25b; 12,22b; 13,29; 14,9.29.31; 15,31.40ab. 43a.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
B"JZD: sost., nom. sing. m. da B"JZD, B"JD`H, padre; cf. Mc 1,20; soggetto. Questo è l’unico
passo marciano in cui Dio è definito «padre» in riferimento all’umanità. Nella Bibbia la
connessione tra «Dio» e «padre» è chiaramente attestata, anche se non molto frequente come
si potrebbe ritenere. La metafora della paternità applicata a Dio è stabilita sulla base
dell’elezione, della conclusione dell’alleanza e del messaggio di salvezza rivolto a Israele:
tutte queste attività sono realizzate da Dio mediante il suo amore, la sua premurosa cura e
assistenza, la sua educazione che non esclude castighi, proprio come un padre naturale si
comporta nei riguardi del figlio.
ß:ä<: pron. personale di 2a pers. gen. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
cf. Mc 2,8; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona plurale («di voi» = «vostro»). È
possibile che questo loghion contenga una traccia della preghiera del «Pater», della quale gli
altri sinottici offrono una versione più ampia e strutturata (cf. Mt 6,9–13; Lc 11,2–4).
Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
@ÛD"<@ÃH: sost., dat. plur. m. da @ÛD"<`H, –@Ø, cielo, volta celeste; cf. Mc 1,10; compl. di stato
in luogo. L’espressione Ò B"J¬D [ß:ä</²:ä</:@L] Ò ¦< J@ÃH @ÛD"<@ÃH, «il Padre
[vostro/nostro/mio] che è nei cieli», per indicare Dio, è unica nel vangelo di Marco,
Mc 11,25 793

diversamente da Matteo che la usa 13 volte (Mt 5,16.45; 6,1.9; 7,11.21; 10,32.33; 12,50;
16,17; 18,10.14.19) e 7 volte nella forma semplificata Ò B"J¬D [ß:ä</:@L] Ò @ßDV<4@H,
«il Padre [vostro/mio] celeste» (Mt 5,48; 6,14.26.32; 15,13; 18,35; 23,9). L’espressione è
ampiamente attestata nel culto sinagogale palestinese a partire dalla fine del I secolo d.C. e
ritorna sovente nella Mishnah: «Dal giorno in cui il sacro tempio è stato distrutto i Maestri
sono confusi… A chi dobbiamo appoggiarci? Al padre nostro che è nei cieli» (m.Sot., 9,15).
Nella stessa legislazione rabbinica si trovano analoghe espressioni: «Beati voi, Israeliti!
Davanti a chi volete essere puri e chi è che vi purifica? Il vostro padre celeste» (m.Yom., 8,9).
In questi esempi la formulazione è in stile semitico (.*E/ H—I vH–
G {1*"E!
I , ’a) b5înû šebašša) mayim,
«il padre nostro che è nei cieli»). Il riferimento al cielo non ha una portata locale o
trascendentale (= «che abita nel cielo»), ma è l’equivalente di una qualità, come dimostra la
forma matteana Ò @ßDV<4@H, «quello celeste», distinguendo il Padre divino «celeste» dai
padri umani «terrestri» (cf. Mt 7,9–11; 23,9; Eb 12,9) e dagli antichi padri «etnici», ossia i
patriarchi (cf. Is 63,16).
•n±: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare,
rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine.
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
B"D"BJf:"J": sost., acc. plur. n. da B"DVBJT:", –J@H, caduta, errore, sbaglio, peccato;
compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 19 volte nel NT: Mt 6,14.15; Mc 11,25 (hapax
marciano); Rm 4,25; 5,15[x2].16.17.18.20; 11,11.12; 2Cor 5,19; Gal 6,1; Ef 1,7; 2,1.5; Col
2,13[x2]. Il termine B"DVBJT:" (un sostantivo verbale da B"D"B\BJT) appartiene al
greco ellenistico, dove è usato nel senso di «inciampo», «sconfitta» (cf. Diodoro Siculo, Bibl.,
19,100,3) e in quello di «errore», «trasgressione» (cf. Polibio, Hist., 9,10,6). Negli scritti
biblici indica la violazione nei confronti della divinità e, dunque, in tale ambito eminentemen-
te religioso equivale a «peccato» (cf. Sal 19,13; 22,2; Gb 35,15; 36,9; Sap 3,13; 10,1; Zc 9,5;
Ez 3,20; 14,11.13; 15,8; 18,22.24.26[x2]; 20,27).
ß:ä<: pron. personale di 2a pers. gen. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
cf. Mc 2,8; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona plurale («di voi» = «vostro»).

[11,26] [Questo versetto è presente nei manoscritti A, C, D, 1, 0233, f1, f13, e in molti codici
minuscoli, i quali qui riportano: gÆ *¥ ß:gÃH @Ûi •n\gJg @Û*¥ Ò B"J¬D ß:ä< Ò ¦< J@ÃH
@ÛD"<@ÃH •nZFg4 J B"D"BJf:"J" ß:ä<, «se, infatti, voi non perdonerete, neppure il
Padre vostro che è nei cieli perdonerà i vostri peccati». Il versetto è assente, invece, in !, B,
L, W, ), Q, 157, 205, 565, 597, 700, 892, 1342, 2427. Tale lezione variante non offre
garanzia di autenticità dal punto di vista di critica testuale poiché i testimoni più antichi e
autorevoli non la riportano: quasi certamente si tratta di una glossa (una dittografia) introdotta
da qualche copista dietro suggestione di Mt 6,15. La critica recente ha espunto il testo senza
modificare l’ordine e la numerazione successiva dei versetti.].
794 Mc 11,27

11,27 5"Â §DP@<J"4 BV84< gÆH {3gD@F`8L:". i"Â ¦< Jè ÊgDè BgD4B"J@Ø<J@H "ÛJ@Ø
§DP@<J"4 BDÎH "ÛJÎ< @Ê •DP4gDgÃH i" @Ê (D"::"JgÃH i" @Ê BDgF$bJgD@4
11,27 Andarono di nuovo a Gerusalemme. Mentre egli camminava per il Tempio gli si
avvicinarono i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§DP@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Presente storico.
BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
{3gD@F`8L:": sost., nome proprio di città, acc. plur. n. da {3gD@F`8L:", –T<, Gerusalemme;
cf. Mc 3,8; compl. di moto a luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
Jè: art. determ., dat. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ÊgDè: sost., dat. sing. n. da ÊgD`<, –@Ø, tempio; cf. Mc 11,11; compl. di stato in luogo.
BgD4B"J@Ø<J@H: verbo, gen. sing. m. part. pres. da BgD4B"JXT (da BgD\ e B"JXT),
camminare, passeggiare, deambulare; cf. Mc 2,9. Participio al genitivo assoluto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3. La frase BgD4B"J@Ø<J@H "ÛJ@Ø appare nella forma
detta “genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore temporale.
§DP@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Presente storico.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5. L’espressione §DP@:"4 BD`H, detta in riferimento
a Gesù, non è rara in Marco: è impiegata per descrivere l’andare verso Gesù da parte di
qualche miracolato (cf. Mc 1,40; 2,3; 10,50), della folla (cf. Mc 1,45; 2,13; 3,8; 5,15) o di
gruppi specifici (cf. Mc 11,27; 12,18). Lo stesso Gesù comanda ai discepoli di lasciar «venire
a sé» i bambini (cf. Mc 10,14).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di moto a luogo.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
•DP4gDgÃH: sost., nom. plur. m. da •DP4gDgbH, –XTH (da •DPZ e ÊgDgbH), sommo sacerdote,
capo dei sacerdoti; cf. Mc 2,26; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
Mc 11,28 795

(D"::"JgÃH: sost., nom. plur. m. da (D"::"JgbH, –XTH (da (DV::"), scriba, esperto della
Legge, insegnante religioso; cf. Mc 1,22; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
BDgF$bJgD@4: agg. qualificativo, di grado comparativo, con valore sostantivato, nom. plur. m.
da BDgF$bJgD@H, –", –@< (comparativo di BDXF$LH), più vecchio, più anziano,
predecessore, antenato, «presbitero»; cf. Mc 7,3; soggetto.

11,28 i" §8g(@< "ÛJès z+< B@\‘ ¦>@LF\‘ J"ØJ" B@4gÃHp ´ J\H F@4 §*Tig< J¬<
¦>@LF\"< J"bJ0< Ë<" J"ØJ" B@4±Hp
11,28 e gli dissero: «Con quale autorità fai queste cose? Chi ti ha dato l’autorizzazione di
farle?».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§8g(@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo («dicevano», «continuavano
a dire»), ma puntuale, corrispondente a un aoristo («dissero»). Per altri esempi di questo
imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24.26.30.41;
5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70; 15,12a.14.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
z+<: prep. propria di valore strumentale, seguita dal dativo, indecl., con, per mezzo di; cf. Mc
1,2. Uso pleonastico o hypertrophicus della preposizione ¦< la quale precede senza vera
necessità il successivo caso dativo. Si tratta di un uso piuttosto comune nella Koiné (cf. Mc
4,24; 11,28; 14,1.6).
B@\‘: agg. interrogativo, dat. sing. f. da B@Ã@H, –", –@<, quale? di che genere?; attributo di
¦>@LF\‘. Il vocabolo ricorre 33 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 7
volte in Matteo (corrispondente allo 0,038% del totale delle parole); 4 volte in Marco (cf. Mc
11,28.29.33; 12,28 = 0,035%); 8 volte in Luca (0,041%); 4 volte in Giovanni (0,026%). Il
pronome e aggettivo B@Ã@H (lat. qualis?) è usato in proposizione interrogative sia dirette che
indirette. Nell’uso marciano equivale a J\H (cf. Mc 4,30; 5,9; 6,2).
¦>@LF\‘: sost., dat. sing. f. da ¦>@LF\", –"H (da §>g4:4), potere, autorità, abilità, forza; cf. Mc
1,22; compl. di mezzo. L’espressione ¦< B@\‘ ¦>@LF\‘ è un esempio di ¦< strumentale
dovuto a influsso semitico: la preposizione greca traduce quella corrispondente ebraica (vA,
be), impiegata per esprimere non un complemento di luogo, ma di mezzo o strumento.
Ritroviamo questo uso particolare in Mc 1,8; 3,22.23; 4,2.11.24.30; 6,14; 9,29.38.50;
11,28.29.33; 12,1.36.38; 16,17. Non si tratta di un potere generico, indistinto: l’indicazione
che Gesù insegna ¦< ¦>@LF\‘, «con autorità» (cf. Mc 11,28.29.33), ¦>@LF\"< §PT<,
«avendo autorità» (cf. Mc 1,22), i"Jz ¦>@LF\"<, «con autorità» (cf. Mc 1,27), può essere
messa in relazione all’ebraico ;{–9I, ra) šû5t , che negli scritti rabbinici compare nell’accezione
di «permesso», «autorizzazione», «potere celeste» (b.Yom., 67b). In tal caso il vocabolo
796 Mc 11,29

¦>@LF\" uato in questi passi non indica un potere taumaturgico (la capacità di compiere
miracoli e guarigioni), ma corrisponde a ra) šû5t nell’indicare una potenza morale derivante da
una autorizzazione celeste. Un insegnamento con ¦>@LF\" va inteso, quindi, nel senso di
«una dottrina autorizzata», ossia «autorevole», perché non è l’autorità che emana dalla
persona, ma quella che procede da una istanza superiore.
J"ØJ": pron. dimostrativo, acc. plur. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 2,8; compl.
oggetto. L’espressione «queste cose» nel contesto narrativo della pericope si riferisce alla
entrata «messianica» di Gesù a Gerusalemme e alla sua iniziativa presa nei confronti dei
mercanti del Tempio, ma nel più ampio contesto evangelico può comprendere tutto il suo
insegnamento e le sue azioni, spesso in contrasto con il culto e la tradizione giudaica.
B@4gÃH: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere, compiere;
cf. Mc 1,3.
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9. La
congiunzione non esprime qui un valore disgiuntivo, come solitamente avviene (cf. il
successivo v. 30), ma epesegetico.
J\H: pron. interrogativo, nom. sing. m. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?,
che?, quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; soggetto.
F@4: pron. personale di 2a pers. dat. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,11; compl. di termine.
§*Tig<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
¦>@LF\"<: sost., acc. sing. f. da ¦>@LF\", –"H (da §>g4:4), potere, autorità, abilità, forza; cf.
Mc 1,22; compl. oggetto.
J"bJ0<: pron. dimostrativo, acc. sing. f. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 4,13;
attributo di ¦>@LF\"<, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
J"ØJ": pron. dimostrativo, acc. plur. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 2,8; compl.
oggetto.
B@4±H: verbo, 2a pers. sing. congiunt. pres. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3. L’espressione ridondante Ë<" J"ØJ" B@4±H equivale a un infinito
epesegetico.

11,29 Ò *¥ z30F@ØH gÉBg< "ÛJ@ÃHs z+BgDTJZFT ß:H ª<" 8`(@<s i" •B@iD\h0JX
:@4 i" ¦Dä ß:Ã< ¦< B@\‘ ¦>@LF\‘ J"ØJ" B@4ä·
11,29 Ma Gesù disse loro: «Vi farò una sola domanda: se mi rispondete vi dirò con quale
autorità faccio queste cose.

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
Mc 11,29 797

z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
z+BgDTJZFT: verbo, 1a pers. sing. ind. fut. da ¦BgDTJVT (da ¦B\ e ¦DTJVT), richiedere,
domandare, interrogare; cf. Mc 5,9. Il verbo è qui costruito con il doppio accusativo, della
persona a cui si chiede (ß:H) e dell’oggetto richiesto (ª<" 8`(@<): stessa costruzione in
Mc 7,17 (cf. Mc 4,10 con ¦DTJVT). Rispondere a una domanda con un’altra domanda è
una caratteristica della tecnica rabbinica nelle discussioni: ritroviamo questo fenomeno in Mc
10,3; 11,30; 12,16.24.
ß:H: pron. personale di 2a pers. acc. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 1,8; compl. oggetto.
ª<": agg. numerale, cardinale, acc. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; attributo di 8`(@<.
Sebbene l’uso del numero cardinale al posto dell’articolo indeterminativo «uno» o del
pronome indefinito J\H sia spesso attestato (cf. Mc 5,22; 6,15; 8,28; 9,17.37.42; 10,17.37[x2];
12,28.42; 13,1; 14,10.18.20.43.47.66), qui il numerale ha il suo significato proprio: «una
sola» domanda.
8`(@<: sost., acc. sing. m. da 8`(@H, –@L, parola; cf. Mc 1,45; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•B@iD\h0JX: verbo, 2a pers. plur. imperat. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33. L’espressione ¦BgDTJZFT… i" •B@iD\h0-
JX… i"Â ¦Dä…, «interrogherò… e rispondete… e dirò…» è di stile semitico: il primo i"\
equivale alla congiunzione subordinativa di valore condizionale gÆ, «se», per introdurre una
proposizione ipotetica, come esplicita il passo parallelo di Matteo 21,24 (¦< gÇB0Jg…). La
successione formata da imperativo + i"\ + futuro compare anche in Mc 1,17; 6,22; 10,21;
11,24.
:@4: pron. personale di 1a pers. dat. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 2,14; compl. di termine.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦Dä: verbo, 1a pers. sing. ind. fut. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine.
¦<: prep. propria di valore strumentale, seguita dal dativo, indecl., con, per mezzo di; cf. Mc 1,2.
B@\‘: agg. interrogativo, dat. sing. f. da B@Ã@H, –", –@<, quale? di che genere?; cf. Mc 11,28;
attributo di ¦>@LF\‘.
¦>@LF\‘: sost., dat. sing. f. da ¦>@LF\", –"H (da §>g4:4), potere, autorità, abilità, forza; cf. Mc
1,22; compl. di mezzo. L’espressione ¦< B@\‘ ¦>@LF\‘ è un esempio di ¦< strumentale
798 Mc 11,30

dovuto a influsso semitico: la preposizione greca traduce quella corrispondente ebraica (vA,
be), impiegata per esprimere non un complemento di luogo, ma di mezzo o strumento.
Ritroviamo questo uso particolare in Mc 1,8; 3,22.23; 4,2.11.24.30; 6,14; 9,29.38.50;
11,28.29.33; 12,1.36.38; 16,17.
J"ØJ": pron. dimostrativo, acc. plur. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 2,8; compl.
oggetto.
B@4ä: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere, compiere;
cf. Mc 1,3.

11,30 JÎ $VBJ4F:" JÎ z3TV<<@L ¦> @ÛD"<@Ø µ< ´ ¦> •<hDfBT<p •B@iD\h0JX :@4.
11,30 Il battesimo di Giovanni veniva da Dio o dagli uomini? Rispondetemi!».

J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
$VBJ4F:": sost., nom. sing. n. da $VBJ4F:", –"J@H, immersione, il sommergere, «battesimo»;
cf. Mc 1,4; soggetto.
J`: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10;
soggetto. Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale
"ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
z3TV<<@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z3TV<<0H, –@L, Giovanni; cf. Mc
1,4; compl. di specificazione.
¦>: (= ¦i), prep. propria con valore di origine, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
@ÛD"<@Ø: sost., gen. sing. m. da @ÛD"<`H, –@Ø, cielo, volta celeste; cf. Mc 1,10; compl. di
origine. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è
frequente nel greco ellenistico. L’espressione «dal cielo» è una locuzione perifrastica per dire
«da Dio»: corrisponde al divieto che i Giudei avevano (e hanno) di pronunciare il nome di
Dio. Analogo fenomeno si riscontra in Mc 1,11; 8,11; 9,7.
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9.
¦>: (= ¦i), prep. propria con valore di origine, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
•<hDfBT<: sost., gen. plur. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di origine. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è
frequente nel greco ellenistico.
•B@iD\h0JX: verbo, 2a pers. plur. imperat. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33.
:@4: pron. personale di 1a pers. dat. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 2,14; compl. di termine.
Mc 11,31 799

11,31 i" *4g8@(\.@<J@ BDÎH ©"LJ@×H 8X(@<JgHs z+< gÇBT:g<s z+> @ÛD"<@Øs
¦DgÃs )4 J\ [@Þ<] @Ûi ¦B4FJgbF"Jg "ÛJèp
11,31 Essi si misero a ragionare tra loro dicendo: «Se rispondiamo “Da Dio”, egli dirà:
“Perché allora non gli avete creduto?”.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
*4g8@(\.@<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. medio da *4"8@(\.@:"4 (da *4V e
8@(\.@:"4), ragionare, esaminare, confrontare, deliberare, discutere; cf. Mc 2,6.
Imperfetto durativo o iterativo.
BD`H: prep. propria con valore locale (di persone), seguita dall’accusativo, indecl., dinanzi a,
alla presenza di, tra; cf. Mc 1,5.
©"LJ@bH: pron. riflessivo, acc. plur. m. da ©"LJ@Ø, –­H, –@Ø (non usato al nominativo), lui, lui
stesso, esso; cf. Mc 1,27; compl. di stato in luogo. Il riflessivo della terza persona viene usato
per stabilire l’identità con le persone che parlano o agiscono. Talvolta, come qui, sostituisce
il pronome reciproco •88Z8T< (l’un l’altro, a vicenda). Analogo fenomeno in Mc 1,27;
10,26; 12,7; 14,4; 16,3. La frase è, tuttavia, equivoca, potendo significare: a) si misero a
ragionare tra loro (ossia a discutere insieme); b) si misero a ragionare interiormente, ciascuno
per conto proprio. La prima ipotesi è più probabile, poiché Marco usa altrove la formula
BDÎH ©"LJ@bH per una discussione esteriore (cf. le citazioni sopra riportate; cf. anche BDÎH
•88Z8@LH in Mc 8,16), mentre per il dibattito interiore di natura psicologica utilizza la
preposizione ¦< (cf. Mc 2,8: ¦< ©"LJ@ÃH).
8X(@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso @Ê •DP4gDgÃH
i"Â @Ê (D"::"JgÃH i"Â @Ê BDgF$bJgD@4.
z+V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
gÇBT:g<: verbo, 1a pers. plur. congiunt. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere,
esortare; cf. Mc 1,7.
z+>: (= ¦i), prep. propria con valore di origine, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
@ÛD"<@Ø: sost., gen. sing. m. da @ÛD"<`H, –@Ø, cielo, volta celeste; cf. Mc 1,10; compl. di
origine. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è
frequente nel greco ellenistico.
¦DgÃ: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
)4V: prep. propria di valore causale, seguita dall’accusativo, indecl., a causa di, a motivo di, per;
cf. Mc 2,1.
J\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24. L’espressione *4 J\ è una forma enfatica al posto
dell’usuale avverbio interrogativo «perché?»: la formula si trova in Mc 2,18; 7,5; 11,31.
800 Mc 11,32

[@Þ<: cong. conclusiva, indecl., dunque, pertanto; cf. Mc 10,9. La congiunzione è presente nei
codici !, B, C2, D, 1, f1, f13, 33, 2427; è assente, invece, in A, C*, L, W, ), Q, 28, 565, 892,
1241. L’eventuale aggiunta o omissione della congiunzione è in ogni caso assolutamente
ininfluente per la retta comprensione del testo.].
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
¦B4FJgbF"Jg: verbo, 2a pers. plur. ind. aor. da B4FJgbT, credere, fidarsi di, dare fiducia a; cf.
Mc 1,15.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.

11,32 •88 gÇBT:g<s z+> •<hDfBT<p ¦n@$@Ø<J@ JÎ< ÐP8@<· žB"<JgH (D gÉP@<
JÎ< z3TV<<0< Ð<JTH ÓJ4 BD@nZJ0H µ<.
11,32 Ma come possiamo dire: “Dagli uomini”?». Temevano, infatti, la folla, perché tutti
consideravano Giovanni come un vero profeta.

•88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno; cf. Mc 1,44.
gÇBT:g<: verbo, 1a pers. plur. congiunt. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere,
esortare; cf. Mc 1,7. Questa forma verbale costituisce ciò che viene definito un “congiuntivo
esortativo”: il verbo, al modo congiuntivo all’interno di una proposizione principale, è sempre
in prima persona ed è usato per esprimere una esortazione, un incitamento, un incoraggia-
mento, come se si trattasse della prima persona del modo imperativo. Per altri esempi di
congiuntivo esortativo cf. Mc 1,38; 4,35; 9,5; 11,32; 12,7; 14,42; 15,36. L’espressione •88
gÇBT:g< è ellittica: viene sottintesa la congiunzione condizionale ¦V<.
z+>: (= ¦i), prep. propria con valore di origine, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
•<hDfBT<: sost., gen. plur. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di origine. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è
frequente nel greco ellenistico.
¦n@$@Ø<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. medio da n@$XT, mettere in fuga, scacciare,
spaventare (att.); fuggire, avere paura, temere (mediopass.); cf. Mc 4,41. Imperfetto
durativo o iterativo.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ÐP8@<: sost., acc. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; compl. oggetto.
žB"<JgH: pron. indefinito, nom. plur. m. da žB"H, žB"F", žB"<, tutto, tutto intero; pl. tutti,
tutti quanti; soggetto; cf. Mc 1,27.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
gÉP@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
Mc 11,33 801

z3TV<<0<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z3TV<<0H, –@L, Giovanni; cf. Mc
1,4; compl. oggetto.
Ð<JTH: avv. di modo, indecl., veramente, in realtà, in verità. Il vocabolo ricorre 10 volte nel NT:
Mc 11,32 (hapax marciano); Lc 23,47; 24,34; Gv 8,36; 1Cor 14,25; Gal 3,21; 1Tm
5,3.5.16; 6,19. L’avverbio Ð<JTH, sebbene anteposto all’ÓJ4 recitativo, va unito al verbo
«essere»: «tutti ritenevano che Giovanni era stato realmente un profeta». La frase, tuttavia,
può anche essere resa facendo di «profeta» un complemento predicativo: «tutti ritenevano
Giovanni un vero profeta». Probabilmente si tratta di un latinismo fraseologico: «habebant
Ioannem quia vere propheta esse».
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.
BD@nZJ0H: nom. sing. m. da BD@nZJ0H, –@L, porta–voce, profeta; cf. Mc 1,2; predicato
nominale. Senza articolo perché generico.
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.

11,33 i" •B@iD4hX<JgH Jè z30F@Ø 8X(@LF4<s ?Ûi @Ç*":g<. i"Â Ò z30F@ØH 8X(g4
"ÛJ@ÃHs ?Û*¥ ¦(ã 8X(T ß:Ã< ¦< B@\‘ ¦>@LF\‘ J"ØJ" B@4ä.
11,33 Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». E Gesù disse loro: «Neanche io vi
dico con quale autorità faccio queste cose».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•B@iD4hX<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33. Participio predicativo di valore espletivo del
soggetto sottinteso @Ê •DP4gDgÃH i" @Ê (D"::"JgÃH i" @Ê BDgF$bJgD@4.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
z30F@Ø: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
compl. di termine.
8X(@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Presente storico. L’espressione •B@iD4hg\H… 8X(g4, •B@iD4hg\H… gÉBg<
è ricalcata sull’ebraico 9/ G !J&H… 03HHH&, wayya‘an… wayyo) ’mer, «rispondendo… dice»,
«rispondendo… disse» (cf. Gb 8,1, ecc.). Si tratta di una tipica locuzione semitica ridondante
che può essere tradotta semplicemente con «dissero», «risposero», «replicarono» e simili. Si
deve osservare, inoltre, che il verbo •B@iD\<@:"4 è usato con valore semitico anche
quando (come qui) non si tratta di dare una risposta a una precisa domanda, ma soltanto
intervenire con una affermazione o una richiesta. Questa formula ricorre 16 volte in Marco
(cf. Mc 3,33; 6,37; 7,28; 8,29; 9,5.19; 10,3.24.51; 11,14.22.33; 12,35; 14,48; 15,2.12).
?Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
@Ç*":g<: verbo, 1a pers. plur. ind. perf. da @É*" (una radice con valore di presente connessa a
gÉ*@<, aor. attivo di ÒDVT), vedere, percepire, discernere, conoscere, sapere; cf. Mc 1,24.
802 Mc 11,33

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. La formula redazionale 8X(g4
"ÛJ@ÃH ricorre 25 volte, esclusivamente riservata a Gesù (cf. Mc 1,38; 2,8.17.25; 3,4;
4,13.35; 5,39; 6,31.38.50; 7,18; 8,17; 9,35; 10,11.24.42; 11,2.22.33; 12,16; 14,13.27.34.41).
Per quanto riguarda la formula singolare 8X(g4 "ÛJè, avente come soggetto Gesù, cf. Mc
1,41.44; 2,14; 5,9.19; 7,34; per 8X(g4 "ÛJ± cf. Mc 5,41.
?Û*X: avv. di negazione di valore oggettivo, indecl., né, non, neanche, nemmeno; cf. Mc 4,22.
¦(f: pron. personale di 1a pers. nom. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc.
¦:X/:g), io, me; cf. Mc 1,8; soggetto.
8X(T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. La forma verbale 8X(T ricorre in Mc 20 volte (cf. Mc 2,11; 3,28; 5,41; 8,12;
9,1.13.41; 10,15.29; 11,23.24.33; 12,43; 13,30.37[x2]; 14,9.18.25.30): essa è usata soltanto
da Gesù, ossia è esclusivamente Gesù che parla del proprio parlare e ne sottolinea la forza,
l’insistenza e la validità.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine.
¦<: prep. propria di valore strumentale, seguita dal dativo, indecl., con, per mezzo di; cf. Mc 1,2.
B@\‘: agg. interrogativo (qui interrogativa indiretta), dat. sing. f. da B@Ã@H, –", –@<, quale? di
che genere?; cf. Mc 11,28; attributo di ¦>@LF\‘.
¦>@LF\‘: sost., dat. sing. f. da ¦>@LF\", –"H (da §>g4:4), potere, autorità, abilità, forza; cf. Mc
1,22; compl. di mezzo. L’espressione ¦< B@\‘ ¦>@LF\‘ è un esempio di ¦< strumentale
dovuto a influsso semitico: la preposizione greca traduce quella corrispondente ebraica (vA,
be), impiegata per esprimere non un complemento di luogo, ma di mezzo o strumento.
Ritroviamo questo uso particolare in Mc 1,8; 3,22.23; 4,2.11.24.30; 6,14; 9,29.38.50;
11,28.29.33; 12,1.36.38; 16,17.
J"ØJ": pron. dimostrativo, acc. plur. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 2,8; compl.
oggetto.
B@4ä: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere, compiere;
cf. Mc 1,3.
Mc 12,1

12,1 5" ³D>"J@ "ÛJ@ÃH ¦< B"D"$@8"ÃH 8"8gÃ<s z!:Bg8ä<" –<hDTB@H ¦nbJgL-
Fg< i"Â BgD4Xh0ig< nD"(:Î< i"Â êDL>g< ßB@8Z<4@< i"Â íi@*`:0Fg<
BbD(@< i" ¦>X*gJ@ "ÛJÎ< (gTD(@ÃH i" •Bg*Z:0Fg<.
12,1 Poi cominciò a parlare loro in parabole: «Un uomo piantò una vigna, la circondò con
una siepe, scavò un tino, costruì una torre, poi la diede in affitto a dei contadini e se
ne andò lontano.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


³D>"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da –DPT, dare inizio, cominciare; cf. Mc 1,45. La
frase ³D>"J@ / ³D>"<J@ seguita da un infinito come complemento è usata da Marco 26
volte (cf. Mc 1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32; 10,28.32.41.47; 11,15; 12,1;
13,5; 14,19.33.65.69.71; 15,8.18). La frequenza di questa formula è dovuta probabilmente
a influsso semitico: quasi sempre equivale a una perifrasi nella quale il verbo –DPT, di
valore pleonastico, può essere omesso, mentre l’infinito dipendente viene reso con la 3a
persona dell’indicativo aoristo o imperfetto corrispondente.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
¦<: prep. propria di valore strumentale, seguita dal dativo, indecl., con, per mezzo di; cf. Mc 1,2.
B"D"$@8"ÃH: sost., dat. plur. f. da B"D"$@8Z, –­H, confronto, paragone, similitudine,
parabola; cf. Mc 3,23; compl. di mezzo. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate
con preposizioni, come qui, è frequente nel greco ellenistico. L’espressione ¦< B"D"$@8"ÃH
è un esempio di ¦< strumentale dovuto a influsso semitico: la preposizione greca traduce
quella corrispondente ebraica (vA, be), impiegata per esprimere non un complemento di luogo,
ma di mezzo o strumento. Ritroviamo questo uso particolare in Mc 1,8; 3,22.23; 4,2.11.
24.30; 6,14; 9,29.38.50; 11,28.29.33; 12,1.36.38; 16,17.
8"8gÃ<: verbo, inf. pres. da 8"8XT, parlare, dire; cf. Mc 1,34.
z!:Bg8ä<": sost., acc. sing. m. da •:Bg8f<, ä<@H, vigna, vigneto; compl. oggetto. Senza
articolo perché generica e non ancora menzionata. Il vocabolo ricorre 23 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 10 volte in Matteo (corrispondente allo 0,055% del
totale delle parole); 5 volte in Marco (cf. Mc 12,1.2.8.9[x2] = 0,044%); 7 volte in Luca
(0,036%). Il sostantivo •:Bg8f< indica nella grecità il «vigneto» (cf. Plutarco, Marius,
21,7,2). L’immagine della vigna è familiare al mondo giudaico: nella letteratura biblica essa
è ampiamente utilizzata come simbolo del popolo di Israele (cf. Os 10,1; Ger 2,21; Ez 19,10;
Sal 80,9). Gesù riprende questa concezione all’interno della sua parabola allegorizzante:
facendo riferimento a Is 5,1–7 illustra il rifiuto dei profeti (= i «servi») e dello stesso figlio
di Dio (= il «figlio unico») da parte delle autorità d’Israele (= i «vignaioli») e il conseguente
passaggio della salvezza da Israele (= la «vigna») ai pagani (= gli «altri»), voluto e messo in
atto da Dio (= il «padrone»).
–<hDTB@H: sost., nom. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17;
soggetto. È probabile che il vocabolo sia qui usato alla maniera semitica, al posto del

803
804 Mc 12,1

pronome indefinito J\H, «uno», «qualcuno», «un certo». Questo fenomeno si riscontra in Mc
1,23; 3,1; 4,26; 5,2; 7,11; 8,27.36.37; 10,7.9; 11,2; 12,1.14; 13,34.
¦nbJgLFg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da nLJgbT, piantare. Questo verbo ricorre 11 volte
nel NT: Mt 15,13; 21,33; Mc 12,1 (hapax marciano); Lc 13,6; 17,6.28; 20,9; 1Cor 3,6.7.8;
9,7. Già da Omero il verbo nLJgbT è utilizzato nel significato proprio di «piantare»,
«coltivare» (cf. Omero, Il., 6,419; Od., 9,108). L’espressione •:Bg8ä<" ¦nbJgLFg<, per
indicare l’atto di piantare una vigna, è un biblicismo (cf. Gn 9,20; Dt 20,6; 28,30.39; Sal
107,37; Qo 2,4; Am 5,11; 9,14; Is 5,2; 37,30; Ger 2,21; 31,5; Ez 19,10; 28,26; 1Mac 3,56;
1Esd., 4,16).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BgD4Xh0ig<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da BgD4J\h0:4 (da BgD\ e J\h0:4), mettere
intorno, circondare. Questo verbo ricorre 8 volte nel NT: Mt 21,33; 27,28.48; Mc 12,1;
15,17.36; Gv 19,29; 1Cor 12,23. In senso letterale proprio il verbo BgD4J\h0:4 è usato
nella grecità nel significato di «porre attorno», «cingere» (cf. Aristofane, Eq., 1228; Platone,
Alc. II, 151a; Erodoto, Hist., 8,52,1).
nD"(:`<: sost., acc. sing. m. da nD"(:`H, –@Ø, siepe, recinto; compl. oggetto. Senza articolo
perché generico. Il vocabolo ricorre 4 volte nel NT: Mt 21,33; Mc 12,1 (hapax marciano);
Lc 14,23; Ef 2,14. In conformità all’uso classico il sostantivo nD"(:`H è qui impiegato nel
significato di «recinto», «palizzata», realizzata con pali di legno, fronde, ecc. (cf. Senofonte,
Cyn., 11,4; Teocrito, Idyl., 5,108) oppure in quello di «fortificazione», «riparo», costruito più
solidamente con pietre (cf. Erodoto, Hist., 7,142,2).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
êDL>g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ÏDbFFT, vangare, scavare. Questo verbo ricorre 3
volte nel NT: Mt 21,33; 25,18; Mc 12,1 (hapax marciano). Nell’uso classico il verbo
ÏDbFFT è impiegato nel significato proprio di «scavare» (cf. Omero, Il., 7,341; Senofonte,
Cyr., 7,5,9).
ßB@8Z<4@<: sost., acc. sing. n. da ßB@8Z<4@< (da ßB` e 80<`H), tino, tinozza, torchio; compl.
oggetto. Senza articolo perché generico. Hapax neotestamentario. Il vocabolo (analogamente
al sinonimo ßB@80<\H, cf. Callimaco, Hym., 3,166) indica non il torchio, ma propriamente
la vasca in pietra scavata sotto il tino (cf. Gl 4,13; Ag 2,16; Is 16,10; Zc 14,10, LXX),
destinata a raccogliere il mosto spremuto dalle uva in vista della fermentazione e produzione
del vino. Nell’area del Vicino Oriente il tino era formato da una vasca superiore scavata
nella roccia nella quale venivano pigiate le uva mature; il mosto si raccoglieva, mediante un
condotto, nella vasca inferiore da dove, filtrato, veniva riposto in giare o anfore per
completare la fermentazione. Una raffigurazione di tale sistema è quella che compare
nell’affresco egiziano proveniente dalla tomba di Nath, a Seith Abd el–Qurnah. A Gabaon,
in Palestina, sono state rinvenuti numerosi esemplari di tini in pietra.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
íi@*`:0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da @Æi@*@:XT, costruire, edificare. Questo verbo
ricorre 40 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 8 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,044% del totale delle parole); 4 volte in Marco (cf. Mc 12,1.10; 14,58;
Mc 12,1 805

15,29 = 0,035%); 12 volte in Luca (0,062%); 1 volta in Giovanni (0,006%). Analogamente


a quanto avviene nel greco classico (cf. Erodoto, Hist., 1,21,1) nel NT il significato primo e
oggettivo di @Æi@*@:XT è quello letterale proprio di «costruire», unito ai più disparati
complementi oggetti (un tempio, una casa, un deposito, un sepolcro, ecc.). L’uso traslato,
sebbene ugualmente attestato nella grecità come nella Bibbia, non è presente in Marco, anche
se in Mc 14,58; 15,29 il verbo acquista una impronta teologica.
BbD(@<: sost., acc. sing. m. da BbD(@H, –@L, torre, torrione; compl. oggetto. Senza articolo
perché generico. Il vocabolo ricorre 4 volte nel NT: Mt 21,33; Mc 12,1 (hapax marciano);
Lc 13,4; 14,28. L’etimologia del termine è controversa; esso, tuttavia, è presente nel greco
classico con una vasta gamma di significati: «torre», «muro fortificato», «fortezza», «rocca»
(cf. Omero, Il., 3,153; 7,219; Od., 6,262; Erodoto, Hist., 3,74,3). Nei LXX BbD(@H ricorre
circa 80 volte, dove traduce quasi sempre il corrispettivo termine ebraico -y I #A/
E , mig) da) l,
«torre fortificata», per indicare sia la fortezza militare sia la torre per usi civili, come, ad
esempio, la torre per la sorveglianza e la protezione del gregge nelle campagne (cf. Mic 4,8;
1Cr 27,25, ecc.). Qui si sta facendo particolare riferimento alla torre di sorveglianza dei
vigneti, solitamente presente nei terreni più estesi. In Is 5,2 la torre di guardia nella vigna è
chiamata -y I #A/
E / BbD(@H. Si trattava di una costruzione in pietra, senza vani interni e con
una scala esterna, dall’alto della quale il custode poteva osservare ciò che succedeva
all’intorno.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦>X*gJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da ¦i*\*T:4 (da ¦i e *\*T:4), dare, affidare,
affittare. Questo verbo ricorre 4 volte nel NT: Mt 21,33.41; Mc 12,1 (hapax marciano); Lc
20,9. Nella grecità il verbo ¦i*\*T:4 può essere usato sia nel significato generico di «dare»
(cf. Omero, Il., 3,459; Erodoto, Hist., 1,3,2) sia in quello di «consegnare», «affidare» (cf.
Platone, Parm., 127a) sia in quello tecnico di «affittare» (cf. Erodoto, Hist., 1,68,5), come nel
nostro caso.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
(gTD(@ÃH: sost., dat. plur. m. da (gTD(`H, –@Ø, agricoltore, vignaiolo; compl. di termine.
Senza articolo perché generici e non ancora menzionati. Il vocabolo ricorre 19 volte nel NT:
Mt 21,33.34.35.38.40.41; Mc 12,1.2[x2].7.9; Lc 20,9.10[x2].14.16; Gv 15,1; 2Tm 2,6; Gc
5,7. Sostanzialmente il (gTD(`H (dalla radice (gTD(– di (gTD(XT, «lavorare la terra» e
suffisso aggettivale –@H) indica chi lavora la terra, ossia l’agricoltore, il coltivatore (cf.
Erodoto, Hist., 4,18,1). A seconda del contesto può assumere il significato più circoscritto di
giardiniere, ortolano, vignaiolo, ecc. Nei vangeli il termine è utilizzato soltanto all’interno
della parabola dei «cattivi vignaioli». Molto probabilmente lo sfondo socioculturale della
parabola è quello corrispondente alle usanze economiche e giuridiche del tempo, in
particolare riguardo alla concessione in affitto di terreni coltivabili da parte di proprietari
latifondisti. Si discute se nel quadro allegorico della parabola questi agricoltori affittuari siano
i capi del popolo (cf. una analoga situazione in Mc 12,12; Lc 20,19) oppure più generica-
mente tutti gli Israeliti.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
806 Mc 12,2

•Bg*Z:0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •B@*0:XT, emigrare, andare via. Questo
verbo ricorre 6 volte nel NT: Mt 21,33; 25,14.15; Mc 12,1 (hapax marciano); Lc 15,13;
20,9. Nel greco classico il verbo è usato prevalentemente in senso tecnico con il significato
di «essere assente [dalla patria]», «viaggiare all’estero», «emigrare» (cf. Erodoto, Hist., 1,29,1;
Senofonte, Cyr., 7,5,69). In senso generale indica il semplice «partire», «allontanarsi» (cf.
Platone, Leg., 954b; non attestato nei LXX).

12,2 i" •BXFJg48g< BDÎH J@×H (gTD(@×H Jè i"4Dè *@Ø8@< Ë<" B"D Jä<
(gTD(ä< 8V$® •BÎ Jä< i"DBä< J@Ø •:Bg8ä<@H·
12,2 Al momento opportuno mandò un servo dai contadini per ritirare, da quei contadini,
i frutti della vigna.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•BXFJg48g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •B@FJX88T (•B` e FJX88@:"4), inviare,
mandare; cf. Mc 1,2.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
(gTD(@bH: sost., acc. plur. m. da (gTD(`H, –@Ø, agricoltore, vignaiolo; cf. Mc 12,1; compl.
di moto a luogo.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
i"4Dè: sost., dat. sing. m. da i"4D`H, –@Ø, circostanza favorevole, tempo propizio, occasione
opportuna, giusta misura; cf. Mc 1,15; compl. di tempo determinato. Marco impiega il caso
dativo con valore temporale 12 volte: Mc 1,21; 2,24; 3,2.4; 6,21; 11,12; 12,2; 14,12.30;
15,34; 16,2.9. Altrove il dativo temporale è retto dalla preposizione ¦< (cf. Mc 1,9;
2,19.20.23; 4,35; 8,1; 10,30[x2]; 12,23; 13,11.17.24; 14,2; 15,7.29). La concisa espressione
temporale potrebbe fare velatamente allusione alla legislazione contenuta in Lv 19,23–25,
secondo cui era proibito mangiare i frutti di un albero per i primi tre anni, i frutti del quarto
anno dovevano essere destinati a Dio e soltanto i frutti del quinto anno potevano essere
mangiati.
*@Ø8@<: sost., acc. sing. m. da *@Ø8@H, –@L, schiavo, servo; cf. Mc 10,44; compl. oggetto.
Senza articolo perché generico: uno dei tanti.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
B"DV: prep. propria con valore di provenienza, seguita dal genitivo, indecl., da, da parte di; cf.
Mc 1,16.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
(gTD(ä<: sost., gen. plur. m. da (gTD(`H, –@Ø, agricoltore, vignaiolo; cf. Mc 12,1; compl.
di provenienza.
Mc 12,3 807

8V$®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da 8":$V<T, prendere, afferrare, raccogliere,
ricevere; cf. Mc 4,16.
•B`: prep. propria di valore partitivo, seguita dal genitivo, indecl., di; cf. Mc 1,9.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
i"DBä<: sost., gen. plur. m. da i"DB`H, –@Ø, frutto; cf. Mc 4,7; compl. partitivo.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•:Bg8ä<@H: sost., gen. sing. m. da •:Bg8f<, ä<@H, vigna, vigneto; cf. Mc 12,1; compl. di
specificazione.

12,3 i" 8"$`<JgH "ÛJÎ< §*g4D"< i" •BXFJg48"< ig<`<.


12,3 Ma essi lo presero, lo bastonarono e lo mandarono via a mani vuote.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


8"$`<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da 8":$V<T, prendere, afferrare, raccogliere,
ricevere; cf. Mc 4,16. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso
(gTD(@\.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
§*g4D"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da *XDT, colpire, battere, percuotere. Questo verbo
ricorre 15 volte nel NT: Mt 21,35; Mc 12,3.5; 13,9; Lc 12,47.48; 20,10.11; 22,63; Gv 18,23;
At 5,40; 16,37; 22,19; 1Cor 9,26; 2Cor 11,20. Nel significato primo il verbo *XDT è
impiegato nella grecità con il significato di «scorticare», «scuoiare» (cf. Omero, Il., 1,459;
Od., 19,421); per analogia il verbo acquista anche il senso di «maltrattare», «percuotere» (cf.
Aristofane, Ves., 485). Il soggetto implicito sono @Ê (gTD(@\, «i vignaioli», ricordati in Mc
12,1, i quali contro ogni diritto percuotono il legittimo servo/esattore inviato dal padrone. Nel
contesto dell’allegoria dei vignaioli la violenta reazione fa riferimento alla persecuzione del
servo/profeta dell’AT.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•BXFJg48"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •B@FJX88T (•B` e FJX88@:"4), inviare,
mandare; cf. Mc 1,2.
ig<`<: agg. qualificativo, acc. sing. m. da ig<`H, –Z, –`<, vuoto, nudo; compl. predicativo. Il
vocabolo ricorre 18 volte nel NT: Mc 12,3 (hapax marciano); Lc 1,53; 20,10.11; At 4,25;
1Cor 15,10.14[x2].58; 2Cor 6,1; Gal 2,2; Ef 5,6; Fil 2,16[x2]; Col 2,8; 1Ts 2,1; 3,5; Gc 2,20.
L’aggettivo ig<`H, oltre al significato letterale proprio di «vuoto», in riferimento al contenuto
di qualche realtà, è usato in senso traslato con un’ampia gamma di sfumature, suscettibili di
essere precisate a seconda del contesto. Nel nostro caso equivale alla locuzione italiana «a
vuoto», «a mani vuote» (cf. Omero, Il., 2,298; Od., 15,214; Eschilo, Sept., 353), ossia senza
aver ottenuto nulla. In questo senso è impiegato nei LXX dove traduce il corrispondente
ebraico .8 I *9F, rêqa) m (cf. Gn 31,42; Dt 15,13; 16,16; 1Sam 6,3; Gb 22,9).
808 Mc 12,4–5

12,4 i" BV84< •BXFJg48g< BDÎH "ÛJ@×H –88@< *@Ø8@<· i•igÃ<@< ¦ign"8\TF"<
i"Â ²J\:"F"<.
12,4 Mandò loro di nuovo un altro servo: anche quello lo colpirono sulla testa e lo
insultarono.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
•BXFJg48g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •B@FJX88T (•B` e FJX88@:"4), inviare,
mandare; cf. Mc 1,2.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di moto a luogo.
–88@<: agg. indefinito, acc. sing. m. da –88@H, –0, –@, altro, un altro; cf. Mc 4,5; attributo di
*@Ø8@<.
*@Ø8@<: sost., acc. sing. m. da *@Ø8@H, –@L, schiavo, servo; cf. Mc 10,44; compl. oggetto.
i•igÃ<@<: (= i"\ ¦igÃ<@H, per crasi), cong. coordinativa di valore copulativo seguita dal pron.
dimostrativo, acc. sing. m. da ¦igÃ<@H, –0, –@, e anche quello, e anche questo; compl.
oggetto. Per i"\ cf. Mc 1,4; per ¦igÃ<@H cf. Mc 1,9. Il vocabolo ricorre 22 volte nel NT per
esprimere un riferimento a persona o cosa menzionata poco prima: Mt 15,18; 23,23; Mc
12,4.5; 16,11.13; Lc 11,7.42; 20,11; 22,12; Gv 6,57; 7,29; 10,16; 14,12; 17,24; At 5,37;
15,11; 18,19; Rm 11,23; 1Cor 10,6; 2Tm 2,12; Eb 4,2.
¦ign"8\TF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da ign"84`T, colpire in testa, percuotere il capo.
Hapax neotestamentario. Il vocabolo, a quanto sembra, è sconosciuto al greco classico ed
ellenistico. Molto probabilmente si tratta di una parola coniata dallo stesso evangelista Marco.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
²J\:"F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •J4:V.T, disonorare, insultare, disprezzare.
Questo verbo ricorre 7 volte nel NT: Mc 12,4 (hapax marciano); Lc 20,11; Gv 8,49; At
5,41; Rm 1,24; 2,23; Gc 2,6. In conformità alla sua etimologia (da •J4:– di •J4:VT, «non
onorato» e suffisso verbale –V.T a indicare una attività) il verbo assume il significato di
disonorare, oltraggiare, disprezzare qualcuno mediante giudizi, parole e comportamenti
offensivi (cf. Omero, Il., 9,450; Od., 6,283).

12,5 i" –88@< •BXFJg48g<· i•igÃ<@< •BXiJg4<"<s i" B@88@×H –88@LHs @áH
:¥< *XD@<JgHs @áH *¥ •B@iJX<<@<JgH.
12,5 Ne mandò un altro e questo lo uccisero; e poi molti altri ancora: alcuni li bastonarono,
altri li uccisero.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Mc 12,6 809

–88@<: pron. indefinito, acc. sing. m. da –88@H, –0, –@, altro, un altro; cf. Mc 4,5; compl.
oggetto.
•BXFJg48g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •B@FJX88T (•B` e FJX88@:"4), inviare,
mandare; cf. Mc 1,2.
i•igÃ<@<: (= i"\ ¦igÃ<@H, per crasi), cong. coordinativa di valore copulativo seguita dal pron.
dimostrativo, acc. sing. m. da ¦igÃ<@H, –0, –@, e anche quello, e anche questo; cf. Mc 12,4;
compl. oggetto. Per i"\ cf. Mc 1,4; per ¦igÃ<@H cf. Mc 1,9.
•BXiJg4<"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •B@iJg\<T (da •B` e iJg\<T), uccidere,
distruggere, far perire; cf. Mc 3,4.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
B@88@bH: agg. indefinito, acc. plur. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; attributo di –88@LH.
–88@LH: pron. indefinito, acc. plur. m. da –88@H, –0, –@, altro, un altro; cf. Mc 4,5; compl.
oggetto.
@àH: pron. relativo, acc. plur. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,26; compl. oggetto. Il
relativo ÓH ha talvolta valore di pronome dimostrativo o indefinito, specie nelle correlazioni:
qui equivale al pronome indefinito alcuni.
:X<: particella primaria, usata in correlazione al *X seguente, indecl., da una parte… dall’altra,
certo… tuttavia, mentre… invece, come… così; cf. Mc 4,4. Nella traduzione spesso può
essere omessa.
*XD@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da *XDT, colpire, battere, percuotere; cf. Mc 12,3.
Participio congiunto, da concordare con il soggetto •BXiJg4<"<.
@àH: pron. relativo, acc. plur. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,26; compl. oggetto.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
Qui è usata in correlazione al precedente :X< per distinguere una parola o una intera
proposizione dalla sua antecedente.
•B@iJX<<@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da •B@iJg\<T (da •B` e iJg\<T), uccidere,
distruggere, far perire; cf. Mc 3,4. Participio congiunto, da concordare con il soggetto
•BXiJg4<"<.

12,6 §J4 ª<" gÉPg< LÊÎ< •("B0J`<· •BXFJg48g< "ÛJÎ< §FP"J@< BDÎH "ÛJ@×H
8X(T< ÓJ4 z+<JD"BZF@<J"4 JÎ< LÊ`< :@L.
12,6 Gli restava ancora un unico figlio diletto: lo mandò loro per ultimo, dicendo:
“Avranno rispetto per mio figlio!”.

§J4: avv. aggiuntivo, indecl., ancora, nuovamente; cf. Mc 5,35.


ª<": agg. numerale, cardinale, acc. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; attributo di LÊ`<.
gÉPg<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
810 Mc 12,6

LÊ`<: sost., acc. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; compl. oggetto.
•("B0J`<: agg. qualificativo, acc. sing. m. da •("B0J`H, –Z, –`<, amato, caro, adorato,
prediletto; cf. Mc 1,11; attributo di LÊ`<. In Marco il vocabolo è rivolto sempre da Dio («la
voce celeste», «il padrone») nei riguardi di Gesù: direttamente nell’episodio del battesimo (cf.
Mc 1,11) e della trasfigurazione (cf. Mc 9,7); indirettamente all’interno della parabola dei
vignaioli omicidi (cf. Mc 12,6). Nella versione greca dei LXX il termine traduce l’ebraico
$*(EI*, ya) hEîd5, «unigenito», «unico» (cf. Gn 22,2.12.16; Gdc 11,34; Am 8,10; Ger 6,26; Zc
12,10).
•BXFJg48g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •B@FJX88T (•B` e FJX88@:"4), inviare,
mandare; cf. Mc 1,2.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
§FP"J@<: agg. qualificativo, di grado superlativo, acc. sing. m. da §FP"J@H, –0, –@<, estremo,
ultimo, infimo; cf. Mc 9,35; compl. predicativo.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di moto a luogo.
8X(T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo del soggetto sottinteso –<hDTB@H. L’uso di 8X(T dopo
i verbi cosiddetti dicendi («dire», «proclamare», «annunciare», «interrogare», «rispondere»,
«deliberare», ecc.), frequentissimo nel NT, è un ebraismo dovuto alla traduzione servile della
forma verbale 9J/!-F, le) ’mo) r, equivalente al gerundio «dicendo» e impiegata per introdurre
il discorso diretto, in sostituzione del segno grafico dei due punti (:), inesistente in ebraico
come in greco. Nelle traduzioni questa tipica forma può essere omessa.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
z+<JD"BZF@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. pass. da ¦<JDXBT (da ¦< e la radice di
JD@BZ), rispettare, riverire. Questo verbo ricorre 9 volte nel NT: Mt 21,37; Mc 12,6 (hapax
marciano); Lc 18,2.4; 20,13; 1Cor 4,14; 2Ts 3,18; Tt 2,8; Eb 12,9. Nella diatesi mediopassi-
va attestata nelle ricorrenze sinottiche, il verbo, costruito con l’accusativo, acquista il
significato di «volgersi con riguardo a», «avere rispetto di», secondo l’uso classico (cf.
Omero, Il., 15,554; Sofocle, Oed. tyr., 1226). Nei LXX ¦<JDXBT è spesso usato per
designare il sacro rispetto nei confronti di Dio e dei suoi inviati (cf. Es 10,3; Lv 26,41; 2Re
22,19; 2Cr 7,14; 12,7.12; 34,27; 36,12).
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
LÊ`<: sost., acc. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; compl. oggetto.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
Mc 12,7 811

appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).

12,7 ¦igÃ<@4 *¥ @Ê (gTD(@Â BDÎH ©"LJ@×H gÉB"< ÓJ4 ?âJ`H ¦FJ4< Ò i80D@<`:@H·
*gØJg •B@iJg\<T:g< "ÛJ`<s i" º:ä< §FJ"4 º i80D@<@:\".
12,7 Ma quei contadini dissero tra loro: “Questo è l’erede! Su, uccidiamolo e l’eredità sarà
nostra”.

¦igÃ<@4: agg. dimostrativo, nom. plur. m. da ¦igÃ<@H, –0, –@, quello, quegli, colui, esso; cf. Mc
1,9; attributo di (gTD(@\, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
(gTD(@\: sost., nom. plur. m. da (gTD(`H, –@Ø, agricoltore, vignaiolo; cf. Mc 12,1; soggetto.
BD`H: prep. propria con valore locale (di persone), seguita dall’accusativo, indecl., dinanzi a,
alla presenza di, tra; cf. Mc 1,5.
©"LJ@bH: pron. riflessivo, acc. plur. m. da ©"LJ@Ø, –­H, –@Ø (non usato al nominativo), lui, lui
stesso, esso; cf. Mc 1,27; compl. di stato in luogo. Il riflessivo della terza persona viene usato
per stabilire l’identità con le persone che parlano o agiscono. Talvolta, come nel nostro caso,
sostituisce il pronome reciproco •88Z8T< (l’un l’altro, a vicenda). Analogo fenomeno in
Mc 1,27; 10,26; 11,31; 14,4; 16,3.
gÉB"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
?âJ`H: pron. dimostrativo, nom. sing. m. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 2,7;
soggetto.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
i80D@<`:@H: sost., nom. sing. m. da i80D@<`:@H, –@L (da i8­D@H e la radice di <`:@H),
erede; predicato nominale. Il vocabolo ricorre 15 volte nel NT: Mt 21,38; Mc 12,7 (hapax
marciano); Lc 20,14; Rm 4,13.14; 8,17[x2]; Gal 3,29; 4,1.7; Tt 3,7; Eb 1,2; 6,17; 11,7; Gc
2,5. Nel greco classico i80D@<`:@H è termine tecnico per indicare l’«erede», sia esso
naturale, testamentario o legale (cf. Platone, Leg., 923c; Isocrate, Or., 19,9). Si conosce anche
un uso figurato indicante il «possessore» o fruitore di qualche bene materiale o spirituale.
*gØJg: interiez. impropria con valore esortativo (da *gØD@ e ÇJg, 2a pers. plur. imperat. pres. di
gÉ:4), indecl., via!, su!, suvvia!, orsù!, venite!; cf. Mc 1,17.
•B@iJg\<T:g<: verbo, 1a pers. plur. congiunt. aor. da •B@iJg\<T (da •B` e iJg\<T),
uccidere, distruggere, far perire; cf. Mc 3,4. Questa forma verbale costituisce ciò che viene
812 Mc 12,8

definito un “congiuntivo esortativo”: il verbo, al modo congiuntivo all’interno di una


proposizione principale, è sempre in prima persona ed è usato per esprimere una esortazione,
un incitamento, un incoraggiamento, come se si trattasse della prima persona del modo
imperativo. Per altri esempi di congiuntivo esortativo cf. Mc 1,38; 4,35; 9,5; 11,32; 12,7;
14,42; 15,36.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
º:ä<: pron. personale di 1a pers. gen. plur. da º:gÃH (gen. º:ä<, dat. º:Ã<, acc. º:H), noi;
cf. Mc 9,40; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona plurale («di noi» = «nostro»).
§FJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. medio da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente;
cf. Mc 1,6.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
i80D@<@:\": sost., nom. sing. f. da i80D@<@:\", –"H, eredità, proprietà; soggetto. Il
vocabolo ricorre 14 volte nel NT: Mt 21,38; Mc 12,7 (hapax marciano); Lc 12,13; 20,14;
At 7,5; 20,32; Gal 3,18; Ef 1,14.18; 5,5; Col 3,24; Eb 9,15; 11,8; 1Pt 1,4. Nella grecità il
sostantivo i80D@<@:\" indica l’«eredità», intesa come partecipazione o diritto dei beni
familiari (cf. Isocrate, Or., 19,43; Aristotele, Polit., 1309a 23). Nel diritto giudaico come del
resto in quello greco, egiziano ed ellenistico, il figlio o i figli erano eredi eo ipso, diversamen-
te da quanto avveniva nel diritto romano che, invece, riconosceva un’ampia libertà
testamentaria, per cui il figlio non necessariamente era l’erede dei beni paterni.

12,8 i" 8"$`<JgH •BXiJg4<"< "ÛJ`< i" ¦>X$"8@< "ÛJÎ< §>T J@Ø •:Bg8ä<@H.
12,8 Lo presero, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


8"$`<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da 8":$V<T, prendere, afferrare, raccogliere,
ricevere; cf. Mc 4,16. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso
(gTD(@\.
•BXiJg4<"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •B@iJg\<T (da •B` e iJg\<T), uccidere,
distruggere, far perire; cf. Mc 3,4.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦>X$"8@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da ¦i$V88T (da ¦i e $V88T), scacciare, mandare
via, fare uscire, espellere; cf. Mc 1,12.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
Mc 12,9 813

§>T: prep. impropria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., fuori da, al di fuori di,
esternamente a, all’esterno di; cf. Mc 1,45.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•:Bg8ä<@H: sost., gen. sing. m. da •:Bg8f<, ä<@H, vigna, vigneto; cf. Mc 12,1; compl. di
moto da luogo.

12,9 J\ [@Þ<] B@4ZFg4 Ò ibD4@H J@Ø •:Bg8ä<@Hp ¦8gbFgJ"4 i" •B@8XFg4 J@×H
(gTD(@bH i" *fFg4 JÎ< •:Bg8ä<" –88@4H.
12,9 Che cosa farà il padrone della vigna? Verrà, ucciderà i contadini e darà la vigna ad
altri.

J\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; compl. oggetto.
[@Þ<: cong. conclusiva, indecl., dunque, pertanto; cf. Mc 10,9. La congiunzione è presente nei
codici !, A, C, D, W, 1, Q, f1, f13; è assente, invece, in B, L, 892*, 2427. L’eventuale
aggiunta o omissione della congiunzione è in ogni caso assolutamente ininfluente per la retta
comprensione del testo.].
B@4ZFg4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere, compiere;
cf. Mc 1,3.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
ibD4@H: sost., nom. sing. m. da ibD4@H, –@L, signore, padrone, capo, Signore (riferito a Dio e
Gesù); cf. Mc 1,3; soggetto. Da un punto di vista grammaticale, analogamente a quanto
avviene altrove (cf. Mc 2,28; 11,3; 13,35), il termine assume qui il significato letterale
proprio di «padrone», «proprietario» (eb. -3Hv H , ba‘al), senza alcuna designazione teologica.
È soltanto alla luce dell’insieme degli elementi allegorici che il vocabolo designa Dio, il
«Signore» per antonomasia.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•:Bg8ä<@H: sost., gen. sing. m. da •:Bg8f<, ä<@H, vigna, vigneto; cf. Mc 12,1; compl. di
specificazione.
¦8gbFgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•B@8XFg4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. da •B`88L:4, perdere, rovinare, distruggere, togliere
di mezzo, sopprimere, uccidere; cf. Mc 1,24.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
(gTD(@bH: sost., acc. plur. m. da (gTD(`H, –@Ø, agricoltore, vignaiolo; cf. Mc 12,1; compl.
oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
*fFg4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26.
814 Mc 12,10

J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
•:Bg8ä<": sost., acc. sing. m. da •:Bg8f<, ä<@H, vigna, vigneto; cf. Mc 12,1; compl.
oggetto.
–88@4H: pron. indefinito, dat. plur. m. da –88@H, –0, –@, altro, un altro; cf. Mc 4,5; compl. di
termine.

12,10 @Û*¥ J¬< (D"n¬< J"bJ0< •<X(<TJgs 7\h@< Ô< •Bg*@i\:"F"< @Ê


@Æi@*@:@Ø<JgHs @âJ@H ¦(g<Zh0 gÆH ign"8¬< (T<\"H·
12,10 Non avete letto questa Scrittura: “La pietra che i costruttori hanno scartato è
diventata la pietra d’angolo;

@Û*X: avv. di negazione di valore oggettivo, indecl., né, non, neanche, nemmeno; cf. Mc 4,22.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
(D"nZ<: sost., acc. sing. f. da (D"nZ, –­H, scritta, Sacra Scrittura, passo della Sacra
Scrittura; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 50 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli
è la seguente: 4 volte in Matteo (corrispondente allo 0,022% del totale delle parole); 3 volte
in Marco (cf. Mc 12,10.24; 14,49 = 0,027%); 4 volte in Luca (0,021%); 12 volte in
Giovanni (0,077%). Nella grecità il sostantivo (D"nZ indica, come concetto generale, la
«scrittura» (cf. Platone, Phaedr., 274b), lo «scritto» (cf. Sofocle, Trach., 683), ossia tutto «ciò
che è scritto», suscettibile di ulteriori significati in base al contesto (lettera, iscrizione,
documento, elenco, trattato, libro, ecc.). Nel NT questo termine, usato nella forma assoluta
singolare o plurale, indica sempre la «[sacra] Scrittura», ossia ciò che nel linguaggio cristiano
è chiamato Antico Testamento. In alcuni casi, come qui, indica un singolo passo della Sacra
Scrittura (il rimando è a Sal 118,22–23). Soltanto in due occasioni il vocabolo è impiegato
per indicare parti del NT: in 1Tm 5,18b come citazione del passo di Lc 10,7 e in 2Pt 3,16
per le lettere di Paolo, equiparate alle Sacre Scritture dell’AT.
J"bJ0<: pron. dimostrativo, acc. sing. f. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 4,13;
attributo di (D"nZ<, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
•<X(<TJg: verbo, 2a pers. plur. ind. aor. da •<"(4<fFiT (da •<V e (4<fFiT), riconoscere,
conoscere, leggere; cf. Mc 2,25.
7\h@<: sost., acc. sing. m. da 8\h@H, –@L, pietra, sasso; cf. Mc 5,5; compl. oggetto. Senza
articolo perché generica.
Ó<: pron. relativo, acc. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 6,16.
•Bg*@i\:"F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •B@*@i4:V.T (da •B` e *@i4:V.T),
rigettare, ripudiare, respingere, rifiutare; cf. Mc 8,31.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
@Æi@*@:@Ø<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da @Æi@*@:XT,
costruire, edificare; cf. Mc 12,1; soggetto.
@âJ@H: pron. dimostrativo, nom. sing. m. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 2,7;
soggetto.
Mc 12,11 815

¦(g<Zh0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere, nascere,
essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4.
gÆH: prep. propria di valore modale, seguita dall’accusativo, indecl., secondo, conforme a, in; cf.
Mc 1,4. Un uso particolare di gÆH è quello chiamato “predicativo”, in unione a un sostantivo
che funge da predicato nominale o da complemento predicativo del soggetto: si tratta di un
semitismo dove gÆH corrisponde alla preposizione ebraica -A, le, con valore modale (cf. anche
Mc 10,8).
ign"8Z<: sost., acc. sing. f. da ign"8Z, –­H, testa, capo; cf. Mc 6,24; compl. predicativo.
(T<\"H: sost., gen. sing. f. da (T<\", –"H, angolo; compl. di specificazione. Il vocabolo
ricorre 9 volte nel NT: Mt 6,5; 21,42; Mc 12,10 (hapax marciano); Lc 20,17; At 4,11;
26,26; 1Pt 2,7; Ap 7,1; 20,8. Quando il nome reggente è privo di articolo (come qui) anche
il genitivo dipendente ne è solitamente sprovvisto. Il sostantivo (T<\" è usato nella grecità
nel significato di «angolo» (cf. Erodoto, Hist., 1,51,2; Platone, Meno, 84d). L’espressione
ign"8¬ (T<\"H è ricalcata su quella ebraica %IE –!J9, ro) ’š pinna) h, «testa d’angolo» (cf.
Sal 118,22). In senso letterale proprio l’espressione indica non la pietra di volta, quella posta
al centro di un arco (ossia la «chiave di volta»), ma la grossa e squadrata pietra posta alla
base angolare delle fondamenta di un edificio, per sorreggere e collegare le mura. Poiché tale
pietra doveva sostenere buona parte del peso e servire come interconnessione tra due mura
o pareti, era di qualità speciale e veniva scelta dai costruttori dopo attento esame. Qui avviene
il contrario: la pietra scartata dagli uomini, perché ritenuta non adatta, diventa per opera di
Dio la testata d’angolo. Lo sfondo di questa immagine è il detto di Is 28,16 sulla pietra
angolare del nuovo tempio, messa in atto da Dio stesso: «Ecco, io pongo alle fondamenta di
Sion una pietra ben squadrata, scelta, una pietra angolare (8\h@H •iD@(T<4"Ã@H, LXX)
preziosa per le sue fondamenta e chi farà affidamento su di essa non sarà deluso». Gli autori
neotestamentari riferiscono l’espressione ign"8¬< (T<\"H sempre a Cristo, per esplicitare
che la vera pietra angolare dell’edificio spirituale della Chiesa è lui: «Questo Gesù è la pietra
che, scartata da voi costruttori, è diventata testata d’angolo» (At 4,11); «Così, dunque, voi
non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati
sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo
Gesù» (Ef 2,19–20); «Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e
preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un
edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per
mezzo di Gesù Cristo. Si legge, infatti, nella Scrittura: Ecco io pongo in Sion una pietra
angolare, scelta, preziosa e chi crede in essa non resterà confuso. Onore, dunque, a voi che
credete; ma per gli increduli la pietra che i costruttori hanno scartato è divenuta la pietra
angolare, sasso d’inciampo e pietra di scandalo. Loro v’inciampano perché non credono alla
parola; a questo sono stati destinati» (1Pt 2,4–8).

12,11 B"D iLD\@L ¦(X<gJ@ "àJ0 i" §FJ4< h"L:"FJ¬ ¦< Ïnh"8:@ÃH º:ä<p
12,11 è il Signore che ha fatto questo ed è meraviglioso ai nostri occhi”?».
816 Mc 12,12

B"DV: prep. propria con valore di agente, seguita dal genitivo, indecl., da, da parte di; cf. Mc
1,16.
iLD\@L: sost., gen. sing. m. da ibD4@H, –@L, signore, padrone, capo, Signore (riferito a Dio e
Gesù); cf. Mc 1,3; compl. di agente.
¦(X<gJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4.
"àJ0: pron. dimostrativo, nom. sing. f. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 8,12;
soggetto. La forma femminile è dovuta a influsso semitico: l’ebraico usa il femminile al
posto del neutro greco.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
§FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
h"L:"FJZ: agg. qualificativo, nom. sing. f. da h"L:"FJ`H, –Z, –`<, meraviglioso, ammirevole,
mirabile, straordinario; predicato nominale. Il vocabolo ricorre 6 volte nel NT: Mt 21,42;
Mc 12,11 (hapax marciano); Gv 9,30; 1Pt 2,9; Ap 15,1.3. Nell’uso classico l’aggettivo
h"L:"FJ`H viene riferito sia a uomini che a cose e avvenimenti nel significato di
«meraviglioso», «straordinario» (cf. Platone, Phaed., 110c; Eschilo, Pers., 212). La forma
femminile, senza un corrispettivo termine reggente, è dovuta a influsso semitico: per
esprimere l’idea astratta l’ebraico usa il femminile al posto del neutro greco.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
Ïnh"8:@ÃH: sost., dat. plur. m. da Ïnh"8:`H, –@Ø, occhio; cf. Mc 7,22; compl. di stato in
luogo. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è
frequente nel greco ellenistico.
º:ä<: pron. personale di 1a pers. gen. plur. da º:gÃH (gen. º:ä<, dat. º:Ã<, acc. º:H), noi;
cf. Mc 9,40; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona plurale («di noi» = «nostro»).

12,12 5" ¦.ZJ@L< "ÛJÎ< iD"J­F"4s i" ¦n@$Zh0F"< JÎ< ÐP8@<s §(<TF"< (D
ÓJ4 BDÎH "ÛJ@×H J¬< B"D"$@8¬< gÉBg<. i" •nX<JgH "ÛJÎ< •B­8h@<.
12,12 Allora cercarono di catturarlo, ma ebbero paura della folla; avevano capito, infatti,
che aveva detto quella parabola contro di loro. Lo lasciarono e se ne andarono.

5"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.21.
26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.50.
53a.65a.72b; 15,2.
¦.ZJ@L<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da .0JXT, cercare (per trovare od ottenere), provare
a, tentare di; cf. Mc 1,37. Imperfetto durativo o iterativo.
Mc 12,13 817

"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
iD"J­F"4: verbo, inf. aor. da iD"JXT, tenere, prendere, afferrare, catturare; cf. Mc 1,31.
i"\: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, però; cf. Mc 1,4. Il
significato avversativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ adversativum)
si riscontra in Mc 1,13c; 3,7b.12.33a; 4,17a.19a.27d; 5,19a; 6,19b.20d.33a; 7,24b.28b;
8,12.16.29.30; 9,12a.30.31c.42a; 10,34; 12,12b.17a; 16,8c.
¦n@$Zh0F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. pass. da n@$XT, mettere in fuga, scacciare,
spaventare (att.); fuggire, avere paura, temere (mediopass.); cf. Mc 4,41.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ÐP8@<: sost., acc. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; compl. oggetto.
§(<TF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da (4<fFiT, percepire, sentire, conoscere, capire; cf.
Mc 4,13. L’aoristo ha qui valore di piuccheperfetto, come avviene altrove (cf. Mc 3,10; 8,14;
9,34; 12,12[x2]).
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.
BD`H: prep. propria di valore avversativo, seguita dall’accusativo, indecl., contro, nei riguardi
di; cf. Mc 1,5.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di relazione.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B"D"$@8Z<: sost., acc. sing. f. da B"D"$@8Z, –­H, confronto, paragone, similitudine,
parabola; cf. Mc 3,23; compl. oggetto.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7. L’aoristo ha qui valore di piuccheperfetto, come avviene altrove (cf. Mc 3,10; 8,14; 9,34;
12,12[x2]).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•nX<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare,
rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto
sottinteso @Ê •DP4gDgÃH i" @Ê (D"::"JgÃH i" @Ê BDgF$bJgD@4. Per altri esempi di
participio espletivo con il verbo •n\0:4 cf. Mc 4,36; 8,13; 12,12; 14,50.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
•B­8h@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •BXDP@:"4 (da •B` e §DP@:"4), andare via,
partire; cf. Mc 1,20.

12,13 5" •B@FJX88@LF4< BDÎH "ÛJ`< J4<"H Jä< M"D4F"\T< i" Jä< {/Då*4"-
<ä< Ë<" "ÛJÎ< •(DgbFTF4< 8`(å.
12,13 Mandarono da lui alcuni farisei ed erodiani per metterlo in difficoltà nel discorso.
818 Mc 12,14

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•B@FJX88@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da •B@FJX88T (•B` e FJX88@:"4), inviare,
mandare; cf. Mc 1,2. Presente storico. La forma impersonale presuppone che, soggetto
implicito, siano gli stessi sinedriti ai quali era stata rivolta la parabola dei vignaioli omicidi:
@Ê •DP4gDgÃH i" @Ê (D"::"JgÃH i" @Ê BDgF$bJgD@4 (Mc 11,27).
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di moto a luogo.
J4<"H: pron. indefinito (enclitico), acc. plur. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; compl. oggetto.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
M"D4F"\T<: sost., nome proprio di gruppo religioso, gen. plur. m. da M"D4F"Ã@H, –@L, farisei;
cf. Mc 2,16; compl. partitivo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
{/Då*4"<ä<: sost., nome proprio di setta, gen. plur. m. da {/Då*4"<@\, –ä< (plurale di una
parola derivata da {/Dæ*0H), Erodiani (= membri del partito di Erode); cf. Mc 3,6; compl.
partitivo.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
•(DgbFTF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. da •(DgbT, cacciare, catturare. Hapax
neotestamentario. Nel greco classico •(DgbT è impiegato quasi sempre in senso letterale
proprio, sia in forma transitiva (cf. Erodoto, Hist., 2,95,2; Euripide, Bacc., 434) sia in forma
assoluta (cf. Senofonte, Cyn., 12,6). Nel greco biblico prevale il significato metaforico di
«cogliere in laccio», «insidiare», «adescare» (cf. Gb 10,16; Prv 5,22; 6,25; Os 5,2).
8`(å: sost., dat. sing. m. da 8`(@H, –@L, parola; cf. Mc 1,45; compl. di mezzo.

12,14 i" ¦8h`<JgH 8X(@LF4< "ÛJès )4*VFi"8gs @Ç*":g< ÓJ4 •80h¬H gÉ i" @Û
:X8g4 F@4 BgD @Û*g<`H· @Û (D $8XBg4H gÆH BD`FTB@< •<hDfBT<s •88z ¦Bz
•80hg\"H J¬< Ò*Î< J@Ø hg@Ø *4*VFig4H· §>gFJ4< *@Ø<"4 i­<F@< 5"\F"D4 ´
@Üp *ä:g< ´ :¬ *ä:g<p
12,14 Essi vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei sincero e non hai soggezione
di nessuno, perché non guardi in faccia alle persone, ma insegni la via di Dio secondo
verità. È lecito o no pagare la tassa all’imperatore Cesare? La dobbiamo pagare o
no?».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Mc 12,14 819

¦8h`<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere,
farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del
soggetto sottinteso J4<"H Jä< M"D4F"\T< i"Â Jä< {/Då*4"<ä<.
8X(@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
)4*VFi"8g: sost., voc. sing. m. da *4*VFi"8@H, –@L, maestro, insegnante; cf. Mc 4,38;
compl. di vocazione.
@Ç*":g<: verbo, 1a pers. plur. ind. perf. da @É*" (una radice con valore di presente connessa a
gÉ*@<, aor. attivo di ÒDVT), vedere, percepire, discernere, conoscere, sapere; cf. Mc 1,24.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.
•80hZH: agg. qualificativo, nom. sing. m. da •80hZH, –XH, veritiero, sincero; predicato
nominale. Il vocabolo ricorre 26 volte nel NT: Mt 22,16; Mc 12,14 (hapax marciano); Gv
3,33; 4,18; 5,31.32; 6,55[x2]; 7,18; 8,13.14.17.26; 10,41; 19,35; 21,24; At 12,9; Rm 3,4;
2Cor 6,8; Fil 4,8; Tt 1,13; 1Pt 5,12; 2Pt 2,22; 1Gv 2,8.27; 3Gv 1,12. Già a partire da Omero
l’aggettivo •80hZH è usato nel senso di «vero» (cf. Omero, Il., 6,382; Od., 3,254). Nel
nostro caso l’aggettivo è modellato sul concetto di verità presente in Marco (cf. Mc 5,33;
14,70): si tratta di una sfumatura della gamma semantica di •8Zhg4" nel senso di «non
nascosto», ossia palese, manifesto, sincero, veritiero (cf. 2Cor 6,8; Gv 3,33).
gÉ: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc 1,6.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
:X8g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da :X8T (forma verbale usata nella terza persona
singolare, nel senso impersonale), preoccupare, darsi pensiero, importare, stare a cuore; cf.
Mc 4,38.
F@4: pron. personale di 2a pers. dat. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,11; compl. di termine. L’espressione @Û :X8g4 F@4, «non hai soggezione», riferita
a Gesù, ritorna in un contesto del tutto diverso in Mc 4,38.
BgD\: prep. propria con valore di argomento, seguita dal genitivo, indecl., intorno a, riguardo
a, nei confronti di, circa; cf. Mc 1,6.
@Û*g<`H: (da @Û*X e gÍH), pron. indefinito negativo, gen. sing. m. da @Û*g\H, @Û*g:\", @Û*X<,
nessuno, niente; cf. Mc 2,21; compl. di argomento.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
$8XBg4H: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da $8XBT, vedere, percepire, discernere, fare
attenzione; cf. Mc 4,12.
820 Mc 12,14

gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
BD`FTB@<: sost., acc. sing. n. da BD`FTB@<, –@L, faccia, viso, volto, fronte; cf. Mc 1,2;
compl. di moto a luogo. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni,
come qui, è frequente nel greco ellenistico. L’espressione @Û $8XBg4H gÆH BD`FTB@<
•<hDfBT<, «non guardi in faccia a nessuno», senza essere un vero semitismo (è usata
anche nella lingua italiana), è una frase idiomatica presente nella Bibbia nel significato
metaforico di «non fare distinzione tra una persona e un’altra», ossia non aver riguardo né
scrupolo né sudditanza di nessuno a motivo delle sua posizione sociale, religiosa o civile (cf.
Dt 1,17; 10,17; Lv 19,15; 1Sam 16,7; Prv 18,5; Sal 82,2; Is 3,9; Ml 2,9).
•<hDfBT<: sost., gen. plur. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di specificazione. L’impiego del vocabolo –<hDTB@H per il pronome indefinito J\H, «uno»,
«qualcuno» («nessuno» con negazione) è un semitismo. Qui la forma plurale sta per
«persone». Ritroviamo questo uso in Mc 1,23; 3,1; 4,26; 5,2; 7,11; 8,27.36.37; 10,7.9; 11,2;
12,1.14; 13,34.
•88z: (= •88V), cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però,
piuttosto, nondimeno; cf. Mc 1,44.
¦Bz: (= ¦B\), prep. propria di valore modale, seguita dal genitivo, indecl., con, secondo,
conforme a; cf. Mc 1,22.
•80hg\"H: sost., gen. sing. f. da •8Zhg4", –"H, verità; cf. Mc 5,33; compl. di modo. L’assenza
dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è frequente nel greco
ellenistico.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
Ò*`<: sost., acc. sing. f. da Ò*`H, –@Ø, strada, via; cf. Mc 1,2; compl. oggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione.
L’espressione º Ò*ÎH J@Ø hg@Ø, «la via di Dio», º Ò*`H J@Ø iLD\@L, «la via del Signore»
(cf. Mc 1,3), compare molto spesso nella Bibbia con due accezioni, tra loro poste in
relazione: a) può indicare il libero e sovrano agire di Dio nella storia che prevede determinati
piani o disegni sull’uomo e che sono a esso superiori (cf. Es 33,13; Gb 36,26; 37,23; Sal
67,3; Is 55,8). Queste «vie di Dio» sono sempre vie di salvezza. Dio conosce la via giusta
senza che debba chiedere consiglio a qualcuno (cf. Sal 18,31; 77,14; 145,17; Is 40,14). b)
Può indicare la condotta di vita che Dio comanda all’uomo: in questo senso, «la via di Dio»
corrisponde al modo di agire dell’uomo secondo i dettami della legge divina. Dio ordina
all’uomo di abbandonare la via cattiva e prendere quella giusta, osservando i suoi
comandamenti (cf. Es 32,8; Dt 5,33; 11,28; 30,16; Gdc 2,22; 1Re 8,58; Gb 21,14; Sal 25,8;
27,11; 86,11; Prv 4,18–19; Is 55,7; 58,2; Ger 7,23). Questa via corrispondente alla volontà
di Dio è buona e santa e conduce alla vita (cf. Dt 32,41; 1Sam 12,23; 1Re 8,36; Sal 16,11;
119,30.32–33; 145,17; Ger 6,16). Spesso, però, l’uomo non segue le «vie di Dio» perché
preferisce seguire le «vie dell’uomo», a rischio della propria salvezza (cf. Dt 11,28; Gb 34,27;
Sal 1,1.6; Prv 2,12–13.15; 10,9; 28,18; Is 55,7; 59,8; Ger 3,21; 25,5; Ml 2,8). Nel nostro
Mc 12,14 821

passo l’espressione deve essere intesa in questo secondo significato: non «la via che conduce
a Dio», ma «la via indicata da Dio».
*4*VFig4H: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da *4*VFiT, insegnare, istruire, ammaestrare; cf.
Mc 1,21.
§>gFJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da §>g4:4 (da ¦i e gÆ:\), è legale, è lecito, è permesso,
è possibile; cf. Mc 2,24.
*@Ø<"4: verbo, inf. aor. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26.
i­<F@<: sost., acc. sing. m. da i­<F@H, –@L, censo, tributo, imposta, tassa; compl. oggetto. Il
vocabolo ricorre 4 volte nel NT: Mt 17,25; 22,17.19; Mc 12,14 (hapax marciano).
Traslitterazione grecizzata della parola di origine latina census, «censo», termine tecnico del
linguaggio amministrativo romano. Si tratta del «tributum capitis» (= ¦B4ignV8"4@H), ossia
della tassa «pro capite», detta testatico, che ogni suddito doveva versare al fisco imperiale una
volta all’anno. Nella Palestina venne introdotta a iniziare da Pompeo (cf. Giuseppe Flavio,
Bellum, 1,154). Per un Ebreo pagare tale tassa equivaleva a riconoscere la dominazione
straniera e implicitamente la propria sottomissione. Inoltre il riconoscimento dell’imperatore
come signore (per di più straniero) della terra e del popolo era in aperto conflitto con la fede
in Dio, ritenuto quale unico Signore. Nella letteratura giudaica tale opprimente e ingiusta
imposta era definita «il dissanguamento del paese». Questa vessazione era talmente onerosa
che, nell’anno 17 d.C., «provinciae Syria atque Iudaea, fessae oneribus, deminutionem tributi
orabant», «le province di Siria e Giudea, oppresse dalle tasse, implorarono la diminuzione
del tributo» (Tacito, Ann., 2,42).
5"\F"D4: sost., nome proprio di persona, dat. sing. m. da 5"ÃF"D, –"D@H, Cesare; compl. di
termine. Il vocabolo ricorre 29 volte nel NT: Mt 22,17.21[x3]; Mc 12,14.16.17[x2]; Lc 2,1;
3,1; 20,22.24.25[x2]; 23,2; Gv 19,12[x2].15; At 17,7; 25,8.10.11.12[x2].21; 26,32; 27,24;
28,19; Fil 4,22. Traslitterazione grecizzata del nome proprio maschile di origine latina
Caesar, riferito al cognome del condottiero Giulio Cesare, della gens Iulia. Dopo la sua
morte il nome Caesar, unitamente al titolo Augustus, venne adottato come titolo onorifico
dagli imperatori romani fino ad Adriano. Il Cesare menzionato nei vangeli è l’imperatore
Tiberio, ossia Tiberius Iulius Caesar Augustus che regnò dal 14 al 37 d.C.
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9.
@Ü: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; la congiunzione equivale qui
all’avverbio di negazione «no».
*ä:g<: verbo, 1a pers. plur. congiunt. aor. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26. Congiuntivo
deliberativo. Da notare la forza della forma plurale con il chiaro intendimento di coinvolgere
il Maestro: «Dobbiamo (noi Ebrei, tu compreso) pagare il tributo o no?».
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
*ä:g<: verbo, 1a pers. plur. congiunt. aor. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26. Congiuntivo
deliberativo.
822 Mc 12,15

12,15 Ò *¥ gÆ*ãH "ÛJä< J¬< ßB`iD4F4< gÉBg< "ÛJ@ÃHs I\ :g Bg4DV.gJgp nXDgJX :@4
*0<VD4@< Ë<" Ç*T.
12,15 Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse: «Perché mi mettete alla prova?
Portatemi una moneta d’argento affinché possa vederla».

Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
gÆ*fH: verbo, nom. sing. m. part. perf. da @É*" (una radice con valore di presente connessa a
gÉ*@<, aor. attivo di ÒDVT), vedere, percepire, discernere, conoscere, sapere; cf. Mc 1,24.
Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH.
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona plurale
(«di essi» = «loro»).
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ßB`iD4F4<: sost., acc. sing. f. da ßB`iD4F4H, –gTH, ipocrisia, falsità; compl. oggetto. Il
vocabolo ricorre 6 volte nel NT: Mt 23,28; Mc 12,15 (hapax marciano); Lc 12,1; Gal 2,13;
1Tm 4,2; 1Pt 2,1. Analogamente a quanto è avvenuto per il sostantivo ßB@iD4JZH (cf. Mc
7,6) il sostantivo deverbale ßB`iD4F4H (da ßB@PD\<@:"4) nel corso del tempo ha subito
una trasformazione semantica. Inizialmente esso indicava la generica «risposta» o «replica»
a qualche domanda (cf. Erodoto, Hist., 1,116,1). Successivamente il sostantivo ha assunto
il significato circoscritto di «recitazione», in particolare quella sul palcoscenico (cf. Aristotele,
Eth. Nic., 1118a 8), al punto che l’ßB`iD4F4H veniva considerata come l’apice dell’arte
teatrale: º B8g\FJ0 *4"JD4$¬ i"Â Ò Fi@BÎH J­H ÏDP0FJ4iZH º ßB`iD4F\H ©FJ4<,
«l’intento principale e lo scopo della pantomima è la rappresentazione scenica» (Luciano,
Salt., 65,1). Per estensione il termine ßB`iD4F4H è passato a indicare la «declamazione» del
retore (cf. Aristotele, Rhet., 1386a 33), ottenuta non soltanto con la voce, ma con un insieme
di gesti e atteggiamenti che richiamavano l’arte teatrale. Poiché l’attore o il retore debbono
immedesimarsi in tutto e per tutto con il ruolo da loro assunti sulla scena o nella piazza,
cercando di simulare come meglio possono, nell’ultima fase semantica il vocabolo è passato
a indicare la «finzione», la «simulazione, l’«ipocrisia», considerata come atteggiamento
negativo a sé stante, non più collegato al contesto scenico iniziale (cf. Polibio, Hist., 35,2,13).
Questo significato peggiorativo è quello che ritroviamo nei LXX e nel NT, dove il vocabolo
ßB`iD4F4H indica l’ipocrisia mentale e comportamentale non priva di malvagità e
ßB@iD4JZH è definito colui che assume tale atteggiamento.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
Mc 12,16 823

I\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24. L’uso di J\ con il valore di «perché?» viene
spiegato come una specie di accusativo di specificazione o di relazione («di che cosa?», «in
relazione a che?»); cf. Mc 2,7.8.24; 4,40; 5,35.39; 8,12.17; 9,16.33; 10,18; 11,3; 12,15; 14,6.
:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,40; compl. oggetto.
Bg4DV.gJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da Bg4DV.T, provare, esaminare, saggiare, tentare,
mettere alla prova; cf. Mc 1,13.
nXDgJX: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da nXDT, portare; cf. Mc 1,32.
:@4: pron. personale di 1a pers. dat. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 2,14; compl. di termine.
*0<VD4@<: sost., acc. sing. n. da *0<VD4@<, –@L, denario, denaro; cf. Mc 6,37; compl.
oggetto. Senza articolo perché generico: un denaro qualsiasi. Il vocabolo *0<VD4@< è un
latinismo. La moneta per il pagamento del testatico era il denarius romano d’argento
(grammi 327,5) che recava nel diritto l’immagine dell’imperatore regnante, con la testa
coronata di alloro, segno della sua dignità divina, e attorno una iscrizione esplicativa.
L’espressione «di Cesare» (v. 16), in riferimento alla scritta e all’effige riprodotta sulla
moneta, conferma che si trattava di un denarius imperiale romano, coniato per la prima volta
a Roma verso la fine del III secolo a.C. Si deve sottolineare che non era una moneta coniata
da Giulio Cesare, perché il riferimento a «Cesare» è stato utilizzato come sinonimo di
imperatore a partire da Augusto (cf. sopra). Infatti, pur essendovi ancora in circolazione,
almeno a Roma e in Italia, denari di Giulio Cesare, erano però una quantità assai esigua
rispetto alle emissioni di nuovi denari messe in circolazione nell’impero con la riforma
monetaria di Augusto. Non siamo in grado di precisare se il denarius presentato a Gesù
appartenesse ad Augusto o a Tiberio, poiché entrambe le monete erano diffuse in Palestina
nel I secolo d.C. Per motivazioni di semplice convergenza storica è probabile che si trattasse
di un denarius di Tiberio (in carica dal 14 al 37 d.C.): in tal caso la scritta riportata attorno
alla testa coronata, nel diritto, era la seguente, come si può evincere dai numerosi esemplari
a tutt’oggi conservati: «TI[BERIVS] CAESAR DIVI AVG[VSTI] F[ILIVS] AVGVSTVS»,
«Ti[berio] Cesare Augusto, f[iglio] del divino Aug[usto]». Sul rovescio, attorno all’immagine
di Livia seduta in trono, con in mano lo scettro e un ramo di ulivo, compare la scritta
PONTIF[EX] MAXIM[VS], «Somm[o] Pontef[ice]».
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
Ç*T: verbo, 1a pers. sing. congiunt. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc
1,10.

12,16 @Ê *¥ ³<g(i"<. i"Â 8X(g4 "ÛJ@ÃHs I\<@H º gÆiã< "àJ0 i"Â º ¦B4(D"nZp @Ê *¥
gÉB"< "ÛJès 5"\F"D@H.
12,16 Ed essi gliela portarono. Allora disse loro: «Di chi è questa immagine e l’iscrizione?».
Gli risposero: «Dell’imperatore Cesare».
824 Mc 12,16

@Ê: art. determ., con valore pronominale, nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5;
soggetto. Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale
"ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
³<g(i"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da nXDT, portare; cf. Mc 1,32.
i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.21.
26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.50.
53a.65a.72b; 15,2.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. La formula redazionale 8X(g4
"ÛJ@ÃH ricorre 25 volte, esclusivamente riservata a Gesù (cf. Mc 1,38; 2,8.17.25; 3,4;
4,13.35; 5,39; 6,31.38.50; 7,18; 8,17; 9,35; 10,11.24.42; 11,2.22.33; 12,16; 14,13.27.34.41).
Per quanto riguarda la formula singolare 8X(g4 "ÛJè, avente come soggetto Gesù, cf. Mc
1,41.44; 2,14; 5,9.19; 7,34; per 8X(g4 "ÛJ± cf. Mc 5,41.
I\<@H: pron. interrogativo, gen. sing. m. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?,
che?, quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; compl. di specificazione.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
gÆif<: sost., nom. sing. f. da gÆif<, –`<@H, immagine, figura, ritratto; soggetto. Il vocabolo
ricorre 23 volte nel NT: Mt 22,20; Mc 12,16 (hapax marciano); Lc 20,24; Rm 1,23; 8,29;
1Cor 11,7; 15,49[x2]; 2Cor 3,18; 4,4; Col 1,15; 3,10; Eb 10,1; Ap 13,14.15[x3]; 14,9.11;
15,2; 16,2; 19,20; 20,4. Il termine gÆif<, «immagine» (cf. Erodoto, Hist., 2,130,2), usato qui
in senso letterale proprio in riferimento all’effigie dell’imperatore impressa sulla moneta, è
la parola chiave per la comprensione di questo loghion di Gesù. Il riferimento letterale e
storico è, anzitutto, alla proibizione presente in Es 20,4: «Non ti farai idolo né immagine
alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra né di ciò che è nelle
acque sotto la terra». Queste monete erano motivo di scandalo per il giudeo osservante sia
perché raffiguravano sovrani stranieri sia perché infrangevano il divieto divino delle
immagini sia, infine, perché recavano impressi simboli pagani. Ma c’è un intrinseco
richiamo “teologico” anche a Gn 1,27: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio
lo creò; maschio e femmina li creò». Chi è stato creato a immagine (gÆif<) di Dio non deve
né fare raffigurazioni di divinità né essere sottomesso ad altre immagini di divinità.
"àJ0: pron. dimostrativo, nom. sing. f. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 8,12;
attributo di gÆif<, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
¦B4(D"nZ: sost., nom. sing. f. da ¦B4(D"nZ, –­H, iscrizione, scritta, titolo; soggetto. Il
vocabolo ricorre 5 volte nel NT: Mt 22,20; Mc 12,16; 15,26; Lc 20,24; 23,38. Il sostantivo
Mc 12,17 825

¦B4(D"nZ, di formazione ellenistica, indica l’«epigrafe», apposta su pietre, statue, oggetti,


ecc. (cf. Polibio, Hist., 5,9,3). È assai probabile che la moneta mostrata a Gesù fosse un
denarius di Tiberio (cf. sopra): in tal caso la scritta, riportata sul recto, era la seguente:
«TI[BERIVS] CAESAR DIVI AVG[VSTI] F[ILIVS] AVGVSTVS», «Tiberio Cesare
Augusto, figlio del divino Augusto».
@Ê: art. determ., con valore pronominale, nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5;
soggetto. Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale
"ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
gÉB"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
5"\F"D@H: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da 5"ÃF"D, –"D@H, Cesare; cf. Mc
12,14; compl. di specificazione.

12,17 Ò *¥ z30F@ØH gÉBg< "ÛJ@ÃHs I 5"\F"D@H •B`*@Jg 5"\F"D4 i" J J@Ø hg@Ø
Jè hgè. i"Â ¦>gh"b:".@< ¦Bz "ÛJè.
12,17 Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare restituitelo a Cesare, ma quello che è di Dio
restituitelo a Dio!». E rimasero ammirati di lui.

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
IV: art. determ., con valore pronominale, acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18; compl.
oggetto. Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale
"ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
5"\F"D@H: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da 5"ÃF"D, –"D@H, Cesare; cf. Mc
12,14; compl. di specificazione.
•B`*@Jg: verbo, 2a pers. plur. imperat. aor. da •B@*\*T:4 (da •B` e *\*T:4), riconsegnare,
dare indietro, restituire. Questo verbo ricorre 48 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli
è la seguente: 18 volte in Matteo (corrispondente allo 0,098% del totale delle parole); 1 volta
in Marco (cf. Mc 12,7, hapax marciano); 8 volte in Luca (0,041%). Nell’uso classico il verbo
•B@*\*T:4 ha il significato proprio di «restituire», «rendere» (cf. Euripide, Or., 1075;
Senofonte, Hell., 7,1,30). Anche se nel NT il verbo è usato prevalentemente in senso letterale
826 Mc 12,18

proprio, qui •B@*\*T:4 deve essere inteso metaforicamente, non nel senso di pagare una
tassa a chi la rivendica (l’imperatore romano), quanto nel significato di una «restituzione» in
chiave politica e religiosa. Gesù non mette Cesare sullo stesso piano di Dio né pone una
esclusività (o Cesare o Dio), semplicemente dice: questa moneta è integralmente di Cesare,
perché figura, nome e titoli sono suoi. Si tratta, quindi, di restituirla a lui assieme a tutto ciò
che tale moneta comporta: violenza, ingiustizia, sopraffazione, corruzione. Ma le parole di
Gesù significano implicitamente anche questo: non date all’imperatore più di quello che gli
spetta, poiché non ha il potere religioso, né il diritto assoluto sugli uomini, ma solo quanto
egli usurpa con l’ingiustizia e la violenza.
5"\F"D4: sost., nome proprio di persona, dat. sing. m. da 5"ÃF"D, –"D@H, Cesare; cf. Mc
12,14; compl. di termine.
i"\: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, però; cf. Mc 1,4. Il
significato avversativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ adversativum)
si riscontra in Mc 1,13c; 3,7b.12.33a; 4,17a.19a.27d; 5,19a; 6,19b.20d.33a; 7,24b.28b;
8,12.16.29.30; 9,12a.30.31c.42a; 10,34; 12,12b.17a; 16,8c.
JV: art. determ., con valore pronominale, acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18; compl.
oggetto. Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale
"ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
hgè: sost., dat. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di termine.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦>gh"b:".@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da ¦ih"L:V.T (da ¦i e h"Ø:"), provare
stupore, ammirare. Hapax neotestamentario. Imperfetto durativo o iterativo. Costruito con
l’accusativo (cf. Sir 43,18; cf. anche 4Mac., 17,17) o con ¦B\ + dativo (cf. Sir 27,23), il
verbo composto ¦ih"L:V.T, di formazione ellenistica (cf. Dionigi di Alicarnasso, Thuc.,
34,17), enfatizza il significato espresso dal verbo semplice.
¦Bz: (= ¦B\), prep. propria con valore di argomento, seguita dal dativo, indecl., circa, riguardo,
in riferimento a; cf. Mc 1,22.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di argomento.

12,18 5" §DP@<J"4 E"**@Li"Ã@4 BDÎH "ÛJ`<s @ËJ4<gH 8X(@LF4< •<VFJ"F4< :¬


gÉ<"4s i"Â ¦B0DfJT< "ÛJÎ< 8X(@<JgHs
12,18 Vennero da lui alcuni sadducei — i quali dicono che non esiste la risurrezione — e lo
interrogarono:

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Mc 12,18 827

§DP@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Presente storico.
E"**@Li"Ã@4: sost., nome proprio di gruppo religioso, nom. plur. m. da E"**@Li"Ã@H, –@L,
sadduceo; soggetto. Senza articolo perché generici e non ancora menzionati. Il vocabolo
ricorre 14 volte nel NT: Mt 3,7; 16,1.6.11.12; 22,23.34; Mc 12,18 (hapax marciano); Lc
20,27; At 4,1; 5,17; 23,6.7.8. Nel NT il nome ricorre sempre nella forma plurale,
diversamente da quanto avviene negli scritti rabbinici, dove troviamo sia la forma singolare
(cf. m.Yad., 4,8) che quella plurale (cf. m.Nid., 4,2). Per quanto riguarda l’etimologia il nome
è la traslitterazione grecizzata della probabile parola di origine ebraica *8 E {$7A, sEed5ûqî (plur.
0*8E{$7A, sE d5ûqîn o .*8E{$7A, sE d5ûqîm), una forma fatta derivare dal nome proprio maschile
e e

8|$7I, SEa) d5ôq (reso nei LXX E"*fi, Sadoc), il sommo sacerdote di David, i cui discendenti
avevano esercitato il sommo sacerdozio a Gerusalemme fin dai tempi di Salomone. In tal
caso i 0*8E {$7A, sEed5ûqîn, «sadducei», sarebbero i sacerdoti «sadociti» o fautori dei sadociti. Le
informazioni storiche e letterarie su questo gruppo giudaico sono assai scarse: al di fuori della
letteratura cristiana e giudaica non ci è sopraggiunto alcun testo o riferimento sadduceo; le
uniche notizie su di loro sono quelle che ritroviamo nel NT (vangeli e Atti), in Giuseppe
Flavio (13 ricorrenze totali: Bellum, 2,119.164–166; Antiq., 13,171.173.293.296.297.298;
18,11.16; 20,199; Vita, 10) e nei testi della Mishnah e Tosefta. Tutto quello che possiamo
positivamente affermare è che i sadducei rappresentavano un piccolo movimento religioso
e un partito composto per lo più da sacerdoti e laici dell’antica aristocrazia, concentrati su
Gerusalemme, sul suo Tempio e sulla carica del sommo sacerdote. Molti autori moderni li
distinguono dai farisei sulla base della loro insistenza sull’interpretazione letterale della Sacra
Scrittura e sul rifiuto della Torah orale.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5. L’espressione §DP@:"4 BD`H detta in riferimento
a Gesù non è rara in Marco: è impiegata per descrivere l’andare verso Gesù da parte di
qualche miracolato (cf. Mc 1,40; 2,3; 10,50), della folla (cf. Mc 1,45; 2,13; 3,8; 5,15) o di
gruppi specifici (cf. Mc 11,27; 12,18). Lo stesso Gesù comanda ai discepoli di lasciar «venire
a sé» i bambini (cf. Mc 10,14).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di moto a luogo.
@ËJ4<gH: pron. relativo, nom. plur. m. da ÓFJ4H, »J4H, ÓJ4 (da ÓH e J\H), chiunque, qualunque
cosa, che; cf. Mc 4,20; soggetto.
8X(@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7.
•<VFJ"F4<: sost., acc. sing. f. da •<VFJ"F4H, –gTH, risurrezione; soggetto della proposizione
oggettiva costruita con il verbo infinito gÉ<"4. Senza articolo perché generica. Il vocabolo
ricorre 42 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 4 volte in Matteo (cf. Mt
22,13.28.30.31, corrispondente allo 0,022% del totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc
12,18.23 = 0,018%); 6 volte in Luca (cf. Lc 2,34; 14,14; 20,27.33.35.36 = 0,031%); 4 volte
in Giovanni (cf. Gv 5,29[x2]; 11,24.25 = 0,026%). In corrispondenza al significato del verbo
•<\FJ0:4 («sollevare», «innalzare», «alzarsi») questo vocabolo deverbale è impiegato nel
828 Mc 12,18

greco classico con tre significati principali: a) in senso letterale proprio indica l’azione
dell’elevare ed equivale a «innalzamento», «elevazione», «erezione» (cf. Demostene, Or.,
20,72; Plutarco, De Herod., 873,b,1); b) con significato mediopassivo indica l’azione
dell’elevarsi ed equivale a «levata», «risveglio», generalmente dal sonno (cf. Sofocle, Phil.,
276); c) in senso figurato il vocabolo è impiegato per indicare tecnicamente la «risurrezione»
da morte (cf. Luciano, Salt., 45,6). Nei LXX il verbo è presente soltanto 6 volte (cf. Sof 3,8;
Sal 66,1; Lam 3,63; Dn 11,20; 2Mac 7,14; 12,43). Nel NT, eccetto che in Lc 2,34 (=
passaggio da una condizione miserevole a una di esaltazione), il termine è usato esclusiva-
mente con il significato tecnico di «risurrezione [dai morti]», inteso come il passaggio dalla
morte alla vita. I sadducei rifiutavano l’idea di una risurrezione dai morti, come ci conferma
Giuseppe Flavio:

«Secondo la dottrina dei sadducei l’anima si perde con il corpo. Essi poi non riconoscono
nessun’altra prescrizione oltre la legge. I loro seguaci sono molto pochi e appartengono
all’aristocrazia. Peraltro non si impegnano in mansioni importanti e se vi sono costretti per
ricoprire una carica lo fanno accattivandosi i farisei, poiché altrimenti il popolo non li
sopporta» (Giuseppe Flavio, Antiq., 18,16–17; cf. anche Bellum, 2,164–166).

La testimonianza che i sadducei non credessero nella risurrezione, nella vita dopo la
morte e nel giudizio escatologico è, dunque, storicamente attendibile. Un esplicito riferimento
ritroviamo anche in At 23,8: «I sadducei affermano che non c’è risurrezione né angeli né
spiriti; i farisei professano, invece, tutte queste cose». Le credenze religiose dei sadducei
corrispondono alla prospettiva biblica tradizionale: si deve tener presente, infatti, che le idee
di risurrezione, immortalità e vita dopo la morte entrarono nel giudaismo a partire dal II
secolo a.C. e soltanto poco alla volta vi acquisirono una posizione dominante. Nell’AT
soltanto due testi accennano fugacemente a tale possibilità: Is 26,19 («Ma di nuovo vivranno
i tuoi morti, risorgeranno i loro cadaveri. Si sveglieranno ed esulteranno quelli che giacciono
nella polvere, perché la tua rugiada è rugiada luminosa, la terra darà alla luce le ombre») e
Dn 12,2–3 («Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni
alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna. I saggi risplenderanno come lo
splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno
come le stelle per sempre»). Poiché i sadducei provenivano dalla classe dominante, la quale
solitamente tende a essere conservatrice in una società tradizionale, è molto probabile che
non accettassero le “novità” recenti della risurrezione, attenendosi alla più tradizionale
concezione biblica dello -|!– A , še’ôl, lo Sheol, ossia il “luogo” dell’oltretomba intesa come
dimora dei morti.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
gÉ<"4: verbo, inf. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc 1,6.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦B0DfJT<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da ¦BgDTJVT (da ¦B\ e ¦DTJVT), richiedere,
domandare, interrogare; cf. Mc 5,9. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo
(«domandavano», «continuavano a domandare»), ma puntuale, corrispondente a un aoristo
Mc 12,19 829

(«domandarono»). Per altri esempi di questo imperfetto puntuale con il verbo ¦BgDTJVT
cf. Mc 5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33; 10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
8X(@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso E"**@Li"Ã@4.

12,19 )4*VFi"8gs 9TdF­H §(D"Rg< º:Ã< ÓJ4 ¦V< J4<@H •*g8nÎH •B@hV<® i"Â
i"J"8\B® (L<"Ãi" i" :¬ •n± JXi<@<s Ë<" 8V$® Ò •*g8nÎH "ÛJ@Ø J¬<
(L<"Ãi" i" ¦>"<"FJZF® FBXD:" Jè •*g8nè "ÛJ@Ø.
12,19 «Maestro, Mosè ci ha lasciato scritto che, se muore il fratello di qualcuno e lascia la
moglie senza figli, suo fratello deve prendere la moglie e dare una discendenza al
proprio fratello.

)4*VFi"8g: sost., voc. sing. m. da *4*VFi"8@H, –@L, maestro, insegnante; cf. Mc 4,38;
compl. di vocazione.
9TdF­H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da 9TdF­H, –XTH, Mosè; cf. Mc 1,44;
soggetto.
§(D"Rg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da (DVnT, scrivere; cf. Mc 1,2.
º:Ã<: pron. personale di 1a pers. dat. plur. da º:gÃH (gen. º:ä<, dat. º:Ã<, acc. º:H), noi;
cf. Mc 1,24; compl. di termine.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
J4<@H: pron. indefinito (enclitico), gen. sing. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; compl. di specificazione.
•*g8n`H: sost., nom. sing. m. da •*g8n`H, –@Ø, fratello; cf. Mc 1,16; soggetto. Senza articolo
perché generico. Per il commento lessicale a questo vocabolo cf. Mc 3,31.
•B@hV<®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da •B@h<¯FiT (da •B` e h<¯FiT), morire,
perire; cf. Mc 5,35.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
i"J"8\B®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da i"J"8g\BT (da i"JV e 8g\BT), lasciare,
lasciare indietro, abbandonare; cf. Mc 10,7.
(L<"Ãi": sost., acc. sing. f. da (L<Z, (L<"4i`H, donna; cf. Mc 5,25; compl. oggetto. Senza
articolo perché generica.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
830 Mc 12,19

:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.


•n±: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare,
rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18.
JXi<@<: sost., acc. sing. n. da JXi<@<, –@L, figlio, bambino; cf. Mc 2,5; compl. oggetto. Senza
articolo perché generico.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
8V$®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da 8":$V<T, prendere, afferrare, raccogliere,
ricevere; cf. Mc 4,16. L’espressione 8":$V<g4< J¬< (L<"Ãi", «prendere la donna», nel
senso di «prendere possesso della donna», ossia «sposare», ricorre sia nel greco classico (cf.
Euripide, Alc., 324; Senofonte, Cyr., 8,4,16) sia nei LXX (cf. Gn 4,19; 6,2; Tb 1,9).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
•*g8n`H: sost., nom. sing. m. da •*g8n`H, –@Ø, fratello; cf. Mc 1,16; soggetto. Per il
commento lessicale a questo vocabolo vedi Mc 3,31.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
(L<"Ãi": sost., acc. sing. f. da (L<Z, (L<"4i`H, donna; cf. Mc 5,25; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦>"<"FJZF®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da ¦>"<\FJ0:4 (da ¦i e •<\FJ0:4), fare
sorgere, produrre, suscitare. Questo verbo ricorre 3 volte nel NT: Mc 12,19 (hapax
marciano); Lc 20,28; At 15,5. Nell’uso classico il verbo ¦>"<\FJ0:4 presenta sostanzial-
mente gli stessi significati di •<\FJ0:4 (cf. Mc 1,35). Nella diatesi attiva transitiva equivale
a «far alzare», «far sollevare» (cf. Platone, Prot., 310a; Euripide, Andr., 263), «svegliare» (cf.
Plutarco, Pomp., 68,3,1); in senso metaforico circoscritto equivale a «far risorgere», sott. i
morti (cf. Sofocle, Elect., 940). Nell’uso intransitivo sta per «alzarsi» (cf. Erodoto, Hist.,
3,142,5; Sofocle, Phil., 367; Platone, Resp., 328a).
FBXD:": sost., acc. sing. n. da FBXD:", –"J@H, seme; cf. Mc 4,31; compl. oggetto. Senza
articolo perché generico. Si tratta di un semitismo per indicare la discendenza. La frase «dare
una discendenza» è detta, alla maniera semitica, «far sorgere il seme».
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
•*g8nè: sost., dat. sing. m. da •*g8n`H, –@Ø, fratello; cf. Mc 1,16; compl. di vantaggio. Per
il commento lessicale a questo vocabolo cf. Mc 3,31.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
Mc 12,20–21 831

12,20 ©BJ •*g8n@ µF"<· i"Â Ò BDäJ@H §8"$g< (L<"Ãi" i" •B@h<¯FiT< @Ûi
•n­ig< FBXD:"·
12,20 C’erano sette fratelli: il primo prese moglie e morì senza lasciare discendenza.

©BJV: agg. numerale, cardinale, nom. plur. m., indecl., sette; cf. Mc 8,5; attributo di •*g8n@\.
Nell’antico Oriente e in generale nella Bibbia al numero 7 viene spesso associata l’idea di
pienezza e compiutezza: è probabile che anche qui ©BJV venga impiegato come espressione
di totalità.
•*g8n@\: sost., nom. plur. m. da •*g8n`H, –@Ø, fratello; cf. Mc 1,16; soggetto. I sostantivi
determinati da numeri cardinali o ordinali sono generalmente sprovvisti di articolo; analogo
fenomeno in Mc 12,28; 15,25. Per il commento lessicale a questo vocabolo vedi Mc 3,31.
µF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf.
Mc 1,6.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
BDäJ@H: agg. numerale, ordinale, di valore sostantivato, nom. sing. m. da BDäJ@H, –0, –@<,
primo, principale; cf. Mc 3,27; soggetto.
§8"$g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8":$V<T, prendere, afferrare, raccogliere, ricevere;
cf. Mc 4,16.
(L<"Ãi": sost., acc. sing. f. da (L<Z, (L<"4i`H, donna; cf. Mc 5,25; compl. oggetto. Senza
articolo perché generica.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•B@h<¯FiT<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da •B@h<¯FiT (da •B` e h<¯FiT), morire,
perire; cf. Mc 5,35. Participio predicativo del soggetto Ò BDäJ@H.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
•n­ig<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare,
rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18.
FBXD:": sost., acc. sing. n. da FBXD:", –"J@H, seme; cf. Mc 4,31; compl. oggetto. Senza
articolo perché generico. Si tratta di un semitismo per indicare la discendenza.

12,21 i"Â Ò *gbJgD@H §8"$g< "ÛJZ< i" •BXh"<g< :¬ i"J"84Bã< FBXD:"· i" Ò
JD\J@H ñF"bJTH·
12,21 Allora la sposò il secondo, ma morì senza lasciare discendenza; e il terzo ugualmente,

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*gbJgD@H: agg. numerale, ordinale, di valore sostantivato, nom. sing. m. da *gbJgD@H, –", –@<,
secondo, altro dei due; soggetto. Il vocabolo ricorre 43 volte nel NT. La distribuzione nei
832 Mc 12,22

vangeli è la seguente: Mt 22,26.39; 26,42; Mc 12,21.31; 14,72; Lc 12,38; 19,18; 20,30; Gv


3,4; 4,54; 9,24; 21,16. In una serie o elenco il vocabolo *gbJgD@H indica la seconda persona
per importanza o successione numerica, senza significati particolari.
§8"$g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8":$V<T, prendere, afferrare, raccogliere, ricevere;
cf. Mc 4,16.
"ÛJZ<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,31; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•BXh"<g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •B@h<¯FiT (da •B` e h<¯FiT), morire, perire;
cf. Mc 5,35.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
i"J"84Bf<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da i"J"8g\BT (da i"JV e 8g\BT), lasciare,
lasciare indietro, abbandonare; cf. Mc 10,7. Participio predicativo del soggetto Ò *gbJgD@H.
Preceduto da una negazione il participio può essere qui tradotto come una proposizione
esclusiva implicita: «senza lasciare…».
FBXD:": sost., acc. sing. n. da FBXD:", –"J@H, seme; cf. Mc 4,31; compl. oggetto. Senza
articolo perché generico. Si tratta di un semitismo per indicare la discendenza.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
JD\J@H: agg. numerale, ordinale, di valore sostantivato, nom. sing. m. da JD\J@H, –@L, terzo;
soggetto. Il vocabolo ricorre 56 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 7
volte in Matteo (corrispondente allo 0,038% del totale delle parole); 3 volte in Marco (cf. Mc
12,21; 14,41; 15,25 = 0,027%); 10 volte in Luca (0,051%); 4 volte in Giovanni (0,026%).
ñF"bJTH: avv. di modo, indecl., ugualmente, similmente, allo stesso modo. Il vocabolo ricorre
17 volte nel NT: Mt 20,5; 21,30.36; 25,17; Mc 12,21; 14,31; Lc 13,5; 20,31; 22,20; Rm
8,26; 1Cor 11,25; 1Tm 2,9; 3,8.11; 5,25; Tt 2,3.6.

12,22 i" @Ê ©BJ @Ûi •n­i"< FBXD:". §FP"J@< BV<JT< i" º (L<¬ •BXh"<g<.
12,22 e nessuno dei sette lasciò discendenza. Alla fine, dopo tutti, morì anche la donna.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
©BJV: agg. numerale, cardinale, di valore sostantivato, nom. plur. m., indecl., sette; cf. Mc 8,5;
soggetto.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
•n­i"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare,
rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18.
Mc 12,23 833

FBXD:": sost., acc. sing. n. da FBXD:", –"J@H, seme; cf. Mc 4,31; compl. oggetto. Senza
articolo perché generico. Si tratta di un semitismo per indicare la discendenza.
§FP"J@<: agg. qualificativo, di grado superlativo, con valore avverbiale, acc. sing. n. da
§FP"J@H, –0, –@<, alla fine, da ultimo; cf. Mc 9,35.
BV<JT<: pron. indefinito, gen. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; compl. di specificazione. La forma partitiva BV<JT< assume il valore avverbiale «di
tutti», «fra tutti», in riferimento a @Ê ©BJV, «i sette [mariti]».
i"\: cong. coordinativa di valore aggiuntivo, indecl., anche, perfino, inoltre, altresì; cf. Mc 1,4.
Il significato aggiuntivo di i"\ è presente in Mc 1,27b.38b; 2,15b.26c.28; 3,19b; 4,24b;
6,34b; 7,18b; 8,3b.7ac.38c; 9,22a; 11,25b; 12,22b; 13,29; 14,9.29.31; 15,31.40ab. 43a.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
(L<Z: sost., nom. sing. f. da (L<Z, (L<"4i`H, donna; cf. Mc 5,25; soggetto.
•BXh"<g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •B@h<¯FiT (da •B` e h<¯FiT), morire, perire;
cf. Mc 5,35.

12,23 ¦< J± •<"FJVFg4 [ÓJ"< •<"FJäF4<] J\<@H "ÛJä< §FJ"4 (L<Zp @Ê (D ©BJ
§FP@< "ÛJ¬< (L<"Ãi".
12,23 Alla risurrezione di chi sarà moglie? Tutti e sette, infatti, l’hanno avuta come
moglie!».

¦<: prep. propria di valore temporale, seguita dal dativo, indecl., in, durante, presso; cf. Mc 1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
•<"FJVFg4: sost., dat. sing. f. da •<VFJ"F4H, –gTH, risurrezione; cf. Mc 12,18; compl. di
tempo determinato. La domanda dei sadducei presuppone una risurrezione concepita
interamente in conformità alle condizioni terrene. Per molti Giudei, non soltanto sadducei,
la risurrezione di una singola persona era certamente del tutto insolita e per molti aspetti
incredibile. Al più si parlava di una risurrezione dei giusti (cf. 2Mac 7,14), condivisa dai
farisei. Perfino in epoca neotestamentaria alcuni fedeli di Corinto sostenevano che «non c’è
alcuna risurrezione dai morti» (1Cor 15,12). Gesù correggerà tra poco questa visione
“terrestre” o limitata soltanto a una categoria di persone.
[ÓJ"<: (= ÓJg e –<), cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, ogni qualvolta,
allorché, appena; cf. Mc 2,20.].
[•<"FJäF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. da •<\FJ0:4 (da •<V e ËFJ0:4), sorgere,
alzarsi, sollevarsi, risorgere, risuscitare; cf. Mc 1,35. L’espressione ÓJ"< •<"FJäF4< è
presente, con varianti, nei codici A, G, 1, E, f1, 28, 157, 180, 205, 565, 597, 700, 1006,
1010, 1071, 1241, 1243, 1292, 1424, 1505; è assente, invece, in !, B, C*, D, L, W, ), Q,
1342, 2427. È difficile stabilire se questa figura etimologica esplicativa appartenga al testo
originale o sia una aggiunta. A favore della prima ipotesi vi è la considerazione che lo stile
letterario di Marco si distingue per la sua “dualità” (la tendenza a dire la stessa cosa due
volte, in rapida successione). Inoltre sul piano retorico e letterario la ripetizione della
834 Mc 12,24

difficoltà, «quando risorgeranno», può avere lo scopo sia di accentuare la complicata


situazione coniugale della donna sia soprattutto l’ironico scetticismo dei sadducei, al punto
che la proposizione temporale potrebbe essere resa più opportunamente mediante una
condizionale («quando dovrebbero risorgere») oppure con una ipotetica («se davvero
risorgeranno»). A sostegno della non autenticità dell’espressione resta la constatazione
testuale che i codici più antichi e autorevoli (!, B, C, D, W) non la riportano e verosimil-
mente essa non faceva parte del testo primitivo.].
J\<@H: pron. interrogativo, gen. sing. m. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?,
che?, quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; compl. di specificazione.
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. partitivo.
§FJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. medio da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente;
cf. Mc 1,6.
(L<Z: sost., nom. sing. f. da (L<Z, (L<"4i`H, donna; cf. Mc 5,25; soggetto. Senza articolo
perché generica.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
©BJV: agg. numerale, cardinale, di valore sostantivato, nom. plur. m., indecl., sette; cf. Mc 8,5;
soggetto.
§FP@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
"ÛJZ<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,31; compl. oggetto.
(L<"Ãi": sost., acc. sing. f. da (L<Z, (L<"4i`H, donna; cf. Mc 5,25; compl. predicativo. Il
vocabolo assume qui il significato di «moglie».

12,24 §n0 "ÛJ@ÃH Ò z30F@ØHs ?Û *4 J@ØJ@ B8"<Fhg :¬ gÆ*`JgH JH (D"nH
:0*¥ J¬< *b<":4< J@Ø hg@Øp
12,24 Rispose loro Gesù: «Voi siete proprio in errore, poiché non conoscete né le Scritture
né la potenza di Dio!

§n0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da n0:\, dichiarare, dire, affermare; cf. Mc 9,12.
Grammaticalmente questa forma verbale può essere anche intesa come 3a persona singolare
indicativo imperfetto.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
Mc 12,24 835

?Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale. La congiunzione negativa @Û
che introduce una proposizione interrogativa retorica equivale a «forse che non…», indicante
l’attesa di una risposta affermativa (lat. num).
*4V: prep. propria di valore causale, seguita dall’accusativo, indecl., a causa di, a motivo di, per;
cf. Mc 2,1.
J@ØJ@: pron. dimostrativo, acc. sing. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 1,27;
compl. di causa. Per alcuni la formula *4 J@ØJ@ si riferisce a ciò che i sadducei hanno
detto nei versetti precedenti; è però preferibile ritenere che *4 J@ØJ@ («poiché») regga il
participio :¬ gÆ*`JgH («non conoscendo») equivalente a «poiché voi non conoscete».
B8"<Fhg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. pass. da B8"<VT, fare deviare, sviare, errare,
ingannare, sbagliare. Questo verbo ricorre 39 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è
la seguente: Mt 18,12[x2].13; 22,29; 24,4.5.11.24; Mc 12,24.27; 13,5.6; Lc 21,8; Gv
7,12.47. Nella grecità il verbo B8"<VT, usato nella diatesi attiva transitiva, assume il
significato fondamentale di «far vagare» in senso proprio (cf. Eschilo, Prom., 572; Erodoto,
Hist., 4,128,2); in senso figurato equivale a «far errare», «ingannare» (cf. Platone, Prot.,
356d). Nella diatesi mediopassiva il verbo è impiegato nell’accezione sia propria che
figurata di «andare vagando», «andare errando» (cf. Omero, Il., 23,321; Eschilo, Prom., 565;
Sofocle, Oed. Col., 347) e per analogia nel significato di «cadere in errore», «sbagliare» (cf.
Eschilo, Prom., 473). Analogamente a quanto avviene nella grecità B8"<VT è usato nei
LXX e nel NT in senso sia letterale proprio («vagare», «brancolare», «deviare»), per
esprimere un movimento fisico (cf. Eb 11,38) sia soprattutto in senso traslato («traviare»,
«raggirare», «sedurre»), per indicare un inganno in ambito profano o religioso. Nelle
ricorrenze marciane il verbo è presente sempre nel secondo significato e sempre per
designare l’errore in ambito etico e religioso, come spesso avviene nei LXX e nel resto del
NT (cf. Dt 13,6; 2Re 21,9; 2Cr 33,9; Is 30,20[x2].21; 1Cor 6,9; 15,33; Gal 6,7).
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
gÆ*`JgH: verbo, nom. plur. m. part. perf. da @É*" (una radice con valore di presente connessa
a gÉ*@<, aor. attivo di ÒDVT), vedere, percepire, discernere, conoscere, sapere; cf. Mc 1,24.
Participio predicativo del soggetto sottinteso «voi», ossia i sadducei: qui ha valore causale:
«poiché non conoscete».
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
(D"nVH: sost., acc. plur. f. da (D"nZ, –­H, scritta, Sacra Scrittura, passo della Sacra Scrittura;
cf. Mc 12,10; compl. oggetto.
:0*X: (da :Z e *X), avv. di negazione, indecl., neppure, nemmeno, neanche, non; cf. Mc 2,2.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
*b<":4<: sost., acc. sing. f. da *b<":4H, –gTH, forza, potenza, potere, miracolo; cf. Mc 5,30;
compl. oggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione.
836 Mc 12,25

12,25 ÓJ"< (D ¦i <giDä< •<"FJäF4< @ÜJg (":@ØF4< @ÜJg (":\.@<J"4s •88z
gÆFÂ< ñH –((g8@4 ¦< J@ÃH @ÛD"<@ÃH.
12,25 Quando, infatti, i morti risusciteranno non prenderanno né moglie né marito, ma
saranno come angeli nei cieli.

ÓJ"<: (= ÓJg e –<), cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, ogni qualvolta,
allorché, appena; cf. Mc 2,20.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
<giDä<: sost., gen. plur. m. da <giD`H, –@Ø, morto; cf. Mc 6,14; compl. di moto da luogo.
L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è frequente nel
greco ellenistico.
•<"FJäF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. da •<\FJ0:4 (da •<V e ËFJ0:4), sorgere,
alzarsi, sollevarsi, risorgere, risuscitare; cf. Mc 1,35. Con la sua risposta Gesù corregge la
concezione “terrestre” della risurrezione che ancora dominava la teologia rabbinica,
condivisa dai sadducei. Nella concezione giudaica l’uomo risorge nel luogo stesso in cui è
morto (cf. Strack–Bill., IV,1025), con le sue vesti (cf. b.Ket., 111b; Strack–Bill., III,475), con
le qualità che ebbe in vita, come, ad esempio, cieco, sordo, muto. Al contrario la risurrezione
escatologica e spiritualistica presentata da Gesù non è una ripresa della vita terrena, ma una
esistenza di nuovo genere, resa possibile dalla *b<":4H di Dio. Il termine •<VFJ"F4H e il
corrispettivo verbo •<\FJ0:4 assumono così un significato traslato completamente nuovo.
@ÜJg: (da @Û e JX), avv. negativo, indecl., e non, né, e neanche. Il vocabolo ricorre 87 volte nel
NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 6,20[x2]; 12,32[x2]; 22,30[x2];
12,25[x2]; Mc 12,25[x2]; 14,68[x2]; Lc 14,35[x2]; 10,35[x2]; Gv 4,11.21[x2]; 5,37[x2];
8,19[x2]; 9,3[x2]. L’avverbio negativo @ÜJg è usato quasi sempre in correlazione ad altra
negazione che può precedere o seguire, nel significato di «non… né…», «né… né…»,
«non… neppure…», «e non… e nemmeno…».
(":@ØF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da (":XT, sposare; cf. Mc 6,17. Proprio dell’uomo
che prende moglie.
@ÜJg: (da @Û e JX), avv. negativo, indecl., e non, né, e neanche; cf. Mc 12,25a.
(":\.@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. pass. da (":\.T, dare in sposa, sposare, sposarsi.
Questo verbo ricorre 7 volte nel NT: Mt 22,30; 24,38; Mc 12,25 (hapax marciano); Lc
17,27; 20,35; 1Cor 7,38[x2]. Analogo a (":XT (cf. Mc 6,17) il verbo (":\.T nella diatesi
attiva è detto dell’uomo che dà in sposa una figlia (cf. Mt 24,38; 1Cor 7,38), mentre nella
diatesi passiva, come qui, è detto della donna che è data in sposa dal padre ed equivale a
«maritarsi», «prendere marito».
•88z: (= •88V), cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però,
piuttosto, nondimeno; cf. Mc 1,44.
gÆF\<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
Mc 12,26 837

ñH: avv. con valore di modo e paragone, indecl., come, simile a, alla maniera di, nel modo che,
nella condizione di, in qualità di; cf. Mc 1,10.
–((g8@4: sost., nom. plur. m. da –((g8@H, –@L, messaggero, inviato, nunzio, legato, «angelo»;
cf. Mc 1,2; compl. predicativo. Senza articolo perché generico. Già negli scritti del giudaismo
si trova l’idea che gli angeli non mangiano e non bevono (cf. Tb 12,19) né hanno moglie (cf.
1Hen., 15,7) e che i morti dopo la risurrezione diventeranno angeli (cf. 1Hen., 51,4; 2Bar.,
51,10). Per le analogie con il passo marciano di particolare rilevanza è un testo del Talmud:
«Nel mondo futuro non vi sarà né mangiare né bere né procreazione né commercio né
gelosie né contrasti, ma i giusti sederanno con le corone sul capo e saranno inebriati della
gloria della divina presenza» (b.Ber., 17a; cf. Strack–Bill., I,890).
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
@ÛD"<@ÃH: sost., dat. plur. m. da @ÛD"<`H, –@Ø, cielo, volta celeste; cf. Mc 1,10; compl. di
stato in luogo.

12,26 BgD *¥ Jä< <giDä< ÓJ4 ¦(g\D@<J"4 @Ûi •<X(<TJg ¦< J± $\$8å 9TdFXTH
¦B J@Ø $VJ@L BäH gÉBg< "ÛJè Ò hgÎH 8X(T<s z+(ã Ò hgÎH z!$D": i" [Ò]
hgÎH z3F"i i" [Ò] hgÎH z3"if$p
12,26 Riguardo poi i morti che risuscitano, non avete letto nel libro di Mosè, a proposito del
roveto, ciò che gli disse Dio: “Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di
Giacobbe”?

BgD\: prep. propria con valore di argomento, seguita dal genitivo, indecl., intorno a, riguardo
a, nei confronti di, circa; cf. Mc 1,6.
*X: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti, dunque, quindi; cf. Mc 1,8.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
<giDä<: sost., gen. plur. m. da <giD`H, –@Ø, morto; cf. Mc 6,14; compl. di argomento.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore causale, indecl., poiché, perché, siccome; cf. Mc 1,15.
¦(g\D@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. pass. da ¦(g\DT, svegliare, alzare, sollevare,
risorgere [i morti] (trans.); svegliarsi, alzarsi, sollevarsi, risorgere [dai morti] (intr.); cf. Mc
1,31.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
•<X(<TJg: verbo, 2a pers. plur. ind. aor. da •<"(4<fFiT (da •<V e (4<fFiT), riconoscere,
conoscere, leggere; cf. Mc 2,25.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
838 Mc 12,26

$\$8å: sost., dat. sing. f. da $\$8@H, –@L, libro, rotolo; compl. di stato in luogo. Il vocabolo
ricorre 10 volte nel NT: Mt 1,1; Mc 12,26 (hapax marciano); Lc 3,4; 20,42; At 1,20; 7,42;
19,19; Fil 4,3; Ap 3,5; 20,15. Analogamente a $4$8\@< (cf. Mc 10,4) il vocabolo $\$8@H
($b$8@H nel greco classico) viene fatto derivare dal nome della città di Byblos, in Fenicia,
patria della scoperta del papiro. A partire dal significato originario di «[corteccia di] papiro»
(cf. Platone, Pol., 288e) il termine può indicare nella grecità un libro, un rotolo [di libro] o
anche un documento scritto.
9TdFXTH: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da 9TdF­H, –XTH, Mosè; cf. Mc
1,44; compl. di specificazione. Con l’espressione º $\$8@H [J@Ø <Î:@L] 9TdFXTH i
Giudei designavano la parte più antica, venerabile e autorevole dell’AT, in particolare i
cinque libri che costituiscono il Pentateuco (cf. Gs 23,6; 2Re 14,6; 22,8.11; 2Cr 35,12; Esd
6,18; Ne 8,1; 13,1; 1Esd., 1,12; cf. Lc 3,4; At 7,42). L’espressione è concettualmente
identica a º $\$8@H J@Ø <`:@L (cf. Dt 28,61; 29,19.20.26; 30,10; 31,26; Gs 24,26; 2Cr
34,14.15; Ne 8,3.8.18; 9,3; 1Mac 1,56; 3,48).
¦B\: prep. propria con valore di argomento, seguita dal genitivo, indecl., su, a, in, circa,
riguardo a; cf. Mc 1,22.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
$VJ@L: sost., gen. sing. m. da $VJ@H, –@L, rovo, roveto; compl. di argomento. Il vocabolo
ricorre 6 volte nel NT: Mc 12,26 (hapax marciano); Lc 6,44; 16,6; 20,37; At 7,30.35.
Attestato già a partire da Omero (cf. Id., Od., 24,230) il termine indica il cespuglio di spini
o di rovi, comune nei terreni incolti e aridi dell’area mediterranea e del Vicino Oriente. Gesù
rimanda a Es 3,2–4 (cf. Dt 33,16; Giuseppe Flavio, Antiq., 2,266), dove si riferisce che Mosè
ebbe la rivelazione di Dio in un roveto ardente e incombusto.
BäH: avv. interrogativo di modo, indecl., come?, in quale modo?, in che senso?, perché?; cf.
Mc 2,26.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
hg`H: sost., nom. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; soggetto.
8X(T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto Ò hg`H. L’uso di 8X(T
dopo i verbi cosiddetti dicendi («dire», «proclamare», «annunciare», «interrogare»,
«rispondere», «deliberare», ecc.), frequentissimo nel NT, è un ebraismo dovuto alla
traduzione servile della forma verbale 9J/!-F, le) ’mo) r, equivalente al gerundio «dicendo» e
impiegata per introdurre il discorso diretto, in sostituzione del segno grafico dei due punti (:),
inesistente in ebraico come in greco. Nelle traduzioni questa tipica forma può essere omessa.
z+(f: pron. personale di 1a pers. nom. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc.
¦:X/:g), io, me; cf. Mc 1,8; soggetto.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
Mc 12,26 839

hg`H: sost., nom. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; predicato nominale.
z!$D"V:: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m., indecl., Abramo; compl. di
specificazione. Il vocabolo ricorre 73 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: 7 volte in Matteo (corrispondente allo 0,038% del totale delle parole); 1 volta in
Marco (cf. Mc 12,26, hapax marciano); 15 volte in Luca (0,077%); 11 volte in Giovanni
(0,070%). Traslitterazione grecizzata del nome proprio maschile di origine ebraica .% I 9I"A!
H,
’Ab5ra) ha) m, forse «[Mio] padre [Dio] è eccelso». Nel TM il nome Abramo presenta due
grafie: prima di Gn 17,5a compare la forma semplice .9I"A! H , ’Ab5ra) m; dopo Gn 17,5b la
forma diventa .% I 9I"A!
H , ’Ab5ra) ha) m. La traduzione dei LXX segue fedelmente il TM
adottando la duplice nomenclatura (z!$DV: e z!$D"V:). Nel NT compare soltanto la
seconda grafia. L’etimologia del nome offerta in Gn 17,5 («padre di una moltitudine di
popoli») è una variante popolare a sfondo eziologico, priva di fondamento scientifico. Viene
associata dall’autore sacro, per assonanza, con l’intenzione di vedere nel nome di Abramo
(.% I 9I"A!
H , ’Ab5ra) ha) m) il «padre di una moltitudine» (0|/% C<< "! H , ’ab5–ha7 môn). Oggi si ritiene
che il nome possa derivare da una radice del semitico occidentale (A–ba–ra–ma,
A–ba–am–ra–ma) il cui significato è «mio padre è innalzato» oppure «egli è grande quanto
a suo padre». Nei testi di Ugarit il nome è attestato sia in forma alfabetica (abrm) sia sillabica
(a–bi–ra–mi). Tentativi che spiegano questo nome con le forme Abam–rama, Abam–ram
(«egli ama il padre») del semitico orientale (accadico) non sembrano aver successo. In ogni
caso il nome Abramo non sembra essere teoforo. La storia delle origini d’Israele è dominata
dalla figura di Abramo, considerato come il padre del popolo eletto (cf. Is 51,2), definito
«l’amico di Dio» (Gc 2,23). Nel NT Abramo è, dopo Mosè (80 ricorrenze), il personaggio
anticotestamentario più menzionato. Nell’Islam Abramo (Ibra) hîm) è descritto come khalîlu
’Allah, «l’amico di Dio» (Corano, Sûra 4,125). Nell’insieme sono 25 le Sûre del Corano che
parlano di lui (cf. 2,124.125.126.127.130.132.133.135.136.140.258.260; 3,33.65.67.68.
84.95.97; 4,54.125.163; 6,74.75.83.161; 9,70.114; 11,69.74.75.76; 12,6.38; 14,35; 15,51;
16,120.123; 19,41.46.58; 21,51.60.62.69; 22,26.43.78; 26,69; 29,16.31; 33,7; 37,83.104.109;
38,45; 42,13; 43,26; 51,24; 53,37; 57,26; 60,4; 87,19).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
[Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4. L’articolo è presente in P45 e nei
codici !, A, C, E, F, G, H, L, ), 1, E, Q, f1, f13, 28, 33, 157, 180, 205, 565, 579, 597, 700,
892, 1006, 1010, 1071, 1241, 1243, 1292, 1342, 1424, 1505, 2427; è assente, invece, in B,
D, W. L’eventuale aggiunta o omissione dell’articolo è in ogni caso assolutamente
ininfluente per la retta comprensione del testo.].
hg`H: sost., nom. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; predicato nominale.
z3F"Vi: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m., indecl., Isacco; compl. di specificazione.
Il vocabolo ricorre 20 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 1,2[x2];
8,11; 22,32; Mc 12,26 (hapax marciano); Lc 3,34; 13,28; 20,37. Traslitterazione grecizzata
del nome proprio maschile di origine ebraica 8( I 7AE*, YisEhEa) q. Dal punto di vista etimologico
il nome Isacco è problematico perché non è stato ritrovato al di fuori della Bibbia, anche se
è di stampo amorreo. È un nome teoforo apocopato la cui forma piena dovrebbe essere
YisEhEa) q–’e) l, «Che El sorrida», «Che El sia favorevole».
840 Mc 12,27

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


[Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4. L’articolo è presente in P45 e nei
codici !, A, C, E, F, G, H, L, ), 1, E, Q, f1, f13, 28, 33, 157, 180, 205, 565, 579, 597, 700,
892, 1006, 1010, 1071, 1241, 1243, 1292, 1342, 1424, 1505, 2427; è assente, invece, in B,
D, W. L’eventuale aggiunta o omissione dell’articolo è in ogni caso assolutamente
ininfluente per la retta comprensione del testo.].
hg`H: sost., nom. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; predicato nominale.
z3"if$: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m., indecl., Giacobbe; compl. di specificazio-
ne. Il vocabolo ricorre 27 volte nel NT. In 25 ricorrenze si riferisce al patriarca Giacobbe,
figlio di Isacco: Mt 1,2[x2]; 8,11; 22,32; Mc 12,26 (hapax marciano); Lc 1,33; 3,34; 13,28;
20,37; Gv 4,5.6.12; At 3,13; 7,8[x2].12.14.15.32.46; Rm 9,13; 11,26; Eb 11,9.20.21. Nelle
altre due occorrenze il vocabolo è impiegato per designare Giacobbe, padre di Giuseppe,
sposo di Maria (cf. Mt 1,15.16). Traslitterazione grecizzata del nome proprio maschile di
origine amorrea ed ebraica "J83 CH*, Ya‘a7 qo) b5, «Dio protegga», reso in greco anche con
z3ViT$@H, tradotto in italiano con «Giacomo» (cf. Mc 1,19.29; 3,17[x2]; 5,37[x2]; 9,2;
10,35.41; 13,3; 14,33). Si tratta di un nome teoforo apocopato, composto da un imperfetto
verbale e dal nome divino sottinteso. La scrittura piena è Ya‘a7 qo) b–’e) l, «Che El protegga».
Come nome di persona è stato ritrovato nei testi di Chagar Bazar, nell’Alta Mesopotamia
(1800 a.C. circa), di Kish e di Mari. Riguardo al nome Giacobbe, la Bibbia propone altre
etimologie popolari, prive di fondamento scientifico: Gn 25,26 lo fa derivare da "8 F 3I, ‘a) qe)b5,
«calcagno», poiché Giacobbe al momento della nascita teneva stretto il calcagno di Esaù, suo
fratello gemello. Gn 27,36 e Os 12,4 lo fanno derivare dal verbo "8 H 3I, ‘a) qab5, «ingannare»,
con chiaro riferimento alla proverbiale astuzia di Giacobbe. L’espressione stereotipa
«Abramo, Isacco e Giacobbe» designa nel giudaismo e nel NT il particolare rapporto tra
Israele e il suo Dio: i tre padri sono il prototipo e la garanzia della fedeltà all’alleanza, il
simbolo del vero Israele.

