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ERMENEUTICA
DEL NUOVO TESTAMENTO
Editrice Queriniana
Titolo originale
Hermeneutik des Neuen Testaments
© 1999 by A. Francke Verlag, Ttibingen und Basel
© 2001 by Editrice Queriniana, Brescia
via Ferri, 75 - 25123 Brescia (Italia)
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scritta dell'Editrice Queriniana.
ISBN 88-399-2026-9
Klaus Berger
Introduzione
PROBLEMI
DI UN'ERMENEUTICA
dovuto ugualmente darli. Un vero schiavo deve star pronto giorno e notte.
Gesù è il Signore, per cui il fico avrebbe dovuto esser sempre pronto. - Nes
suna traccia del fatto che qui si tratti di una maledizione d' Israele. Che senso
avrebbe allora l' annotazione che non era il tempo dei fichi, visto che bisogna
compiere in ogni tempo delle opere, o la frase: «Nessuno possa mai più man
giare i tuoi frutti»? No, poiché il fico non ha servito Gesù, il suo unico Signo
re, non dovrà mai più poter servire alcun altro. In modo inverso, ma simile al
caso del puledro, che nessuno doveva ancora aver cavalcato. Chi parla così, è
matto oppure Dio. - Quel che Gesù poi promette a coloro che credono non è
meno spettacolare: basta che essi non dubitino, quando credono di aver già
ricevuto quel che chiedono, ed esso sarà loro concesso. Allora potranno spo
s tare montagne e alberi. Cose quindi che solo il Creatore può fare. Tale fede
non è però diretta o non solo diretta verso Dio, ma si tratta prevalentemente
della sua propria qualità. Essa consiste nel fatto di non dubitare e di essere
una forza immaginifica. Qui è in discussione la propria divinizzazione. Gli
uomini come portatori della potenza creatrice specifica di Dio. Chi crede ha
ricevuto la stessa potenza creatrice, può parlare e le cose avvengono, come
nel caso del Creatore secondo Gen 1 . Se uno è una cosa sola con se stesso e
-
non dubita, se è una cosa sola con altri mentre perdona loro, ed è una cosa
sola con Dio nella fede, allora Dio è presente come il Creatore. Una presenza
dinamica di Dio. Dio è presente mentre viene riprodotto e realizzat� nel signi
ficato più vero del termine mediante l' unione con lui.
Marco parla di questo anche quando dice: abbiate sale in voi. Sale come
immagine della presenza preziosa e insostituibile di Dio (Mc 9,49s.). Un
messaggio emozionante e del tutto impossibile.
Compito dell' esegesi e dell' ermeneutica non è quello di rendere più com
prensibile, di rendere più accettabile e di portare in qualche modo più vicino
all' uomo moderno questo messaggio impossibile e semplicemente scandalo
so. Non esiste qui alcuna costante antropologica al di fuori dell ' unico bilan
cio negativo che questo è un messaggio insopprimibilmente scandaloso.
A seconda delle epoche la concezione dell' inerranza della Scrittura ha
assunto forme diverse. Nel corso dei secoli è stata la cronologia biblica
quella che doveva essere sincronizzata con la cronologia profana. Poi fu la
volta del rifiuto delle contraddizioni con le scienze naturali e dell' equipara
zione della Bibbia a diverse scienze umane (antropologia, sociologia, psico
logia) e ai moderni movimenti di emancipazione (teologia della liberazione,
femminismo). Di qui vediamo che da sempre la dottrina dell ' infallibilità
della Scrittura ha avuto il suo Sitz im Leben in manovre apologetiche. E qua
si di regola la moderna teologia ( 'progressista') è parte di una simile apolo
getica.
10 Introduzione
A ben riflettere una strana situazione è già il fatto che una gran parte
dell' acume teologico venga speso per 'salvare' in qualche modo la Bibbia,
per mostrare che essa ha sempre 'comunque' ragione e che potrebbe aver
qualcosa da dire . Questi tentativi sono di regola effettuati ·sulla base
dell' armonizzazione con le correnti e i movimenti moderni. lo ritengo che
qui siamo di fronte a dei fraintendimenti a proposito del concetto di verità.
Se la Scrittura non deve contenere in primo luogo una verità dottrinale e
intellettuale, ma contiene vari 'modelli di vita' , progetti diversi incarnati in
singole persone, i quali mostrano come il primo comandamento possa sedi
mentarsi in uno stile di vita, allora essa non ha bisogno di essere armonizza
ta, bensì il suo carattere provocatorio consiste allora nel fatto che Gesù Cri
sto, gli apostoli e i profeti vanno presi pienamente sul serio, in seno a questo
unico popolo di Dio, come autorità in tutta la loro vera scandalosità e
impossibilità, due cose che non possono appunto essere apologeticamente
appianabili. In verità infatti lo stile di vita e la fiducia in Dio del profeta
Amos e di Gesù di Nazaret non corrispondevano neppure all' immagine del
mondo di quel tempo e sono in ogni tempo impossibili.
È compito dell'esegesi elaborare i campi di queste impossibilità. Sarebbe
troppo comodo trattare dell ' ispirazione e dell ' inerranza nei campi della
conoscenza e liberarsi così di esse. Il vero problema sta nel domandarsi se
sia possibile vivere così. E al riguardo non è possibile dare alcuna risposta
dottrinale e metatemporale.
Tutte le nostre professioni di fede sono soprattutto troppo ammodo di
fronte al messaggio provocatorio di Gesù. E una delle illusioni di molti
cosiddetti uomini di sinistra è che la B ibbia sarebbe un libro dei diritti
dell'uomo. Ciò non è vero, e l' onestà viene qui in soccorso. Né il libero svi
luppo della personalità, né l' emancipazione, né l' autorealizzazione, né la
libera decisione pro o contro la fede, né l ' umanitarismo universale, né
l' esclusione della vendetta o altre cose simili sono anche solo lontanamente
ciò che la Bibbia si propone di dire. No, l' uomo è un vaso d' argilla o uno
schiavo, egli è chiamato o colto di sorpresa, la vendetta non è proibita ma
rimessa a Dio, non l' umanità universale è eletta, bensì Israele e l'ulivo unico
di Dio, la santità si diffonde per contagio, i tabù sono virulenti, e la suddivi
sione dei poteri è molto lontana. L'uomo di cui parlano le parabole è colui
che punta follemente tutto su un' unica carta, non la personalità completa
mente formata. La fede in Gesù è piena di magia, possiamo parlare di mes
sianismo magico.
Applicazione: non esiste solo un biblicismo evangelicale, ne esiste anche
uno di sinistra. La verità della Bibbia non consiste nel fatto che essa è
moderna. La Bibbia è un libro estraneo e provocatorio.
I.
POSIZIONI IMPORTANTI
DELLA STORIA DELLA RICERCA
l. Notiamo una chiara tendenza a esige re una connaturalità tra autore del
testo e interprete. Ciò significa: poiché lo Spirito Santo è l ' auto re della
Scrittura, si può avere un' interpretazione attuale giusta di questa solo nella
virtù del medesimo Spirito Santo. Esempio: I Pt l, lls., secondo la quale lo
Spirito Santo fece annunciare dai profeti a proposito di Cristo quel che ades
so viene annunciato come vangelo mediante la forza del medesimo Spi rito
Santo. Così pu re la Lette ra di Barnaba: i profeti parlarono nello Spi rito - i
cristiani, che adesso comprendono la Scrittu ra, lo possono fare mediante lo
Spi rito ( 1 ,3).
Significato : c'è una sola rivelazione . Non si presuppone che si possa
comprendere l ' interpretazione cristologica della Scrittura con la semplice
ragione (esempio : Filippo e il funzionario etiope secondo At 8. Filippo è
ripieno di Spirito: 8, 29.39) . .
2. Specialmente Luca e l' auto re del vangelo di Giovanni conservano il
ricordo che l' interpretazione cristologica della Scrittura da parte dei disce
poli è un dono del tempo postpasquale. Secondo il vangelo di Giovanni è il
Paraclito a ri cordare tutto e a introdurre in tutto. - Secondo Luca è lo stesso
Risorto a introdurre nella Scrittu ra, cioè a spiegame il significato cristologi
co.
ERMENEUTICA MEDIEVALE
La base dell ' interpretazione medievale della Scrittura fu posta dal filo
sofo ebreo Filone di Alessandria, che attraverso la scuola alessandrina influì
sull' occidente. Fondamentale è la sua distinzione (platoneggiante) tra senso
letterale e senso allegorico.
Nel secolo XIII vide la luce questa formulazione:
littera gesta docet
quid credas allegoria
moralis quid agas
quid speres (quo tendas) anagogia
(il senso letterale insegna gli eventi, il senso allegorico quel che devi cre
dere, il senso morale quel che devi fare e il senso anagogico quel che devi
sperare [la meta a cui devi tende re], il compimento escatologico). I tre ulti
mi 'sensi' furono collegati alla triade fede, carità e speranza.
Il più delle volte si distinsero solo due sensi, quell o letterale e quello 'spi
rituale' (mistico, allegorico). Questa distinzione permise di interpretare in
maniera 'figurata' tutti i passi difficili in base al loro senso letterale.
La dottrina del quadruplice senso della Scrittura è anche diventata, in
molteplici varianti, la base della suddivisione intrateologica in discipline.
l. Ermeneutiche confessionali
Dio nella parola della Scrittura, presenza che reali zza la fede e quindi una
nuova esistenza. Stando a quanto dice il Grande Catechismo a proposito
dell' Articolo 3 (WA 30/1 , 1 87s.), lo Spirito, quale forza mediatrice, ci avvi
cina a Cristo mediante la comprensione e l' accoglimento del vangelo. Egli
opera solo indirettamente mediante la parola della Scrittura e la predicazio
ne quali suoi strumenti (TRE 1 2, 209) . Perciò la chiesa guidata dallo Spirito
è l' assemblea sotto la parola. Lo Spirito non opera accanto ad essa in qual
che modo immediatamente e direttamente.
Critica: i teologi si chiedono in continuazione se lo Spirito Santo non sia
appunto importante per i temi dell ' interpretazione e dell' applicazione trattati
in una erme neutica. Alla luce di M. Lutero possiamo dire: sì, lo Spirito San
to è importante, però in Lutero si tratta in tutto e per tutto solo di una teoria
dogmatica. Dietro tale teoria non c'è una qualche esperie nza, una qualche
percezione, foss' anche solo quella di una liberazione. «Lo Spirito Santo non
opera per Lutero direttamente, unendosi in modo carismatico, e ntusiastico,
mistico, speculativo o sacramentale con lo spirito umano. L' i nteresse per
una simile unione, tipico della pneumatologia della chiesa antica e di quella
medievale, non è condiviso da Lutero» '.
LA POSIZIONE EVANGELICALE
Secondo von Hofmann ( 1 880) una certezza della fede e della salvezza,
che «soltanto il cristiano evangelico ha» e che egli deve sviluppare in una
18 prima parte
Bibliografia: E. HERMS, Was haben wir an der Bibel? Versuch einer Theologie
des christlichen Kanons, in JBTh 112 (1997); Io., Biblische Henneneutik, Neukìr
chen 1998, 99- 152.
Secondo M. Lutero il centro della Scrittura sta nella dialettica tra legge e
vangelo (lettera della legge che uccide - promessa della grazia) . Tale centro
si trova in ambedue i Testamenti e soltanto esso rende la Bibbia la 'vera
Scrittura' . In altre parole: soltanto questo elemento essenziale è propriamen
te Scrittura ne lla sua funzione normativa (H. KARPP, Bibel IV, in TRE 6, 7 1 ).
Critica: molti teologi faticano assai a riconoscere che il Nuovo Testa
mento contiene differenti teologie. Così non riescono a immaginare e non
Posizioni importanti della storia della ricerca 19
Ma qui è di nuovo l' esegesi a ribellarsi. Infatti, pur con tutta la buona
volontà, né la morte espiatrice, né la giustificazione del peccatore sono dap
pertutto dimostrabili. E come potrebbero dunque essere qui il centro della
Scrittura?
Critica: il problema del 'centro della Scrittura' come norma ermeneutica
è un problema dottrinale unilateralmente protestante, originato dalla proble
matica più antica dei concetti dottrinali di singoli autori (in termini critici al
riguardo si era espresso già W. WREDE, Uber Aufgabe und Methode der
sogenannten Neutestamentlichen Theologie, Gottingen 1 897), che si tra
sformò poi qui nel concetto dottrinale dell' intera Scrittura. Forse possiamo
trovare una soluzione, se teniamo saldamente davanti agli occhi due cose: a)
la rivelazione cristiana primaria è lo stesso Gesù Cristo, e poiché si tratta di
una persona, anche l' accesso a tale rivelazione è di tipo personale, passa
cioè attraverso il discepolato, e b) la Scrittura è nata in seno alla chiesa e
testimonia i suoi inizi. Con questo non diciamo chi occupi qui una posizione
di preminenza, ma piuttosto che la chiesa può diventare certa della propria
base solo attraverso la Scrittura.
In altre parole: l' interpretazione autoritativa della Scrittura non può avve
nire mediante un concetto dottrinale liberamente fluttuante e individuabile
in primo luogo da professori di teologia (o da essi conosciuto), ma deve
avvenire in qualche modo in forma ecclesiale. Solo chi dubita di una auto
rità dottrinale vinc olante della chiesa ha bisogno di un centro della Scrittura.
Al riguardo è fuori discussione che questa autorità ecclesiale è pervenuta in
tutti i tempi a formulare i propri giudizi per vie differenziate. Non è escluso
che anche la chiesa abbia potuto o dovuto ricorrere qui a dei criteri. In pri
mo luogo e in linea di principio una cosa dovrebbe esser certa: l' interpreta
zione vincolante della Scrittura può avvenire solo all' interno di un processo
vivo (discepolato vivo) della stessa chiesa, perché tale interpretazione non è
un evento in linea di principio distinguibile da questo processo vivo. Il crite
rio dell' 'oikodom i ' , di cui ancora parleremo, possiede perciò una preminen
za qualitativa rispetto a tutti gli altri criteri. - La preminenza qualitativa del
la verità, che consiste nella persona di Gesù e nella stretta unione con lui,
condiziona una preminenza della verità vissuta e attuata della chiesa rispet
to a qualsiasi verità dottrinale. Al riguardo deve però esser chiaro che la
Scrittura non è morta e che viene ascoltata in seno alla verità della chiesa
vissuta in ogni funzione liturgica. Questa affermazione è diretta solo contro
dottrine autonomizzatesi.
2. Ermeneutiche liberali
Per Schleiermacher l' ermeneutica è l' «arte di comprendere nel modo giu
sto il discorso di un altro», e questo è l' anello di congiunzione tra il porgere
nel modo giusto e il comunicare qualcosa ad altri (a un terzo).
l. Parte e tutto
2. Confrontare
3. Due metodi
4 . L'opera
5. Contesto
in una pras si esteriore ad esso collegata» (ibid. ) . Per l ' ultimo Dilthey
determinante è la domanda: «Come possiamo promuovere una conoscenza
storica del cristianesimo contro il dottrinarismo teologico, che vive solo in
scuole e in catene concettuali dogmatiche, lontano dai motivi che determina
no la vita morale degli uomini, senza legame tra le sue formule monotone e i
cuori agitati degli uomini? L' intrinseca mancanza di verità della teologia,
sempre intenta a redigere nuovi compendi dogmatici, è la sua più grande
sventura e la sua più grande colpa» .
Significato: la religione cristiana non viene posta in relazione soltanto con
la razionalità dell' uomo, bensì con tutto il campo delle sue percezioni ed
esperienze. Se comprendo bene Dilthey, si tratta per lui anche di una religio
sità popolare radicata nella vita quotidi-ana, in ogni caso di ciò di cui gli
uomini per davvero 'psichicamente' vivono se sono cristiani, della religio
sità vissuta. All' esperienza individuale, di cui uno «prende coscienza» , si
contrappongono in un modo carico di tensione forme dello spirito oggettivo,
in cui la vita si realizza (religione, arte ecc.).
Critica: Dilthey smarrisce cammin facendo la specificità dell'esperienza
religiosà. Essa comprende, per esempio, il lato mistico della religione, che si
riferisce a un Dio sperimentato «come una persona» . Così egli dice di se
stesso: «Io non sono una natura religiosa» (Der junge Dilthey [Briefe ] ,
1870, 279). Tuttavia dall' esterno Dilthey ha osservato delle cose importanti,
che in parte non sono state sino ad oggi assimilate.
e non solo da una forma storica concreta di tale reciprocità» (1, 320 [trad. it. ,
340]).
6. Nel recepire Heidegger, Bultmann non è coerente: del resto, perché
dovrebbe esserlo? L' analisi filosofica dell 'esistenza è, secondo Bultmann,
abolita, elevata e conservata (aufgehoben) nel nuovo. Le strutture dell'esi
stenza permangono, perché il credente è pur sempre un uomo: egli è appun
to simultaneamente 'peccatore ' (uomo ordinario) e 'giustificato' (figlio di
Dio), perché la fede non è una nuova qualità essenziale. Soprattutto un atei
smo ermeticamente chiuso non è più un presupposto. Qui la concezione di
Heidegger viene fatta radicalmente saltare. - Così la chiamata/interpellanza,
che porta l' uomo all' autenticità, viene estesa da Bultmann fino a compren
dere il kerygma, cosa mediante la quale sembra essere anche subito stabilito
che cosa la parola di Dio è.
7. Ma Bultmann non va interpretato solo partendo da Heidegger, perché
egli è pure un 'teologo dialettico' e un compagno di viaggio di K. Barth.
Non dovremmo dimenticare che Bultmann, Barth e Heidegger sono insieme
neokantiani di Marburgo. - Alla luce delle origini di questa teologia non a
caso il punto di partenza, secondo il quale occorre superare la divisione del
soggetto, si incontra con l ' istanza di Heidegger. Ciò significa in concreto:
non possiamo disporre di Dio, non possiamo parlare di lui in una concettua
lità oggettivate, bensì solo in una concettualità esistenziale e 'personale ' .
Ciò significa anche: non può esistere un agire di Dio nel mondo che sarebbe
oggettivamente afferrabile. I miracoli sono perciò tutti quanti esclusi. L' uni
co miracolo, che di conseguenza rimane, è la riconciliazione. A questo pun
to il cerchio si chiude: se inizialmente sembrava essere lo scandalo provato
dagli uomini moderni per il miracolo a costituire un ostacolo per l' onestà
scientifica, adesso si mostra anche perché le cose stanno così: tutti i cosid
detti testi mitologici della Bibbia non parlano «in modo adeguato» di Dio,
perché interpretano l' agire di Dio come qualcosa di esistente nel mondo. Ma
questo non può essere, perché Dio e il suo agire non sono un oggetto del
mondo. Qui valgono solo le relazioni personali sul piano di affermazioni
esistenziali.
conosce più alcuna etica dettagliatamente formulata. A ciò corrisponde, nella cor
rente di sinistra della scuola bultmanniana, divenuta politica, la sostituzione almeno
tendenziale dell' azione mediante la commozione. - Molte singole posizioni
dell 'ecopacifismo si spiegano facilmente come eredità culturale della scuola bult
manniana divenuta politica.
Pure l' infelice doppia combinazione 'indicativo e imperativo' e 'già e non anco
ra' , risalente a R. Bultmann, corrisponde alla posizione tardoideali-stica che dissol
ve ogni certezza al di fuori dell' autocomprensione.
mente separata dalla forma (Bultmann adopera l' immagine del nocciolo e
del guscio)?
2. Dobbiamo domandarci se la demitizzazione è necessaria. Se infatti
rinunciamo a una immagine uniforme del mondo, possiamo ritenere reali
tutti i racconti mitici senza contrapporli a fatti scientifici naturali. In questo
libro batteremo più avanti questa via.
3. Dobbiamo domandarci se l' astinenza dall 'esperienza storica, praticata
con coerenza da Bultmann, sia del tutto irrealistica e presenti una tendenza
fatalmente deleteria. Se il contenuto della salvezza non può essere descritto
in modo positivo e tutto l' autentico è personale e invisibile (e da ritrattare in
continuazione subito), per i cristiani non ci possono essere né una continuità
storica, né una patria spirituale. Noi non solo dipendiamo dal l ' una e
dall' altra, ma togliere l'una e l' altra all'uomo è cosa che non può significare
alcunché di buono per la figura della chiesa.
XIX 2 •
Tenendo presente in modo particolare l' ermeneutica ebraica cerchere
mo di seguire ulteriormente questa linea critica.
' T H . SUNDERMEIER, Nur gemeinsam konnen wir leben. Das Menschenbild schwarzafrikanischer
Rl•ligionen, GUtersloh 1988.
32 prima parte
L' uomo sperimenta tale grazia come una grazia creativa e non come una
grazia commisurata al merito.
2. Il termine appare perciò estraneo, perché la grazia è estranea. L' «erme
neutica scopre nella parola estranea che essa vale per me» (H. Weder). Allo
ra comprendiamo il testo come parola di Dio, come linguaggio della grazia.
3 . Questa realtà della grazia condiziona la distanza reale dalle nostre
costruzioni della realtà. Compito della teologia è quello di far conoscere
all ' uomo la realtà e la presenza di Dio, cioè di parlare dell' amore come
dell' unica cosa vera.
4. Alla comprensione guarita dall' ermeneutica si oppone il peccato nella
comprensione. Peccato nella comprensione significa legge, non vangelo,
significa un unico Dio che compare come comandante supremo.
5. Nella percezione del testo non bisogna distinguere tra testo e applica
zione. Né il testo aiuta in una situazione, ma crea (per esempio come pro
messa) una nuova situazione. Perciò esso ha anche autorità (non a motivo
del suo autore).
6. L' ermeneutica rende manifesto: il testo incide sull' uomo. Questd lavo
ro del testo sull'uomo è l 'evento propriamente importante. Possiamo parlare
anche della parola sempre preveniente.
7. La teologia è in questo senso commossa e commovente.
8. Weder attinge anche alla teologia della parola di Dio di Ebeling: così le
parabole sono eventi della bontà di Dio. I testi non parlano di qualcosa, ma
sono interpellanze rivolte a uomini. L'uomo è coinvolto in un dialogo con i
testi e così redento dal dialogo con se stesso.
Critica: queste tesi non vanno propriamente criticate, perché esse sono
convinzioni di fede formulate in modo teologico sistematico e si sottraggo
no, come tali, a ogni superverifica empirica. Chiara è anche una concezione
della teologia diversa da quella qui proposta. Quanto alla prassi dobbiamo
però domandare due cose: a) la concezione di H. Weder ha una qualche rile
vanza per l ' applicazione pratica quotidiana del vangelo? La deve mai avere?
Oppure si tratta solo di un accertamento 'interiore' ? b) Weder, quando dice
che solo il testo crea la situazione, si dispensa con ciò da qualsiasi approfon
dimento della situa�ione esistente. Evidentemente non dobbiamo neppure
domandare in modo concreto che cosa una determinata situazione esige,
quali sono le cose di cui gli uomini si interessano o di cui hanno bisogno. La
'parola' del messaggio manda in ogni caso a monte tutto?
La particolare fissazione della parola creativa di Dio (evento) su determi
nati generi (parabole) è già stata criticata in antecedenza e da altri.
Proposizioni come: «Dio è amore. Questa frase è semplicemente vera al
Posizioni importanti della storia della ricerca 33
tempo del Nuovo Testamento così come oggi»3 ci dicono che qui viene
sacrificato qualsiasi senso della dogmatica per differenze linguistiche o cul
turali.
Bibliografia: H.-G. GADAMER, Wahrheit und Methode, Tiibingen 19754 [trad. it.,
Verità e metodo, Bompiani, Milano 1 9885] . - Commento e critica: W. G. JEANROND,
Text und Interpretation als Kategorien theologischen Denkens (HUTh 23), Tiibin
gen 1 986; B . J. HILBERATH, Theologie zwischen Tradition und Kritik. Die philo
sophische Hermeneutik Hans-Georg Gadamers als Herausforderung des theologi
schen Selbstverstiindnisses, Diisseldorf 1 97 8 ; T. 0Rozco, Platonische Gewalt.
Gadamers politische Hermeneutik der NS-Zeit, Hamburg - Berlin 1 99 5 ; H.-G.
STOBBE, Hermeneutik - ein okonomisches Problem. Eine Kritik der katholischen
Gadamer-Rezeption (OTh 8), Giitersloh 1 98 1 .
applica una legge al caso per cui essa è pensata, siamo di fronte a una com
prensione della legge. Gadamer non si perita di menzionare in simili conte
sti anche la Bibbia: la predica sarebbe un caso di applicazione della Bibbia.
In questo modo il singolo si inserisce in un grande processo fatto di tra
smissione e tradizione. Quel che qui viene tramandato è meno importante
del fatto che esso sia tramandato. L'individuo è descritto a lettere minuscole,
egli è solo un barlume. Pure l' autore di un testo estraneo ha poca importanza
per Gadamer. L' importante non sono le persone e i soggetti. I testi o i settori
oggettivi si sono autonomizzati nei loro confronti. Il testo poté autonomiz
zarsi perché l ' uso ha levigato, attraverso il contatto con il 'ferro caldo' della
cosa, gli elementi personali e individuali, che erano una volta propri
dell' autore e che egli può anche aver avuto di mira. - P. Stuhlmacher ha
salutato con favore, nella sua ermeneutica dell' intendimento, questo inten
dersi in seno a tradizioni. - Tuttavia Gadamer ha preso le distanze dal fatto
di volere, con i suoi mezzi, legittimare tradizioni o dogmatiche ben determi
nate. Questa è certamente la forza e la debolezza della sua concezione. Egli
vuole infatti solo descrivere quello che chiamiamo così comprensione. In
questo egli è in tutto e per tutto un fenomenologo. Ma questa epoch i
(sospensione) può essere sfruttata bene da ogni genere di conservatori. In
fondo in Gadamer il classico arriva a occupare una posizione di particolare
prestigio, perché sopravvive nel processo della tradizione. Il classico è forte
quanto basta per poter ricomparire in continuazione. Così, malgrado tutta la
neutralità, proprio il forte diventa sempre più forte. Ma così è appunto fatto
il mondo, risponderebbe presumibilmente Gadamer.
Il tema è quindi il sequestro. L' altro non vuole precisamente solo lasciarsi
sequestrare? In veste di esegeti osserviamo spesso come Paolo sia esposto
inerme in balia dei suoi interpreti, che in parte hanno introdotto nel mondo
varie interpretazioni sbagliate oltremodo coronate da successo. Nessuno può
giustificare l' ottimismo, secondo il quale le interpretazioni sbagliate si cor
reggerebbero da sole già a motivo della cosa. La comunicazione è quindi
fine a se stessa? Quel che Gadamer chiama complesso della tradizione non è
troppo disomogeneo anche in se stesso perché si possa dire che qui starebbe
la chiave della comprensione?
2. Ma la controparte storica non viene dichiarata (contro Gadamer) l' uni
versale, essa rimane individualità. Tra le due individualità può allora esiste
re un punto di paragone (il tertium comparationis). Non si tratta quindi di
una verità universalmente valida, bensì di accordi consensuali e compromis
sori. L' estraneità dell' altro significa possibilità di gettare degli sguardi nella
ricchezza del suo essere (sull' ermeneutica dell' estraneità, cfr. più avanti).
3 . Gadamer vuoi descrivere in modo 'neutrale' la conoscenza. Ma in
realtà descrive quel che si impone ( 'classico'). E: «Il successo tardivo e per
durante dell' ermeneutica di Gadamer sta non da ultimo nella sua promessa
di una comprensione innocente e pura e di una scienza dello spirito presun
tamente apolitica» (R. Suchsland, in FRu qel 20.9.96, 9). Sottobanco Gada
mer trasmette il criterio del successo, dell' effettivo imporsi (immagine spe
culare del sistema educativo borghese e liberale).
4. Il problema se una comprensione possa essere realmente criticata dalla
cosa non si pone per Gadamer. Tra cosa e comprensione non esiste per lui
alcuna differenza critica.
5. Gadamer parla del necessario rapporto vivo con una cosa come della
condizione della possibilità di comprendere. Questo punto è notoriamente
accolto con favore da teologi, e l' autocomprensione credente fu dichiarata il
presupposto della comprensione di testi biblici. Ma la necessaria, oltre a ciò,
capacità di una distanza critica - se deve trattarsi di scienza - fa difetto in
Gadamer. Qui si tratta, nel mezzo di un rapporto vivo, della capacità di
maneggiare in maniera autocritica la ragione critica. Perché solo con questa
capacità sarò in grado di lasciar sussistere anche altre realtà. In questo senso
la ragione storica è anche orientata socialmente.
La presa di distanza impedisce un inserimento solo docile nell' evento
della tradizione. Essa fa diventare visibile proprio anche la peculiarità indi
viduale, e in questo modo non si tratta solo di riguadagnare il soggetto dalla
parte del conosciuto, bensì si riguadagna anche il soggetto del conoscente.
6. Invece secondo Gadamer «l' autoriflessione dell' individuo non è che un
barl ume nel compatto fluire della vita storica» ( 1 975, 3 1 5 .266 [trad. it. ,
36 prima parte
325]), e nella ricezione del testo si tratterebbe solo dell ' universale (op. cit. ,
323 [trad. it., 333]): il testo tramandato non viene concepito come manife
stazione vitale di un tu ed è disgiunto da ogni legame con un io e con un tu
(op. cit. , 340 [trad. it. , 350]). Infatti solo il senso avrebbe una storia, solo
disgiunto dal proprio autore il testo diventerebbe universale.
Scopo dell 'ermeneutica che esporremo in queste pagine è anche la riabili
tazione del soggetto. Infatti con M. Frank dovremmo rivendicare il fatto, già
alla luce della fusione di orizzonti di Gadamer, che qui comunicano tra di
loro realmente due soggetti (M. Frank 1 977, 34).
Che ogni testo possa avanzare di per se stesso una pretesa di essere vero è
cosa che comunque non si può dire a proposito del canone della Bibbia, per
ché a essere ispirati sono gli autori e non la lettera. E nei confronti di chi
dovrebbe valere la virtù ermeneutica della lealtà se non nei confronti
dell ' autore di un testo? Per il gusto ecclesiale i testi non furono mai autono
mi . E appunto per questo essi non possono neppure essere sequestrati in
modo non distaccato.