12,27 @Ûi §FJ4< hgÎH <giDä< •88 .f<JT<· B@8× B8"<Fhg.


12,27 Non è Dio dei morti, ma dei viventi! Voi siete in grande errore».

@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
§FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
hg`H: sost., nom. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; predicato nominale. Senza
articolo perché generico.
<giDä<: sost., gen. plur. m. da <giD`H, –@Ø, morto; cf. Mc 6,14; compl. di specificazione.
Senza articolo perché generico.
•88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno; cf. Mc 1,44.
Mc 12,28 841

.f<JT<: verbo, gen. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da .VT, vivere; cf. Mc 5,23;
compl. di specificazione. Senza articolo perché generico.
B@8b: agg. indefinito, acc. sing. n. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc 1,34.
B8"<Fhg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. pass. da B8"<VT, fare deviare, sviare, errare,
ingannare, sbagliare; cf. Mc 12,24.

12,28 5" BD@Fg8hã< gÍH Jä< (D"::"JXT< •i@bF"H "ÛJä< FL.0J@b<JT<s Æ*ã<
ÓJ4 i"8äH •BgiD\h0 "ÛJ@ÃH ¦B0DfJ0Fg< "ÛJ`<s A@\" ¦FJÂ< ¦<J@8¬ BDfJ0
BV<JT<p
12,28 Allora si avvicinò uno degli scribi che li aveva sentiti discutere e, visto che aveva
risposto saggiamente a essi, gli domandò: «Qual è il comandamento più importante
fra tutti?».

5"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.21.
26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.50.
53a.65a.72b; 15,2.
BD@Fg8hf<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da BD@FXDP@:"4 (da BD`H e §DP@:"4), venire,
avvicinarsi, precedere, accostarsi; cf. Mc 1,31. Participio predicativo del soggetto gÍH Jä<
(D"::"JXT<.
gÍH: agg. numerale, cardinale, nom. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; soggetto. L’uso
del numero cardinale gÍH al posto del pronome indefinito J\H, «uno», «qualcuno» o
dell’articolo indeterminativo «uno», soprattutto nelle espressioni partitive, è un semitismo.
Ritroviamo questo fenomeno in Mc 5,22; 6,15; 8,28; 9,17.37.42; 10,17.37[x2]; 12,28.42;
13,1; 14,10.18.20.43.47.66.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
(D"::"JXT<: sost., gen. plur. m. da (D"::"JgbH, –XTH (da (DV::"), scriba, esperto della
Legge, insegnante religioso; cf. Mc 1,22; compl. partitivo.
•i@bF"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. Participio predicativo del soggetto gÍH Jä<
(D"::"JXT<.
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto; la forma genitiva è retta dal verbo
•i@bT.
FL.0J@b<JT<: verbo, gen. plur. m. part. pres. da FL.0JXT (da Fb< e .0JXT), discutere,
disputare, domandare; cf. Mc 1,27. Participio predicativo del complemento oggetto indiretto
"ÛJä<.
Æ*f<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc 1,10.
Participio predicativo del soggetto gÍH Jä< (D"::"JXT<. Analogamente a quanto avviene
842 Mc 12,29

in molte lingue antiche e moderne ÒDVT è qui usato nel senso di «constatare», «giudicare»
e simili.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.
i"8äH: avv. di modo, indecl., bene, giustamente, veramente; cf. Mc 7,6.
•BgiD\h0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
¦B0DfJ0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦BgDTJVT (da ¦B\ e ¦DTJVT), richiedere,
domandare, interrogare; cf. Mc 5,9.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
A@\": pron. interrogativo, nom. sing. f. da B@Ã@H, –", –@<, quale? di che genere?; cf. Mc
11,28.
¦FJ\<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
¦<J@8Z: sost., nom. sing. f. da ¦<J@8Z, –­H, ordine, comando, precetto, ingiunzione,
comandamento; cf. Mc 7,8; soggetto. I sostantivi determinati da numeri cardinali o ordinali
sono generalmente sprovvisti di articolo; analogo fenomeno in Mc 12,20; 15,25.
BDfJ0: agg. numerale, ordinale, nom. sing. f. da BDäJ@H, –0, –@<, primo, principale; cf. Mc
3,27; attributo di ¦<J@8Z. Non «qual è il primo di tutti i comandamenti», come riportano
molti commentatori (traduzione letteralista), ma «quale comandamento è il più importante
fra tutti» (traduzione semanticamente corrispondente). Si tratta del «primo» in senso
qualitativo, non del «primo» di una serie, in senso di catalogazione: è un modo semitico per
formare il superlativo relativo o assoluto (= il più importante di tutti). Il numerale BDäJ@H
ha questo significato gerarchico anche in Mc 6,21; 9,35; 10,31[x2].44. La richiesta, formulata
mediante una interrogazione, era più che giustificata nell’ambiente giudaico del I secolo d.C.,
poiché l’esasperata osservanza legale aveva indotto i rabbini a moltiplicare i precetti fino ad
arrivare a un complesso di 613 comandi, di cui i 365 negativi e 248 positivi, i quali a loro
volta si ripartivano in precetti «leggeri» e «gravi»; tra questi, inoltre, vi erano ulteriori
suddivisioni in «grandi» e «piccoli» (cf. Strack–Bill., I,901ss.; 249): districarsi in tale matassa
casuistica non era facile, neppure per il più esperto dei rabbini.
BV<JT<: pron. indefinito, gen. plur. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; compl. partitivo. In luogo del femminile B"Fä<: la forma neutra conferisce enfasi
al superlativo relativo. Con espressioni di senso superlativo, come nel nostro caso, il genitivo
partitivo BV<JT< ha valore avverbiale (= «sopra tutti», «in assoluto»).

12,29 •BgiD\h0 Ò z30F@ØH ÓJ4 ADfJ0 ¦FJ\<s }!i@Lgs z3FD"Z8s ibD4@H Ò hgÎH
º:ä< ibD4@H gÍH ¦FJ4<s
12,29 Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore;
Mc 12,29 843

•BgiD\h0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
ADfJ0: agg. numerale, ordinale, nom. sing. f. da BDäJ@H, –0, –@<, primo, principale; cf. Mc
3,27; attributo del sostantivo sottinteso ¦<J@8Z.
¦FJ\<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
}!i@Lg: verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1.
z3FD"Z8: sost., nome proprio di popolo, voc. sing. m., indecl., Israele; compl. di vocazione. Il
vocabolo ricorre 68 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 12 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,065% del totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc 12,29;
15,32 = 0,018%); 12 volte in Luca (0,062%); 4 volte in Giovanni (0,026%). L’esatta
etimologia di questo nome è ancora oggi discussa. Nei documenti profani il nome Israele,
scritto con caratteri geroglifici, compare con sicurezza la prima volta nella stele funeraria del
faraone Merneptah (1236–1223 a.C.) dove, nella grafia y–si–r–i’–l, sembra designare una
determinata etnia: «I principi sono sottomessi e dicono: “Shalom!”. Nessuno alza più il capo
tra i Nove Archi. Devastata è la Libia, pacificata Hatti, Canaan è depredata con ogni male.
Ascalon è deportata, Ghezer è conquistata, Yanoam è annientata, Israel è devastata: non ha
più seme! Hurru è diventata una vedova per l’Egitto. Tutte le terre sono pacificate, chi era
turbolento è stato legato dal re Merneptah, sia egli dotato di vita come Ra, ogni giorno» (cf.
ANET, 376–378). Secondo questa attestazione sembra che il nome Israele indicasse
originariamente un complesso di tribù della Palestina centrale sottomesse dal faraone
Merneptah durante una delle sue campagne orientali. Anche nella più antica notizia riportata
nei testi biblici Israele appare non come designazione di un singolo clan, di un individuo o
di un luogo geografico, ma come il nome di una lega di tribù formata da dodici membri
rappresentanti (cf. Gs 24; Gdc 5,2). Nel TM il nome ricorre 2514 volte nella grafia -! F 9I”A*E,
Yis'ra) ’e) l. Per quanto riguarda l’etimologia, in Gn 32,29 viene data una spiegazione popolare,
facendo derivare il nome Israele dalla radice %9”, 'srh, che significa «lottare», «contendere».
A questa spiegazione allude anche Os 12,4–5. In tal senso il nome sarebbe composto dal
6
sostantivo teoforo -! F , ’El, «Dio» e da %9H”I , 'sa) rah, verbo in terza persona riferito a Dio,
secondo la normale costruzione dei nomi semitici occidentali. La traduzione sarebbe,
pertanto, «Dio lotta», «Dio contende». Questa spiegazione, tuttavia, non è certa e il significato
esatto del nome rimane sconosciuto. Nei sinottici, conformemente all’uso linguistico del
giudaismo palestinese, z3FD"Z8 designa il popolo giudaico nel suo insieme, sia come
nazione (aspetto politico e geografico) sia come etnia di fede monoteista (aspetto religioso).
844 Mc 12,30

ibD4@H: sost., nom. sing. m. da ibD4@H, –@L, signore, padrone, capo, Signore (riferito a Dio e
Gesù); cf. Mc 1,3; soggetto.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
hg`H: sost., nom. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; apposizione di ibD4@H.
º:ä<: pron. personale di 1a pers. gen. plur. da º:gÃH (gen. º:ä<, dat. º:Ã<, acc. º:H), noi;
cf. Mc 9,40; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona plurale («di noi» = «nostro»).
ibD4@H: sost., nom. sing. m. da ibD4@H, –@L, signore, padrone, capo, Signore (riferito a Dio e
Gesù); cf. Mc 1,3; predicato nominale.
gÍH: agg. numerale, cardinale, nom. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; attributo di
ibD4@H.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.

12,30 i" •("BZFg4H ibD4@< JÎ< hg`< F@L ¦> Ó80H J­H i"D*\"H F@L i" ¦> Ó80H
J­H RLP­H F@L i"Â ¦> Ó80H J­H *4"<@\"H F@L i"Â ¦> Ó80H J­H ÆFPb@H F@L.
12,30 ama il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua vita, con tutta la tua
mente, con tutta la tua forza”.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•("BZFg4H: verbo, 2a pers. sing. ind. fut. da •("BVT, amare; cf. Mc 10,21. La forma al futuro
è un semitismo: in ebraico e aramaico l’imperativo categorico è espresso mediante un futuro.
Per dire «devi amare Dio», si dice «amerai Dio». Il comandamento di «amare Dio» è una
citazione di Dt 6,5 che fa parte della preghiera quotidiana degli Ebrei («Tu amerai il Signore
tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze»). Sorprendentemente nel NT
vi sono relativamente pochi riferimenti dell’amore dell’uomo per Dio (cf. Lc 11,42; Rm 8,28;
1Cor 2,9; 8,3; 16,22; 1Gv 4,20–21).
ibD4@<: sost., acc. sing. m. da ibD4@H, –@L, signore, padrone, capo, Signore (riferito a Dio e
Gesù); cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
hg`<: sost., acc. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; apposizione di ibD4@<.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
¦>: (= ¦i), prep. propria di valore modale, seguita dal genitivo, indecl., secondo, conformemente
a; cf. Mc 1,10.
Ó80H: agg. indefinito, gen. sing. f. da Ó8@H, –0, –@<, tutto, ogni; cf. Mc 1,28; attributo di
i"D*\"H, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
Mc 12,30 845

i"D*\"H: sost., gen. sing. f. da i"D*\", –"H, cuore; cf. Mc 2,6; compl. di modo.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦>: (= ¦i), prep. propria di valore modale, seguita dal genitivo, indecl., secondo, conformemente
a; cf. Mc 1,10.
Ó80H: agg. indefinito, gen. sing. f. da Ó8@H, –0, –@<, tutto, ogni; cf. Mc 1,28; attributo di
RLP­H, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
RLP­H: sost., gen. sing. f. da RLPZ, –­H, anima, vita, uomo; cf. Mc 3,4; compl. di modo.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦>: (= ¦i), prep. propria di valore modale, seguita dal genitivo, indecl., secondo, conformemente
a; cf. Mc 1,10.
Ó80H: agg. indefinito, gen. sing. f. da Ó8@H, –0, –@<, tutto, ogni; cf. Mc 1,28; attributo di
*4"<@\"H, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
*4"<@\"H: sost., gen. sing. f. da *4V<@4", –"H (da *4V e <@ØH), intelligenza, comprensione,
pensiero; compl. di modo. Il vocabolo ricorre 12 volte nel NT: Mt 22,37; Mc 12,30 (hapax
marciano); Lc 1,51; 10,27; Ef 2,3; 4,18; Col 1,21; Eb 8,10; 10,16; 1Pt 1,13; 2Pt 3,1; 1Gv
5,20. Nel greco classico il termine indica la facoltà intellettiva, l’intelligenza, la capacità di
comprendere, come azione del pensare (cf. Platone, Resp., 395d). Il comandamento di amare
Dio presente in questo versetto riprende testualmente la citazione di Dt 6,5 (LXX) nella quale
l’invito è rivolto all’uomo nella sua totalità, espressa in una triplice dimensione: i"D*\" ("-F,
cuore), RLPZ (–5G1G, anima), *b<":4H / ÆFPb@H ($J!/ A , forza): si deve osservare che Marco
aggiunge una quarta dimensione: quella, appunto, della *4V<@4", ossia della «mente».
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦>: (= ¦i), prep. propria di valore modale, seguita dal genitivo, indecl., secondo, conformemente
a; cf. Mc 1,10.
Ó80H: agg. indefinito, gen. sing. f. da Ó8@H, –0, –@<, tutto, ogni; cf. Mc 1,28; attributo di
ÆFPb@H, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
846 Mc 12,31

ÆFPb@H: sost., gen. sing. f. da ÆFPbH, –b@H, abilità, forza, potenza; compl. di modo. Il vocabolo
ricorre 10 volte nel NT: Mc 12,30.33; Lc 10,27; Ef 1,19; 6,10; 2Ts 1,9; 1Pt 4,11; 2Pt 2,11;
Ap 5,12; 7,12. Nella grecità il termine ÆFPbH viene impiegato nel significato proprio di
«forza», «vigore», detto di persone o cose (cf. Esiodo, Theog., 146; Sofocle, Oed. Col., 610;
Aristofane, Achar., 591).
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).

12,31 *gLJXD" "àJ0s z!("BZFg4H JÎ< B80F\@< F@L ñH Fg"LJ`<. :g\.T< J@bJT<
–880 ¦<J@8¬ @Ûi §FJ4<.
12,31 Il secondo è questo: “Ama il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comanda-
mento più grande di questi».

*gLJXD": agg. numerale, ordinale, nom. sing. f. da *gbJgD@H, –", –@<, secondo, altro dei due;
cf. Mc 12,21; attributo del sostantivo sottinteso ¦<J@8Z.
"àJ0: pron. dimostrativo, nom. sing. f. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 8,12;
predicato nominale.
z!("BZFg4H: verbo, 2a pers. sing. ind. fut. da •("BVT, amare; cf. Mc 10,21. La forma al
futuro è un semitismo: in ebraico e aramaico l’imperativo categorico è espresso mediante un
futuro. Non si dice: «devi amare il prossimo», ma «amerai il prossimo».
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B80F\@<: agg. qualificativo, di valore sostantivato, acc. sing. m. da B80F\@<, –", –@<, vicino,
prossimo; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 17 volte nel NT: Mt 5,43; 19,19; 22,39; Mc
12,31.33; Lc 10,27.29.36; Gv 4,5; At 7,27; Rm 13,9.10; 15,2; Gal 5,14; Ef 4,25; Gc 2,8;
4,12. Sebbene nel NT il termine B80F\@< venga usato anche come preposizione impropria
(cf. Gv 4,5: «vicino a»), come avviene già in Omero (cf. Id., Il., 4,21; Od., 14,14), nelle
restanti ricorrenze è presente soltanto come aggettivo sostantivato per indicare il «prossimo»
inteso in senso sia individuale sia collettivo, conforme all’uso classico (cf. Omero, Il., 2,271;
Od., 10,37). Il concetto di «prossimo» a cui Gesù fa qui riferimento, tuttavia, non è quello
ristretto che compare in Lv 19,18: «Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli
del tuo prossimo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso». È certo che nel Levitico come
negli altri scritti giudaici la visuale relativa al «prossimo» è quella limitata al «vicino» in
senso etnico, ossia ai connazionali o al massimo ai correligionari, i .*9E#F, g) e) rîm, abitanti
della Palestina non Giudei, ma circoncisi (cf. Es 22,20; 23,9). Da questo concetto di
«prossimo» erano esclusi tutti gli altri: gli odiati Samaritani (cf. Gv 4,9) e soprattutto i pagani
non circoncisi, definiti in tono sprezzante «cani» (cf. Mc 7,28). In questo senso il comando
«ama il prossimo tuo come te stesso» equivaleva a «ama il tuo connazionale come te stesso».
La visuale di Gesù, al contrario, supera questo orizzonte ristretto per investire ogni persona
che si trova in bisogno, fosse anche il nemico, come chiaramente si evince da altri passi (cf.
Lc 6,27). È possibile che il loghion di Gesù («ama il prossimo tuo come te stesso») circolasse
in simili forme nel giudaismo contemporaneo (cf. Strack–Bill., I,357; 900–908), ma per
Mc 12,32 847

Gesù l’elemento decisivo e distintivo è il forte rilievo dato all’unità dei due precetti: l’uno
non può esistere senza l’altro.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
ñH: cong. subordinativa di valore comparativo, indecl., come; cf. Mc 1,10.
Fg"LJ`<: (da Fb e "ÛJ`H), pron. riflessivo, acc. sing. m. da Fg"LJ@Ø, –­H, di te stesso; cf. Mc
1,44; compl. di modo.
:g\.T<: agg. indefinito, di grado comparativo, nom. sing. f. da :X("H, :g(V80, :X(", grande;
cf. Mc 1,26; attributo di ¦<J@8Z.
J@bJT<: pron. dimostrativo, gen. plur. f. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 9,42;
compl. di specificazione.
–880: agg. indefinito, nom. sing. f. da –88@H, –0, –@, altro, un altro; cf. Mc 4,5; attributo di
¦<J@8Z.
¦<J@8Z: sost., nom. sing. f. da ¦<J@8Z, –­H, ordine, comando, precetto, ingiunzione,
comandamento; cf. Mc 7,8; soggetto. Senza articolo perché generico. Non si può osservare
il primo comandamento se non vivendolo nel secondo.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
§FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.

12,32 i" gÉBg< "ÛJè Ò (D"::"JgbHs 5"8äHs *4*VFi"8gs ¦Bz •80hg\"H gÉBgH ÓJ4
gÍH ¦FJ4< i" @Ûi §FJ4< –88@H B8¬< "ÛJ@Ø·
12,32 Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro e secondo verità che Egli è unico e non
c’è nessun altro all’infuori di lui;

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
(D"::"JgbH: sost., nom. sing. m. da (D"::"JgbH, –XTH (da (DV::"), scriba, esperto della
Legge, insegnante religioso; cf. Mc 1,22; soggetto.
5"8äH: avv. di modo, indecl., bene, giustamente, veramente; cf. Mc 7,6.
*4*VFi"8g: sost., voc. sing. m. da *4*VFi"8@H, –@L, maestro, insegnante; cf. Mc 4,38;
compl. di vocazione.
848 Mc 12,33

¦Bz: (= ¦B\), prep. propria di valore modale, seguita dal genitivo, indecl., con, secondo,
conforme a; cf. Mc 1,22.
•80hg\"H: sost., gen. sing. f. da •8Zhg4", –"H, verità; cf. Mc 5,33; compl. di modo.
L’espressione ¦Bz •80hg\"H, «secondo verità», è un semitismo ed equivale all’avverbio
«veramente»: in questa accezione può corrispondere all’ebraico 0/
F!I , ’a) me)n (cf. Lc 22,59,
dove i passi paralleli di Mc 14,70 e Mt 26,73 hanno •80häH). La formula, tuttavia, con lo
stesso significato di «conforme a verità», è attestata anche nei papiri greci.
gÉBgH: verbo, 2a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
gÍH: agg. numerale, cardinale, nom. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; predicato
nominale (in riferimento al sostantivo sottinteso hg`H).
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
§FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
–88@H: pron. indefinito, nom. sing. m. da –88@H, –0, –@, altro, un altro; cf. Mc 4,5; soggetto.
B8Z<: prep. impropria di valore limitativo, seguita dal genitivo, indecl., eccetto, all’infuori di,
tranne che. Il vocabolo ricorre 31 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
Mt 11,22.24; 18,7; 26,39.64; Mc 12,32 (hapax marciano); Lc 6,24.35; 10,11.14.20; 11,41;
12,31; 13,33; 17,1; 18,8; 19,27; 22,21.22.42; 23,28.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di esclusione.

12,33 i" JÎ •("B< "ÛJÎ< ¦> Ó80H J­H i"D*\"H i" ¦> Ó80H J­H FL<XFgTH i"Â
¦> Ó80H J­H ÆFPb@H i" JÎ •("B< JÎ< B80F\@< ñH ©"LJÎ< BgD4FF`JgD`<
¦FJ4< BV<JT< Jä< Ò8@i"LJT:VJT< i"Â hLF4ä<.
12,33 amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il
prossimo come sé stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici di animali».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
•("B<: verbo, inf. pres. da •("BVT, amare; cf. Mc 10,21; soggetto.
Mc 12,33 849

"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
¦>: (= ¦i), prep. propria di valore modale, seguita dal genitivo, indecl., secondo, conformemente
a; cf. Mc 1,10.
Ó80H: agg. indefinito, gen. sing. f. da Ó8@H, –0, –@<, tutto, ogni; cf. Mc 1,28; attributo di
i"D*\"H, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
i"D*\"H: sost., gen. sing. f. da i"D*\", –"H, cuore; cf. Mc 2,6; compl. di modo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦>: (= ¦i), prep. propria di valore modale, seguita dal genitivo, indecl., secondo, conformemente
a; cf. Mc 1,10.
Ó80H: agg. indefinito, gen. sing. f. da Ó8@H, –0, –@<, tutto, ogni; cf. Mc 1,28; attributo di
FL<XFgTH, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
FL<XFgTH: sost., gen. sing. f. da Fb<gF4H, –gTH, conoscenza, intelletto, comprensione; compl.
di modo. Il vocabolo ricorre 7 volte nel NT: Mc 12,33 (hapax marciano); Lc 2,47; 1Cor
1,19; Ef 3,4; Col 1,9; 2,2; 2Tm 2,7. Questo sostantivo deverbale (da FL<\0:4, «comprende-
re», «capire») deve essere inteso sulla linea della F@n\" biblica che nel NT indica non una
conoscenza intellettiva astratta, ossia la «comprensione», la «perspicacia», l’«assennatezza»
(cf. Platone, Crat., 412a; Euripide, Tr., 672), secondo la mentalità greca, ma una conoscenza
concreta che nasce dall’esperienza dell’alleanza.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦>: (= ¦i), prep. propria di valore modale, seguita dal genitivo, indecl., secondo, conformemente
a; cf. Mc 1,10.
Ó80H: agg. indefinito, gen. sing. f. da Ó8@H, –0, –@<, tutto, ogni; cf. Mc 1,28; attributo di
ÆFPb@H, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
ÆFPb@H: sost., gen. sing. f. da ÆFPbH, –b@H, abilità, forza, potenza; cf. Mc 12,30; compl. di
modo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
•("B<: verbo, inf. pres. da •("BVT, amare; cf. Mc 10,21; soggetto.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B80F\@<: agg. qualificativo, acc. sing. m. da B80F\@<, –", –@<, vicino, prossimo; cf. Mc
12,31; compl. oggetto.
ñH: cong. subordinativa di valore comparativo, indecl., come; cf. Mc 1,10.
©"LJ`<: pron. riflessivo, acc. sing. m. da ©"LJ@Ø, –­H, –@Ø (non usato al nominativo), lui, lui
stesso, esso; cf. Mc 1,27; compl. di modo.
850 Mc 12,33

BgD4FF`JgD`<: agg. qualificativo, di grado comparativo, nom. sing. n. da BgD4FF`H, –Z, –`<,
abbondante, più, di più, maggiormente, estremo, straordinario, eccessivo; cf. Mc 6,51;
predicato nominale.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
BV<JT<: agg. indefinito, gen. plur. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; attributo di Ò8@i"LJT:VJT<, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
Jä<: art. determ., gen. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
Ò8@i"LJT:VJT<: sost., gen. plur. n. da Ò8@i"bJT:", –"J@H, olocausto; compl. di
specificazione. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mc 12,33 (hapax marciano); Eb 10,6.8.
Si tratta di un termine assente nella grecità profana, coniato dai traduttori dei LXX per
rendere l’ebraico %-IJ3, ‘o) la) h, «olocausto», il più importante sacrificio cruento nel culto
giudaico (vedi commento a Mc 12,33).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
hLF4ä<: sost., gen. plur. f. da hLF\", –"H, sacrificio; compl. di specificazione. Il vocabolo
ricorre 28 volte nel NT: Mt 9,13; 12,7.33; Mc 12,33 (hapax marciano); Lc 2,24; 13,1; At
7,41.42; Rm 12,1; 1Cor 10,18; Ef 5,2; Fil 2,17; 4,18; Eb 5,1; 7,27; 8,3; 9,9.23.26;
10,1.5.8.11.12.26; 11,4; 13,15.16; 1Pt 2,5. Il termine hLF\" deve essere qui preso nel
significato tecnico di «sacrificio» cruento di animali, «rito sacrificale» (cf. Erodoto, Hist.,
4,60,1; Senofonte, Cyr., 3,3,34). La molteplicità di tali sacrifici nel mondo giudaico, come
del resto presso tutte le popolazioni antiche, è confermata a livello linguistico dalle numerose
espressioni anticotestamentarie usate per designare le offerte e i riti sacrificali. Eccone un
quadro sintetico: a) %-IJ3, ‘o) la) h, «olocausto». Si tratta del sacrificio per eccellenza mediante
il quale la vittima veniva completamente bruciata in onore della divinità. Il primo capitolo del
Levitico fornisce una dettagliata descrizione di questo genere di sacrificio. Il sacrificio era
pubblico e solenne. Le vittime designate erano tori, capretti e agnelli, tutti maschi e senza
difetti. In caso di offerenti indigenti si potevano offrire anche colombe e tortore. Lo scopo di
questo sacrificio è quello di adorazione per qualche teofania o ringraziamento per qualche
favore divino. Soltanto dopo l’esilio l’olocausto assume il carattere espiatorio. b) (" H 'G, zeb5ahE,
«immolazione». Non sappiamo come tradurlo in modo conveniente. Deriva dal verbo (" H 'I,
za) b5ahE «scannare», «macellare»: è, dunque, un sacrificio cruento. Il rito ha gli stessi atti
dell’olocausto, eccetto l’abbruciamento totale della vittima. Mediante il particolare gesto
dell’“agitazione” si offriva per l’abbruciamento soltanto il grasso dell’animale. Una porzione
di carne veniva data al sacerdote come dono. Tutto il resto era riconsegnato agli offerenti per
la cottura e la consumazione. c) .*/ E -I–A (("H'G), (zeb5ahE) šela) mîm, «(sacrificio) di comunione»,
«(sacrificio) pacifico». È una variante del sacrificio di «immolazione». Molte volte indica lo
stesso tipo di sacrificio. La caratteristica principale era il pasto sacro che non doveva mai
mancare alla fine del rito. Le norme che riguardano questo sacrificio sono contenute in Lv
3. La parte riservata a Dio, ossia le parti grasse dell’animale, veniva bruciata sull’altare,
mentre ai sacerdoti spettava il petto e la gamba destra della vittima (cf. Lv 7,28–34;
10,14–15). Il resto veniva riconsegnato all’offerente ed era consumato in un gioioso pasto
conviviale. Il sacrificio di comunione veniva offerto come ringraziamento, adorazione e lode
Mc 12,34 851

a Dio (cf. Lv 7,11.14; 22,21–23) oppure come ringraziamento per qualche favore pubblico
o privato (cf. Lc 7,12–15; 22,29–30). d) %! I€I(H , hEatEtEa) ’a) h, «sacrificio espiatorio». È una
forma particolare di sacrificio cruento con valore di espiazione per qualche peccato
commesso. Ciò che caratterizza questo sacrificio, diversamente dall’olocausto, è il rito del
sangue. Non soltanto si gettava parte del sangue attorno all’altare, ma si aspergeva il velo del
Tempio sette volte e si metteva del sangue sui corni dell’altare dell’incenso. In questi casi il
sangue aveva una virtù espiatrice. Si offrivano ovini, caprini e perfino tortore o colombi per
i più poveri. Veniva praticato tutto l’anno e nelle grandi feste annuali (cf. Nm 28,22.30;
29,5.16–38). In particolare nel grande giorno dell’espiazione (.*9ELƒE% H .|*, Yôm hakkip-
purîm) il sacrificio era solenne e pubblico, eseguito dal sommo sacerdote per tutto il popolo.
Tutto il grasso della vittima era bruciato sull’altare; le altre carni venivano consumate dai
sacerdoti. I testi della tradizione sacerdotale prescrivono il sacrificio per il peccato in varie
occasioni: la consacrazione dell’altare e dei sacerdoti (cf. Es 29,10–14.36), l’entrata in
funzione dei sacerdoti (cf. Lv 9,8–16), la consacrazione dei leviti (cf. Nm 8,12), altre
occasioni connesse con impurità legali (cf. Lv 12,6.8; 14,19; 15,15.29–30; Nm 6,11.14). Lo
scopo era in espiazione per una trasgressione (peccato) della Legge per inavvertenza o
ignoranza. e) .– I!I , ’a) ša) m, «sacrificio riparatorio». Simile al sacrificio espiatorio, a volte è
confuso con esso. Veniva offerto per le persone private che avevano involontariamente
violato un diritto di proprietà divina o umana. L’idea è che bisogna soddisfare un diritto
violato nelle cose sacre a Dio o per i danni al prossimo o ai suoi beni. Una parziale
descrizione del sacrificio riparatorio si trova in Lv 5,14–26; 7,1–7. In alcuni casi al sacrificio
si doveva aggiungere una ammenda in denaro (cf. Lv 5,15–16.21–26; Nm 5,5–8). f) %( I 1A/E,
minhEa) h, «oblazione». Non si tratta di un sacrificio cruento (non c’è vittima), poiché l’offerta
era costituita da vegetali, quali farina, olio, vino, frutta. Quanto rimaneva dell’offerta spettava
al sacerdote (cf. Lv 2,1–3; 6,7–11; 7,10). A volte è un rito complementare all’olocausto. In
seguito si finì per accettare l’oblazione al posto dei sacrifici nei casi di povertà dell’offerente
(cf. Lv 5,11–13). Era molto frequente. Lo scopo era quello del ringraziamento e della lode.

12,34 i"Â Ò z30F@ØH Æ*ã< ["ÛJÎ<] ÓJ4 <@L<gPäH •BgiD\h0 gÉBg< "ÛJès ?Û
:"iD< gÉ •BÎ J­H $"F48g\"H J@Ø hg@Ø. i" @Û*gÂH @ÛiXJ4 ¦J`8:" "ÛJÎ<
¦BgDTJ­F"4.
12,34 Gesù, nel vedere che aveva risposto saggiamente, gli disse: «Non sei lontano dal
regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
Æ*f<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc 1,10.
Participio predicativo di valore espletivo del soggetto z30F@ØH. Marco usa spesso il
participio con un significato temporale (cf. Mc 2,5.16; 5,6.22; 6,48.49; 7,2; 8,33; 9,20.25;
10,14; 12,34; 14,67.69; 15,39).
852 Mc 12,34

["ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto. Il pronome è presente nei manoscritti
A, B, Q, 087, 0233, e in molti codici minuscoli; è assente, invece, in !, D, L, W, ), 1, f1,
f13, e in numerosi codici minuscoli. Da un punto di vista sintattico il pronome, nel caso sia
autentico, può essere ritenuto a) complemento oggetto di ÒDVT (= «Gesù, nel vedere
esso…») oppure b) soggetto del verbo •B@iD\<@:"4 (= «Gesù, nel vedere che esso…»):
si deve osservare però che dal punto di vista di critica interna a) il verbo ÒDVT, quando è
costruito con ÓJ4 e l’indicativo per indicare la percezione di una situazione, un comportamen-
to, un fatto generico considerato nel suo insieme, non presenta mai un complemento oggetto
diretto (cf. Mc 2,16; 7,2; 9,25; 12,28.34; 15,39; in particolare Mc 12,28, dove abbiamo una
simile costruzione: 5"\… gÍH Jä< (D"::"JXT<… Æ*ã< ÓJ4 i"8äH •BgiD\h0…);
inoltre b) quando Marco usa la congiunzione dichiarativa ÓJ4 per introdurre l’oggetto dopo
i verbi di percezione spirituale o sensoriale non inserisce mai un pronome, ma il soggetto è
lasciato indeterminato (cf. Mc 2,16a; 5,29; 6,49.55; 12,28; 15,39). È dunque assai probabile
che la lezione "ÛJ`< non sia autentica.].
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.
<@L<gPäH: avv. di modo, indecl., saggiamente, sapientemente. Hapax neotestamentario.
•BgiD\h0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
?Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
:"iDV<: avv. di luogo, indecl., distante, lontano. Il vocabolo ricorre 10 volte nel NT: Mt 8,30;
Mc 12,34 (hapax marciano); Lc 7,6; 15,20; Gv 21,8; At 2,39; 17,27; 22,21; Ef 2,13.17.
gÉ: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc 1,6.
L’espressione «non sei lontano dal regno di Dio» è una litote impiegata come forma retorica
per attenuare formalmente il valore di un giudizio con il negare l’idea contraria; in termini
diretti equivale all’espressione «sei vicino al regno di Dio». Il giudizio è più che sicuro,
poiché è lo stesso Gesù a formularlo.
•B`: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da; cf. Mc
1,9.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
$"F48g\"H: sost., gen. sing. f. da $"F48g\", –"H, signoria, potere reale, dominio sovrano,
regno; cf. Mc 1,15; compl. di moto da luogo.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Mc 12,35 853

@Û*g\H: (da @Û*X e gÍH), pron. indefinito negativo, nom. sing. m. da @Û*g\H, @Û*g:\", @Û*X<,
nessuno, niente; cf. Mc 2,21; soggetto.
@ÛiXJ4: (da @Û e §J4), avv. di tempo, indecl., mai, non più, non oltre; cf. Mc 5,3.
¦J`8:": verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da J@8:VT, avere il coraggio, osare, ardire. Questo
verbo ricorre 16 volte nel NT: Mt 22,46; Mc 12,34; 15,43; Lc 20,40; Gv 21,12; At 5,13;
7,32; Rm 5,7; 15,18; 1Cor 6,1; 2Cor 10,2.12; 11,21[x2]; Fil 1,14; Gd 1,9. Imperfetto durativo
o iterativo. Attestato fin da Omero il verbo J@8:VT ha il significato originario di «sopporta-
re», «resistere», «tollerare» (cf. Omero, Od., 24,162); nella successiva evoluzione semantica
il verbo assume il significato di «osare», «rischiare», «ardire», che diventerà quello
predominante (cf. Platone, Leg., 706c; 880a). Nella maggior parte delle ricorrenze
neotestamentarie J@8:VT è preceduto da una negazione ed è seguito da un infinito
esplicativo; serve per esprimere il timore di mettere in atto qualche intendimento che, di fatto,
non viene attuato: soltanto in Mc 15,43 il verbo è usato in senso positivo (= «avere il
coraggio»).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
¦BgDTJ­F"4: verbo, inf. aor. da ¦BgDTJVT (da ¦B\ e ¦DTJVT), richiedere, domandare,
interrogare; cf. Mc 5,9.

12,35 5" •B@iD4hgÂH Ò z30F@ØH §8g(g< *4*VFiT< ¦< Jè ÊgDès AäH 8X(@LF4< @Ê
(D"::"JgÃH ÓJ4 Ò OD4FJÎH LÊÎH )"L\* ¦FJ4<p
12,35 Insegnando nel Tempio, Gesù disse: «In che senso gli scribi affermano che il messia
è figlio di Davide?

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•B@iD4hg\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33. Participio predicativo di valore espletivo del
soggetto z30F@ØH.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’espressione •B@iD4hg\H… 8X(g4, •B@iD4hg\H… gÉBg< è ricalcata
sull’ebraico 9/G !J&H… 03HHH&, wayya‘an… wayyo)’mer, «rispondendo… dice», «rispondendo…
disse» (cf. Gb 8,1, ecc.). Si tratta di una tipica locuzione semitica ridondante che può essere
tradotta semplicemente con «disse», «rispose», «replicò» e simili. Si deve osservare, inoltre,
che il verbo •B@iD\<@:"4 è usato con valore semitico anche quando (come qui) non si
tratta di dare una risposta a una precisa domanda, ma soltanto intervenire con una
affermazione o una richiesta. Questa formula ricorre 16 volte in Marco (cf. Mc 3,33; 6,37;
7,28; 8,29; 9,5.19; 10,3.24.51; 11,14.22.33; 12,35; 14,48; 15,2.12).
854 Mc 12,36

*4*VFiT<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da *4*VFiT, insegnare, istruire, ammaestrare; cf.
Mc 1,21. Participio predicativo del soggetto z30F@ØH.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
Jè: art. determ., dat. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ÊgDè: sost., dat. sing. n. da ÊgD`<, –@Ø, tempio; cf. Mc 11,11; compl. di stato in luogo.
AäH: avv. interrogativo di modo, indecl., come?, in quale modo?, in che senso?, perché?; cf.
Mc 2,26.
8X(@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
(D"::"JgÃH: sost., nom. plur. m. da (D"::"JgbH, –XTH (da (DV::"), scriba, esperto della
Legge, insegnante religioso; cf. Mc 1,22; soggetto.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
OD4FJ`H: agg. qualificativo, di valore sostantivato, nom. sing. m. da PD4FJ`H, –Z, –`<, unto,
messia, «Cristo»; cf. Mc 1,1; soggetto. Qui, come in Mc 8,29; 13,21; 14,61; 15,32, è
preferibile tradurre OD4FJ`H con «messia», poiché il vocabolo viene impiegato per indicare
il figlio di David, atteso come salvatore del suo popolo; al contrario nelle altre due ricorrenze
(cf. Mc 1,1; 9,41) la traduzione più appropriata è quella di «Cristo», poiché il termine è
utilizzato redazionalmente per indicare il messia già venuto, figlio di Maria e Figlio di Dio,
salvatore dell’umanità.
LÊ`H: sost., nom. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; apposizione di OD4FJ`H.
)"L\*: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m., indecl., Davide; cf. Mc 2,25; compl. di
specificazione.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.

12,36 "ÛJÎH )"LÂ* gÉBg< ¦< Jè B<gb:"J4 Jè (\ås gÉBg< ibD4@H Jè iLD\å :@L·
5Vh@L ¦i *g>4ä< :@Ls ªTH —< hä J@×H ¦PhD@bH F@L ßB@iVJT Jä< B@*ä<
F@L.
12,36 Davide stesso, infatti, disse, mosso dallo Spirito Santo: “Il Signore ha detto al mio
Signore: Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici sotto i tuoi piedi”.

"ÛJ`H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., nom. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso, stesso (lat. ipse); cf. Mc 1,8; attributo di )"L\*, senza articolo
perché in posizione predicativa; con valore enfatico, perché in posizione prolettica.
Mc 12,36 855

)"L\*: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m., indecl., Davide; cf. Mc 2,25; soggetto.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
¦<: prep. propria di valore strumentale, seguita dal dativo, indecl., con, per mezzo di; cf. Mc 1,2.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B<gb:"J4: sost., dat. sing. n. da B<gØ:", –"J@H, alito, soffio, vento, spirito, Spirito; cf. Mc 1,8;
compl. di mezzo. L’espressione ¦< Jè B<gb:"J4 è un esempio di ¦< strumentale dovuto
a influsso semitico: la preposizione greca traduce quella corrispondente ebraica (vA, be),
impiegata per esprimere non un complemento di luogo, ma di mezzo o strumento.
Ritroviamo questo uso particolare in Mc 1,8; 3,22.23; 4,2.11.24.30; 6,14; 9,29.38.50;
11,28.29.33; 12,1.36.38; 16,17. Qui la frase deve essere intesa come formula apocalittica (cf.
Ez 11,24; 37,1; Ap 1,10; 4,2; 17,3; 21,10), per designare una condizione estatica o una
visione.
Jè: art. determ., dat. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
(\å: agg. qualificativo, dat. sing. n. da ž(4@H, –", –@<, separato, riservato [per Dio],
consacrato, santo; cf. Mc 1,8; attributo di B<gb:"J4.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
ibD4@H: sost., nom. sing. m. da ibD4@H, –@L, signore, padrone, capo, Signore (riferito a Dio e
Gesù); cf. Mc 1,3; soggetto.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
iLD\å: sost., dat. sing. m. da ibD4@H, –@L, signore, padrone, capo, Signore (riferito a Dio e
Gesù); cf. Mc 1,3; compl. di termine.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).
5Vh@L: verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. medio da iVh0:"4 (da i"JV e ½:"4), sedere,
sedersi; cf. Mc 2,6.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
*g>4ä<: agg. qualificativo, di valore sostantivato, gen. plur. n. da *g>4`H, –V, –`<, destro; cf.
Mc 10,37; compl. di stato in luogo. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con
preposizioni, come qui, è frequente nel greco ellenistico. La forma plurale è dovuta a
influsso semitico. Per quanto riguarda il valore simbolico della destra vedi Mc 10,37. Qui si
può aggiungere che nella mentalità semitica l’essere seduto alla destra del sovrano significa
essere designato come legittimo erede.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).
856 Mc 12,36

ªTH: cong. subordinativa di valore temporale, indecl., finché, fintanto, fino a, per tutto il tempo
che; cf. Mc 6,10. La citazione è tratta da Sal 110,1: il testo viene citato secondo i LXX, con
una influenza del Sal 8,7 nella stessa versione. Secondo l’originale, Dio comanda al re messia
di sedere alla sua destra finché (ªTH –<) egli abbia posto sotto di sé i nemici del re: non si
vuole certo dire che il re messia smetterà di stare alla destra di Dio dopo tale avvenimento.
Nella lingua greca (come in quella ebraica o aramaica) l’uso della preposizione ªTH, a volte
in aggiunta alla negazione @â o alla dubitativa –<, non implica che si verifichi necessaria-
mente un cambiamento rispetto a quanto detto nella proposizione precedente. Abbiamo altri
esempi biblici: Mt 12,20, citando Is 42,1–4, afferma che il futuro messia «non spezzerà la
canna infranta, non spegnerà il lucignolo fumigante, finché non (ªTH –<) abbia fatto trionfare
la giustizia». Non si può certo qui ritenere che il Servo messia spezzerà la canna e spegnerà
la lampada dopo aver fatto trionfare la giustizia salvifica. In 1Tm 4,13 Paolo esorta Timoteo
all’insegnamento «fino a quando (ªTH) io arrivi»: l’autore non vuole certamente dire che
Timoteo dovrà smettere queste attività dopo il suo arrivo. In 2Sam 6,23 (LXX) si legge che
«Mikal, figlia di Saul, non ebbe figli fino al (ªTH) giorno della sua morte»: ha forse avuto
figli dopo la sua morte? In sostanza: quando gli autori biblici usano la preposizione ªTH nel
senso di «fino a» il loro accento è posto su ciò che accade o deve accadere prima che si
verifichi l’avvenimento formulato nella proposizione temporale introdotta da «fino a».
–<: partic. modale di valore dubitativo, eventuale o condizionale, indecl., [se, e se, caso mai,
qualora, eventualmente]; cf. Mc 3,29.
hä: verbo, 1a pers. sing. congiunt. aor. da J\h0:4, mettere, posare, porre, disporre; cf. Mc
4,21.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
¦PhD@bH: sost., acc. plur. m. da ¦PhD`H, –@Ø, nemico; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 32
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 5,43.44; 10,36; 13,25.28.39;
22,44; Mc 12,36 (hapax marciano); Lc 1,71.74; 6,27.35; 10,19; 19,27.43; 20,43. Nella
grecità il termine ¦PhD`H ricorre propriamente come aggettivo nel significato originario di
«odioso», «detestato», riferito a persone o cose (cf. Omero, Il., 9,378; Od., 17,499). Per
estensione il vocabolo assume il significato di «ostile» (cf. Eschilo, Prom., 309) e viene
impiegato, quindi, come sostantivo per indicare «il nemico» (cf. Eschilo, Prom., 120).
Analogamente all’uso anticotestamentario del termine qui ¦PhD`H non indica il nemico
personale, l’avversario, ma il nemico etnico o politico di Israele (senso collettivo). In questo
senso vanno menzionati anche gli altri passi nei quali viene citato il Salmo 110,1 (cf. At 2,34;
1Cor 15,25; Eb 1,13; 10,13), un passo che Paolo riferisce a tutte le potenze ostili a Dio (cf.
1Cor 15,25).
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).
ßB@iVJT: prep. impropria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., sotto, al di sotto di; cf.
Mc 6,11.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
Mc 12,37 857

B@*ä<: sost., gen. plur. m. da B@bH, B@*`H, piede; cf. Mc 5,22; compl. di stato in luogo.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di appartenenza,
è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 2a persona singolare («di te» = «tuo»).

12,37 "ÛJÎH )"LÂ* 8X(g4 "ÛJÎ< ibD4@<s i"Â B`hg< "ÛJ@Ø ¦FJ4< LÊ`Hp i"Â [Ò] B@8×H
ÐP8@H ³i@Lg< "ÛJ@Ø º*XTH.
12,37 Davide stesso lo chiama “Signore”: e allora in che modo può essere suo figlio?». E
la folla numerosa lo ascoltava volentieri.

"ÛJ`H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., nom. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso, stesso (lat. ipse); cf. Mc 1,8; attributo di )"L\*, senza articolo
perché in posizione predicativa; con valore enfatico, perché in posizione prolettica.
)"L\*: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m., indecl., Davide; cf. Mc 2,25; soggetto.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; soggetto della proposizione oggettiva costruita con
il verbo infinito gÉ<"4 (sottinteso).
ibD4@<: sost., acc. sing. m. da ibD4@H, –@L, signore, padrone, capo, Signore (riferito a Dio e
Gesù); cf. Mc 1,3; compl. predicativo. Senza articolo, poiché, come avviene per hg`H, il
vocabolo ibD4@H è considerato nel NT praticamente come un nome proprio.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
B`hg<: avv. interrogativo, indecl., da dove?, donde?; cf. Mc 6,2. L’avverbio è qui usato in
senso modale, corrispondente all’avverbio interrogativo BäH («come?», «in che modo?»),
analogamente a quanto avviene in Mc 8,4.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
LÊ`H: sost., nom. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; predicato nominale.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
[Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4. L’articolo è presente nei codici
A, B, L, Q, f1, 33, 2427; è assente, invece, in !, D, W, 1, f13, 28, 565, 700, 2542. È
probabile che l’articolo facesse parte del testo originale, per i motivi addotti a proposito di
ÐP8@H in Mc 2,4. In ogni caso la lezione, sia essa aggiunta oppure omessa, è ininfluente per
la retta interpretazione del testo.].
858 Mc 12,38

B@8bH: agg. indefinito, nom. sing. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; attributo di ÐP8@H.
ÐP8@H: sost., nom. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; soggetto.
³i@Lg<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. Imperfetto durativo o iterativo.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto. La forma genitiva è retta dal verbo
•i@bT.
º*XTH: avv. di modo, indecl., con piacere, volentieri; cf. Mc 6,20.

12,38 5" ¦< J± *4*"P± "ÛJ@Ø §8g(g<s #8XBgJg •BÎ Jä< (D"::"JXT< Jä<
hg8`<JT< ¦< FJ@8"ÃH BgD4B"JgÃ< i" •FB"F:@×H ¦< J"ÃH •(@D"ÃH
12,38 Mentre insegnava disse: «Guardatevi dagli scribi, i quali amano passeggiare in lunghe
vesti, ricevere saluti nelle piazze,

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦<: prep. propria di valore strumentale, seguita dal dativo, indecl., con, per mezzo di; cf. Mc 1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
*4*"P±: sost., dat. sing. f. da *4*"PZ, –­H (da *4*VFiT), insegnamento, dottrina, istruzione;
cf. Mc 1,22; compl. di mezzo. L’espressione ¦< J± *4*"P± è un esempio di ¦< strumentale
dovuto a influsso semitico: la preposizione greca traduce quella corrispondente ebraica (vA,
be), impiegata per esprimere non un complemento di luogo, ma di mezzo o strumento.
Ritroviamo questo uso particolare in Mc 1,8; 3,22.23; 4,2.11.24.30; 6,14; 9,29.38.50;
11,28.29.33; 12,1.36.38; 16,17.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo («diceva», «continuava a
dire»), ma quello puntuale corrispondente a un aoristo («disse»). Per altri esempi di questo
imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24.26.30.41;
5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70; 15,12a.14; per
quanto riguarda l’imperfetto puntuale con ¦BgDTJVT cf. Mc 5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33;
10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; con ¦DTJVT cf. Mc 4,10; 8,5.
#8XBgJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da $8XBT, vedere, percepire, discernere, fare
attenzione; cf. Mc 4,12. Il verbo $8XBT costruito con •B`, corrispondente al latino caveo
ab (cf. anche Mc 8,15), non necessariamente deve ritenersi un semitismo, poiché compare
con questo significato anche su alcuni papiri di epoca ellenistica. La forma imperativa plurale
Mc 12,38 859

di $8XBT, usata come richiamo all’attenzione e alla vigilanza, compare in Mc 4,24; 8,15;
12,38; 13,5.9.33.
•B`: prep. propria con valore di separazione, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,9.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
(D"::"JXT<: sost., gen. plur. m. da (D"::"JgbH, –XTH (da (DV::"), scriba, esperto della
Legge, insegnante religioso; cf. Mc 1,22; compl. di separazione. Le minute osservazioni
critiche che Gesù rivolge allo stile di vita degli scribi del suo tempo trovano conferma negli
scritti giudaici successivi i quali aggiungono altri particolari: tutti dovevano alzarsi
rispettosamente al loro passaggio, in segno di omaggio; soltanto gli operai, durante il lavoro,
non erano tenuti a questo gesto (cf. b.Qid., 33); venivano premurosamente salutati per primi
quando passavano in pubblico, vestiti della loro caratteristica tunica a forma di mantello
cadente fino ai piedi e ornata di lunghe frange (cf. y.Ber., 2,14); i primi posti erano loro
riservati: essi precedevano negli onori anche gli «anziani» e addirittura i propri genitori; nella
sinagoga avevano il posto d’onore: si sedevano con le spalle rivolte all’arca della Torah, di
fronte all’assemblea, visibili a tutti; soltanto eccezionalmente sposavano figlie di persone
incolte.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
hg8`<JT<: verbo, gen. plur. m. part. pres. da hX8T, volere, avere il proposito di; cf. Mc 1,40.
Participio attributivo del complemento di separazione (D"::"JXT<, con valore enfatico.
Il verbo hX8T è qui usato nel significato di «amare», ossia «ambire» (cf. •("BVT nel passo
parallelo di Lc 11,43 e n48XT in Mt 23,7; Lc 20,46), come avviene altrove nel NT (cf. Mt
9,13; 12,7; 27,43; Eb 10,5.8).
¦<: prep. propria di valore modale, seguita dal dativo, indecl., in; cf. Mc 1,2.
FJ@8"ÃH: sost., dat. plur. f. da FJ@8Z, –­H, veste, vestito, abbigliamento; compl. di modo. Il
vocabolo ricorre 9 volte nel NT: Mc 12,38; 16,5; Lc 15,22; 20,46; Ap 6,11; 7,9.13.14;
22,14. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è
frequente nel greco ellenistico. L’uso della preposizione ¦< seguita da un nome di vestito,
come complemento di modo, non è un semitismo, ma fenomeno che si riscontra ancora
nella grecità (¦< B@DnLD\*4, Taziano, Ad Graec., 2,1,5; ¦< FJ@8\å, Marco Aurelio, In se
ipso, 1,7,2; P"8iX@4F4 ¦< §<JgF4, Pindaro, Olym., 4,22). Per il NT cf. Mt 7,15; 11,8.21;
Lc 10,13; Gv 20,12; At 10,30; Ap 3,5; 4,4. Nell’uso classico il sostantivo FJ@8Z indica il
generico «indumento», «veste», «abito» (cf. Eschilo, Pers., 192; Sofocle, Trach., 764),
indossato sia da uomini che da donne ((L<"4igÂ" FJ@8Z, «abito da donna»: Aristofane,
Thesm., 851). Nei LXX il termine è usato per tradurre quasi sempre l’ebraico $#Gv G , beg) ed5,
nome generico per «vestito»: è però evidente che nel passo marciano in oggetto il significato
deve essere più particolareggiato, poiché la frase «amano passeggiare con i vestiti» non
avrebbe senso. Quasi certamente il rimprovero che Gesù rivolge agli scribi non riguarda le
vesti in generale, ma quelle usate nel culto: in tal senso il vocabolo FJ@8Z si riferisce molto
probabilmente non all’abito profano e quotidiano, ma a quello liturgico, il ;*‹E) H , Et allî5t
(greco nD@H), lungo mantello, simile al pallium romano, usato dai sacerdoti durante la
preghiera (cf. Filone di Alessandria, Legat., 296; Giuseppe Flavio, Antiq., 3,151). Gli scribi
sarebbero accusati da Gesù di continuare a portare questo abbigliamento liturgico per pura
860 Mc 12,39

ostentazione, oltre il tempo stabilito e fuori del luogo prescritto. Secondo Epifanio di
Salamina (cf. Id., Panar., 1,209.211) essi ostentavano altre vesti, quali •:BgP`<0 e
*"8:"J4iZ.
BgD4B"JgÃ<: verbo, inf. pres. da BgD4B"JXT (da BgD\ e B"JXT), camminare, passeggiare,
deambulare; cf. Mc 2,9; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•FB"F:@bH: sost., acc. plur. m. da •FB"F:`H, –@Ø, saluto, ossequio; compl. oggetto. Il
vocabolo ricorre 10 volte nel NT: Mt 23,7; Mc 12,38 (hapax marciano); Lc 1,29.41.44;
11,43; 20,46; 1Cor 16,21; Col 4,18; 2Ts 3,17. Senza articolo perché generico. Il sostantivo
deverbale indica nella grecità il saluto affettuoso, dimostrato con parole e gesti (cf. Teognide,
860). Presso i semiti il saluto era ritenuto una cerimonia di grande valore. Nel mondo
giudaico l’augurio tradizionale era quello dello .|-– I , ša) lôm, una espressione che include
globalmente un insieme di beni: salute fisica, felicità, benedizione, prosperità, pace. Quando
un inferiore incontrava per strada uno a lui superiore era tenuto a rivolgergli il saluto
mediante la formula ‰-A .|-– I , ša) lôm leka) , «pace a te!». I rabbini, desiderando essere salutati
per primi in pubblico, aspiravano a essere riconosciuti come superiori.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J"ÃH: art. determ., dat. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
•(@D"ÃH: sost., dat. plur. f. da •(@DV, –H, piazza, spianata, mercato; cf. Mc 6,56; compl. di
stato in luogo.

12,39 i"Â BDTJ@i"hg*D\"H ¦< J"ÃH FL<"(T("ÃH i"Â BDTJ@i84F\"H ¦< J@ÃH
*g\B<@4Hs
12,39 avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


BDTJ@i"hg*D\"H: sost., acc. plur. f. da BDTJ@i"hg*D\", –"H (da BDäJ@H e i"hX*D"),
prima–sedia, primo posto, posto d’onore; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 4 volte nel NT:
Mt 23,6; Mc 12,39 (hapax marciano); Lc 11,43; 20,46. Il raro termine BDTJ@i"hg*D\" è
esclusivamente biblico e cristiano: ricorre soltanto nei vangeli e nella letteratura patristica per
indicare in senso letterale proprio lo scanno più importante, in riferimento alle sinagoghe o
agli edifici di culto. Solitamente nelle sinagoghe gli scribi più illustri sedevano non in mezzo
agli altri uomini, al centro della sala, ma in alto, vicino alle teche che custodivano i testi
biblici oppure su scanni lungo le pareti laterali (cf. Strack–Bill., I,915). Tali seggi elevati e
visibili a tutti erano ambiti per motivi di prestigio: sono i «primi seggi» di cui parla Gesù.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J"ÃH: art. determ., dat. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
Mc 12,40 861

FL<"(T("ÃH: sost., dat. plur. f. da FL<"(T(Z, –­H, raccolta, adunanza, assemblea, riunione,
congregazione, sinagoga (forma raddoppiata di FL<V(T); cf. Mc 1,21; compl. di stato in
luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BDTJ@i84F\"H: sost., acc. plur. f. da BDTJ@i84F\", –"H (da BDäJ@H e i84F\"), primo
posto, posto principale; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 5 volte nel NT: Mt 23,6; Mc
12,39 (hapax marciano); Lc 14,7.8; 20,46. Senza articolo perché generico. Concettualmente
il raro vocabolo BDTJ@i84F\" (testimoniato nel greco classico a partire dal II secolo a.C.
da una iscrizione di Delo) corrisponde al nostro «capotavola», ossia al posto privilegiato della
mensa solitamente occupato dalla persona più ragguardevole. Sul piano storico questo posto
privilegiato era determinato dall’usanza di disporsi a tavola: se adagiati sul fianco, alla moda
ellenistica e romana oppure più semplicemente seduti per terra o su sgabelli, attorno a un
tavolo. Per altri dettagli in riferimento alla disposizione gerarchica dei posti a tavola nella
cultura ellenistico–romana vedi commento a Mc 2,15; 14,18.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
*g\B<@4H: sost., dat. plur. n. da *gÃB<@<, –@L, banchetto, pranzo, cena; cf. Mc 6,21; compl. di
stato in luogo.

12,40 @Ê i"JgFh\@<JgH JH @Æi\"H Jä< P0Dä< i" BD@nVFg4 :"iD BD@FgLP`:g-
<@4· @âJ@4 8Z:R@<J"4 BgD4FF`JgD@< iD\:".
12,40 Questi tali che divorano le case delle vedove e a tal scopo pregano a lungo riceveran-
no una condanna severissima».

@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
i"JgFh\@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da i"JgFh\T (da i"JV
e ¦Fh\T), mangiare, consumare, divorare; cf. Mc 4,4; soggetto.
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
@Æi\"H: sost., acc. plur. f. da @Æi\", –"H, casa, abitazione, dimora; cf. Mc 1,29; compl.
oggetto.
Jä<: art. determ., gen. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
P0Dä<: sost., gen. plur. f. da PZD", –"H, vedova; compl. di specificazione. Il vocabolo ricorre
26 volte nel NT: Mc 12,40.42.43; Lc 2,37; 4,25.26; 7,12; 18,3.5; 20,47; 21,2.3; At 6,1;
9,39.41; 1Cor 7,8; 1Tm 5,3[x2].4.5.9.11.16[x2]; Gc 1,27; Ap 18,7. Attestato fin da Omero
(cf. Id., Il., 2,289; 22,484.499) il sostantivo PZD" indica all’origine la donna lasciata senza
padrone e più estesamente la donna che vive senza un uomo, la «vedova» (cf. Sofocle, Ai.,
653). In tutte le antiche culture lo stato di vedovanza della donna era uno dei più temuti e
commiserati, poiché con la perdita del marito essa diventava non soltanto priva di
sostentamento, ma socialmente inesistente. Nei testi legislativi e sapienziali dell’Oriente torna
862 Mc 12,40

molto spesso il lamento sulla vedova che, al pari dell’orfano, necessita di protezione e aiuto,
soprattutto riguardo all’ingiustizia a cui essa è esposta rispetto a chi è socialmente più forte.
Significativo, al riguardo, un passo che si trova nel libro sapienziale egiziano di Amenemope:
«Non mettere le mani sul confine del campo di una vedova». Il re Hammurabi nel suo
celebre codice (col. 24,61ss.) si vanta di essersi preoccupato di garantire i diritti all’orfano e
alla vedova. Nel poema ugaritico di Aqhat si riferisce che Dan–il, padre di Aqhat, «stabilì il
diritto delle vedove, pronunciò la sentenza [positiva] per gli orfani» (2Aqhat, col. 5,7).
Analogamente nell’antico Egitto, dove, sotto Sesostri I (1971–1925 a.C.), il principe Ameni
afferma: «Non c’è stata una vedova […] che io abbia oppresso […]. Ho dato alla vedova lo
stesso che alla maritata». La situazione commiserevole della vedova è descritta anche nei testi
anticotestamentari, nei quali le vedove sono menzionate ed equiparate, in un rapporto quasi
stereotipo, con gruppi socialmente e civilmente più deboli e svantaggiati: gli orfani (cf. Is
1,23; Ger 5,28; Gb 22,9; 24,3; Lam 5,3), gli stranieri (cf. Es 22,20–21; Dt 10,18; 24,17), i
poveri (cf. Is 10,2; Zc 7,10; Sap 2,10), i lavoratori a giornata (cf. Ml 3,5). Molto spesso
risuona il lamento per i soprusi consumati a danno delle vedove (cf. Is 10,2; Ez 22,7; Gb
24,3; Sal 94,6) e per il diritto loro negato (cf. Is 1,23; Ger 5,28).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BD@nVFg4: sost., dat. sing. f. da BD`n"F4H, –gTH, motivo, giustificazione, pretesto; compl. di
fine. Il vocabolo ricorre 6 volte nel NT: Mc 12,40 (hapax marciano); Lc 20,47; Gv 15,22;
At 27,30; Fil 1,18; 1Ts 2,5. Il sostantivo BD`n"F4H è usato nella grecità sia nel significato
di «motivo di giustificazione», «giustificazione» (cf. Teognide, 323; Erodoto, Hist., 1,29,1)
sia, per estensione, in quello di «pretesto», «scusa» (cf. Aristofane, Thesm., 207; Erodoto,
Hist., 7,150,3). Il vocabolo, pertanto, non significa «in apparenza», «esteriormente», come
sovente viene tradotto, ma «a motivo», «a ragione», «come pretesto» (cf. le cinque occorrenze
nei LXX: Sal 141,4; Os 10,4; Dn 6,5[x2].6). In altre parole: Gesù non sta stigmatizzando le
lunghe preghiere recitate «in apparenza», ma esplicita lo scopo truffaldino di queste lunghe
preghiere ostentate dagli scribi: ottenere la fiducia delle vedove per depredarle dei loro beni.
Si sta qui facendo riferimento all’istituzione dei tutori patrimoniali: in caso di vedovanza la
proprietà doveva spesso essere affidata a dei fiduciari nominati dal proprietario di un
patrimonio (quando era ancora in vita) oppure dai tribunali. Questi fiduciari erano
contemporaneamente custodi, amministratori e legali. Venivano remunerati con una
percentuale del reddito del patrimonio. In che modo tali fiduciari «divoravano le case delle
vedove»? Il popolo era alla ricerca di tutori fidati, poiché si sospettava che molti si
arricchissero a spese del patrimonio che veniva loro affidato. La migliore referenza che tali
“esperti” della legge potevano dare della propria onestà era quella di ostentare lunghe
preghiere come segno di rettitudine, pietà e timor di Dio. L’essere nominati tutori dava loro
un reddito sicuro e il prestigio di essere considerati soccorritori dei miseri. Una volta ottenuto
l’incarico potevano pianificare la loro gestione patrimoniale per «divorare» le proprietà delle
vedove. Il parallelo anticotestamentario più vicino è quello che ritroviamo in Is 10,1–2:
«Guai a coloro che fanno decreti iniqui e scrivono in fretta sentenze oppressive, per negare
la giustizia ai miseri e per frodare del diritto i poveri del mio popolo, per fare delle vedove
la loro preda e per spogliare gli orfani».
Mc 12,41 863

:"iDV: avv. di tempo, indecl., grandemente, molto, fortemente. Il vocabolo è propriamente un


acc. plur. n. da :"iD`H, –V, –`<, esteso, largo, grande, lontano. Compare 4 volte nel NT
con significato avverbiale: Mc 12,40 (hapax marciano); Lc 15,13; 19,12; 20,47.
BD@FgLP`:g<@4: verbo, nom. plur. m. part. pres. medio da BD@FgbP@:"4 (da BD`H e
gÜP@:"4), offrire preghiere, pregare; cf. Mc 1,35.
@âJ@4: pron. dimostrativo, nom. plur. m. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 4,15;
soggetto.
8Z:R@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. medio da 8":$V<T, prendere, afferrare, raccogliere,
ricevere; cf. Mc 4,16.
BgD4FF`JgD@<: agg. qualificativo, di grado comparativo, acc. sing. n. da BgD4FF`H, –Z, –`<,
abbondante, più, di più, maggiormente, estremo, straordinario, eccessivo; cf. Mc 6,51;
attributo di iD\:". Nelle lingue semitiche come nel greco ellenistico il grado positivo o
comparativo di un aggettivo, generalmente seguito dal genitivo, è spesso usato con valore di
superlativo relativo o assoluto, come qui: «severissima». Per altri esempi di questo fenomeno
cf. Mc 4,31; 9,34; 10,43. Per il grado positivo al posto del comparativo cf. Mc 9,42.43.45.47;
14,21.
iD\:": sost., acc. sing. n. da iD\:", –"J@H, giudizio, condanna, punizione; compl. oggetto. Il
vocabolo ricorre 27 volte nel NT: Mt 7,2; Mc 12,40 (hapax marciano); Lc 20,47; 23,40;
24,20; Gv 9,39; At 24,25; Rm 2,2.3; 3,8; 5,16; 11,33; 13,2; 1Cor 6,7; 11,29.34; Gal 5,10;
1Tm 3,6; 5,12; Eb 6,2; Gc 3,1; 1Pt 2,3; Gd 1,4; Ap 17,1; 18,20; 20,4. Senza articolo perché
generico. Nell’uso originario il sostantivo deverbale iD\:" indica l’«oggetto di giudizio»,
la «questione» (cf. Eschilo, Suppl., 397). In epoca ellenistica assume il significato di
«sentenza, «giudizio» e, quindi, «condanna». Anche nell’uso neotestamentario iD\:" indica
il risultato dell’azione giudiziaria, ossia la «sentenza», intesa generalmente in termini
negativi; come tale corrisponde alla «condanna», alla «pena», alla «punizione», sia nel
giudizio umano che in quello di Dio. L’espressione iD\:" 8":$V<g4<, equivalente a
«ricevere una condanna», ricorre anche nel passo parallelo di Lc 20,47 e in Rm 13,2; Gc 3,1.

12,41 5"Â i"h\F"H i"JX<"<J4 J@Ø (".@nL8"i\@L ¦hgfDg4 BäH Ò ÐP8@H $V88g4
P"8iÎ< gÆH JÎ (".@nL8Vi4@<. i"Â B@88@Â B8@bF4@4 §$"88@< B@88V·
12,41 E sedutosi di fronte alla stanza del tesoro osservava come la gente gettava monete nel
tesoro. Tanti ricchi ne gettavano molte.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


i"h\F"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da i"h\.T, sedere, sedersi, assidersi; cf. Mc 9,35.
Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH.
i"JX<"<J4: prep. impropria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., di fronte, davanti; cf.
Mc 11,2.
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
(".@nL8"i\@L: sost., gen. sing. n. da (".@nL8Vi4@<, –@L (da (V." e nL8"iZ), stanza del
tesoro, tesoreria; compl. di stato in luogo. Il vocabolo ricorre 5 volte nel NT: Mc
864 Mc 12,41

12,41[x2].43; Lc 21,1; Gv 8,20. Nei LXX il vocabolo indica spesso il tesoro e per
estensione la stanza o le stanze del tesoro (cf. 1Cr 28,1; Ne 10,39; Est 3,9; 1Mac 3,28;
14,49; 2Mac 3,6.24.28.40; 4,42; 5,18). Stesso significato di «tesoreria», «sede del tesoro»
troviamo nel greco profano (cf. Strabone, Geogr., 7,6,1). In Marco il termine si riferisce alla
«stanza del tesoro» costruita da Erode il Grande nella parte settentrionale del cortile delle
donne, nel Tempio di Gerusalemme. Giuseppe Flavio ne offre questa descrizione:

JÎ *¥ BDÎH *bF4< :XD@H @Ûi gÉPg Bb80<, •88 *40<gi¥H ¦*g*`:0J@ J"bJ® JÎ
JgÃP@H. "Ê FJ@" *¥ :gJ">× Jä< BL8ä< •BÎ J@Ø Jg\P@LH §<*@< ¦FJD"::X<"4 BDÎ
Jä< (".@nL8"i\T< Fn`*D" :¥< i"8@ÃH i" :g(V8@4H •<g\P@<J@ i\@F4<, µF"< *z
B8"Ã, i" B8¬< J@Ø :g(Xh@LH Jä< iVJT i"Jz @Û*¥< •Bg8g\B@<J@.
«Sul lato occidentale [del Tempio] non c’era alcuna porta, perché lì il muro era costruito
senza aperture. I portici tra le porte, rivolti dal muro verso l’interno, davanti alle sale del
tesoro, poggiavano su grandi e belle colonne; avevano un solo ordine di colonne ma,
eccettuata la grandezza, non erano in nulla da meno di quelli che stavano più in basso» (Id.,
Bellum, 5,200; cf. anche 6,282).

Il trattato rabbinico Sheqalim, relativo alle imposte, aggiunge che nella stanza erano
collocate 13 cassette a forma di imbuto, chiamate ;|95 I |–, šôp) a) rô5t , «trombe», usate per
raccogliere le offerte stabilite dalla Legge:

«Nel Santuario c’erano tredici casse a forma di tromba e su di esse vi era scritto: “sicli
nuovi”, “sicli vecchi”, “nidi”, “uccellini per olocausti”, “legna”, “profumo”, “oro per
utensili”. Le altre sei cassette erano per le offerte volontarie. La cassa denominata “sicli
nuovi” era per i sicli dell’anno in corso; quella “sicli vecchi” era per chi non aveva pagato
l’anno trascorso e pagava, quindi, l’anno successivo; quella “nidi” era per le tortore; quella
“uccellini per olocausti” era per il denaro per i colombi e da entrambe si prelevava il denaro
per gli olocausti […]. Vi erano, inoltre, sei casse per offerte volontarie» (m.Sheq., 6,5–6).

¦hgfDg4: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da hgTDXT, guardare, vedere; cf. Mc 3,11.
Imperfetto durativo.
BäH: avv. interrogativo di modo, indecl., come?, in quale modo?, in che senso?, perché?; cf.
Mc 2,26. All’interno delle interrogative indirette l’avverbio BäH corrisponde alla congiunzio-
ne modale ÓBTH, «come». Il fenomeno è presente in Mc 5,16; 11,18; 12,41; 14,1.11.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
ÐP8@H: sost., nom. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; soggetto.
$V88g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da $V88T, gettare, buttare, mettere; cf. Mc 2,22.
Presente storico.
P"8i`<: sost., acc. sing. m. da P"8i`H, –@Ø, rame, moneta; cf. Mc 6,8; compl. oggetto. Senza
articolo perché generico.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
Mc 12,42 865

(".@nL8Vi4@<: sost., acc. sing. n. da (".@nL8Vi4@<, –@L (da (V." e nL8"iZ), stanza del
tesoro, tesoreria; cf. Mc 12,41a; compl. di moto a luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
B@88@\: agg. indefinito, nom. plur. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; attributo di B8@bF4@4.
B8@bF4@4: agg. qualificativo, di valore sostantivato, nom. plur. m. da B8@bF4@H, –", –@<, ricco;
cf. Mc 10,25; soggetto. Senza articolo perché generici.
§$"88@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da $V88T, gettare, buttare, mettere; cf. Mc 2,22.
Imperfetto durativo.
B@88V: pron. indefinito, acc. plur. n. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; compl. oggetto.

12,42 i" ¦8h@ØF" :\" PZD" BJTP¬ §$"8g< 8gBJ *b@s Ó ¦FJ4< i@*DV<J0H.
12,42 Ma venuta una povera vedova vi gettò due monetine, cioè pochi spiccioli.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦8h@ØF": verbo, nom. sing. f. part. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto
PZD". Per altri esempi di participio espletivo con il verbo §DP@:"4 cf. Mc 5,23; 7,25; 12,42;
14,40.45; 16,1.
:\": agg. numerale, cardinale, nom. sing. f. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; attributo di PZD".
L’uso del numero cardinale gÍH al posto del pronome indefinito J\H, «uno», «qualcuno» o
dell’articolo indeterminativo «uno», soprattutto nelle espressioni partitive, è un semitismo.
Ritroviamo questo fenomeno in Mc 5,22; 6,15; 8,28; 9,17.37.42; 10,17.37[x2]; 12,28.42;
13,1; 14,10.18.20.43.47.66.
PZD": sost., nom. sing. f. da PZD", –"H, vedova; cf. Mc 12,40; soggetto. Senza articolo perché
generica e non ancora menzionata. Nell’antico Israele una donna rimasta vedova non aveva
nessun diritto all’eredità. Se non si risposava mediante l’istituto del levirato la sua condizione
socioeconomica era davvero grave, poiché doveva essere mantenuta dagli eventuali figli o
dipendere dalla carità altrui (cf. sopra, commento a Mc 12,40). Alludendo a questa
condizione i profeti denunciano sovente lo sfruttamento delle vedove (cf. Is 1,17.23; Ger 7,6;
Ez 22,7; Zc 7,10). È per questo motivo che molti testi presentano Dio come il difensore delle
vedove e degli orfani, ossia le categorie socialmente più deboli, verso le quali è richiesto
sostegno e protezione (cf. Es 22,21; Dt 10,18; 14,29; 16,14; 24,17.19–21; 26,12–13; 27,19;
Tb 1,8; 2Mac 3,10; 8,28.30; Gb 22,9; 24,3.21; 31,16; Sal 68,6; 94,6; 146,9; Sir 35,14–15;
Is 1,17.23; 9,16; 10,2; Ger 7,6; 22,3; 49,11; Bar 6,37; Ez 22,7; Zc 7,10; Ml 3,5).
BJTPZ: agg. qualificativo, nom. sing. f. da BJTP`H, –Z, –`<, povero, indigente, misero; cf. Mc
10,21; attributo di PZD".
§$"8g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da $V88T, gettare, buttare, mettere; cf. Mc 2,22.
866 Mc 12,42

8gBJV: agg. qualificativo, di valore sostantivato, acc. plur. n. da 8gBJ`H, –Z, –`<, sottile,
piccolo, spicciolo; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mc 12,42 (hapax
marciano); Lc 12,59; 21,2. Il termine deverbale 8gBJV indica nell’accezione originaria «ciò
che è sbucciato» (cf. Omero, Il., 20,497), ciò che è «fine», «sottile» (cf. Omero, Il., 23,506).
Per estensione il vocabolo assume anche i significati di «lavorato con finezza», detto di vesti,
armi, ornamenti, ecc. (cf. Omero, Il., 18,595; Od., 7,97) oppure quello di «minuto»,
«piccolo», riferito alle dimensioni di qualcosa, come il bestiame (cf. Erodoto, Hist., 8,137,2).
In ambito numismatico si riferisce a una moneta greca di piccole dimensioni, di peso minimo
e di infimo valore: JÎ 8gBJ`J"J@< J@Ø P"8i@Ø <@:\F:"J@H, «la più piccola moneta di
rame» (Plutarco, Cic., 29,5,6). A quale moneta giudaica corrispondeva? La testimonianza
archeologica e letteraria conferma che si trattava di una %)I {9A, perûtEa) h, una piccola moneta
in bronzo e rame che rappresentava l’infimo valore della scala monetaria giudaica (cf.
m.Baba Mez., 4,7; m.Qid., 1,1; m.Shebu., 6,1). Era stata abbondantemente coniata a partire
da Giovanni Ircano (135–104 a.C.) e circolò in tutta la Palestina fino alla distruzione di
Gerusalemme, nel 70 d.C. Una pagnotta di pane si comperava con dieci ;|){9A, perûtEô5t ;
una melagrana o un frutto di cedro costavano ciascuno una perûtEa) h.
*b@: agg. numerale, cardinale, acc. plur. n. da *b@ (gen. *b@, dat. *LF\<, acc. *b@), due; cf. Mc
6,7; attributo di 8gBJV. Il particolare che le monete fossero «due» è importante perché la
vedova avrebbe potuto tenerne una per sé. Il contrasto tra le due scene, quella dei ricchi e
quella della vedova, è accentuato anche mediante una semplice antitesi linguistica, come si
evidenzia dal seguente schema:

Aggettivo Soggetto Verbo Complemento

12,41c B@88@\ B8@bF4@4 §$"88@< B@88V

12,42a :\" PZD" BJTPZ §$"8g< 8gBJ *b@

Ó: pron. relativo, nom. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24; soggetto.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. L’espressione Ó ¦FJ4<, «che è», equivale alle espressioni «che significa», «che
corrisponde a», «vale a dire». Questa formula è presente 9 volte: Mc 3,17; 5,41; 7,11.34;
12,42; 15,16.22.34.42. La forma singolare del pronome relativo in riferimento a un
sostantivo plurale è dovuta al fatto che nel greco ellenistico Ó ¦FJ4< e J@ØJz §FJ4<
diventano formule fisse e invariabili, come l’italiano «cioè», «ossia».
i@*DV<J0H: sost., nom. sing. m. da i@*DV<J0H, –@L, quadrante; predicato nominale. Il
vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mt 5,26; Mc 12,42 (hapax marciano). Traslitterazione
grecizzata della parola di origine latina quadrans, «quadrante», ossia «un quarto», sottinteso,
di un asse. Il quadrante romano era una minuscola moneta di rame che nell’economia della
Roma imperiale era di infimo valore: JÎ *¥ 8gBJ`J"J@< J@Ø P"8i@Ø <@:\F:"J@H
i@L*DV<J0< {CT:"Ã@4 i"8@ØF4<, «I Romani chiamano “quadrante” la moneta di rame
di minore pezzatura» (Plutarco, Cic., 29,5,6); «Et quadrans mihi non est in arca», «Non ho
un quattrino in cassa!» (Marziale, Epigr., 2,44,9); cf. anche Varrone, De ling., 5,171. La
Mc 12,43 867

specificazione che due leptà corrispondono a 1 quadrante può essere spiegata se si tiene
conto dei lettori che Marco ha presente, ossia i cristiani di Roma. Marco deve far capire a chi
legge il suo vangelo che cosa siano 8gBJ *b@, «due leptà»: la gente di Roma conosceva
bene il valore del quadrans, «quadrante», ma non tutti sapevano cosa fosse il 8gBJ`H,
«leptos»; da qui l’equivalenza operata da Marco per indicare l’infimo valore dell’offerta.

12,43 i" BD@Fi"8gFV:g<@H J@×H :"h0JH "ÛJ@Ø gÉBg< "ÛJ@ÃHs z!:¬< 8X(T ß:Ã<
ÓJ4 º PZD" "àJ0 º BJTP¬ B8gÃ@< BV<JT< §$"8g< Jä< $"88`<JT< gÆH JÎ
(".@nL8Vi4@<·
12,43 Allora chiamò a sé i suoi discepoli e disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova,
così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri.

i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.21.
26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.50.
53a.65a.72b; 15,2.
BD@Fi"8gFV:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. aor. medio da BD@Fi"8XT (da BD`H e
i"8XT), chiamare a sé, convocare, eleggere; cf. Mc 3,13. Participio predicativo del
soggetto sottinteso z30F@ØH.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
:"h0JVH: sost., acc. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; compl. oggetto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
z!:Z<: avv. di modo, indecl., così è, così sia, in verità, certamente, veramente, «amen»; cf. Mc
3,28. Questa solenne formula introduttiva compare in Mc 3,28; 8,12; 9,1.41; 10,15.29; 11,23;
12,43; 13,30; 14,9.18.25.30. Per quanto riguarda il significato vedi commento a Mc 3,28.
8X(T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. La forma verbale 8X(T ricorre in Mc 20 volte (cf. Mc 2,11; 3,28; 5,41; 8,12;
9,1.13.41; 10,15.29; 11,23.24.33; 12,43; 13,30.37[x2]; 14,9.18.25.30): essa è usata soltanto
da Gesù, ossia è esclusivamente Gesù che parla del proprio parlare e ne sottolinea la forza,
l’insistenza e la validità. In particolare la formula •:¬< 8X(T ß:Ã< / F@4 (cf. Mc 3,28; 8,12;
9,1.41; 10,15.29; 11,23; 12,43; 13,30; 14,9.18.25.30) esprime il carattere solenne e
irrefutabile di quanto affermato da Gesù.
868 Mc 12,44

ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
PZD": sost., nom. sing. f. da PZD", –"H, vedova; cf. Mc 12,40; soggetto.
"àJ0: pron. dimostrativo, nom. sing. f. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 8,12;
attributo di PZD", qui senza articolo perché in posizione predicativa.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
BJTPZ: agg. qualificativo, nom. sing. f. da BJTP`H, –Z, –`<, povero, indigente, misero; cf. Mc
10,21; attributo di PZD", in posizione enfatica.
B8gÃ@<: agg. indefinito, di grado comparativo, acc. sing. n. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto,
tanto, grande; cf. Mc 1,34.
BV<JT<: pron. indefinito, gen. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; attributo di $"88`<JT<, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
§$"8g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da $V88T, gettare, buttare, mettere; cf. Mc 2,22.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
$"88`<JT<: verbo, gen. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da $V88T, gettare, buttare,
mettere; cf. Mc 2,22; compl. di specificazione.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
(".@nL8Vi4@<: sost., acc. sing. n. da (".@nL8Vi4@<, –@L (da (V." e nL8"iZ), stanza del
tesoro, tesoreria; cf. Mc 12,41; compl. di moto a luogo.

12,44 BV<JgH (D ¦i J@Ø BgD4FFgb@<J@H "ÛJ@ÃH §$"8@<s "àJ0 *¥ ¦i J­H ßFJgDZ-
FgTH "ÛJ­H BV<J" ÓF" gÉPg< §$"8g< Ó8@< JÎ< $\@< "ÛJ­H.
12,44 Tutti, infatti, hanno dato del loro superfluo; essa, invece, nella sua povertà ha donato
tutto quello che aveva, tutto il suo sostentamento».

BV<JgH: pron. indefinito, nom. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; soggetto.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
BgD4FFgb@<J@H: verbo, gen. sing. n. part. pres., di valore sostantivato, da BgD4FFgbT,
eccedere, sopravanzare, ridondare, abbondare; compl. di moto da luogo. Questo verbo
Mc 12,44 869

ricorre 39 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 5,20; 13,12; 14,20;
15,37; 25,29; Mc 12,44 (hapax marciano); Lc 9,17; 12,15; 15,17; 21,4; Gv 6,12.13.
Nell’uso intransitivo questo verbo esprime nel greco sia classico che ellenistico la
sovrabbondanza o l’essere in sovrappiù di cose o beni (cf. Senofonte, Symp., 4,35; Giuseppe
Flavio, Bellum, 7,331; Antiq., 16,19). Qui assume il significato sostantivato di «ciò che
sopravanza», «il di più». Come sempre è avvenuto, avviene e avverrà, i ricchi possono
permettersi di essere molto generosi, perché in realtà donando non soffrono alcun danno e
la loro offerta, apparentemente o realmente consistente, è sempre una piccola parte rispetto
ai loro grandi patrimoni. Non è questa la generosità evangelica intesa da Gesù.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
§$"8@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da $V88T, gettare, buttare, mettere; cf. Mc 2,22.
"àJ0: pron. dimostrativo, nom. sing. f. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 8,12;
soggetto.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
ßFJgDZFgTH: sost., gen. sing. f. da ßFJXD0F4H, –gTH, bisogno, povertà, indigenza; compl. di
moto da luogo. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mc 12,44 (hapax marciano); Fil 4,11. Il
sostantivo deverbale ßFJXD0F4H (da ßFJgDXT, cf. Mc 10,21), analogamente al sinonimo
ßFJXD0:" (assente in Marco), è di origine neotestamentaria e in corrispondenza all’etimolo-
gia significa «ciò che manca», nel senso di assenza di una cosa. Come tale serve a descrivere
una condizione di «penuria», «bisogno», «povertà».
"ÛJ­H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,30; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
BV<J": agg. indefinito, acc. plur. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; attributo di ÓF".
ÓF": pron. relativo con valore di quantità e misura, acc. plur. n. da ÓF@H, –0, –@<, quanto,
quanto grande, ciò che, quello che; cf. Mc 2,19; compl. oggetto.
gÉPg<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. Imperfetto descrittivo o iterativo. La
parafrasi «tutto quello che aveva», in riferimento alle due monete, fa capire che qui si
intende il sostentamento della vita di questa vedova.
§$"8g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da $V88T, gettare, buttare, mettere; cf. Mc 2,22.
Ó8@<: agg. indefinito, acc. sing. m. da Ó8@H, –0, –@<, tutto, ogni; cf. Mc 1,28; attributo di $\@<,
qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
870 Mc 12,44

$\@<: sost., acc. sing. m. da $\@H, –@L, vita, esistenza; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 10
volte nel NT: Mc 12,44 (hapax marciano); Lc 8,14.43; 15,12.30; 21,4; 1Tm 2,2; 2Tm 2,4;
1Gv 2,16; 3,17. Nel NT il valore semantico del vocabolo è limitato al contesto umano e
terreno, alla vita intesa come esistenza materiale, diversamente dal termine .TZ usato per
esprimere anche una vita soprannaturale, ultraterrena (vangelo di Giovanni). Qui $\@H
assume il significato più circoscritto di «risorse», «sostentamento», «mezzi per vivere»,
analogamente al greco profano (cf. Erodoto, Hist., 8,106,3; Tucidide, Hist., 1,5,1).
"ÛJ­H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,30; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
Mc 13,1

13,1 5"Â ¦iB@DgL@:X<@L "ÛJ@Ø ¦i J@Ø ÊgD@Ø 8X(g4 "ÛJè gÍH Jä< :"h0Jä< "ÛJ@Øs
)4*VFi"8gs Ç*g B@J"B@Â 8\h@4 i"Â B@J"B"Â @Æi@*@:"\.
13,1 Mentre usciva dal Tempio uno dei suoi discepoli gli disse: «Maestro, guarda che
pietre e che costruzioni!».

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦iB@DgL@:X<@L: verbo, gen. sing. m. part. pres. medio da ¦iB@Dgb@:"4, uscire, venire fuori,
andare, recarsi, accorrere; cf. Mc 1,5. Participio al genitivo assoluto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3. La frase ¦iB@DgL@:X<@L "ÛJ@Ø appare nella forma
detta “genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore temporale.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
ÊgD@Ø: sost., gen. sing. n. da ÊgD`<, –@Ø, tempio; cf. Mc 11,11; compl. di moto da luogo.
Dicendo che Gesù «esce dal tempio» di Gerusalemme può forse significare non solo un
movimento fisico, ma la rottura definitiva con il culto giudaico, come più avanti si
espliciterà (vedi commento a Mc 14,58; 15,38). La distruzione del Tempio è stata attesa
anche da profeti (cf. Mic 3,12; Ger 7,14; 26,6).
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
gÍH: agg. numerale, cardinale, nom. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; soggetto. L’uso
del numero cardinale gÍH al posto del pronome indefinito J\H, «uno», «qualcuno» o
dell’articolo indeterminativo «uno», soprattutto nelle espressioni partitive, è un semitismo.
Ritroviamo questo fenomeno in Mc 5,22; 6,15; 8,28; 9,17.37.42; 10,17.37[x2]; 12,28.42;
13,1; 14,10.18.20.43.47.66.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
:"h0Jä<: sost., gen. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; compl. partitivo.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
)4*VFi"8g: sost., voc. sing. m. da *4*VFi"8@H, –@L, maestro, insegnante; cf. Mc 4,38;
compl. di vocazione.
Ç*g: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc
2,24. Il vocabolo Ç*g, un segnale discorsivo stereotipo, nella maggior parte delle ricorrenze

871
872 Mc 13,2

neotestamentarie assume il valore avverbiale esclamativo corrispondente alle interiezioni


«ecco!», «vedi!», «guarda!», «guardate!». Non c’è sostanziale diversità con l’equivalente Æ*@b
(cf. Mc 1,2). Entrambe le particelle sono forme vivaci e dinamiche modellate sul corrispon-
dente ebraico %F% E , hinne)h (1057 volte nell’AT) e in quanto tali possono sottolineare il
discorso o la narrazione che esse introducono con una energia particolare, esprimente di volta
in volta sorpresa, importanza, novità, reazione.
B@J"B@\: agg. indefinito, nom. plur. m. da B@J"B`H, –@Ø, di quale tipo?, di che genere?, di
che qualità?; attributo di 8\h@4. Il vocabolo ricorre 7 volte nel NT: Mt 8,27; Mc 13,1[x2];
Lc 1,29; 7,39; 2Pt 3,11; 1Gv 3,1.
8\h@4: sost., nom. plur. m. da 8\h@H, –@L, pietra, sasso; cf. Mc 5,5; compl. di esclamazione.
Senza articolo perché generico.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
B@J"B"\: agg. indefinito, nom. plur. f. da B@J"B`H, –@Ø, di quale tipo?, di che genere?, di che
qualità?; cf. Mc 13,1a; attributo di @Æi@*@:"\.
@Æi@*@:"\: sost., nom. plur. f. da @Æi@*@:Z, –­H, edificio, costruzione; compl. di esclamazio-
ne. Senza articolo perché generico. Il vocabolo ricorre 18 volte nel NT: Mt 24,1; Mc 13,1.2;
Rm 14,19; 15,2; 1Cor 3,9; 14,3.5.12.26; 2Cor 5,1; 10,8; 12,19; 13,10; Ef 2,21; 4,12.16.29.
Nell’uso ellenistico il sostantivo @Æi@*@:Z è impiegato nel significato di «costruzione»,
«edificio» (cf. Strabone, Geogr., 5,2,5).

13,2 i"Â Ò z30F@ØH gÉBg< "ÛJès #8XBg4H J"bJ"H JH :g(V8"H @Æi@*@:VHp @Û :¬
•ngh± ô*g 8\h@H ¦B 8\h@< ÔH @Û :¬ i"J"8Lh±.
13,2 Gesù gli rispose: «Vedi queste grandi costruzioni? Non resterà qui pietra su pietra che
non sia distrutta».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
#8XBg4H: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da $8XBT, vedere, percepire, discernere, fare
attenzione; cf. Mc 4,12.
J"bJ"H: agg. dimostrativo, acc. plur. f. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; attributo di
@Æi@*@:VH, qui senza articolo perché in posizione predicativa. La forma J"bJ"H ricorre 9
volte nel NT rispetto alle 1387 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: Mt 13,53; Mc 13,2; Lc 1,24.
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
Mc 13,2 873

:g(V8"H: agg. indefinito, acc. plur. f. da :X("H, :g(V80, :X(", grande; cf. Mc 1,26;
attributo di @Æi@*@:VH.
@Æi@*@:VH: sost., acc. plur. f. da @Æi@*@:Z, –­H, edificio, costruzione; cf. Mc 13,1; compl.
oggetto.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4. Nelle proposizioni affermative
le due negazioni in successione @Û :Z (cf. anche sotto) sono utilizzate per enfatizzare la
negazione, per esprimere un forte diniego: si tratta di un uso piuttosto frequente nel greco
ellenistico. Marco utilizza la doppia negazione @Û :Z 10 volte (prescindiamo dalla ricorrenza
di Mc 16,18), 9 delle quali sulla bocca di Gesù (cf. Mc 9,1.41; 10,15; 13,2[x2].19.30.31;
14,25); in Mc 14,31 è usata da Pietro.
•ngh±: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. pass. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare,
abbandonare, rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18.
ô*g: avv. di luogo, indecl., qui, qua; cf. Mc 6,3.
8\h@H: sost., nom. sing. m. da 8\h@H, –@L, pietra, sasso; cf. Mc 5,5; soggetto. Senza articolo
perché generico.
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., in, su, a, sopra; cf. Mc 1,22.
8\h@<: sost., acc. sing. m. da 8\h@H, –@L, pietra, sasso; cf. Mc 5,5; compl. di stato in luogo.
L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è frequente nel
greco ellenistico.
ÓH: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2; soggetto.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
i"J"8Lh±: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. pass. da i"J"8bT (da i"JV e 8bT), dissolvere,
distruggere, demolire. Questo verbo ricorre 17 volte nel NT: Mt 5,17[x2]; 24,2; 26,61; 27,40;
Mc 13,2; 14,58; 15,29; Lc 9,12; 19,7; 21,6; At 5,38.39; 6,14; Rm 14,20; 2Cor 5,1; Gal 2,18.
Nelle ricorrenze marciane i"J"8bT ha sempre significato letterale proprio, in riferimento
a edifici: si tratta di un rafforzativo di 8bT, costruito con la preposizione i"JV, «in giù», «in
basso» e, dunque, «distruggere fino alle radici», ossia distruggere completamente, come
avviene, ad esempio, nel greco classico per le rocche (cf. Omero, Il., 2,117) o le mura delle
città (cf. Euripide, Tr., 819). L’archeologia ha dimostrato che in occasione della presa di
Gerusalemme nel 70 d.C. da parte delle truppe di Vespasiano e Tito i soldati romani usarono
il fuoco per sgretolare gli immensi blocchi di pietra delle fondamenta delle mura. In questo
senso di escatologia “raccorciata” la profezia di Gesù ha avuto pieno adempimento. Sullo
sfondo riecheggiano le parole di Mic 3,12 e Ger 26,18 («Sion sarà arata come un campo e
Gerusalemme diverrà un mucchio di rovine, il monte del tempio un’altura selvosa»). Il detto
di Gesù sulla distruzione delle mura, certamente storico, non può essere considerato un
vaticinium ex eventu, poiché il vangelo di Marco venne composto, senza ombra di dubbio,
prima del 70 d.C., ossia prima dell’avverarsi degli avvenimenti in oggetto.
874 Mc 13,3

13,3 5"Â i"h0:X<@L "ÛJ@Ø gÆH JÎ }?D@H Jä< z+8"4ä< i"JX<"<J4 J@Ø ÊgD@Ø
¦B0DfJ" "ÛJÎ< i"Jz Æ*\"< AXJD@H i"Â z3ViT$@H i"Â z3TV<<0H i"Â
z!<*DX"Hs
13,3 Mentre era seduto sul Monte degli Ulivi, di fronte al Tempio, Pietro, Giacomo,
Giovanni e Andrea lo interrogarono in disparte:

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


i"h0:X<@L: verbo, gen. sing. m. part. pres. medio da iVh0:"4 (da i"JV e ½:"4), sedere,
sedersi; cf. Mc 2,6. Participio al genitivo assoluto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3. La frase i"h0:X<@L "ÛJ@Ø appare nella forma detta
“genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore temporale.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
}?D@H: sost., acc. sing. n. da ÐD@H, –@LH, montagna, monte; cf. Mc 3,13; compl. di stato in
luogo. Nell’uso di Marco il termine «monte» quando è riferito a Gesù ha un significato più
teologico che orografico: è un luogo sottratto alla vista del popolo dove si rivela la presenza
e la vicinanza di Dio; abbiamo così il monte della scelta dei Dodici (cf. Mc 3,13), il monte
della preghiera solitaria (cf. Mc 6,46), il monte della Trasfigurazione (cf. Mc 9,2.9), il monte
del discorso apocalittico (cf. Mc 13,3), il Monte degli Ulivi (cf. Mc 14,26).
Jä<: art. determ., gen. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
z+8"4ä<: sost., gen. plur. f. da ¦8"\", –"H, ulivo; cf. Mc 11,1; compl. di specificazione.
i"JX<"<J4: prep. impropria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., di fronte, davanti; cf.
Mc 11,2.
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
ÊgD@Ø: sost., gen. sing. n. da ÊgD`<, –@Ø, tempio; cf. Mc 11,11; compl. di stato in luogo.
¦B0DfJ": verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da ¦BgDTJVT (da ¦B\ e ¦DTJVT), richiedere,
domandare, interrogare; cf. Mc 5,9. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo
(«domandava», «continuava a domandare»), ma puntuale, corrispondente a un aoristo
(«domandò»). Per altri esempi di questo imperfetto puntuale con il verbo ¦BgDTJVT cf. Mc
5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33; 10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; per quanto riguarda
l’imperfetto puntuale con ¦DTJVT cf. Mc 4,10; 8,5; con 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23;
4,2.9.11.21.24.26.30.41; 5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28;
12,35.38; 14,70; 15,12a.14.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
i"Jz: (= i"JV), prep. propria di valore modale, seguita dall’accusativo, indecl., secondo, in
conformità a; cf. Mc 1,27.
Mc 13,4 875

Æ*\"<: agg. possessivo, acc. sing. f. da Ç*4@H, Æ*\", Ç*4@<, proprio, suo, personale, privato; cf.
Mc 4,34. In unione con i"JV (i"Jz Æ*\"<) corrisponde all’avverbio di modo «in
disparte», «in privato», «a parte», come nel greco classico ed ellenistico.
AXJD@H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da AXJD@H, –@L, Pietro; cf. Mc 3,16;
soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
z3ViT$@H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z3ViT$@H, –@L, Giacomo; cf. Mc
1,19; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
z3TV<<0H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z3TV<<0H, –@L, Giovanni; cf. Mc
1,19; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
z!<*DX"H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z!<*DX"H, –@L, Andrea; cf. Mc
1,16; soggetto.

13,4 gÆBÎ< º:Ã< B`Jg J"ØJ" §FJ"4 i"Â J\ JÎ F0:gÃ@< ÓJ"< :X88® J"ØJ" FL<Jg8gÃ-
Fh"4 BV<J"p
13,4 «Dicci: quando accadranno queste cose? Quale sarà il segno che tutte queste cose
stanno per compiersi?».

gÆB`<: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7.
º:Ã<: pron. personale di 1a pers. dat. plur. da º:gÃH (gen. º:ä<, dat. º:Ã<, acc. º:H), noi;
cf. Mc 1,24; compl. di termine.
B`Jg: avv. di tempo, indecl., quando?; cf. Mc 9,19.
J"ØJ": pron. dimostrativo, nom. plur. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 2,8;
soggetto. Il primo J"ØJ", «queste cose», deve essere collegato a quanto ha detto Gesù nel
v. 2 circa la distruzione del Tempio. Il successivo J"ØJ" BV<J", «tutte queste cose»,
potrebbe fare allusione a un avvenimento di più vaste proporzioni.
§FJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. medio da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente;
cf. Mc 1,6. Quando il soggetto è un neutro plurale (come nel nostro caso) il verbo è per lo
più al singolare (è il cosiddetto «schema Atticum»), soprattutto se i soggetti appartengono al
mondo materiale e inanimato e, perciò, possono essere considerati come una massa.
Ritroviamo questo fenomeno in Mc 4,8.11.36; 7,15.23; 13,4[x2].
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J\: pron. interrogativo, nom. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?,
che?, quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
F0:gÃ@<: sost., nom. sing. n. da F0:gÃ@<, –@L, segno; cf. Mc 8,11; soggetto.
876 Mc 13,5

ÓJ"<: (= ÓJg e –<), cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, ogni qualvolta,
allorché, appena; cf. Mc 2,20.
:X88®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. pres. da :X88T, stare per, essere sul punto di; cf. Mc
10,32. Come verbo ausiliare :X88T ha varie sfumature di senso: oltre l’immanenza e il
semplice futuro può esprimere l’intenzione, la convenienza, la necessità, la probabilità, ecc.
Qui prevale il significato di imminenza.
J"ØJ": pron. dimostrativo, nom. plur. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 2,8;
soggetto.
FL<Jg8gÃFh"4: verbo, inf. pres. pass. da FL<Jg8XT (da Fb< e Jg8XT), finire, compiere,
adempiere. Questo verbo ricorre 6 volte nel NT: Mc 13,4 (hapax marciano); Lc 4,2.13; At
21,27; Rm 9,28; Eb 8,8. Nella grecità il verbo FL<Jg8XT esprime l’idea di adempimento e
viene usato nel significato di «portare a termine», «completare», «finire», «realizzare» (cf.
Demostene, Or., 14,20; Polibio, Hist., 1,21,3).
BV<J": agg. indefinito, nom. plur. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; attributo di J"ØJ".

13,5 Ò *¥ z30F@ØH ³D>"J@ 8X(g4< "ÛJ@ÃHs #8XBgJg :Z J4H ß:H B8"<ZF®·


13,5 Gesù cominciò a dire loro: «State attenti che nessuno v’inganni!

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
³D>"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da –DPT, dare inizio, cominciare; cf. Mc 1,45. La
frase ³D>"J@ / ³D>"<J@ seguita da un infinito come complemento è usata da Marco 26
volte (cf. Mc 1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32; 10,28.32.41.47; 11,15; 12,1;
13,5; 14,19.33.65.69.71; 15,8.18). La frequenza di questa formula è dovuta probabilmente
a influsso semitico: quasi sempre equivale a una perifrasi nella quale il verbo –DPT di
valore pleonastico può essere omesso, mentre l’infinito dipendente viene reso con la 3a
persona dell’indicativo aoristo o imperfetto corrispondente.
8X(g4<: verbo, inf. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc 1,7.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
#8XBgJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da $8XBT, vedere, percepire, discernere, fare
attenzione; cf. Mc 4,12. La forma asindetica è piuttosto frequente con gli imperativi dei verbi
$8XBT (cf. Mc 13,5.23.33), ÒDVT (cf. Mc 1,44; 6,38; 8,15), ßBV(T (cf. Mc 1,44; 5,34;
6,38; 7,29; 10,21.52; 16,7), ¦(g\DT (cf. Mc 2,9; 3,3; 5,41; 10,49; 14,42), F4TBVT (cf. Mc
4,39), n4:`T (cf. Mc 4,39), h"DFXT (cf. Mc 6,50; 10,49). La forma imperativa plurale di
$8XBT, usata come richiamo all’attenzione e alla vigilanza, compare in Mc 4,24; 8,15;
12,38; 13,5.9.33.
Mc 13,6 877

:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.


J4H: pron. indefinito (enclitico), nom. sing. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; soggetto.
ß:H: pron. personale di 2a pers. acc. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 1,8; compl. oggetto.
B8"<ZF®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da B8"<VT, fare deviare, sviare, errare,
ingannare, sbagliare; cf. Mc 12,24.

13,6 B@88@Â ¦8gbF@<J"4 ¦BÂ Jè Ï<`:"J\ :@L 8X(@<JgH ÓJ4 z+(f gÆ:4s i"Â
B@88@×H B8"<ZF@LF4<.
13,6 Molti verranno in mio nome e diranno: “Sono io” e inganneranno molti.

B@88@\: pron. indefinito, nom. plur. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; soggetto.
¦8gbF@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7.
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, su, verso, a, sopra, presso; cf.
Mc 1,22.
Jè: art. determ., dat. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
Ï<`:"J\: sost., dat. sing. n. da Ð<@:", –:"J@H, nome; cf. Mc 3,16; compl. di mezzo. Tenendo
conto della particolare valenza del «nome» presso i semiti (cf. Mc 3,16), la frase ¦BÂ Jè
Ï<`:"J\…, ricalcata sull’ebraico .– F vA, beše)m, «sul nome di…», nel nostro passo equivale
a «per incarico di…», «con l’autorità di…» (cf. 1Sam 25,9; 1Cr 21,19; 2Cr 33,18; Esd 5,1;
Est 2,22; 3,12; 8,10; Sal 117,26; Ger 26,16.20; 44,16). Qui l’espressione è riferita, in modo
ovviamente fraudolento e indebito, ai falsi profeti, come avviene ancora nella Bibbia (cf. Dt
18,20; Ger 14,14–15; Zc 13,3).
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).
8X(@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo del soggetto B@88@\.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
z+(f: pron. personale di 1a pers. nom. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc.
¦:X/:g), io, me; cf. Mc 1,8; soggetto. In posizione enfatica.
gÆ:4: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
878 Mc 13,7

B@88@bH: agg. indefinito, acc. plur. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; compl. oggetto.
B8"<ZF@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. da B8"<VT, fare deviare, sviare, errare,
ingannare, sbagliare; cf. Mc 12,24.

13,7 ÓJ"< *¥ •i@bF0Jg B@8X:@LH i" •i@H B@8X:T<s :¬ hD@gÃFhg· *gà (g<X-
Fh"4s •88z @ÜBT JÎ JX8@H.
13,7 Quando sentirete parlare di conflitti e voci di guerre non allarmatevi; è necessario che
ciò avvenga, ma non è ancora la fine.

ÓJ"<: (= ÓJg e –<), cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, ogni qualvolta,
allorché, appena; cf. Mc 2,20. La costruzione ÓJ"< + verbo al congiuntivo ricorre in Mc
13,7.11.14.29.
*X: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti, dunque, quindi; cf. Mc 1,8.
•i@bF0Jg: verbo, 2a pers. plur. congiunt. aor. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1.
B@8X:@LH: sost., acc. plur. m. da B`8g:@H, –@L, guerra, conflitto; compl. oggetto. Senza
articolo perché generico. Il vocabolo ricorre 18 volte nel NT: Mt 24,6[x2]; Mc 13,7[x2]; Lc
14,31; 21,9; 1Cor 14,8; Eb 11,34; Gc 4,1; Ap 9,7.9; 11,7; 12,7.17; 13,7; 16,14; 19,19; 20,8.
Il termine B`8g:@H è uno dei più ricorrenti nel greco classico; già a partire da Omero
assume il significato di «guerra» (cf. Omero, Il., 1,61), suscettibile di essere ulteriormente
precisato in base al contesto («conflitto», «lotta armata», «battaglia», ecc.).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•i@VH: sost., acc. plur. f. da •i@Z, –­H (da •i@bT), udito, orecchio, cosa sentita, diceria,
clamore, fama; cf. Mc 1,28; compl. oggetto. La mancanza dell’articolo non ha qui
particolari significati, ma è un segnale linguistico del modo di esprimere il genitivo in
ebraico, detto stato costrutto, in cui il sostantivo che regge il genitivo è sempre senza
articolo.
B@8X:T<: sost., gen. plur. m. da B`8g:@H, –@L, guerra, conflitto; compl. di specificazione; cf.
Mc 13,7a. Quando il nome reggente è privo di articolo (come qui), anche il genitivo
dipendente ne è solitamente sprovvisto.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
hD@gÃFhg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. pass. da hD@XT, gridare, proclamare (att.); essere
agitato, essere turbato, allarmarsi (pass.). Questo verbo ricorre 3 volte nel NT, sempre nella
diatesi passiva: Mt 24,6; Mc 13,7 (hapax marciano); 2Ts 2,2. Il verbo denominativo hD@XT
(«far risuonare») ricorre nella grecità solitamente nella diatesi attiva con il significato di
«gridare» (cf. Sofocle, Elect., 1410), «proclamare con enfasi» (cf. Eschilo, Ch., 827; Euripide,
Or., 1248). Nella diatesi passiva, raramente attestata nel greco biblico, significa «essere
agitato», «essere turbato» da sentimenti sia di gioia che di paura, dolore, ecc. (cf. Ct 5,4). Nel
nostro caso si tratta di un presente iterativo con riferimento al futuro: i discepoli non
dovranno mai spaventarsi, qualunque avvenimento negativo li colpisca. L’imperativo presente
Mc 13,8 879

negativo esprime una proibizione forte e protratta nel tempo che non ammette eccezioni (cf.
Mc 5,36; 9,39; 10,9.14; 13,7.11.21; 16,6).
*gÃ: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da *gÃ, forma impersonale con il significato di «bisogna», «è
necessario»; cf. Mc 8,31.
(g<XFh"4: verbo, inf. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere, nascere, essere,
accadere, apparire; cf. Mc 1,4.
•88z: (= •88V), cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però,
piuttosto, nondimeno; cf. Mc 1,44.
@ÜBT: (da @Û e Bf), avv. di tempo, indecl., non ancora; cf. Mc 4,40.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
JX8@H: sost., nom. sing. n. da JX8@H, –@LH, compimento, fine; cf. Mc 3,26; soggetto. Tra i vari
significati di JX8@H, uno dei più ricorrenti e importanti nel NT è quello escatologico per
indicare la «fine» in assoluto, ossia la «fine del mondo» (cf. Mc 13,7; Mt 24,6; Lc 21,9; 1Cor
10,11; 15,24; 1Pt 4,7; Ap 2,26). L’espressione ellittica •88z @ÜBT JÎ JX8@H può essere
intesa anche in altro modo, considerando JÎ JX8@H un predicato nominale (con il verbo ¦FJ\
sottinteso), in dipendenza da un pronome dimostrativo sottinteso in funzione di soggetto: «ma
questo non è ancora la fine».

13,8 ¦(gDhZFgJ"4 (D §h<@H ¦Bz §h<@H i" $"F48g\" ¦B $"F48g\"<s §F@<J"4
Fg4F:@ i"J J`B@LHs §F@<J"4 84:@\· •DP¬ é*\<T< J"ØJ".
13,8 Si solleverà, infatti, popolo contro popolo e regno contro regno; vi saranno terremoti
in diversi luoghi, vi saranno carestie. Questo è l’inizio delle sofferenze.

¦(gDhZFgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. pass. da ¦(g\DT, svegliare, alzare, sollevare,
risorgere [i morti] (trans.); svegliarsi, alzarsi, sollevarsi, risorgere [dai morti] (intr.); cf. Mc
1,31.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
§h<@H: sost., nom. sing. n. da §h<@H, –@LH, popolo, nazione. Al plur. anche straniero, pagano;
cf. Mc 10,33; soggetto. Senza articolo perché generico.
¦Bz: (= ¦B\), prep. propria di valore avversativo, seguita dall’accusativo, indecl., contro; cf. Mc
1,22.
§h<@H: sost., acc. sing. n. da §h<@H, –@LH, popolo, nazione. Al plur. anche straniero, pagano;
cf. Mc 10,33; compl. di moto a luogo. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con
preposizioni, come qui, è frequente nel greco ellenistico.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
$"F48g\": sost., nom. sing. f. da $"F48g\", –"H, signoria, potere reale, dominio sovrano,
regno; cf. Mc 1,15; soggetto. Senza articolo perché generico.
¦B\: prep. propria di valore avversativo, seguita dall’accusativo, indecl., contro; cf. Mc 1,22.
880 Mc 13,8

$"F48g\"<: sost., acc. sing. f. da $"F48g\", –"H, signoria, potere reale, dominio sovrano,
regno; cf. Mc 1,15; compl. di moto a luogo. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate
con preposizioni, come qui, è frequente nel greco ellenistico.
§F@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. medio da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere
presente; cf. Mc 1,6.
Fg4F:@\: sost., nom. plur. m. da Fg4F:`H, –@Ø, scuotimento, terremoto; soggetto. Il vocabolo
ricorre 14 volte nel NT: Mt 8,24; 24,7; 27,54; 28,2; Mc 13,8 (hapax marciano); Lc 21,11;
At 16,26; Ap 6,12; 8,5; 11,13[x2].19; 16,18[x2]. Senza articolo perché generico. Il sostantivo
deverbale Fg4F:`H (da Fg\T, «scuotere») è presente negli scritti neotestamentari soltanto nel
significato di «scuotimento» cosmico o terrestre, in conformità all’uso classico (cf. Euripide,
Herc., 862; Erodoto, Hist., 4,28,3; Aristofane, Eccl., 791). Analogamente agli altri elementi
della natura (fuoco, tempesta, lampo, tuono, tenebre) anche lo scuotimento del terreno è
presente nelle descrizioni delle teofanie anticotestamentarie, in particolare contrassegna come
tema fondamentale la reazione della natura alla venuta di Yahweh (cf. Sal 68,9; Mic 1,3–4;
Is 63,19). All’interno degli scritti apocalittici, come il nostro passo, il Fg4F:`H esprime
simbolicamente l’afflizione escatologica degli ultimi tempi.
i"JV: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., in, a, su, verso, lungo,
attraverso; cf. Mc 1,27.
J`B@LH: sost., acc. plur. m. da J`B@H, –@L, luogo, spazio, area; cf. Mc 1,35; compl. di stato in
luogo. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è
frequente nel greco ellenistico.
§F@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. medio da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere
presente; cf. Mc 1,6.
84:@\: sost., nom. plur. m. da 84:`H, –@Ø, carestia; soggetto. Il vocabolo ricorre 12 volte nel
NT: Mt 24,7; Mc 13,8 (hapax marciano); Lc 4,25; 15,14.17; 21,11; At 7,11; 11,28; Rm
8,35; 2Cor 11,27; Ap 6,8; 18,8. Senza articolo perché generico. A partire da Omero il
sostantivo 84:`H indica propriamente la «fame» come privazione o assenza di cibo (cf.
Omero, Il., 19,166; Od., 4,369) e per estensione la «carestia» (cf. Erodoto, Hist., 7,170,2).
•DPZ: nom. sing. f. da •DPZ, –­H, principio, inizio, origine, riassunto, compendio; cf. Mc 1,1;
predicato nominale. La mancanza dell’articolo non ha qui particolari significati, ma è un
segnale linguistico del modo di esprimere il genitivo in ebraico, detto stato costrutto, in cui
il sostantivo che regge il genitivo è sempre senza articolo.
é*\<T<: sost., gen. plur. f. da é*\<, –Ã<@H, dolore, travaglio, angoscia; compl. di specificazio-
ne. Il vocabolo ricorre 4 volte nel NT: Mt 24,8; Mc 13,8 (hapax marciano); At 2,24; 1Ts 5,3.
Quando il nome reggente è privo di articolo (come qui), anche il genitivo dipendente ne è
solitamente sprovvisto. Nel greco classico ed ellenistico il termine é*\<, forma tardiva di
é*\H, designa un dolore particolarmente grave, quale quello del parto (cf. Omero, Il., 11,271;
Euripide, Suppl., 920; Sal 48,7; 1Ts 5,3). La metafora delle doglie, unitamente a quella di
guerre, carestie, terremoti e pestilenze, è un cliché comune negli enunciati escatologici. In
particolare i travagli del parto sono qui considerati come immagine introduttiva a tutto il
complesso dei fatti escatologici descritti. Le doglie precedono la rigenerazione del mondo;
Mc 13,9 881

esse indicano l’imminenza del tempo di salvezza e la nascita del nuovo popolo di Dio nel
futuro escatologico.
J"ØJ": pron. dimostrativo, nom. plur. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 2,8;
soggetto.

13,9 $8XBgJg *¥ ß:gÃH ©"LJ@bH· B"D"*fF@LF4< ß:H gÆH FL<X*D4" i" gÆH
FL<"(T(H *"DZFgFhg i" ¦B º(g:`<T< i" $"F48XT< FJ"hZFgFhg
ª<gig< ¦:@Ø gÆH :"DJbD4@< "ÛJ@ÃH.
13,9 Ma voi badate a voi stessi! Vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle
sinagoghe, dovrete comparire davanti a governatori e re per causa mia, per dare
testimonianza a loro.

$8XBgJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da $8XBT, vedere, percepire, discernere, fare
attenzione; cf. Mc 4,12. La forma imperativa plurale di $8XBT, usata come richiamo
all’attenzione e alla vigilanza, compare in Mc 4,24; 8,15; 12,38; 13,5.9.33.
*X: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti, dunque, quindi; cf. Mc 1,8.
ß:gÃH: pron. personale di 2a pers. nom. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
cf. Mc 6,31; soggetto.
©"LJ@bH: pron. riflessivo, acc. plur. m. da ©"LJ@Ø, –­H, –@Ø (non usato al nominativo), lui, lui
stesso, esso; cf. Mc 1,27; compl. oggetto.
B"D"*fF@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. da B"D"*\*T:4 (da B"DV e *\*T:4),
consegnare, rimettere, dare (qualcuno) nelle mani (di un altro), consegnare (qualcuno) al
potere (di un altro), tradire; cf. Mc 1,14. Il verbo è qui usato nel significato profano di
«consegnare» alla giustizia, senza avere quella portata teologica che riceve altrove, a
proposito di Giovanni Battista (cf. Mc 1,14), dei discepoli di Gesù (cf. Mc 13,9.11.12) e
soprattutto di Gesù (cf. Mc 3,19; 9,31; 10,33[x2]; 14,10.11.18.21.41.42.44; 15,1.10.15). La
consegna di cui si parla è quella giudiziaria, comune anche al mondo classico (cf. Senofonte,
Hell., 1,7,3; Demostene, Or., 51,8; Plutarco, Agis, 20,1,5).
ß:H: pron. personale di 2a pers. acc. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 1,8; compl. oggetto.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
FL<X*D4": sost., acc. plur. n. da FL<X*D4@<, –@L, sinedrio; compl. di moto a luogo. Il
vocabolo ricorre 22 volte nel NT: Mt 5,22; 10,17; 26,59; Mc 13,9; 14,55; 15,1; Lc 22,66; Gv
11,47; At 4,15; 5,21.27.34.41; 6,12.15; 22,30; 23,1.6.15.20.28; 24,20. L’assenza dell’articolo
nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è frequente nel greco ellenistico. Anche
se dal punto di vista linguistico il sostantivo FL<X*D4@< ricorre nella grecità nel significato
di «congresso», «assemblea», «riunione» (cf. Erodoto, Hist., 8,56,1; 8,75,1) e in quello di
«sala per il congresso» (cf. Erodoto, Hist., 8,79,2; Senofonte, Hell., 2,4,23; 7,1,39; Platone,
Prot., 317d), lo sfondo antropologico, culturale e religioso del vocabolo è quello giudaico.
I «sinedri» qui ricordati sono quelli locali, dislocati nella Palestina e negli altri territori della
882 Mc 13,9

diaspora (Siria, Asia Minore, Egitto). Sull’esempio del grande sinedrio di Gerusalemme
anche tali sinedri minori erano composti dai capi della comunità e avevano la facoltà di
giudicare in questioni concernenti la religione e di infliggere la pena della flagellazione (cf.
At 5,40; 2Cor 11,24). Secondo la legislazione rabbinica questi piccoli sinedri erano formati
da 23 membri: «Il grande sinedrio si componeva di settantun membri, il piccolo di ventitré»
(m.Sanh., 1,6). Nella Mishnah si trovano altre disposizioni circa la costituzione di questi
tribunali in tutte le località nelle quali vi fossero almeno 120 maschi israeliti adulti (cf.
m.Sanh., 1,6). Per quanto riguarda la descrizione e le caratteristiche del sinedrio di
Gerusalemme (il «grande sinedrio»), il massimo organo giudaico di governo e suprema corte
di giustizia, vedi commento a Mc 14,55.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
FL<"(T(VH: sost., acc. plur. f. da FL<"(T(Z, –­H, raccolta, adunanza, assemblea, riunione,
congregazione, sinagoga (forma raddoppiata di FL<V(T); cf. Mc 1,21; compl. di moto a
luogo. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è
frequente nel greco ellenistico.
*"DZFgFhg: verbo, 2a pers. plur. ind. fut. pass. da *XDT, colpire, battere, percuotere; cf. Mc
12,3. Diversamente dalle percosse comminate a qualcuno fuori dal diritto (cf. Mc 12,3) viene
qui ricordata la pena legale della fustigazione inflitta dalle sinagoghe giudaiche, dai tribunali
giudaici e pagani e da governatori e re (cf. At 5,40; 16,37; 22,19).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., in, su, a, davanti a, verso, sopra,
presso; cf. Mc 1,22.
º(g:`<T<: sost., gen. plur. m. da º(g:f<, –`<@H, capo, governatore, comandante; compl. di
stato in luogo. Il vocabolo ricorre 20 volte nel NT: Mt 2,6; 10,18; 27,2.11[x2].14.15.21.27;
28,14; Mc 13,9 (hapax marciano); Lc 20,20; 21,12; At 23,24.26.33; 24,1.10; 26,30; 1Pt 2,14.
L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è frequente nel
greco ellenistico. Sebbene l’iscrizione di Cesarea Marittima mostri che tecnicamente il titolo
ufficiale di Pilato era quello di praefectus, «prefetto» (vedi commento a Mc 15,1), nel NT il
titolo corrente e “popolare” del prefetto romano è º(g:f<, «governatore», riferito a Pilato
(cf. Mt 27,2.11.14.15.21.27; 28,14; Lc 20,20), Felice (cf. At 23,24.26.33; 24,1.10) e Festo
(cf. At 26,30). Il termine º(g:f< si trova come designazione dei prefetti della Giudea anche
in Giuseppe Flavio (cf. Id., Antiq., 15,405; 18,55) e in alcuni scrittori ellenistici (cf. Dione
Crisostomo, Or., 48,1).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
$"F48XT<: sost., gen. plur. m. da $"F48gbH, –XTH, re, sovrano, capo, signore; cf. Mc 6,14;
compl. di stato in luogo. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni,
come qui, è frequente nel greco ellenistico.
FJ"hZFgFhg: verbo, 2a pers. plur. ind. fut. pass. da ËFJ0:4, stare, durare, perdurare, fissare,
mettere; cf. Mc 3,24.
Mc 13,10 883

ª<gig<: prep. impropria di valore causale, seguita dal genitivo, indecl., per, a causa di; cf. Mc
8,35.
¦:@Ø: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc.
¦:X/:g), io, me; cf. Mc 7,6; compl. di causa.
gÆH: prep. propria di valore finale, seguita dall’accusativo, indecl., per, in vista di, allo scopo di;
cf. Mc 1,4. La preposizione è qui impiegata con valore finale, analogamente a Mc
1,4.38.44; 6,11; 13,12; 14,4.8.9.55; 15,34.
:"DJbD4@<: sost., acc. sing. n. da :"DJbD4@<, –@L, testimonianza; cf. Mc 1,44; compl. di fine.
L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è frequente nel
greco ellenistico. L’espressione gÆH :"DJbD4@< "ÛJ@ÃH è usata da Marco in tre occasioni:
Mc 1,44; 6,11; 13,9. Nel NT la locuzione sembra avere un carattere polemico esprimente
l’idea di giudizio: qualora la predicazione venga respinta diventa una prova a carico degli
increduli nel giudizio finale (cf. Mc 1,44 // Mt 8,4; Mc 6,11 // Lc 9,5; Mc 13,9 // Mt 10,18;
cf. anche Mt 10,14; 11,20–24; 12,41ss.; Lc 10,10; At 18,6; 20,26).
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.

13,10 i" gÆH BV<J" J §h<0 BDäJ@< *gà i0DLPh­<"4 JÎ gÛ"((X84@<.


13,10 Ma prima è necessario che il vangelo sia annunciato a tutti i popoli.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÆH: prep. propria con valore di relazione, seguita dall’accusativo, indecl., verso, riguardo a, nei
confronti di; cf. Mc 1,4. La preposizione gÆH è qui usata nel significato di relazione o di
termine, analogamente a Mc 8,19.20; [9,42]. Sintatticamente corrisponde a un dativo di
vantaggio o di interesse (dativus commodi) per indicare la persona nell’interesse del quale
(o a vantaggio del quale) si svolge l’azione.
BV<J": agg. indefinito, acc. plur. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; attributo di §h<0, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
§h<0: sost., acc. plur. n. da §h<@H, –@LH, popolo, nazione; compl. di termine. Al plur. anche
straniero, pagano; cf. Mc 10,33.
BDäJ@<: avv. di tempo, indecl., prima, prima di tutto, in primo luogo; cf. Mc 3,27.
*gÃ: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da *gÃ, forma impersonale con il significato di «bisogna», «è
necessario»; cf. Mc 8,31.
i0DLPh­<"4: verbo, inf. aor. pass. da i0DbFFT, proclamare apertamente, annunciare
solennemente, predicare; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
gÛ"((X84@<: sost., acc. sing. n. da gÛ"((X84@<, –@L, lieto annuncio, buona novella,
«vangelo»; cf. Mc 1,1; soggetto. Tutto questo versetto 10 è quasi certamente una inserzione
redazionale dovuta alla penna di Marco o di qualche primo copista, non soltanto perché è di
884 Mc 13,11

forma prosastica, diversamente dalla serie dei detti di Gesù — precedenti e susseguenti —
stilati in poesia, ma anche perché interrompe bruscamente il concetto del v. 9, ripreso nel v.
11. Tutto ciò dimostra abbastanza chiaramente che Mc 13,10 sia entrato nel discorso
escatologico di Gesù in un secondo tempo, in seguito alla diffusione dell’attività missionaria
tra i pagani. È altrettanto possibile, tuttavia, che Marco o il suo glossatore, alla luce
dell’esperienza pasquale e guidato dallo Spirito Santo, abbia esplicitato una precisa volontà
che risaliva al Gesù della storia.

13,11 i" ÓJ"< –(TF4< ß:H B"D"*4*`<JgHs :¬ BD@:gD4:<Jg J\ 8"8ZF0Jgs •88z


Ô ¦< *@h± ß:Ã< ¦< ¦ig\<® J± òD‘ J@ØJ@ 8"8gÃJg· @Û (VD ¦FJg ß:gÃH @Ê
8"8@Ø<JgH •88 JÎ B<gØ:" JÎ ž(4@<.
13,11 E quando vi condurranno via per arrestarvi, non preoccupatevi di ciò che dovrete
dire, ma riferite ciò che in quel momento vi sarà comunicato: poiché non siete voi a
parlare, ma lo Spirito santo.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


ÓJ"<: (= ÓJg e –<), cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, ogni qualvolta,
allorché, appena; cf. Mc 2,20.
–(TF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. pres. da –(T, andare, partire, condurre, guidare,
muovere; cf. Mc 1,37. Si tratta di un presente iterativo con riferimento al futuro: ogni qual
volta vi condurranno via.
ß:H: pron. personale di 2a pers. acc. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 1,8; compl. oggetto.
B"D"*4*`<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da B"D"*\*T:4 (da B"DV e *\*T:4),
consegnare, rimettere, dare (qualcuno) nelle mani (di un altro), consegnare (qualcuno) al
potere (di un altro), tradire; cf. Mc 1,14. Participio congiunto a ß:H, con valore finale. Si
potrebbe qui scorgere un riferimento all’istituzione greca dell’•B"(T(Z, termine giuridico
per indicare la possibilità che un cittadino aveva di arrestare personalmente il reo e condurlo
dinanzi al magistrato per accusarlo (cf. Demostene, Or., 24,113; Lisia, Or., 13,85).
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
BD@:gD4:<Jg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da BD@:gD4:<VT (da BD` e :gD4:<VT),
preoccuparsi, essere in ansia, agitarsi. Hapax neotestamentario. Si tratta di un verbo
sconosciuto nella grecità profana, coniato probabilmente dallo stesso evangelista Marco e più
tardi utilizzato da qualche scrittore cristiano, come Ippolito (cf. Id., Haer., 6,52,1), Clemente
di Alessandria (cf. Id., Strom., 4,9,70) e Origene (cf. Id., Exhortatio ad martyrium, 34,30).
Nel NT il verbo semplice :gD4:<VT, «affannarsi», «darsi pena», «essere in ansia», come il
sostantivo :XD4:<", «ansia», «affanno», «preoccupazione», sono generalmente impiegati in
senso negativo (cf. Mt 6,25.27.28.31. 34; 10,19; 13,22; Lc 8,14; 12,11.22.25.26; 21,34; 1Cor
7,33.34[x2]; Fil 4,6; 1Pt 5,7). L’imperativo presente negativo esprime una proibizione forte
e protratta nel tempo che non ammette eccezioni (cf. Mc 5,36; 9,39; 10,9.14; 13,7.11.21;
16,6). Qui il presente fa dell’illocutivo direttivo una norma generale valida per tutti e sempre.
Mc 13,11 885

J\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; compl. oggetto. Questo pronome interrogativo sta
al posto del relativo Ó J4 / òFJ4H («ciò che»), come avviene nei papiri e nelle iscrizioni; si
tratta di un uso piuttosto frequente nella Koiné: «Propositio relativa et interrogatio indirecta
post verba dicendi, cognoscendi etc. valde affines sunt. Hinc fit, ut hellenistice interrogativum
J\ loco pronominis relativi stare possit» (Zerwick Max, Graec., § 221). Analogo fenomeno
in Mc 2,25; 4,24; 5,14; 6,36; 8,1.2; 9,6.10; 10,38; 13,11; 14,36[x2].40.68; 15,24.
8"8ZF0Jg: verbo, 2a pers. plur. congiunt. aor. da 8"8XT, parlare, dire; cf. Mc 1,34.
•88z: (= •88V), cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però,
piuttosto, nondimeno; cf. Mc 1,44.
Ó: pron. relativo, nom. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24; soggetto.
¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
*@h±: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. pass. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26. L’uso del passivo
divino di *\*T:4 si ritrova in Mc 4,11.25; 8,12; 13,11.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine.
¦<: prep. propria di valore temporale, seguita dal dativo, indecl., in, durante, entro; cf. Mc 1,2.
¦ig\<®: agg. dimostrativo, dat. sin. f. da ¦igÃ<@H, –0, –@, quello, quegli, colui, esso; cf. Mc 1,9;
attributo di òD‘, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
òD‘: sost., dat. sing. f. da òD", –"H, ora, tempo; cf. Mc 6,35; compl. di tempo determinato.
J@ØJ@: pron. dimostrativo, acc. sing. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 1,27;
compl. oggetto.
8"8gÃJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da 8"8XT, parlare, dire; cf. Mc 1,34.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
¦FJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
ß:gÃH: pron. personale di 2a pers. nom. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
cf. Mc 6,31; predicato nominale.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
8"8@Ø<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres., di valore sostantivato, da 8"8XT, parlare, dire; cf.
Mc 1,34; soggetto.
•88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno; cf. Mc 1,44.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
886 Mc 13,12

B<gØ:": sost., nom. sing. n. da B<gØ:", –"J@H, alito, soffio, vento, spirito, Spirito; cf. Mc 1,8;
predicato nominale.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
ž(4@<: agg. qualificativo, nom. sing. n. da ž(4@H, –", –@<, separato, riservato [per Dio],
consacrato, santo; cf. Mc 1,8; attributo di B<gØ:". Il concetto tradizionale di «Spirito
santo», per indicare il dono promesso da Gesù prima di lasciare i suoi, corrisponde al dono
del Paraclito, definito da Giovanni con la stessa espressione B<gØ:" ž(4@< (cf. Gv 14,16)
e più frequentemente con B<gØ:" J­H •8Zhg4" (cf. Gv 14,17; 15,26; 16,13).

13,12 i" B"D"*fFg4 •*g8nÎH •*g8nÎ< gÆH hV<"J@< i" B"J¬D JXi<@<s i"Â
¦B"<"FJZF@<J"4 JXi<" ¦BÂ (@<gÃH i"Â h"<"JfF@LF4< "ÛJ@bH·
13,12 Il fratello metterà a morte il fratello, il padre il figlio, i figli insorgeranno contro i
genitori e li uccideranno.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


B"D"*fFg4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. da B"D"*\*T:4 (da B"DV e *\*T:4), consegnare,
rimettere, dare (qualcuno) nelle mani (di un altro), consegnare (qualcuno) al potere (di un
altro), tradire; cf. Mc 1,14.
•*g8n`H: sost., nom. sing. m. da •*g8n`H, –@Ø, fratello; cf. Mc 1,16; soggetto. Senza articolo
perché generico, analogamente alla serie di sostantivi che seguono (B"JZD, JXi<@<). Per
il commento lessicale a questo vocabolo vedi Mc 3,31.
•*g8n`<: sost., acc. sing. m. da •*g8n`H, –@Ø, fratello; cf. Mc 1,16; compl. oggetto. Per il
commento lessicale a questo vocabolo vedi Mc 3,31.
gÆH: prep. propria di valore finale, seguita dall’accusativo, indecl., per, in vista di, allo scopo di;
cf. Mc 1,4. La preposizione è qui impiegata con valore finale, analogamente a Mc
1,4.38.44; 6,11; 13,9; 14,4.8.9.55; 15,34.
hV<"J@<: sost., acc. sing. m. da hV<"J@H, –@L, morte; cf. Mc 7,10; compl. di fine. L’assenza
dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è frequente nel greco
ellenistico.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
B"JZD: sost., nom. sing. m. da B"JZD, B"JD`H, padre; cf. Mc 1,20; soggetto.
JXi<@<: sost., acc. sing. n. da JXi<@<, –@L, figlio, bambino; cf. Mc 2,5; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦B"<"FJZF@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. medio da ¦B"<\FJ0:4 (da ¦B\ e •<\FJ0:4),
insorgere, levarsi. Questo verbo ricorre 2 volte nel NT: Mt 10,21; Mc 13,12 (hapax
marciano). Nella diatesi attiva causativa il verbo ¦B"<\FJ0:4 è usato nella grecità con il
significato di «alzare di nuovo», «riedificare» (cf. Platone, Leg., 778d) e per analogia «far
insorgere», «sollevare», «spingere contro» (cf. Appiano, Iber., 142,4). Nell’uso intransitivo
equivale a «alzarsi» (cf. Omero, Il., 2,85; Aristofane, Pl., 539) e per analogia «insorgere»,
«sollevarsi», «ribellarsi» (cf. Tucidide, Hist., 3,39,2; Erodoto, Hist., 1,89,2).
Mc 13,13 887

JXi<": sost., nom. plur. n. da JXi<@<, –@L, figlio, bambino; cf. Mc 2,5; soggetto.
¦B\: prep. propria di valore avversativo, seguita dall’accusativo, indecl., contro; cf. Mc 1,22.
(@<gÃH: sost., acc. plur. m. da (@<gbH, –XTH, genitore; compl. di moto a luogo. Il vocabolo
ricorre 20 volte nel NT: Mt 10,21; Mc 13,12 (hapax marciano); Lc 2,27.41.43; 8,56; 18,29;
21,16; Gv 9,2.3.18.20.22. 23; Rm 1,30; 2Cor 12,14[x2]; Ef 6,1; Col 3,20; 2Tm 3,2.
L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è frequente nel
greco ellenistico. Nell’uso al singolare il sostantivo (@<gbH indica nella grecità il «genitore»
padre (cf. Hymn. hom., In Cer., 240), mentre nella più comune forma plurale indica «i
genitori» (cf. Platone, Symp., 178b).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
h"<"JfF@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. da h"<"J`T, mettere a morte, uccidere,
sopprimere, far morire. Questo verbo ricorre 11 volte nel NT: Mt 10,21; 26,59; 27,1; Mc
13,12; 14,55; Lc 21,16; Rm 7,4; 8,13.36; 2Cor 6,9; 1Pt 3,18. Nella sua accezione causativa
il verbo h"<"J`T è usato nel greco profano con il significato di «mettere a morte», «far
morire», «uccidere» (cf. Erodoto, Hist., 1,113,1; Eschilo, Prom., 1053; Platone, Leg., 872c).
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.

13,13 i" §FgFhg :4F@b:g<@4 ßBÎ BV<JT< *4 JÎ Ð<@:V :@L. Ò *¥ ßB@:g\<"H gÆH
JX8@H @âJ@H FThZFgJ"4.
13,13 Voi sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato sino alla fine
sarà salvato.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§FgFhg: verbo, 2a pers. plur. ind. fut. medio da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente;
cf. Mc 1,6.
:4F@b:g<@4: verbo, nom. plur. m. part. pres. pass., con valore aggettivale, da :4FXT, odiare,
detestare; predicato nominale. Questo verbo ricorre 40 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: 5 volte in Matteo (corrispondente allo 0,027% del totale delle parole);
1 volta in Marco (cf. Mc 13,13, hapax marciano); 7 volte in Luca (0,036%); 12 volte in
Giovanni (0,077%). Il verbo :4FXT viene usato nella grecità nel significato di «odiare»,
«detestare» (cf. Eschilo, Prom., 1068; Euripide, Hip., 93; Aristofane, Av., 36). Il linguaggio
semitico è per sua natura enfatico, categorico: ciò si riscontra particolarmente a proposito del
verbo :4FXT, il quale è usato nel greco biblico nell’accezione anticotestamentaria che
comprende una nutrita gamma di significati in varie gradazioni: «trascurare», «amare poco»,
«detestare», «odiare». Nel nostro passo il riferimento all’odio verso i discepoli, oltre al
significato storico, ne acquista uno anche teologico, divenendo sinonimo della persecuzione
e segno del futuro apocalittico.
ßB`: prep. propria con valore d’agente, seguita dal genitivo, indecl., da, da parte di; cf. Mc 1,5.
BV<JT<: pron. indefinito, gen. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; compl. di agente.
888 Mc 13,14

*4V: prep. propria di valore causale, seguita dall’accusativo, indecl., a causa di, a motivo di, per;
cf. Mc 2,1.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
Ð<@:V: sost., acc. sing. n. da Ð<@:", –:"J@H, nome; cf. Mc 3,16; compl. di causa.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
ßB@:g\<"H: verbo, nom. sing. m. part. aor., di valore sostantivato, da ßB@:X<T (da ßB` e
:X<T), rimanere, persistere, perseverare; soggetto. Questo verbo ricorre 17 volte nel NT:
Mt 10,22; 24,13; Mc 13,13 (hapax marciano); Lc 2,43; At 17,14; Rm 12,12; 1Cor 13,7;
2Tm 2,10.12; Eb 10,32; 12,2.3.7; Gc 1,12; 5,11; 1Pt 2,20[x2]. Nella grecità il verbo
ßB@:X<T, oltre a essere usato nel senso proprio di «restare», «rimanere» (cf. Omero, Od.,
10,232; Erodoto, Hist., 7,209,4), compare in quello figurato di «resistere» (cf. Sofocle, Oed.
tyr., 1324), «sopportare», «tollerare» (cf. Senofonte, Mem., 2,1,3). Nella maggior parte delle
ricorrenze neotestamentarie ßB@:X<T compare nel significato traslato di «persistere»,
«resistere», «sopportare», in riferimento alla costanza e fermezza del cristiano in mezzo alle
avversità e alle prove a cui è sottoposto: soltanto in Lc 2,43 e At 17,14 il verbo indica il
«restare» fisico in senso spaziale.
gÆH: prep. propria di valore temporale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, per, fino a, circa; cf.
Mc 1,4.
JX8@H: sost., acc. sing. m. da JX8@H, –@LH, compimento, fine; cf. Mc 3,26; compl. di tempo
continuato. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è
frequente nel greco ellenistico. La locuzione preposizionale gÆH [JÎ] JX8@H deve essere
intesa non tanto in modo temporale («fino alla fine»), quanto modale («fino all’estremo»,
«fino in fondo», «completamente»): si tratta di una formula avverbiale che ritorna ancora
nella Bibbia con questo significato (cf. 1Cr 28,9; 2Cr 31,1; Sal 49,10; Gb 20,7; Lc 18,5; Gv
13,1; 1Ts 2,16).
@âJ@H: pron. dimostrativo, nom. sing. m. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 2,7;
soggetto.
FThZFgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. pass. da Fæ.T, guarire, sanare, salvare; cf. Mc 3,4.
Passivo divino.