7. Riconosciamo fino a che punto gli esegeti, che videro in costanti antro
pologiche la via dell' ermeneutica biblica, si sentirono strettamente affini a
Gadamer. Si trattava infatti dell ' atemporalmente universale, e quindi in ulti
ma analisi di una problematica dell' idealismo tedesco. - Invece qui faccia
mo il tentativo di lasciar parlare anzitutto gli individui e poi di trovare dei
ponti limitati e provvisori tra di loro. Perciò nella prassi etica non esiste nep
pure alcuna ossessione biblicistica di trarre conclusioni da norme della Bib
bia (legalismo biblicistico ).
Nel fare così cerchiamo perciò non da ultimo di conferire, prima e al di là
di ogni universalità, il necessario peso ermeneutico alla non sequestrabilità
di Gesù. Questa è la premessa ermeneutica del mio libro Wer war Jesus
wirklich ? [Chi era realmente Gesù ?] ( 1 995, 1 9984), in cui rinuncio a deli
neare un' immagine di Gesù facile da maneggiare e applicabile in modo
definitivo.
Risultato:
l. L' accentuazione dell'individualità del testo e del processo dell' applica
zione corrisponde, da un lato, alla distinzione tra esegesi e applicazione, ma,
dall' altro lato, anche alla affinità dei mezzi per questo adoperati (analisi) .
2. La comprensione proclamata da Gadamer è una cattiva comprensione,
perché le spigolosità del testo vengono smussate e livellate e non si tiene
conto delle sue peculiarità. Gadamer canonizza il puro consumo del testo. -
Io invece potrei chiamare con questo nome solo una comprensione più sen
sibile, una comprensione a cui partecipa una ragione differenziante. Gada-
Posizioni importanti della storia della ricerca 37
mer, per risolvere la crisi delle scienze dello spirito, propone qualcosa che -
abbandonato inerme in balia delle ideologie - somiglia troppo al comporta
mento consumistico, che tali scienze vogliono invece contrastare.
3. La libertà è decisamente importante per l' esegesi e l' applicazione, per
ché essa ha la propria origine nella pari originarietà dell' essere dei vari sog
getti. Solo così la ragione stòrica e nello stesso tempo sociale, nonché la tol
leranza ermeneutica acquistano un senso e sono necessarie.
4. L'individualità dell' autore è riscoperta come l'estraneità provocatoria,
come l' altro termine del paragone. L'opinione dell' autore e l' applicazione
sono qui tenute il più possibile distinte, affinché tale tensione possa dimo
strarsi fruttuosa per sempre nuove applicazioni. L' autore va accostato con la
ragione storica. - Il nesso con l' impostazione etica di fondo dell' ermeneuti
ca sta in questo: non la continuità, bensì solo la diversità sarà di aiuto e
potrà far registrare dei progressi .
modo completo in un testo. Invece gli assiomi impliciti sono strutture comu
ni, che sono potenzialmente presenti in più testi.
Gli assiomi espliciti sono senza dubbio in un certo senso necessari per la
comunità ecclesiale, cioè ai suoi confini. Perciò queste formulazioni si trova
no nei catechismi e nei dogmi, due strumenti che hanno la funzione di traccia
re dei confini: i catechismi accompagnano alla soglia del cristianesimo, e i
dogmi tracciano i confini nei confronti di coloro che non appartengono alla
comunità ecclesiale. Perciò gli assiomi espliciti costituiscono solo un settore
molto limitato anche rispetto alla 'doctrina'. Essi sono come i paletti che deli
mitano un pascolo: ma chi può mai pretendere che il bestiame si occupi sem
pre di tali paletti anziché pascolare nel prato?
2. Gli assiomi espliciti sono utili solo in misura estremamente limitata e
sono determinazioni possibilmente da evitare.
La religione non vive di essi e non è primariamente e inizialmente da essi
neppure trasmessa. Tale trasmissione avviene senza dubbio in primo luogo
attraverso la persona di testimoni (Cirillo di Gerusalemme: se qualcuno vuo
le diventare cristiano, deve vivere un anno con me), solo in misura assai
limitàta attraverso l'insegnamento e in misura ancora sostanzialmente più
piccola per mezzo di assiomi.
Come ognuno. sa, neppure i dogmi hanno in primo luogo il carattere di
assiomi, bensì il carattere di confessioni di lode, e brani come il decalogo,
per esempio, non sono affatto originariamente dei principi generali, bensì
furono pensati come una serie di casi concreti di un tipo determinato. Essi
servono senza dubbio soprattutto alla regolazione nel senso razionalistico
del termine (amministrazione). Non è certamente un caso che fenomeni
come il presunto «piccolo Credo storico-salvifico» dell'Antico Testamento
abbia dovuto essere ascritto più ai sogni sistematici moderni che non ai testi
veterotestamentari5•
Perché l'ebraismo non ha sviluppato alcuna dogmatica? Perché non è
possibile racchiuder!o neppure in simboli? Perché qui vale solo una cosa: la
vita con e in seno a questo popolo lungo il suo cammino. Solo una volta
l'antico ebraismo compose una specie di somma della Torah, allorché rabbi
Hillel si sentì domandare che cosa fosse possibile insegnare a un proselito e
proporglielo come il contenuto più importante della Torah, stando su una
gamba sola: Lv 19,18. Di qui risulta chiara una cosa: gli assiomi espliciti
vanno bene come dottrina scolare, ma l' elogio della dottrina più astratta non
ha nel caso di noi insegnanti la funzione di una fogli� di fico, non distoglie
lo sguardo dalla vera e autentica trasmissione attraverso di noi come uomini,
trasmissione che non è di per sé traducibile in assiomi? Già secondo la con
cezione del Nuovo Testamento l ' influsso dell' individuo trasmittente è la
cosa decisiva.
Perciò qui dovevamo solo richiamare l' attenzione sulla funzione didattica
limitata degli assiomi espliciti.
3. Il problema fondamentale degli assiomi impliciti consiste nella possibi
lità o meno di formularli verbalmente.
A me non sembra sia facilmente possibile erigere in modo non arbitrario
strutture (nel senso di N. Chomsky) o centri di guida dietro testi esistenti o
addirittura dietro persone e definirli verbalmente.
4. Quanto agli assiomi impliciti verbalmente formulati dobbiamo distin
guere tra assiomi formulati da noi stessi e assiomi formulati da altri.
Gli assiomi formulati sono il risultato di processi cognitivi concernenti
substrati di esperienze fatte. Quando a proposito di altri uomini sostengo che
alla base delle loro affermazioni ci sono determinati assiomi (caso quindi di
eteroformulazione), assiomi che io esplicito verbalmente, il mio modo di
procedere non è soltanto assai soggettivo, bensì anche in notevole misura
violento e categorico. Quando ascrivo così in modo perentorio a qualcuno le
sue convinzioni fondamentali, questo mio modo di ordinare le cose è un
modo di procedere razionalistico.
Pure nel caso di una terapia ciò è problematico. Il principio basilare di
alcuni trattamenti terapeutici consiste nell' arrivare a esplicitare verbalmente
i presupposti (assiomi) del paziente nel senso di un procedimento salutare.
Questo è un rischio perché ogni ordine viene comprato con perdite e perché
ogni concentrazione su assiomi è esposta al pericolo di una intrusione domi
nativa.
Diverso è il caso quando uno parla dei propri principi. Qui esiste una
diversità qualitativa rispetto all' ordine stabilito da altri. In questo senso pos
so vedere qualsiasi terapia solo come un aiuto a rappresentare se stessi, così
come esattamente solo allo stesso modo posso vedere qualsiasi esegesi. Il
compito principale di ogni interpretazione consisterebbe allora nel procurare
alla controparte la possibilità di mos_trarsi a se stessa. Perché uno sia così è
cosa che forse posso esplorare, ma come egli è è cosa che egli deve prima
mostrarmi. Analogamente dovrebbe valere per l' esegesi il fatto che la cosa
importante sarebbe quella di permettere a Paolo stesso di parlare, anziché
legarlo a degli assiomi. Questo io lo chiamerei allora estetica nel senso
ampio del termine, percezione di una totalità.
Posizioni importanti della storia della ricerca 41
Non riesco perciò a capire chi, a proposito del Nuovo Testamento, formu
la degli assiomi impliciti invece di lasciar agire in maggior misura lo stesso
testo. In ciò io vedo un 'influsso' nel senso dell' estetica della ricezione. Il
dissenso con D. Ritschl riguarda perciò verosimilmente una discussione tra
estetica della ricezione e strutturalismo. E qui occorre in primo luogo com
battere contro una svalutazione dell' estetica e della retorica (inclusa la mes
sa in scena liturgica di testi).
Sempre più dubito che gli assiomi espliciti siano realmente solo l' altra
faccia della moneta di assiomi impliciti. Nel caso di assiomi espliciti si trat
ta di regole e formule, invece nel caso di assiomi impliciti si tratta del
mistero dell' individualità e soggettività, del campo della storia e non
dell' astratto. È realmente possibile dibattere dell 'una e dell' altra cosa con
temporaneamente? Sta qui la causa delle nostre difficoltà? Quando per que
stione degli assiomi . impliciti di uomini intendo questa domanda: «Perché
uno agisce e pensa così, e l' altro agisce e pensa diversamente?», ogni tenta
tivo di ricostruire una serie di regole non diventa per il teologo sistematico
una tentazione che lo spinge a supporre senza riguardo nella controparte
una dogmatica coerente (così come quando si parla della dogmatica di Pao
lo, cosa giustamente bollata da E. Kasemann come un pio desiderio sbaglia
to)?
5. Difficoltà nell' individuare forze guida implicite. Gli assiomi impliciti
sono, nel caso di testi, chiaramente qualcosa di diverso da quello che sono
nel caso di uomini. l testi sono prodotti intenzionali: ogni sommario di un
testo ha bisogno che si individui un' assiomatica implicita di tale testo. Nes
sun riassunto è possibile senza l' astrazione che va nella direzione dei princi
pi e delle decisioni fondamentali realizzate in tale testo. Pertanto nel caso di
qualsiasi comunicazione verbale la richiesta avanzata da D. Ritschl è una
necessità comunicativa ermeneutica. Tutto ciò lo ammettiamo espressamen
te. Ma:
a) Un 'sommario' non può essere l' unica forma di ricezione di un testo (cosa che
anche D. Ritschl può senza dubbio ammettere). Esistono infatti molti modi estetici
di ricezione di un testo, il cui buon diritto e la cui funzione ermeneutica non posso
no essere contestati. E possiamo benissimo dire: proprio nel caso della Bibpia que
sti sono i modi abituali.
b) Ogni cosiddetto sommario è in realtà una produzione di un nuovo testo a par
tire da quello 'vecchio' , da quello percepito. Così proprio anche la rappresentazione
dell'ossatura o dei principi di un testo o addirittura di più testi costituisce appunto
un testo nuovo e ulteriore. Questo significa: per colui che deve formulare tale som
mario, sussistono allora sempre e poi sempre l' impresa e la specificità e, rispettiva
mente, la diversità di un nuovo testo.
42 prima parte
partito egli sarebbe oggi più vicino), oppure tentare di giudicarlo da un pun
to di vista extrastorico. Proprio l' 'implicito ' è la continua tentazione ad
abbandonare il terreno della storia nell' uno o nell' altro senso. Che le teolo
gie cristiane primitive siano un mosaico che' si completa lo può dire solo
qualcuno il quale conosce la verità e sa con tutta sicurezza che essa è una.
Dobbiamo addirittura dire: gli assiomi impliciti, quando intendiamo fare
delle affermazioni sulla Scrittura, non dovrebbero mai e poi mai andare a
spese dell' evidenza filologica e storico-teologica chiara e dovrebbero rinun
ciare all'argumentum e silentio. Ma proprio per questo essi sono possibili
solo come assiomi limitatamente validi. Proprio per questo esistono soltanto
delle intese circa unità testuali limitate o (per quanto riguarda l' applicazio
ne) soltanto intese a tempo. Io rabbrividisco di fronte al termine assioma
perché esso, rispetto agli scritti occasionali biblici, ha il peso di una massa
di ferro, sotto cui i testi e la loro ricezione vanno in frantumi.
E al teologo dogmatico chiediamo di non fare, circa testi biblici, alcuna
affermazione che induca automaticamente l' esegeta a opporsi ad essa e a
dire seccato che tale affermazione dogmatica è esegeticamente tanto arbitra
ria e tanto labile che sarebbe con facilità possibile affermare anche il contra
rio. Nel caso degli schematismi provo sempre molto fastidio per l' arbitra
rietà dell' ordinamento . Non sarebbe possibile fare delle affermazioni
responsabili che sfuggano a questa trappola? Che non inducano l' esegeta a
voler subito affermare semplicemente il contrario di simili enunciazioni
sommarie?
Per l' esegesi gli assiomi formulati sono tutt' al più delle semplificazioni
provvisorie utili. Invece per quanto riguarda l' applicazione occorre doman
darsi se gli assiomi esplicitati siano strumenti della comprensione ermeneu
tica:
lO. Gli assiomi impliciti sono ermeneuticamente necessari e la base per
tertia comparationis ?
Qui non si tratta di ciò che la teologia dialettica chiama 'la cosa' del cri
stianesimo?
Forse potremmo descrivere il rapporto dell' ermeneutica di Ritschl con le
mie concezioni nel modo seguente: al centro c'è un consenso circa il fatto
che in singoli testi esistono strutture e assiomi impliciti. Ritschl si allontana
quindi subito nella direzione che va verso l' alto, dal momento che si dirige
verso assiomi universali anche biologicamente fondati. lo invece procederei
dal centro comune piuttosto verso il basso e considererei le strutture e gli
assiomi individuali già come quelli più astratti tra le dimensioni degli effetti
o influssi. Inoltre importante per la mia concezione dell' ermeneutica non è
soltanto la struttura razion ale bensì altrettanto importanti sono pure le con-
,
48 prima parte
dizioni dell' influsso emotivo, di cui fa parte pure la forma del testo. A qual
siasi ermeneutica razionalistica rimprovererei una disposizione d' animo
antiretorica. Nel caso dell' ermeneutica io metto decisamente in conto l' ana
logia dell' influsso, e questo avviene per così dire 'davanti' a un testo, non
sulla base dei suoi assiomi.
Forse potremmo dire nel senso di D. Ritschl: il senso ermeneutico della
questione degli assiomi impliciti è racchiuso in questa domanda: che cosa è
propriamente 'detto' nel ·testo (assiomi impliciti del messaggio) rispetto ai
motivi per i quali io credo (assiomi impliciti del soggetto)? Oppure: oggi, di
fronte ai miei assiomi impliciti, in quale altro modo Matteo formulerebbe il
proprio messaggio? - Viceversa: come io affermo la necessità di un con
fronto tra le esperienze odierne e il testo, così mi pare problematico il tenta
tivo di ricorrere a una assiomatica comune o a qualcosa di simile per ambe
due.
1 1 . Il pericolo dell' astoricità.
Alla fin fine: quale immagine della storia sta dietro l' illusione di poter
racchiudere qualcosa in assiomi? La rivelazione e la storia del popolo di Dio
non sono qualcosa di molto più vivo? Questa è una domanda che riguarda
anche le presupposizioni antropologiche fondamentali. Gli assiomi sono
realmente adeguati al carattere della rivelazione come storia, alla peculiarità
della teologia paolina quale teologia sempre provocata dalla situazione, con
un Paolo in grado di compiere sempre nuove inversioni di marcia e di ricor
rere a elementi sempre nuovi del suo armamentario giudaico? Gli assiomi
tengono conto in modo adeguato del carattere storico del giudaismo e del
cristianesimo? O sono solo tentazioni pedagogico-didattiche non dissimili
da quelle di sant' Antonio?
1 2. Il rapporto della dimensione 'chiesa' con gli assiomi impliciti e espli
citi ci permette di cogliere la loro utilità e problematicità.
d) Molte cose nella chiesa si oppongono alla ricerca di assiomi, perché esse non
sono sommabili. Non sommabile è tutto ciò che esiste come superficie o non esiste
affatto, come ad esempio la retorica di un testo, il rito della sua messinscena e, in
generale, tutta la realtà attinente l' azione. Sommabili invece sono molti testi, però
di gran lunga non tutti (testi fortemente concomitanti l' azione, come, ad esempio, in
un altro campo della vita umana, le lettere d' amore).
e) È forse relativamente superfluo cercare il 'tema' del 'cristianesimo' , quando la
chiesa è intensamente percepita, sperimentata e fatta oggetto di riflessione come
una entità sociale e come una realtà viva in tutta la sua multiformità. Perciò la que
stione dell'essenza, astrazion fatta da quanto menzionato sotto il punto a), presup
pone una presa di distanza accademica o borghese dalla chiesa, in modo da potersi
poi occupare del 'cristianesimo' . Di conseguenza sarebbe forse possibile prendere
questo fatto come uno stimolo a considerare il cristianesimo non primariamente
come una entità culturale, ma come una entità sociale•.
f) La questione degli assiomi è esposta al sospetto di voler rendere superfluo e
voler sostituire una volta per tutte, mediante una specie di collana di perle di vetro,
un 'magistero' vivo della chiesa. Si tratta di una forma di metadottrina dalla quale,
in caso di dubbio, occorre solo dedurre?
'' A questa tesi corrisponde l'osservazione, espressa nel corso del dibattito, che la questione
dell "essenza del cristianesimo' e, corrispondentemente, degli assiomi impliciti fu guardata decisa
mente con sfavore da pensatori di stampo cattolico, mentre fu studiata soprattutto da calvinisti.
50 prima parte
della legge delle scienze naturali. In Gadamer, ad esempio, il testo è l' uni
versale che viene applicato come una legge; in R. Bultmann la precisione e
soprattutto la scientificità della fisica sono considerate come il modello
dell' interpretazione esistenziale, e D. Ritschl si spinge su questa linea più
lontano di tutti, dal momento che non va solo alla ricerca dell' analogia, ben
sì dell ' identità. L'uomo è inalveato nella natura anche per quanto riguarda la
sua ricerca della verità. In questo senso il contributo di Ritschl è il più radi
cale a proposito di questa questione. Ora il principio menzionato per ultimo
non va contestato. Ma si tratta di vedere con quale metodo lo si verifica.
Infatti anche gli assiomi di Ritschl non sono altro che leggi naturali nel cam
po del culturale.
Ma proprio qui bisogna forse, a mio giudizio, procedere diversamente.
C ome storico io trovo una pretesa esagerata quella secondo la quale
dovremmo adottare il discorso delle leggi universali delle scienze naturali,
foss' anche nel senso di una loro esistenza implicita. Al riguardo io ritengo
opportuno invertire il modo di pensare: che succederebbe se facessimo una
buona volta il tentativo di fare delle scienze storiche, protese a rilevare e a
descrivere individui, il punto di partenza della ricerca scientifica in genera
le? Il tentativo di porre la ricerca schleiermachiana dell' individuo al posto
dell' ermeneutica rovinata a partire dall' Aristotele cultore delle scienze
naturali? Non ha la sua storia anche la natura? Il presupposto della legge
universalmente valida non fa essenzialmente parte della cosiddetta fisica
classica anteriore a Einstein? Visto che pure per le scienze naturali vale il
circolo ermeneutico, potremmo piuttosto partire dalla circostanza che anche
la natura va letta come un testo: secondo i principi della struttura individua
le e del contesto. Certo, la natura non è verbale, non vuole dire alcunché.
Ma se vediamo i singoli suoi capitoli, primo, come parte di un contesto gra
duato, secondo, come risultato del divenire e, terzo, sotto l' aspetto della
responsabilità dell ' uomo per lo Sitz im Leben nel tutto (precisamente in
questo senso la natura fa parte della storia di questa terra), Sitz im Leben
che proprio un determinato capitolo deve occupare, allora di qui risultano
anche spunti etici che non sono più apposti solo dall' esterno alle scienze
naturali. La natura fa parte della storia di questa terra. Non potrebbe forse
significare un cambiamento necessario dell ' autocoscienza delle scienze del
lo spirito, se tentassimo almeno di occuparci della loro problematica (storia,
contesto, struttura) , anziché !asciarle vivacchiare all' ombra delle scienze
naturali?
Nella mia concezione io peroro la priorità della questione storica rispetto
a tutte le altre.
Comune con il tentativo di D. Ritschl sarebbe il fatto che non dovrebbe
Posizioni importanti della storia della ricerca 51
più esistere una semplice coesistenza tra scienze naturali e scienze dello spi
rito.
3. Ermeneutiche emancipatrici
2. Il modello del modo di procedere non consiste nel partire dal «diritto
della parola di Dio» adesso, bensì la teologia 'dal basso' comincia piuttosto
dall' esperienza del bisogno e non ha il proprio criterio in una adeguatezza
presunta o reale con il testo biblico, bensì nella funzione pratica efficace e
'liberante' . Qui la teologia non si concepisce primariamente come avvocato
della «parola sovrana di Dio», ma si ispira piuttosto al modello d�l ministe
ro terreno di Gesù.
3. L' inizio dell ' applicazione è l' evidenza dell' appello che scaturisce dalla
situazione, allorché insorge un bisogno di agire cui non è lecito chiudersi e
che non va ideologicamente rimosso.
4. Le conseguenze pratiche derivanti da questa impostazione sono :
l' interprete sa di operare delle scelte nella Scrittura e lo ammette apertamen
te. D' importanza decisiva diventano il fine e l' effetto del testo applicativo
da allestire. Il predicatore si interroga su ciò che l'ha colpito e su ciò che
può indurre poi altri a sentirsi consolati o all' azione. La liberazione - nel
senso ampio del termine - è lo scopo dell' azione applicativa.
5. Questo principio è comune con la teologia della liberazione: il mondo
non va interpretato alla luce del vangelo, esso non va considerato un caso
cui applicare una norma universale conservata nella Scrittura, bensì bisogna
capire il vangelo partendo dalla situazione (tra l' altro anche dalla situazione
sociale), scoprire di nuovo il vangelo partendo da questa base e lasciare che
esso si manifesti così di nuovo.
Quel che un programma di questo tipo praticamente significa lo possiamo
vedere considerando un esempio opposto: il commento di R. Bultmann al
vangelo di Giovanni fu pubblicato nel 1 94 1 ( ! ) . Esso, stando a quanto si
propone di fare, è una miscela particolare di affermazioni esegetiche e di
affermazioni teologiche. Bultmann raggiunge questo scopo fondendo tra di
loro le affermazioni del vangelo di Giovanni e la filosofia di M. Heidegger e
mostrando così l' attualità di quelle affermazioni e applicandole. L' attualiz
zazione viene qui cercata ad altissimo livello rifacendosi a una moderna
antropologia filosofica. Inoltre non si distingue tra esegesi e questo tipo di
applicazione.
Sollecitazioni:
zione trova nella maggior parte dei casi la sua espressione nel discorso
dell' esperienza vissuta, che manifesta le reazioni dello sdegno, della critica,
dell' accusa, dell' invito pressante al cambiamento, della mobilitazione dello
spirito ecc. Di ciò fa parte anche il giudizio etico, l'espressione della coscien
za morale, che conferisce a tutto questo una grande importanza. Questo pri
mo momento potremmo chiamarlo un momento etico o, meglio ancora, un
momento profetico»8• Dobbiamo però riflettere: la coscienza morale è
un'entità relativa e bisognosa di ulteriori criteri.
Importante è il fatto che, nel contesto, Boff nomina due elementi che
strutturano questa esperienza: la percezione sensibile (l' «esperienza vissu
ta») e l' analisi (razionalità). Al riguardo egli osserva anche che questa espe
rienza fondante non si lascia costituire nella forma di una teoria chiara o
nella forma di una teologia9• Pure a proposito dell'elemento 'profetico' dob
biamo convenire con Boff, perché qui si tratta di un elemento dell' efficacia
storica del cristianesimo.
Secondo J. B . Metz d' importanza decisiva per una nuova ermeneutica
non è più il rapporto tra teologia sistematica e teologia storica, bensì il rap
porto tra teoria e prassi. Per lui «il cosiddetto problema ermeneutico fonda
mentale della teologia non è propriamente quello del rapporto tra teologia
sistematica e teologia storica, tra dogma e storia, bensì quello tra teoria e
prassi, tra intelligenza della fede e prassi sociale», cosa che comporterebbe
anche una nuova definizione del rapporto tra dogmatica e etica10• Di qui poi
anche la richiesta: «I metodi ermeneutici sono metodi che hanno a che fare
anche con la prassi, in quanto non cercano solo di chiarire le condizioni e
gli orizzonti della comprensione in seno a un determinato contesto operati
vo, ma si occupano anche del cambiamento di tali condizioni e di tali oriz
zonti» ; la teoria non andrebbe esclusa, solo che essa «andrebbe posta in rap
porto con l ' azione molto più decisamente di quanto permettano di fare i
modi a noi noti e nella teologia abituali di filosofare» 1 1 • Importante è
l ' osservazione di J. B . Metz, secondo la quale questo significherebbe anche
un «nuovo rapporto con l' informazione non teologica» 12• Finora la discus
sione ermeneutica si è occupata il più delle volte del rapporto tra teologia
storica e· teologia sistematica, si è interrogata sul permanente «contenuto di
verità» di eventi passati e storicamente unici e irripetibili, si è occupata del
«brutto largo fossato» esistente tra la verità storica casuale e la verità razio-
" Cfr. al riguado anche K. BERGER, Exegese und Philosophie, Stuttgart 1 986.
14Cfr. R. SLENCZKA, Die Krise des Schriftprinzips und das okumenische Gesprach, in TH. SCHO
BER (ed.), Grenziiberschreitende Diakonie (FS P. Philippi), Stuttgart 1 984, 40-52.
Posizioni importanti della storia della ricerca 55
serio dove si parla soltanto dello Spirito Santo e dove per il resto non si nota
alcuna consapevolezza della possibile problematica dell' applicazione. Non
conviene nascondere - come succede spesso anche nell' ermeneutica neoor
todossa - tutti i problemi con un richiamo all' entità 'Pneuma' . Tale richia
mo conduce in particolare a un concetto quietistico della comprensione15.
Un esempio opposto a R. Slenczka è il progetto avanzato da D. Tracy
(The Analogica/ Imagination. Christian Theology and the Culture of Plura
lism, New York 1 98 1), che sviluppa uno schema 'dialettico' , secondo il qua
le una reciproca interpretazione tra testo e situazione mantiene in vita la teo
logia, cosicché nel processo ermeneutico nessuna delle due entità rimane
non interpretata. Nel corso di tale processo la teologia deve naturalmente
prendere parte a tutte le interpretazioni della situazione presente16. Dalla
concezione di Tracy risulta che ci vogliono quindi due specie di criteri: cri
teri che descrivono in modo pertinente la situazione, e criteri che interpreta
no in modo adeguato il testo17. Tracy chiama questo fatto «revisionist theo
logy», cioè teologia aperta alla revisione. Naturalmente l' indicazione dei
criteri, per quel che finora conosco dei lavori di Tracy, è per il momento sta
ta ancora troppo scarsa. In ogni caso egli tiene conto della necessità, come
facciamo anche noi qui, di una cernita tra i testi della Scrittura nella situa
zione18.
Secondo la nostra concezione valgono soprattutto i punti seguenti:
l. L'analisi della situazione ha nel processo ermeneutico la stessa impor
tanza dell' analisi del t�sto biblico. In ambedue i casi lo scopo è quello di
individuare sia nel testo sia nella situazione il maggior numero possibile di
aspetti, per accrescere così il numero dei possibili punti di contatto. In altre
parole: quanti più aspetti di un testo mi sono noti e quanto più, dall' altra
parte, conosco la situazione, tanto maggiore è la probabilità che trovi su
ambedue le sponde dei punti che «quadrano fra di loro», cosicché il testo
può agire criticamente o influire positivamente. Pertanto vale la regola:
quanto maggiore è l' analisi, tanto più numerosi sono i punti di contatto a
disposizione.
" Il richiamo al Pneuma serve cioè regolarmente a indicare il puro carattere di dono della com
prensione ermeneutica (applicazione della dottrina della giustificazione), come se appunto ogni
conoscenza fosse frutto dell'opera dello Spirito. Ora non è solo la più recente antropologia a
mostrare che anche la conoscenza è azione e che perciò valgono per la conoscenza le stesse condi
�.ioni che valgono per l' azione. Ciò significa: qui come altrove lo Spirito Santo non escluderebbe
l ' azione umana, bensi la provocherebbe, la fonderebbe e l'accompagnerebbe.
,. Cfr. W. G. JEANROND ( 1986), 146.
" D. TRACY, Blessed Rage for Order. The New Pluralism in Theology, New York 1 975, 71 ss.
" D. Tracy chiama questo il «Working canom> (Analogical lmagination, 264).
56 prima parte
2. L' analisi della situazione non è fine a se stessa (questo sarebbe un pro
cesso infinito), ma viene fatta al cospetto del testo e in ordine ad esso.
Esaminiamo ora quest' ultimo punto per scoprire alcune importanti singo
le questioni in esso racchiuse.
Il problema può essere illustrato dal fatto che sia l' attentato contro Hitler
del 20 luglio 1 944 sia quello contro H. M. Schleyer del 1 977 furono com
piuti da pochi uomini, senza la copertura del consenso della maggioranza e
«solo sulla base di una decisione di coscienza» secondo il modello del tiran
nicidio. In ambedue i casi gli attentatori si consideravano come l' élite a ciò
chiamata, così come i piloti della RAF pensavano di liberare gli uomini dal
la sventura e dalla schiavitù. - Dove sta la differenza? Cosa mancava ai tei:"-'
roristi? La difficoltà della risposta non va minimizzata19• Furono la 'plausibi-
" Infatti: come la penserebbero oggi gli uomini e le donne del 20 luglio, se per caso Hitler aves-
Posizioni importanti della storia della ricerca 57
lità' e una 'grande sensibilità' a mancare ai terroristi e alla loro azione? Qui
non possiamo chiaramente indicare alcun criterio astratto (perché essi sareb
bero indicabili solo a posteriori).
l. La percezione delle situazioni non avviene di fatto 'senza preparazio
ne' , ma presuppone un' educazione alla sensibilità, quale in parte può essere
stata trasmessa nella cornice dell' influsso storico del cristianesimo20• Con
tale educazione sono nello stesso tempo trasmessi anche determinati ideali,
un ethos molto generale, una specie di sensibilità generica per ciò che sareb
be 'propriamente' umano. - La situazione della reazione a un bisogno ele
mentare, descritta da H. Jonas, non esiste perciò di fatto mai dalla parte del
reagente in maniera così pura, bensì esiste tra di noi forse nella cornice di
influssi generali del cristianesimo.