13,14 ~?J"< *¥ Ç*0Jg JÎ $*X8L(:" J­H ¦D0:fFgTH ©FJ0i`J" ÓB@L @Û *gÃs Ò


•<"(4<fFiT< <@g\JTs J`Jg @Ê ¦< J± z3@L*"\‘ ngL(XJTF"< gÆH J ÐD0s
13,14 Quando vedrete l’oggetto sacrilego messo dove non dovrebbe — chi legge cerchi di
capire — allora quelli che si trovano nella Giudea fuggano sui monti.
Mc 13,14 889

~?J"<: (= ÓJg e –<), cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, ogni qualvolta,
allorché, appena; cf. Mc 2,20.
*X: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti, dunque, quindi; cf. Mc 1,8.
Ç*0Jg: verbo, 2a pers. plur. congiunt. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc
1,10.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
$*X8L(:": sost., acc. sing. n. da $*X8L(:", –"J@H, abominazione, devastazione; compl.
oggetto. Il vocabolo ricorre 6 volte nel NT: Mt 24,15; Mc 13,14 (hapax marciano); Lc
16,15; Ap 17,4.5; 21,27. Non è facile definire esattamente il significato dato dall’Autore a
questo termine, non attestato nella grecità profana. Nei LXX esso indica, anzitutto, gli
oggetti ritenuti impuri, abominevoli dal punto di vista rituale (un cadavere, un animale, una
statua pagana: Lv 5,2; 7,21; Dt 7,26; 1Mac 1,54; 6,7; Is 2,8.20) oppure, in contesto religioso
e morale, culti e pratiche pagane (cf. Ger 2,7; 4,1; 13,27; Ez 5,11). Per estensione il vocabolo
designa un comportamento proibito da Dio o a lui non gradito (cf. Lv 18,22; Dt 12,31; 18,9;
22,5; 1Re 11,6; 14,24; 2Re 16,3; Prv 11,20; 12,22; 15,8.9.26, ecc.). In Daniele è presente
nell’espressione JÎ $*X8L(:" J­H ¦D0:fFgTH (Dn 9,27; 11,21; 12,11). Nelle poche
ricorrenze neotestamentarie equivale alla dissolutezza e all’idolatria della “prostituta
Babilonia” (cf. Ap 17,4.5); in Lc 16,15 la presunta grandezza dei farisei è definita
$*X8L(:", «cosa detestabile, ripugnante», davanti a Dio. Per l’interpretazione vedi la voce
seguente.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
¦D0:fFgTH: sost., gen. sing. f. da ¦DZ:TF4H, –gTH, spopolamento, desolazione; compl. di
specificazione. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mt 24,15; Mc 13,14 (hapax marciano);
Lc 21,20. Genitivo epesegetico che specifica ulteriormente il nome reggente: abominio che
è desolazione. Il raro vocabolo ¦DZ:TF4H — derivante da ¦D0:@T, «rendere deserto»,
«spopolare» — nel greco ellenistico indica non tanto la distruzione di una località, quanto un
suo abbandono, una desolazione per mancanza di abitanti ed equivale, pertanto, a «spopola-
mento» (cf. Arriano, Alex. anab., 1,9,7; Dn 9,27; Giuseppe Flavio, Antiq., 12,322; Test. Levi,
17,10). Chi o che cosa sia questo «abominio della desolazione» non è facile sapere. Vi sono
molte ipotesi, nessuna perentoria: per alcuni è allusione a Dn 9,27; 11,31; 12,11 dove si
ricorda l’«idolo», ossia l’altare e la statua in onore di Giove Olimpico che Antioco IV
Epifane fece erigere nel Tempio di Gerusalemme nel 170 a.C. Questo dato storico ha il suo
riscontro in 1Mac 1,54 dove si legge che Antioco fece porre sopra l’altare degli olocausti in
Gerusalemme un idolo: «Nell’anno centoquarantacinque, il quindici di Casleu, il re innalzò
sull’altare l’abominio della desolazione» (1Mac 1,54; cf. 1Mac 6,7; 2Mac 6,2; cf. anche
Strack–Bill., I,851). Secondo altri l’espressione fa riferimento alla rovina del Tempio nel 70
d.C. Per altri si tratta di una generica e iperbolica affermazione, in stile apocalittico, per
indicare una grande prova contro la fede.
©FJ0i`J": verbo, acc. sing. m. part. perf. da ËFJ0:4, stare, durare, perdurare, fissare, mettere;
cf. Mc 3,24. Participio predicativo del complemento oggetto JÎ $*X8L(:". Si tratta di una
costruzione ad sensum: il participio maschile viene riferito a un soggetto neutro considerato
come una entità personale (stesso fenomeno in Mc 9,26).
890 Mc 13,15

ÓB@L: (da ÓH e B@Ø), avv. di luogo, indecl., dove, nel luogo in cui; cf. Mc 2,4.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
*gÃ: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da *gÃ, forma impersonale con il significato di «bisogna», «è
necessario»; cf. Mc 8,31.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
•<"(4<fFiT<: verbo, nom. sing. m. part. pres., di valore sostantivato, da •<"(4<fFiT (da
•<V e (4<fFiT), riconoscere, conoscere, leggere; cf. Mc 2,25; soggetto. L’uso assoluto
di questo verbo non è marciano: analogamente a Ap 1,3 il participio indica il pubblico lettore
incaricato dalla comunità a leggere ad alta voce la Sacra Scrittura o altri testi sacri.
<@g\JT: verbo, 3a pers. sing. imperat. pres. da <@XT, pensare, comprendere, capire,
considerare; cf. Mc 7,18. L’invito rivolto al lettore, in forma di parentesi esortativa, è una
inserzione redazionale, probabilmente per mano di qualche primo copista.
J`Jg: avv. di tempo, indecl., allora, in quel tempo; cf. Mc 2,20.
@Ê: art. determ., con valore pronominale, nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5;
soggetto. Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale
"ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
z3@L*"\‘: sost., nome proprio di località, dat. sing. f. da z3@L*"\", –"H, Giudea; cf. Mc 3,7;
compl. di stato in luogo.
ngL(XJTF"<: verbo, 3a pers. plur. imperat. pres. da ngb(T, fuggire, scappare, correre via; cf.
Mc 5,14.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
ÐD0: sost., acc. plur. n. da ÐD@H, –@LH, montagna, monte; cf. Mc 3,13; compl. di moto a luogo.

13,15 Ò [*¥] ¦B J@Ø *f:"J@H :¬ i"J"$VJT :0*¥ gÆFg8hVJT ˜D"\ J4 ¦i J­H @Æi\"H
"ÛJ@Øs
13,15 Chi si trova sulla terrazza non scenda e non entri a prendere qualcosa nella sua casa;

Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
[*X: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,8. La congiunzione è
presente nei codici !, A, L, W, Q, f1, f13; è assente, invece, in D, 1, 565, 700. L’eventuale
Mc 13,16 891

aggiunta o omissione della congiunzione è in ogni caso assolutamente ininfluente per la retta
comprensione del testo.].
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., in, su, a, davanti a, verso, sopra,
presso; cf. Mc 1,22.
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
*f:"J@H: sost., gen. sing. n. da *ä:", –"J@H, terrazza, solaio, tetto; compl. di stato in luogo.
Il vocabolo ricorre 7 volte nel NT: Mt 10,27; 24,17; Mc 13,15 (hapax marciano); Lc 5,19;
12,3; 17,31; At 10,9. Nell’uso originario il sostantivo *ä:" indica la «casa», la «dimora» (cf.
Omero, Il., 1,533; Erodoto, Hist., 2,62,1). In epoca ellenistica può assumere anche il
significato di «terrazzo», «tetto» (cf. Dt 22,8).
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
i"J"$VJT: verbo, 3a pers. sing. imperat. aor. da i"J"$"\<T (da i"JV e la radice di $VF4H),
discendere, venire giù, scendere; cf. Mc 1,10. Ovviamente non si può lasciare la terrazza
senza scendere in basso: ma qui l’espressione può essere compresa soltanto tenendo presente
che le case palestinesi di tipo tradizionale avevano una terrazza alla quale si accedeva soltanto
per una scala esterna (vedi commento a Mc 2,4). Scendere dal terrazzo attraverso questa
scaletta per poi rientrare in casa per prendere qualcosa significava perdere tempo prezioso per
la fuga. Da qui la proibizione «non scenda per poi entrare in casa a prendere…».
:0*X: (da :Z e *X), avv. di negazione, indecl., neppure, nemmeno, neanche, non; cf. Mc 2,2.
gÆFg8hVJT: verbo, 3a pers. sing. imperat. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare,
venire dentro, recarsi, andare; cf. Mc 1,21.
˜D"\: verbo, inf. aor. da "ÇDT, alzare, sollevare, sostenere, sorreggere, portare, prendere; cf.
Mc 2,3. Infinito di valore finale.
J4: pron. indefinito (enclitico), acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\), un
certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; compl. oggetto.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
@Æi\"H: sost., gen. sing. f. da @Æi\", –"H, casa, abitazione, dimora; cf. Mc 1,29; compl. di moto
da luogo.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).

13,16 i"Â Ò gÆH JÎ< •(DÎ< :¬ ¦B4FJDgRVJT gÆH J ÏB\FT ˜D"4 JÎ Ê:VJ4@< "ÛJ@Ø.
13,16 chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


892 Mc 13,17

Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
•(D`<: sost., acc. sing. m. da •(D`H, –@Ø, campo, campagna, podere, borgata [di campagna];
cf. Mc 5,14; compl. di stato in luogo. Il vocabolo ha qui il significato di campo, ossia il
terreno coltivato, l’appezzamento di terreno (cf. Mc 10,29.30; 13,16).
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
¦B4FJDgRVJT: verbo, 3a pers. sing. imperat. aor. da ¦B4FJDXnT (da ¦B\ e FJDXnT), ritornare,
girarsi, voltarsi, convertirsi; cf. Mc 4,12.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
ÏB\FT: avv. di luogo, di valore sostantivato, indecl., ciò che è dietro, parte posteriore, limite
estremo; cf. Mc 1,7; compl. di moto a luogo. Gli avverbi sostantivati sono locuzioni
ellittiche in cui viene sottinteso un sostantivo che cede il proprio articolo all’avverbio; tale
sostantivo viene facilmente ricavato dal contesto. Qui il riferimento è ai bordi del campo
dove si lasciavano i mantelli prima di iniziare a lavorare la terra.
˜D"4: verbo, inf. aor. da "ÇDT, alzare, sollevare, sostenere, sorreggere, portare, prendere; cf.
Mc 2,3.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
Ê:VJ4@<: sost., acc. sing. n. da Ê:VJ4@<, –@L, sopravveste, indumento, mantello; cf. Mc 2,21;
compl. oggetto. Questo vocabolo può indicare le vesti in generale, specie se nella forma
plurale (cf. Mc 5,30; 9,3; 15,20.24) o il mantello (cf. Mc 2,21; 5,27.28; 6,56; 10,50; 11,7.8;
13,16). Come sopra riferito (cf. Mc 10,50) il mantello era un capo di abbigliamento
indispensabile: serviva da protezione per il caldo durante le giornate estive e da coperta nelle
fredde notti invernali. Abbandonare il mantello è dunque segno di una urgenza estrema.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).

13,17 @Û"Â *¥ J"ÃH ¦< ("FJDÂ ¦P@bF"4H i"Â J"ÃH h08".@bF"4H ¦< ¦ig\<"4H J"ÃH
º:XD"4H.
13,17 Guai alle donne incinte e a quelle che allattano in quei giorni!

@Û"\: interiez. propria con valore di minaccia e dolore, indecl., guai! Il vocabolo ricorre 46 volte
nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 11,21[x2]; 18,7[x2]; 23,13.15.16.23.
Mc 13,17 893

25.27.29; 24,19; 26,24; Mc 13,17; 14,21; Lc 6,24.25[x2].26; 10,13[x2]; 11,42.43.44.46. 47.


52; 17,1; 21,23; 22,22. Il vocabolo @Û"\ è un semitismo neotestamentario ricalcato
sull’ebraico *|!, ’ôy, *|%, hôy (lat. vae). Nell’AT viene usato come espressione di dolore,
lamento e soprattutto di minaccia all’interno della letteratura profetica.
*X: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti, dunque, quindi; cf. Mc 1,8.
J"ÃH: art. determ., con valore pronominale, dat. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9; compl.
di termine. Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e
personale "ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
¦<: prep. propria con valore di stato o condizione, seguita dal dativo, indecl., in, con; cf. Mc 1,2.
("FJD\: sost., dat. sing. f. da ("FJZD, –JD`H, ventre, utero; compl. di stato o condizione. Il
vocabolo ricorre 9 volte nel NT: Mt 1,18.23; 24,19; Mc 13,17 (hapax marciano); Lc 1,31;
21,23; 1Ts 5,3; Tt 1,12; Ap 12,2. Nel greco classico il termine è usato per indicare il ventre
sia come cavità per il cibo (ossia lo stomaco: Od., 6,133) sia come sede del feto (ossia
l’utero: Omero, Il., 6,58).
¦P@bF"4H: verbo, dat. plur. f. part. pres., di valore sostantivato, da §PT, avere, possedere, tenere
(trans.); essere nella condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,20; compl. di termine.
L’espressione ¦< ("FJDÂ §Pg4< appartiene al greco biblico ed è modellata sull’uso semitico:
equivale a «essere incinta», «essere in stato di gravidanza» (cf. Gn 16,4.5.11; 25,21; 38,24.25;
Es 21,22; Gdc 13,3.5.7; 2Sam 11,5; 2Re 8,12; 15,16; 2Mac 7,27; Qo 11,5; Gb 15,35; 20,14;
21,10; 31,15; Os 14,1; Am 1,13; Is 7,14; 40,11; Mt 1,18.23; 24,19; Mc 13,17; Lc 1,31;
21,23; 1Ts 5,3; Ap 12,2).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J"ÃH: art. determ., dat. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
h08".@bF"4H: verbo, dat. plur. f. part. pres., di valore sostantivato, da h08V.T, allattare;
compl. di termine. Questo verbo ricorre 5 volte nel NT: Mt 21,16; 24,19; Mc 13,17 (hapax
marciano); Lc 11,27; 21,23. Nella diatesi sia attiva che media il verbo h08V.T è impiegato
nella grecità nel significato di «allattare» (cf. Lisia, Or., 1,9; Aristotele, Hist. anim., 576b 10;
Platone, Resp., 460d).
¦<: prep. propria di valore temporale, seguita dal dativo, indecl., in, durante, entro; cf. Mc 1,2.
¦ig\<"4H: agg. dimostrativo, dat. plur. f. da ¦igÃ<@H, –0, –@, quello, quegli, colui, esso; cf. Mc
1,9; attributo di º:XD"4H, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J"ÃH: art. determ., dat. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
º:XD"4H: sost., dat. plur. f. da º:XD", –"H, giorno; cf. Mc 1,9; compl. di tempo determinato.
La frase «in quei giorni», «in quel giorno», si ritrova nel secondo vangelo come generica e
indeterminata indicazione temporale (cf. Mc 1,9; 2,20; 4,35; 8,1; 13,17; [13,19]; 13,24;
[13,32]; [14,25]). L’espressione, tuttavia, è tipica del linguaggio escatologico (cf. Ps. Salom.,
18,6) ed è spesso usata dai profeti per indicare «gli ultimi tempi», ossia l’epoca in cui si
realizzerà l’intervento definitivo di Dio nella storia umana, caratterizzato dall’abbondanza dei
beni messianici (cf. Is 2,11.17.20; 3,18; 4,2; 5,30; 7,18.21; 10,20.27; 11,10; 12,1.4; 14,3.4;
17,7; 19,19.21.23.24; 25,9; 26,1; 29,18; 30,23.25; Ger 3,17; 5,18; 25,33; 30,8; 31,29; Ez
894 Mc 13,18–19

29,21; Os 2,18.20.23; Gl 3,2; 4,1.18; Am 8,9; 9,11.13; Abd 1,8; Mic 4,1.6; 5,9; Sof
3,11.16.20; Ag 2,23; Zc 2,15; 3,10; 8,23; 9,16; 13,1.2; 14,6.8.9).

13,18 BD@FgbPgFhg *¥ Ë<" :¬ (X<0J"4 Pg4:ä<@H·


13,18 Pregate che ciò non accada d’inverno,

BD@FgbPgFhg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. medio da BD@FgbP@:"4 (da BD`H e
gÜP@:"4), offrire preghiere, pregare; cf. Mc 1,35.
*X: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti, dunque, quindi; cf. Mc 1,8.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
(X<0J"4: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4. La proposizione dipendente, di valore
finale, è senza soggetto esplicito: dal contesto precedente è evidente che si stia qui parlando
della «fuga», ricordata a partire dal v. 14; così l’ha esplicitata Mt 24,20.
Pg4:ä<@H: sost., gen. sing. m. da Pg4:f<, –ä<@H, inverno; compl. di tempo determinato. Il
vocabolo ricorre 6 volte nel NT: Mt 16,3; 24,20; Mc 13,18 (hapax marciano); Gv 10,22; At
27,20; 2Tm 4,21. Senza articolo perché generico. A partire da Omero il sostantivo Pg4:f<
è impiegato per indicare l’«inverno» (cf. Omero, Il., 3,4; Erodoto, Hist., 2,26,2). Il caso
genitivo può essere usato in greco per esprimere un complemento di tempo determinato.
Marco impiega il genitivo con valore temporale 2 volte: Mc 13,18.35. Altrove il genitivo
temporale è retto dalle preposizioni *4V (cf. Mc 2,1; 5,5; 14,58), ¦B\ (cf. Mc 2,26), •B` (cf.
Mc 10,6; 13,19), ¦i (cf. Mc 10,20), ªTH (cf. Mc 14,25; 15,33) oppure compare all’interno
della cosiddetta costruzione “genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32; 4,17.35; 5,2.18.21.35;
6,2.21.22[x2].35.47.54; 8,1; 9,9.28; 10,17.46; 11,11.12.27; 13,1.3; 14,3[x2].17.18.22.43.58.
66; 15,33.42; 16,1.2.20[x2]).

13,19 §F@<J"4 (D "Ê º:XD"4 ¦igÃ<"4 h8ÃR4H @Ë" @Û (X(@<g< J@4"bJ0 •Bz •DP­H
iJ\FgTH ¼< §iJ4Fg< Ò hgÎH ªTH J@Ø <Ø< i"Â @Û :¬ (X<0J"4.
13,19 perché quei giorni saranno di una tale sofferenza quale non c’è mai stata dall’inizio
della creazione, operata da Dio, fino a ora e mai più vi sarà.

§F@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. medio da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente;
cf. Mc 1,6.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
"Ê: art. determ., nom. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 2,5.
º:XD"4: sost., nom. plur. f. da º:XD", –"H, giorno; cf. Mc 1,9; soggetto.
Mc 13,19 895

¦igÃ<"4: agg. dimostrativo, nom. plur. f. da ¦igÃ<@H, –0, –@, quello, quegli, colui, esso; cf. Mc
1,9; attributo di º:XD"4, qui senza articolo perché in posizione predicativa. La frase «in quei
giorni», «in quel giorno», si ritrova nel secondo vangelo come generica e indeterminata
indicazione temporale (cf. Mc 1,9; 2,20; 4,35; 8,1; 13,17; [13,19]; 13,24; [13,32]; [14,25]).
L’espressione, tuttavia, è tipica del linguaggio escatologico (cf. Ps. Salom., 18,6) ed è spesso
usata dai profeti per indicare «gli ultimi tempi», ossia l’epoca in cui si realizzerà l’intervento
definitivo di Dio nella storia umana, caratterizzato dall’abbondanza dei beni messianici (cf.
Is 2,11.17.20; 3,18; 4,2; 5,30; 7,18.21; 10,20.27; 11,10; 12,1.4; 14,3.4; 17,7; 19,19.21.23.24;
25,9; 26,1; 29,18; 30,23.25; Ger 3,17; 5,18; 25,33; 30,8; 31,29; Ez 29,21; Os 2,18.20.23; Gl
3,2; 4,1.18; Am 8,9; 9,11.13; Abd 1,8; Mic 4,1.6; 5,9; Sof 3,11.16.20; Ag 2,23; Zc 2,15;
3,10; 8,23; 9,16; 13,1.2; 14,6.8.9). Nel nostro passo la difficoltà è quella di determinare se
l’espressione si riferisce ai tempi escatologici, ancora da venire oppure a qualche altro
avvenimento considerato futuro nella prospettiva di Gesù, ma ormai passato rispetto alla
nostra storia.
h8ÃR4H: sost., nom. sing. f. da h8ÃR4H, –gTH, pressione, oppressione, difficoltà, tribolazione;
cf. Mc 4,17; predicato nominale. In alcuni testi dei LXX il termine è usato per indicare le
sofferenze con le quali Dio colpisce il popolo eletto per castigarlo e ricondurlo all’osservanza
degli impegni dell’alleanza (cf. 2Cr 20,9; Os 5,15; Is 26,16). Altrove nella Bibbia il «giorno»
o il «tempo» della tribolazione (%9I7I .|*, yôm sEa) ra) h, º:XD" h8\RgTH) indica quel tempo
in cui Dio «visita» Israele mediante sofferenze particolarmente gravi (cf. 2Re 19,3; Is 32,2;
37,3; Abd 1,12.14; Na 1,7) e soprattutto il tempo in cui Dio porta a compimento il giudizio
escatologico (cf. Dn 12,1; Ab 3,16; Sof 1,15). Nel NT h8ÃR4H, oltre ad avere il senso
generico di grande sofferenza (cf. Gv 16,21; At 7,10; Rm 12,12), denota le prove dolorose
dei membri della Chiesa (cf. Gv 16,33; At 11,19; 14,22; 20,23; Rm 5,3; 8,35; 2Cor 1,4.8;
Eb 10,33) e in particolare la tribolazione escatologica (cf. Ap 2,10; 7,14). Tenendo presente
l’insieme di questo contesto biblico, la «sofferenza» qui ricordata sembra indicare un
particolare intervento di Dio caratterizzato sia da un connotato di condanna che di salvezza.
@Ë": pron. relativo, nom. sing. f. da @Í@H, @Ë", @Í@<, quale, simile, come, alla maniera di; cf.
Mc 9,3; attributo di h8ÃR4H.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
(X(@<g<: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere, nascere,
essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4.
J@4"bJ0: pron. dimostrativo, nom. sing. f. da J@4@ØJ@H, J@4"bJ0, J@4@ØJ@, simile, tale, di
questo tipo; cf. Mc 4,33. L’uso di J@4@ØJ@H, di per sé superfluo dopo il relativo @Í@H, è
probabilmente un semitismo dovuto all’indeclinabilità del relativo ebraico 9– G! C , ’a7 šer e
dell’aramaico *yE, dî. Analogo esempio in Mc 9,3.
•Bz: (= •B`), prep. propria con valore temporale, seguita dal genitivo, indecl., da, a partire da,
da allora, dopo; cf. Mc 1,9.
•DP­H: sost., gen. sing. f. da •DPZ, –­H, principio, inizio, origine, riassunto, compendio; cf. Mc
1,1; compl. di tempo continuato. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con
preposizioni, come qui, è frequente nel greco ellenistico. Questo fenomeno è ulteriormente
896 Mc 13,19

accentuato nel greco biblico per influenza semitica dello stato costrutto ebraico in cui il
sostantivo che regge il genitivo è sempre senza articolo.
iJ\FgTH: sost., gen. sing. f. da iJ\F4H, –gTH, creazione; cf. Mc 10,6; compl. di specificazione.
Quando il nome reggente è privo di articolo (come qui), anche il genitivo dipendente ne è
solitamente sprovvisto.
»<: pron. relativo, acc. sing. f. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 11,21; compl. oggetto.
§iJ4Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da iJ\.T, creare, formare. Questo verbo ricorre 15
volte nel NT: Mt 19,4; Mc 13,19 (hapax marciano); Rm 1,25; 1Cor 11,9; Ef 2,10.15; 3,9;
4,24; Col 1,16[x2]; 3,10; 1Tm 4,3; Ap 4,11[x2]; 10,6. Nel greco profano il verbo iJ\.T,
oltre a essere impiegato nel significato primo di «popolare», «colonizzare» (cf. Omero, Il.,
20,216) e in quello derivato di «fondare», «costruire» (cf. Omero, Od., 11,263), assume
anche il significato di «creare», «produrre», «fare», mediante qualche attività manuale (cf.
Sofocle, Oed. Col., 715). In tutte le ricorrenze neotestamentarie iJ\.T è verbo tecnico
riservato a Dio creatore, analogamente a quanto avviene nei LXX e negli scritti giudaici
post–biblici. Tuttavia Dio è presentato non come il *0:4@LD(`H del mondo greco, ossia «il
fabbricante» (concetto che riguarda maggiormente l’attività manuale), ma come il Dio
sovrano che crea mediante un atto di volontà, un atto di decisione. Da notare la figura
etimologica (paronomasia) costruita con l’oggetto interno (iJ\FgTH… §iJ4Fg<), dovuta
probabilmente a influsso semitico (infinito assoluto ebraico). Analogo fenomeno in Mc 1,26;
3,28; 4,24.41; 5,42; 7,7.13; 10,38; 14,6; 15,26.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
hg`H: sost., nom. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; soggetto.
ªTH: prep. impropria di valore temporale, seguita dal genitivo, indecl., fino a, sino a; cf. Mc
6,10.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
<Ø<: avv. di tempo, di valore sostantivato, indecl., ora, adesso; cf. Mc 10,30; compl. di tempo
continuato. Gli avverbi sostantivati sono locuzioni ellittiche in cui viene sottinteso un
sostantivo che cede il proprio articolo all’avverbio; tale sostantivo viene facilmente ricavato
dal contesto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4. Nelle proposizioni affermative
le due negazioni in successione @Û :Z sono utilizzate per enfatizzare la negazione, per
esprimere un forte diniego: si tratta di un uso piuttosto frequente nel greco ellenistico. Marco
utilizza la doppia negazione @Û :Z 10 volte (prescindiamo dalla ricorrenza di Mc 16,18), 9
delle quali sulla bocca di Gesù (cf. Mc 9,1.41; 10,15; 13,2[x2].19.30. 31; 14,25); in Mc 14,31
è usata da Pietro.
(X<0J"4: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4.
Mc 13,20 897

13,20 i" gÆ :¬ ¦i@8`$TFg< ibD4@H JH º:XD"Hs @Ûi —< ¦Ffh0 BF" FVD>· •88
*4 J@×H ¦i8giJ@×H @áH ¦>g8X>"J@ ¦i@8`$TFg< JH º:XD"H.
13,20 E se il Signore non avesse abbreviato quei giorni nessuno si salverebbe. Ma, grazie
agli eletti che si è scelto, egli ha abbreviato quei giorni.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7. La particella gÆ è qui usata per introdurre una proposizione ipotetica, la
protasi, la cui conseguenza è costituita dalla proposizione reggente (detta apodosi).
Ritroviamo questa costruzione in Mc 3,26; 4,23; 8,34; 9,22.23.35; 11,25; 13,20.22; 14,21.
29.35.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
¦i@8`$TFg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da i@8@$`T, accorciare, compendiare, abbreviare.
Questo verbo ricorre 4 volte nel NT: Mt 24,22[x2]; Mc 13,20[x2]. In senso letterale proprio
i@8@$`T è impiegato nel greco classico nel significato di «tagliare», «mutilare», detto a
proposito di membra del corpo (cf. Aristotele, De part. anim., 695b2; Polibio, Hist., 1,80,13).
ibD4@H: sost., nom. sing. m. da ibD4@H, –@L, signore, padrone, capo, Signore (riferito a Dio e
Gesù); cf. Mc 1,3; soggetto. Senza articolo per influsso dei LXX dove il termine ibD4@H
traduce il sacro e innominabile tetragramma %&%*, Yhwh. Il «Signore» qui indicato è Dio
Padre.
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
º:XD"H: sost., acc. plur. f. da º:XD", –"H, giorno; cf. Mc 1,9; compl. oggetto.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale. La formula @Ûi… gÆ :Z…
(gÆ :Z… @Ûi…), «non… se non…» (cf. Mc 2,26; 5,37; 6,4.5; 8,14; 13,20; cf. anche Mc
6,8; 9,9.29; 10,18; 11,13; 13,32) non è un vero semitismo, poiché è attestata anche nel greco
classico (cf. Erodoto, Hist., 2,73,1; Senofonte, Anab., 1,5,6).
–<: partic. modale di valore dubitativo, eventuale o condizionale, indecl., [se, e se, caso mai,
qualora, eventualmente]; cf. Mc 3,29.
¦Ffh0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da Fæ.T, guarire, sanare, salvare; cf. Mc 3,4.
BF": agg. indefinito, nom. sing. f. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; attributo di FVD>.
FVD>: sost., nom. sing. f. da FVD>, F"Di`H, carne; cf. Mc 10,8; soggetto. L’espressione BF"
FVD> è un semitismo corrispondente all’ebraico 9” I vI<< -ƒI, kol–ba) 'sa) r, «ogni carne» (cf. Gn
6,12, ecc.), ossia «ogni uomo», «ogni persona» (cf. Mt 24,22; Mc 13,20; Lc 3,6; Gv 17,2;
At 2,17; Rm 3,20; 1Cor 1,29; 15,39; Gal 2,16; 1Pt 1,24). Qui l’espressione è negata
dall’avverbio @Ûi ed equivale a «nessuna carne», «nessuna persona», ossia più semplicemen-
te «nessuno».
•88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno; cf. Mc 1,44.
898 Mc 13,21

*4V: prep. propria di valore causale, seguita dall’accusativo, indecl., a causa di, a motivo di, per;
cf. Mc 2,1.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
¦i8giJ@bH: agg. qualificativo, di valore sostantivato, acc. plur. m. da ¦i8giJ`H, –Z, –`<,
scelto, eletto; compl. di causa. Il vocabolo ricorre 22 volte nel NT: Mt 22,14; 24,22.24.31;
Mc 13,20.22.27; Lc 18,7; 23,35; Rm 8,33; 16,13; Col 3,12; 1Tm 5,21; 2Tm 2,10; Tt 1,1; 1Pt
1,1; 2,4.6.9; 2Gv 1,2.13; Ap 17,14. Nell’uso profano l’aggettivo ¦i8giJ`H è impiegato nel
significato di «scelto», «selezionato», riferito a persone e a cose (cf. Tucidide, Hist., 6,100,1;
Platone, Leg., 938b). Nel NT ¦i8giJ`H è usato esclusivamente in senso religioso, in
riferimento all’elezione di Gesù Cristo (cf. Lc 23,35; 1Pt 2,4.6), degli angeli (cf. 1Tm 5,21)
e soprattutto dei credenti in Cristo, in contesti quasi esclusivamente apocalittici o escatologici.
Qui, come nell’apocalittica giudaica, ¦i8giJ`H ha un contenuto escatologico, ma senza
connotazioni settarie: gli eletti, che in Mc 13,27 vengono raccolti dai quattro punti cardinali,
formano la nuova comunità universale del tempo finale.
@àH: pron. relativo, acc. plur. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,26; compl. oggetto.
¦>g8X>"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da ¦i8X(T (da ¦i e 8X(T), scegliersi per sé.
Questo verbo semideponente ricorre 22 volte nel NT: Mc 13,20 (hapax marciano); Lc 6,13;
9,35; 10,42; 14,7; Gv 6,70; 13,18; 15,16[x2].19; At 1,2.24; 6,5; 13,17; 15,7.22.25; 1Cor
1,27[x2].28; Ef 1,4; Gc 2,5. Nella grecità il verbo ¦i8X(T è presente nel significato di
«scegliere» (cf. Senofonte, Anab., 3,3,19; Platone, Leg., 811a); nella diatesi media assume
il senso di «scegliere [per sé]», «prendersi» (cf. Erodoto, Hist., 1,199,2; Platone, Symp.,
198d). Nel NT è attestata soltanto la diatesi mediopassiva, nel significato di «scegliersi»
qualcosa o qualcuno, fare per sé la propria scelta. Nei LXX ¦i8X(@:"4 corrisponde quasi
sempre (108 volte su un totale di 141 ricorrenze) all’ebraico 9( H vI, ba) hEar («scegliere»,
«eleggere», «prediligere»): il soggetto che opera e sceglie è quasi sempre Dio; l’oggetto
principale dell’elezione è il popolo di Israele (cf. Dt 4,37; 7,7; 14,2) oppure più raramente
alcuni singoli, come Abramo (cf. Ne 9,7), Mosè (cf. Sal 106,23), il re di Gerusalemme (cf.
1Re 8,16), i sacerdoti (cf. Dt 18,5). Anche nel nostro caso il soggetto implicito è Dio: si tratta
di un medio teologico per indicare l’atto sovrano di Dio che liberamente sceglie o elegge
alcuni.
¦i@8`$TFg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da i@8@$`T, accorciare, compendiare, abbreviare;
cf. Mc 13,20a.
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
º:XD"H: sost., acc. plur. f. da º:XD", –"H, giorno; cf. Mc 1,9; compl. oggetto.

13,21 i"Â J`Jg ¦V< J4H ß:Ã< gÇB®s }3*g ô*g Ò OD4FJ`Hs }3*g ¦igÃs :¬ B4FJgbgJg·
13,21 Allora se qualcuno vi dirà: “Ecco, il messia è qui; ecco, è là”, non ci credete!

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


J`Jg: avv. di tempo, indecl., allora, in quel tempo; cf. Mc 2,20.
Mc 13,21 899

¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
J4H: pron. indefinito (enclitico), nom. sing. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; soggetto.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine.
gÇB®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7.
}3*g: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc
2,24. Il vocabolo Ç*g, un segnale discorsivo stereotipo, nella maggior parte delle ricorrenze
neotestamentarie assume il valore avverbiale esclamativo corrispondente alle interiezioni
«ecco!», «vedi!», «guarda!», «guardate!». Non c’è sostanziale diversità con l’equivalente Æ*@b
(cf. Mc 1,2). Entrambe le particelle sono forme vivaci e dinamiche modellate sul corrispon-
dente ebraico %F% E , hinne)h (1057 volte nell’AT) e in quanto tali possono sottolineare il
discorso o la narrazione che esse introducono con una energia particolare, esprimente di
volta in volta sorpresa, importanza, novità, reazione.
ô*g: avv. di luogo, indecl., qui, qua; cf. Mc 6,3.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
OD4FJ`H: agg. qualificativo, di valore sostantivato, nom. sing. m. da PD4FJ`H, –Z, –`<, unto,
messia, «Cristo»; cf. Mc 1,1; soggetto. Qui, come in Mc 8,29; 12,35; 14,61; 15,32, è
preferibile tradurre OD4FJ`H con «messia», poiché il vocabolo viene impiegato per indicare
il figlio di David, atteso come salvatore del suo popolo; al contrario nelle altre due ricorrenze
(cf. Mc 1,1; 9,41) la traduzione più appropriata è quella di «Cristo», poiché il termine è
utilizzato redazionalmente per indicare il messia già venuto, figlio di Maria e Figlio di Dio,
Salvatore dell’umanità.
}3*g: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc
2,24. Il vocabolo Ç*g, un segnale discorsivo stereotipo, nella maggior parte delle ricorrenze
neotestamentarie assume il valore avverbiale esclamativo corrispondente alle interiezioni
«ecco!», «vedi!», «guarda!», «guardate!». Non c’è sostanziale diversità con l’equivalente Æ*@b
(cf. Mc 1,2). Entrambe le particelle sono forme vivaci e dinamiche modellate sul corrispon-
dente ebraico %F% E , hinne)h (1057 volte nell’AT) e in quanto tali possono sottolineare il
discorso o la narrazione che esse introducono con una energia particolare, esprimente di
volta in volta sorpresa, importanza, novità, reazione.
¦igÃ: avv. di luogo, indecl., là, lì, in quel posto; cf. Mc 1,38.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
B4FJgbgJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da B4FJgbT, credere, fidarsi di, dare fiducia a;
cf. Mc 1,15. L’imperativo presente negativo esprime una proibizione forte e protratta nel
tempo che non ammette eccezioni (cf. Mc 5,36; 9,39; 10,9.14; 13,7.11.21; 16,6). Qui il
presente fa dell’illocutivo direttivo una norma generale valida per tutti e sempre.
900 Mc 13,22

13,22 ¦(gDhZF@<J"4 (D RgL*`PD4FJ@4 i" RgL*@BD@n­J"4 i" *fF@LF4< F0-


:gÃ" i" JXD"J" BDÎH JÎ •B@B8"<<s gÆ *L<"J`<s J@×H ¦i8giJ@bH.
13,22 Sorgeranno, infatti, falsi messia e falsi profeti e faranno segni e prodigi per ingannare,
se possibile, gli eletti.

¦(gDhZF@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. pass. da ¦(g\DT, svegliare, alzare, sollevare,
risorgere [i morti] (trans.); svegliarsi, alzarsi, sollevarsi, risorgere [dai morti] (intr.); cf. Mc
1,31.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
RgL*`PD4FJ@4: sost., nom. plur. m. da RgL*`PD4FJ@H, –@Ø (da RgL*ZH e OD4FJ`H), falso
messia, pseudo messia; soggetto. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mt 24,24; Mc 13,22
(hapax marciano). Senza articolo perché generico. Sconosciuto nel greco classico ed
ellenistico, il termine quasi certamente è di origine cristiana. Per quanto riguarda il sorgere
di falsi messia nel I secolo d.C. vedi commento a Mc 6,15.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
RgL*@BD@n­J"4: sost., nom. plur. m. da RgL*@BD@nZJ0H, –@L (da RgL*ZH e BD@nZJ0H),
falso profeta, pseudo profeta; soggetto. Il vocabolo ricorre 11 volte nel NT: Mt 7,15;
24,11.24; Mc 13,22 (hapax marciano); Lc 6,26; At 13,6; 1Pt 2,1; 1Gv 4,1; Ap 16,13; 19,20;
20,10. Senza articolo perché generico. Linguisticamente e concettualmente i «falsi profeti»
qui ricordati sono quelli che compaiono nell’AT (cf. Lam 2,14): profetizzano per denaro e
tornaconto personale, sfruttando la credulità della gente semplice (cf. Ez 13,19; Mic 3,5.11);
annunciano visioni e desideri falsi, «suggestioni della loro mente» (Ger 14,14), senza aver
ricevuto alcun potere reale da Dio (cf. Ger 14,14; Ez 13,6–7); le loro presunte capacità sono
soltanto «fantasie del loro cuore» (Ger 23,16); vivono di astuzie illudendo il popolo con false
sicurezze e promesse di prosperità (cf. Ger 6,14; 8,11); fanno scordare il nome del Signore,
«traviano il popolo con menzogne e millanterie» (Ger 23,32); sono causa di peccato e di
rovina (cf. Ger 23,13.22.27; Ez 13,22). Anche molti testi del NT parlano di questi falsi profeti
(cf. Mt 7,15; 24,11; Lc 6,26; At 13,6; 2Pt 2,1; 1Gv 4,1; Ap 16,13; 19,20; 20,10).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
*fF@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26.
F0:gÃ": sost., acc. plur. n. da F0:gÃ@<, –@L, segno; cf. Mc 8,11; compl. oggetto. Senza
articolo perché generico.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
JXD"J": sost., acc. plur. n. da JXD"H, –"J@H, prodigio, miracolo; compl. oggetto. Il vocabolo
ricorre 16 volte nel NT: Mt 24,24; Mc 13,22 (hapax marciano); Gv 4,48; At 2,19.22.43;
4,30; 5,12; 6,8; 7,36; 14,3; 15,12; Rm 15,19; 2Cor 12,12; 2Ts 2,9; Eb 2,4. Senza articolo
perché generico. Già a partire da Omero JXD"H è utilizzato per designare il «portento» o il
«prodigio», spesso terrificante e soprannaturale (cf. Omero, Il., 2,324; 11,4; Od., 21,415). In
questa accezione è definito JXD"H un fatto naturale straordinario e impressionante, come un
fulmine a ciel sereno (cf. Omero, Od., 20,101), un mostro spaventoso (cf. Sofocle, Trach.,
1098), la Sfinge (cf. Euripide, Ph., 806). Questo significato base è quello che ritroviamo nei
Mc 13,23 901

LXX, dove il vocabolo JXD"H ricorre 46 volte per tradurre quasi sempre il corrispettivo
termine ebraico ;5F|/, môp) e) 5t , nel significato di «portento», «segno prodigioso», «miracolo»
(cf. Es 4,21; 7,3.9, ecc.) Si deve precisare, tuttavia, che nell’uso anticotestamentario dietro
a ;5F|/, môp) e) 5t , vi è sempre Dio, in quanto il vocabolo designa o un fatto soprannaturale o
un evento che appare impossibile all’uomo, ma possibile a Dio. Nel NT il vocabolo JXD"H
non compare mai da solo, ma è unito a F0:gÃ@< nell’espressione stereotipa F0:gÃ" i"Â
JXD"J", «segni e prodigi» (meno frequente JXD"J" i"Â F0:gÃ": At 2,22.43; 6,8; 7,36), per
designare i miracoli di Gesù (cf. Gv 4,48; At 2,22) o degli apostoli (cf. At 2,43; 4,30; 5,12;
14,3; 15,2; Rm 15,19; 2Cor 12,13; Eb 2,4) oppure le opere meravigliose apocalittiche (cf.
At 2,19; 2Ts 2,9–12; Ap 13,13; 19,20). La formula non appartiene alla terminologia cristiana,
essendo un ricalco di stampo deuteronomistico mutuato dalla traduzione greca dei LXX: cf.
Es 7,9 (nella forma singolare F0:gÃ@< ´ JXD"H); 11,9.10; Dt 4,34; 6,22; 7,19; 13,2.3 (nella
forma singolare); Dt 26,8; 28,46; 29,2; 34,11; Sal 135,9; Sap 8,8; 10,16 (nella forma JXD"J"
i"Â F0:gÃ"); Is 8,18; 20,3; Ger 39,20.21; Bar 2,11; Est 10,3; Dn 4,37.
BD`H: prep. propria di valore finale, seguita dall’accusativo, indecl., in vista di, al fine di, per;
cf. Mc 1,5.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
•B@B8"<<: verbo, inf. pres., di valore sostantivato, da •B@B8"<VT (da •B` e B8"<VT),
sedurre, smarrire, deviare, fuorviare; compl. di fine. Questo verbo ricorre 2 volte nel NT:
Mc 13,22 (hapax marciano); 1Tm 6,10. Infinito sostantivato dall’articolo neutro J` e retto
dalla preposizione BD`H per indicare lo scopo e la conseguenza introdotta dal verbo
principale. La formula BD`H J` + infinito con valore finale, sostanzialmente identica a gÆH
J` + infinito, è presente 12 volte nel NT (Mt 5,28; 6,1; 13,30; 23,5; 26,12; Mc 13,22; Lc
18,1; At 3,19; 2Cor 3,13; Ef 6,11; 1Ts 2,9; 2Ts 3,8). Simile a B8"<VT, da cui deriva, il
verbo •B@B8"<VT è usato nel greco classico nel significato di «sviare» qualcuno
dall’argomento (cf. Eschine, Or., 3,176.190). Nel nostro passo è presente nel senso
peggiorativo di «sedurre», «ingannare», per indicare la seduzione escatologica operata dai
falsi maestri messianici.
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7. La particella gÆ è qui usata per introdurre una proposizione ipotetica, la
protasi, la cui conseguenza è costituita dalla proposizione reggente (detta apodosi).
Ritroviamo questa costruzione in Mc 3,26; 4,23; 8,34; 9,22.23.35; 11,25; 13,20.22;
14,21.29.35.
*L<"J`<: agg. qualificativo, nom. sing. n. da *L<"J`H, –Z, –`<, capace, possibile; cf. Mc 9,23.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
¦i8giJ@bH: agg. qualificativo, acc. plur. m. da ¦i8giJ`H, –Z, –`<, scelto, eletto; cf. Mc 13,20;
compl. oggetto.

13,23 ß:gÃH *¥ $8XBgJg· BD@g\D0i" ß:Ã< BV<J".


13,23 Ma voi state attenti! Io vi ho predetto tutto.
902 Mc 13,24

ß:gÃH: pron. personale di 2a pers. nom. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
cf. Mc 6,31; soggetto.
*X: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti, dunque, quindi; cf. Mc 1,8.
$8XBgJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da $8XBT, vedere, percepire, discernere, fare
attenzione; cf. Mc 4,12. La forma asindetica è piuttosto frequente con gli imperativi dei verbi
$8XBT (cf. Mc 13,5.23.33), ÒDVT (cf. Mc 1,44; 6,38; 8,15), ßBV(T (cf. Mc 1,44; 5,34;
6,38; 7,29; 10,21.52; 16,7), ¦(g\DT (cf. Mc 2,9; 3,3; 5,41; 10,49; 14,42), F4TBVT (cf. Mc
4,39), n4:`T (cf. Mc 4,39), h"DFXT (cf. Mc 6,50; 10,49).
BD@g\D0i": verbo, 1a pers. sing. ind. perf. da BD@8X(T (da BD` e 8X(T), predire, anticipare.
Questo verbo ricorre 15 volte nel NT: Mt 24,25; Mc 13,23 (hapax marciano); At 1,16; Rm
9,29; 2Cor 7,3; 13,2[x2]; Gal 1,9; 5,21[x2]; 1Ts 3,4; 4,6; Eb 4,7; 2Pt 3,2; Gd 1,17. In
conformità dell’accezione etimologica di «dire prima» (cf. Sofocle, Oed. tyr., 973) il verbo
BD@8X(T è utilizzato nella grecità anche nel significato di «preannunciare», «predire» (cf.
Eschilo, Prom., 1071; Erodoto, Hist., 8,136,3).
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine.
BV<J": pron. indefinito, acc. plur. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; compl. oggetto.

13,24 z!88 ¦< ¦ig\<"4H J"ÃH º:XD"4H :gJ J¬< h8ÃR4< ¦ig\<0< Ò »84@H
Fi@J4FhZFgJ"4s i"Â º Fg8Z<0 @Û *fFg4 JÎ nX((@H "ÛJ­Hs
13,24 In quei giorni, dopo quella sofferenza, il sole si oscurerà e la luna non darà più la sua
luce.

z!88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno; cf. Mc 1,44.
¦<: prep. propria di valore temporale, seguita dal dativo, indecl., in, durante, entro; cf. Mc 1,2.
¦ig\<"4H: agg. dimostrativo, dat. plur. f. da ¦igÃ<@H, –0, –@, quello, quegli, colui, esso; cf. Mc
1,9; attributo di º:XD"4H, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J"ÃH: art. determ., dat. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
º:XD"4H: sost., dat. plur. f. da º:XD", –"H, giorno; cf. Mc 1,9; compl. di tempo determinato.
La frase «in quei giorni», «in quel giorno», si ritrova nel secondo vangelo come generica e
indeterminata indicazione temporale (cf. Mc 1,9; 2,20; 4,35; 8,1; 13,17; [13,19]; 13,24;
[13,32]; [14,25]). L’espressione, tuttavia, è tipica del linguaggio escatologico (cf. Ps. Salom.,
18,6) ed è spesso usata dai profeti per indicare «gli ultimi tempi», ossia l’epoca in cui si
realizzerà l’intervento definitivo di Dio nella storia umana, caratterizzato dall’abbondanza dei
beni messianici (cf. Is 2,11.17.20; 3,18; 4,2; 5,30; 7,18.21; 10,20.27; 11,10; 12,1.4; 14,3.4;
17,7; 19,19.21.23.24; 25,9; 26,1; 29,18; 30,23.25; Ger 3,17; 5,18; 25,33; 30,8; 31,29; Ez
29,21; Os 2,18.20.23; Gl 3,2; 4,1.18; Am 8,9; 9,11.13; Abd 1,8; Mic 4,1.6; 5,9; Sof
3,11.16.20; Ag 2,23; Zc 2,15; 3,10; 8,23; 9,16; 13,1.2; 14,6.8.9).
Mc 13,24 903

:gJV: prep. propria di valore temporale, seguita dall’accusativo, indecl., dopo, dopo di; cf. Mc
1,13.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
h8ÃR4<: sost., acc. sing. f. da h8ÃR4H, –gTH, pressione, oppressione, difficoltà, tribolazione; cf.
Mc 4,17; compl. di tempo determinato.
¦ig\<0<: agg. dimostrativo, acc. sing. f. da ¦igÃ<@H, –0, –@, quello, quegli, colui, esso; cf. Mc
1,9; attributo di h8ÃR4<, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
»84@H: sost., nom. sing. m. da »84@H, –@L, sole; cf. Mc 1,32; soggetto.
Fi@J4FhZFgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. pass. da Fi@J\.@:"4, scurire, scurirsi,
oscurarsi. Questo verbo ricorre 5 volte nel NT: Mt 24,29; Mc 13,24 (hapax marciano); Rm
1,21; 11,10; Ap 8,12. Il verbo denominativo Fi@J\.@:"4, di formazione ellenistica, è usato
nel senso di «coprire di tenebre», «nascondere», «oscurare» (cf. Plutarco, Adv. Col.,
1120,e,3).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
Fg8Z<0: sost., nom. sing. f. da Fg8Z<0, –0H, luna; soggetto. Il vocabolo ricorre 9 volte nel NT:
Mt 24,29; Mc 13,24 (hapax marciano); Lc 21,25; At 2,20; 1Cor 15,41; Ap 6,12; 8,12; 12,1;
21,23. A partire da Omero il sostantivo Fg8Z<0 indica la «luna» (cf. Omero, Il., 17,367; Od.,
9,144).
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
*fFg4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
nX((@H: sost., acc. sing. n. da nX((@H, –@LH, luce, splendore; compl. oggetto. Il vocabolo
ricorre 2 volte nel NT: Mt 24,29; Mc 13,24 (hapax marciano). Nella grecità il sostantivo
nX((@H è usato per indicare la «luce», lo «splendore», detto soprattutto del giorno, del sole,
degli astri (cf. Sofocle, Phil., 867; Euripide, Hip., 178; Eschilo, Ag., 1577). Nella letteratura
sia biblica che giudaica l’oscuramento del sole e della luna è una metafora ricorrente per
descrivere lo sconvolgimento della natura a causa della «venuta» di Dio. Da un punto di vista
letterario il testo più vicino al nostro loghion è quello di Is 13,10: … i"Â Fi@J4FhZFgJ"4
J@Ø º8\@L •<"JX88@<J@H i" º Fg8Z<0 @Û *fFg4 JÎ näH "ÛJ­H, «…e il sole si
oscurerà al suo sorgere e la luna non darà più la sua luce» (cf. anche Is 24,23; Ez 32,7; Gl
2,2.10; 3,4; Am 8,9).
"ÛJ­H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,30; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
904 Mc 13,25

13,25 i" @Ê •FJXDgH §F@<J"4 ¦i J@Ø @ÛD"<@Ø B\BJ@<JgHs i" "Ê *L<V:g4H "Ê ¦<
J@ÃH @ÛD"<@ÃH F"8gLhZF@<J"4.
13,25 Le stelle cadranno dal cielo e le forze che sono nei cieli saranno sconvolte.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
•FJXDgH: sost., nom. plur. m. da •FJZD, •FJXD@H, stella; soggetto. Il vocabolo ricorre 24 volte
nel NT: Mt 2,2.7.9.10; 24,29; Mc 13,25 (hapax marciano); 1Cor 15,41[x3]; Gd 1,13; Ap
1,16.20[x2]; 2,1.28; 3,1; 6,13; 8,10.11.12; 9,1; 12,1.4; 22,16. A partire da Omero il sostantivo
•FJZD indica l’«astro» luminoso, la «stella» (cf. Omero, Il., 5,5). Nella mentalità antica tutti
gli astri erano concepiti come esseri viventi, una sorta di divinità celesti. Questa credenza è
presente in parte anche nell’AT e nel giudaismo: qui gli astri sono descritti come entità che
posseggono una natura fisica e spirituale, i quali, tuttavia, sono gli obbedienti esecutori dei
comandi divini e gli annunciatori della gloria di Dio (cf. Is 40,26; 45,12; Sal 19,2.6; 148,3;
Bar 3,34–35; 1Hen., 41,5). La caduta di stelle o astri sulla terra è un elemento tipico delle
rappresentazioni apocalittiche.
§F@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. medio da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere
presente; cf. Mc 1,6.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
@ÛD"<@Ø: sost., gen. sing. m. da @ÛD"<`H, –@Ø, cielo, volta celeste; cf. Mc 1,10; compl. di
moto da luogo.
B\BJ@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da B\BJT, cadere, precipitare; cf. Mc 4,4.
Participio predicativo del soggetto @Ê •FJXDgH. Il participio è retto da §F@<J"4 in
costruzione perifrastica («saranno cadenti»), al posto dell’usuale futuro «cadranno».
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
"Ê: art. determ., nom. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 2,5.
*L<V:g4H: sost., nom. plur. f. da *b<":4H, –gTH, forza, potenza, potere, miracolo; cf. Mc 5,30;
soggetto. La rappresentazione dello sconvolgimento cosmico rispecchia la comune
concezione cosmologica dell’antichità. Platone menziona tra le otto «potenze del cielo»
(*L<V:g4H Jä< BgDÂ Ó8@< @ÛD"<`<), il sole (Ò »84@H), la luna (º Fg8Z<0), gli astri (@Ê
•FJXDgH) (cf. Platone, Epin., 986a).
"Ê: art. determ., con valore pronominale, nom. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 2,5; soggetto.
Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale "ÛJ`H,
[quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
@ÛD"<@ÃH: sost., dat. plur. m. da @ÛD"<`H, –@Ø, cielo, volta celeste; cf. Mc 1,10; compl. di
stato in luogo.
Mc 13,26 905

F"8gLhZF@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. pass. da F"8gbT, agitare, scuotere, rovesciare,
sconvolgere. Questo verbo ricorre 15 volte nel NT: Mt 11,7; 24,29; Mc 13,25 (hapax
marciano); Lc 6,38.48; 7,24; 21,26; At 2,25; 4,31; 16,26; 17,13; 2Ts 2,2; Eb 12,26.27[x2].
In senso letterale proprio il vocabolo si incontra spesso nel greco classico soprattutto in
riferimento allo sconvolgimento degli elementi e dei fenomeni naturali, come l’acqua, il
terremoto, ecc. (cf. Senofonte, Oecon., 8,17; Sofocle, Oed. tyr., 23; Euripide, Rh., 249).
Analogamente alla metafora dell’oscuramento del sole e della luna (cf. v. 25) anche quella
dello sconvolgimento cosmico degli astri è una immagine ricorrente nella letteratura sia
biblica che giudaica. Il parallelo letterario più vicino è Is 34,4: i"Â ©84(ZFgJ"4 Ò @ÛD"<ÎH
ñH $4$8\@< i" BV<J" J –FJD" BgFgÃJ"4 ñH nb88", «il cielo si arrotolerà come un
rotolo e tutte le stelle cadranno come foglie…» (cf. anche Ag 2,21). Un simile cliché
apocalittico ritroviamo in alcuni apocrifi giudaici, come l’Assunzione di Mosè, risalente al
II secolo a.C.: «Il sole non darà più luce, le corna della luna si trasformeranno in tenebre e
saranno spezzate; la luna si muterà completamente in sangue e l’orbita delle stelle sarà
sconvolta» (Ass. Mos., 10,5).

13,26 i" J`Jg ÐR@<J"4 JÎ< LÊÎ< J@Ø •<hDfB@L ¦DP`:g<@< ¦< <gnX8"4H :gJ
*L<V:gTH B@88­H i"Â *`>0H.
13,26 Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


J`Jg: avv. di tempo, indecl., allora, in quel tempo; cf. Mc 2,20.
ÐR@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. medio da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf.
Mc 1,10.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
LÊ`<: sost., acc. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; compl. oggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•<hDfB@L: sost., gen. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di specificazione.
¦DP`:g<@<: verbo, acc. sing. m. part. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Participio predicativo del complemento
oggetto LÊ`<: equivale alla proposizione relativa «che viene».
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
<gnX8"4H: sost., dat. plur. f. da <gnX80, –0H, nuvola, nube; cf. Mc 9,7; compl. di stato in
luogo. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è
frequente nel greco ellenistico. Dal punto di vista grammaticale l’espressione ¦< <gnX8"4H
può essere variamente intesa, potendo esprimere: a) uno stato in luogo (= «sulle nuvole», «tra
le nuvole»); b) un moto per luogo (= «attraverso le nuvole», «verso le nuvole»); c) un
complemento di strumento (= «per mezzo di nuvole»: ¦< strumentale dovuto a influsso
semitico). La prima ipotesi è la più probabile. L’immagine delle nuvole è comunque un
906 Mc 13,26

cliché abituale nelle teofanie bibliche e nelle mitologie pagane: si ritrova negli scrittori
classici, nella letteratura giudaica, nell’Antico e nel NT, sempre come elemento di carattere
divino. Su una nube Ercole viene trasportato in cielo (cf. Apollodoro, Bibl., 2,160); Dio si
manifesta sulle nubi (cf. Es 13,21; 40,35; Dt 1,33; Mc 9,7; Ap 10,1); le nubi sono la dimora
di Dio, lo sgabello dei suoi piedi (cf. Sal 18,12; Ez 1,28; 1Cor 10,1–2), «la polvere dei suoi
passi» (Na 1,3). Le nubi sono elementi escatologici (cf. Sof 1,15; Gl 2,2; Ez 30,3; Is 4,5; Dn
7,13); il messia giungerà sulle nubi: «Quando l’Unto verrà, verrà come uno stormo di
colombe e la corona di colombe lo circonderà; egli camminerà sopra le nuvole del cielo e
il segno della croce lo precederà» (Apoc. Hel., 3,2; cf. anche 4Esd., 13,3; Mt 24,30; 26,64;
Mc 13,26; Lc 21,27; Ap 1,7).
:gJV: prep. propria di valore modale, seguita dal genitivo, indecl., con; cf. Mc 1,13.
*L<V:gTH: sost., gen. sing. f. da *b<":4H, –gTH, forza, potenza, potere, miracolo; cf. Mc 5,30;
compl. di modo. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui,
è frequente nel greco ellenistico.
B@88­H: agg. indefinito, gen. sing. f. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; attributo di *L<V:gTH.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
*`>0H: sost., gen. sing. f. da *`>", –0H, gloria; cf. Mc 8,38; compl. di modo. L’assenza
dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è frequente nel greco
ellenistico. La grandiosa scena della seconda venuta del Figlio dell’uomo, nella gloria che gli
compete, dà al discorso una impronta più escatologica che storica: ci si rende conto che nel
suo insieme il discorso di Gesù riguarda non soltanto la fine del Tempio e di Gerusalemme,
ma la fine dei tempi. Sul piano formale e contenutistico il detto di Gesù, assieme all’analoga
espressione che egli pronuncia davanti al sommo sacerdote, durante il processo religioso (cf.
Mc 14,62), richiama la profezia di Dn 7,13–14. Eccone un confronto sinottico:

Dn 7,13–14 i" Æ*@× ¦B Jä< <gng8ä< J@Ø @ÛD"<@Ø ñH LÊÎH •<hDfB@L
³DPgJ@ […] i" ¦*`h0 "ÛJè ¦>@LF\" i" BV<J" J §h<0 J­H (­H
i"J (X<0 i" BF" *`>" "ÛJè 8"JDgb@LF" i" º ¦>@LF\"
"ÛJ@Ø ¦>@LF\" "Æf<4@H »J4H @Û :¬ •Dh± i" º $"F48g\" "ÛJ@Ø
»J4H @Û :¬ nh"D±.
Mc 13,26 i" J`Jg ÐR@<J"4 JÎ< LÊÎ< J@Ø •<hDfB@L ¦DP`:g<@< ¦< <gnX8"4H
:gJ *L<V:gTH B@88­H i" *`>0H.
Mc 14,62 i" ÐRgFhg JÎ< LÊÎ< J@Ø •<hDfB@L ¦i *g>4ä< i"hZ:g<@< J­H
*L<V:gTH i" ¦DP`:g<@< :gJ Jä< <gng8ä< J@Ø @ÛD"<@Ø.
Gli elementi comuni a tutte le tre profezie sono i seguenti: a) la definizione del soggetto
come «Figlio dell’uomo» (LÊÎH •<hDfB@L); b) il suo apparire e venire dal cielo (§DP@:"4);
c) la presenza delle «nubi» come mezzo di questa venuta (¦BÂ Jä< <gng8ä<, ¦< <gnX8"4H,
:gJ Jä< <gng8ä<); d) gli elementi di «potenza» (¦>@LF\", *b<":4H) e «gloria» (*`>")
associati a questo essere.
Mc 13,27 907

13,27 i" J`Jg •B@FJg8gà J@×H •((X8@LH i" ¦B4FL<V>g4 J@×H ¦i8giJ@×H ["ÛJ@Ø]
¦i Jä< JgFFVDT< •<X:T< •Bz –iD@L (­H ªTH –iD@L @ÛD"<@Ø.
13,27 Egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della
terra fino all’estremità del cielo.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


J`Jg: avv. di tempo, indecl., allora, in quel tempo; cf. Mc 2,20. Questa seconda costruzione
temporale, formata dal i"\ di successione e dall’avverbio J`Jg ha valore rafforzativo
rispetto alla prima ricorrenza (cf. v. 26). Nella traduzione può essere omessa.
•B@FJg8gÃ: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. da •B@FJX88T (•B` e FJX88@:"4), inviare,
mandare; cf. Mc 1,2. Costruzione ad sensum: il soggetto è Ò LÊÎ< J@Ø •<hDfB@L
menzionato nel versetto precedente.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
•((X8@LH: sost., acc. plur. m. da –((g8@H, –@L, messaggero, inviato, nunzio, legato, «angelo»;
cf. Mc 1,2; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦B4FL<V>g4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. da ¦B4FL<V(T (da ¦B\ e FL<V(T), raggruppare
insieme, raccogliere, radunare; cf. Mc 1,33.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
¦i8giJ@bH: agg. qualificativo, di valore sostantivato, acc. plur. m. da ¦i8giJ`H, –Z, –`<,
scelto, eletto; cf. Mc 13,20; compl. oggetto.
["ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»). Il pronome è presente nei codici !, A, B, C, 1, 083, f13, 2427; è assente,
invece, in D, L, W, Q, f1, 28, 565, 892. Sebbene la lezione "ÛJ@Ø possa essere ritenuta una
aggiunta, dovuta all’influsso di Mt 24,31, l’autorità e la quantità dei codici che la riportano
depone a favore della sua autenticità.].
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da; cf. Mc
1,10.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
JgFFVDT<: agg. numerale, cardinale, gen. plur. m. da JXFF"DgH, –VDT<, quattro; cf. Mc 2,3;
attributo di •<X:T<.
•<X:T<: sost., gen. plur. m. da –<g:@H, –@L, vento; cf. Mc 4,37; compl. di moto da luogo. La
locuzione ¦i Jä< JgFFVDT< •<X:T< è stereotipa: indica le quattro direzioni del cielo da
cui soffiano i venti; equivale a indicare i quattro punti cardinali, ossia tutte le zone della terra
fino al suo estremo confine.
•Bz: (= •B`), prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da;
cf. Mc 1,9.
908 Mc 13,28

–iD@L: sost., gen. sing. n. da –iD@<, –@L, estremità, confine, sommità; compl. di moto da
luogo. Il vocabolo ricorre 6 volte nel NT: Mt 24,31[x2]; Mc 13,27[x2]; Lc 16,24; Eb 11,21.
Oltre a essere impiegato nel significato di «sommità», «cima» (cf. Omero, Il., 14,292; Od.,
11,597) il sostantivo –iD@< ricorre nella grecità nel significato di «estremità», «confine»,
«limite» (cf. Platone, Phaed., 109d; Polibio, Hist., 1,42,1). L’assenza dell’articolo nelle
espressioni formate con preposizioni, come qui, è frequente nel greco ellenistico. Questo
fenomeno è ulteriormente accentuato nel greco biblico per influenza semitica dello stato
costrutto ebraico in cui il sostantivo che regge il genitivo è sempre senza articolo.
(­H: sost., gen. sing. f. da (­, (­H, terra; cf. Mc 2,10; compl. di specificazione. Quando il nome
reggente è privo di articolo (come qui), anche il genitivo dipendente ne è solitamente
sprovvisto.
ªTH: prep. impropria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., fino a, sino a; cf. Mc 6,10.
–iD@L: sost., gen. sing. n. da –iD@<, –@L, estremità, confine, sommità; cf. Mc 13,27a; compl.
di moto a luogo. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui,
è frequente nel greco ellenistico. Questo fenomeno è ulteriormente accentuato nel greco
biblico per influenza semitica dello stato costrutto ebraico in cui il sostantivo che regge il
genitivo è sempre senza articolo.
@ÛD"<@Ø: sost., gen. sing. m. da @ÛD"<`H, –@Ø, cielo, volta celeste; cf. Mc 1,10; compl. di
specificazione. Quando il nome reggente è privo di articolo (come qui), anche il genitivo
dipendente ne è solitamente sprovvisto. L’espressione ¦i Jä< JgFFVDT< •<X:T< •Bz
–iD@L (­H ªTH –iD@L @ÛD"<@Ø, «dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo»,
è la combinazione di tre formule anticotestamentarie: a) ¦i Jä< JgFFVDT< •<X:T< (Zc
2,10); b) •Bz –iD@L J­H (­H (Dt 13,8; 28,64; Is 5,26); c) ªTH –iD@L J@Ø @ÛD"<@Ø (Dt
4,32; 30,4). In conformità alla concezione cosmologica degli antichi che immaginavano la
terra come un disco piatto e il cielo come una copertura solida a forma di volta, la frase
esprime l’universalità cosmica della riunione degli eletti. In questa raccolta è interessata non
soltanto la totalità della terra, ma anche quella del cielo, ossia l’intero cosmo.

13,28 z!BÎ *¥ J­H FLi­H :VhgJg J¬< B"D"$@8Z<· ÓJ"< ³*0 Ò i8V*@H "ÛJ­H
B"8ÎH (X<0J"4 i" ¦inb® J nb88"s (4<fFigJg ÓJ4 ¦((×H JÎ hXD@H ¦FJ\<·
13,28 Dal fico imparate l’esempio: quando già il suo ramo diventa tenero e produce le
foglie, sapete che l’estate è vicina.

z!B`: prep. propria con valore di causa efficiente, seguita dal genitivo, indecl., da, da parte di;
cf. Mc 1,9.
*X: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti, dunque, quindi; cf. Mc 1,8.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
FLi­H: sost., gen. sing. f. da FLi­, –­H, fico; cf. Mc 11,13; compl. di causa efficiente.
:VhgJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. aor. da :"<hV<T, imparare, apprendere. Questo verbo
ricorre 25 volte nel NT: Mt 9,13; 11,29; 24,32; Mc 13,28 (hapax marciano); Gv 6,45; 7,15;
At 23,27; Rm 16,17; 1Cor 4,6; 14,31.35; Gal 3,2; Ef 4,20; Fil 4,9.11; Col 1,7; 1Tm 2,11;
Mc 13,28 909

5,4.13; 2Tm 3,7.14[x2]; Tt 3,14; Eb 5,8; Ap 14,3. Il significato di :"<hV<T è quello del
generico «imparare», «apprendere», secondo l’uso linguistico profano (cf. Omero, Il., 6,444;
Sofocle, Ai., 667): il connotato etico e paracletico presente negli altri scritti neotestamentari,
in riferimento alla condotta di vita dei cristiani, è assente nel passo marciano.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B"D"$@8Z<: sost., acc. sing. f. da B"D"$@8Z, –­H, confronto, paragone, similitudine,
parabola; cf. Mc 3,23; compl. oggetto.
ÓJ"<: (= ÓJg e –<), cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, ogni qualvolta,
allorché, appena; cf. Mc 2,20.
³*0: avv. di tempo, indecl., già, ora, subito; cf. Mc 4,37.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
i8V*@H: sost., nom. sing. m. da i8V*@H, –@L, ramoscello, ramo; cf. Mc 4,32; soggetto.
"ÛJ­H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,30; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
B"8`H: agg. qualificativo, nom. sing. m. da B"8`H, –Z, –`<, tenero; predicato nominale. Il
vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mt 24,32; Mc 13,28 (hapax marciano). A partire da Omero
l’aggettivo B"8`H è usato nel significato di «tenero», «morbido», «molle», riferito a persone
o cose (cf. Omero, Il., 3,371; Od., 21,151). Il termine qualifica qui il pollone del fico
palestinese che in estate è molle e mette le foglie.
(X<0J"4: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦inb®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. pres. da ¦inbT (da ¦i e nbT), generare, produrre,
fiorire. Questo verbo ricorre 2 volte nel NT: Mt 24,32; Mc 13,28 (hapax marciano). In senso
letterale proprio il verbo ¦inbT è usato nella grecità con il significato di «far nascere»,
«generare», detto in particolare della generazione da parte del padre (cf. Sofocle, Oed. tyr.,
437; Euripide, Hel., 391). Nell’uso figurato equivale a «far crescere», «produrre» (cf.
Giuseppe Flavio, Antiq., 10,270).
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
nb88": sost., acc. plur. n. da nb88@<, –@L, foglia; cf. Mc 11,13; compl. oggetto.
(4<fFigJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da (4<fFiT, percepire, sentire, conoscere, capire;
cf. Mc 4,13.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.
¦((bH: avv. di tempo, indecl., vicino, prossimo. Il vocabolo ricorre 31 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 24,32.33; 26,18; Mc 13,28.29; Lc 19,11;
21,30.31; Gv 2,13; 3,23; 6,4.19.23; 7,2; 11,18.54.55; 19,20.42. Sebbene il vocabolo possa
assumere il senso di un avvicinamento spaziale, analogamente al verbo da cui deriva
(¦((\.T), nelle ricorrenze marciane ha sempre il significato temporale.
910 Mc 13,29

J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
hXD@H: sost., nom. sing. n. da hXD@H, –@LH, estate; soggetto. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT:
Mt 24,32; Mc 13,28 (hapax marciano); Lc 21,30. Conosciuto a partire da Omero il
sostantivo hXD@H indica la stagione calda, ossia l’«estate» (cf. Omero, Il., 22,151; Od.,
7,118).
¦FJ\<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.

13,29 @àJTH i"Â ß:gÃHs ÓJ"< Ç*0Jg J"ØJ" (4<`:g<"s (4<fFigJg ÓJ4 ¦((bH ¦FJ4< ¦BÂ
hbD"4H.
13,29 Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose sappiate che egli è vicino, è alle
porte.

@àJTH: avv. di modo, indecl., così, in tal modo, in questa maniera; cf. Mc 2,7.
i"\: cong. coordinativa di valore aggiuntivo, indecl., anche, perfino, inoltre, altresì; cf. Mc 1,4.
Il significato aggiuntivo di i"\ è presente in Mc 1,27b.38b; 2,15b.26c.28; 3,19b; 4,24b;
6,34b; 7,18b; 8,3b.7ac.38c; 9,22a; 11,25b; 12,22b; 13,29; 14,9.29.31; 15,31.40ab.43a.
ß:gÃH: pron. personale di 2a pers. nom. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
cf. Mc 6,31; soggetto.
ÓJ"<: (= ÓJg e –<), cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, ogni qualvolta,
allorché, appena; cf. Mc 2,20.
Ç*0Jg: verbo, 2a pers. plur. congiunt. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc
1,10.
J"ØJ": pron. dimostrativo, acc. plur. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 2,8; compl.
oggetto.
(4<`:g<": verbo, acc. plur. n. part. pres. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4. Participio predicativo del complemento
oggetto J"ØJ".
(4<fFigJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da (4<fFiT, percepire, sentire, conoscere, capire;
cf. Mc 4,13. Questa forma verbale può essere intesa anche come 2a persona plurale
imperativo presente.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.
¦((bH: avv. di tempo, indecl., vicino, prossimo; cf. Mc 13,28.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Chi o che cosa è il soggetto del verbo? Chi o che cosa si sta avvicinando? Nel testo non
viene indicato. Grammaticalmente il verbo può riferirsi sia al «Figlio dell’uomo» che viene
(v. 26) sia all’avvenimento escatologico preso nel suo insieme. Considerato il contesto
immediato sembra che il soggetto più ovvio sia il pronome personale implicito «egli», riferito
al Figlio dell’uomo, esplicitamente menzionato nel v. 26.
Mc 13,30 911

¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, su, verso, a, sopra, presso; cf.
Mc 1,22.
hbD"4H: sost., dat. plur. f. da hbD", –"H, porta [di casa], ingresso, vestibolo; cf. Mc 1,33;
compl. di moto a luogo. In alcune espressioni stereotipe relative a locuzioni preposizionali
l’articolo può mancare, analogamente a quanto avviene in italiano («tornare a/da casa»).
Stesso fenomeno in Mc 7,14; 11,4. La locuzione «essere alla porta» (cf. anche Mt 24,33; At
5,9; Gc 5,9) è un modo figurato per indicare una vicinanza assai prossima e corrisponde alla
frase italiana «essere sul punto di arrivare»: l’impiego di una immagine spaziale per una
indicazione temporale è un procedimento ellenistico comune, analogamente a quanto avviene
nell’uso linguistico italiano («l’inverno è ormai alle porte», ossia sta per iniziare).

13,30 •:¬< 8X(T ß:Ã< ÓJ4 @Û :¬ B"DX8h® º (g<g "àJ0 :XPD4H @â J"ØJ" BV<J"
(X<0J"4.
13,30 In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano
accadute.

•:Z<: avv. di modo, indecl., così è, così sia, in verità, certamente, veramente, «amen»; cf. Mc
3,28. Questa solenne formula introduttiva compare in Mc 3,28; 8,12; 9,1.41; 10,15.29; 11,23;
12,43; 13,30; 14,9.18.25.30. Per quanto riguarda il significato vedi commento a Mc 3,28.
8X(T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. La forma verbale 8X(T ricorre in Mc 20 volte (cf. Mc 2,11; 3,28; 5,41; 8,12;
9,1.13.41; 10,15.29; 11,23.24.33; 12,43; 13,30.37[x2]; 14,9.18.25.30): essa è usata soltanto
da Gesù, ossia è esclusivamente Gesù che parla del proprio parlare e ne sottolinea la forza,
l’insistenza e la validità. In particolare, la formula •:¬< 8X(T ß:Ã< / F@4 (cf. Mc 3,28;
8,12; 9,1.41; 10,15.29; 11,23; 12,43; 13,30; 14,9.18.25.30), esprime il carattere solenne e
irrefutabile di quanto affermato da Gesù.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4. Nelle proposizioni affermative
le due negazioni in successione @Û :Z sono utilizzate per enfatizzare la negazione, per
esprimere un forte diniego: si tratta di un uso piuttosto frequente nel greco ellenistico. Marco
utilizza la doppia negazione @Û :Z 10 volte (prescindiamo dalla ricorrenza di Mc 16,18), 9
delle quali sulla bocca di Gesù (cf. Mc 9,1.41; 10,15; 13,2[x2].19.30. 31; 14,25); in Mc 14,31
è usata da Pietro.
B"DX8h®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da B"DXDP@:"4 (da B"DV e §DP@:"4), andare
oltre, passare oltre, superare, precedere; cf. Mc 6,48.
912 Mc 13,31

º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
(g<gV: sost., nom. sing. f. da (g<gV, –H, generazione, stirpe, genia; cf. Mc 8,12; soggetto.
"àJ0: pron. dimostrativo, nom. sing. f. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 8,12;
attributo di (g<gV, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
:XPD4H: prep. impropria di valore temporale, seguita dal genitivo, indecl., fino a che, fino a
quando. Questa preposizione ricorre 17 volte nel NT: Mt 11,23; 28,15; Mc 13,30 (hapax
marciano); Lc 16,16; At 10,30; 20,7; Rm 5,14; 15,19; Gal 4,19; Ef 4,13; Fil 2,8.30; 1Tm
6,14; 2Tm 2,9; Eb 3,14; 9,10; 12,4.
@â: pron. relativo, gen. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,7. L’espressione :XPD4H
@â acquista il significato della congiunzione temporale «finché».
J"ØJ": pron. dimostrativo, nom. plur. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 2,8;
soggetto.
BV<J": agg. indefinito, nom. plur. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; attributo di J"ØJ". L’espressione J"ØJ" BV<J", «tutte queste cose», sta a indicare la
totalità degli avvenimenti descritti nel discorso di Gesù, inclusa la venuta del Figlio dell’uomo
(cf. Mc 13,5b–27) che segna il compimento finale. Ci si chiede, allora, come debba essere
interpretata l’affermazione di Gesù, secondo il quale «non passerà questa generazione» prima
dell’avverarsi di questi accadimenti. Il significato più ovvio di º (g<g "àJ0, infatti, è quello
equivalente a «questa generazione», intesa come la generazione contemporanea a Gesù.
Emerge in questa versetto la doppia valenza del discorso escatologico di Gesù, nel quale si
fondono intimamente due orizzonti, quello relativo alla fine di una storia (prospettiva storica
raccorciata, legata alla distruzione di Gerusalemme) e quella che descrive la fine della storia
come tale (prospettiva escatologica).
(X<0J"4: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4.

13,31 Ò @ÛD"<ÎH i"Â º (­ B"Dg8gbF@<J"4s @Ê *¥ 8`(@4 :@L @Û :¬ B"Dg8gbF@<J"4.


13,31 Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
@ÛD"<`H: sost., nom. sing. m. da @ÛD"<`H, –@Ø, cielo, volta celeste; cf. Mc 1,10; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
(­: sost., nom. sing. f. da (­, (­H, terra; cf. Mc 2,10; soggetto. L’espressione «cielo e terra»
(cf. anche Mt 5,18; Lc 16,17; Eb 1,10; 2Pt 3,7.10; Ap 21,1) per indicare l’universo è
tipicamente semita: non si tratta di una antitesi di stampo metafisico, ma dei luoghi estremi
che secondo la concezione cosmologica antica formavano il cosmo (cf. Lc 12,56; At 2,19;
1Cor 8,5; Col 1,16.20; Ef 1,10; 3,15; Eb 12,26). Dire, dunque, «cielo e terra» equivale a dire
«tutto l’universo» (cf. Gn 1,1; 2,4; Es 20,4; Sal 115,15–16; Pr 3,19; 8,27; Is 42,5; 45,18).
Mc 13,32 913

B"Dg8gbF@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. medio da B"DXDP@:"4 (da B"DV e §DP@:"4),
andare oltre, passare oltre, superare, precedere; cf. Mc 6,48.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
8`(@4: sost., nom. plur. m. da 8`(@H, –@L, parola; cf. Mc 1,45; soggetto.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4. Nelle proposizioni affermative
le due negazioni in successione @Û :Z sono utilizzate per enfatizzare la negazione, per
esprimere un forte diniego: si tratta di un uso piuttosto frequente nel greco ellenistico. Marco
utilizza la doppia negazione @Û :Z 10 volte (prescindiamo dalla ricorrenza di Mc 16,18), 9
delle quali sulla bocca di Gesù (cf. Mc 9,1.41; 10,15; 13,2[x2].19.30. 31; 14,25); in Mc 14,31
è usata da Pietro.
B"Dg8gbF@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. medio da B"DXDP@:"4 (da B"DV e §DP@:"4),
andare oltre, passare oltre, superare, precedere; cf. Mc 6,48.

13,32 AgD *¥ J­H º:XD"H ¦ig\<0H ´ J­H òD"H @Û*gÂH @É*g<s @Û*¥ @Ê –((g8@4 ¦<
@ÛD"<è @Û*¥ Ò LÊ`Hs gÆ :¬ Ò B"JZD.
13,32 Quanto, però, a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il
Figlio, ma soltanto il Padre.

AgD\: prep. propria con valore di argomento, seguita dal genitivo, indecl., intorno a, riguardo
a, nei confronti di, circa; cf. Mc 1,6.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
º:XD"H: sost., gen. sing. f. da º:XD", –"H, giorno; cf. Mc 1,9; compl. di argomento.
¦ig\<0H: agg. dimostrativo, gen. sing. f. da ¦igÃ<@H, –0, –@, quello, quegli, colui, esso; cf. Mc
1,9; attributo di º:XD"H, qui senza articolo perché in posizione predicativa. La frase «in quei
giorni», «in quel giorno», si ritrova nel secondo vangelo come generica e indeterminata
indicazione temporale (cf. Mc 1,9; 2,20; 4,35; 8,1; 13,17; [13,19]; 13,24; [13,32]; [14,25]).
L’espressione, tuttavia, è tipica del linguaggio escatologico (cf. Ps. Salom., 18,6) ed è spesso
usata dai profeti per indicare «gli ultimi tempi», ossia l’epoca in cui si realizzerà l’intervento
definitivo di Dio nella storia umana, caratterizzato dall’abbondanza dei beni messianici (cf.
Is 2,11.17.20; 3,18; 4,2; 5,30; 7,18.21; 10,20.27; 11,10; 12,1.4; 14,3.4; 17,7; 19,19.21.23.24;
25,9; 26,1; 29,18; 30,23.25; Ger 3,17; 5,18; 25,33; 30,8; 31,29; Ez 29,21; Os 2,18.20.23; Gl
914 Mc 13,32

3,2; 4,1.18; Am 8,9; 9,11.13; Abd 1,8; Mic 4,1.6; 5,9; Sof 3,11.16.20; Ag 2,23; Zc 2,15;
3,10; 8,23; 9,16; 13,1.2; 14,6.8.9).
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
òD"H: sost., gen. sing. f. da òD", –"H, ora, tempo; cf. Mc 6,35; compl. di argomento.
@Û*g\H: (da @Û*X e gÍH), pron. indefinito negativo, nom. sing. m. da @Û*g\H, @Û*g:\", @Û*X<,
nessuno, niente; cf. Mc 2,21; soggetto.
@É*g<: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. da @É*" (una radice con valore di presente connessa a
gÉ*@<, aor. attivo di ÒDVT), vedere, percepire, discernere, conoscere, sapere; cf. Mc 1,24.
@Û*X: avv. di negazione di valore oggettivo, indecl., né, non, neanche, nemmeno; cf. Mc 4,22.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
–((g8@4: sost., nom. plur. m. da –((g8@H, –@L, messaggero, inviato, nunzio, legato, «angelo»;
cf. Mc 1,2; soggetto.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
@ÛD"<è: sost., dat. sing. m. da @ÛD"<`H, –@Ø, cielo, volta celeste; cf. Mc 1,10; compl. di stato
in luogo.
@Û*X: avv. di negazione di valore oggettivo, indecl., né, non, neanche, nemmeno; cf. Mc 4,22.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
LÊ`H: sost., nom. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; soggetto. L’affermazione che neppure
il Figlio conosce la venuta di Dio nel tempo escatologico è sorprendente e per certi aspetti
paradossale poiché sembra sminuire la perfezione della conoscenza di Gesù. Nella storia
dell’esegesi questa presunta ignoranza è stata diversamente intesa. Per alcuni Padri della
Chiesa non rientrava nel compito salvifico di Gesù conoscere il giorno della parusia e, quindi,
egli confessa questo suo «non sapere»: «Filius nescit diem iudicii, quia non ita sciebat ut tunc
discipulis indicaret», «Affermò di non conoscere quel giorno perché non rientrava nella sua
qualità di Maestro di farlo conoscere a noi» (Agostino, De trin., 1,12,23). Altri commentatori,
rifacendosi allo «spogliamento» (Kenosis) a cui il Figlio di Dio ha voluto assoggettarsi,
ritengono che tale ignoranza faccia parte di questa scelta volontaria. Più verosimilmente si
deve interpretare il detto di Gesù dando al verbo @É*" non il significato di un sapere teorico,
speculativo (mentalità greca), ma quello di un sapere pratico, alla maniera semitica, che
equivale a prendere l’iniziativa, a disporre di quel giorno. In tal caso, dice Gesù, la decisione
concernente la fine della storia e l’inizio del nuovo eone spetta soltanto a Dio Padre. Si
tratterebbe di una ignoranza funzionale, non reale. Una analoga affermazione ritroviamo in
Mc 10,40, dove Gesù dichiara ai figli di Zebedeo che non è in suo potere decidere chi debba
sedersi alla sua destra o alla sua sinistra nel regno di Dio (cf. Mc 10,40).
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7. La particella gÆ è qui strettamente unita alla negazione per formare la
locuzione congiuntiva gÆ :Z, «tranne», «all’infuori», «eccetto», che introduce una
Mc 13,33 915

proposizione eccettuativa. La formula, generalmente usata senza un verbo seguente, si


ritrova in Mc 2,7.26; 5,37; 6,4.5.8; 8,14; 9,9.29; 10,18; 11,13; 13,32.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
B"JZD: sost., nom. sing. m. da B"JZD, B"JD`H, padre; cf. Mc 1,20; soggetto.

13,33 $8XBgJgs •(DLB<gÃJg· @Ûi @Ç*"Jg (D B`Jg Ò i"4D`H ¦FJ4<.


13,33 State attenti, vegliate, perché non sapete quando arriva il momento decisivo.

$8XBgJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da $8XBT, vedere, percepire, discernere, fare
attenzione; cf. Mc 4,12. La forma asindetica è piuttosto frequente con gli imperativi dei verbi
$8XBT (cf. Mc 13,5.23.33), ÒDVT (cf. Mc 1,44; 6,38; 8,15), ßBV(T (cf. Mc 1,44; 5,34;
6,38; 7,29; 10,21.52; 16,7), ¦(g\DT (cf. Mc 2,9; 3,3; 5,41; 10,49; 14,42), F4TBVT (cf. Mc
4,39), n4:`T (cf. Mc 4,39), h"DFXT (cf. Mc 6,50; 10,49). La forma imperativa plurale di
$8XBT, usata come richiamo all’attenzione e alla vigilanza, compare in Mc 4,24; 8,15;
12,38; 13,5.9.33.
•(DLB<gÃJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da •(DLB<XT (da –8n" privativa e àB<@H),
vigilare, vegliare, stare sveglio. Questo verbo ricorre 4 volte nel NT: Mc 13,33 (hapax
marciano); Lc 21,36; Ef 6,18; Eb 13,17. Nella grecità il significato letterale del verbo è quello
di «stare sveglio» in senso fisico (cf. Teognide, 471; Senofonte, Cyr., 8,3,42). Nel NT il
verbo è presente soltanto nel senso metaforico di «essere vigilante», «essere accorto», «stare
in guardia», inteso come atteggiamento interiore, analogamente alle ricorrenze attestate nei
LXX (cf. Prv 8,34; Sap 6,15; Sir 33,16). L’impiego di due imperativi in successione
ravvicinata ($8XBgJgs •(DLB<gÃJg) rivela lo stile duale tipico di Marco (cf. Mc 1,25; 4,24;
6,31.38; 7,14; 8,15; 10,14.21; 11,2; 13,33; 14,34.38.42; 16,7). In questi casi l’accento è posto
sul secondo verbo rispetto al primo, il quale svolge soltanto una funzione espletiva.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
@Ç*"Jg: verbo, 2a pers. plur. ind. perf. da @É*" (una radice con valore di presente connessa a
gÉ*@<, aor. attivo di ÒDVT), vedere, percepire, discernere, conoscere, sapere; cf. Mc 1,24.
(VD: cong. coordinativa di valore causale, indecl., poiché, perché, giacché; cf. Mc 1,16.
B`Jg: avv. di tempo, indecl., quando?; cf. Mc 9,19.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
i"4D`H: sost., nom. sing. m. da i"4D`H, –@Ø, circostanza favorevole, tempo propizio,
occasione opportuna, giusta misura; cf. Mc 1,15; soggetto.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
916 Mc 13,34

13,34 ñH –<hDTB@H •B`*0:@H •ngÂH J¬< @Æi\"< "ÛJ@Ø i" *@×H J@ÃH *@b8@4H
"ÛJ@Ø J¬< ¦>@LF\"< ©iVFJå JÎ §D(@< "ÛJ@Ø i"Â Jè hLDTDè ¦<gJg\8"J@
Ë<" (D0(@D±.
13,34 È come uno che è partito dopo aver lasciato la propria casa e aver dato gli ordini ai
servi, a ciascuno il suo compito, ordinando al portiere di vegliare.

ñH: avv. con valore di modo e paragone, indecl., come, simile a, alla maniera di, nel modo che,
nella condizione di, in qualità di; cf. Mc 1,10.
–<hDTB@H: sost., nom. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17;
soggetto. L’impiego del vocabolo –<hDTB@H per il pronome indefinito J\H, «uno»,
«qualcuno» («nessuno» con negazione), è un semitismo. Ritroviamo questo uso in Mc 1,23;
3,1; 4,26; 5,2; 7,11; 8,27.36.37; 10,7.9; 11,2; 12,1.14; 13,34. La sentenza è ellittica (¦FJ\<
sottinteso), ma comprensibile.
•B`*0:@H: agg. qualificativo, nom. sing. m. da •B`*0:@H, –@< (da •B` e *­:@H), che è
fuori patria, all’estero; attributo di –<hDTB@H. Hapax neotestamentario. Analogamente al
verbo corrispondente (•B@*0:XT, Mc 12,1), nel greco classico il vocabolo è usato
prevalentemente in senso tecnico per indicare chi è fuori patria, l’emigrante che parte o vive
all’estero (cf. Plutarco, Praec. ger., 799,e,9; Luciano, Amor., 6,6).
•ng\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare,
rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18. Participio predicativo del soggetto –<hDTB@H.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
@Æi\"<: sost., acc. sing. f. da @Æi\", –"H, casa, abitazione, dimora; cf. Mc 1,29; compl.
oggetto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
*@bH: verbo, nom. sing. m. part. aor. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26. Participio predicativo del
soggetto –<hDTB@H.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
*@b8@4H: sost., dat. plur. m. da *@Ø8@H, –@L, schiavo, servo; cf. Mc 10,44; compl. di termine.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
¦>@LF\"<: sost., acc. sing. f. da ¦>@LF\", –"H (da §>g4:4), potere, autorità, abilità, forza; cf.
Mc 1,22; compl. oggetto.
Mc 13,34 917

©iVFJå: pron. indefinito, dat. sing. m. da ªi"FJ@H, –0, –@<, ciascuno, ognuno, ogni; compl.
di termine. Il vocabolo ricorre 82 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente:
Mt 16,27; 18,35; 25,15; 26,22; Mc 13,34 (hapax marciano); Lc 2,3; 4,40; 6,44; 13,15; 16,5;
Gv 6,7; 7,53; 16,32; 19,23. Il pronome ªi"FJ@H (lat. quisque) indica le singole parti di una
totalità, considerate nelle loro individualità: nel NT è usato prevalentemente come pronome
(sostantivo).
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
§D(@<: sost., acc. sing. n. da §D(@<, –@L, opera, lavoro, compito, mansione; compl. oggetto.
Il vocabolo ricorre 169 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 6 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,033% del totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc 13,34;
14,6 = 0,018%); 2 volte in Luca (0,010%); 27 volte in Giovanni (0,173%). L’uso linguistico
di §D(@< nel NT non si discosta da quello del greco profano: il significato base è quello di
«lavoro», «compito», «incarico», ottenuto mediante il generico «fare» (cf. Omero, Il., 1,395;
Od., 1,338). Sebbene in alcuni passi il vocabolo venga usato con valore teologico per
designare l’«opera» di Dio o di Cristo (Giovanni, Paolo), nelle due ricorrenze marciane esso
indica una azione umana.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
hLDTDè: sost., dat. sing. m. da hLDTD`H, –@Ø, portiere, portinaio, custode; compl. di termine.
Il vocabolo ricorre 4 volte nel NT: Mc 13,34 (hapax marciano); Gv 10,3; 18,16.17. In
conformità all’etimologia il sostantivo hLDTD`H indica nella grecità il «guardiano della
porta», ossia il «portinaio», il «custode» (cf. Erodoto, Hist., 1,120,2).
¦<gJg\8"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da ¦<JX88@:"4, ordinare, comandare,
prescrivere; cf. Mc 10,3.
Ë<": cong. subordinativa di valore completivo, indecl., di, che; cf. Mc 1,38. La congiunzione Ë<"
non ha qui il consueto valore finale, ma quello completivo (equivalente a ÓJ4 o ÓBTH): in
pratica introduce una proposizione infinitiva (cf. Mc 3,9a.12; 4,22a; 5,10.18.43; 6,8.12.25.56;
7,26.32.36; 8,22.30; 9,9.12.18.30; 10,35.37; 11,16; 13,34; 15,21).
(D0(@D±: verbo, 3a pers. sing. congiunt. pres. da (D0(@DXT, essere sveglio, vegliare, fare
attenzione. Questo verbo ricorre 22 volte nel NT: Mt 24,42.43; 25,13; 26,38.40.41; Mc
13,34.35.37; 14,34.37.38; Lc 12,37; At 20,31; 1Cor 16,13; Col 4,2; 1Ts 5,6.10; 1Pt 5,8; Ap
3,2.3; 16,15. Di formazione ellenistica il verbo (D0(@DXT è usato nel greco biblico sia nel
senso proprio di «essere sveglio» (cf. 1Mac 12,27) sia in quello traslato di «vigilare», «fare
attenzione» (cf. Ger 5,6; 38,28[x2]). Nel nostro passo il significato del verbo è quello di
«stare sveglio» in senso fisico, ossia «non dormire» (cf. anche Mc 14,37). Nel NT, tuttavia,
prevale l’uso traslato di «vigilare», «fare attenzione» (cf. At 20,31; 1Cor 16,13), soprattutto
in contesto escatologico, per essere pronti alla venuta di Gesù Cristo (cf. Mc 13,35.37; Mt
918 Mc 13,35

24,42; 1Ts 5,6; Ap 3,2.3; 16,15). Si deve osservare che non sempre è possibile distinguere
tra il senso letterale proprio e quello figurato (cf. Mc 14,38).

13,35 (D0(@DgÃJg @Þ<· @Ûi @Ç*"Jg (D B`Jg Ò ibD4@H J­H @Æi\"H §DPgJ"4s ´ ÏR¥ ´
:gF@<biJ4@< ´ •8giJ@D@nT<\"H ´ BDTÄs
13,35 Vegliate dunque: non sapete, infatti, quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera,
a mezzanotte, al canto del gallo o al mattino;

(D0(@DgÃJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da (D0(@DXT, essere sveglio, vegliare, fare
attenzione; cf. Mc 13,34.
@Þ<: cong. conclusiva, indecl., dunque, pertanto; cf. Mc 10,9.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
@Ç*"Jg: verbo, 2a pers. plur. ind. perf. da @É*" (una radice con valore di presente connessa a
gÉ*@<, aor. attivo di ÒDVT), vedere, percepire, discernere, conoscere, sapere; cf. Mc 1,24.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
B`Jg: avv. di tempo, indecl., quando?; cf. Mc 9,19.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
ibD4@H: sost., nom. sing. m. da ibD4@H, –@L, signore, padrone, capo, Signore (riferito a Dio e
Gesù); cf. Mc 1,3; soggetto. Analogamente a quanto avviene altrove (cf. Mc 2,28; 11,3;
12,9) il termine assume qui il significato letterale proprio di «padrone», «proprietario» (eb.
-3HvH, ba‘al), senza alcuna designazione teologica, ma all’interno della parabola allegorizzante
il riferimento fa chiaro riferimento al Signore.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
@Æi\"H: sost., gen. sing. f. da @Æi\", –"H, casa, abitazione, dimora; cf. Mc 1,29; compl. di
specificazione.
§DPgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7.
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9.
ÏRX: avv. di tempo, indecl., nel tardo giorno, di sera; cf. Mc 11,19; compl. di tempo
determinato. Corrisponde alla prima vigilia del computo latino (vedi commento a Mc 6,48).
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9.
:gF@<biJ4@<: sost., acc. sing. n. da :gF@<biJ4@<, –@L (da :XF@H e <b>), mezzanotte; compl.
di tempo determinato. Il vocabolo ricorre 4 volte nel NT: Mc 13,35 (hapax marciano); Lc
11,5; At 16,25; 20,7. In conformità all’etimologia l’aggettivo :gF@<biJ4@H viene usato in
forma sostantivata per indicare la «mezzanotte» (cf. Diodoro Siculo, Bibl., 19,31,2; Strabone,
Geogr., 2,5,42; Gdc 16,3), corrispondente alla secunda vigilia del computo latino (vedi
commento a Mc 6,48). Marco impiega il caso accusativo con valore temporale 7 volte: Mc
1,13; 2,19; 4,27[x2]; 5,25; 13,35; 14,37. Altrove l’accusativo temporale è retto dalle
Mc 13,36 919

preposizioni gÆH (cf. Mc 3,29; 11,14; 13,13), BgD\ (cf. Mc 6,48), :gJV (cf. Mc 8,31; 9,2.31;
13,24; 14,1; 16,12), i"JV (cf. Mc 14,49; 15,6).
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9.
•8giJ@D@nT<\"H: sost., gen. sing. f. da •8giJ@D@nT<\", –"H (da •8XiJTD e nT<Z), canto
del gallo; compl. di tempo determinato. Hapax neotestamentario. Marco impiega il genitivo
con valore temporale 2 volte: Mc 13,18.35. Altrove il genitivo temporale è retto dalle
preposizioni *4V (cf. Mc 2,1; 5,5; 14,58), •B` (cf. Mc 10,6; 13,19), ¦i (cf. Mc 10,20), ªTH
(cf. Mc 14,25; 15,33) oppure compare all’interno della cosiddetta costruzione “genitivo
assoluto” (cf. Mc 1,32; 4,17.35; 5,2.18.21.35; 6,2.21.22[x2].35.47.54; 8,1; 9,9.28; 10,17.46;
11,11.12.27; 13,1.3; 14,3[x2].17.18.22.43.58.66; 15,33.42; 16,1.2.20[x2]). Nel nostro
versetto l’esempio è particolarmente significativo perché l’idea temporale è espressa
contemporaneamente sia con un avverbio (ÏRX, BDTÄ) sia con un sostantivo all’accusativo
(:gF@<biJ4@<) sia con uno al genitivo (•8giJ@D@nT<\"H). Il termine •8giJ@D@nT<\"
indica il canto [mattutino] del gallo, come ci ricordano anche gli autori classici (cf. Esopo,
Fab., 55,2). Poiché tale canto annunciava l’imminenza dell’alba, nell’antichità veniva preso
come riferimento empirico per indicare la fine della quarta vigilia del computo latino e
l’inizio del nuovo giorno. Nel mondo romano (ed ellenistico) la notte era divisa in quattro
turni (= vigiliae) di tre ore ciascuno: il primo turno (= prima vigilia) andava dalle 18,00 alle
21,00 della sera (= sero); il secondo turno (= secunda vigilia) dalle 21,00 a mezzanotte (=
media nox); il terzo turno (= terza vigilia) da mezzanotte alle 3,00 del mattino (= gallicantu);
il quarto turno (= quarta vigilia) dalle 3,00 alle 6,00 del mattino (= mane). Il canto del gallo,
collocabile attorno alle ore 4 o 5 del mattino, a seconda delle stagioni, era il segnale per
indicare che stava per finire la quarta vigilia, ossia la notte e l’inizio del nuovo giorno. Per
il computo delle ore diurne vedi commento a Mc 15,25.
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9.
BDTÄ: avv. di tempo, indecl., al mattino, di mattina, di buon mattino; compl. di tempo
determinato; cf. Mc 1,35. Corrisponde alla quarta vigilia del computo del tempo presso i
latini (cf. Mc 13,35).

13,36 :¬ ¦8hã< ¦>"\n<0H gàD® ß:H i"hgb*@<J"H.


13,36 fate in modo che, venendo all’improvviso, non vi trovi addormentati!

:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.


¦8hf<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Participio predicativo del soggetto Ò ibD4@H.
¦>"\n<0H: avv. di modo, indecl., improvvisamente, all’improvviso. Il vocabolo ricorre 5 volte
nel NT: Mc 13,36 (hapax marciano); Lc 2,13; 9,39; At 9,3; 22,6.
gàD®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da gßD\FiT, trovare, incontrare; cf. Mc 1,37.
ß:H: pron. personale di 2a pers. acc. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 1,8; compl. oggetto.
920 Mc 13,37

i"hgb*@<J"H: verbo, acc. plur. m. part. pres., con valore aggettivale, da i"hgb*T (da i"JV
e gà*T), addormentarsi, dormire, riposare; cf. Mc 4,27; compl. predicativo.

13,37 Ô *¥ ß:Ã< 8X(T BF4< 8X(Ts (D0(@DgÃJg.


13,37 Quello che dico a voi lo dico a tutti: vegliate!».

Ó: pron. relativo, acc. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24; compl. oggetto.
*X: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti, dunque, quindi; cf. Mc 1,8.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine.
8X(T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. La forma verbale 8X(T ricorre in Mc 20 volte (cf. Mc 2,11; 3,28; 5,41; 8,12;
9,1.13.41; 10,15.29; 11,23.24.33; 12,43; 13,30.37[x2]; 14,9.18.25.30): essa è usata soltanto
da Gesù, ossia è esclusivamente Gesù che parla del proprio parlare e ne sottolinea la forza,
l’insistenza e la validità.
BF4<: pron. indefinito, dat. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; compl. di termine.
8X(T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7.
(D0(@DgÃJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da (D0(@DXT, essere sveglio, vegliare, fare
attenzione; cf. Mc 13,34.
Mc 14,1

14,1 ‚/< *¥ JÎ BVFP" i" J –.L:" :gJ *b@ º:XD"H. i" ¦.ZJ@L< @Ê •DP4gDgÃH
i" @Ê (D"::"JgÃH BäH "ÛJÎ< ¦< *`8å iD"JZF"<JgH •B@iJg\<TF4<·
14,1 Mancavano due giorni alla festa della Pasqua e degli Azzimi e i capi dei sacerdoti e
gli scribi cercavano il modo di arrestarlo con inganno, per ucciderlo.

‚/<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf.
Mc 1,6.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
BVFP": sost., nom. sing. n., indecl., da BVFP", Pasqua, pasto pasquale; soggetto. Il vocabolo
ricorre 29 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 4 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,022% del totale delle parole); 5 volte in Marco (cf. Mc 14,1.12[x2].
14.16 = 0,044%); 7 volte in Luca (0,036%); 10 volte in Giovanni (0,064%). Traslitterazione
grecizzata della parola di origine ebraica (2 H G, pesahE, «passaggio» (aramaico !(
I 2AH, pashEa) ’
o !( I 2A5E, pishEa) ’). Nei LXX e in Filone di Alessandria è presente anche nella forma n"Fgi
(LXX: 2Cr 30,1.2.5.15.17.18) e n"FgP (LXX: 2Cr 35.1[x2].6.7.8.9.11.13.16.17.18[x2]);
Giuseppe Flavio usa anche la forma nVFi" (cf. Id., Antiq., 14,25). È probabile che ai tempi
del NT la pronuncia fosse ancora oscillante. Nei sinottici il termine indica la «Pasqua», la
principale festa giudaica (cf. Mc 14,2.16) e talvolta per accezione metonimica la «vittima
pasquale», l’«agnello pasquale» (cf. Mc 14,12[x2]), il «pasto pasquale» o la «cena pasquale»
(cf. Mt 26,17). Nella accezione liturgica e cultuale BVFP" designa la principale delle feste
di pellegrinaggio (cf. Es 23,15), in occasione della quale gli Ebrei si dirigevano ogni anno a
Gerusalemme (cf. Lc 2,41), dove nel pomeriggio del 14/ giorno di Nisan veniva ritualmente
macellato nel Tempio un agnello o un capretto maschio, di un anno, senza difetti (cf. Es
12,5) e dopo il tramonto del sole (quando, cioè, secondo il computo ebraico iniziava il 15/
giorno di Nisan), veniva mangiato a gruppi, per nuclei familiari.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
JV: art. determ., nom. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
–.L:": agg., nom. plur. n. da –.L:@H, –@L (da –8n" privativa e .b:0), senza lievito, azzimo;
soggetto. Il vocabolo ricorre 9 volte nel NT: Mt 26,12; Mc 14,1.12; Lc 22,1.7; At 12,3; 20,6;
1Cor 5,7.8. L’espressione J –.L:" (forma plurale solenne) traduce l’ebraico ;|’Œ H% H,
hammasEsEô5t , lett. «gli azzimi». Questa espressione designa nel TM la «[festa] dei [pani]
azzimi» (cf. Es 12,15; 23,15). Il nome è una abbreviazione dell’espressione º ©@DJ¬ Jä<
•.b:T< (cf. Es 23,15; Giuseppe Flavio, Antiq., 2,317; 3,249). La festa degli Azzimi durava
una settimana ed era molto probabilmente una festa agricola di origine cananea. A causa
della sua stretta relazione con il sistema settimanale (cf. Dt 16,9), la festa degli Azzimi fu
collegata con la più antica e solenne festa di Pasqua (che durava un solo giorno) dopo
l’ingresso del popolo di Israele nella terra di Canaan (cf. Lv 23,5ss.), mentre prima le due
feste erano indipendenti. Difatti l’antico calendario festivo (cf. Es 23,14–16) non conosce
ancora la connessione di queste due feste, così come non la conosce Dt 16,1–8, dove si vede

921
922 Mc 14,1

come la loro fusione sia avvenuta per un processo puramente esteriore. Rispetto alle altre
menzioni sinottiche l’espressione di Marco, «Mancavano due giorni alla festa della Pasqua
e degli Azzimi», è la più corretta: gli –.L:" sono i sette giorni che seguono alla sera di
Pasqua (14 di Nisan).
:gJV: prep. propria di valore temporale, seguita dal genitivo, indecl., dopo, dopo di; cf. Mc 1,13.
*b@: agg. numerale, cardinale, acc. plur. f. da *b@ (gen. *b@, dat. *LF\<, acc. *b@), due; cf. Mc
6,7; attributo di º:XD"H.
º:XD"H: sost., acc. plur. f. da º:XD", –"H, giorno; cf. Mc 1,9; compl. di tempo determinato.
Stando al computo ebraico del tempo, che conta i giorni da un tramonto del sole all’altro
(vedi commento a Mc 15,25), il giorno indicato qui da Marco corrisponde al 13 di Nisan.
Poiché la crocifissione e morte di Gesù ha avuto luogo la vigilia del sabato (ossia venerdì
pomeriggio, vedi commento a Mc 14,18; 15,37) ne consegue che secondo il nostro
calendario gli avvenimenti descritti in Mc 14,1 si riferiscono al giorno che va dal martedì
sera al mercoledì sera.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦.ZJ@L<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da .0JXT, cercare (per trovare od ottenere), provare
a, tentare di; cf. Mc 1,37. Imperfetto durativo o iterativo.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
•DP4gDgÃH: sost., nom. plur. m. da •DP4gDgbH, –XTH (da •DPZ e ÊgDgbH), sommo sacerdote,
capo dei sacerdoti; cf. Mc 2,26; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
(D"::"JgÃH: sost., nom. plur. m. da (D"::"JgbH, –XTH (da (DV::"), scriba, esperto della
Legge, insegnante religioso; cf. Mc 1,22; soggetto.
BäH: avv. interrogativo di modo, indecl., come?, in quale modo?, in che senso?, perché?; cf.
Mc 2,26. All’interno delle interrogative indirette l’avverbio BäH corrisponde alla congiunzio-
ne modale ÓBTH, «come». Il fenomeno è presente in Mc 5,16; 11,18; 12,41; 14.1.11.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
¦<: prep. propria di valore modale, seguita dal dativo, indecl., in; cf. Mc 1,2. Uso pleonastico o
hypertrophicus della preposizione ¦< la quale precede senza vera necessità il successivo caso
dativo. Si tratta di un uso piuttosto comune nella Koiné (cf. Mc 4,24; 11,28; 14,1.6).
*`8å: sost., dat. sing. m. da *`8@H, –@L, furbizia, falsità, astuzia, inganno; cf. Mc 7,22; compl.
di modo.
iD"JZF"<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da iD"JXT, tenere, prendere, afferrare,
catturare; cf. Mc 1,31. Participio predicativo del soggetto @Ê •DP4gDgÃH i" @Ê (D"::"-
JgÃH.
•B@iJg\<TF4<: verbo, 3: pers. plur. congiunt. aor. da •B@iJg\<T (da •B` e iJg\<T),
uccidere, distruggere, far perire; cf. Mc 3,4.
Mc 14,2–3 923

14,2 §8g(@< (VDs 9¬ ¦< J± ©@DJ±s :ZB@Jg §FJ"4 h`DL$@H J@Ø 8"@Ø.
14,2 Dicevano infatti: «Non durante la festa, perché non ci sia una rivolta di popolo».

§8g(@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Il soggetto è indefinito: possono essere @Ê •DP4gDgÃH i" @Ê (D"::"JgÃH, «i
capi dei sacerdoti e gli scribi», ricordati nel v. precedente oppure si tratta di una forma
impersonale: «alcuni dicevano».
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
9Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
¦<: prep. propria di valore temporale, seguita dal dativo, indecl., in, durante, entro; cf. Mc 1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
©@DJ±: sost., dat. sing. f. da ©@DJZ, –­H, festa; compl. di tempo determinato. Il vocabolo ricorre
25 volte nel NT: Mt 26,5; 27,15; Mc 14,2; 15,6; Lc 2,41.42; 22,1; Gv 2,23; 4,45[x2]; 5,1;
6,4; 7,2.8[x2].10.11.14.37; 11,56; 12,12.20; 13,1.29; Col 2,16. In ambito profano il
sostantivo ©@DJZ designa a partire da Omero la «festa», la «solennità» (cf. Omero, Od.,
20,156; Erodoto, Hist., 1,147,2). Nei passi sinottici ©@DJZ designa «la festa» per eccellenza,
ossia la pasqua (cf. Es 23,15; 34,18.25; Ez 45,21). L’espressione ellittica «non durante la
festa», sottintende la forma verbale «facciamolo», «poniamolo in atto» e simili.
:ZB@Jg: (da :Z e B@JX), avv. di negazione di valore soggettivo, indecl., neanche, giammai, non
mai; cf. Mc 4,12.
§FJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. medio da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente;
cf. Mc 1,6.
h`DL$@H: sost., nom. sing. m. da h`DL$@H, –@L, rumore, chiasso, tumulto, sommossa;
soggetto; cf. Mc 5,38. Senza articolo perché generico.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
8"@Ø: sost., gen. sing. m. da 8"`H, –@Ø, popolo; cf. Mc 7,6; compl. di specificazione. Se si
prescinde dalla ricorrenza del vocabolo all’interno di una citazione tratta da Isaia (cf. Mc
7,6), 8"`H ricorre soltanto qui per indicare non la gente (ÐP8@H, vedi commento a Mc 2,4),
ma piuttosto il popolo come entità nazionale, religiosa e civile.

14,3 5" Ð<J@H "ÛJ@Ø ¦< #0h"<\‘ ¦< J± @Æi\‘ E\:T<@H J@Ø 8gBD@Øs i"J"ig4:X-
<@L "ÛJ@Ø µ8hg< (L<¬ §P@LF" •8V$"FJD@< :bD@L <VD*@L B4FJ4i­H
B@8LJg8@ØHs FL<JD\R"F" J¬< •8V$"FJD@< i"JXPgg< "ÛJ@Ø J­H ign"8­H.
14,3 Egli si trovava a Betania nella casa di Simone il lebbroso. Mentre era a tavola giunse
una donna con un vasetto per profumi, pieno di autentico nardo, di grande valore:
ruppe il vasetto per profumi e lo versò sul suo capo.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Ð<J@H: verbo, gen. sing. m. part. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Participio al genitivo assoluto.
924 Mc 14,3

"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3. La frase Ð<J@H "ÛJ@Ø appare nella forma detta
“genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore temporale. Il soggetto non è esplicitato: si
tratta di Gesù, menzionato l’ultima volta come soggetto in Mc 13,5.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
#0h"<\‘: sost., nome proprio di località, dat. sing. f. da #0h"<\", –"H, Betania; cf. Mc 11,1;
compl. di stato in luogo.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
@Æi\‘: sost., dat. sing. f. da @Æi\", –"H, casa, abitazione, dimora; cf. Mc 1,29; compl. di stato
in luogo.
E\:T<@H: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da E\:T<, –T<@H, Simone, Simeone;
cf. Mc 1,16; compl. di specificazione.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
8gBD@Ø: sost., gen. sing. m. da 8gBD`H, –@Ø, lebbroso; cf. Mc 1,40; apposizione di E\:T<@H.
i"J"ig4:X<@L: verbo, gen. sing. m. part. pres. medio da i"JVig4:"4 (da i"JV e igÃ:"4),
essersi sdraiato, giacere prostrato; cf. Mc 1,30. Participio al genitivo assoluto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3. La frase i"J"ig4:X<@L "ÛJ@Ø appare nella forma
detta “genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore temporale.
µ8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7.
(L<Z: sost., nom. sing. f. da (L<Z, (L<"4i`H, donna; cf. Mc 5,25; soggetto. Senza articolo
perché anonima e non ancora menzionata. Che una donna entri in un gruppo di uomini e
sparga profumo su Gesù non prima, ma durante il pasto, è qualcosa di eccezionale rispetto
agli usi di allora.
§P@LF": verbo, nom. sing. f. part. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. Participio predicativo del soggetto (L<Z.
Il participio predicativo dei verbi §PT, 8":$V<T, nXDT, ecc. ha talvolta valore pleonastico,
soprattutto quando, come qui, equivale alla preposizione «con» di valore strumentale o
esprimente il complemento di unione. In tali casi si può omettere e tradurre direttamente:
«venne una donna con un vasetto di alabastro».
•8V$"FJD@<: sost., acc. sing. f. da •8V$"FJD@<, –@L, alabastro, vasetto per profumi [anche
non di alabastro]; compl. oggetto. Senza articolo perché generico. Il vocabolo ricorre 4 volte
nel NT: Mt 26,7; Mc 14,3[x2]; Lc 7,37. Già nel greco classico il termine (lett. «senza
manici») indica il vasetto, non necessariamente di alabastro, contenente unguenti profumati
(cf. Erodoto, Hist., 3,20,1; Aristofane, Achar., 1053). Il vocabolo venne ben presto latinizzato
e Plinio il Vecchio testimonia il suo uso come contenitore di profumi: «unguenta optime
Mc 14,3 925

servantur in alabastris», «i profumi si conservano nel modo migliore nei vasetti di alabastro»
(cf. Id., Nat. hist., 13,19; cf. anche Petronio, Satyr., 60,3; Marziale, Epigr., 11,8,9).
:bD@L: sost., gen. sing. n. da :bD@<, –@L, unguento, profumo; compl. di specificazione. Il
vocabolo ricorre 14 volte nel NT: Mt 26,7.12; Mc 14,3.4.5; Lc 7,37.38.46; 23,56; Gv
11,2.3[x2]; 12,5; Ap 18,13. Quando il nome reggente è privo di articolo (come qui) anche
il genitivo dipendente ne è solitamente sprovvisto. Dal punto di vista etimologico :bD@< è
accostato alla radice greca :LD–, da cui anche :LD\.T, dal significato di «ungere» e ciò
perché nell’antichità il profumo si presentava in forma semisolida o come «olio odoroso» che
veniva spalmato sulle parti interessate (cf. Aristofane, Lys., 47; Euripide, Or., 1112;
Senofonte, Anab., 4,4,13). L’impiego di unguenti derivati da oli vegetali è antichissimo: per
l’Egitto si hanno testimonianze a partire già dal III millennio a.C. Anche nell’AT è ricordato
l’uso di unguenti e profumi in ambito sia cultuale (cf. Es 30,25) sia profano (cf. Ct 1,3[x2].4;
4,14; Am 6,6; Prv 27,9; Sap 2,7). Tra gli oggetti che Cambise inviò agli Etiopi c’era anche
:bD@L •8V$"FJD@<, «un vaso di alabastro [pieno] di unguento profumato» (Erodoto, Hist.,
3,20,1).
<VD*@L: sost., gen. sing. f. da <VD*@H, –@L, nardo; compl. di materia. Il vocabolo ricorre 2
volte nel NT: Mc 14,3 (hapax marciano); Gv 12,3. Quando il nome reggente è privo di
articolo (come qui) anche il genitivo dipendente ne è solitamente sprovvisto. Il nardo (eb.
yA9A1F, ne)rde: Ct 1,12; 4,13.14; lat. nardus: Orazio, Carm., 2,11,16; 4,12,16) era un composto
estratto dalle radici del Nardostachys Iaramansi, una pianta fragrante originaria dell’India.
Nella grecità ricorre come termine botanico (cf. Teofrasto, Hist. plant., 9,7,2; Nicandro,
Ther., 604). )4 J@ØJ@ :bD@< §8"$g< ¦B J­H ign"8­H "ÛJ@Ø Ò 5bD4@Hs Ë<" B<X®
J± ¦ii80F\" •nh"DF\"<, «Il Signore si è lasciato spargere sul capo l’unguento profumato
per comunicare profumo di eternità alla sua Chiesa» (Ignazio di Antiochia, Ad Eph., 17,1).
B4FJ4i­H: agg. qualificativo, gen. sing. f. da B4FJ4i`H, –Z, –`<, genuino, autentico, puro;
attributo di <VD*@L. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mc 14,3 (hapax marciano); Gv
12,3. L’aggettivo assume nella grecità sia il significato di «fedele», «veritiero», come
caratteristica etica sia quello di «genuino», «puro», per indicare un prodotto non alterato o
contraffatto. La specificazione che questo nardo è «autentico», ossia assolutamente genuino,
non è superflua: il profumo o unguento di nardo era così raro e costoso che nell’antichità
veniva spesso mescolato dai venditori con altre sostanze, onde ottenere un maggior guadagno
(cf. Plinio il Vecchio, Nat. hist., 12,43).
B@8LJg8@ØH: agg. qualificativo, gen. sing. f. da B@8LJg8ZH, –XH (da B@8bH e JX8@H), costoso,
prezioso; attributo di <VD*@L. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mc 14,3 (hapax marciano);
1Tm 2,9; 1Pt 3,4. Nella grecità l’aggettivo B@8LJg8ZH indica ciò che è «costoso»,
«sontuoso», «prezioso», «lussuoso» (cf. Tucidide, Hist., 7,28,1; Platone, Ipp. min., 368c;
Resp., 507c; Erodoto, Hist., 4,79,2).
FL<JD\R"F": verbo, nom. sing. f. part. aor. da FL<JD\$T (da Fb< e la radice di JD\$@H),
rompere, lacerare, fracassare, spezzare; cf. Mc 5,4. Participio predicativo del soggetto (L<Z.
L’unguento o l’olio profumato nel mondo antico era conservato in vasetti d’alabastro o di
onice dal collo lungo: spesso, per aprirli e utilizzare il contenuto, era necessario spezzarli al
collo (cf. m.Kel., 30,4). Nel caso di flaconi di vetro a collo lungo la rottura era il sistema
926 Mc 14,4

usuale. Anche i vasi usati per ungere i corpi dei morti venivano spesso rotti e depositati nella
bara o nella tomba del defunto.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
•8V$"FJD@<: sost., acc. sing. f. da •8V$"FJD@<, –@L, alabastro; compl. oggetto; cf. Mc
14,3a.
i"JXPgg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da i"J"PXT (da i"JV e PXT), versare. Questo verbo
ricorre 2 volte nel NT: Mt 26,7; Mc 14,3 (hapax marciano). A partire da Omero il verbo
i"J"PXT è utilizzato nel significato di «versare», «spargere» (cf. Omero, Il., 3,10; Od., 2,12;
Aristofane, Nub., 74; Platone, Resp., 398a).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
ign"8­H: sost., gen. sing. f. da ign"8Z, –­H, testa, capo; cf. Mc 6,24; compl. di stato in
luogo. La forma genitiva è retta dal verbo i"J"PXT.

14,4 µF"< *X J4<gH •("<"iJ@Ø<JgH BDÎH ©"LJ@bHs gÆH J\ º •Bf8g4" "àJ0 J@Ø
:bD@L (X(@<g<p
14,4 Alcuni cominciarono a indignarsi tra loro: «Perché tutto questo spreco di profumo?

µF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf.
Mc 1,6.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
J4<gH: pron. indefinito (enclitico), nom. plur. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; soggetto.
•("<"iJ@Ø<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da •("<"iJXT, essere indignato, essere
sdegnato; cf. Mc 10,14. Participio predicativo del soggetto J4<gH. Il participio è retto da
µF"< in costruzione perifrastica («erano indignantesi»), al posto dell’usuale imperfetto «si
indignavano». La formula è probabilmente dovuta a una precedente tradizione orale
aramaica.
BD`H: prep. propria con valore locale (di persone), seguita dall’accusativo, indecl., dinanzi a,
alla presenza di, tra; cf. Mc 1,5.
©"LJ@bH: pron. riflessivo, acc. plur. m. da ©"LJ@Ø, –­H, –@Ø (non usato al nominativo), lui, lui
stesso, esso; cf. Mc 1,27; compl. di stato in luogo. Il riflessivo della terza persona viene usato
per stabilire l’identità con le persone che parlano o agiscono. Talvolta, come nel nostro caso,
sostituisce il pronome reciproco •88Z8T< (l’un l’altro, a vicenda). Analogo fenomeno in
Mc 1,27; 10,26; 11,31; 12,7; 16,3.
Mc 14,5 927

gÆH: prep. propria di valore finale, seguita dall’accusativo, indecl., per, in vista di, allo scopo di;
cf. Mc 1,4. La preposizione è qui impiegata con valore finale, analogamente a Mc
1,4.38.44; 6,11; 13,9.12; 14,8.9.55; 15,34.
J\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; compl. di fine.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
•Bf8g4": sost., nom. sing. f. da •Bf8g4", –"H, perdita, rovina, spreco; soggetto. Il vocabolo
ricorre 18 volte nel NT: Mt 7,13; 26,8; Mc 14,4 (hapax marciano); Gv 17,12; At 8,20; Rm
9,22; Fil 1,28; 3,19; 2Ts 2,3; 1Tm 6,9; Eb 10,39; 2Pt 2,1[x2].3; 3,7.16; Ap 17,8.11. Sebbene
in molti passi neotestamentari il termine •Bf8g4" abbia un connotato teologico («perdizio-
ne», «dannazione», come rovina definitiva che l’uomo si procura per propria colpa) nel
nostro passo, riferito al prezioso profumo usato dalla donna, il vocabolo ha il significato
letterale proprio di «perdita», «spreco», «sperpero», in conformità all’uso classico (cf. Polibio,
Hist., 3,29,1).
"àJ0: pron. dimostrativo, nom. sing. f. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 8,12;
attributo di •Bf8g4", qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
:bD@L: sost., gen. sing. n. da :bD@<, –@L, unguento, profumo; cf. Mc 14,3; compl. di
specificazione.
(X(@<g<: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere, nascere,
essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4.

14,5 ²*b<"J@ (D J@ØJ@ JÎ :bD@< BD"h­<"4 ¦BV<T *0<"D\T< JD4"i@F\T< i"Â
*@h­<"4 J@ÃH BJTP@ÃH· i"Â ¦<g$D4:ä<J@ "ÛJ±.
14,5 Si poteva, infatti, vendere questo profumo per più di trecento denari e darli ai
poveri!». Ed erano indignati contro di lei.

²*b<"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere
in grado di; cf. Mc 1,40.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
J@ØJ@: pron. dimostrativo, nom. sing. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 1,27;
attributo di :bD@<, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
:bD@<: sost., nom. sing. n. da :bD@<, –@L, unguento, profumo; cf. Mc 14,3; soggetto.
BD"h­<"4: verbo, inf. aor. pass. da B4BDVFiT, vendere. Questo verbo ricorre 9 volte nel NT:
Mt 13,46; 18,25; 26,9; Mc 14,5 (hapax marciano); Gv 12,5; At 2,45; 4,34; 5,4; Rm 7,14.
Nelle poche ricorrenze neotestamentarie B4BDVFiT è usato quasi sempre in senso letterale
proprio, nel significato di «vendere» cose o persone, conforme all’uso classico (cf. Polibio,
Hist., 2,58,12). È costruito con l’accusativo dell’oggetto sia inanimato che animato e il
genitivo del prezzo.
928 Mc 14,6

¦BV<T: avv. di quantità, indecl., sopra, di più, a più. Il vocabolo ricorre 19 volte nel NT, sia
come avverbio che come preposizione impropria: Mt 2,9; 5,4; 21,7; 23,18.20.22; 27,37;
28,2; Mc 14,5 (hapax marciano); Lc 4,39; 10,19; 11,44; 19,17.19; Gv 3,31[x2]; 1Cor 15,6;
Ap 6,8; 20,3. Usato prevalentemente in senso locale ¦BV<T ha qui il significato corrispon-
dente a «oltre», «più di» (= B8g\T<).
*0<"D\T<: sost., gen. plur. n. da *0<VD4@<, –@L, denario, denaro; cf. Mc 6,37; compl. di
prezzo.
JD4"i@F\T<: agg. numerale, cardinale, gen. plur. n. da JD4"i`F4@4, –"4, –", trecento;
attributo di *0<"D\T<. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mc 14,5 (hapax marciano); Gv
12,5. Il valore del profumo è enorme se pensiamo che corrisponde a «più di trecento
denari», ossia all’intera paga annuale di un salariato. Con tale somma si potevano aiutare
molti bisognosi, se teniamo presente che sono stati necessari «200 denari» per sfamare circa
5000 persone (cf. Mc 6,37.44; Gv 6,7). Anche Plinio il Vecchio parla del costo elevato degli
unguenti profumati usati nell’antichità dai nobili e ricchi signori: «exceduntque quadrigenos
denarios librae: tanti emitur voluptas aliena; etenim odorem qui gerit, ipse non sentit», «ogni
libbra oltrepassa il prezzo di 40 denari; tanto costa il piacere degli altri, poiché colui che lo
porta non avverte il profumo» (Plinio il Vecchio, Nat. hist., 13,20).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
*@h­<"4: verbo, inf. aor. pass. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
BJTP@ÃH: agg. qualificativo, di valore sostantivato, dat. plur. m. da BJTP`H, –Z, –`<, povero,
indigente, misero; cf. Mc 10,21; compl. di termine.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦<g$D4:ä<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. medio da ¦:$D4:V@:"4, (da ¦< e $D4:V@-
:"4), minacciare, ammonire; cf. Mc 1,41. Imperfetto durativo.
"ÛJ±: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. f. da "ÛJ`H, –Z, –`,
[quello], egli, lui, esso; cf. Mc 5,23; compl. di termine.

14,6 Ò *¥ z30F@ØH gÉBg<s }!ngJg "ÛJZ<· J\ "ÛJ± i`B@LH B"DXPgJgp i"8Î< §D(@<
²D(VF"J@ ¦< ¦:@\.
14,6 Allora Gesù disse: «Lasciatela stare; perché le date fastidio? Essa ha compiuto una
buona azione verso di me.

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
Mc 14,6 929

}!ngJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. aor. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare,
rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18. L’aoristo puntiforme manifesta la definitiva istantaneità
dell’azione indicata, un comando che esige obbedienza totale e immediata.
"ÛJZ<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,31; compl. oggetto.
J\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24. L’uso di J\ con il valore di «perché?» viene
spiegato come una specie di accusativo di specificazione o di relazione («di che cosa?», «in
relazione a che?»); cf. Mc 2,7.8.24; 4,40; 5,35.39; 8,12.17; 9,16.33; 10,18; 11,3; 12,15; 14,6.
"ÛJ±: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. f. da "ÛJ`H, –Z, –`,
[quello], egli, lui, esso; cf. Mc 5,23; compl. di termine.
i`B@LH: sost., acc. plur. m. da i`B@H, –@L, tormento, molestia, fastidio; compl. oggetto. Il
vocabolo ricorre 18 volte nel NT: Mt 26,10; Mc 14,6 (hapax marciano); Lc 18,5; Gv 4,38;
1Cor 3,8; 15,58; 2Cor 6,5; 10,15; 11,23.27; Gal 6,17; 1Ts 1,3; 2,9; 3,5; 2Ts 3,8; Ap 2,2;
14,13. Il termine significa letteralmente «colpo» (da i`BJT): indica in primo luogo la fatica,
la spossatezza, lo sforzo dovuto a qualche attività (cf. Platone, Resp., 537b; Giuseppe Flavio,
Antiq., 1,336; 2,257; 3,25; 8,244). In senso traslato esprime un «fastidio» o una «molestia»
che può essere sia fisica che morale.
B"DXPgJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da B"DXPT (da B"DV e §PT), dare, portare,
causare, arrecare. Questo verbo ricorre 16 volte nel NT: Mt 26,10; Mc 14,6 (hapax
marciano); Lc 6,29; 7,4; 11,7; 18,5; At 16,16; 17,31; 19,24; 22,2; 28,2; Gal 6,17; Col 4,1;
1Tm 1,4; 6,17; Tt 2,7. In senso generico il verbo B"DXPT esprime nella grecità il concetto
di «dare», suscettibile di essere ulteriormente precisato in base al contesto («porgere»,
«presentare», «offrire», «disporre» ecc.). Nel nostro caso il verbo assume il significato di
«procurare», «essere motivo di», in conformità all’uso classico (cf. Omero, Od., 18,133;
Sofocle, Trach., 708). La domanda retorica J\ "ÛJ± i`B@LH B"DXPgJg, «perché le date
fastidio?», corrisponde, in termini diretti, a un comando negativo: «non datele fastidio»,
analogamente all’espressione :¬ iT8bgJg "ÛJ`<, «non glielo proibite», di Mc 9,39.
i"8`<: agg. qualificativo, acc. sing. n. da i"8`H, –Z, –`<, bello, buono, appropriato,
conveniente; cf. Mc 4,8; attributo di §D(@<.
§D(@<: sost., acc. sing. n. da §D(@<, –@L, opera, lavoro, compito, mansione; cf. Mc 13,34;
compl. oggetto.
²D(VF"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da ¦D(V.@:"4, fare, compiere. Questo verbo
deponente ricorre 41 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 7,23; 21,28;
25,16; 26,10; Mc 14,6 (hapax marciano); Lc 13,14; Gv 3,21; 5,17[x2]; 6,27.28.30; 9,4[x2].
L’uso linguistico di ¦D(V.@:"4 nel NT non si discosta da quello del greco profano: il
significato base è quello generico corrispondente al nostro «fare» (cf. Omero, Il., 24,733; Od.,
14,272; Erodoto, Hist., 2,124,3), suscettibile di ulteriori specificazioni in base al contesto
(«lavorare», «eseguire», «produrre», ecc.). Da notare la figura etimologica (paronomasia)
costruita con l’oggetto interno (§D(@<… ²D(VF"J@), dovuta probabilmente a influsso
930 Mc 14,7

semitico (infinito assoluto ebraico). Analogo fenomeno in Mc 1,26; 3,28; 4,24.41; 5,42;
7,7.13; 10,38; 13,19; 15,26.
¦<: prep. propria con valore di relazione, seguita dal dativo, indecl., riguardo a, in relazione di,
rispetto a; cf. Mc 1,2. Uso pleonastico o hypertrophicus della preposizione ¦< la quale
precede senza vera necessità il successivo caso dativo. Si tratta di un uso piuttosto comune
nella Koiné (cf. Mc 4,24; 11,28; 14,1.6).
¦:@\: pron. personale di 1a pers. dat. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 5,7; compl. di relazione.

14,7 BV<J@Jg (D J@×H BJTP@×H §PgJg :ghz ©"LJä< i" ÓJ"< hX80Jg *b<"Fhg
"ÛJ@ÃH gÞ B@4­F"4s ¦:¥ *¥ @Û BV<J@Jg §PgJg.
14,7 I poveri, infatti, li avete sempre con voi e potete fare loro del bene quando volete, ma
non sempre avrete me.

BV<J@Jg: avv. di tempo, indecl., sempre. Il vocabolo ricorre 41 volte nel NT. La distribuzione
nei vangeli è la seguente: Mt 26,11[x2]; Mc 14,7[x2]; Lc 15,31; 18,1; Gv 6,34; 7,6; 8,29;
11,42; 12,8[x2]; 18,20.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
BJTP@bH: agg. qualificativo, di valore sostantivato, acc. plur. m. da BJTP`H, –Z, –`<, povero,
indigente, misero; cf. Mc 10,21; compl. oggetto.
§PgJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
:ghz: (= :gJV), prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con,
insieme a, in compagnia di; cf. Mc 1,13.
©"LJä<: pron. riflessivo, gen. plur. m. da ©"LJ@Ø, –­H, –@Ø (non usato al nominativo), lui, lui
stesso, esso; cf. Mc 1,27; compl. di compagnia.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
ÓJ"<: (= ÓJg e –<), cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, ogni qualvolta,
allorché, appena; cf. Mc 2,20.
hX80Jg: verbo, 2a pers. plur. congiunt. pres. da hX8T, volere, avere il proposito di; cf. Mc 1,40.
*b<"Fhg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere
in grado di; cf. Mc 1,40.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
gÞ: avv. di modo, indecl., bene, benevolmente. Il vocabolo ricorre 5 volte nel NT: Mt 25,21.23;
Mc 14,7 (hapax marciano); At 15,29; Ef 6,3.
B@4­F"4: verbo, inf. aor. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere, compiere; cf. Mc 1,3.
L’espressione gÞ B@4gÃ< ricorre soltanto qui nel NT, poiché viene preferita la formula
Mc 14,8 931

i"8äH B@4gÃ<. La frase, tuttavia, non è insolita, poiché è attestata varie volte nell’AT (cf.
Lv 5,4; 1Mac 12,18.22; Zc 8,15; Ger 4,22).
¦:X: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 9,37; compl. oggetto.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
BV<J@Jg: avv. di tempo, indecl., sempre; cf. Mc 14,7a.
§PgJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. Il presente assume qui una sfumatura
futura, poiché si riferisce in termini di predizione alla passione imminente, quando lo Sposo
«sarà tolto via» dai suoi (cf. Mc 2,20).

14,8 Ô §FPg< ¦B@\0Fg<· BD@X8"$g< :LD\F"4 JÎ Fä:V :@L gÆH JÎ< ¦<J"n4"F:`<.
14,8 Essa ha fatto quanto poteva fare: ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura.

Ó: pron. relativo, acc. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24; compl. oggetto.
§FPg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
¦B@\0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3. L’espressione Ô §FPg< ¦B@\0Fg< è ellittica, ma abbastanza
comprensibile: il verbo §PT non va inteso nel suo senso abituale di «avere», «possedere»,
ma in quello di «essere nella possibilità di», «potere» (come in Mt 18,25; Lc 7,42; 14,14; Gv
8,6; 14,30; At 4,14; Eb 6,13).
BD@X8"$g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da BD@8":$V<T (da BD` e 8":$V<T), anticipare,
prevenire. Questo verbo ricorre 3 volte nel NT: Mc 14,8 (hapax marciano); 1Cor 11,21; Gal
6,1. Il verbo BD@8":$V<T è qui usato nel significato classico di «anticipare», «ottenere
prima» (cf. Euripide, Hel., 339; Polibio, Hist., 9,14,12).
:LD\F"4: verbo, inf. aor. da :LD\.T, ungere, profumare. Hapax neotestamentario. Nella
grecità il verbo :LD\.T è impiegato nel significato di «ungere», «frizionare con unguento»,
«profumare», detto generalmente di corpi (cf. Aristofane, Lys., 938; Erodoto, Hist., 1,195,1;
Giuseppe Flavio, Antiq., 19,358). Il verbo è assente nei LXX. La frase BD@X8"$g<
:LD\F"4, «anticipò l’ungere» è un semitismo: l’infinito è usato come complemento del
verbo, con sfumatura finale.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
Fä:V: sost., acc. sing. n. da Fä:", –"J@H, corpo; cf. Mc 5,29; compl. oggetto.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).
932 Mc 14,9

gÆH: prep. propria di valore finale, seguita dall’accusativo, indecl., per, in vista di, allo scopo di;
cf. Mc 1,4. La preposizione è qui impiegata con valore finale, analogamente a Mc
1,4.38.44; 6,11; 13,9.12; 14,4.9.55; 15,34.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
¦<J"n4"F:`<: sost., acc. sing. m. da ¦<J"n4"F:`H, –@Ø, sepoltura; compl. di fine. Il
vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mc 14,8 (hapax marciano); Gv 12,7. Sconosciuto nella
grecità profana il sostantivo deverbale ¦<J"n4"F:`H indica la «preparazione per la
sepoltura».

14,9 •:¬< *¥ 8X(T ß:Ã<s ÓB@L ¦< i0DLPh± JÎ gÛ"((X84@< gÆH Ó8@< JÎ< i`F:@<s
i"Â Ô ¦B@\0Fg< "àJ0 8"80hZFgJ"4 gÆH :<0:`FL<@< "ÛJ­H.
14,9 In verità io vi dico: dovunque sarà predicato il vangelo, in tutto il mondo, si racconterà
anche ciò che essa ha fatto, in suo ricordo».

•:Z<: avv. di modo, indecl., così è, così sia, in verità, certamente, veramente, «amen»; cf. Mc
3,28. Questa solenne formula introduttiva compare in Mc 3,28; 8,12; 9,1.41; 10,15.29; 11,23;
12,43; 13,30; 14,9.18.25.30. Per quanto riguarda il significato vedi commento a Mc 3,28.
*X: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti, dunque, quindi; cf. Mc 1,8.
8X(T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. La forma verbale 8X(T ricorre in Mc 20 volte (cf. Mc 2,11; 3,28; 5,41; 8,12;
9,1.13.41; 10,15.29; 11,23.24.33; 12,43; 13,30.37[x2]; 14,9.18.25.30): essa è usata soltanto
da Gesù, ossia è esclusivamente Gesù che parla del proprio parlare e ne sottolinea la forza,
l’insistenza e la validità. In particolare la formula •:¬< 8X(T ß:Ã< / F@4 (cf. Mc 3,28; 8,12;
9,1.41; 10,15.29; 11,23; 12,43; 13,30; 14,9.18.25.30) esprime il carattere solenne e
irrefutabile di quanto affermato da Gesù.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine. L’omissione della congiunzione dichiarativa ÓJ4 dopo un verbo
di locuzione (asindeto) conferisce alle parole di Gesù immediatezza e forza. Stesso
fenomeno in Mc 10,15.29.
ÓB@L: (da ÓH e B@Ø), avv. di luogo, indecl., dove, nel luogo in cui; cf. Mc 2,4.
¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica. Nel NT l’espressione ÓB@L ¦V< con
il congiuntivo aoristo ricorre soltanto in Mc 6,10; 9,18; 14,9.14; Mt 26,13. Come avviene nel
greco classico (cf. Eschilo, Eum., 277; Senofonte, Hell., 3,3,6; Cyr., 3,3,8) è possibile un
significato non soltanto locale («dovunque»), ma anche temporale («quando»): «Ogni volta
che sarà predicato…».
i0DLPh±: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor., pass. da i0DbFFT, proclamare apertamente,
annunciare solennemente, predicare; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
Mc 14,10 933

gÛ"((X84@<: sost., acc. sing. n. da gÛ"((X84@<, –@L, lieto annuncio, buona novella,
«vangelo»; cf. Mc 1,1; compl. oggetto.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
Ó8@<: agg. indefinito, acc. sing. m. da Ó8@H, –0, –@<, tutto, ogni; cf. Mc 1,28; attributo di
i`F:@<, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
i`F:@<: sost., acc. sing. m. da i`F:@H, –@L, mondo, universo; cf. Mc 8,36; compl. di moto a
luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore aggiuntivo, indecl., anche, perfino, inoltre, altresì; cf. Mc 1,4.
Il significato aggiuntivo di i"\ è presente in Mc 1,27b.38b; 2,15b.26c.28; 3,19b; 4,24b;
6,34b; 7,18b; 8,3b.7ac.38c; 9,22a; 11,25b; 12,22b; 13,29; 14,9.29.31; 15,31.40ab.43a.
Ó: pron. relativo, acc. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24; compl. oggetto.
¦B@\0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3.
"àJ0: pron. dimostrativo, nom. sing. f. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 8,12;
soggetto.
8"80hZFgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. pass. da 8"8XT, parlare, dire; cf. Mc 1,34.
gÆH: prep. propria di valore finale, seguita dall’accusativo, indecl., per, in vista di, allo scopo di;
cf. Mc 1,4. La preposizione è qui impiegata con valore finale, analogamente a Mc
1,4.38.44; 6,11; 13,9.12; 14,4.8.55; 15,34.
:<0:`FL<@<: sost., acc. sing. n. da :<0:`FL<@<, –@L, ricordo, memoria; compl. di fine. Il
vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mt 26,13; Mc 14,9 (hapax marciano); At 10,4. Sostanzial-
mente uguale quanto al significato al femminile :<0:@Fb<0, il termine :<0:`FL<@< è
usato nel greco classico nel senso di «ricordo», «memoria» (cf. Erodoto, Hist., 4,166,1;
Tucidide, Hist., 5,11,1). L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni,
come qui, è frequente nel greco ellenistico. Gesù dichiara che il gesto della donna possiede
in sé una qualità escatologica che non verrà meno nei secoli futuri.
"ÛJ­H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,30; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).

14,10 5" z3@b*"H z3Fi"D4ãh Ò gÍH Jä< *f*gi" •B­8hg< BDÎH J@×H •DP4gDgÃH Ë<"
"ÛJÎ< B"D"*@Ã "ÛJ@ÃH.
14,10 Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai capi dei sacerdoti, per consegnarlo
a essi.

5"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
934 Mc 14,10

3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.21.


26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.50.
53a.65a.72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\ di influsso semitico acquista il
significato avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica), per introdurre come
formula paratattica di passaggio una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra
unità narrativa.
z3@b*"H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z3@b*"H, –", Giuda; cf. Mc 3,19;
soggetto.
z3Fi"D4fh: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z3Fi"D4fh, –@L, Iscariota; cf.
Mc 3,19; apposizione di z3@b*"H.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
gÍH: agg. numerale, cardinale, nom. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; apposizione di
z3@b*"H. L’uso del numero cardinale gÍH al posto del pronome indefinito J\H, «uno»,
«qualcuno» o dell’articolo indeterminativo «uno», soprattutto nelle espressioni partitive, è un
semitismo. Ritroviamo questo fenomeno in Mc 5,22; 6,15; 8,28; 9,17.37.42; 10,17.37[x2];
12,28.42; 13,1; 14,10.18.20.43.47.66.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
*f*gi": agg. numerale, cardinale, di valore sostantivato, gen. plur. m., indecl., dodici, Dodici
(apostoli); cf. Mc 3,14; compl. partitivo. L’espressione «l’uno» dei Dodici (con l’articolo) è
dovuta a influsso semitico: si usa l’articolo per identificare una persona nota quando viene
menzionata per la prima volta (cf. Gn 42,32: $( I!G%I , ha) ’ehEa) d5, «l’uno», reso dai LXX con
Ò gÍH). Nella menzione successiva (cf. Mc 14,43) l’articolo è omesso.
•B­8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •BXDP@:"4 (da •B` e §DP@:"4), andare via,
partire; cf. Mc 1,20. In Mc 3,13 ci viene riferito che Giuda, assieme agli altri Dodici scelti
da Gesù, •B­8h@< BDÎH "ÛJ`<, «andarono da lui», per mettersi allo sua sequela. Adesso
con una significativa inclusione ci viene detto che egli •B­8hg< BDÎH J@×H •DP4gDgÃH,
«andò dai capi dei sacerdoti», per consegnarlo. L’uso di •BXDP@:"4 BD`H, con indicazione
della persona, ricorre soltanto in queste due ricorrenze.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
•DP4gDgÃH: sost., acc. plur. m. da •DP4gDgbH, –XTH (da •DPZ e ÊgDgbH), sommo sacerdote,
capo dei sacerdoti; cf. Mc 2,26; compl. di moto a luogo.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
B"D"*@Ã: (= B"D"*è) verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da B"D"*\*T:4 (da B"DV e
*\*T:4), consegnare, rimettere, dare (qualcuno) nelle mani (di un altro), consegnare
(qualcuno) al potere (di un altro), tradire; cf. Mc 1,14. Quale è stato il motivo storico di
Mc 14,11 935

questa «consegna»? Qui non viene esplicitamente riferito. In Mt 26,15 il movente del
tradimento di Giuda è l’avidità di denaro (cf. anche Gv 12,6): non così in Marco, secondo
il quale la ricompensa in denaro viene promessa a Giuda soltanto a seguito della decisione
di consegnare Gesù (cf. Mc 14,11). Altri parlano di un esasperato nazionalismo di stampo
zelota propugnato da Giuda, ma avversato da Gesù.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.

14,11 @Ê *¥ •i@bF"<JgH ¦PVD0F"< i" ¦B0((g\8"<J@ "ÛJè •D(bD4@< *@Ø<"4. i"Â


¦.ZJg4 BäH "ÛJÎ< gÛi"\DTH B"D"*@Ã.
14,11 Quelli, all’udirlo, si rallegrarono e promisero di dargli del denaro. Ed egli cercava
come farlo arrestare al momento opportuno.

@Ê: art. determ., con valore pronominale, nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5;
soggetto. Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale
"ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
•i@bF"<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. Participio predicativo del soggetto sottinteso @Ê
•DP4gDgÃH. Solitamente il verbo •i@bT è costruito con il genitivo della persona che si ode
e l’accusativo di ciò che si sente parlare: qui è senza complemento, come spesso avviene in
Marco (cf. Mc 2,17; 3,21; 4,15.33; 6,2.14.16.29; 10,41; 11,14.18; 14,11; 15,35).
¦PVD0F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. pass. da P"\DT, rallegrarsi, essere contento. Questo
verbo ricorre 74 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 6 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,033% del totale delle parole); 2 volte in Marco (cf. Mc 14,11; 15,18
= 0,018%); 12 volte in Luca (0,062%); 9 volte in Giovanni (0,058%). Nel greco classico
P"\DT esprime la generica sensazione di sentirsi felici e nell’uso assoluto equivale a
«rallegrarsi», «essere contento», «gioire» (cf. Omero, Il., 3,111; 21,347). L’importante uso
teologico che P"\DT assume in Luca, Giovanni e Paolo come invito alla gioia messianica
ed escatologica non è attestato in Marco, dove nelle due ricorrenze il verbo indica il generico
e profano «essere felici», «gioire», detto dei capi dei sacerdoti (cf. Mc 11,11) oppure viene
usato nella formula stereotipa di saluto O"ÃDg, «Salve!» (lat. Ave), riferita in tono sarcastico
a Gesù (cf. Mc 15,18).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦B0((g\8"<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. medio da ¦B"((X88T (da ¦B\ e –((g8@H),
annunciare, promettere, impegnarsi. Questo verbo semideponente ricorre 15 volte nel NT:
Mc 14,11 (hapax marciano); At 7,5; Rm 4,21; Gal 3,19; 1Tm 2,10; 6,21; Tt 1,2; Eb 6,13;
10,23; 11,11; 12,26; Gc 1,12; 2,5; 2Pt 2,19; 1Gv 2,23. Il verbo è usato spesso nel NT in
senso fortemente teologico, in riferimento alle promesse di salvezza da parte di Dio; qui ha
il significato profano di «promettere», «assicurare» (cf. Omero, Od., 4,775).
936 Mc 14,12

"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
•D(bD4@<: sost., acc. sing. n. da •D(bD4@<, –@L, argento, denaro; compl. oggetto. Il vocabolo
ricorre 20 volte nel NT: Mt 25,18.27; 26,15; 27,3.5.6.9; 28,12.15; Mc 14,11 (hapax
marciano); Lc 9,3; 19,15.23; 22,5; At 3,6; 7,16; 8,20; 19,19; 20,33; 1Pt 1,18. Senza articolo
perché generico. Analogamente all’uso classico il vocabolo può indicare nel NT sia
l’«argento» (cf. Erodoto, Hist., 3,13,4; Tucidide, Hist., 2,13,3; At 3,6), contrapposto all’oro
o ad altri materiali sia la «moneta d’argento», coniata con il metallo prezioso (cf. Senofonte,
Oecon., 19,16) sia in senso più generale la «moneta», il «denaro» (cf. Senofonte, Cyr.,
3,1,33). Nel nostro passo si può ulteriormente precisare l’identificazione di questa generica
moneta se teniamo presente che i sommi sacerdoti pagarono Giuda con delle monete
prelevate dal tesoro del Tempio, dove di preferenza vi erano depositati i sicli e i mezzi sicli
di Tiro (vedi commento a Mc 11,15). L’•D(bD4@< di Giuda, pertanto, può essere identificato
con valide ragioni storiche e numismatiche nel siclo di Tiro, la miglior moneta d’argento
circolante in quel tempo e in quella regione.
*@Ø<"4: verbo, inf. aor. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦.ZJg4: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da .0JXT, cercare (per trovare od ottenere), provare
a, tentare di; cf. Mc 1,37. Imperfetto durativo.
BäH: avv. interrogativo di modo, indecl., come?, in quale modo?, in che senso?, perché?; cf.
Mc 2,26. All’interno delle interrogative indirette l’avverbio BäH corrisponde alla congiunzio-
ne modale ÓBTH, «come», ossia, nel nostro caso, «il modo migliore». Il fenomeno è presente
in Mc 5,16; 11,18; 12,41; 14.1.11.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
gÛi"\DTH: avv. di modo, indecl., opportunamente, convenientemente. Il vocabolo ricorre 2
volte nel NT: Mc 14,11 (hapax marciano); 2Tm 4,2.
B"D"*@Ã: (= B"D"*è) verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da B"D"*\*T:4 (da B"DV e
*\*T:4), consegnare, rimettere, dare (qualcuno) nelle mani (di un altro), consegnare
(qualcuno) al potere (di un altro), tradire; cf. Mc 1,14.

14,12 5" J± BDfJ® º:XD‘ Jä< •.b:T<s ÓJg JÎ BVFP" §hL@<s 8X(@LF4< "ÛJè @Ê
:"h0J" "ÛJ@Øs A@Ø hX8g4H •Bg8h`<JgH ©J@4:VFT:g< Ë<" nV(®H JÎ BVFP"p
14,12 Il primo giorno della festa degli Azzimi, quando si immolava la vittima pasquale, i suoi
discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare
l’agnello di Pasqua?».

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
Mc 14,12 937

BDfJ®: agg. numerale, ordinale, dat. sing. f. da BDäJ@H, –0, –@<, primo, principale; cf. Mc
3,27; attributo di º:XD‘.
º:XD‘: sost., dat. sing. f. da º:XD", –"H, giorno; cf. Mc 1,9; compl. di tempo determinato.
Marco impiega il caso dativo con valore temporale 12 volte: Mc 1,21; 2,24; 3,2.4; 6,21;
11,12; 12,2; 14,12.30; 15,34; 16,2.9. Altrove, il dativo temporale è retto dalla preposizione
¦< (cf. Mc 1,9; 2,19.20.23; 4,35; 8,1; 10,30[x2]; 12,23; 13,11.17.24; 14,2; 15,7.29).
Jä<: art. determ., gen. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
•.b:T<: agg., gen. plur. n. da –.L:@H, –@L (da –8n" privativa e .b:0), senza lievito, azzimo;
cf. Mc 14,1; compl. di specificazione. Secondo questa indicazione temporale l’ultima cena
di Gesù con i suoi discepoli fu un vero banchetto pasquale (cf. Mc 14,12). Infatti si osservi:
Mc 14,12 colloca i preparativi al banchetto e la successiva cena il 14/ giorno di Nisan, il
giorno in cui i sacerdoti cominciavano a sacrificare gli agnelli nel Tempio. Secondo le regole
di Es 12, come erano in vigore al tempo di Gesù, gli agnelli pasquali venivano sacrificati nel
Tempio di Gerusalemme a partire dal pomeriggio del 14/ giorno del mese di Nisan. Es 12,6
stabilisce che tale uccisione deve aver luogo «tra le due sere», una espressione che significa
probabilmente «al crepuscolo serale». Nel I secolo d.C. in occasione della Pasqua, hb@LF4<
:¥< •BÎ ¦<VJ0H òD"H :XPD4H ©<*giVJ0H, «si offrivano sacrifici dall’ora nona fino
all’undicesima», ossia dalle ore 15 alle 17 circa (cf. Giuseppe Flavio, Bellum, 6,423). Es 12,8
stabilisce che gli agnelli pasquali devono essere mangiati «in quella notte», ossia dopo il
tramonto del giorno in cui gli agnelli venivano uccisi (in pratica alla sera del 14/ giorno di
Nisan).
ÓJg: cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, allorché, ogni volta che, mentre;
cf. Mc 1,32.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
BVFP": sost., acc. sing. n. da BVFP", Pasqua, pasto pasquale; cf. Mc 14,1; compl. oggetto.
§hL@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da hbT, sacrificare, immolare. Questo verbo ricorre 14
volte nel NT: Mt 22,4; Mc 14,12 (hapax marciano); Lc 15,23.27.30; 22,7; Gv 10,10; At
10,13; 11,7; 14,13.18; 1Cor 5,7; 10,20[x2]. Imperfetto durativo di valore impersonale. Nel
greco classico hbT è verbo tecnico usato nel significato di «sacrificare», «immolare», in
contesto cultuale; nella letteratura più antica il verbo viene riservato per designare
esclusivamente l’olocausto offerto agli dèi (cf. Omero, Il., 9,219). Analogamente ad altri
passi (cf. Lc 22,7; 1Cor 5,7) hbT indica qui l’immolazione dell’agnello pasquale non
soltanto in senso profano (uccidere, macellare), ma anche in quello cultuale (sacrificare,
offrire in sacrificio).
8X(@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
:"h0J"\: sost., nom. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; soggetto.
938 Mc 14,13

"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
A@Ø: avv. interrogativo, indecl., dove?, in quale luogo? Il vocabolo ricorre 52 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: 4 volte in Matteo (corrispondente allo 0,022% del
totale delle parole); 3 volte in Marco (cf. Mc 14,2.14; 15,47 = 0,027%); 7 volte in Luca
(0,036%); 19 volte in Giovanni (0,122%). Questo avverbio si trova in proposizioni
interrogative dirette e indirette per esprimere un significato di luogo o di moto a luogo.
hX8g4H: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da hX8T, volere, avere il proposito di; cf. Mc 1,40.
•Bg8h`<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da •BXDP@:"4 (da •B` e §DP@:"4), andare via,
partire; cf. Mc 1,20. Participio predicativo del soggetto sottinteso «noi», in riferimento a Gesù
e i discepoli.
©J@4:VFT:g<: verbo, 1a pers. plur. congiunt. aor. da ©J@4:V.T, preparare, apparecchiare,
rendere pronto; cf. Mc 1,3. Congiuntivo deliberativo.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
nV(®H: verbo, 2a pers. sing. congiunt. aor. da ¦Fh\T, mangiare, prendere cibo, consumare,
divorare; cf. Mc 1,6.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
BVFP": sost., acc. sing. n. da BVFP", Pasqua, pasto pasquale; cf. Mc 14,1; compl. oggetto.
L’espressione ¦Fh\T JÎ BVFP" significa «consumare l’agnello (il banchetto) pasquale».

14,13 i" •B@FJX88g4 *b@ Jä< :"h0Jä< "ÛJ@Ø i" 8X(g4 "ÛJ@ÃHs {KBV(gJg gÆH
J¬< B`84<s i" •B"<JZFg4 ß:Ã< –<hDTB@H igDV:4@< à*"J@H $"FJV.T<·
•i@8@LhZF"Jg "ÛJè
14,13 Allora egli mandò due dei suoi discepoli dicendo loro: «Andate in città: vi verrà
incontro un tale con una brocca d’acqua. Seguitelo,

i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.21.
26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.50.
53a.65a.72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\ di influsso semitico acquista il
significato avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica), per introdurre come
formula paratattica di passaggio una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra
unità narrativa.
•B@FJX88g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da •B@FJX88T (•B` e FJX88@:"4), inviare,
mandare; cf. Mc 1,2. Presente storico.
Mc 14,13 939

*b@: agg. numerale, cardinale, di valore sostantivato, acc. plur. m. da *b@ (gen. *b@, dat. *LF\<,
acc. *b@), due; cf. Mc 6,7; compl. oggetto.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
:"h0Jä<: sost., gen. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; compl. partitivo.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. La formula redazionale 8X(g4
"ÛJ@ÃH ricorre 25 volte, esclusivamente riservata a Gesù (cf. Mc 1,38; 2,8.17.25; 3,4;
4,13.35; 5,39; 6,31.38.50; 7,18; 8,17; 9,35; 10,11.24.42; 11,2.22.33; 12,16; 14,13.27.34.41).
Per quanto riguarda la formula singolare 8X(g4 "ÛJè, avente come soggetto Gesù, cf. Mc
1,41.44; 2,14; 5,9.19; 7,34; per 8X(g4 "ÛJ±, cf. Mc 5,41.
{KBV(gJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da ßBV(T (da ßB` e –(T), andare giù,
ritirarsi, andare via, partire; cf. Mc 1,44.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B`84<: sost., acc. sing. f. da B`84H, –gTH, città, villaggio; cf. Mc 1,33; compl. di moto a luogo.
La «città» per antonomasia è quella più famosa e già ricordata, ossia Gerusalemme (cf. Mc
11,19).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•B"<JZFg4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. da •B"<JVT (da •B` e una parola derivata da •<J\),
andare incontro, incontrare. Questo verbo ricorre 2 volte nel NT: Mc 14,3 (hapax
marciano); Lc 17,12. Nella grecità il verbo •B"<JVT assume il significato generico di
«andare» o «venire» incontro (cf. Erodoto, Hist., 8,9,1; Tucidide, Hist., 2,20,3; Polibio, Hist.,
4,26,5).
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine.
–<hDTB@H: sost., nom. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17;
soggetto. Senza articolo perché generico.
igDV:4@<: sost., acc. sing. n. da igDV:4@<, –@<, anfora, brocca; compl. oggetto. Il vocabolo
ricorre 2 volte nel NT: Mc 14,13 (hapax marciano); Lc 22,10. Senza articolo perché
generico. Nella grecità il sostantivo igDV:4@< indica un generico «vaso» o «giara» di
terracotta per il trasporto di liquidi (cf. Erodoto, Hist., 3,6,1; Senofonte, Anab., 6,1,15).
940 Mc 14,14

à*"J@H: sost., gen. sing. n. da à*TD, à*"J@H, acqua; cf. Mc 1,8; compl. di specificazione.
Quando il nome reggente è privo di articolo (come qui) anche il genitivo dipendente ne è
solitamente sprovvisto. La scena di un uomo che porta un vaso d’acqua non deve sembrare
inconsueta: nel mondo orientale era solitamente la donna a procurare l’acqua per i bisogni
domestici, ma qui si tratta di un servo del padrone di casa o più probabilmente di un
acquaiolo, ossia di un operaio incaricato del trasporto di acqua per fini commerciali.
Secondo Giuseppe Flavio esisteva un vero e proprio commercio d’acqua a Gerusalemme,
soprattutto nelle festività e nei periodi di siccità: «Prima del suo arrivo [di Tito], la fonte di
Siloe si era prosciugata, come tutte le altre situate in città, così che la gente era costretta a
comperare l’acqua ad anfore» (Giuseppe Flavio, Bellum, 5,410). In occasione delle grandi
festività, in particolare quella di Pasqua, il consumo di acqua a Gerusalemme aumentava
enormemente a causa della presenza di migliaia di pellegrini.
$"FJV.T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da $"FJV.T, portare. Questo verbo ricorre 27
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 3,11; 8,17; 20,12; Mc 14,13
(hapax marciano); Lc 7,14; 10,4; 11,27; 14,27; 22,10; Gv 10,31; 12,6; 16,12; 19,17; 20,15.
Participio predicativo del soggetto –<hDTB@H. Analogamente al greco profano (cf. Sofocle,
Elect., 1129; Euripide, Alc., 19) il verbo $"FJV.T è usato nel NT sia nel significato letterale
proprio di «portare», «trasportare», in senso fisico (un oggetto, un corpo, ecc.) sia in quello
traslato di «portare» o «sopportare» (cf. Metodio di Olimpio, Symp., 5,7,129): le infermità (cf.
Mt 8,17), la fatica della giornata (cf. Mt 20,12), la croce, in senso etico (cf. Lc 14,27), il
giudizio (cf. Gal 5,10), i difetti dei deboli (cf. Rm 15,1), la verità (cf. Gv 16,12), i malvagi
(cf. Ap 2,2).
•i@8@LhZF"Jg: verbo, 2a pers. plur. imperat. aor. da •i@8@LhXT, seguire, accompagnare,
mettersi dietro; cf. Mc 1,18.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.

14,14 i" ÓB@L ¦< gÆFX8h® gÇB"Jg Jè @Æi@*gFB`J® ÓJ4 {? *4*VFi"8@H 8X(g4s
A@Ø ¦FJ4< JÎ i"JV8L:V :@L ÓB@L JÎ BVFP" :gJ Jä< :"h0Jä< :@L nV(Tp
14,14 e là dove entrerà riferite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia sala in
cui io possa mangiare l’agnello di Pasqua con i miei discepoli?”.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


ÓB@L: (da ÓH e B@Ø), avv. di luogo, indecl., dove, nel luogo in cui; cf. Mc 2,4.
¦V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
gÆFX8h®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare,
venire dentro, recarsi, andare; cf. Mc 1,21.
gÇB"Jg: verbo, 2a pers. plur. imperat. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7.
Mc 14,14 941

Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
@Æi@*gFB`J®: sost., dat. sing. m. da @Æi@*gFB`J0H, –@L (da @Éi@H e *gFB`J0H), padrone
di casa; compl. di termine. Il vocabolo ricorre 12 volte nel NT: Mt 10,25; 13,27.52; 20,1.11;
21,33; 24,43; Mc 14,14 (hapax marciano); Lc 12,39; 13,25; 14,21; 22,11. Il sostantivo, di
formazione ellenistica, indica nella grecità il «padrone di casa», lat. paterfamilias.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
{?: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*4*VFi"8@H: sost., nom. sing. m. da *4*VFi"8@H, –@L, maestro, insegnante; cf. Mc 4,38;
soggetto.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7.
A@Ø: avv. interrogativo, indecl., dove?, in quale luogo?; cf. Mc 14,12.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
i"JV8L:V: sost., nom. sing. n. da i"JV8L:", –J@H, locanda, alloggio, sala; soggetto. Il
vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mc 14,14 (hapax marciano); Lc 2,7; 22,11. Il sostantivo
i"JV8L:", di formazione ellenistica, indica il generico «alloggio» (cf. Polibio, Hist., 2,36,1;
Diodoro Siculo, Bibl., 14,93,5). Secondo le prescrizioni della riforma di Giosia la cena
pasquale doveva essere consumata nei cortili esterni del Tempio (cf. Dt 16,5–7; 2Cr
30,1–5.15), ma ai tempi di Gesù per l’aumentato numero della popolazione ciò non era più
possibile e la Pasqua veniva celebrata nelle case o addirittura nei cortili, sulle terrazze e in
altri locali di Gerusalemme.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).
ÓB@L: (da ÓH e B@Ø), avv. di luogo, indecl., dove, nel luogo in cui; cf. Mc 2,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
BVFP": sost., acc. sing. n. da BVFP", Pasqua, pasto pasquale; cf. Mc 14,1; compl. oggetto.
:gJV: prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con, insieme a, in
compagnia di; cf. Mc 1,13.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
:"h0Jä<: sost., gen. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; compl. di compagnia.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
942 Mc 14,15

appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).
nV(T: verbo, 1a pers. sing. congiunt. aor. da ¦Fh\T, mangiare, prendere cibo, consumare,
divorare; cf. Mc 1,6. Congiuntivo deliberativo.

14,15 i" "ÛJÎH ß:Ã< *g\>g4 •<V("4@< :X(" ¦FJDT:X<@< ªJ@4:@<· i" ¦igÃ
©J@4:VF"Jg º:Ã<.
14,15 Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì
preparate per noi».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


"ÛJ`H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., nom. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,8; soggetto.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine.
*g\>g4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. da *g\i<L:4, mostrare, far vedere, indicare, provare; cf.
Mc 1,44.
•<V("4@<: sost., acc. sing. n. da •<V("4@<, –@L, piano superiore, salone superiore; compl.
oggetto. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mc 14,15 (hapax marciano); Lc 22,12. Senza
articolo perché generico. Nel greco classico prevale la forma dorica •<f("4@< / •<`i"4@<
(cf. Senofonte, Anab., 5,4,29): si tratta del «magazzino» che nelle abitazioni dell’area
mediterranea corrispondeva a una stanza coperta, generalmente collocata nel piano superiore
della casa, dove si riponevano frutta e cereali.
:X(": agg. indefinito, acc. sing. n. da :X("H, :g(V80, :X(", grande; cf. Mc 1,26; attributo di
•<V("4@<.
¦FJDT:X<@<: verbo, acc. sing. n. part. perf. pass., con valore aggettivale, da FJDf<<L:4,
spargere, cospargere, distendere, riordinare; cf. Mc 11,8; attributo di •<V("4@<. Il verbo,
lett. «addobbata con tappeti», fa riferimento al costume orientale che prevedeva, in
occasione di banchetti di una certa solennità, di consumare i pasti seduti o distesi su divani
e tappeti, alla moda ellenistica (cf. Mc 14,18). L’antica prescrizione contenuta in Es 12,11,
che imponeva di consumare il pasto pasquale con il bastone in mano e i sandali ai piedi per
essere pronti a una immediata partenza, con il passare degli anni si era attenuata e nel I
secolo d.C. non era praticamente più rispettata.
ªJ@4:@<: agg. qualificativo, acc. sing. n. da ªJ@4:@H, –@<, preparato, pronto, arredato;
attributo di •<V("4@<. Il vocabolo ricorre 17 volte nel NT: Mt 22,4.8; 24,44; 25,10; Mc
14,15 (hapax marciano); Lc 12,40; 14,17; 22,33; Gv 7,6; At 23,15.21; 2Cor 9,5; 10,6.16; Tt
3,1; 1Pt 1,5; 3,15. A partire da Omero l’aggettivo ªJ@4:@H è usato nel significato di
«pronto», «preparato», «disponibile», detto di cose o eventi presenti o futuri (cf. Omero, Il.,
18,96; Od., 14,453; Erodoto, Hist., 1,10,1). Oltre che a persone ªJ@4:@H è usato nel NT in
riferimento a cose o realtà inanimate, per indicare che sono nelle condizioni opportune per
essere adoperate e servire allo scopo.
Mc 14,16 943

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦igÃ: avv. di luogo, indecl., là, lì, in quel posto; cf. Mc 1,38.
©J@4:VF"Jg: verbo, 2a pers. plur. imperat. aor. da ©J@4:V.T, preparare, apparecchiare,
rendere pronto; cf. Mc 1,3.
º:Ã<: pron. personale di 1a pers. dat. plur. da º:gÃH (gen. º:ä<, dat. º:Ã<, acc. º:H), noi;
cf. Mc 1,24; compl. di vantaggio.

14,16 i"Â ¦>­8h@< @Ê :"h0J"Â i"Â µ8h@< gÆH J¬< B`84< i"Â gâD@< i"hãH gÉBg<
"ÛJ@ÃH i"Â ºJ@\:"F"< JÎ BVFP".
14,16 I discepoli andarono ed entrati in città trovarono come aveva detto loro e prepararono
la cena di Pasqua.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦>­8h@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori, uscire;
cf. Mc 1,25.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
:"h0J"\: sost., nom. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
µ8h@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B`84<: sost., acc. sing. f. da B`84H, –gTH, città, villaggio; cf. Mc 1,33; compl. di moto a luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
gâD@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da gßD\FiT, trovare, incontrare; cf. Mc 1,37.
i"hfH: cong. modale, indecl., come, secondo quanto; cf. Mc 1,2.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
ºJ@\:"F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da ©J@4:V.T, preparare, apparecchiare, rendere
pronto; cf. Mc 1,3.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
BVFP": sost., acc. sing. n. da BVFP", Pasqua, pasto pasquale; cf. Mc 14,1; compl. oggetto.
944 Mc 14,17–18

14,17 5" ÏR\"H (g<@:X<0H §DPgJ"4 :gJ Jä< *f*gi".


14,17 Venuta la sera egli arrivò con i Dodici.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


ÏR\"H: sost., gen. sing. f. da ÏR\", –"H (da ÏRX), sera, vespero, serata; cf. Mc 1,32.
(g<@:X<0H: verbo, gen. sing. f. part. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4. Participio al genitivo assoluto. La frase
ÏR\"H (g<@:X<0H appare nella forma detta “genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con
valore temporale. Circa la data di questa cena pasquale vedi commento a Mc 14,18. Come
detto nel commento a Mc 14,12.18, la cena pasquale consumata da Gesù con i Dodici si
svolse la sera del giovedì 14 Nisan (ossia, secondo il computo ebraico, l’inizio di venerdì 15
Nisan), secondo le disposizioni stabilite dalla legge. La Mishnah ricorda che «l’agnello
pasquale non si mangia se non di notte e fino alla mezzanotte, soltanto dalle persone in
numero precedentemente stabilito ed esclusivamente arrostito sulla brace» (m.Zeb., 5,8).
§DPgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Presente storico.
:gJV: prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con, insieme a, in
compagnia di; cf. Mc 1,13.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
*f*gi": agg. numerale, cardinale, di valore sostantivato, gen. plur. m., indecl., dodici, Dodici
(apostoli); cf. Mc 3,14; compl. di compagnia.

14,18 i" •<"ig4:X<T< "ÛJä< i" ¦Fh4`<JT< Ò z30F@ØH gÉBg<s z!:¬< 8X(T ß:Ã<
ÓJ4 gÍH ¦> ß:ä< B"D"*fFg4 :g Ò ¦Fh\T< :gJz ¦:@Ø.
14,18 Ora, mentre erano a tavola e mangiavano, Gesù disse: «In verità io vi dico: uno di
voi, uno che mangia con me, mi tradirà!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•<"ig4:X<T<: verbo, gen. plur. m. part. pres. medio da •<Vig4:"4 (da •<V e igÃ:"4),
sdraiarsi a tavola, mangiare insieme, banchettare, cenare, pranzare; cf. Mc 6,26. Participio
al genitivo assoluto. L’etimologia del verbo (dal prefisso •<"–, «su», «sopra» e igÃ:"4,
«giacere», «stare») esprime molto bene il significato corrispondente: quello di «giacere
sdraiato», «giacere su» (sott. il triclinio; lat. triclinium, gr. JD\i84<@H), per prendere i pasti
a tavola, alla maniera greco–romana. Tale usanza è descritta in Marco con i verbi i"JVig4-
:"4 (cf. Mc 2,15), FL<"<Vig4:"4 (cf. Mc 2,15; 6,22), •<Vig4:"4 (cf. Mc 6,26; 14,18;
16,14), •<"i8Ã<"4 (cf. Mc 6,39), •<"B\BJT (cf. Mc 6,40; 8,6). A seguito della diffusione
della cultura greco–romana anche nell’area mediterranea era invalso l’uso di prendere i pasti
solenni su un fianco, sdraiati sopra particolari divani, come ci informa un passo della
Mishnah: «Nella vigilia di Pasqua, da quando si avvicina il tempo di offrire il sacrificio
vespertino, non è permesso mangiare finché non si fa buio. Persino il più povero in Israele
non deve mangiare finché non si è steso sul divano sul fianco sinistro…» (m.Pesah., 10,1).
Mc 14,18 945

L’usanza romana prevedeva che attorno a una tavola quadrata, di cui un lato restava libero
per il servizio, erano disposti tre lunghi divani inclinati (triclinia) sui quali i commensali si
adagiavano con il fianco e il gomito sinistro appoggiati ai cuscini sottostanti: «Ad mensam
accumbere veteres solebant ita, ut superiore parte corporis in cubitum sinistrum reclinata,
inferiore in longum porrecta, capite leviter erecto in lectulo prope mensam positio iacerent»
(Franciscus Zorell). Ognuno dei lunghi divani conteneva generalmente tre posti, distinti da
cuscini separati. I posti erano gerarchicamente assegnati: i migliori erano quelli che non
avevano nessuno di fronte, ossia i tre della tavola centrale. Tra essi il posto d’onore o
“consolare” era quello di destra. Seguiva il divano collocato a sinistra del precedente. Era
frequente il caso che a una tavola quadrata si preferisse una tavola rotonda e di conseguenza
al posto di tre lunghi letti c’era un unico divano che disegnava intorno alla tavola un arco di
cerchio o come allora si diceva la sagoma di un sigma anulare, lo stibadium, in cui i
personaggi più importanti occupavano le estremità. Non sappiamo se, nell’occasione, Gesù
e i Dodici si siano disposti a tavola seguendo questa moda greco–romana oppure più
verosimilmente se essi abbiano seguito l’usanza giudaica di disporsi attorno alle vivande
sedendo su cuscini, tappeti o bassi sgabelli.
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦Fh4`<JT<: verbo, gen. plur. m. part. pres. da ¦Fh\T, mangiare, prendere cibo, consumare,
divorare; cf. Mc 1,6. Participio al genitivo assoluto. La frase •<"ig4:X<T< "ÛJä< i"Â
¦Fh4`<JT< appare nella forma detta “genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore
temporale. Secondo l’indicazione temporale presente in Mc 14,12 (e Mc 14,1) l’ultima cena
di Gesù con i suoi discepoli fu un vero banchetto pasquale. Infatti osserviamo: Mc 14,12
colloca i preparativi al banchetto al mattino del 14/ giorno di Nisan (corrispondente a giovedì
6 aprile secondo il nostro computo moderno), il giorno in cui i sacerdoti cominciavano a
sacrificare gli agnelli nel Tempio e la successiva cena alla sera del 14/ giorno di Nisan, che
però, secondo il computo del sistema ebraico, corrisponde già all’inizio del 15/ di Nisan
(ossia a venerdì 7 aprile).
Secondo la legislazione presente in Es 12, come era in vigore al tempo di Gesù, gli
agnelli pasquali venivano sacrificati nel Tempio di Gerusalemme a partire dal pomeriggio del
14/ giorno del mese di Nisan. Il passo di Es 12,6 stabilisce che tale uccisione deve aver luogo
«tra le due sere», una espressione che significa probabilmente «al crepuscolo serale». Nel I
secolo d.C. il sacrificio cominciava verso le ore 15 del pomeriggio (cf. Giuseppe Flavio,
Bellum, 6,423; vedi commento a Mc 14,12). Stando a Es 12,8 ogni agnello pasquale «senza
difetto, maschio, nato in quell’anno, scelto tra le pecore o tra le capre» (Es 12,5) doveva
essere mangiato «in quella notte», ossia dopo il tramonto del giorno in cui gli agnelli
venivano uccisi (in pratica alla sera del 14/ giorno di Nisan, che è l’inizio del nuovo giorno,
il 15/ di Nisan). In sostanza: la cena di Gesù con i suoi discepoli si svolse il 14/ giorno di
Nisan, il giorno della vigilia (preparazione) alla Pasqua, secondo il computo liturgico
giudaico. Raccogliendo i dati cronologici e gli altri riferimenti che ritroviamo disseminati nei
capitoli 14–15 del vangelo di Marco possiamo ricostruire con buona approssimazione le ore
946 Mc 14,18

della passione di Gesù — che Marco struttura in segmenti di tre ore — cominciando
dall’ultima cena e terminando alla sepoltura. Eccone un prospetto riassuntivo:

14 Nisan [giovedì]
mattino: preparazione per la Pasqua (cf. Mc 14,12–16).
ore 18,00: [secondo il computo ebraico si entra nel nuovo giorno, ossia venerdì 15
Nisan]: predizione riguardo a Giuda (cf. Mc 14,17–21); ultima Cena (cf.
Mc 14,17–26)
ore 21,00: predizione riguardo a Pietro (cf. Mc 14,26–31); Getsemani (cf. Mc
14,32–42).

15 Nisan [venerdì]
ore 24,00: consegna di Gesù (cf. Mc 14,41–53); interrogatorio davanti al sinedrio (cf.
Mc 14,53–65); primi due rinnegamenti di Pietro (cf. Mc 14,54.66–70).
ore 3,00: terzo rinnegamento di Pietro (cf. Mc 14,70–72)
ore 6,00: processo davanti a Pilato (cf. Mc 15,1–15); Via Crucis (cf. Mc 15,16–
23).
ore 9,00–10,00: crocifissione (cf. Mc 15,24–25).
ore 12,00: inizia il buio (cf. Mc 15,33).
ore 15,00: finisce il buio, morte di Gesù (cf. Mc 15,33–39).
ore 18,00: sepoltura di Gesù (cf. Mc 15,42–47). [Inizio del nuovo giorno, sabato 16
Nisan]

Per quanto riguarda lo svolgimento della cena pasquale ecco le disposizioni che
ritroviamo nella Mishnah (redatta attorno al 200 d.C.):

«Nella vigilia di Pasqua, poco prima dell’ora dell’offerta del sacrificio vespertino non si può
più mangiare finché non fa buio. Anche il più povero in Israele non deve mangiare finché
non si è disteso sul divano; e non deve avere meno di quattro bicchieri di vino, anche se si
deve servire dal piatto comune. Si versa [al capofamiglia] il primo bicchiere: secondo la
scuola di Shammai si deve prima pronunciare la benedizione relativa alla santificazione della
festa, poi quella sul vino. La scuola di Hillel, invece, insegna: Prima viene la benedizione sul
vino e dopo quella relativa alla santificazione della festa. Quindi gli portano [le verdure] ed
egli intinge con la lattuga, fino al momento in cui viene portato il pane azzimo. Gli portano,
quindi, i pani azzimi, la lattuga, la salsa di frutta e due pietanze cucinate, anche se la salsa
di frutta non è obbligatoria […]. Al tempo in cui esisteva il sacro Tempio si portava il
sacrificio pasquale stesso. Quindi gli versano il secondo bicchiere e allora il figlio fa la
domanda al padre; e se il figlio non è ancora abbastanza preparato, il padre lo istruisce:
“Perché questa sera si distingue da tutte le altre sere? In tutte le altre sere noi possiamo
mangiare pane fermentato e azzimo, ma in questa sera soltanto azzimo. In tutte le altre sere
possiamo mangiare ogni specie di verdura, ma in questa sera soltanto erbe amare. In tutte le
altre sere possiamo mangiare carne arrostita, bollita o lessa, ma in questa sera soltanto
arrostita. In tutte le altre sere noi intingiamo una sola volta, ma in questa sera due volte”. In
Mc 14,18 947

base alla preparazione del figlio il padre lo istruisce. Comincia dagli aspetti negativi e finisce
con quelli positivi e gli spiega il passo che inizia con le parole: “Il mio antenato era un
arameo errante…”, fino al termine di tutto il brano […]. Gli versano, quindi, il terzo bicchiere
ed egli recita la benedizione dopo il pasto; con il quarto [bicchiere] finisce la recita dell’Hallel
e subito dopo recita anche la benedizione di chiusura del cantico. Tra un bicchiere e l’altro,
se vuole, può bere; fra il terzo e il quarto, però, non deve bere. Dopo aver mangiato il
sacrificio pasquale non si porta altra pietanza» (m.Pesah., 10,1–4.7–8).

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
z!:Z<: avv. di modo, indecl., così è, così sia, in verità, certamente, veramente, «amen»; cf. Mc
3,28. Questa solenne formula introduttiva compare in Mc 3,28; 8,12; 9,1.41; 10,15.29; 11,23;
12,43; 13,30; 14,9.18.25.30. Per quanto riguarda il significato vedi commento a Mc 3,28.
8X(T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. La forma verbale 8X(T ricorre in Mc 20 volte (cf. Mc 2,11; 3,28; 5,41; 8,12;
9,1.13.41; 10,15.29; 11,23.24.33; 12,43; 13,30.37[x2]; 14,9.18.25.30): essa è usata soltanto
da Gesù, ossia è esclusivamente Gesù che parla del proprio parlare e ne sottolinea la forza,
l’insistenza e la validità. In particolare la formula •:¬< 8X(T ß:Ã< / F@4 (cf. Mc 3,28; 8,12;
9,1.41; 10,15.29; 11,23; 12,43; 13,30; 14,9.18.25.30) esprime il carattere solenne e
irrefutabile di quanto affermato da Gesù.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
gÍH: agg. numerale, cardinale, nom. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; soggetto. L’uso
del numero cardinale gÍH al posto del pronome indefinito J\H, «uno», «qualcuno» o
dell’articolo indeterminativo «uno», soprattutto nelle espressioni partitive, è un semitismo.
Ritroviamo questo fenomeno in Mc 5,22; 6,15; 8,28; 9,17.37.42; 10,17.37[x2]; 12,28.42;
13,1; 14,10.18.20.43.47.66.
¦>: (= ¦i), prep. propria con valore partitivo, seguita dal genitivo, indecl., tra, di; cf. Mc 1,10.
ß:ä<: pron. personale di 2a pers. gen. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi;
cf. Mc 2,8; compl. partitivo.
B"D"*fFg4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. da B"D"*\*T:4 (da B"DV e *\*T:4), consegnare,
rimettere, dare (qualcuno) nelle mani (di un altro), consegnare (qualcuno) al potere (di un
altro), tradire; cf. Mc 1,14.
:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,40; compl. oggetto.
948 Mc 14,19

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
¦Fh\T<: verbo, nom. sing. m. part. pres., di valore sostantivato, da ¦Fh\T, mangiare, prendere
cibo, consumare, divorare; cf. Mc 1,6; soggetto. L’espressione di Gesù, «uno di voi, uno che
mangia con me, mi tradirà», viene solitamente accostata al Sal 41,10: «Anche l’amico in cui
confidavo, anche lui che mangiava il mio pane alza contro di me il suo calcagno».
:gJz: (= :gJV), prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con,
insieme a, in compagnia di; cf. Mc 1,13.
¦:@Ø: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc.
¦:X/:g), io, me; cf. Mc 7,6; compl. di compagnia.

14,19 ³D>"<J@ 8LBgÃFh"4 i" 8X(g4< "ÛJè gÍH i"J gÍHs 9ZJ4 ¦(fp
14,19 Cominciarono a rattristarsi e a dirgli, uno dopo l’altro: «Sono forse io?».

³D>"<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. medio da –DPT, dare inizio, cominciare; cf. Mc 1,45.
La frase ³D>"J@ / ³D>"<J@ seguita da un infinito come complemento è usata da Marco 26
volte (cf. Mc 1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32; 10,28.32.41.47; 11,15; 12,1;
13,5; 14,19.33.65.69.71; 15,8.18). La frequenza di questa formula è dovuta probabilmente
a influsso semitico: quasi sempre equivale a una perifrasi nella quale il verbo –DPT di
valore pleonastico può essere omesso, mentre l’infinito dipendente viene reso con la 3a
persona dell’indicativo aoristo o imperfetto corrispondente.
8LBgÃFh"4: verbo, inf. pres. pass. da 8LBXT, addolorare, rattristare, soffrire; cf. Mc 10,22.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8X(g4<: verbo, inf. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc 1,7.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
gÍH: agg. numerale, cardinale, nom. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7.
i"JV: prep. propria di valore distributivo in espressione idiomatica, indecl., a; cf. Mc 1,27.
gÍH: agg. numerale, cardinale, nom. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7. L’espressione gÍH
i"J gÍH, probabilmente dovuta a influsso semitico, equivale alle locuzioni avverbiali
italiane «uno a uno», «uno dopo l’altro», «uno alla volta». La formula corrisponde alla più
usuale «< i"hz ª< (cf. Ap 4,8).
9ZJ4: avv. interrogativo che richiede risposta negativa, indecl., forse che…? forse…?; cf. Mc
4,21.
¦(f: pron. personale di 1a pers. nom. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc.
¦:X/:g), io, me; cf. Mc 1,8; soggetto. L’assenza del verbo «essere» dopo :ZJ4 ¦(f (lett.
«forse io?») conferma la fedeltà di Marco alla tradizione aramaica soggiacente (cf. Mt 26,22:
:ZJ4 ¦(f gÆ:4), poiché in aramaico come in ebraico l’interrogativo è formulato senza l’uso
del verbo.
Mc 14,20 949

14,20 Ò *¥ gÉBg< "ÛJ@ÃHs gÍH Jä< *f*gi"s Ò ¦:$"BJ`:g<@H :gJz ¦:@Ø gÆH JÎ
JDb$84@<.
14,20 Ed egli disse loro: «Uno dei Dodici, uno che mette con me la mano nella scodella.

Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
gÍH: agg. numerale, cardinale, nom. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; soggetto. L’uso
del numero cardinale gÍH al posto del pronome indefinito J\H, «uno», «qualcuno» o
dell’articolo indeterminativo «uno», soprattutto nelle espressioni partitive, è un semitismo.
Ritroviamo questo fenomeno in Mc 5,22; 6,15; 8,28; 9,17.37.42; 10,17.37[x2]; 12,28.42;
13,1; 14,10.18.20.43.47.66.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
*f*gi": agg. numerale, cardinale, gen. plur. m., indecl., dodici, Dodici (apostoli); cf. Mc 3,14;
compl. partitivo.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
¦:$"BJ`:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. pres. medio, di valore sostantivato, da ¦:$VBJT (da
¦< e $VBJT), immergere, intingere; soggetto. Questo verbo ricorre 2 volte nel NT: Mt
26,23; Mc 14,20 (hapax marciano). In conformità al significato etimologico il verbo
¦:$VBJT è usato nella grecità nel senso di «immergere», «intingere» (cf. Aristofane, Nub.,
150).
:gJz: (= :gJV), prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con,
insieme a, in compagnia di; cf. Mc 1,13.
¦:@Ø: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc.
¦:X/:g), io, me; cf. Mc 7,6; compl. di compagnia.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
JDb$84@<: sost., acc. sing. n. da JDb$84@<, –@<, coppa, piatto, scodella; compl. di moto a
luogo. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mt 26,23; Mc 14,20 (hapax marciano). Nella
grecità il sostantivo JDb$84@< indica la generica «coppa» o «scodella» (cf. Aristofane, Ves.,
937; Achar., 278; Es 25,29). Si tratta molto probabilmente non del piatto piano, ma del
comune contenitore di salsa di frutta, aromatizzata con vino o aceto (eb. ;2 G |9(C , hEa7 rôse5t ),
nel quale erano predisposte le erbe amare per il pasto pasquale. I commensali si servivano
liberamente a questo unico contenitore rotondo per intingere il pane.
950 Mc 14,21

14,21 ÓJ4 Ò :¥< LÊÎH J@Ø •<hDfB@L ßBV(g4 i"hãH (X(D"BJ"4 BgD "ÛJ@Øs @Û"Â
*¥ Jè •<hDfBå ¦ig\<å *4z @â Ò LÊÎH J@Ø •<hDfB@L B"D"*\*@J"4· i"8Î<
"ÛJè gÆ @Ûi ¦(g<<Zh0 Ò –<hDTB@H ¦igÃ<@H.
14,21 Certo, il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a quel tale per mezzo
del quale il Figlio dell’uomo è tradito! Sarebbe meglio per quell’uomo se non fosse
mai nato!».

ÓJ4: cong. subordinativa di valore causale, indecl., poiché, perché, siccome; cf. Mc 1,15. Si può
intendere: «Questo avviene perché il Figlio dell’uomo…» oppure, in forma affermativa:
«Certo, il Figlio dell’uomo…».
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
:X<: particella primaria usata in correlazione al *X seguente, indecl., da una parte… dall’altra,
certo… tuttavia, mentre… invece, come… così; cf. Mc 4,4. Nella traduzione spesso può
essere omessa.
LÊ`H: sost., nom. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; soggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•<hDfB@L: sost., gen. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di specificazione.
ßBV(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da ßBV(T (da ßB` e –(T), andare giù, ritirarsi,
andare via, partire; cf. Mc 1,44. L’espressione «andare via» è qui un eufemismo per
«morire»: è un uso diverso da quello dello stesso verbo per indicare il ritorno al Padre in Gv
8,1; 14,28. Il verbo presenta in ogni caso una sfumatura teologica, poiché si riferisce in
termini di contrapposizione al verbo §DP@:"4, «venire», usato talvolta da Marco non in
senso meramente fisico spaziale, ma in riferimento alla missione di Gesù, il quale dice di sé
stesso di «essere venuto» a chiamare i peccatori (cf. Mc 2,17) e di «essere venuto» a servire
(cf. Mc 10,45; cf. Mc 1,38; 2,17; 9,7; 10,45; cf. anche Gv 8,42; 13,3; 16,27; 17,8). Adesso,
al termine della sua missione sulla terra, Gesù dice di sé stesso che «deve andar via»
(ßBV(T): si tratta dello stesso verbo usato da Giovanni con significato “teologico” per
esprimere il ritorno di Gesù al Padre (cf. Gv 7,35; 8,14; 16,5).
i"hfH: cong. modale, indecl., come, secondo quanto; cf. Mc 1,2.
(X(D"BJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. pass. da (DVnT, scrivere; cf. Mc 1,2. L’espressione
«è scritto» è la tipica formula marciana per l’adempimento delle profezie anticotestamentarie,
a volte seguita da una citazione esplicita (cf. Mc 1,2; 7,6; 11,17; 14,27), altre volte per
indicare sotto forma di allusione quanto nell’AT venne scritto sotto ispirazione divina (cf. Mc
9,12.13; 14,21; [14,49]).
BgD\: prep. propria con valore di argomento, seguita dal genitivo, indecl., intorno a, riguardo
a, nei confronti di, circa; cf. Mc 1,6.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di termine. Secondo il detto di Gesù riportato
da Marco le sofferenze e la morte del Figlio dell’uomo sono fondate su ciò che «sta scritto»:
è difficile, tuttavia, trovare un preciso riferimento a questa affermazione, poiché nelle
Mc 14,21 951

Scritture ebraiche non esiste un testo che parli esplicitamente del Figlio dell’uomo sofferente,
soppresso mediante una morte violenta. Eppure questa convinzione era ampiamente
condivisa nella Chiesa primitiva, come espressamente riferisce Paolo in 1Cor 15,3–4: «Vi
ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo
le Scritture (i"J JH (D"nVH), fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le
Scritture (i"J JH (D"nVH)».
@Û"\: interiez. propria con valore di minaccia e dolore, indecl., guai!; cf. Mc 13,17. Il genere
letterario di minaccia, presente nella formula esclamativa stereotipa «Guai a…!», ha il suo
modello nei discorsi di condanna dei profeti dell’AT. Queste caratteristiche espressioni non
vanno intese come semplici grida di ammonizione o generici inviti al pentimento:
esprimono un concetto ancora più forte e definitivo perché chi ne è colpito è ritenuto escluso
dalla salvezza e condannato a una eterna rovina se continua a persistere nel suo atteggiamen-
to. Esempi di questo genere letterario abbiamo nella sezione di Is 5,8–22 e in Ab 2,6–19 (cf.
anche Is 10,5; 30,1; Am 5,18; 6,1). Sembra dunque esageratamente riduttivo, a proposito del
«Guai!» che Gesù lancia contro «colui che tradisce il Figlio dell’uomo» (cf. Mc 14,21; Mt
26,24; Lc 22,22), parlare di forma letteraria redazionale, di espressione stereotipa oppure di
espressione coniata dalla comunità primitiva: ci sono motivi sufficienti per attribuire questa
grave minaccia al Gesù della storia. Non si deve dimenticare, infatti, che lo stesso Gesù in
altri contesti e contro altri destinatari rivolge dei «Guai!»: contro l’operatore di scandali (cf.
Mt 18,7; Lc 17,1), all’interno del discorso escatologico (cf. Mc 13,17; Mt 24,19; Lc 21,23),
contro le città di Corazin, Betsaida, Cafarnao (cf. Mt 11,21–24; Lc 10,13–14), contro i farisei
(cf. Mt 23,13.15.16.23.25.27.29; Lc 10,13–14), contro i dottori della legge (cf. Lc 11,52).
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
Qui è usata in correlazione al precedente :X< per distinguere una parola o una intera
proposizione dalla sua antecedente.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
•<hDfBå: sost., dat. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di termine.
¦ig\<å: agg. dimostrativo, dat. sing. m. da ¦igÃ<@H, –0, –@, quello, quegli, colui, esso; cf. Mc
1,9; attributo di •<hDfBå, qui senza articolo perché in posizione predicativa. Nell’AT con
l’espressione Ò –<hDTB@H ¦igÃ<@H si descrive spesso il malvagio che viene colpito da
qualche castigo (cf. Lv 17,4.9; 20,3.4.5).
*4z: (= *4V), prep. propria di valore strumentale, seguita dal genitivo, indecl., per, mediante,
con, tramite; cf. Mc 2,1.
@â: pron. relativo, gen. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,7; compl. di specificazio-
ne; compl. di mezzo.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
LÊ`H: sost., nom. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; soggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•<hDfB@L: sost., gen. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di specificazione.
952 Mc 14,21

B"D"*\*@J"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. pass. da B"D"*\*T:4 (da B"DV e *\*T:4),
consegnare, rimettere, dare (qualcuno) nelle mani (di un altro), consegnare (qualcuno) al
potere (di un altro), tradire; cf. Mc 1,14.
i"8`<: agg. qualificativo, nom. sing. n. da i"8`H, –Z, –`<, bello, buono, appropriato,
conveniente; cf. Mc 4,8. Secondo elemento (o apodosi) della proposizione ipotetica, con il
verbo essere (½<) sottinteso, di grande efficacia perché posto enfaticamente prima della
protasi. Il grado positivo di un aggettivo corrisponde per influsso semitico al grado
comparativo: «è buono» = «è meglio». La costruzione è conosciuta anche nel greco classico.
Ritroviamo questo fenomeno in Mc 9,42.43.45.47; 10,43; 14,21. Per il grado comparativo
al posto del superlativo cf. Mc 4,31; 9,34; 12,40.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di vantaggio.
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7. La particella gÆ è qui usata per introdurre una proposizione ipotetica, la
protasi, la cui conseguenza è costituita dalla proposizione reggente (detta apodosi).
Ritroviamo questa costruzione in Mc 3,26; 4,23; 8,34; 9,22.23.35; 11,25; 13,20.22; 14,21.
29.35.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
¦(g<<Zh0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da (g<<VT, generare, nascere. Questo verbo
ricorre 97 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 45 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,245% del totale delle parole); 1 volta in Marco (cf. Mc 14,21, hapax
marciano); 4 volte in Luca (0,021%); 18 volte in Giovanni (0,115%). Analogamente all’uso
classico ed ellenistico il verbo (g<<VT può indicare nel NT sia l’atto procreativo del padre
che «genera» il figlio (cf. Sofocle, Elect., 1412; Euripide, Iph. Taur., 499) sia il «partorire»
della madre (cf. Eschilo, Suppl., 48). Nella diatesi passiva assume il significato di «essere
generato», «nascere» (cf. Erodoto, Hist., 1,108,2). Nei vangeli di Luca e Giovanni il verbo,
specialmente nella diatesi passiva, assume particolare rilevanza teologica, in riferimento alla
incarnazione e generazione di Gesù. Qui è impiegato in senso letterale proprio. La severa
espressione «sarebbe meglio se quell’uomo non fosse mai nato», rivolta da Gesù a Giuda,
trova diversi paralleli nella letteratura giudaica, come, ad esempio, nella Mishnah: «Colui che
non ha riguardo della maestà del suo Creatore sarebbe meglio per lui che non fosse mai
nato» (m.Hagh., 2,1). Probabilmente si tratta di una formula ricorrente, mediante la quale si
emetteva un giudizio di condanna nei confronti di un comportamento ritenuto particolarmente
grave.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
–<hDTB@H: sost., nom. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17;
soggetto.
¦igÃ<@H: agg. dimostrativo, nom. sing. m. da ¦igÃ<@H, –0, –@, quello, quegli, colui, esso; cf. Mc
1,9; attributo di –<hDTB@H, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
Mc 14,22 953

14,22 5" ¦Fh4`<JT< "ÛJä< 8"$ã< –DJ@< gÛ8@(ZF"H §i8"Fg< i" §*Tig< "ÛJ@ÃH
i"Â gÉBg<s 7V$gJgs J@ØJ` ¦FJ4< JÎ Fä:V :@L.
14,22 Mentre mangiavano prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro,
dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo».

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦Fh4`<JT<: verbo, gen. plur. m. part. pres. da ¦Fh\T, mangiare, prendere cibo, consumare,
divorare; cf. Mc 1,6. Participio al genitivo assoluto.
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5. La frase ¦Fh4`<JT< "ÛJä< appare nella forma detta
“genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore temporale.
8"$f<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da 8":$V<T, prendere, afferrare, raccogliere, ricevere;
cf. Mc 4,16. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH.
–DJ@<: sost., acc. sing. m. da –DJ@H, –@L, pane; cf. Mc 2,26; compl. oggetto. Senza articolo
perché generico.
gÛ8@(ZF"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da gÛ8@(XT (da gÞ e 8`(@H), lodare, celebrare,
benedire; cf. Mc 6,41. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH. Il verbo deve
essere qui inteso non nel senso profano di «lodare», «glorificare» (costruito con l’oggetto
della persona o della cosa), ma in quello biblico di «recitare la benedizione», in senso
assoluto. Si tratta di un semitismo, poiché i LXX impiegano gÛ8@(XT in questo senso
tecnico per tradurre l’ebraico …9Hv I , ba) rak.
§i8"Fg<: verbo, 3 pers. sing. ind. aor. da i8VT, rompere, spezzare, frangere; cf. Mc 8,6. La
a

forma verbale transitiva deve essere integrata con l’accusativo singolare maschile del
pronome dimostrativo e personale (= "ÛJ`<), in funzione di complemento oggetto,
analogamente a quanto avviene in Mc 2,4; 6,13.41; 8,6[x2]. È probabile che questo anacoluto
sia dovuto a influsso semitico.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
§*Tig<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26. La forma verbale
transitiva deve essere integrata con l’accusativo singolare maschile del pronome dimostrativo
personale (= "ÛJ`<), in funzione di complemento oggetto, analogamente a quanto avviene
in Mc 2,4; 6,13.41; 8,6[x2]. È probabile che questo anacoluto sia dovuto a influsso semitico.
Nella descrizione dei gesti sul pane si riscontrano somiglianze letterarie con quelli della
moltiplicazione avvenuta in Galilea (cf. Mc 6,41) e nella Decapoli (cf. Mc 8,6) che mettono
in evidenza azioni familiari di ogni pasto: iniziativa di Gesù come paterfamilias, benedizione,
divisione del pane, distribuzione:

Mc 6,41 8"$ã< J@×H –DJ@LH gÛ8`(0Fg< i"JXi8"Fg< i" ¦*\*@L


Mc 8,6 8"$ã< J@×H –DJ@LH gÛP"D4FJZF"H §i8"Fg< i" ¦*\*@L
Mc 14,22 8"$ã< –DJ@< gÛ8@(ZF"H §i8"Fg< i" §*Tig<
954 Mc 14,23

"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
7V$gJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. aor. da 8":$V<T, prendere, afferrare, raccogliere,
ricevere; cf. Mc 4,16. Il comando, posto dopo la divisione e la distribuzione del pane,
presuppone che Gesù non si associa ai Dodici nel mangiare questo pane.
J@ØJ`: pron. dimostrativo, nom. sing. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 1,27;
soggetto.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. La forma verbale ¦FJ4<, non necessaria nella lingua ebraica e aramaica, ha qui un valore
asseverativo poiché esprime l’identità del soggetto (J@ØJ`, ossia «il pane» che Gesù ha in
mano) con il suo predicato (Fä:", «il corpo»). La formula è semplice, chiara e diretta: non
vi è traccia di nessun significato allegorico né simbolico.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
Fä:V: sost., nom. sing. n. da Fä:", –"J@H, corpo; cf. Mc 5,29; predicato nominale. È
possibile ricostruire, sulla base del testo greco di Marco, l’espressione consacratoria, così
come uscì dalla viva voce di Gesù? Tenendo conto del binomio «carne / sangue» presente
nella Bibbia e nella letteratura giudaica e del loghion presente in Gv 6,51, è probabile che
Gesù abbia usato non la parola aramaica «corpo» (!5 I {x, gûp) a) ’), ma «carne» (!9I”AvE, bis'ra) ’
o 9” H vA, be'sar): se questa ipotesi è vera, è possibile retrotradurre la formula greca nella
seguente aramaica: *9E” A vE 0yF, de)n bis'rî, «questa [è] la mia carne». Si noti, tuttavia, che il
vocabolo «carne» è qui da intendersi alla maniera semitica, non greca: non si tratta soltanto
della materia organica, ma di tutto l’essere umano, con tutte le energie, le proprietà, il
dinamismo e le possibilità. È probabile che la traduzione più libera (Fä:") presente nei testi
neotestamentari sia stata determinata da un senso di riguardo verso i cristiani provenienti dal
paganesimo ai quali doveva certamente dare fastidio il termine FVD> che in greco ha una
significato del tutto diverso dall’aramaico 9” H vA, be'sar (eb. 9” I vI, ba) 'sa) r): Fä:" evita
l’accezione peggiorativa di FVD>.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).

14,23 i"Â 8"$ã< B@JZD4@< gÛP"D4FJZF"H §*Tig< "ÛJ@ÃHs i"Â §B4@< ¦> "ÛJ@Ø
BV<JgH.
14,23 Poi prese il calice, recitò la preghiera di ringraziamento, lo diede loro e ne bevvero
tutti.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Mc 14,24 955

8"$f<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da 8":$V<T, prendere, afferrare, raccogliere, ricevere;
cf. Mc 4,16. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH.
B@JZD4@<: sost., acc. sing. n. da B@JZD4@<, –@L, calice, tazza, bicchiere; cf. Mc 7,4; compl.
oggetto. Senza articolo perché generico.
gÛP"D4FJZF"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da gÛP"D4FJXT, rendere grazie, ringraziare;
cf. Mc 8,6. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH. Questo verbo appare
tardivamente nella letteratura greca classica, ma è largamente attestato in epoca ellenistica (a
partire dal 300 a.C.) e spesso con una coloritura religiosa (cf. citazioni in Mc 8,6). Qui, nel
contesto dell’assunzione dei pasti presso i Giudei, indica il «rendere grazie» (sott. a Dio),
recitando la benedizione, in ottemperanza alla prescrizione giudaica di pronunciare la
benedizione su ogni vivanda consumata: «All’uomo è proibito mangiare qualsiasi cosa senza
avere prima recitato la benedizione» (b.Ber., 35a). Tale rendimento di grazie era considerato
un dovere imprescindibile: era rigorosamente prescritto di non mangiare nulla senza aver
prima pronunciato la benedizione rituale (cf. t.Ber., 4,1; y.Ber., 10a). La formula di
benedizione o di lode a Dio prima della consumazione dei pasti riportata nei testi rabbinici
è la seguente: «Benedetto sii tu, o Signore, nostro Dio, re del mondo, che produci il pane
dalla terra» (b.Ber., 35a; cf. Strack–Bill., I,685). Sebbene il verbo gÛ8@(XT corrisponda
meglio alla formula di benedizione giudaica prima dei pasti (cf. Mc 6,41), nel giudaismo di
lingua greca gÛP"D4FJXT è usato come suo sinonimo, senza differenza di significato.
§*Tig<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
§B4@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da B\<T, bere; cf. Mc 10,38. Anche se non è espressamen-
te nominato «il vino», il calice rappresenta, per metonimia, ciò che contiene, ossia il vino. Nel
tradizionale banchetto pasquale ogni partecipante beveva al proprio calice: qui, invece, si
afferma che Gesù offre intenzionalmente lo stesso calice ai discepoli, i quali «ne bevvero
tutti», a eccezione di Gesù: questa azione del calice, con l’invito a bere, è in connessione con
la morte di Gesù. Si può dire che Gesù porge nella bevanda la sua morte redentrice. Il bere
fisico è, quindi, sacramentale.
¦>: (= ¦i), prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di moto da luogo.
BV<JgH: pron. indefinito, nom. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; soggetto.

14,24 i"Â gÉBg< "ÛJ@ÃHs I@ØJ` ¦FJ4< JÎ "Í:V :@L J­H *4"hZi0H JÎ ¦iPL<<`:g<@<
ßB¥D B@88ä<.
14,24 E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza che è versato per tutti.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


956 Mc 14,24

gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
I@ØJ`: pron. dimostrativo, nom. sing. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 1,27;
soggetto.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. La forma verbale ¦FJ4<, non necessaria nella lingua ebraica e aramaica, ha qui un valore
asseverativo poiché esprime l’identità del soggetto (J@ØJ@, ossia «il calice / vino») con il suo
predicato ("Í:", «il sangue»).
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
"Í:V: sost., nom. sing. n. da "Í:", "Ë:"J@H, sangue; cf. Mc 5,25; predicato nominale. L’idea
di bere il sangue è inimmaginabile in un ambiente giudaico (cf. Gn 9,4; Lv 17,10). Eppure
il vocabolo "Í:" acquista il suo più alto significato teologico quando è usato in connessione
con il sacrificio cruento di Cristo. Qui l’interesse non è rivolto al sangue come elemento che
sostiene la vita fisica di Gesù, ma al sangue che egli sta per versare nel sacrificio redentivo.
Secondo la formula marciana l’espressione «Questo è il mio sangue dell’alleanza che è
versato per molti [tutti]» è garanzia di una nuova alleanza con Dio e l’umanità. Come l’antica
alleanza fu sigillata e resa operante con il sangue (cf. Eb 9,18; Es 24,8), così la nuova
alleanza è confermata e resa valida per sempre dal sangue di Cristo.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
*4"hZi0H: sost., gen. sing. f. da *4"hZi0, –0H, patto, alleanza, testamento; compl. di
specificazione. Il vocabolo ricorre 33 volte nel NT: Mt 26,28; Mc 14,24 (hapax marciano);
Lc 1,72; 22,20; At 3,25; 7,8; Rm 9,4; 11,27; 1Cor 11,25; 2Cor 3,6.14; Gal 3,15.17; 4,24; Ef
2,12; Eb 7,22; 8,6.8.9[x2].10; 9,4[x2].15[x2].16.17.20; 10,16.29; 12,24; 13,20; Ap 11,19.
Genitivo ebraico mediante il quale si esprime una qualità del nome cui si riferisce: si tratta
di un sangue che ha riferimento diretto a un patto o una alleanza. Nel greco profano il
sostantivo *4"hZi0 è impiegato con due accezioni fondamentali: a) «disposizione
testamentaria», «testamento» (cf. Aristofane, Ves., 584; Demostene, Or., 27,13); b) «patto»,
«accordo» (cf. Aristofane, Av., 439). Sebbene dal punto di vista filologico il vocabolo
*4"hZi0 si collochi in questo contesto linguistico, lo sfondo religioso, cultuale e culturale
è quello prettamente giudaico. L’espressione JÎ "Í:V J­H *4"hZi0H riprende, infatti, Es
24,8: Æ*@× JÎ "Í:" J­H *4"hZi0H ½H *4XhgJ@ ibD4@H BDÎH ß:H…, «Ecco il sangue
dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi…» (ma cf. anche Zc 9,11). In questo passo
si descrive l’aspersione con il sangue degli animali che Mosè compie sul popolo a
conclusione dell’alleanza stipulata sul Sinai. Le parole che Mosè pronuncia esplicitano che
tale aspersione è compiuta non soltanto sul popolo, ma a favore del popolo: si tratta, cioè, di
Mc 14,24 957

un rito di espiazione dal peccato, un patto di salvezza concessa da Dio per grazia. Le parole
di Gesù («Questo è il mio sangue dell’alleanza che è versato per molti [tutti]») devono essere
interpretate alla luce di questo sfondo anticotestamentario: l’evento di espiazione che avviene
adesso per mezzo del «suo» sangue supera quello anticotestamentario, ottenuto con il sangue
di animali. La determinazione «il mio sangue» conferisce alla precedente locuzione mosaica
(«il sangue») un senso tipologico: il nuovo sangue dell’alleanza (quello di Gesù), sostituisce
il sangue dell’alleanza sinaitica. L’alleanza con Dio non è più sancita con il sangue delle
vittime animali, ma con l’offerta della stessa vita di Gesù, presentata come sacrificio di
espiazione. Il concetto di nuova alleanza è chiaramente implicito. Se, infatti, il sangue di
Gesù è il sangue dell’alleanza, si deve concludere che si tratta di una alleanza nuova o
meglio dell’unica alleanza, di cui la prima (quella «antica» sinaitica, definitivamente infranta
da Israele, non da Dio), non era che la figura. La formula paolina parallela («Questo calice
è la nuova alleanza nel mio sangue»: 1Cor 11,25) esplicita con più chiarezza che il sangue,
ossia la morte di Gesù, instaura la nuova *4"hZi0 e che conseguentemente il vino (rosso)
del calice ne è una anticipazione. Non si tratta, quindi, di un rinnovamento del patto del Sinai
né di una alleanza “riaggiustata” né perfezionata e neppure di una alleanza che si aggiunge
a un’altra precedente (idea cumulativa), bensì di una salvezza «nuova», superiore,
ontologicamente diversa, concessa da Dio nel sangue di Gesù, ossia nella sua morte.
L’alleanza sinaitica era stata infranta dalla disobbedienza del popolo e non esisteva più:
*;E*9EvA<< ;!
G {95F%F, «hanno spezzato (eb. 995) la mia alleanza» (Ger 31,32). In questo
oracolo, pronunciato direttamente da Dio e riferito da Geremia, il significato non è
semplicemente quello di una trasgressione etica, come molti commentatori ritengono,
traducendo «hanno violato la mia alleanza», ma di una vera e propria rottura del patto in
senso legale e religioso. Nel TM il verbo 995 (nella forma hiphil) non ha il semplice
significato traslato di «violare», «trasgredire», poiché è utilizzato sia nel significato letterale
proprio di «spezzare» (cf. Gb 16,12; Is 24,29[x2]; Zac 11,10.11.14) sia in quello tecnico di
«rompere» (= «annullare», «sciogliere») una alleanza (cf. Gn 17,14; Lv 26,15; Dt 31,16.20;
1Re 15,19; 2Cr 16,3; Is 24,5; Ger 14,21; 33,21; Ez 17,15.16.18; 44,7). La frase come tale
corrisponde a quella greca FB@<*H 8bg4<, «sciogliere il trattato», che nei trattati
greco–ellenistici designa la rottura ufficiale (= scioglimento) del trattato precedentemente
stipulato tra due contraenti. Adesso Dio, in Cristo, risponde a questa disobbedienza che ha
determinato la rottura del patto da parte di Israele (non da Dio che non l’ha mai «rotto»: cf.
Lv 26,44; Gdc 2,1; Ger 33,21) con una nuova alleanza che Eb 13,20, oltre che «nuova»,
definirà «eterna» (cf. Is 24,5; Ger 32,40).
J`: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10;
soggetto. Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale
"ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
¦iPL<<`:g<@<: verbo, nom. sing. n. part. pres. pass., con valore aggettivale, da ¦iPb<<T,
versare, spandere, spargere; attributo di "Í:V, in posizione enfatica. Questo verbo, una
variante ellenistica di ¦iPXT, ricorre 27 volte nel NT: Mt 9,17; 23,35; 26,28; Mc 14,24
(hapax marciano); Lc 5,37; 11,50; 22,20; Gv 2,15; At 1,18; 2,17.18.33; 10,45; 22,20; Rm
3,15; 5,5; Tt 3,6; Gd 1,11; Ap 16,1.2.3.4.6.8.10.12.17. Nel greco classico il verbo ¦iPXT
ricorre nel senso letterale proprio di «versare», «spargere», detto in genere di liquidi (cf.
958 Mc 14,24

Omero, Il., 3,296; Eschilo, Eum., 653; Euripide, Herc., 941). Nei LXX il verbo traduce
l’ebraico …5H–
I , ša) p) ak, il quale è usato nel TM in contesti sacrificali in connessione con lo
spargimento del sangue delle vittime (cf. Es 29,12; Lv 4,7.18.25; Dt 12,16.24). In unione al
sostantivo «sangue», ¦iPb<<T è usato nel NT esclusivamente per una morte violenta, come
nel caso dei profeti perseguitati, dei martiri o del giusto sofferente (cf. Mt 23,35; Lc 11,50;
At 22,20).

Con questa affermazione Gesù fa chiaro riferimento alla sua imminente morte violenta.
Il participio, al tempo presente, mette in risalto che tale spargimento di sangue è continua-
mente effuso: la presenza dell’articolo e la posizione attributiva del participio sottolineano la
qualità di questo sangue che viene effuso ora e nel futuro: è un sangue che si dilata nel tempo
e che conserva in sé la prerogativa di essere sempre versato. Questo sangue sparso «per tutti»
(cf. sotto) dà un valore di espiazione e di salvezza alla morte violenta di Gesù. L’idea che il
peccato andasse espiato era idea antica e risaliva almeno a Ezechiele e sfociò nel rituale della
festa dell’espiazione, regolato definitivamente in epoca postesilica. Il rituale è descritto in Lv
16 (cf. anche Lv 23,27–32 e Nm 29,7–11). Il principio dell’espiazione è costituito dall’idea
che il sangue espia i peccati, sulla base di Lv 17,11: «La vita degli esseri viventi è nel sangue;
io l’ho dato a voi per fare l’espiazione sopra l’altare per le vostre vite, perché il sangue espia
per mezzo della vita». In altri termini: poiché il peccato dell’uomo contro Dio merita la
morte, l’offerta di una vita con il suo sangue placa la divinità che rinuncia così a chiedere la
vita del peccatore. Nei sacrifici antichi le linee interpretative della presenza del sangue si
riducono principalmente a due: il sangue come segno di morte, il sangue come segno di vita.
Secondo la prima concezione antropologica e religiosa l’uomo ha peccato, ha mancato contro
Dio. Ora una prassi giuridica di diffusione pressoché universale, specie nell’area semita,
stabilisce che il colpevole deve pagare, espiare, ossia addossarsi qualcosa di grave che in
qualche modo possa compensare e bilanciare il negativo della sua azione. La colpa esige la
pena. Questa prospettiva “giuridica” è ampiamente rappresentata nella Bibbia, tanto che lo
schema giudiziario è una delle strutture portanti del rapporto Dio–Israele e Dio–Uomo.
Secondo questa prima linea interpretativa la morte di Gesù viene considerata una espiazione
della colpa umana, per un misterioso trasferimento del peso di questa colpa dagli uomini che
l’hanno commessa alle spalle di Gesù che volontariamente l’ha assunta. La dottrina
soteriologica della morte di Gesù — e del sangue versato, come soddisfazione vicaria — è
dunque plasmata sul modello colpa / pena, di estrazione giuridica. La seconda linea
antropologica e religiosa, invece, è strutturata secondo un modello interpretativo non
giuridico, ma sacrificale e liturgico. Con il peccato l’uomo si separa da Dio che è la vita e
precipita nella morte. L’alleanza ottenuta mediante il sangue della vittima è il ristabilimento
del contatto vivificante tra Dio e l’uomo. Infatti presso i semiti il sangue è considerato la sede
della vita: aspergere con il sangue significa reintrodurre la vita là dove si è insinuata la morte,
riportare l’unione lì dove la colpa ha creato la divisione. Sangue, vita, alleanza sono elementi
dello stesso sistema simbolico di pensiero: in questa concezione la morte non ha più
direttamente la funzione purificatrice, ma è soltanto una circostanza concomitante, una
condizione. Il sangue (degli animali, di Gesù) unisce e vivifica perché porta in sé la vita, non
perché esprima una azione penale riparatrice. I due schemi interpretativi sopra ricordati non
si autoescludono e, anzi, debbono essere fusi insieme: lo schema giuridico sottolinea che il
Mc 14,24 959

peccato è veramente una forza di male, una potenza di distruzione, una controvita. Per
affermare la nuova vita bisogna distruggere la forza della morte, negare la sua negatività. La
morte di Gesù, il suo sangue sparso «per tutti», ha la funzione vicaria di estirpare la colpa
dall’uomo “vecchio”. Tuttavia questa controforza non è immanente alla morte come tale, non
è una riparazione automatica, ma proviene dalla libertà e obbedienza di Gesù che carica la
morte di valore positivo e trascende il suo ruolo di pena in significato redentivo. Ma così
siamo già entrati nel secondo schema interpretativo: una morte accolta per amore dal Figlio
di Dio non è l’esecuzione forzata di un condannato, ma la liturgia di un sacerdote della vita.
E il sangue versato non è più la connotazione legale di un corpo giustiziato, ma lo splendore
della vittoria e della salvezza, liberamente offerti dal Figlio di Dio.
ßBXD: prep. propria con valore di vantaggio, seguita dal genitivo, indecl., per, a favore di; cf. Mc
9,40. Sebbene la preposizione abbia qui un valore essenzialmente di vantaggio, non può
essere scartata la sfumatura sostitutiva, come si evince da 2Cor 5,14–15 (… gÍH ßB¥D
BV<JT< •BXh"<g<… i" ßB¥D BV<JT< •BXh"<g<…, «…uno è morto per tutti… Egli
è morto per tutti…); Gv 11,49–50 (… FL:nXDg4 ß:Ã< Ë<" gÍH –<hDTB@H •B@hV<® ßB¥D
J@Ø 8"@Ø i" :¬ Ó8@< JÎ §h<@H •B`80J"4, «… è meglio per noi che muoia un solo
uomo per il popolo e non perisca la nazione intera», cf. anche Gv 18,14). La morte di Gesù,
oltre al valore di sostituzione (cf. Mc 10,45), è sempre «per» gli altri (cf. 1Cor 11,24; Rm 5,8;
8,32; Gal 1,4; 2,20).
B@88ä<: pron. indefinito, gen. plur. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; compl. di vantaggio. Il pronome indefinito B@88@\, lett. «molti», è un semitismo (eb.
.*vE9H%I , ha) rabbîm, cf. Is 52,13; 53,11.12) per indicare «le moltitudini», «gli innumerevoli
molti», ossia «tutti». L’ebraico e l’aramaico non possiedono il termine astratto «tutto» come
concetto di totalità assoluta e ciò perché le lingue semitiche, diversamente dal greco, sono più
concrete e preferiscono la determinazione piuttosto che l’astrazione; in tutta la letteratura
talmudica la frase «i molti» (.*v E9H%
I , ha) rabbîm) è locuzione fissa per designare la totalità. Di
conseguenza l’indefinito greco B@88@\, analogamente a quanto avviene in Mc 1,34[x2];
3,10; 6,2; 9,26; 10,31.45, deve essere qui inteso in questo significato: non alla maniera
esclusiva greca (= molti, ma non tutti), bensì in quella inclusiva semitica (= tutti, che, nel
caso, sono molti). Così ha esplicitamente interpretato la tradizione giovannea che, riportando
le parole interpretative del pane, parafrasa l’espressione marciana ßB¥D B@88ä< («a
vantaggio di molti / tutti») con ßB¥D J­H J@Ø i`F:@L .T­H, «per la vita del mondo
[intero]» (cf. Gv 6,51). Una chiara conferma linguistica di questa equivalenza si ha nello
stesso NT confrontando i passi di Mc 10,45; 14,24 (scritti con una mentalità semitica) con
1Tm 2,5–6; 2Cor 5,14–15 (scritti secondo la mentalità greca):

Mc 10,45 «Il Figlio dell’uomo, infatti, è venuto… per dare la propria vita in riscatto
per i molti (•<J B@88ä<)».
Mc 14,24 «Questo è il mio sangue dell’alleanza che è versato per i molti (ßB¥D
B@88ä<)».
1Tm 2,5–6 «…Cristo Gesù che ha dato sé stesso in riscatto per tutti (ßB¥D BV<-
JT<)».
960 Mc 14,25

2Cor 5,14 «…l’amore di Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti
(ßB¥D BV<JT<)».
2Cor 5,15 «ed egli è morto per tutti (ßB¥D BV<JT<)».

Stessa idea universalistica ritroviamo in Rm 8,32: «…il quale [Dio] non ha risparmiato
il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi» (ßB¥D º:ä< BV<JT<). In sostanza: affermare
che il sangue di Gesù è versato «per i molti», come scrive Marco, ossia «a vantaggio di
tutti», come esplicita Paolo, nella prospettiva biblica e sacrificale equivale a dire «per la
salvezza di tutti». È pertanto errata la traduzione letteralista «questo è il mio sangue
dell’alleanza versato per molti»: questa traduzione, sebbene morfologicamente esatta, non è
semanticamente corrispondente all’espressione originale e, dunque, non coglie l’equivalenza
funzionale del senso insito nell’espressione ßB¥D B@88ä<. In tema di universalismo
salvifico alcune tra le espressioni più importanti e solenni sono quelle che ritroviamo nella
prima lettera di Giovanni, il quale sottolinea, alla maniera greca, l’universalità del valore
redentivo di Gesù: i"Â "ÛJÎH [= z30F@ØH OD4FJ`H] Ê8"F:`H ¦FJ4< BgDÂ Jä<
:"DJ4ä< º:ä<s @Û BgD Jä< º:gJXDT< *¥ :`<@< •88 i" BgD Ó8@L J@Ø
i`F:@L, «ed egli [Gesù Cristo] è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per
i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo» (1Gv 2,2); … •88z ÓJ4 "ÛJÎH [= 1g`H]
²(VB0Fg< º:H i" •BXFJg48g< JÎ< LÊÎ< "ÛJ@Ø Ê8"F:Î< BgD Jä< :"DJ4ä<
º:ä<, «…ma è lui [Dio] che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di
espiazione per i nostri peccati» (1Gv 4,10).

14,25 •:¬< 8X(T ß:Ã< ÓJ4 @ÛiXJ4 @Û :¬ B\T ¦i J@Ø (g<Z:"J@H J­H •:BX8@L ªTH
J­H º:XD"H ¦ig\<0H ÓJ"< "ÛJÎ B\<T i"4<Î< ¦< J± $"F48g\‘ J@Ø hg@Ø.
14,25 In verità io vi dico che non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò
nuovo nel regno di Dio».

•:Z<: avv. di modo, indecl., così è, così sia, in verità, certamente, veramente, «amen»; cf. Mc
3,28. Questa solenne formula introduttiva compare in Mc 3,28; 8,12; 9,1.41; 10,15.29; 11,23;
12,43; 13,30; 14,9.18.25.30. Per quanto riguarda il significato vedi commento a Mc 3,28.
8X(T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. La forma verbale 8X(T ricorre in Mc 20 volte (cf. Mc 2,11; 3,28; 5,41; 8,12;
9,1.13.41; 10,15.29; 11,23.24.33; 12,43; 13,30.37[x2]; 14,9.18.25.30): essa è usata soltanto
da Gesù, ossia è esclusivamente Gesù che parla del proprio parlare e ne sottolinea la forza,
l’insistenza e la validità. In particolare la formula •:¬< 8X(T ß:Ã< / F@4 (cf. Mc 3,28;
8,12; 9,1.41; 10,15.29; 11,23; 12,43; 13,30; 14,9.18.25.30) esprime il carattere solenne e
irrefutabile di quanto affermato da Gesù.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
Mc 14,25 961

@ÛiXJ4: (da @Û e §J4), avv. di tempo, indecl., mai, non più, non oltre; cf. Mc 5,3.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4. La formula negativa enfatica
è attestata nei LXX 3 volte nella forma @ÛiXJ4 @Û :Z (cf. Tb 6,8B; Ger 38,40; Odi di Sal.,
11,11), 28 volte in quella semplice @ÛiXJ4 :Z (cf. Lv 27,20; Tb 6,17B; Sal 38,14; Gb 7,9;
Os 9,16; 14,4; Am 5,2; 7,8.13; 8,2; Mic 4,3[x2]; 5,12; Sof 3,11; Is 10,20; 23,12; 30,20;
32,5[x2].10; 38,11[x2]; 47,3.5; 65,19; Ez 7,13; 12,23; 34,28); nel NT ricorre 2 volte (cf. Lc
22,16; Ap 18,14). Nelle proposizioni affermative le due negazioni in successione @Û :Z sono
utilizzate per enfatizzare la negazione, per esprimere un forte diniego: si tratta di un uso
piuttosto frequente nel greco ellenistico. Marco utilizza la doppia negazione @Û :Z 10 volte
(prescindiamo dalla ricorrenza di Mc 16,18), 9 delle quali sulla bocca di Gesù (cf. Mc 9,1.41;
10,15; 13,2[x2].19.30. 31; 14,25); in Mc 14,31 è usata da Pietro. Nel nostro passo questa
risposta negativa è ulteriormente accentuata dal precedente avverbio @ÛiXJ4: l’intera frase
è goffa, espressa in un greco quasi barbaro e potrebbe rappresentare una resa non
particolarmente felice di una tradizione aramaica soggiacente.
B\T: verbo, 1a pers. sing. congiunt. aor. da B\<T, bere; cf. Mc 10,38.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
(g<Z:"J@H: sost., gen. sing. n. da (X<0:", –J@H, prodotto, frutto; compl. di moto da luogo.
Il vocabolo ricorre 4 volte nel NT: Mt 26,29; Mc 14,25 (hapax marciano); Lc 22,18; 2Cor
9,10. Si tratta di un neologismo ellenistico fatto derivare da (g<<VT. Gli esempi più antichi
si hanno nei LXX, dove il termine ricorre soprattutto nell’espressione JÎ (X<0:" J­H (­H,
«il frutto della terra» (cf. Gn 41,34; Dt 28,4.11.18.42. 51; 30,9; Is 30,23; Ger 7,20).
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
•:BX8@L: sost., gen. sing. f. da –:Bg8@H, –@L, vite; compl. di specificazione. Il vocabolo
ricorre 9 volte nel NT: Mt 26,29; Mc 14,25 (hapax marciano); Lc 22,18; Gv 15,1.4.5; Gc
3,12; Ap 14,18.19. A partire da Omero il sostantivo –:Bg8@H indica la «vite» (cf. Omero,
Od., 9,110; Alceo, Frag., 342,1; Erodoto, Hist., 4,195,1). L’espressione JÎ (X<0:" J­H
•:BX8@L, «il frutto della vite» è tipicamente semitica ed equivale a «vino» (cf. Dt 22,9).
Negli scritti rabbinici l’espressione ricorre in m.Ber., 6,1 e t.Ber., 4,3 a proposito del calice
di vino usato nel banchetto pasquale.
ªTH: prep. impropria di valore temporale, seguita dal genitivo, indecl., fino a, sino a; cf. Mc 6,10.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
º:XD"H: sost., gen. sing. f. da º:XD", –"H, giorno; cf. Mc 1,9; compl. di tempo continuato.
¦ig\<0H: agg. dimostrativo, gen. sing. f. da ¦igÃ<@H, –0, –@, quello, quegli, colui, esso; cf. Mc
1,9; attributo di º:XD"H, qui senza articolo perché in posizione predicativa. La frase «in quei
giorni», «in quel giorno», si ritrova nel secondo vangelo come generica e indeterminata
indicazione temporale (cf. Mc 1,9; 2,20; 4,35; 8,1; 13,17; [13,19]; 13,24; [13,32]; [14,25]).
L’espressione, tuttavia, è tipica del linguaggio escatologico (cf. Ps. Salom., 18,6) ed è spesso
usata dai profeti per indicare «gli ultimi tempi», ossia l’epoca in cui si realizzerà l’intervento
962 Mc 14,26

definitivo di Dio nella storia umana, caratterizzato dall’abbondanza dei beni messianici (cf.
Is 2,11.17.20; 3,18; 4,2; 5,30; 7,18.21; 10,20.27; 11,10; 12,1.4; 14,3.4; 17,7; 19,19.21.23.24;
25,9; 26,1; 29,18; 30,23.25; Ger 3,17; 5,18; 25,33; 30,8; 31,29; Ez 29,21; Os 2,18.20.23; Gl
3,2; 4,1.18; Am 8,9; 9,11.13; Mic 4,1.6; 5,9; Sof 3,11.16.20; Ag 2,23; Zc 2,15; 3,10; 8,23;
9,16; 13,1.2; 14,6.8.9). In tal senso, nonostante l’apparente durezza, il dimostrativo «quel»
potrebbe riferirsi al «giorno di Yhwh», il giorno per eccellenza, proclamato nella letteratura
profetica e apocalittica come giorno finale di giudizio e salvezza per il popolo di Dio. Da un
punto di vista grammaticale, tuttavia, è possibile che il greco ¦ig\<0H sia una traduzione
pedissequa di un dimostrativo aramaico pleonastico che nella traduzione è meglio ignorare.
ÓJ"<: (= ÓJg e –<), cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, ogni qualvolta,
allorché, appena; cf. Mc 2,20.
"ÛJ`: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. n. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 4,4; compl. oggetto.
B\<T: verbo, 1a pers. sing. congiunt. pres. da B\<T, bere; cf. Mc 10,38.
i"4<`<: agg. qualificativo, acc. sing. n. da i"4<`H, –Z, –`<, nuovo, recente, diverso; cf. Mc
1,27; attributo di "ÛJ`. Non si tratta di una novità effimera o contingente (= <g`H), bensì di
una novità definitiva, perennemente nuova. Per Gesù, affermare che non berrà più vino (il
segno di uno speciale pasto festivo), finché non lo berrà nuovo e definitivo nel regno di Dio,
è affermare che questo è l’ultimo pasto festivo della sua vita nel mondo presente.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
$"F48g\‘: sost., dat. sing. f. da $"F48g\", –"H, signoria, potere reale, dominio sovrano, regno;
cf. Mc 1,15; compl. di stato in luogo.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione.
L’espressione «…nel regno di Dio» deve essere qui intesa in senso temporale, non spaziale,
analogamente a quanto, in maniera esplicita, riporta Luca («…finché non giunga il regno di
Dio»). La frase marciana corrisponde a «finché Dio avrà istituito il suo dominio regale».

14,26 5"Â ß:<ZF"<JgH ¦>­8h@< gÆH JÎ }?D@H Jä< z+8"4ä<.


14,26 E dopo aver cantato l’inno uscirono verso il Monte degli Ulivi.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


ß:<ZF"<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da ß:<XT, cantare la lode, salmodiare, cantare.
Questo verbo ricorre 4 volte nel NT: Mt 26,30; Mc 14,26 (hapax marciano); At 16,25; Eb
2,12. Participio predicativo del soggetto sottinteso «Gesù e i discepoli». Nel greco classico
ed ellenistico il verbo ß:<XT è impiegato nel significato fondamentale di «cantare un inno»,
riferito spesso, ma non necessariamente, agli dèi (cf. Esiodo, Theog., 11; Giuseppe Flavio,
Antiq., 7,80). Nel nostro caso il verbo si riferisce al canto o alla recita cantata dell’inno che
Mc 14,27 963

contrassegnava la fine della cena pasquale. Tale inno era formato dalla seconda parte
dell’Hallel (= Sal 114–118) e secondo i rabbini veniva cantato o recitato dopo la quarta
coppa: «Gli versano [sott. al capofamiglia] la quarta coppa: egli termina su di essa l’Hallel
e recita su di essa la benedizione del canto» (m.Pesah., 10,7). È probabile, tuttavia, che ai
tempi di Gesù le coppe fossero soltanto tre.
¦>­8h@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori, uscire;
cf. Mc 1,25.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
}?D@H: sost., acc. sing. n. da ÐD@H, –@LH, montagna, monte; cf. Mc 3,13; compl. di moto a
luogo. Nell’uso di Marco il termine «monte» quando è riferito a Gesù ha un significato più
teologico che orografico: è un luogo sottratto alla vista del popolo dove si rivela la presenza
e la vicinanza di Dio; abbiamo così il monte della scelta dei Dodici (cf. Mc 3,13), il monte
della preghiera solitaria (cf. Mc 6,46), il monte della Trasfigurazione (cf. Mc 9,2.9), il monte
del discorso apocalittico (cf. Mc 13,3), il Monte dell’agonia (cf. Mc 14,26). Qui si fa
riferimento al Monte degli Ulivi, a est di Gerusalemme, oltre la valle del Cedron, che si
estende per circa cinque chilometri da nord a sud. In realtà si tratta di una collina (812 metri
s.l.m.) nota dai tempi più antichi per la coltivazione degli ulivi, alcuni dei quali, tuttora in
vita, risalgono all’epoca di Gesù.
Jä<: art. determ., gen. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
z+8"4ä<: sost., gen. plur. f. da ¦8"\", –"H, ulivo; cf. Mc 11,1; compl. di specificazione.

14,27 5"Â 8X(g4 "ÛJ@ÃH Ò z30F@ØH ÓJ4 AV<JgH Fi"<*"84FhZFgFhgs ÓJ4 (X(D"BJ"4s
A"JV>T JÎ< B@4:X<"s i" J BD`$"J" *4"Fi@DB4FhZF@<J"4.
14,27 Allora Gesù disse loro: «Tutti voi rimarrete scandalizzati, poiché è scritto: “Percuoterò
il pastore e le pecore saranno disperse”.

5"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.21.
26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.50.
53a.65a.72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\ di influsso semitico acquista il
significato avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica), per introdurre come
formula paratattica di passaggio una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra
unità narrativa.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. La formula redazionale 8X(g4
"ÛJ@ÃH ricorre 25 volte, esclusivamente riservata a Gesù (cf. Mc 1,38; 2,8.17.25; 3,4;
964 Mc 14,27

4,13.35; 5,39; 6,31.38.50; 7,18; 8,17; 9,35; 10,11.24.42; 11,2.22.33; 12,16; 14,13.27.34.41).
Per quanto riguarda la formula singolare 8X(g4 "ÛJè, avente come soggetto Gesù, cf. Mc
1,41.44; 2,14; 5,9.19; 7,34; per 8X(g4 "ÛJ± cf. Mc 5,41.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
AV<JgH: pron. indefinito, nom. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; soggetto.
Fi"<*"84FhZFgFhg: verbo, 2a pers. plur. ind. fut. pass. da Fi"<*"8\.T, mettere una pietra
d’inciampo, impedire il cammino, far inciampare, offendere, scandalizzare; cf. Mc 4,17.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore causale, indecl., poiché, perché, siccome; cf. Mc 1,15.
(X(D"BJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. pass. da (DVnT, scrivere; cf. Mc 1,2. L’espressione
«è scritto» è la tipica formula marciana per l’adempimento delle profezie anticotestamentarie,
a volte seguita da una citazione esplicita (cf. Mc 1,2; 7,6; 11,17; 14,27), altre volte per
indicare sotto forma di allusione quanto nell’AT venne scritto sotto ispirazione divina (cf. Mc
9,12.13; 14,21; [14,49]).
A"JV>T: verbo, 1a pers. sing. ind. fut. da B"JVFFT, colpire, percuotere. Questo verbo ricorre
10 volte nel NT: Mt 26,31.51; Mc 14,27 (hapax marciano); Lc 22,49.50; At 7,24; 12,7.23;
Ap 11,6; 19,5. Il soggetto sottinteso è Dio. Nella grecità il verbo B"JVFFT è usato nella
diatesi attiva transitiva con il significato di «percuotere», «battere», «colpire», generalmente
in modo ostile e violento (cf. Aristofane, Lys., 362; Platone, Resp., 333e; Senofonte, Hell.,
6,2,19). Il termine è usato molto spesso nei LXX (più di 400 ricorrenze) per indicare i “colpi”
che Dio sferra contro qualcuno a scopo pedagogico, punitivo o penale (cf. Lv 26,24; Dt
32,39; Ger 2,30; ecc.).
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B@4:X<": sost., acc. sing. m. da B@4:Z<, –X<@H, pastore; cf. Mc 6,34; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
JV: art. determ., nom. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
BD`$"J": sost., nom. plur. n. da BD`$"J@<, –@L, pecora; cf. Mc 6,34; soggetto.
*4"Fi@DB4FhZF@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. pass. da *4"Fi@DB\.T (da *4V e
Fi@DB\.T), disperdere, sparpagliare, spargere. Questo verbo ricorre 9 volte nel NT: Mt
25,24.26; 26,31; Mc 14,27 (hapax marciano); Lc 1,51; 15,13; 16,1; Gv 11,52; At 5,37. Il
verbo *4"Fi@DB\.T, di formazione ellenistica, è impiegato nell’accezione di «dissipare»,
«sperperare» (cf. Lc 15,3) e in quella di «disperdere», «sparpagliare» (cf. Polibio, Hist.,
1,47,5; Dt 30,3; Nm 10,34). Gesù predice la fuga dei discepoli in occasione della sua fine
usando l’immagine di un gregge che si disperde dopo che il pastore è stato ucciso. Il
riferimento scritturistico è quello di Zc 13,7b, sebbene non citato alla lettera, poiché il testo
Mc 14,28 965

di Marco diverge sia dal TM che dai LXX. Nella Bibbia ebraica il testo è reso nel modo
seguente: «Oracolo del Signore degli eserciti: Percuoti il pastore e sia disperso il gregge». Nei
LXX la citazione è resa nel modo seguente: 7X(g4 ibD4@H B"<J@iDVJTDs A"JV>"Jg
J@×H B@4:X<"H i" ¦iFBVF"Jg J BD`$"J", «Oracolo del Signore onnipotente:
Percuotete i pastori e portate fuori le pecore». Marco modifica l’imperativo di seconda
persona singolare del TM (…% H , hak) e quello di seconda persona plurale dei LXX
(B"JV>"Jg, «percuotete») con la prima persona singolare futura (B"JV>T, «percuoterò»),
sottintendendo che il soggetto è Dio. In tal modo Dio colpisce a morte il pastore, ossia fa
cadere su di lui la sua sentenza. Il destino del pastore ha come conseguenza la dispersione
del gregge. Sullo sfondo si avverte la logica della sostituzione vicaria: il pastore colpito è il
servo di Yahweh: Dio fa subire a lui il giudizio che doveva colpire tutto il gregge. «Percutitur
autem pastor bonus, ut ponat animam suam pro ovibus suis; et de multis gregibus errorum
fiat unus grex, et unus pastor», «Viene percosso il buon Pastore affinché dia la sua vita per
le sue pecorelle e affinché si faccia un solo ovile e un solo pastore dei molti greggi di erranti»
(Girolamo, In Matth., 26,32).

14,28 •88 :gJ JÎ ¦(gDh­<"\ :g BD@V>T ß:H gÆH J¬< '"848"\"<.


14,28 Ma, dopo essere risuscitato, vi precederò in Galilea».

•88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno; cf. Mc 1,44.
:gJV: prep. propria di valore temporale, seguita dall’accusativo, indecl., dopo, dopo di; cf. Mc
1,13.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
¦(gDh­<"\: verbo, inf. aor. pass. da ¦(g\DT, svegliare, alzare, sollevare, risorgere [i morti]
(trans.); svegliarsi, alzarsi, sollevarsi, risorgere [dai morti] (intr.); cf. Mc 1,31. Infinito
sostantivato dall’articolo neutro J` e retto dalla preposizione :gJV che serve come
determinazione temporale: in italiano può essere reso con una proposizione temporale finita:
«dopo che sarò risuscitato». La formula :gJ J` + infinito con valore temporale ritorna in
Mc 1,4; 16,19. Il verbo ¦(g\DT, pur avendo a volte forma passiva con senso intransitivo (cf.
Mc 2,12; 4,27; 13,8), nel presente contesto, posto in bocca allo stesso Gesù e al giovane alla
tomba (cf. Mc 16,6), ha più probabilmente valore di passivo divino, come nel caso della
presunta risurrezione di Giovanni Battista (cf. Mc 6,14.16).
:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,40; soggetto della proposizione oggettiva costruita con il verbo infinito
¦(gDh­<"\.
BD@V>T: verbo, 1a pers. sing. ind. fut. da BD@V(T (da BD` e V(T), andare avanti, precedere,
procedere; cf. Mc 6,45. Il “precedere” di Gesù allude significativamente al movimento
ascensionale e alla sua preminenza.
ß:H: pron. personale di 2a pers. acc. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 1,8; compl. oggetto. L’atto del precedere è l’azione caratteristica del maestro (cf. Mc
966 Mc 14,29

10,32): a essa corrisponde il seguire del discepolo (cf. Mc 1,18 ecc.). Dicendo «vi
precederò» Gesù si conferma come il Maestro che invita di nuovo i Dodici a essere suoi
discepoli.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
'"848"\"<: sost., nome proprio di regione, acc. sing. f. da '"848"\", –"H, Galilea; cf. Mc
1,9; compl. di moto a luogo.

14,29 Ò *¥ AXJD@H §n0 "ÛJès gÆ i" BV<JgH Fi"<*"84FhZF@<J"4s •88z @Ûi ¦(f.
14,29 Pietro gli disse: «Se anche tutti saranno scandalizzati, io certamente no!».

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
AXJD@H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da AXJD@H, –@L, Pietro; cf. Mc 3,16;
soggetto.
§n0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da n0:\, dichiarare, dire, affermare; cf. Mc 9,12.
Grammaticalmente questa forma verbale può essere anche intesa come 3a persona singolare
indicativo imperfetto, di valore durativo.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7. La particella gÆ è qui usata per introdurre una proposizione ipotetica, la
protasi, la cui conseguenza è costituita dalla proposizione reggente (detta apodosi).
Ritroviamo questa costruzione in Mc 3,26; 4,23; 8,34; 9,22.23.35; 11,25; 13,20.22; 14,21.
29.35.
i"\: cong. coordinativa di valore aggiuntivo, indecl., anche, perfino, inoltre, altresì; cf. Mc 1,4.
Il significato aggiuntivo di i"\ è presente in Mc 1,27b.38b; 2,15b.26c.28; 3,19b; 4,24b;
6,34b; 7,18b; 8,3b.7ac.38c; 9,22a; 11,25b; 12,22b; 13,29; 14,9.29.31; 15,31.40ab.43a.
BV<JgH: pron. indefinito, nom. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; soggetto.
Fi"<*"84FhZF@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. pass. da Fi"<*"8\.T, mettere una pietra
d’inciampo, impedire il cammino, far inciampare, offendere, scandalizzare; cf. Mc 4,17.
•88z: (= •88V), cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però,
piuttosto, nondimeno; cf. Mc 1,44. Questa congiunzione dopo una protasi ipotetica equivale
alle forme restrittive «certamente», «almeno».
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
Mc 14,30 967

¦(f: pron. personale di 1a pers. nom. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc.
¦:X/:g), io, me; cf. Mc 1,8; soggetto. La frase «certamente non io» è ellittica (sott.
Fi"<*"84FhZF@:"4), ma facilmente comprensibile.

14,30 i"Â 8X(g4 "ÛJè Ò z30F@ØHs z!:¬< 8X(T F@4 ÓJ4 F× FZ:gD@< J"bJ® J± <LiJÂ
BDÂ< ´ *ÂH •8XiJ@D" nT<­F"4 JD\H :g •B"D<ZF®.
14,30 Gesù gli disse: «In verità io ti dico: proprio tu, oggi, questa notte, prima che il gallo
canti due volte, tre volte mi rinnegherai!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
z!:Z<: avv. di modo, indecl., così è, così sia, in verità, certamente, veramente, «amen»; cf. Mc
3,28. Questa solenne formula introduttiva compare in Mc 3,28; 8,12; 9,1.41; 10,15.29; 11,23;
12,43; 13,30; 14,9.18.25.30. Per quanto riguarda il significato vedi commento a Mc 3,28.
8X(T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. La forma verbale 8X(T ricorre in Mc 20 volte (cf. Mc 2,11; 3,28; 5,41; 8,12; 9,1.
13.41; 10,15.29; 11,23.24.33; 12,43; 13,30.37[x2]; 14,9.18.25.30): essa è usata soltanto da
Gesù, ossia è esclusivamente Gesù che parla del proprio parlare e ne sottolinea la forza,
l’insistenza e la validità. In particolare la formula •:¬< 8X(T ß:Ã< / F@4 (cf. Mc 3,28; 8,12;
9,1.41; 10,15.29; 11,23; 12,43; 13,30; 14,9.18.25.30) esprime il carattere solenne e
irrefutabile di quanto affermato da Gesù.
F@4: pron. personale di 2a pers. dat. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,11; compl. di termine.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
Fb: pron. personale di 2a pers. nom. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,11; soggetto.
FZ:gD@<: avv. di tempo, indecl., oggi. Il vocabolo ricorre 41 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: Mt 6,11.30; 11,23; 16,3; 21,28; 27,8.19; 28,15; Mc 14,30 (hapax
marciano); Lc 2,11; 4,21; 5,26; 12,28; 13,32.33; 19,5.9; 22,34.61; 23,43. In corrispondenza
alla concezione biblica del tempo l’avverbio FZ:gD@< esprime soltanto marginalmente un
senso puramente temporale, potendo indicare una delimitazione cronologica assai estesa,
equivalente a «oggi», «nel presente», «ora», ecc.
968 Mc 14,30

J"bJ®: pron. dimostrativo, dat. sing. f. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 8,12;
attributo di <LiJ\, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
<LiJ\: sost., dat. sing. f. da <b>, <LiJ`H, notte; cf. Mc 4,27; compl. di tempo determinato.
Marco impiega il caso dativo con valore temporale 12 volte: Mc 1,21; 2,24; 3,2.4; 6,21;
11,12; 12,2; 14,12.30; 15,34; 16,2.9. Altrove, il dativo temporale è retto dalla preposizione
¦< (cf. Mc 1,9; 2,19.20.23; 4,35; 8,1; 10,30[x2]; 12,23; 13,11.17.24; 14,2; 15,7.29).
BD\<: cong. subordinativa di valore temporale, indecl., prima che. Il vocabolo ricorre 13 volte
nel NT: Mt 1,18; 26,34.75; Mc 14,30.72; Lc 2,26; 22,61; Gv 4,49; 8,58; 14,29; At 2,20; 7,2;
25,16.
³: cong. coordinativa di valore disgiuntivo, indecl., o, oppure, ovvero; cf. Mc 2,9. L’espressione
BDÂ< ³ ha valore temporale, corrispondente alla locuzione avverbiale italiana «prima che»,
«prima di» (cf. Omero, Il., 5,288).
*\H: avv. numerale, indecl., due volte. Il vocabolo ricorre 6 volte nel NT: Mc 14,30.72; Lc
18,12; Fil 4,16; 1Ts 2,8; Gd 1,12.
•8XiJ@D": sost., acc. sing. m. da •8XiJTD, –@D@H, gallo; soggetto della proposizione
oggettiva costruita con il verbo infinito nT<­F"4. Il vocabolo ricorre 12 volte nel NT: Mt
26,34.74.75; Mc 14,30.68.72[x2]; Lc 22,34.60.61; Gv 13,38; 18,27. Il gallo domestico venne
importato in Palestina al tempo di Salomone (cf. 1Re 10,22). L’indagine archeologica ha
comprovato l’esistenza del gallo in epoca anticotestamentaria grazie alle scoperte di
raffigurazioni di questo animale su un sigillo trovato a Tell el–Nasbeh (ca. 600 a.C.) e a
Gabaon. Sono pertanto da respingere le obiezioni di coloro che ritengono questo particolare
non attendibile, rifacendosi a un divieto della Mishnah: «Non si devono allevare polli in
Gerusalemme, a cagione delle cose sacre né i sacerdoti possono farlo in tutta la terra di
Israele» (m.Baba Qam., 7,7). All’epoca di Gesù questa prescrizione certamente non esisteva:
egli stesso impiega l’immagine della gallina che protegge i pulcini sotto le ali come metafora
della sua sollecitudine verso il popolo di Gerusalemme (cf. Mt 23,37). Una menzione alle
uova, inoltre, troviamo in Lc 11,12. Questi riferimenti linguistici testimoniano che almeno
in epoca neotestamentaria l’allevamento dei polli era permesso. Del resto la stessa Mishnah
riferisce che in occasione della festa dell’espiazione «non era ancora giunto il tempo del canto
del gallo che l’atrio del Tempio era già pieno di Israeliti» (m.Yom., 1,8). Altrove si riferisce
che tra le varie funzioni espletate nel Tempio «ogni giorno si levava la cenere dall’altare al
canto del gallo» (m.Yom., 1,8). Un altro trattato ricorda che «sul mercato dei pollaioli che era
a Gerusalemme veniva chiusa la porta» (m.Erub., 1,9). Esiste perfino un curioso riferimento
alla lapidazione di un gallo, il quale aveva ucciso con il becco un neonato: «Fu lapidato un
gallo in Gerusalemme per aver ucciso una persona» (m.Eduy., 6,1). Il canto del gallo,
collocabile attorno alle ore 4 o 5 del mattino, a seconda delle stagioni, era il segnale per
indicare che stava per finire la quarta vigilia, ossia la notte e l’inizio del nuovo giorno (cf. Mc
13,35). Nel mondo greco–romano l’espressione latina «sub galli cantu», «al canto del gallo»,
era una indicazione temporale equivalente a quella italiana «sul far del giorno», «all’alba» (cf.
Orazio, Sat., 1,1,10; «…unde secundis galliciniis videtur primo solis exortus», «…al secondo
canto del gallo si può vedere il sorgere del sole», Ammiano Marcellino, Res gest., 22,14,4;
Mc 14,31 969

cf. anche Giovenale, Sat., 9,107; ÓJg JÎ *gbJgD@< 8giJDLã< ¦nhX((gJg, «quando il
gallo ha cantato la seconda volta», Aristofane, Eccl., 391).
nT<­F"4: verbo, inf. aor. da nT<XT, chiamare, gridare; cf. Mc 1,26. Sebbene il verbo nT<XT
possa essere usato nel greco classico per il «gridare» degli animali, in genere uccelli, l’uso
marciano sembra essere intenzionale: egli non impiega il verbo tecnico per il canto del gallo
(i@iib.T), ma preferisce nT<XT, riservato in genere alla voce umana. In tal modo viene
stabilito un sottile contrasto tra il precedente «dire» (§n0) di Pietro (v. 29) che dichiara di non
rinnegare Gesù e il «gridare» del gallo che annuncia, invece, il suo rinnegamento.
JD\H: avv. numerale, indecl., tre volte. Il vocabolo ricorre 12 volte nel NT: Mt 26,34.75; Mc
14,30.72; Lc 22,34.61; Gv 13,38; At 10,16; 11,10; 2Cor 11,25[x2]; 12,8.
:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,40; compl. oggetto.
•B"D<ZF®: verbo, 2a pers. sing. ind. fut. da •B"D<X@:"4 (da •B` e •D<X@:"4), negare,
rifiutare, rinunciare, rinnegare; cf. Mc 8,34.

14,31 Ò *¥ ¦iBgD4FFäH ¦8V8g4s z+< *X® :g FL<"B@h"<gÃ< F@4s @Û :Z Fg


•B"D<ZF@:"4. ñF"bJTH *¥ i" BV<JgH §8g(@<.
14,31 Ma egli, con grande insistenza, continuava a ripetere: «Se anche dovessi morire per
te non ti rinnegherò». Lo stesso dicevano tutti gli altri.

Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
¦iBgD4FFäH: avv. di modo, indecl. (da ¦i e BgD\), più del necessario, con grande insistenza.
Hapax neotestamentario e, sembra, della lingua greca.
¦8V8g4: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8"8XT, parlare, dire; cf. Mc 1,34. Imperfetto
durativo.
z+V<: (da gÆ e –<), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, qualora, purché, nel
caso che; cf. Mc 1,40. Questa congiunzione viene impiegata per esprimere l’idea di
eventualità o probabilità in una proposizione ipotetica.
*X®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. pres. da *gÃ, forma impersonale con il significato di
«bisogna», «è necessario»; cf. Mc 8,31.
:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,40; soggetto della proposizione oggettiva costruita con il verbo infinito
FL<"B@h"<gÃ<.
FL<"B@h"<gÃ<: verbo, inf. aor. da FL<"B@h<¯FiT (da Fb< e •B@h<¯FiT), morire insieme.
Questo verbo ricorre 3 volte nel NT: Mc 14,31 (hapax marciano); 2Cor 7,3; 2Tm 2,11.
Conforme all’etimologia il verbo FL<"B@h<¯FiT è usato nella grecità nel senso di «morire
con» (cf. Platone, Phaed., 88d; Erodoto, Hist., 3,16,3).
970 Mc 14,32

F@4: pron. personale di 2a pers. dat. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,11; compl. di compagnia.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4. Nelle proposizioni affermative
le due negazioni in successione @Û :Z sono utilizzate per enfatizzare la negazione, per
esprimere un forte diniego: si tratta di un uso piuttosto frequente nel greco ellenistico. Marco
utilizza la doppia negazione @Û :Z 10 volte (prescindiamo dalla ricorrenza di Mc 16,18), 9
delle quali sulla bocca di Gesù (cf. Mc 9,1.41; 10,15; 13,2[x2].19.30. 31; 14,25); in Mc 14,31
è usata da Pietro.
Fg: pron. personale di 2a pers. acc. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,24; compl. oggetto.
•B"D<ZF@:"4: verbo, 1a pers. sing. ind. fut. medio da •B"D<X@:"4 (da •B` e •D<X@:"4),
negare, rifiutare, rinunciare, rinnegare; cf. Mc 8,34.
ñF"bJTH: avv. di modo, indecl., ugualmente, similmente, allo stesso modo; cf. Mc 12,21.
*X: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,8. Unita a i"\ (cf. anche Mc
15,40) la particella *X ha valore rafforzativo («certo», «perfino», «e precisamente»).
i"\: cong. coordinativa di valore aggiuntivo, indecl., anche, perfino, inoltre, altresì; cf. Mc 1,4.
Il significato aggiuntivo di i"\ è presente in Mc 1,27b.38b; 2,15b.26c.28; 3,19b; 4,24b;
6,34b; 7,18b; 8,3b.7ac.38c; 9,22a; 11,25b; 12,22b; 13,29; 14,9.29.31; 15,31.40ab.43a.
BV<JgH: pron. indefinito, nom. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; soggetto.
§8g(@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Imperfetto durativo.

14,32 5"Â §DP@<J"4 gÆH PTD\@< @â JÎ Ð<@:" 'ghF0:"<\ i"Â 8X(g4 J@ÃH :"h0J"ÃH
"ÛJ@Øs 5"h\F"Jg ô*g ªTH BD@Fgb>T:"4.
14,32 Giunsero intanto a un podere chiamato Getsemani ed egli disse ai suoi discepoli:
«Sedetevi qui, mentre io prego».

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§DP@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Presente storico.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
PTD\@<: sost., acc. sing. n. da PTD\@<, –@L, campo, terreno; compl. di moto a luogo. Il
vocabolo ricorre 10 volte nel NT: Mt 26,36; Mc 14,32 (hapax marciano); Gv 4,5; At
1,18.19[x2]; 4,34; 5,3.8; 28,7. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con
preposizioni, come qui, è frequente nel greco ellenistico. Il sostantivo PTD\@< può indicare
nella grecità sia il generico «spazio» o «luogo» aperto (cf. Erodoto, Hist., 2,8,3; Aristofane,
Mc 14,33 971

Nub., 209) sia in termini più circoscritti il «terreno», il «campo», il «podere» (cf. Tucidide,
Hist., 1,106,1; Senofonte, Cyr., 1,1,2; Platone, Leg., 844b).
@â: pron. relativo, gen. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,7; compl. di specificazio-
ne.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
Ð<@:": sost., nom. sing. n. da Ð<@:", –:"J@H, nome; cf. Mc 3,16; soggetto.
'ghF0:"<\: sost., nome proprio di località, nom. sing. n., indecl., Getsemani; compl. di
denominazione. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mt 26,36; Mc 14,32 (hapax marciano).
Traslitterazione grecizzata del toponimo di origine ebraica .*1E/ I –A ;xH, Ga5t šema) nîm (anche
*1F/
I –A ;xH, Ga5t šema) nê), «Frantoio per l’olio», per indicare un podere piantato a ulivi situato
alle falde o sul pendio del Monte degli Ulivi, oltre il torrente Cedron, in prossimità di
Gerusalemme. Fonti letterarie antiche: Eusebio di Cesarea, Onom., 74,16 (= 'ghF4:"<­);
Anonimo di Bordeaux, Itin., 595,4; Anonimo di Piacenza, Itin., 17; Egeria, Itin., 46,3 (=
Gessemani).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
:"h0J"ÃH: sost., dat. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; compl. di termine.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
5"h\F"Jg: verbo, 2a pers. plur. imperat. aor. da i"h\.T, sedere, sedersi, assidersi; cf. Mc
9,35. Nel greco ellenistico il verbo i"h\.T può assumere anche il significato di «rimanere»,
«restare», fermarsi» (cf. Lc 24,49; At 18,11): questo uso è però escluso da ¦(g\DT, «alzarsi»,
del v. 42.
ô*g: avv. di luogo, indecl., qui, qua; cf. Mc 6,3.
ªTH: cong. subordinativa di valore temporale, indecl., finché, fintanto, fino a, per tutto il tempo
che; cf. Mc 6,10.
BD@Fgb>T:"4: verbo, 1a pers. sing. congiunt. aor. medio da BD@FgbP@:"4 (da BD`H e
gÜP@:"4), offrire preghiere, pregare; cf. Mc 1,35. Congiuntivo deliberativo.

14,33 i"Â B"D"8":$V<g4 JÎ< AXJD@< i"Â [JÎ<] z3ViT$@< i"Â [JÎ<] z3TV<<0<
:gJz "ÛJ@Ø i" ³D>"J@ ¦ih":$gÃFh"4 i" •*0:@<gÃ<
14,33 Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


972 Mc 14,33

B"D"8":$V<g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da B"D"8":$V<T (da B"DV e 8":$V<T),
prendere, prendere con sé, ricevere, accogliere; cf. Mc 4,36. Presente storico.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
AXJD@<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da AXJD@H, –@L, Pietro; cf. Mc 3,16;
compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
[J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2. L’articolo è presente nei codici
A, B, K, W, f13, 2427; è assente, invece, in !, C, D, 1, Q, 083, 0116. L’eventuale aggiunta
o omissione dell’articolo è in ogni caso assolutamente ininfluente per la retta comprensione
del testo.].
z3ViT$@<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z3ViT$@H, –@L, Giacomo; cf. Mc
1,19; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
[J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2. L’articolo è presente nei codici
A, B, K, W, f13, 2427; è assente, invece, in !, C, D, 1, Q, 083, 0116. L’eventuale aggiunta
o omissione della congiunzione è in ogni caso assolutamente ininfluente per la retta
comprensione del testo.].
z3TV<<0<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z3TV<<0H, –@L, Giovanni; cf. Mc
1,19; compl. oggetto.
:gJz: (= :gJV), prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con,
insieme a, in compagnia di; cf. Mc 1,13.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di compagnia.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
³D>"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da –DPT, dare inizio, cominciare; cf. Mc 1,45. La
frase ³D>"J@ / ³D>"<J@ seguita da un infinito come complemento è usata da Marco 26
volte (cf. Mc 1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32; 10,28.32.41.47; 11,15; 12,1;
13,5; 14,19.33.65.69.71; 15,8.18). La frequenza di questa formula è dovuta probabilmente
a influsso semitico: quasi sempre equivale a una perifrasi nella quale il verbo –DPT di
valore pleonastico può essere omesso, mentre l’infinito dipendente viene reso con la 3a
persona dell’indicativo aoristo o imperfetto corrispondente.
¦ih":$gÃFh"4: verbo, inf. pres. pass. da ¦ih":$XT, stupire, meravigliare (att.); essere
sorpreso, essere meravigliato, essere stupito, essere spaventato (pass.); cf. Mc 9,15.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•*0:@<gÃ<: verbo, inf. pres. da •*0:@<XT, essere angosciato, essere inquieto. Questo verbo
ricorre 3 volte nel NT: Mt 26,37; Mc 14,33 (hapax marciano); Fil 2,26. Il significato
etimologico di questo verbo è quello di «essere sazio», «essere nauseato» (tema •*g– di
•*gT + suffisso nominale –:T< a indicare la persona + suffisso verbale –XT a indicare uno
stato). Da ciò il significato derivato che ritroviamo nella grecità, equivalente a «essere
infastidito», «essere turbato», «essere spaventato» per qualcosa o qualcuno (cf. Platone,
Mc 14,34 973

Theaet., 175d; Phaedr., 251d). Un parallelo classico che si avvicina al nostro passo è quello
di Senofonte: •*0:@<­F"4 JH RLPVH, «avere l’anima sconvolta» (cf. Hell., 4,4,3).

14,34 i"Â 8X(g4 "ÛJ@ÃHs AgD\8LB`H ¦FJ4< º RLPZ :@L ªTH h"<VJ@L· :g\<"Jg ô*g
i"Â (D0(@DgÃJg.
14,34 E disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. La formula redazionale 8X(g4
"ÛJ@ÃH ricorre 25 volte, esclusivamente riservata a Gesù (cf. Mc 1,38; 2,8.17.25; 3,4;
4,13.35; 5,39; 6,31.38.50; 7,18; 8,17; 9,35; 10,11.24.42; 11,2.22.33; 12,16; 14,13.27.34.41).
Per quanto riguarda la formula singolare 8X(g4 "ÛJè, avente come soggetto Gesù, cf. Mc
1,41.44; 2,14; 5,9.19; 7,34; per 8X(g4 "ÛJ± cf. Mc 5,41.
AgD\8LB`H: agg. qualificativo, nom. sing. f. da BgD\8LB@H, –@< (da BgD\ e 8bB0), triste,
addolorato, afflitto, sgomento; cf. Mc 6,26; predicato nominale; in posizione enfatica.
Curiosa coincidenza con Mc 6,26 dove il vocabolo è usato per descrivere lo stato d’animo
di Erode.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
RLPZ: sost., nom. sing. f. da RLPZ, –­H, anima, vita, uomo; cf. Mc 3,4; soggetto. L’espressione
BgD\8LB`H ¦FJ4< º RLPZ :@L, «la mia anima è triste», è di stile semitico e corrisponde
all’uso pronominale di 1a persona singolare «io sono triste».
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).
ªTH: prep. impropria di valore comparativo, seguita dal genitivo, indecl., fino a, sino a; cf. Mc
6,10.
h"<VJ@L: sost., gen. sing. m. da hV<"J@H, –@L, morte; cf. Mc 7,10; compl. di paragone.
L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è frequente nel
greco ellenistico. Qual è il significato esatto dell’espressione ªTH h"<VJ@L? Sono possibili
due traduzioni: a) «sto sperimentando una angoscia terribile, paragonabile alla morte»; b)
«sono colto da una angoscia mortale, al punto che potrei morire». In ogni caso la frase non
esprime nessun desiderio della morte (= «non ne posso più, voglio morire»), ma manifesta
soltanto l’enormità di tale angoscia “mortale”.
974 Mc 14,35

:g\<"Jg: verbo, 2a pers. plur. imperat. aor. da :X<T, rimanere, restare, soggiornare; cf. Mc
6,10.
ô*g: avv. di luogo, indecl., qui, qua; cf. Mc 6,3.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
(D0(@DgÃJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da (D0(@DXT, essere sveglio, vegliare, fare
attenzione; cf. Mc 13,34. L’impiego di due verbi imperativi in successione paratattica
(:g\<"Jg… i"Â (D0(@DgÃJg) rivela lo stile duale tipico di Marco (cf. Mc 1,25; 4,24;
6,31.38; 7,14; 8,15; 10,14.21; 11,2; 13,33; 14,34.38.42; 16,7). In questi casi l’accento è posto
sul secondo verbo rispetto al primo il quale svolge soltanto una funzione espletiva.

14,35 i"Â BD@g8hã< :4iDÎ< §B4BJg< ¦BÂ J­H (­H i"Â BD@F0bPgJ@ Ë<" gÆ *L<"J`<
¦FJ4< B"DX8h® •Bz "ÛJ@Ø º òD"s
14,35 Poi andò un po’ innanzi, si gettò a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via
da lui quell’ora.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


BD@g8hf<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da BD@XDP@:"4 (da BD` e §DP@:"4), andare in
avanti, avanzare, procedere; cf. Mc 6,33. Participio predicativo di valore espletivo del
soggetto sottinteso z30F@ØH.
:4iD`<: agg. indefinito, di grado comparativo, con valore avverbiale, acc. sing. n. da :4iD`H,
–V, –`<, piccolo, poco, corto, breve; cf. Mc 4,31. Qui :4iD`< è usato in senso locale, come
in Mt 26,39.
§B4BJg<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da B\BJT, cadere, precipitare; cf. Mc 4,4.
Imperfetto durativo.
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., in, su, a, davanti a, verso, sopra,
presso; cf. Mc 1,22.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
(­H: sost., gen. sing. f. da (­, (­H, terra; cf. Mc 2,10; compl. di moto a luogo. L’espressione
§B4BJg< ¦BÂ J­H (­H può essere intesa in due modi diversi: a) «si gettò a terra», nel senso
di un cadere intenzionale, come libera e composta decisione di Gesù (cf. B\BJg4< ¦BÂ
FJ`:", «gettarsi bocconi», Senofonte, Cyn., 10,13). Così intendono gli altri sinottici: per
Matteo, Gesù «cadde sulla sua faccia», ossia «si prostrò» (§BgFg< ¦BÂ BD`FTB@< "ÛJ@Ø,
Mt 26,39); per Luca, Gesù «si inginocchiò» (… hgÂH J (`<"J"…, «…piegando le
ginocchia…», Lc 22,41); b) grammaticalmente, tuttavia, è possibile intendere la forma
verbale §B4BJg<, «cadde», come una specie di intransitivo passivo (= «fu gettato»), per
indicare una azione non voluta deliberatamente, ma subita per la violenza del momento. In
tal caso l’espressione è forte e realistica. Nel NT, infatti, il cadere d’improvviso a terra è
segno di morte (cf. Mt 10,29), malattia (cf. Mc 9,20) o terrore (cf. At 9,4; 22,7).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Mc 14,36 975

BD@F0bPgJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. medio da BD@FgbP@:"4 (da BD`H e gÜP@:"4),
offrire preghiere, pregare; cf. Mc 1,35. Imperfetto durativo.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7. La particella gÆ è qui usata per introdurre una proposizione ipotetica, la
protasi, la cui conseguenza è costituita dalla proposizione reggente (detta apodosi).
Ritroviamo questa costruzione in Mc 3,26; 4,23; 8,34; 9,22.23.35; 11,25; 13,20.22; 14,21.
29.35.
*L<"J`<: agg. qualificativo, nom. sing. n. da *L<"J`H, –Z, –`<, capace, possibile; cf. Mc 9,23;
predicato nominale, con soggetto neutro sottinteso: «se [questa cosa] è possibile».
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
B"DX8h®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da B"DXDP@:"4 (da B"DV e §DP@:"4), andare
oltre, passare oltre, superare, precedere; cf. Mc 6,48. Congiuntivo desiderativo.
•Bz: (= •B`), prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da;
cf. Mc 1,9.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di moto da luogo.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
òD": sost., nom. sing. f. da òD", –"H, ora, tempo; cf. Mc 6,35; soggetto. L’«ora» qui ricordata
non deve essere semplicemente intesa nel significato meramente cronologico: nell’AT ricorre
soprattutto nel libro di Daniele in senso escatologico, poiché è quasi sinonimo del «giorno
di Yahweh» (cf. Dn 8,17.19; 11,35.40.45). Ma il parallelo letterario e teologico più rilevante
è quello che troviamo nel vangelo di Giovanni, dove il vocabolo òD" designa il tempo
stabilito da Dio in cui il Figlio porta a compimento la salvezza mediante la sua passione e
risurrezione (cf. Gv 2,4; 5,25; 7,30; 8,20; 12,23.27; 13,1). L’ora ricordata da Marco è il
momento stabilito da Dio che prevede la sofferenza e la morte a causa dello scatenarsi delle
forze ostili contro Gesù. È la stessa «ora» (òD") ricordata da Luca al momento dell’arresto:
«Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete steso le mani contro di me; ma questa è la
vostra ora, è l’impero delle tenebre!» (Lc 22,53). Si tratta di un’ora temuta, ma anche
desiderata da Gesù: «L’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da questa ora?
Ma per questo sono giunto a quest’ora!» (Gv 12,27).

14,36 i"Â §8g(g<s !$$" Ò B"JZDs BV<J" *L<"JV F@4· B"DX<g(ig JÎ B@JZD4@<
J@ØJ@ •Bz ¦:@Ø· •88z @Û J\ ¦(ã hX8T •88 J\ Fb.
14,36 E diceva: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però
non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


976 Mc 14,36

§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Imperfetto durativo. L’espressione [i"Â] §8g(g< "ÛJ@ÃH…, «[e] diceva loro…»;
i"Â §8g(g<…, «e diceva…», posta all’inizio di una proposizione, è usata da Marco come
formula abituale di raccordo per unire sentenze staccate o una serie di sentenze (cf. Mc 2,27;
4,11.21.24.26. 30; 6,4.10; 7,9.20; 8,21; 9,1; 11,17; 14,36).
!$$": sost., voc. sing. m., indecl., da "$$", padre; compl. di vocazione. Il vocabolo ricorre 3
volte nel NT: Mc 14,36 (hapax marciano); Rm 8,15; Gal 4,6. Traslitterazione grecizzata
della parola di origine aramaica !v I!H , ’abba) ’, «padre», «babbo», forma vocativa.
L’invocazione aramaica ’abba) ’, diversamente dal corrispondente ebraico "! I , ’a) b5, «padre»
o *"E!C , ’a7 b5î, «padre mio», detto anche metaforicamente, designava nel giudaismo palestinese
la paternità carnale e come appellativo era detto dal figlio (piccolo o adulto) nei riguardi del
padre naturale o adottivo. Da un punto di vista grammaticale il termine può esprimere uno
stato enfatico vocativo («padre!») oppure vocativo possessivo («padre mio!»). Tuttavia,
poiché tale vocabolo nasce dalla lingua parlata del linguaggio familiare infantile, il senso
migliore è quello di un diminutivo affettivo, l’equivalente del nostro «papà» o «babbo», una
parola che soltanto un figlio, non soltanto in tenera età, può rivolgere al suo padre naturale.
Ciò che sorprende è che non esistono testi nella letteratura giudaica del tempo di Gesù dai
quali risulti l’impiego di ’abba) ’ come invocazione assoluta e diretta a Dio: vi è l’uso
tradizionale di definire Dio un padre ("! I ,’a) b5) in contesti liturgici e poetici oppure di
invocarlo con il titolo collettivo «padre nostro», ma mai Dio è invocato da qualche singolo
direttamente come !v I!H , ’abba) ’ («papà»). Rivolgere questo titolo a Dio in forma diretta e
personale sarebbe stato per i Giudei una vera profanazione. Gesù non esita a usarlo:
rompendo con il costume giudaico e pregando Dio come un figlio si rivolge al padre
naturale egli inaugura un nuovo vocabolario. Si tratta di una delle fondamentali rivelazioni
che troviamo nei vangeli. Con molta probabilità Gesù usò la parola ’abba) ’ non soltanto
quando ciò è esplicitamente attestato (come nel nostro caso), ma anche in altri contesti,
specialmente nelle invocazioni a Dio che i vangeli registrano con le formule greche
esclamative BVJgD (Mt 11,25; Lc 10,21; 11,2; 22,42; 23,34.46; Gv 11,41; 12,27.28;
17,1.5.11.21.24. 25), Ò B"JZD (Mt 11,26; Mc 14,36; Gv 5,36; Rm 8,15; Gal 4,6), BVJgD
:@L (Mt 26,39.42), Ò B"JZD :@L (Mt 11,27; 26,53) e forse anche BVJgD º:ä< (Mt 6,9).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
B"JZD: sost., nom. sing. m. da B"JZD, B"JD`H, padre; cf. Mc 1,20; compl. di vocazione.
Anche se già nel greco classico il nominativo è attestato come forma vocativa nei confronti
di subalterni, l’uso del nominativo con l’articolo al posto del vocativo è un semitismo,
poiché in ebraico e aramaico il caso vocativo è reso dal nominativo con l’articolo (cf. Mc
5,8.41; 9,25; 14,36; 15,34[x2]). Il vocabolo traduce il corrispondente aramaico !v I!H,
traslitterato in "$$": si tratta di un procedimento caro a Marco che ama riferire parole
aramaiche così come furono pronunciate da Gesù (cf. Mc 5,41; 7,11.34; 14,36; 15,34: cf.
anche Mc 3,17). Si deve osservare, tuttavia, che negli altri casi Marco inserisce una formula
esplicativa tra l’espressione aramaica e la sua traduzione greca: qui, invece, colloca il termine
greco immediatamente dopo quello aramaico.
Mc 14,36 977

BV<J": pron. indefinito, nom. plur. n. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; soggetto.
*L<"JV: agg. qualificativo, nom. plur. n. da *L<"J`H, –Z, –`<, capace, possibile; cf. Mc 9,23;
predicato nominale.
F@4: pron. personale di 2a pers. dat. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu, te;
cf. Mc 1,11; compl. di termine. L’espressione BV<J" *L<"JV F@4, «tutto è possibile a te»,
riprende in tono affermativo l’analoga frase di Mc 14,35 formulata in modo ipotetico: gÆ
*L<"J`< ¦FJ4<, «se fosse possibile». Un collegamento ritroviamo anche con Mc 10,27:
BV<J" *L<"J B"D Jè hgè, «tutto è possibile a Dio».
B"DX<g(ig: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da B"D"nXDT (da B"DV e nXDT), portare via,
rimuovere, allontanare. Questo verbo ricorre 4 volte nel NT: Mc 14,36 (hapax marciano);
Lc 22,42; Eb 13,9; Gd 1,12. Il verbo B"D"nXDT viene usato nella grecità per esprimere sia
il concetto generico di «portare» con sé (cf. Euripide, Hel., 724; Platone, Resp., 515a) sia
quello di «portare via», «portare fuori», «allontanare» da sé (cf. Senofonte, Cyn., 5,27).
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
B@JZD4@<: sost., acc. sing. n. da B@JZD4@<, –@L, calice, tazza, bicchiere; cf. Mc 7,4; compl.
oggetto. Circa il significato del «calice» come metafora di giudizio di Dio vedi Mc 10,38.
J@ØJ@: pron. dimostrativo, acc. sing. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 1,27;
attributo di B@JZD4@<, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
•Bz: (= •B`), prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da;
cf. Mc 1,9.
¦:@Ø: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc.
¦:X/:g), io, me; cf. Mc 7,6; compl. di moto da luogo.
•88z: (= •88V), cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però,
piuttosto, nondimeno; cf. Mc 1,44.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
J\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; compl. oggetto. Nella doppia ricorrenza questo
pronome interrogativo sta al posto del relativo Ó J4 / òFJ4H («ciò che»), come avviene nei
papiri e nelle iscrizioni; si tratta di un uso popolare e piuttosto frequente nella Koiné:
«Propositio relativa et interrogatio indirecta post verba dicendi, cognoscendi etc. valde affines
sunt. Hinc fit, ut hellenistice interrogativum J\ loco pronominis relativi stare possit» (Zerwick
Max, Graec., § 221). Analogo fenomeno in Mc 2,25; 4,24; 5,14; 6,36; 8,1.2; 9,6.10; 10,38;
13,11; 14,36[x2].40.68; 15,24.
¦(f: pron. personale di 1a pers. nom. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc.
¦:X/:g), io, me; cf. Mc 1,8; soggetto. In posizione enfatica, contrapposto con grande rilievo
al successivo Fb, tu.
hX8T: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da hX8T, volere, avere il proposito di; cf. Mc 1,40.
978 Mc 14,37

•88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno; cf. Mc 1,44.
J\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; compl. oggetto.
Fb: pron. personale di 2a pers. nom. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,11; soggetto. Il pronome Fb, posto alla fine della proposizione, crea una grande
enfasi, diventando il culmine letterario e teologico delle parole di Gesù. Il pronome personale
«tu» è speculare con il precedente pronome personale «io»: Figlio e Padre sono uno di fronte
all’altro, ma vengono riuniti nella sottomissione dell’obbedienza del Figlio.

14,37 i"Â §DPgJ"4 i"Â gßD\Fig4 "ÛJ@×H i"hgb*@<J"Hs i"Â 8X(g4 Jè AXJDås E\:T<s
i"hgb*g4Hp @Ûi ÇFPLF"H :\"< òD"< (D0(@D­F"4p
14,37 Tornò indietro, li trovò addormentati e disse a Pietro: «Simone, dormi? Non sei
riuscito a vegliare una sola ora?

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§DPgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere,
farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Presente storico.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
gßD\Fig4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gßD\FiT, trovare, incontrare; cf. Mc 1,37.
Presente storico.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
i"hgb*@<J"H: verbo, acc. plur. m. part. pres., con valore aggettivale, da i"hgb*T (da i"JV
e gà*T), addormentarsi, dormire, riposare; cf. Mc 4,27; compl. predicativo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
AXJDå: sost., nome proprio di persona, dat. sing. m. da AXJD@H, –@L, Pietro; cf. Mc 3,16;
compl. di termine.
E\:T<: sost., nome proprio di persona, voc. sing. m. da E\:T<, –T<@H, Simone, Simeone; cf.
Mc 1,16; compl. di vocazione.
i"hgb*g4H: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da i"hgb*T (da i"JV e gà*T), addormentarsi,
dormire, riposare; cf. Mc 4,27.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
ÇFPLF"H: verbo, 2a pers. sing. ind. aor. da ÆFPbT, essere forte, essere robusto, essere in buona
salute, stare bene, avere forza, essere capace; cf. Mc 2,17.
Mc 14,38 979

:\"<: agg. numerale, cardinale, acc. sing. f. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; attributo di òD"<.
òD"<: sost., acc. sing. f. da òD", –"H, ora, tempo; cf. Mc 6,35; compl. di tempo determinato.
Marco impiega il caso accusativo con valore temporale 7 volte: Mc 1,13; 2,19; 4,27[x2];
5,25; 13,35; 14,37. Altrove l’accusativo temporale è retto dalle preposizioni gÆH (cf. Mc 3,29;
11,14; 13,13), BgD\ (cf. Mc 6,48), :gJV (cf. Mc 8,31; 9,2.31; 13,24; 14,1; 16,12), i"JV (cf.
Mc 14,49; 15,6).
(D0(@D­F"4: verbo, inf. aor. da (D0(@DXT, essere sveglio, vegliare, fare attenzione; cf. Mc
13,34.

14,38 (D0(@DgÃJg i"Â BD@FgbPgFhgs Ë<" :¬ §8h0Jg gÆH Bg4D"F:`<· JÎ :¥< B<gØ:"
BD`hL:@< º *¥ FD> •Fhg<ZH.
14,38 Vegliate e pregate per non venir meno nella prova. Lo spirito è pronto, ma la carne
è debole».