Per la precisione si tratta qui di due punti: uno è il fenomeno del circolo
(influsso della storia e educazione come presupposto, quindi anche norme,
impressioni, elementi che incidono), l' altro è la capacità individuale di impa
rare e la sensibilità attuale (quindi un comportamento personale, non deter
minate 'rappresentazioni' come nel caso del circolo della comprensione).
Nella teologia della liberazione spesso non si vede la formazione imparti
ta in precedenza dall' influsso storico del cristianesimo. Questo fenomeno
viene chiaramente individuato nel modo giusto solo là dove esso comincia a
diventare problematico, come avviene nell 'Europa occidentale.
Importante è in ogni caso il fatto che non la lettura della Scrittura produce
da sola l' applicazione, bensì che l' applicazione presuppone una percezione
sensibile della situazione. Questa specie di percezione potrebbe molto spes
so essere già stata comunicata dal cristianesimo sotto forma di senso di
umanità e di libertà.
Questa specie di 'precomprensione sensibile' non ha affatto bisogno di
essere semplicemente già identica con la 'fede' o con la «decisione in favore
di Gesù Cristo». Si tratta piuttosto di un fenomeno assai diffuso nella comi
ce di una chiesa di popolo. L' importante non è perciò che «il credente pro
clami la parola di Dio» in una situazione, la immetta in essa, ma che il cri
stianesimo faccia sentire, secondo il nostro modello, il proprio influsso mol
to mediatarnente e solo indirettamente. Questa forma di influsso del cristia
nesimo va considerata più da vicino.
se vinto? Una riflessione approfondita è particolarmente necessaria se non vogliamo che sia etica
semplicemente ciò che è in vigore.
'" L'accento cade sul 'può', e questa osservazione non intende fare l' apologia del cristianesimo,
ma evidenziare piuttosto un intreccio di relazioni. Inoltre le percezioni vigili delle situazioni non
necessariamente devono essere trasmesse o provocate cristianamente.
58 prima parte
11
Cfr. al riguardo T. RENDTORFF, Ethik l, Stuttgart 1 980, 65s.
60 prima parte
Spiritualità
Per poter essere vigili e molto sensibili occorre essere stati influenzati dal
cristianesimo e dalla dottrina cristiana, che non alterano la realtà, bensì aiu
tano a vederla. A questo scopo i contenuti della fede e la tradizione cristiana
devono già essere stati così 'elaborati' e 'integrati' da non essere giustappo
sti, bensì da essere diventati una seconda natura. Questo significa vivere cri
stianamente, senza sciorinare in continuazione 'contenuti dottrinali' o 'pie
affermazioni ' . Con ciò intendiamo parlare di tutt' altro che di un' apertura
verso il mondo fine a se stessa, intendiamo parlare di autenticità (e non di
divaricazione tra linguaggio religioso e comportamento quotidiano ad esso
contrario). In Meister Eckhart troviamo molti testi che lasciano già intravve-
Posizioni importanti della storia della ricerca 61
FEMMINISMO
22 Ricordo temi noti come «Dio per amor di Dio>>, o <<Trovare Dio in ogni azione>>, o <<Avere Dio
in tutti i luoghi, per la strada e in tutti gli uomini» (Meister Eckhart), l' invito a liberarsi da immagi
ni e forme, la posizione critica verso la mediazione tramite sacramenti e rappresentazioni, l'abban
dono del rapimento estatico per servire i bisognosi, la concezione della figliolanza verso Dio, in
cui viene eliminato l' atteggiamento di contrapposizione all' altro come ad un estraneo, in termini
moderni :' la differenza soggetto-oggetto.
" L' esperienza monastica può contribuire molto a spiegare questo tipo di spiritualità: comuni
sono infatti il fenomeno della nausea di fronte alla sovraalimentazione mediante frasi, della non
più-interpellabilità, del non-poter-più-ascoltare malgrado una persistente curiosità, il rifiuto di
i stanze mediatric i, la sete di autenticità. Certo : l ' abbandono da parte di Dio (esperienza
dell "assenza di Dio' nell'evo moderno) e l' esperienza della libera figliolanza di Dio (Meister
Eckhart) sono due cose diverse. Tuttavia chissà che il fatto di essere sorretti e di essere protetti non
sia anche oggi sperimentato come il più forte? Del resto i non frequentatori della chiesa hanno
spesso un pizzico di 'identità' in più rispetto alla maggior parte dei teologi.
62 prima parte
L' impegno in una esegesi impegnata è sempre bello, ma i risultati lo sono meno.
Citiamo per questo motivo qui il cosiddetto 'Loccumer Kompromiss' (Compromes
so di Loccum) del 1 995, che ho a suo tempo proposto a D. St>lle , rappresentante
impegnata dell' ermeneutica femminista: «Gentilissima Signora Solle, noi esegeti di
professione abbiamo con la nostra esegesi storico-critica annoiato gli uomini, svuo
tato le chiese e diviso le comunità. E Lei ha, con la sua esegesi prevenuta, annoiato
gli uomini, svuotato le chiese e diviso le comunità. Cerchiamo di integrarci: Lei ci
presta l' impegno e l'entusiasmo delle sue allieve per l'esegesi e la storia della chie
sa antica, e noi prestiamo loro la capacità di distinguere e il desiderio di rendere
giustizia ai testi»24•
Perciò io distinguo due ethos: esiste un ethos dell' esegeta 'di professio
ne ' , ed esiste un ethos del combattente impegnato contro l' ingiustizia nella
chiesa e nella società. I due impegni possono entrare fra loro in conflitto.
Per esempio: dobbiamo, per impegno femminista, dichiarare probabilmente
l Cor 14,34-36 non paolina, oppure dobbiamo lasciare a Paolo quel che è di
Paolo, e lavorare oggi malgrado questo passo per la giustizià? A mio avviso
bisognerebbe per prima cosa render giustizia a Paolo e non cercare di
migliorarlo a posteriori, solo perché egli faccia così bella figura ai nostri
occhi.
L' intenzione del programma qui proposto consiste nel mantenere separati e nel
" K. BERGER, Hermeneutik des Fremden angesichts des Bekannten, in W. GREIVE (ed.), Die Her
meneutik des Bekannten. Neue Zugiinge zur Bibel (Loccumer Protokolle 60/1992), 1 35- 145, 154.
64 prima parte
" Cfr. al riguardo, tra l' altro, anche K. BERGER, Exegese und Philosophie, Stuttgart 1 986, 1 27-
1 76.
II.
SCHEMA DI UN'ERMENEUTICA
DEL NUOVO TESTAMENTO
la che nella Bibbia greca viene resa con verità. Si tratta perciò di ricostruire
la teoria biblica della conoscenza.
Importante è sorprendentemente per tale teoria la questione di quel che
sopravvive. La risposta consiste in un allontanamento dal pluralismo e in un
deciso orientamento al primo comandamento e alle sue conseguenze gno
seologiche. Non la pluralità sopravvive, ma solo l ' identico. Ciò vale per
l' immagine di Dio, per la comunità e per ogni singolo. E appunto per questo
l' unità della chiesa è il criterio. L'unicità di Dio è infatti 'contagiosa' . Il Dio
della Bibbia non conserva la propria identità per sé, ma fa pervenire anche
altri alla loro identità, anziché lasciare che essi si disperdano nella pluralità.
Egli non rimane l ' uno dietro i popoli, ma raduna gli uomini in una unità
(popolo di Dio) e dà la possibilità ad ogni singolo di divenire identico con se
stesso.
Per il fatto che il concetto di verità è così spogliato del suo nembo gno
seologico, la questione pratica balza in primo piano rispetto a quella gnoseo
logica. La verità va in continuazione stabilita in maniera applicativa.
Verità genuina
gia su singoli fatti, bensì in certo qual modo per definizione su una catena
coerente di interventi di Dio, appunto sulla sua costante fedeltà. Questo
distintivo della fede biblica salvaguarda da un deleterio isolamento di singo
li dati nel senso di «mangia questa minestra o salta dalla finestra» .
Dalla descritta 'vera' relazione vitale viene ora derivata la verità dogmati
ca, e precisamente come tentativo di comprendere anche teoreticamente
questo rapporto del discepolato, per cui esiste poi una interazione tra teoria
e prassi. La comprensione teoretica della verità avviene in due modi: sotto
forma di regola di vita (morale) e sotto forma di confessione o professione
di fede.
Tale comprensione teoretica e tale formulazione verbale sono necessarie,
perché il linguaggio (e i segni in generale) sono una parte costitutiva essen
ziale della comunità umana. Il rapporto tra la chiesa e la verità teoretica va
pensato in questo modo: la chiesa riflette su ciò di cui vive. Ma poiché la
vita è - ancora una volta per definizione - radicalmente storica, anche la
verità teoretica avrà per contenuto, accanto ad elementi che collegano con
il passato, sempre anche elementi estremamente attuali . I primi elementi io
li individuo piuttosto nella confessione, i secondi piuttosto nella morale. È
utile e, a mio giudizio, anche onesto partire nel caso della verità teoretica
da un consenso e da una universalità limitata. Ciò è necessario già per il
fatto di non far insorgere l ' illusione che non Dio, bensì la dogmatica sia
eterna e che l' eternità nel senso della Bibbia significhi rigida immobilità.
La vita eterna è piuttosto la vitalità del Dio vivo. La vita eterna dei cristiani
significa perciò che il loro nome, il loro mistero più intimo permane, per
ché essi poggiano sulla fede in Dio. - Una delle conseguenze è anche una
priorità della comunione dell ' amore - da Roma già da sempre praticata nei
rapporti con le chiese orientali uniate - (e rispettivamente una priorità della
comunione con Roma) rispetto alla stretta identità della confessione. La
teologia dogmatica e la professione di fede non diventano perciò in questa
visuale superflue, però sono concepite e concepibili come entità derivate
rispetto alla vita della chiesa e, quindi, strettamente come funzioni 'eccle
siali' .
Per ' verità derivata' intendiamo nelle pagine che seguono la verità
dell' applicazione, non la verità filologica dell' esegesi. Nel caso dell' esegesi
il 'vero' e il 'falso' possono essere filologicamente o storicamente verificati.
Nel caso della verità applicativa si tratta di qualcosa di più complicato. Essa
68 seconda parte
Dobbiamo ora esaminare fino a che punto non possiamo sostenere uno
storicismo coerente nei confronti della verità dottrinale derivata. Natural
mente proprio il fatto che si tratta solo di una verità derivata impedisce una
dissoluzione totale in un puro individualismo. Non si tratta di dissolvere
totalmente la storia nella chiesa, bensì di prenderla seriamente.- Non si tratta
perciò della mia verità, ma di 'universalità limitate ' . Pure il radicamento
sociale della verità impedisce questa dissoluzione. L'intenzione di 'stare in
collegamento' , attraverso l' autore biblico, con Gesù è il motivo della limita
zione della libertà dell' applicazione . Pure il fenomeno della «comunità
interpretativa» , proposto da St. Fish ( 1 980), ha lo scopo di impedire sia
interpretazioni oggettivistiche sia interpretazioni puramente soggettive.
Sotto il profilo strettamente filologico una riesumazione del senso origi
nario della Scrittura nell' applicazione è impossibile. Il senso risulta infatti
dalla relazione tra segno e situazione, situazione che è però rigorosamente
unica e irripetibile. Ciò significa per ogni applicazione la possibilità, anzi la
necessità di un fraintendimento produttivo del testo. Precisamente in questo
senso Cl. Boff dice che il testo è una fonte del senso e non una cisterna1 • -
Dobbiamo parlare di fraintendimento, perché ogni riferimento del testo a
una situazione, per la quale esso non era stato pensato, fa in misura più o
meno grande violenza a quel che esso intendeva dire.
Singoli aspetti
' Cfr. in modo analogo anche la questione della necessità di sistemi storici universali, come quello
proposto da F. C. Baur, in K. BERGER ( 1 986), 48: «Per superare il positivismo è realmente possibile e
necessario un progetto universale? Il problema dell'isolamento può essere risolto soltanto con la con
cezione di una totalità storica universale orizzontale? Oppure non risolviamo meglio e più onesta
mente l'isolamento comprendendo e penetrando la profondità della situazione?». - Con questo non
intendo dire che bisogna contrapporre una cosa all'altra (ambedue le cose sono sicuramente sempre
in qualche modo necessarie), bensi che al posto della totalità universale subentra l'universalità limita
ta. Precisamente essa diventa visibile nella «profondità della situazione>>.
4 ST. FisH, ls there a text in this class ? The authority of interpretative communities, Cambridge
(Mass.) - London 1 980 [trad. it., C'è un testo in questa classe ? L 'interpretazione nella critica let
teraria e nell 'insegnamento, Einaudi, Torino 1 987].
' W. G. JEANROND ( 1986), l l l s., obietta a Fish che la sua proposta escluderebbe la possibilità
della critica. Ma che cosa impedisce di criticare le convenzioni sociali preesistenti al testo? E
anche la necessaria armonizzazione degli interessi all' interno della comunità dei lettori non inclu
de forse la critica? Occorre pure domandarsi se un testo non possegga di per sé un potenziale criti
co. Qui si tratta infatti di stabilire i principi e gli accordi comuni a proposito del comportamento
verso il testo nella comunità concreta dei lettori. Inoltre nulla vieta di supporre che, lungo i secoli,
siano esistite, accanto a forme relativamente compatte di tali comunità, anche forme meno compat
te.
70 seconda parte
" J. MIGUEZ-BONINO, Theologie im Kontext der Befreiung, Gottingen 1 977, 80s. - Cfr. anche
CL. BoFF ( 1 983), 229, il quale parte naturalmente dalla posizione fondata da Gadamer e Ricoeur,
secondo la quale il senso di un testo non sarebbe stabilito, ma si realizzarebbe soltanto mediante la
risposta ad esso data nella vita concreta. In questo modo la dialettica tra libertà e legame scompare
qui di vista.
12
Cfr. J. ROTHERMUND ( 1 984), 80 (qualsiasi testo si adatterebbe a qualsiasi situazione, l' impor
tante nella situazione del momento sarebbe soltanto quel che essa avrebbe in comune con tutte le
altre situazioni).
72 seconda parte
Identità
Nel grosso volume di raccolta di saggi della collana Poetik und Herme
neutik (VIII) O. Marquard definisce giustamente l' identità come la «grande
superstite della storia della filosofia» 19. L' identità sarebbe sempre più pensa
ta come l' identità di gruppi, «perché gli uomini sono costretti - sopratutto
adesso - a collegare l'identità universale con l' identità particolare nel tenta
tivo di esser in qualche modo 'appartenenti' e in qualche modo 'ininter-
scambiabili' : in qualche modo»20. Inoltre l' identità ha a che fare per due
motivi con la storia: da un lato si tratta in effetti dell' ininterscambiabilità nel
corso del tempo21 , e dall' altra parte esiste un' identità personale «nel punto di
incrocio tra corpo, coscienza e società» . L' identità non si sviluppa dall' inter
no verso l' esterno, ma dall' esterno verso l' interno. L' uomo infatti non si
sperimenta direttamente, bensì solo tramite altri uomini, che con il loro cor
po sono dati direttamente e che gli impongono delle responsabilità22. - Nella
cornice dell' ermeneutica qui proposta l' identità è un concetto chiave.
l . L' identità nel senso di ininterscambiabilità acquisita non può essere
'eliminata' o ignorata da alcun tipo di universalità. Diversamente da H. G.
Gadamer, non penso che la verità trovi posto solo e sempre in seno a una
universalità superiore, per la quale l' individualità -sarebbe piuttosto di osta-
'
colo23.
2. Il valore posizionate dell' identità individuale nell' atto del conoscere è
di regola sottovalutato: già secondo l' interpretazione volgare di Schleierma
cher si rinuncia superficialmente all ' identità nell i:atto del conoscere, dal
momento che, grosso modo, si dice che il so g g'etto della comprensione
dovrebbe identificarsi con la cosa da comprendere fino al punto di rinuncia
re a se stesso24. Qui, per amore di una migliore comprensione, si perde il let
tore come soggetto. E anche H. G. Gadamer si preoccupa sempre, nel caso
della comprensione, della cosa secondo il modello del colloquio degli esa
mi. Ma il colloquio degli esami è un modello per i colloqui umani? Non si
tratta molto più spesso, e precisamente anche in verifiche moderne, del fatto
che uno deve imparare a conoscere l' altro? Non risulta proprio qui come il
discorso della verità universale e atemporale e di altre simili costanti antro
pologiche si occupi troppo velocemente dell ' universale, senza farsi carico
della fatica dello studio del particolare? Infatti tra un rapido passaggio
all 'universale e l' esercizio di un discutibile potere esistono forse delle con
nessionF5.
20
O. MARQUARD, op. cit. , 362.
21
Cfr. al riguardo D. HEINRICH ( 1 979), 1 8 1 .
22
Cfr. TH. LucKMANN ( 1 979), 297.299. Cfr. al riguardo il concetto biblico di corpo, secondo il
quale il corpo è primariamente un organo di contatto nella convivenza sociale.
23 Per H. G. GADAMER ( 1 975) la comprensione della verità consiste essenzialmente nell' assimila
re una cultura quale contesto complessivo e universale, mentre l'individuale possiamo secondo lui
tutt' al più 'spiegarcelo'.
24 Cfr. al riguardo M . FRANK ( 1 985), 3 1 4s. e, sulla questione, qui p. 9 1 .
" Il livellamento dei 'sudditi' h a infatti sempre facilitato l' esercizio del potere, e l a stessa fun
zione ha la catalogazione in base a leggi psicologiche. Il compito dello storico non consiste in pri-
76 seconda parte
mo luogo nel coltivare una scienza regolatrice di questo tipo, bensì soprattutto nel rilevare il singo
lo tipo (e la sua biografia individuale).
26
La mancanza spesso 'tipicamente' protestante del senso per la storia ha comunque il suo cor
relato positivo nella capacità di cogliere e di amare l ' immediatamente dato; ciò però corrisponde
sostanzialmente a una dottrina della giustificazione interpretata in modo assai individualistico e,
inoltre, anche alla posizione della comunicazione diretta della salvezza. La storia della chiesa è qui
sperimentata soprattutto come la storia del fallimento e come ciò che va deposto e che ci separa da
Gesù. La storia appare come un peso e come un qualcosa di inquietante (parallelamente a ciò si
spiega lo scarso favore di cui la disciplina della storia della chiesa gode nell'insegnamento della
religione e nello studio della teologia). Questa valutazione della storia viene fatta anche a spese del
rapporto con l'Antico Testamento e con il giudaismo. Il rapporto con essi dipende infatti diretta
mente dall'importanza della dimensione 'storia' per il pensiero teologico in generale. Particolar
mente chiaro ciò diventa nella valutazione di queste entità data dalla scuola di Bultmann (storia del
fallimento e, rispettivamente, indifferenziazione della storia ebraica della salvezza e della storia
deli' elezione), secondo la quale il cristianesimo è la «fine della storia». Contro di ciò prendiamo
posizione in quel che segue.
Schema di un 'ermeneutica del Nuovo Testamento 77
all ' uomo nulla a cui la ragione umana, lasciata a se stessa, sarebbe pervenu
ta, ma ha dato e dà agli uomini soltanto in modo più veloce le più importanti
di queste cose. Gesù Cristo, essendo il maestro divino, il «miglior pedago
go», si rende superfluo educando a pensare da se stessi . Le verità religiose
da lui comunicate vanno perciò tradotte in «verità razionali», se vogliamo
con esse aiutare il genere umano (§ 76). In questa luce possiamo vedere
anche un' affermazione di R. Bultmann sul rapporto tra rivelazione e filoso
fia:
Il confronto religioso fra le tre religioni abramitiche non perviene ad una soluzio
ne apologeticamente descrivibile . . . «Sotto il profilo logico soltanto una delle tre
potrebbe essere vera. Questo è il problema. Si tratta di un problema molto serio.
Perché proprio qui, dove si tratterebbe realmente della verità, questa non può essere
78 seconda parte
dimostrata. Ma questo è fatale: nel caso della questione della verità più profonda e
autentica fallisce il principio elementare che la verità può essere soltanto una. La
ragione capitola di fronte al suo compito ultimo e più alto, non riesce a distinguere.
Lessing tira di qui questa conclusione: dove la ragione e la sua esigenza di chiarez
za sono evidentemente impotenti, lì ci devono essere altri criteri: mitezza, tolleran
za . . . , amore». Ma: «<n Lessing la verità non è concepita in modo troppo dottrinario?
Lessing dà l'impressione di meravigliarsi per il fatto che le tre religioni non diano
alcuna risposta al problema della verità da lui posto ... Occorre soltanto chiarire se la
questione sia posta nel senso della verità aristotelica ignorando la Bibbia. La Bibbia
ha . . . un' altra concezione della verità, una concezione che non può essere confutata
o confermata con la ragione e con l'esperimento. E diversamente da come la pensa
va Lessing, non è logicamente neppure possibile dare una risposta morale, o irrazio
nale o puramente escatologica» (K. BERGER, lst Christsein der einzige Weg ?, Stutt
gart 1997, 1 92s.).
dello Spirito Santo, e precisamente nello stile della preghiera. I tre articoli
cominciano infatti ogni volta con il nome e poi raccontano quel che il porta
tore del nome ha fatto. Questo è prec isamente lo stile della preghiera
(«Signore, che hai fatto . . . »). Concepire questi formulari delle professioni di
fede in modo diverso, cioè come dogmatiche brevi, equivarrebbe chiara
mente a chiedere troppo a qualsiasi immaginabile intelletto umano. Le pro
fessioni di fede non sono un discorso dogmatico su Dio, ma sono una com
pitazione dei suoi atti sotto forma di lode a lui indirizzata. Di più noi non
possiamo veramente fare.
CAMBIAMENTO DI PARADIGMI
mi hanno una storia, arricchito della posizione sobria dello storicismo e filo
soficamente consolidato dai frutti gnoseologici della fisica teoretica del
secolo xx, porta di fatto a una attesa riscoperta di rappresentazioni bibliche
dell' 'ermeneutica' nel senso della felice trasposizione (applicazione, inter
pretazione) del messaggio.
Di conseguenza la concezione della verità e dell' ermeneutica qui propo
sta significa una chiara presa di distanza dallo sviluppo della filosofia occi
dentale della riflessione da Descartes in poi.
Per Descartes stava in primo piano soprattutto la questione della certitu
do. Dal 1 7 1 9 in poi si parla quindi anche in Germania di «certezza della
fede» (rispetto al dubbio, alla mancanza di fede ecc .). Se uno raggiungeva
tale certezza con il pensiero, allora la fede era il modo migliore di pensare.
La Bibbia è invece troppo estroversa per permettere ai cristiani di trovare la
pace nella certezza via via riflessa del singolo credente. lo trovo il mio
sostegno nella controparte (Dio), non nella certezza, riflessivamente acquisi
ta, della mia fede.
28
Cfr. M. FRANK, op. cit. , 1 1 1 . 1 5 1 s.
29 W. NETHQFEL ( 1 987), 2 1 1 .
30 M . FRANK ( 1 977), 50: la «rottura con il narcisismo della relazione con se stesso>> sarebbe stata
" Cito con gratitudine TH. SUNDERMEIER, Nur gemeinsam konnen wir leben. Das Menschenbild
schwarzafrikanischer Religionen, Giitersloh 1 988. Quanto vi viene esposto è molto più vicino al
pensiero biblico che non la tradizione filosofica del secolo XIX. - In modo simile quanto all'inten
zione: K. BERGER, Historische Psychologie des Neuen Testaments (SBS 146/147), Stuttgart 1 995'
[trad. it., Psicologia storica del Nuovo Testamento, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1 994] .
84 seconda parte
POSIZIONI CRITICHE
Husserliani di sinistra
Sospetto di ideologia
INDIVIDUALITÀ
Quando M. Frank afferma: «Il potere e l' irriducibilità dell' individuo sono
solo l' altra faccia della trascendenza dell ' essere rispetto al senso»38, ciò
significa: noi non possediamo noi stessi, il nostro essere così come quello
dell' altro rimangono trascendenti rispetto alla nostra autoconoscenza39• Esi
ste perciò una stretta connessione fra la tradizionale filosofia della riflessio
ne e la perdita della dimensione della soggettività individuale. Ma il fonda
mento del rimanere-trascendente-a-se-stessi già dell' individuo sta - così la
vedono pure Merleau-Ponty e Ricoeur - nella corporeità dell' uomo: solo un
individuo è capace di soffrire. La conformità ha sempre significato la capa
cità di evitare la sofferenza. La percezione della sofferenza e del bisogno,
l' importanza dell' individualità e la critica della filosofia della riflessione
sono strettamente collegate fra di loro.
Il conflitto tra potere e essere vivo non è solo e non è in primo luogo un
fenomeno culturale storico, bensì un fenomeno fisicamente sperimentato.
Nel conflitto tra potere e essere vivo la corporeità dell 'uomo è una specie di
spalla e di criterio. Mentre gli uomini sono fuorviabili nella loro argomenta
zione razionale, il corpo fornisce una evidenza non ignorabile della soffe-
renza nel caso dell' uso fisico e psichico della violenza e nel caso di ogni
forma di tortura e di dolore. Così nella vita quotidiana la situazione di un
uomo diventa spesso riconoscibile in primo luogo in base alla sua sessua
lità. Ma anche in linea del tutto generale possiamo dire: il corpo deve 'sconta
re' tutto questo. La morte è in tutte le sue forme lo stipendio dell' ingiustizia.
Rom 7,24 formula l' evidenza delle conseguenze del 'peccato' e dell' ingiusti
zia con grande accortezza proprio in rapporto al corpo dell'uomo.
Si tratta dell' evidenza dell� violenza esercitata sul singolo da qualsiasi
sistema che è 'al potere' . Si tratta dell' evidenza della sofferenza dell'uomo
provocata dall' ingiustizia esistente tra gli uomini, una situazione questa in
cui più si guardano le cose a fondo e più la questione della colpevolezza o
dell' innocenza passa in secondo piano.
A differenza della scuola della sinistra husserliana noi non vediamo per
ciò come punto evidente di partenza la corporeità dell'uomo 'in sé' , bensì la
«corporeità nel conflitto» quale luogo dove si svolge il conflitto tra potere e
essere vivo. Il conflitto tra potere e essere vivo è pertanto un conflitto intra
storico e quindi anche un conflitto politico, perché esso si accompagna alla
questione della responsabilità nella storia e della giustizia.
Proprio le concezioni ermeneutiche 'progressiste' del secolo XIX (D. F.
Strauss) e della prima metà del secolo .xx (R. Bultmann) si sono finora distin
te per una coerente svalutazione della fattualità. Ciò si manifesta in modo
particolare nella questione della storicità dei racconti di miracoli. La conce
zione che qui proponiamo va piuttosto in direzione opposta e su questo punto
non si concepisce più in modo idealistico, bensì come già reperibile alla fine
dell'illuminismo. Infatti tutto lo storico appare qui in linea di principio come
importante per la fede (anche se sicuramente non nel senso di una fondazione
causale). E la fede non è diretta all' universale rispetto al particolare trascura
bile. La fede non va in questo senso paragonata alla conoscenza astraente, e
di conseguenza qui anche la verità è concepita in modo diverso.
Questa valutazione radicalmente diversa della relazione tra fede, cono
scenza, verità e individualità è strettamente collegata al mutato valore posi
zionale della dimensione storia. Diversamente dalla filosofia idealistica non
facciamo qui il tentativo di abbordare il cristianesimo vedendo in esso un
complesso di idee idealisticamente concepite come la vera dottrina, ma cer
chiamo piuttosto di affrontare la dimensione della storia. Per giustificare
questo cambiamento di prospettiva gravido di conseguenze dovremmo qui
menzionare tutto ciò che abbiamo già obiettato alla posizione idealistica di
H . G. Gadamer e ciò che già J. Habermas ha in parte detto al riguardo. Que
sto interesse per la concretizzazione storica ha come conseguenza anche una
diversa posizione ermeneutica dell' etica.
88 seconda parte
fica e con un modo di affrontare il testo storico che ne metta in luce la ric
chezza. Per 'ricchezza' io intendo tutto ciò che può venire in aiuto della
nostra indigenza, che è abbastanza spesso condizionata da paraocchi. Quali
esempi menzioniamo le prospettive future e le 'visioni' del futuro che i testi
apocalittici possono trasmettere. L'esperienza mostra che l' ermeneutica qui
proposta sembra essere in ogni caso particolarmente adatta a evidenziare
questi tesori, mentre altre ermeneutiche non suscitano neppure la curiosità a
loro riguardo.
Il principio dell' ermeneutica dell'estraneità deriva da F. D. E. Schleier
macher, il quale parte dal fatto che la non comprensione dell' altro è il caso
normale, per cui il criterio di verità di volta in volta chiamato in causa
diventa indissolubile «dall' autointelligenza di individui che tale criterio con
dividono»4 1 . Perciò, per pervenire alla ' verità' , rimane solo la via della
comunicazione ermeneutica. La ragione non è infatti universale e metatem
porale, bensì esiste solo nella concretizzazione storica42. L' ipotesi che un
testo sia estraneo è perciò un' esigenza del rispetto dovuto alla peculiarità
dell' autore. Chi . vuole rendergli giustizia deve autocriticamente partire dal
fatto che forse lo ha frainteso e dovrebbe perciò cercare di eliminare i possi
bili fraintendimenti mediante un costante controllo esercitato attraverso lo
studio del contesto.
43 Ho fatto questo tentativo in Historische Psychologie des Neuen Testaments (SBS 1 46/ 147),
Stuttgart 1 9953 [trad. it., Psicologia storica del Nuovo Testamento, Edizioni San Paolo, Cinisello
Balsamo 1 994] .
Schema di un 'ermeneutica del Nuovo Testamento 91
a) da una lunga e sottile serie di influssi storici, che ha prodotto numerose nuove
interpretazioni;
b) da molteplici nuove inculturazioni del messaggio collegate a cangianti interes
si.