(D0(@DgÃJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da (D0(@DXT, essere sveglio, vegliare, fare
attenzione; cf. Mc 13,34.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BD@FgbPgFhg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. medio da BD@FgbP@:"4 (da BD`H e
gÜP@:"4), offrire preghiere, pregare; cf. Mc 1,35. La concatenazione dei due imperativi in
forma paratattica ((D0(@DgÃJg i"Â BD@FgbPgFhg), corrisponde qui a una subordinazione
di valore finale: «vegliate per pregare». L’impiego di due imperativi in successione paratattica
rivela lo stile duale tipico di Marco (cf. Mc 1,25; 4,24; 6,31.38; 7,14; 8,15; 10,14.21; 11,2;
13,33; 14,34.38.42; 16,7). In questi casi l’accento è posto sul secondo verbo rispetto al primo
il quale svolge soltanto una funzione espletiva.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
§8h0Jg: verbo, 2a pers. plur. congiunt. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere,
farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
Bg4D"F:`<: sost., acc. sing. m. da Bg4D"F:`H, –@Ø, prova, tentazione; compl. di moto a
luogo. Il vocabolo ricorre 21 volte nel NT: Mt 6,13; 26,41; Mc 14,38 (hapax marciano); Lc
4,13; 8,13; 11,4; 22,28.40.46; At 20,19; 1Cor 10,13[x2]; Gal 4,14; 1Tm 6,9; Eb 3,8; Gc
1,2.12; 1Pt 1,6; 4,12; 2Pt 2,9; Ap 3,10. L’espressione «entrare in tentazione» è dovuta a
influsso semitico: può significare «per non essere soggetti alla prova» oppure «per non
soccombere durante la tentazione». Nel greco classico il termine Bg4D"F:`H ricorre, a
quanto sembra, soltanto tre volte, nel significato profano di «prova», «avversità»: 1) J@×H ¦BÂ
Jä< B"hä< Bg4D"F:@bH, «i tentativi [dei medici] sulle malattie» (Dioscoride Pedanio,
Mat. med., Pref. 1,5); 2) i\<*L<@4 i"Â Bg4D"F:@Â ª< Jg (¯ i"Â h"8VFF®, «i rischi e i
pericoli per terra e per mare» (Ciranide, Lib. Cyr., 1,21,38); 3) ßBÎ Bg4D"F:ä< J@Ø
980 Mc 14,38

i`F:@L FJg<@PTD@b:g<@4, «sospinti dai pericoli del mondo» (Sintipa). Analogamente al


verbo Bg4DV.T, da cui deriva (vedi commento a Mc 1,13), il sostantivo Bg4D"F:`H non
necessariamente significa «tentazione» in senso morale e, dunque, tentazione al peccato.
Anche nelle altre ricorrenze neotestamentarie Bg4D"F:`H significa «prova», «esame»,
«verifica», «tribolazione». Soltanto in una occorrenza il termine acquista il significato più
circoscritto di «tentazione al peccato» (cf. 1Tm 6,9).
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
:X<: particella primaria usata in correlazione al *X seguente, indecl., da una parte… dall’altra,
certo… tuttavia, mentre… invece, come… così; cf. Mc 4,4. Nella traduzione spesso può
essere omessa.
B<gØ:": sost., nom. sing. n. da B<gØ:", –"J@H, alito, soffio, vento, spirito, Spirito; cf. Mc 1,8;
soggetto. Lo «spirito» qui non è quello «santo», ma quello concesso da Dio all’uomo, il quale
lotta contro la debolezza della sua natura.
BD`hL:@<: agg. qualificativo, nom. sing. n. da BD`hL:@H, –@< (da BD` e hL:`H), pronto,
disposto; predicato nominale. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mt 26,41; Mc 14,38 (hapax
marciano); Rm 1,15. Nel greco classico l’aggettivo BD`hL:@H si confonde con il participio
del verbo BD@hL:X@:"4 (non attestato nel NT): entrambi i termini ricoprono una vasta
gamma di significati: «pronto», «disposto», «attento», «attivo», «entusiasta», «desideroso»,
ecc. (cf. Erodoto, Hist., 9,91,2; Euripide, Hec., 307; Sofocle, Elect., 3; Aristofane, Pl., 209).
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
Qui è usata in correlazione al precedente :X< per distinguere una parola o una intera
proposizione dalla sua antecedente.
FVD>: sost., nom. sing. f. da FVD>, F"Di`H, carne; cf. Mc 10,8; compl. oggetto. Il vocabolo,
per sineddoche, equivale a «corpo» il quale nella mentalità semitica indica la parte esteriore,
materiale e debole dell’uomo.
•Fhg<ZH: agg. qualificativo, nom. sing. f. da •Fhg<ZH, –XH (da –8n" privativa e Fhg<`T),
debole, infermo, impotente; predicato nominale. Il vocabolo ricorre 26 volte nel NT: Mt
25,43.44; 26,41; Mc 14,38 (hapax marciano); Lc 9,2; 10,9; At 4,9; 5,15.16; Rm 5,6; 1Cor
1,25.27; 4,10; 8,7.9.10; 9,22[x3]; 11,30; 12,22; 2Cor 10,10; Gal 4,9; 1Ts 5,14; Eb 7,18; 1Pt
3,7. Nella grecità l’aggettivo •Fhg<ZH ricorre nel significato di «debole», «malato», «privo
di forza», anche in senso figurato (cf. Erodoto, Hist., 4,135,2; Pindaro, Pyth., 1,55). Questa
opposizione tra «spirito», ritenuto «forte» e «carne», ritenuta «debole», è rara nella mentalità
giudaica che considera l’uomo nella sua interezza, senza distinguere tra corpo e spirito. È
vero che il binomio carne/spirito è presente nel giudaismo, ma non si tratta mai di una rigida
opposizione all’interno dell’uomo, come avviene nella concezione filosofica e antropologica
greca: «Spirito» si riferisce sempre a Dio e al mondo divino; «carne» è riservata all’uomo
nella sua completezza, con le sue possibilità fisiche, psichiche e spirituali. La cultura greca,
invece, sulla scia del pensiero platonico, distingue nettamente all’interno dello stesso uomo,
tra l’anima spirituale che viene dal cielo e vi ritorna e il corpo che è terreno e tiene
prigioniera l’anima.
Mc 14,39–40 981

14,39 i" BV84< •Bg8hã< BD@F0b>"J@ JÎ< "ÛJÎ< 8`(@< gÆBf<.


14,39 Si allontanò una seconda volta e pregò ripetendo le stesse parole.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
•Bg8hf<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da •BXDP@:"4 (da •B` e §DP@:"4), andare via,
partire; cf. Mc 1,20. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso
z30F@ØH.
BD@F0b>"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da BD@FgbP@:"4 (da BD`H e gÜP@:"4),
offrire preghiere, pregare; cf. Mc 1,35.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; attributo di 8`(@<.
8`(@<: sost., acc. sing. m. da 8`(@H, –@L, parola; cf. Mc 1,45; compl. oggetto. Il vocabolo ha
qui il significato di «discorso», «colloquio» o più in generale «parole».
gÆBf<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Participio predicativo del soggetto sottinteso z30F@ØH.

14,40 i" BV84< ¦8hã< gâDg< "ÛJ@×H i"hgb*@<J"Hs µF"< (D "ÛJä< @Ê Ïnh"8:@Â
i"J"$"DL<`:g<@4s i" @Ûi ·*g4F"< J\ •B@iD4häF4< "ÛJè.
14,40 Di nuovo ritornato li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti e
non sapevano che cosa rispondergli.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
¦8hf<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto
sottinteso z30F@ØH. Per altri esempi di participio espletivo con il verbo §DP@:"4 cf. Mc
5,23; 7,25; 12,42; 14,40.45; 16,1.
gâDg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da gßD\FiT, trovare, incontrare; cf. Mc 1,37.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
i"hgb*@<J"H: verbo, acc. plur. m. part. pres., con valore aggettivale, da i"hgb*T (da i"JV
e gà*T), addormentarsi, dormire, riposare; cf. Mc 4,27; compl. predicativo.
µF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf.
Mc 1,6.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16. La formula µF"< (VD
/ µ< (VD, analogamente a i"Â µF"< / i"Â µ< e a µF"< *X / µ< *X, è usata da Marco per
982 Mc 14,41

introdurre un inciso di valore causale o esplicativo (cf. Mc 1,16.33; 2,15; 5,42; 6,31.44.48;
7,26; 8,9; 10,22; 11,13; 14,40; 15,25; 16,14).
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona plurale
(«di essi» = «loro»).
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
Ïnh"8:@\: sost., nom. plur. m. da Ïnh"8:`H, –@Ø, occhio; cf. Mc 7,22; soggetto.
i"J"$"DL<`:g<@4: verbo, nom. plur. m. part. pres. pass., con valore aggettivale, da
i"J"$"Db<T (da i"JV e $"Db<T), schiacciare, piegare, opprimere, appesantire;
predicato nominale. Hapax neotestamentario. Il raro verbo i"J"$"Db<T, di formazione
ellenistica, è utilizzato nella grecità nel senso di «gravare», «appesantire» (cf. Teofrasto, De
vert., 8,9,10; 2Sam 13,25; 14,26; Gl 2,8).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
·*g4F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. piucch. da @É*" (una radice con valore di presente connessa
a gÉ*@<, aor. attivo di ÒDVT), vedere, percepire, discernere, conoscere, sapere; cf. Mc 1,24.
J\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; compl. oggetto. Questo pronome interrogativo sta
al posto del relativo Ó J4 / òFJ4H («ciò che»), come avviene nei papiri e nelle iscrizioni; si
tratta di un uso piuttosto frequente nella Koiné: «Propositio relativa et interrogatio indirecta
post verba dicendi, cognoscendi etc. valde affines sunt. Hinc fit, ut hellenistice interrogativum
J\ loco pronominis relativi stare possit» (Zerwick Max, Graec., § 221). Analogo fenomeno
in Mc 2,25; 4,24; 5,14; 6,36; 8,1.2; 9,6.10; 10,38; 13,11; 14,36[x2].40.68; 15,24.
•B@iD4häF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33. Congiuntivo deliberativo o interrogativo.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.

14,41 i" §DPgJ"4 JÎ JD\J@< i" 8X(g4 "ÛJ@ÃHs 5"hgb*gJg JÎ 8@4BÎ< i" •<"B"bg-
Fhg· •BXPg4· µ8hg< º òD"s Æ*@× B"D"*\*@J"4 Ò LÊÎH J@Ø •<hDfB@L gÆH JH
PgÃD"H Jä< :"DJT8ä<.
14,41 Venne per la terza volta e disse loro: «State ancora dormendo e riposando? Basta!
L’ora è venuta: ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§DPgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Presente storico.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
Mc 14,41 983

JD\J@<: agg. numerale, ordinale, acc. sing. n. da JD\J@H, –@L, terzo; cf. Mc 12,21. L’aggettivo,
determinato dall’articolo, è qui usato con valore avverbiale: la terza volta.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. La formula redazionale 8X(g4
"ÛJ@ÃH ricorre 25 volte, esclusivamente riservata a Gesù (cf. Mc 1,38; 2,8.17.25; 3,4;
4,13.35; 5,39; 6,31.38.50; 7,18; 8,17; 9,35; 10,11.24.42; 11,2.22.33; 12,16; 14,13.27.34.41).
Per quanto riguarda la formula singolare 8X(g4 "ÛJè, avente come soggetto Gesù, cf. Mc
1,41.44; 2,14; 5,9.19; 7,34; per 8X(g4 "ÛJ± cf. Mc 5,41.
5"hgb*gJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da i"hgb*T (da i"JV e gà*T), addormentarsi,
dormire, riposare; cf. Mc 4,27.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
8@4B`<: agg. qualificativo, acc. sing. n. da 8@4B`H, –Z, –`<, rimanente, resto; cf. Mc 4,19.
L’aggettivo, determinato dall’articolo, è qui usato con valore avverbiale: «ancora»,
«nuovamente».
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•<"B"bgFhg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. medio da •<"B"bT (da •<V e B"bT), prendere
riposo, riposarsi; cf. Mc 6,31. La maggior parte dei commentatori intende la frase
i"hgb*gJg JÎ 8@4BÎ< i" •<"B"bgFhg come un comando formulato in modo
affermativo mediante due imperativi: «Dormite pure e riposatevi», «Continuate a dormire e
a riposare!». In questo modo, tuttavia, non si riesce più a collegare l’espressione con il
successivo •BXPg4 che resta slegato e senza un significato coerente. Inoltre, se la frase di
Gesù fosse realmente un invito a continuare a riposare sarebbe in palese contraddizione con
il successivo ordine ¦(g\DgFhg, «alzatevi» (v. 42): Gesù non può dire ai discepoli
«dormite!» e subito dopo «alzatevi!». È dunque preferibile assegnare alla frase il valore
interrogativo di una amara constatazione: «State ancora dormendo e riposando?» e intendere
•BXPg4 come forma esclamativa («Basta! [sott. di dormire]») in riferimento al protrarsi di
questo stato di sonno.
•BXPg4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da •BXPT (da •B` e §PT), essere abbastanza, essere
sufficiente; cf. Mc 7,6. Questa forma verbale, una locuzione idiomatica di carattere
impersonale, può essere grammaticalmente intesa in tre modi: a) in riferimento ai discepoli:
«Basta! (= avete dormito abbastanza), l’ora è giunta…»; b) in riferimento a Gesù: «Basta!
(= è sufficiente quello che ho fatto), l’ora è giunta…»; c) in riferimento a Giuda: «Basta! (=
quello che hai deciso è ormai imminente), l’ora è giunta…». Il primo significato è da
preferire, come sopra abbiamo motivato.
µ8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
òD": sost., nom. sing. f. da òD", –"H, ora, tempo; cf. Mc 6,35; soggetto.
984 Mc 14,42

Æ*@b: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. medio da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf.
Mc 1,2. Il vocabolo Æ*@b, un segnale discorsivo stereotipo, nella maggior parte delle
ricorrenze neotestamentarie assume il valore avverbiale esclamativo corrispondente alle
interiezioni «ecco!», «vedi!», «guarda!», «guardate!». Non c’è sostanziale diversità con
l’equivalente Ç*g (cf. Mc 2,24). Entrambe le particelle sono forme vivaci e dinamiche
modellate sul corrispondente ebraico %F% E , hinne)h (1057 volte nell’AT) e in quanto tali
possono sottolineare il discorso o la narrazione che esse introducono con una energia
particolare, esprimente di volta in volta sorpresa, importanza, novità, reazione. Su 7
ricorrenze marciane di Æ*@b 4 sono pronunciate da Gesù, come elemento caratteristico che
intende richiamare l’attenzione degli ascoltatori (cf. Mc 4,3; 10,33; 14,41.42).
B"D"*\*@J"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. pass. da B"D"*\*T:4 (da B"DV e *\*T:4),
consegnare, rimettere, dare (qualcuno) nelle mani (di un altro), consegnare (qualcuno) al
potere (di un altro), tradire; cf. Mc 1,14.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
LÊ`H: sost., nom. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; soggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•<hDfB@L: sost., gen. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di specificazione.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
PgÃD"H: sost., acc. plur. f. da Pg\D, Pg4D`H, mano; cf. Mc 1,31; compl. di moto a luogo.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
:"DJT8ä<: agg. qualificativo, di valore sostantivato, gen. plur. m. da :"DJT8`H, –`<,
erroneo, che sbaglia, colpevole, peccatore; cf. Mc 2,15; compl. di specificazione. Il
vocabolo ha qui il significato tecnico di «pagani»: non si riferisce a peccatori Giudei, ma ai
soldati romani che eseguiranno la crocifissione per conto dei Giudei (cf. At 2,23). La stessa
accezione di :"DJT8`H ritroviamo in Gal 2,15.

14,42 ¦(g\DgFhg –(T:g<· Æ*@× Ò B"D"*4*@bH :g ³((4ig<.


14,42 Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino».

¦(g\DgFhg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. pass. da ¦(g\DT, svegliare, alzare, sollevare,
risorgere [i morti] (trans.); svegliarsi, alzarsi, sollevarsi, risorgere [dai morti] (intr.); cf. Mc
1,31. La forma asindetica è piuttosto frequente con gli imperativi dei verbi ¦(g\DT (cf. Mc
2,9; 3,3; 5,41; 10,49; 14,42), ßBV(T (cf. Mc 1,44; 5,34; 6,38; 7,29; 10,21.52; 16,7), ÒDVT
(cf. Mc 1,44; 6,38; 8,15), F4TBVT (cf. Mc 4,39), n4:`T (cf. Mc 4,39), h"DFXT (cf. Mc
6,50; 10,49), $8XBT (cf. Mc 13,5.23.33).
–(T:g<: verbo, 1a pers. plur. congiunt. pres. da –(T, andare, partire, condurre, guidare,
muovere; cf. Mc 1,37. Questa forma verbale costituisce ciò che viene definito un
Mc 14,43 985

“congiuntivo esortativo”: il verbo, al modo congiuntivo all’interno di una proposizione


principale, è sempre in prima persona ed è usato per esprimere una esortazione, un
incitamento, un incoraggiamento, come se si trattasse della prima persona del modo
imperativo. Per altri esempi di congiuntivo esortativo cf. Mc 1,38; 4,35; 9,5; 11,32; 12,7;
14,42; 15,36. L’impiego di due imperativi in successione ravvicinata (¦(g\DgFhg –(T:g<)
rivela lo stile duale tipico di Marco (cf. Mc 1,25; 4,24; 6,31.38; 7,14; 8,15; 10,14.21; 11,2;
13,33; 14,34.38.42; 16,7). In questi casi l’accento è posto sul secondo verbo rispetto al primo
il quale svolge soltanto una funzione espletiva.
Æ*@b: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. medio da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf.
Mc 1,2. Il vocabolo Æ*@b, un segnale discorsivo stereotipo, nella maggior parte delle
ricorrenze neotestamentarie assume il valore avverbiale esclamativo corrispondente alle
interiezioni «ecco!», «vedi!», «guarda!», «guardate!». Non c’è sostanziale diversità con
l’equivalente Ç*g (cf. Mc 2,24). Entrambe le particelle sono forme vivaci e dinamiche
modellate sul corrispondente ebraico %F% E , hinne)h (1057 volte nell’AT) e in quanto tali
possono sottolineare il discorso o la narrazione che esse introducono con una energia
particolare, esprimente di volta in volta sorpresa, importanza, novità, reazione. Su 7
ricorrenze marciane di Æ*@b 4 sono pronunciate da Gesù, come elemento caratteristico che
intende richiamare l’attenzione degli ascoltatori (cf. Mc 4,3; 10,33; 14,41.42).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
B"D"*4*@bH: verbo, nom. sing. m. part. pres., di valore sostantivato, da B"D"*\*T:4 (da
B"DV e *\*T:4), consegnare, rimettere, dare (qualcuno) nelle mani (di un altro),
consegnare (qualcuno) al potere (di un altro), tradire; cf. Mc 1,14; soggetto.
:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,40; compl. oggetto.
³((4ig<: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. da ¦((\.T, avvicinare, accostare, attirare, congiunge-
re; cf. Mc 1,15.

14,43 5"Â gÛh×H §J4 "ÛJ@Ø 8"8@Ø<J@H B"D"(\<gJ"4 z3@b*"H gÍH Jä< *f*gi" i"Â
:gJz "ÛJ@Ø ÐP8@H :gJ :"P"4Dä< i" >b8T< B"D Jä< •DP4gDXT< i" Jä<
(D"::"JXT< i"Â Jä< BDgF$LJXDT<.
14,43 All’improvviso, mentre stava ancora parlando, arrivò Giuda, uno dei Dodici e con lui
un gruppo con spade e bastoni, mandato dai capi dei sacerdoti, dagli scribi e dagli
anziani.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
§J4: avv. di tempo, indecl., mentre, durante, ancora; cf. Mc 5,35.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3.
8"8@Ø<J@H: verbo, gen. sing. m. part. pres. da 8"8XT, parlare, dire; cf. Mc 1,34. Participio al
genitivo assoluto. La frase §J4 "ÛJ@Ø 8"8@Ø<J@H appare nella forma detta “genitivo
986 Mc 14,43

assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore temporale. Nel greco biblico l’espressione §J4 "ÛJ@Ø
8"8@Ø<J@H / §J4 "ÛJä< 8"8@b<JT< è una specie di frase stereotipa per sottolineare un
cambio di scena all’interno della stessa narrazione (cf. Gn 29,9; 1Re 1,42; 2Re 6,33; Est
6,14; Mt 12,46; 17,5; 26,47; Mc 5,35; 14,43; Lc 8,49; 22,47).
B"D"(\<gJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da B"D"(\<@:"4 (da B"DV e (\<@:"4),
arrivare, avvicinarsi, sopraggiungere. Questo verbo deponente ricorre 37 volte nel NT. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 2,1; 3,1.13; Mc 14,43 (hapax marciano); Lc
7,4.20; 8,19; 11,6; 12,51; 14,21; 19,16; 22,52; Gv 3,23; 8,2. Presente storico. Oltre al
significato di moto a luogo corrispondente a «essere vicino», «farsi presente» (cf. Omero,
Od., 17,173) il verbo B"D"(\<@:"4 esprime nella grecità anche l’idea di un moto da luogo,
equivalente a «giungere presso», «sopraggiungere» (cf. Erodoto, Hist., 6,95,1; Polibio, Hist.,
3,8,11).
z3@b*"H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z3@b*"H, –", Giuda; cf. Mc 3,19;
soggetto.
gÍH: agg. numerale, cardinale, nom. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; apposizione di
z3@b*"H. L’uso del numero cardinale gÍH al posto del pronome indefinito J\H, «uno»,
«qualcuno» o dell’articolo indeterminativo «uno», soprattutto nelle espressioni partitive, è un
semitismo. Ritroviamo questo fenomeno in Mc 5,22; 6,15; 8,28; 9,17.37.42; 10,17.37[x2];
12,28.42; 13,1; 14,10.18.20.43.47.66.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
*f*gi": agg. numerale, cardinale, di valore sostantivato, gen. plur. m., indecl., dodici, Dodici
(apostoli); cf. Mc 3,14; compl. partitivo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
:gJz: (= :gJV), prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con,
insieme a, in compagnia di; cf. Mc 1,13.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di compagnia.
ÐP8@H: sost., nom. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; soggetto. Senza
articolo perché generica. Il vocabolo ÐP8@H non ha qui il significato generico di «folla»
popolare, come avviene nelle altre ricorrenze, ma quello circoscritto e negativo di «schiera»,
«stuolo», «banda armata», significato ben attestato nel greco classico (cf. Tucidide, Hist.,
4,56,1; 4,126,6; cf. anche 1Mac 1,20.29; 9,35). Ci viene riferito che questa truppa è stata
inviata «dai capi dei sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani»: è, dunque, composta da Giudei,
quasi certamente da membri della polizia del Tempio, in ogni caso non da soldati romani.
Grazie agli scritti giudaici sappiamo che la polizia del Tempio, costituita da leviti, era
chiamata a svolgere diverse operazioni di pubblica sicurezza. Essa si teneva a disposizione
del sinedrio e procedeva agli arresti e all’esecuzione delle pene inflitte. Se si tiene conto che
il sinedrio quasi certamente aveva la propria sede nelle adiacenze del Tempio, è assai
probabile che il gruppo inviato ad arrestare Gesù e comandato dai sorveglianti del Tempio
(cf. Lc 22,52) sia stato composto da questa polizia levitica del Tempio, con l’aggiunta dei
servi del Sommo sacerdote in carica (cf. Mc 14,43). Le parole di rimprovero di Gesù, il
Mc 14,43 987

quale al momento della cattura ricorda ai membri del drappello come ogni giorno fosse a
insegnare sulla spianata del Tempio senza che nessuno lo arrestasse (cf. Mc 14,49), si
comprendono soltanto se il suo arresto fu operato dalla polizia levitica del Tempio. È vero
che in Gv 18,3.12, accanto alle guardie giudaiche che si presentano ad arrestare Gesù, viene
menzionata una «coorte» (FBgÃD") romana comandata da un «tribuno» (P48\"DP@H). Ma
questa notizia, sul piano strettamente storico, è inattendibile: non si spostano 400–600 uomini
per arrestare una persona. Durante tutto il ministero pubblico di Gesù i militari romani non
hanno mai mostrato interesse per l’attività da lui svolta. Non sono intervenuti né in occasione
dei grandi assembramenti né in occasione del suo ingresso “regale” a Gerusalemme. È il
governo giudaico, non quello romano, che ha preso l’iniziativa dell’arresto di Gesù, come
esplicitamente afferma Marco.
:gJV: prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con; cf. Mc 1,13.
:"P"4Dä<: sost., gen. plur. f. da :VP"4D", –0H, spada; compl. di unione. Il vocabolo ricorre
29 volte nel NT: Mt 10,34; 26,47.51.52[x3]. 55; Mc 14,43.47.48; Lc 21,24; 22,36.38.49. 52;
Gv 18,10.11; At 12,2; 16,27; Rm 8,35; 13,4; Ef 6,17; Eb 4,12; 11,34.37; Ap 6,4;
13,10[x2].14. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui,
è frequente nel greco ellenistico. L’accenno alle :VP"4D"4 in questo passo non implica
affatto la partecipazione dei legionari romani alla cattura di Gesù (cf. sopra); sul piano
lessicale, per quanto riguarda la descrizione e la differenza tra :VP"4D", >\n@H e Õ@:n"\",
vedi commento a Mc 14,47.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
>b8T<: sost., gen. plur. n. da >b8@<, –@L, bastone; compl. di unione. Il vocabolo ricorre 20
volte nel NT: Mt 26,47.55; Mc 14,43.48; Lc 22,52; 23,31; At 5,30; 10,39; 13,29; 16,24;
1Cor 3,12; Gal 3,13; 1Pt 2,24; Ap 2,7; 18,12[x2]; 22,2[x2].14.19. L’assenza dell’articolo
nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è frequente nel greco ellenistico. Nelle
ricorrenze marciane >b8@< non indica il «legno» d’albero in senso generico (cf. Omero, Il.,
23,327; Sofocle, Trach., 700), quanto il «bastone», il «randello» usati come oggetti di difesa
(cf. Erodoto, Hist., 2,63,1; Plutarco, Lyc., 30,2,5).
B"DV: prep. propria con valore di agente, seguita dal genitivo, indecl., da, da parte di; cf. Mc
1,16.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
•DP4gDXT<: sost., gen. plur. m. da •DP4gDgbH, –XTH (da •DPZ e ÊgDgbH), sommo sacerdote,
capo dei sacerdoti; cf. Mc 2,26; compl. di agente.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
(D"::"JXT<: sost., gen. plur. m. da (D"::"JgbH, –XTH (da (DV::"), scriba, esperto della
Legge, insegnante religioso; cf. Mc 1,22; compl. di agente.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
988 Mc 14,44

BDgF$LJXDT<: agg. qualificativo, di grado comparativo, con valore sostantivato, gen. plur. m.
da BDgF$bJgD@H, –", –@< (comparativo di BDXF$LH), più vecchio, più anziano,
predecessore, antenato, «presbitero»; cf. Mc 7,3; compl. di agente.

14,44 *g*fig4 *¥ Ò B"D"*4*@×H "ÛJÎ< FbFF0:@< "ÛJ@ÃH 8X(T<s ?< —< n48ZFT
"ÛJ`H ¦FJ4<s iD"JZF"Jg "ÛJÎ< i" •BV(gJg •Fn"8äH.
14,44 Il traditore aveva dato loro questo segnale: «Quello che bacerò, è lui! Arrestatelo e
portatelo via sotto stretta sorveglianza».

*g*fig4: verbo, 3a pers. sing. ind. piucch. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26.
*X: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti, dunque, quindi; cf. Mc 1,8.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
B"D"*4*@bH: verbo, nom. sing. m. part. pres., di valore sostantivato, da B"D"*\*T:4 (da
B"DV e *\*T:4), consegnare, rimettere, dare (qualcuno) nelle mani (di un altro),
consegnare (qualcuno) al potere (di un altro), tradire; cf. Mc 1,14; soggetto.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
FbFF0:@<: acc. sing. n. da FbFF0:@<, –@L, segno, segnale; compl. oggetto. Hapax
neotestamentario. Senza articolo perché ancora generico. Il vocabolo FbFF0:@< ricorre
nella grecità nel significato di «segnale» o «segno di riconoscimento» (cf. Diodoro Siculo,
Bibl., 20,51,1; Menandro, Peric., 792; Gdc 20,38.40; Is 5,26; 49,22; 62,10).
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
8X(T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto Ò B"D"*4*@bH. L’uso di
8X(T dopo i verbi cosiddetti dicendi («dire», «proclamare», «annunciare», «interrogare»,
«rispondere», «deliberare», ecc.), frequentissimo nel NT, è un ebraismo dovuto alla
traduzione servile della forma verbale 9J/!-F, le) ’mo) r, equivalente al gerundio «dicendo» e
impiegata per introdurre il discorso diretto, in sostituzione del segno grafico dei due punti (:),
inesistente in ebraico come in greco. Nelle traduzioni questa tipica forma può essere omessa.
?<: pron. relativo, acc. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 6,16; compl. oggetto.
–<: partic. modale di valore dubitativo, eventuale o condizionale, indecl., [se, e se, caso mai,
qualora, eventualmente]; cf. Mc 3,29.
n48ZFT: verbo, 1a pers. sing. congiunt. aor. da n48XT, baciare. Questo verbo ricorre 25 volte
nel NT: Mt 6,5; 10,37[x2]; 23,6; 26,48; Mc 14,44 (hapax marciano); Lc 20,46; 22,47; Gv
5,20; 11,36; 12,25; 15,19; 16,27[x2]; 20,2; 21,15.16.17[x3]; 1Cor 16,22; Tt 3,15; Ap 3,19;
22,15. Diversamente dai sinonimi ¦DVT (non attestato nel NT), usato nel greco classico per
indicare l’amore passionale, l’amore di desiderio, e •("BVT (cf. Mc 10,21), impiegato per
l’amore di predilezione, l’amore diffusivo (amore di benevolenza, lat. diligere), il verbo
n48XT viene usato per qualificare il calore umano e l’affetto premuroso del «voler bene»,
Mc 14,45 989

in particolare nei riguardi di parenti, amici e conoscenti (amore di amicizia). Nell’uso


sinottico n48XT non ha particolari rilievi teologici e nella maggior parte delle ricorrenze
indica il generico «amare», «preferire». Nel significato circoscritto di «baciare», attestato già
nel greco classico a iniziare da Teognide (cf. Erodoto, Hist., 1,134,1; Senofonte, Symp., 9,5;
Aristofane, Lys., 1036), il verbo n48XT è presente in Mc 14,44; Mt 26,48; Lc 22,47 e nella
forma intensiva i"J"n48XT in Mc 14,45.
"ÛJ`H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., nom. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,8; soggetto. In posizione prolettica rispetto al verbo, il
pronome ha valore enfatico di grande rilievo: propriamente viene definito un "ÛJ`H
cristologico, come in Mc 1,8; 6,14.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
iD"JZF"Jg: verbo, 2a pers. plur. imperat. aor. da iD"JXT, tenere, prendere, afferrare,
catturare; cf. Mc 1,31.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
•BV(gJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da •BV(T (da •B` e –(T), condurre, portare via.
Questo verbo ricorre 15 volte nel NT: Mt 7,13.14; 26,57; 27,2.31; Mc 14,44.53; 15,16; Lc
13,15; 21,12; 22,66; 23,26; At 12,19; 23,17; 1Cor 12,2. Nel greco profano il verbo •BV(T
è utilizzato nel significato di «condurre via», «portare via» (cf. Omero, Od., 18,278; Sofocle,
Oed. tyr., 1340; Aristofane, Nub., 32). In riferimento a detenuti o schiavi il verbo assume il
significato tecnico di «condurre via», «trasferire», mediante un allontanamento forzato.
•Fn"8äH: avv. di modo, indecl., saldamente, in sicurezza. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT:
Mc 14,44 (hapax marciano); At 2,36; 16,23. In senso proprio l’aggettivo •Fn"8ZH (da •–
privativa e FnV88T, «far inciampare», «far cadere») esprime la qualità di chi non
sdrucciola o inciampa, ossia di chi è sicuro, stabile, fermo. Usato nella forma avverbiale in
riferimento a cose o persone il vocabolo assume il significato equivalente a «saldamente»,
«con sicurezza» (cf. Omero, Il., 13,141; Od., 17,235). Il parallelo più vicino è At 16,23, dove
•Fn"8äH è usato nel significato di «sotto sicura custodia», «sotto stretta sorveglianza», in
riferimento ai prigionieri Paolo e Sila.

14,45 i"Â ¦8hã< gÛh×H BD@Fg8hã< "ÛJè 8X(g4s {C"$$\s i"Â i"Jgn\80Fg< "ÛJ`<·
14,45 E subito si fece avanti, si avvicinò a lui e disse: «Maestro!». E lo baciò ripetutamente.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦8hf<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto Ò
B"D"*4*@bH. Per altri esempi di participio espletivo con il verbo §DP@:"4 cf. Mc 5,23;
7,25; 12,42; 14,40.45; 16,1.
gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
990 Mc 14,46

BD@Fg8hf<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da BD@FXDP@:"4 (da BD`H e §DP@:"4), venire,
avvicinarsi, precedere, accostarsi; cf. Mc 1,31. Participio predicativo di valore espletivo del
soggetto Ò B"D"*4*@bH.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
{C"$$\: sost., voc. sing. m. da Õ"$$4, maestro, «rabbi»; cf. Mc 9,5; compl. di vocazione.
Traslitterazione grecizzata dell’espressione esclamativa di origine ebraica e aramaica *vE9H,
rabbî, «Mio signore!», «Mio maestro!», corrispondente alla forma aramaica intensiva *1E|v9H,
rabbônî, «Mio signore!», «Mio maestro!». I titoli venivano indirizzati a persone dotate di
autorità e prestigio: era consuetudine che i discepoli usassero questa formula, nel significato
di «(mio) maestro!», quando si rivolgevano ai loro insegnanti (cf. la traduzione esplicita
*4*VFi"8g in Gv 20,16). La forma più comune, *vE9H, rabbî, si ritrova in Mc 9,5; 11,21;
14,45 sempre sulla bocca di un discepolo nei riguardi di Gesù.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
i"Jgn\80Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da i"J"n48XT, baciare a lungo, baciare
ripetutamente. Questo verbo ricorre 6 volte nel NT: Mt 26,49; Mc 14,45 (hapax marciano);
Lc 7,38.45; 15,20; At 20,37. Il verbo, ampiamente attestato nel greco classico (cf. Menandro,
Epit., 273; Senofonte, Mem., 2,6,33), è una forma intensiva del più comune n48XT (cf. v.
44) nel significato di «baciare»: sebbene il verbo possa indicare anche l’intensità del gesto
(= «lo baciò con affetto», «lo baciò con tenerezza») qui è preferibile il significato ripetitivo
(= «lo baciò varie volte») per rendere il segnale più visibile ed evitare che gli inviati
arrestassero erroneamente un’altra persona. Si deve qui ricordare che non si tratta del bacio
affettuoso dato sulla guancia o sulle labbra, alla maniera occidentale, ma del bacio di
venerazione che tradizionalmente nel mondo giudaico l’allievo dava sulla mano, sulla fronte
o sulla barba del suo maestro, come segno di omaggio e rispetto (cf. Strack–Bill., I,995).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.

14,46 @Ê *¥ ¦BX$"8@< JH PgÃD"H "ÛJè i" ¦iDVJ0F"< "ÛJ`<.


14,46 Allora quelli gli misero le mani addosso e lo arrestarono.

@Ê: art. determ., con valore pronominale, nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5;
soggetto. Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale
"ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
¦BX$"8@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da ¦B4$V88T (da ¦B\ e $V88T), gettare su,
irrompere, infrangersi; cf. Mc 4,37.
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
Mc 14,47 991

PgÃD"H: sost., acc. plur. f. da Pg\D, Pg4D`H, mano; cf. Mc 1,31; compl. oggetto.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦iDVJ0F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da iD"JXT, tenere, prendere, afferrare, catturare;
cf. Mc 1,31.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto. Per la prima volta nel vangelo su
Gesù vengono messe «le mani addosso» in senso ostile: da adesso in poi Gesù è arrestato e
perde definitivamente il suo potere di muoversi; è prima immobilizzato e poi spostato da un
luogo all’altro sotto scorta (cf. Mc 14,53; 15,1.16.20.22). Il vertice di questa immobilità si
avrà al momento della crocifissione (cf. Mc 15,24.27). L’inarrestabile viaggiare di Gesù viene
adesso bloccato in maniera violenta e cruenta mediante l’arresto, le catene e i chiodi fino al
punto in cui «colui che viene» è crocifisso a una trave. Un segnale linguistico di questo
immobilismo storico e teologico si può scorgere nell’uso della preposizione gÆH nel racconto
della passione: all’inizio il movimento di Gesù è ancora completo e libero, indicato da tre gÆH
dinamici che mostrano la sua vitalità: in Mc 14,26 il suo spostamento verso il Monte degli
Ulivi; in Mc 14,28 l’appuntamento dato ai discepoli di ritrovarsi in Galilea; in Mc 14,32 in
occasione dell’ingresso al Getsemani. Ma dopo l’arresto Marco evita accuratamente l’uso
della preposizione gÆH con valore di moto a luogo a proposito di Gesù: essa ricorre in senso
figurato (cf. Mc 14,38.41.55; 15,34) o soltanto per Pietro (cf. Mc 14,54.68), le donne (cf. Mc
15,41) e il sommo sacerdote nella forma stereotipa gÆH :XF@< (cf. Mc 14,60). Per il
movimento coatto di Gesù si usano altre preposizioni, il dativo o l’accusativo (cf. Mc 14,53;
15,1.16.22.43).

14,47 gÍH *X [J4H] Jä< B"DgFJ0i`JT< FB"FV:g<@H J¬< :VP"4D"< §B"4Fg< JÎ<
*@Ø8@< J@Ø •DP4gDXTH i" •ngÃ8g< "ÛJ@Ø JÎ éJVD4@<.
14,47 Ma uno dei presenti tirò fuori il coltello, colpì il servo del sommo sacerdote e gli
staccò l’orecchio.

gÍH: agg. numerale, cardinale, nom. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; attributo di J4H.
L’uso del numero cardinale gÍH al posto del pronome indefinito J\H, «uno», «qualcuno» o
dell’articolo indeterminativo «uno», soprattutto nelle espressioni partitive, è un semitismo.
Ritroviamo questo fenomeno in Mc 5,22; 6,15; 8,28; 9,17.37.42; 10,17.37[x2]; 12,28.42;
13,1; 14,10.18.20.43.47.66.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
[J4H: pron. indefinito (enclitico), nom. sing. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; soggetto. Il pronome è presente nei codici B,
C, 1, Q, f13; è assente, invece, in !, A, L, 579, 700, 2427. Il nesso gÍH J4H è classico (= «uno
qualsiasi»). Si deve però osservare che, come sopra ricordato, Marco usa molto spesso il
992 Mc 14,47

numerale gÍH in funzione del pronome indefinito «uno», «qualcuno». Da un punto di vista
di critica interna, dunque, è assai probabile che la lezione J4H non sia autentica.].
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
B"DgFJ0i`JT<: verbo, gen. plur. m. part. perf., di valore sostantivato, da B"D\FJ0:4 (da
B"DV e ËFJ0:4), avvicinare, presentare, essere presente; cf. Mc 4,29; compl. partitivo. Di
chi si tratta? In tutta la storia della passione Marco usa la frase gÍH (J4<gH) Jä< B"DgFJ0i`-
JT< oppure @Ê B"DgFJäJgH in riferimento a persone o gruppi non appartenenti alla cerchia
di Gesù (cf. Mc 14,69.70; 15,35.39): da ciò alcuni hanno dedotto che a colpire inavvertita-
mente con la corta spada sia stato uno degli stessi sgherri venuti per arrestare Gesù. Questo
debole parallelismo interno non vale a controbattere l’unanimità della tradizione evangelica
che vuole protagonista della scena uno dei Dodici (cf. Mt 26,51; Lc 22,49), identificato con
lo stesso Pietro, come esplicitamente riferisce il quarto evangelista (cf. Gv 18,10).
FB"FV:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. aor. medio da FBVT, tirare fuori, sfoderare, estrarre.
Questo verbo semideponente ricorre 2 volte nel NT: Mc 14,47 (hapax marciano); At 16,27.
Participio predicativo del soggetto gÍH *X [J4H] Jä< B"DgFJ0i`JT<. Il verbo FBVT è
attestato nella grecità sia nel significato del generico «tirare [fuori]», «estrarre» (cf. Eschilo,
Ag., 333; Aristofane, Thesm., 928) sia in quello tecnico di «sguainare», riferito alle armi (cf.
Euripide, Or., 1194).
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
:VP"4D"<: sost., acc. sing. f. da :VP"4D", –0H, spada; cf. Mc 14,43; compl. oggetto. Molto
probabilmente il vocabolo ha qui il significato originale di pugnale o «grosso coltello», usato
per usi generici, la macellazione profana, i sacrifici, la difesa personale (cf. Omero, Il., 3,271;
Euripide, Cycl., 242; Aristofane, Pax, 1017; Erodoto, Hist., 2,61,2; Antifonte, De caede,
69,4). Il significato tecnico di «spada [militare]» è solitamente indicato con i termini >\n@H,
spada diritta a due tagli, simile alla daga (cf. Omero, Il., 1,194; Plutarco, Caes., 66,10,1) e
Õ@:n"\", spada larga, usata dai Traci (cf. Plutarco, Aem., 18,5,4). Si deve osservare,
tuttavia, che in epoca ellenistica i significati specifici dei singoli termini potevano essere
scambiati e usati come sinonimi senza apprezzabili differenze di significato, come avviene
nei LXX dove l’ebraico "9G( G , hEereb5 è tradotto sia con :VP"4D" (cf. Gn 22,6) sia con
Õ@:n"\" (cf. Gn 3,24) sia con >\n@H (cf. Gs 10,28).
§B"4Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da B"\T, colpire, percuotere. Questo verbo ricorre 5
volte nel NT: Mt 26,68; Mc 14,47 (hapax marciano); Lc 22,64; Gv 18,10; Ap 9,5. Nell’uso
profano il verbo B"\T assume il significato di «battere», «percuotere», «colpire», con idea
di violenza e ostilità (cf. Eschilo, Ag., 1384; Senofonte, Anab., 5,8,10; Sofocle, Ai., 242).
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
*@Ø8@<: sost., acc. sing. m. da *@Ø8@H, –@L, schiavo, servo; cf. Mc 10,44; compl. oggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•DP4gDXTH: sost., gen. sing. m. da •DP4gDgbH, –XTH (da •DPZ e ÊgDgbH), sommo sacerdote,
capo dei sacerdoti; cf. Mc 2,26; compl. di specificazione.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Mc 14,48 993

•ngÃ8g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •n"4DXT (da •B` e "ÊDX@:"4), rimuovere, portare
via, staccare, tagliare, mozzare. Questo verbo ricorre 10 volte nel NT: Mt 26,51; Mc 14,47
(hapax marciano); Lc 1,25; 10,42; 16,3; 22,50; Rm 11,27; Eb 10,4; Ap 22,19[x2]. Il
significato specifico di «amputare», «staccare» (cf. Gdt 13,8.9, LXX) deriva da quello più
generico di «portare via» (cf. Omero, Od., 14,455; Erodoto, Hist., 1,80,2; Aristofane, Pax,
561).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
éJVD4@<: sost., acc. sing. n. da éJVD4@<, –@L, orecchio; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 2
volte nel NT: Mc 14,47 (hapax marciano); Gv 18,10. Il vocabolo è una forma diminutiva del
più comune @ÞH (cf. Mc 4,9). L’uso dei diminutivi è una delle caratteristiche dello stile
marciano (cf. Mc 3,9; 5,23.39.41; 6,9; 7,25.27.28.30; 8,7; 9,24.36.37; 10,13–14; 14,47) e più
in generale del greco ellenistico. L’articolo sta forse a indicare l’orecchio per eccellenza, ossia
quello destro, come espressamente riferisce Lc 22,50 (JÎ @ÞH JÎ *g>4`<). Il taglio
dell’orecchio era un marchio infamante imposto per punizione ai briganti o per disprezzo ad
avversari ritenuti inferiori. Un mutilato, inoltre, era inidoneo al culto (cf. Lv 21,16–23).
Giuseppe Flavio (cf. Id., Bellum, 1,270; Antiq., 14,366) riferisce che Antigono strappò con
i denti gli orecchi a Ircano II per impedirgli l’accesso alla carica di sommo sacerdote. Yoanan
ben Zakkai recise l’orecchio di un sadduceo allo stesso scopo (cf. t.Par., 3,8). Se si considera
che questo malcapitato era «il servo del sommo sacerdote», il fatto, oltre alla lesione in sé
stessa, assume una gravità ancora più accentuata.

14,48 i" •B@iD4hgÂH Ò z30F@ØH gÉBg< "ÛJ@ÃHs {SH ¦B 8®FJ¬< ¦>Z8h"Jg :gJ
:"P"4Dä< i"Â >b8T< FL88"$gÃ< :gp
14,48 Allora Gesù disse loro: «Siete venuti a prendermi con spade e bastoni, come se fossi
un brigante.

i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.21.
26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.50.
53a.65a.72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\ di influsso semitico acquista il
significato avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica), per introdurre come
formula paratattica di passaggio una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra
unità narrativa.
•B@iD4hg\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33. Participio predicativo di valore espletivo del
soggetto z30F@ØH.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
994 Mc 14,48

z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7. L’espressione •B@iD4hg\H… 8X(g4, •B@iD4hg\H… gÉBg< è ricalcata sull’ebraico
9/G !J&H… 03HHH&, wayya‘an… wayyo) ’mer, «rispondendo… dice», «rispondendo… disse» (cf.
Gb 8,1, ecc.). Si tratta di una tipica locuzione semitica ridondante che può essere tradotta
semplicemente con «disse», «rispose», «replicò» e simili. Si deve osservare, inoltre, che il
verbo •B@iD\<@:"4 è usato con valore semitico anche quando (come qui) non si tratta di
dare una risposta a una precisa domanda, ma soltanto intervenire con una affermazione o una
richiesta. Questa formula ricorre 16 volte in Marco (cf. Mc 3,33; 6,37; 7,28; 8,29; 9,5.19;
10,3.24.51; 11,14.22.33; 12,35; 14,48; 15,2.12).
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
{SH: cong. subordinativa di valore incidentale, indecl., come, nel modo che, nella maniera che,
nella misura che; cf. Mc 1,10.
¦B\: prep. propria di valore avversativo, seguita dall’accusativo, indecl., contro; cf. Mc 1,22.
8®FJZ<: sost., acc. sing. m. da 8®FJZH, –@Ø, predone, bandito, brigante; cf. Mc 11,17; compl.
di relazione. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è
frequente nel greco ellenistico.
¦>Z8h"Jg: verbo, 2a pers. plur. ind. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori, uscire;
cf. Mc 1,25.
:gJV: prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con; cf. Mc 1,13.
:"P"4Dä<: sost., gen. plur. f. da :VP"4D", –0H, spada; cf. Mc 14,43; compl. di unione.
L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è frequente nel
greco ellenistico.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
>b8T<: sost., gen. plur. n. da >b8@<, –@L, bastone; cf. Mc 14,43; compl. di unione. L’assenza
dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è frequente nel greco
ellenistico.
FL88"$gÃ<: verbo, inf. aor. da FL88":$V<T (da Fb< e 8":$V<T), prendere, afferrare.
Questo verbo ricorre 16 volte nel NT: Mt 26,55; Mc 14,48 (hapax marciano); Lc 1,24.31.36;
2,21; 5,7.9; 22,54; Gv 18,12; At 1,16; 12,3; 23,27; 26,21; Fil 4,3; Gc 1,15. Il verbo
appartiene all’ampia gamma semantica costituita da 8":$V<T (cf. Mc 4,16), ¦B48":$V<@-
:"4 (cf. Mc 8,23), BD@F8":$V<@:"4 (cf. Mc 8,32), i"J"8":$V<T (cf. Mc 9,18),
FL88":$V<T (cf. Mc 14,48). Qui deve essere inteso nel suo significato tecnico,
corrispondente ad «arrestare», «imprigionare», secondo l’uso classico (cf. Erodoto, Hist.,
2,121,(1; Senofonte, Hell., 2,3,38), Giuseppe Flavio (cf. Id., Bellum, 2,292; Antiq., 15,124),
i LXX (cf. Gs 8,23; Gdc 7,25; 8,14; 1Sam 15,8; 23,26, ecc.) e il NT (cf. Mt 26,55; Lc 22,54;
Gv 18,12; At 1,6; 12,3; 23,27).
:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,40; compl. oggetto.
Mc 14,49 995

14,49 i"hz º:XD"< ³:0< BDÎH ß:H ¦< Jè ÊgDè *4*VFiT< i" @Ûi ¦iD"JZF"JX
:g· •88z Ë<" B80DThäF4< "Ê (D"n"\.
14,49 Sono stato ogni giorno in mezzo a voi a insegnare nel Tempio e non mi avete
arrestato. Ma si compiano, dunque, le Scritture!».

i"hz: (= i"JV), prep. propria di valore temporale, seguita dall’accusativo, indecl., durante,
mentre, in, al tempo di; cf. Mc 1,27.
º:XD"<: sost., acc. sing. f. da º:XD", –"H, giorno; cf. Mc 1,9; compl. di tempo determinato.
L’espressione i"hz º:XD"< è un accusativo avverbiale di valore temporale: equivale a
«ogni giorno», analogamente a i"J ©@DJZ<, «a ogni festa» (cf. Mc 15,6).
³:0<: verbo, 1a pers. sing. ind. imperf. medio da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere
presente; cf. Mc 1,6.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
ß:H: pron. personale di 2a pers. acc. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 1,8; compl. di stato in luogo.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
Jè: art. determ., dat. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ÊgDè: sost., dat. sing. n. da ÊgD`<, –@Ø, tempio; cf. Mc 11,11; compl. di stato in luogo.
*4*VFiT<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da *4*VFiT, insegnare, istruire, ammaestrare; cf.
Mc 1,21. Participio predicativo del soggetto z30F@ØH. Il participio è retto da ³:0< in
costruzione perifrastica («ero insegnante»), al posto dell’usuale imperfetto «insegnavo».
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
¦iD"JZF"JX: verbo, 2a pers. plur. ind. aor. da iD"JXT, tenere, prendere, afferrare, catturare;
cf. Mc 1,31.
:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,40; compl. oggetto.
•88z: (= •88V), cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però,
piuttosto, nondimeno; cf. Mc 1,44.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38. La costruzione •88z Ë<", di valore ellittico, corrisponde qui all’espressione «ma [ciò
avviene] affinché» (cf. Mc 4,22), come esplicita Mt 26,56 nel passo parallelo (J@ØJ@ *¥
Ó8@< (X(@<g< Ë<"…).
B80DThäF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. pass da B80D`T, rendere pieno, riempire,
colmare, completare; cf. Mc 1,15.
"Ê: art. determ., nom. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 2,5.
996 Mc 14,50

(D"n"\: sost., nom. plur. f. da (D"nZ, –­H, scritta, Sacra Scrittura, passo della Sacra
Scrittura; cf. Mc 12,10; soggetto. Sono le antiche «scritture» dell’AT, ossia gli oracoli
riguardo il futuro messia. L’espressione •88z Ë<" B80DThäF4< "Ê (D"n"\ può essere
variamente intesa: a) per alcuni la frase non è pronunciata da Gesù (non fa parte del discorso
diretto), ma è un commento o una annotazione dell’Autore ispirato in forma di asserzione
ellittica, con (X(@<g< sottinteso (= «Tutto ciò doveva accadere affinché si realizzassero le
profezie»). Per altri la frase è pronunciata da Gesù, all’interno del discorso diretto, per
esprimere: b) o una constatazione diretta di quanto si sta verificando (= «Ciò avviene affinché
si compiano le Scritture») oppure c) è usata come esclamazione, in forma di congiuntivo
esortativo o di imperativo indipendente (= «Si compiano, dunque, le Scritture!»). Dal punto
di vista strettamente sintattico la traduzione c) è da preferire, dato che la congiunzione Ë<"
seguita dal congiuntivo ha normalmente valore finale e nel greco post–classico anche
consecutivo in quanto assume il valore di òFJg.

14,50 i" •nX<JgH "ÛJÎ< §nL(@< BV<JgH.


14,50 Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono.

i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.21.
26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.50.
53a.65a.72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\ di influsso semitico acquista il
significato avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica), per introdurre come
formula paratattica di passaggio una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra
unità narrativa.
•nX<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare,
rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto
BV<JgH. Per altri esempi di participio espletivo con il verbo •n\0:4 cf. Mc 4,36; 8,13;
12,12; 14,50.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
§nL(@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da ngb(T, fuggire, scappare, correre via; cf. Mc 5,14.
BV<JgH: pron. indefinito, nom. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; soggetto. A conclusione del periodo acquista grande enfasi. Da notare una
significativa struttura parallela con Mc 1,18–20: all’inizio della loro chiamata i discepoli
«abbandonano tutto», «abbandonano il padre» e seguono Gesù; adesso, nel momento della
prova, essi «abbandonano Gesù» e fuggono tutti:

Mc 1,18 …abbandonando (•n\0:4) le reti seguirono lui (= Gesù).


Mc 1,20 …abbandonando (•n\0:4) il loro padre… seguirono lui (= Gesù).
Mc 14,50 …abbandonando (•n\0:4) lui (= Gesù) fuggirono tutti.
Mc 14,51 997

14,51 5"Â <g"<\Fi@H J4H FL<0i@8@bhg4 "ÛJè BgD4$g$80:X<@H F4<*`<" ¦BÂ


(L:<@Øs i"Â iD"J@ØF4< "ÛJ`<·
14,51 Lo seguiva, però, un giovane che aveva sul corpo nudo soltanto un lenzuolo: lo
afferrarono,

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


<g"<\Fi@H: sost., nom. sing. m. da <g"<\Fi@H, –@L, giovane, giovinetto; soggetto. Il vocabolo
ricorre 11 volte nel NT: Mt 19,20.22; Mc 14,51; 16,5; Lc 7,14; At 2,17; 5,10; 23,18.22; 1Gv
2,13.14. Nella letteratura extra–biblica il termine può riferirsi a quella fascia di età che segue
l’adolescenza e che precede la maturità: in genere dai 14 ai 25 anni (cf. Erodoto, Hist.,
5,13,1; Aristofane, Lys., 785; Platone, Symp., 211d; Aristotele, Polit., 1303b 21).
Sull’identificazione di questo anonimo giovinetto ci si è sbizzarriti fin dall’antichità a
formulare le ipotesi più disparate e stravaganti: un discepolo, un testimone occasionale, un
abitante dei dintorni, un angelo, una figura simbolica… Si deve lasciare questo giovane nudo
com’è: “denudato” dei simbolismi bizzarri che lo hanno rivestito schiere di esegeti. L’ipotesi
più plausibile, infatti, è che si tratti dello stesso evangelista Marco: l’episodio (riferito soltanto
nel secondo vangelo) è dunque essenzialmente un semplice dettaglio autobiografico, anche
se può avere una valenza teologica per come viene riferito.
J4H: agg. indefinito (enclitico), nom. sing. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; attributo di <g"<\Fi@H. La presenza di questo
indefinito sembra esprimere la chiara volontà dell’Autore a lasciare indeterminata l’identità
del giovinetto.
FL<0i@8@bhg4: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da FL<"i@8@LhXT (da Fb< e •i@8@LhXT),
accompagnare, seguire insieme; cf. Mc 5,37. Imperfetto durativo. L’anonimo giovanetto
continua a seguire Gesù (o cerca di seguirlo: imperfetto di conato) quando questi è stato già
catturato e tutti lo hanno abbandonato. Il verbo utilizzato, appartenente al gruppo lessicale
formato da •i@8@LhXT, ¦B"i@8@LhXT, B"D"i@8@LhXT, sebbene non faccia parte del
lessico della sequela, tipica del discepolo (indicata in Marco con il verbo •i@8@LhXT: Mc
1,18; 2,14.15; 8,34; 10,21.28), comporta, tuttavia, un seguire più intimo e profondo (FL<–).
Il verbo è usato da Marco soltanto un’altra volta, a proposito di Pietro, Giacomo e Giovanni,
gli unici ammessi da Gesù ad assistere al miracolo della risurrezione della figlia del capo
della Sinagoga (cf. Mc 5,37). Altrove nel NT ricorre soltanto in Lc 23,49, applicato alle
donne che avevano seguito Gesù dalla Galilea fino a Gerusalemme. Si deve concludere che
nel nostro passo l’uso di FL<"i@8@LhXT ha una valenza simbolica e teologica: di fronte ai
Dodici che tradiscono l’impegno primitivo di «abbandonare» tutto per seguire Gesù e poi,
di fatto, finiscono per «abbandonare» proprio Gesù e fuggono via, sta un giovinetto anonimo,
un estraneo alla cerchia dei discepoli che si mette al suo seguito, almeno per un po’.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
BgD4$g$80:X<@H: verbo, nom. sing. m. part. perf. pass. da BgD4$V88T (da BgD\ e $V88T),
mettere intorno, avvolgere, circondare, cingere, indossare. Questo verbo ricorre 23 volte nel
NT: Mt 6,29.31; 25,36.38.43; Mc 14,51; 16,5; Lc 12,27; 23,11; Gv 19,2; At 12,8; Ap 3,5.18;
998 Mc 14,52

4,4; 7,9.13; 10,1; 11,3; 12,1; 17,4; 18,16; 19,8.13. Participio predicativo del soggetto
<g"<\Fi@H. Nella grecità il verbo BgD4$V88T, oltre a essere impiegato nel significato
generico di «gettare attorno», «avvolgere», in senso sia proprio che figurato (cf. Omero, Il.,
18,479, tmesi; Od., 11,211, tmesi; Aristofane, Ranae, 1322), acquista il significato di
«indossare» quando è riferito a corazze, vestiti, ecc. (cf. Erodoto, Hist., 1,152,1; 1,215,2). Nel
NT il verbo è presente quasi esclusivamente nel significato letterale proprio, riferito
all’indossare dei vestiti.
F4<*`<": sost., acc. sing. f. da F4<*f<, –@<@H, lenzuolo; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 6
volte nel NT: Mt 27,59; Mc 14,51.52; 15,46[x2]; Lc 23,53. Nella letteratura profana il
termine designa il «tessuto» o la «veste» di lino, una specie di lenzuolo di forma rettangolare,
molto ampio, che veniva avvolto attorno al corpo e usato come una cappa o come mantello
(cf. Erodoto, Hist., 2,95,3; Sofocle, Antig., 1222; Tucidide, Hist., 2,49,5). Nei LXX il termine
è raro e sembra evocare una tunica (cf. Gdc 14,12–13; 1Mac 10,64; Prv 31,24). Tale capo
di vestiario si distingueva dal più comune Ê:VJ4@<, «mantello», sia per il tipo di tessuto (era
di lino o cotone, non di lana) sia per il prezzo (si trattava di un articolo costoso). Queste
caratteristiche rendono il F4<*f< un capo pregiato, posseduto soltanto da persone facoltose.
Non è ben chiaro se questo capo di vestiario veniva indossato sopra indumenti intimi o se,
al contrario, esso rappresentava una sorta di tunica da notte, a diretto contatto con il corpo.
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., in, su, a, davanti a, verso, sopra,
presso; cf. Mc 1,22.
(L:<@Ø: agg. qualificativo, di valore sostantivato, gen. sing. n. da (L:<`H, –Z, –`<, senza
vestito, svestito, scoperto, nudo; compl. di stato in luogo. Il vocabolo ricorre 15 volte nel NT:
Mt 25,36.38.43.44; Mc 14,51.52; Gv 21,7; At 19,16; 1Cor 15,37; 2Cor 5,3; Eb 4,13; Gc
2,15; Ap 3,17; 16,15; 17,16. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con
preposizioni, come qui, è frequente nel greco ellenistico. A partire da Omero l’aggettivo
(L:<`H è usato nel significato di «nudo», «svestito», detto del corpo umano o di animali (cf.
Omero, Il., 22,510; Platone, Phaedr., 243b; Giuseppe Flavio, Antiq., 14,463; ÒLH @Þ< gÉ*@<
ÓJ4 :"4<@:X<0 $\‘ iD"Jgà J Ê:VJ4V :@L, (L:<ÎH §nL(@<, «quando mi accorsi che
essa teneva la mia veste come impazzita, fuggii via nudo», Test. Ios., 8,3). La locuzione ¦BÂ
(L:<@Ø (o :gJ (L:<@Ø), che sottintende J@Ø Ff:"J@H, «sul corpo nudo», è raramente
attestata nella grecità per indicare una nudità totale o parziale (cf. Appiano, Bellum civ.,
2,2,12; cf. Mc 14,51; Mt 25,36). Qui, in considerazione del F4<*f< (capo da notte), prevale
il senso di nudità totale.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
iD"J@ØF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da iD"JXT, tenere, prendere, afferrare, catturare;
cf. Mc 1,31. Presente storico.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.

14,52 Ò *¥ i"J"84Bã< J¬< F4<*`<" (L:<ÎH §nL(g<.


14,52 ma egli, lasciando il lenzuolo, fuggì via nudo.
Mc 14,53 999

Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
i"J"84Bf<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da i"J"8g\BT (da i"JV e 8g\BT), lasciare,
lasciare indietro, abbandonare; cf. Mc 10,7. Participio predicativo del soggetto <g"<\Fi@H.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
F4<*`<": sost., acc. sing. f. da F4<*f<, –@<@H, lenzuolo; cf. Mc 14,51; compl. oggetto.
(L:<`H: agg. qualificativo, nom. sing. m. da (L:<`H, –Z, –`<, senza vestito, svestito, scoperto,
nudo; cf. Mc 14,51; compl. predicativo del soggetto.
§nL(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ngb(T, fuggire, scappare, correre via; cf. Mc 5,14.

14,53 5" •BZ("(@< JÎ< z30F@Ø< BDÎH JÎ< •DP4gDX"s i" FL<XDP@<J"4 BV<JgH @Ê
•DP4gDgÃH i" @Ê BDgF$bJgD@4 i" @Ê (D"::"JgÃH.
14,53 Allora condussero Gesù dal sommo sacerdote; si riunirono tutti i capi dei sacerdoti,
gli anziani e gli scribi.

5"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.21.
26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.50.
53a.65a.72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\ di influsso semitico acquista il
significato avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica), per introdurre come
formula paratattica di passaggio una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra
unità narrativa.
•BZ("(@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •BV(T (da •B` e –(T), condurre, portare via;
cf. Mc 14,44.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
z30F@Ø<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
compl. oggetto.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
•DP4gDX": sost., acc. sing. m. da •DP4gDgbH, –XTH (da •DPZ e ÊgDgbH), sommo sacerdote,
capo dei sacerdoti; cf. Mc 2,26; compl. di moto a luogo. Sebbene qui non esplicitamente
menzionato (come, invece, fa Mt 26,3.57; Gv 11,49; 18,13.14.24.28; cf. anche Lc 3,2; At
4,6), questo sommo sacerdote deve essere identificato con Giuseppe Caifa o Caiafa (!5 I I8
H,
Qayya) p) a) ’ reso in greco con 5"^Vn"H), della casa di Anano, genero di Anna (sommo
sacerdote in carica dall’anno 6 al 15 d.C.). Molto probabilmente anche Caifa era un
sadduceo, come la maggior parte dei sacerdoti e degli aristocratici del suo tempo. Era stato
1000 Mc 14,53

eletto a tale carica da Valerio Grato, prefetto romano della Giudea, nell’anno 18 d.C. e la
conservò a lungo — caso unico — fino al 37 d.C., quando venne destituito dal legato di Siria
(cf. Giuseppe Flavio, Antiq., 18,35.95; t.Yeb., 1,10; t.Par., 3,5; Mt 26,3.57.62.65; Mc
14,53.60.66; Lc 3,2; 22,54 Gv 11,49–53; 18,13.24). In epoca asmonea i sommi sacerdoti
erano nominati a vita, ma a seguito dell’occupazione romana sia Erode il Grande sia i
governatori romani avevano introdotto l’innovazione di rimuoverli e nominarli a loro
piacimento, come fece, ad esempio, Valerio Grato, il quale tra il 15 e il 18 d.C. rimosse tre
sommi sacerdoti (cf. Flavio Giuseppe, Antiq., 18,34–35). Le scarne notizie presenti nei testi
neotestamentari e quelle degli scrittori profani permettono di avere un quadro abbastanza
preciso e completo per quanto riguarda le funzioni religiose, civili e amministrative espletate
dal sommo sacerdote nel I secolo d.C. Egli è, anzitutto, il capo supremo del clero (cf.
Giuseppe Flavio, Contra Ap. 2,193) e come tale è il più qualificato rappresentante del popolo
(cf. At 23,5), il plenipotenziario di Dio (cf. At 23,4). Gli era permesso prendere parte in
qualsiasi momento all’offerta del sacrificio, ma il suo dovere principale era quello di entrare
nel Santo dei Santi una volta l’anno, per compiere il sacrificio del grande giorno
dell’espiazione (.*9ELƒE% H .|*, Yôm hakkippurîm): questo dovere era il suo particolare
privilegio che lo distingueva da tutti gli altri sacerdoti. In base ai racconti evangelici il sommo
sacerdote aveva il diritto di presiedere e guidare il sinedrio (cf. Mt 26,3; At 22,5; 23,1ss.);
egli, inoltre, era il rappresentare del popolo giudaico di fronte ai Romani (cf. Gv 18,35;
19,6.21; At 22,30; 25,2). Nella lettera agli Ebrei vengono ricordate e descritte altre funzioni
cultuali riservate al sommo sacerdote, quali la direzione del culto sacrificale (cf. Eb 8,3),
l’offerta quotidiana di vivande (cf. Eb 7,27), l’adempimento del rituale nel giorno solenne
dell’espiazione nazionale (cf. Eb 9,7.25; 13,11).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
FL<XDP@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. medio da FL<XDP@:"4 (da Fb< e §DP@:"4),
venire insieme, convenire, radunarsi, ammassarsi; cf. Mc 3,20. Presente storico.
BV<JgH: agg. indefinito, nom. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; attributo di •DP4gDgÃH, BDgF$bJgD@4 e (D"::"JgÃH, qui senza articolo perché in
posizione predicativa.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
•DP4gDgÃH: sost., nom. plur. m. da •DP4gDgbH, –XTH (da •DPZ e ÊgDgbH), sommo sacerdote,
capo dei sacerdoti; cf. Mc 2,26; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
BDgF$bJgD@4: agg. qualificativo, di grado comparativo, con valore sostantivato, nom. plur. m.
da BDgF$bJgD@H, –", –@< (comparativo di BDXF$LH), più vecchio, più anziano,
predecessore, antenato, «presbitero»; cf. Mc 7,3; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
Mc 14,54 1001

(D"::"JgÃH: sost., nom. plur. m. da (D"::"JgbH, –XTH (da (DV::"), scriba, esperto della
Legge, insegnante religioso; cf. Mc 1,22; soggetto. L’espressione tripartita «capi dei
sacerdoti, scribi, farisei» si trova in Mc in Mc 8,31; 11,27; 14,43.53; 15,1.

14,54 i"Â Ò AXJD@H •BÎ :"iD`hg< ²i@8@bh0Fg< "ÛJè ªTH §FT gÆH J¬< "Û8¬< J@Ø
•DP4gDXTH i" µ< FL(i"hZ:g<@H :gJ Jä< ßB0DgJä< i" hgD:"4<`:g<@H
BDÎH JÎ näH.
14,54 Pietro lo aveva seguito da lontano, fin dentro il cortile del palazzo del sommo
sacerdote. Se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuoco.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
AXJD@H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da AXJD@H, –@L, Pietro; cf. Mc 3,16;
soggetto.
•B`: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da; cf. Mc
1,9. Uso pleonastico di •B`, come avviene altrove (cf. Mc 5,6; 8,3; 11,13; 15,40).
:"iD`hg<: avv. di luogo, indecl., da lontano, in lontananza; cf. Mc 5,6.
²i@8@bh0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •i@8@LhXT, seguire, accompagnare, mettersi
dietro; cf. Mc 1,18.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
ªTH: prep. impropria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., fino a, sino a; cf. Mc 6,10.
§FT: avv. di luogo, indecl., dentro, dentro a. Il vocabolo ricorre 9 volte nel NT: Mt 26,58; Mc
14,54; 15,16; Gv 20,26; At 5,23; Rm 7,22; 1Cor 5,12; 2Cor 4,16; Ef 3,16. Questo termine
(nel NT non è attestata la forma gÇFT) viene impiegato in senso locale per indicare sia uno
stato in luogo sia un moto a luogo («dentro a», «all’interno di»), spesso rafforzato dalla
preposizione gÆH.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4. Da notare la sovrabbondanza delle particelle ªTH, §FT, gÆH, tutte con
significato di moto a luogo.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
"Û8Z<: sost., acc. sing. f. da "Û8Z, ­H, atrio, cortile; compl. di moto a luogo. Il vocabolo
ricorre 12 volte nel NT: Mt 26,3.58.69; Mc 14,54.66; 15,16; Lc 11,21; 22,55; Gv 10,1.16;
18,15; Ap 11,2. Nel greco profano il termine può indicare il cortile davanti la casa (cf.
Omero, Il., 10,183), il cortile interno della casa (cf. Erodoto, Hist., 3,77,2), il cortile di un
tempio (cf. Erodoto, Hist., 2,148,4), il recinto per il bestiame (cf. Omero, Il., 5,138) e per
estensione la dimora, il palazzo (cf. Omero, Od., 4,74). Qui il termine indica il cortile
interno, all’aria aperta, del palazzo del sommo sacerdote.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
1002 Mc 14,54

•DP4gDXTH: sost., gen. sing. m. da •DP4gDgbH, –XTH (da •DPZ e ÊgDgbH), sommo sacerdote,
capo dei sacerdoti; cf. Mc 2,26; compl. di specificazione.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
FL(i"hZ:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. pres. medio da FL(iVh0:"4 (da Fb< e iVh0:"4),
sedere insieme, sedere con. Questo verbo deponente ricorre 2 volte nel NT: Mc 14,54 (hapax
marciano); At 26,30. Participio predicativo del soggetto Ò AXJD@H. Il participio è retto da µ<
in costruzione perifrastica («stava seduto»), al posto dell’usuale imperfetto «sedeva». La
formula è probabilmente dovuta a una precedente tradizione orale aramaica. Il verbo è qui
utilizzato nel significato generico di «stare seduto con», sull’esempio del greco ellenistico (cf.
Strabone, Geogr., 16,4,16).
:gJV: prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con, insieme a, in
compagnia di; cf. Mc 1,13.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
ßB0DgJä<: sost., gen. plur. m. da ßB0DXJ0H, –@L, servitore, servo, domestico; compl. di
compagnia. Il vocabolo ricorre 20 volte nel NT: Mt 5,25; 26,58; Mc 14,54.65; Lc 1,2; 4,20;
Gv 7,32.45.46; 18,3.12.18.22.36; 19,6; At 5,22.26; 13,5; 26,16; 1Cor 4,1. Nel greco
classico ed ellenistico ßB0DXJ0H assume il significato fondamentale di «sottoposto», ossia
chi vive in una condizione subalterna o espleta un servizio dietro comando di un altro, a lui
superiore (cf. Erodoto, Hist., 3,63,1; Platone, Resp., 552b; Demostene, Or., 23,210; Plutarco,
Sept. sap., 149,c,4). Dal punto di vista concettuale l’ßB0DXJ0H si distingue dal *@Ø8@H, in
quanto questi è lo schiavo non libero, mentre il primo è il servitore libero, il sottoposto che
eventualmente può pretendere anche un adeguato compenso per il suo servizio.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
hgD:"4<`:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. medio da hgD:"\<T, scaldare, riscaldare. Questo
verbo semideponente ricorre 6 volte nel NT: Mc 14,54.67; Gv 18,18[x2].25; Gc 2,16.
Participio predicativo del soggetto Ò AXJD@H. Il participio è retto da µ< in costruzione
perifrastica («stava scaldandosi»), al posto dell’usuale imperfetto «si scaldava». Esempio di
medio diretto (senza oggetto), da tradurre con il nostro riflessivo. Modellato sul significato
attivo di «scaldare», «riscaldare» (cf. Omero, Il., 14,7; Euripide, Bacc., 679), il verbo
hgD:"\<T è qui usato nella diatesi media nel senso di «scaldarsi».
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
näH: sost., acc. sing. n. da näH, nTJ`H, luce, fuoco; compl. di stato in luogo. Il vocabolo
ricorre 73 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 7 volte in Matteo
(corrispondente allo 0,038% del totale delle parole); 1 volta in Marco (cf. Mc 14,54, hapax
marciano, = 0,009%); 7 volte in Luca (0,036%); 23 volte in Giovanni (0,147%). Nel greco
classico il sostantivo näH (nV@H) indica in senso letterale proprio la «luce», intesa come la
luce naturale del sole, la luce del giorno (cf. Omero, Od., 23,371) o più genericamente la luce
Mc 14,55 1003

artificiale emessa dalla candela, dalla torcia, dalla luna, ecc. (cf. Omero, Od., 19,24.34). Nel
greco ellenistico per metonimia il termine può significare anche «fuoco»: B@4gÃ< näH,
«accendere il fuoco» (Senofonte, Hell., 6,2,29), B\<g4< BDÎH näH, «bere alla luce del
fuoco» (Senofonte, Cyr., 7,5,27; cf. 1Mac 12,28; Lc 22,56). È improbabile che il vocabolo
näH, analogamente a quanto avviene in Giovanni, sia usato da Marco con significato
simbolico e teologico, alludendo alla vicinanza di Pietro alla «luce», ossia a Gesù.

14,55 @Ê *¥ •DP4gDgÃH i" Ó8@< JÎ FL<X*D4@< ¦.ZJ@L< i"J J@Ø z30F@Ø :"DJLD\"<
gÆH JÎ h"<"JäF"4 "ÛJ`<s i"Â @ÛP 0àD4Fi@<·
14,55 Intanto i capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù
per metterlo a morte, ma non la trovavano.

@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
•DP4gDgÃH: sost., nom. plur. m. da •DP4gDgbH, –XTH (da •DPZ e ÊgDgbH), sommo sacerdote,
capo dei sacerdoti; cf. Mc 2,26; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Ó8@<: agg. indefinito, nom. sing. n. da Ó8@H, –0, –@<, tutto, ogni; cf. Mc 1,28; attributo di
FL<X*D4@<, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
FL<X*D4@<: sost., nom. sing. n. da FL<X*D4@<, –@L, sinedrio; cf. Mc 13,9; soggetto. Come già
accennato a proposito di Mc 13,9, nell’uso classico il vocabolo è usato in senso profano per
indicare sia il «luogo di riunione» (cf. Erodoto, Hist., 8,79,2; Platone, Prot., 317d; Senofonte,
Hell., 2,4,23; 7,1,39) sia per estensione l’«incontro» di più persone, l’«assemblea», la
«riunione» (cf. Erodoto, Hist., 8,56,1; 8,75,1). Questi significati ritroviamo anche nei LXX
(cf. Prv 11,13; 15,22; 22,10; 26,26; Sal 26,4; Ger 15,17) e in Giuseppe Flavio (cf. Id.,
Bellum, 1,620; Antiq., 12,103; 17,301). Nel NT e nella letteratura giudaica il termine è
prevalentemente impiegato per definire il massimo organo di governo giudaico e la suprema
corte di giustizia. Giuseppe Flavio chiama questa istituzione FL<X*D4@< (cf. Id., Antiq.,
14,167.168. 170–172.175.177–178; 15,173; 20,200; Vita, 62) oppure più raramente $@L8Z
(cf. Id., Bellum, 2,331.336). Nella Mishnah il tribunale supremo è conosciuto come «il
sinedrio» (0*9E$A%G 1A2
H , Sanhed5rîn: m.Sot., 9,11; m.Qid., 4,5; m.Sanh., 4,3), «il grande sinedrio
[di Gerusalemme]» (m.Sanh., 1,6; 11,2.4; m.Mid., 5,4; m.Sot., 1,4; 9,1; m.Ghit., 6,7), «il
sinedrio dei settantuno» (m.Shebu., 2,2). Dalle fonti letterarie in oggetto (cf. Giuseppe Flavio,
Filone di Alessandria, NT, scritti rabbinici) si deduce che il sinedrio di Gerusalemme fosse
una istituzione ufficialmente riconosciuta dal potere in carica e competente in questioni
giudiziarie, amministrative e nell’esegesi legale. Stando al diritto rabbinico il consiglio era
presieduto dal sommo sacerdote (in assenza di un re) ed era formato da settantuno membri
(70 + il sommo sacerdote come presidente): «Il grande sinedrio si componeva di settantun
membri, il piccolo di ventitré» (m.Sanh., 1,6). Nella Mishnah viene anche riferito il perché
della cifra dispari: «Poiché nessun tribunale può essere in numero pari, se ne aggiunge uno
1004 Mc 14,55

[per derimere il voto, n.d.a.]» (m.Sanh., 1,6). Per quanto riguarda la composizione siamo
abbastanza sicuri che esistevano tre camere o classi: la classe dei grandi sacerdoti (@Ê
•DP4gDgÃH), la classe degli scribi o dottori della legge (@Ê (D"::"JgÃH), la classe degli
anziani (@Ê BDgF$bJgD@4). Sia il NT sia Giuseppe Flavio sono concordi nel ritenere gli
•DP4gDgÃH le vere personalità guida del sinedrio. In quasi tutti i casi in cui il NT elenca le
diverse categorie, gli •DP4gDgÃH sono citati per primi. Anche i (D"::"JgÃH, giuristi di
professione, esercitavano una considerevole influenza nel sinedrio. Alla terza categoria
appartenevano «gli anziani» (@Ê BDgF$bJgD@4), designazione generica applicabile sia a
sacerdoti sia a laici. In principio ciascuna camera del sinedrio contava 23 membri (più un
presidente e un vicepresidente, per un totale di 71 membri), ma questa uguaglianza nella
ripartizione delle persone non fu sempre rispettata. All’epoca di Gesù il sinedrio era
prevalentemente formato da Sadducei aristocratici (sacerdoti e laici = •DP4gDgÃH) e da
Farisei colti (= (D"::"JgÃH). Non sappiamo in che modo venivano reclutati i suoi membri.
Dato il carattere aristocratico dell’istituzione si può presumere che i membri non fossero eletti
dal popolo né sostituiti annualmente: è probabile che essi rimanessero in carica per un lungo
periodo (forse a vita) e che venissero nominati o dagli stessi membri effettivi o dalle supreme
autorità politiche (Erode e i Romani). I casi più importanti erano portati davanti a questo
tribunale, in quanto i Romani avevano lasciato a esso il potere dei processi penali e anche di
pronunciare la sentenza di morte, con la limitazione che una tale sentenza emessa dal sinedrio
non era valida a meno che fosse confermata dal procuratore romano. Augusto, nel quarto
editto di Cirene del 7/6 a.C., stabilisce chiaramente, in un inciso, che i casi che comportano
la pena capitale sono riservati al governatore al quale spetta l’indagine e la sentenza:

!ÛJ@iDVJTD 5"ÃF"D Eg$"FJÎH •DP4g|Dg×H *0:"DP4i­H ¦>@LF\"H JÎ ©BJ"i"4*Xi"-


J@< 8X(g4· !ËJ4<gH | •:n4F$0JZF(g)4H •< :XF@< {+88Z<T< §F@<J"4 i"J J¬<
5LD0<"4i¬< ¦B"DPZ"<s || ßBg>g4D0:X<T< Jä< ßB@*\iT< ign"8­H ßB¥D ô< ÔH —<
J¬< ¦B"DPZ"< *4"i"JXP® | "ÛJÎH *4"(g4<fFig4< i["Â] ÊFJV<"4 ´ FL<$@b84@<
iD4Jä< B"DXPg4< Ïng\8g4s | ßB¥D *¥ Jä< 8@4Bä< BD"(:VJT< BV<JT< ~+880<"H
iD4JH *\*@Fh"4 •DXFig4s gÆ :Z J4H | •B"4J@b:g<@H ´ Ò gÛhL<`:g<@H B@8g\J"H
{CT:"\T< iD4JH §Pg4< $@b80J"4 […].
«L’imperatore Cesare Augusto, sommo pontefice, insignito del potere tribunizio per la
diciassettesima volta, stabilisce: per quanto concerne i processi nei riguardi dei Greci che
abitano la provincia della Cirenaica, a eccezione delle accuse per un crimine capitale —
riguardo al quale spetta al governatore della provincia sia l’indagine conoscitiva, sia di
emettere la sentenza, sia di riunire la giuria —, in tutti gli altri casi è mio desiderio che siano
stabiliti giudici greci, a meno che l’accusato o il difensore vogliano avere per giudici dei
cittadini romani […]» (SEG, Vol. IX,8).

Stando al passo marciano in oggetto il processo “religioso” contro Gesù avviene di


notte. Secondo alcuni commentatori una tale udienza plenaria («tutto il sinedrio»), avvenuta
nel pieno della notte e durante la più grande festività giudaica, è inverosimile almeno per due
motivi: a) sul piano della concatenazione cronologica vi sono troppi avvenimenti condensati
in poche ore; b) sul piano strettamente giuridico una convocazione notturna del sinedrio per
Mc 14,55 1005

processi penali non era contemplata dal diritto ebraico ed anzi la Mishnah la esclude
categoricamente:

«I processi amministrativi possono essere svolti di giorno e decisi di notte, i processi di


sangue devono essere svolti di giorno e decisi di giorno. I processi amministrativi possono
essere definiti nello stesso giorno, sia per assolvere sia per condannare. I processi di sangue
non possono essere definiti nello stesso giorno, se non per assolvere: per condannare, soltanto
nel giorno seguente; di conseguenza non si svolgono né alla vigilia del sabato né in quella
delle feste solenni» (m.Sanh., 4,1; 5,5).

In proposito si deve obiettare, anzitutto, che l’indicazione relativa al plenum del sinedrio
deve essere intesa con una certa elasticità: come sopra ricordato, stando al diritto mishnaico
per deliberare ed eventualmente pronunziare una sentenza di morte era sufficiente la presenza
di 23 membri: «I processi capitali competono a un tribunale di ventitré» (m.Sanh., 1,4; cf.
t.Sanh., 3,9). La decisione di condanna era valida ed esecutiva se aveva raccolto la metà più
uno dei suffragi (cf. t.Sanh., 7,1; Strack–Bill., II,816). Quindi la “totalità” numerica asserita
da Marco potrebbe limitarsi, in realtà, alla totalità legale, ossia al numero richiesto per
giudicare validamente. Per quanto riguarda l’obiezione giuridica secondo la quale, stando al
diritto ebraico, non si sarebbe potuto celebrare un processo capitale di notte in quanto la
condanna a morte poteva venire emessa soltanto di giorno, dopo il necessario dibattimento,
si deve osservare: tale obiezione ha valore soltanto per il diritto rabbinico, codificato dalla
Mishnah verso la fine del II secolo d.C. e, dunque, in epoca successiva rispetto agli
avvenimenti narrati. Nella Torah, alla quale si attenevano le autorità sadducee contemporanee
di Gesù, non esistevano disposizioni del genere. Per quanto riguarda l’obiezione cronologica,
in riferimento alla successione degli avvenimenti in così poco tempo, vedi commento a Mc
14,18.
¦.ZJ@L<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da .0JXT, cercare (per trovare od ottenere), provare
a, tentare di; cf. Mc 1,37. Imperfetto durativo.
i"JV: prep. propria di valore avversativo, seguita dal genitivo, indecl., contro; cf. Mc 1,27.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
z30F@Ø: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
compl. di svantaggio.
:"DJLD\"<: sost., acc. sing. f. da :"DJLD\", –"H, testimonianza; compl. oggetto. Senza
articolo perché generica. Il vocabolo ricorre 37 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è
la seguente: Mc 14,55.56.59; Lc 22,71; Gv 1,7.19; 3,11.32.33; 5,31.32.34.36; 8,13.14.17;
19,35; 21,24. Il termine :"DJLD\", derivato probabilmente dal sostantivo :VDJLH, esprime
nella grecità il concetto astratto di «testimonianza» (cf. Aristotele, Polit., 1338a 36; Platone,
Symp., 179b; Leg., 937a; Aristofane, Eq., 1316): si tratta della testimonianza intesa come atto
del deporre, non necessariamente una testimonianza specifica e circoscritta, in riferimento a
un preciso evento. In ciò il vocabolo :"DJLD\" si distingue dal sinonimo :"DJbD4@< (cf.
Mc 1,44; 6,11; 13,9), il quale, invece, ha senso concreto e indica una testimonianza precisa,
obiettiva, in riferimento a qualcosa già accaduto.
1006 Mc 14,56

gÆH: prep. propria di valore finale, seguita dall’accusativo, indecl., per, in vista di, allo scopo di;
cf. Mc 1,4. La preposizione è qui impiegata con valore finale, analogamente a Mc
1,4.38.44; 6,11; 13,9.12; 14,4.8.9; 15,34.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
h"<"JäF"4: verbo, inf. aor. da h"<"J`T, mettere a morte, uccidere, sopprimere, far morire;
cf. Mc 13,12.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@ÛP: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
0àD4Fi@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da gßD\FiT, trovare, incontrare; cf. Mc 1,37.
Imperfetto durativo.

14,56 B@88@ (D ¦RgL*@:"DJbD@L< i"Jz "ÛJ@Øs i" ÇF"4 "Ê :"DJLD\"4 @Ûi µF"<.
14,56 Molti, infatti, attestavano il falso contro di lui e le testimonianze non erano concordi.

B@88@\: pron. indefinito, nom. plur. m. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; soggetto.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
¦RgL*@:"DJbD@L<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da RgL*@:"DJLDXT, testimoniare il
falso, dire falsa testimonianza; cf. Mc 10,19. Imperfetto durativo.
i"Jz: (= i"JV), prep. propria di valore avversativo, seguita dal genitivo, indecl., contro; cf. Mc
1,27.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di svantaggio.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
ÇF"4: agg. indefinito, nom. plur. f. da ÇF@H, –0, –@<, uguale, concorde, simile; attributo di
:"DJLD\"4, qui senza articolo perché in posizione predicativa. Il vocabolo ricorre 8 volte
nel NT: Mt 20,12; Mc 14,56.59; Lc 6,34; Gv 5,18; At 11,17; Fil 2,6; Ap 21,16. Nel greco
classico a partire da Omero l’aggettivo ÇF@H può indicare sia una uguaglianza di numero e
quantità sia una uguaglianza qualitativa (cf. Omero, Il., 1,163; 2,765; Od., 11,243). La
legislazione mosaica (cf. Dt 17,6; 19,15; Nm 35,30) e rabbinica (cf. Sifrè Deut., 17,1, 148;
m.Sanh., 5,2) stabiliva che per la condanna a morte era necessaria la testimonianza concorde
di almeno due testimoni, poiché quella prodotta da uno solo era nulla: «Colui che dovrà
morire sarà messo a morte sulla deposizione di due o tre testimoni; non potrà essere messo
a morte sulla deposizione di un solo testimonio» (Dt 17,6). Si tratta di un principio giuridico
dell’AT più volte citato nel NT: «ogni cosa» deve essere «accertata dalla bocca di due o tre
testimoni» (cf. Dt 19,15, usata in Mt 18,16; 2Cor 13,1; 1Tm 5,19); il malfattore deve «morire
in base alla testimonianza di due o tre testimoni» (Dt 17,6; usata liberamente in Eb 10,28).
Mc 14,57–58 1007

Senza la testimonianza concorde di almeno due testimoni la parvenza di legalità non poteva
essere sostenuta neppure per il caso di Gesù.
"Ê: art. determ., nom. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 2,5.
:"DJLD\"4: sost., nom. plur. f. da :"DJLD\", –"H, testimonianza; cf. Mc 14,55; soggetto.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
µF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf.
Mc 1,6. Imperfetto durativo.

14,57 i"\ J4<gH •<"FJV<JgH ¦RgL*@:"DJbD@L< i"Jz "ÛJ@Ø 8X(@<JgH


14,57 Alcuni si alzarono per testimoniare il falso contro di lui, dicendo:

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


J4<gH: pron. indefinito (enclitico), nom. plur. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; soggetto.
•<"FJV<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da •<\FJ0:4 (da •<V e ËFJ0:4), sorgere,
alzarsi, sollevarsi, risorgere, risuscitare; cf. Mc 1,35. Participio predicativo di valore
espletivo del soggetto J4<gH.
¦RgL*@:"DJbD@L<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da RgL*@:"DJLDXT, testimoniare il
falso, dire falsa testimonianza; cf. Mc 10,19. Imperfetto durativo.
i"Jz: (= i"JV), prep. propria di valore avversativo, seguita dal genitivo, indecl., contro; cf. Mc
1,27.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di relazione.
8X(@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo del soggetto J4<gH.

14,58 ÓJ4 {/:gÃH ²i@bF":g< "ÛJ@Ø 8X(@<J@H ÓJ4 z+(ã i"J"8bFT JÎ< <"Î<
J@ØJ@< JÎ< Pg4D@B@\0J@< i" *4 JD4ä< º:gDä< –88@< •Pg4D@B@\0J@<
@Æi@*@:ZFT
14,58 «Noi lo abbiamo udito mentre affermava: “Io distruggerò questo Tempio fatto da mani
d’uomo e in tre giorni ne costruirò un altro non fatto da mani d’uomo”».

ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
{/:gÃH: pron. personale di 1a pers. nom. plur. da º:gÃH (gen. º:ä<, dat. º:Ã<, acc. º:H),
noi; cf. Mc 9,28; soggetto.
1008 Mc 14,58

²i@bF":g<: verbo, 1a pers. plur. ind. aor. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3.
8X(@<J@H: verbo, gen. sing. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio al genitivo assoluto. La frase "ÛJ@Ø 8X(@<J@H appare nella forma
detta “genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore temporale.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
z+(f: pron. personale di 1a pers. nom. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc.
¦:X/:g), io, me; cf. Mc 1,8; soggetto. In posizione enfatica.
i"J"8bFT: verbo, 1a pers. sing. ind. fut. da i"J"8bT (da i"JV e 8bT), dissolvere,
distruggere, demolire; cf. Mc 13,2. Mentre lo ÊgD`< (tempio) dovrà essere distrutto pietra
dopo pietra da un evento storico di violenza inaudita (cf. Mc 13,2.7–8.19–20), Gesù
rivendica a sé l’intenzione di distruggere il <"`H (santuario). Per l’importante differenza tra
ÊgD`< e <"`H vedi commento a Mc 11,11.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
<"`<: sost., acc. sing. m. da <"`H, –@Ø, tempio, santuario; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre
45 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 23,16[x2].17.21.35; 26,61;
27,5.40.51; Mc 14,58; 15,29.38; Lc 1,9.21.22; 23,45; Gv 2,19.20.21. Per quanto riguarda
l’importante distinzione linguistica tra <"`H e ÊgD`< vedi commento a Mc 11,11.
J@ØJ@<: agg. dimostrativo, acc. sing. m. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 7,29;
attributo di <"`<, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
Pg4D@B@\0J@<: agg. qualificativo, acc. sing. m. da Pg4D@B@\0J@H, –@< (da Pg\D e B@4XT),
costruito con le mani, fatto dalle mani; attributo di <"`<. Il vocabolo ricorre 6 volte nel NT:
Mc 14,58 (hapax marciano); At 7,48; 17,24; Ef 2,11; Eb 9,11.24. Nella grecità il termine è
impiegato in senso esclusivamente profano, spesso con sfumatura negativa, per indicare un
oggetto fatto da mano d’uomo, ossia un prodotto artificiale, in opposizione a tutto ciò che è
naturale: FnD0(Ã*" *¥ ªi"FJ@H §Pg4 i"Â Fi­BJD@< Pg4D@B@\0J@<, «ciascuno possiede
un sigillo e un bastone lavorato a mano» (Erodoto, Hist., 1,195,2; cf. anche 2,149,2;
Giuseppe Flavio, Bellum, 1,419). Nei LXX il vocabolo ricorre una quindicina di volte per
rendere i vari termini ebraici che si riferiscono a idoli e a santuari pagani lavorati da mano
d’uomo (cf. Lv 26,1; Is 46,6; ecc.): nel linguaggio biblico, pertanto, il vocabolo Pg4D@B@\0-
J@H acquista una connotazione negativa e dispregiativa, poiché serve per qualificare in
termini sprezzanti ogni costruzione o manufatto finalizzati al culto pagano. La semantica
negativa di Pg4D@B@\0J@H (e del suo opposto •Pg4D@B@\0J@H: Mc 14,58; 2Cor 5,1; Col
2,11) giunge al suo ultimo sviluppo nel NT, dove Gesù qualifica il Tempio di Gerusalemme
come «costruito da mani d’uomo», impiegando l’aggettivo che i LXX affibbiavano agli idoli
falsi.
Mc 14,58 1009

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


*4V: prep. propria di valore temporale, seguita dal genitivo, indecl., durante, per, dopo, al
termine di; cf. Mc 2,1.
JD4ä<: agg. numerale, cardinale, gen. plur. f. da JDgÃH, JD\", –ä<, tre; cf. Mc 8,2; attributo di
º:gDä<.
º:gDä<: sost., gen. plur. f. da º:XD", –"H, giorno; cf. Mc 1,9; compl. di tempo determinato.
L’espressione «in tre giorni» richiama l’analoga «dopo tre giorni» (:gJ JDgÃH º:XD"H)
usata nelle predizioni che annunciano la morte del Figlio dell’uomo e la sua risurrezione (cf.
Mc 8,31; 9,31; 10,34): in Marco l’immagine di «innalzare» o «edificare il tempio» in
linguaggio traslato serve a indicare la risurrezione di Gesù (cf. Gv 2,19).
–88@<: pron. indefinito, acc. sing. m. da –88@H, –0, –@, altro, un altro; cf. Mc 4,5; compl.
oggetto. Alcuni commentatori intendono questo pronome in senso qualitativo: Gesù
affermerebbe di distruggere e riedificare lo stesso tempio; il vecchio e il nuovo tempio
sarebbero il medesimo tempio che, una volta riedificato, potrà dirsi «altro» (–88@H) in
quanto profondamente rinnovato. Tale interpretazione non è sostenibile sul piano linguistico:
l’aggettivo –88@H in Marco non significa mai «medesimo nell’identità, diverso soltanto in
qualità», ma sempre «diverso in numero», ossia «altro tra molti» (cf. Mc 4,5.7.8.18.36;
12,5[x2]) oppure, come qui, corrisponde a ªJgD@H, ossia «altro tra due» (cf. Mc 10,11.12;
12,4). Gesù afferma non di ristrutturare o restaurare lo stesso Tempio, ma di distruggere il
primo e di edificarne un altro totalmente e ontologicamente diverso.
•Pg4D@B@\0J@<: agg. qualificativo, acc. sing. m. da •Pg4D@B@\0J@H, –@< (da –8n" privativa
e Pg4D@B@\0J@H), non costruito con le mani, non fatto dalle mani; attributo del sostantivo
sottinteso <"`<. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mc 14,58 (hapax marciano); 2Cor 5,1;
Col 2,11. L’aggettivo è un neologismo creato dagli autori del NT: nelle tre ricorrenze è
impiegato nel senso di «non–manufatto», per indicare una realtà differente da quella attuale
che ha origine da Cristo o da Dio (in Paolo: la circoncisione/battesimo; la dimora celeste).
Questo tempio «non fatto da mani d’uomo» non può essere identificato con il Cristo, anche
se viene edificato attraverso la sua morte: Gesù è l’edificatore, non la costruzione. Nel
loghion, infatti, il soggetto agente (Gesù) è sempre ben distinto sia dal tempio vecchio («fatto
da mani d’uomo») sia da quello nuovo. Se allora il nuovo tempio non è il Cristo risorto si
deve ritenere che esso indichi genericamente la nuova economia salvifica inaugurata da Gesù
con la sua morte e risurrezione (cf. sotto).
@Æi@*@:ZFT: verbo, 1a pers. sing. ind. fut. da @Æi@*@:XT, costruire, edificare; cf. Mc 12,1.
Sebbene il verbo debba essere qui inteso nel senso letterale proprio, in riferimento alla
costruzione di un tempio, esso acquista un significato più profondo e teologicamente
rilevante. Nelle parole di Gesù il verbo @Æi@*@:XT indica un atto escatologico di Cristo, un
nuovo potere e una autorità conferitegli da Dio in riferimento a un nuovo tempio non
materiale, ma spirituale. Si discute su quale sia la portata esatta di questo verbo (la nuova
comunità dei credenti? La Chiesa? La comunità escatologica dei salvati?): in ogni caso il
tempo futuro esprime un atto di autorità escatologica e un tono spiccatamente ecclesiale.
1010 Mc 14,59–60

14,59 i"Â @Û*¥ @àJTH ÇF0 µ< º :"DJLD\" "ÛJä<.


14,59 Ma nemmeno così la loro testimonianza era concorde.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


@Û*X: avv. di negazione di valore oggettivo, indecl., né, non, neanche, nemmeno; cf. Mc 4,22.
@àJTH: avv. di modo, indecl., così, in tal modo, in questa maniera; cf. Mc 2,7.
ÇF0: agg. indefinito, nom. sing. f. da ÇF@H, –0, –@<, uguale, concorde, simile; cf. Mc 14,56;
predicato nominale.
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
:"DJLD\": sost., nom. sing. f. da :"DJLD\", –"H, testimonianza; cf. Mc 14,55; soggetto.
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona plurale
(«di essi» = «loro»).

14,60 i" •<"FJH Ò •DP4gDg×H gÆH :XF@< ¦B0DfJ0Fg< JÎ< z30F@Ø< 8X(T<s ?Ûi
•B@iD\<® @Û*X< J\ @âJ@\ F@L i"J":"DJLD@ØF4<p
14,60 Il sommo sacerdote si alzò in mezzo all’assemblea e interrogò Gesù: «Non rispondi
nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•<"FJVH: verbo, nom. sing. m. part. aor. da •<\FJ0:4 (da •<V e ËFJ0:4), sorgere, alzarsi,
sollevarsi, risorgere, risuscitare; cf. Mc 1,35. Participio predicativo di valore espletivo del
soggetto Ò •DP4gDgbH.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
•DP4gDgbH: sost., nom. sing. m. da •DP4gDgbH, –XTH (da •DPZ e ÊgDgbH), sommo sacerdote,
capo dei sacerdoti; cf. Mc 2,26; soggetto.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
:XF@<: sost., acc. sing. n. da :XF@H, –@L, medio, mezzo; cf. Mc 3,3; compl. di stato in luogo.
La locuzione avverbiale gÆH :XF@<, «in mezzo» corrisponde alle analoghe formule ¦< :XFå
(cf. Mc 6,47; 9,36) e gÆH JÎ :XF@< (cf. Mc 3,3).
¦B0DfJ0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦BgDTJVT (da ¦B\ e ¦DTJVT), richiedere,
domandare, interrogare; cf. Mc 5,9.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
z30F@Ø<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
compl. oggetto.
Mc 14,61 1011

8X(T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto Ò •DP4gDgbH. L’uso di
8X(T dopo i verbi cosiddetti dicendi («dire», «proclamare», «annunciare», «interrogare»,
«rispondere», «deliberare», ecc.), frequentissimo nel NT, è un ebraismo dovuto alla
traduzione servile della forma verbale 9J/!-F, le) ’mo) r, equivalente al gerundio «dicendo» e
impiegata per introdurre il discorso diretto, in sostituzione del segno grafico dei due punti (:),
inesistente in ebraico come in greco. Nelle traduzioni questa tipica forma può essere omessa.
?Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
•B@iD\<®: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. medio da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33.
@Û*X<: (da @Û*X e gÍH), pron. indefinito negativo, acc. sing. n. da @Û*g\H, @Û*g:\", @Û*X<,
nessuno, niente; cf. Mc 2,21; compl. oggetto.
J\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; compl. oggetto.
@âJ@\: pron. dimostrativo, nom. plur. m. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 4,15;
soggetto.
F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. oggetto. La forma genitiva è retta dal verbo i"J":"DJLDXT.
i"J":"DJLD@ØF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da i"J":"DJLDXT (da i"JV e
:"DJLDXT), testimoniare contro, accusare, imputare. Questo verbo ricorre 3 volte nel NT:
Mt 26,62; 27,13; Mc 14,60 (hapax marciano). Nella grecità il verbo assume il significato
tecnico e giuridico di «attestare contro», «testimoniare contro» (cf. Demostene, Or., 19,120;
40,47; Antifonte, Tetral. I, 2,8; 4,10; Giuseppe Flavio, Antiq., 4,219; 8,358). Per alcuni
commentatori l’espressione @Ûi •B@iD\<® @Û*X< J\ @âJ@\ F@L i"J":"DJLD@ØF4<p
deve essere intesa come un’unica proposizione: «Non rispondi nulla su quanto essi
testimoniano contro di te?». Nonostante l’incertezza degli editori circa la punteggiatura che,
com’è noto, è assente nei codici più antichi, si deve al contrario optare per due distinte
proposizioni sia per motivi sintattici sia per considerazioni di critica interna: a) il verbo
•B@iD\<@:"4 non può reggere direttamente una proposizione subordinata che inizia con
J\; b) esiste un parallelo con l’interrogatorio di Pilato, formulato chiaramente con due distinte
domande (cf. Mc 15,4: ?Ûi •B@iD\<® @Û*X<p Ç*g B`F" F@L i"J0(@D@ØF4<); c) Nel
tipico stile duale di Marco le doppie domande sono ricorrenti (cf. Mc 1,24; 4,21.40; 9,19;
12,14).

14,61 Ò *¥ ¦F4fB" i" @Ûi •BgiD\<"J@ @Û*X<. BV84< Ò •DP4gDg×H ¦B0DfJ" "ÛJÎ<
i"Â 8X(g4 "ÛJès E× gÉ Ò OD4FJÎH Ò LÊÎH J@Ø gÛ8@(0J@Øp
14,61 Ma egli taceva e non rispondeva nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò
dicendogli: «Sei tu il messia, il Figlio di Dio benedetto?».
1012 Mc 14,61

Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
¦F4fB": verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da F4TBVT, stare zitto, rimanere in silenzio, tacere;
cf. Mc 3,4. Imperfetto durativo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
•BgiD\<"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33.
@Û*X<: (da @Û*X e gÍH), pron. indefinito negativo, acc. sing. n. da @Û*g\H, @Û*g:\", @Û*X<,
nessuno, niente; cf. Mc 2,21; compl. oggetto.
BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
•DP4gDgbH: sost., nom. sing. m. da •DP4gDgbH, –XTH (da •DPZ e ÊgDgbH), sommo sacerdote,
capo dei sacerdoti; cf. Mc 2,26; soggetto.
¦B0DfJ": verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da ¦BgDTJVT (da ¦B\ e ¦DTJVT), richiedere,
domandare, interrogare; cf. Mc 5,9. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo
(«domandava», «continuava a domandare»), ma puntuale, corrispondente a un aoristo
(«domandò»): nel greco classico come in quello ellenistico i cosiddetti verba dicendi,
rogandi, exhortandi, iubendi, tra i quali ¦BgDTJVT, ¦DTJVT, 8X(T, ecc., preferiscono la
forma dell’azione incompiuta (ossia il tempo imperfetto), poiché l’azione che esprimono
attende sempre di essere completata da quella indicata dal verbo successivo. Per altri esempi
di questo imperfetto puntuale con il verbo ¦BgDTJVT cf. Mc 5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33;
10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; per quanto riguarda l’imperfetto puntuale con ¦DTJVT
cf. Mc 4,10; 8,5; con 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24.26.30.41; 5,30.31a;
6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70; 15,12a.14.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
Eb: pron. personale di 2a pers. nom. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,11; soggetto. In posizione enfatica, all’inizio della proposizione interrogativa.
gÉ: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc 1,6.
In Marco l’espressione F× gÉ è una affermazione riferita soltanto a Gesù (cf. Mc 1,11; 3,11;
Mc 14,62 1013

8,29; 14,61; 15,2): essa pone in evidenza la sua identità, in stretto parallelismo con la
dichiarazione ¦(f gÆ:4 (cf. Mc 6,50) che Gesù pronuncia per definire sé stesso.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
OD4FJ`H: agg. qualificativo, di valore sostantivato, nom. sing. m. da PD4FJ`H, –Z, –`<, unto,
messia, «Cristo»; cf. Mc 1,1; predicato nominale. Qui, come in Mc 8,29; 12,35; 13,21;
15,32, è preferibile tradurre OD4FJ`H con «messia», poiché il vocabolo viene impiegato per
indicare il figlio di David, atteso come salvatore del suo popolo; al contrario nelle altre due
ricorrenze (cf. Mc 1,1; 9,41) la traduzione più appropriata è quella di «Cristo», poiché il
termine è utilizzato redazionalmente per indicare il messia già venuto, figlio di Maria e
Figlio di Dio, unico Salvatore dell’umanità.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
LÊ`H: sost., nom. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; apposizione di OD4FJ`H.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
gÛ8@(0J@Ø: agg. qualificativo, di valore sostantivato, gen. sing. m. da gÛ8@(0J`H, –Z, –`<,
benedetto; compl. di specificazione. Il vocabolo ricorre 8 volte nel NT: Mc 14,61 (hapax
marciano); Lc 1,68; Rm 1,25; 9,5; 2Cor 1,3; 11,31; Ef 1,3; 1Pt 1,3. L’uso assoluto del
vocabolo Ò gÛ8@(0J`H come sostantivo («il Benedetto») è una perifrasi dovuta a influsso
ebraico, per evitare di pronunciare il sacro nome di Dio (cf. Strack–Bill., II,51; I,1006; cf.
anche la locuzione º *b<":4H, «la Potenza», nel v. 62). Nella traduzione può essere
esplicitato con l’aggiunta del termine «Dio». L’espressione Ò LÊÎH J@Ø gÛ8@(0J@Ø, «il
figlio del Benedetto», deve essere intesa come una specie di apposizione di «messia» e,
pertanto, ne ha essenzialmente lo stesso significato. Per quanto ne sappiamo nel giudaismo
di allora il titolo «figlio di Dio» non era un attributo corrente del messia: sia il popolo sia la
teologia ufficiale attendevano un messia puramente umano. La domanda del sommo
sacerdote si ferma a questo orizzonte: egli vuole soltanto conoscere le pretese messianiche
di Gesù.

14,62 Ò *¥ z30F@ØH gÉBg<s z+(f gÆ:4s i" ÐRgFhg JÎ< LÊÎ< J@Ø •<hDfB@L ¦i
*g>4ä< i"hZ:g<@< J­H *L<V:gTH i" ¦DP`:g<@< :gJ Jä< <gng8ä< J@Ø
@ÛD"<@Ø.
14,62 Gesù rispose: «Io lo sono! E voi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della
Potenza di Dio, mentre viene tra le nubi del cielo».

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
1014 Mc 14,62

z+(f: pron. personale di 1a pers. nom. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc.
¦:X/:g), io, me; cf. Mc 1,8; soggetto. In posizione enfatica.
gÆ:4: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. La risposta z+(f gÆ:4, «Io sono», che Gesù dà al sommo sacerdote è la più esplicita
dei sinottici. Essa corrisponde in senso affermativo alla precedente domanda E× gÉ (v. 61).
La risposta di Gesù, pertanto, equivale a: «Sì, io sono il messia, il figlio del Benedetto». Nel
passo parallelo Matteo scrive E× gÉB"H, «Tu lo dici» (Mt 26,64) mentre Luca riporta
{K:gÃH 8X(gJg ÓJ4 ¦(f gÆ:4, «Voi dite che io sono» (Lc 22,70).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4. La congiunzione ha qui
il valore consecutivo di predizione escatologica: «…cosicché vedrete il Figlio dell’uomo…».
Il significato consecutivo che può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ consecutivum) si
ritrova in Mc 1,17b.27c; 5,4d; 9,5b; 10,21c; 14,62a.
ÐRgFhg: verbo, 2a pers. plur. ind. fut. medio da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf.
Mc 1,10. La forma verbale «vedrete», al plurale, è rivolta al sommo sacerdote e ai membri
del sinedrio, ma nel contesto più generale della profezia escatologica pronunciata da Gesù
può equivalere a «tutti vedranno».
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
LÊ`<: sost., acc. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; compl. oggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•<hDfB@L: sost., gen. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
di specificazione.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
*g>4ä<: agg. qualificativo, di valore sostantivato, gen. plur. n. da *g>4`H, –V, –`<, destro; cf.
Mc 10,37; compl. di stato in luogo. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con
preposizioni, come qui, è frequente nel greco ellenistico. Per quanto riguarda il significato
simbolico della destra vedi commento a Mc 10,37.
i"hZ:g<@<: verbo, acc. sing. m. part. pres. medio da iVh0:"4 (da i"JV e ½:"4), sedere,
sedersi; cf. Mc 2,6. Participio predicativo del soggetto JÎ< LÊÎ< J@Ø •<hDfB@L. In una
cultura dello stare seduti generalmente per terra, il posto a sedere più elevato, specie quello
a destra rispetto al personaggio più importante (cf. Mc 10,37), assume il valore particolare
di un attributo di autorità e potenza; ecco perché nell’Oriente antico il re terreno e la divinità
siedono su troni ideologicamente corrispondenti. Anche il Dio della bibbia partecipa di questa
concezione: il suo trono e nei cieli da dove governa (cf. 1Sam 4,4; 2Sam 6,2; 1Re 22,19;
2Re 19,15; 1Cr 13,6; Sal 9,8; 11,4; 47,9; 80,2; 99,1; 103,19; Is 6,1; 37,16; 66,1; Ger 3,17;
14,21; Ez 1,26; 10,1; Dn 3,55). In corrispondenza di questo simbolismo culturale e religioso
il posto occupato dal Figlio dell’uomo, «alla destra della Potenza», significa, da una parte, il
definitivo compimento della messianicità annunciata nel Salmo regale 110 (cf. Mc 12,36:
Gesù non è soltanto colui che siede sul trono di David, ma è Signore del mondo), dall’altra
il suo riconoscimento come giudice escatologico. Il tempo presente del participio sottolinea
che tale prerogativa è stabilmente perdurante.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
Mc 14,63 1015

*L<V:gTH: sost., gen. sing. f. da *b<":4H, –gTH, forza, potenza, potere, miracolo; cf. Mc 5,30;
compl. di specificazione. L’uso assoluto del vocabolo *b<":4H (eb. %9I{"xA, geb5ûra) h) è
dovuto a influsso ebraico, per evitare di pronunciare il sacro nome di Dio. Si tratta di un
espediente retorico che rendeva disponibile un nome non sacralizzato per parlare di Dio nella
conversazione e nella liturgia, come ci conferma il Talmud dove la denominazione «Potenza»
per Dio si incontra in numerosi passi (cf. b.Shab., 88b; b.Mak., 24a; b.Baba Mez., 58b;
b.Yeb., 72b; 105b; cf., inoltre, la precedente locuzione Ò gÛ8@(0J`H, «il Benedetto», nel v.
61). In questo senso l’espressione ¦i *g>4ä< […] J­H *L<V:gTH significa «alla destra di
Dio». È probabile che sul piano storico Gesù in questa occasione abbia pronunciato
realmente il sacro nome di Dio (Yahweh), poiché secondo il diritto ebraico la bestemmia
come delitto capitale consisteva nel pronunciare formalmente il nome di Dio (vedi commento
a Mc 14,64). In ogni caso la frase indica il termine a quo della venuta escatologica del Figlio
dell’uomo. Poiché la «destra di Dio» si identifica con il suo trono, si afferma che il Figlio
dell’uomo, venendo dal cielo, proviene dalla volontà regale di Dio, in certo modo localizzata.
i"\: cong. coordinativa di valore temporale, indecl., mentre, quando; cf. Mc 1,4. Il significato
temporale che può assumere la congiunzione i"\ si ritrova in Mc 1,19c; 10,10; 14,62b;
15,25a.
¦DP`:g<@<: verbo, acc. sing. m. part. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Participio predicativo del soggetto JÎ<
LÊÎ< J@Ø •<hDfB@L.
:gJV: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., tra, in mezzo a; cf. Mc 1,13.
Analogamente a Mc 1,13 la preposizione :gJV ha qui il significato originale di valore locale
«tra», «in mezzo a».
Jä<: art. determ., gen. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
<gng8ä<: sost., gen. plur. f. da <gnX80, –0H, nuvola, nube; cf. Mc 9,7; compl. di stato in
luogo. La frase «venire sulle nubi del cielo» corrisponde alla precedente «sedere alla destra»
di Dio: si tratta di una espressione che intende designare l’origine divina del «Figlio
dell’uomo». Secondo la cosmologia ebraica il cielo era la sede di Dio da dove egli andava
e veniva per mettersi in contatto con gli uomini.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
@ÛD"<@Ø: sost., gen. sing. m. da @ÛD"<`H, –@Ø, cielo, volta celeste; cf. Mc 1,10; compl. di
specificazione. Per quanto riguarda la corrispondenza formale e contenutistica del detto di
Gesù con la profezia di Dn 7,13–14 vedi commento a Mc 13,26.

14,63 Ò *¥ •DP4gDg×H *4"DDZ>"H J@×H P4Jä<"H "ÛJ@Ø 8X(g4s I\ §J4 PDg\"< §P@:g<
:"DJbDT<p
14,63 Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti e disse: «Che bisogno abbiamo ancora
di testimoni?

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
1016 Mc 14,63

•DP4gDgbH: sost., nom. sing. m. da •DP4gDgbH, –XTH (da •DPZ e ÊgDgbH), sommo sacerdote,
capo dei sacerdoti; cf. Mc 2,26; soggetto.
*4"DDZ>"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da *4"DDZ(<L:4 (da *4V e ÕZ(<L:4), stracciare,
fare a pezzi, lacerare. Questo verbo ricorre 5 volte nel NT: Mt 26,65; Mc 14,63 (hapax
marciano); Lc 5,6; 8,29; At 14,14. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto Ò
•DP4gDgbH. Il verbo *4"DDZ(<L:4 è usato nella grecità nel significato di «lacerare»,
«rompere» (cf. Erodoto, Hist., 3,12,1; Sofocle, Ai., 834). Nella Bibbia il gesto di stracciarsi
le vesti, oltre a essere segno di dolore e lutto (cf. Gn 37,29.34; 44,13; Gdc 11,35; 2Sam 1,11;
13,31; 1Re 21,27; 2Re 6,30; 11,24; 18,37; 19,1; 22,11.19; Gdt 14,19; Gb 1,20), era una
reazione stereotipa di indignazione quando si vedeva o si udiva una cosa giudicata
scandalosa, sconveniente o contraria alla legge (cf. Nm 14,6; Gs 7,6; 2Re 5,7; Ger 36,24; At
14,14; 22,23). Il gesto di stracciarsi le vesti era prescritto dalla legge anche quando si udiva
una bestemmia (cf. 2Re 18,37; 19,1; Giuseppe Flavio, Bellum, 2,322). Secondo la
legislazione rabbinica i giudici, all’udire la bestemmia da parte di un testimone, «si alzavano
in piedi e si stracciavano le vesti che non potevano più ricucire» (m.Sanh., 7,4). Nel Talmud
sono addirittura codificate le norme da osservarsi nella lacerazione delle vesti da parte delle
persone presenti in tribunale (cf. Strack–Bill., I,1007). Nel nostro passo il gesto acquista un
significato ancora più importante: strappandosi le vesti il sommo sacerdote dichiara finito il
proprio sacerdozio, poiché nella legislazione mosaica era espressamente vietato al sommo
sacerdote stracciarsi le vesti: «Il sacerdote, quello che è il sommo tra i suoi fratelli, sul capo
del quale è stato sparso l’olio dell’unzione e ha ricevuto l’investitura, indossando le vesti
sacre, non dovrà scarmigliarsi i capelli né stracciarsi le vesti» (Lv 21,10; cf. Mc 10,6–7).
Secondo la legislazione mishnaica il sommo sacerdote doveva stracciarci le vesti soltanto
come gesto di lutto per la morte di uno dei setti parenti ristretti (cf. m.Hor., 3,5). Il richiamo
simbolico e teologico va a Gesù, vero e unico sommo sacerdote, la cui tunica «senza
cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo», non si strappa neppure nella violenza
della passione (cf. Gv 19,23).
J@bH: art. determ., acc. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
P4Jä<"H: sost., acc. plur. m. da P4Jf<, –ä<@H, chitone, sottoveste, tunica, vestito; cf. Mc 6,9;
compl. oggetto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
I\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24.
§J4: avv. aggiuntivo, indecl., ancora, nuovamente; cf. Mc 5,35.
PDg\"<: sost., acc. sing. f. da PDg\", –"H (dalla radice di PDV@:"4 o PDZ), bisogno, necessità;
cf. Mc 2,17; compl. oggetto.
Mc 14,64 1017

§P@:g<: verbo, 1a pers. plur. ind. pres. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22.
:"DJbDT<: sost., gen. plur. m. da :VDJLH, –LD@H, testimone; compl. di specificazione. Il
vocabolo ricorre 35 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 18,16;
26,65; Mc 14,63 (hapax marciano); Lc 11,48; 24,48. Senza articolo perché generico. Dal
punto di vista etimologico il termine :VDJLH deriva da una antica radice che significa
«ricordare»: :VDJLH è, dunque, colui che ricorda, ossia il «testimone» in grado di riferire
quanto ha visto e sentito. Nel greco classico il vocabolo è quasi del tutto usato nell’ambito
giuridico, dove designa colui che per esperienza diretta è in grado di deporre nei processi (cf.
Aristofane, Eccl., 448; Eschilo, Suppl., 934; Sofocle, Trach., 1248; Tucidide, Hist., 4,87,2).
La traduzione greca dei LXX si allinea su questo uso: :VDJLH fa parte del linguaggio
giuridico e indica, innanzi tutto, il testimone nei processi (cf. Nm 5,13; 35,30; Dt 17,6.7;
19,15). Oltre questo contesto giuridico il vocabolo :VDJLH venne usato ben presto per
designare non soltanto il testimone nei processi, ma più in generale colui che rende la sua
testimonianza a proposito di idee, verità, convincimenti, ossia a realtà che per loro natura non
possono essere sottoposti a verifica empirica. Il NT conosce il concetto di testimone non
soltanto nel senso tecnico di chi testifica fatti che ha visto o sentito (cf. Mc 14,63), ma anche
di chi rende testimonianza o professa verità religiose o personali convincimenti (cf. Rm 1,9;
2Cor 1,23; Fil 1,8; ecc.).

14,64 ²i@bF"Jg J­H $8"Fn0:\"H· J\ ß:Ã< n"\<gJ"4p @Ê *¥ BV<JgH i"JXiD4<"<


"ÛJÎ< §<@P@< gÉ<"4 h"<VJ@L.
14,64 Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». Tutti sentenziarono che era reo di morte.

²i@bF"Jg: verbo, 2a pers. plur. ind. aor. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
$8"Fn0:\"H: sost., gen. sing. f. da $8"Fn0:\", –"H, maldicenza, ingiuria, bestemmia; cf. Mc
3,28; compl. di specificazione. La forma genitiva è retta dal verbo •i@bT. Stando alla
legislazione rabbinica la bestemmia contro il nome di Dio rientrava tra i vari reati punibili
con la pena capitale della lapidazione:

«Quattro specie di condanne a morte sono di spettanza al sinedrio: la lapidazione, il rogo, la


decapitazione, lo strozzamento […]. Questi sono coloro che vengono lapidati: chi si unisce
sessualmente alla propria madre, alla moglie di suo padre [ossia la matrigna, n.d.a.], alla
nuora, a un maschio e a un animale. Inoltre: la donna che si unisce sessualmente a un
animale, chi bestemmia Dio, chi adora gli idoli, chi offre i suoi figli in sacrificio a Moloch,
l’evocatore dei morti, l’indovino, chi profana il sabato, chi maledice il padre o la madre, chi
usa violenza a una fidanzata, chi induce un altro all’idolatria, chi induce all’idolatria una
intera città, lo stregone, il figlio ribelle e disobbediente» (m.Sanh., 7,3).

Per quanto riguarda il reato di bestemmia, come nel caso di Gesù, il diritto mishnaico
prescriveva la condanna a morte soltanto se il colpevole avesse pronunciato distintamente il
1018 Mc 14,64

sacro nome di Dio, Yahweh, un nome che poteva essere esclusivamente pronunciato una
volta all’anno dal sommo sacerdote all’interno del sancta sanctorum del tempio di
Gerusalemme: «Chi bestemmia è colpevole soltanto se pronuncia chiaramente il Nome [del
tetragramma]» (m.Sanh., 7,4). Maledire o bestemmiare Dio senza pronunciarne il nome, ma
impiegando uno dei molteplici epiteti descrittivi o perifrastici, era passibile soltanto della
fustigazione (cf. b.Sanh., 56a). Davanti a tale pubblica bestemmia non aveva più importanza
esaminare le prescritte testimonianze che, nel caso di Gesù, non vennero mai addotte in
modo concorde, come stabiliva la legge.
J\: pron. interrogativo, nom. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?,
che?, quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; soggetto.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine.
n"\<gJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. pass. da n"\<T, brillare, splendere (att.); apparire,
sembrare, risplendere (pass.). Questo verbo ricorre 31 volte nel NT. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: Mt 1,20; 2,7.13.19; 6,5.16.18; 9,33; 13,26; 23,27.28; 24,27.30; Mc
14,64; 16,9; Lc 9,8; 24,11; Gv 1,5; 5,35. Nella maggior parte delle ricorrenze neotestamenta-
rie (22 volte su 31) n"\<T è usato nella diatesi mediopassiva con il significato classico di
«farsi vedere», «mostrarsi», «apparire», «splendere», «risplendere» (cf. Omero, Il., 2,456;
16,207; Od., 21,106; Sofocle, Phil., 1446). La diatesi attiva intransitiva ricorre 9 volte, nel
significato fondamentale di «brillare», «splendere», come avviene nel greco classico (cf.
Omero, Od., 7,102). Nell’uso traslato n"\<@:"4 può assumere, specie in epoca ellenistica,
il significato di «apparire chiaro», «essere manifesto», «sembrare», come espressione del
formarsi di una opinione o un giudizio (cf. Euripide, Hip., 1071; Platone, Leg., 960d). Usato
in questa accezione il verbo è costruito con il dativo della persona ed equivale praticamente
a *@iXT.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
BV<JgH: pron. indefinito, nom. plur. m. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf.
Mc 1,5; soggetto. Nella frase @Ê BV<JgH l’articolo ha valore dimostrativo e BH è usato
come sostantivo: «tutti quanti» (cf. Rm 11,32; 1Cor 9,22; 10,17; 2Cor 5,14; Fil 2,21).
i"JXiD4<"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da i"J"iD\<T (da i"JV e iD\<T), condannare,
sentenziare, giudicare; cf. Mc 10,33.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; soggetto della proposizione oggettiva costruita con
il verbo infinito gÉ<"4.
§<@P@<: agg. qualificativo, acc. sing. m. da §<@P@H, –@<, responsabile, imputato, colpevole; cf.
Mc 3,29; predicato nominale.
gÉ<"4: verbo, inf. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc 1,6.
h"<VJ@L: sost., gen. sing. m. da hV<"J@H, –@L, morte; cf. Mc 7,10; compl. di pena. Senza
articolo perché generico. La punizione prevista dalla legge mosaica per il delitto di
bestemmia era la lapidazione: «Chi bestemmia il nome del Signore dovrà essere messo a
Mc 14,65 1019

morte: tutta la comunità lo dovrà lapidare» (Lv 24,16). Il processo penale giudaico non
conosceva alcuna successione di appelli o gradi di giudizio, per cui la sentenza era
immediatamente applicata. Non si deve ritenere, tuttavia, che tali esecuzioni fossero
all’ordine del giorno. Stando a quello che troviamo nella Mishnah le condanne a morte
dovevano essere piuttosto rare: «Un sinedrio che giustizia a morte un uomo in un settennio
può essere definito “sanguinario”. Rabbi Eleazaro, figlio di Azaria, diceva: Anche uno ogni
settanta anni. Rabbi Akiba e Rabbi Tarfon dicevano: Se noi fossimo stati membri del sinedrio
nessuno sarebbe stato giustiziato» (m.Mak., 1,10). Per quanto riguarda la sentenza di morte
a danno di Gesù si deve osservare che l’eventuale esecuzione doveva essere ratificata e messa
in atto dal prefetto romano, poiché sotto il dominio di Roma le autorità giudaiche avevano
perduto la giurisdizione sui delitti capitali (vedi commento a Mc 15,2), come esplicitamente
afferma Gv 18,31: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno».

14,65 5"Â ³D>"<J` J4<gH ¦:BJbg4< "ÛJè i"Â BgD4i"8bBJg4< "ÛJ@Ø JÎ BD`FTB@<
i"Â i@8"n\.g4< "ÛJÎ< i"Â 8X(g4< "ÛJès AD@nZJgLF@<s i"Â @Ê ßB0DXJ"4
Õ"B\F:"F4< "ÛJÎ< §8"$@<.
14,65 Allora alcuni cominciarono a sputargli addosso, a coprirgli il volto, a percuoterlo e a
dirgli: «Indovina!». Anche i servi lo presero a schiaffi.

5"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.21.
26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.50.
53a.65a.72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\ di influsso semitico acquista il
significato avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica), per introdurre come
formula paratattica di passaggio una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra
unità narrativa.
³D>"<J`: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. medio da –DPT, dare inizio, cominciare; cf. Mc 1,45.
La frase ³D>"J@ / ³D>"<J@ seguita da un infinito come complemento è usata da Marco 26
volte (cf. Mc 1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32; 10,28.32.41.47; 11,15; 12,1;
13,5; 14,19.33.65.69.71; 15,8.18). La frequenza di questa formula è dovuta probabilmente
a influsso semitico: quasi sempre equivale a una perifrasi nella quale il verbo –DPT di
valore pleonastico può essere omesso, mentre l’infinito dipendente viene reso con la 3a
persona dell’indicativo aoristo o imperfetto corrispondente.
J4<gH: pron. indefinito (enclitico), nom. plur. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; soggetto.
¦:BJbg4<: verbo, inf. pres. da ¦:BJbT (da ¦< e BJbT), sputare; cf. Mc 10,34.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine. La scena del disprezzo e delle
derisioni presenta diversi collegamenti con la figura del «Servo» di Is 50,6. In particolare,
l’espressione ³D>"<J` J4<gH ¦:BJbg4< "ÛJè riprende la frase JÎ BD`FTB`< :@L @Ûi
•BXFJDgR" •BÎ "ÆFPb<0H ¦:BJLF:VJT<, «non ho sottratto il mio volto alla vergogna
1020 Mc 14,65

degli sputi», mentre la frase Õ"B\F:"F4< "ÛJÎ< §8"$@< riprende in forma narrativa le
parole del Servo che afferma: *X*Ti"… JH F4"(`<"H :@L gÆH Õ"B\F:"J", «ho
presentato le mie guance agli schiaffi».
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BgD4i"8bBJg4<: verbo, inf. pres. da BgD4i"8bBJT (da BgD\ e i"8bBJT), coprire, ricoprire.
Questo verbo ricorre 3 volte nel NT: Mc 14,65 (hapax marciano); Lc 22,64; Eb 9,4. In senso
letterale proprio il verbo BgD4i"8bBJT equivale nella grecità a «coprire attorno»,
«avvolgere», «nascondere» (cf. Erodoto, Hist., 4,23,4; Senofonte, Cyr., 7,3,14).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
BD`FTB@<: sost., acc. sing. n. da BD`FTB@<, –@L, faccia, viso, volto, fronte; cf. Mc 1,2;
compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
i@8"n\.g4<: verbo, inf. pres. da i@8"n\.T, schiaffeggiare, battere. Questo verbo ricorre 5
volte nel NT: Mt 26,67; Mc 14,65 (hapax marciano); 1Cor 4,11; 2Cor 12,7; 1Pt 2,20. Il
verbo denominativo i@8"n\.T (da i`8"n@H, «schiaffo») è di formazione ellenistica.
Assente nei LXX, altrove è usato nel significato di «colpire con schiaffi» (cf. Test. Ios., 7,5).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8X(g4<: verbo, inf. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc 1,7.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
AD@nZJgLF@<: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da BD@n0JgbT, preannunciare, predire,
profetizzare; cf. Mc 7,6.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
ßB0DXJ"4: sost., nom. plur. m. da ßB0DXJ0H, –@L, servitore, servo, domestico; cf. Mc 14,54;
soggetto.
Õ"B\F:"F4<: sost., dat. plur. n. da ÕVB4F:", –J@<, colpo, percossa, pugno; compl. di mezzo
o modo. La forma dativa è retta dal verbo 8":$V<T. Senza articolo perché generico. Il
vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mc 14,65 (hapax marciano); Gv 18,22; 19,3. Il raro
sostantivo deverbale ÕVB4F:", di formazione ellenistica, è usato nel significato di «colpo»,
«percossa» (cf. Ateneo Sofista, Deipn., 2,2,129; Luciano, Meret., 8,1,26).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
Mc 14,66 1021

§8"$@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da 8":$V<T, prendere, afferrare, raccogliere, ricevere;
cf. Mc 4,16. L’espressione Õ"B\F:"F4< 8":$V<g4<, «prendere a schiaffi» (cf. Luciano,
Meret., 8,1,26), è un latinismo (= «verberibus accipere»; cf. Cicerone, Tusc., 2,34). La scena
delle derisioni, degli insulti e delle percosse richiama le parole del Servo in Is 50,6: «Ho
presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho
sottratto la faccia agli insulti e agli sputi».

14,66 5"Â Ð<J@H J@Ø AXJD@L iVJT ¦< J± "Û8± §DPgJ"4 :\" Jä< B"4*4Fiä< J@Ø
•DP4gDXTH
14,66 Mentre Pietro era giù nel cortile venne una serva del sommo sacerdote.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Ð<J@H: verbo, gen. sing. m. part. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf.
Mc 1,6. Participio al genitivo assoluto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
AXJD@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da AXJD@H, –@L, Pietro; cf. Mc 3,16. La
frase Ð<J@H J@Ø AXJD@L appare nella forma detta “genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con
valore temporale.
iVJT: avv. di luogo, indecl., giù, sotto, in basso. Il vocabolo ricorre 9 volte nel NT: Mt 4,6;
27,51; Mc 14,66; 15,38; Lc 4,9; Gv 8,6; At 2,19; 20,9. Il significato di iVJT è sempre
locale: sia di stato («sotto») sia di moto («verso il basso»).
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
"Û8±: sost., dat. sing. f. da "Û8Z, ­H, atrio, cortile; cf. Mc 14,54; compl. di stato in luogo.
§DPgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Presente storico.
:\": agg. numerale, cardinale, di valore sostantivato, nom. sing. f. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc
2,7; soggetto. L’uso del numero cardinale gÍH al posto del pronome indefinito J\H, «uno»,
«qualcuno» o dell’articolo indeterminativo «uno», soprattutto nelle espressioni partitive, è un
semitismo. Ritroviamo questo fenomeno in Mc 5,22; 6,15; 8,28; 9,17.37.42; 10,17.37[x2];
12,28.42; 13,1; 14,10.18.20.43.47.66.
Jä<: art. determ., gen. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
B"4*4Fiä<: sost., gen. plur. f. da B"4*\Fi0, –0H, giovane ragazza, serva; compl. partitivo. Il
vocabolo ricorre 13 volte nel NT: Mt 26,69; Mc 14,66.69; Lc 12,45; 22,56; Gv 18,17; At
12,13; 16,16; Gal 4,22.23.30[x2].31. Nella grecità il sostantivo B"4*\Fi0 può essere usato
per indicare sia una «ragazzetta» dal punto di vista anagrafico (cf. Senofonte, Anab., 4,3,11;
Plutarco, Cic., 41,3,3) sia una «giovane serva», una «ancella», in riferimento al suo ruolo (cf.
Lisia, Or., 1,12). Nei LXX il termine è l’equivalente dell’ebraico %y I -AH*, yalda) h (cf. Gn 16,1)
e di %9I3
C1H, na‘a7 ra) h (cf. Rut 4,12). In Lc 8,51.54 si tratta di una dodicenne.
1022 Mc 14,67

J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
•DP4gDXTH: sost., gen. sing. m. da •DP4gDgbH, –XTH (da •DPZ e ÊgDgbH), sommo sacerdote,
capo dei sacerdoti; cf. Mc 2,26; compl. di specificazione.

14,67 i"Â Æ*@ØF" JÎ< AXJD@< hgD:"4<`:g<@< ¦:$8XR"F" "ÛJè 8X(g4s 5"Â F×
:gJ J@Ø ;"."D0<@Ø µFh" J@Ø z30F@Ø.
14,67 Vedendo Pietro che stava a scaldarsi lo guardò con attenzione e gli disse: «Anche tu
eri con il Nazareno, con Gesù!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Æ*@ØF": verbo, nom. sing. f. part. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc
1,10. Participio predicativo del soggetto :\" Jä< B"4*4Fiä<. Marco usa spesso il
participio con un significato temporale (cf. Mc 2,5.16; 5,6.22; 6,48.49; 7,2; 8,33; 9,20.25;
10,14; 12,34; 14,67.69; 15,39).
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
AXJD@<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da AXJD@H, –@L, Pietro; cf. Mc 3,16;
compl. oggetto.
hgD:"4<`:g<@<: verbo, acc. sing. m. part. pres. medio da hgD:"\<T, scaldare, riscaldare; cf.
Mc 14,54. Participio predicativo del complemento oggetto JÎ< AXJD@<.
¦:$8XR"F": verbo, nom. sing. f. part. aor. da ¦:$8XBT (da ¦< e $8XBT), guardare, vedere,
distinguere; cf. Mc 8,25. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto :\" Jä<
B"4*4Fiä<.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Fb: pron. personale di 2a pers. nom. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,11; soggetto.
:gJV: prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con, insieme a, in
compagnia di; cf. Mc 1,13.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
;"."D0<@Ø: agg. determinativo, di valore sostantivato, gen. sing. m. da ;"."D0<`H, –@Ø,
Nazareno, Nazaretano; cf. Mc 1,24; apposizione di z30F@Ø. Il titolo, anteposto enfaticamen-
te e in tono dispregiativo al nome proprio a cui si riferisce, conserva le caratteristiche dello
stile parlato. Si potrebbe anche tradurre «con quel Nazareno». Il linguaggio tradisce il ricordo
di un testimone (Pietro) trasmesso a viva voce.
µFh": verbo, 2a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf.
Mc 1,6.
Mc 14,68 1023

J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
z30F@Ø: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
compl. di compagnia.

14,68 Ò *¥ ²D<ZF"J@ 8X(T<s ?ÜJg @É*" @ÜJg ¦B\FJ":"4 F× J\ 8X(g4H. i"Â ¦>­8hg<
§>T gÆH JÎ BD@"b84@< [i" •8XiJTD ¦nf<0Fg<].
14,68 Ma egli negò: «Non so e non capisco che cosa vuoi dire». E uscì fuori, verso il
portico.

Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
²D<ZF"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da •D<X@:"4, negare. Questo verbo
deponente ricorre 33 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 10,33[x2];
26,70.72; Mc 14,68.70; Lc 8,45; 9,23; 12,9; 22,57; Gv 1,20; 13,38; 18,25.27. Analogamente
a quanto avviene nel greco classico (cf. Omero, Il., 19,304; Od., 1,249; Euripide, Hec., 303;
Erodoto, Hist., 2,174,1) questo verbo compare nel greco biblico per esprimere l’atteggiamen-
to negativo di una persona di fronte a una richiesta o una domanda ed equivale a «rispondere
di no», «negare», «rifiutare», «rinnegare».
8X(T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso Ò AXJD@H. L’uso
di 8X(T dopo i verbi cosiddetti dicendi («dire», «proclamare», «annunciare», «interrogare»,
«rispondere», «deliberare», ecc.), frequentissimo nel NT, è un ebraismo dovuto alla
traduzione servile della forma verbale 9J/!-F, le) ’mo) r, equivalente al gerundio «dicendo» e
impiegata per introdurre il discorso diretto, in sostituzione del segno grafico dei due punti (:),
inesistente in ebraico come in greco. Nelle traduzioni questa tipica forma può essere omessa.
?ÜJg: (da @Û e JX), avv. negativo, indecl., e non, né, e neanche; cf. Mc 12,25.
@É*": verbo, 1a pers. sing. ind. perf. da @É*" (una radice con valore di presente connessa a
gÉ*@<, aor. attivo di ÒDVT), vedere, percepire, discernere, conoscere, sapere; cf. Mc 1,24.
@ÜJg: (da @Û e JX), avv. negativo, indecl., e non, né, e neanche; cf. Mc 12,25.
¦B\FJ":"4: verbo, 1a pers. sing. ind. pres. medio da ¦B\FJ":"4 (da ¦B\ e ËFJ":"4),
comprendere, conoscere. Questo verbo deponente ricorre 14 volte nel NT: Mc 14,68 (hapax
marciano); At 10,28; 15,7; 18,25; 19,15.25; 20,18; 22,19; 24,10; 26,26; 1Tm 6,4; Eb 11,8;
Gc 4,14; Gd 1,10. Nella grecità il verbo ¦B\FJ":"4 può indicare sia una abilità manuale sia
una capacità intellettiva, assumendo il significato di «essere in grado di», «sapere»,
«conoscere» (cf. Omero, Il., 16,142; Od., 13,207; Eschilo, Pers., 373; Erodoto, Hist.,
3,130,1).
Fb: pron. personale di 2a pers. nom. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,11; soggetto. Con valore enfatico, perché in posizione prolettica.
1024 Mc 14,68

J\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; compl. oggetto. Questo pronome interrogativo sta
al posto del relativo Ó J4 / òFJ4H («ciò che»), come avviene nei papiri e nelle iscrizioni; si
tratta di un uso piuttosto frequente nella Koiné: «Propositio relativa et interrogatio indirecta
post verba dicendi, cognoscendi etc. valde affines sunt. Hinc fit, ut hellenistice interrogativum
J\ loco pronominis relativi stare possit» (Zerwick Max, Graec., § 221). Analogo fenomeno
in Mc 2,25; 4,24; 5,14; 6,36; 8,1.2; 9,6.10; 10,38; 13,11; 14,36[x2].40.68; 15,24.
8X(g4H: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦>­8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori, uscire;
cf. Mc 1,25.
§>T: avv. di luogo, indecl., fuori, di fuori, esternamente, all’esterno; cf. Mc 1,45.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
BD@"b84@<: sost., acc. sing. n. da BD@"b84@<, –@L (da BD` e "Û8Z), portico, atrio; compl.
di moto a luogo. Hapax neotestamentario. In senso spaziale il sostantivo BD@"b84@<
designa il «cortile» (cf. Polluce, Onom., 1,77,6; 9,16,4). Nel nostro caso si tratta del
«vestibolo», lo spazio aperto collocato tra il cancello di ingresso di un palazzo o una casa e
il cortile interno (all’aperto).
[i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.].
[•8XiJTD: sost., nom. sing. m. da •8XiJTD, –@D@H, gallo; cf. Mc 14,30; soggetto. Senza
articolo perché generico.].
[¦nf<0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da nT<XT, chiamare, gridare; cf. Mc 1,26.
L’espressione i" •8XiJTD ¦nf<0Fg< è presente nei codici A, C, D, ), 1, Qc, 067, f1,
f13, 28, 33, 157, 180, 205, 565, 597, 700, 1006, 1010, 1071, 1241, 1243, 1292, 1342; è
assente, invece, in !, B, L, W, Q*, 579, 892, 2427. Da un punto di vista di critica testuale
è difficile decidere se queste parole sono state aggiunte oppure omesse: da una parte si deve
notare che l’eventuale omissione in alcuni importanti codici sia stata effettuata dietro influsso
degli altri vangeli che conoscono tutti un solo canto del gallo, non soltanto nella narrazione
(cf. Mt 26,74; Lc 22,60.61; Gv 18,27), ma anche nel suo preannuncio da parte di Gesù (cf.
Mt 26,34; Lc 22,34; Gv 13,38): in questo caso l’omissione sarebbe volontaria e, dunque, la
lezione autentica. D’altra parte sembra probabile che, dietro suggestione di Mc 4,72, dove
si fa esplicito riferimento al secondo canto del gallo (¦i *gLJXD@L), il copista abbia qui
abusivamente inserito il riferimento al primo canto del gallo, allo scopo di dare pieno
compimento alla profezia di Gesù («prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai per tre
volte»: Mc 14,30) e dunque, se così fosse, la lezione sarebbe non autentica. Dovendo
necessariamente scegliere optiamo per la non autenticità della lezione.].
Mc 14,69 1025

14,69 i"Â º B"4*\Fi0 Æ*@ØF" "ÛJÎ< ³D>"J@ BV84< 8X(g4< J@ÃH B"DgFJäF4< ÓJ4
?âJ@H ¦> "ÛJä< ¦FJ4<.
14,69 La serva, vedendolo, ricominciò a dire ai presenti: «Costui è uno di loro!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
B"4*\Fi0: sost., nom. sing. f. da B"4*\Fi0, –0H, giovane ragazza, serva; cf. Mc 14,66;
soggetto.
Æ*@ØF": verbo, nom. sing. f. part. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc
1,10. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto º B"4*\Fi0. Marco usa spesso
il participio con un significato temporale (cf. Mc 2,5.16; 5,6.22; 6,48.49; 7,2; 8,33; 9,20.25;
10,14; 12,34; 14,67.69; 15,39).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
³D>"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da –DPT, dare inizio, cominciare; cf. Mc 1,45. La
frase ³D>"J@ / ³D>"<J@ seguita da un infinito come complemento è usata da Marco 26
volte (cf. Mc 1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32; 10,28.32.41.47; 11,15; 12,1;
13,5; 14,19.33.65.69.71; 15,8.18). La frequenza di questa formula è dovuta probabilmente
a influsso semitico: quasi sempre equivale a una perifrasi nella quale il verbo –DPT di valore
pleonastico può essere omesso, mentre l’infinito dipendente viene reso con la 3a persona
dell’indicativo aoristo o imperfetto corrispondente.
BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
8X(g4<: verbo, inf. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc 1,7.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
B"DgFJäF4<: verbo, dat. plur. m. part. perf., di valore sostantivato, da B"D\FJ0:4 (da B"DV
e ËFJ0:4), avvicinare, presentare, essere presente; cf. Mc 4,29; compl. di termine.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
?âJ@H: pron. dimostrativo, nom. sing. m. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 2,7;
soggetto. In base al contesto @âJ@H può assumere senso ostile o spregiativo (come qui),
corrispondente all’italiano «costui». Stesso fenomeno in Mc 2,7; 8,12.
¦>: (= ¦i), prep. propria di valore partitivo, seguita dal genitivo, indecl., di, tra; cf. Mc 1,10.
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. partitivo.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
1026 Mc 14,70

14,70 Ò *¥ BV84< ²D<gÃJ@. i" :gJ :4iDÎ< BV84< @Ê B"DgFJäJgH §8g(@< Jè


AXJDås z!80häH ¦> "ÛJä< gÉs i" (D '"848"Ã@H gÉ.
14,70 Ma egli di nuovo si mise a negare. Dopo un poco i presenti dissero di nuovo a Pietro:
«Tu devi essere certamente uno di loro, infatti sei Galileo!».

Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
²D<gÃJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. medio da •D<X@:"4, negare; cf. Mc 14,68.
Imperfetto durativo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
:gJV: prep. propria di valore temporale, seguita dall’accusativo, indecl., dopo, dopo di; cf. Mc
1,13.
:4iD`<: agg. indefinito, di grado comparativo, acc. sing. n. da :4iD`H, –V, –`<, piccolo, poco,
corto, breve; cf. Mc 4,31. L’aggettivo è qui usato con valore di avverbio temporale, con il
sostantivo PD`<@< sottinteso: «poco tempo dopo», come avviene ancora nel NT (cf. Mt
26,73; Gv 7,33; 12,35; 13,33; 14,19; 16,16; Ap 6,11; 20,3).
BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
B"DgFJäJgH: verbo, nom. plur. m. part. perf., di valore sostantivato, da B"D\FJ0:4 (da B"DV
e ËFJ0:4), avvicinare, presentare, essere presente; cf. Mc 4,29; soggetto.
§8g(@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo («dicevano», «continuavano
a dire»), ma puntuale, corrispondente a un aoristo («dissero»): nel greco classico come in
quello ellenistico i cosiddetti verba dicendi, rogandi, exhortandi, iubendi, tra i quali 8X(T,
¦BgDTJVT, ¦DTJVT, ecc., preferiscono la forma dell’azione incompiuta (ossia il tempo
imperfetto), poiché l’azione che esprimono attende sempre di essere completata da quella
indicata dal verbo successivo. Per altri esempi di questo imperfetto puntuale con il verbo
8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24.26.30.41; 5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27;
8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70; 15,12a.14; per quanto riguarda l’imperfetto
puntuale con ¦BgDTJVT cf. Mc 5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33; 10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61;
15,4; con ¦DTJVT cf. Mc 4,10; 8,5.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
AXJDå: sost., nome proprio di persona, dat. sing. m. da AXJD@H, –@L, Pietro; cf. Mc 3,16;
compl. di termine.
z!80häH: avv. di modo, indecl., veramente, realmente, in verità. Il vocabolo ricorre 18 volte
nel NT: Mt 14,33; 26,73; 27,54; Mc 14,70; 15,39; Lc 9,24; 12,44; 21,3; Gv 1,47; 4,42; 6,14;
7,26.40; 8,31; 17,8; At 12,11; 1Ts 2,13; 1Gv 2,5. Il significato di questo avverbio è modellato
Mc 14,71 1027

sul concetto di verità presente in Marco (cf. Mc 5,33; 12,14): si tratta di una sfumatura della
gamma semantica di •8Zhg4" nel senso di «qualità non nascosta», ossia «in modo palese»,
«in modo effettivo».
¦>: (= ¦i), prep. propria di valore partitivo, seguita dal genitivo, indecl., di, tra; cf. Mc 1,10.
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. partitivo.
gÉ: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc 1,6.
i"\: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti, cioè, ossia; cf. Mc 1,4. Il
significato esplicativo che può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ epexegeticum) si
riscontra in Mc 10,45a; 14,70b.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
'"848"Ã@H: agg. determinativo, nom. sing. m. da '"848"Ã@H, –", –@<, galileo, nativo della
Galilea; predicato nominale. Il vocabolo ricorre 11 volte nel NT: Mt 26,69; Mc 14,70 (hapax
marciano); Lc 13,1.2[x2]; 22,59; 23,6; Gv 4,45; At 1,11; 2,7; 5,37. Non viene espressamente
detto come abbiano fatto i presenti ad accorgersi che Pietro era un Galileo, ma si può dedurre
che sia stato il tipico dialetto parlato in Galilea, come esplicitamente riferisce Mt 26,73:
«infatti il tuo accento ti tradisce». Il dialetto galileo rispetto all’aramaico parlato nella Giudea
era meno gutturale e variava la pronuncia di qualche vocale. Ciò dava occasione a vari
fraintendimenti, dei quali, come riferisce un aneddoto rabbinico, il più famoso è il seguente:
un Galileo chiede a un Giudeo dove può acquistare un ’immar (9Œ H !E, «agnello»). La sua
pronuncia, tuttavia, è così anomala che il Giudeo gli replica: stupido Galileo, che cosa cerchi
esattamente? Un hEa7 môr (9|/( C , «asino»), un hEa7 mar (9/
H( C , «vino»), un ‘a7 mar (9/
H 3C, «lana»)
o un ’immar (9Œ H !E, «agnello»)? (cf. Strack–Bill., I,157). Per il dialetto galileo (parlato anche
da Gesù!) cf. anche At 2,7.
gÉ: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc 1,6.

14,71 Ò *¥ ³D>"J@ •<"hg:"J\.g4< i" Ï:<b<"4 ÓJ4 ?Ûi @É*" JÎ< –<hDTB@<
J@ØJ@< Ô< 8X(gJg.
14,71 Ma egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quest’uomo di cui
parlate!».

Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
³D>"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da –DPT, dare inizio, cominciare; cf. Mc 1,45. La
frase ³D>"J@ / ³D>"<J@ seguita da un infinito come complemento è usata da Marco 26
volte (cf. Mc 1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32; 10,28.32.41.47; 11,15; 12,1;
13,5; 14,19.33.65.69.71; 15,8.18). La frequenza di questa formula è dovuta probabilmente
a influsso semitico: quasi sempre equivale a una perifrasi nella quale il verbo –DPT di
1028 Mc 14,71

valore pleonastico può essere omesso, mentre l’infinito dipendente viene reso con la 3a
persona dell’indicativo aoristo o imperfetto corrispondente.
•<"hg:"J\.g4<: verbo, inf. pres. da •<"hg:"J\.T, maledire. Questo verbo ricorre 4 volte nel
NT: Mc 14,71 (hapax marciano); At 23,12.14.21. Si tratta di un verbo di traduzione
letteraria biblica, assente nel greco classico. Letteralmente significa «colpire qualcuno con
l’•<Vhg:" (neologismo ellenistico al posto del classico •<Vh0:"). Questo vocabolo
traduce nei LXX l’ebraico .9G( F , hEe)rem (= «sterminio», «annientamento», «anatema»), ossia
l’atto che consiste nel votare alla distruzione completa persone o cose come offerta a Dio:
«Ogni cosa votata allo sterminio è cosa santissima, riservata al Signore» (Lv 27,28). Il
contesto storico è quello delle guerre “sante” condotte da Israele contro i nemici, nelle quali
tutto ciò che viene conquistato, onde evitare qualsiasi contaminazione alla fede yahvista,
viene «anatemizzato», ossia distrutto per Dio. Si assiste a una evoluzione quando il verbo
•<"hg:"J\.T passa a esprimere non un votare alla distruzione, ma più in generale
«invocare la maledizione» divina su qualcuno (sé stessi o altri) in occasione di impegni
solenni: «Si presentarono [i Giudei] ai sommi sacerdoti e agli anziani e dissero: Ci siamo
obbligati con giuramento esecratorio (•<"hX:"J4 •<ghg:"J\F":g<) di non assaggiare
nulla sino a che non avremo ucciso Paolo» (At 23,14; cf. At 23,12.21). Nel nostro passo,
tuttavia, •<"hg:"J\.T è usato in modo anomalo e si presuppone un vuoto nella frase,
poiché il verbo viene sempre usato con un complemento oggetto e non compare mai nella
forma assoluta intransitiva, come invece avviene qui. In base a questa constatazione
linguistica sono possibili due interpretazioni: a) per alcuni si deve considerare •<"hg:"J\.T
come esprimente una automaledizione (= «egli [Pietro] cominciò a lanciare maledizioni su
sé stesso e a giurare…»); b) secondo altri Pietro, nell’occasione, avrebbe maledetto lo stesso
Gesù, il cui nome (o pronome) sarebbe stato omesso dai primi codici per motivi di pietà. In
tal caso il testo originale sarebbe stato il seguente: «egli [Pietro] cominciò a maledire Gesù
e a giurare…» oppure: «egli [Pietro] cominciò a maledirlo e a giurare…».
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Ï:<b<"4: verbo, inf. pres. da Ï:<bT, giurare, promettere, dichiarare solennemente; cf. Mc
6,23.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
?Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
@É*": verbo, 1a pers. sing. ind. perf. da @É*" (una radice con valore di presente connessa a
gÉ*@<, aor. attivo di ÒDVT), vedere, percepire, discernere, conoscere, sapere; cf. Mc 1,24.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
–<hDTB@<: sost., acc. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17; compl.
oggetto.
J@ØJ@<: agg. dimostrativo, acc. sing. m. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 7,29;
attributo di –<hDTB@<, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
Mc 14,72 1029

Ó<: pron. relativo, acc. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 6,16; compl. oggetto.
8X(gJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7.

14,72 i" gÛh×H ¦i *gLJXD@L •8XiJTD ¦nf<0Fg<. i" •<g:<ZFh0 Ò AXJD@H JÎ


Õ­:" ñH gÉBg< "ÛJè Ò z30F@ØH ÓJ4 ADÂ< •8XiJ@D" nT<­F"4 *ÂH JD\H :g
•B"D<ZF®· i" ¦B4$"8ã< §i8"4g<.
14,72 E subito, per la seconda volta, un gallo cantò. Allora Pietro si ricordò della parola che
Gesù gli aveva detto: «Prima che il gallo canti due volte, tre volte mi avrai rinnegato».
E scoppiò in pianto.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
¦i: prep. propria con valore determinativo, seguita dal genitivo, indecl., per; cf. Mc 1,10.
*gLJXD@L: agg. numerale, ordinale, gen. sing. n. da *gbJgD@H, –", –@<, secondo, altro dei due;
cf. Mc 12,21. L’aggettivo è qui usato con valore avverbiale: «la seconda volta», «per la
seconda volta».
•8XiJTD: sost., nom. sing. m. da •8XiJTD, –@D@H, gallo; cf. Mc 14,30; soggetto. Senza
articolo perché generico.
¦nf<0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da nT<XT, chiamare, gridare; cf. Mc 1,26.
i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.21.
26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.50.
53a.65a.72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\ di influsso semitico acquista il
significato avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica), per introdurre come
formula paratattica di passaggio una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra
unità narrativa.
•<g:<ZFh0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da •<":4:<¯FiT (da •<V e :4:<¯Fi@:"4),
ricordare, ricordarsi; cf. Mc 11,21.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
AXJD@H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da AXJD@H, –@L, Pietro; cf. Mc 3,16;
soggetto.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
Õ­:": sost., acc. sing. n. da Õ­:", ÕZ:"J@H, parola, discorso, detto, affermazione; cf. Mc
9,32; compl. oggetto.
ñH: cong. subordinativa di valore incidentale, indecl., come, nel modo che, nella maniera che,
nella misura che; cf. Mc 1,10. Anche se più scorrevole, la traduzione «Pietro si ricordò della
parola che Gesù gli aveva detto» non è esattamente corrispondente al testo, poiché la
congiunzione incidentale ñH viene resa con un pronome relativo, assente nel testo. Una
1030 Mc 14,72

traduzione più fedele potrebbe essere la seguente: «Pietro si ricordò della predizione, proprio
come gli aveva detto Gesù».
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
AD\<: cong. subordinativa di valore temporale, indecl., prima che; cf. Mc 14,30.
•8XiJ@D": sost., acc. sing. m. da •8XiJTD, –@D@H, gallo; cf. Mc 14,30; soggetto della
proposizione oggettiva costruita con il verbo infinito nT<­F"4. Senza articolo perché
generico.
nT<­F"4: verbo, inf. aor. da nT<XT, chiamare, gridare; cf. Mc 1,26.
*\H: avv. numerale, indecl., due volte; cf. Mc 14,30.
JD\H: avv. numerale, indecl., tre volte; cf. Mc 14,30.
:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,40; compl. oggetto.
•B"D<ZF®: verbo, 2a pers. sing. ind. fut. medio da •B"D<X@:"4 (da •B` e •D<X@:"4),
negare, rifiutare, rinunciare, rinnegare; cf. Mc 8,34.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦B4$"8f<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ¦B4$V88T (da ¦B\ e $V88T), gettare su,
irrompere, infrangersi; cf. Mc 4,37. Participio predicativo del soggetto Ò AXJD@H.
§i8"4g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da i8"\T, piangere, lamentarsi; cf. Mc 5,38.
Imperfetto durativo. L’espressione i"Â ¦B4$"8ã< §i8"4g< da un punto di vista filologico
può essere diversamente tradotta e interpretata: a) «e cominciò a piangere»; b) «e scoppiò in
lacrime»; c) «e, uscito, pianse». Il primo significato è da preferirsi: la frase ¦B4$"8ã<
§i8"4g< corrisponde infatti a ³D>"J@ i8"\g4< (cf. Esopo, Fab., 253,2; LXX: Tb 10,5; cf.
¦BX$"8g JgDgJ\.g4<, «cominciò a cantarellare», Diogene Laerzio, Vitae, 6,27), come
interpreta Giovanni Crisostomo: AXJD@H "ÆFh"<`:g<@H J`Jg ³D>"J@ i8"\g4<…,
«Pietro, allora, rendendosi conto, cominciò a piangere…» (cf. Id., De poen., 49,298,39).
Mc 15,1

15,1 5" gÛh×H BDTÅ FL:$@b84@< B@4ZF"<JgH @Ê •DP4gDgÃH :gJ Jä< BDgF$LJX-
DT< i"Â (D"::"JXT< i"Â Ó8@< JÎ FL<X*D4@<s *ZF"<JgH JÎ< z30F@Ø<
•BZ<g(i"< i" B"DX*Ti"< A48VJå.
15,1 E subito, al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio,
dopo aver concordato un piano misero in catene Gesù, lo portarono via e lo
consegnarono a Pilato.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÛhbH: avv. di tempo, indecl., subito, immediatamente; cf. Mc 1,10.
BDTÄ: avv. di tempo, indecl., al mattino, di mattina, di buon mattino; cf. Mc 1,35. L’ultima
“giornata” di Gesù sulla terra si apre con una annotazione temporale: i"Â gÛh×H BDTÄ («e
subito, al mattino») e si conclude con un’altra annotazione temporale: i"Â ³*0 ÏR\"H
(g<@:X<0H («e venuta ormai la sera»: Mc 15,42). Con la prima indicazione Gesù viene
consegnato all’autorità pagana, con la seconda il suo cadavere viene richiesto a Pilato. Ciò
assume un certo rilievo se si tiene presente che l’intero capitolo 15 è intessuto di indicazioni
temporali che scandiscono la “giornata” in periodi di tre ore ciascuno, secondo il seguente
schema:

Mc 15,1 i"Â gÛh×H BDTÄ («e subito, al mattino»): consegna di Gesù a Pilato (=
attorno alle ore 6,00 del mattino).
Mc 15,25 µ< *¥ òD" JD\J0 («era l’ora terza»): crocifissione di Gesù (= attorno alle
ore 9,00/10,00 del mattino).
Mc 15,33 i"Â (g<@:X<0H òD"H ªiJ0H («all’ora sesta»): iniziano le tenebre (=
attorno alle ore 12,00).
Mc 15,33 ªTH òD"H ¦<VJ0H («fino all’ora nona»): finiscono le tenebre (= attorno
alle ore 15,00).
Mc 15,34 i" J± ¦<VJ® òD‘ («era l’ora nona»): grido di Gesù e successiva morte
(= attorno alle ore 15,00).
Mc 15,42 i"Â ³*0 ÏR\"H (g<@:X<0H («e venuta ormai la sera»): Giuseppe
d’Arimatea chiede il corpo di Gesù (= attorno alle ore 18,00).

FL:$@b84@<: sost., acc. sing. n. da FL:$@b84@<, –@L, consiglio, consulta, deliberazione,


riunione; cf. Mc 3,6; compl. oggetto. Senza articolo perché generico.
B@4ZF"<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3. Participio predicativo del soggetto @Ê •DP4gDgÃH :gJ Jä<
BDgF$LJXDT< i"Â (D"::"JXT< i"Â Ó8@< JÎ FL<X*D4@<. L’espressione FL:$@b84@<
B@4gÃ<, «fare consiglio», è un latinismo («consilium facere»), mentre in Mc 3,6 viene usata
l’insolita formula FL:$@b84@< *@Ø<"4, «dare consiglio». L’espressione può essere
diversamente intesa: a) in senso tecnico (= «tenere consiglio») indica la seduta del sinedrio,
il che farebbe pensare a una seconda riunione dei sinedriti, iniziativa difficilmente sostenibile

1031
1032 Mc 15,1

sul piano della cronologia degli avvenimenti; b) più in generale l’espressione può essere
tradotta con «deliberare un piano», «concordare il da farsi», per indicare la rapida decisione
presa dai sinedriti di sbarazzarsi di Gesù. La variante testuale FL:$@b84@< ©J@4:VF"<JgH,
«avendo stabilito un piano» (cf. !, C, L), propende per questa seconda alternativa.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
•DP4gDgÃH: sost., nom. plur. m. da •DP4gDgbH, –XTH (da •DPZ e ÊgDgbH), sommo sacerdote,
capo dei sacerdoti; cf. Mc 2,26; soggetto.
:gJV: prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con, insieme a, in
compagnia di; cf. Mc 1,13.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
BDgF$LJXDT<: agg. qualificativo, di grado comparativo, con valore sostantivato, gen. plur. m.
da BDgF$bJgD@H, –", –@< (comparativo di BDXF$LH), più vecchio, più anziano,
predecessore, antenato, «presbitero»; cf. Mc 7,3; compl. di compagnia.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
(D"::"JXT<: sost., gen. plur. m. da (D"::"JgbH, –XTH (da (DV::"), scriba, esperto della
Legge, insegnante religioso; cf. Mc 1,22; compl. di compagnia.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Ó8@<: agg. indefinito, nom. sing. n. da Ó8@H, –0, –@<, tutto, ogni; cf. Mc 1,28; attributo di
FL<X*D4@<, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
FL<X*D4@<: sost., nom. sing. n. da FL<X*D4@<, –@L, sinedrio; cf. Mc 13,9; soggetto.
*ZF"<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da *XT, legare, assicurare, incatenare; cf. Mc 3,27.
Participio predicativo del soggetto @Ê •DP4gDgÃH :gJ Jä< BDgF$LJXDT< i" (D"::"-
JXT< i"Â Ó8@< JÎ FL<X*D4@<.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
z30F@Ø<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
compl. oggetto.
•BZ<g(i"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •B@nXDT (da •B` e nXDT), portare via,
condurre. Questo verbo ricorre 6 volte nel NT: Mc 15,1 (hapax marciano); Lc 16,22; At
19,12; 1Cor 16,3; Ap 17,3; 21,10. Nel significato proprio il verbo •B@nXDT esprime nella
grecità l’idea di «portare via», «rapire» (lat. auferre) qualcuno o qualcosa, quasi sempre in
termini negativi (cf. Omero, Od., 16,360; Erodoto, Hist., 6,27,2).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
B"DX*Ti"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da B"D"*\*T:4 (da B"DV e *\*T:4), consegnare,
rimettere, dare (qualcuno) nelle mani (di un altro), consegnare (qualcuno) al potere (di un
altro), tradire; cf. Mc 1,14.
A48VJå: sost., nome proprio di persona, dat. sing. m. da A48J@H, –@L, Pilato; compl. di
termine. Il vocabolo ricorre 55 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 9
volte in Matteo (corrispondente allo 0,049% del totale delle parole); 10 volte in Marco (cf.
Mc 15,1 1033

Mc 15,1.2.4.5.9.12.14.15.43.44 = 0,088%); 12 volte in Luca (0,062%); 20 volte in Giovanni


(0,128%). Traslitterazione grecizzata del soprannome maschile di origine latina Pilatus. Il
vero nome di questo personaggio, un militare dell’ordine equestre di origine italica, era
Pontius, appartenente alla nobile stirpe romana della «gens Pontia»: «Pilatus», ossia «uomo
del giavellotto», è un soprannome probabilmente dovuto a un atto di bravura che egli riportò
in qualche azione bellica. Era stato nominato da Seiano — braccio destro di Tiberio — sesto
prefetto (non «procuratore», cf. sotto) della provincia romana di Giudea che egli governò per
dieci anni, dal 26 al 36 d.C. (cf. Giuseppe Flavio, Antiq., 17,35; 18,5). L’unica notizia
tramandataci su di lui da uno scrittore non ebreo è quella di Tacito (+ 118 d.C.): «Auctor
nominis eius [sott. Chrestianos] Christus Tiberio imperitante per procuratorem Pontium
Pilatum supplicio adfectus erat», «Derivano [sott. i cristiani] il loro nome da Cristo,
giustiziato dal procuratore Ponzio Pilato durante il regno di Tiberio» (Tacito, Ann., 15,44).
Dal punto di vista archeologico deve essere ricordata l’importante iscrizione frammentaria
trovata da una spedizione italiana a Cesarea Marittima, nel 1961. In essa compare la seguente
dicitura: «[PO]NTIVS PILATVS | [PRAEF]ECTVS IVDA[EA]E», «[Po]nzio Pilato |
[pref]etto della Giud[e]a» (IR, 104, nr. 216). Questo frammento epigrafico è un testimone
privilegiato sia per quanto riguarda la presenza storica di Pilato in Giudea sia per l’esatto
titolo di cui egli era insignito. Durante i regni di Augusto e Tiberio i governatori di Egitto e
Giudea erano di rango equestre (non senatorio) e portavano il titolo di «praefectus»,
«prefetto». Questo titolo evidenziava funzioni di controllo militare, mentre il «procurator»,
«procuratore», esplicava un ruolo più marcatamente civile e amministrativo (= «tutore»,
«amministratore»), in dipendenza dell’imperatore. Fu l’imperatore Claudio che iniziò a
trasformare i «prefetti» in «procuratori» volendo portare l’ufficio più direttamente sotto il suo
controllo, in opposizione al senato. Nella pratica i due titoli potevano essere confusi e usati
indifferentemente l’uno per l’altro sia dalla gente comune sia dagli stessi scrittori (Tacito,
Filone di Alessandria, Giuseppe Flavio). Sebbene l’iscrizione di Cesarea Marittima mostri
che tecnicamente il titolo ufficiale di Pilato era «prefetto», nel NT il titolo corrente del
prefetto romano è º(g:f<, «governatore», riferito a Pilato (cf. Mt 27,2.11.14.15.21.27;
28,14; Lc 20,20), Felice (cf. At 23,24.26.33; 24,1.10) e Festo (cf. At 26,30). Le altre fonti che
parlano di Ponzio Pilato, oltre i vangeli, At 3,13; 4,27; 13,28 e 1Tm 6,13 — e tralasciando
gli scritti apocrifi — sono giudaiche: Filone di Alessandria nella sua Legatio ad Caium
[Caligulam] («Ambasceria a Caio»), lo descrive come un tiranno violento e disonesto e ne
riferisce «le corruzioni, le violenze, le rapine, gli oltraggi, le torture, le frequenti esecuzioni
senza processo, la continua e spaventosa crudeltà» (Id., Legat., 301–302). Ma è soprattutto
lo storico giudeo Giuseppe Flavio a riportare vari avvenimenti legati al (mal)governo di Pilato
in Giudea. Egli riferisce, anzitutto, che Pilato appena giunto in Giudea fece introdurre
nottetempo in Gerusalemme truppe romane con le insegne militari e le immagini
dell’imperatore, contro l’usanza locale, suscitando proteste e tumulto nella popolazione (cf.
Id., Bellum, 2,169–171; Antiq., 18,55–59). Un secondo e più grave incidente, con numerosi
morti, fu causato da Pilato quando decise di espropriare i fondi del tesoro sacro del Tempio
per costruire un acquedotto a Gerusalemme (cf. Id., Bellum, 2,175–177; Antiq., 18,60–61).
Un terzo incidente, narrato soltanto da Filone di Alessandria, ebbe come oggetto alcuni scudi
dorati che Pilato in omaggio a Tiberio aveva appeso sulla residenza dei governatori in
1034 Mc 15,2

Gerusalemme. Su questi scudi Pilato aveva fatto incidere il proprio nome e quello di Tiberio.
La protesta del popolo fu recata a Pilato da una delegazione che comprendeva magistrati
ebrei e alcuni figli di Erode. Pilato non cedette alle preghiere e così i Giudei scrissero
direttamente a Tiberio il quale ordinò a Pilato di trasferire gli scudi a Cesarea, nel tempio di
Augusto (cf. Filone di Alessandria, Legat., 305). Un ultimo incidente, riportato da Giuseppe
Flavio, fu quello che costò a Pilato la destituzione. Si riferisce alla sommossa popolare di un
gruppo di Samaritani ai piedi del monte Garizim, schiacciata da Pilato nel sangue (cf.
Giuseppe Flavio, Antiq., 18,85–89). A seguito di questa strage Pilato venne accusato presso
Vitellio, governatore della Siria, il quale inviò Marcello ad amministrare la Giudea e, nel
contempo, ordinò a Pilato di fare ritorno a Roma per rendere conto all’imperatore delle
accuse fattegli dai Samaritani. Giunto a Roma Pilato venne rimosso dall’incarico e inviato
in esilio. Nulla sappiamo della sua morte.

15,2 i" ¦B0DfJ0Fg< "ÛJÎ< Ò A48J@Hs E× gÉ Ò $"F48g×H Jä< z3@L*"\T<p Ò *¥


•B@iD4hgÂH "ÛJè 8X(g4s E× 8X(g4H.
15,2 Allora Pilato lo interrogò: «Sei tu il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici».

i"\: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., allora, poi, in seguito; cf. Mc 1,4. Il
significato narrativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ si riscontra in Mc
3,6.9.21; 4,38b; 5,13b; 6,6b.32.39; 7,1a.29.35a; 8,6a.11a.23a.27a.29.31a.32b; 9,5a.7a.21.
26a.35a; 10,1a.2.13.17a.23a.42a.49a; 11,6.14a; 12,12a.16a.28a.43a; 14,10.13a.27a.48a.50.
53a.65a.72b; 15,2. In questi casi la congiunzione i"\ di influsso semitico acquista il
significato avverbiale di «allora», «poi» (ma talvolta è pleonastica), per introdurre come
formula paratattica di passaggio una nuova scena all’interno della stessa pericope o un’altra
unità narrativa.
¦B0DfJ0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦BgDTJVT (da ¦B\ e ¦DTJVT), richiedere,
domandare, interrogare; cf. Mc 5,9. L’interrogatorio, ossia il processo a cui Pilato
sottomette Gesù, ha preso l’avvio dai capi del popolo giudaico i quali accusano Gesù di
avere pretese regali, come esplicitamente riferisce Gv 19,12: «Se liberi costui non sei amico
di Cesare! Chiunque, infatti, si fa re si mette contro Cesare». Secondo il diritto romano la
pretesa o il tentativo di proclamarsi re di una provincia equivaleva a un atto di sedizione e
di alto tradimento. Conformemente alla Lex Iulia maiestatis, promulgata da Giulio Cesare
nel 46 a.C. e rimessa in vigore da Augusto nell’8 a.C., tale gesto costituiva un crimen lesae
maiestatis, un’offesa alla maestà dell’imperatore meritevole della pena capitale (cf.
Giustiniano, Dig., 48,4,1; 48,4,11). Se non ci fosse stata tale formale accusa probabilmente
Pilato non avrebbe processato e condannato a morte Gesù, poiché per i Romani egli non
costituiva un pericolo politico, tanto che non erano intervenuti né quando Gesù aveva fatto
il suo ingresso «regale» a Gerusalemme né quando aveva cacciato dal Tempio i venditori:
due azioni, queste, che se fossero state considerate sediziose avrebbero certamente spinto la
guarnigione romana di stanza a Gerusalemme a intervenire militarmente. Il motivo religioso
— la «bestemmia» (cf. Mc 14,64) — per cui il sinedrio aveva sentenziato che Gesù era
meritevole di morte non aveva nessun valore giuridico per Pilato (cf. la risposta «prendetelo
voi e giudicatelo secondo la vostra legge» in Gv 18,31). Per questo l’accusa che fu presentata
Mc 15,2 1035

dai capi giudaici a carico di Gesù fu trasformata in accusa «politica», non religiosa. Non
avendo più il sinedrio il diritto di emettere e attuare sentenze di morte (ius gladii), doveva
necessariamente rivolgersi al prefetto romano, il solo ad avere il potere di condannare a
morte, ma questo, evidentemente, per una motivazione politica, non religiosa, non essendo
costume né interesse dei governatori romani intromettersi nelle dispute religiose dei popoli
sottomessi: ciò appare chiaro nel caso del proconsole dell’Acaia Gallione (cf. At 18,12–17).
Per tale motivo il delitto religioso (la «bestemmia»), per il quale il sinedrio aveva ritenuto
Gesù meritevole di morte, nel processo davanti a Pilato fu tramutato in delitto politico (la
pretesa di un sedizioso di farsi «re dei Giudei», cf. Gv 19,12), facendo così passare Gesù
come un ribelle nei confronti di Roma. Ricadevano, infatti, sotto il potere dello ius gladii (o
potestas gladii) i reati quali factio, seditio, latrocinium, tumultus, puniti con la pena di morte.
Tale giurisdizione capitale che apparteneva in teoria all’imperatore e al senato veniva
esercitata anche dai governatori delle province per delegazione. Nel contempo Augusto aveva
tolto alle popolazioni sottomesse il potere di eseguire sentenze capitali, come testimonia il
quarto editto di Cirene (vedi commento a Mc 14,55), delegando tale funzione ai governatori.
In pratica, ammesso anche che il sinedrio avesse ancora il diritto di emettere sentenze capitali,
gli era stata sottratta l’esecuzione materiale della condanna a morte, riservata al governatore
dopo un processo eseguito secondo il diritto romano. Lo storico Giuseppe Flavio riferisce che
quando Coponio nel 6 d.C. fu inviato in Giudea come primo prefetto … :XPD4 J@Ø
iJg\<g4< 8"$ã< B"D 5"\F"D@H ¦>@LF\"<, «…aveva ricevuto dall’imperatore anche
il potere di mettere a morte» (Id., Bellum, 2,117). L’istituto dello ius gladii è confermato
anche dal diritto romano successivo che lo ha codificato nel modo seguente: «Qui universas
provincias regunt, ius gladii habent et in metallum dandi potestas eis permissa est»
(Giustiniano, Dig., 1,18,6,8). Tale potestà di emettere sentenze capitali e di condannare ai
lavori forzati era conferita personalmente al governatore e questi non poteva trasferirla ad
altri, nemmeno a tribunali locali (cf. Giustiniano, Dig., 1,1,16,6; 1,21,1; 50,17,70). Il processo
che qui inizia ebbe la forma di un procedimento criminale di natura inquisitoria, detto
cognitio extra ordinem. Pilato ormai non poteva più evitarlo: essendoci una formale accusa
«politica» contro Gesù, egli era tenuto a procedere, per non essere accusato a sua volta
all’imperatore. La constatazione che Pilato sieda in tribunale già di primo mattino (attorno
alle ore 7; vedi cronologia della passione in Mc 14,18) non deve sorprendere, poiché si tratta
di una usanza romana ampiamente attestata altrove (cf. Seneca, De ira, 2,7,3; Macrobio,
Saturn., 1,3).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
A48J@H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da A48J@H, –@L, Pilato; cf. Mc 15,1;
soggetto.
Eb: pron. personale di 2a pers. nom. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,11; soggetto. In posizione enfatica.
gÉ: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc 1,6.
In Marco l’espressione F× gÉ è una affermazione riferita soltanto a Gesù (cf. Mc 1,11; 3,11;
1036 Mc 15,2

8,29; 14,61; 15,2): essa pone in evidenza la sua identità, in stretto parallelismo con la
dichiarazione ¦(f gÆ:4 (cf. Mc 6,50) che Gesù pronuncia per definire sé stesso.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
$"F48gbH: sost., nom. sing. m. da $"F48gbH, –XTH, re, sovrano, capo, signore; cf. Mc 6,14;
predicato nominale.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
z3@L*"\T<: agg. determinativo, di valore sostantivato, nome proprio di popolo, gen. plur. m.
da z3@L*"Ã@H, –", –@<, giudeo, Giudeo; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione. Nel NT
l’espressione «re dei Giudei» è presente 20 volte, esclusivamente nei vangeli (cf. Mt 2,2;
27,11.29.37; Mc 15,2.9.12.18.26; Lc 23,3.37.38; Gv 18,33.39; 19,3.19.21[x2]). Nella
maggior parte delle ricorrenze è pronunciata dai pagani romani (Pilato, i soldati), all’interno
della storia della passione. Due volte è posta sulle labbra dei sommi sacerdoti (cf. Gv 19,21),
una volta in quella dei Magi (cf. Mt 2,2). In Mt 27,37; Mc 15,26; Lc 23,38 e Gv 19,19 si
riferisce alla scritta del titulum posto sulla croce di Gesù. Il titolo «re dei Giudei» non è
sinonimo di «messia» o di «figlio del Benedetto» (cf. Mc 14,61), ma costituisce la forma
laicizzata e trasferita sul piano politico del concetto di messia/liberatore. L’espressione che
Pilato rivolge a Gesù è formulata in tono leggermente ironico e dispregiativo, equivalente
all’italiano «Saresti tu, dunque, il re dei Giudei?». L’atteggiamento pacifico di questo «re»,
senza armi né soldati, dovette meravigliare non poco il prefetto Pilato, abituato a ben altri
personaggi del genere. Nei primi anni del I secolo d.C. erano apparsi in Palestina vari
pretendenti messianici che si erano arrogati il titolo di «re», causando sommosse tra la
popolazione e stragi di civili, come conseguenza dell’intervento armato delle truppe romane.
Tutti finirono miseramente. Lo storico Giuseppe Flavio (cf. Id., Antiq., 17,269–285) si
sofferma a descrivere le gesta di alcuni di loro (Giuda, Simone, Atronge) e conclude il suo
intervento con la seguente annotazione: «La Giudea era piena di brigantaggio. Chiunque
poteva proclamarsi re al comando di una banda di ribelli tra i quali capitava per poi mettere
in atto ogni pressione per distruggere la comunità, causando raramente scompiglio a un
piccolo numero di Romani, ma provocando una grande carneficina al suo popolo» (Id.,
Antiq., 17,285). Un’altra ondata di questi briganti si ebbe verso la metà del I secolo d.C. (vedi
commento a Mc 6,15).
Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
•B@iD4hg\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33. Participio predicativo di valore espletivo del
soggetto sottinteso z30F@ØH.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico. L’espressione •B@iD4hg\H… 8X(g4, •B@iD4hg\H… gÉBg< è
Mc 15,3 1037

ricalcata sull’ebraico 9/ G !J&H… 03HHH&, wayya‘an… wayyo) ’mer, «rispondendo… dice»,


«rispondendo… disse» (cf. Gb 8,1, ecc.). Si tratta di una tipica locuzione semitica
ridondante che può essere tradotta semplicemente con «disse», «rispose», «replicò» e simili.
Si deve osservare, inoltre, che il verbo •B@iD\<@:"4 è usato con valore semitico anche
quando non si tratta di dare una risposta a una precisa domanda, ma soltanto intervenire con
una affermazione o una richiesta. Questa formula ricorre 16 volte in Marco (cf. Mc 3,33;
6,37; 7,28; 8,29; 9,5.19; 10,3.24.51; 11,14.22.33; 12,35; 14,48; 15,2.12).
Eb: pron. personale di 2a pers. nom. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,11; soggetto.
8X(g4H: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. L’espressione F× 8X(g4H, «tu dici», è equivoca e non è facile stabilire con esattezza
il significato corrispondente. Per alcuni commentatori essa equivale, per influsso semitico,
a una affermazione (= «Sì, è così»). Per altri, al contrario, la risposta di Gesù, con il pronome
posto all’inizio in forma enfatica, corrisponde a una negazione (= «Lo dici tu [non io]»).
L’identica formula F× 8X(g4H priva di ulteriori aggiunte che troviamo nei passi paralleli di
Matteo (cf. Mt 27,11) e Luca (cf. Lc 23,3) non aiuta a chiarire l’ambiguità. Neppure il
vangelo di Giovanni (cf. Gv 18,37) ne offre una interpretazione chiaramente affermativa,
poiché l’espressione E× 8X(g4H ÓJ4 $"F48gbH gÆ:4. ¦(ã gÆH J@ØJ@ (g(X<<0:"4 i"Â gÆH
J@ØJ@ ¦8Z8Lh" gÆH JÎ< i`F:@<s Ë<" :"DJLDZFT J± •80hg\‘…, può essere tradotta
in due modi sostanzialmente diversi: a) «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per
questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità». b) «Sei tu che dici che
io sono re. Io, al contrario, sono nato e sono venuto nel mondo soltanto per questo: per
rendere testimonianza alla verità».

15,3 i" i"J0(`D@L< "ÛJ@Ø @Ê •DP4gDgÃH B@88V.


15,3 I capi dei sacerdoti continuavano ad accusarlo con insistenza.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


i"J0(`D@L<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da i"J0(@DXT, parlare contro, accusare; cf.
Mc 3,2. Imperfetto durativo.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto. La forma genitiva è retta dal verbo
i"J0(@DXT.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
•DP4gDgÃH: sost., nom. plur. m. da •DP4gDgbH, –XTH (da •DPZ e ÊgDgbH), sommo sacerdote,
capo dei sacerdoti; cf. Mc 2,26; soggetto.
B@88V: agg. indefinito, acc. plur. n. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34. La forma B@88V è qui usata in modo avverbiale («molto», «intensamente», «senza
sosta») e non quantitativo («molte cose»). Si tratta di una caratteristica di Marco (cf. Mc
1,45; 3,12; 5,10.23.26.38. 43; 6,20.23; 8,31; 9,12.26; 15,3).
1038 Mc 15,4

15,4 Ò *¥ A48J@H BV84< ¦B0DfJ" "ÛJÎ< 8X(T<s ?Ûi •B@iD\<® @Û*X<p Ç*g B`F"
F@L i"J0(@D@ØF4<.
15,4 Pilato lo interrogò di nuovo: «Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!».

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
A48J@H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da A48J@H, –@L, Pilato; cf. Mc 15,1;
soggetto.
BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
¦B0DfJ": verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da ¦BgDTJVT (da ¦B\ e ¦DTJVT), richiedere,
domandare, interrogare; cf. Mc 5,9. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo
(«domandava», «continuava a domandare»), ma puntuale, corrispondente a un aoristo
(«domandò»). Per altri esempi di questo imperfetto puntuale con il verbo ¦BgDTJVT cf. Mc
5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33; 10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
8X(T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto Ò A48J@H. L’uso di 8X(T
dopo i verbi cosiddetti dicendi («dire», «proclamare», «annunciare», «interrogare»,
«rispondere», «deliberare», ecc.), frequentissimo nel NT, è un ebraismo dovuto alla
traduzione servile della forma verbale 9J/!-F, le) ’mo) r, equivalente al gerundio «dicendo» e
impiegata per introdurre il discorso diretto, in sostituzione del segno grafico dei due punti (:),
inesistente in ebraico come in greco. Nelle traduzioni questa tipica forma può essere omessa.
?Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
•B@iD\<®: verbo, 2a pers. sing. ind. pres. medio da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33.
@Û*X<: (da @Û*X e gÍH), pron. indefinito negativo, acc. sing. n. da @Û*g\H, @Û*g:\", @Û*X<,
nessuno, niente; cf. Mc 2,21; compl. oggetto.
Ç*g: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc
2,24. Il vocabolo Ç*g, un segnale discorsivo stereotipo, nella maggior parte delle ricorrenze
neotestamentarie assume il valore avverbiale esclamativo corrispondente alle interiezioni
«ecco!», «vedi!», «guarda!», «guardate!». Non c’è sostanziale diversità con l’equivalente Æ*@b
(cf. Mc 1,2). Entrambe le particelle sono forme vivaci e dinamiche modellate sul corrispon-
dente ebraico %F% E , hinne)h (1057 volte nell’AT) e in quanto tali possono sottolineare il
discorso o la narrazione che esse introducono con una energia particolare, esprimente di
volta in volta sorpresa, importanza, novità, reazione.
B`F": pron. interrogativo, di valore sostantivato, acc. plur. n. da B`F@H, –0, –@<, quanto?,
quanto grande?; cf. Mc 6,38; compl. oggetto.
Mc 15,5–6 1039

F@L: pron. personale di 2a pers. gen. sing. da Fb (gen. F@Ø/F@L, dat. F@\/F@4, acc. FX/Fg), tu,
te; cf. Mc 1,2; compl. oggetto. La forma genitiva è retta dal verbo i"J0(@DXT.
i"J0(@D@ØF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da i"J0(@DXT, parlare contro, accusare; cf.
Mc 3,2.

15,5 Ò *¥ z30F@ØH @ÛiXJ4 @Û*¥< •BgiD\h0s òFJg h"L:V.g4< JÎ< A48J@<.


15,5 Ma Gesù non rispose più nulla, tanto che Pilato ne restò meravigliato.

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
@ÛiXJ4: (da @Û e §J4), avv. di tempo, indecl., mai, non più, non oltre; cf. Mc 5,3.
@Û*X<: (da @Û*X e gÍH), pron. indefinito negativo, acc. sing. n. da @Û*g\H, @Û*g:\", @Û*X<,
nessuno, niente; cf. Mc 2,21; compl. oggetto.
•BgiD\h0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33.
òFJg: cong. subordinativa di valore consecutivo, indecl., così che, cosicché, tanto che, al punto
che; cf. Mc 1,27.
h"L:V.g4<: verbo, inf. pres. da h"L:V.T, meravigliarsi, meravigliare, stupirsi; cf. Mc 5,20.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
A48J@<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da A48J@H, –@L, Pilato; cf. Mc 15,1;
soggetto della proposizione oggettiva costruita con il verbo infinito h"L:V.g4<.

15,6 5"J *¥ ©@DJ¬< •BX8Lg< "ÛJ@ÃH ª<" *XF:4@< Ô< B"D®J@Ø<J@.


15,6 In occasione della festa egli era solito liberare loro un carcerato, a loro richiesta.

5"JV: prep. propria di valore temporale, seguita dall’accusativo, indecl., durante, mentre, in, al
tempo di; cf. Mc 1,27.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
©@DJZ<: sost., acc. sing. f. da ©@DJZ, –­H, festa; cf. Mc 14,2; compl. di tempo determinato.
L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è frequente nel
greco ellenistico. L’espressione i"J [J¬<] ©@DJ¬< (i"hz ©@DJZ<) è un accusativo
avverbiale di valore temporale (cf. Giuseppe Flavio, Bellum, 1,229; Antiq., 17,230; 20,208):
equivale all’espressione «a ogni festa» e non «in occasione di quella festa», analogamente a
i"hz º:XD"<, «ogni giorno» (cf. Mc 14,49). La «festa», indicata senza alcuna specificazio-
ne, è quella per eccellenza, ossia la Pasqua, come del resto era stato specificato in Mc 14,1:
«mancavano due giorni alla festa di Pasqua».
1040 Mc 15,7

•BX8Lg<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da •B@8bT (da •B` e 8bT), liberare, lasciare,
congedare, mandare via, licenziare; cf. Mc 6,36. Imperfetto cosiddetto di consuetudine, per
indicare il ripetersi annuale di tale concessione: si può rendere in italiano mediante la
costruzione perifrastica «era solito liberare».
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. Il pronome si riferisce a Ò ÐP8@H,
«la folla» del v. 8, che avanza la relativa richiesta e non al precedente soggetto @Ê •DP4gDgÃH
:gJ Jä< BDgF$LJXDT< i" (D"::"JXT< i" Ó8@< JÎ FL<X*D4@<, «i capi dei
sacerdoti, gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio» (v. 1).
ª<": agg. numerale, cardinale, acc. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; attributo di
*XF:4@<. Il numerale in questo caso non espleta la funzione dell’articolo indeterminativo
«un» (come in Mc 12,42), ma deve essere inteso nel significato giuridico ed equivale a «uno
solo», con valore di vero aggettivo numerale.
*XF:4@<: sost., acc. sing. m. da *XF:4@H, –@L, prigioniero; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre
16 volte nel NT: Mt 27,15.16; Mc 15,6 (hapax marciano); At 16,25.27; 23,18; 25,14.27;
28,17; Ef 3,1; 4,1; 2Tm 1,8; Fm 1,1.9; Eb 10,34; 13,3. In conformità all’etimologia del
termine (da *gF:`H, «corda», «fune», «catena») il termine *XF:4@H indica nella grecità il
«legato», l’«incatenato» e per estensione il «prigioniero» (cf. Sofocle, Ai., 299; Euripide,
Bacc., 226).
Ó<: pron. relativo, acc. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 6,16; compl. oggetto.
B"D®J@Ø<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. medio da B"D"4JX@:"4 (da B"DV e "ÆJXT),
chiedere, richiedere. Questo verbo deponente ricorre 12 volte nel NT: Mc 15,6 (hapax
marciano); Lc 14,18[x2].19; At 25,11; 1Tm 4,7; 5,11; 2Tm 2,23; Tt 3,10; Eb 12,19.25[x2].
Imperfetto cosiddetto di consuetudine. Nella grecità il verbo B"D"4JX@:"4 è usato nel
significato di «chiedere», «richiedere», in genere nel senso riflessivo di «chiedere per sé» o
a proprio vantaggio (cf. Erodoto, Hist., 3,119,7; Platone, Criti., 106c; Aristofane, Eq., 37).

15,7 µ< *¥ Ò 8g(`:g<@H #"D"$$H :gJ Jä< FJ"F4"FJä< *g*g:X<@H @ËJ4<gH ¦<
J± FJVFg4 n`<@< BgB@4Zig4F"<.
15,7 C’era un tale chiamato Barabba, messo in carcere insieme ai sediziosi che nella
rivolta avevano commesso un omicidio.

µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
8g(`:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. pres. pass. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere,
esortare; cf. Mc 1,7. I participi Ò 8g(`:g<@H, Ò i"8@b:g<@H, Ò ¦B4i"8@b:g<@H sono
spesso usati come participi attributivi nel significato di «soprannominato», «detto»,
Mc 15,7 1041

«chiamato», per introdurre un soprannome in forma appositiva rispetto a un nome precedente


(cf. Mt 9,9; Lc 22,47; Gv 9,11) o susseguente (cf. Mt 1,16; 4,18; 10,2; 27,17.22). Al
riguardo, tuttavia, merita attenzione un’altra interpretazione, altrettanto sostenibile sul piano
lessicale e sintattico: per alcuni la locuzione Ò 8g(`:g<@H non significa «quello soprannomi-
nato», ma «quello prescelto», ossia il prigioniero già designato a essere liberato (= il
«candidato»), secondo la consuetudine sopra riportata. Questa ipotesi si basa su un uso
limitato e particolare di 8X(T (al passivo) attestato nel greco biblico e corrispondente
all’analogo uso del latino dictus, dal verbo dicere. Se questa è l’esatta spiegazione si deve
concludere che Barabba era stato già designato come il carcerato da liberare e in tal caso la
traduzione del versetto sarebbe la seguente: «Il prescelto, Barabba, si trovava in carcere
insieme ai sediziosi che nella rivolta avevano commesso un omicidio». Pilato proporrà invano
alla folla uno scambio: liberare Gesù (non candidato alla liberazione) in cambio di Barabba
(già candidato alla liberazione).
#"D"$$H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da #"D"$$H, –, Barabba; compl.
di denominazione. Il vocabolo ricorre 11 volte nel NT: Mt 27,16.17.20.21. 26; Mc
15,7.11.15; Lc 23,18; Gv 18,40[x2]. Traslitterazione grecizzata del nome proprio maschile
di origine aramaica !v I!H << 9vH, Bar–’abba) ’, «Figlio del padre». Nonostante l’apparente
stranezza del significato etimologico questo nome era abbastanza frequente nel mondo
giudaico (cf. Strack–Bill., I,1031).
:gJV: prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con, insieme a, in
compagnia di; cf. Mc 1,13.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
FJ"F4"FJä<: agg. qualificativo, di valore sostantivato, gen. plur. m. da FJ"F4"FJZH, –@Ø,
ribelle, sedizioso; compl. di compagnia. Hapax neotestamentario. La presenza dell’articolo
fa di questi «rivoltosi» delle figure ben note all’Autore sacro o almeno al precedente autore
della tradizione. Il vocabolo, derivato da FJ"F4V.T, ricorre nel greco ellenistico nel senso
di «chi solleva discordie», ossia un «rivoltoso», un «sedizioso» (cf. Giuseppe Flavio, Bellum,
6,157; Antiq., 14,8; Dionigi di Alicarnasso, Antiq., 6,70,1).
*g*g:X<@H: verbo, nom. sing. m. part. perf. pass. da *XT, legare, assicurare, incatenare; cf. Mc
3,27. Participio predicativo del soggetto Ò 8g(`:g<@H #"D"$$H.
@ËJ4<gH: pron. relativo, nom. plur. m. da ÓFJ4H, »J4H, ÓJ4 (da ÓH e J\H), chiunque, qualunque
cosa, che; cf. Mc 4,20; soggetto.
¦<: prep. propria di valore temporale, seguita dal dativo, indecl., in, durante, entro; cf. Mc 1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
FJVFg4: sost., dat. sing. f. da FJVF4H, –gTH, sommossa, insurrezione; compl. di tempo
determinato. Il vocabolo ricorre 9 volte nel NT: Mc 15,7 (hapax marciano); Lc 23,19.25; At
15,2; 19,40; 23,7.10; 24,5; Eb 9,8. La vasta gamma semantica di FJVF4H comprende, oltre
il significato di «stabilità», «immobilità» (cf. Platone, Crat., 426d), anche quello di
«contesa», «sovvertimento», «sommossa» (cf. Solone, Frag., 4,19; Eschilo, Prom., 200;
Tucidide, Hist., 7,33,5). Giuseppe Flavio usa il vocabolo per indicare i disordini politici e le
sommosse popolari che comportavano spesso atti di violenza (cf. Giuseppe Flavio, Bellum,
1042 Mc 15,8

1,236; 2,10; 4,376; Antiq., 14,22; 18,8; 20,105; Contra Ap., 1,195). La presenza dell’articolo
(«la sommossa») allude a una sedizione bene nota e determinata, di cui ignoriamo i
particolari storici.
n`<@<: sost., acc. sing. m. da n`<@H, –@L, assassinio, omicidio; cf. Mc 7,21; compl. oggetto.
Senza articolo perché generico.
BgB@4Zig4F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. piucch. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3.

15,8 i" •<"$H Ò ÐP8@H ³D>"J@ "ÆJgÃFh"4 i"hãH ¦B@\g4 "ÛJ@ÃH.


15,8 La folla, fattasi avanti, cominciò a chiedere ciò che egli era solito concedere loro.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•<"$VH: verbo, nom. sing. m. part. aor. da •<"$"\<T (da •<V e la radice di $VF4H), risalire,
ascendere, andare su, sorgere, crescere; cf. Mc 1,10. Participio predicativo di valore
espletivo del soggetto Ò ÐP8@H. Il verbo descrive plasticamente il movimento della folla che
dai vicoli della città bassa deve «salire su» per recarsi nelle adiacenze del Tempio e della
fortezza Antonia, sede del processo (vedi commento a Mc 15,16).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
ÐP8@H: sost., nom. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; soggetto.
³D>"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da –DPT, dare inizio, cominciare; cf. Mc 1,45. La
frase ³D>"J@ / ³D>"<J@ seguita da un infinito come complemento è usata da Marco 26
volte (cf. Mc 1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32; 10,28.32.41.47; 11,15; 12,1;
13,5; 14,19.33.65.69.71; 15,8.18). La frequenza di questa formula è dovuta probabilmente
a influsso semitico: quasi sempre equivale a una perifrasi nella quale il verbo –DPT di
valore pleonastico può essere omesso, mentre l’infinito dipendente viene reso con la 3a
persona dell’indicativo aoristo o imperfetto corrispondente.
"ÆJgÃFh"4: verbo, inf. pres. medio da "ÆJXT, domandare, chiedere, implorare, richiedere; cf.
Mc 6,22.
i"hfH: cong. modale, indecl., come, secondo quanto; cf. Mc 1,2.
¦B@\g4: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3. Imperfetto di consuetudine.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine. Non conosciamo a fondo i
particolari storici di questo privilegium paschale. I principali atti di clemenza previsti dal
diritto romano erano l’indulgentia e l’abolitio. La prima era prerogativa dell’imperatore,
applicabile nei riguardi di un condannato, mentre la seconda rientrava nei poteri del
governatore e si applicava ai detenuti in attesa di giudizio. In particolari territori, tuttavia,
esisteva una terza forma di clemenza giudiziaria, la venia o indultum: i governatori delle
province dell’impero cercavano in genere di rispettare le usanze locali, se queste non
interferivano apertamente con gli interessi di Roma. È probabile che in Giudea vigesse un
Mc 15,9 1043

costume risalente ai primi re della stirpe di Erode: rilasciare, in occasione della festa di
Pasqua, un prigioniero tra quelli in attesa di giudizio. L’episodio di Barabba sembrerebbe
fare esplicito riferimento a questa consuetudine. In sostegno di questa ipotesi esiste un
parallelo legale scoperto in un papiro greco–egiziano risalente agli anni 86–88 d.C. Si tratta
del verbale di un processo presieduto dal governatore C. Septimius Vegetus (indicato con la
grafia EgBJ\:4@H ?Ûg(gJ@H), prefetto di Egitto, nel corso del quale egli si rivolge a un tale
di nome Fibione (M4$\T<) con le seguenti parole: }!>4@H :[¥]< µH :"FJ4(Th­<"4…
P"D\.@:"4 *X Fg J@ÃH ÐP8@4H, «Tu meriti di essere flagellato…, ma ti lascio libero in
grazia della folla» (P.Flor., I,61,61). È una sentenza un po’ enigmatica, ma la remissione
della pena per compiacere il popolo in determinate occasioni sembra sicura. Una conferma
seppure flebile di questa usanza possiamo rintracciare anche nel diritto mishnaico, il quale
prescrive che il sacrificio pasquale può essere adempiuto anche dal «prigioniero al quale è
stato garantito di liberarlo dalla prigione» in occasione della festa di Pasqua (m.Pesah., 8,6).

15,9 Ò *¥ A48J@H •BgiD\h0 "ÛJ@ÃH 8X(T<s 1X8gJg •B@8bFT ß:Ã< JÎ< $"F48X"
Jä< z3@L*"\T<p
15,9 Allora Pilato disse loro: «Volete che vi rilasci il re dei Giudei?».

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
A48J@H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da A48J@H, –@L, Pilato; cf. Mc 15,1;
soggetto.
•BgiD\h0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
8X(T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto Ò A48J@H. L’uso di 8X(T
dopo i verbi cosiddetti dicendi («dire», «proclamare», «annunciare», «interrogare»,
«rispondere», «deliberare», ecc.), frequentissimo nel NT, è un ebraismo dovuto alla
traduzione servile della forma verbale 9J/!-F, le) ’mo) r, equivalente al gerundio «dicendo» e
impiegata per introdurre il discorso diretto, in sostituzione del segno grafico dei due punti (:),
inesistente in ebraico come in greco. Nelle traduzioni questa tipica forma può essere omessa.
1X8gJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da hX8T, volere, avere il proposito di; cf. Mc 1,40.
•B@8bFT: verbo, 1a pers. sing. congiunt. aor. da •B@8bT (da •B` e 8bT), liberare, lasciare,
congedare, mandare via, licenziare; cf. Mc 6,36. Congiuntivo deliberativo.
ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di vantaggio.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
1044 Mc 15,10

$"F48X": sost., acc. sing. m. da $"F48gbH, –XTH, re, sovrano, capo, signore; cf. Mc 6,14;
compl. oggetto.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
z3@L*"\T<: agg. determinativo, di valore sostantivato, nome proprio di popolo, gen. plur. m.
da z3@L*"Ã@H, –", –@<, giudeo, Giudeo; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione.

15,10 ¦(\<TFig< (D ÓJ4 *4 nh`<@< B"D"*g*fig4F"< "ÛJÎ< @Ê •DP4gDgÃH.


15,10 Sapeva, infatti, che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per odio.

¦(\<TFig<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da (4<fFiT, percepire, sentire, conoscere,
capire; cf. Mc 4,13.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.
*4V: prep. propria di valore causale, seguita dall’accusativo, indecl., a causa di, a motivo di, per;
cf. Mc 2,1.
nh`<@<: sost., acc. sing. m. da nh`<@H, –@L, invidia; compl. di causa. Il vocabolo ricorre 9
volte nel NT: Mt 27,18; Mc 15,10 (hapax marciano); Rm 1,29; Gal 5,21; Fil 1,15; 1Tm 6,4;
Tt 3,3; Gc 4,5; 1Pt 2,1. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni,
come qui, è frequente nel greco ellenistico. Il sostantivo nh`<@H può esprimere sia un
generico sentimento di «gelosia», «invidia», contrassegnato da ostilità (cf. Pindaro, Olym.,
8,55; Platone, Phaedr., 253d; Giuseppe Flavio, Antiq., 2,10.13.201. 255) oppure, in termini
più negativi, la «malevolenza», l’«odio» (cf. Giuseppe Flavio, Bellum, 2,614; 4,357.393). In
tutti i vangeli appare, senza possibilità di dubbio, che Gesù venne ucciso per un motivo non
politico, ma religioso e che, se del motivo religioso erano responsabili le autorità giudaiche,
Pilato era colpevole di vigliaccheria e tornaconto nell’aver ceduto alla richiesta del popolo,
pur essendo convinto che da un punto di vista romano, cioè politico, Gesù era innocente
(«Che male ha fatto?», Mc 15,14). Ma la responsabilità vera della morte di Gesù è dei capi
del popolo ebraico: sommi sacerdoti, anziani e scribi. Sono loro a far catturare Gesù, a
consegnarlo a Pilato con l’accusa di essere un sovversivo, a sobillare la folla perché chieda
a Pilato di lasciare libero Barabba, a far crocifiggere Gesù come «re dei Giudei». La
condanna a morte di Gesù, voluta e causata dalle autorità giudaiche, viene formalmente
emessa per l’opportunismo cinico di Pilato, per il quale la vita di una giudeo marginale e
fanatico non poteva valere il suo ufficio di prefetto. La responsabilità morale della morte di
Gesù è dovuta ai capi giudei, quella «giuridica» al prefetto Pilato.
B"D"*g*fig4F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. piucch. da B"D"*\*T:4 (da B"DV e *\*T:4),
consegnare, rimettere, dare (qualcuno) nelle mani (di un altro), consegnare (qualcuno) al
potere (di un altro), tradire; cf. Mc 1,14.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
Mc 15,11–12 1045

•DP4gDgÃH: sost., nom. plur. m. da •DP4gDgbH, –XTH (da •DPZ e ÊgDgbH), sommo sacerdote,
capo dei sacerdoti; cf. Mc 2,26; soggetto.

15,11 @Ê *¥ •DP4gDgÃH •<XFg4F"< JÎ< ÐP8@< Ë<" :88@< JÎ< #"D"$$< •B@8bF®
"ÛJ@ÃH.
15,11 Ma i capi dei sacerdoti incitarono la folla perché egli rilasciasse loro piuttosto
Barabba.

@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
•DP4gDgÃH: sost., nom. plur. m. da •DP4gDgbH, –XTH (da •DPZ e ÊgDgbH), sommo sacerdote,
capo dei sacerdoti; cf. Mc 2,26; soggetto.
•<XFg4F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •<"Fg\T (da •<V e Fg\T), scuotere, eccitare,
istigare. Questo verbo ricorre 2 volte nel NT: Mc 15,11 (hapax marciano); Lc 23,5. Nel
greco classico •<"Fg\T è usato per lo più nel senso fisico di «scuotere», «agitare», ad
esempio le mani, l’egida, le chiome, le vele, ecc.; usato metaforicamente, come qui, assume
il significato di «istigare», «sollevare», in genere la folla (cf. Dionigi di Alicarnasso, Antiq.,
8,81,3; Diodoro Siculo, Bibl., 13,91,4).
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ÐP8@<: sost., acc. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; compl. oggetto.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
:88@<: (forma neutra del comparativo di :V8"), avv. di modo, indecl., piuttosto, di più,
maggiormente; cf. Mc 5,26.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
#"D"$$<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da #"D"$$H, –, Barabba; cf. Mc
15,7; compl. oggetto.
•B@8bF®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da •B@8bT (da •B` e 8bT), liberare, lasciare,
congedare, mandare via, licenziare; cf. Mc 6,36.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.

15,12 Ò *¥ A48J@H BV84< •B@iD4hgÂH §8g(g< "ÛJ@ÃHs I\ @Þ< [hX8gJg] B@4ZFT [Ô<
8X(gJg] JÎ< $"F48X" Jä< z3@L*"\T<p
15,12 Pilato di nuovo disse loro: «Che farò, dunque, del re dei Giudei?».

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
1046 Mc 15,12

A48J@H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da A48J@H, –@L, Pilato; cf. Mc 15,1;
soggetto.
BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
•B@iD4hg\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. pass. da •B@iD\<@:"4 (da •B` e iD\<T),
rispondere, replicare, riferire; cf. Mc 3,33. Participio predicativo di valore espletivo del
soggetto Ò A48J@H.
§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo («diceva», «continuava a
dire»), ma quello puntuale, corrispondente a un aoristo («disse»). Per altri esempi di questo
imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24.26.30.41;
5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70; 15,12a.14; per
quanto riguarda l’imperfetto puntuale con ¦BgDTJVT cf. Mc 5,9; 8,23.27.29; 9,11.28.33;
10,2.10.17; 12,18; 13,3; 14,61; 15,4; con ¦DTJVT cf. Mc 4,10; 8,5. L’espressione
•B@iD4hg\H… 8X(g4, •B@iD4hg\H… gÉBg< è ricalcata sull’ebraico 9/ G !J&H… 03HHH&,
wayya‘an… wayyo) ’mer, «rispondendo… dice», «rispondendo… disse» (cf. Gb 8,1, ecc.).
Questa formula ricorre 16 volte in Marco (cf. Mc 3,33; 6,37; 7,28; 8,29; 9,5.19; 10,3.24.51;
11,14.22.33; 12,35; 14,48; 15,2.12).
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
I\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; compl. oggetto.
@Þ<: cong. conclusiva, indecl., dunque, pertanto; cf. Mc 10,9.
[hX8gJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da hX8T, volere, avere il proposito di; cf. Mc 1,40. La
forma verbale è presente nei codici A, D, E, G, H, N, 1, E, 0250, e in molti codici
minuscoli. È assente, invece, in !, B, C, W, ), Q, f1, f13, 33, 892, 1342, 2427. La lezione
breve, sostenuta da autorevoli e antichi codici, sembra da preferirsi: la forma verbale sarebbe
una aggiunta inserita per assimilazione al v. 9 o dietro suggestione di Lc 23,20.].
B@4ZFT: verbo, 1a pers. sing. ind. fut. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere, compiere;
cf. Mc 1,3.
[Ó<: pron. relativo, acc. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 6,16; compl. oggetto.].
[8X(gJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. L’espressione Ô< 8X(gJg è presente nei codici !, B (8X(gJg), C, E, G, H, N, ),
E, Q, 0250, e molti codici minuscoli. È assente, invece, in A, D, W, 1, f1, f13, 205, 565, 700.
Nel primo caso Pilato attribuisce ai Giudei l’uso del titolo regale per Gesù: «Che farò,
dunque, di quello che voi chiamate il re dei Giudei?». Nel secondo caso il titolo sarebbe una
opinione di Pilato: «Che farò, dunque, del re dei Giudei?». La presenza della lezione lunga
nei più antichi e autorevoli codici deporrebbe a favore della sua autenticità. Tuttavia la
lezione potrebbe anche essere non autentica, ma dovuta a una inserzione dietro influsso di
Matteo. In Mc 15,9 Pilato non usa la formula Ô< 8X(gJg per definire Gesù (1X8gJg
•B@8bFT ß:Ã< JÎ< $"F48X" Jä< z3@L*"\T<p «volete che vi rilasci il re dei Giudei?»),
diversamente dal passo parallelo di Matteo che, invece, la riporta (JÎ< 8g(`:g<@<; Mt
Mc 15,13–14 1047

27,17.22); non si vede la ragione per cui Marco abbia dovuto inserire la formula in Mc 15,12
quando non lo ha fatto in Mc 15,9. In tal caso la lezione Ô< 8X(gJg non sarebbe originaria.].
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
$"F48X": sost., acc. sing. m. da $"F48gbH, –XTH, re, sovrano, capo, signore; cf. Mc 6,14;
compl. predicativo.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
z3@L*"\T<: agg. determinativo, di valore sostantivato, nome proprio di popolo, gen. plur. m.
da z3@L*"Ã@H, –", –@<, giudeo, Giudeo; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione.

15,13 @Ê *¥ BV84< §iD">"<s EJ"bDTF@< "ÛJ`<.


15,13 Ed essi di nuovo gridarono: «Crocifiggilo!».

@Ê: art. determ., con valore pronominale, nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5;
soggetto. Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale
"ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
BV84<: avv. di tempo, indecl., nuovamente, di nuovo, un’altra volta, ancora; cf. Mc 2,1.
§iD">"<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da iDV.T, gridare, strillare, schiamazzare; cf. Mc
3,11.
EJ"bDTF@<: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da FJ"LD`T, crocifiggere. Questo verbo
ricorre 46 volte nel NT: 10 volte in Matteo (cf. Mt 20,19; 23,34; 26,2; 27,22.23.26.31.
35.38; 28,5, corrispondente allo 0,055% del totale delle parole); 8 volte in Marco (cf. Mc
15,13.14.15.20.24.25.27; 16,6 = 0,071%); 6 volte in Luca (cf. Lc 23,21[x2].23.33; 24,7.20
= 0,031%); 11 volte in Giovanni (cf. Gv 19,6[x3].10.15[x2].16.18.20.23.41 = 0,070%); At
2,36; 4,10; 1Cor 1,13.23; 2,2.8; 2Cor 13,4; Gal 3,1; 5,24; 6,14; Ap 11,8. Il verbo
denominativo FJ"LD`T (da FJ"LD`H, «palo» piantato ritto, «croce») nella grecità assume
il significato generico di «piantare pali», «erigere palizzate» (cf. Tucidide, Hist., 7,25,7;
Diodoro Siculo, Bibl., 24,1,2). Nell’ambito della tortura assume il significato di «impalare»,
«appendere», «crocifiggere» (cf. Polibio, Hist., 1,86,4; Diodoro Siculo, Bibl., 16,61,2;
Giuseppe Flavio, Antiq., 2,77; 17,295). La traduzione greca dei LXX usa il verbo soltanto
in due ricorrenze nel senso di «impiccare» o «impalare» (cf. Est 7,9; 8,12). Per quanto
riguarda la crocifissione di Gesù come esecuzione capitale vedi commento a Mc 15,24.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.

15,14 Ò *¥ A48J@H §8g(g< "ÛJ@ÃHs I\ (D ¦B@\0Fg< i"i`<p @Ê *¥ BgD4FFäH


§iD">"<s EJ"bDTF@< "ÛJ`<.
15,14 Ma Pilato disse loro: «Che male ha fatto?». Allora essi gridarono più forte: «Crocifiggi-
lo!».
1048 Mc 15,15

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
A48J@H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da A48J@H, –@L, Pilato; cf. Mc 15,1,
soggetto.
§8g(g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’imperfetto non ha qui il consueto valore iterativo («diceva», «continuava a
dire»), ma quello puntuale, corrispondente a un aoristo («disse»). Per altri esempi di questo
imperfetto puntuale con il verbo 8X(T cf. Mc 2,16.24.27; 3,23; 4,2.9.11.21.24.26.30.41;
5,30.31a; 6,4.10.35; 7,9.14.20.27; 8,21.24; 9,1a.24; 11,5.28; 12,35.38; 14,70; 15,12a.14.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
I\: agg. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; attributo di i"i`<.
(VD: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, d’altra parte, però; cf. Mc 1,16.
¦B@\0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere,
compiere; cf. Mc 1,3.
i"i`<: agg. qualificativo, di valore sostantivato, acc. sing. n. da i"i`H, Z, `<, cattivo,
malvagio, pernicioso; cf. Mc 7,21; compl. oggetto. L’espressione interrogativa «che male ha
fatto?» è formulata in modo retorico: nella forma assertiva corrisponde a «non ha fatto nulla
di male».
@Ê: art. determ., con valore pronominale, nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5;
soggetto. Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale
"ÛJ`H, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
BgD4FFäH: avv. di modo, indecl., oltre misura, grandemente, maggiormente, di più; cf. Mc
10,26.
§iD">"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da iDV.T, gridare, strillare, schiamazzare; cf. Mc 3,11.
EJ"bDTF@<: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da FJ"LD`T, crocifiggere; cf. Mc 15,13.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.

15,15 Ò *¥ A48J@H $@L8`:g<@H Jè ÐP8å JÎ Êi"<Î< B@4­F"4 •BX8LFg< "ÛJ@ÃH JÎ<


#"D"$$<s i" B"DX*Tig< JÎ< z30F@Ø< nD"(g88fF"H Ë<" FJ"LDTh±.
15,15 Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rilasciò loro Barabba e dopo aver fatto
flagellare Gesù lo consegnò perché fosse crocifisso.

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
Mc 15,15 1049

A48J@H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da A48J@H, –@L, Pilato; cf. Mc 15,1;
soggetto.
$@L8`:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. pres. medio da $@b8@:"4, volere. Questo verbo
deponente ricorre 37 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 1,19;
11,27; Mc 15,15 (hapax marciano); Lc 10,22; 22,42; Gv 18,39. Participio predicativo del
soggetto Ò A48J@H. Nel NT, analogamente al greco profano, come espressione della
volontà umana si impiega di preferenza il verbo hX8T (¦hX8T) piuttosto che $@b8@:"4.
In genere quest’ultimo è meno deciso e viene utilizzato per esprimere un volere come
desiderio (cf. Omero, Il., 8,204; Od., 4,275; Aristofane, Ranae, 1279), la cui intensità può
variare dal contesto: si va da un semplice desiderio (cf. At 25,22), a un deliberato e deciso
atto volitivo (cf. At 27,43); in mezzo c’è tutta la gamma del volere umano, con le sue
sfaccettature («insistere», «disporre», «proporsi», «deliberare», ecc.). Negli scritti neotesta-
mentari soltanto in 7 ricorrenze $@b8@:"4 si riferisce alla volontà divina, assoluta e
indiscutibile: quella di Dio Padre (cf. Lc 22,42; Eb 6,17; Gc 1,18); quella del Figlio Kyrios
(cf. Mt 11,17; Lc 10,22; 2Pt 3,9); quella dello Spirito [Santo] (cf. 1Cor 12,11).
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ÐP8å: sost., dat. sing. m. da ÐP8@H, –@L, folla, moltitudine; cf. Mc 2,4; compl. di vantaggio.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
Êi"<`<: agg. qualificativo, di valore sostantivato, acc. sing. n. da Êi"<`H, –Z, –`<, sufficiente,
adatto, capace, idoneo, degno, gradito, considerevole; cf. Mc 1,7; compl. oggetto.
B@4­F"4: verbo, inf. aor. da B@4XT, fare, costruire, preparare, rendere, compiere; cf. Mc 1,3.
L’espressione Êi"<Î< B@4­F"4, «fare (cosa) gradita», è un latinismo (satis facere).
•BX8LFg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •B@8bT (da •B` e 8bT), liberare, lasciare,
congedare, mandare via, licenziare; cf. Mc 6,36.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
#"D"$$<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da #"D"$$H, –, Barabba; cf. Mc
15,7; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
B"DX*Tig<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da B"D"*\*T:4 (da B"DV e *\*T:4), consegnare,
rimettere, dare (qualcuno) nelle mani (di un altro), consegnare (qualcuno) al potere (di un
altro), tradire; cf. Mc 1,14. Il verbo deve essere qui inteso nella sua accezione giuridica di
«condannare a morte». Solitamente la formula tecnica impiegata in queste circostanze era
l’espressione «Ibis in crucem» o «Abi in crucem» (cf. Petronio, Satyr., 137,3; Plauto, Most.,
850) che il prefetto pronunciava dall’alto del seggio curule. La sentenza veniva applicata
immediatamente: la prescrizione di frapporre un intervallo minimo di dieci giorni tra
l’emissione e l’esecuzione di una condanna a morte, decretata dal senato romano nel 21 d.C.,
non valeva per i processi dinanzi al governatore, ma soltanto per le sentenze di morte
pronunciate dal senato stesso (cf. Tacito, Ann., 3,51; Svetonio, Tiber., 75,2).
1050 Mc 15,16

J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
z30F@Ø<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
compl. oggetto.
nD"(g88fF"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da nD"(g88`T, flagellare. Questo verbo
ricorre 2 volte nel NT: Mt 27,26; Mc 15,15 (hapax marciano). Participio predicativo di
valore espletivo del soggetto Ò A48J@H. Traslitterazione grecizzata della parola di origine
latina flagellare (cf. Ovidio, Metam., 3,93). La flagellazione inflitta a Gesù non è stata la
fustigazione giudaica comminata per punizione che limitava i colpi a 39 (40 meno 1):
«Quanti colpi gli si danno? Quaranta meno uno» (m.Mak., 3,10; cf. 2Cor 11,24; Dt 25,3), ma
quella romana, detta verberatio (greco nD"(X884@<), eseguita davanti al pretorio dei littori
e con colpi a piacimento. Secondo il diritto romano tale flagellazione era un supplizio che
di regola precedeva la crocifissione, come pena aggiuntiva: «alios verberatos crucibus adfixit,
qui principes coniurationis fuerant», «fece inchiodare in croce, dopo averli battuti, gli altri che
erano stati i capi della congiura» (Livio, Ann., 33,36); … i"Â B@88@×H Jä< :gJD\T<
FL88"$`<JgH ¦B JÎ< M8äD@< •<­(@<· @áH :VFJ4>4< BD@"4i4FV:g<@H
•<gFJ"bDTFg<, «…furono presi anche molti dei moderati e condotti davanti a Floro il
quale, dopo averli fatti flagellare, li mise in croce» (Giuseppe Flavio, Bellum, 2,306);
… :"FJ4(@b:g<@4 *¬ i" BD@$"F"<4.`:g<@4 J@Ø h"<VJ@L BF"< "Æi\"<
•<gFJ"LD@Ø<J@ J@Ø Jg\P@LH •<J4iDb, «…venivano flagellati e, dopo aver subito ogni
sorta di supplizi prima di morire, erano crocifissi di fronte alle mura» (Giuseppe Flavio,
Bellum, 5,449; cf. anche Bellum, 2,308; 7,200.202). Orazio qualifica la flagellazione come
horribile e afferma che coloro che venivano flagellati morivano spesso sotto i colpi del
flagellum o flagrum: «flagellis ad mortem caesus», «fu battuto a morte con le sferze» (Orazio,
Sat., 1,2,41; cf. 1,3,119). La sferza era composta da varie corregge alle cui estremità erano
applicati ossicini acuminati o pallottoline di piombo. Il supplizio non soltanto era estrema-
mente doloroso, scarnificando il dorso, il torace e le gambe del condannato, ma anche
degradante, poiché colui che lo subiva era pubblicamente denudato e legato a una furca, un
palo, una colonna o un improvvisato sostegno. Per tali motivi la flagellazione poteva essere
inflitta soltanto agli schiavi, ai ribelli o ai condannati a morte, ma non a un cittadino romano
(cf. At 16,37; 22,24), in ottemperanza alle prescrizioni della legge Porcia (195 a.C.) e quella
Sempronia (123 a.C.). Per quanto riguarda il sinonimo :"FJ4(`T vedi Mc 10,34.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
FJ"LDTh±: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. pass. da FJ"LD`T, crocifiggere; cf. Mc 15,13.

15,16 ?Ê *¥ FJD"J4äJ"4 •BZ("(@< "ÛJÎ< §FT J­H "Û8­Hs Ó ¦FJ4< BD"4JfD4@<s i"Â
FL(i"8@ØF4< Ó80< J¬< FBgÃD"<.
15,16 Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio e convocarono tutta
la guarnigione.

?Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
Mc 15,16 1051

FJD"J4äJ"4: sost., nom. plur. m. da FJD"J4fJ0H, –@L, soldato; soggetto. Il vocabolo ricorre
26 volte nel NT: Mt 8,9; 27,27; 28,12; Mc 15,16 (hapax marciano); Lc 7,8; 23,36; Gv
19,2.23[x2].24.32.34; At 10,7; 12,4.6.18; 21,32[x2].35; 23,23.31; 27,31.32.42; 28,16; 2Tm
2,3. A partire da Erodoto il termine FJD"J4fJ0H indica in senso tecnico il soldato di leva,
regolarmente reclutato (cf. Erodoto, Hist., 4,134,3), corrispondente al miles latino. Nel nostro
passo il vocabolo designa i fanti che formavano la guarnigione militare stabilitasi nella
fortezza Antonia, in occasione della festa di Pasqua (cf. sotto).
•BZ("(@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •BV(T (da •B` e –(T), condurre, portare via;
cf. Mc 14,44.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
§FT: prep. impropria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., dentro a; cf. Mc 14,54.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
"Û8­H: sost., gen. sing. f. da "Û8Z, ­H, atrio, cortile; cf. Mc 14,54; compl. di moto a luogo.
Ó: pron. relativo, nom. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24; soggetto.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. L’espressione Ó ¦FJ4<, «che è», equivale alle espressioni «che significa», «che
corrisponde a», «vale a dire». Questa formula è presente 9 volte: Mc 3,17; 5,41; 7,11.34;
12,42; 15,16.22.34.42. La forma neutra del pronome relativo, in riferimento a un nome di
genere femminile, è dovuta al fatto che nel greco ellenistico Ó ¦FJ4< e J@ØJz §FJ4<
diventano formule fisse e invariabili, come l’italiano «cioè», «ossia».
BD"4JfD4@<: sost., nom. sing. n. da BD"4JfD4@<, –@L, pretorio; predicato nominale. Il
vocabolo ricorre 8 volte nel NT: Mt 27,27; Mc 15,16 (hapax marciano); Gv 18,28[x2].33;
19,9; At 23,35; Fil 1,13. Traslitterazione grecizzata della parola di origine latina praetorium,
«pretorio». Il termine latino ha due accezioni semantiche: militare e amministrativo
giudiziario. Nell’accezione militare (la più antica) esso può assumere tre diversi significati:
a) il luogo dove risiede il praetor (= il «generale»), ossia la tenda posta nell’accampamento
militare; b) per analogia, il consiglio militare degli ufficiali che di norma si riuniva nella
tenda del praetor; c) per estensione, la guardia personale del praetor, chiamata cohors
praetoria. A partire dal VI secolo a.C. il vocabolo praetorium viene usato nell’accezione
amministrativa e giudiziaria per indicare la residenza ufficiale del praetor (= «governatore»)
che egli si faceva costruire all’interno dei palazzi reali dei paesi sottomessi per dimostrare,
anche in questo modo, la superiorità dell’impero romano. Cicerone chiama «domus
praetoria» la residenza di Verre a Siracusa (cf. Id., In Verr. II, 2,133). Per quanto riguarda la
Giudea la residenza ufficiale del prefetto era a Cesarea Marittima (cf. At 23,35), ma in
occasione delle grandi feste ebraiche, spesso segnate da tumulti e sedizioni, egli si recava a
Gerusalemme, dove risiedeva nel palazzo di Erode, nella città alta, a nord–ovest della città.
È però assai probabile che in qualche Pasqua particolarmente tesa, come lo era quella
ricordata da Marco, il prefetto abitasse non nel Palazzo di Erode, ma nella fortezza Antonia,
sul lato nord–ovest del tempio, da dove poteva vedere e seguire più da vicino ogni eventuale
1052 Mc 15,16

disordine che invariabilmente prendeva avvio sulla vasta spianata e nelle adiacenze dell’area
sacra, come esplicitamente ci riferisce Giuseppe Flavio:

«Allorché era iniziata la festa chiamata Pasqua, nella quale, secondo il nostro costume, si
mangia pane azzimo, si raccoglie molta gente da tutti i quartieri; Cumano, temendo che tutta
quella gente potesse essere occasione di una sedizione, ordinò a una compagnia di soldati di
prendere le armi e porsi di guardia ai portici del Tempio per sedare qualsiasi tumulto potesse
sorgere. Questa era una pratica usuale degli altri procuratori durante le festività della Giudea»
(Giuseppe Flavio, Antiq., 20,106–107).

Altrove Giuseppe Flavio riferisce esplicitamente che la coorte di Gerusalemme, alle


dipendenze del praefectus romano, occupava la fortezza Antonia, a nord del Tempio, in
occasione delle festività:

… i"h­FJ@ (D •g ¦Bz "ÛJ­H JV(:" {CT:"\T<, i" *44FJV:g<@4 BgD JH FJ@H
:gJ Jä< ÓB8T< ¦< J"ÃH ©@DJ"ÃH JÎ< *­:@<, ñH :Z J4 <gTJgD4Fhg\0, B"Dgnb8"J-
J@<· nD@bD4@< (D ¦BXig4J@ J± B`8g4 :¥< JÎ ÊgD`<, Jè ÊgDè *z º z!<JT<\", i"J
*¥ J"bJ0< @Ê Jä< JD4ä< nb8"igH µF"<: i" J­H –<T *¥ B`8gTH Ç*4@< nD@bD4@< µ<
J {/Df*@L $"F\8g4".
«…al suo interno, infatti, [= della fortezza Antonia], era sempre acquartierata una coorte
romana che in occasione delle feste si schierava in armi sopra i portici per controllare il
popolo e impedire qualche sommossa. Se il tempio dominava la città come una fortezza,
l’Antonia, a sua volta, dominava il tempio e chi la occupava dominava su tutti e tre, anche
se la città aveva la propria rocca nel palazzo di Erode» (Giuseppe Flavio, Bellum,
5,244–245).

Il «pretorio» ricordato da Marco è, dunque, quello posto nella fortezza Antonia,


diventata per l’occasione residenza, tribunale e osservatorio militare del prefetto Ponzio
Pilato. A favore di questa individuazione, oltre le fonti letterarie, vi è anche la tradizione dei
pellegrini che, a partire dal IV secolo, ha localizzato il luogo del processo di Gesù non nella
città alta (Palazzo di Erode), ma nella città bassa (cf. Anonimo di Bordeaux, Itin., 592–593;
Cirillo di Gerusalemme, Omelia sul paralitico della Probatica, 12; Cirillo di Gerusalemme,
Catechesi, 13; Anonimo di Piacenza, Itin., 23).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
FL(i"8@ØF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da FL(i"8XT (da Fb< e i"8XT), chiamare
insieme, convocare, radunare. Questo verbo ricorre 8 volte nel NT: Mc 15,16 (hapax
marciano); Lc 9,1; 15,6.9; 23,13; At 5,21; 10,24; 28,17. Presente storico. Nella grecità il
verbo FL(i"8XT viene usato a partire da Omero nel significato di «chiamare a raccolta»,
«convocare» (cf. Omero, Il., 2,55; Eschilo, Suppl., 517; Aristofane, Av., 201).
Ó80<: agg. indefinito, acc. sing. f. da Ó8@H, –0, –@<, tutto, ogni; cf. Mc 1,28; attributo di
FBgÃD"<, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
Mc 15,17 1053

FBgÃD"<: sost., acc. sing. f. da FBgÃD", –0H, coorte; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 7 volte
nel NT: Mt 27,27; Mc 15,16 (hapax marciano); Gv 18,3.12; At 10,1; 21,31; 27,1. Nella
grecità il vocabolo FBgÃD" indica generalmente la «coorte» come corpo di armata romana
(cf. Polibio, Hist., 2,3,2). Tale cohors era la decima parte di una legione e comprendeva non
meno di 400–600 soldati, come ci informano gli scrittori latini (cf. Gellio, Noct., 16,4; Livio,
Ann., 7,25; 8,8; 29,24; 43,12): tale cifra è assolutamente spropositata e inverosimile se
applicata al nostro caso. Molto probabilmente il termine viene qui usato da Marco nel
significato generico di «reparto», «manipolo», «drappello» (cf. Polibio, Hist., 11,23,1;
Plutarco, Ant., 39,2,4; Giuseppe Flavio, Antiq., 17,215) o in quello tecnico di cohors
praetoria. Sappiamo, infatti, che il prefetto romano quando da Cesarea Marittima saliva a
Gerusalemme portava con sé anche la guardia personale, la cohors praetoria, la quale, per
la sua precipua funzione di protezione e vigilanza, si stabiliva normalmente nella stessa
residenza del governatore e cioè, in quella occasione, nella fortezza Antonia (cf. sopra).

15,17 i"Â ¦<*4*bFi@LF4< "ÛJÎ< B@DnbD"< i"Â BgD4J4hX"F4< "ÛJè B8X>"<JgH


•iV<h4<@< FJXn"<@<·
15,17 Lo rivestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno
al capo.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦<*4*bFi@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da ¦<*4*bFiT, rivestire, avvolgere. Questo
verbo ricorre 2 volte nel NT: Mc 15,17 (hapax marciano); Lc 16,9. Presente storico,
costruito con il doppio accusativo. Il verbo ¦<*4*bFiT, di formazione ellenistica, viene
usato nel significato di «rivestire», «indossare» (cf. Giuseppe Flavio, Bellum, 7,29; 2Sam
1,24; 13,18; Prv 31,21; Sir 50,11).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
B@DnbD"<: sost., acc. sing. f. da B@DnbD", –"H, porpora; compl. di mezzo o di modo. Senza
articolo perché generica. Il vocabolo ricorre 4 volte nel NT: Mc 15,17.20; Lc 16,19; Ap
18,12. Il caso accusativo è retto dal verbo ¦<*4*bFiT. La «porpora» indica qui, per
metonimia, la clamide purpurea portata dai re ellenistici e dai loro vassalli (cf. Giuseppe
Flavio, Antiq., 11,256; 1Mac 10,20.62; 11,58). Non potendo ovviamente averla a
disposizione, i soldati si servono di una imitazione, utilizzando un mantello militare,
anch’esso di colore rosso, come indica nel passo parallelo di Matteo il vocabolo i`ii4<@H
(cf. Mt 27,28).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BgD4J4hX"F4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da BgD4J\h0:4 (da BgD\ e J\h0:4), mettere
intorno, circondare; cf. Mc 12,1. Presente storico. L’espressione BgD4hgÃ<"4 FJXn"<`<
J4<4, «cingere qualcuno di corona», «incoronare qualcuno», è classica per indicare
l’imposizione di una corona sulla testa del sovrano, del principe, dell’atleta vittorioso (cf.
Aristofane, Eq., 1227) o del semplice ospite di riguardo, come fa Alcibiade con Socrate:
1054 Mc 15,18

… J@LJ@<Â JÎ< FJXn"<@< […] F@Â BgD4hZFT, «…con questa corona […] ti cingerò [il
capo]» (Platone, Alc. II, 151a).
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
B8X>"<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da B8XiT, intrecciare. Questo verbo ricorre 3 volte
nel NT: Mt 27,29; Mc 15,17 (hapax marciano); Gv 19,2. Participio predicativo di valore
espletivo del soggetto sottinteso @Ê FJD"J4äJ"4. In senso letterale proprio il verbo B8XiT
viene usato nella grecità nel significato di «intrecciare», «attorcigliare», detto, ad esempio,
delle trecce (cf. Omero, Il., 14,176), delle ghirlande (cf. Aristofane, Thesm., 458), ecc.
•iV<h4<@<: agg. qualificativo, acc. sing. m. da •iV<h4<@H, –@<, spinoso; attributo di
FJXn"<@<. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mc 15,17 (hapax marciano); Gv 19,5. Il raro
aggettivo •iV<h4<@H è impiegato nella grecità nel significato di «pieno di spine»,
«spinoso», detto di rami, arbusti, alberi (cf. Erodoto, Hist., 2,96,3; Is 34,13).
FJXn"<@<: sost., acc. sing. m. da FJXn"<@H, –@L, corona; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre
25 volte nel NT: Mt 27,29; Mc 15,17 (hapax marciano); Gv 19,2.5; At 6,5.8.9; 7,59; 8,2;
11,19; 22,20; 1Cor 9,25; Fil 4,1; 1Ts 2,19; 2Tm 4,8; Gc 1,12; 1Pt 5,4; Ap 2,20; 3,11; 4,4.10;
6,2; 9,7; 12,1; 14,14. Senza articolo perché generica. A partire da Omero FJXn"<@H è usato
nel significato fondamentale di «corona» che veniva posta sulla testa di re, principi, sacerdoti,
atleti vittoriosi, sposi novelli e ospiti di riguardo, come simbolo di vittoria, vita, salute e
fecondità (cf. Omero, Il., 18,597; Test. Levi, 8,9). Non si tratta, cioè, del «diadema» regale,
di metallo prezioso, per il quale si usa propriamente il termine *4V*0:" (cf. Plutarco, Amat.,
753,d,6; gÆF­8hg< AJ@8g:"Ã@H gÆH z!<J4`Pg4"< i"Â BgD4XhgJ@ JÎ *4V*0:" J­H
z!F\"H i"Â BgD4XhgJ@ *b@ *4"*Z:"J" BgDÂ J¬< ign"8¬< "ÛJ@Ø JÎ J­H !Æ(bBJ@L
i"Â z!F\"H, «Tolomeo entrò in Antiochia e cinse la corona dell’Asia; si cinse sulla testa
due corone: quella dell’Egitto e quella dell’Asia», 1Mac 11,13; cf. anche 1Mac 12,39; 13,32).
Nella sua forma più semplice e antica la corona o «serto» era formata da uno o due rami
intrecciati in cerchio. Si usavano preferibilmente rami da mirto, fronde d’ulivo, edera, alloro,
vite o fiori. Nella crudele parodia organizzata dai soldati la corona di spine equivale alla
corona con la quale si cingeva la testa dei sovrani. Può darsi che il loro intento fosse
semplicemente burlesco (una «carnevalata»), ma la specificazione che si trattava di una
«corona spinosa» fa pensare che mediante essa i soldati si proponessero intenzionalmente di
provocare ferite e dolore. Si discute tra i botanici e gli storici circa la specie di questa pianta
di spine usata per la corona di Gesù: alcuni propendono per lo Zizyphus spina Christi e la
Calycotome villosa; altri, osservando che tali cespugli spinosi non prosperano a Gerusalemme
o almeno non si trovano facilmente nei mesi di marzo e aprile, ritengono che si trattasse del
Poterium spinosum che abbonda in tutti i luoghi della Palestina. Altri ancora parlano di
Zizyphus vulgaris o Paliurus aculeatus.

15,18 i" ³D>"<J@ •FBV.gFh"4 "ÛJ`<s O"ÃDgs $"F48gØ Jä< z3@L*"\T<·


15,18 Poi cominciarono a salutarlo: «Salve, o re dei Giudei!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Mc 15,19 1055

³D>"<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. medio da –DPT, dare inizio, cominciare; cf. Mc 1,45.
La frase ³D>"J@ / ³D>"<J@ seguita da un infinito come complemento è usata da Marco 26
volte (cf. Mc 1,45; 2,23; 4,1; 5,17.20; 6,2.7.34.55; 8,11.31.32; 10,28.32.41.47; 11,15; 12,1;
13,5; 14,19.33.65.69.71; 15,8.18). La frequenza di questa formula è dovuta probabilmente
a influsso semitico: quasi sempre equivale a una perifrasi nella quale il verbo –DPT di
valore pleonastico può essere omesso, mentre l’infinito dipendente viene reso con la 3a
persona dell’indicativo aoristo o imperfetto corrispondente.
•FBV.gFh"4: verbo, inf. pres. medio da •FBV.@:"4, salutare, accogliere, dare il benvenuto;
cf. Mc 9,15.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
O"ÃDg: verbo, 2a pers. sing. imperat. pres. da P"\DT, rallegrarsi, essere contento; cf. Mc 14,11.
Linguisticamente la forma imperativa P"ÃDg è usata nel greco classico come equivalente del
nostro «Salve!». La formula stereotipa è usata sia in occasione di incontri: P"\DgJ@<,
«Salve!» (Omero, Il., 9,197); P"ÃDg, >gÃ<g, «Salve, ospite!» (Omero, Od., 1,123) sia come
saluto di congedo: P"ÃDX :@4, ì $"F\8g4", «Stammi bene, o sovrana!» (Omero, Od.,
13,59) sia come espressione generica: P"ÃDg :¥< Phf<, P"ÃDg *z º8\@L nV@H, «Ti
saluto, terra! Ti saluto, luce del sole!» (Eschilo, Ag., 508). Nel nostro caso l’espressione greca
corrisponde al tradizionale grido romano rivolto all’indirizzo dell’imperatore: «Ave, Caesar,
victor, imperator!», «Salute, o Cesare, vincitore, imperatore!». Nella nostra scena i soldati
rivolgono il saluto con intento sarcastico al «re» Gesù («Salute, o re dei Giudei!»).
$"F48gØ: sost., voc. sing. m. da $"F48gbH, –XTH, re, sovrano, capo, signore; cf. Mc 6,14;
compl. di vocazione.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
z3@L*"\T<: agg. determinativo, di valore sostantivato, nome proprio di popolo, gen. plur. m.
da z3@L*"Ã@H, –", –@<, giudeo, Giudeo; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione.

15,19 i"Â §JLBJ@< "ÛJ@Ø J¬< ign"8¬< i"8V:å i"Â ¦<XBJL@< "ÛJè i"Â J4hX<JgH
J (`<"J" BD@Fgib<@L< "ÛJè.
15,19 Gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, stando in ginocchio,
si prostravano davanti a lui.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§JLBJ@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da JbBJT, colpire, battere, percuotere. Questo verbo
ricorre 13 volte nel NT: Mt 24,49; 27,30; Mc 15,19 (hapax marciano); Lc 6,29; 12,45; 18,13;
23,48; At 18,17; 21,32; 23,2.3[x2]; 1Cor 8,12. Imperfetto durativo. A partire da Omero il
verbo JbBJT è usato nel significato proprio di «battere», «colpire» (cf. Omero, Il., 21,20;
Od., 22,308; Aristofane, Ranae, 610).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
1056 Mc 15,19

genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare


(«di lui» = «suo»).
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ign"8Z<: sost., acc. sing. f. da ign"8Z, –­H, testa, capo; cf. Mc 6,24; compl. oggetto.
i"8V:å: sost., dat. sing. m. da iV8":@H, –@L, canna; compl. di mezzo. Senza articolo perché
generico. Il vocabolo ricorre 12 volte nel NT: Mt 11,7; 12,20; 27,29.30.48; Mc 15,19.36; Lc
7,24; 3Gv 1,13; Ap 11,1; 21,15.16. Il sostantivo iV8":@H ricorre nella grecità nel significato
proprio di «canna» (cf. Erodoto, Hist., 5,101,1; Tucidide, Hist., 2,76,1; Aristofane, Nub.,
1006).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦<XBJL@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da ¦:BJbT (da ¦< e BJbT), sputare; cf. Mc 10,34.
Imperfetto durativo.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J4hX<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da J\h0:4, mettere, posare, porre, disporre; cf. Mc
4,21. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto sottinteso @Ê FJD"J4äJ"4.
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
(`<"J": sost., acc. plur. n. da (`<L, –"J@H, ginocchio; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre 12
volte nel NT: Mc 15,19 (hapax marciano); Lc 5,8; 22,41; At 7,60; 9,40; 20,36; 21,5; Rm
11,4; 14,11; Ef 3,14; Fil 2,10; Eb 12,12. A partire da Omero il sostantivo (`<L designa il
«ginocchio» di uomini o animali (cf. Omero, Il., 1,407; Od., 13,34). L’espressione J4hX<JgH
J (`<"J", lett. «ponendo le ginocchia [a terra]», è un latinismo modellato sulla locuzione
genua ponere: equivale a «cadere in ginocchio», ossia «inginocchiarsi» (cf. Lc 22,41; At
7,60; 9,40; 20,36; 21,5), corrispondente all’analoga formula paolina iV:BJg4< (`<L,
«piegare il ginocchio» (cf. Rm 11,4; 14,11; Ef 3,14; Fil 2,10: cf. anche il semplice
(@<LBgJXT, «cadere in ginocchio»). Nell’antichità la genuflessione a uomini o dèi era
ritenuta una espressione di sottomissione, omaggio e supplica (cf. Nonno di Panopoli,
Dionys., 25,2; Eliodoro, Aeth., 10,6,2). Nel mondo romano l’atto di inginocchiarsi è reso con
espressioni che rendono molto bene l’idea del piegare fisicamente le ginocchia per terra:
«genua inclinare», «genua submittere», «genua ponere», «genua flectere». Oltre a esprimere
sottomissione e venerazione, l’atto di inginocchiarsi era usuale come atteggiamento di
preghiera e implorazione (cf. Livio, Ann., 26,9; cf. Lc 22,41; At 9,40; 20,36; 21,5). L’AT
parla di una preghiera recitata in ginocchio da Salomone (cf. 1Re 8,54), Elia (cf. 1Re 18,42),
Esdra (cf. Esd 9,5) e Daniele (cf. Dn 6,11). Nel NT pregano in ginocchio Stefano (cf. At
7,69), Pietro (cf. At 9,40), Paolo (cf. At 20,36), tutti i cristiani che supplicano e adorano (cf.
Ef 3,14). Anche Gesù, nell’orto del Getsemani, prega stando in ginocchio, secondo la
versione lucana (cf. Lc 22,41).
BD@Fgib<@L<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da BD@FiL<XT (da BD`H e una probabile
parola derivata da ibT<), prostrarsi, inchinarsi, inginocchiarsi; cf. Mc 5,6. Imperfetto
durativo. Tra i gesti che costituivano l’•FB"F:`H, ossia il saluto (vedi commento a Mc
Mc 15,20 1057

12,38), c’era anche la riverenza, l’inchino e la prostrazione, ritenuti segni particolarmente


rispettosi. Qui la prostrazione fatta a Gesù, irriso come “re” dei Giudei, è una caricatura
oltraggiosa di tale saluto.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.

15,20 i"Â ÓJg ¦<XB"4>"< "ÛJès ¦>X*LF"< "ÛJÎ< J¬< B@DnbD"< i"Â ¦<X*LF"<
"ÛJÎ< J Ê:VJ4" "ÛJ@Ø. i" ¦>V(@LF4< "ÛJÎ< Ë<" FJ"LDfFTF4< "ÛJ`<.
15,20 Dopo averlo deriso lo spogliarono della porpora e gli rimisero le sue vesti, poi lo
condussero fuori per crocifiggerlo.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


ÓJg: cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, allorché, ogni volta che, mentre;
cf. Mc 1,32.
¦<XB"4>"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da ¦:B"\.T (da ¦< e B"\.T), beffeggiare,
schernire, deridere; cf. Mc 10,34.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
¦>X*LF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da ¦i*bT (da ¦i e *bT), svestire, spogliare. Questo
verbo ricorre 6 volte nel NT: Mt 27,28.31; Mc 15,20 (hapax marciano); Lc 10,30; 2Cor
5,3.4. Nella diatesi attiva causativa il verbo ¦i*bT, costruito con il doppio accusativo,
assume il significato di «togliere di dosso», «spogliare», «svestire» (cf. Eschilo, Ag., 1269;
Senofonte, Cyr., 1,3,17).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto. Anche in greco biblico i verbi che
significano «svestire» (¦i*bT) e «rivestire» (¦<*bT) sono costruiti con il doppio accusativo,
uno della persona ("ÛJ`<, «lui», ossia Gesù, oggetto esterno) e uno della cosa (B@DnbD"<
/ Ê:VJ4", «porpora» / «vesti», oggetto interno).
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B@DnbD"<: sost., acc. sing. f. da B@DnbD", –"H, porpora; cf. Mc 15,17; compl. oggetto.
Secondo le strutture dell’italiano J¬< B@DnbD"< è complemento di privazione e il
successivo J Ê:VJ4" è complemento di mezzo; ma le strutture del greco sono diverse,
perché sia ¦i*bT sia ¦<*bT sono costruiti con il doppio accusativo della persona che viene
vestita (o svestita) e della cosa di cui si viene vestiti (o svestiti).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦<X*LF"<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦<*bT, mettersi addosso, indossare, vestire, vestirsi;
cf. Mc 1,6.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
1058 Mc 15,21

Ê:VJ4": sost., acc. plur. n. da Ê:VJ4@<, –@L, sopravveste, indumento, mantello; cf. Mc 2,21;
compl. oggetto. Questo vocabolo può indicare le vesti in generale, specie se nella forma
plurale (cf. Mc 5,30; 9,3; 15,20.24) o il mantello (cf. Mc 2,21; 5,27.28; 6,56; 10,50; 11,7.8;
13,16).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦>V(@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da ¦>V(T (da ¦i e –(T), condurre fuori. Questo
verbo ricorre 12 volte nel NT: Mc 15,20 (hapax marciano); Lc 24,50; Gv 10,3; At 5,19;
7,36.40; 12,17; 13,17; 16,37.39; 21,38; Eb 8,9. Presente storico. A partire da Omero il verbo
¦>V(T è utilizzato nel senso proprio di «condurre via», «portare fuori» (cf. Omero, Il., 21,29;
Od., 8,106; Euripide, Tr., 1279).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
FJ"LDfFTF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. da FJ"LD`T, crocifiggere; cf. Mc 15,13.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.

15,21 5" •(("Dgb@LF4< B"DV(@<JV J4<" E\:T<" 5LD0<"Ã@< ¦DP`:g<@< •Bz


•(D@Øs JÎ< B"JXD" z!8g>V<*D@L i" {C@bn@Ls Ë<" –D® JÎ< FJ"LDÎ< "ÛJ@Ø.
15,21 E costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva da una
borgata di campagna, il padre di Alessandro e Rufo, a portare la sua croce.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•(("Dgb@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da •(("DgbT, angariare, costringere. Questo
verbo ricorre 3 volte nel NT: Mt 5,41; 27,32; Mc 15,21 (hapax marciano). Presente storico.
Il verbo deriva probabilmente da –(("D@H, un vocabolo di origine persiana indicante il
«corriere» o messaggero a cavallo, il quale a nome de re poteva imporre requisizioni e tasse
nei paesi attraversati. Per la descrizione di questa istituzione cf. Senofonte, Cyr., 8,6,17.
Anche Erodoto parla di •(("DZ4@H, «corriere» (cf. Id., Hist., 3,126,2) e di •(("DZ4@<,
«servizio postale» (cf. Id., Hist., 8,98,2). Il termine è passato successivamente all’ebraico:
negli scritti rabbinici !I*9AxH1A!
H , ’angarya) ’, corrispondente ad •(("Dg\", indica il lavoro
forzato, il reclutamento imposto per un servizio (cf. m.Baba Mez., 6,3). Nella successiva
evoluzione il vocabolo è passato al latino tardo (cf. angariare, Giustiniano, Dig., 49,18,4) e
da questo all’italiano «angariare», nel significato di «opprimere», «vessare», «tormentare».
Mc 15,21 1059

B"DV(@<JV: verbo, acc. sing. m. part. pres. da B"DV(T (da B"DV e –(T), passare oltre,
andare oltre, camminare lungo, andare via; cf. Mc 1,16. Participio predicativo del soggetto
sottinteso @Ê FJD"J4äJ"4.
J4<": agg. indefinito (enclitico), acc. sing. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; attributo di E\:T<".
E\:T<": sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da E\:T<, –T<@H, Simone, Simeone; cf.
Mc 1,16; compl. oggetto.
5LD0<"Ã@<: agg. determinativo, acc. sing. m. da 5LD0<"Ã@H, –@L, cireneo, nativo di Cirene,
Cireneo; attributo di E\:T<". Il vocabolo ricorre 6 volte nel NT: Mt 27,32; Mc 15,21
(hapax marciano); Lc 23,26; At 6,9; 11,20; 13,1. La denominazione 5LD0<"Ã@H,
«cireneo», «cirenaico» (da 5LDZ<0, capitale della provincia romana della Cirenaica dal 74
a.C.), insinua che Simone era un giudeo oriundo di Cirene e, per qualche motivo, rimpatriato.
Sappiamo, infatti, che Tolomeo Sotero (306–285 a.C.) aveva attirato più di centomila Giudei
a Cirene. Ai tempi di Gesù i loro discendenti costituivano una importante colonia della
diaspora giudaica e a Gerusalemme avevano una sinagoga propria (cf. At 6,9; 13,1).
¦DP`:g<@<: verbo, acc. sing. m. part. pres. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere,
farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Participio predicativo del complemento oggetto
J4<" E\:T<" 5LD0<"Ã@<.
•Bz: (= •B`), prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da;
cf. Mc 1,9.
•(D@Ø: sost., gen. sing. m. da •(D`H, –@Ø, campo, campagna, podere, borgata [di campagna];
cf. Mc 5,14; compl. di moto da luogo. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con
preposizioni, come qui, è frequente nel greco ellenistico. Il vocabolo non significa qui
«campagna», deducendo poi, come molti fanno, che Simone stava ritornando a Gerusalemme
dopo aver lavorato nei campi. Il termine •(D`H nel nostro passo ha il significato di «borgata»
di campagna, meno estesa rispetto al villaggio o alla città (cf. Mc 5,14; 6,36.56; 15,21; 16,12;
cf. Is 40,6; 55,12).
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
B"JXD": sost., acc. sing. m. da B"JZD, B"JD`H, padre; cf. Mc 1,20; apposizione di E\:T<".
z!8g>V<*D@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z!8X>"<*D@H, –@L,
Alessandro; compl. di specificazione. Il vocabolo ricorre 6 volte nel NT: Mc 15,21 (hapax
marciano); At 4,6; 19,33[x2]; 1Tm 1,20; 2Tm 4,14. L’etimologia di questo nome proprio
maschile di origine greca è fatta risalire dal tema •8g>– di •8X>T, «difendere» e •<*D`H,
«uomo», ossia «difensore» o «protettore dell’uomo». Nel greco classico si conosce anche
l’uso aggettivale del termine, sempre nel significato di «difensore degli uomini» (cf. Diodoro
Siculo, Bibl., 11,14,4). Il nome proprio era largamente usato nel mondo greco–ellenistico.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
{C@bn@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da {C@Øn@H, –@L, Rufo; compl. di
specificazione. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mc 15,21 (hapax marciano); Rm 16,13.
Traslitterazione grecizzata del nome proprio maschile di origine latina Rufus, «rossiccio»,
1060 Mc 15,22

«fulvo» (in riferimento alla capigliatura): si tratta di uno dei cognomen romani (cf. Cicerone,
Philip., 9,15; Giulio Cesare, Bell. civ., 3,20,1).
Ë<": cong. subordinativa di valore completivo, indecl., di, che; cf. Mc 1,38. La congiunzione Ë<"
non ha qui il consueto valore finale, ma quello completivo (equivalente a ÓJ4 o ÓBTH): in
pratica introduce una proposizione infinitiva (cf. Mc 3,9a.12; 4,22a; 5,10.18.43; 6,8.12.25.56;
7,26.32.36; 8,22.30; 9,9.12.18.30; 10,35.37; 11,16; 13,34; 15,21).
–D®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da "ÇDT, alzare, sollevare, sostenere, sorreggere,
portare, prendere; cf. Mc 2,3.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
FJ"LD`<: sost., acc. sing. m. da FJ"LD`H, –@Ø, croce; cf. Mc 8,34; compl. oggetto.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).

15,22 i" nXD@LF4< "ÛJÎ< ¦B JÎ< '@8(@h< J`B@<s Ó ¦FJ4< :ghgD:0<gL`:g<@<
5D"<\@L I`B@H.
15,22 Lo condussero sul luogo del Golgota, che significa luogo del Cranio.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


nXD@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da nXDT, portare; cf. Mc 1,32. Presente storico.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., in, su, a, sopra; cf. Mc 1,22.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
'@8(@h<: sost., nome proprio di luogo, acc. sing. m./f. da '@8(@h, Golgota; compl. di
denominazione. Il vocabolo ricorre 3 volte nel NT: Mt 27,33; Mc 15,22 (hapax marciano);
Gv 19,17. Traslitterazione grecizzata del toponimo di origine aramaica !˜ I -AxL-AxL, Gulgulta) ’,
«Cranio» (cf. ebraico ;-GJx-AxL, Gulgo) le5t), probabilmente in riferimento alla forma rotondeg-
giante e liscia della roccia emergente sul terreno che richiamava una testa rasata (cf. la
traduzione iD"<\@<, «cranio», in Lc 23,33). Il luogo, adibito alle esecuzioni capitali, era
situato in prossimità di Gerusalemme, poco oltre le mura settentrionali, nelle vicinanze di una
strada o di una delle porte che immettevano nella città, poiché l’esecuzione doveva servire
ai passanti come deterrente. Alcuni anni dopo la morte di Gesù, Erode Agrippa I fece
costruire il cosiddetto «terzo muro» di Gerusalemme, incorporando il luogo tradizionale della
crocifissione di Gesù entro il nuovo perimetro della città.
J`B@<: sost., acc. sing. m. da J`B@H, –@L, luogo, spazio, area; cf. Mc 1,35; apposizione di
'@8(@h<.
Ó: pron. relativo, nom. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24; soggetto.
Mc 15,23 1061

¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. L’espressione Ó ¦FJ4<, lett. «che è», equivale all’italiano «che significa», «che
corrisponde a», «vale a dire». Questa formula è presente in Marco 9 volte: Mc 3,17; 5,41;
7,11.34; 12,42; 15,16.22.34.42. La forma neutra del pronome relativo, in riferimento a un
nome di genere maschile, è dovuta al fatto che nel greco ellenistico Ó ¦FJ4< e J@ØJz §FJ4<
diventano formule fisse e invariabili, come l’italiano «cioè», «ossia».
:ghgD:0<gL`:g<@<: verbo, nom. sing. n. part. pres. pass. da :ghgD:0<gbT (da :gJV e
©D:0<gbT), tradurre, interpretare; cf. Mc 5,41. Il participio è retto da ¦FJ4< in costruzione
perifrastica («è da tradursi»), al posto dell’usuale presente «si traduce».
5D"<\@L: sost., gen. sing. n. da iD"<\@<, –@L, cranio; compl. di specificazione. Il vocabolo
ricorre 4 volte nel NT: Mt 27,33; Mc 15,22 (hapax marciano); Lc 23,33; Gv 19,17. In senso
letterale proprio il sostantivo iD"<\@< indica il «cranio» o il «capo» di uomini e animali (cf.
Omero, Il., 8,84; Platone, Euthyd., 299e). Per quanto riguarda l’impiego del vocabolo come
toponimo di Gerusalemme cf. sopra.
I`B@H: sost., nom. sing. m. da J`B@H, –@L, luogo, spazio, area; cf. Mc 1,35; soggetto.

15,23 i"Â ¦*\*@L< "ÛJè ¦F:LD<4F:X<@< @É<@<· ÔH *¥ @Ûi §8"$g<.


15,23 Gli offrirono vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦*\*@L<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da *\*T:4, dare; cf. Mc 2,26. Imperfetto di conato
(«de conatu»): si usa questo imperfetto per indicare una azione desiderata o tentata, ma non
portata a realizzazione; altri esempi in Mc 6,48; 9,38; 14,51.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
¦F:LD<4F:X<@<: verbo, acc. sing. m. part. perf. pass., con valore aggettivale, da F:LD<\.T,
mirrare, saporire con mirra; attributo di @É<@<. Hapax neotestamentario. La sostanza
resinosa della mirra (F:bD<" o :bDD", probabilmente dal semitico 9J/ / 9|/, mo) r / môr;
lat. murra o myrrha) si ricava dall’albero omonimo (commiphora anyssinica), caratteristico
soprattutto dell’Arabia meridionale e dell’Abissinia settentrionale. Nell’antichità la mirra
veniva impiegata come essenza aromatica, sostanza per suffumigi, prodotto medicinale, ecc.
Per l’uso alimentare vedi sotto.
@É<@<: sost., acc. sing. m. da @É<@H, –@L, vino; cf. Mc 2,22; compl. oggetto. Senza articolo
perché generico. Il gesto di offrire al condannato del vino mirrato, per narcotizzarlo, era
comune nell’antichità e raccomandato perfino dalla Bibbia (cf. Prv 31,6–7). Secondo un
detto di Rabbi Hisda, riportato nel Talmud, a chi stava per essere giustiziato si dava una
bevanda composta da vino e incenso, per stordirlo: «Quando si esegue la condanna a morte
di un uomo gli si permette di prendere un grano d’incenso in una coppa di vino perché la sua
mente si confonda» (b.Sanh., 43a). Anche Plinio il Vecchio parla di vino «mirrato»,
descrivendolo come una bevanda inebriante servita in particolari e solenni circostanza:
«Lautissima apud priscos vina erant murrae odore condita, ut apparet in Plauti fabulis,
1062 Mc 15,24

quamquam in ea quae Persa inscribitur et calamum addi iubet; ideo quidam aromatite
delectatos maxime credunt» (Plinio il Vecchio, Nat. hist., 14,92). Sebbene nel testo marciano
il verbo sia impersonale, è probabile che tale gesto sia stato compiuto da alcune donne, forse
dalle «figlie di Gerusalemme» ricordate in Lc 23,27–31: secondo il testo giudaico sopra
riferito il compito di offrire ai condannati a morte del vino misto a incenso, per stordirli, era
tradizionalmente svolto proprio dalle nobildonne di Gerusalemme (cf. Strack–Bill.,
I,1037–1038).
ÓH: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2; soggetto. Quando il
relativo ÓH è seguito da *X può assumere il significato del pronome personale («egli»).
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
§8"$g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8":$V<T, prendere, afferrare, raccogliere, ricevere;
cf. Mc 4,16. Il rifiuto di Gesù di bere una sostanza narcotizzante ha un significato sia storico
(rifiutando la bevanda egli rifiuta l’alleviamento della sua sofferenza) sia teologico: egli
accetta liberamente di «bere» fino in fondo il calice del martirio secondo la volontà del Padre
(cf. Mc 10,38.39; 14,36).

15,24 i" FJ"LD@ØF4< "ÛJÎ< i" *4":gD\.@<J"4 J Ê:VJ4" "ÛJ@Øs $V88@<JgH


i8­D@< ¦Bz "ÛJ J\H J\ –D®.
15,24 Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse, su ciò che
ciascuno avrebbe preso.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


FJ"LD@ØF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da FJ"LD`T, crocifiggere; cf. Mc 15,13. Presente
storico. I primi a usare l’impalamento come supplizio (•<"Fi@8@B\.T, «issare su un palo»,
«impalare») furono i persiani (cf. Erodoto, Hist., 1,128,2; 3,159,1; Tucidide, Hist., 1,110,3:
•<"FJ"LD`T). Da questi passò ai Greci, ai Cartaginesi e ai Romani i quali applicarono tale
condanna su larga scala presso tutti i popoli conquistati. È storicamente certo che la pratica
della crocifissione venne applicata in Palestina tra il II secolo a.C. e il I d.C. Secondo la
testimonianza di Giuseppe Flavio, verso l’anno 88 a.C. Alessandro Ianneo avrebbe crocifisso
800 farisei a Gerusalemme (cf. Id., Bellum, 1,97; Antiq., 13,380). Ai tempi di Archelao (4
a.C.–6 d.C.), in occasione di una ribellione di Giuda il galileo, Varo fece crocifiggere 2000
uomini (cf. Id., Bellum, 2,75; Antiq., 17,295). Quadrato, governatore di Siria dal 50 al 60,
punì con lo stesso supplizio i sobillatori giudei fatti prigionieri in Samaria da Cumano (cf. Id.,
Bellum, 2,241). Durante l’assedio di Gerusalemme, nel 70 d.C., Tito fece crocifiggere circa
500 Ebrei al giorno (cf. Id., Bellum, 5,449–451), al punto che venne a scarseggiare il legno
per le croci. Inizialmente la crocifissione consisteva in un palo o albero al quale il condannato
veniva confitto con chiodi o legato con funi. In seguito venne usato il palo trasversale, detto
dai Romani patibulum, trasportato dallo stesso condannato per le vie della città, fino al luogo
dell’esecuzione, dove si trovava già piantato per terra il palo verticale, come ci informano gli
scrittori greci e latini: §@4ig i"Â Ò FJ"LDÎH h"<VJås i"Â Ò :X88T< "ÛJè BD@F08@Ø-
Mc 15,24 1063

Fh"4 BD`JgD@< "ÛJÎ< $"FJV.g4, «la croce corrisponde alla morte e chi sta per essere
crocifisso prima di tutto la deve portare» (Artemidoro di Daldi, Onir., 2,56); «O carnuficium
cribrum, quod credo fore, ita te forabunt patibulatum per vias stimulis carnufices», «O
setaccio per il boia! Sì, ti crivelleranno legato al patibolo, per le strade, sotto i colpi degli
aguzzini» (Plauto, Most., 55–56); «…patibulum ferat per urbem, deinde affigatur cruci»,
«…porterà il patibolo attraverso la città e, quindi, sarà inchiodato alla croce» (Plauto, Carb.,
2); «credo ego istoc extemplo tibi esse eundum actutum extra portam, dispessis manibus,
patibulum quom habebis», «credo che dovrai stare così, in questa posizione, fuori porta,
quando sarai appeso al patibolo a braccia aperte» (Plauto, Miles, 359). Una volta giunti sul
luogo, il condannato veniva dapprima legato o inchiodato con le mani al patibolo e, quindi,
sollevato sul palo verticale dove gli venivano inchiodati o legati anche i piedi: ¦i >b8T< i"Â
»8T< (X(@<g< Ò FJ"LD`H, «la croce è fatta di legno e chiodi» (Artemidoro di Daldi, Onir.,
2,53). Di qui le espressioni usate dagli scrittori latini: «patibulo suffixus in crucem tollitur»;
«in crucem agere / tollere / ascendere / excurrere». Il palo verticale era munito molto spesso
di un corno o una sporgenza centrale, detto aculeus o sedilis, sul quale il condannato poteva
appoggiarsi, prolungando così l’agonia. Dubbia è, invece, l’esistenza del suppedaneum, una
specie di cuneo di legno posto sotto i piedi per favorirne l’appoggio e la penetrazione dei
chiodi: tranne un graffito satirico del Palatino non si trova traccia negli scrittori antichi. Il
supplizio della crocifissione era riservato agli schiavi ribelli, ai disertori, ai ladri e a coloro
che avevano perduto la personalità giuridica; un cittadino romano non poteva essere
crocifisso. La pena della crocifissione era così orribile al punto che «mentio ipsa denique
indigna cive Romano atque homine libero est», «la stessa menzione è indegna di un
cittadino romano e di un uomo libero» (Cicerone, Pro Rab. perd., 1,16); «nomen ipsum
crucis absit non modo a corpore civium Romanorum, sed etiam a cogitatione, oculis,
auribus», «Il nome stesso della croce deve restare lontano non soltanto dal corpo dei cittadini
romani, ma anche dai loro pensieri, dai loro occhi, dal loro orecchio» (Ib., 1,16). Le croci
ordinariamente erano basse, sia per la comodità dei carnefici che dovevano provvedere
all’esecuzione sia perché gli animali randagi potessero più facilmente raggiungere i corpi dei
condannati, straziandoli, quando questi erano anche «damnati ad bestias» (Svetonio, Galba,
9,1). L’orrore di questo supplizio è documentato dagli scrittori contemporanei, i quali
definiscono la crocifissione «crudelissimum taeterrimunque supplicium», «il supplizio più
crudele e orribile» (Cicerone, In Verr. II, 5,165); «servitutis extremum summumque
supplicium», «l’estremo e sommo supplizio degli schiavi» (Ib., 5,169).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
*4":gD\.@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. medio da *4":gD\.T (da *4V e :gD\.T),
dividere in parti, spartire, distribuire. Questo verbo ricorre 11 volte nel NT: Mt 27,35; Mc
15,24 (hapax marciano); Lc 11,17.18; 12,52.53; 22,17; 23,34; Gv 19,24; At 2,3.45. Presente
storico. Nella grecità il verbo *4":gD\.T viene usato sia nel significato di «dividere in parti»
qualcosa sia in quello derivato di «spartire», «distribuire» (cf. Platone, Phil., 15e; Aristotele,
Probl., 885a 18).
1064 Mc 15,24

JV: art. determ., acc. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,18.
Ê:VJ4": sost., acc. plur. n. da Ê:VJ4@<, –@L, sopravveste, indumento, mantello; cf. Mc 2,21;
compl. oggetto. Questo vocabolo, specialmente nella forma plurale, può indicare gli
indumenti in generale (cf. Mc 5,30; 9,3; 15,20.24) o più semplicemente il mantello (cf. Mc
2,21; 5,27.28; 6,56; 10,50; 11,7.8; 13,16). Il particolare della spartizione delle vesti da parte
dei soldati lascia implicitamente intendere che Gesù venne crocifisso nudo, secondo l’usanza
romana legata alla crocifissione, nonostante l’orrore che i Giudei avevano nei confronti della
nudità. È vero che, secondo il costume giudaico riportato nella Mishnah, al condannato a
morte veniva lasciato una parziale copertura sulle parti intime: «Quando [sott. il condannato]
arrivava alla distanza di circa quattro braccia dal luogo del supplizio lo spogliavano dei suoi
vestiti. Il maschio veniva coperto davanti; la femmina davanti e di dietro» (m.Sanh., 6,4).
Tuttavia, subito dopo si riporta l’opinione di altri rabbini, i quali insegnano che «l’uomo viene
lapidato nudo, mentre la donna non viene lapidata nuda» (m.Sanh., 6,4; m.Sot., 3,8). A
proposito di queste indicazioni riportate nella legislazione rabbinica si deve tener presente che
la crocifissione di Gesù viene messa in atto alla maniera romana e non giudaica. Gli
evangelisti sono molto discreti al riguardo e sembrano evitare volutamente il termine tecnico
(L:<`H; nessuno di essi, tuttavia, omette l’episodio della spogliazione delle vesti, anzi,
secondo il racconto giovanneo non sembra esserci alcun dubbio che Gesù sia stato crocifisso
nudo (cf. Gv 19,23–24). In base alla letteratura e alla iconografia archeologica sappiamo che
il condannato era solitamente crocifisso completamente nudo, in segno di estrema
umiliazione e come ammonimento per i passanti. Attraverso la spogliazione degli abiti si
intendeva privare il condannato di tutto ciò che ancora garantiva un benché minimo legame
con la comunità dei vivi. La spogliazione rappresentava l’ultima delle profanazioni inflitte
alle vittime. La pratica romana, secondo la quale i criminali venivano crocifissi nudi, trova
conferma in autori antichi, come Artemidoro di Daldi, il quale precisa che (L:<@\
FJ"LD@Ø<J"4, «si viene crocifissi nudi» (Id., Onir., 2,53). Le leggi romane, del resto,
concedevano le spoglie dei condannati al manipolo di soldati che eseguiva la sentenza:

«Pannicularia sunt ea, quae in custodiam receptus secum attulit; spolia, quibus indutus est,
cum quis ad supplicium ducitur, ut et ipsa appellatio ostendit. Ita neque speculatores ultro sibi
vindicent neque optiones ea desiderent, quibus spoliatur, quo momento quis punitus est, hanc
rationem non compendio suo debent praesides vertere, sed nec pati optiones sive commenta-
rienses ea pecunia abuti; sed debent ad ea servari, quae iure praesidum solent erogari, ut puta
chartiaticum quibusdam officialibus inde subscribere, vel si qui fortiter fecerint milites, inde
eis donare».

«Le vesti sono quelle cose che ha [= il condannato] addosso al momento del suo imprigiona-
mento; le spoglie, come lo stesso nome indica, sono quelle di cui viene spogliato quando
viene condotto al supplizio. Perciò né le guardie rivendichino senz’altro per sé quelle cose
di cui il condannato è spogliato al momento del supplizio né gli aiutanti del centurione le
richiedano» (Giustiniano, Dig., 48,20,6).

Sul piano archeologico abbiamo alcune importanti rappresentazioni del Cristo


raffigurato nudo sulla croce. In una gemma di cornalina proveniente da Kustendje (Costanza),
in Romania, datata attorno al II secolo d.C., il Cristo è inciso in piedi, nudo, con le braccia
Mc 15,24 1065

stese lungo un asse; sotto di lui compaiono dodici apostoli. In alto, in forma speculare —
poiché si tratta di un sigillo — compare la scritta [3]O1KE (= ÆPhbH) che non lascia alcun
dubbio circa l’identificazione del personaggio, poiché si tratta dell’antico monogramma
cristiano, comunissimo nei primi secoli, le cui iniziali stanno per z30F@ØH OD4FJ`H 1g@Ø
KÊÎH ETJZD, ossia «Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore». Lo stesso soggetto appare su
un’altra gemma di cornalina, risalente al II–III secolo d.C.: il Cristo è sempre nudo, con la
testa aureolata, innalzato su una vera e propria croce. Sotto di lui sono raccolti, in piedi, i
Dodici apostoli. La scritta, in parte danneggiata, è incisa in forma speculare, poiché anche
questa pietra serviva da sigillo: [3]+/E? OC+EI[?E], ossia [z3]0F@(ØH) ODgFJ[`H],
«Gesù Cristo». A questa nudità del Crocifisso fanno riferimento anche alcuni Padri della
Chiesa. Alla fine del II secolo d.C. Melitone di Sardi scrive in una delle sue omelie pasquali:

€S n`<@L i"4<@Øs Ï× •*4i\"H i"4<­H· Ò *gFB`J0H B"DgFP0:VJ4FJ"4 (L:<è Jè


Ff:"J4 i" @Û*¥ BgD4$@8­H ²>\TJ"4 Ë<" :¬ hg"h¯. )4 J@ØJ@ @Ê nTFJ­DgH
•BgFJDVn0F"< i" º º:XD" FL<gFi`J"Fg< ÓBTH iDbn® JÎ< ¦B >b8@L
(g(L:<T:X<@<s @Û JÎ J@Ø iLD\@L Fä:" Fi@J\.T<s •88 J@×H J@bJT< •<hDfBT<
Ïnh"8:@bH.
«O uccisione, o ingiustizia mai vista! Il Signore è stato trasformato nel suo aspetto, il suo
corpo è stato messo a nudo ed egli non è stato nemmeno ritenuto degno di un vestito per non
essere visto. Per tale motivo gli astri si nascondono e il giorno si oscura, per nascondere colui
che è stato spogliato sul legno, per oscurare non il corpo del Signore, ma gli occhi di questi
uomini» (Id., De pasch., 738–743).

Soltanto a partire dal IV–V secolo si diffonde l’immagine del Crocifisso rivestito di un
perizoma o una generica copertura attorno ai fianchi. È molto probabile che la rappresenta-
zione di Gesù in croce rivestito con un perizoma sia stata originata dal testo apocrifo del
Vangelo di Nicodemo (recensione greca A, attorno al 560 d.C.) dove si afferma: «Quando
giunsero al luogo stabilito, lo [i.e. Gesù] spogliarono delle vesti, lo cinsero con una tela di
lino e posero sul suo capo una corona di spine» (Id., 10,1).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
$V88@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da $V88T, gettare, buttare, mettere; cf. Mc 2,22.
Participio predicativo del soggetto sottinteso @Ê FJD"J4äJ"4.
i8­D@<: sost., acc. sing. m. da i8­D@H, –@L, sorte, sorteggio; compl. oggetto. Il vocabolo
ricorre 11 volte nel NT: Mt 27,35; Mc 15,24 (hapax marciano); Lc 23,34; Gv 19,24; At
1,17.26[x2]; 8,21; 26,18; Col 1,12; 1Pt 5,3. Senza articolo perché frase tecnica. Rispetto
all’ampia gamma semantica che possiede il sostantivo i8­D@H nel greco profano («parte»,
«partecipazione», «appezzamento di terra», «eredità»), qui esso indica tecnicamente il
«sorteggio» (cf. Erodoto, Hist., 3,83,2) ottenuto secondo la consuetudine romana mediante
il tiro dei dadi o di altri oggetti.
1066 Mc 15,25

¦Bz: (= ¦B\), prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., in, su, a, sopra; cf.
Mc 1,22.
"ÛJV: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. n. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 5,10; compl. di moto a luogo.
J\H: pron. interrogativo, nom. sing. m. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?,
che?, quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; soggetto.
J\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; compl. oggetto. Questo pronome interrogativo sta
al posto del relativo Ó J4 / òFJ4H («ciò che»), come avviene nei papiri e nelle iscrizioni; si
tratta di un uso piuttosto frequente nella Koiné: «Propositio relativa et interrogatio indirecta
post verba dicendi, cognoscendi etc. valde affines sunt. Hinc fit, ut hellenistice interrogativum
J\ loco pronominis relativi stare possit» (Zerwick Max, Graec., § 221). Analogo fenomeno
in Mc 2,25; 4,24; 5,14; 6,36; 8,1.2; 9,6.10; 10,38; 13,11; 14,36[x2].40.68; 15,24.
–D®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da "ÇDT, alzare, sollevare, sostenere, sorreggere,
portare, prendere; cf. Mc 2,3.

15,25 µ< *¥ òD" JD\J0 i"Â ¦FJ"bDTF"< "ÛJ`<.


15,25 Erano le nove del mattino quando lo crocifissero.

µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
*X: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti, dunque, quindi; cf. Mc 1,8. La
formula µF"< *X / µ< *X, analogamente a i"Â µF"< / i"Â µ< e a µF"< (VD / µ< (VD,
è usata da Marco per introdurre un inciso di valore causale o esplicativo (cf. Mc 1,16.33;
2,15; 5,42; 6,31.44.48; 7,26; 8,9; 10,22; 11,13; 14,40; 15,25; 16,14).
òD": sost., nom. sing. f. da òD", –"H, ora, tempo; cf. Mc 6,35; soggetto. I sostantivi determinati
da numeri cardinali o ordinali sono generalmente sprovvisti di articolo; analogo fenomeno
in Mc 12,20.28.
JD\J0: agg. numerale, ordinale, nom. sing. f. da JD\J@H, –@L, terzo; cf. Mc 12,21; attributo di
òD". A quale delle nostre ore corrisponde la «terza ora» riportata da Marco per indicare la
crocifissione di Gesù? Non è facile rispondere con esattezza a questa domanda. Marco
computa tutto il tempo della crocifissione e morte di Gesù secondo uno schematismo trinario
(«ora terza», «ora sesta», «ora nona») che si basa sul sistema latino di conteggiare il
trascorrere del tempo. Nel mondo romano il giorno naturale (le nostre 24 ore) veniva diviso
in due gruppi di dodici ore ciascuno: le 12 horae del giorno e le 4 vigiliae della notte, ognuna
delle quali corrispondeva a 3 delle nostre ore (vedi commento a Mc 13,35). Poiché il
trascorrere del tempo veniva fissato in base al sorgere e al tramontare del sole, ne risulta che
tutto il sistema del computo romano non era rigidamente fisso, ma variabile. Mentre le nostre
ore comprendono uniformemente sessanta minuti di sessanta secondi ciascuno, nelle ore
romane l’assenza della divisione interna faceva sì che ognuna di esse si estendesse per tutto
l’intervallo compreso tra la precedente e la successiva ora; tale intervallo, inoltre, non era
Mc 15,25 1067

invariabile, ma variava in base alle stagioni e alla longitudine. Poiché le dodici ore della
giornata venivano ripartite dallo gnomone tra il sorgere e il tramontare del sole, le dodici ore
della notte (le quattro vigiliae) dovevano essere comprese fra il tramonto e l’alba: le une e
le altre andavano aumentando e diminuendo secondo le stagioni. Le ore diurne e le notturne
erano eguali tra loro (e alle nostre) soltanto due volte all’anno: agli equinozi di primavera (21
marzo) e di autunno (23 settembre). Prima e dopo l’equinozio le ore variavano in misura
inversa fino ai solstizi, in cui lo scarto tra loro raggiungeva il massimo. Andando verso il
solstizio d’inverno (21 dicembre), le ore diurne si accorciavano e si allungavano quelle
notturne; andando verso il solstizio di estate (21 giugno), la situazione s’invertiva e l’ora
notturna si accorciava, mentre l’ora diurna si allungava di altrettanto. Al solstizio d’inverno,
nella longitudine di Roma, le ore diurne si succedevano nell’ordine seguente:

hora prima: dalle 7,33 alle 8,17


hora secunda: dalle 8,17 alle 9,2
hora tertia: dalle 9,2 alle 9,46
hora quarta: dalle 9,46 alle 10,31
hora quinta: dalle 10,31 alle 11,15
hora sexta: dalle 11,15 alle 12,00
hora septima: dalle 12,00 alle 12,44
hora octava: dalle 12,44 alle 13,29
hora nona: dalle 13,29 alle 14,13
hora decima: dalle 14,13 alle 14,58
hora undecima: dalle 14,58 alle 15,42
hora duodecima: dalle 15,42 alle 16,27

Con il tramonto del sole iniziavano le ore notturne, divise in vigiliae. Al solstizio
d’estate, nella longitudine di Roma, le ore diurne si disponevano così:

hora prima: dalle 4,27 alle 5,42


hora secunda: dalle 5,42 alle 6,58
hora tertia: dalle 6,58 alle 8,13
hora quarta: dalle 8,13 alle 9,29
hora quinta: dalle 9,29 alle 10,44
hora sexta: dalle 10,44 alle 12,00
hora septima: dalle 12,00 alle 13,15
hora octava: dalle 13,15 alle 14,31
hora nona: dalle 14,31 alle 15,46
hora decima: dalle 15,46 alle 17,2
hora undecima: dalle 17,2 alle 18,17
hora duodecima: dalle 18,17 alle 19,33
In base alle considerazioni sopra riportate, tenendo conto della data della crocifissione
(7 aprile secondo il nostro calendario) possiamo ritenere che la «terza ora» riportata da Marco
per indicare la crocifissione di Gesù corrisponde approssimativamente al periodo di tempo
che va dalle 9,00 alle 10,00 secondo il nostro computo; di conseguenza la «sesta ora» (inizio
1068 Mc 15,26

del buio: Mc 15,33) va dalle 12,00 alle 13,00 e la «nona ora» (fine del buio; morte di Gesù:
Mc 15,33.34.37) dalle 15,00 alle 16,00.
i"\: cong. coordinativa di valore temporale, indecl., mentre, quando; cf. Mc 1,4. Il significato
temporale che può assumere la congiunzione i"\ si ritrova in Mc 1,19c; 10,10; 14,62b;
15,25a.
¦FJ"bDTF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da FJ"LD`T, crocifiggere; cf. Mc 15,13. Le
sofferenze della crocifissione potevano protrarsi per giorni interi. La sete, dovuta alla perdita
di sangue, alla disidratazione dell’organismo, al sudore e alla febbre, era un tormento
ulteriore. La morte sopravveniva a causa di dissanguamento o per crampi tetanici che
provocavano paralisi e soffocamento. I crocifissi erano custoditi dai soldati e dopo la morte,
se non erano richiesti dai parenti, non avevano diritto alla sepoltura, diventando preda delle
bestie randage e degli uccelli da rapina. Talvolta la morte veniva accelerata per mezzo del
crurifragium, ossia la rottura delle ginocchia (cf. Gv 19,32–33) oppure per soffocamento
prodotto dal fumo. Anche i testi rabbinici riportano l’informazione storica della crocifissione
e morte di Gesù, come troviamo in una barayta del Talmud babilonese: «Alla vigilia di
Pasqua fu appeso Gesù. In precedenza, per quaranta giorni, il banditore aveva proclamato:
“Egli deve essere lapidato perché ha praticato la stregoneria e ha traviato e sedotto Israele.
Chiunque abbia qualcosa da dire a sua difesa venga e dia testimonianza per lui”. Poiché,
però, nulla fu presentato a sua difesa, venne appeso alla vigilia di Pasqua» (b.Sanh., 43a).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.

15,26 i"Â µ< º ¦B4(D"n¬ J­H "ÆJ\"H "ÛJ@Ø ¦B4(g(D"::X<0s {? $"F48g×H Jä<
z3@L*"\T<.
15,26 L’iscrizione con il motivo della sua condanna diceva: «Il re dei Giudei».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
¦B4(D"nZ: sost., nom. sing. f. da ¦B4(D"nZ, –­H, iscrizione, scritta, titolo; cf. Mc 12,16;
soggetto. Il cosiddetto titulus posto sulla croce era costituito da una tavoletta spalmata di
gesso bianco sulla quale veniva scritta, con lettere tracciate in nero o rosso, la motivazione
della sentenza. Il cartiglio era prescritto dalla legge romana e la sua affissione dimostrava che
era stata emessa una condanna formale. Il titulus era portato da un soldato in testa al corteo
e, quindi, legato al collo o al braccio del condannato oppure fissato sul palo della croce, per
ufficializzare la condanna e servire da ammonimento ai passanti. Dione Cassio, attorno al 22
d.C. e, dunque, a distanza di pochi anni prima della morte di Gesù, scrive:

… JÎ< *¥ ªJgD@< JÎ< BD@*`<J" "ÛJÎ< *4V Jg J­H •(@DH :XF0H :gJ (D"::VJT<
J¬< "ÆJ\"< J­H h"<"JfFgTH "ÛJ@Ø *08@b<JT< *4"("(`<J@H i" :gJ J"ØJ"
•<"FJ"LDfF"<J@H @Ûi ²("<ViJ0Fg.
Mc 15,26 1069

«…il secondo schiavo lo fece passare attraverso il Foro con una iscrizione che mostrava la
motivazione della condanna a morte e, dopo averlo fatto crocifiggere, [l’imperatore] non fu
più adirato» (Dione Cassio, Hist. rom., 54,3,7).