A questo proposito dobbiamo osservare che non esiste una cultura cristiana uni
taria e che lo stesso cristianesimo è sempre e solo esistito in una forma multicultura
le. Potremmo chiamare questo fatto anche sincretismo religioso. Il tentativo di indi
viduare un 'vangelo puro' indipendente dalla cultura è un pio desiderio di umanisti
del secolo XVI formati alla scuola della filologia classica. La sostanza di ogni 'mis
sione' consiste nel tentare una nuova inculturazione e nel non stabilire ansiosamen
te a priori (a casa) fino a che punto è possibile 'andare' . Il necessario risulta dalla
convivenza tra messaggeri della fede e destinatari. Una convivenza ben riuscita è
sicuramente già sempre di per sé un criterio. Per convivenza intendo un vivere
insieme di uomini diversi, vivere che nella chiesa assume la sua forma più concreta
nel convivium (convivio).
c) da un crescente estraniamento nei confronti della situazione originaria del
testo.
Ciò vieta un' applicazione legalistica della Scrittura e un' obbedienza lettera
le priva di senso. La libertà storica è il problema e, nello stesso tempo, la
possibilità.
7. Occorre domandarsi: che ruolo dovette e deve propriamente svolgere il
canone? Sarebbe chiaramente cosa contraria alla sostanza della libertà cri
stiana, se il libro dovesse rappresentare l' unica fonte per tutte le questioni
del mondo. Per libertà cristiana intendo il fatto che i cristiani possono essere
liberi di riconoscere in una data situazione la 'volontà di Dio ' , perché essi
sono 'vigili' , 'sensibili' e guidati dall' amore. Dall' altro lato bisogna mettere
in risalto la particolare validità della Scrittura. Essa va difesa sino al limite
del possibile, un lavoro questo che io chiamo 'lealtà' (vedi più avanti il
capitolo «Lealtà e libertà»).
non lasciarlo stare nella sua estraneità. Tuttavia una presentazione di testi
biblici non serve a nulla se essa si esaurisce in uno sfoggio di erudizione.
L' aureola museale, per esempio, del 'dizionario teologico' è frutto di una
estraneità non compresa. Comprendiamo l'estraneità se riusciamo a presen
tarla in maniera attraente, tale da farle significare quel che all' uditore del
messaggio manca, qualora il messaggio sia l' altro pertinente. - Ciò avviene
per esempio per il fatto che i testi biblici possono influire svolgendo il ruolo
di immagini o modelli.
Due sono soprattutto le conseguenze da trarre nella cornice del nostro
schema di un' ermeneutica a partire dali' estraneità:
l . Un «metodo e una verifica rispettosi» nei confronti di tutti i testi 'miti
ci' o ' soprannaturali' . Non può essere compito dell'esegesi criticare questi
testi e la loro concezione della realtà, bensì l' esegesi deve piuttosto lasciarli
stare come testimonianze a noi estranee di un' 'altra' fede e far porre da essi
in discussione noi e la nostra percezione.
2. L' esegesi va distinta dall' applicazione: si tratta perlomeno di due fasi
di lavoro. Se l' esegesi serve al tentativo di una ricostruzione storica - senza
saccenteria -, l' applicazione serve al tentativo di trovare delle teste di ponte
verso il presente. In questa operazione il testo biblico rimane. Il testo da
applicare compare accanto ad esso, ma certamente non al di sopra di esso.
CONSEGUENZE
44 Cfr. al riguardo le importanti osservazioni fatte da T. KocH ( 1 984), 3 1 5s.: «(2) L' argomento
della proiezione (cioè in cristologia) viene confutato soltanto se, in un primo momento, si delinea
il passato nella sua precisa peculiarità esclusivamente come ciò che è antiquato, tipico, estraneo e
lontano, quindi soltanto se si prende coscienza e si rispetta la distanza di Gesù da noi: le convin
zioni e le esperienze di Gesù non possono più essere direttamente le nostre. (3) La teologia ... fa
spazio a un libero rapporto con il Gesù storico, rispettando la libera formazione della coscienza e
la conoscenza sempre individuale . .. (4) ... Solo un Gesù presentemente non sequestrabile può incar
nare una provocazione e una critica nei confronti della coscienza attuale... (5) Questa relazione
attuale, costituita mediante l ' intenzione universale attuale della verità, con l' alterità estranea di
Gesù ci stimola precisamente a cercare di fare qualcosa di nostro nella teoria e nella prassi... (8) Le
Schema di un 'ermeneutica del Nuovo Testamento 95
10. L'estraneo può agire soltanto come l' altro pertinente. Ciò che è in tut
to e per tutto estraneo non potrebbe infatti essere colto e compreso. L' effetto
più grande si ha lì dove si enuncia proprio la cosa limitrofa a quella abituale.
1 1 . Il canone serve a escludere una nuova rivelazione nel senso di una
rivelazione direttamente vincolante. Si può acquisire qualcosa di nuovo solo
alla luce della Scrittura, alla luce del testo più antico e abituale. I testi biblici
hanno infatti una loro propria insondabilità e furono spesso poco compresi e
insufficientemente recepiti. Questo non significa che il canone dovrebbe
essere la fonte di qualsiasi esperienza, ma significa solo che le esperienze
dovrebbero lasciarsi chiarire, criticare e articolare alla sua luce e «davanti ad
esso» . Che il nuovo assuma realmente forma in modo fruttuoso è soprattutto
una questione di linguaggio.
12. L'esegesi ha una grande importanza per la nuova esperienza del testo
antico. Infatti un testo divenuto muto non ha più nulla da dire. Qui sta inve
ce il 'fallimento storico' dell' esegesi: essa avrebbe dovuto dischiudere la
ricchezza della Scrittura e ha invece prodotto ossari di erudizione.
FEDE E ESEGESI
L' esegesi è possibile senza la fede? Io penso di sì, però non senza amore
per il testo e non senza rispetto per il suo autore. E a mio giudizio non biso
gnerebbe interrogarsi solo sulla fede come presupposto dell' esegesi, bensì
anche sulle conseguenze dell' esegesi per la fede.
Secondo Gadamer e molti altri (per es., U. Luz 1 982, 50 1 ) all' inizio c'è la
relazione con la cosa del testo, relazione in cui uno come lettore già da sem
pre si troverebbe. A me sembra che qui venga applicato all' ermeneutica il
modello pietistico fondamentale di J.J. Rambach, a cui Gadamer ( 1 975,
292ss. [trad. it. , 358ss.]) e U. Luz ( 1 982, 50 1 ) si richiamano: come la reli
giosità (fede) non sussiste senza la prassi, così la conoscenza non sussiste
senza partecipazione alla sofferenza di altri e senza amore del prossimo.
cristologie sono sotto questi punti di vista giustificate come prese di posizione rispondenti
al l ' autointesa cristiana di volta in volta attuale>>.
96 seconda pane
( 1 984) . Poi però questo autore parte dal presupposto che il lettore dovrebbe
lasciarsi correggere dalla 'cosa' , dalla parola di Dio. Questo, per quanto
giusto possa essere sotto l' aspetto della 'metdnoia' , non è un possibile pun
to di partenza per un' esegesi e un' applicazione responsabili e effettuabili
secondo precisi criteri, perché l ' estraneità non può essere contenutistica
mente riempita già prima dell' incontro con lo stesso testo; con la fissazione
sulla 'cosa' e sulla 'parola di Dio ' sarebbe infatti già dato in partenza quel
che deve invece venire alla luce nel corso di questo tipo di incontro con la
Scrittura.
3 . Una funzione importante per la rottura e l ' interruzione del circolo ha
la comunità dei ricercatori che rivaleggiano e disputano fra di loro. Infatti
mediante il contatto con essi si può esser costretti a uscire dal proprio cir
colo. Ciò significa ancora una volta non liberazione dalla circolarità della
comprensione, bensì la possibilità di prender atto di altri circoli, cosicché
nella comunità dei disputanti la molteplicità dei circoli che si toccano e
che anche si interrompono può essere un aiuto contro una rigida persisten
za. E in questo modo si raggiunge un traguardo decisivo: la circolarità non
solo sussiste, bensì se ne prende anche coscienza; con questo essa non vie
ne naturalmente superata, però viene indotta ad essere tollerante e mode
sta.
4. Il cambiamento e la rottura della precomprensione non sono - come ha
visto bene Heidegger - in prima linea una questione dell' intervento domi
nativo e disponente dell' uomo. Però, a differenza di quanto affenna Gada
mer, essi non possono consistere solo in una fusione anonimamente verifi
cantesi di orizzonti o addirittura in un inserimento in un processo della tra
dizione.
L' innovazione della precomprensione avviene piuttosto spesso mediante
catastrofi e in 'catastrofi' biografiche. Si tratta piuttosto di un processo fatto
di cose subite, di conduzione o di spinte da parte di altri o di altro. Chi è
così costretto a cambiare, è stato in gran parte involontariamente spinto in
vicoli ciechi e nel bisogno personale. Il fatto di cadere involontariamente in
aporie, che coinvolgono personalmente, è forse sempre una fortuna per lo
studente di teologia nel suo rapporto con coloro che lo spingono e lo stimo
lano. Ma questi processi - c'è sempre da rammaricarsi quando essi vengono
risparmiati a qualcuno - avvengono in mezzo a contraddizioni e lotte, in
modo simile a come avvengono anche altri processi biografici di distacco e
di cambiamento. Perciò difficilmente possiamo programmare la rottura di
un pregiudizio. Soprattutto tale rottura avviene in un processo doloroso.
Quando infatti vengono distrutte delle rappresentazioni compatte, ciò avvie
ne quasi sempre in mezzo a proteste. Il fatto che qui non vengano taciute
Schema di un 'ermeneutica del Nuovo Testamento 99
aporie e che proprio la percezione del dolore conduca alla ' verità' corri
sponde al principio fondamentale di questa ermeneutica.
La storia dell' esegesi storico-critica mostra infine che i critici più fecondi,
che più di ogni altro contribuirono al cambiamento di vecchi pregiudizi
(come ad es. D. F. Strauss o F. Overbeck), furono persone operanti ai margi
ni, che pagarono l' apertura del sistema con un' esistenza in ogni caso infeli
ce sotto il profilo accademico. Così, ad esempio, D.F. Strauss, nominato nel
1 839 professore di teologia a Zurigo, fu mandato in pensione prima che
prendesse possesso della cattedra e ricevette annualmente mille franchi «per
stare zitto». Non i dotti enciclopedici, pronti a ogni accordo, poterono fun
gere da stimolo, bensì solo coloro che erano a loro modo persone unilateral
mente 'inattuali ' e che proprio così riuscirono ad anticipare e ad avviare
future possibilità. In questi personaggi della storia dell' esegesi quel che
sopra abbiamo chiamato la catastrofe biografica produttiva diventa via via
tangibile anche in un' esistenza da ricercatore nel suo complesso.
5. L' eliminazione della precedente opinione preconcetta non avviene
mediante una rimozione o una volontà di dimenticare le vecchie possibilità
e forze di comprensione, bensì mediante una loro altissima sollecitazione.
La capacità del dubbio metodico - di questa antica istituzione qui si tratta -
presuppone coraggio, fantasia e competenza. Essa significa esercizio
dell' antiinteresse contrastante con il proprio interesse, nel tentativo di fare
spazio proprio a ciò che appare assurdo. - Soprattutto si tratta della temera
rietà di non tener conto del proprio interesse sempre dominante. D' impor
tanza decisiva non è qui tanto il risultato (non è possibile raggiungere 'la'
verità), quanto piuttosto fondamentalmente l' atteggiamento. Non stupisce
perciò che lo scienziato competente si distingua per il proprio atteggiamento
verso la scienza e la conoscenza in misura perlomeno uguale a quella con
cui si distingue per il suo sapere specialistico concreto45•
Questa osservazione è d' importanza metodica fondamentale: nessuno
dubita che esista un circolo della comprensione. Questa conoscenza non è in
discussione. D ' importanza decisiva è però quel che di essa si fa, e sembra
che la teologia corra come nessun' altra scienza il pericolo di fare dell' affer
mazione filosofica 'è' (ogni comprensione è circolare) una regola del com
portamento. In questo modo però la conoscenza del circolo della compren
sione si colloca di colpo su un nuovo piano, sul quale serve soltanto a fon
dare e a prescrivere l'impermeabilità di un dogmatismo di destra o di sini
stra46. Di continuo facciamo l ' esperienza che il circolo serve perciò nella
alla fine lascia sussistere solo la preghiera o la meditazione (nella corrente 'di sinistra ' : la prassi
rivoluzionaria) come comportamento adeguato all'oggetto. Questi infatti sono poi metodi 'conna
turali' .
Sche11U1 di un 'ermeneutica del Nuovo Testamento 101
Ma dall' altra parte dobbiamo dire che l' esegesi storico-critica, perlomeno
nella forma in cui io la pratico, è un metodo di ricerca molto rispettoso. I
testi non vengono affatto posti sotto tutela, e la percezione non consiste nel
la riduzione. Fare esegesi non significa giudicare i testi e ridurli a formule
dottrinali vuote, bensì significa lasciar valere l'estraneo con amore e far
arricchire la nostra povertà dalla ricchezza di queste esperienze, e non, vice
versa, fare della nostra povertà il criterio di giudizio. Se la via qui rifiutata si
possa chiamare la via dei «criteri solo secolari, scientifici» è cosa che lascia
mo in sospeso.
47 K. BARTH, Der Romerbrief, Zurigo 1 922', XI [trad. it., La lettera ai Romani, Feltrinelli, Mila
no] : «Come persona che comprende devo spingermi sino al punto in cui mi trovo quasi solo di
fronte all'enigma della cosa, quasi non più di fronte all'enigma del documento in quanto tale, sino
al punto quindi in cui quasi dimentico di non essere l' autore, sino al punto in cui ho quasi compre
so l'autore così bene da farlo parlare in mio nome e da poter parlare in nome suo>>.
48 Dovremmo riflettere e domandarci se l' accentuazione della 'cosa' e del contatto precorritore
con la cosa non contrasti addirittura con la concezione della Scrittura quale norma critica. Qui
l' importanza della fede e del rapporto diretto non si è per caso autonomizzata?
Schema di un 'ermeneutica del Nuovo Testamento 1 03
l' incontro con l' esegesi mette in crisi la fede. E ciò non avviene perché
l' esegesi negherebbe Dio, sarebbe atea o praticherebbe con la «ragione pec
catrice» una critica oggettiva della Scrittura, bensì semplicemente perché,
accanto al modo religioso abituale di considerare la Scrittura, ne compari
rebbe un altro che non rimane senza conseguenze per il modo religioso. E
queste conseguenze subentrano quando l' esegesi non si limita a informare,
ma va in senso contrario alla direzione della percezione religiosa della Scrit
tura, cioè quando essa, anziché comunicare un' esperienza sensibile capace
di fondare l' unità, mostra soprattutto che nel documento centrale della fede
esistono delle diversità (quattro vangeli; diverse teologie; prove scritturisti
che prob�ematiche sia nel Nuovo Testamento che nella storia dei dogmi;
relativizzazione del canone; tensioni tra Paolo e Lutero, tra autorità religiose
in genere ecc.). Questa crisi significa perciò per lo studente di esegesi una
crisi di identità, perché il suo interesse religioso personale di partenza è
disturbato dall' incontro diretto con la Scrittura. Anziché una conferma egli
sperimenta una contraddizione, e precisamente non una contraddizione
morale (ciò avrebbe dovuto verificarsi già prima; chi riduce il problema a
questo se lo semplifica), ma religiosa. In effetti vengono distrutte delle espe
rienze religiose di sicurezza, e io penso che giudica in modo troppo superfi
ciale colui il quale considera lo studio della teologia solo come comunica
zione di capacità di dare una veste moderna alla cosa antica e identica.
SOGGETIO E STORIA
loro, e bisogna che, rispetto a quello dell' interprete, l' orizzonte dell' inter
pretando possa affermarsi nella sua relativa autonomia»50•
adesso e solo adesso egli ha messo in luce i lineamenti del testo in misura
tale che questo può diventare un interlocutore.
Ciò va concepito nel modo seguente: il profilo di un testo antico non può
certamente essere individuato riassumendo il suo significato in una frase
(contro la teoria, proposta da Ad. Jiilicher, delle «verità proposizionali» qua
le somma delle parabole, qui riferita a testi antichi in generale), ma d' altra
parte neppure sommando delle conoscenze a suo riguardo. Una approfondìta
e reale comprensione del testo collegherà invece i molteplici dati scoperti
tramite i metodi scientifici, in modo tale da far emergere delle connessioni
chiare tra di loro. Questa coerenza costituisce il senso di un testo nella cor
nice della ricerca storica (senso storico), senso che scaturisce di regola solo
di fronte a una molteplicità di dati. - Questo, se è vero, ha anche una sua
importanza per le associazioni così suscitate, che riguardano il soggetto del
ricercatore e una possibile applicazione del testo: le analogie e le diversità
diventano tanto più .�convincenti' quanto meno isolatamente esse vengono
presentate e quanto più numerosi sono i dati che vengono tra di loro collega
ti in modo «evidentemente dotato di senso». Per la ricerca del soggetto, che
constata analogie o diversità, vale perciò lo stesso principio: il senso risulta
dalla coerenza del maggior numero possibile di punti.
Ma poiché la coerenza può essere solo e sempre frutto di una scelta (ogni
volta diversa a seconda dell'osservatore), ci vuole un numero di dati di gran
lunga maggiore di quello che può poi essere utilizzato per la ricerca del sen
so. Perciò possiamo dire: la ricerca storica del senso (del testo antico nella
sua situazione) e la ricerca applicativa del senso (del sòggetto nel proprio
presente) mediante analogie o dissomiglianze si condizionano in un certo
modo a vicenda. Presupposto fondamentale è cioè una somma più grande
possibile di dati storici a proposito del testo. Che le due ricerche del senso
faranno forse riferimento a punti diversi del medesimo materiale è cosa
piuttosto probabile. Date le capacità umane di stabilire delle associazioni e
di stabilire una coerenza, la ricerca effettuata a proposito del soggetto stori
co, delle sue intenzioni, delle sue condizioni e del senso da lui inteso (nella
misura in cui esso è constatabile) non esclude perciò, bensì include la costi
tuzione del soggetto del ricercatore e dell' applica�te.
Invece in H. G. Gadamer e nelt6 'strlttturitlism'd;ifft6dettiou io · vedo piutto
sto una rinuncia più o meno completa alla categoria del soggetto. Secondo
Gadamer la comprensione di un testo non è appunto la comprensione
dell' esternazione di un tu ( 1 975, 340 [trad. it. , 350]), e anche secondo H.
" Sull 'eliminazione del concetto di soggetto in J. Derrida, cfr. M. FRANK ( 1 977), 58.
106 seconda parte
ciale del senso messo in circolazione»54• Al centro sta la questione del modo
in cui il singolo e l 'universale possono in generale tra loro coesistere.
L' aspetto etico sta qui nel fatto che il potere esistente tende a spegnere la
soggettività e a non farla neppure emergere. Esiste perciò una connessione
tra la negazione della soggettività del singolo e la repressione degli uomini
nei sistemi dispotici, da un lato, e tra la soggettività e «la capacità di essere
chiesa», dall' altro lato. Il messaggio della remissione dei peccati e della giu
stificazione significa in fondo che gli uomini solo così sono guariti e messi
nella condizione di diventare soggetti e di imparare a essere liberi. Qui sus
siste una stretta relazione oggettiva con la nostra concezione della 'minoran
za critica' .
L' aspetto estetico consiste nel fatto che viene riconosciuta la libertà crea
tiva dell' interprete nella sua situazione. Inoltre solo soggetti sono capaci di
emozioni.
6. Lealtà e libertà
Ci orientiamo in base alla Scrittura perché alla fine non riusciamo ad aiu
tarci da soli. Ma affinché la rivelazione possa diventare un fattore capace di
aiutare, occorre anzitutto lasciare alla Scrittura la possibilità di diventare
efficace così come essa è, senza essere da noi 'preorientata' . Il suo influsso
capace di aiutare è infatti essenzialmente un influsso critico, oltre che un
influsso incoraggiante e consolante, solo che lo vogliamo scoprire e ascolta
re. Tutto questo però non può avvenire, se la Scrittura diventa soltanto la
conferma del nostro bisogno.
Ora dovrebbe essere chiaro che una posizione biblicistica è un autoingan
no ermeneutico e che anche una selezione arbitraria di ciò che 'va bene'
" Cfr. al riguardo F. STEFFENSKY ( 1 984), 20: «<l ricordo di ciò che è riuscito bene è ciò di cui
adesso viviamo>>; 34: «Preziosa è per me la lingua, anche se essa non è mia, perché nella sua forma
così tanti uomini hanno prima di me fugato le loro ansie, formulato le loro sofferenze e espresso i
loro desideri. La vecchia lingua mi collega con i desideri inappagati e con i sogni ancora non
adempiutisi dei defunti. Proprio la forma antica e non propriamente 11.1ia della lingua mi aiuta nella
fede>>; 35: <<Questo costituisce una parziale liberazione e un parziale sollievo rispetto alla propria
onestà patologicamente scarsa. Io non sono più responsabile di tutto, neppure totalmente responsa
bile di una cosa tanto personale qual è la propria fede. lo rispondo di essa con quei molti che prima
di me hanno cercato di farlo e che con me cercano di farlo>>. - Secondo quanto egli afferma a p. 36
la lotta contro l' eterodeterminazione da parte della tradizione non sarà in futuro la lotta principale.
37: <<Non ho bisogno di contentarmi della mia povertà. Questa è la proposizione che più mi dà sol
lievo. Possiamo mietere quel che non abbiamo seminato, possiamo dirci parole di incoraggiamento
che non abbiamo escogitato noi>>.
Schema di un 'ermeneutica del Nuovo Testamento 1 09
56 D' importanza decisiva è che si percepisca e che si ammetta francamente un conflitto di lealtà
tra testo e situazione; forse così l' atto religioso va poi paragonato piuttosto a un'ellisse con due
punti focali (testo biblico e situazione) e non solo con uno. Questo modello mi sembra adatto a
eludere i tentativi ripetutamente fatti nell'ermeneutica cristiana per sottrarsi al peso del pensiero
storico. Il pensiero autonomistico dell'evo moderno fuoriesce a modo suo dalla tensione di questa
ellisse, in quanto lascia di nuovo un solo centro, il nostro presente. - Cfr. al riguardo anche il mio
saggio Loyalitiit als Problem neutestamentlicher Hermeneutik, in CH. ELSAS e altri (edd.), Loya
litiitskonflikte in der Religionsgeschichte (FS C. Colpe), Wiirzburg 1990, 1 2 1 - 1 3 1 .
57 Verosimilmente i l 'tentativo' d i una rinuncia alla nostra tendenza a rinchiuderei i n un monolo
go e a inserire le nostre pie opinioni nel testo giova meno delle crisi personali, dei confronti bio
grafici con la 'chiesa' e con il suo modo di utilizzare la Scrittura e i lavori storici nel campo della
religione.
1 10 seconda parte
così diventa possibile un dialogo al posto del solito monologo. Perciò spe
cialmente la proposizione «l' estraneità di un testo biblico è il presupposto
del suo influsso oggi» va considerata come compito dell'esegesi, che deve
riacquisire e illustrare l'estraneità di un testo. Con questo non penso natural
mente a una estraneità museale (come scostante accumulazione di sapere
filologico), bensì a una estraneità capita. In altre parole: l' esegesi deve trac
ciare un quadro plastico degli atti vitali che si manifestano in un testo e, nel
farlo, deve partire dal fatto che questi atti differiscono singolarmente e nel
loro complesso in misura molto notevole dal nostro modo di pensare e valu
tare le cose. L' estraneità compresa rende il testo trasparente e ci permette di
cogliere le esperienze religiose in esso implicite.
L' esegesi, lasciandosi guidare dalla presupposizione che il testo abbia
qualcosa di estraneo da dire, fa spazio nello stesso tempo alla possibilità che
esso abbia qualcosa di nuovo, di stimolante e da . noi non visto da annuncia
re. Perciò la lealtà verso il testo della Bibbia è, a motivo della funzione del
canone, necessaria per la rivelazione cristiana. La lealtà significa di fatto
che sono possibili degli scostamenti, ma che essi devono essere motivati.
Appunto questo, non di più, ma neppure di meno, io intendo per «pretesa o
diritto del testo» : anzitutto il fatto che esso vuole essere sentito e percepito
così come è, senza che mi sia lecito inserire apertamente o di soppiatto in
esso qualcosa. Questo significa che devo cercare di comportarmi onesta
mente nei suoi confronti, e precisamente anche quando la mia posizione è -
forse necessariamente - diversa. In secondo luogo, specialmente per il testo
biblico: esso, dal momento che è canonico, ha il carattere di un 'modello
autentico' per ciò che il cristianesimo può essere.
Ma naturalmente la lealtà verso il testo biblico non può essere l' unico cri
terio quando si tratta di passare all' applicazione.
Per lealtà io intendo un determinato modo di ascoltare la Scrittura, un tipo
di obbedienza verso la parola di Dio. Il termine 'lealtà' descrive qui, a mio
parere, un atteggiamento molto complesso, che racchiude libertà e obbliga
torietà, equivalenza della traduzione e capacità di evitare un biblicismo sen
za senso.
Per lealtà intendo un rapporto del traduttore di un testo verso l' autore o
l' autrice del testo di partenza. Lealtà significa: nel tradurre non bisogna mai
perdere di vista l' intenzione del testo di partenza. Tale intenzione va ricerca
ta con i mezzi dell' esegesi storica. Parlo di 'intenzione ' , perché si tratta
dell' intenzione dell' autore (o del redattore finale) del testo divenuta forma.
Nel caso di una interpretazione responsabile di un testo constatiamo infat
ti con facilità l' esistenza di due movimenti: l' uno in direzione del consumo,
in direzione d'una libera interpretazione a seconda del bisogno, l' altro in
Schema di un 'ermeneutica del Nuovo Testamento 111
flitto di lealtà. Il più delle volte sembra infatti solo trattarsi di una questione
di applicazione e di obbedienza. Sotto questo aspetto della lealtà ogni testo
tradotto e applicato ha un carattere di compromesso.
La percezione del conflitto ermeneutico di lealtà presuppone un ricono�
scimento del diritto sia del momento presente sia del tempo del canone. Un
conflitto di lealtà non esiste né nella posizione clericale (obbedienza alla
Bibbia), né nella posizione laicista (diritto esclusivo del presente). Qui come
altrove più adatta è l' immagine dell'ellisse bipolare che non quella del cer
chio.
Tra la semplicità dell' atto religioso e la semplicità dell'universale filoso
fico esiste chiaramente un' affinità naturale; in ambedue i casi si tratta della
purezza cristallina e quasi sovraterrena come programma. La stessa storia
del cristianesimo è anche una storia di tentativi di sottrarsi al peso del pen
siero storico. Ciò è vero in modo particolare dell ' Antico Testamento e del
giudaismo intertestamentario. Tuttavia il giudaismo e il cristianesimo hanno
sviluppato potenti forze contro l' unidimensionalità dell' atto religioso, e ciò
già per il semplice fatto che il popolo di Dio è diviso e noi dobbiamo rico
noscere ad Israele il privilegio del primo amore, inoltre per esempio per il
fatto che permane il conflitto tra culto e etica, che sussiste una molteplicità
di teologie canoniche ecc.
4. Dobbiamo menzionare la lealtà soprattutto perché essa risulta oggetti
vamente dal criterio supremo di ogni applicazione: dall'esistenza del popolo
di Dio stesso. Se questo popolo è il fine della storia58 e se la Scrittura e la
sua interpretazione sono inalveate solo in esso, allora una delle regole ele
mentari di vita di questo popolo è che nessuno sia ingiustificatamente passa
to sotto silenzio, in particolare non i primi testimoni. La lealtà è correttezza
e permettere-di-parlare. In questo senso è un comportamento orientato a
valori. Ed è per me incomprensibile come si possa negare al processo di
comprensione e interpretazione della Scrittura il carattere di azione. Tradur
re è agire ed è, in quanto tale, legato a categorie etiche.
E qui la lealtà si riferisce sempre e soprattutto alle rappresentazioni di
valori che le persone hanno. Essa non riguarda testi, bensì concittadini in
seno al popolo di Dio. - La posizione opposta consiste qui nel dire che i
58 Questa affermazione non intende rimuovere quella dogmaticamente più giusta, secondo la
quale il fine della storia consisterebbe nella lode/gloria di Dio, ma ha piuttosto un significato feno
menologico e pragmatico. Già la formula dell' alleanza rappresenta in questo senso una alternativa
alla pura teologia cultuale innica. La Bibbia stessa conosce questo tipo di considerazione, che a
volte rappresenta un necessario e completo capovolgimento. Anziché affaticarmi a citare una serie
di passi biblici, ricordo semplicemente Did 10,5: <<Raccogli la tua chiesa dai q�Jattro venti nel tuo
regno>>.
Schema di un 'ermeneutica del Nuovo Testamento 1 13
Non vorrei dimenticare di rilevare subito che, così dicendo, abbiamo solo
posto i paletti dei processi che sono oggetto dell' ermeneutica. Qualcosa di
diverso sono le dimensioni della percezione o dimensioni estetiche, di cui fa
parte anche il cristianesimo come movimento mistico59•
Se una delle istanze dell' ermeneutica può essere considerata quella di
evitare il dogmatismo, allora la lealtà è doppiamente idonea a questo scopo.
Essa può aiutare a evitare il dogmatismo della visuale del mond� dell' età
moderna nei confronti dei testi biblici, perché essa consiglia di adottare
'metodi rispettosi ' che non distruggono l' estraneo. Ed essa può evitare che
anche professioni di fede ben intenzionate e necessarie blocchino la via che
conduce alla vitalità della Scrittura. Infatti, quando tali professioni di fede,
per esempio sotto forma di dottrina della giustificazione, diventano la gri
glia che serve alla critica oggettiva della Bibbia, si ottiene il contrario della
serenità ermeneutica. La storia stessa della Riforma mostra che cosa signifi
ca lasciar parlare la Scrittura viva al posto del dogmatismo. In altre parole:
può essere che la dottrina della giustificazione diventi così rigida da condur
re a ignorare letteralmente più della metà della Scrittura.
Al processo fondamentale della vita della chiesa, la cui vitalità consiste
appunto nell ' evitare una cosa del genere, la questione della lealtà intende
portare solo un contributo piccolo e modesto.