L’usanza del titulum è attestata anche da altri storici, come Svetonio: «…praecedente
titulo qui causam poenae indicaret», «…precede il titolo indicante il motivo della punizione»
(Id., Domit., 10,1) ed Eusebio di Cesarea (cf. Id., Hist. eccl., 5,1,44). L’usanza di esporre un
titulum indicante la causa poenae si trova attestata anche quando la sentenza non fosse di
condanna a morte, come nel caso di un ladro il quale, dopo aver subito il taglio delle mani,
venne costretto ad andare in giro portando un cartello esplicativo (cf. Svetonio, Calig., 32,2).
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
"ÆJ\"H: sost., gen. sing. f. da "ÆJ\", –"H, causa, ragione, motivo, motivazione; compl. di
specificazione. Il vocabolo ricorre 20 volte nel NT: Mt 19,3.10; 27,37; Mc 15,26 (hapax
marciano); Lc 8,47; Gv 18,38; 19,4.6; At 10,21; 13,28; 22,24; 23,28; 25,18.27; 28,18.20;
2Tm 1,6.12; Tt 1,13; Eb 2,11. Nel nostro passo il sostantivo "ÆJ\" è termine tecnico del
linguaggio giuridico, come avviene altrove nel NT. In tal caso può significare sia la «colpa»,
il «reato», il «delitto» (lat. crimen; cf. Gv 18,38; 19,4.6; At 13,28; cf. anche "ÇJ4@< di Lc
23,4.14.22) sia l’atto formale emesso a conclusione del processo, ossia il «capo d’accusa»,
la «motivazione della sentenza», come nel greco classico (cf. Demostene, Or., 23,75). Qui
è preferibile il secondo significato.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
¦B4(g(D"::X<0: verbo, nom. sing. f. part. perf. pass. da ¦B4(DVnT (da ¦B\ e (DVnT),
scrivere su, iscrivere, sovrascrivere. Questo verbo ricorre 5 volte nel NT: Mc 15,26 (hapax
marciano); At 17,23; Eb 8,10; 10,16; Ap 21,12. Il participio è retto da µ< in costruzione
perifrastica («era iscritta»). Nella grecità il verbo ¦B4(DVnT viene usato nel significato di
«scrivere sopra», «iscrivere», con particolare riferimento alle iscrizioni dedicatorie o legali (cf.
Erodoto, Hist., 3,88,3; Tucidide, Hist., 1,132,3; Plutarco, De Pyth., 400,e,5). Da notare la
figura etimologica (paronomasia) costruita con l’oggetto interno (¦B4(D"nZ…
¦B4(g(D"::X<0), dovuta probabilmente a influsso semitico (infinito assoluto ebraico).
Analogo fenomeno in Mc 1,26; 3,28; 4,24.41; 5,42; 7,7.13; 10,38; 13,19; 14,6.
{?: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
$"F48gbH: sost., nom. sing. m. da $"F48gbH, –XTH, re, sovrano, capo, signore; cf. Mc 6,14;
soggetto.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
z3@L*"\T<: agg. determinativo, di valore sostantivato, nome proprio di popolo, gen. plur. m.
da z3@L*"Ã@H, –", –@<, giudeo, Giudeo; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione.
1070 Mc 15,27

15,27 5"Â F×< "ÛJè FJ"LD@ØF4< *b@ 8®FJVHs ª<" ¦i *g>4ä< i"Â ª<" ¦> gÛT<b:T<
"ÛJ@Ø.
15,27 Con lui crocifissero anche due briganti, uno a destra e uno alla sua sinistra.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


Fb<: prep. propria con valore di compagnia, seguita dal dativo, indecl., con, insieme a; cf. Mc
2,26.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di compagnia.
FJ"LD@ØF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da FJ"LD`T, crocifiggere; cf. Mc 15,13. Presente
storico. Stando alla legislazione che ritroviamo nella Mishnah non era consentito eseguire più
sentenze capitali nello stesso giorno: «non si possono condannare a morte due persone nello
stesso giorno» (m.Sanh., 6,4) e ciò per il fatto che uno stesso tribunale non avrebbe avuto il
tempo necessario per vagliare con calma le testimonianze addotte pro o contro il reo. Si deve
però osservare che il diritto mishnaico è successivo all’epoca dei fatti e, inoltre, non si deve
dimenticare che l’esecuzione di Gesù e di altri due condannati venne eseguita dalle autorità
romane le quali non erano soggette a tale legge. I procuratori romani in Giudea procedettero
varie volte a esecuzioni di massa (vedi commento a Mc 15,24). Non sappiamo neppure se
gli altri due condannati alla crocifissione abbiano subito un regolare processo da parte del
sinedrio o se furono messi in prigione e condannati direttamente dalle autorità romane.
*b@: agg. numerale, cardinale, acc. plur. m. da *b@ (gen. *b@, dat. *LF\<, acc. *b@), due; cf.
Mc 6,7; attributo di 8®FJVH.
8®FJVH: sost., acc. plur. m. da 8®FJZH, –@Ø, predone, bandito, brigante; cf. Mc 11,17; compl.
oggetto. Alcuni ritengono che l’usuale traduzione «brigante», «predone», «ladrone», non
corrisponda al significato storico del vocabolo poiché, si aggiunge, il termine viene adoperato
da Giuseppe Flavio per indicare gli indipendentisti giudei, in lotta contro le forze di
occupazione (42 volte nella Guerra giudaica) e dai Romani in riferimento agli zeloti
oltranzisti e ai rivoltosi, dediti alla guerriglia e all’assassinio. Ai tempi di Gesù il vocabolo
8®FJZH era così diffuso da essere accolto nell’ebraico come prestito linguistico, tanto da
comparire negli scritti rabbinici traslitterato nella forma 2) F 2A*-F, lêstEe)s o 2*)F2A*-E, lîstEês (cf.
b.Baba Qam., 57a; b.Baba Mez., 43a; 58a). Poiché in Gv 18,40 anche Barabba è detto
8®FJZH e Mc 15,7 riferisce che era stato catturato «insieme ai sediziosi che nella rivolta
avevano commesso un omicidio», tutto ciò consentirebbe di affermare che i due «briganti»
qui menzionati fossero, in realtà, due rivoluzionari, due indipendentisti, ossia — dal punto
di vista di Israele — due patrioti militanti. Questo significato “politico” del termine, seppure
testimoniato dalle fonti letterarie, non sembra essere presente nel nostro testo: originariamente
8®FJZH indica «colui che fa bottino», il «predatore» (ad esempio lo stesso soldato, la cui
azione di saccheggio è in tempo di guerra legittimata). In una accezione più negativa indica
il «predone» o «brigante» (la cui azione è sempre perseguibile). Per quanto riguarda l’uso
sinottico si deve osservare che nelle ricorrenze lucane (cf. Lc 10,30.36; 19,46; 22,52) il
termine non ha affatto il senso di «rivoluzionario», «insurrezionista», ma semplicemente
quello generico negativo (attestato nell’antichità) di «brigante», «predone». Non è legittimo,
Mc 15,29 1071

dunque, intendere la crocifissione come prova del senso politico messianico di 8®FJZH (e
conseguentemente di Gesù, che sarebbe così accusato di essere un «rivoluzionario»): lo
dimostra il fatto che i due crocifissi con Gesù non sono qualificati da Luca 8®FJ"\, a
differenza di Marco e Matteo, bensì semplici i"i@ØD(@4, «malfattori» (cf. Lc 23,32.33.39).
Al patibolo venivano appesi soprattutto criminali comuni e non soltanto condannati per reati
politici.
ª<": agg. numerale, cardinale, acc. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; compl. oggetto.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
*g>4ä<: agg. qualificativo, di valore sostantivato, gen. plur. n. da *g>4`H, –V, –`<, destro; cf.
Mc 10,37; compl. di stato in luogo. Senza articolo perché espressione tecnica.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
ª<": agg. numerale, cardinale, acc. sing. m. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; compl. oggetto.
¦>: (= ¦i), prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
gÛT<b:T<: agg. qualificativo, di valore sostantivato, gen. plur. n. da gÛf<L:@H, –@<, sinistro;
cf. Mc 10,40; compl. di stato in luogo. Senza articolo perché espressione tecnica.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).

[15,28] [Questo versetto è presente nei manoscritti L, ), 1, 083, 0250, f1, f13, e in molti
codici minuscoli, i quali qui riportano: i" ¦B80Dfh0 º (D"n¬ º 8X(@LF" 5" :gJ
•<`:T< ¦8@(\Fh0, «e si compì la scrittura che dice: È stato messo tra i malfattori». Il
versetto è assente, invece, in !, A, B, C, D, Q, 157, 2427. Tale lezione variante non offre
garanzia di autenticità dal punto di vista di critica testuale poiché i testimoni più antichi e
autorevoli non la riportano: quasi certamente si tratta di una glossa (una interpolazione)
introdotta da qualche copista dietro suggestione di Lc 22,37. La critica recente ha espunto il
testo senza modificare l’ordine e la numerazione successiva dei versetti.].

15,29 5" @Ê B"D"B@DgL`:g<@4 ¦$8"FnZ:@L< "ÛJÎ< i4<@Ø<JgH JH ign"8H


"ÛJä< i" 8X(@<JgHs ?ۏ Ò i"J"8bT< JÎ< <"Î< i" @Æi@*@:ä< ¦< JD4FÂ<
º:XD"4Hs
15,29 I passanti lo insultavano scuotendo il capo e dicendo: «Ehi, tu che distruggi il Tempio
e lo riedifichi in tre giorni,

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
B"D"B@DgL`:g<@4: verbo, nom. plur. m. part. pres. medio, di valore sostantivato, da
B"D"B@Dgb@:"4 (da B"DV e B@Dgb@:"4), procedere, andare oltre, attraversare, passare;
cf. Mc 2,23; soggetto.
1072 Mc 15,29

¦$8"FnZ:@L<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da $8"Fn0:XT, bestemmiare, ingiuriare,


oltraggiare; cf. Mc 2,7. Imperfetto durativo. Il verbo non ha qui il significato tecnico
corrispondente a «bestemmiare» (cf. Lv 24,11.16), come avviene altrove in Marco (cf. Mc
2,7; 3,28.29; cf. anche Mc 3,28; 7,22; 14,64). Il significato è quello più generico e attenuato
di «insultare», «oltraggiare».
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
i4<@Ø<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da i4<XT, muovere, scuotere, agitare. Questo
verbo ricorre 8 volte nel NT: Mt 23,4; 27,39; Mc 15,29 (hapax marciano); At 17,28; 21,30;
24,5; Ap 2,5; 6,14. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto @Ê
B"D"B@DgL`:g<@4. A partire da Omero il verbo i4<XT viene usato nel significato proprio
di «muovere», «agitare», detto, ad esempio, delle membra umane, come il capo (cf. Omero,
Il., 17,442), gli arti (cf. Omero, Od., 8,298), l’occhio (cf. Sofocle, Phil., 866), il collo (cf.
Arriano, Diss., 1,6,19).
JVH: art. determ., acc. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
ign"8VH: sost., acc. plur. f. da ign"8Z, –­H, testa, capo; cf. Mc 6,24; compl. oggetto.
L’espressione i4<gÃ< J¬< ign"8Z<, «scuotere la testa», in segno di disprezzo o derisione,
è sconosciuta nel greco classico, mentre è frequente in quello ellenistico dei LXX, dove
traduce la corrispettiva frase ebraica –!J9vA ${1, nûd5 bero) ’š (cf. 2Re 19,21; Ger 18,16; Lam
2,15; Gb 16,4; Dn 4,19; Sal 22,8; Sir 12,18; 13,7).
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona plurale
(«di essi» = «loro»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
8X(@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo del soggetto @Ê B"D"B@DgL`:g<@4.
?ÛV: interiez. propria con valore esclamativo di reazione, indecl., ehi!, ehilà! Hapax neotesta-
mentario. Nella grecità questa rara esclamazione, attestata soprattutto nella forma @ې, indica
solitamente meraviglia (cf. Dione Cassio, Hist. rom., 63,20,5; Epitteto, Diss., 3,22,34;
3,23,24; Ireneo di Lione, Adv. haer., 1,13,2). Qui potrebbe corrispondere alla forma ebraica
z% I!C , ’a7 ha) h (tradotta dai LXX con gâ(g), posta in bocca agli avversari del giusto
sofferente come esclamazione di scherno (cf. Sal 35,21[x2].25[x2]; 40,16[x2]; 70,4[x2]; Gb
31,29; 39,25; Ez 6,11[x2]; 26,2; 36,2).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
i"J"8bT<: verbo, nom. sing. m. part. pres., di valore sostantivato, da i"J"8bT (da i"JV e
8bT), dissolvere, distruggere, demolire; cf. Mc 13,2; soggetto.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
<"`<: sost., acc. sing. m. da <"`H, –@Ø, tempio, santuario; cf. Mc 14,58; compl. oggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Mc 15,30–31 1073

@Æi@*@:ä<: verbo, nom. sing. m. part. pres., di valore sostantivato, da @Æi@*@:XT, costruire,
edificare; cf. Mc 12,1; soggetto. Qui il verbo assume il valore del nostro «riedificare»,
«ricostruire»: nel greco biblico si omette spesso l’equivalente del nostro prefisso ri– (cf. Mt
9,18; Lc 15,8ss.; Gv 2,19ss.).
¦<: prep. propria di valore temporale, seguita dal dativo, indecl., in, durante, entro; cf. Mc 1,2.
JD4F\<: agg. numerale, cardinale, dat. plur. f. da JDgÃH, JD\", –ä<, tre; cf. Mc 8,2; attributo di
º:XD"4H.
º:XD"4H: sost., dat. plur. f. da º:XD", –"H, giorno; cf. Mc 1,9; compl. di tempo continuato.
L’espressione «in tre giorni» richiama l’analoga «dopo tre giorni» (:gJ JDgÃH º:XD"H)
usata nelle predizioni che annunciano la morte del Figlio dell’uomo e la sua risurrezione (cf.
Mc 8,31; 9,31; 10,34).

15,30 FäF@< Fg"LJÎ< i"J"$H •BÎ J@Ø FJ"LD@Ø.


15,30 salva te stesso scendendo dalla croce!».

FäF@<: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da Fæ.T, guarire, sanare, salvare; cf. Mc 3,4.
Fg"LJ`<: (da Fb e "ÛJ`H), pron. riflessivo, acc. sing. m. da Fg"LJ@Ø, –­H, di te stesso; cf. Mc
1,44; compl. oggetto.
i"J"$VH: verbo, nom. sing. m. part. aor. da i"J"$"\<T (da i"JV e la radice di $VF4H),
discendere, venire giù, scendere; cf. Mc 1,10. Participio predicativo del soggetto sottinteso
«tu», in riferimento a Gesù.
•B`: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da; cf. Mc
1,9.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
FJ"LD@Ø: sost., gen. sing. m. da FJ"LD`H, –@Ø, croce; cf. Mc 8,34; compl. di moto da luogo.

15,31 Ò:@\TH i" @Ê •DP4gDgÃH ¦:B"\.@<JgH BDÎH •88Z8@LH :gJ Jä< (D":-
:"JXT< §8g(@<s }!88@LH §FTFg<s ©"LJÎ< @Û *b<"J"4 FäF"4·
15,31 Anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, si facevano tra loro beffe di lui e dicevano:
«Ha salvato altri e non può salvare sé stesso!

Ò:@\TH: avv. di modo, indecl., ugualmente, allo stesso modo, similmente. Il vocabolo ricorre 30
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 22,26; 26,35; 27,41; Mc 15,31
(hapax marciano); Lc 3,11; 5,10.33; 6,31; 10,32.37; 13,3; 16,25; 17,28.31; 22,36; Gv 5,19;
21,13.
i"\: cong. coordinativa di valore aggiuntivo, indecl., anche, perfino, inoltre, altresì; cf. Mc 1,4.
Il significato aggiuntivo di i"\ è presente in Mc 1,27b.38b; 2,15b.26c.28; 3,19b; 4,24b;
6,34b; 7,18b; 8,3b.7ac.38c; 9,22a; 11,25b; 12,22b; 13,29; 14,9.29.31; 15,31.40ab.43a.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
1074 Mc 15,32

•DP4gDgÃH: sost., nom. plur. m. da •DP4gDgbH, –XTH (da •DPZ e ÊgDgbH), sommo sacerdote,
capo dei sacerdoti; cf. Mc 2,26; soggetto.
¦:B"\.@<JgH: verbo, nom. plur. m. part. pres. da ¦:B"\.T (da ¦< e B"\.T), beffeggiare,
schernire, deridere; cf. Mc 10,34. Participio predicativo del soggetto @Ê •DP4gDgÃH.
BD`H: prep. propria con valore locale (di persone), seguita dall’accusativo, indecl., dinanzi a,
alla presenza di, tra; cf. Mc 1,5.
•88Z8@LH: pron. reciproco, acc. plur. m. da •88Z8T< (genitivo plurale di –88@H, con
raddoppiamento), l’un l’altro, reciprocamente, a vicenda; cf. Mc 4,41; compl. di stato in
luogo.
:gJV: prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con, insieme a, in
compagnia di; cf. Mc 1,13.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
(D"::"JXT<: sost., gen. plur. m. da (D"::"JgbH, –XTH (da (DV::"), scriba, esperto della
Legge, insegnante religioso; cf. Mc 1,22; compl. di compagnia.
§8g(@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Imperfetto durativo.
}!88@LH: pron. indefinito, acc. plur. m. da –88@H, –0, –@, altro, un altro; cf. Mc 4,5; compl.
oggetto.
§FTFg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da Fæ.T, guarire, sanare, salvare; cf. Mc 3,4.
©"LJ`<: pron. riflessivo, acc. sing. m. da ©"LJ@Ø, –­H, –@Ø (non usato al nominativo), lui, lui
stesso, esso; cf. Mc 1,27; compl. oggetto.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
*b<"J"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da *b<":"4, potere, essere capace di, essere
in grado di; cf. Mc 1,40.
FäF"4: verbo, inf. aor. da Fæ.T, guarire, sanare, salvare; cf. Mc 3,4.

15,32 Ò OD4FJÎH Ò $"F48g×H z3FD"¬8 i"J"$VJT <Ø< •BÎ J@Ø FJ"LD@Øs Ë<" Ç*T:g<
i"Â B4FJgbFT:g<. i"Â @Ê FL<gFJ"LDT:X<@4 F×< "ÛJè é<g\*4.@< "ÛJ`<.
15,32 Il messia, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!».
Perfino quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
OD4FJ`H: agg. qualificativo, di valore sostantivato, nom. sing. m. da PD4FJ`H, –Z, –`<, unto,
messia, «Cristo»; cf. Mc 1,1; soggetto. Qui, come in Mc 8,29; 12,35; 13,21; 14,61, è
preferibile tradurre OD4FJ`H con «messia», poiché il vocabolo viene impiegato per indicare
il figlio di David, atteso come salvatore del suo popolo; al contrario nelle altre due ricorrenze
(cf. Mc 1,1; 9,41) la traduzione più appropriata è quella di «Cristo», poiché il termine è
utilizzato redazionalmente per indicare il messia già venuto, figlio di Maria e Figlio di Dio,
Mc 15,32 1075

Salvatore dell’umanità. Paradossalmente l’epiteto «messia» che viene dato a Gesù in forma
di scherno corrisponde a verità. Spesso nel vangelo di Marco le affermazioni più vere e
profonde circa l’identità e la missione di Gesù sono dette sotto forma di derisione e oltraggio
dai nemici di Gesù (cf. Mc 1,24; 6,3; 14,58; 15,18.26.29.31.32).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
$"F48gbH: sost., nom. sing. m. da $"F48gbH, –XTH, re, sovrano, capo, signore; cf. Mc 6,14;
apposizione di OD4FJ`H.
z3FD"Z8: sost., nome proprio di popolo, gen. sing. m., indecl., Israele; cf. Mc 12,29; compl. di
specificazione.
i"J"$VJT: verbo, 3a pers. sing. imperat. aor. da i"J"$"\<T (da i"JV e la radice di $VF4H),
discendere, venire giù, scendere; cf. Mc 1,10.
<Ø<: avv. di tempo, indecl., ora, adesso; cf. Mc 10,30.
•B`: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da; cf. Mc
1,9.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
FJ"LD@Ø: sost., gen. sing. m. da FJ"LD`H, –@Ø, croce; cf. Mc 8,34; compl. di moto da luogo.
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
Ç*T:g<: verbo, 1a pers. plur. congiunt. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf.
Mc 1,10.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
B4FJgbFT:g<: verbo, 1a pers. plur. congiunt. aor. da B4FJgbT, credere, fidarsi di, dare fiducia
a; cf. Mc 1,15.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
@Ê: art. determ., nom. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
FL<gFJ"LDT:X<@4: verbo, nom. plur. m. part. perf. pass., di valore sostantivato, da FLFJ"L-
D`T (da Fb< e FJ"LD`T), crocifiggere insieme; soggetto. Questo verbo ricorre 5 volte nel
NT: Mt 27,44; Mc 15,32 (hapax marciano); Gv 19,32; Rm 6,6; Gal 1,19. Sconosciuto nella
grecità e nei LXX, il verbo FLFJ"LD`T appartiene al greco neotestamentario. Spesso la
preposizione posta come prefisso a un verbo composto viene ripetuta davanti al successivo
complemento indiretto, come qui; questo fenomeno si ritrova in Mc 1,16.21[x2].25.26.42;
2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.24.25.26.31.33; 9,25[x2].28.43.
45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5. Il verbo non è usato nel senso teologico paolino
(cf. Rm 6,6; Gal 2,20), ma indica storicamente i due malfattori crocifissi con Gesù. In Marco
e Matteo non esiste «il buon ladrone» lucano.
Fb<: prep. propria con valore di compagnia, seguita dal dativo, indecl., con, insieme a; cf. Mc
2,26.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di compagnia.
1076 Mc 15,33

é<g\*4.@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da Ï<g4*\.T, rimproverare, ingiuriare, insultare,
oltraggiare. Questo verbo ricorre 9 volte nel NT: Mt 5,11; 11,20; 27,44; Mc 15,32; 16,14;
Lc 6,22; Rm 15,3; Gc 1,5; 1Pt 4,14. Imperfetto durativo. Qui Ï<g4*\.T deve essere preso
nel senso forte corrispondente al classico «insultare», «oltraggiare» (cf. Omero, Il., 7,95),
come avviene anche nei LXX, dove il verbo ricorre soprattutto nei Salmi per descrivere
l’atteggiamento oltraggioso dei nemici di Dio e di Israele. Per quanto riguarda l’uso più
generico di «rimproverare» cf. Mc 16,14.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.

15,33 5"Â (g<@:X<0H òD"H ªiJ0H Fi`J@H ¦(X<gJ@ ¦nz Ó80< J¬< (­< ªTH òD"H
¦<VJ0H.
15,33 Quando fu mezzogiorno si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


(g<@:X<0H: verbo, gen. sing. f. part. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4. Participio al genitivo assoluto.
òD"H: sost., gen. sing. f. da òD", –"H, ora, tempo; cf. Mc 6,35.
ªiJ0H: agg. numerale, ordinale, gen. sing. f. da ªiJ@H, –0, –@<, sesto. Il vocabolo ricorre 22
volte nel NT: Mt 20,5; 23,26; 27,45; Mc 15,33 (hapax marciano); Lc 1,26.36; 23,44; Gv
4,6; 19,14; At 10,9; 26,22; 1Cor 6,18; 14,5; 15,2.27; 2Cor 12,2; 1Tm 5,19; Ap 6,12;
9,13.14; 16,12; 21,20. La frase (g<@:X<0H òD"H ªiJ0H appare nella forma detta “genitivo
assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore temporale. Per quanto riguarda l’equivalenza di òD"
ªiJ0 («ora sesta») con il nostro «mezzogiorno» vedi commento a Mc 15,25.
Fi`J@H: sost., nom. sing. n. da Fi`J@H, –@LH, buio, oscurità; soggetto. Il vocabolo ricorre 31
volte nel NT: Mt 4,16; 6,23[x2]; 8,12; 22,13; 25,30; 27,45; Mc 15,33 (hapax marciano); Lc
1,79; 11,35; 22,53; 23,44; Gv 3,19; At 2,20; 13,11; 26,18; Rm 2,19; 13,12; 1Cor 4,5; 2Cor
4,6; 6,14; Ef 5,11; 6,12; Col 1,13; 1Ts 5,4.5; 1Pt 2,17; 1Gv 1,6; Gd 1,13. Senza articolo
perché generico. In senso letterale questo termine designa il buio come fenomeno
astronomico (cf. Omero, Il., 5,47; Od., 19,389), ossia l’oscurità fisica che nella scena
marciana avvolge la terra al momento della crocifissione: questo significato non deve essere
rigettato troppo facilmente, come fanno alcuni, i quali intendono il vocabolo in senso
esclusivamente figurato, anche se, per comprendere l’annotazione marciana, si deve tener
presente lo sfondo simbolico che riveste il tema dell’oscurità nell’AT. Sebbene in alcuni passi
l’oscurità e le tenebre possono esprimere la presenza benevola e positiva di Dio (cf. Es 19,9;
24,15; Dt 5,23–24; 2Sam 22,10; 1Re 8,12; Sal 18,10–12; 97,2), più in generale esse la
nascondono e diventano segno di sventura e di giudizio: «Giorno d’ira quel giorno, giorno
di angoscia e di afflizione, giorno di rovina e di sterminio, giorno di tenebre e di caligine,
giorno di nubi e di oscurità» (Sof 1,15; cf. Is 13,10; Gl 2,2.10; 3,4; 4,15; cf. Ap 6,12; 8,12).
In Marco 15,33, dunque, le tenebre sono il simbolo dell’apparente fallimento del Crocifisso,
il quale sta per morire nell’«assenza» del suo Dio. L’interpretazione delle tenebre come
simbolo di giudizio (di Dio nei riguardi di Gesù) in chiave apocalittica (sulla base di Am
Mc 15,34 1077

8,9–10; Gl 2,2.10; 3,4; 4,15; Is 13,10; 24,23) è, tuttavia, inadeguata per il nostro passo e deve
essere respinta: non c’è alcun riferimento esplicito né terminologico né contenutistico, tra il
testo di Marco e i passi anticotestamentari in oggetto.
¦(X<gJ@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4.
¦nz: (= ¦B\), prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., in, su, a, sopra; cf.
Mc 1,22.
Ó80<: agg. indefinito, acc. sing. f. da Ó8@H, –0, –@<, tutto, ogni; cf. Mc 1,28; attributo di (­<,
qui senza articolo perché in posizione predicativa.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
(­<: sost., acc. sing. f. da (­, (­H, terra; cf. Mc 2,10; compl. di stato in luogo. Di quale «terra»
si sta parlando? Al riguardo sono possibili tre risposte: a) Di tutto il territorio circostante (=
«terra» di Giudea); b) di tutto Israele (= «terra» di Israele); c) di tutto il mondo abitato.
Sebbene l’espressione Ó80 º (­ in Ap 13,3 significhi «tutta la terra», nel nostro passo si
deve probabilmente intendere la frase con significato di totalità circoscritta, in riferimento a
coloro che furono spettatori del fenomeno.
ªTH: prep. impropria di valore temporale, seguita dal genitivo, indecl., fino a, sino a; cf. Mc
6,10.
òD"H: sost., gen. sing. f. da òD", –"H, ora, tempo; cf. Mc 6,35; compl. di tempo continuato.
¦<VJ0H: agg. numerale, ordinale, gen. sing. f. da §<"J@H, –0, –@<, nono; attributo di òD"H. Il
vocabolo ricorre 10 volte nel NT: Mt 20,5; 27,45.46; Mc 15,33.34; Lc 23,44; At 3,1;
10,3.20; Ap 21,20. Per quanto riguarda l’equivalenza di òD" ¦<VJ0 («ora nona») con le
nostre ore 15,00 vedi commento a Mc 15,25.

15,34 i" J± ¦<VJ® òD‘ ¦$`0Fg< Ò z30F@ØH nT<± :g(V8®s g8T4 g8T4 8g:"
F"$"Ph"<4p Ó ¦FJ4< :ghgD:0<gL`:g<@< {? hg`H :@L Ò hg`H :@Ls gÆH J\
¦(i"JX84BXH :gp
15,34 Alle tre Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio
mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
¦<VJ®: agg. numerale, ordinale, dat. sing. f. da §<"J@H, –0, –@<, nono; cf. Mc 15,33; attributo
di òD‘. Per quanto riguarda l’equivalenza di òD" ¦<VJ0 («ora nona») con le nostre ore
15,00 vedi commento a Mc 15,25.
òD‘: sost., dat. sing. f. da òD", –"H, ora, tempo; cf. Mc 6,35; compl. di tempo determinato.
Marco impiega il caso dativo con valore temporale 12 volte: Mc 1,21; 2,24; 3,2.4; 6,21;
11,12; 12,2; 14,12.30; 15,34; 16,2.9. Altrove il dativo temporale è retto dalla preposizione
¦< (cf. Mc 1,9; 2,19.20.23; 4,35; 8,1; 10,30[x2]; 12,23; 13,11.17.24; 14,2; 15,7.29).
1078 Mc 15,34

¦$`0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da $@VT, gridare; cf. Mc 1,3. Il tempo utilizzato (aoristo
complessivo) lascia intendere che si tratta di un grido umanissimo di Gesù, una invocazione
che abbraccia un lungo periodo, purché sia considerato come un continuum. Sebbene il verbo
$@VT venga spesso utilizzato nella Bibbia come grido di dolore alzato a Dio dall’oppresso
e dal perseguitato (vedi commento a Mc 1,3), questo grido di Gesù è qualitativamente
diverso: il suo grido non equivale alla richiesta di soccorso e di vendetta nei confronti
dell’ingiusto oppressore, ma è l’espressione estrema della sua preghiera; è il grido di un
morente che raccoglie le ultime sue energie vitali e le riconsegna a Dio, il quale, pur
percepito come assente, è invocato come Padre.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
nT<±: sost., dat. sing. f. da nT<Z, –­H, voce, suono, discorso; cf. Mc 1,3; compl. di mezzo.
Senza articolo perché generico.
:g(V8®: agg. indefinito, dat. sing. f. da :X("H, :g(V80, :X(", grande; cf. Mc 1,26; attributo
di nT<±.
g8T4: sost., indecl., «Dio mio»; compl. di vocazione. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mc
15,34[x2]. Traslitterazione grecizzata dell’esclamazione aramaica *% E -I!
B , ’Elohî, «Dio mio».
Marco presenta l’invocazione pronunciata da Gesù (le sue ultime parole) in una duplice
versione: la traslitterazione in lettere greche della formula aramaica (cf. Mc 15,34b) e la sua
traduzione in greco (cf. Mc 15,34c):

Mc 34b g8T4 g8T4 8g:" F"$"Ph"<4


Mc 34c {? hg`H :@L Ò hg`H :@Ls gÆH J\ ¦(i"JX84BXH :g
L’iniziale allocuzione è la traslitterazione grecizzata dell’espressione di origine aramaica
*1E˜
H 8A"H–A %/
I -A *%E-I!
B *%E-I!
B , ’Elohî ’Elohî lema) h šeb5aqtanî, «Dio mio, Dio mio, perché mi
hai abbandonato?», che a sua volta rimanda all’originale formula ebraica presente nell’AT:
6 6
*1E˜
I "A'H3C %/I -I *-E!
F *-E!
F , ’Elî ’Elî la) ma) h ‘a7 zab5ta) nî (Sal 22,2). Non si tratta propriamente di
una citazione testuale perché Marco, seguendo la traduzione dei LXX che rende la frase
ebraica con Ò hgÎH Ò hg`H :@L […] Ë<" J\ ¦(i"JX84BXH :g, modifica il verbo ebraico
"'H3I, ‘a) zab5, «abbandonare», presente nel TM, in 8"H–A, šeb5aq, «lasciare solo», con
conseguente mitigazione del senso: «Perché mi hai lasciato solo?». L’interrogativo di Gesù,
quindi, pur esprimendo una reale sofferenza, non indica un senso di disperazione. Per quanto
riguarda la storicità di questa invocazione sotto forma di grido è inconcepibile ritenere, come
fanno alcuni, che sia stata la comunità cristiana primitiva a inventare l’idea di Gesù
abbandonato: il dato, nel suo crudo e misterioso realismo, è certamente storico. Per altri casi
di parole aramaiche pronunciate da Gesù nel secondo vangelo cf. Mc 5,41; 7,11.34; 14,36;
15,34; cf. anche Mc 3,17.
g8T4: sost., indecl., «Dio mio»; cf. Mc 15,34a.
Mc 15,34 1079

8g:": sost., indecl., «perché». Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT; Mt 27,46; Mc 15,34 (hapax
marciano). Traslitterazione grecizzata del pronome interrogativo aramaico %/ I -A, lema) h,
«perché?».
F"$"Ph"<4: sost., indecl., «hai abbandonato». Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mt 27,46; Mc
15,34 (hapax marciano). Traslitterazione grecizzata della forma verbale aramaica *1E˜H 8A"H–A,
šeb5aqtanî, composta dalla terza persona maschile singolare del perfetto qal 8" H –A, šeb5aq,
munito di suffisso pronominale di prima persona maschile singolare = «hai abbandonato me».
Ó: pron. relativo, nom. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24; soggetto.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. L’espressione Ó ¦FJ4<, «che è», equivale alle espressioni «che significa», «che
corrisponde a», «vale a dire». Questa formula è presente 9 volte: Mc 3,17; 5,41; 7,11.34;
12,42; 15,16.22.34.42.
:ghgD:0<gL`:g<@<: verbo, nom. sing. n. part. pres. pass. da :ghgD:0<gbT (da :gJV e
©D:0<gbT), tradurre, interpretare; cf. Mc 5,41. Il participio è retto da ¦FJ4< in costruzione
perifrastica («è da tradursi»), al posto dell’usuale presente «si traduce».
{?: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
hg`H: sost., nom. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di vocazione. Anche se
già nel greco classico il nominativo è attestato come forma vocativa nei confronti di
subalterni, l’uso del nominativo con l’articolo al posto del vocativo è un semitismo, poiché
in ebraico e aramaico il caso vocativo è reso dal nominativo con l’articolo (cf. Mc 5,8.41;
9,25; 14,36; 15,34[x2]).
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
hg`H: sost., nom. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di vocazione. L’uso del
nominativo con l’articolo, al posto del vocativo, è un semitismo, poiché in ebraico e
aramaico il caso vocativo è reso dal nominativo con l’articolo (cf. Mc 5,8.41; 9,25; 14,36;
15,34[x2]).
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).
gÆH: prep. propria di valore finale, seguita dall’accusativo, indecl., per, in vista di, allo scopo di;
cf. Mc 1,4. La preposizione è qui impiegata con valore finale, analogamente a Mc
1,4.38.44; 6,11; 13,9.12; 14,4.8.9.55.
J\: pron. interrogativo, acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?, che?,
quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; compl. oggetto. La locuzione gÆH J\ è tipica del
greco di traduzione e rende l’interrogativa ebraica %/ I -A, lema) ’, tradotta dai LXX con Ë<" J\.
1080 Mc 15,35

Propriamente la frase non ha un significato causale («perché?»), ma finale («per quale fine?»,
«a quale scopo?»).
¦(i"JX84BXH: verbo, 2a pers. sing. congiunt. aor. da ¦(i"J"8g\BT (da ¦< e i"J"8g\BT),
abbandonare, lasciare indietro, dimenticare. Questo verbo ricorre 10 volte nel NT: Mt
27,46; Mc 15,34 (hapax marciano); At 2,27.31; Rm 9,29; 2Cor 4,9; 2Tm 4,10.16; Eb 10,25;
13,5. Il significato del verbo ¦(i"J"8g\BT nella grecità è quello generico corrispondente
a «abbandonare» riferito a cose o persone in senso proprio o figurato (cf. Tucidide, Hist.,
4,44,5; Senofonte, Hell., 5,4,13). Un flebile parallelo linguistico con la nostra espressione
possiamo ritrovare nell’esclamazione :Z :z ¦(i"J"8\B®H, «non mi abbandonare!»
(Menandro, Epit., 934). Una indagine del tema dell’abbandono di Dio nei Salmi porta alla
conclusione che l’inizio del Sal 22 è unico in tutto il salterio come espressione dell’abbando-
no da parte di Dio: non soltanto si afferma questo abbandono, ma soprattutto non si riesce
a capire la motivazione di tale comportamento divino. Infatti nei salmi si afferma costante-
mente che Dio non abbandona coloro che lo cercano (cf. Sal 9,11; 16,10; 37,25.28.33; 94,14)
e nel contempo è assai ricorrente l’invocazione a Dio perché non abbandoni l’implorante (cf.
Sal 27,9; 38,22; 71,9.18; 138,8). Adesso il Figlio Crocifisso sta sperimentando l’assenza di
Dio Padre: Gesù è l’abbandonato che muore sotto il segno dell’abbandono di Dio. Questo
abbandono di Cristo è un momento essenziale e non puramente psicologico o letterario
dell’atto della redenzione. Si tratta di un abbandono teologico nel quale il Logos sperimenta
umanamente l’assenza di Dio Padre.
:g: pron. personale di 1a pers. acc. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,40; compl. oggetto.

15,35 i"\ J4<gH Jä< B"DgFJ0i`JT< •i@bF"<JgH §8g(@<s }3*g z/8\"< nT<gÃ.
15,35 Alcuni dei presenti, udendo ciò, dicevano: «Ecco, chiama Elia!».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


J4<gH: pron. indefinito (enclitico), nom. plur. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; soggetto.
Jä<: art. determ., gen. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
B"DgFJ0i`JT<: verbo, gen. plur. m. part. perf., di valore sostantivato, da B"D\FJ0:4 (da
B"DV e ËFJ0:4), avvicinare, presentare, essere presente; cf. Mc 4,29; compl. partitivo.
•i@bF"<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto
J4<gH Jä< B"DgFJ0i`JT<. Solitamente il verbo •i@bT è costruito con il genitivo della
persona che si ode e l’accusativo di ciò che si sente parlare: qui è senza complemento, come
spesso avviene in Marco (cf. Mc 2,17; 3,21; 4,15.33; 6,2.14.16.29; 10,41; 11,14.18; 14,11;
15,35).
§8g(@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Imperfetto durativo.
Mc 15,36 1081

}3*g: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc
2,24. Il vocabolo Ç*g, un segnale discorsivo stereotipo, nella maggior parte delle ricorrenze
neotestamentarie assume il valore avverbiale esclamativo corrispondente alle interiezioni
«ecco!», «vedi!», «guarda!», «guardate!». Non c’è sostanziale diversità con l’equivalente Æ*@b
(cf. Mc 1,2). Entrambe le particelle sono forme vivaci e dinamiche modellate sul corrispon-
dente ebraico %F% E , hinne)h (1057 volte nell’AT) e in quanto tali possono sottolineare il
discorso o la narrazione che esse introducono con una energia particolare, esprimente di
volta in volta sorpresa, importanza, novità, reazione.
z/8\"<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z/8\"H, –@L, Elia; cf. Mc 6,15;
compl. oggetto. Il riferimento al profeta Elia può essere dovuto a un fraintendimento
dell’esclamazione aramaica *% E -I!
B , ’Elohî, «Dio mio», che alcuni dei presenti, forse per la
6
distanza o per la pronuncia poco chiara da parte di Gesù, intendono come %I-E! F , ’Eliyya
)h
6
(anche {%I-E!F , ’Eliyya) hû), «Mio Dio [è] Yah[weh]», il nome del celebre profeta. Non può
essere esclusa, tuttavia, una interpretazione maligna dei presenti, i quali ironicamente
attribuiscono a Gesù una speranza nel soccorso di Elia alla quale essi non credono. Questa
derisione, se fosse corrispondente al significato del testo, si aggiungerebbe al dileggio subito
da Gesù dinanzi al sinedrio (cf. Mc 14,65), allo scherno dei soldati dopo la comparizione
davanti a Pilato (cf. Mc 15,16–20), a quello dei capi giudei e dei passanti sotto la croce (cf.
Mc 15,29–32). In ogni caso Elia non può venire, perché, come già aveva detto Gesù
alludendo a Giovanni il Battista, … i"Â z/8\"H ¦8Z8Lhg<s i"Â ¦B@\0F"< "ÛJè ÓF"
³hg8@<s i"hãH (X(D"BJ"4 ¦Bz "ÛJ`<, «…non soltanto Elia è già venuto, ma gli hanno
fatto ciò che hanno voluto, come è scritto su di lui» (Mc 9,13).
nT<gÃ: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da nT<XT, chiamare, gridare; cf. Mc 1,26.

15,36 *D":ã< *X J4H [i"Â] (g:\F"H FB`((@< Ð>@LH BgD4hgÂH i"8V:å ¦B`J4.g<
"ÛJ`< 8X(T<s }!ngJg Ç*T:g< gÆ §DPgJ"4 z/8\"H i"hg8gÃ< "ÛJ`<.
15,36 Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la mise su una canna e gli dava da bere,
dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a tirarlo giù».

*D":f<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da JDXPT, correre; cf. Mc 5,6. Participio predicativo
di valore espletivo del soggetto J4H.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
J4H: pron. indefinito (enclitico), nom. sing. m. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\),
un certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; soggetto. Questo «tizio» indeterminato è
probabilmente uno dei soldati romani incaricati della crocifissione: ciò può essere dedotto sia
dal tipo di bevanda che viene offerta a Gesù (la posca, bevanda di acqua e aceto in uso alle
guardie romane; cf. Lc 23,36; Gv 19,29) sia dal fatto che soltanto alle guardie era permesso
avvicinarsi al condannato.
[i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4. La congiunzione è
presente nei codici !, A, C, 059, 083, f1, 33. È assente, invece, in B, L, Q, f13, 2427, 2542.
L’eventuale aggiunta o omissione della congiunzione è in ogni caso assolutamente
ininfluente per la retta comprensione del testo.].
1082 Mc 15,36

(g:\F"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da (g:\.T, riempire, colmare; cf. Mc 4,37. Participio
predicativo del soggetto J4H.
FB`((@<: sost., acc. sing. m. da FB`((@H, –@L, spugna; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre
3 volte nel NT: Mt 27,48; Mc 15,36 (hapax marciano); Gv 19,29. Senza articolo perché
generico. Già in Omero il sostantivo FB`((@H indica la «spugna» (cf. Omero, Il., 18,414;
Od., 1,111; Aristofane, Ves., 600).
Ð>@LH: acc. gen. sing. n. da Ð>@H, –@LH, aceto, posca; compl. di materia. Il vocabolo ricorre 6
volte nel NT: Mt 27,48; Mc 15,36 (hapax marciano); Lc 23,36; Gv 19,29[x2].30. Sebbene
nell’uso profano il sostantivo Ð>@H designi l’«aceto» (cf. Eschilo, Ag., 322; Aristofane, Pl.,
720) è molto probabile che nel nostro caso il vocabolo sia impiegato nel significato di posca,
la mistura di vino acido e acqua usata dai soldati romani come bevanda rinfrescante,
specialmente nei climi caldi dell’Oriente (cf. Plauto, Miles, 836; Truc., 610) o, in altre
occasioni, come bevanda medicinale (cf. Plinio il Vecchio, Nat. hist., 27,29). Plutarco la
descrive nel modo seguente: …[5VJT<] à*TD *z §B4<g< ¦BÂ FJD"Jg\"H, B8¬< gÇB@Jg
*4RZF"H BgD4n8g(äH Ó>@H "ÆJZFg4g<, «…nelle campagne di guerra [Catone] beveva
soltanto acqua, eccetto qualche volta in cui, avendo sete, chiedeva dell’aceto» (Id., Cato M.,
1,10,1–2). Anche presso gli Ebrei si conosceva l’uso di questa bevanda (cf. Nm 6,3; Rt 2,14;
cf. Strack–Bill., II,264).
BgD4hg\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da BgD4J\h0:4 (da BgD\ e J\h0:4), mettere intorno,
circondare; cf. Mc 12,1. Participio predicativo del soggetto J4H.
i"8V:å: sost., dat. sing. m. da iV8":@H, –@L, canna; cf. Mc 15,19; compl. di stato in luogo.
Senza articolo perché generico.
¦B`J4.g<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da B@J\.T, dare da bere, far bere; cf. Mc 9,41.
Imperfetto durativo. L’offerta dell’aceto deve essere considerata nel contesto di scherno e
derisione da parte dei presenti: non si tratta di un gesto di pietà né di tortura, ma di falso
conforto, quello di prolungare per un po’ la vita del “messia” per vedere se, per caso, Elia
può venire a salvarlo. Dal punto di vista di Gesù si tratta di un’ultima tentazione messianica.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
8X(T<: verbo, nom. sing. m. part. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Participio predicativo del soggetto J4H. L’uso di 8X(T dopo i verbi cosiddetti
dicendi («dire», «proclamare», «annunciare», «interrogare», «rispondere», «deliberare», ecc.),
frequentissimo nel NT, è un ebraismo dovuto alla traduzione servile della forma verbale
9J/!-F, le)’mo) r, equivalente al gerundio «dicendo» e impiegata per introdurre il discorso
diretto, in sostituzione del segno grafico dei due punti (:), inesistente in ebraico come in
greco. Nelle traduzioni questa tipica forma può essere omessa.
}!ngJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. aor. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare,
rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18. L’enfatico –ngJg, che normalmente ha il significato
preciso di «lasciate[lo]», qui svolge la funzione di ausiliare, con valore esortativo, in
riferimento al successivo verbo. Potrebbe essere tradotto anche mediante una esclamazione:
«Orsù! Vediamo se…!».
Mc 15,37 1083

Ç*T:g<: verbo, 1a pers. plur. congiunt. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf.
Mc 1,10. Questa forma verbale costituisce ciò che viene definito un “congiuntivo esortativo”:
il verbo, al modo congiuntivo all’interno di una proposizione principale, è sempre in prima
persona ed è usato per esprimere una esortazione, un incitamento, un incoraggiamento, come
se si trattasse della prima persona del modo imperativo. Per altri esempi di congiuntivo
esortativo cf. Mc 1,38; 4,35; 9,5; 11,32; 12,7; 14,42; 15,36.
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7. In alcuni casi, come qui e in Mc 11,13, la congiunzione gÆ non viene
usata per introdurre una proposizione ipotetica o una proposizione interrogativa indiretta o
dubitativa, ma con un valore particolare, per esprimere l’aspettazione che accompagna una
azione o un moto dell’animo (lat. si forte). In italiano equivale alla locuzione «se per caso»,
«caso mai», «se forse».
§DPgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7.
z/8\"H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z/8\"H, –@L, Elia; cf. Mc 6,15;
soggetto.
i"hg8gÃ<: verbo, inf. aor. da i"h"4DXT (da i"JV e "ÊDX@:"4), tirare giù, liberare. Questo
verbo ricorre 9 volte nel NT: Mc 15,36.46; Lc 1,52; 12,18; 23,53; At 13,19.29; 19,27; 2Cor
10,4. Infinito di valore finale. La vasta e poliedrica gamma semantica di i"h"4DXT attestata
nel greco classico ed ellenistico («tirare giù», «demolire», «prendere», «catturare», «uccidere»,
«sciogliere», ecc.) si riflette anche nell’uso neotestamentario. Nelle due ricorrenze marciane
il verbo significa sempre «tirare giù», «far scendere», in senso fisico, detto di Gesù che viene
tolto dalla croce. Il verbo, tuttavia, è impiegato anche nel greco classico per indicare
tecnicamente lo «staccare» o il «tirare giù» dal patibolo un crocifisso (cf. Polibio, Hist.,
1,86,6; Filone di Alessandria, Flacc., 83–84; Giuseppe Flavio, Bellum, 4,317).
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.

15,37 Ò *¥ z30F@ØH •ngÂH nT<¬< :g(V80< ¦>XB<gLFg<.


15,37 Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
La congiunzione avversativa contrappone con decisione la morte di Gesù dal gesto di
derisione dell’anonimo che offre da bere al crocifisso nell’attesa che compaia miracolosamen-
te Elia a salvarlo.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
•ng\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da •n\0:4 (da •B` e Ë0:4), lasciare, abbandonare,
rimettere, perdonare; cf. Mc 1,18. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto
z30F@ØH. La proposizione participiale •ngÂH nT<¬< :g(V80< non ha un valore
1084 Mc 15,38

circostanziale o temporale, ma strumentale: «Gesù, dando un forte grido, spirò» e non


«Gesù, dopo aver dato un forte grido, spirò». Le due azioni sono concomitanti. Il participio
si identifica con il verbo principale della clausola, come avviene altrove in Marco (cf. Mc
1,18.20; 4,36; 7,8). Perciò il grido emesso da Gesù è legato strettamente al suo spirare: è
come dire che il forte grido fu il suo ultimo respiro.
nT<Z<: sost., acc. sing. f. da nT<Z, –­H, voce, suono, discorso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
Senza articolo perché generico.
:g(V80<: agg. indefinito, acc. sing. f. da :X("H, :g(V80, :X(", grande; cf. Mc 1,26;
attributo di nT<Z<. Questo secondo grido di Gesù sulla croce è qualitativamente diverso dal
primo (v. 34) e, dunque, l’ipotesi che sia un doppione deve essere scartata: il primo è un
grido di preghiera ad alta voce rivolto a Dio; il secondo è il grido inarticolato di chi sta per
morire.
¦>XB<gLFg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦iB<XT (da ¦i e B<XT), spirare. Questo verbo
ricorre 3 volte nel NT: Mc 15,37.39; Lc 23,46. Nella grecità il verbo ¦iB<XT è impiegato
nel significato neutro di «espirare», «soffiare», «esalare» (cf. Platone, Phaed., 112b;
Aristotele, Hist. anim., 492b 6; Eschilo, Prom., 359). Unito a $\@< acquista il senso di
«esalare la vita», «spirare», ossia «morire» (cf. Eschilo, Ag., 1493), secondo l’antica
concezione antropologica dell’esistenza, la quale ritiene che nel momento della morte la vita
lascia il corpo andandosene con il respiro. Il verbo è nella diatesi attiva e mostra che Gesù
non si è lasciato morire passivamente, ma volontariamente. Si potrebbe quasi affermare che
l’ultima azione voluta e compiuta da Gesù sia stata quella di esalare l’ultimo respiro. Come
sopra accennato, nella morte di Gesù la «grande voce» e lo «spirare» debbono essere
intimamente uniti: i due complementi sono entrambi retti dallo stesso soggetto (Gesù) e
hanno significato contiguo poiché in Marco la «voce» (con o senza l’aggettivo «grande»)
quando coinvolge Gesù è strumento di rivelazione (cf. Mc 1,11; 9,7; 15,37). Il gridare e lo
spirare di Gesù sono allora simultanei e il gridare è il modo dello spirare per comunicare
l’ultima rivelazione e la totale espressione della sua identità. Per quanto riguarda la cronologia
della morte di Gesù, il 15/ giorno del mese di Nisan (corrispondente a venerdì 7 aprile
dell’anno 30) è la data più probabile.

15,38 5" JÎ i"J"BXJ"F:" J@Ø <"@Ø ¦FP\Fh0 gÆH *b@ •Bz –<Thg< ªTH iVJT.
15,38 Il velo del Tempio si squarciò in due, dall’alto in basso.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


J`: art. determ., nom. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
i"J"BXJ"F:": sost., nom. sing. n. da i"J"BXJ"F:", –J@H, velo, tenda; soggetto. Il vocabolo
ricorre 6 volte nel NT: Mt 27,51; Mc 15,38 (hapax marciano); Lc 23,45; Eb 6,19; 9,3; 10,20.
Da un punto di vista storico e archeologico non è possibile sapere con certezza se
i"J"BXJ"F:" indichi il velo esistente all’ingresso del «Santo» (corrispondente all’ebraico
…2I/I , ma) sa) k, cf. Es 26,36) o quello posto più internamente, tra il Santo e il «Santo dei Santi»
(;,FJ9I, pa) ro) k5e5t , cf. Es 26,31): il vocabolo greco, infatti, è usato nei LXX per tradurre
entrambe le voci ebraiche (cf. Es 26,37; Nm 3,26, per ma) sa) k; Es 26,31.35; 27,21; 30,6; 2Cr
Mc 15,38 1085

3,14, per pa) ro) k5e5t ), come del resto avviene in Giuseppe Flavio (cf. Id., Bellum, 5,212.219;
Antiq., 8,75.90). Tuttavia, poiché nella prospettiva teologica di Marco la distruzione di tale
velo simboleggia la distruzione dello stesso giudaismo (vedi sotto), molto probabilmente il
vocabolo indica qui il velo interno, poiché soltanto alla parola pa) ro Gk5e5t si addice un alto
significato cultuale (cf. Lv 4,6.17; 16,2.12).
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
<"@Ø: sost., gen. sing. m. da <"`H, –@Ø, tempio, santuario; cf. Mc 14,58; compl. di specificazio-
ne.
¦FP\Fh0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da FP\.T, dividere, fendere, lacerare, squarciare;
cf. Mc 1,10. Pur ritenendo che la scissione del Tempio è considerata dall’Autore come un
evento simbolico e teologico (vedi sotto), non si può considerare ¦FP\Fh0 come un vero
passivo divino, poiché non sembra possibile che Marco abbia potuto attribuire a Dio una
azione così materiale come quella di lacerare una tenda.
gÆH: prep. propria di valore determinativo, seguita dall’accusativo, circa, fino a, in; cf. Mc 1,4.
*b@: agg. numerale, cardinale, acc. plur. m. da *b@ (gen. *b@, dat. *LF\<, acc. *b@), due; cf.
Mc 6,7; compl. di modo, con il sostantivo :XD@H «parte», sottinteso: ¦FP\Fh0 gÆH *b@
[:XD0], «si divise in due [parti]».
•Bz: (= •B`), prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da;
cf. Mc 1,9.
–<Thg<: avv. di luogo, indecl., da sopra, dall’alto. Il vocabolo ricorre 13 volte nel NT: Mt
27,51; Mc 15,38 (hapax marciano); Lc 1,3; Gv 3,3.7.31; 19,11.23; At 26,5; Gal 4,9; Gc
1,17; 3,15.17.
ªTH: prep. impropria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., fino a, sino a; cf. Mc 6,10.
iVJT: avv. di luogo, indecl., giù, sotto, in basso; cf. Mc 14,66. Questa reiterata scissione del
velo del Tempio «in due», «dall’alto in basso», non è certo a favore del Tempio, perché
suggerisce la perdita completa di un elemento importante del suo arredamento; tale
scissione, inoltre, è irrimediabile: il giudizio di Dio sulla economia giudaica è definitivo, non
più interlocutorio e medicinale, come era stato nell’AT. L’antica alleanza sinaitica era già
stata infranta da Israele (non da Dio, che non l’ha mai revocata: cf. Lv 26,44; Gdc 2,1; Ger
33,21) e non esisteva più (cf. Ger 31,32; vedi commento a Mc 14,24); adesso finisce anche
il culto: non sarà più possibile ricucire il velo del Tempio, con la carica simbolica che esso
rappresenta. In tal senso Marco formula un vaticinio ante eventu: si deve ricordare, infatti,
che la redazione finale del secondo vangelo è certamente avvenuta prima del 70 d.C., ossia
prima della conquista di Gerusalemme e della distruzione del Tempio da parte delle truppe
di Vespasiano e Tito. Mentre la distruzione fisica dello ÊgD`< («Tempio») in Mc 13,2 è
intesa come avvenimento storico, consumato con il ferro e il fuoco dalle truppe romane, la
distruzione del <"`H («santuario») ha per protagonista il Cristo Salvatore: si tratta, cioè, di
un evento teologico. Non è, dunque, soltanto il velo fisico del tempio a essere lacerato e
distrutto dalla morte di Gesù né soltanto il culto, di cui il santuario era luogo privilegiato, ma
tutto il giudaismo, incapace di riconoscere e accogliere la novità evangelica.
1086 Mc 15,39

15,39 z3*ã< *¥ Ò ig<JLD\T< Ò B"DgFJ0iãH ¦> ¦<"<J\"H "ÛJ@Ø ÓJ4 @àJTH ¦>XB<gLF
g< gÉBg<s z!80häH @âJ@H Ò –<hDTB@H LÊÎH hg@Ø µ<.
15,39 Il centurione che gli stava di fronte, avendolo visto spirare in quel modo disse:
«Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».

z3*f<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc
1,10. Participio predicativo del soggetto Ò ig<JLD\T<. Marco usa spesso il participio con
un significato temporale (cf. Mc 2,5.16; 5,6.22; 6,48.49; 7,2; 8,33; 9,20.25; 10,14; 12,34;
14,67.69; 15,39).
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
ig<JLD\T<: sost., nom. sing. m. da ig<JLD\T<, –T<@H, centurione; soggetto. Il vocabolo
ricorre 3 volte nel NT: Mc 15,39.44.45. Traslitterazione grecizzata della parola di origine
latina centurio, ossia comandante di una centuria (= corpo di 100 soldati), la più piccola
unità militare romana. Nel greco ellenistico è attestato anche nella forma ig<J@LD\T<. Il
centurione riceveva la nomina dal tribuno ed era di rango inferiore.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
B"DgFJ0ifH: verbo, nom. sing. m. part. perf., con valore aggettivale, da B"D\FJ0:4 (da B"DV
e ËFJ0:4), avvicinare, presentare, essere presente; cf. Mc 4,29. Participio predicativo del
soggetto ig<JLD\T<.
¦>: (= ¦i), prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
¦<"<J\"H: agg. qualificativo, gen. sing. f. da ¦<"<J\@H, –", –@<, opposto, contrario, ostile; cf.
Mc 6,48; compl. di stato in luogo. L’espressione ¦> ¦<"<J\"H è usata come locuzione
avverbiale, di valore locale («dalla parte opposta», «di fronte»), come avviene nel greco
classico (cf. Erodoto, Hist., 7,225,3; 8,7,1) e nei LXX (cf. Es 14,2.9; 36,25; Gs 8,11;
19,12.13, ecc.).
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.
@àJTH: avv. di modo, indecl., così, in tal modo, in questa maniera; cf. Mc 2,7. Per alcuni
questo avverbio deve essere riferito al «forte grido» emesso da Gesù poco prima di morire
(«Gesù, dando un forte grido, spirò», Mc 15,37). Secondo questi commentatori il centurione
sarebbe stato indotto al suo atto di fede da questo grido altissimo. Tale interpretazione non
sembra essere sostenibile sul piano grammaticale: a) il centurione «vede» morire Gesù: il
verbo ÒDVT è appropriato per la percezione di una visione, non di una voce; b) altrove in
Marco l’avverbio @àJTH è usato non in riferimento a un singolo fatto, ma a un insieme di
elementi, come ad esempio per introdurre una intera parabola con tutti i suoi particolari
(«Così è il Regno di Dio…», Mc 4,6) o retrospettivamente in riferimento a tutto un episodio
(«Non abbiamo mai visto nulla di simile», Mc 2,12). Dunque sono tutte insieme le
circostanze che accompagnano la morte di Gesù in croce a provocare le parole del
centurione e non soltanto il singolo grido.
Mc 15,39 1087

¦>XB<gLFg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦iB<XT (da ¦i e B<XT), spirare; cf. Mc 15,37.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
z!80häH: avv. di modo, indecl., veramente, realmente, in verità; cf. Mc 14,70.
@âJ@H: pron. dimostrativo, nom. sing. m. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 2,7;
attributo di –<hDTB@H, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
–<hDTB@H: sost., nom. sing. m. da –<hDTB@H, –@L, uomo, essere umano; cf. Mc 1,17;
soggetto. Per individuare Gesù sarebbe stato sufficiente il semplice pronome dimostrativo
@âJ@H: con l’aggiunta di –<hDTB@H il centurione (e Marco dietro di lui) mette in rilievo
l’umanità di Gesù, su cui subito dopo emerge la divinità indicata dal titolo LÊÎH hg@Ø.
LÊ`H: sost., nom. sing. m. da LÊ`H, –@Ø, figlio; cf. Mc 1,1; predicato nominale.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione. Alcuni
commentatori traducono l’espressione inarticolata LÊÎH hg@Ø in modo letteralista («un figlio
di Dio») e la intendono come una specie di attributo o apposizione riferita a Gesù (=
«Veramente quest’uomo era un essere divino»). Al contrario la frase LÊÎH hg@Ø, nonostante
l’assenza materiale dell’articolo, deve essere tradotta «il figlio di Dio», non «un figlio di Dio»,
poiché nella lingua greca spesso l’articolo manca davanti al predicato (attributo) quando
questo precede il verbo (cf. Mt 4,3.6; 14,33; 27,40.43.54; Lc 1,32; 4,3.9; Gv 1,49; 10,36;
19,7): «Usum articuli in praedicato admodum dependit a positione nominis praedicativi ante
vel post verbum. Ante verbum solet amitti (etiam si nomen certo est determinatum), post
verbum solet poni. Haud pauca sunt exempla valde persuasiva: Io 1,49 F× gÉ Ò LÊÎH J@Ø
hg@Øs F× $"F48g×H gÉ J@Ø z3FD"Z8, vel Io 19,21 “noli scribere Ò $"F48g×H Jä<
z3@L*"\T<, sed quia ipse dixit $"F48gbH gÆ:4 Jä< z3@L*"\T<”. Idem titulus cum articulo
post verbum Mt 27,11.37; Mc 15,2; Lc 23,3.37; Io 18,33. Similiter titulus “Filius Dei” in
praedicato: decies ter cum articulo, semper post verbum, decies sine art. quorum novies ante
verbum. Alia bona exempla vide Mt 13,37–39 et Mt 23,8–10. Ex hoc pro exegesi sequeretur:
nomen praecedens verbum et carens articulo, propter solum defectum articuli nondum debet
intellegi qualitative (e.g. Io 1,1, i"Â hgÎH µ< Ò 8`(@H). Nomen sequens verbum er carens
articulo a fortiori sumi debet qualitative» (Zerwick Max, Graec., § 175). La cosiddetta
“confessione” del centurione rappresenta l’apice del percorso ascendente sulla identificazione
cristologica di Gesù operata da Marco nel suo vangelo, come è possibile evidenziare nel
seguente prospetto:

Mc 1,1 z!DP¬ J@Ø gÛ"((g8\@L z30F@Ø OD4FJ@Ø


Mc 1,11 nT<¬ ¦(X<gJ@ ¦i Jä< @ÛD"<ä<s E× gÉ Ò LÊ`H :@L Ò •("B0J`Hs ¦<
F@Â gÛ*`i0F"
Mc 3,11 J B<gb:"J" J •iVh"DJ" […] BD@FXB4BJ@< "ÛJè i" §iD".@<
8X(@<JgH ÓJ4 E× gÉ Ò LÊÎH J@Ø hg@Ø
Mc 5,7 I\ ¦:@Â i"Â F@\s z30F@Ø LÊ¥ J@Ø hg@Ø J@Ø ßR\FJ@L
Mc 8,29 Ò AXJD@H 8X(g4 "ÛJès E× gÉ Ò OD4FJ`H
1088 Mc 15,40

Mc 9,7 ¦(X<gJ@ nT<¬ ¦i J­H <gnX80Hs ?âJ`H ¦FJ4< Ò LÊ`H :@L Ò •("B0-
J`H
Mc 14,61 Ò •DP4gDg×H ¦B0DfJ" "ÛJÎ< i" 8X(g4 "ÛJès E× gÉ Ò OD4FJÎH Ò
LÊÎH J@Ø gÛ8@(0J@Øp
Mc 15,39 Ò ig<JLD\T< […] gÉBg<s z!80häH @âJ@H Ò –<hDTB@H LÊÎH hg@Ø
µ<.
È sorprendente (ma significativo) che la confessione di fede in Gesù, «Figlio di Dio»,
culmine di tutto il vangelo, sia proclamata non da un giudeo o da un discepolo e neppure dal
redattore (come sopra abbiamo detto, l’espressione «Figlio di Dio» in Mc 1,1 non appartiene
al testo originale), ma da un pagano, il quale è il primo personaggio umano a penetrare il
segreto dell’identità di Gesù. Con questa sua confessione/dichiarazione, proclamata alla fine
della vicenda umana di Gesù, il segreto messianico è finalmente rivelato nella sua pienezza:
Gesù di Nazaret è il Figlio di Dio.
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. L’imperfetto che chiude la proposizione esprime una realtà appena accaduta e, quindi,
vera, non fittizia.

15,40 ‚/F"< *¥ i" (L<"ÃigH •BÎ :"iD`hg< hgTD@ØF"4s ¦< "ÍH i" 9"D\" º
9"(*"80<¬ i"Â 9"D\" º z3"if$@L J@Ø :4iD@Ø i"Â z3TF­J@H :ZJ0D i"Â
E"8f:0s
15,40 C’erano anche alcune donne che osservavano da lontano, tra le quali Maria di
Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome,

‚/F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf.
Mc 1,6.
*X: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,8. Unita a i"\ (cf. anche Mc
14,31), la particella *X ha valore rafforzativo («certo», «perfino», «e precisamente»).
i"\: cong. coordinativa di valore aggiuntivo, indecl., anche, perfino, inoltre, altresì; cf. Mc 1,4.
Il significato aggiuntivo di i"\ è presente in Mc 1,27b.38b; 2,15b.26c.28; 3,19b; 4,24b;
6,34b; 7,18b; 8,3b.7ac.38c; 9,22a; 11,25b; 12,22b; 13,29; 14,9.29.31; 15,31.40ab.43a.
(L<"ÃigH: sost., nom. plur. f. da (L<Z, (L<"4i`H, donna; cf. Mc 5,25; soggetto. Senza
articolo perché non ancora menzionate.
•B`: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da; cf. Mc
1,9. Uso pleonastico di •B`, come avviene altrove (cf. Mc 5,6; 8,3; 11,13; 14,54).
:"iD`hg<: avv. di luogo, indecl., da lontano, in lontananza; cf. Mc 5,6.
hgTD@ØF"4: verbo, nom. plur. f. part. pres. da hgTDXT, guardare, vedere; cf. Mc 3,11.
Participio predicativo del soggetto (L<"ÃigH. Il participio è retto da µF"< in costruzione
perifrastica («erano osservanti»), al posto dell’usuale imperfetto «osservavano».
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
Mc 15,40 1089

"ÍH: pron. relativo, dat. plur. f. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; compl. di stato in luogo. La forma
"ÍH ricorre 14 volte nel NT rispetto alle 1407 ricorrenze totali di questo pronome. La
distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 11,20; 27,56; Mc 15,40; Lc 1,25; 13,14; 21,6;
23,29.
i"\: cong. coordinativa di valore aggiuntivo, indecl., anche, perfino, inoltre, altresì; cf. Mc 1,4.
Il significato aggiuntivo di i"\ è presente in Mc 1,27b.38b; 2,15b.26c.28; 3,19b; 4,24b;
6,34b; 7,18b; 8,3b.7ac.38c; 9,22a; 11,25b; 12,22b; 13,29; 14,9.29.31; 15,31.40ab.43a.
9"D\": sost., nome proprio di persona, nom. sing. f. da 9"D\", –"H, Maria; cf. Mc 6,3;
soggetto.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
9"(*"80<Z: agg. determinativo, nom. sing. f. da 9"(*"80<`H, –@Ø, Maddaleno, abitante
di Magdala; attributo di 9"D\". Il vocabolo ricorre 12 volte nel NT: Mt 27,56.61; 28,1; Mc
15,40.47; 16,1.9; Lc 8,2; 24,10; 19,25; 20,1.18. Nome demotico per gli abitanti di
9V(*"8", traslitterazione grecizzata del toponimo di origine ebraica -! F -yI#A/
E , Mig) da) l ’e)l,
«Torre di Dio» (cf. Gs 19,38). La cittadina, menzionata nelle fonti antiche anche con il nome
greco di Tarichea (I"D4Pg\"H), era posta a circa 4 km dalla sponda occidentale del lago di
Genezaret. Lo storico Strabone accenna all’attività ittica che si svolgeva nelle sue sponde
rivierasche: «Nel luogo chiamato Tarichea il lago fornisce pesci eccellenti da salare» (Id.,
Geogr., 16,2,45). Tarichea è presentata da Svetonio come una città straordinariamente
munita, occupata nel 67 d.C. da Tito dopo una difficile battaglia: «[Titus] Taricheas et
Gamalam urbes Iudaeae validisimmas in potestatem redegit», «[Tito] si impadronì di
Tarichea e Gamala, due importantissime città della Giudea» (Svetonio, Titus, 4,3). Giuseppe
Flavio pone la città a trenta stadi (= circa 6 km) da Tiberiade (cf. Id., Vita, 157) e scrive che
ai suoi tempi era dotata di un ippodromo e contava circa 40.000 abitanti (cf. Id., Bellum,
2,599.608). È scritta dal campo di Tarichea la lettera che il proconsole G. Cassio Longino
spedisce a Cicerone il 7 marzo del 43 a.C.: «D. Nonis Martiis ex castris Taricheis» (Cicerone,
Ad fam., 12,11). Nove anni prima, nel 52 a.C., nelle vesti di proquestore di Siria, Cassio
aveva preso Tarichea e catturato 30.000 Giudei (cf. Giuseppe Flavio, Bellum, 1,180).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
9"D\": sost., nome proprio di persona, nom. sing. f. da 9"D\", –"H, Maria; cf. Mc 6,3;
soggetto.
º: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5; soggetto.
Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale "ÛJ`H,
[quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
z3"if$@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z3ViT$@H, –@L, Giacomo; cf. Mc
1,19; compl. di specificazione. L’espressione 9"D\" º z3"if$@L, alla lettera «Maria
[quella] di Giacomo» è di per sé equivoca, potendo significare: a) Maria, moglie di Giacomo;
b) Maria, figlia di Giacomo; c) Maria, madre di Giacomo. La terza ipotesi è quella che si
impone, se si considera l’analoga espressione 9"D\" º z3TF­J@H di Mc 15,47, resa in Mc
15,40 come z3TF­J@H :ZJ0D, «la madre di Ioses».
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
1090 Mc 15,41

:4iD@Ø: agg. indefinito, di grado comparativo, gen. sing. m. da :4iD`H, –V, –`<, piccolo, poco,
corto, breve; cf. Mc 4,31; attributo di z3"if$@L. Questo Giacomo definito «il minore» non
deve essere identificato né con Giacomo, «fratello» di Gesù (cf. Mc 6,3) né con l’apostolo
Giacomo, «il figlio di Zebedeo» (Mc 1,19). Marco attribuisce l’appellativo distintivo «il
minore» a questo personaggio proprio per distinguerlo dalle altre due persone di nome
Giacomo. Qui quasi certamente si tratta dell’apostolo Giacomo di Alfeo. Incerta resta l’esatta
interpretazione dell’aggettivo che funge da soprannome: può intendersi sia in senso temporale
(= «il più giovane», rispetto a un altro Giacomo, più anziano) sia in senso letterale proprio
(= «il più basso»), in riferimento a un altro Giacomo di statura più elevata (cf. Lc 19,3).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
z3TF­J@H: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z3TF­H, –­J@H, Ioses; cf. Mc 6,3;
compl. di specificazione.
:ZJ0D: sost., nom. sing. f. da :ZJ0D, :0JD`H, madre; cf. Mc 3,31; apposizione di 9"D\".
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
E"8f:0: sost., nome proprio di persona, nom. sing. f. da E"8f:0, –0H, Salome; soggetto. Il
vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mc 15,40; 16,1. Traslitterazione grecizzata del nome
proprio femminile di origine ebraica, .|-– I , Ša) lôm, «Pacifica» (cf. y.Shebi., 6,36c; b.Erub.,
63a, in riferimento alla moglie di Rabbi Eliezer). Nonostante questo nome fosse abbastanza
comune tra le donne ebree non abbiamo altre notizie di questo personaggio femminile
menzionato nel NT soltanto da Marco.

15,41 "Ì ÓJg µ< ¦< J± '"848"\‘ ²i@8@bh@L< "ÛJè i" *40i`<@L< "ÛJès i" –88"4
B@88" "Ê FL<"<"$F"4 "ÛJè gÆH {3gD@F`8L:".
15,41 le quali, quando egli era in Galilea, lo seguivano e lo servivano, e molte altre che
erano salite con lui a Gerusalemme.

"Ë: pron. relativo, nom. plur. f. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; soggetto. La forma "Ë ricorre 5
volte nel NT rispetto alle 1407 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei
vangeli è la seguente: Mc 15,41; Lc 8,2; 23,27.29.
ÓJg: cong. subordinativa di valore temporale, indecl., quando, allorché, ogni volta che, mentre;
cf. Mc 1,32.
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. Il soggetto logico è Gesù.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
'"848"\‘: sost., nome proprio di regione, dat. sing. f. da '"848"\", –"H, Galilea; cf. Mc 1,9;
compl. di stato in luogo.
²i@8@bh@L<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da •i@8@LhXT, seguire, accompagnare,
mettersi dietro; cf. Mc 1,18. Imperfetto durativo. L’utilizzo di questo verbo “tecnico” in
Mc 15,42 1091

riferimento a queste donne fa di esse una specie di «discepole» di Gesù, poiché lo stesso
verbo è quello solitamente usato da Marco (e nel NT) per esprimere l’idea della sequela (cf.
Mc 1,18; 2,14.15; 5,24; 6,1; 8,34; 9,38; 10,21.28.32.52).
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
*40i`<@L<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da *4"i@<XT, servire, amministrare, provvedere;
cf. Mc 1,13. Imperfetto durativo.
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di termine.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
–88"4: pron. indefinito, nom. plur. f. da –88@H, –0, –@, altro, un altro; cf. Mc 4,5; soggetto.
B@88"\: agg. indefinito, nom. plur. f. da B@8bH, B@88Z, B@8b, molto, tanto, grande; cf. Mc
1,34; attributo di –88"4.
"Ê: art. determ., con valore pronominale, nom. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 2,5; soggetto.
Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale "ÛJ`H,
[quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
FL<"<"$F"4: verbo, nom. plur. f. part. aor. da FL<"<"$"\<T (da Fb< e •<"$"\<T), salire
insieme. Questo verbo ricorre 2 volte nel NT: Mc 15,41 (hapax marciano); At 13,31.
Participio predicativo del soggetto –88"4. Nella grecità il verbo FL<"<"$"\<T, in
conformità all’etimologia, viene usato nel senso di «salire insieme verso», «andare su
insieme» (cf. Erodoto, Hist., 7,6,4; Senofonte, Anab., 5,4,16). L’espressione «salire a
Gerusalemme» (o «scendere da Gerusalemme») è tipica della Bibbia, perché la città rispetto
ai dintorni è situata a una altezza maggiore. L’espressione è antica e comune nella Bibbia (cf.
2Sam 19,35; 2Re 16,5; 18,17; Mt 20,17–18; Mc 10,32.33; Lc 2,42; 19,28; Gv 2,13; 5,1; At
11,2; 25,1.9).
"ÛJè: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,13; compl. di compagnia.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
{3gD@F`8L:": sost., nome proprio di città, acc. plur. n. da {3gD@F`8L:", –T<, Gerusalemme;
cf. Mc 3,8; compl. di moto a luogo.

15,42 5" ³*0 ÏR\"H (g<@:X<0Hs ¦Bg µ< B"D"FigLZ Ó ¦FJ4< BD@FV$$"J@<s
15,42 Venuta ormai la sera, poiché era il giorno della Preparazione, cioè la vigilia del
sabato,

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


³*0: avv. di tempo, indecl., già, ora, subito; cf. Mc 4,37.
1092 Mc 15,42

ÏR\"H: sost., gen. sing. f. da ÏR\", –"H (da ÏRX), sera, vespero, serata; cf. Mc 1,32; compl. di
tempo determinato. Il riferimento cronologico alla «sera» è motivato dal fatto che il corpo di
Gesù doveva essere sepolto prima dell’inizio del sabato che, secondo il computo ebraico del
tempo, cominciava al tramonto del sole, ossia al sopraggiungere della sera. Se consideriamo
che Gesù muore attorno alle 15,30 delle nostre ore (vedi commento a Mc 15,25.34) si può
ragionevolmente ritenere che l’intervento di Giuseppe presso Pilato abbia avuto luogo attorno
alle ore 16,00 e la successiva deposizione di Gesù attorno alle ore 17,00–17,30, ossia quando
alla longitudine di Gerusalemme, nel mese di aprile, cominciava l’imbrunire della sera.
(g<@:X<0H: verbo, gen. sing. f. part. aor. medio da (\<@:"4, divenire, iniziare a esistere,
nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4. Participio al genitivo assoluto. La frase
ÏR\"H (g<@:X<0H appare nella forma detta “genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con
valore temporale.
¦Bg\: (da ¦B\ e gÆ), cong. causale, indecl., poiché, siccome, visto che. Il vocabolo ricorre 26
volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mt 18,32; 21,46; 27,6; Mc 15,42
(hapax marciano); Lc 1,34; Gv 13,29; 19,31. Usato nelle proposizioni enunciative ¦Bg\ ha
sempre il significato motivante.
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
B"D"FigLZ: sost., nom. sing. f. da B"D"FigLZ, –­H, preparazione, «parasceve»; soggetto. Il
vocabolo ricorre 6 volte nel NT: Mt 27,62; Mc 15,42 (hapax marciano); Lc 23,54; Gv
19,14.31.42. Il termine è usato come nome comune anche nella letteratura pagana nel senso
generale e profano di «preparazione» a una attività, un avvenimento, una festa, ecc. (cf.
Senofonte, Mem., 4,2,6; Platone, Epist., 326a; Erodoto, Hist., 3,25,1; Aristofane, Achar.,
190). In Giuseppe Flavio viene usato per indicare la «preparazione» o «vigilia» alla festa del
sabato, ossia il venerdì (cf. Id., Antiq., 16,163). Nel nostro caso questa “preparazione” era
tanto più solenne perché, oltre a essere la vigilia del sabato, era anche la vigilia della Pasqua,
come riferisce esplicitamente Gv 19,42 in occasione del processo civile di Gesù: µ< *¥
B"D"FigL¬ J@Ø BVFP", «era la Preparazione della Pasqua».
Ó: pron. relativo, nom. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24; soggetto.
¦FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6. L’espressione Ó ¦FJ4<, «che è», equivale alle espressioni «che significa», «che
corrisponde a», «vale a dire». Questa formula è presente 9 volte: Mc 3,17; 5,41; 7,11.34;
12,42; 15,16.22.34.42. La forma neutra del pronome relativo, in riferimento a un nome di
genere femminile, è dovuta al fatto che nel greco ellenistico Ó ¦FJ4< e J@ØJz §FJ4<
diventano formule fisse e invariabili, come l’italiano «cioè», «ossia».
BD@FV$$"J@<: sost., nom. sing. n. da BD@FV$$"J@<, –@L (da BD` e FV$$"J@<), vigilia del
sabato; predicato nominale. Hapax neotestamentario. Come avviene altrove (cf. Mc 3,17;
5,41; 7,11.34; 12,42; 15,16.22.34.42) Marco offre la spiegazione dei termini ebraici o
aramaici che potevano essere incomprensibili ai suoi lettori. Il vocabolo BD@FV$$"J@<,
letteralmente «il [giorno] precedente il sabato», è l’equivalente del termine grecizzato
B"D"FigLZ (cf. Mc 15,42). In Gdt 8,6 (LXX) indica la «vigilia» del sabato, ossia il venerdì.
Mc 15,43 1093

15,43 ¦8hã< z3TF¬n [Ò] •BÎ {!D4:"h"\"H gÛFPZ:T< $@L8gLJZHs ÔH i" "ÛJÎH
µ< BD@F*gP`:g<@H J¬< $"F48g\"< J@Ø hg@Øs J@8:ZF"H gÆF­8hg< BDÎH JÎ<
A48J@< i" ¶JZF"J@ JÎ Fä:" J@Ø z30F@Ø.
15,43 Giuseppe di Arimatea, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anche lui il
regno di Dio, andò coraggiosamente da Pilato e chiese il corpo di Gesù.

¦8hf<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere, farsi
avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Participio predicativo del soggetto z3TFZn.
z3TFZn: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m., indecl., Giuseppe; soggetto. Traslittera-
zione grecizzata del nome proprio maschile di origine ebraica 42 F |*, Yôse)p) , «Yah[weh]
accresca». Il vocabolo ricorre 35 volte nel NT. In 14 ricorrenze si riferisce a Giuseppe, lo
sposo di Maria di Nazaret: Mt 1,16.18.19.20. 24; 2,13.19; Lc 1,27; 2,4.16; 3,23; 4,22; Gv
1,45; 6,42. Nelle altre occorrenze il vocabolo è impiegato per designare: a) il patriarca
Giuseppe, figlio di Giacobbe (cf. Gv 4,5; At 7,9.13[x2].14.18; Eb 11,21.22; Ap 7,8); b)
Giuseppe, antenato di Gesù (cf. Lc 3,24); c) Giuseppe, altro antenato di Gesù (cf. Lc 3,30);
d) Giuseppe, “fratello” di Gesù (cf. Mt 13,55; 27,56); e) Giuseppe di Arimatea (cf. Mt
27,57.59; Mc 15,43.45; Lc 23,50; Gv 19,38); f) Giuseppe Barsabba, discepolo di
Gerusalemme (cf. At 1,23); g) Giuseppe Barnaba (cf. At 4,36). Per quanto riguarda la
ricorrenza marciana del nome *2 F |*, Yôsê (o %2 G |*, Yôseh), forma galilea abbreviata da 42F|*,
Yôse) p) (= Giuseppe) cf. Mc 6,3.
[Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale. L’articolo è presente nei codici !, A, C, L,
W*, 1, Q, f1, f13, 33, 2427. È assente, invece, in B, D, W c, 083. L’eventuale aggiunta o
omissione dell’articolo è in ogni caso ininfluente per la retta comprensione del testo.].
•B`: prep. propria con valore di origine, seguita dal genitivo, indecl., da, di; cf. Mc 1,9.
z!D4:"h"\"H: sost., nome proprio di località, gen. sing. f. da z!D4:"h"\", –"H, Arimatea;
compl. di moto da luogo. Il vocabolo ricorre 4 volte nel NT: Mt 27,57; Mc 15,43 (hapax
marciano); Lc 23,51; Gv 19,38. Traslitterazione grecizzata di un toponimo di origine ebraica
risalente alla forma .*5E|7 .*E; H/ I 9I%I , Ha) ra) ma) 5t ayim SEôp) îm (cf. 1Sam 1,1), trascritto nella
versione greca dei LXX, con assimilazione dell’articolo ebraico, nella forma z!D:"h"\:
[{C":V], da cui la successiva grafia z!D4:"h"\" presente nei vangeli. Nella carta musiva
di Madaba (circa 600 d.C.) la località appare nella doppia forma !C9!1+9 / (5!3)
(!C39!1+) (!). La posizione geografica dell’antico sito è discussa. Luca definisce
Arimatea «una città di Giuda» (cf. Lc 23,51), lasciando intendere che essa era situata nella
Giudea. Secondo Eusebio di Cesarea (cf. Id., Onom., 32,21–22) Arimatea corrisponde a
[.*5E|7] .*E; H/I 9I, Ra) ma) 5t ayim [SEôpîm] (!D:"h"4: [E4n"], LXX), la patria di Samuele (cf.
1Sam 1,1.19; 2,11; 25,1), la quale viene identificata con l’odierna Rentis, 14 km a nord–est
di Lidda / Lod, come indicherebbe la citazione di 1Mac 11,34 che collega Lidda e
Ramathaim [C"h":4<]. Altri propongono di identificare Arimatea con Ramallah o Beit
Rimeh, 8 km a est di Rentis.
1094 Mc 15,43

gÛFPZ:T<: agg. qualificativo, nom. sing. m. da gÛFPZ:T<, –@< (da gÞ e FP­:"), onorabile,
influente, ricco, rispettabile; attributo di $@L8gLJZH. Il vocabolo ricorre 5 volte nel NT: Mc
15,43 (hapax marciano); At 13,50; 17,12; 1Cor 7,35; 12,24. Nella grecità l’aggettivo
gÛFPZ:T< viene usato a proposito di persone, cose e azioni, per descriverne sia una qualità
estetica, nel senso di «decoroso» sia una qualità morale, equivalente a «dignitoso»,
«rispettabile» (cf. Platone, Resp., 413e; Senofonte, De re eq., 11,12; Euripide, Hip., 490).
Nell’uso marciano, diverso da quello di Paolo, l’aggettivo gÛFPZ:T< non designa tanto una
qualità morale, riferibile alla condotta di vita (= «decoroso», «degno»), quanto una condizione
sociale (= «ragguardevole», «insigne»), relativa allo status economico o professionale di una
persona (cf. Plutarco, Par. min., 312,f,1).
$@L8gLJZH: sost., nom. sing. m. da $@L8gLJZH, –@Ø, membro, consigliere; apposizione di
z3TFZn. Il vocabolo ricorre 2 volte nel NT: Mc 15,43 (hapax marciano); Lc 23,50.
L’espressione «autorevole consigliere» quasi probabilmente intende qualificare Giuseppe
come «membro del sinedrio» (cf. Lc 23,51). Giuseppe Flavio accomuna i “consiglieri” agli
altri capi (@Ê –DP@<JgH i" $@L8gLJ"\, Bellum, 2,405). Tuttavia il vocabolo potrebbe
anche più semplicemente indicare un «consigliere» di una corte giudiziaria locale, secondo
l’uso classico (cf. Omero, Il., 6,114). Con questo termine ad Atene veniva indicato un
«membro della $@L8Z», ossia il consiglio dei Cinquecento (cf. Erodoto, Hist., 9,5,1;
Antifonte, Tetral. III, 3,4; 4,5). Se si ritiene che Giuseppe fosse un membro del sinedrio esiste
una certa contraddizione, almeno in apparenza, con quanto precedentemente affermato da
Marco, per il quale «tutto il sinedrio» si era radunato per condannare Gesù (cf. Mc 14,55)
e che «tutti sentenziarono che era reo di morte» (Mc 14,64; cf. Mc 15,1). Stando a queste
indicazioni anche Giuseppe avrebbe partecipato al voto di condanna contro Gesù, mentre
adesso viene descritto come un simpatizzante, il quale «aspettava anche lui il regno di Dio».
Questa apparente contraddizione può essere facilmente superata se si considera che, come
sopra è stato detto (vedi commento a Mc 14,55), la totalità asserita da Marco potrebbe
limitarsi al numero richiesto per giudicare validamente e non necessariamente indicare il
sinedrio al completo.
ÓH: pron. relativo, nom. sing. m. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 1,2; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore aggiuntivo, indecl., anche, perfino, inoltre, altresì; cf. Mc 1,4.
Il significato aggiuntivo di i"\ è presente in Mc 1,27b.38b; 2,15b.26c.28; 3,19b; 4,24b;
6,34b; 7,18b; 8,3b.7ac.38c; 9,22a; 11,25b; 12,22b; 13,29; 14,9.29.31; 15,31.40ab.43a.
"ÛJ`H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., nom. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,8; soggetto.
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
BD@F*gP`:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. pres. medio da BD@F*XP@:"4 (da BD`H e
*XP@:"4), aspettare, attendere. Questo verbo deponente ricorre 14 volte nel NT: Mc 15,43
(hapax marciano); Lc 2,25.38; 12,36; 15,2; 23,51; At 23,21; 24,15; Rm 16,2; Fil 2,29; Tt
2,13; Eb 10,34; 11,35; Gd 1,21. Participio predicativo del soggetto z3TFZn. Il participio è
retto da µ< in costruzione perifrastica («era aspettante»), al posto dell’usuale imperfetto
«aspettava». La formula è probabilmente dovuta a una precedente tradizione orale aramaica.
Mc 15,43 1095

Il verbo BD@F*XP@:"4 deve essere qui inteso non nel senso generico di «ricevere»,
«accogliere» (cf. Sofocle, Trach., 233), ma in quello di «aspettare», «attendere», ugualmente
attestato nel greco profano (cf. Omero, Il., 19,234; Od., 2,186; Erodoto, Hist., 3,146,3).
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
$"F48g\"<: sost., acc. sing. f. da $"F48g\", –"H, signoria, potere reale, dominio sovrano,
regno; cf. Mc 1,15; compl. oggetto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione.
J@8:ZF"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da J@8:VT, avere il coraggio, osare, ardire; cf. Mc
12,34. Participio predicativo del soggetto z3TFZn. Talvolta, come qui, il participio
predicativo, specie di valore temporale e modale, assume una valenza avverbiale e come tale
può essere tradotto: «avendo coraggio (= coraggiosamente), andò da Pilato».
gÆF­8hg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare, venire
dentro, recarsi, andare; cf. Mc 1,21.
BD`H: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., verso, a, in direzione di,
lungo, vicino a, presso, tra; cf. Mc 1,5.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
A48J@<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da A48J@H, –@L, Pilato; cf. Mc 15,1;
compl. di moto a luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¶JZF"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da "ÆJXT, domandare, chiedere, implorare,
richiedere; cf. Mc 6,22.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
Fä:": sost., acc. sing. n. da Fä:", –"J@H, corpo; cf. Mc 5,29; compl. oggetto. Secondo il
costume romano i cadaveri dei crocifissi dovevano restare attaccati alla croce fino al loro
disfacimento. Al contrario, secondo la legislazione mosaica e il diritto rabbinico il
condannato, morto per crocifissione, doveva essere staccato dal palo prima del calare della
notte e, quindi, essere seppellito: «Se un uomo avrà commesso un delitto degno di morte e
tu l’avrai messo a morte e appeso a un albero, il suo cadavere non dovrà rimanere tutta la
notte sull’albero, ma lo seppellirai lo stesso giorno, perché l’appeso è una maledizione di Dio
e tu non contaminerai il paese che il Signore tuo Dio ti dà in eredità» (Dt 21,22–23; cf. anche
Filone di Alessandria, Spec., 3,28). Questa ingiunzione è prescritta anche nella legislazione
rabbinica: «Il suo cadavere [del condannato] non deve rimanere durante la notte sulla forca,
ma tu devi seppellirlo in quello stesso giorno, poiché un impiccato è una profanazione di
Dio» (m.Sanh., 7,4). Tale prescrizione è ricordata anche dello storico Giuseppe Flavio:
BD@­8h@< *¥ gÆH J@F@ØJ@< •Fg$g\"H òFJg i" •JVn@LH ÕÃR"4, i"\J@4 J@F"bJ0<
z3@L*"\T< BgD JH J"nH BD`<@4"< B@4@L:X<T<, òFJg i" J@×H ¦i i"J"*\i0H
•<gFJ"LDT:X<@LH BDÎ *b<J@H º8\@L i"hg8gÃ< Jg i" hVBJg4<, «Giunsero [gli
Idumei] a tal punto di empietà da gettare via [i cadaveri] insepolti, mentre i Giudei si danno
tanta cura di seppellire i morti che staccano e seppelliscono prima del calar del sole anche
1096 Mc 15,44

i cadaveri dei condannati alla crocifissione» (Giuseppe Flavio, Bellum, 4,317). Ciò spiega
l’urgente richiesta avanzata da Giuseppe di Arimatea: Gesù doveva essere sepolto prima che
iniziasse il sabato, tanto più che quell’anno coincideva con la festa di Pasqua, come riferisce
esplicitamente Gv 19,42 in occasione del processo civile di Gesù: µ< *¥ B"D"FigL¬ J@Ø
BVFP", «era la Preparazione della Pasqua».
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
z30F@Ø: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
compl. di specificazione.

15,44 Ò *¥ A48J@H ¦h"b:"Fg< gÆ ³*0 JXh<0ig< i" BD@Fi"8gFV:g<@H JÎ<


ig<JLD\T<" ¦B0DfJ0Fg< "ÛJÎ< gÆ BV8"4 •BXh"<g<·
15,44 Pilato si meravigliò che fosse già morto, chiamò il centurione e gli domandò se era già
morto.

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
A48J@H: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da A48J@H, –@L, Pilato; cf. Mc 15,1;
soggetto.
¦h"b:"Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da h"L:V.T, meravigliarsi, meravigliare, stupirsi;
cf. Mc 5,20. Solitamente dopo i verbi di meraviglia nel NT segue la congiunzione ÓJ4: qui,
invece, la proposizione interrogativa indiretta è costruita con gÆ, come nel greco classico.
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7. La particella gÆ corrisponde qui alla congiunzione dichiarativa ÓJ4
(«che»), per introdurre una proposizione oggettiva (= «si meravigliò che fosse già morto»).
³*0: avv. di tempo, indecl., già, ora, subito; cf. Mc 4,37.
JXh<0ig<: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. da h<¯FiT, morire. Questo verbo ricorre 9 volte nel
NT: Mt 2,20; Mc 15,44 (hapax marciano); Lc 7,12; 8,49; Gv 11,44; 19,33; At 14,19; 25,19;
1Tm 5,6. A partire da Omero l’usatissimo verbo h<¯FiT è impiegato nel significato di
«morire», «essere ucciso» (cf. Omero, Il., 1,56; Od., 12,10). La meraviglia di Pilato relativa
alla rapida morte di Gesù deriva dal fatto che solitamente i crocifissi potevano restare in vita
molte ore, addirittura giorni interi prima che sopravvenisse la morte. Nella Mishnah si
stabilisce che l’attestato della morte di un crocifisso è privo di valore se costui è ancora in
croce: «La testimonianza (circa il decesso di una persona) non è valida finché non viene
riconosciuto che egli ha reso lo spirito, anche se lo videro gravemente ferito o crocifisso o
che una belva lo divorava» (m.Yeb., 16,3). Si presuppone con ciò che un crocifisso poteva
sopravvivere ancora a lungo alla crocifissione.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BD@Fi"8gFV:g<@H: verbo, nom. sing. m. part. aor. medio da BD@Fi"8XT (da BD`H e
i"8XT), chiamare a sé, convocare, eleggere; cf. Mc 3,13. Participio predicativo del
soggetto Ò A48J@H.
Mc 15,45 1097

J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
ig<JLD\T<": sost., acc. sing. m. da ig<JLD\T<, –T<@H, centurione; cf. Mc 15,39; compl.
oggetto.
¦B0DfJ0Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦BgDTJVT (da ¦B\ e ¦DTJVT), richiedere,
domandare, interrogare; cf. Mc 5,9.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
gÆ: (= gÇ davanti a enclitica), cong. subordinativa di valore condizionale, indecl., se, purché,
qualora; cf. Mc 2,7. La particella è qui usata per introdurre una proposizione interrogativa
indiretta, analogamente a Mc 3,2; 8,23; 10,2.
BV8"4: avv. di tempo, indecl., da molto, da quanto. Il vocabolo ricorre 7 volte nel NT: Mt
11,21; Mc 15,44 (hapax marciano); Lc 10,13; 2Cor 12,19; Eb 1,1; 2Pt 1,9; Gd 1,4.
•BXh"<g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •B@h<¯FiT (da •B` e h<¯FiT), morire, perire;
cf. Mc 5,35.

15,45 i" (<@×H •BÎ J@Ø ig<JLD\T<@H ¦*TDZF"J@ JÎ BJä:" Jè z3TFZn.


15,45 Informato dal centurione, concesse il corpo a Giuseppe.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


(<@bH: verbo, nom. sing. m. part. aor. da (4<fFiT, percepire, sentire, conoscere, capire; cf.
Mc 4,13. Participio predicativo del soggetto Ò A48J@H.
•B`: prep. propria con valore di agente, seguita dal genitivo, indecl., da, da parte di; cf. Mc 1,9.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
ig<JLD\T<@H: sost., gen. sing. m. da ig<JLD\T<, –T<@H, centurione; cf. Mc 15,39; compl. di
agente.
¦*TDZF"J@: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. medio da *TDXT, donare, regalare, concedere.
Questo verbo semideponente ricorre 3 volte nel NT: Mc 15,45 (hapax marciano); 2Pt 1,3.4.
Nella diatesi sia attiva che media il verbo *TDXT ricorre nella grecità nel significato di
«donare», «regalare» (cf. Omero, Il., 10,557; Erodoto, Hist., 2,126,1; Eschilo, Prom., 251).
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
BJä:": sost., acc. sing. n. da BJä:", –"J@H, salma, cadavere; cf. Mc 6,29; compl. oggetto.
La legge romana, diversamente da quanto prescriveva la legislazione giudaica (vedi
commento a Mc 15,43), ordinava che i crocifissi rimanessero attaccati al palo fino alla
completa consumazione, decomponendosi o diventando pasto degli animali. Era permesso,
tuttavia, dietro esplicita richiesta e pagamento, concedere il cadavere ai parenti: «Hoc si
luctuosum est parentibus, redimant pretio sepeliendi potestatem», «Se è doloroso per i
genitori, si acquisti con denaro l’autorizzazione di seppellirli» (Cicerone, In Verr. II, 5,119);
«Cruces succiduntur, percussos sepeliri carnifex non vetat», «Le croci vengono recise, ma il
carnefice non proibisce di seppellire i giustiziati» (Quintiliano, Decl., 6,9). Anche Filone di
Alessandria riferisce che in occasione delle feste le autorità erano solitamente condiscendenti
1098 Mc 15,46

nel concedere ai parenti i cadaveri dei crocifissi per dar loro degna sepoltura (cf. Id., Flacc.,
83–84).
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
z3TFZn: sost., nome proprio di persona, indecl., dat. sing. m. da z3TFZn, Giuseppe; cf. Mc
15,43; compl. di termine.

15,46 i" •(@DVF"H F4<*`<" i"hg8ã< "ÛJÎ< ¦<g\80Fg< J± F4<*`<4 i" §h0ig<
"ÛJÎ< ¦< :<0:g\å Ô µ< 8g8"J@:0:X<@< ¦i BXJD"H i"Â BD@Fgib84Fg<
8\h@< ¦BÂ J¬< hbD"< J@Ø :<0:g\@L.
15,46 Egli allora comprò un lenzuolo, lo calò giù dalla croce, lo avvolse nel lenzuolo e lo
mise in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare una pietra contro l’entrata
del sepolcro.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•(@DVF"H: verbo, nom. sing. m. part. aor. da •(@DV.T, comprare, acquistare, procurarsi; cf.
Mc 6,36. Participio predicativo del soggetto sottinteso z3TFZn.
F4<*`<": sost., acc. sing. f. da F4<*f<, –@<@H, lenzuolo; cf. Mc 14,51; compl. oggetto. Senza
articolo perché generico.
i"hg8f<: verbo, nom. sing. m. part. aor. da i"h"4DXT (da i"JV e "ÊDX@:"4), tirare giù,
liberare; cf. Mc 15,36. Participio predicativo del soggetto sottinteso z3TFZn.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto. Il pronome maschile "ÛJ`< (qui e
sotto) è costruito ad sensum con il precedente vocabolo BJä:", di genere neutro (v. 45), a
meno che non si ritenga riferito implicitamente al nome proprio Gesù, di genere maschile.
¦<g\80Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da ¦<g48XT, avvolgere, arrotolare. Hapax
neotestamentario. Nella grecità il verbo ¦<g48XT ricorre nel senso di «avvolgere»
strettamente (cf. Dioscoride Pedanio, Mat. med., 5,72,3; Aristotele, De mun., 396a 14). Il
verbo viene spesso usato in riferimento al corpo umano, per indicare l’avvolgimento del
neonato nelle fasce (cf. Dione Crisostomo, Or., 23,3) oppure il corpo di un adulto avvolto
dalle coperte (cf. Clemente di Alessandria, Paedag., 2,9,81), stretto dai ceppi (Policarpo,
Epist., 1,1), avviluppato dalle reti (Giuseppe Flavio, Bellum, 6,160). Marco, quindi, non
vuole semplicemente riferire che il cadavere di Gesù è stato ricoperto da un lenzuolo
funebre, ma intende affermare che è stato strettamente avvolto mediante l’impiego di bende,
secondo l’usanza giudaica di seppellire i morti.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
F4<*`<4: sost., dat. sing. f. da F4<*f<, –@<@H, lenzuolo; cf. Mc 14,51; compl. di mezzo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
§h0ig<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da J\h0:4, mettere, posare, porre, disporre; cf. Mc 4,21.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
Mc 15,46 1099

¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
:<0:g\å: sost., dat. sing. n. da :<0:gÃ@<, –@L, sepolcro, tomba; cf. Mc 5,2; compl. di stato
in luogo. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate con preposizioni, come qui, è
frequente nel greco ellenistico.
Ó: pron. relativo, nom. sing. n. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 2,24; soggetto.
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
8g8"J@:0:X<@<: verbo, nom. sing. n. part. perf. pass., di valore aggettivale, da 8"J@:XT,
tagliare, scavare, scolpire. Il participio è retto da µ< in costruzione perifrastica. Questo
verbo ricorre 2 volte nel NT: Mt 27,60; Mc 15,46 (hapax marciano). Si tratta di un verbo
appartenente al greco tardivo, attestato nei LXX (cf. Es 21,33; Dt 6,11; 1Re 2,35; 5,29; 1Cr
22,2; 2Cr 26,10; Ne 9,25; Gb 28,2; Sir 50,3; Is 22,16; 51,1), in Diodoro Siculo (cf. Id., Bibl.,
5,39,2) e nei papiri.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
BXJD"H: sost., gen. sing. f. da BXJD", –"H, pietra, roccia; compl. di materia. Il vocabolo ricorre
15 volte nel NT: Mt 7,24.25; 16,18; 27,51.60; Mc 15,46 (hapax marciano); Lc 6,48; 8,6.13;
Rm 9,33; 1Cor 10,4[x2]; 1Pt 2,8; Ap 6,15.16. L’assenza dell’articolo nelle espressioni
formate con preposizioni, come qui, è frequente nel greco ellenistico. A partire da Omero il
sostantivo BXJD" è utilizzato nel significato di «rupe», «scoglio», «roccia» (cf. Omero, Il.,
9,15; Od., 3,293; Eschilo, Eum., 22). L’espressione è simile, quanto alla forma, a ¦i BXJD"H
gÆD("F:X<@H, «fatto di pietra» (Eschilo, Prom., 242). Il sepolcro giudaico, archeologicamen-
te ben testimoniato, era generalmente formato da un vestibolo, il quale comunicava tramite
una bassa apertura con la stanza funeraria propriamente detta, dove i corpi erano distesi su
nicchie o davanzali scavati nella roccia.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
BD@Fgib84Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da BD@FiL8\T (da BD`H e iL8\@:"4), rotolare
verso, rotolare sopra. Questo verbo ricorre 2 volte nel NT: Mt 27,60; Mc 15,46 (hapax
marciano). Nella grecità il verbo BD@FiL8\T indica la generica azione di «rotolare»
qualcosa (cf. Aristofane, Ves., 202). Nelle ricorrenze sinottiche si tratta di un verbo tecnico,
sconosciuto dai LXX, per designare l’atto di chiudere il sepolcro facendo rotolare la pietra
circolare. L’azione di apertura era detta •B@iL8\T.
8\h@<: sost., acc. sing. m. da 8\h@H, –@L, pietra, sasso; cf. Mc 5,5; compl. oggetto. Senza
articolo perché generico.
¦B\: prep. propria di valore avversativo, seguita dall’accusativo, indecl., contro; cf. Mc 1,22.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
hbD"<: sost., acc. sing. f. da hbD", –"H, porta [di casa], ingresso, vestibolo; cf. Mc 1,33;
compl. di moto a luogo. L’apertura esterna del sepolcro giudaico veniva chiusa da una
grossa pietra circolare, simile alle macine dei nostri mulini ad acqua. La pietra veniva fatta
rotolare davanti all’imbocco del sepolcro per mezzo di una scanalatura a piano inclinato.
1100 Mc 15,47

J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
:<0:g\@L: sost., gen. sing. n. da :<0:gÃ@<, –@L, sepolcro, tomba; cf. Mc 5,2; compl. di
specificazione.

15,47 º *¥ 9"D\" º 9"(*"80<¬ i"Â 9"D\" º z3TF­J@H ¦hgfD@L< B@Ø JXhg4J"4.


15,47 Maria di Magdala e Maria madre di Ioses stavano a osservare dove veniva messo.

º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
9"D\": sost., nome proprio di persona, nom. sing. f. da 9"D\", –"H, Maria; cf. Mc 6,3;
soggetto.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
9"(*"80<Z: agg. determinativo, nom. sing. f. da 9"(*"80<`H, –@Ø: Maddaleno, abitante
di Magdala; cf. Mc 15,40; attributo di 9"D\".
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
9"D\": sost., nome proprio di persona, nom. sing. f. da 9"D\", –"H, Maria; cf. Mc 6,3;
soggetto.
º: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5; soggetto.
Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale "ÛJ`H,
[quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
z3TF­J@H: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z3TF­H, –­J@H, Ioses; cf. Mc 6,3;
compl. di specificazione.
¦hgfD@L<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da hgTDXT, guardare, vedere; cf. Mc 3,11.
Imperfetto durativo.
B@Ø: avv. interrogativo, indecl., dove?, in quale luogo?; cf. Mc 14,12.
JXhg4J"4: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. pass. da J\h0:4, mettere, posare, porre, disporre; cf.
Mc 4,21.
Mc 16,1

16,1 5"Â *4"(g<@:X<@L J@Ø F"$$VJ@L 9"D\" º 9"(*"80<¬ i"Â 9"D\" º [J@Ø]
z3"if$@L i" E"8f:0 ²(`D"F"< •Df:"J" Ë<" ¦8h@ØF"4 •8g\RTF4< "ÛJ`<.
16,1 Passato il sabato, Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono
unguenti aromatici per andare a ungerlo.

5"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


*4"(g<@:X<@L: verbo, gen. sing. n. part. aor. medio da *4"(\<@:"4 (da *4V e (\<@:"4),
trascorrere, passare attraverso. Questo verbo deponente ricorre 3 volte nel NT: Mc 16,1
(hapax marciano); At 25,13; 27,9. Participio al genitivo assoluto. Analogo alla forma
classica *4"(\(<@:"4, il verbo è usato nella grecità per lo più in proposizioni temporali, per
indicare il «passare» o trascorre del tempo (*Xiz ¦Jä< *4"(g<@:X<T<…, «passati dieci
anni…», Demostene, Or., 27,63; cf. Plutarco, Ant., 22,5,1; Senofonte, Anab., 1,10,19).
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
F"$$VJ@L: sost., gen. sing. n. da FV$$"J@<, –@L, sabato (= il settimo giorno della settimana
ebraica); cf. Mc 1,21. La frase *4"(g<@:X<@L J@Ø F"$$VJ@L appare nella forma detta
“genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore temporale.
9"D\": sost., nome proprio di persona, nom. sing. f. da 9"D\", –"H, Maria; cf. Mc 6,3;
soggetto.
º: art. determ., nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5.
9"(*"80<Z: agg. determinativo, nom. sing. f. da 9"(*"80<`H, –@Ø: Maddaleno, abitante
di Magdala; cf. Mc 15,40; attributo di 9"D\".
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
9"D\": sost., nome proprio di persona, nom. sing. f. da 9"D\", –"H, Maria; cf. Mc 6,3;
soggetto.
º: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,5; soggetto.
Uso pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo e personale "ÛJ`H,
[quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
[J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1. L’articolo è presente nei codici
! (secondo correttore), A, B, K, ), 33, 2427. È assente, invece, in !*, C, W, ', 1, Q, 700,
2542. L’eventuale aggiunta o omissione dell’articolo è in ogni caso assolutamente
ininfluente per la retta comprensione del testo.].
z3"if$@L: sost., nome proprio di persona, gen. sing. m. da z3ViT$@H, –@L, Giacomo; cf. Mc
1,19; compl. di specificazione.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
E"8f:0: sost., nome proprio di persona, nom. sing. f. da E"8f:0, –0H, Salome; cf. Mc
15,40; soggetto.
²(`D"F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •(@DV.T, comprare, acquistare, procurarsi; cf.
Mc 6,36.

1101
1102 Mc 16,2

•Df:"J": sost., acc. plur. n. da –DT:", –"J@H, spezia, profumo, aroma; compl. oggetto. Il
vocabolo ricorre 4 volte nel NT: Mc 16,1 (hapax marciano); Lc 23,56; 24,1; Gv 19,40.
Senza articolo perché generici. Secondo l’uso classico e biblico il termine –DT:" può
indicare sia le erbe o le spezie solide sia gli olii profumati (cf. Senofonte, Anab., 1,5,1; 2Re
20,13; Est 2,12; Ct 1,3; 4,10.16; 5,1.13; 6,2; 8,14; Sir 24,15, LXX).
Ë<": cong. subordinativa di valore finale, indecl., affinché, perché, allo scopo di, per; cf. Mc
1,38.
¦8h@ØF"4: verbo, nom. plur. f. part. aor. da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare, giungere,
farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Participio predicativo di valore espletivo del
soggetto 9"D\" º 9"(*"80<¬ i"Â 9"D\" º [J@Ø] z3"if$@L i"Â E"8f:0. Per altri
esempi di participio espletivo con il verbo §DP@:"4 cf. Mc 5,23; 7,25; 12,42; 14,40.45; 16,1.
•8g\RTF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. da •8g\nT, ungere; cf. Mc 6,13. Stando al
vangelo di Giovanni il corpo di Gesù venne sottoposto a una unzione, almeno parziale,
subito dopo la deposizione: «Vi andò anche Nicodemo, quello che in precedenza era andato
da lui di notte e portò una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre. Essi presero allora
il corpo di Gesù e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com’è usanza seppellire
per i Giudei» (Gv 19,39–40). Per l’usanza ebraica di ungere il cadavere si veda m.Shab.,
23,5: «[In giorno di sabato] Si può fare quanto è necessario per un cadavere. Si può ungerlo
e lavarlo…». Nel racconto di Marco, al contrario, non era stato possibile lavare e ungere il
corpo di Gesù a causa dell’urgenza di seppellirlo prima dell’inizio del sabato, tanto più che
in quell’anno coincideva con la Pasqua, come riferisce esplicitamente Gv 19,42 in occasione
del processo civile di Gesù: µ< *¥ B"D"FigL¬ J@Ø BVFP", «era la Preparazione della
Pasqua». È probabile, dunque, che le donne si rechino al sepolcro con l’intenzione di
rimediare alla mancata unzione. Poiché il cadavere di Gesù all’atto della sepoltura era stato
saldamente e interamente avvolto dalle vesti funerarie, si deve dedurre che le donne si
limitassero a ungere il capo, facilmente liberabile dalle bende o semplicemente a versare
l’olio aromatico sul corpo avviluppato dalle bende.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto. Il pronome maschile "ÛJ`< è
costruito ad sensum con il precedente vocabolo BJä:", di genere neutro (v. 45), a meno
che non si ritenga riferito implicitamente al nome proprio Gesù.

16,2 i" 8\"< BDTÅ J± :4” Jä< F"$$VJT< §DP@<J"4 ¦B JÎ :<0:gÃ@< •<"Jg\8"<-
J@H J@Ø º8\@L.
16,2 Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, si recarono al sepolcro al sorgere del
sole.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


8\"<: avv. di modo, indecl., grandemente, molto, oltre misura, estremamente; cf. Mc 1,35.
BDTÄ: avv. di tempo, indecl., al mattino, di mattina, di buon mattino; cf. Mc 1,35. Il riferimento
temporale non è privo di evocazione teologica: il mattino è il momento privilegiato per
Mc 16,2 1103

l’intervento creatore (cf. Gn 1,1–5) e salvatore di Dio (cf. Es 16,7–8; Sal 30,6), per
annunciare la sua misericordia (cf. Sal 92,3) e per la preghiera che l’orante gli rivolge (cf. Sal
5,3; 88,14).
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
:4”: agg. numerale, cardinale, dat. sing. f. da gÍH, :\", ª<, uno; cf. Mc 2,7; compl. di tempo
determinato. Si sottintende il vocabolo º:XD", analogamente a Mc 11,12; 16,9 ed
esplicitamente in Mc 14,12. L’uso articolato del numero cardinale gÍH al posto dell’ordinale
BDäJ@H, «primo» (cf. correttamente Mc 16,9) è un semitismo. Marco impiega il caso dativo
con valore temporale 12 volte: Mc 1,21; 2,24; 3,2.4; 6,21; 11,12; 12,2; 14,12.30; 15,34;
16,2.9. Altrove il dativo temporale è retto dalla preposizione ¦< (cf. Mc 1,9; 2,19.20.23; 4,35;
8,1; 10,30[x2]; 12,23; 13,11.17.24; 14,2; 15,7.29).
Jä<: art. determ., gen. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
F"$$VJT<: sost., gen. plur. n. da FV$$"J@<, –@L, sabato (= il settimo giorno della settimana
ebraica); cf. Mc 1,21; compl. di specificazione. L’espressione J± :4” Jä< F"$$VJT<, ossia
letteralmente «nell’uno dei sabati» è modellata sull’uso linguistico ebraico: equivale alla frase
«nel primo giorno della settimana», corrispondente alla nostra domenica. Le due indicazioni
di tempo presenti nei vv. 1.2 (*4"(g<@:X<@L J@Ø F"$$VJ@L…, «passato il sabato…»; J±
:4” Jä< F"$$VJT<…, «il primo giorno dopo il sabato…») non si contraddicono né la
seconda è una superflua ripetizione della prima: si deve tener presente, infatti, il modo di
computare il tempo presso i Giudei, per i quali il giorno nuovo iniziava alla sera. Nel v. 1 si
afferma che le donne vanno a comperare gli olii balsamici dopo il tramonto del giorno di
sabato (attorno alle ore 18,00), quando, cioè, nel sistema temporale giudaico, era già iniziato
il nuovo giorno e, dunque, si può ben dire che era «passato il sabato». Di conseguenza la loro
andata al sepolcro all’alba successiva (la nostra domenica) coincide con «il giorno dopo il
sabato».
§DP@<J"4: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. medio da §DP@:"4, venire, apparire, arrivare,
giungere, farsi avanti, recarsi, sorgere; cf. Mc 1,7. Presente storico.
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., in, su, a, sopra; cf. Mc 1,22.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
:<0:gÃ@<: sost., acc. sing. n. da :<0:gÃ@<, –@L, sepolcro, tomba; cf. Mc 5,2; compl. di moto
a luogo.
•<"Jg\8"<J@H: verbo, gen. sing. m. part. aor. da •<"JX88T (da •<V e la radice di JX8@H),
sorgere, fare sorgere, uscire, spuntare, crescere; cf. Mc 4,6. Participio al genitivo assoluto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
º8\@L: sost., gen. sing. m. da »84@H, –@L, sole; cf. Mc 1,32. La frase •<"Jg\8"<J@H J@Ø
º8\@L appare nella forma detta “genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore temporale.
Questa seconda determinazione temporale («al levar del sole») non contrasta con la
precedente («di buon mattino»): quando nei vangeli ci sono due determinazioni di tempo in
successione, di cui una sembra pleonastica, la seconda determina più esattamente la prima
(cf. Mc 1,35). Dal un punto di vista storico si deve osservare che nel mese di marzo–aprile
(corrispondente all’ebraico Nisan) il sole sorge a Gerusalemme attorno alle ore 6,00.
1104 Mc 16,3

16,3 i" §8g(@< BDÎH ©"LJVHs I\H •B@iL8\Fg4 º:Ã< JÎ< 8\h@< ¦i J­H hbD"H J@Ø
:<0:g\@Lp
16,3 Dicevano tra loro: «Chi ci rotolerà via la pietra dall’ingresso del sepolcro?».

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


§8g(@<: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. Imperfetto durativo.
BD`H: prep. propria con valore locale (di persone), seguita dall’accusativo, indecl., dinanzi a,
alla presenza di, tra; cf. Mc 1,5.
©"LJVH: pron. riflessivo, acc. plur. f. da ©"LJ@Ø, –­H, –@Ø (non usato al nominativo), lui, lui
stesso, esso; cf. Mc 1,27; compl. di stato in luogo. Il riflessivo della terza persona viene usato
per stabilire l’identità con le persone che parlano o agiscono. Talvolta, come nel nostro caso,
sostituisce il pronome reciproco •88Z8T< (l’un l’altro, a vicenda). Analogo fenomeno in
Mc 1,27; 10,26; 11,31; 12,7; 14,4.
I\H: pron. interrogativo, nom. sing. m. da J\H, J\ (gen. J\<@H, dat. J\<4, acc. J\<", J\), chi?,
che?, quale?, che cosa?, perché?; cf. Mc 1,24; soggetto.
•B@iL8\Fg4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. da •B@iL8\T (da •B` e iL8\@:"4), rotolare via,
srotolare, rimuovere. Questo verbo ricorre 4 volte nel NT: Mt 28,2; Mc 16,3.4; Lc 24,2. Il
verbo, raro nella grecità classica, è usato nel greco biblico per indicare l’azione di far rotolare
la pietra dalla bocca del pozzo (cf. Gn 29,3.8.10) o un corpo giù dal giaciglio (cf. Gdt 13,9).
Nel NT il verbo è impiegato esclusivamente per descrivere l’azione di far rotolare la grossa
pietra circolare posta come protezione all’ingresso della tomba di Gesù, secondo l’uso
giudaico. Quali caratteristiche avesse la tomba in cui fu posto Gesù si può soltanto dedurre
da analogie archeologiche e dalle notizie che gli evangelisti riferiscono nel descrivere
sinteticamente tale sepoltura. La tomba era scavata nella roccia e doveva consistere in una
sola camera funeraria. L’ingresso era chiuso con una pietra circolare che veniva fatta ruotare
lungo la parete della facciata fino all'apertura.
º:Ã<: pron. personale di 1a pers. dat. plur. da º:gÃH (gen. º:ä<, dat. º:Ã<, acc. º:H), noi;
cf. Mc 1,24; compl. di vantaggio.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
8\h@<: sost., acc. sing. m. da 8\h@H, –@L, pietra, sasso; cf. Mc 5,5; compl. oggetto.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
J­H: art. determ., gen. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.
hbD"H: sost., gen. sing. f. da hbD", –"H, porta [di casa], ingresso, vestibolo; cf. Mc 1,33;
compl. di moto da luogo. Il vocabolo indica di per sé la porta di casa, ma la tomba era
considerata anche presso gli Ebrei come l’ultima dimora del defunto.
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
:<0:g\@L: sost., gen. sing. n. da :<0:gÃ@<, –@L, sepolcro, tomba; cf. Mc 5,2; compl. di
specificazione.
Mc 16,4–5 1105

16,4 i" •<"$8XR"F"4 hgTD@ØF4< ÓJ4 •B@igib84FJ"4 Ò 8\h@H· µ< (D :X("H
Fn`*D".
16,4 Ma, alzando lo sguardo, videro che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse
molto grande.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


•<"$8XR"F"4: verbo, nom. plur. f. part. aor. da •<"$8XBT (da •<V e $8XBT), guardare in
su, sollevare lo sguardo, alzare gli occhi; cf. Mc 6,41. Participio predicativo di valore
espletivo del soggetto 9"D\" º 9"(*"80<¬ i"Â 9"D\" º [J@Ø] z3"if$@L i"Â
E"8f:0.
hgTD@ØF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. pres. da hgTDXT, guardare, vedere; cf. Mc 3,11.
Presente storico.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.
•B@igib84FJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. perf. pass. da •B@iL8\T (da •B` e iL8\@:"4),
rotolare via, srotolare, rimuovere; cf. Mc 16,3.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
8\h@H: sost., nom. sing. m. da 8\h@H, –@L, pietra, sasso; cf. Mc 5,5; soggetto.
µ<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
(VD: cong. coordinativa di valore rafforzativo, indecl., appunto, veramente, proprio; cf. Mc
1,16. La formula µF"< (VD / µ< (VD, analogamente a i"Â µF"< / i"Â µ< e a µF"< *X
/ µ< *X, è usata da Marco per introdurre un inciso di valore causale o esplicativo (cf. Mc
1,16.33; 2,15; 5,42; 6,31.44.48; 7,26; 8,9; 10,22; 11,13; 14,40; 15,25; 16,14).
:X("H: agg. indefinito, nom. sing. m. da :X("H, :g(V80, :X(", grande; cf. Mc 1,26;
predicato nominale.
Fn`*D": avv. di quantità, indecl., molto, grandemente. Il vocabolo ricorre 11 volte nel NT: Mt
2,10; 17,6.23; 18,31; 19,25; 26,22; 27,54; Mc 16,4 (hapax marciano); Lc 18,23; At 6,7; Ap
16,21.

16,5 i"Â gÆFg8h@ØF"4 gÆH JÎ :<0:gÃ@< gÉ*@< <g"<\Fi@< i"hZ:g<@< ¦< J@ÃH
*g>4@ÃH BgD4$g$80:X<@< FJ@8¬< 8gLiZ<s i"Â ¦>gh":$Zh0F"<.
16,5 Entrate nel sepolcro videro un giovane, seduto sulla destra, rivestito di una veste
bianca, ed ebbero paura.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÆFg8h@ØF"4: verbo, nom. plur. f. part. aor. da gÆFXDP@:"4 (da gÆH e §DP@:"4), entrare,
venire dentro, recarsi, andare; cf. Mc 1,21. Participio predicativo del soggetto 9"D\" º
9"(*"80<¬ i"Â 9"D\" º [J@Ø] z3"if$@L i"Â E"8f:0.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4. Spesso la preposizione posta come prefisso a un verbo composto viene ripetuta
1106 Mc 16,6

davanti al successivo complemento indiretto, come qui; questo fenomeno si ritrova in Mc


1,16.21[x2].25.26.42; 2,1.20.21.26; 3,1.34; 5,2.13.17; 6,10.54.56; 7,6.15.17.18.19.24.25.26.
31.33; 9,25[x2].28.43.45.47; 10,7.15; 11,2.11.15.16; 15,32; 16,5.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
:<0:gÃ@<: sost., acc. sing. n. da :<0:gÃ@<, –@L, sepolcro, tomba; cf. Mc 5,2; compl. di moto
a luogo.
gÉ*@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc 1,10.
<g"<\Fi@<: sost., acc. sing. m. da <g"<\Fi@H, –@L, giovane, giovinetto; cf. Mc 15,51; compl.
oggetto. Senza articolo perché ancora sconosciuto. Gli antichi commentari identificano il
giovane con un angelo: questa ipotesi di angelofania è contraddetta dall’uso del vocabolo
marciano che, in tutto il NT, non è mai usato o accostato a una figura angelica. Poiché
soltanto Marco parla di un <g"<\Fi@H, «giovanetto», diversamente da quanto fanno gli altri
sinottici (–((g8@H in Mt 28,2; –<*DgH in Lc 24,4), è possibile che vi sia un collegamento,
almeno letterario, con il <g"<\Fi@H del Getsemani (cf. Mc 14,51).
i"hZ:g<@<: verbo, acc. sing. m. part. pres. da iVh0:"4 (da i"JV e ½:"4), sedere, sedersi;
cf. Mc 2,6. Participio predicativo del complemento oggetto <g"<\Fi@<.
¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
*g>4@ÃH: agg. qualificativo, di valore sostantivato, dat. plur. n. da *g>4`H, –V, –`<, destro; cf. Mc
10,37; compl. di stato in luogo.
BgD4$g$80:X<@<: verbo, acc. sing. m. part. perf. medio da BgD4$V88T (da BgD\ e $V88T),
mettere intorno, avvolgere, circondare, cingere, indossare; cf. Mc 14,51. Participio
predicativo del complemento oggetto <g"<\Fi@<.
FJ@8Z<: sost., acc. sing. f. da FJ@8Z, –­H, veste, vestito, abbigliamento; cf. Mc 12,38; compl.
oggetto. Senza articolo perché generico.
8gLiZ<: agg. qualificativo, acc. sing. f. da 8gLi`H, –Z, –`<, chiaro, candido, bianco, brillante;
cf. Mc 9,3; attributo di FJ@8Z<.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦>gh":$Zh0F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. pass. da ¦ih":$XT, stupire, meravigliare
(att.); essere sorpreso, essere meravigliato, essere stupito, essere spaventato (pass.); cf. Mc
9,15.

16,6 Ò *¥ 8X(g4 "ÛJ"ÃHs 9¬ ¦ih":$gÃFhg· z30F@Ø< .0JgÃJg JÎ< ;"."D0<Î< JÎ<


¦FJ"LDT:X<@<· ²(XDh0s @Ûi §FJ4< ô*g· Ç*g Ò J`B@H ÓB@L §h0i"< "ÛJ`<.
16,6 Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù il Nazareno, il crocifisso.
È risuscitato, non è qui. Ecco, questo è il luogo dove l’avevano messo.
Mc 16,6 1107

Ò: art. determ., con valore pronominale, nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; soggetto. Uso
pronominale dell’articolo, corrispondente al pronome dimostrativo/personale "ÛJ`H, [quello],
egli, lui, esso; cf. Mc 1,36; senza enfasi speciale.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
8X(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7. Presente storico.
"ÛJ"ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; compl. di termine. La forma "ÛJ"ÃH ricorre 20 volte nel NT
rispetto alle 5600 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la
seguente: Mt 28,9.10; Mc 16,6; Lc 8,3; 13,14; 24,4.10.11; Gv 5,39.
9Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4.
¦ih":$gÃFhg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. pass. da ¦ih":$XT, stupire, meravigliare
(att.); essere sorpreso, essere meravigliato, essere stupito, essere spaventato (pass.); cf. Mc
9,15. L’imperativo presente negativo esprime una proibizione forte e protratta nel tempo che
non ammette eccezioni (cf. Mc 5,36; 9,39; 10,9.14; 13,7.11.21; 16,6).
z30F@Ø<: sost., nome proprio di persona, acc. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
compl. oggetto.
.0JgÃJg: verbo, 2a pers. plur. ind. pres. da .0JXT, cercare (per trovare od ottenere), provare a,
tentare di; cf. Mc 1,37.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
;"."D0<`<: agg. determinativo, acc. sing. m. da ;"."D0<`H, –@Ø, Nazareno, Nazaretano;
cf. Mc 1,24; attributo di z30F@Ø<. L’epiteto «il Nazareno» per indicare Gesù di Nazaret era
stato già impiegato dallo spirito cattivo nella sinagoga di Cafarnao (cf. Mc 1,23), dal cieco
Bartimeo (cf. Mc 10,47), dalla serva del sommo sacerdote che interrogò Pietro (cf. Mc
14,67).
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
¦FJ"LDT:X<@<: verbo, acc. sing. m. part. perf. pass., di valore sostantivato, da FJ"LD`T,
crocifiggere; cf. Mc 15,13; apposizione di z30F@Ø<. Si tratta di un participio attributivo
risultativo che, come un titolo ormai identificativo e sostantivato («il Crocifisso», cf. anche
1Cor 1,23; 2,2; Gal 3,1), contraddistingue d’ora in poi il risorto.
²(XDh0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da ¦(g\DT, svegliare, alzare, sollevare, risorgere
[i morti] (trans.); svegliarsi, alzarsi, sollevarsi, risorgere [dai morti] (intr.); cf. Mc 1,31.
Questa forma verbale sembra qui usata in senso intransitivo («è risorto»), come avviene in
Mc 8,31; 9,9.10.31; 10,34, ma, analogamente a Mc 14,28 e agli altri passi del NT (cf. At
3,15; 4,10; Rm 4,24; 8,11; 10,9; 1Cor 6,14; 15,15; 2Cor 4,14; 1Pt 1,21), è preferibile
mantenere il senso passivo («è stato risuscitato»), attribuendo così a Dio l’atto della
risurrezione (= passivo divino). Il verbo ¦(g\DT si usa nei sinottici sia riguardo a Gesù
«risuscitato» dai morti (cf. Mc 16,6; 14,28; Mt 16,21; 28,6; Lc 9,22; 24,69), ma anche
riguardo ad altre persone «risuscitate» dai morti (cf. Mc 6,14.16; 12,26; Mt 27,52; Lc 20,37):
in tutti i casi, tuttavia, il verbo è alla voce passiva; benché l’agente non sia esplicitamente
menzionato si deduce che questi sono esempi di passivo divino e che l’agente è Dio, anche
1108 Mc 16,7

nel caso di Gesù. Per quanto riguarda la differenza rispetto a •<\FJ0:4, nell’indicare la
risurrezione di Gesù, cf. Mc 8,31.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
§FJ4<: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da gÆ:\, essere, esistere, accadere, essere presente; cf. Mc
1,6.
ô*g: avv. di luogo, indecl., qui, qua; cf. Mc 6,3.
Ç*g: verbo, 2a pers. sing. imperat. aor. da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf. Mc
2,24. Il vocabolo Ç*g, un segnale discorsivo stereotipo, nella maggior parte delle ricorrenze
neotestamentarie assume il valore avverbiale esclamativo corrispondente alle interiezioni
«ecco!», «vedi!», «guarda!», «guardate!». Non c’è sostanziale diversità con l’equivalente Æ*@b
(cf. Mc 1,2). Entrambe le particelle sono forme vivaci e dinamiche modellate sul corrispon-
dente ebraico %F% E , hinne)h (1057 volte nell’AT) e in quanto tali possono sottolineare il
discorso o la narrazione che esse introducono con una energia particolare, esprimente di
volta in volta sorpresa, importanza, novità, reazione.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
J`B@H: sost., nom. sing. m. da J`B@H, –@L, luogo, spazio, area; cf. Mc 1,35; soggetto.
ÓB@L: (da ÓH e B@Ø), avv. di luogo, indecl., dove, nel luogo in cui; cf. Mc 2,4.
§h0i"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da J\h0:4, mettere, posare, porre, disporre; cf. Mc 4,21.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.

16,7 •88 ßBV(gJg gÇB"Jg J@ÃH :"h0J"ÃH "ÛJ@Ø i" Jè AXJDå ÓJ4 AD@V(g4
ß:H gÆH J¬< '"848"\"<· ¦igà "ÛJÎ< ÐRgFhgs i"hãH gÉBg< ß:Ã<.
16,7 Ora andate!, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo
vedrete, come vi ha detto».

•88V: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, anzi, però, piuttosto,
nondimeno; cf. Mc 1,44. Questa congiunzione posta all’inizio di una proposizione può
corrispondere alle esclamative «orsù!», «suvvia!», specie quando •88V è seguito da
comandi o esortazioni espressi con l’imperativo o il congiuntivo, come in questo caso.
ßBV(gJg: verbo, 2a pers. plur. imperat. pres. da ßBV(T (da ßB` e –(T), andare giù, ritirarsi,
andare via, partire; cf. Mc 1,44. La forma asindetica è piuttosto frequente con gli imperativi
dei verbi ßBV(T (cf. Mc 1,44; 5,34; 6,38; 7,29; 10,21.52; 16,7), ¦(g\DT (cf. Mc 2,9; 3,3;
5,41; 10,49; 14,42), ÒDVT (cf. Mc 1,44; 6,38; 8,15), F4TBVT (cf. Mc 4,39), n4:`T (cf. Mc
4,39), h"DFXT (cf. Mc 6,50; 10,49), $8XBT (cf. Mc 13,5.23.33). Spesso Marco usa ßBV(T
all’imperativo, facendolo seguire da altri imperativi uniti paratatticamente (cf. Mc 1,44; 6,38;
10,21; 16,7).
gÇB"Jg: verbo, 2a pers. plur. imperat. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare;
cf. Mc 1,7. L’impiego di due imperativi in successione ravvicinata (ßBV(gJg, gÇB"Jg) rivela
Mc 16,7 1109

lo stile duale tipico di Marco (cf. Mc 1,25; 4,24; 6,31.38; 7,14; 8,15; 10,14.21; 11,2; 13,33;
14,34.38.42; 16,7). In questi casi l’accento è posto sul secondo verbo rispetto al primo il
quale svolge soltanto una funzione espletiva. Questo doppio incarico di «andare» e «dire»,
ossia di annunciare il messaggio della risurrezione di Gesù, è palesemente in contraddizione
con coloro che ritengono che il vangelo di Marco finisca con Mc 16,8. Se questo versetto
segnava la fine originaria del vangelo scritto da Marco (ipotesi che noi non condividiamo,
vedi commento a Mc 16,8), le donne tradiscono il compito loro assegnato e il vangelo si
conclude all’insegna della disobbedienza, della paura e della fuga.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
:"h0J"ÃH: sost., dat. plur. m. da :"h0JZH, –@Ø (da :"<hV<T), discepolo, alunno; cf. Mc
2,15; compl. di termine.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona singolare
(«di lui» = «suo»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Jè: art. determ., dat. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
AXJDå: sost., nome proprio di persona, dat. sing. m. da AXJD@H, –@L, Pietro; cf. Mc 3,16;
compl. di termine.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15. Dopo i verbi dicendi
e simili introduce il discorso diretto e svolge la funzione dei due punti (= ÓJ4 recitativo); in
tal caso può essere omessa.
AD@V(g4: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da BD@V(T (da BD` e V(T), andare avanti,
precedere, procedere; cf. Mc 6,45.
ß:H: pron. personale di 2a pers. acc. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 1,8; compl. oggetto.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
'"848"\"<: sost., nome proprio di regione, acc. sing. f. da '"848"\", –"H, Galilea; cf. Mc
1,9; compl. di moto a luogo.
¦igÃ: avv. di luogo, indecl., là, lì, in quel posto; cf. Mc 1,38.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
ÐRgFhg: verbo, 2a pers. plur. ind. fut. medio da ÒDVT, vedere, guardare, scorgere, fissare; cf.
Mc 1,10.
i"hfH: cong. modale, indecl., come, secondo quanto; cf. Mc 1,2.
gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7.
1110 Mc 16,8

ß:Ã<: pron. personale di 2a pers. dat. plur. da ß:gÃH (gen. ß:ä<, dat. ß:Ã<, acc. ß:H), voi; cf.
Mc 3,28; compl. di termine.