'Tradurre' indica nelle pagine seguenti l' applicazione.
" Cfr. K. BERGER, Theologiegeschichte des Urchristentums, Tiibingen - Basel l 9952, § 14.
1 14 seconda parte
TESI 2: La lealtà nei confronti dell 'autore di un testo non ha per oggetto
particolarità arbitrarie, bensì le sue rappresentazioni di valori.
Spiegazione: a differenza del concetto di cultura, a questo punto della
discussione sinonimico, io scelgo qui il concetto di valore per i seguenti
motivi:
l. Questo concetto non è solo descrittivo ( 'etnologico'), bensì normativo
ed è quindi in linea con l' orizzonte etico del tradurre illustrato nella Tesi l .
Qui si tratta però, beninteso, delle rappresentazioni di valori dell' autore di
un testo, non di quelle del traduttore.
2. Si presuppone che l' autore abbia o abbia avuto rappresentazioni di
valori diverse da quelle dei traduttori e dei destinatari della traduzione. Il
traduttore, quando traduce, deve per prima cosa ricostruire queste rappre
sentazioni di valori (qualora tale ricostruzione non esista già) .
3. Le rappresentazioni di valori sono di regola articolate gerarchicamente.
Ciò significa: lo stesso autore ci fornisce mediante ricorrenti segnali testuali
dei criteri, grazie ai quali possiamo intuire quali sono le sue linee guida. La
lealtà può muoversi lungo queste rappresentazioni di valori dell' autore. Tut
tavia in caso di dubbio il traduttore deve partire dal fatto che la sua ricostru
zione rimane insicura e che è perciò pericoloso dichiarare frettolosamente
che qualcosa è privo di valore.
consiste notoriamente nell' affermare che i testi sono 'messaggi ' indipenden
ti e autonomizzatisi direttamente dopo la loro nascita, messaggi che, essen
do stati licenziati dai loro autori, contengono poi una quantità pressoché illi
mitata di possibili significati.
A me questa posizione non sembra sostenibile60• La concezione del keryg
ma della scuola di R. Bultmann, di qualche decennio più vecchia, era molto
simile e ha qui svolto un lavoro di preparazione61 •
Questo significa: la lealtà va alla persona dell' autore di un testo e alla sua
intenzione. Questa tesi è l' altra faccia della posizione ermeneutica, secondo
la quale un testo va senza riserve storicamente spiegato, cioè senza un resto
di una qualche 'universalità antropologica' o di altre strutture atemporali .
Chi infatti parte da costanti antropologiche o strutture può continuamente
fare di queste il centro del testo e dichiarare che le caratteristiche individuali
di un testo (riferentisi specificamente al suo autore) sono 'ghiribizzi' trascu
rabili. Ma appunto questo non va bene, perché non è possibile distinguere in
modo argomentativamente dimostrabile tra caratteristiche 'universali' e
caratteristiche 'solo individuali' di un testo. E questo significa anche: ogni
successiva situazione in cui un testo viene immesso, in cui viene tradotto e
interpretato, è altrettanto importante. Il problema ermeneutico di fronte a
questo fatto non è più quello dell ' individuale e dell ' universale (che presun
tamente sonnecchia nella 'profondità' del testo e che ha solo bisogno di
essere svegliato dal traduttore), bensì appunto il problema della relazione tra
due persone poste in situazioni diverse, tra l' autore e il traduttore, con il tra
duttore debitore del testo ali' autore, cosicché la loro posizione è disuguale.
Il fatto che non si tratti più della relazione universale/individuale costitui
sce naturalmente una chiara differenza rispetto a tradizioni antiche della
metafisica occidentale, che ha senza dubbio influenzato nella teoria e nella
"" Malgrado tutte le affermazioni in contrario questo tipo di considerazione diventa alla fine asto
rico: un testo non va infatti sganciato dalla situazione complessiva in cui esso è nato, situazione di
cui fanno parte la biografia dell'autore e tutto il contesto culturale e sociale. Sono questi elementi a
imprimere a un testo la sua forma concreta. Tale forma concreta non è ora affatto superflua o soltan
to una possibilità rispetto alla poli valenza di posteriori possibili interpretazioni. Né la forma concre
ta può essere sostituita da potenziali contenutistici universalmente umani. Contenuto e forma non
sono piuttosto separabili. È la sua forma unica e irripetibile a 'costituire' un testo. Soltanto colui che
prende radicalmente sul serio la situazione in cui un testo è nato e le sue conseguenze può poi real
mente valutare anche il peso di ogni situazione successiva e la sua importanza decisiva per la diver
sa e nuova interpretazione del testo. In fondo la teoria dell' autonomizzazione dei testi vela le inter
pretazioni radicalmente diverse di fatto subentranti. Maggiori dettagli al riguardo più avanti.
., Pure il 'kerygma' in ogni caso dei discepoli di Bultmann (cfr. ad esempio i lavori di H. Con
zelmann), è una entità costante rispetto alle molte sue formulazioni, un contenuto indipendente da
tutte le sue forme. Non è perciò un caso che proprio alcuni discepoli e nipoti di Bultmann poterono
aderire alla teoria del mondo dei testi isolato da ogni storia concreta.
1 16 seconda parte
prassi anche il tradurre. Appunto questo viene messo in luce nella concezio
ne dell' 'universalità limitata' .
TESI 6: Il dibattito sulla lealtà si colloca anche nel contesto di altre pre
cisazioni circa la nonnatività che regola il tradurre (ethos della traduzio
ne).
Uno dei problemi centrali della scienza della traduzione è chiaramente
quello delle norme e dei criteri che devono regolarla. La 'lealtà' entra nella
discussione come una di tali norme. L' ideale dell'equivalenza va in proposi
to considerato come antiquato.
Rivaleggiante in qualche modo con la lealtà sembra essere a prima vista
l' «incarico di effettuare la traduzione» (teoria dello scopo). Le due cose pos
sono infatti nel caso concreto confliggere tra di loro. Esse però si collocano
su piani diversi, per cui è indubbiamente possibile una chiarificazione di
fondo perlomeno teoretica del loro rapporto.
Anzitutto: l' incarico di effettuare la traduzione (scopo) non parte di rego
la dal traduttore, ma da un terzo. Tuttavia la soluzione del problema non sta
ora nel dire che la lealtà verso la controparte sarebbe unilateralmente una
virtù del traduttore. Qui vale piuttosto quanto segue:
l . L' incarico di effettuare la traduzione non è il criterio supremo. Quale
azione sociale (vedi Tesi l ) anch' esso sottostà piuttosto a determinati criteri
etici. Neppure l' incarico se ne sta solitario su un' ampia distesa, ma è sogget
to alle regole fondamentali della società comunicativa.
118 seconda pane
2. La lealtà vale perciò sia per colui che conferisce l' incarico di effettuare
la traduzione sia per il traduttore: essa è una norma comune che governa in
modo diverso il diverso agire dei due.
TESI 7: Sotto l 'aspetto della lealtà ogni testo tradotto presenta un carat
tere di compromesso.
Spiegazione: il compromesso viene effettuato tra le intenzioni dell' autore
del testo, lo scopo della traduzione e le attese dei futuri lettori. Si tratta per
ciò di un cammino su un filo di lana, il cui risultato è il testo tradotto.
Le questioni sopra discusse nella Tesi 3 tornano qui in altra forma: se si
trattasse solo di rendere un messaggio per raggiungere uno scopo, allora sol
tanto questo scopo sarebbe normativo. Allora la funzione del testo nell ' oriz
zonte delle convenzioni in vigore tra i destinatari della traduzione sarebbe
l' unico criterio oggettivo. L' intenzione dell' autore avrebbe infatti allora sol
tanto una funzione puramente antiquaria.
Ma poiché non si tratta di un messaggio isolato, bensì di un evento socia
le e comunicativo, non può trattarsi solo di un funzionamento oggettivo, cui
andrebbe sacrificata qualsiasi inattualità del testo. Allora ci vuole piuttosto
una fondamentale capacità sociale: la capacità di compromesso.
Rispetto a qualsiasi radicalità sia nel senso del puro funzionalismo, sia
nel senso di una 'traduzione esoterizzante ' , questa esigenza risulta meno
attraente e più differenziata. Essa pone anche il problema dell'utilità: che ne
viene all' autore di un testo, se io lo rendo in modo leale o meno? se nel tra
durre tengo costantemente conto delle sue rappresentazioni dei valori? - Ma
appunto qui possiamo ben dire : la cultura estranea, appunto la cultura
dell' autore di un testo, e le sue rappresentazioni dei valori vanno di per sé
rispettate come un valore umano, e qualsiasi 'stravolgimento' di tale 'cultu
ra' è problematico.
Il fatto di definire qualsiasi testo letterario tradotto un compromesso e di
redigerlo soprattutto anche sotto questo aspetto non va sicuramente esente
da problemi. Lo svantaggio sta nel fatto che il testo tradotto viene eventual
mente privato di una parte della sua efficacia62• La possibilità del carattere di
compromesso sta invece nel fatto che un testo tradotto può svolgere una par
te del necessario dialogo interculturale e evidenziare e far comprendere
l' altra cultura come diversa.
62
Proprio nel caso delle traduzioni della Bibbia e di tutto il processo della traduzione attualiz
zante del cristianesimo questo risulta chiaro: l' esigenza di attualità contrasta tradizionalmente in
misura non insignificante con la necessità politico-ecclesiale di essere un partner interpellabile da
generazioni e rappresentazioni di valori diverse.
Schema di un 'ermeneutica del Nuovo Testamento 1 19
TESI 8: L'alterità dell 'autore, il cui diritto è protetto dalla lealtà, deve
essere un 'alterità compresa dal traduttore e comprensibile da/ lettore.
Spiegazione: il traduttore non può limitarsi ad essere leale in senso giuri
dico (perché allora la sua è solo una fedeltà priva di senso), né può non
offrire a sua volta alcuna possibilità al lettore di comprendere l ' alterità
dell' autore (che a motivo della lealtà egli ha 'salvaguardato' ) . Ma per fare
questo non può neppure limitarsi ad attualizzare in ordine alla cultura di
arrivo, bensì deve stabilire dei paragoni, menzionare delle analogie o indica
re elementi più antichi o marginali presenti nell ' orizzonte della propria cul
tura. Anche il lavoro attorno alla propria tradizione (alla tradizione del ricet
tore) rende possibile la comprensione.
TESI 9: Nella cornice della lealtà il ruolo del traduttore e quello del
ricettore sono in modo caratteristico diversi.
Spiegazione:
l . Proprio nei confronti di una traduzione 'leale' il comportamento del
1 20 seconda parte
•, Qui si potrebbe obiettare (dal punto di vista di una teoria della traduzione radicalmente funzio
nale): a seconda della comunità dei lettori ci vuole di conseguenza una traduzione solo e sempre
funzionale, quindi una Bibbia per adulti e una Bibbia per le elementari e le medie. - Questo si può
fare, ma cosi agendo si terrebbe conto soltanto di una 'metà' della lealtà, cioè dell'apertura alla
pluralità. L'istanza dell' altro aspetto, che vieta di perdere di vista l' autore, rimarrebbe cosi ancor
sempre un desiderato. Ciò significa: la lealtà ha due aspetti, e se essa viene attuata in modo coeren
te, allora tali due aspetti stanno fra di loro anche in un reciproco rapporto.
1 22 seconda parte
TESI 10: Per la ricezione da parte dei lettori la lealtà ha anche questo
significato: essa limita detenninate fonne di ricezione e ne favorisce altre.
Spiegazione: con la «ricchezza di possibilità di collegamento» offerta dal
traduttore leale non è ancor detta l' ultima parola, perché la rice�ione viene
pilotata anche in altro modo.
Limitati vengono: il consumo puramente affermativo, l' adattamento sen
za riserve a qualsiasi convenzione, l' 'abuso' di un testo per ottenere da esso
una conferma, senza riguardo alla sua natura e in particolare senza tener
conto della sua funzione critica, il che significa alla fine interscambiabilità
dei testi (i testi, quali che essi siano, confermano tutti la stessa cosa).
Favorite vengono: la percezione differenziata, la tolleranza e la curiosi
tà64.
Possiamo perciò dire : la lealtà e, quindi, l' attualizzazione ininterrotta
sono una precondizione di una multiforme ricezione. Detto in termini un po'
iperbolici: proprio l' individualità non adattata65 del testo tradotto rende pos
sibile una pluralità di ricezioni.
64 «La santa curiosità della ricerca, questa piantina delicata ha bisogno, oltre che dello stimolo,
soprattutto della libertà; senza di questa essa deperisce inevitabilmente>> (A. EINSTEIN, Autobio
graphische Notizen, in P. A. SCHLIPP, Albert Einstein, Stuttgart 1 95 1 , 7) .
•, Grazie al riferimento ali' autore, salvaguardato dalla lealtà del traduttore, il testo tradotto rima
DISTINZIONI
66 Qui e nelle pagine che seguono 'fenomenologico' significa: descrizione con l' aiuto del lin
guaggio quotidiano. Esso non significa: adesione alle vie in parte astoriche e astraenti della feno
menologia e della storia delle religioni anni addietro in auge (questione dell' 'essenza' ) .
•, Così ad esempio G. DAUTZENBERG, Urchristliche Prophetie, Stuttgart 1 975, 257-273.
68 E. Schweizer, in ID. (ed.), Dimensions de la vie chrétienne Rom 12-13 (St Paul), Ziirich 1979,
1 33: «lo spero sempre nell' intimo del cuore che Paolo non abbia scritto Rom 1 3 , 1 -7», e teologi
cal vinisti (per es., Bamikol e Eggenberger).
1 26 seconda parte
69 Cfr. la recente esegesi di l Ts 2, 1 5- 1 6. - Due cose lasciano spesso a desiderare tra gli interpre
ti : l ' una è I' antigiudaismo realmente deplorevole di esegeti, i quali cercano di isolare artificiosa
mente il cristianesimo primitivo del secolo I dal giudaismo e di considerare cristiano soltanto ciò
che è presuntamente non giudaico. - Potremmo chiamare questo modo di procedere una falsa apo
logetica conservatrice. - Qualcosa di diverso è invece cercare di inserire in autori cristiani primiti
vi propri pii desideri e non ammettere che tali autori possano aver fatto delle affermazioni antigiu
daiche, perché nella loro qualità di autorità canoniche debbono aver detto la 'verità' valida. Qui
tocchiamo con mano le perplessità in cui si dibatte la situazione ermeneutica. lrrisolta rimane qui
la questione del tipo di normatività del canone. Se si afferma ingenuamente tale normatività, si è
poi di continuo tentati di piegare certe affermazioni neotestamentarie in favore delle istanze attuali
spesso indubbiamente giustificate. E questa è un' apologetica progressista.
Schema di un 'ermeneutica del Nuovo Testamento 1 27
L' esegesi non può fare alcuna affermazione vincolante per gruppi cristia
ni. Le sue ricostruzioni storiche non possono infatti essere oggi di per sé
vincolanti. Questo significa anche: l' esegeta non è come esegeta già anche
una guida ecclesiale.
L' esegesi non può e non deve perciò sostituire l' applicazione viva. I gran
di movimenti all' interno della storia della chiesa scaturiscono sì sempre dal
la lettura della Scrittura, ma non dali' esegesi storico-critica. L' esegesi non
ha forse mai indotto qualcuno a 'convertirsi' . Naturalmente rimproverarle
questo come una 'mancanza' sarebbe cosa non oggettivamente giusta, per
ché essa vuole essere giudicata in base alle sue intenzioni. Il suo servizio è
essenzialmente più semplice. Se lo si riconosce, non ci si attenderà neppure
troppo da lei e non la si potrà neppure ritenere responsabile di tante cose
infruttuose.
Solo se vediamo che l ' esegesi non può sostituire il servizio vitalmente
128 seconda parte
L' esegesi non vuole e non può perciò neppure ergersi a 'padrona della
Scrittura' (come suona una critica spesso mossale), perché essa non può dire
che cosa oggi 'sia valido' e che cosa no. Né essa è sicuramente l' unica via
possibile per rispondere alla questione del significato del testo biblico come
testo antico. Non si può infatti semplicemente escludere che qualcuno che
comprende mediante l' intuizione un testo o che lo segue docilmente nella
sua prassi colga anche il senso storico di tale testo meglio dell' esegeta.
Spesso una simile intuizione può successivamente essere resa plausibile
anche con argomenti esegetici, benché non sia stata appunto acquisita esege
ticamente.
no anche oggi nell' orizzonte del campo visivo delle concretizzazioni quoti
diane . Solo così si impedisce infatti che il testo sia concepito come una
'verità' globale o come una dottrina universalmente valida. La ricostruzione
della concretizzazione storica si avvale in modo particolare (a mio giudizio
primariamente) delle problematiche storico-religiose e (anche) storico
sociali, nonché della fenomenologia della storia delle religionF0•
Risultato: l' esegesi storico-critica mostra che la verità non esiste al di
fuori della realtà storica e che essa è inevitabilmente sempre e poi sempre
legata alla storia concreta e in essa inserita.
70 L' esempio del racconto della trasfigurazione di Mc 9,2-8 permette di mostrare che solo rifa
cendosi ad alcune analogie della storia delle religioni (cfr. BERGER-COLPE [ 1 987] 59-6 1 ) si com
prende, anche se in maniera sempre molto insufficiente, il possibile fondamento esperienziale
dell'episodio raccontato. lo penso infatti che compito dell' esegeta sia quello di stabilire, per esem
pio nel caso della trasfigurazione di Gesù, che cosa potrebbe stare alla base del racconto, cioè di
ricostruire le stesse esperienze senza cadere in un piatto razionalismo. Occorre interrogarsi sui pre
supposti che soli fecero apparire plausibile a lettori antichi un racconto come quello di Mc 9,3. Se
infatti facciamo come se una trasfigurazione sia la cosa più ovvia del mondo e come se essa non
avesse bisogno di alcun commento, oppure come se essa fosse appunto uno dei molti 'miracoli' a
noi non più accessibili, ambedue queste concezioni sarebbero sicuramente e in egual modo proble
matiche. In questo caso ciò significa: la via di accesso va a) cercata attraverso la metaforica storica
dell' immagine di Dio: nella sua qualità di Dio del cielo Jahvé è essenzialmente sperimentato come
luce, cosa da cui deriva anche il discorso dello splendore della sua gloria. Chi appartiene a Jahvé
partecipa a questa luce. Perciò il messaggero di Jahvé, che lo rappresenta direttamente in qualità di
Figlio, può essere sperimentato nel suo splendore. Inoltre b) va evidentemente presupposta l' espe
rienza - e qui sono di aiuto analogie della storia delle religioni, che partono dalla sola trasfigura
zione del 'volto' - che vengono cambiati in modo particolare il volto e gli occhi (che rappresenta
no soprattutto il volto) dell' estatico. Nel campo della tradizione giudeo-cristiana vediamo dagli
occhi che gli estatici sono afferrati dalla 'presenza di Dio' . Questo è un argomento fenomenologi
co e storico-religioso, che è avallato da casi paralleli della storia delle religioni. Risultato: la trasfi
gurazione di Gesù è sperimentata come presenza della luce di Dio, da un lato (nella tradizione
ebraica Dio è in continuazione sperimentato così), e come trasformazione della sua espressione,
dall' altro lato, trasformazione che qui - e questa è l' accentuazione particolare rispetto ai casi paral
leli - non riguarda soltanto il volto, ma tutta la persona di Gesù. Questo non spiega l ' evento in se
stesso, però precisa ciò in cui esso consiste e perché sia stato sperimentato proprio così.
1 30 seconda parte
71 Cfr. al riguardo l'excursus in O. Kuss ( 1 978) sulla problematica della 'predestinazione' (828-
935).
72 Se Dio è pensato come il semplicemente onnipotente e si comporta di conseguenza, non rima
ne àlcuno spazio per la libertà dell' uomo. Ma è giusto parlare teologicamente di Dio sempre in
modo tale da partire da lui come dall' «ens peifectissimum>>? L'esperienza asistematica dei testimo
ni biblici non è diversa e in fondo più complessa? Cfr. al riguardo K. BERGER, Wie kann Gott Leid
und Katastrophen zulassen ?, Stuttgart 1 996, 1 9982, ed. economica 1 999.
Schema di un 'ermeneutica del Nuovo Testamento 131
consiste solo nel far parlare e nel far valere la Scrittura (anche e proprio nel
la molteplicità delle sue teologie) di fronte a qualsiasi applicazione. Essa
può fare questo criticamente e correggendo, senza però poter o dover di vol
ta in volta dimostrare positivamente il buon diritto di un' applicazione, ma
anche senza voler mai assumersi il compito di effettuare la stessa applica
zione.
È infatti in partenza chiaro che il senso storico della Scrittura non sarà
mai identico (come vedremo) all' applicazione e al senso adesso valido per
l' applicazione. Mai infatti una situazione sarà uguale all ' altra, e il 'senso' o
'significato' risulta sempre dal confronto tra testo (lettera) e situazione.
Nella concezione qui esposta l' occasione o la motivazione dello sforzo
per arrivare alla conoscenza è in più punti eticamente determinata.
l . Si fa esegesi con l ' intenzione di rendere giustizia al testo di fronte
all ' abuso che di esso viene fatto dall' autorità e dall' abitudine ecclesiale.
Dal punto di vista dell' esegeta, dalla sua prospettiva limitata, la storia
dell' applicazione della Scrittura è una storia di fraintendimenti. Se il teologo
fosse solo esegeta dovrebbe continuamente dire: «così non va» ; «questo non
corrisponde alla lettera» . Nessuna applicazione successiva può infatti corri
spondere al senso letterale; la medesima parola, detta in una mutata situazio
ne, significa sempre qualcosa di nuovo e di diverso, e già la prima applica
zione da parte degli uditori al tempo del Nuovo Testamento fu, sotto il profi
lo esegetico, un' impresa rischiosa.
Che la medesima parola, ripetuta successivamente, non sia più la stessa
cosa risulta in modo evidente proprio dalle affermazioni antigiudaiche del
Nuovo Testamento. Una cosa è che Paolo parli dell' indurimento e della
disobbedienza dei giudei non cristiani (Rom 9, 1 8 ; 1 0,2 1 ), e un' altra cosa è
che noi ripetiamo oggi, come cristiani provenienti dal paganesimo e dopo
una storia disgraziata, tali affermazioni. Una cosa è che parlino così mino
ranze perseguitate, profondamente preoccupate per il loro popolo e piene di
amore per esso (Rom 1 1 , 1 s.), e un' altra cosa è che a ripetere le stesse affer
mazioni sia la chiesa esistente come vincitrice (e persecutrice) dopo Costan
tino. - Ma appunto perché le cose stanno così, appunto per questa diversità
di situazioni e di locutori pur nella identità delle parole, l' esegesi e l' appli
cazione vanno distinte, e la ricostruzione del senso storico va, nei limiti del
possibile e ovunque ciò è possibile, tenuta al riparo da influssi provenienti
dalla situazione dell' applicazione.
Se il senso storico è irripetibile, allora l ' applicazione è appunto un
rischio. Chi ricorrendo al metodo storico-critico pensa di ovviare a questo
rischio cerca false sicurezze. La precisione esegetica non dispensa dalla
necessità di avvalersi di una fantasia concreta nell' applicazione.
Però dobbiamo domandarci: qual è il ruolo dell' esegeta (dell' esegesi) in
questo rischio, se a rigor di termini nessuna applicazione può 'soddisfare'
l' esegesi? Con la separazione tra esegesi e applicazione non è infatti già
risolta la questione del rapporto tra di loro esistente, bensì proprio solo così
tale questione viene posta nel modo più chiaro.
Dio'). L' esegesi relativizza ogni applicazione. Essa non può mai dimostrare
la giustezza o legittimità di un' applicazione, bensì evidenzia piuttosto - se
effettuata come esegesi o come storia degli effetti (o anche come storia
dell'interpretazione) - la differenza esistente tra il significato storico e ogni
altro significato che compare nella cornice della storia successiva. Qui
importante è naturalmente il grado della divaricazione, e un ruolo importan
te svolge la lealtà verso il testo73•
Fin dalle sue origini storiche l' esegesi non viene praticata per amore
dell' esegesi, ma in un confronto critico con ciò che la chiesa ha via via «fat
to della Scrittura» . Perciò il senso storico va posto accanto all' applicazione,
affinché da questo confronto diventi visibile di che tipo è ciò che la chiesa
ha aggiunto o cambiato. E qui nessuno contesterà che qualcosa dovette per
forza di cose essere cambiato e aggiunto; però diventa visibile il modo del
cambiamento, e questo è particolarmente importante per i casi seguenti:
l . L' esegesi può richiamare l' attenzione sulla problematicità di una 'sem
plice' trasposizione dal Nuovo Testamento nel presente; in questo modo
essa evidenzia l' illusione di una fedeltà alla Bibbia, che con un cambiamen
to pressoché nullo del testo biblico è presuntamente legata nell' applicazione.
Ciò risulta particolarmente chiaro nei tentativi sempre ricorrenti di tra
sporre senza discernimento a una condizione di chiesa di popolo affermazio
ni neotestamentarie, che storicamente valevano per comunità minoritarie
missionarie (e in parte perseguitate). Interessati da questo fatto sono: il valo
re esperienziale del 'battesimo' , il valore dell' appartenenza al gruppo eccle
siale in generale, meccanismi di delimitazione (indicazione di quelli che
' sono fuori' ) e soprattutto la chiamata missionaria alla conversione (la prima
missione è qualcosa di diverso dalla seconda missione nella cornice di una
esistente chiesa di popolo).
2. L' esegesi può richiamare l' attenzione sul fatto che un' applicazione va
contro regole e punti di vista fondamentali diffusi nella Scrittura. In questo
caso colui che effettua l ' applicazione deve impegnarsi molto di più nel
dimostrarne la validità. L' esegesi può almeno costringere a fare questo.
3. L' esegesi può avere una funzione critica nei confronti dell' ideologia in
73 Uno scostamento notevole fa ogni volta diventare particolarmente acuta la questione di una
applicazione critica e accurata dei criteri. - Uno scostamento è di per sé necessario e va spesso
presentato senza commenti.
1 34 seconda parte
quanto può contribuire a mostrare come l' 'opinione' di volta in volta 'domi
nante' è l' opinione dei 'dominanti' . Naturalmente anche l' esegesi storico
critica è diventata da lungo tempo - in ogni caso nei suoi metodi conserva
tori - uno strumento sottile della regolazione ecclesiale, con conseguente
resistenza contro 'nuovi ' metodi (particolarmente temuti sono i nuovi aspet
ti inquietanti che ripullulano come teste di drago dietro gli aspetti inquietan
ti addomesticati). - Ma se vale la regola che la ragione e gli argomenti
(autocritici) non sono universalmente validi o non lo sono affatto, allora tut
to ciò che è fondato in questo modo (e anche i metodi così fondati) possono
in continuazione generare nuove funzioni ( ' sociali ' ) critiche nei confronti
dell' ideologia.
L' esegesi viene così senza dubbio effettuata con un"intenzione etica' .
Inoltre l' esegeta, proprio perché dispone di un efficace strumento critico,
può in caso di necessità essere più di altri obbligato a scendere in campo
contro un' ideologia nemica della vita (per i criteri, cfr. più avanti).
74 L'esegesi non può fondare nella sua qualità di disciplina paniale l' unità della chiesa. Essa può
solo relativizzare alla luce della Scrittura tutte le posizioni di tutte le confessioni, cosicché esse
potrebbero imparare una cosa, e cioè che con il richiamo a citazioni bibliche non è possibile porta
re avanti alcun dialogo ecumenico.
75 Con questo non penso all'eccedenza di senso nel significato di P. Ricoeur (cosicché soltanto
tutte le interpretazioni prese insieme riprodurrebbero il senso del testo), bensì penso alla ricchezza
di possibilità di aggancio e di aspetti che il significato storico del testo biblico offre.
76 Infatti se l'esegeta cerca di presentare il senso storico di un testo senza mischiarlo con ciò che
nella situazione dell' applicazione sarebbe opportuno o piacerebbe ascoltare, e se in particolare egli
non sgrava autori biblici da opinioni che adesso appaiono non moderne o non progressiste (per es.,
l Cor 1 4,34-36 come testo paolino!), allora la conseguenza per l' applicazione non è la trasposizio
ne pura e semplice dell' opinione biblica come opinione valida nel presente, bensì corrisponde
all' onestà dell'esegeta, da un lato, e alla libertà dell' applicazione, dall' altro lato.
77 L'esegesi storico-critica ha infatti anche a che fare con la curiosità, col semplice bisogno di
informazione, che insorge in modo particolare perché molti uomini arrivano di continuo a pensare
che la chiesa nasconda loro risultati scientifici importanti, ma per lei sfavorevoli. L'esegesi non ha
ancora finito di svolgere il proprio compito, se e fintanto che degli uomini soffrono ancora a moti
vo della nebulosità della loro fede (che è spesso anche fin dalla prima giovinezza una fede sempli
cemente uniformata) e a motivo delle loro ansie. Già la stimolazione della semplice curiosità può
avere un effetto liberante.
136 seconda parte
Definizione
78 Qui notiamo - per quanto riguarda l'aspetto formale - una concordanza con la filosofia, cfr.
M. FRANK ( 1 988), col. 3. Gli oggetti sono però diversi.
19 Su questo punto posso esser certo anche del consenso della teologia dialettica, nella misura in
Schema di un 'ermeneutica del Nuovo Testamento 1 37
cui si tratta della non-oggettivabilità. Quel che segue vuoi anche essere un contributo alla discus
sione tra H. Scholz e K. Barth, cfr. al riguardo H. ScHOLZ, Wie ist eine evangelische Theologie als
Wissenschaft moglich ?, in G. SAUTER (ed.), Theologie als Wissenschaft. Aufsiitze und Thesen (ThB
43), MUnchen 1 97 1 , 22 1 -264.
138 seconda parte
faccenda che spetta a ogni scienza e non può essere dettata dalla fede nella
rivelazione. Ciò vale per ogni scienza e quindi anche per la teologia. Perciò
la teologia potrà dire qualcosa sull' immagine di Dio di Isaia, Ezechiele e
Gesù, non però sugli attributi stessi di Dio. Come limite autoimpostosi dalla
ragione questo non sarebbe naturalmente una regola atemporale.