16,8 i" ¦>g8h@ØF"4 §nL(@< •BÎ J@Ø :<0:g\@Ls gÉPg< (D "ÛJH JD`:@H i"Â
§iFJ"F4H· i"Â @Û*g<Â @Û*¥< gÉB"<· ¦n@$@Ø<J@ (VD […]
16,8 Esse uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di timore e di
spavento. Ma non dissero niente a nessuno; temevano, infatti, […]

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


¦>g8h@ØF"4: verbo, nom. plur. f. part. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori,
uscire; cf. Mc 1,25. Participio predicativo di valore espletivo del soggetto 9"D\" º
9"(*"80<¬ i"Â 9"D\" º [J@Ø] z3"if$@L i"Â E"8f:0.
§nL(@<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da ngb(T, fuggire, scappare, correre via; cf. Mc 5,14.
•B`: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da, via da, lontano da; cf. Mc
1,9.
J@Ø: art. determ., gen. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
:<0:g\@L: sost., gen. sing. n. da :<0:gÃ@<, –@L, sepolcro, tomba; cf. Mc 5,2; compl. di moto
da luogo.
gÉPg<: verbo, 3a pers. sing. ind. imperf. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. Imperfetto durativo.
(VD: cong. coordinativa di valore causale, indecl., poiché, perché, giacché; cf. Mc 1,16.
"ÛJVH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; compl. oggetto. La forma "ÛJVH ricorre 12 volte nel NT rispetto
alle 5600 ricorrenze totali di questo pronome. La distribuzione nei vangeli è la seguente: Mc
16,8; Lc 23,28; 24,4.5; Gv 2,7; 11,19; 14,21.
JD`:@H: sost., nom. sing. m. da JD`:@H, –@L, timore, tremore, paura; soggetto. Il vocabolo
ricorre 5 volte nel NT: Mc 16,8 (hapax marciano); 1Cor 2,3; 2Cor 7,15; Ef 6,5; Fil 2,12.
Senza articolo perché generico. Nel greco profano il termine è associato all’atto fisico del
tremare (= «tremito»), in conseguenza di una esperienza di paura o di freddo (cf. Omero, Il.,
19,14; Euripide, Bacc., 607; Eschilo, Ch., 463). Nelle ricorrenze paoline compare nella
formula stereotipa n`$@H i"Â JD`:@H, esprimendo una condizione di timore colmo
d’ansia.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
§iFJ"F4H: sost., nom. sing. f. da §iFJ"F4H, –gTH, stupore, meraviglia, sbalordimento; cf. Mc
5,42; soggetto. Senza articolo perché generico.
i"\: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, tuttavia, però; cf. Mc 1,4. Il
significato avversativo che talvolta può assumere la congiunzione i"\ (= i"\ adversativum)
si riscontra in Mc 1,13c; 3,7b.12.33a; 4,17a.19a.27d; 5,19a; 6,19b.20d.33a; 7,24b.28b;
8,12.16.29.30; 9,12a.30.31c.42a; 10,34; 12,12b.17a; 16,8c.
Mc 16,8 1111

@Û*g<\: (da @Û*X e gÍH), pron. indefinito negativo, dat. sing. m. da @Û*g\H, @Û*g:\", @Û*X<,
nessuno, niente; cf. Mc 2,21; compl. di termine.
@Û*X<: (da @Û*X e gÍH), pron. indefinito negativo, acc. sing. n. da @Û*g\H, @Û*g:\", @Û*X<,
nessuno, niente; cf. Mc 2,21; compl. oggetto. La frequenza della doppia negazione (qui
@Û*g<Â @Û*X<) è una caratteristica stilistica di Marco (cf. Mc 1,44; 2,2; 3,20.27; 5,37; 6,5;
7,12; 9,1.41; 10,15; 13,2[x2].19.30.31; 14,25.31; 16,8.18) per dare maggiore enfasi alla
negazione, senza escludere la possibilità che essa derivi dall’indole popolare della lingua dei
vangeli.
gÉB"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf.
Mc 1,7.
¦n@$@Ø<J@: verbo, 3a pers. plur. ind. imperf. medio da n@$XT, mettere in fuga, scacciare,
spaventare (att.); fuggire, avere paura, temere (mediopass.); cf. Mc 4,41. Imperfetto
durativo.
(VD: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti; cf. Mc 1,16. Per quanto riguarda
il problema testuale della finale di Marco vedi commento a Mc 16,9. Molti autori ritengono
che il vangelo di Marco termini con questa parola. Tuttavia finire un’opera con un (VD non
sembra proprio possibile, come di seguito si cercherà di dimostrare. Si deve necessariamente
ipotizzare che l’ultima pagina del manoscritto originale sia andata perduta: se così non fosse
le ultime parole del vangelo di Marco sarebbero ¦n@$@Ø<J@ (VD, «temevano, infatti», una
conclusione davvero anomala, inusitata, che non trova alcun corrispondente nella letteratura:
una finale semplicemente impossibile. Alcuni commentatori difendono l’autenticità di questa
finale mediante acrobazie simboliche e teologiche, affermando che il carattere “reticente”,
improvviso e perfino assurdo si conformerebbe bene allo stile e alle intenzioni di Marco. Ma
come è possibile, anche nel greco popolare della Koiné, terminare un’opera letteraria con una
congiunzione esplicativa / causale? Contro la presunta autenticità di questa finale si possono
addurre numerose argomentazioni critiche, sia interne che esterne:

a) Da un punto di vista stilistico non è stato rintracciato alcun caso in tutta la letteratura
greca in cui (VD stia fisicamente alla fine di un libro: si possono portare soltanto pochissimi
esempi di conclusione di periodi, sezioni o trattati (mai di un’opera intera), come avviene,
ad esempio, in Plotino: 5DgÃJJ@< (D JÎ B@4@Ø< J@Ø B@4@L:X<@L· Jg8g4`JgD@< (VD
(Id., Enn., 5,5,13, ultime parole della quinta Enneade, alla quale segue le sesta) o in Musonio
Rufo: … ÓJ4 *z •iD"F\"H §D(@< i" @Û*g<ÎH –88@L ¦FJ JÎ *gFB`J0< *@b8®
B80F4V.g4<s J\ *gà i" 8X(g4<p (<fD4:@< (VD (Id., Diss., 12,46–48, ultime parole del
dodicesimo trattato, al quale segue il tredicesimo). Una cosa, infatti, è la presenza di (VD in
una frase o un paragrafo conclusivo (cf. Gn 18,15; 26,20; 45,3, LXX; Gv 13,13); ben altra
cosa, invece, è terminare un’intera opera letteraria con tale congiunzione. Anche Marco, del
resto, usa (VD a conclusione di una pericope, come nel caso di Mc 6,52, ma la congiunzione
non è mai fisicamente collocata come ultima parola.

b) Si deve inoltre considerare, sempre sul piano stilistico, che il verbo n@$X@:"4, quando
è usato da Marco all’imperfetto (cf. Mc 6,20; 9,32; 10,32; 11,18.32; 16,8), in quattro casi su
cinque ha valore transitivo (prescindiamo da Mc 16,8) ed è seguito da un esplicito
1112 Mc 16,8

complemento oggetto: Erode Antipa «ha paura di Giovanni» (¦n@$gÃJ@ JÎ< z3TV<<0<,
Mc 6,20); i discepoli «hanno paura di interrogare lui (i.e. Gesù)» (¦n@$@Ø<J@ "ÛJÎ<
¦BgDTJ­F"4, Mc 9,32: qui ¦BgDTJ­F"4 è infinito completivo che assolve la funzione di
complemento oggetto del verbo n@$X@:"4); i capi dei sacerdoti e gli scribi «hanno paura
di lui (i.e. Gesù)» (¦n@$@Ø<J@ "ÛJ`<, Mc 11,18); i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani
«hanno paura della folla» (¦n@$@Ø<J@ JÎ< ÐP8@<, Mc 11,32). Si deve conseguentemente
dedurre con buona probabilità che anche in questo caso la forma ¦n@$@Ø<J@ venga usata
da Marco non in modo intransitivo, ma nel significato transitivo «avevano paura di…». In
tal caso è necessario presupporre qualche complemento per concludere la frase, ossia una
successiva porzione di testo andata evidentemente perduta.

c) Si deve ancora osservare che nell’uso di (VD l’Autore fa spesso seguire una
precisazione a quanto ha appena affermato, impiegando una formula costruita con tre
elementi: un verbo finito + la congiunzione (VD + la motivazione della precisazione:

Mc 1,16: 5" B"DV(T< […] gÉ*g< E\:T<" i" z!<*DX"< JÎ< •*g8nÎ< E\:T<@H
•:n4$V88@<J"H ¦< J± h"8VFF®· µF"< (D 84gÃH, «Passando […] vide Simone
e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano, infatti, pescatori».
Mc 1,22: i" ¦>gB8ZFF@<J@ ¦B J± *4*"P± "ÛJ@Ø· µ< (D *4*VFiT< "ÛJ@×H ñH
¦>@LF\"< §PT< i"Â @ÛP ñH @Ê (D"::"JgÃH, «Ed erano stupiti per il suo insegna-
mento: egli, infatti, insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi».
Mc 2,15: […] i" B@88@ Jg8ä<"4 i" :"DJT8@ FL<"<Xig4<J@ Jè z30F@Ø i"Â
J@ÃH :"h0J"ÃH "ÛJ@Ø· µF"< (D B@88@ i" ²i@8@bh@L< "ÛJè, «[…] anche
molti esattori delle tasse e peccatori si trovavano a tavola con Gesù e i suoi discepoli:
erano, infatti, molti quelli che lo seguivano».
Mc 3,21: i" •i@bF"<JgH @Ê B"Dz "ÛJ@Ø ¦>­8h@< iD"J­F"4 "ÛJ`<· §8g(@< (D
ÓJ4 ¦>XFJ0, «Allora i suoi familiari, nel sentire ciò, uscirono per andare a prenderlo;
credevano, infatti, che stesse esagerando».
Mc 5,8: §8g(g< (D "ÛJès }+>g8hg JÎ B<gØ:" JÎ •iVh"DJ@< ¦i J@Ø •<hDfB@L,
«Gli aveva, infatti, detto: “Esci, spirito cattivo, da quest’uomo!”».
Mc 5,28: §8g(g< (D ÓJ4 z+< žRT:"4 i—< Jä< Ê:"J\T< "ÛJ@Ø FThZF@:"4,
«Diceva infatti: “Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita”».
Mc 5,42: i" gÛh×H •<XFJ0 JÎ i@DVF4@< i" BgD4gBVJg4· µ< (D ¦Jä< *f*gi",
«Subito la ragazza si alzò e si mise a camminare: aveva, infatti, dodici anni».
Mc 6,14: 5" ³i@LFg< Ò $"F48g×H {/Dæ*0Hs n"<gDÎ< (D ¦(X<gJ@ JÎ Ð<@:"
"ÛJ@Ø, «Il re Erode sentì parlare di ciò, perché il suo nome era diventato famoso».
Mc 6,18: §8g(g< (D Ò z3TV<<0H Jè {/Dæ*® ÓJ4 ?Ûi §>gFJ\< F@4 §Pg4< J¬<
(L<"Ãi" J@Ø •*g8n@Ø F@L, «Giovanni, infatti, aveva detto a Erode: “Non ti è lecito
tenere la moglie di tuo fratello!”».
Mc 6,31: i"Â 8X(g4 "ÛJ@ÃHs )gØJg ß:gÃH "ÛJ@Â i"Jz Æ*\"< gÆH §D0:@< J`B@< i"Â
•<"B"bF"Fhg Ï8\(@<. µF"< (D @Ê ¦DP`:g<@4 i" @Ê ßBV(@<JgH B@88@\
Mc 16,8 1113

[…], «Ed egli disse loro: “Venite in disparte, voi soli, in un luogo solitario e riposatevi
un po’”. Erano, infatti, molti quelli che andavano e venivano […]».
Mc 6,48: i" Æ*ã< "ÛJ@×H $"F"<4.@:X<@LH ¦< Jè ¦8"b<g4<s µ< (D Ò –<g:@H
¦<"<J\@H "ÛJ@ÃHs BgDÂ JgJVDJ0< nL8"i¬< J­H <LiJÎH §DPgJ"4 BDÎH "ÛJ@×H
BgD4B"Jä< ¦BÂ J­H h"8VFF0H, «Vedendoli affaticati nel remare, poiché avevano
il vento contrario, sul finire della notte andò verso di loro camminando sul mare».
Mc 9,31: ¦*\*"Fig< (D J@×H :"h0JH "ÛJ@Ø i" §8g(g< "ÛJ@ÃH […], «Istruiva,
infatti, i suoi discepoli e diceva loro […]».
Mc 10,22: Ò *¥ FJL(<VF"H ¦B Jè 8`(å •B­8hg< 8LB@b:g<@H· µ< (D §PT<
iJZ:"J" B@88V, «Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e andò via
amareggiato, poiché possedeva molti beni».
Mc 11,18: i" ³i@LF"< @Ê •DP4gDgÃH i" @Ê (D"::"JgÃH i" ¦.ZJ@L< BäH "ÛJÎ<
•B@8XFTF4<· ¦n@$@Ø<J@ (D "ÛJ`<s BH (D Ò ÐP8@H ¦>gB8ZFFgJ@ ¦B J±
*4*"P± "ÛJ@Ø, «L’udirono i capi dei sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo
morire. Avevano, infatti, paura di lui, perché tutto il popolo era ammirato per il suo
insegnamento».
Mc 12,12: 5"Â ¦.ZJ@L< "ÛJÎ< iD"J­F"4s i"Â ¦n@$Zh0F"< JÎ< ÐP8@<s §(<TF"<
(D ÓJ4 BDÎH "ÛJ@×H J¬< B"D"$@8¬< gÉBg<, «Allora cercarono di catturarlo, ma
ebbero paura della folla; avevano, infatti, capito che aveva detto quella parabola contro
di loro».
Mc 13,8: ¦(gDhZFgJ"4 (D §h<@H ¦Bz §h<@H i" $"F48g\" ¦B $"F48g\"<, «Si
solleverà, infatti, popolo contro popolo e regno contro regno».
Mc 13,19: §F@<J"4 (D "Ê º:XD"4 ¦igÃ<"4 h8ÃR4H @Ë" @Û (X(@<g< J@4"bJ0 •Bz
•DP­H iJ\FgTH, «perché quei giorni saranno di una tale sofferenza quale non c’è mai
stata dall’inizio della creazione».
Mc 13,22: ¦(gDhZF@<J"4 (D RgL*`PD4FJ@4 i" RgL*@BD@n­J"4 i" *fF@LF4<
F0:gÃ" i" JXD"J" BDÎH JÎ •B@B8"<<s gÆ *L<"J`<s J@×H ¦i8giJ@bH,
«Sorgeranno, infatti, falsi messia e falsi profeti e faranno segni e prodigi per ingannare,
se possibile, gli eletti».
Mc 14,2: §8g(@< (VDs 9¬ ¦< J± ©@DJ±s :ZB@Jg §FJ"4 h`DL$@H J@Ø 8"@Ø, «Dicevano
infatti: “Non durante la festa, perché non ci sia una rivolta di popolo”».
Mc 14,5: ²*b<"J@ (D J@ØJ@ JÎ :bD@< BD"h­<"4 ¦BV<T *0<"D\T< JD4"i@F\T<
i"Â *@h­<"4 J@ÃH BJTP@ÃH, «Si poteva, infatti, vendere questo profumo per più di
trecento denari e darli ai poveri!».
Mc 14,40: i" BV84< ¦8hã< gâDg< "ÛJ@×H i"hgb*@<J"Hs µF"< (D "ÛJä< @Ê
Ïnh"8:@Â i"J"$"DL<`:g<@4, «Di nuovo ritornato, li trovò addormentati, perché i
loro occhi si erano fatti pesanti».
Mc 15,10: ¦(\<TFig< (D ÓJ4 *4 nh`<@< B"D"*g*fig4F"< "ÛJÎ< @Ê •DP4gDgÃH,
«Sapeva, infatti, che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per odio».
1114 Mc 16,8

Mc 16,4: i" •<"$8XR"F"4 hgTD@ØF4< ÓJ4 •B@igib84FJ"4 Ò 8\h@H· µ< (D :X("H
Fn`*D", «Ma, alzando lo sguardo, videro che la pietra era già stata fatta rotolare,
benché fosse molto grande».

Il nostro versetto, se ritenuto come finale autentica, contraddice palesemente questo uso
marciano, poiché la formula presente in Mc 16,8 (verbo finito + congiunzione (VD) non è
completata da nessuna proposizione esplicativa come, invece, avviene nel resto del vangelo.

d) Più in generale sul piano della narrazione evangelica non sembra proprio possibile che
la nota di paura sia stata considerata dall’Autore come la più appropriata per terminare il
racconto del vangelo, ossia della «buona novella». Sarebbe davvero singolare iniziare
un’opera che si propone di essere il «gioioso annuncio» di salvezza (gÛ"((X84@<, Mc 1,1)
e finirla esattamente all’opposto, ossia: con una annotazione di disobbedienza al comando
del giovane (ßBV(gJg gÇB"Jg, Mc 16,7), con la fuga (§nL(@<, Mc 16,8), con il silenzio
(@Û*g<Â @Û*¥< gÉB"<, Mc 16,8), con la paura (JD`:@H i"Â §iFJ"F4H… ¦n@$@Ø<J@, Mc
16,8). In tal caso, ammessa come originale la finale di Mc 16,8, avremmo non una finale da
«buona novella», ma una finale fallimentare rispetto al progetto letterario e teologico
intrapreso dall’Autore.

Dunque l’espressione ¦n@$@Ø<J@ (VD non è la finale autentica del vangelo di Marco.
Dobbiamo necessariamente ipotizzare che — se si esclude la morte improvvisa dell’Autore
— l’ultima pagina del manoscritto originale si sia strappata e sia andata perduta a causa di
qualche disavventura intercorsa durante la lettura, la copiatura o la trasmissione del testo. Un
forte indizio di ciò può essere addirittura verificato visivamente se si esamina con attenzione
il testo del vangelo di Marco nel codice Vaticano. Sulla base dell’esame paleografico e
dell’inchiostro utilizzato gli esperti ritengono che i libri neotestamentari di questo codice
siano stati scritti da un solo copista, nello stesso scriptorium o, quanto meno, nello stesso
luogo e senza grandi intervalli di tempo tra una seduta di lavoro e l’altra. Osservando con
attenzione le finali dei libri neotestamentari si può notare che, a conclusione di un libro, il
copista ha subito scritto l’inizio del nuovo libro utilizzando la colonna libera a disposizione
(i colophon ornamentali e i titoli dei libri sono di epoca successiva). Il vangelo di Marco
finisce quasi alla fine della seconda colonna (su tre colonne disponibili): sorprendentemente
— caso unico in tutto il codice — lo scriba, dopo aver scritto la finale di Mc 16,8, ha
deliberatamente lasciato in bianco tutta intera la colonna successiva (la terza), consapevole
evidentemente che il testo che egli stava copiando era tronco; lo ha rispettato, ma ha lasciato
intenzionalmente vuota una intera colonna (la terza), come implicito indizio di quanto era a
conoscenza: alla finale che aveva appena ricopiato ne mancava ancora una porzione, a lui
inaccessibile. In sostanza: con il versetto di Mc 16,8 siamo davanti non a una finale
“reticente”, ma semplicemente monca, ossia a una non–finale, la quale nel testo originale era
seguita da altri versetti, andati perduti e sostituiti con testi più o meno appropriati, tra i quali
l’attuale «finale lunga» dei vv. 9–20 che ha finito per prevalere. Si deve altresì ricordare che
dal punto di vista canonico ciò non comporta conseguenze di rilievo in quanto i vv. 16,9–20,
pur non essendo stati scritti da Marco, sono riconosciuti dalla Chiesa come pienamente
Mc 16,9 1115

ispirati, alla pari del resto del vangelo (cf. Concilio di Trento, Decretum de libris sacris et de
traditionibus recipiendis. Sessio IV, 8 aprile 1546, in Denzinger, 1503–1504).

16,9 z!<"FJH *¥ BDTÅ BDfJ® F"$$VJ@L ¦nV<0 BDäJ@< 9"D\‘ J± 9"(*"80<±s


B"Dz ºH ¦i$g$8Zig4 ©BJ *"4:`<4".
16,9 Risuscitato al mattino, il primo giorno dopo il sabato, apparve prima a Maria di
Magdala, dalla quale aveva scacciato sette demoni.

La sezione di Mc 16,9–20 presenta una situazione molto complessa dal punto di vista
di critica testuale: le fonti manoscritte che possediamo ci danno, dopo Mc 16,8, quattro
principali finali aggiuntive (definite dagli studiosi la breve, l’intermedia, la lunga, la lunga
ampliata). Di queste varianti la Chiesa ha accolto come testo canonico la cosiddetta «finale
lunga» che comprende 12 versetti (i vv. 9–20, accolti nelle odierne edizioni critiche del NT
e di seguito riportati). Questa finale lunga è presente, con varianti, nei codici A, C, D, E, G,
H, L, W, ), 1, E, Q, f1, f13, 083, 099, in molti codici minuscoli, Byz, l 1602, e nelle
traduzioni syrh, copbo; appartiene al textus receptus ed è attestata da alcuni antichi Padri della
Chiesa, come, probabilmente, Giustino (cf. Id., Apol. I, 1,45) e certamente Ireneo di Lione
(cf. Id., Ad. Haer., 3,10,6): esisteva, dunque, almeno a partire dal 130–160 d.C. La finale
lunga è assente nei codici !, B, 304, e nelle traduzioni siriaca sinaitica (syrs), copta sahidica
(copsa), armena (arm) e georgiana (geo1). Clemente di Alessandria, Origene e Ammonio non
mostrano di conoscere l’esistenza di questi versetti. Altri Padri della Chiesa dichiarano che
tale sezione è assente nelle copie greche di Marco loro note, come, ad esempio, fa Girolamo
attorno al 406/407 d.C., rispondendo a un quesito di Edibia su tale questione: «…omnibus
Graeciae libris paene hoc capitulum in fine non habentibus…», «…quasi tutte le copie greche
non hanno questa parte conclusiva…» (Girolamo, Epist., 120,3 [Ad Hedybiam de
Quaestionibus Duodecim]). Il Concilio di Trento, contro Erasmo da Rotterdam e altri, nel
Decretum de canonicis Scripturis (8 aprile 1546) ha implicitamente dichiarato questa
pericope canonica, ossia normativa per la fede, ma non si è impegnato a definire la sua
autenticità letteraria. Da un punto di vista di critica testuale l’autorevolezza dei testimoni più
antichi (in particolare il codice Vaticano e Sinaitico) e l’accordo tra i più importanti tipi
testuali (la famiglia alessandrina e occidentale) depongono a favore della non autenticità degli
attuali vv. 9–20. Anche le prove di critica interna (lessico e stile) confermano questa tesi:

a) tra il v. 8 e il v. 9 è evidente una frattura stilistica: l’Autore riprende a narrare da capo


e in forma sintetica quanto aveva già riferito nei vv. 1–8.

b) La sezione che si apre al v. 9 è priva di soggetto («risuscitato al mattino»), come se


Gesù fosse stato menzionato appena sopra, mentre, al contrario, la precedente menzione di
Gesù come soggetto compare molto indietro (cf. Mc 15,37).

c) Per accennare all’apparizione del risorto a Maria Maddalena (cf. Mc 16,9) si usa
¦nV<0, una forma dele verbo n"\<T che soltanto in questo passo viene usato per indicare
le apparizioni di Gesù.
1116 Mc 16,9

d) Maria Maddalena è descritta come la donna «dalla quale aveva cacciato sette demoni»
(B"Dz ºH ¦i$g$8Zig4 ©BJ *"4:`<4", Mc 16,9): la frase è quasi identica a quella
riportata da Luca 8,2 a proposito di Maria Maddalena (•nz ºH *"4:`<4" ©BJ ¦>g808b-
hg4). Inoltre essa è presentata come se apparisse per la prima volta nella narrazione, mentre
è stata già menzionata ripetutamente (cf. Mc 15,42.47; 16,1).

e) L’espressione ¦i$V88g4< B"DV, «scacciare da» (Mc 16,9), è utilizzata soltanto qui in
tutto il NT.

f) Nel resto del vangelo Marco usa sempre la forma composta del verbo B@Dgb@:"4
(gÆFB@Dgb@:"4 in Mc 1,21; 4,19; 5,40; 6,56; 7,15.18.19; 11,2; ¦iB@Dgb@:"4 in Mc 1,5;
6,11; 7,15.19.20.21. 23; 10,17.46; 11,19; 13,1; B"D"B@Dgb@:"4 in Mc 2,23; 9,30; 11,20;
15,29), mentre in Mc 16,10.12.15 compare il verbo nella forma semplice.

g) Il riferimento ai discepoli di Gesù è fatto mediante l’espressione J@ÃH :gJz "ÛJ@Ø


(g<@:X<@4H, «a quelli che erano stati con lui» (Mc 16,10), una perifrasi che non è nello stile
di Marco e che compare soltanto qui in tutto il NT.

h) La formula :gJ [*¥] J"ØJ", «dopo queste cose» (Mc 16,12), è espressione usata da
Luca (cf. Lc 5,27; 12,4; 17,8; 18,4; At 1,5; 7,7; 13,20), da Giovanni (cf. Gv 7,1; 13,7) e da
altri autori neotestamentari (cf. Eb 4,8; 1Pt 1,11; Ap 1,19; 4,1; 9,12; 15,5; 20,3). Al contrario
non è mai usata da Marco, eccetto in questo passo.

i) L’espressione Ò ibD4@H z30F@ØH, «il Signore Gesù» (cf. Mc 16,19), è attestata


frequentemente negli Atti degli Apostoli e nelle lettere di Paolo, ma non compare mai nei
vangeli, a eccezione di questo passo.

l) Il linguaggio dell’intera sezione non è marciano: ben 16 parole non si trovano nel resto
del vangelo: B@Dgb@:"4 (cf. Mc 16,10.12.15), Bg<hXT (cf. Mc 16,10), hgV@:"4 (cf. Mc
16,11.14), •B4FJXT (cf. Mc 16,11.16), ªJgD@H (cf. Mc 16,12), :@DnZ (cf. Mc 16,12),
àFJgD@< (cf. Mc 16,14), ª<*gi" (cf. Mc 16,14), B"D"i@8@LhXT (cf. Mc 16,17), Ðn4H
(cf. Mc 16,18), h"<VF4:@< (cf. Mc 16,18), $8VBJT (cf. Mc 16,18), •<"8":$V<T (cf.
Mc 16,19), FL<gD(XT (cf. Mc 16,20), $g$"4`T (cf. Mc 16,20), ¦B"i@8@LhXT (cf. Mc
16,20).

m) Qualche parola, pur attestata nel resto del vangelo, è usata con significato diverso:
iJ\F4H in Mc 10,6; 13,19 indica l’atto creatore di Dio, la «creazione», mentre in Mc 16,15
indica la «creatura» umana, la persona; n"\<T in Mc 14,64 significa «sembrare», mentre in
Mc 16,9 ha il significato tecnico di «apparire» (detto delle apparizioni di Gesù risorto).

n) Per quanto riguarda lo stile, il periodare non è quello marciano: invece di avere una
successione di proposizioni con l’abituale congiunzione paratattica i"\ o *X vi sono periodi
più complessi in cui prevale la subordinazione.
Mc 16,9 1117

o) Più in generale il contenuto dei vv. 9–20 si presenta come una specie di compendio
delle parti finali degli altri vangeli: si ha quasi l’impressione che tale «finale lunga» sia stata
composta e inserita per ovviare alla singolare assenza delle apparizioni del Cristo risorto che
rendevano il testo di Marco manchevole rispetto agli altri vangeli. Eccone un quadro
sinottico: 1) Apparizione a Maria di Magdala (vv. 9–10 = Gv 20,11–18); 2) Apparizione a
due discepoli (vv. 12–13 = Lc 24,13–35); 3) I discepoli a tavola (v. 14 = Lc 24,36–49); 4)
L’invio in missione degli Undici (vv. 15–16 = Mt 28,18–20); 5) L’ascensione di Gesù (v.
19 = Lc 24,50–53).

z!<"FJVH: verbo, nom. sing. m. part. aor. da •<\FJ0:4 (da •<V e ËFJ0:4), sorgere, alzarsi,
sollevarsi, risorgere, risuscitare; cf. Mc 1,35. Participio predicativo del soggetto sottinteso
z30F@ØH. La pericope inizia in modo brusco, senza neppure nominare la persona di cui si
intende parlare.
*X: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti, dunque, quindi; cf. Mc 1,8.
BDTÄ: avv. di tempo, indecl., al mattino, di mattina, di buon mattino; cf. Mc 1,35.
BDfJ®: agg. numerale, ordinale, di valore sostantivato, dat. sing. f. da BDäJ@H, –0, –@<, primo,
principale; cf. Mc 3,27; compl. di tempo determinato. Si sottintende il vocabolo º:XD",
analogamente a Mc 11,12; 16,2 ed esplicitamente a Mc 14,12. Marco impiega il caso dativo
con valore temporale 12 volte: Mc 1,21; 2,24; 3,2.4; 6,21; 11,12; 12,2; 14,12.30; 15,34;
16,2.9. Altrove, il dativo temporale è retto dalla preposizione ¦< (cf. Mc 1,9; 2,19.20.23;
4,35; 8,1; 10,30[x2]; 12,23; 13,11.17.24; 14,2; 15,7.29).
F"$$VJ@L: sost., gen. sing. n. da FV$$"J@<, –@L, sabato (= il settimo giorno della settimana
ebraica); cf. Mc 1,21; compl. di specificazione. Con questo semitismo viene precisato
cronologicamente il momento della risurrezione: la profezia di Gesù «dopo tre giorni» trova
piena realizzazione, in quanto il computo dei giorni presso gli Ebrei includeva anche quello
cominciato; Gesù muore la vigilia di Pasqua (= primo giorno), resta nel sepolcro il giorno
festivo (= secondo giorno), risorge all’inizio del giorno successivo alla festa (= terzo giorno):
il primo giorno della settimana è, dunque, il terzo giorno dalla morte di Gesù, anche se si
suppone che la sua risurrezione sia avvenuta durante la notte (che è già il terzo giorno).
¦nV<0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da n"\<T, brillare, splendere (att.); apparire,
sembrare, risplendere (pass.) cf. Mc 14,64. Il verbo nella diatesi mediopassiva significa
propriamente «farsi vedere», «mostrarsi» e, dunque, «apparire»: in riferimento a Gesù risorto
n"\<T compare soltanto in questo versetto (ai vv. 12 e 14 si usa l’intensivo derivato
n"<gD`T). Altrove nel NT per indicare le apparizioni di Gesù si usa sempre ÒDVT (cf. Mc
16,7; Mt 28,7; Lc 24,34; Gv 20,18.25.29; 1Cor 15,5–8).
BDäJ@<: avv. di tempo, indecl., prima, prima di tutto, in primo luogo; cf. Mc 3,27.
9"D\‘: sost., nome proprio di persona, dat. sing. f. da 9"D\", –"H, Maria; cf. Mc 6,3; compl.
di termine.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
9"(*"80<±: agg. determinativo, dat. sing. f. da 9"(*"80<`H, –@Ø: Maddaleno, abitante di
Magdala; cf. Mc 15,40; attributo di 9"D\‘.
1118 Mc 16,10

B"Dz: (= B"DV), prep. propria con valore di provenienza, seguita dal genitivo, indecl., da; cf.
Mc 1,16.
½H: pron. relativo, gen. sing. f. da ÓH, », Ó, che, il quale, chi; cf. Mc 7,25; compl. di moto da
luogo.
¦i$g$8Zig4: verbo, 3a pers. sing. ind. piucch. da ¦i$V88T (da ¦i e $V88T), scacciare,
mandare via, fare uscire, espellere; cf. Mc 1,12.
©BJV: agg. numerale, cardinale, acc. plur. n., indecl., sette; cf. Mc 8,5; attributo di *"4:`<4".
*"4:`<4": sost., acc. plur. n. da *"4:`<4@<, –@L, demonio, spirito cattivo; cf. Mc 1,34; compl.
oggetto. La frase «dalla quale aveva cacciato sette demoni» riprende quasi alla lettera Lc 8,2
(•nz ºH *"4:`<4" ©BJ ¦>g808bhg4): il redattore della finale lunga, non marciana,
presenta la protagonista di questa prima apparizione come se essa non fosse stata mai
nominata, mentre è stata menzionata già altre volte (cf. Mc 15,40.47; 16,1).

16,10 ¦ig\<0 B@DgLhgÃF" •BZ((g48g< J@ÃH :gJz "ÛJ@Ø (g<@:X<@4H Bg<h@ØF4 i"Â
i8"\@LF4<·
16,10 Questa andò ad annunziarlo a coloro che erano stati con lui ed erano in lutto e in
pianto.

¦ig\<0: pron. dimostrativo, nom. sing. f. da ¦igÃ<@H, –0, –@, quello, quegli, colui, esso; cf. Mc
1,9; soggetto.
B@DgLhgÃF": verbo, nom. sing. f. part. aor. pass. da B@DgbT, andare, recarsi. Questo verbo
semideponente ricorre 153 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 129
volte in Matteo (corrispondente allo 0,158% del totale delle parole); 3 volte in Marco (cf. Mc
16,10.12.15 = 0,027%); 51 volte in Luca (0,262%); 16 volte in Giovanni (0,102%).
Participio predicativo del soggetto ¦ig\<0. Nel vangelo di Marco il verbo B@DgbT è
presente soltanto nella diatesi media nella cosiddetta «finale lunga», dove compare nel
significato classico di «camminare», «procedere», «andare [a piedi]» (cf. Senofonte, Anab.,
2,2,12); è uno dei segnali linguistici che dimostrano l’origine non marciana di questi versetti:
nel resto del vangelo, infatti, Marco usa sempre la forma composta di B@Dgb@:"4
(gÆFB@Dgb@:"4 in Mc 1,21; 4,19; 5,40; 6,56; 7,15.18.19; 11,2; ¦iB@Dgb@:"4 in Mc 1,5;
6,11; 7,15.19.20.21. 23; 10,17.46; 11,19; 13,1; B"D"B@Dgb@:"4 in Mc 2,23; 9,30; 11,20;
15,29).
•BZ((g48g<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da •B"((X88T (da •B` e la radice di –((g8@H),
annunciare, riferire, far conoscere, proclamare; cf. Mc 5,14.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
:gJz: (= :gJV), prep. propria con valore di compagnia, seguita dal genitivo, indecl., con,
insieme a, in compagnia di; cf. Mc 1,13.
"ÛJ@Ø: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. di compagnia.
Mc 16,11 1119

(g<@:X<@4H: verbo, dat. plur. m. part. aor. medio, di valore sostantivato, da (\<@:"4, divenire,
iniziare a esistere, nascere, essere, accadere, apparire; cf. Mc 1,4; compl. di termine.
L’espressione @Ê :gJz "ÛJ@Ø (g<@:X<@4 non compare altrove in Marco.
Bg<h@ØF4: verbo, dat. plur. m. part. pres., con valore aggettivale, da Bg<hXT, piangere,
lamentarsi, essere in lutto. Questo verbo ricorre 10 volte nel NT: Mt 5,4; 9,15; Mc 16,10
(hapax marciano); Lc 6,25; 1Cor 5,2; 2Cor 12,21; Gc 4,9; Ap 18,11.15.19. Participio
predicativo del compl. di termine J@ÃH :gJz "ÛJ@Ø (g<@:X<@4. Nell’uso assoluto
intransitivo il verbo Bg<hXT significa «affliggersi», «fare cordoglio» (cf. Omero, Od.,
18,174), con speciale riferimento alle situazioni di lutto per qualche defunto. Anche nel NT
Bg<hXT indica il cordoglio funebre che si esprime in lamenti, pianti e manifestazioni
gestuali.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
i8"\@LF4<: verbo, dat. plur. m. part. pres., con valore aggettivale, da i8"\T, piangere,
lamentarsi; cf. Mc 5,38. Participio predicativo del compl. di termine J@ÃH :gJz "ÛJ@Ø
(g<@:X<@4.

16,11 i•igÃ<@4 •i@bF"<JgH ÓJ4 .± i" ¦hgVh0 ßBz "ÛJ­H ²B\FJ0F"<.


16,11 Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero.

i•igÃ<@4: (= i"\ ¦igÃ<@H, per crasi), cong. coordinativa di valore copulativo seguita dal pron.
dimostrativo, nom. plur. m. da ¦igÃ<@H, –0, –@, e anche quello, e anche questo; cf. Mc 12,4;
soggetto. Per i"\ cf. Mc 1,4; per ¦igÃ<@H cf. Mc 1,9.
•i@bF"<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da •i@bT, sentire, ascoltare, percepire, capire,
scoprire, imparare, sapere; cf. Mc 2,1. Participio predicativo del soggetto i•igÃ<@4.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore dichiarativo, indecl., che; cf. Mc 1,15.
.±: verbo, 3a pers. sing. ind. pres. da .VT, vivere; cf. Mc 5,23.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦hgVh0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da hgV@:"4, vedere, guardare. Questo verbo
deponente ricorre 22 volte nel NT: Mt 6,1; 11,7; 22,11; 23,5; Mc 16,11.14; Lc 5,27; 7,24;
23,55; Gv 1,14.32.38; 4,35; 6,5; 11,45; At 1,11; 21,27; 22,9; Rm 15,24; 1Gv 1,1; 4,12.14.
Nell’uso neotestamentario hgV@:"4 indica sempre il vedere sensoriale come attività degli
occhi del corpo. Già nel greco profano il verbo esprime un «osservare» carico di meraviglia
e solennità, un vedere non occasionale o di sfuggita, ma intenso e duraturo (cf. Omero, Il.,
7,444; Od., 2,13; Erodoto, Hist., 1,8,2; Platone, Charm., 154c; Aristofane, Ranae, 1342).
ßBz: (= ßB`), prep. propria con valore d’agente, seguita dal genitivo, indecl., da, da parte di;
cf. Mc 1,5.
"ÛJ­H: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. sing. f. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,30; compl. di agente.
²B\FJ0F"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •B4FJXT, non credere, essere incredulo. Questo
verbo ricorre 8 volte nel NT: Mc 16,11.16; Lc 24,11.41; At 28,24; Rm 3,3; 2Tm 2,13; 1Pt
1120 Mc 16,12

2,7. Già nel greco classico il verbo indica l’essere incredulo, il non prestare fede a una
affermazione o una notizia (cf. Omero, Od., 13,339; Erodoto, Hist., 1,158,2; Sofocle, Phil.,
1350; Giuseppe Flavio, Bellum, 2,54). Qui è usato per indicare l’incredulità nei confronti
dell’annuncio della risurrezione di Gesù, mentre in Mc 16,16 indica l’incredulità nei confronti
dell’annuncio del vangelo. Oltre al valore simbolico di questa “incredulità”, intesa come dato
di tipo teologico, sul piano storico si deve osservare che presso gli Ebrei di allora la
testimonianza di una donna non era considerata valida, come ci informa Giuseppe Flavio:
(L<"4iä< *¥ :¬ §FJT :"DJLD\" *4 i@Ln`J0J" i" hDVF@H J@Ø (X<@LH "ÛJä<,
«Le testimonianze di donne non valgono, a causa della leggerezza e della sfacciataggine del
loro sesso» (Id., Antiq., 4,219). Analoghe attestazioni ritroviamo negli scritti rabbinici (cf.
Strack–Bill., III,559ss.).

16,12 9gJ *¥ J"ØJ" *LFÂ< ¦> "ÛJä< BgD4B"J@ØF4< ¦n"<gDfh0 ¦< ©JXD‘ :@Dn±
B@DgL@:X<@4H gÆH •(D`<·
16,12 In seguito apparve sotto altro aspetto a due di loro mentre si recavano in campagna.

9gJV: prep. propria di valore temporale, seguita dall’accusativo, indecl., dopo, dopo di; cf. Mc
1,13.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
J"ØJ": pron. dimostrativo, acc. plur. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 2,8; compl.
di tempo determinato. L’espressione :gJ *¥ J"ØJ" non compare altrove in Marco.
*LF\<: agg. numerale, cardinale, di valore sostantivato, dat. plur. m. da *b@ (gen. *b@, dat.
*LF\<, acc. *b@), due; cf. Mc 6,7; compl. di termine.
¦>: (= ¦i), prep. propria di valore partitivo, seguita dal genitivo, indecl., di, tra; cf. Mc 1,10.
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. partitivo.
BgD4B"J@ØF4<: verbo, dat. plur. m. part. pres. da BgD4B"JXT (da BgD\ e B"JXT), camminare,
passeggiare, deambulare; cf. Mc 2,9. Participio predicativo del compl. di termine *LFÂ< ¦>
"ÛJä<.
¦n"<gDfh0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da n"<gD`T, manifestare, svelare, rivelare,
notificare; cf. Mc 4,22.
¦<: prep. propria di valore modale, seguita dal dativo, indecl., in; cf. Mc 1,2.
©JXD‘: agg. indefinito, dat. sing. f. da ªJgD@H, –", –@<, altro, diverso; attributo di :@Dn±. Il
vocabolo ricorre 98 volte nel NT. La distribuzione nei vangeli è la seguente: 10 volte in
Matteo (corrispondente allo 0,055% del totale delle parole); 1 volta in Marco (cf. Mc 16,12,
hapax marciano); 32 volte in Luca (0,164%); 1 volta in Giovanni (0,006%). Già nel greco
classico il pronome ªJgD@H è usato in modo esteso nel significato di «differente», «diverso»,
«d’altro genere» (cf. Omero, Od., 9,302). Come aggettivo indefinito esprime qualcosa non
del tutto identica rispetto a quanto precedentemente detto o raccontato. In tal caso può
indicare una differenza qualitativa che conferisce alla dichiarazione un connotato teologico.
Mc 16,13 1121

:@Dn±: sost., dat. sing. f. da :@DnZ, –­H, forma, aspetto; compl. di modo. Il vocabolo ricorre
3 volte nel NT: Mc 16,12 (hapax marciano); Fil 2,6.7. Questo termine è scarsamente attestato
negli scritti neotestamentari, come nei LXX (solo 4 ricorrenze: Gb 4,16; Gdc 8,18; Is 44,13;
Dn 3,19): si tratta di una constatazione singolare se consideriamo l’alta frequenza e
l’importanza che esso possiede nel greco classico, dove il sostantivo ricorre nel significato
di «forma», «figura», «aspetto», riferito a dèi e uomini (cf. Senofonte, Mem., 4,3,13; Sofocle,
Elect., 1159) oppure in quello di «apparenza», «parvenza» (cf. Sofocle, Trach., 699; Eschilo,
Prom., 449; Platone, Resp., 380d). Nel nostro passo :@DnZ ha il significato classico di
«sembianza», «aspetto esteriore», riferibile alla sembianza corporea in cui un uomo è
riconosciuto e distinto dagli altri (cf. Pindaro, Isth., 4,71). L’idea filosofica della «forma» in
contrapposizione alla «sostanza» è assente in Marco.
B@DgL@:X<@4H: verbo, dat. plur. m. part. pres. medio da B@Dgb@:"4, andare, recarsi; cf. Mc
16,10. Participio predicativo del complemento di termine *LFÂ< ¦> "ÛJä<.
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
•(D`<: sost., acc. sing. m. da •(D`H, –@Ø, campo, campagna, podere, borgata [di campagna];
cf. Mc 5,14; compl. di moto a luogo. Nella grecità l’articolo è spesso omesso davanti a
sostantivi retti da preposizione. Il vocabolo ha qui il significato di borgata di campagna, meno
estesa rispetto al villaggio o alla città (cf. Mc 5,14; 6,36.56; 15,21; 16,12).

16,13 i•igÃ<@4 •Bg8h`<JgH •BZ((g48"< J@ÃH 8@4B@ÃH· @Û*¥ ¦ig\<@4H ¦B\FJgLF"<.


16,13 Anche essi andarono ad annunziarlo agli altri; ma non credettero neppure a loro.

i•igÃ<@4: (= i"\ ¦igÃ<@H, per crasi), cong. coordinativa di valore copulativo seguita dal pron.
dimostrativo, nom. plur. m. da ¦igÃ<@H, –0, –@, e anche quello, e anche questo; cf. Mc 12,4;
soggetto. Per i"\ cf. Mc 1,4; per ¦igÃ<@H cf. Mc 1,9.
•Bg8h`<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da •BXDP@:"4 (da •B` e §DP@:"4), andare via,
partire; cf. Mc 1,20. Participio predicativo del soggetto i•igÃ<@4. Il participio può essere
qui inteso anche come espletivo, analogamente a Mc 6,27.37 (•Bg8hf<).
•BZ((g48"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da •B"((X88T (da •B` e la radice di –((g8@H),
annunciare, riferire, far conoscere, proclamare; cf. Mc 5,14.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
8@4B@ÃH: agg. qualificativo, di valore sostantivato, dat. plur. m. da 8@4B`H, –Z, –`<, rimanente,
resto; cf. Mc 4,19; compl. di termine. Insolita espressione per indicare i discepoli rimasti a
Gerusalemme. Altro indizio letterario, come sopra è stato riferito, di una origine non
marciana di questi versetti.
@Û*X: avv. di negazione di valore oggettivo, indecl., né, non, neanche, nemmeno; cf. Mc 4,22.
¦ig\<@4H: pron. dimostrativo, dat. plur. m. da ¦igÃ<@H, –0, –@, quello, quegli, colui, esso; cf.
Mc 1,9; compl. di termine.
1122 Mc 16,14

¦B\FJgLF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da B4FJgbT, credere, fidarsi di, dare fiducia a; cf.
Mc 1,15.

16,14 ~KFJgD@< [*¥] •<"ig4:X<@4H "ÛJ@ÃH J@ÃH ª<*gi" ¦n"<gDfh0 i" é<g\*4Fg<
J¬< •B4FJ\"< "ÛJä< i" Fi80D@i"D*\"< ÓJ4 J@ÃH hg"F":X<@4H "ÛJÎ<
¦(0(gD:X<@< @Ûi ¦B\FJgLF"<.
16,14 Alla fine apparve agli Undici mentre erano a tavola e li rimproverò per la loro
incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano
visto risuscitato.

~KFJgD@<: avv. di tempo, indecl., alla fine, da ultimo, finalmente. Il vocabolo ricorre 12 volte
nel NT: Mt 4,2; 21,29.32.37; 22,27; 25,11; 26,60; Mc 16,14 (hapax marciano); Lc 20,32;
Gv 13,36; 1Tm 4,1; Eb 12,11.
[*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8. La congiunzione
è presente nei codici A, D, 1, f1, 565, 579, 892, 1424, 2427. È assente, invece, in C, L, W,
Q, 099, f13, 33, 2427. L’eventuale aggiunta o omissione della congiunzione è in ogni caso
assolutamente ininfluente per la retta comprensione del testo.].
•<"ig4:X<@4H: verbo, dat. plur. m. part. pres. medio da •<Vig4:"4 (da •<V e igÃ:"4),
sdraiarsi a tavola, mangiare insieme, banchettare, cenare, pranzare; cf. Mc 6,26. Participio
predicativo del compl. di termine J@ÃH ª<*gi".
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
ª<*gi": agg. numerale, cardinale, di valore sostantivato, dat. plur. m., indecl., undici, Undici;
apposizione di "ÛJ@ÃH. Il vocabolo ricorre 6 volte nel NT: Mt 28,16; Mc 16,14 (hapax
marciano); Lc 24,9.33; At 1,26; 2,14. Dopo la defezione di Giuda il collegio apostolico dei
*f*gi" è conosciuto, talvolta, come la cerchia degli «Undici» che sarà integrata da Mattia
(cf. At 2,14): qui si intende il gruppo dei Dodici senza Giuda. È da escludere che l’espressio-
ne «Gli Undici» risalga al Gesù della storia: il numero è comprensibile soltanto a partire da
@Ê *f*gi"; in tal modo gli Undici non sono elevati a rango di una istituzione, ma vengono
così qualificati in riferimento al numero stabilito, ottenuto non per addizione, ma per
sottrazione rispetto al gruppo storico degli apostoli scelti da Gesù.
¦n"<gDfh0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da n"<gD`T, manifestare, svelare, rivelare,
notificare; cf. Mc 4,22. Il soggetto logico è Gesù.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
é<g\*4Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da Ï<g4*\.T, rimproverare, ingiuriare, insultare,
oltraggiare; cf. Mc 15,32. Qui il verbo non ha il significato forte corrispondente a
«oltraggiare», come in Mc 15,32, ma semplicemente quello generico di «riprendere»,
«rimproverare». L’autorità di Gesù terreno comprende anche l’Ï<g4*\.g4<, come avviene
per le città della Galilea che non hanno accolto la sua predicazione e non hanno creduto ai
suoi miracoli (cf. Mt 11,20).
Mc 16,15 1123

JZ<: art. determ., acc. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
•B4FJ\"<: sost., acc. sing. f. da •B4FJ\", –"H, infedeltà, incredulità; cf. Mc 6,6; compl.
oggetto.
"ÛJä<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., gen. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta
genitivo di appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 3a persona plurale
(«di essi» = «loro»).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
Fi80D@i"D*\"<: sost., acc. sing. f. da Fi80D@i"D*\", –"H (da Fi80D`H e i"D*\"),
durezza di cuore; cf. Mc 10,5; compl. oggetto.
ÓJ4: cong. subordinativa di valore causale, indecl., poiché, perché, siccome; cf. Mc 1,15.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
hg"F":X<@4H: verbo, dat. plur. m. part. aor. medio, di valore sostantivato, da hgV@:"4, vedere,
guardare; cf. Mc 16,11; compl. di termine.
"ÛJ`<: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. sing. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,5; compl. oggetto.
¦(0(gD:X<@<: verbo, acc. sing. m. part. perf. pass. da ¦(g\DT, svegliare, alzare, sollevare,
risorgere [i morti] (trans.); svegliarsi, alzarsi, sollevarsi, risorgere [dai morti] (intr.); cf. Mc
1,31. Participio predicativo del compl. oggetto "ÛJ`<.
@Ûi: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
¦B\FJgLF"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da B4FJgbT, credere, fidarsi di, dare fiducia a; cf.
Mc 1,15.

16,15 i" gÉBg< "ÛJ@ÃHs A@DgLhX<JgH gÆH JÎ< i`F:@< žB"<J" i0Db>"Jg JÎ
gÛ"((X84@< BVF® J± iJ\Fg4.
16,15 E disse loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura.

i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.


gÉBg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da 8X(T, dire, parlare, affermare, ritenere, esortare; cf. Mc
1,7. Il soggetto logico è Gesù.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
A@DgLhX<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. pass. da B@Dgb@:"4, andare, recarsi; cf. Mc
16,10. Participio predicativo del soggetto «voi», in riferimento a @Ê ª<*gi". Non si tratta di
un participio cosiddetto espletivo, dovuto a ebraismo, come avviene altrove nel vangelo: il
participio fa parte del linguaggio missionario, in particolare quello lucano (cf. Mc 7,22;
9,12.13.52.56; 13,32; 14,10; 15,15; 17,14; 22,8; At 5,20; 9,15; 16,7; 28,26).
1124 Mc 16,16

gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
i`F:@<: sost., acc. sing. m. da i`F:@H, –@L, mondo, universo; cf. Mc 8,36; compl. di moto a
luogo.
žB"<J": agg. indefinito, acc. sing. m. da žB"H, žB"F", žB"<, tutto, tutto intero; pl. tutti, tutti
quanti; attributo di i`F:@<, qui senza articolo perché in posizione predicativa; cf. Mc 1,27.
i0Db>"Jg: verbo, 2a pers. plur. imperat. aor. da i0DbFFT, proclamare apertamente,
annunciare solennemente, predicare; cf. Mc 1,4.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
gÛ"((X84@<: sost., acc. sing. n. da gÛ"((X84@<, –@L, lieto annuncio, buona novella,
«vangelo»; cf. Mc 1,1; compl. oggetto.
BVF®: agg. indefinito, dat. sing. f. da BH, BF", B<, tutto, ogni, ciascuno, ognuno; cf. Mc
1,5; attributo di iJ\Fg4, qui senza articolo perché in posizione predicativa.
J±: art. determ., dat. sing. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,3.
iJ\Fg4: sost., dat. sing. f. da iJ\F4H, –gTH, creazione; cf. Mc 10,6; compl. di termine. Il
termine iJ\F4H non indica qui l’atto creatore di Dio, ossia la «creazione», come in Mc 10,6;
13,19. Il vocabolo è impiegato nel senso circoscritto di «creatura» umana, ossia «persona».
Si tratta di una sfumatura linguistica risalente al cristianesimo primitivo (cf. Erma, Past.,
37,5,2; 59,5,1).

16,16 Ò B4FJgbF"H i" $"BJ4FhgÂH FThZFgJ"4s Ò *¥ •B4FJZF"H i"J"iD4hZFgJ"4.


16,16 Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato.

Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
B4FJgbF"H: verbo, nom. sing. m. part. aor., di valore sostantivato, da B4FJgbT, credere, fidarsi
di, dare fiducia a; cf. Mc 1,15; soggetto.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
$"BJ4Fhg\H: verbo, nom. sing. m. part. aor. pass., di valore sostantivato, da $"BJ\.T,
immergere, sommergere, lavare, «battezzare»; cf. Mc 1,4; soggetto.
FThZFgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. pass. da Fæ.T, guarire, sanare, salvare; cf. Mc 3,4.
Passivo divino.
Ò: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
*X: cong. coordinativa di valore avversativo, indecl., ma, invece, però, al contrario; cf. Mc 1,8.
•B4FJZF"H: verbo, nom. sing. m. part. aor., di valore sostantivato, da •B4FJXT, non credere,
essere incredulo; cf. Mc 16,11; soggetto.
i"J"iD4hZFgJ"4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. pass. da i"J"iD\<T (da i"JV e iD\<T),
condannare, sentenziare, giudicare; cf. Mc 10,33. Passivo divino.
Mc 16,17 1125

16,17 F0:gÃ" *¥ J@ÃH B4FJgbF"F4< J"ØJ" B"D"i@8@LhZFg4· ¦< Jè Ï<`:"J\ :@L


*"4:`<4" ¦i$"8@ØF4<s (8fFF"4H 8"8ZF@LF4< i"4<"ÃHs
16,17 Queste cose accompagneranno, come segni, coloro che avranno creduto: nel mio
nome scacceranno demoni, parleranno in modo particolarissimo,

F0:gÃ": sost., nom. plur. n. da F0:gÃ@<, –@L, segno; cf. Mc 8,11; compl. predicativo del
soggetto J"ØJ".
*X: cong. coordinativa di valore esplicativo, indecl., infatti, dunque, quindi; cf. Mc 1,8.
J@ÃH: art. determ., dat. plur. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,21.
B4FJgbF"F4<: verbo, dat. plur. m. part. aor., di valore sostantivato, da B4FJgbT, credere,
fidarsi di, dare fiducia a; cf. Mc 1,15; compl. di vantaggio.
J"ØJ": pron. dimostrativo, nom. plur. n. da @âJ@H, "àJ0, J@ØJ@, questo, ciò; cf. Mc 2,8;
soggetto.
B"D"i@8@LhZFg4: verbo, 3a pers. sing. ind. fut. da B"D"i@8@LhXT (da B"DV e •i@8@L-
hXT), seguire, accompagnare. Questo verbo, appartenente al gruppo lessicale formato da
•i@8@LhXT, ¦B"i@8@LhXT, FL<"i@8@LhXT, ricorre 4 volte nel NT: Mc 16,17 (hapax
marciano); Lc 1,3; 1Tm 4,6; 2Tm 3,10. Nella grecità il verbo è impiegato nel significato di
«seguire», «tenere dietro», «accompagnare», in senso sia proprio che figurato (cf. Aristofane,
Eccl., 725; Platone, Soph., 266c).
¦<: prep. propria di valore strumentale, seguita dal dativo, indecl., con, per mezzo di; cf. Mc 1,2.
Jè: art. determ., dat. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
Ï<`:"J\: sost., dat. sing. n. da Ð<@:", –:"J@H, nome; cf. Mc 3,16; compl. di mezzo.
L’espressione ¦< Jè Ï<`:"J\ è un esempio di ¦< strumentale dovuto a influsso semitico:
la preposizione greca traduce quella corrispondente ebraica (vA, be), impiegata per esprimere
non un complemento di luogo, ma di mezzo o strumento. Ritroviamo questo uso particolare
in Mc 1,8; 3,22.23; 4,2.11.24.30; 6,14; 9,29.38.50; 11,28.29.33; 12,1.36.38; 16,17.
:@L: pron. personale di 1a pers. gen. sing. da ¦(f (gen. ¦:@Ø/:@L, dat. ¦:@\/:@4, acc. ¦:X/:g),
io, me; cf. Mc 1,2; compl. di specificazione. Nel NT questa forma, detta genitivo di
appartenenza, è usata per esprimere l’aggettivo possessivo di 1a persona singolare («di me»
= «mio»).
*"4:`<4": sost., acc. plur. n. da *"4:`<4@<, –@L, demonio, spirito cattivo; cf. Mc 1,34; compl.
oggetto. Senza articolo perché generici.
¦i$"8@ØF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. da ¦i$V88T (da ¦i e $V88T), scacciare, mandare
via, fare uscire, espellere; cf. Mc 1,12.
(8fFF"4H: sost., dat. plur. f. da (8äFF", –0H, lingua; cf. Mc 7,33; compl. di strumento. Senza
articolo perché generico.
8"8ZF@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. da 8"8XT, parlare, dire; cf. Mc 1,34.
i"4<"ÃH: agg. qualificativo, dat. plur. f. da i"4<`H, –Z, –`<, nuovo, recente, diverso; cf. Mc
1,27; attributo di (8fFF"4H. Nella grecità quando il verbo 8"8XT significa «parlare (una
determinata lingua)» si costruisce con l’accusativo: i"4<¬< *4V8giJ@< 8"8gÃ< (Antifane,
1126 Mc 16,18

Frag., 171,2). Nel nostro caso, pertanto, non si tratta di «parlare lingue nuove» o «parlare
lingue sconosciute», come, ad esempio, potevano essere allora il punico o il latino: la frase
(8fFF"4H i"4<"ÃH, al dativo, non è complemento oggetto del verbo 8"8XT, ma
complemento di modo o complemento di strumento. Il riferimento è al particolarissimo
modo di lodare Dio, più con esclamazioni, frammenti di frasi, acclamazioni, che con veri e
propri discorsi in «lingue straniere». Il senso è quello di un linguaggio inusuale, mistico,
diverso dal comune modo di esprimersi (cf. 1Cor 14,13–17). Una allusione a questo
originale carisma la offre santa Teresa d’Avila:

«Molte volte mi trovavo come fuor di senno (desatinada) e come ubriaca in questo amore…
Qui le nostre attitudini (potencias) possono soltanto occuparsi interamente di Dio… Si
dicono molte parole a lode di Dio, senza nesso (concierto), se lo stesso Signore non vi pone
ordine, perché almeno qui l’intelletto non ha alcuna capacità. L’anima vorrebbe emettere
suoni (dar voces) a lode di Dio, ma non riesce a essere sensata (y está que no cabe en sí)…
Essa vorrebbe essere tutta lingue per lodare il Signore. Dice mille sciocchezze (desatinos)
sante, preoccupata soltanto di piacere a colui che la pone in questo stato» (Id., Libro de la
vida, 16,2–4).

16,18 [i" ¦< J"ÃH PgDFÂ<] Ðng4H •D@ØF4< i—< h"<VF4:`< J4 B\TF4< @Û :¬ "ÛJ@×H
$8VR®s ¦B •DDfFJ@LH PgÃD"H ¦B4hZF@LF4< i" i"8äH ª>@LF4<.
16,18 prenderanno serpenti e se anche berranno qualche veleno non recherà loro danno,
imporranno le mani ai malati ed essi guariranno».

[i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.].


[¦<: prep. propria di valore locale, seguita dal dativo, indecl., in, a, presso, entro, su, fra; cf. Mc
1,2.].
[J"ÃH: art. determ., dat. plur. f. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,9.].
[PgDF\<: sost., dat. plur. f. da Pg\D, Pg4D`H, mano; cf. Mc 1,31; compl. di stato in luogo.
L’espressione i"Â ¦< J"ÃH PgDF\< è presente nei codici C, L, ), Q, 099, 1, 33, 565, 579,
892, 1243*, 1424*. È assente, invece, in A, D, E, G, H, W, 1, f13, e in molti codici
minuscoli. La tradizione testuale è sostanzialmente divisa a favore o contro l’autenticità della
lezione. Probabilmente essa è stata aggiunta dietro influsso di At 28,3–6 e, dunque, non
faceva parte del testo originale.].
Ðng4H: sost., acc. plur. m. da Ðn4H, –gTH, serpente, serpe; compl. oggetto. Il vocabolo ricorre
14 volte nel NT: Mt 7,10; 10,16; 23,33; Mc 16,18 (hapax marciano); Lc 10,19; 11,11; Gv
3,14; 1Cor 10,9; 2Cor 11,3; Ap 9,19; 12,9.14.15; 20,2. Senza articolo perché generico. A
partire da Omero il sostantivo Ðn4H designa il «serpente» (cf. Omero, Il., 12,208; Erodoto,
Hist., 8,41,2; Aristofane, Pl., 690).
•D@ØF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. da "ÇDT, alzare, sollevare, sostenere, sorreggere,
portare, prendere; cf. Mc 2,3.
Mc 16,18 1127

i–<: (= i" ¦V<, per crasi), cong. ipotetica, indecl., se anche, se solo, se; cf. Mc 5,28. Per i"\
cf. Mc 1,4; per ¦V< cf. Mc 1,40. La forma i"Â ¦V< combina in sé il significato ipotetico («e
se») e quello concessivo («se anche soltanto», «perfino se»).
h"<VF4:`<: agg. qualificativo, acc. sing. n. da h"<VF4:@<, –@L, mortale, letale; attributo di
J4. Hapax neotestamentario. Nella grecità l’aggettivo denominativo h"<VF4:@< è usato nel
senso di «mortale», «mortifero», detto di piante, animali, veleni, ecc. (cf. Sofocle, Oed. tyr.,
560; Platone, Resp., 610e; Polibio, Hist., 1,56,4).
J4: pron. indefinito (enclitico), acc. sing. n. da J\H, J\ (gen. J4<`H, dat. J4<\, acc. J4<V, J\), un
certo, un tale, uno, qualcuno; cf. Mc 2,6; compl. oggetto.
B\TF4<: verbo, 3a pers. plur. congiunt. aor. da B\<T, bere; cf. Mc 10,38.
@Û: cong. negativa di valore oggettivo, indecl., non; cf. Mc 1,7; generalmente la congiunzione
è usata con verbi al modo indicativo per negare un fatto reale.
:Z: cong. negativa di valore soggettivo, indecl., non; cf. Mc 2,4. Nelle proposizioni affermative
le due negazioni in successione @Û :Z sono utilizzate per enfatizzare la negazione, per
esprimere un forte diniego: si tratta di un uso piuttosto frequente nel greco ellenistico. In
Marco la doppia negazione @Û :Z ricorre 11 volte, 9 delle quali sulla bocca di Gesù (cf. Mc
9,1.41; 10,15; 13,2[x2].19.30.31; 14,25; 16,18); in Mc 14,31 è usata da Pietro.
"ÛJ@bH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., acc. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,3; compl. oggetto.
$8VR®: verbo, 3a pers. sing. congiunt. aor. da $8VBJT, fare male, danneggiare, nuocere.
Questo verbo ricorre 2 volte nel NT: Mc 16,18 (hapax marciano); Lc 4,35. Il significato di
«danneggiare», «far del male» (a qualcuno) è attestato a partire dal greco profano (cf.
Erodoto, Hist., 2,113,3; Tucidide, Hist., 6,33,4).
¦B\: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., in, su, a, sopra; cf. Mc 1,22.
•DDfFJ@LH: agg. qualificativo, di valore sostantivato, acc. plur. m. da –DDTFJ@H, –@< (da
–8n" privativa e una presunta parola derivata da Õf<<L:"4), senza forza, debole, infermo,
malato; cf. Mc 6,5; compl. di stato in luogo. L’assenza dell’articolo nelle espressioni formate
con preposizioni, come qui, è frequente nel greco ellenistico.
PgÃD"H: sost., acc. plur. f. da Pg\D, Pg4D`H, mano; cf. Mc 1,31; compl. oggetto.
¦B4hZF@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. da ¦B4J\h0:4 (da ¦B\ e J\h0:4), sovrapporre,
imporre, soprannominare; cf. Mc 3,16. Imporre le mani su un malato per guarirlo è gesto
comune nelle narrazioni di guarigioni da parte di Gesù (cf. Mc 5,23; 6,5; 7,32; 8,23.25; cf.
anche Mc 10,16, dove tale gesto è usato per benedire). L’azione di imporre le mani al fine
di procurare una guarigione viene comandata agli apostoli da Gesù e diventerà rito della
Chiesa.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
i"8äH: avv. di modo, indecl., bene, giustamente, veramente; cf. Mc 7,6.
ª>@LF4<: verbo, 3a pers. plur. ind. fut. da §PT, avere, possedere, tenere (trans.); essere nella
condizione di, essere all’intorno (intr.); cf. Mc 1,22. Il verbo §PT normalmente è transitivo
e ha una serie di significati che dipendono da quello fondamentale di avere. Tuttavia in certe
1128 Mc 16,19

espressioni, come qui, ha valore intransitivo e forma con gli avverbi delle strutture che
denotano una situazione, uno stato, un essere: i"iäH §Pg4<, «stare male» (cf. Mc 1,32.34;
2,17; 6,55); i"8äH §Pg4<, «stare bene» (cf. Mc 16,18), ossia «guarire».

16,19 {? :¥< @Þ< ibD4@H z30F@ØH :gJ JÎ 8"8­F"4 "ÛJ@ÃH •<g8Z:nh0 gÆH JÎ<
@ÛD"<Î< i"Â ¦iVh4Fg< ¦i *g>4ä< J@Ø hg@Ø.
16,19 Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di
Dio.

{?: art. determ., nom. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,4.
:X<: particella primaria, indecl., certo, certamente; cf. Mc 4,4. Nell’uso assoluto, senza un’altra
particella correlativa, assume valore enfatico/affermativo, corrispondente agli avverbi italiani
«veramente», «certamente», «davvero», «appunto» (ma talvolta non si traduce). Anteposta
alla particella @Þ< connette due elementi o argomentazioni con significato conclusivo. La
particella è qui usata in correlazione con il successivo *X del v. 20: l’Autore stabilisce una
articolazione tra l’ascensione di Gesù e la partenza dei discepoli in missione.
@Þ<: cong. conclusiva, indecl., dunque, pertanto; cf. Mc 10,9.
ibD4@H: sost., nom. sing. m. da ibD4@H, –@L, signore, padrone, capo, Signore (riferito a Dio e
Gesù); cf. Mc 1,3; apposizione di z30F@ØH.
z30F@ØH: sost., nome proprio di persona, nom. sing. m. da z30F@ØH, –@Ø, Gesù; cf. Mc 1,1;
soggetto.
:gJV: prep. propria di valore temporale, seguita dall’accusativo, indecl., dopo, dopo di; cf. Mc
1,13.
J`: art. determ., acc. sing. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,10.
8"8­F"4: verbo, inf. aor., di valore sostantivato, da 8"8XT, parlare, dire; cf. Mc 1,34; compl.
di tempo determinato. Infinito sostantivato dall’articolo neutro J` e retto dalla preposizione
:gJV che serve come determinazione temporale: in italiano può essere reso con una
proposizione temporale finita: «dopo aver parlato». La formula :gJ J` + infinito con valore
temporale ritorna in Mc 1,4; 14,28.
"ÛJ@ÃH: pron. dimostrativo che funge da pron. personale di 3a pers., dat. plur. m. da "ÛJ`H, –Z,
–`, [quello], egli, lui, esso; cf. Mc 1,17; compl. di termine.
•<g8Z:nh0: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. pass. da •<"8":$V<T (da •<V e 8":$V<T),
prendere, sollevare, innalzare. Questo verbo ricorre 13 volte nel NT: Mc 16,19 (hapax
marciano); At 1,2.11.22; 7,43; 10,16; 20,13.14; 23,31; Ef 6,13.16; 1Tm 3,16; 2Tm 4,11.
Passivo divino. Oltre al significato ordinario di «prendere», «accogliere» qualcuno o
qualcosa, corrispondente all’uso classico (cf. Erodoto, Hist., 1,111,1; Senofonte, Hell., 2,4,6),
questo verbo è impiegato nel NT nella diatesi passiva nel significato di «essere portato su»,
«essere innalzato [in cielo]», per descrivere l’innalzamento al cielo (ossia l’ascensione) di
Gesù, rappresentato come un avvenimento visibile, come una sorte di rapimento, sulla
tradizione anticotestamentaria dell’ascensione di Elia o di Enoch (cf. 2Re 2,9–11; Sir 48,9;
49,14; 2Mac 2,58). Sebbene la traduzione latina Vulgata abbia reso la forma verbale
Mc 16,20 1129

•<g8Z:nh0 con «assumptus est», la successiva tradizione liturgica latina ha definito


«Ascensione» (ascensio) la relativa festa, riservando la definizione «Assunzione» (assumptio)
per la festa di Maria. La chiesa greca, invece, ha conservato il vocabolo (º •<V80R4H) per
indicare la nostra «Ascensione».
gÆH: prep. propria di valore locale, seguita dall’accusativo, indecl., a, in, su, verso, dentro, fino
a; cf. Mc 1,4.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
@ÛD"<`<: sost., acc. sing. m. da @ÛD"<`H, –@Ø, cielo, volta celeste; cf. Mc 1,10; compl. di
moto a luogo.
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
¦iVh4Fg<: verbo, 3a pers. sing. ind. aor. da i"h\.T, sedere, sedersi, assidersi; cf. Mc 9,35.
¦i: prep. propria di valore locale, seguita dal genitivo, indecl., da; cf. Mc 1,10.
*g>4ä<: agg. qualificativo, di valore sostantivato, gen. plur. n. da *g>4`H, –V, –`<, destro; cf.
Mc 10,37; compl. di stato in luogo.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
hg@Ø: sost., gen. sing. m. da hg`H, –@Ø, dio, Dio; cf. Mc 1,1; compl. di specificazione. Nella
cultura semitica come nell’AT l’espressione i"h\.g4< ¦i *g>4ä<, «sedere alla destra» di
qualcuno o qualcosa, denota importanza, prestigio e autorità (cf. Gn 48,13; 2Re 12,10; Is
63,12; vedi commento a Mc 10,37). Nel NT l’espressione «seduto alla destra di Dio» viene
riferita da Gesù a sé stesso, come «Figlio dell’uomo» (cf. Mt 26,64; Mc 14,62; Lc 22,69; cf.
anche Mt 22,44; Mc 12,36; Lc 20,42). Altrove l’immagine è utilizzata dagli scrittori sacri per
indicare la glorificazione del Cristo risorto e asceso al cielo, compartecipe della gloria,
potenza e divinità del Padre (cf. At 2,33.34; 7,55.56; Rm 8,34; Ef 1,20; Col 3,1; Eb 1,3.13;
8,1; 10,12; 12,2; 1Pt 3,22).

16,20 ¦igÃ<@4 *¥ ¦>g8h`<JgH ¦iZDL>"< B"<J"P@Øs J@Ø iLD\@L FL<gD(@Ø<J@H i"Â


JÎ< 8`(@< $g$"4@Ø<J@H *4 Jä< ¦B"i@8@Lh@b<JT< F0:g\T<.
16,20 Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con
loro e confermava la parola con i segni prodigiosi che la accompagnavano.

¦igÃ<@4: pron. dimostrativo, nom. plur. m. da ¦igÃ<@H, –0, –@, quello, quegli, colui, esso; cf.
Mc 1,9; soggetto.
*X: cong. coordinativa di valore narrativo, indecl., ora, allora, poi; cf. Mc 1,8.
¦>g8h`<JgH: verbo, nom. plur. m. part. aor. da ¦>XDP@:"4 (da ¦i e §DP@:"4), venire fuori,
uscire; cf. Mc 1,25. Participio predicativo del soggetto ¦igÃ<@4, in riferimento a @Ê ª<*gi".
¦iZDL>"<: verbo, 3a pers. plur. ind. aor. da i0DbFFT, proclamare apertamente, annunciare
solennemente, predicare; cf. Mc 1,4.
B"<J"P@Ø: avv. di luogo, indecl., ovunque, dovunque, dappertutto, in ogni luogo; cf. Mc 1,28.
J@Ø: art. determ., gen. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,1.
1130 Mc 16,20

iLD\@L: sost., gen. sing. m. da ibD4@H, –@L, signore, padrone, capo, Signore (riferito a Dio e
Gesù); cf. Mc 1,3; soggetto.
FL<gD(@Ø<J@H: verbo, gen. sing. m. part. pres. da FL<gD(XT, lavorare insieme, aiutare,
cooperare. Questo verbo ricorre 5 volte nel NT: Mc 16,20 (hapax marciano); Rm 8,38;
1Cor 16,16; 2Cor 6,1; Gc 2,22. Participio al genitivo assoluto. La frase J@Ø iLD\@L
FL<gD(@Ø<J@H appare nella forma detta “genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore
temporale. Nel greco classico sia il sostantivo FL<gD(`H (non presente in Marco) sia il
verbo derivato FL<gD(XT indicano una attività che viene distribuita più o meno equamente
tra due o più collaboratori (cf. Euripide, Hel., 1427; Senofonte, Mem., 2,6,21). In genere
FL<gD(XT è impiegato per descrivere una collaborazione in un lavoro materiale, ma ciò può
avvenire anche per aiuti spirituali o per il soccorso divino (cf. Platone, Symp., 212b; Charm.,
173d). Questa cooperazione di Dio, definita mediante il verbo FL<gD(XT, troviamo anche
in Giuseppe Flavio, il quale impiega varie volte la formula stereotipa hg@Ø FL<gD(@Ø<J@H,
«con l’aiuto di Dio», corrispondente al latino Deo adiuvante (cf. Giuseppe Flavio, Bellum,
2,201; cf. anche Bellum, 6,38.39; Antiq., 8,130).
i"\: cong. coordinativa di valore copulativo, indecl., e, ed; cf. Mc 1,4.
J`<: art. determ., acc. sing. m. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,2.
8`(@<: sost., acc. sing. m. da 8`(@H, –@L, parola; cf. Mc 1,45; compl. oggetto.
$g$"4@Ø<J@H: verbo, gen. sing. m. part. pres. da $g$"4`T, rendere fermo, confermare,
rafforzare. Questo verbo ricorre 8 volte nel NT: Mc 16,20 (hapax marciano); Rm 15,8; 1Cor
1,6.8; 2Cor 1,21; Col 2,7; Eb 2,3; 13,9. Participio al genitivo assoluto. La frase [J@Ø iLD\@L]
$g$"4@Ø<J@H appare nella forma detta “genitivo assoluto” (cf. Mc 1,32), qui con valore
temporale. Nella grecità il verbo $g$"4`T viene usato sia nel significato proprio o figurato
di «rafforzare», «confermare», «consolidare» (cf. Platone, Crito, 53b) sia in quello di
«assicurare», «garantire» (cf. Senofonte, Cyr., 8,8,2; Tucidide, Hist., 1,122,3). In tutte le
ricorrenze neotestamentarie il verbo assume sempre il significato teologico di «rafforzare» o
«confermare» la fede dei cristiani. Nel contesto della predicazione missionaria, come nel
nostro caso, $g$"4`T è usato nel senso di «garantire», «assicurare», «convalidare» (sott. la
fede), con sfumatura giuridica: i «segni» non sono una prova della validità della «parola», ma
una delle manifestazioni in cui il 8`(@H di Cristo, già valido in sé, si attua tra i credenti.
*4V: prep. propria di valore strumentale, seguita dal genitivo, indecl., per, tramite, mediante, per
mezzo di; cf. Mc 2,1.
Jä<: art. determ., gen. plur. n. da Ò, º, J`, il, la, lo; cf. Mc 1,7.
¦B"i@8@Lh@b<JT<: verbo, gen. plur. n. part. pres., con valore aggettivale, da ¦B"i@8@LhXT
(da ¦B\ e •i@8@LhXT), seguire, accompagnare; attributo di F0:g\T<. Questo verbo,
appartenente al gruppo lessicale formato da •i@8@LhXT, B"D"i@8@LhXT, FL<"i@8@L-
hXT, ricorre 4 volte nel NT: Mc 16,20 (hapax marciano); 1Tm 5,10.24; 1Pt 2,21. Nella
grecità il verbo è usato nel significato proprio e figurato corrispondente a «seguire», «venire
dietro» (cf. Tucidide, Hist., 5,65,5; Senofonte, Anab., 3,2,35; Aristofane, Ves., 1328). Usato
con significato traslato, il participio assume qui il significato di «concomitante».
F0:g\T<: sost., gen. plur. n. da F0:gÃ@<, –@L, segno; cf. Mc 8,11; compl. di mezzo.
Mc 16,20 1131

Con questo versetto si conclude il secondo vangelo canonico. Perché e per chi Marco
scrisse il suo vangelo? L’evangelista è animato da un preciso scopo kerygmatico e un
interesse eminentemente cristologico: egli intende presentare in modo organico, benché
sintetico, la persona, l’identità e il mistero di Gesù di Nazaret, riconosciuto ormai dalla
comunità dei credenti come il Messia e il Figlio di Dio. È molto probabile che il suo scritto
fosse una specie di iniziazione catechetica per i convertiti provenienti dal mondo pagano che
avevano già ascoltato e accolto l’annuncio kerygmatico e ora si interessavano di Gesù e del
suo insegnamento in maniera più approfondita. In tal senso il vangelo di Marco sarebbe il
primo “catechismo” cristiano. L’interesse di Marco, infatti, non è soltanto storico, ma
eminentemente teologico: la tradizione di Gesù e su Gesù non è proposta in forma
cronachistica, ma come un annuncio kerygmatico o, per usare le sue parole, come una
«buona novella» (gÛ"((X84@<) rivolta ai pagani convertiti. Questa è la prima, fondamentale
motivazione. Possiamo però aggiungere altri motivi di ordine storico e religioso che hanno
indotto Marco a scrivere il vangelo: sappiamo che le comunità giudeo–cristiane erano
interessate soprattutto alle parole di Gesù in riferimento all’insegnamento etico e apocalittico,
in attesa degli ultimi giorni. In questo ambiente c’era il pericolo di privilegiare soltanto uno
degli aspetti dell’insegnamento di Gesù e di considerarlo come uno dei tanti maestri giudei.
Un altro grave pericolo proveniva dalle comunità ellenistico–cristiane: esse conoscevano nella
loro cultura la presenza di uomini divini, operatori di prodigi, i quali percorrevano le strade
della Grecia e dell’Asia Minore eccitando le folle con artifici magici e pseudo manifestazioni
miracolose. In questi ambienti ellenistici c’era il pericolo di considerare Gesù alla stregua di
simili personaggi, rappresentandolo come un mago, un uomo semi–divino. Marco, con il suo
vangelo, scritto a nome della comunità di fede, vuole correggere questi errori che minavano
alla radice l’essenza del cristianesimo: da una parte evita di rappresentare Gesù unicamente
come un Rabbi, un maestro di sapienza, privilegiando il materiale narrativo a quello orale
rappresentato dai loghion, dall’altra dà grande spazio e importanza alla vicenda della
passione, presentando Gesù non come un applaudito taumaturgo itinerante, ma come il
Figlio dell’Uomo e il servo obbediente che dovrà conoscere l’incomprensione, il rifiuto e la
croce per poter offrire la sua salvezza. In conclusione: tutto il vangelo di Marco è percorso
da questo interesse cristologico; la sua opera è una «buona notizia», un annuncio di salvezza
portata a compimento da Gesù di Nazaret, riconosciuto come il Messia e il Figlio di Dio,
unico Salvatore dell’umanità.
SIGLE E ABBREVIAZIONI

1 – GENERALI

Aa.Vv. = Autori vari


abl. = ablativo
a.C. = avanti Cristo
acc. = accusativo
ad l. = ad locum (= nel rispettivo passo citato)
agg. = aggettivo
ANET = Ancient Near Eastern Texts Relating to the Old Testament, Princeton
University Press, Princeton, 1969 (a cura di James B. Pritchard)
aor. = aoristo
app. = apposizione
aram. = aramaico
art. = articolo
AT = Antico Testamento
attr. = attributo
att. = attivo
avv. = avverbio
c. – cc. = capitolo – capitoli
ca. = circa
CCL = Corpus Christianorum. Serie Latina
CEI = rimanda al testo della Bibbia nella traduzione italiana curata dalla
Conferenza Episcopale Italiana e dichiarato «testo ufficiale» della Chiesa
cattolica in Italia («editio princeps» 1971)
cf. = confronta
CII = Corpus Inscriptionum Iudaicarum, Vol. I–II, Pontificio Istituto di
Archeologia Cristiana, Roma 1936–1952 (a cura di Jean–Baptiste Frey)
cit. = citazione da
cm = centimetri
col. – coll. = colonna – colonne
compl. = complemento
cong. = congiunzione
congiunt. = congiuntivo
CSEL = Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum
dat. = dativo
d.C. = dopo Cristo
determ. = determinativo
DJD = Discoveries in the Judaean Desert. Vol. II: Les Grottes de Murabbaat,
Clarendon Press, Oxford, 1961 (a cura di Pierre Benoit, Joseph T. Milik,
Roland de Vaux).
eb. = ebraico

1133
1134 Sigle e abbreviazioni

ed. = editore/i – edizione/i – a cura di


f. = femminile
fut. = futuro
gen. = genitivo
gr. = greco
ibid. = ibidem (= stessa opera sopra menzionata)
id. = idem (= stesso autore sopra menzionato)
imperat. = imperativo
imperf. = imperfetto
ind. = indicativo
inf. = infinito
interiez. = interiezione
IR = Inscriptions Reveal. Documents from the Time of the Bible, the Mishna
and the Talmud, Israel Museum, Jerusalem, 1973 (a cura di Abraham
Eitan)
km = chilometri
lat. = latino
lett. = letteralmente
LXX = rimanda alla versione greca dell’Antico Testamento, detta dei «Settanta»
(250–100 a.C.)
m. = maschile
medio = medio
ms. – mss. = manoscritto – manoscritti
n. = neutro
n.d.a. = nota di autore
nr. = numero, numeri
nom. = nominativo
NT = Nuovo Testamento
OGIS = Orientis Graeci Inscriptiones Selectae, Vol. I–II, Teubner, Leipzig,
1903–1905 (a cura di Wilhelm Dittenberger)
orig. = originale
ott. = ottativo
par. = parallelo – paralleli
part. = participio
pass. = passivo
perf. = perfetto
pers. = persona
PG = Patrologiae cursus completus… Series graeca, Vol. I–CLXI (ed.
Jacques–Paul Migne, Garnier Frates, Paris, 1857–1904)
piucch. = piuccheperfetto
PL = Patrologiae cursus completus… Series latina, Vol. I–CCXXI (ed.
Jacques–Paul Migne, Garnier Frates, Paris, 1855–1904)
plur. = plurale
Sigle e abbreviazioni 1135

prep. = preposizione
pres. = presente
pron. = pronome
s.a. = sine anno (= senza indicazione di data)
sec. = secolo
SEG = Supplementum Epigraphicum Graecum
sing. = singolare
s.l. = sine loco (= senza indicazione di luogo)
s.l.m. = sopra il livello del mare
sost. = sostantivo
sott. = sottinteso
ss. = (versetti) seguenti
s.v. = sub voce
Syll. = Sylloge Inscriptionum Graecarum (a cura di Wilhelm Dittenberger)
Tg = Targum
TILC = rimanda alla Traduzione interconfessionale in lingua corrente della Bibbia
curata da cattolici e protestanti italiani
TM = rimanda al testo ebraico vocalizzato della Bibbia, detto Testo Masoretico
(500–900 d.C.)
trad. = traduzione
v. – vv. = versetto – versetti
vel = o, oppure (indica una alternativa)
v.l. = varia lectio
voc. = vocativo
Vol. = Volume, Volumi

2 – LIBRI BIBLICI

a) Antico Testamento (disposizione canonica)

Gn = Genesi 2Cr = 2 Cronache


Es = Esodo Esd = Esdra
Lv = Levitico Ne = Neemia
Nm = Numeri Tb = Tobia
Dt = Deuteronomio Gdt = Giuditta
Gs = Giosuè Est = Ester
Gdc = Giudici 1Mac = 1 Maccabei
Rut = Rut 2Mac = 2 Maccabei
1Sam = 1 Samuele Gb = Giobbe
2Sam = 2 Samuele Sal = Salmi
1Re = 1 Re Prv = Proverbi
2Re = 2 Re Qo = Qoelet
1Cr = 1 Cronache Ct = Cantico dei Cantici
1136 Sigle e abbreviazioni

Sap = Sapienza Abd = Abdia


Sir = Siracide Gio = Giona
Is = Isaia Mic = Michea
Ger = Geremia Na = Naum
Lam = Lamentazioni Ab = Abacuc
Bar = Baruc Sof = Sofonia
Ez = Ezechiele Ag = Aggeo
Dn = Daniele Zc = Zaccaria
Os = Osea Ml = Malachia
Gl = Gioele
Am = Amos

I Salmi vengono citati secondo il numero del Salmo e di versetto dell’originale ebraico (=
TM). Si ricordi che i numeri dei Salmi da 10 a 148, secondo la traduzione greca dei LXX e
quella latina Vulgata, sono inferiori di una unità rispetto al testo ebraico.

b) Nuovo Testamento (disposizione canonica)

Mt = Matteo 2Tm = 2 Timoteo


Mc = Marco Tt = Tito
Lc = Luca Fm = Filemone
Gv = Giovanni Eb = Ebrei
At = Atti degli Apostoli Gc = Giacomo
Rm = Romani 1Pt = 1 Pietro
1Cor = 1 Corinzi 2Pt = 2 Pietro
2Cor = 2 Corinzi 1Gv = 1 Giovanni
Gal = Galati 2Gv = 2 Giovanni
Ef = Efesini 3Gv = 3 Giovanni
Fil = Filippesi Gd = Giuda
Col = Colossesi Ap = Apocalisse
1Ts = 1 Tessalonicesi
2Ts = 2 Tessalonicesi
1Tm = 1 Timoteo

3 – PAPIRI

P45 = Chester Beatty I, III sec. (contiene Mc 4,36–9,31; 11,27–12,28).

4 – CODICI M AIUSCOLI

! [= S, 01] Sinaiticus, IV sec., Londra


A [= 02] Alexandrinus, V sec., Londra
B [= 03] Vaticanus, IV sec., Città del Vaticano
Sigle e abbreviazioni 1137

C [= 04] Ephraemi rescriptus, V sec., Parigi


D [= 05] Bezae (Cantabrigiensis), V sec., Cambridge
E [= 07] Basilensis, VIII sec., Basilea
F [= 09] Boreelianus, IX sec., Utrecht
G [= 011] Seidelianus I, IX sec., Londra; Cambridge
H [= 013] Seidelianus II, IX sec., Amburgo; Cambridge
K [= 017] Cyprius, IX sec., Parigi
L [= 019] Regius, VIII sec., Parigi
M [= 021] Campianus, IX sec., Parigi
N [= 022] Purpureus, VI sec., S. Pietroburgo
O [= 023] Sinopensis, VI sec., Parigi
P [= 024] Guelpherbytanus A, VI sec., Wolfenbüttel
Q [= 026] Guelpherbytanus B, V sec., Wolfenbüttel
R [= 027] Nitriensis, VI sec., Londra
S [= 028] Vaticanus 354, X sec., Città del Vaticano
T [= 029] Borgianus, V sec., Roma; New York
U [= 030] Nanianus, IX sec., Venezia
W [= 032] Washingtoniensis, V sec., Washington
X [= 033] Monacensis, X sec., Monaco
Z [= 035] Dublinensis, VI sec., Dublino
' [= 036] Oxoniensis, X sec., S. Pietroburgo; Oxford
) [= 037] Sangallensis, IX sec., S. Gallo
1 [= 038] Coridethianus, IX sec., Tbilisi
= [= 040] Zacynthius, VI sec., Londra
A [= 041] Petropolitanus, IX sec., S. Pietroburgo
E [= 042] Rossanensis, VI sec., Rossano
Q [= 044] Athous Laurensis, IX sec., Athos
083 = VI sec., S. Pietroburgo; Sinai
086 = VI sec., Londra
091 = VI sec., S. Pietroburgo
0141 = X sec., Parigi
0233 = VIII sec., Münster
0250 = VIII sec., Cambridge

L’asterisco apposto come apice alla sigla di un codice (= B*) indica che tale lezione si deve
alla prima mano.
Una piccola lettera «c» apposta come apice alla sigla di un codice (= 28c) indica che tale
lezione è l’intervento di un correttore successivo, anche se, talvolta, può essere dello stesso
scrivano.
Il numero 1, 2, 3 apposto come apice alla sigla di un codice (= A1) indica una correzione da
attribuire al primo, al secondo o al terzo correttore.
Una piccola lettera «r» apposta come apice alla sigla di un codice indica tutta la recensione
o famiglia di manoscritti che segue quel codice.
1138 Sigle e abbreviazioni

Una piccola lettera «s» apposta come apice alla sigla di un codice indica tutta la classe di
manoscritti che segue quel codice.

5 – CODICI M INUSCOLI

1 = XII sec.
13 = XIII sec.
28 = XI sec.
33 = IX sec.
124 = XI sec.
209 = XIV/XV sec.
565 = IX sec.
579 = XIII sec.
592 = XIII sec.
700 = XI sec.
1071 = XII sec.
1342 = XIII sec.
1424 = IX/X sec.

f1 = indica la famiglia di manoscritti 1 (detta anche famiglia Ferrar), comprendente i


minuscoli 1, 22, 118, 131, 209, 1582 e altri.
f13 = indica la famiglia di manoscritti 13 (detta anche famiglia Lake), comprendente i codici
minuscoli 13, 69, 124, 174, 230, 346, 543, 788, 826, 828, 983, 1689, 1709 e altri.

6 – VERSIONI ANTICHE

arm = versione armena, V sec.


copbo = versione copta bohairica, V sec.
copsa = versione copta sahidica, III sec.
geo = versione georgiana, V–VI sec.
it = versione latina Itala (Vetus latina), II–III sec.
syrpal = versione siriaca palestinese, VI sec.
syrc = versione siriaca curetoniana, V sec.
syrh = versione siriaca harclense, VII sec.
syrp = versione siriaca peshitta, V sec.
syrs = versione siriaca sinaitica, IV–V sec.
vg = versione latina Vulgata, IV sec.

7 – M ANOSCRITTI DI QUMRAN

1QM = [= 1QMilhamah] Prima grotta di Qumran: Regola della Guerra


1QpHab = [= 1QPesher Abacuc] Prima grotta di Qumran: Commento di Abacuc
Sigle e abbreviazioni 1139

1QS = [= 1QSerek] Prima grotta di Qumran: Regola della Comunità (= Manuale


di disciplina)
4Q268 = [= 4QDc] Quarta grotta di Qumran: Documento di Damascoc
CD–A = Documento di Damasco, prima copia

8 – APOCRIFI DELL’ANTICO TESTAMENTO

2Bar. = 2Baruch [= Apocalypsis Baruch syriaca] (ca. 70–100 d.C.)


3Bar. = 3Baruch [= Apocalypsis Baruch graeca] (fine I sec. d.C.)
1Esd. = 1Esdra [= Esdra A in LXX, III Esdra in Vulgata] (ca. 150–100 a.C.)
2Esd. = 2Esdra [= IV Esdra in Vulgata] (ca. 70–100 d.C.)
4Esd. = 4Esdra [= Apocalypsis Esdrae] (fine I sec. d.C.)
1Hen. = 1Henoch [= Henoch aethiopicus] (I sec. a.C.)
3Mac. = 3Machabaeorum (I sec. a.C.)
4Mac. = 4Machabaeorum (I sec. d.C.)
Apoc. Hel. = Apocalypsis Heliae (I–III sec. d.C.)
Apoc. Mos. = Apocalypsis Mosis (I sec. d.C.)
Ass. Mos. = Assumptio Mosis [= Testamentum Mosis] (II sec. a.C.)
Lib. Iub. = Liber Iubilaeorum (II sec. a.C.)
Or. Sib. = Oracula Sibyllina (n. 3: I sec. a.C.; nn. 4–5: I sec. d.C.)
Ps. Salom. = Psalmi Salomonis (I sec. d.C.)
Test. As. = Testamenta XII Patriarcharum: Testamentum Aser (II–I sec. a.C.)
Test. Dan = Testamenta XII Patriarcharum: Testamentum Dan (II–I sec. a.C.)
Test. Gad = Testamenta XII Patriarcharum: Testamentum Gad (II–I sec. a.C.)
Test. Ios. = Testamenta XII Patriarcharum: Testamentum Iosephi (II–I sec. a.C.)
Test. Iud. = Testamenta XII Patriarcharum: Testamentum Iudae (II–I sec. a.C.)
Test. Levi = Testamenta XII Patriarcharum: Testamentum Levi (II–I sec. a.C.)
Test. Zab. = Testamenta XII Patriarcharum: Testamentum Zabulon (II–I sec. a.C.)
Vit. Ad. = Vita Adae et Evae (inizio I sec. d.C.)

9 – SCRITTI RABBINICI

Mishnah, Tosefta, Talmud

Ab. = Abot (;|"! I , trattato «Padri»).


Baba Mez. = Baba Mezia (!3I*7E/ G !"IvI, trattato «Porta media» – ossia questioni
giuridiche su beni mobili).
Baba Qam. = Baba Qamma (!Œ I8H !"IvI, trattato «Prima porta» – ossia questioni
giuridiche sui danni alle proprietà).
Bek. = Bekorot (;|9|,vG, trattato «Primogeniti»).
Ber. = Berakot (;|,9IvA, trattato «Benedizioni»).
Dem. = Demai (*! E/H $G, trattato «Dubbio»).
Eduy. = Eduyot (;|*{$3F, trattato «Testimonianze»).
1140 Sigle e abbreviazioni

Erub. = Erubin (0*"E{9*3F, trattato «Mescolanze» – ossia trasgressioni del precetto


del sabato).
Ghit. = Ghittin (0*€ E #E, trattato «Divorzi»).
Hagh. = Haghigah (%#I*#E( C , trattato «Profano»).
Hor. = Horayot (;|*9I|%, trattato «Decisioni»).
Hul. = Hullin (0*‹E{(, trattato «Cose profane»).
Kel. = Kelim (.*-EƒA, trattato «Recipienti»).
Ket. = Ketubot (;|v{;ƒA, trattato «Prescrizioni matrimoniali»).
Mak. = Makkot (;|ƒ/ H , trattato «Percosse»).
Megh. = Meghillah (%‹I*#E/ A , trattato «Rotolo [di Ester]»).
Mid. = Middot (;|y*/ E , trattato «Misure»).
Ned. = Nedarim (.*9E$ I 1A, trattato «Voti»).
Neg. = Negaim (.*3ExI1A, trattato «Piaghe [lebbrose]»).
Nid. = Niddah (%y I 1E, trattato «Mestruante»).
Ohal. = Ohalot (;|-% I! D , trattato «Tende»).
Par. = Parah (%9II, trattato «Vacca [rossa]»).
Pea. = Peah (%! I F, trattato «Orlo [della campagna]»).
Pesah. = Pesahim (.*( E2 I A, trattato «Feste di Pasqua»).
Qid. = Qiddushin (0*– E {y*8 E , trattato «Nozze»).
Sanh. = Sanhedrin (0*9E$A% G 1A2H , trattato «Sinedrio»).
Shab. = Shabbat (;v I– H , trattato «Sabato»).
Shebu. = Shebuot (;|3{"– A , trattato «Giuramenti»).
Sheq. = Sheqalim (.*-E8 I –A, trattato «Sicli [di imposta]»).
Sot. = Sotah (%; I |2, trattato «[Donna] sedotta»).
Suk. = Sukkah (%ƒ I {2, trattato «Tenda»).
Toh. = Tohorot (;|9% DJ), trattato «Purità»).
Yad. = Yadayim (.*E$ H I*, trattato «Mani»).
Yeb. = Yebamot (;|/v I *A, trattato «Cognate»).
Yom. = Yoma (!/ I |*, trattato «Giorno [dell’espiazione]»).
Zeb. = Zebahim (.*( E "I'F, trattato «Sacrifici»).

I trattati che hanno lo stesso nome nella Mishnah, nella Tosefta, nel Talmud palestinese e nel
Talmud babilonese sono contraddistinti dalle corrispettive lettere minuscole (m., t., y., b.)
prefisse al titolo del trattato (es.: m.Ber., 6,3 = Mishnah, Trattato Berakot, 6,3).

10 – LETTERATURA GRECA

ALCEO [z!8i"Ã@H] (630–560 a.C.)


Frag. = Fragmenta

AMMONIO (PSEUDO–) [z!::f<4@H] (I–II sec. d.C.)


Vocab. = De adfinium vocabulorum differentia [AgDÂ Ò:@\T< i"Â *4"N`DT< 8X>gT<]
Sigle e abbreviazioni 1141

ANASSIMENE DI LAMPSACO [z!<">4:X<gH 7":BR"i0<`H] (380–320 a.C.)


Rhet. = Rhetorica ad Alexandrum [{C0J@D4iZ BDÎH z!8X>"<*D@<]

ANTIFANE [z!<J4NV<0H] (388–311 a.C.)


Frag. = Fragmenta

ANTIFONTE [z!<J4NT<] (480–411 a.C.)


De caede = De caede Herodis [AgDÂ J@Ø {/Dæ*@L N`<@L]
Tetral. I = Tetralogia I [IgJD"8@(\" "']
Tetral. II = Tetralogia II [IgJD"8@(\" $']
Tetral. III = Tetralogia III [IgJD"8@(\" (']

APOLLODORO DI ATENE [z!B@88`*TD@H z!h0<"Ã@H] (180–110 a.C.)


Bibl. = Bibliotheca [#4$84@hZi0]

APOLLONIO DI RODI [z!B@88f<4@H {C`*4@H] (295–215 a.C.)


Arg. = Argonautica [z!D(@<"LJ4iV]

APOLLONIO DI TIANA [z!B@88f<4@H Ò IL"<gbH] (I sec. d.C.)


De hor. = De horis diei et noctis [#\$8@H F@N\"H i" FL<XFgTH •B@Jg8gF:VJT<
z!B@88T<\@L J@Ø IL"<XTH]

APPIANO [z!BB4"<`H] (90–165 d.C.)


Bellum civ.= Bellum civile [z+:NL84f<]
Iber. = Historia romana: Iberia [{CT:"ÄiV: z3$gD4iZ]

ARISTOFANE [z!D4FJ@NV<gH] (444–385 a.C.)


Achar. = Acharnenses [z!P"D<gÃH]
Av. = Aves [}?D<4hgH]
Eccl. = Ecclesiazusae [z+ii80F4V.@LF"4]
Eq. = Equites [{3BBgÃH]
Frag. = Fragmenta
Lys. = Lysistrata [7LF4FJDVJ0]
Nub. = Nubes [;gNX8"4]
Pax = Pax [+ÆDZ<0]
Pl. = Plutus [A8@ØJ@H]
Ranae = Ranae [#VJD"P@4]
Thesm. = Thesmophoriazusae [1gF:@N@D4V.@LF"4]
Ves. = Vespae [EN­igH]

ARISTOTELE [z!D4FJ@JX80H] (384–322 a.C.)


De an. = De anima [AgDÂ RLP­H]
De aud. = De audibilibus [AgD •i@LFJä<]
1142 Sigle e abbreviazioni

De cae. = De caelo [AgDÂ @ÛD"<@Ø]


De gen. anim.= De generatione animalium [AgDÂ .æT< (g<XFgTH]
De mir. ausc. = De mirabilibus auscultationibus [AgD h"L:"F\T< •i@LF:VJT<]
De mun. = De mundo [AgDÂ i`F:@L]
De part. anim.= De partibus animalium [AgDÂ .æT< :@D\T<]
Eth. Nic. = Ethica Nicomachea [z/h4i ;4i@:VPg4"]
Hist. anim. = Historia animalium [AgD J .æ" ÊFJ@D\"4]
Metaph. = Metaphysica [9gD"NLF4iV]
Meteor. = Meteorologica [9gJgTD@8@(4iV]
Phys. = Physica [MLF4i¬ •iD`"F4H]
Polit. = Politica [A@84J4iV]
Probl. = Problemata [AD@$8Z:"J"]
Rhet. = Rhetorica [{C0J@D4i¬ JXP<0]

ARRIANO [z!DD4"<`H] (95–175 d.C.)


Alex. anab. = Alexandri anabasis [z!<V$"F4H z!8g>V<*D@L]
Diss. = Dissertationes [)4"JD4$"\]

ARTEMIDORO DI DALDI [z!DJg:\*TD@H )"8*4"<`H] (II sec. d.C.)


Onir. = Onirocriticon [z?<g4D@iD4J4iV]

ATENEO SOFISTA [z!hZ<"4@H] (II–III sec. d.C.)


Deipn. = Deipnosophistae [)g4B<@F@N4FJ`4]

CALLIMACO [5"88\:"P@H] (315–240 a.C.)


Frag. = Fragmenta
Hym. = Hymni [~K:<@4]
Iam. = Iambi [}3":$@4]

CIRANIDE [5LD"<\H] (II sec. d.C.)


Lib. Cyr. = Liber Cyranides [5LD"<\*gH $\$8@4]

CLAUDIO TOLOMEO [58"b*4@H AJ@8g:"Ã@H] (II sec. d.C.)


Geogr. = Geographia ['gT(D"N4i­H {KN0(ZFgTH $4$8\@<]

CLEMENTE DI ALESSANDRIA [58Z:0<H z!8g>"<*DgbH] (150–215 d.C.)


Quis dives = Quis dives salvetur? [I\H Ò FT.Î:g<@H B8@bF4@H]
Paedag. = Paedagogus [{? B"4*"(@(`H]
Strom. = Stromateis [EJDT:"JgÃH]

DEMOSTENE [)0:@FhX<0H] (384–322 a.C.)


Or. = Orationes
3 = Olynthiaca 3 [z?84<h4"i`H (]
Sigle e abbreviazioni 1143

4 = Philippica 1 [5"J M48\BB@L "']


5 = De pace [AgDÂ J­H gÆDZ<0H]
14 = De simmoria [AgDÂ Jä< FL::@D4ä<]
18 = De corona [AgDÂ J@Ø FJgNV<@L]
19 = De falsa legatione [AgDÂ J­H B"D"BDgF$g\"H]
20 = Adversus Leptinem [AgD J­H •Jg8g\"H BDÎH 7gBJ\<0<]
21 = In Midiam [5"J 9g4*\@L]
23 = In Aristocratem [5"Jz z!D4FJ@iDVJ@LH]
24 = In Timocratem [5"J I4:@iDVJ@LH]
25 = In Aristogitonem 1 [5"Jz z!D4FJ@(g\J@<@H "']
27 = In Aphobum 1 [5"Jz z!N`$@L]
32 = Contra Zenothemin [ADÎH -0<`hg:4<]
34 = Contra Phormionem [ADÎH M@D:\T<"]
40 = Contra Boeotum 2 [ADÎH #@4TJ`<]
41 = Contra Spudiam [ADÎH EB@L*\"<]
44 = Contra Leocharem [ADÎH 7gTPVD0<]
45 = In Stephanum 1 [5"J EJgNV<@L "']
51 = De corona trierarchiae [AgDÂ J@Ø FJgNV<@L J­H JD40D"DP\"H]
52 = Contra Callippum [ADÎH 5V884BJ@<]
53 = Contra Nicostratum [ADÎH ;4i`FJD"J@<]
54 = In Cononem [5"J 5`<T<@H]

DIODORO SICULO [)4`*TD@H Ò E4ig84fJ0H] (90–20 a.C.)


Bibl. = Bibliotheca [#4$84@hZi0]

DIOGENE LAERZIO [)4@(Z<0H 7"XDJ4@H] (III sec. d.C.)


Vitae = Vitae philosophorum [#\@4 i" (<ä:"4 Jä< ¦< N48@F@N\‘ gÛ*@i4:0FV<-
JT<]

DIONE CASSIO COCCEIANO [Dio Cassius Cocceianus] (155–235 d.C.)


Hist. rom. = Historia Romana [{3FJ@DÂ" {CT:"4iZ]

DIONE CRISOSTOMO [)\T< Ò ODLF`FJ@:@H] (40–112 d.C.)


Or. = Orationes
n. 14 = [AgDÂ *@L8g\"< i"Â ¦8gLhgD\"H]
n. 17 = [AgDÂ B8g@<g>\"H]
n. 23 = [~?J4 gÛ*"\:T< Ò F@N`H]
n. 47 = [)0:0(@D\" ¦< J± B"JD\*4]
n. 48 = [A@84J4i`H ¦< ¦ii80F\"4]

DIONIGI DI ALICARNASSO [)4@<bF4@H {!84i"D<"FFgbH] (I sec. a.C.)


Antiq. = Antiquitates Romanae [{CT:"4i¬ •DP"4@8@(\"]
Thuc. = De Thucydide [AgDÂ J@Ø 1@LiL*\*@L]
1144 Sigle e abbreviazioni

DIOSCORIDE PEDANIO [)4@Fi@LD\*gH Ag*V<4@H] (I sec. d.C.)


Mat. med. = De materia medica [AgDÂ à80H Æ"JD4i­H]

ELIANO [!Æ84"<ÎH Ò F@N4FJZH] (II–III sec. d.C.)


Nat. anim. = De natura animalium [AgDÂ .æT< Æ*4`J0J@H]

ELIODORO [{/84`*TD@H] (III–IV sec. d.C.)


Aeth. = Aethiopica [!Æh4@B4iV]

EMPEDOCLE [z+:Bg*@i8­H] (V sec. a.C.)


Frag. = Fragmenta

EPIFANIO DI SALAMINA [z+B4NV<4@H] (305–403 d.C.)


Panar. = Panarion (= Adversus haereses) [A"<VD4@<]

EPITTETO [z+B\iJ0J@H] (50–135 d.C.)


Diss. = Dissertationes [)4"JD4$"\]

ERACLITO [{/DVi8g4J@H] (530–470 a.C.)


Frag. = Fragmenta

ERMA [{+D:H] (II sec. d.C.)


Past. = Pastor [A@4:Z<]

ERODIANO [{/DT*4"<`H] (III sec. d.C.)


Ab ex. = Ab excessu divi Marci [I­H :gJ 9VDi@< $"F48g\"H ÊFJ@D\"4]

ERODOTO [{/D`*@J@H] (484–420 a.C.)


Hist. = Historiae [{3FJ@D\"]

ESCHILO [!ÆFPb8@H] (525–456 a.C.)


Ag. = Agamemnon [z!(":X:<T<]
Ch. = Choephoroe [O@0N`D@4]
Eum. = Eumenides [+Û:g<\*gH]
Pers. = Persae [AXDF"4]
Prom. = Prometheus vinctus [AD@:0hg×H *gF:fJ0H]
Sept. = Septem contra Tebas [{+BJ ¦B 1Z$"H]
Suppl. = Supplices [{3iXJ4*gH]

ESCHINE [!ÆFP\<0H] (389–314 a.C.)


Or. I = Oratio I: In Timarchum [5"J I4:VDP@L]
Or. III = Oratio III: In Ctesiphontem [5"J 5J0F4Nä<J@H]
Sigle e abbreviazioni 1145

ESIODO [{/F\@*@H] (VIII–VII sec. a.C.)


Op. = Opera et dies [~+D(" i"Â º:XD"4]
Sc. = Scutus [z!FBÂH {/D"08X@LH]
Theog. = Theogonia [1g@(@<\"]

ESOPO [!ÇFTB@H] (VI sec. a.C.)


Fab. = Fabulae

EUPOLI [+ÜB@84H] (446–411 a.C.)


Frag. = Fragmenta

EURIPIDE [+ÛD4B\*0H] (480–406 a.C.)


Alc. = Alcestis [}!8i0FJ4H]
Andr. = Andromacha [z!<*D@:VP0]
Bacc. = Bacchae [#ViP"4]
Cycl. = Cyclops [5bi8TR]
El. = Electra [z/8XiJD"]
Hec. = Hecuba [{+iV$0]
Hel. = Helena [{+8X<0]
Her. = Heraclides [{/D"i8gÃ*"4]
Herc. = Hercules [{/D"i8­H]
Hip. = Hippolytus [{3BB`8LJ@H]
Ion = Ion [}3T<]
Iph. Aul. = Iphigenia Aulidensis [z3N4(X<g4" º ¦< !Û8\*4]
Iph. Taur. = Iphigenia Taurica [z3N4(X<g4" º ¦< I"bD@4H]
Med. = Medea [9Z*g4"]
Or. = Orestes [z?DXFJ0H]
Ph. = Phoenissae [M@\<4FF"4]
Rh. = Rhesus [{C­F@H]
Suppl. = Supplices [{3iXJ4*gH]
Tr. = Troianes [IDåV*gH]

EUSEBIO DI CESAREA [+ÛFX$4@H 5"4F"DgbH] (265–339 d.C.)


Dem. ev. = Demonstratio evangelica [AgD J@Ø gÛ"((g84i­H •B@*g\>gTH]
Hist. eccl. = Historia ecclesiastica [z+ii80F4"FJ4i­H ÊFJ@D\"H]
Introd. = Generalis elementaria introductio (= Eclogae propheticae) [z+i Jä< BD@N0J4-
iä< ¦i8@("\]
Onom. = Onomasticon [AgD Jä< J@B4iä< Ï<@:VJT< Jä< ¦< J± hg\‘ (D"N±]
Vita Const.= Vita Constantini [#Â@H J@Ø 5T<FJ"<JÂ<@L $"F48XTH]

FILONE DI ALESSANDRIA [M\8T< z!8g>"<*Dg×H Ò {+$D"Ã@H] (20 a.C.–45 d.C.)


Dec. = De decalogo [AgDÂ Jä< *Xi" 8`(T<]
Flacc. = In Flaccum [+ÆH M8Vii@<]
1146 Sigle e abbreviazioni

Leg. all. = Legum allegoriae [;`:T< ÊgDä< •880(@D\"H]


Legat. = Legatio ad Gaium [{KB¥D z3@L*"\T< •B@8@(\"]
Mos. = De vita Mosis [AgDÂ J@Ø $\@L 9TLFXTH]
Poster. = De posteritate Caini [AgDÂ Jä< J@Ø *@i0F4F`N@L 5V^< ¦((`<T< i"Â ñH
:gJ"<VFJ0H (\(<gJ"4]
Prob. = Quod omnis probus liber sit [AgDÂ J@Ø BV<J" FB@L*"Ã@< ¦8gbhgD@< gÉ<"4]
Sacrif. = De sacrificiis Abelis et Caini [AgDÂ (g<XFgTH }!$g8 i"Â ô< "ÛJÎH Jg i"Â
Ò •*g8N`H "ÛJ@Ø 5V^< ÊgD@LD(@ØF4<]
Somn. = De somniis [AgDÂ J@Ø hg@BX:BJ@LH gÉ<"4 J@×H Ï<g\D@LH]
Spec. = De specialibus legibus [AgDÂ Jä< ¦< :XDg4 *4"J"(:VJT<]

FLAVIO FILOSTRATO [M8V$4@H M48`FJD"J@H] (II–III sec. d.C.)


Vita Ap. = Vita Apollonii [I ¦H JÎ< IL"<X4" z!B@88f<4@<]

GALENO ['"80<`H] (II sec. a.C.)


De loc. = De locis affectis [AgDÂ Jä< BgB@<h`JT< J`BT<]
De praen. = De praenotione ad Posthumum [AgDÂ J@Ø BD@(4<fFig4< BDÎH
z+B\(g<0<]
Simpl. med. = De semplicium medicamentorum temperamentis ac facultatibus [AgDÂ
iDVFgTH i" *L<V:gTH Jä< B8ä< N"D:Vi@<]

GIOVANNI CRISOSTOMO [z3TV<<0H Ò ODLF`FJ@:@H] (345–407 d.C.)


De poen. = De poenitentia [7`(@H BgDÂ :gJV<@4"H]
In Matth. = Homiliae in Matthaeum [{KBÎ:<0:" gÆH JÎ< ž(4@< 9"Jh"Ã@< JÎ<
gÛ"((g84FJZ<]

GIUSEPPE FLAVIO [z3fF0B@H] (37–96 d.C.)


Antiq. = Antiquitates Iudaicae [z3@L*"^i¬ •DP"4@8@(\"]
Contra Ap. = Contra Apionem [ADÎH z!B\T<" BgDÂ J­H Jä< z3@L*"\T<
•DP"4`J0J@H]
Bellum = Bellum Iudaicum [AgDÂ J@Ø z3@L*"^i@Ø B@8X:@L BDÎH {CT:"\@LH]
Vita = Vita Iosephi [z3@FZB@L $\@H]

GIUSTINO [z3@LFJÃ<@H] (100–165 d.C.)


Apol. I = Apologia I [z!B@8@(\" ßB¥D OD4FJ4"<ä< "']

IGNAZIO DI ANTIOCHIA [z3(<VJ4@H z!<J4@PgbH] (35–110 d.C.)


Ad Eph. = Epistula ad Ephesios [ADÎH z+NXF4@LH]

INNI OMERICI [Hymni Homerici] (VIII–VI sec. a.C.)


Hymn. hom. = Hymni homerici
In Ap. = In Apollinem [+ÆH z!B`88T<"]
In Cer. = In Cererem [+ÆH )Z:gJD"]
Sigle e abbreviazioni 1147

IPPOCRATE [{3BB@iDVJ0H] (469–399 a.C.)


Aph. = Aphorismi [z!N@D4F:@\]
Artic. = De articulis [AgD –DhDT< ¦:$@8­H]
Epid. = Epidemiae [z+B4*0:\"4]
Fract. = De fracturis [AgD •(:ä<]
Morb. = De morbis [AgDÂ <@bFT<]
Septim. = De septimanis [AgDÂ ©$*@:V*T<]

IPPOLITO [{3BB`8LJ@H] (170–236 d.C.)


Haer. = Refutatio omnium haeresium [= Philosophoumena] [5"J B"Fä< "ÊDXFgT<
§8g(P@H]

IRENEO DI LIONE [+ÆD0<"Ã@H] (130–202 d.C.)


Adv. haer. = Adversus haereses [}+8g(P@H i" •<"JD@B¬ J­H RgL*T<`:@L (<fFgTH]

ISOCRATE [z3F@iDVJ0H] (436–338 a.C.)


Or. = Orationes
n. 1 = Ad Demonicum [ADÎH )g:`<4i@<]
n. 4 = Panegyricus [A"<0(LD4i`H]
n. 6 = Archidanus [z!DP\*":@H]
n. 7 = Areopagiticus [z!Dg@B"(4J4i`H]
n. 10 = Helenae encomium [{+8X<0]
n. 12 = Panathenaicus [A"<"h0<"4i`H]
n. 15 = Antidosis [AgD •<J4*`FgTH]
n. 17 = Trapeziticus [ID"Bg.4J4i`H]
n. 19 = Aegineticus [!Æ(4<0J4i`H]

LISIA [7LF\"H] (445–378 a.C.)


Or. = Orationes
n. 1 = De caede Eratosthenis [{KB¥D J@Ø z+D"J@FhX<@LH N`<@L •B@8@(\"]
n. 2 = Epitaphius [z+B4JVN4@H J@ÃH 5@D4<h\@4H $@0h@ÃH]
n. 7 = Areopagiticus [z!Dg@B"(4J4i`H BgD J@Ø F0i@Ø •B@8@(\"]
n. 8 = [5"J0(@D\" BDÎH J@×H FL<@LF4"FJH i"i@8@(4ä<]
n. 12 = In Eratosthenem [5"J z+D"J@FhX<@LH]
n. 13 = In Agoratum [5"J z!(@DVJ@L]
n. 14 = In Alcibiadem 1 [5"J z!8i4$4V*@L 8g4B@J">\@L]
n. 19 = [{KB¥D Jä< z!D4FJ@NV<@LH PD0:VJT<]
n. 24 = [{KB¥D J@Ø •*L<VJ@L]

LUCIANO (e PSEUDO–LUCIANO) [7@Li4"<`H] (120–180 d.C.)


Alex. = Alexander [z!8X>"<*D@H ´ RgL*`:"<J4H]
Amor. = Amores [}+DTJgH]
Anach. = Anacharsis [z!<VP"DF4H ´ BgDÂ (L:<"F\T<]
1148 Sigle e abbreviazioni

Asin. = Asinus [7@bi4@H ´ Ð<@H]


Concil. = Deorum concilium [1gä< ¦ii80F\"]
Menip. = Menippus vel necyomantia [9X<4BB@H ´ <giL@:"<Jg\"]
Meret. = Dialogi meretrici [{+J"4D4i@Â *4V8@(@4]
Philop. = Philopseudus vel incredulus [M48@RgL*gÃH ´ •B4FJä<]
Pisc. = Revivescentes vel piscator [z!<"$4@Ø<JgH ´ 84gbH]
Salt. = De saltatione [AgDÂ ÏDPZFgTH]
Tim. = Timon [I\:@<]

MARCO AURELIO ANTONINO [Marcus Aurelius Antoninus] (121–180 d.C.)


In se ipso = In se ipso [I gÆH ©"LJ`<]

MELITONE DI SARDI [9g8\JT< Ò E"D*4"<4i`H] (II sec. d.C.)


De pasch. = De pascha [AgDÂ BVFP"]

MENANDRO [9X<"<*D@H] (342–290 a.C.)


Dysc. = Dyscolos [)bFi@8@H]
Epit. = Epitrepontes [z+B4JDXB@<JgH]
Frag. = Fragmenta
Peric. = Periciromene [AgD4ig4D@:X<0]

METODIO DI OLIMPO [9gh`*4@H z?8b:B4@H] (+ 311 d.C.)


Symp. = Symposium virginum [EL:B`F4@< ´ BgD •(<g\"H]

MUSONIO RUFO ['V4@H 9@LFf<4@H {C@ØN@H] (I sec. d.C.)


Diss. = Dissertationum a Lucio digestarum reliquiae

NICANDRO [;\i"<*D@H] (II sec. a.C.)


Frag. = Fragmenta
Ther. = Theriaca [10D4"iV]

NONNO DI PANOPOLI [;`<<@H A"<@B@8\J0H] (V sec. d.C.)


Dionys. = Dionysiaca [)4@<LF4"iV]

OMERO [~?:0D@H] (VIII–VII sec. a.C.)


Il. = Ilias [z384"H]
Od. = Odyssea [z?*bFFg4"]

OPPIANO DI ANAZARBO [z?BB4"<ÎH z!<"."D$gbH] (II–III sec. d.C.)


Hal. = Halieutica [z!84gLJ4iV]

ORIBASIO [z?Dg4$VF4@H] (320–400 d.C.)


Coll. med. = Collectiones medicae [z3"JD4i"Â FL<"(T("\]
Sigle e abbreviazioni 1149

ORIGENE [zSD4(X<0H] (185–254 d.C.)


Contra Cels. = Contra Celsum [5"J 5X8F@L]
Comm. in Ioann. = Commentarii in evangelium Ioannis [{SD4(X<@LH Jä< gÆH JÎ
i"J z3TV<<0< gÛ"((X84@< ¦>0(0J4iä<]
Hom. in Luc. = Homiliae in Lucam [{KBÎ:<0:" gÆH JÎ< 7@Li<]

PALLADIO [A"88V*4@H {+8g<@B@8\J0H] (IV–V sec. d.C.)


Hist. Laus. = Historia Lausiaca [7"LF\"i@<]

PAUSANIA [A"LF"<\"H] (110–180 d.C.)


Perieg. = Graeciae descriptio [AgD4Z(0F4H J­H {+88V*@H]

PINDARO [A\<*"D@H] (522–438 a.C.)


Frag. = Fragmenta
Isth. = Isthmia [z3Fh:4@<\i"4H]
Nem. = Nemea [;g:g@<\i"4H]
Olym. = Olympia [z?8L:B4@<\i"4H]
Pyth. = Pythia [ALh4@<\i"4H]

PLATONE [A8VJT<] (427–347 a.C.)


Alc. I = Alcibiades I [z!8i4$4V*gH]
Alc. II = Alcibiades II [z!8i4$4V*gH *gbJgD@H]
Apol. = Apologia Socratis [z!B@8@(\" ETiDVJ@LH]
Charm. = Charmides [O"D:\*0H]
Crat. = Cratylus [5D"Jb8@H]
Criti. = Critias [5D4J\"H]
Crito = Crito [5D\JT<]
Epin. = Epinomis [z+B4<@:\H]
Epist. = Epistulae [z+B4FJ@8"\]
Euth. = Euthyphro [+ÛhbNDT<]
Euthyd. = Euthydemus [+Ûhb*0:@H]
Gorg. = Gorgias ['@D(\"H]
Ion = Ion [}3T<]
Ipp. min. = Ippias minor [{3BB\"H ©8VJJT<]
Leg. = Leges [;`:@4]
Lys. = Lysis [7bF4H]
Menex. = Menexenus [9g<X>g<@H]
Meno = Meno [9X<T<]
Min. = Minos [9\<@H]
Parm. = Parmenides [A"D:g<\*0H]
Phaed. = Phaedo [M"\*T<]
Phaedr. = Phaedrus [M"Ã*D@H]
Phil. = Philebus [M\80$@H]
1150 Sigle e abbreviazioni

Pol. = Politicus [A@84J4i`H]


Prot. = Protagoras [ADTJ"(`D"H]
Resp. = Respublica [A@84Jg\"]
Soph. = Sophista [E@N4FJZH]
Symp. = Symposium [EL:B`F4@<]
Theaet. = Theaetetus [1g"\J0J@H]
Tim. = Timaeus [I\:"4@H]

PLATONE IL COMICO [A8VJT<] (V–IV sec. a.C.)


Frag. = Fragmenta

PLOTINO [A8TJÃ<@H] (205–269 d.C.)


Enn. = Enneades [z+<<gV*gH]

PLUTARCO [A8@bJ"DP@H] (46–125 d.C.)

Vitae [#\@4]:

Aem. = Aemilius Paulus [!Æ:\84@H A"Ø8@H]


Ages. = Agesilaus [z!(0F\8"@H]
Agis = Agis [‚!(4H]
Alc. = Alcibiades [z!8i4$4V*0H]
Alex. = Alexander [z!8X>"<*D@H]
Ant. = Antonius [z!<Jf<4@H]
Artax. = Artaxerxes [z!DJ@>XD>0H]
Brut. = Brutus [#D@ØJ@H]
Caes. = Caesar ['V4@H 5"ÃF"D]
Cam. = Camillus [5V:488@H]
Cato M. = Cato Maior [9VDi@H 5VJT<]
Cato = Cato Minor [5VJT<]
Cic. = Cicero [54iXDT<]
Demetr. = Demetrius [)0:ZJD4@H]
Eum. = Eumenes [+Û:X<0H]
Fab. Max.= Fabius Maximus [MV$4@H 9V>4:@H]
Lyc. = Lycurgus [7Li@ØD(@H]
Marc. = Marcellus [9VDig88@H]
Marius = Marius [9VD4@H]
Num. = Numa [;@:H]
Phil. = Philopoemen [M48@B@\:0<]
Pomp. = Pompeius [A@:BZ4@H]
Publ. = Publicola [A@B84i`8"H]
Romul. = Romulus [{CT:b8@H]
Tib.Gracch. = Tiberius Gracchus [I4$XD4@H 'DViP@H]
Sigle e abbreviazioni 1151

Moralia:

Adv. Col. = Adversus Colotem [ADÎH 5@8fJ0<]


Aet. Rom. = Aetia Romana et Graeca [!ÇJ4" {CT:"^iV i"Â {+880<4iV]
Amat. = Amatorius [z+DTJ4i`H]
Apopht. Lac. = Apophtegmata Laconica [z!B@NhX(:"J" 7"iT<4iV]
Comm. not. = De communibus notitiis adversus Stoicos [AgDÂ Jä< i@4<ä< ¦<<@4ä<
BDÎH J@×H FJT4i@bH]
Cons. ad Apoll.= Consolatio ad Apollonium [A"D":Lh0J4iÎH BDÎH z!B@88f<4@<]
De aud. = De recta ratione audiendi [AgD J@Ø •i@bg4<]
De Herod. = De Herodoti malignitate [AgDÂ {/D@*`J@L i"i@0hg\"]
De Pyth. = De Pythiae oraculis [AgD J@Ø :¬ PD< §::gJD" <Ø< J¬< ALh\"<]
De sera = De sera numinis vindicta [AgDÂ Jä< ßBÎ J@Ø hg\@L $D"*XTH
J4:TD@L:X<T<]
De superst. = De superstitione [AgDÂ *g4F4*":@<\"H]
Par. min. = Parallela minora [EL<"(T(¬ ÊFJ@D4ä< B"D"88Z8T< {+880<4iä<
i"Â {CT:"^iä<]
Praec. ger. = Praecepta gerendae reipublicae [A@84J4i B"D"((X8:"J"]
Quaest. conv. = Quaestiones convivales [EL:B@LF4"i BD@$8Z:"J"]
Quom. adol. = Quomodo adolescens poetas audire debeat [AäH *gà JÎ< <X@<
B@40:VJT< •i@bg4<]
Quom. adul. = Quomodo adulator ab amico internoscatur [AäH –< J4H *4"iD\<g4g JÎ<
i`8"i" J@Ø N\8@L]
Quom. quis = Quomodo quis suos in virtute sentiat profectus [AäH –< J4H "ÇFh@4J@
©"LJ@Ø BD@i`BJ@<J@H ¦Bz •DgJ±]
Sec. Epic. = Non posse suaviter vivi secundum Epicurum [Š?J4 @Û*z º*XTH .­<
§FJ4< i"Jz z+B\i@LD@<]
Sept. sap. = Septem sapientium convivium [Iä< ©BJ F@Nä< FL:B`F4@<]
Virt. mor. = De virtute morali [AgD J­H ²h4i­H •DgJ­H]

POLIBIO [A@8b$4@H] (200–118 a.C.)


Hist. = Historiae [{3FJ@D\"]

POLLUCE (VEL. POLIDEUCE) [A@8L*gbi0H] (II sec. d.C.)


Onom. =Onomasticon [z?<@:"FJ4i`<]

POSIDIPPO [A@Fg\*4BB@H] (III sec. a.C.)


Frag. = Fragmenta

SENOFONTE [=g<@Nä<] (430–355 a.C.)


Ages. = Agesilaus [z!(0F\8"@H]
Anab. = Anabasis [5bD@L •<V$"F4H]
Apol. = Apologia Socratis [z!B@8@(Â" ETiDVJ@LH]
1152 Sigle e abbreviazioni

Cyn. = Cynegeticus [5L<0(gJ4i`H]


Cyr. = Cyropaedia [5bD@L B"4*g\"]
De re eq. = De re equestri [AgDÂ ÊBB4i­H]
Hell. = Hellenica [{+880<4iV]
Mem. = Memorabilia [z!B@:<0:@<gb:"J" ETiDVJ@LH]
Oecon. = Oeconomicus [?Æi@<@:4i`H]
Symp. = Symposium [EL:B`F4@<]

SENONE [=X<T<] (III sec. a.C.)


Frag. = Fragmenta

SESTO EMPIRICO [EX>J@H Ò ¦:Bg4D4i`H] (180–220 d.C.)


Adv. math.= Adversus mathematicos [ADÎH :"h0:"J4i@bH]
Pyrrh. = Pyrrhoniae hypotyposes [ALDDf<g4@4 ßB@JLBfFg4H]

SOFOCLE [E@N@i8­H] (497–406 a.C.)


Ai. = Aiax [!Ç"H]
Antig. = Antigone [z!<J4(`<0]
Elect. = Electra [z/8XiJD"]
Phil. = Philoctetes [M48@iJZJ0H]
Oed. Col. = Oedipus Coloneus [?Æ*\B@LH ¦BÂ 5@8T<è]
Oed. tyr. = Oedipus tyrannus [?Æ*\B@LH JbD"<<@H]
Trach. = Trachiniae [ID"P4<\"4]

SOLONE [E`8T<] (640–561 a.C.)


Frag. = Fragmenta

STRABONE [EJDV$@<] (64 a.C.–23 d.C.)


Geogr. = Geographica ['gT(D"N\"]

TAZIANO [I"J4"<`H] (II sec. d.C.)


Ad Graec. = Oratio ad Graecos [ADÎH ~+880<"H]

TEOCRITO [1g`iD4J@H] (310–260 a.C.)


Idyl. = Idyllia [+Æ*b884"]

TEOFRASTO [1g`ND"FJ@H] (370–28 a.C.)


Char. = Characteres morales [O"D"iJ­DgH]
De caus. plant.= De causis plantarum [AgDÂ NLJä< "ÆJ4ä<]
De lapid. = De lapidibus [AgDÂ 8\hT<]
De sens. = De sensu et sensibilibus [AgDÂ "ÆFhZFgTH]
De vert. = De vertigine [AgDÂ Æ8\((T<]
Hist. plant. = Historia plantarum [AgDÂ NLJä< ÊFJ@D\"]
Sigle e abbreviazioni 1153

TUCIDIDE [1@LiL*\*0H] (460–400 a.C.)


Hist. = Historiae [{3FJ@D\"]

11 – PAPIRI

P.Flor. = Papiri greci–egizi. Papiri Fiorentini, Vol. I–III, Milano, 1906


P.Tebt. = The Tebtnunis Papyri, Vol. I–IV, London, 1902.
P.Col.Zen. = Columbia Papyri (Zenon), Vol. I–VII, New York, 1929.
P.Oslo = Papyri Osloensis, Vol. I–III, Oslo, 1925–1936.
P.Oxy. = The Oxyrhynchus Papyri, London, 1898.

12 – LETTERATURA LATINA

AGOSTINO [Aurelius Augustinus] [354–430 d.C.)


De trin. = De trinitate
De virg. = De sancta virginitate
In Psalm. = Enanarrationes in psalmos

AMBROGIO [Aurelius Ambrosius] (340–397 d.C.)


In Lc. = Expositio evangelii secundum Lucam

AMMIANO MARCELLINO [Ammianus Marcellinus] (320–400 d.C.)


Res gest. = Res gestae

ANONIMO DI BORDEAUX (330 d.C.)


Itin. = Itinerarium Burdigalense

ANONIMO [ANTONINO] DI PIACENZA (570 d.C.)


Itin. = Itinerarium Antonini Placentini

CATONE [Marcus Porcius Cato] (234–149 a.C.)


Agric. = De agri cultura

CICERONE [Marcus Tullius Cicero] (106–43 a.C.)


Ad Att. = Epistulae ad Atticum
Ad fam. = Epistulae ad familiares
De imper. = De imperio Cn. Pompei [= Pro lege Manila]
De inv. = De inventione
De off. = De officiis
In Verr. II = In Verrem actio secunda
Nat. deor. = De natura deorum
1154 Sigle e abbreviazioni

Philip. = In M. Antonium orationes Philippicae


Pro Rab. perd.= Pro Rabirio perduellionis reo
Tusc. = Tusculanae disputationes

COLUMELLA [Lucius Iunius Moderatus Columella] (I sec. d.C.)


De re rust. = De re rustica

DIONE CASSIO COCCEIANO [Dio Cassius Cocceianus] (155–235 d.C.)


(vedi sotto letteratura greca)

EGERIA [Egeria / Aetheria] (400 d.C.)


Itin. = Itinerarium Egeriae

ENNIO [Quintus Ennius] (239–169 a.C.)


Ann. = Annales

GELLIO [Aulus Gellius] (130–180 d.C.)


Noct. = Noctes Atticae

GIOVENALE [Decimus Iunius Iuvenalis] (55–135 d.C.)


Sat. = Saturae

GIROLAMO [Eusebius Hieronymus] (347–420 d.C.)


Epist. = Epistolae
In Mar. = Tractatus in Marci evangelium [= Homilae in Marci evangelium]
Transl. hom. = Translatio XXXIX Homiliarum

GIULIO CESARE [Gaius Iulius Caesar] (100–44 a.C.)


Bell. civ. = De bello civili
Bell. Gall. = De bello Gallico [= Commentarii Belli Gallici]

GIULIO ONORIO [Iulius Honorius] (IV–V sec. d.C.)


Cosm. = Cosmographica

GIUSTINIANO [Flavius Petrus Sabbatius Iustinianus] (482–565)


Dig. = Digesta

LIVIO [Titus Livius] (59 a.C.–17 d.C.)


Ann. = Ab urbe condita [= Annales]

MACROBIO [Ambrosius Theodosius Macrobius] (395–423 d.C.)


Saturn. = Saturnalia
Sigle e abbreviazioni 1155

MARCO AURELIO ANTONINO [Marcus Aurelius Antoninus] (121–180 d.C.)


(vedi sotto letteratura greca)

MARZIALE [Marcus Valerius Martialis] (38–104 d.C.)


Epigr. = Epigrammata

ORAZIO [Quintus Horatius Flaccus] (65–8 a.C.)


Carm. = Carmina [= Odae]
Ep. = Epodi [= Iambi]
Sat. = Saturae [= Sermones]

OVIDIO [Publius Ovidius Naso] (43 a.C.–18 d.C.)


Metam. = Metamorphoses

PERSIO [Aulus Persius Flaccus] (34–62 d.C.)


Sat. = Saturae

PETRONIO [Caius Petronius “Arbiter”] (?–60 d.C.)


Satyr. = Satyrica [= Satyricon]

PIETRO DIACONO [Petrus Diaconus] (1107–1159)


Liber = Liber de locis sanctis

PLAUTO [Titus Maccius Plautus] (254–184 a.C.)


Carb. = Carbonaria
Miles = Miles gloriosus
Most. = Mostellaria
Pers. = Persa
Truc. = Truculentus

PLINIO IL VECCHIO [Gaius Plinius Secundus] (23–79 d.C.)


Nat. hist. = Naturalis historia

QUINTILIANO [Marcus Fabius Quintilianus] (35–100 d.C.)


Decl. = Declamationes

SENECA [Lucius Annaeus Seneca] (4 a.C.–65 d.C.)


De ira = De ira

SOLINO [Gaius Iulius Solinus] (III sec. d.C.)


Collect. = Collectanea rerum mirabilium [= De mirabilibus mundi]
1156 Sigle e abbreviazioni

SVETONIO [Gaius Suetonius Tranquillus] (70–130 d.C.)


Aug. = De vita Caesarum: Divus Augustus
Calig. = De vita Caesarum: Caligula
Domit. = De vita Caesarum: Domitianus
Galba = De vita Caesarum: Galba
Tiber. = De vita Caesarum: Tiberius
Titus = De vita Caesarum: Divus Titus

TACITO [Publius Cornelius Tacitus] (55–117 d.C.)


Ann. = Annales
Hist. = Historiae

TERTULLIANO [Quintus Septimius Florens Tertullianus] (160–220 d.C.)


Adv. Marc. = Adversus Marcionem

TOMMASO D’AQUINO [Thomas Aquinas] (1225–1274 d.C.)


In Matth. = Super Evangelium S. Matthaei lectura

VARRONE [Marcus Terentius Varro Reatinus] (116–27 a.C.)


De ling. = De lingua latina
Res rust.= Res rusticae

VIRGILIO [Publius Vergilius Maro] (70–19 a.C.)


Georg. = Georgicon

13 – AUTORI MODERNI

ZERWICK, MAX
Graec. = Graecitas biblica Novi Testamenti exemplis illustratur, Pontificio Istituto Biblico,
Roma, 1966.
Analys. = Analysis philologica Novi Testamenti graeci, Pontificii Instituti Biblici, Romae,
19844.

METZGER, BRUCE
Textual = A Textual Commentary on the Greek New Testament, Deutsche Bibelgesellschaft
– United Bible Societies, Stuttgart, 19982.

STRACK, HERMANN – BILLERBECK, PAUL


Strack–Bill.= Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrasch, Vol. I–IV, Beck,
München, 1956.
Sigle e abbreviazioni 1157

14 – TRASLITTERAZIONE DEI SEGNI EBRAICI

Consonanti

! = , / = m
" = b5 . = m
v = b 1 = n
# = g) 0 = n
x = g 2 = s
$ = d5 3 = ‘
y = d 5 = p)
% = h  = p
& = w 4 = p)
' = z 7 = sE
( = hE 6 = sE
) = Et 8 = q
* = y 9 = r
, = k5 ” = 's
ƒ = k – = š
+ = k5 ; = 5t
„ = k ˜ = t
- = l

Vocali – Semivocali

_ (pa5t ahE) = a *E (hEîreq magnum) = î


I (qa) mesE pa5t ahE) = a) I (qa) mesE hEatEûp) ) = o
C (hEa) Et e) p) ) = a7 K (hEôlem) = o)
G (seg) ôl) = e | (hEôlem magnum) = ô
F (sEe) rê) = e) D (hEa) Et e) p) qa) mesE) = o7
*F(sEe) rê magnum) = ê L (quibbûsE) = u
B (hEa) Et e) p) seg) ôl) = e7 { (šûreq) = û
E (hEîreq) = i

A (šewa) = e

• Le consonanti munite di dagheš forte sono traslitterate come doppie.


• Si traslittera lo šewa, mediante la vocale «e» posta in apice, quando è pronunciato (= šewa
mobile); non si traslittera lo šewa quiescente.
• Il patahE furtivum è reso mediante la vocale «a» posta in apice.
• L’alfabeto aramaico è traslitterato come quello ebraico.
BIBLIOGRAFIA

Questa rassegna bibliografica è limitata agli aspetti linguistici del vangelo di Marco. Sono
riportate soltanto le opere effettivamente consultate per la preparazione del presente lavoro. Di
ogni opera viene citata l’edizione presa in esame, non necessariamente la prima o la più recente.

I – TESTO BIBLICO

A – TESTO MASORETICO (TM)

Biblia Hebraica Stuttgartensia (ed. Karl Elliger e Wilhelm Rudolph), Deutsche Bibelgesellschaft,
Stuttgart, 19975.

B – LA BIBBIA DEI SETTANTA (LXX)

Septuaginta. Vetus Testamentum graece auctoritate Societatis Göttingensis editum, I–XVI,


Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen, 1926–.
Septuaginta. Id est Vetus Testamentum graece iuxta LXX interpretes (a cura di Alfred Rahlfs),
Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart, 19849.

C – NUOVO TESTAMENTO GRECO

I! 3+C! #3#73!. Codex Vaticanus Graecus 1209 (Codex B). Phototypice Expressus Iussi
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Novi Testamenti Biblia Graeca et Latina (a cura di José Maria Bover), Consejo Superior de
Investigationes Cientificas, Madrid, 1959.
Novum Testamentum Graece et Latine (a cura di Augustinus Merk), Sumptibus Pontificii
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The Greek New Testament (a cura di Kurt Aland – Matthew Black – Carlo Maria Martini –
Bruce M. Metzger – Allen Wikgren), Deutsche Bibelgesellschaft – United Bible Societies,
Stuttgart, 19984.
Novum Testamentum Graece (a cura di Eberhard Nestle – Erwin Nestle – Barbara Aland – Kurt
Aland – Johannes Karavidopoulos – Carlo Maria Martini – Bruce M. Metzger), Deutsche
Bibelgesellschaft, Stuttgart, 200127.
Nuovo Testamento Greco–Italiano (a cura di Bruno Corsani – Carlo Buzzetti), Società Biblica
Britannica & Forestiera, Roma, 1996.

D – VERSIONE LATINA

Bibliorum sacrorum latinae versiones antiquae seu Vetus Italica (a cura di Pierre Sabatier), I–III,
Reginaldus Florentain, Reims–Paris, 1743–1751 (ristampa anastatica, Brepols, Turnhout,
1987).

1159
1160 Bibliografia

Bibliorum Sacrorum iuxta Vulgatam Clementinam. Nova Editio (a cura di Luigi Gramatica),
Typis Polyglottis Vaticanis, Città del Vaticano, 1946.
Biblia sacra juxta Vulgatam versionem (a cura di Robert Weber), I–II, Württembergische
Bibelanstalt, Stuttgart, 19844.
Nova Vulgata Bibliorum Sacrorum editio, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1998.
Biblia Sacra Vulgatae Editionis. Sixti V Pontifices Maximi iussu Recognita et Clementis VIII
auctoritate edita, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2003.

II – CRITICA TESTUALE

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III – ANALISI FILOLOGICA

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IV – CONCORDANZE

A – ANTICO TESTAMENTO EBRAICO

EVEN–SHOSHAN, ABRAHAM, A New Concordance of the Bible. Thesaurus and Language of the
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Sefer, Jerusalem 1990.
LISOWSKY, GERHARD, Konkordanz zum hebräischen Alten Testament, Württembergische
Bibelanstalt, Stuttgart, 19933.
MANDELKERN, SOLOMON, Veteris Testamenti Concordantiae hebraicae atque chaldaicae, I–II,
Akademische Druc – Verlagsanstalf, Graz, 19552.

B – ANTICO TESTAMENTO GRECO

HATCH, EDWIN – REDPATH, HENRY A., A Concordance to the Septuagint and the Other Greek
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MORRISH, GEORGE, A Concordance of the Septuagint, Zondervan, Grand Rapids, 1976.

C – NUOVO TESTAMENTO GRECO

ALAND, KURT, Vollständige Konkordanz zum griechischen Neuen Testament unter Zugrundele-
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Gruyter, Berlin – New York, 1978, 1983.
BACHMANN, HORST – SLABY, W OLFANG A., Konkordanz zum Novum Testamentum Graece von
Nestle–Aland, 26. Auflage und zum Greek New Testament, 3rd Edition, Walter de Gruyter,
Berlin – New York, 19873.
1162 Bibliografia

HOFFMANN, PAUL – HIEKE, THOMAS – BAUER, ULRICH, Synoptic Concordance. A Greek


Concordance to the First Three Gospels in Synoptic Arrangement, Statistically Evaluated,
Including Occurrences in Acts, I–IV, Walter de Gruyter, Berlin – New York, 1999–2000.
KOHLENBERGER, JOHN R. – GOODRICK, EDWARD W. – SWANSON, JAMES A., The Exhaustive
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MOULTON, W ILLIAM F. – GEDEN, ALFRED S., Concordance to the Greek New Testament (ed.
Howard I. Marshall), T. & T. Clark, London – New York, 20026.

D – VERSIONE LATINA

DUTIPRON, FRANÇOIS PASCAL, Concordantiae Bibliorum Sacrorum vulgatae editionis, Bloud


et Barral, Paris, 18808 (ristampa anastatica, Hildesheim – New York – Olms, 1980).
FISCHER, BONIFACIUS, Novae concordantiae Bibliorum sacrorum iuxta Vulgatam versionem
critice editam, I–V, Frommann–Holzboog, Stuttgart, 1977.

E – TESTI DI QUMRAN

ABEGG, MARTIN G. (ed.), The Dead Sea Scrolls Concordance, I/1.2, Brill, Leiden – Boston,
2003.

F – APOCRIFI

DENIS, ALBERT–MARIE, Concordance grecque des pseudépigraphiques d’Ancien Testament,


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DENIS, ALBERT–MARIE, Concordance latine des pseudépigraphiques d’Ancien Testament,
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G – MISHNAH

KASOVSKI [KASSOWSKI], CHAIM YOSHUA, Thesaurus Mishnae. Concordantiae totius Mishnae


omnes voces sex librorum Mishnae secundum ordinem alphabeticum continentes vocalibus
adscriptis, locis ubique excerptis, J. Kauffmann Verlag, Berlin, 1927 [in ebraico]

V – SINOSSI

ALAND, KURT (ed.), Synopsis quattuor Evangeliorum. Locis parallelis Evangeliorum


apocryphorum et patrum adhibitis, Württembergische Bibelanstalt – Deutsche Bibelstiftung,
Stuttgart, 200115.
BOISMARD, MARIE–ÉMILE – LAMOUILLE, ARNAUD, Synopsis Graeca Quattuor Evangeliorum,
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HUCK, ALBERT – GREEVEN, HEINRICH, Synopse der drei ersten Evangelien, J.C.B. Mohr,
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LARFELD, W ILHELM, Griechische Synopse der vier neutestamentlichen Evangelien, J.C.B. Mohr,
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POPPI, ANGELICO, Sinossi dei quattro vangeli. Greco–Italiano, I (Testo), Messaggero, Padova,
199910.

VI – VOCABOLARI / DIZIONARI / LESSICI

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B – ARAMAICO BIBLICO

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IX – SUSSIDI ELETTRONICI

Accordance Bible Software 6.9 – Oak Tree Software – (Macintosh)


BibleWorks 7.0 – (PC/Windows).
CLCLT–3 – Catedoc Library of Christian Latin Texts
GI – CD–ROM del Vocabolario della lingua greca (a cura di Franco Montanari), Loesher,
Firenze, 2004
Thesaurus Linguae Graecae (= TLG) – University of California Irvine
AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI

Area 01 – Scienze matematiche e informatiche

Area 02 – Scienze fisiche

Area 03 – Scienze chimiche

Area 04 – Scienze della terra

Area 05 – Scienze biologiche

Area 06 – Scienze mediche

Area 07 – Scienze agrarie e veterinarie

Area 08 – Ingegneria civile e Architettura

Area 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione

Area 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche

Area 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche

Area 12 – Scienze giuridiche

Area 13 – Scienze economiche e statistiche

Area 14 – Scienze politiche e sociali

Le pubblicazioni di Aracne editrice sono su

www.aracneeditrice.it
Finito di stampare nel mese di maggio del 2009
dalla tipografia « Braille Gamma S.r.l. » di Santa Rufina di Cittaducale (Ri)
per conto della « Aracne editrice S.r.l. » di Roma

CARTE: Copertina: Patinata opaca Bravomatt 300 g/m2 plastificata opaca; Interno: Usomano bianco Selena 80 g/m2
ALLESTIMENTO: Legatura a filo di refe / brossura

Stampa realizzata in collaborazione con la Finsol S.r.l. su tecnologia Canon Image Press

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