Il permanentemente misterioso è invece il punto di riferimento del com
portamento religioso; il mistero in quanto tale non è oggetto della teologia.
La teologia descrive le affermazioni fatte sul mistero, non lo stesso mistero.
Perciò la nostra separazione tra teologia e fede non nega il mistero, bensì gli
assegna solo il suo giusto posto.
I mezzi con cui la teologia vuole descrivere e rappresentare l'esperienza
religiosa non sono spesso di certo sufficientemente adeguati . Da un lato
questo spinge a usare anche metodi nuovi. Dall' altro lato esistono sicura
mente anche metodi diversi dai metodi scientifici per comprendere l' espe
rienza religiosa; l ' unico vantaggio delle vie scientifiche sta nel fatto che
esse sono praticabili intersoggettivamente. Il carente successo dei metodi
scientifici non è sicuramente un motivo per indulgere, al loro posto, ai dog
mi ecclesiali. Ogni cosa ha il suo tempo e il suo 'Sitz im Leben' .
Risultato: la teologia come scienza dispone di metodi limitati ed è legata
alla verificabilità intersoggettiva dei propri risultati. I suoi confini oggettivi
affiorano al più tardi, appunto in base al criterio menzionato per ultimo, nel
dialogo scientifico e non possono essere dettati dali' esterno.
Dopo l' avvento delle scienze naturali alla fine del secolo xvm, i teologi
dibattono in modo particolare (come già avevano fatto dopo l' avvento
dell' aristotelismo nel secolo XIII) la questione del carattere scientifico della
loro attività teologica. Modelli classici di soluzione, qui solo brevemente
delineati, sono i seguenti:
l. La risposta idealistica del secolo XIX: riduzione82•
via ciò è sempre una questione di qualità nel senso stretto dell'espressione). - Qualcosa di diverso
e da accuratamente distinguere è la questione della responsabilità etica della ricerca scientifica.
Pure qui si tratta di limiti, ma non di limiti della conoscenza, bensì di limiti dell'azione responsabi
le.
" La teologia è scienza, perché è - in modo simile alla filosofia - rappresentazione di un' idea.
Tutto ciò che non si confà allo schema di questa idea è presentato come un suo rivestimento. Per
ciò, ad esempio, questa teologia speculativa prescinde dalla fede della Bibbia nei miracoli. Conse
guentemente questa impostazione si trova, ad esempio, in D. F. Strauss (idea del cristianesimo:
140 seconda parte
l' incarnazione di Dio nell'umanità). Parlo di 'riduzione' , perché tutto ciò che è al di fuori dell' idea
viene respinto come zavorra storicamente condizionata.
" La continuità con l' antropologia filosofica moderna consiste nel fatto che questa fornisce i
concetti scientificamente affidabili. La rottura consiste nel fatto che le molteplici possibilità di
autenticità, fomite dall' antropologia, sono ridotte nella teologia a una sola (la fede). Perciò alla
fine la scienza moderna rimane solo nell' anticamera. Cfr. al riguardo K. BERGER ( 1 986), 1 35- 1 4 1 .
84 La teologia cerca in modo particolare la verità e la comunica anche (cfr. al riguardo K. BARTH,
KD 11 1 , 6s.): nessun concetto di scienza proveniente dall'esterno può danneggiare la teologia. Piut
tosto la rivelazione fa della teologia un tipo autonomo di scienza.
Schema di un 'ermeneutica del Nuovo Testamento 141
te. Nessuna scienza viene coltivata per pura necessità, e ognuna è collegata
a determinati interessi pratici (siano essi morali o pedagogici o dettati da
interessi vitali di determinati gruppi). - La storia delle facoltà teologiche
dell'Europa occidentale mostra che ognuna di esse deve se stessa, ora in un
modo ora nell' altro, al gioco delle forze tra stato e chiesa, per esempio al
fatto che lo stato aveva mostrato un interesse anche per una certa istruzione
dei membri della gerarchia ecclesiale85• A differenza della scienza della reli
gione la teologia coltivata in modo scientifico dipende perciò anche in ogni
caso, come facoltà universitaria, dal fenomeno chiesa.
La teologia non si distingue perciò dalla scienza della religione e da altre
scienze umane per i suoi metodi, bensì per la sua funzione 'sociale' e quindi
anche per la sua realtà socialmente descrivibile. La teologia è infatti un atto
della riflessione della chiesa su se stessa. E questo vale per i teologi operanti
al di fuori dell' università così come per quelli operanti all' interno dell' uni
versità. E se, come abbiamo detto, lo stato ha un particolare interesse per
tale riflessione, occorre anche che questa avvenga proprio nelle università.
La teologia è un atto di riflessione della chiesa su se stessa. I metodi con
cui tale atto è compiuto non sono specificamente teologici, e i loro risultati
devono essere comunicabili. L' elemento specificamente teologico è piutto
sto la funzione di questo atto in ordine alla chiesa.
Tuttavia voler praticare la teologia come scienza non significa (a motivo
di un atteggiamento critico di fondo) che i suoi risultati devono essere 'utili'
per la chiesa nel senso superficiale del termine o che essi possano essere
controllati. Dal punto di vista della chiesa la teologia scientifica si presenta
perciò spesso come un azzardo. La chiesa, se desidera o permette la teolo
gia, si prepara con ciò ad essere messa a confronto con ciò che è dimostrabi
le e a dover 'vivere' con ciò che viene così messo in luce.
E dall' altra parte questa concezione significa: la teologia diventa priva di
senso se non vuole più raggiungere nulla in relazione al fenomeno chiesa, se
perde di vista questa realtà86• Tuttavia la scienza vuole 'aiutare' a modo suo
la chiesa e vuole farlo a modo proprio. E ogni chiesa farebbe bene a permet
tersi questa libertà. Ci vuole una grande tranquillità per non esigere che dap-
85 È pensabile che un giorno in Europa uno stato possa essere interessato a far formare anche
ministri religiosi islamici in facoltà teologiche. Allora la stessa comunità religiosa interessata
potrebbe mettere in atto qualcosa di simile alla teologia scientifica del cristianesimo. E a questa
'attuazione' potrebbero essere interessate anche chiese cristiane.
"" Secondo K. BARTH, Der Romerbrief, Ziirich 1 922', XI (Prefazione), l'interpretazione è cosa
che riguarda il «futuro ecclesiale degli studenti>>, e pure secondo altre affermazioni la teologia è
per luf una funzione della chiesa. La differenza rispetto al nostro programma sta nel fatto che K.
Barth non distingue tra esegesi e applicazione.
1 42 seconda parte
"' 'Libero' significa: a) senza riguardo al fatto che il risultato sia gradito o meno alla chiesa; b)
con distacco critico. Per 'riflessione su di sé' non intendo l' autoriflessione, ma il retroriferimento
alle proprie fondamenta.
Schema di un 'ermeneutica del Nuovo Testamento 143
" A questo punto si riferisce la discussione tradizionale sulla precomprensione e sui limiti sog
gettivi come possibilità della conoscenza.
" Religione/fede religiosa sono nelle pagine che seguono intese come interpretazione, approfon
dimento e trasformazione di esperienze, che riguardano le fondamenta dell'esistenza individuale,
sociale e storica dell'uomo e che, in quanto esperienze religiose, costituiscono soprattutto l' intrin
seca coesione di tale esistenza. L' agire religioso è qui il tentativo dell'uomo di percorrere attiva
mente la via che l'ha condotto alla conoscenza del senso fondante l' unità.
'"' Su pretese simili della filosofia moderna, cfr. M. FRANK ( 1 988), col. 4 (esperienze interpretate
coerentemente).
144 seconda parte
critica - abbraccia qualcosa di più di ciò che può essere dimostrato, abbrac
cia cioè ad esempio l ' azione. Invece, secondo la nostra definizione, la ragio
ne scientifica non può essere nella teologia diversa da quello che essa è
anche altrimenti nella scienza modema91•
A questo punto insorge una serie di domande classiche, che riguardano il
rapporto tra la decisione di credere e la teologia come scienza. La più
importante di esse è quella che si chiede se le affermazioni teologiche pos
sono essere fatte in modo adeguato solo da colui che si sa personalmente
obbligato a credere. La conoscenza del circolo ermeneutico nella filosofia si
ripercuote nella teologia come circolo della fede?
9' Con E. HERMS ( 1 978) io vedo la teologia come una scienza dell' esperienza, con Schleienna
cher (cfr. E. HERMS, op. cit. , 72) la vedo come una scienza positiva, che si occupa del settore eccle
siale della prassi sociale (sulla base del mondo sperimentabile del cristianesimo del momento).
Tuttavia a differenza di E. Henns non riesco a vedere la teologia soprattutto come teologia pratica
(«scienza professionale>>).
III.
l. Fondazione sistematica
tanti sono caratterizzate come parola diretta di Dio. Il problema non è qui
quello di sapere se possiamo condividere una cosa del genere. L' importante
è sapere che una cosa del genere fu ritenuta possibile e che si percepirono
gli eventi così.
Il fatto che il Nuovo Testamento stesso conosca, accanto a parole di Gesù
e degli apostoli e da esse distinte, anche parole dirette di Dio è utile
nell' argomentazione contro ogni fondamentalismo. 'Parola di Dio' in senso
stretto sono appunto soltanto le parole menzionate. Tutto il resto che noi -
non la Bibbia - abbiamo successivamente così chiamato è 'parola di Dio' in
un senso tutt' al più metaforico. Qui prescindiamo da esternazioni verbali di
Dio o dello Spirito Santo (come quelle di At 1 3 ,2 ; Ap 14, 1 3b) riportate nella
cornice di racconti, quindi dalla voce raccontata di Dio, perché in tal caso la
parola di Dio è solo udibile, ma non è riferita alla Scrittura, e cerchiamo per
tanto solo di stabilire in quale senso traslato possiamo adesso parlare della
Scrittura come parola di Dio.
Ripetutamente la Scrittura (per i primi cristiani l' Antico Testamento) è
citata come parola diretta di Dio. Secondo Mc 1 , 1 Dio dice al proprio Figlio
(Gesù) : «Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te». In modo simile
anche per Eb la Scrittura è parola diretta di Dio per il presente.
La formula «Così dice il Signore» introduce nell ' Antico Testamento, sot
to forma di cosiddetta formula dei messaggeri, le sentenze dei profeti. Ana
loghe sono formulazioni come la seguente: «Ecco, ti metto le mie parole
sulla bocca» (Ger 1 ,9).
Le più antiche tracce della formazione del canone veterotestamentario
ricorrono sotto la formulazione «Mosè e i profeti». Pure Mosè è considerato
un profeta (Dt 1 8 , 1 5), e precisamente in modo qualificato. Data la concezio
ne della parola profetica, pure la Scrittura acquista il carattere di parola su
mandato di Dio.
Nel Nuovo Testamento le lettere degli apostoli sono fatte risalire a Dio
come al loro vero mittente mediante la formula introduttiva: «Grazia e pace
a voi da Dio Padre». L'apostolo, promettendo grazia e pace in nome di Dio,
fa di Dio il proprio mandante. L' apostolo concepisce senza dubbio la parola
della propria predicazione come una parola autorizzata. Le analogie tra let
tere degli apostoli e discorso profetico come pure lettere di profeti sono state
spesso evidenziate.
Io penso quindi che la risposta alla domanda se la Bibbia sia parola di
Dio dipenda dalla valutazione e dal riconoscimento della potestà della paro
la dei profeti 'storici' e del Gesù 'storico' , nonché degli apostoli.
Questo significa: la questione di cui ci occupiamo dipende dalla legitti
mità degli autori biblici e non può essere risolta in modo astratto in base alla
Sulla prassi dell 'applicazione 147
apostolo legittimo, e le sue parole possono stare nel canone accanto alle
parole di Gesù.
Durante la vita di Paolo questo era però chiaramente controverso e, se il
nostro modo di leggere i testi giudeocristiani della chiesa primitiva è giusto,
tale rimase per lungo tempo anche dopo. Paolo, quando si richiama ai segni
del vero apostolo, sa benissimo quanto debole sia il suo argomento (2 Cor
1 2, 1 2). La sua legittimità, per divenire storicamente efficace, ebbe bisogno
dell' assenso di altri apostoli e discepoli importanti della chiesa.
Ora però 2 Tm 3 , 1 6 afferma che i passi della Scrittura sono «ispirati dallo
Spirito di Dio». Tutte le analogie (per es., Ger 36,4), anche quelle relative
alla parola 'ispirata da Dio' (per es., nel poema didascalico dello Pseudo
Focilide V, 1 29: «La parola della sapienza ispirata da Dio è la migliore»)
permettono di riconoscere che si tratta dell' idea di autori ispirati (come Eb
3,7; 9,8).
Ma che cosa dobbiamo pensare, quando Gesù dice: «Non siete infatti voi
a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi» (Mt 1 0,20)?
Mentre l'ebreo ellenista Filone di Alessandria pensa che l'intelletto umano
'tramonti' (come il sole tramonta nel tardo meriggio), allorché lo Spirito di
Dio entra in azione (in modo simile anche nella mantica antica, per es. nella
Pizia di Delfo ), Paolo la pensa in modo chiaramente diverso: secondo l Cor
14, 1 4 l ' intelletto dell' uomo non viene messo fuori causa, allorché lo Spirito
di Dio prega «con il dono delle lingue» ; solo che esso non ne trae vantaggio.
Qui dobbiamo distinguere: lo Spirito concede, secondo Paolo, doni diver
si, alcuni in lingua umana (profezie, preghiere, insegnamenti ecc.) e alcuni
nella lingua degli angeli ( 'lingue' , anche il pregare in lingue), che compren
diamo solo con l' aiuto di interpreti. La parola dell' apostolo fa parte del pri
mo gruppo (cfr. l Cor 7 ,40b ). Come la parola dei cristiani davanti al tribu
nale essa è un discorso umano: ma fino a che punto Paolo ci tiene a che que
sto discorso sia opera dello Spirito? Nel caso degli uomini davanti al tribu
nale non c'è infatti una determinata esperienza a ciò congiunta?
Qui dobbiamo richiamare un' importante categoria, che vale sia per la
situazione davanti al tribunale sia per la preghiera davanti a Dio: la fran
chezza (greco: parrhesia). Sicuramente si tratta qui di un' importante espe
rienza: mancanza di paura, eliminazione delle barriere tra l'umile condizio
ne del locutore e l'elevata posizione del destinatario del suo discorso. Qui
come anche altrove lo Spirito elimina i confini. Ma la forma delle parole
non cambia.
Questo significa qualcosa per 2 Tm 3 , 1 6 e per passi affini? Io suppongo
che significhi questo: tra Dio e la Scrittura non esiste alcuna differenza di
rango quanto all ' autorità del locutore, nessuna separazione. Esattamente
Sulla prassi dell 'applicazione 1 49
Modelli di rappresentazione
Parola di testimoni
APPLICARE LA PAROLA DI D IO ?
p
Anche qualsiasi interpre�azione (i��esa nel senso di ap licazione) dovreb
be poi naturalmente ispirarsi a: qudta concezione del canone biblico. Ciò
significherebbe:
l . Determinante per la legittimità dell' interpretazione è che la chiesa par-
Sulla prassi dell 'applicazione 153
Un esempio desunto da una predica: «Non abbiamo alcuna patria? Anche nella
chiesa possiamo, eccome possiamo, avere la tranquillità a proposito di qualcosa
che nessuno può più toglierei. Essere qui a casa significa infatti qualcosa di più che
abitare semplicemente in una strada. Conosciamo infatti la chiesa in cui siamo stati
battezzati, confermati e sposati, conosciamo le croci davanti alle quali abbiamo
pregato quando fummo confermati, quando nostro figlio era malato o la mamma
morì. Forse ricordate anche una croce che solo voi conoscete, che ha per voi il
significato di una patria spirituale. Oppure un battistero o i gradini dell' altare su
cui avete ricevuto la benedizione nuziale o la benedizione della madre dopo la
nascita del primo figlio» (K. BERGER, Wozu ist Jesus am Kreuz gestorben ?, 1 998,
1 34s.).
2. Potrebbe così diventare chiaro che nella storia della chiesa esistono una
accanto all' altra e una nell' altra due cose: la storia della colpa e della grazia
e la gioia per la propria fede. Dove manca una delle due non può più cresce
re nulla.
3. Non esiste alcuna pura ripetizione. Pure ciò che ritorna (l' anno liturgi
co) è tuttavia sempre completamente nuovo e diverso. Precisamente la ripe
tizione spezza il corso del tempo.
4. La comunità interpellata o interpellabile è sempre limitata. Poiché solo
e sempre una parte della comunità può riconoscersi, comprendiamo anche
che l'interprete o la chiesa non possono e non sono mai tenuti ad 'acconten
tare tutti' .
Sia nel caso dell' ispirazione sia quando occorre constatare che qualcosa è
ispirato, si tratta perciò della questione della legittimità e dell' autorità; il
riconoscimento fonda l' autorità.
L' elemento dell' autorità significa: non bisognerebbe affos�are l' autorità
del predicatore facendolo cadere nella trappola della credibilità. Tale trappo
la consiste soprattutto in una esagerata moralizzazione del messaggio, che
poi genera una pletora di giudici morali. Non il perfetto nel senso della cor
rectness può avere autorità, bensì colui che può parlare con tranquillità
anche dei propri dubbi, ma parla appunto allora di religione e non di morale.
1 54 terza parte
2. Criteri dell'applicazione
fONDAZIONE
cominciamo il nostro lavoro nel bel mezzo dell' atto dell' applicazione e ci
domandiamo per quale interesse la si attui.
Lo studio del testo della Scrittura allo scopo di applicarlo ( ! ) non viene
effettuato per pura curiosità e meno che mai per curiosità scientifica, ma per
ché dal testo ci si attende un 'aiuto' . Cioè: noi cerchiamo consiglio o conso
lazione nella Scrittura, perché qui ci viene offerta una salvezza di fronte a
una realtà deficitaria, bisognosa di aiuto e di sostegno. La base è perciò
costituita da una multiforme miseria umana, materiale e spirituale. Per cui la
nostra tesi di partenza suona: base dell' applicazione della Scrittura è la pro
messa di fronte all 'imperfezione e al bisogno. In questa situazione l ' applica
zione aiuta o critica, in ogni caso essa deve «soddisfare un bisogno» .
In concreto non intendiamo dire che l'interprete, che compie l' applicazio
ne, diverrebbe sensibile al bisogno via via esistente soltanto sulla scorta del
la lettura della Scrittura, bensì che egli se ne ricorda o cerca di ricordarsene
(ricordo attivo) allorché si accinge all' interpretazione. Egli si domanda: qua
le elemento del testo può essere critico e utile nel bisogno presente e nelle
sue singole situazioni?
nel senso stretto del termine l a messa a confronto della chiesa con i suoi ini
zi nei profeti e in Gesù, una messa a confronto per lei vitalmente necessaria.
In questo lavoro ciò che è di necessità vitale (Paolo parla dell' edificazione,
oikodomi, come del metacriterio puro e semplice) non è esattamente preve
dibile, bensì la stessa messa a confronto con il proprio inizio è un processo
vitale che è sì guidato da intenzioni, ma il cui risultato non è calcolabile. Si
tratta perciò, specie quando si pratica l ' esegesi estraniante, di un rischio
dall ' esito imprevedibile. (La Riforma del secolo XVI testimonia proprio que
sto sia in modo positivo sia in modo negativo). Ogni chiesa fa bene ad
ammettere questo confronto vivo, e fruttuosa va detta l' esegesi che non
teme questo estraniamento critico. Se il criterio è l' edificazione, allora il
risultato non può e non deve essere in nessuna circostanza una divisione del
la chiesa (l Cor 3 , 1 7). Pertanto ogni scisma cristiano è uno scandalo teolo
gico, che tocca realmente la sostanza fondamentale stessa del cristianesimo.
E la superficialità con cui nell' età moderna si accettano le divisioni della
chiesa è assolutamente insopportabile sia sotto il profilo religioso che sotto
il profilo teologico. Il popolo di Dio è pensabile solo come un unico popolo
(con l' unità e la pace sempre tra loro strettamente connesse), oppure esso si
è già ridotto ad absurdum, e nessuna autorità ecclesiale ha poi più bisogno
di aprire la bocca.
Il superamento della divisione del popolo di Dio è perciò in certo qual
modo il criterio ultimo e più importante dell' applicazione della Scrittura.
Tutti gli altri criteri sono di secondaria importanza. Essi dovrebbero a mio
avviso tener conto del fatto che interpretare significa agire. L' interpretazio
ne non è un evento naturale né un automatismo, ma è un' azione responsabi
le. Essa è perciò una forma particolare di responsabilità e non una serie di
processi che si svolgerebbero per mezzo di noi e di cui noi saremmo più o
meno gli zimbelli.
Naturalmente esiste una diffusa neo-ortodossia, che non presta più orec
chio non appena risuonano le parole 'agire' , 'etica' o 'responsabilità' . Chi
vede qui sempre e subito messa in gioco tutta la dottrina della giustificazio
ne, trae delle conseguenze a buon mercato allo scopo di produrre in massa
berretti da eretici.
Se la comprensione e l ' interpretazione sono una forma di azione, allora
per questa così come per ogni altra azione bisogna indicare dei criteri. Que
sti criteri sono diversi a seconda che si tratti dell ' azione esegetica o
dell' azione applicativa. Nel caso dell' azione esegetica (e applicativa) si trat
ta di stabilire fino a che punto teniamo conto dell' autore biblico, per cui val
gono la correttezza, la libertà, l' uguaglianza e la fraternità, perché queste e
nient' altro sono le cose importanti.
158 terza parte
AUTOCONTRADDIZIONE RELIGIOSA
per il campo religioso metafore che hanno nel comportamento il loro campo
fungente da metafora. Non si tratta tuttavia di rapporti 'metaforici' di questo
genere, ma di punti di collegamento tra i due campi, che in quanto tali sono
un oggetto e una realtà.
Se ciò che potrebbe essere distrutto è la religione cristiana come realtà
(per es., come comunità) nelle sue parti costitutive essenziali, allora in un
certo senso un effetto dell' impulso di Gesù e la sua permanenza diventano il
criterio di molteplici singole parole. Che questo non significhi affatto che 'la
chiesa' o addirittura la sua tradizione dogmatica prese in se stesse starebbe
ro al di sopra della 'Scrittura' è cosa che diventerà subito chiara. Si tratta
piuttosto della vita cristiana o dell'esistenza viva di cristiani, che rappresen
tano una specie di 'norma viva' .
Rispetto all ' antichità e al medioevo il criterio della verità si è chiaramen
te spostato nel cristianesimo. Se prima il criterio era costituito dall ' unità
della professione di fede e dalla verità dogmatica della chiesa in quanto tali,
dall ' illuminismo in poi (e rispettivamente dalla fine del secolo xvn)
l' accento viene posto molto più fortemente sul carattere vincolante delle
posizioni etiche e sull' unità in esse necessarie (anche il pietismo contribuì a
questo fatto). Un sintomo di questo spostamento è il rapporto tra pluralismo
e carattere vincolante. Mentre prima l' accento cadeva sul carattere vinco
lante della dogmatica, da lungo tempo si nota in questo campo piuttosto un
pluralismo; mentre prima l' etica e la teologia morale conducevano una vita
piuttosto grama (esse furono sviluppate soprattutto in connessione con gli
specchietti di esame di coscienza per la confessione), oggi ci si attendono
dalla chiesa parole vincolanti proprio in questo campo. - Noi cerchiamo di
vedere strettamente assieme, astraendo da queste tendenze, ambedue gli
aspetti.
Criteri sono perciò ritenuti nelle pagine seguenti non contenuti 'positivi'
scelti arbitrariamente, non rappresentazioni contenutistiche stabilite seman
ticamente, che costituirebbero ad esempio 'il carattere' del cristianesimo. E
meno ancora si tratta di un canone occulto nel canone o di pallini esegetici
nel senso di temi, che uno potrebbe poi trovare particolarmente importanti
nel Nuovo Testamento. Piuttosto ci domandiamo: dove gli stessi autori neo
testamentari potrebbero esserci oggi di aiuto nella ricerca di criteri? Non
con ciò che essi dicono, bensì con il modo in cui essi pervennero ai loro
risultati e con le metanorme del tipo di quelle che qui cerchiamo di indivi
duare e che essi chiaramente presuppongono.
Se la Scrittura è un 'modello autentico' , allora non dobbiamo !imitarci di
continuo a verificare le sue singole affermazioni per vedere se esse ci posso
no aiutare sotto forma di stimolo o di critica (in quale direzione, dovremmo
1 60 terza parte
' Ciò è vero sia sotto il profilo contenutistico che sotto il profilo della storia delle forme. Proprio
qui possiamo piuttosto dimostrare lo stretto legame esistente tra storia delle forme e storia della
religione.
' Cfr. K. BERGER, Formgeschichte des Neuen Testaments, Heidelberg 1984, 135- 1 4 1 .
Sulla prassi dell 'applicazione 161
IDENTITÀ
' Ciò risulta già dal non raro carattere contraddittorio delle stesse direttive bibliche.
4 MEISTER ECKHART, Reden der Unterscheidung, 1 97 ,6[ - 1 98,9] (Quint DW 5, 1 963).
' D. MIETH ( 1 982), 1 08.
" D. MIETH, op. cit. , 92.95s. l 2 l .
' Cfr. al riguardo ANRW II, 25,2, 1 1 53s.
1 62 terza parte
modo del tutto controfattuale - come l' assemblea dei santi. La pura utopia è
l' indicativo.
Con l ' aiuto di Meister Eckhart, dell' inno clementino e dell' apostrofe neo
testamentaria di ' santi' noi cerchiamo di rappresentare una forma di pensie
ro che sta alla base della concezione ermeneutica dell' autocontraddizione
religiosa e che ha alle sue spalle anche una tradizione cristiana8• Il vantaggio
particolare di questa forma di pensiero è l' unità indissolubile tra essere e
dovere, cosa che riguarda anche l' effetto retorico e esortativo. Di fronte a
tutte le difficoltà delle 'teologie neotestamentarie' di tipo kantiano, caratte
rizzate dai due concetti dell' indicativo e dell' imperativo, qui il punto di par
tenza va piuttosto presentato come uno status9• In altre parole: il fare di Dio
vuoi essere completo e non può fermarsi a metà dell' opera. Qui domandarsi
quale sia la parte divina e quale la parte umana nell' azione è cosa sbagliata
in linea di principio. Forse può esserci di aiuto l' immagine della recita tea
trale10.
Naturalmente dobbiamo ancora avanzare di un passo dietro quanto abbia
mo detto.
' Non si tratta di dimostrare o fondare una proposizione di fede, ma di descrivere anche storica
mente una categoria qui adoperata, al fine di mostrare l'affinità che questa forma di pensiero ha
con contenuti cristiani. Per il resto essa mi sembra essere meno problematica del modello moderno
del rapporto tra indicativo e imperativo.
• Cfr. al riguardo anche O. HANSSEN, Heilig, tesi di laurea, Heidelberg 1 985.
10
Punto di partenza di quanto segue è l'osservazione che riusciamo a padroneggiare più facil
mente la realtà umana quando la rappresentiamo in teatro o in altro modo che non quando cerchia
mo di farlo nella realtà. L' attore ha un ruolo, che svolge con facilità e come giocando. L' identità
cristiana equivale ad essere immessi in un ruolo da parte dello stesso Dio che ha scritto anche il
copione. La cosa importante è quella di non uscire da questo ruolo. Il ruolo è il nostro status.
I l J. B. METZ ( 1 977), 56.
Sulla prassi dell 'applicazione 1 63
come può l' uomo essere liberato e messo in grado di volere cambiamenti
salutari?
La prima cosa qui importante è quella di riconoscere il ruolo dell' identità
per l' etica e di considerare l' identità come un dono benefico. Questo signifi
ca: anche se una identità capace di assumersi responsabilità è solo il fine
dell' azione, tuttavia essa ha anche il valore di un suo criterio. E appunto di
questo si tratta qui e nelle pagine che seguono.
3. I singoli criteri
" Pensiamo al problema dei forti e dei deboli (l Cor 8, 1 . 10; 10,23) e a quello dei carismi (l Cor
1 4,3-5. 12. 17.26).
" 2 Cor 10,8; 1 3 , I O.
1 64 terza parte
Spirito, è una realtà religiosa preetica che non va distrutta, e nello stesso
tempo da questa struttura a forma di corpo derivano conseguenze concrete
per il comportamento 14• Ef 4, 1 2 parlerà quindi dell' edificazione del corpo.
Accanto al principio dell' edificazione si colloca quello dell' utilità, riferito
sia al singolo (l Cor 1 3 ,3) sia alla comunità (l Cor 14,6).
Oltre all' edificazione e all' utilità dobbiamo qui menzionare come terzo
criterio anche l' esistenza stessa della comunità: in 2 Cor 3 , 1 -3 Paolo, che
non può esibire lettere di raccomandazione davanti alla comunità, chiama la
comunità stessa la propria lettera. In altre parole: la stessa comunità, così
come essa esiste, è il criterio della legittimità dell' apostolo e del suo mes
saggio. Con questo argumentum ad hominem la comunità interpellata viene
rimandata alla sua propria esistenza di comunità cristiana. I cristiani di
Corinto non vorranno certamente negare che essa esiste, e di conseguenza
non vorranno neppure negare la legittimità in questo modo palese del van
gelo paolino.
Le menzionate affermazioni neotestamentarie sull' esistenza della comu
nità come base e criterio sono ermeneuticamente importanti, perché sono
aperte sotto il profilo del contenuto e vanno messe in rapporto con la conti
nuità della storia dell' elezione. Quest'ultimo punto va spiegato: ciò che inte
ressa a Paolo non è l' esistenza contingente di una qualche associazione reli
giosa, la cui esistenza o scomparsa non meriterebbe di servire da criterio per
direttive etiche. Ciò che gli sta a cuore sono piuttosto i santi e eletti di Dio
(l Cor 1 ,2; 6 , 1 s. ; 2 Cor 1 , 1 ), l " ekkles{a di Dio' e quindi la storia di Dio con
il suo popolo. Chi distrugge la comunità distrugge perciò l' opera di Dio (l
Cor 3 , 1 7).
Chi con la propria azione distrugge la comunità cade in contraddizione
con se stesso, perché «sega il ramo su cui sta seduto». Non si tratta perciò
solo di disturbi superficiali della comunicazione15, bensì Dio ha posto la sua
opera nel mondo come popolo, come tempio dello Spirito Santo. Chi la
distrugge, distrugge la sostanza dell' azione di Dio. Per questo motivo la
divisione della chiesa è condannata con tanta veemenza in l Cor 3 , 1 7 .
Un criterio è pertanto il seguente : l' esistenza stessa della comunità è
14 Pure in l Cor 6, 1 2-20 la tesi giuridica secondo la quale il corpo sarebbe, in base al proprio sta
tus, il tempio dello Spirito Santo è il fondamento dell' argomentazione.
" L'edificazione non ha in Paolo qualcosa a che fare né con il rapporto da uomo a uomo (indivi
dui), né con il rapporto tra uomo e Dio (il singolo e la sua conversione); il concetto di <<superamen
to della mancanza di rapporti>> (S. Kierkegaard), già in partenza di tipo filosofico, non coglie la
realtà filologico-storica dell' 'edificazione' in Paolo e meno ancora il problema ermeneutico. La
limitazione al modello del rapporto con Dio e con il prossimo non permette di scorgere la comu
nità.
Sulla prassi dell 'applicazione 1 65
un' opera preetica di Dio, che non va assolutamente distrutta. Nell' adottare
questo criterio nell' ermeneutica moderna occorre cercare di ovviare a possi
bili fraintendimenti:
l . Non si tratta del principio: «È bene ciò che giova alla comunità» . Si
tratta piuttosto dell' unità della comunità, e precisamente sotto il profilo del
la teologia dell' elezione. Questo significa concretamente : la divisione
volontaria della comunità cristiana è un delitto spaventoso, che va in ogni
caso impedito. Perché, per dirla in termini paolini, è il tempio santo di Dio
ad essere altrimenti distrutto.
Naturalmente nelle condizioni attuali, caratterizzate da una chiesa di
popolo, questa affermazione non va adottata senza riflettere, soprattutto per
ché non è plausibile la base della teologia dell' elezione, secondo la quale
l' unità della comunità è effetto e segno dell' unità e dell' unicità di Dio. Tut
tavia tale affermazione conserva anche oggi il suo peso critico: l' esistenza di
ogni comunità di battezzati è di per sé un valore, nonché opera e segno di
Dio nel mondo. Di conseguenza essa non va posta a cuor leggero in perico
lo. E ciò riguarda - questa è la punta ermeneutica della nostra tesi - qualsia
si applicazione della Scrittura in essa. Sotto il profilo positivo questo signifi
ca: il fine dell' interpretazione della Scrittura è la stessa esistenza viva della
comunità di Dio16 e la sua unità.
2. Il criterio sorprendentemente realistico dell' utilità è un buon correttivo
contro la spiritualizzazione e un falso idealismo altruistico. Già nello stesso
Nuovo Testamento osserviamo infatti che al singolo viene chiesto moltissi
mo (perdonare 70 volte 7), mentre bisogna impedire che singoli disprezzino
la comunità o la facciano cadere in discredito (Mt 1 8, 1 5-30 e l Cor 5). La
misericordia pura e semplice e il perdono ad ogni costo non valgono per la
comunità.
3. L'unità della comunità significa (cfr. l Cor 1 2) l' unità viva del diverso.
In altre parole il compromesso e il dialogo occupano qui sicuramente una
posizione di onore.
" Dato che qui si tratta della storia dell' elezione di Dio, vi è pienamente implicato nel senso di
Paolo anche il rapporto con l ' Israele non cristiano.
1 66 terza parte
SANTITÀ
Paolo fonda spesso la propria etica con l' aiuto del motivo della santità,
perché la santità fonda per lui l' unità tra soteriologia e etica, come ad esem
pio in 1 Ts 4,3 .7-8. L'etica della santità è perciò un' alternativa intrapaolina
al collegamento, altrimenti usuale nella teologia protestante, tra giustifica
zione e etica secondo Rom e Gal. Da l Ts 4,3ss. risulta chiaro che la 'san
tità' è una cerniera tra lo status religioso della comunità e le esigenze che di
qui vengono. La santità è perciò esattamente uno di quei criteri che noi cer
chiamo. Essa ha le seguenti importanti implicazioni teologiche:
l . La santità significa orientamento teocentrico. Non ci si domanda che
cosa 'ne viene' all' uomo o che cosa egli se ne fa. Si tratta piuttosto di una
·
proprietà corporea di Dio, donde la sua importanza per il corpo (l Cor 7,34)
o per la discendenza corporea (Rom 1 1 , 1 6) e tutte le conseguenze nel campo
del visibile (santità dello spazio e del tempo).
2. La santità implica sempre un taglio, un restringimento e una limitazio
ne della libertà delle manifestazioni vitali umane. Le tradizioni dell' ascesi
sacra e del lutto cultuale limitano in linea di principio la vita17• Esse ci dico
no perciò che la benedizione, la vita, la sessualità e la gioia sono cose che
non dipendono solo dall' uomo e alludono simbolicamente al fatto che
l' uomo non è il loro ultimo autore e che esse ci devono essere donate da
Dio. Esse rendono Dio visibile come origine e come padrone della vita. La
santità e le rappresentazioni tabuistiche vogliono nel loro insieme marcare la
vita come un dono.
3. La santità significa perciò che la vita comporta necessariamente sotto
l' aspetto religioso qualcosa che a prima vista sembra contraddirla: l' ascesi,
la rinuncia ecc., qualcosa che è tuttavia strettamente necessario.
4. La categoria della santità18 equivale perciò a una critica della fame di
vita di per sé illimitata dell' uomo. La fame di vita è infatti di per sé insazia
bile e quindi anche senza criterio. La santità è perciò rinuncia a una volontà
illimitata di vivere e di conseguenza una critica dei bisogni dell'uomo. Di
qui scaturiscono delle domande importanti:
17 Queste limitazioni (per es., divieto dei rapporti sessuali in tempi sacri o in luoghi sacri nel giu
daismo del tempo di Gesù) hanno, nella loro qualità di interruzioni del decorso normale della vita,
una importante funzione simbolica (anche magicamente concepita): esse stanno a indicare che la
benedizione e la vita (per esempio nel caso della continenza cultuale) o la gioia (nel caso del lutto
cultuale) devono essere di nuovo donate da Dio nel luogo sacro o nel tempo sacro.
" Su questo punto ho tratto preziosi suggerimenti dalla tesi di laurea di O. HANSSEN, Heilig, Hei
delberg 1 985 .
Sulla prassi dell 'applicazione 1 67
RADICALITÀ
RISPETTO
" Cfr. al riguardo K. BERGER, «Der Kosmos ist der heiligste Tempel . >> . Zur unterschiedlichen
. .
Wertung des Kosmos in der paganen und der christlich-gnostischen Antike, in G. RAU - A. M.
RITIER - H. TIMM (edd.), Frieden in der SchOpfung. Das Naturverstiindnis protestantischer Theo
logie, Giitersloh 1 987, 58-72.
1 70 terza parte
rispetto23 deve avere, per motivi desunti dalla teologia della creazione, una
priorità e una preminenza rispetto all' etica utilitaristica, tale priorità e pre
minenza comportano le seguenti cose:
l . L'etica utilitaristica non va accantonata, però ha nell'etica del rispetto
una cornice che le fornisce delle norme.
2. Se tale cornice è valida, ciò significa: gli interventi dell' uomo, che
cambiano stabilmente i campi della creazione e della vita, vanno ridotti al
minimo, perché la superbia umana viola il dovuto rispetto davanti a Dio.
Ciò vale, per esempio, per le uccisioni non necessarie in generale. Si tratta
di una vera e propria ritrosia di fronte all' uso di questo potere, perché la
realtà ha un carattere personale.
3. Tutto il 'fare' e ogni manipolazione d' una certa entità non sono di per
sé giustificati, ma vanno adeguatamente motivati e va dimostrata la loro rea
le necessità.
La riscoperta del mito e del pensiero mitico è senza dubbio collegata nel
nostro tempo con la percezione della crisi ecologica ed è una reazione reli
giosa spontanea a tale crisi. Il timore numinoso di fronte alla divinità pre
sente nella creazione è infatti tipico dell' immagine mitica del mondo. In
questo senso la . discussione sul mito va salutata. con favore, a patto che si
veda che il mito non è una faccenda 'pagana' , ma un tipo di esperienza pos
sibile e reale anche nell' ebraismo e nel cristianesimo24•
Risultato:
l . L' evitare interventi d' una certa entità e soprattutto non necessari nella
creazione (natura e uomo) è una conseguenza necessaria e diretta del rico
noscimento della creazione come opera di Dio antecedente qualsiasi opera
umana. Il rispetto religioso di Dio ha perciò come conseguenza diretta il
rispetto di tutto il creato (e non solo dell' uomo). Se infatti diciamo che la
creazione è 'opera' di Dio, qui il termine 'opera' non viene inteso nel senso
di un oggetto estraniato dal proprio autore, bensì nel senso di un oggetto che
rappresenta l' autore25• Contro l' etica del rispetto va anche una morale ses
suale nemica della vita.
2. L'etica del rispetto non dice che il mondo sia buono (pericolo questo
23 Cfr. A. SCHWEITZER, Kultur und Ethik (GW 2, 1 974, 95ss.), spec. XXI: «Die Ethik der Ehifur
cht vor dem Leben» (375-402) [cfr. A. SCHWEITZER, Rispetto per la vita, Claudiana, Torino 1 9834] .
24 Cfr. al riguardo K. BERGER, Daifman an Wunder glauben ?, Stuttgart 1996, 70-9 1 .
25 Sulla critica al concetto teologico abituale d i valore, cfr. K . BERGER, «Der Kosmos ist der hei
ligste Tempel... >>, 65s. e R. HEILIGENTHAL, Werke als Zeichen, Tiibingen 1 983.
Sulla prassi dell 'applicazione 171
presente nel pensiero mitico), bensì dice che l' agire dell'uomo è pericoloso.
Perciò il 'rispetto della vita' non si identifica neppure con una affermazione
della validità del diritto naturale.
3 . Poiché un noto pericolo del pensiero cristiano è quello di considerare il
mondo attuale solo come un mondo provvisorio e di trattarlo di conseguenza,
la funzione ermeneutica dell'etica del rispetto tende a privilegiare determina
te tradizioni e determinati effetti del Nuovo Testamento rispetto ad altri26•
GIOIA
,. Per esempio: prima della tradizione della scomparsa della vecchia creazione alla fine (Ap 2 1 )
o della consumazione degli elementi tra le fiamme (2 Pt 3), bisognerebbe, quando s i tratta di assu
mere come conseguenza un determinato comportamento verso la creazione, porre l' accento su
quelle affermazioni che non prevedono una catastrofe cosmica finale (per es., sull'escatologia
come processo di Ef e Col; dove Gesù Cristo è il mediatore della creazione, non si parla mai di una
catastrofe finale annientante il mondo, neppure in Eb).
27 Cfr. al riguardo K. BERGER, chdiro, in EWNT III, 1 079- 1083; chdra, ibid., 1087- 1090.
" Cfr. ad esempio Le 15,6.9.32; Gv 14,28; Mt 5 , 1 2; l Pt 4, 1 3 ; Fil 3, 1 ; 4,4. 10; l Ts 5 , 1 6; 2 Cor
1 3, 1 1 .
1 72 terza parte
Essa può perciò assumere una particolare importanza come criterio erme
neutico:
l . La gioia è un 'interruttore' religiosamente (estaticamente, escatologica
mente, carismaticamente) fondato e posto tra il fondamento salvifico e l' agi
re. Essa esprime il fatto che la salvezza concessa può e deve significare non
solo «sotto l' aspetto teologico», bensì anche in base all'esperienza una libe
razione che rende capaci di agire con gioia (in tedesco qualcosa di simile
esprime il termine Gebefreudigkeit, gioia di dare, generosità) .
2. In concreto questo criterio rappresenta una domanda rivolta ad ogni
applicazione: nell' effettuare un' applicazione si tiene conto del fatto che il
cristianesimo è possibile e teologicamente legittimo soltanto come supera
mento del contrasto tra essere e dovere, come fare gioioso? I comandamenti
cristiani non sono infatti delle norme che impongono un dovere, ma sono
aspetti della stessa realtà posti con la religione cristiana.
3. Perciò l' applicazione effettuata nella predicazione cristiana è legittima
soltanto se essa possiede una affinità con la facilità, con la spontaneità, con
la liberazione (anche dalla tendenza ossessiva ad adottare quelle rispettabili
abitudini di vita, che sono naturalmente capaci di venire a patti con qualsiasi
sistema) , con il gioco, con l' entusiasmo e con l' eliminazione della noia.
Contrari a ciò sono pertanto la costrizione e la minaccia come contenuto
prevalente della predicazione.
4. La gioia come criterio non significa ricevere solo cose piacevoli da
ascoltare o procedere solo con comodità, bensì è finalizzata alla radicalità ed
è con essa apparentata. E l' opzione in favore di elementi carismatici come
quello della 'gioia' non significa promozione di qualsiasi 'movimento cari
smatico' .
NECESSITÀ DI NORME
"' Secondo questo scritto di Lutero 'tutte le opere' diventano 'uguali' nella fede (WA 6,206).
Infatti il modo in cui uno deve comportarsi lo insegna soltanto la fiducia, perché tutto l'essenziale
avviene tra l'uomo e Dio (WA 6,207). - Questo significa: l' agire viene liberato dall'osservanza del
comandamento e trasformato in spontaneità. Il timore della giustizia delle opere conduce qui a
rinunciare a qualsiasi contenuto concreto. In questo modo però la tensione esistente tra etica indi
viduale e riferimento alla comunità non viene dissolta in misura sufficiente. Ognuno viene lasciato
solo con la decisione della propria coscienza (come dicono con frequenza anche nel presente cri
stiani evangelici disorientati). In questo modo si prepara però il distacco dell'etica dalla religione,
che caratterizza in larga misura il protestantesimo moderno nell' Europa occidentale. E questo tipo
di scomparsa dell'etica nella religione, come quella praticata in Lutero, comporta necessariamente
come contraccolpo una eticizzazione della religione quale quella attualmente diffusa. Di fronte alla
problematica di Lutero (che era nella sua epoca giustificata) dobbiamo dire: d'importanza essen
ziale dal nostro punto di vista non è solo il rapporto tra Dio e l' uomo, bensì anche la fantasia con
creta che costruisce su questa base.
30 E. TROELTSCH, Die Soziallehren der christlichen Kirchen und Gruppen l, Ttibingen 1 96 1 , 1 74:
«Per i teologi evangelici l' idea di un contenuto determinato dell'ethos cristiano è andata così smar
rita che tutto questo ethos si risolve per essi nel rifiuto delle buone opere e nella giusta definizione
della grazia comunicante le energie morali, mentre dal lato del contenuto esso degenera in una
totale mancanza di determinatezza>>. Cfr. al riguardo M. HoRKHEIMER, Kritische Theorie l, 1968,
27 1 [trad. it., Teorica critica, Einaudi, Torino] : « .. .infatti la religione fu così a lungo privata di un
contenuto chiaro e determinato, formalizzata, adattata, spiritualizzata, relegata nella interiorità più
intima del soggetto, fino a che essa venne a patti con ogni modo di agire e con ogni prassi pubblica
che era corrente in questa realtà ateistica».
" Cfr. R. B ULTMANN , GuV l, 239: «Il comandamento dell' amore dà fiducia all'uomo, presume
che nella concreta situazione della vita egli veda il suo prossimo o sappia cosa fare. (Nota: cfr.
l' <<ama, et fac quod vis>> di Agostino). Non esiste pertanto un'etica cristiana, intesa come una intel
ligente teoria circa quello che il cristiano ha da fare e da omettere>> [trad. it. , Il comandamento cri
stiano dell 'amore del prossimo, in Credere e comprendere, Queriniana, Brescia 1 977, 256-257]. Il
cristiano dovrebbe sempre decidere se vuole amare o no.
1 74 terza parte
denza dell' essere se stesso credente contro ogni sua immersione nel relati
vo32. Anche qui vediamo come l ' ermeneutica di Bultmann, così come
l' ermeneutica di Gadamer e della filosofia della riflessione, si riferiséano
soprattutto alla comprensione. Esse guardano, come diventa qui particolar
mente riconoscibile, alla comprensione del singolo33•
La posizione di Bultmann permette di riconoscere bene che la posizione
assunta verso il fenomeno della 'sfera pubblica' dà qualche indicazione cir
ca l' importanza etica di un' ermeneutica. Mentre in Lutero (cosa che non
stupisce più di tanto) e in Bultmann questo fenomeno non compare, nel
nostro schema esso ha una duplice funzione:
l . La sfera pubblica è l' orizzonte della plausibilità di decisioni non garan
tite da norme. Esiste una specie di 'coscienza pubblica' , che è oltremodo
importante per lo sviluppo di un'etica concreta e che non mira affatto solo
ad attenuare esigenze radicali. Vero è piuttosto che un determinato stato del
la coscienza pubblica non può di regola essere più semplicemente revocato.
2. La sfera pubblica è in linea generale il campo dell' agire (anche di quel
lo più privato) ed è perciò anche il campo della validità delle norme e della
loro obbligatorietà. E in essa esistono dei cerchi concentrici e sovrapponen
tisi.
Di qui deriva la necessità di norme anzitutto generali, desunte da qualsia-.
si antropologia che prenda sul serio la natura sociale dell'uomo, poi di nor
me particolari, atteso il fatto che la realtà del cristianesimo è una realtà
ecclesiologica34• Proprio qui sta la carenza perlomeno in R. Bultmann. Inol
tre io vedo le norme come accordi limitati, per cui il problema del legalismo
nella misura temuta da Lutero e Bultmann si fa meno pressante.
Quanto poi alla prassi del reperimento delle norme come problema erme
neutico dell' interpretazione della Scrittura, io considero i punti menzionati
qui di seguito come particolarmente importanti.
" H. G. GADAMER ( 1 975), per es. 295 [trad. it., 358] (tradizione e applicazione come rapporto tra
universale e particolare).
" Per esempio, in Le 1 0,25-37 alla domanda di tipo casistica viene data una risposta mediante
un racconto, che come tale non va imitato alla lettera, ma è un modello di come nasce una relazio
ne tra 'prossimi' . Luca risponde con un exemplum, che nel suo tempo poteva essere capito e accet
tato anche dai pagani.
" TH. W. ADORNO, Negative Dialektik, Frankfurt/M. 1966, 37 [trad. it. , Dialettica negativa,
Einaudi, Torino 1 970, 28).
1 76 terza parte
C OMPROMESSI
Norme del genere si trovano spesso nella Bibbia sotto forma di serie di
norme e hanno spesso un carattere protrettico39, come ad esempio comanda
menti del decalogo quale quello di «Non uccidere» o «Non resistere al
male», «Amate i vostri nemici...» (rinuncia alla violenza come ideale del
discorso della montagna) . Nella loro qualità di norme protrettiche queste
brevi formulazioni sono di regola generali (perciò formulate negativamente)
e 'radicali ' .
'" Cfr. al riguardo K. BERGER, Formgeschichte des Neuen Testaments, Heidelberg 1984, § 62,
2 1 7-220. Protrettiche sono le norme centrali che riguardano sempre l' orientamento di fondo. Inve
ce le norme casistiche entrano nei dettagli.
178 terza parte
Ciò che di fatto viene realizzato si colloca spesso al di sotto delle norme
menzionate nel punto 2 e 3.
I quattro gradi diventano chiaramente via via meno radicali. Il divario
esistente tra l'esigenza radicale (l) e la morale che tiene conto della situa
zione (2) si ripropone ancora una volta tra la morale che tiene conto della
situazione e il fare effettivo (4). Perciò si fanno regolarmente sempre perlo
meno due compromessi, quello tra il punto l e il punto 2 e quello tra il pun
to 2 e il punto 4. È perciò cosa problematica se si possa presentare il com
promesso effettuato nel punto 2 già come la massima attenuazione possibile,
perché poi si stabiliscono automaticamente ulteriori compromessi. Un com
promesso effettuato totalmente verso il basso nel punto 2 va contro il crite
rio sopra illustrato della radicalità di principio.
Una applicazione leale della Scrittura non può essere effettuata dichiaran
do semplicemente 'non valide' le norme menzionate nel punto l; occorre
piuttosto tener fede alla loro validità incondizionata in modo tale che ogni
compromesso escogitato (quanto menzionato nei punti 2, 3 e 4) possa essere
in continuazione da tali norme criticato. Con questo intendiamo dire: nel
caso di ogni compromesso occorre domandarsi se si è realmente sfruttato in
modo completo nella direzione della radicalità il margine esistente di
azione40•
40 Due esempi possono chiarire come esigenze bibliche, che sono condizionate dal bisogno della
situazione, possano in questo senso pervenire nuovamente a una rinnovata radicalità: se una volta
il comandamento dell'amore dei nemici di Mt 5,44 era riferito soprattutto all'inimicizia personale
e alle liti tra vicini (cfr. gli specchietti dell'esame di coscienza), adesso grazie alla peculiarità della
situazione e nello stesso tempo grazie a un rinnovato ricorso alla Scrittura diventa di nuovo visibi
le un tratto della radicalità originaria, in quanto quella proposizione viene riferita soprattutto ai
gruppi di nemici (valutazione di più vasti conflitti sociali con conseguenze importanti per ognu
no). La stessa cosa avviene con i comandamenti biblici relativi all'elemosina. Se fino al secolo
XIX essi erano spesso interpretati, nel senso del pauperismo, soltanto come un invito a donare
volentieri, una loro applicazione aggiornata è sicuramente tenuta a imporre a ognuno dei sensibili
oneri sociali. - I due esempi mostrano qualcosa dell'importanza della 'coscienza pubblica' per
l'applicazione.
Sulla prassi del!' applicazione 179
., Così io interpreto l'affermazione di J. Blank: «Ogni traduzione in pratica del testo deve
mostrare che l'uso della violenza è un segno del mondo irredento, che ha urgentemente bisogno di
redenzione e quindi... dei segni della non violenza» (Gewaltlosigkeit - Krieg - Militiirdienst, in
Orient. 46 (1982) 157-163.213-216.220-223, qui 161).
1 80 terza parte
LA CASISTICA È NECESSARIA ?
Mentre per M. Lutero e per R. Bultmann non solo le norme, bensì in par
ticolare le norme casistiche sono il compendio del legalismo da evitare ad
ogni costo, una ermeneutica orientata alla concretizzazione della prassi etica
e a norme di portata limitata non può rinunciare alla casistica. Uno sguardo
spassionato al Nuovo Testamento mostra infatti che il modo di procedere vi
è simile. E. Kasemann ha detto al riguardo il necessario44• Come ho già
accennato sopra, io non penso che la casistica neotestamentaria vada adotta
ta come là suona, bensì che la via, lungo la quale gli autori neotestamentari
42 Questa limitazione è importante, perché non bisogna introdurre surrettiziamente l' idea che i
testi biblici porrebbero di per sé delle 'esigenze' anche ai lettori odierni dei testi.
43 Con questo non intendiamo naturalmente dire che le esigenze radicali menzionate nel punto l
non siano storicamente condizionate. Esse rispecchiano solo l' intenzione del testo in altro modo;
sulla soluzione di questo problema cfr. quanto abbiamo sopra detto a proposito della lealtà.
44 E. KAsEMANN, Gruruisiitzliches zur lnterpretation von Rom 13, in Id., Exegetische Versuche
und Besinnungen II, Gottingen 1 964, 205 : il Nuovo Testamento porrebbe «incessantemente in
modo quasi casistico singole esigenze». «Nel Nuovo Testamento>> la grazia «farebbe valere il pro
prio diritto mediante un gran numero di singole esigenze, la qual cosa significa che essa ci prende
a proprio servizio in tutti i nostri rapporti e con tutto il nostro patrimonio, quindi con il nostro
mondo e il nostro mondo con noi>>. Sullo sfondo si delinea una concezione dell'importanza teolo
gica del mondo chiaramente diversa da quella di R. Bultrnann: mentre in R. Bultmann la fede è
'demondanizzazione' (decisiva è la libertà nei confronti del mondo), in Kiisemann vengono sottoli
neate la responsabilità del credente nel mondo e le pretese che la fede avanza nei confronti del
mondo e del servizio dei cristiani nel mondo.
Sulla prassi dell 'applicazione 181
., Per il tempo del Nuovo Testamento il 'dominio' , la sovranità, il regnare, sono chiaramente
l 'unica possibilità di descrivere la libertà. Gli oppressi di oggi sono pensabili solo come i regnanti
di domani. Oggi la pensiamo diversamente al riguardo (influsso della rivoluzione francese sul
nostro modo di pensare?). Qui, nell' applicazione, occorre perciò badare all'effetto che questo tipo
di linguaggio produce sull' ascoltatore. - La base metodica di queste osservazioni non è il - vano
tentativo di esercitare una critica oggettiva, bensì la critica della ricezione. - Per quanto riguarda
Luca possiamo dire: egli approva la 'pulsione del dominio' così come approva la 'pulsione del
possesso' e si attende da Dio solo un' altra ripartizione dell' uno e dell' altro. In questo modo egli
interpella sì gli uomini e i loro interessi, però Dio è e rimane il Signore.
"" Di ciò fa parte una serie di ideali del Paese della Cuccagna, come lo scansamento ad ogni
costo del dolore (conseguenza concreta: iniezioni contro il dolore ad ogni intervento del dentista;
l' ideale del parto indolore reso possibile da iniezioni; il prolungamento della vita secondo criteri di
possibilità puramente cliniche; deprezzamento del lavoro per avere il maggior tempo libero possi
bile; riposo e cura ansiosa della salute ad ogni costo; uso illimitato della tecnologia come fine
dell'esistenza dell 'uomo).
1 82 terza parte
C OERCIZIONI OGGETIIVE
Nell ' odierna discussione teologica una maggiore attenzione viene riser
vata al fenomeno dell' 'autonomia' di ordinamenti umani di fatto esistenti e
delle coercizioni oggettive che da essi risultano48• - Siamo di fronte a una
'coercizione oggettiva' quando coloro che sono chiamati ad agire non rie
scono più a vedere, a motivo della situazione e della materia, alcun margi
ne decisionale per soluzioni alternative. Spesso questa necessità di agire è
sul punto di essere istituzionalizzata (come, per esempio, nel caso della
ossessione dei regali a Natale). Spesso si tratta perciò di binari nel modo di
agire, che non possono più essere semplicemente cancellati, di binari in
gran parte moralmente accettati in modo rigoroso e che sono perciò 'più
sacri ' di leggi. Poiché spesso si adducono a pretesto 'coercizioni oggetti
ve' , mentre in realtà si preferisce semplicemente ciò che è più comodo,
occorre qui accennare alle possibilità dell ' «applicazione come libertà» .
Non di rado però si instaura anche un circolo vizioso: lo stato non può dan
neggiare rami dell' economia ecologicamente pregiudizievoli, perché vive
in modo determinante di essi. Oppure: il lobbismo, l' opinione pubblica e
gli strumenti di comunicazione sociale bloccano" misure ragionevoli, ma
impopolari, che possono risolvere i problemi. In questo senso valgono le
seguenti regole:
l . Sfruttare l' anticamera: durante la discussione, prima della fissazione, i
margini di azione sono di regola ancora più grandi.
2. Autorità mediante la competenza: una maggiore conoscenza della
materia significa una maggior libertà di azione.
3. Rispetto diversificato di coazioni oggettive: occorre distinguere tra ciò
che risulta da leggi e ciò che sembra essere predettato solo dalla situazione
finanziaria. In ogni caso l ' importante sta nel non rendersi la decisione facile
mediante asserite coercizioni oggettive.
Regola 1: c'è responsabilità solo là dove si conoscono i dati oggettivi. -
Per questo motivo esistono ruoli diversi nella società. I cristiani non sono
per natura responsabili di tutto. Esiste però una responsabilità sussidiaria, se
vengono toccati gli interessi di tutti. Tuttavia anche la percezione di questa
sussidiarietà presuppone una competenza.
Regola II: le strutture e le istituzioni non sono più rigide degli uomini che
le maneggiano. - Dappertutto si tratta di uomini che amministrano e maneg
giano qualcosa. Pure i detentori di un ufficio hanno bisogno di riposo (Le
terebbe che le regole etiche sono più facilmente formulabili in modo negati
vo che non in modo positivo-prescrittivo. Le conseguenze derivanti da que
sta concezione sono le seguenti:
l . Nella ricerca delle norme, quanto più complessi sono i contesti, tanto
meno la Scrittura e la sua applicazione possono da sole fornire argomenti.
Più spesso si tratterà di combinazioni di fondazioni.
2. La sola distinzione astratta tra bene e male e tra giusto e sbagliato è
spesso insoddisfacente. Questo significa: si tratta di casistica e quindi di un
modello che, come si può dimostrare, è più vicino al pensiero biblico che
non la suddivisione in bene e male.
3. «< criteri etici negativi (argomenti di rifiuto, criteri di contraddizione)
sono spesso fondabili in modo più chiaro che non le richieste. I cataloghi
etici negativi non dovrebbero essere respinti dai teologi come 'legalistici' »
(D. RITSCHL, op. cit. , col. 3).
La trattazione così conclusa dei criteri dell' applicazione e della conèreta
ricerca di norme rimanda chiaramente, sotto il profilo contenutistico, al di là
di una ermeneutica immanente al testo e/o alla coscienza. Ciò vale in mag
gior misura quando ora ci occupiamo degli artefici concreti dell' applicazio
ne della Scrittura.
I L PRINCIPIO GNOSEOLOGICO
" F. STEFFENSKY ( 1 9 8 1 ), 1 1 1 .
" Cfr. al riguardo S. LENZ, Gescprache mit Manès Sperber und Leszek Kolakowski, Hamburg
1 980; i vi L. Kolakowski: <<Siamo costretti ad accettare e riconoscere limitazioni, che lo vogliamo o
no, anche se questo ci getta nella disperazione o ci fa soffrire, cosa che è naturalmente possibile
per molti. Il guaio è' solo che nessun uomo politico ha il coraggio di dirlo, né nei paesi democratici
né in quelli dispotici. Nessuno ha il coraggio di dire ai propri elettori: 'Avete abbastanza. Dovete
contentarvi di quel che avete. O, se necessario, anche di meno. E non morirete per questo ! ' . Nes
sun uomo politico può dire una cosa del genere. Tutti devono promettere di più o, diciamo meglio,
mentire - 'lo vi darò sempre di più, voi guadagnerete sempre di più ' >> ( 1 17).
1 88 terza parte
e retribuzione. - Pure qui i rapporti sono nella realtà più complicati di quan
to appaia secondo il nostro modo idealtipico di rappresentarci le cose: le vit
time non sono infatti stabilite in partenza, vittime si è solo e sempre sotto
questo o quell' aspetto, solo e sempre in seguito a una capacità di azione tra
dotta in atto (a una grave minaccia, a un annientamento fisico: martiri). Inol
tre di regola sempre più scompaiono i confini tra carnefici e vittime. In ogni
caso nelle nazioni industriali occidentali gli uomini sono nello stesso tempo
oppressori e oppressi. Dobbiamo riflettere sui nessi intercorrenti tra il ruolo
di vittime e quello di carnefici (trasmissione di quanto si è ricevuto). Se con
tinuo a usare il termine 'vittime' , lo faccio ancora una volta perché esso
descrive aspetti della realtà umana (sofferenza, mancanza di voce ecc.),
anche se di rado pu ò essere totalmente identificato con persone.
Il problema sta sicuramente abbastanza spesso nel fatto che le vittime non
riescono a stabilire per che cosa e come esse soffrono. E la domanda è: pos
sono esse, qualora lo percepiscano, articolare il loro dolore provocato dalla
massiccia pressione sociale, la quale conduce a far sì che i sofferenti, che
non possono addurre come causa della loro sofferenza alcun colpo del desti
no, siano esclusi come dei falliti? - Qui dobbiamo ricordare quanto abbiamo
sopra detto a proposito della questione della possibilità di diventare sogget
to. E per quanto riguarda l' importanza delle vittime palesi per il ritrovamen
to della verità dobbiamo dire:
Gli elementi negativi, gli errori e le omissioni sono di regola riconosciuti
in modo più preciso di tutto il resto; la critica troverà sempre più facilmente
consenso che non le posizioni. Il diritto disprezzato, . la dignità ferita e le
relazioni violate sono più facilmente individuabili e descrivibili in un modo
capace di riscuotee il consenso che non controversi beni positivi. - Occorre
sfruttare in favore della questione della verità questa evidenza ovunque
imponentesi della mancanza. I limiti e il bisogno di rinnovamento di qual
siasi iniziativa, di qualsiasi sistema e di qualsiasi potere vengono infatti
riconosciuti in base al fatto che essi producono indubbiamente delle vittime
innocenti . La sofferenza ha di regola più diritto del potere, perché la soffe
renza innocente indica già con la sua semplice esistenza i limiti della legitti
mità del potere.
L' altra faccia di questa conoscenza è che ogni possesso del potere mani
festa in quanto tale una tendenza a creare sempre più ingiustizia. Innegabi
le è l' esperienza che il possesso del potere corrompe, e precisamente già
per il fatto che il detentore del potere, ben sapendo che si tratta di un pos
sesso passeggero, si impegna sempre di più per conservarlo. Si sviluppa un
dinamismo automatico in direzione della conservazione del potere, dina
mismo a cui non è pressoché possibile sottrarsi, dinamismo che rende cie-
Sulla prassi dell 'applicazione 1 89
chi e che conduce a favorire sempre più solo gli amici e a svantaggiare i
dissidenti55•
6. Confronto
" Come invito a riflettere citiamo, senza ulteriori commenti, R. OBERLERCHER, Erst revoltiert,
dann promoviert, in Rheinischer Merkur l Christ und Welt, nr. 1 6, 1 4.4. 1 988: «l crimini, che
l'inconsapevole conformismo copre, non avvengono mai nel passato, bensì sempre nel presente.
La dialettica della nostra vittoria (cioè della generazione dei sessantottini, K. B.) si è spinta sino al
punto che il fascismo e l' antisemitismo sono oggi effettivamente le uniche posizioni la cui assun
zione in Germania richiederebbe coraggio morale e ardire intellettuale. Di questo ardire aveva
negli anni ' 60 bisogno colui che applicava accademicamente la teoria marxista, e non ne ha oggi
bisogno colui che la ignora come un tema non moderno>>.
•• Cfr. sulla teoria della storia comparata delle religioni K. BERGER - C. COLPE ( 1 987), 1 1 ss.
1 90 terza parte
57 Cfr. K. BERGER, Formgeschichte des Neuen Testaments, Heidelberg 1 984, 4 1 -45 .373-376.
Sulla prassi dell 'applicazione 191
" Sul rapporto tra metafora e esperienza, cfr. K. B ERGER, Formgeschichte des Neuen
Testaments, 1 984, 32-36; sul carattere non oggettivate dell'esperienza formulata in metafore, cfr.
lo. ( 1 986), 1 74- 176.
Sulla prassi de/l 'applicazione 1 93
" Cfr. al riguardo W. RICHTER, Exegese als Literaturwissenschaft, Gi:ittingen 1 97 1 , 1 14; K. BER
GER, Exegese des Neuen Testaments (UTB 658), Heidelberg 1 9842, I l s.
"' Cfr. al riguardo K. BERGER, Formgeschichte des Neuen Testaments, Heidelberg 1 984, 42: <<La
parabola è un testo relativo al suo contesto e non un testo a sé stante». - Opposta è la concezione
1 94 terza parte
Con le diverse situazioni dell' applicazione, in cui un testo viene posto, cam
bia perciò il contesto di questa 'parabola' e quindi anche ciò che essa per
tale contesto significa. - Dall' altro lato neppure la situazione è un testo defi
nitivo, perché di fronte ai numerosi aspetti che una situazione racchiude in
sé non è stabilito in partenza dove stia il suo punto focale espressivo nei
confronti del testo biblico. Si stabilisce così un circolo, una reciproca chiari
ficazione del punto principale del testo biblico e del punto focale della situa
zione al cospetto di questo testo. Solo di fronte al testo biblico da interpreta
re la situazione acquisisce quel punto focale che si adatta a questo testo.
Così alla fine si stabilisce oggi un collegamento tra il punto principale del
testo biblico e il punto focale della situazione in cui esso parla e su cui deve
influire.
6. La differenza rispetto ad alcune tecniche dell' interpretazione allegorica
sta nel fatto che non vanno appunto applicati tutti i punti di collegamento.
Questo costituisce la libertà dell' interprete. Il problema del punto principale
deve soprattutto servire a impedire un' applicazione del testo biblico parola
per parola. Esso traspone perciò l' istanza avanzata da Jiilicher nello studio
delle parabole all' applicazione di testi in generale. Quella che Jiilicher com
batté come interpretazione allegorica sta anche qui nel mirino, però in un
senso più generale e radicale.
Mentre l ' esegeta può individuare il punto principale di una parabola
biblica in relazione al contesto di quel tempo (o può motivare o contestare
con argomenti filologici e storici questa o quella ipotesi circa il punto prin
cipale), quale possa essere il punto principale di un testo biblico in una
situazione odierna è cosa che non risulta naturalmente chiara in partenza,
ma che va individuata dall' interprete. Io mi rappresento questo processo
così: l' interprete si domanda sotto quale aspetto un testo biblico potrebbe
essere efficace nel nuovo contesto in cui esso viene posto, come in partico
lare lo possa correggere e contribuire al suo fruttuoso cambiamento. Detto
in termini figurati: il testo e la situazione vanno 'scrollati' fin quando dai
due non cadono elementi che stanno in parallelo fra di loro e che possono
servire da reciproche teste di ponte.
Questo processo non esige solo conoscenze in ambedue i campi, nel cam
po del testo come in quello della situazione; oltre alle conoscenze ci vuole
(come in generale quando si tratta di esprimere un giudizio retorico su para
bole) una sensibilità per l'effetto potenziale. In altre parole: quale elemento
secondo la quale le parabole di Gesù sarebbero state originariamente non correlate al loro contesto
e 'autonome' ; cfr. W. HARNISCH, Die Gleichniserziihlungen Jesu (UTB 1 343), Gottingen 1985.
Sulla prassi dell 'applicazione 1 95
del testo biblico può qui diventare il punto principale in modo tale da rag
giungere ora gli uomini e parlare loro?
Dalla tensione tra l' immagine e il contesto nasce, provocato dal punto prin
cipale, un nuovo testo, il 'testo applicativo' . Nel caso delle parabole neotesta
mentarie, per esempio, le interpretazioni allegoriche sono tentativi di colloca
re i testi applicativi direttamente accanto ai testi metaforici che li hanno susci
tati. - Un testo applicativo nasce anche dalla tensione tra il testo biblico e la
situazione e ha spesso la forma di una predica o di una meditazione.
Ma questo testo applicativo così inteso, qualora colui che l'ha prodotto
non sia nello stesso tempo anche il suo 'consumatore finale ' , è a sua volta di
nuovo un testo parabolico. Questo succede, ad esempio, quando l' ascoltato
re di una predica inserisce ora il testo ascoltato nel mondo della sua vita
quotidiana. Pure in questo caso il testo ascoltato, per esempio, in una chiesa
agisce come un corpo estraneo nel mondo del lavoro quotidiano. E adesso si
tratta di nuovo di trovare in questo testo un punto principale che gli permet
ta di riferirsi alla situazione in cui l' ascoltatore si trova. Sorge così di nuovo
un secondo testo applicativo, spesso sotto forma di modo di fare non espres
samente formulato in parole.
La differenza tra l' immagine e la legge sta qui : l ' immagine lascia la
libertà di percepire in modo individuale e quindi anche di interpretare in
modo creativo. Perciò già negli stessi testi biblici di particolare importanza
sono le metafore, perché esse possono essere riprese e portate avanti in
metafore affini (riferimento a catene o reti di metafore). Molto importanti
sono le tipologie proposte o suggerite dalla stessa Scrittura, in particolare
quelle tra Antico e Nuovo Testamento ; una tipologia lascia infatti alla
rispettiva figura e al rispettivo testo il suo proprio diritto storico, · ma inco
raggia nello stesso tempo a stabilire dei paragoni, lascia cioè sussistere il
simile e il dissimile nella cornice di una storia. Infine una particolare impor
tanza per la sfera emotiva degli ascoltatori hanno gli elementi mitici della
B ibbia, perché essi sono delle interpretazioni fondamentali della vita.
D ' importanza decisiva sono perciò nella ricezione e nell ' applicazione di
miti il riconoscimento e la trasformazione.
Per la prassi della meditazione, che si colloca tra esegesi e testo applicati
vo, particolarmente importanti sono per me i punti seguenti: a) scoperta del
le teste di ponte tra il testo e la mia situazione, di cui fanno parte in modo
particolare anche i miei timori e le mie speranze; b) estraniamento della mia
situazione di fronte al testo (qui anche modo nuovo di sperimentare espe
rienze quanto mai qu otidiane ; inserimento delle esperienze di 'vita' ) ; c)
rafforzamento della forma figurata del testo biblico, anche riprendendo le
numerose metafore dei Padri della chiesa; d) 'messinscena' liturgica del
196 terza parte
'
CONFRONTO DI CAMPI DEI TESTI (ASPETIO DELL EFFICACIA )
61 L' individuazione del punto principale ha soprattutto il compito di rendere possibile al testo di
funzionare nel modo giusto (suggerimento di C. Nord). Se interpreti diversi trovano, nella cornice
di questa libertà, diversi punti principali, diventa necessario un dialogo critico. Questa esigenza sta
in un permanente rapporto dialettico con la libertà dell' applicazione, e qui sta anche un' importante
differenza rispetto al modello del Nuovo Testamento. Gli autori neotestamentari non fanno
dell'esegesi storico-critica, e questo non è certo una cosa che si possa loro rimproverare. Proposta
di soluzione: oggi dovremmo distinguere un' esegesi che guarda al testo dalla lealtà personale (ver
so autori cristiani antichi). Le due cose non si escludono a vicenda, ma si completano.
198 terza parte
porto giudaismo/cristianesimo.
Sulla prassi dell 'applicazione 1 99
M EDIAZIONE LITURGICA
62 Paolo cita in 2 Cor 5, l4b- l 5 la tradizione cristiana primitiva della morte vicaria di Gesù Cri
sto. Egli lo fa però senza alcuna intenzione di dire qualcosa sulla eliminazione del peccato; nel
patrimonio delle idee tradizionali viene qui unicamente scelto un determinato punto di vista: uno
esistette per tutti, e sotto questa regola stanno pure tutti coloro che a questo uno appartengono.
Fine perseguito nel contesto: l' apostolo non ha interessi personali, ma esiste completamente per
altri. Non può perciò gloriarsi come fanno gli uomini. Questo significa: l' apostolo utilizza qui la
tradizione della rappresentanza per distinguere apologeticamente il proprio apostolato da quello di
altri. Non possiamo dire che egli fosse qui animato da un interesse cristologico. La stessa cosa suc
cede in 5, l 8s., con la dottrina della riconciliazione: pure questa è citata per classificare l'apostolo
come mediatore della riconciliazione (cfr. v. 20). In altre parole: Paolo cita e seleziona molto libe
ramente.
200 terza pane
qui i diversi gradi della rappresentanza nel culto. La celebrazione della mes
sa offre una specie di concentrato di tutte le funzioni vitali essenziali per
quanto riguarda la nuova vita davanti a Dio: ascoltàre e rispondere, mangia
re e bere, lavare e riscaldare, tacere e cantare, pensare agli altri (collette) e
darsi a vicenda la pace. Il fatto che manchi (sperabilmente) solo il dormire
ha la sua motivazione nel fatto che, nella comunione con gli angeli (isan
ghelia, così il culto è infatti concepito) il dormire non ha alcun posto.
Già la metafora degli stessi testi liturgici si riallaccia al linguaggio bibli
co, in particolare a metafore bibliche. In maniera esemplare questo è ricono
scibile nel modo in cui le liturgie dei defunti delle piccole chiese orientali
cristiane prolungano tale linguaggio (citazioni al riguardo in K. B ERGER, 1st
rrtit dem Tod al/es aus ?, Stuttgart 1 997).
Lo stile di vita realizzato nello spazio del culto deve irradiarsi come lievi
to anche nella vita quotidiana.
7. Applicazione e emotività
63 Cfr. al riguardo D. SOLLE ( 1 975), 85: «<l protestantesimo, che all'interno della propria religio
ne ha tanto rinunciato a immagini, miti e rituali, lascia gli uomini inermi, non sviluppa alcun lin
guaggio legato all'esperienza che abbia effetti umanizzanti, consolanti e comprensibili. Dio diven
ta inesprimibile e muto; il suo carattere di superpotenza fatale, che atterra, divora tutte le altre
Sulla prassi dell 'applicazione 201
ca64• E qui la verbalizzazione delle emozioni potrebbe avere anche una rile
vanza emancipatoria.
3. A questa osservazione corrisponde la riscoperta della retorica nell' ese
gesi65 e nell' omiletica moderna (cfr. G. Otto).
4. Pure nella discussione tradizionale sull' ermeneutica la dimensione del
le emozioni è importante, perché un' analisi più accurata mostra che sia la
'precomprensione' di Gadamer, sia anche !"ermeneutica dell' intesa' di P.
S tuhlmacher possono es sere debitamente valutate solo tenendo conto
dell' emotività.
DEFINIZIONE CONCETIUALE
esperienze; egli è così lontano dagli uomini, così 'completamente diverso' che le esperienze fatte
con lui diventano inesprimibili e incomunicabili>>. A p. 1 72 ella lamenta la repressione dell'emoti
vità, che ha come conseguenza il rigurgito dei sentimenti e un diffuso stato di depressione: «Le
emozioni non vengono espresse e comunicate verbalmente; e appunto questo possono invece fare
gruppi religiosi di tipo emancipatorio>>.
64 Cfr. al riguardo J. B. MElZ ( 1 980), 75 [trad. it., 6 1 ] (sull'ermeneutica del protestantesimo):
<<In effetti essa è l' unica religione del mondo, che per bocca dei suoi teologi fa dire di non voler
essere una religione, bensì ' solo fede' , 'solo grazia' , come se la religione visibile, la religione
festosa, la religione con liturgie toccanti, con la gioia dei simboli e dei miti, non fosse anche una
lode essenziale, per quanto sempre insidiata da pericoli, della grazia con i sensi>> .
., Cfr. al riguardo F. SIEGERT, Argumentation bei Paulus, Tiibingen 1 985; K. BERGER Einfuh ,
rung in die Formgeschichte (UTB 1 444) , Tiibingen 1 987, 1 39s. l 62- 1 64. 1 67. 1 73.207.257.259-26 1 .
66 Circa i l metodo: in questo paragrafo rasentiamo la psicologia, e i l nostro modo di procedere va
distinto dalla psicologia così: l) a differenza delle normali scienze moderne adottiamo qui aperta
mente un tipo di considerazione (religioso-) fenomenologico. b) La cosa più importante sono affer
mazioni antiche sul tema, perché esse sono più vicine ai testi che non le valutazioni moderne. c)
Queste affermazioni antiche sono tuttavia qui utilizzate in modo tale che noi aderiamo solo a ciò
che appare a prima vista plausibile e utile. La teoria antica è così utilizzata non in modo esegetico,
ma applicativo.
67 Verosimilmente questa logica segue l'intensità (anche se questa assume forme paradossali; in
ogni caso segue meno la logicità lineare), la sinestesia, la qualità complessiva dell' appello e bada
di più alla contemporaneità. Per il resto, cfr. più avanti.
202 terza pane
ta con i nostri mezzi. Qui di seguito ci riferiamo al campo dei segni, del lin
guaggio e dei testi.
LA CORNICE
Punto di partenza delle nostre considerazioni è il fatto che, nel campo del
non razionale, l' emotività costituisce la più grande cornice possibile di cui
occorre tener conto e a cui bisogna far riferimento. Tra l' altro, pure questo
rientra nella logica dell' emotività: per le emozioni può in questo campo
essere importante semplicemente tutto, dall' abbigliamento alla gestualità, al
tono della voce e fino all' uso di parole straniere e di pause nelle proposizio
ni, dalla semantica fino alla sorpresa (nella ricezione) provocata da nuove
forme. La cura minuziosa e spesso affaticante con cui antichi retori descri
vono la comunicazione umana (e nella loro scia H. Lausberg con la sua
meritevole opera in collaborazione Handbuch der Rhetorik), è espressione
del fatto che, per la comunicazione non razionale, possono diventare sempli
cemente importanti tutti gli elementi della situazione comunicativa.
L'emotività si riferisce perciò potenzialmente al tutto e ad elementi (appa
rentemente) qualsivoglia della situazione. Che qui il 'tutto' o il 'qualsivo
glia' possano diventare importanti costituisce la non prevedibilità e la non
calcolabilità di questo campo . Importante è una cosa: naturalmente non
sempre tutto è in ugual modo importante in una situazione, bensì l' emotività
provvede a far sì che, nel campo extrarazionale, si formino dei punti focali.
EMOTIVITÀ E LIBERTÀ
libera, a meno che essa si sia in antecedenza per propri motivi volontaria
mente legata.
2. Il fenomeno della 'patria culturale/spirituale' significa, con la massa
dei 'pregiudizi' , nello stesso tempo un chiaro legame emotivo.
3 . Una applicazione non dovrebbe essere solo un discorso razionale 'sul '
testo, bensì con l' aiuto delle immagini utilizzate dovrebbe comunicare quan
to intende comunicare anche in modo esperienziale vivo. Ciò può avvenire
mediante la messinscena dello stesso testo applicativo o per la via di proba
bili associazioni.
4. La nostra ermeneutica non è un' ermeneutica 'emotiva' ; essa vuole sol
tanto porre in risalto il valore posizionate di questa sfera e farlo precisamen
te in base al principio che la teologia è una descrizione che dovrebbe render
completamente giustizia a ogni fenomeno. Perciò, a differenza ad esempio
di H. G. Gadamer e di P. Stuhlmacher, io non posso fare come se questo set
tore non esistesse per il campo dell' ermeneutica e come se l' emotività fosse,
rispetto alla ratio universale, solo l' individuale e, quindi, qualcosa di trascu
rabile (H. G. Gadamer) . - Piuttosto, secondo la mia opinione, la ratio e
l' emotività svolgono funzioni diverse nell' ermeneutica.
5. Di fronte all' evidenza del conflitto tra potere e vita la reazione della
ratio va distinta da quella dell' emotività.
., La lealtà della comunicazione fa perciò parte dei valori impliciti in questa ermeneutica. Il suo
significato corrisponde a quello che sopra abbiamo rilevato a proposito del fenomeno della sfera
·
71 Secondo l Sam 16 Davide era «con il gregge» a Betlemme prima di diventare re. Manca una
206 terza pane
lato però Luca si ispira per il suo racconto alla bucolica pagana contempora
nea che - in modo affine alla georgica72 - descrive spesso il carattere idillia
co della vita dei pastori, un carattere che serve da parte sua, proprio in quan
to idilliaco e con ciò capace di costituire un appello emotivo, a una conce
zione storico-teologica.
Nell ' ordinamento della vita campestre sopravvive una traccia dell' età
dell' oro; la vita in campagna ne è l'ultimo riflesso. In Virgilio e Tibullo tro
viamo la nostalgia di un passato in cui non c ' erano guerre, in cui non c' era
no né fortezze né muraglioni e in cui il pastore poteva sonnecchiare tran
quillo accanto alle pecore pascolanti in pace. Quello era un mondo di purez
za, di armonia e di ordine73• Nel mondo semplice dei pastori vivono ancora,
in mezzo all ' età del ' ferro ' altrove imperante, la pace e la giustizia
dell 'aurea aetas. Qui la terra è rimasta in un' alleanza pacifica con i contadi
ni, e un ruolo particolare svolgono anche le api, cui qui - così come negli
inni cristiani successivi (cero pasquale) - vengono ascritti attributi quasi
divini.
L'età dell ' oro non è naturalmente solo un punto di riferimento passato e
critico per il presente: la quarta egloga di Virgilio mostra chiaramente che
qui si tratta anche di una speranza escatologica relativa al futuro, verosimil
mente relativa addirittura a un futuro prossimo. «Dai primi giorni dell' uma
nità spira verso il poeta il ricordo presago della realtà perduta, e sul futuro
pende la promessa del ritorno di tale realtà. L' arcadia è una rivisitazione
onirica di ciò che è stato e una struggente anticipazione del futuro»74• La
promessa, e questo è qui importante, è «pervasa e dominata dal grazioso e
dal lezioso»75• Perciò la nascita del bambino promette l' inizio di una futura
età felice.
Tipica dell ' età saturniana e dell ' oro è la pace che regna tra gli animali .
Su una chiara cristologia pastorale nel Nuovo Testamento, cfr. soprattutto: Gesù cerca la pecora
smarrita, egli è 'inviato' alle pecore smarrite della casa d'Israele. Questa missione viene continua
mente resa, per quanto riguarda il suo contenuto, con i termini 'salvare' e 'salvatore', allorché si
tratta di descrivere la funzione del pastore. Alla base della cristologia pastorale c'è perciò in modo
particolare la concezione della salvezza come 'raduno' . Anche in Eb 13,20 Gesù è detto il <<pastore
grande delle pecore>> .
72 Cfr. al riguardo R. KETIEMANN, Bukolik und Georgik. Studien zu ihrer Affinitiit bei Vergil und
spiiter, Heidelberg 1 977.
73 Cfr. R. KETIEMANN, op. cit. , 1 29.
74 F. BECKMANN, Mensch und Welt in der Dichtung Vergils (Orbis antiquus l ), Miinster 1 960',
13.
7 5 C. BECKER, Vergils Eklogenbuch, i n Hennes 8 3 ( 1 955) 3 1 4-349, qui 341 .
Sulla prassi dell 'applicazione 207
Nella quarta egloga di Virgilio leggiamo: «Le mandrie non temono più i
possenti leoni. . . scomparirà anche il serpente». Si confrontino queste parole
con fs 1 1 ,6s. : «Il lupo dimorerà insieme con l' agnello, la pantera si sdraierà
accanto al capretto . . . La mucca e l' orsa pascoleranno insieme; si sdraieranno
insieme i loro piccoli. Il leone si ciberà di paglia, come il bue)). Come sotto
linea H.-J. MahF6, nell' idillica delle egloghe la realtà poetica diventa per la
prima volta l' immagine dell'età dell' oro77• - Pertanto concludiamo: la pace
tra gli animali è un elemento dell ' idillica; in Virgilio essa è concepita come
una parte integrale del mondo romantico dei pastori, e il tutto è un' immagi
ne della pace di grande rilevanza politica.
Infine la bucolica e l' idillica contrastano nettamente con il mondo della
città di Roma e delle città in generale78• Simile è anche il contrasto tra il
mondo dei generali e delle guerre, da un alto, e il mondo pacifico dei pasto
ri, dall' altro lato. Il potere, gli intrighi e la guerra stanno dalla parte della
civilizzazione urbana. L' alternativa è idilliaca. L' idillio è quindi una imma
gine per antonomasia della pace, un' utopia concreta. Perciò per le Georgi
che di Virgilio l' Italia è anche la terra saturnia.
Nella sua composizione Luca ha posto motivi veterotestaméntari accanto
al t6pos contemporaneo del mondo felice dei pastori79 e ne ha fatto un' unità.
La Betlemme agreste contrasta perciò in lui (come del resto anche in Mat
teo, che però pensa in termini più marcatamente politici) con Gerusalemme,
dove Gesù dovrà morire. Già nella città di Nazaret comincia la storia del
rifiuto. Betlemme ne è invece in Luca esente, e pure in Matteo essa è un
luogo ideale80•
Questo è pertanto per il momento il risultato: a) l' idillica dei pastori sta in
un rapporto storico con il racconto del Natale di Luca. Se perciò, a partire
dal primo Rinascimento, viene riesumata questa linea nella ricezione del
vangelo del Natale, non v'è in ciò nulla di strano. b) In Luca l' idillica ha
così come nel periodo imperiale romano e successivamente nelle riedizioni
dell' impero romano - una funzione escatologica. Questa pace non ha natu
ralmente tratti trascendenti e celesti, bensì tratti familiari e 'terreni' (utopia
76 Die Idee des goldenen Zeitalters im Werk des Novalis, Heidelberg 1 965, 60.
" Cfr. anche l'esposizione delle analogie tra i racconti neotestamentari dell' infanzia e la quarta
egloga in G. ERDMANN, Die Vorgeschichte des Lukas- und Matthiiusevangeliums und Vergils 4.
Ekloge (FRLANT 30), Gtittingen 1 932.
78 Questo è importante per il cristianesimo, che fin dall 'inizio fu un cristianesimo di tipo urbano.
Perciò il testo contiene già una controistanza critica nel senso di un correttivo.
79 Cfr. sulla quarta egloga e sulla sua relazione con Luca anche K. BERGER - C. CoLPE ( 1 987),
1 28s. (n. 2 1 3).
80 In Mc e Gv il luogo ideale è, in altro modo, la Galilea.
208 terza parte
concreta) . A ciò corrisponde il fatto che questo stile di vita era ancora stori
camente tangibile per Virgilio e Luca.
Fenomeni affini
81 Esempio: il fatto che nella notte di Natale 'si possa' cantare la melodia natalizia Stille Nacht
(se sì, allora il più delle volte alla fine, dopo che si sono fatte le «cose più serie») è solo una con
cessione incoerente.
210 terza parte
l . Rifiuto del punto di vista 'sì-ma' : intendo dire che il punto di vista,
secondo il quale le emozioni sarebbero sì importanti, ma da regolare ad ogni
piè sospinto dalla ratio, è incoerente. La ratio è sicuramente in grado di cri
ticare82, ma una regolazione incessante sarebbe solo il riflesso di ben noti
interessi egemonici della teologia razionale. La ratio non è in linea generale
fuorviabile quanto i sentimenti?
Nella situazione ecclesiale attuale l' importante è sicuramente in primo
luogo che si ammetta l' esistenza di emozioni, che esse possano esprimersi e
che si conceda un' autonomia al campo dell ' emotività, senza che altri campi
e i loro classici rappresentanti (che 'sanno tutto' ) vi ficchino continuamente
il naso.
2. Necessità dell' idillica: l' idillica è necessaria, perché la pace e la tran
quillità non vanno comunicate in modo astratto e meno che mai attraverso
slogan e parole d' ordine, bensì il più possibile mediante immagini. L' idillica
non è solo una possibile forma di speranza, bensì anche un modo in cui essa
può essere presente . Un idillio non è infatti mai del tutto irreale, bensì
un'esperienza in una misura notevole reale. E appunto questa esperienza è
necessaria. Forse è anche vero che l' idillio deve essere tanto più dolce,
quanto più grandi sono la miseria e la sofferenza del momento presente.
L' idillica non è perciò solo una forma della protesta, bensì anche e soprattut
to una anticipazione della tranquillità. In questo modo essa è di per sé rinun
cia alla violenza e appunto così anche 'razionale' . E quanto gli uomini con
siderano come tranquillità e lo descrivono poeticamente così, chi mai può
loro comandarlo? L' idillica non è stata strumentalizzata commercialmente
anche perché fu costretta a emigrare dalla chiesa8J?
82 Sul rapporto emotività/ratio: ci sono diversi campi della vita che la ratio non può 'costruire',
che sono perciò di per sé insostituibili e che non sono tuttavia per questo tabù, ma vanno perlome
no nelle loro conseguenze sottoposti alla critica della ratio. La stessa cosa si verifica anche per il
rapporto tra esegesi e applicazione: l'esegesi non può sostituire l' applicazione, che viene per esem
pio spesso effettuata con un linguaggio poetico, tuttavia può cercare di analizzarla e di rendeme
conto in modo flessibile, per esempio descrivendola.
83 I fenomeni postconciliari della chiesa cattolica nel cosiddetto terzo mondo non mostrano forse
che, con una crescente razionalizzazione della chiesa, le massicce esigenze emotive poste alla reli
gione finiscono per essere soddisfatte in culti oscuri che enumerano subito milioni di adepti? Le
numerose segnalazioni di rituali spiritici, provenienti proprio dalla Germania settentrionale, non
sono oggi una domanda rivolta al carattere razionai-etico della predicazione cristiana? Abbiamo
fatto bene a disprezzare tanto solo e sempre il carattere popolare della festa di Natale? - Una cosa
Sulla prassi dell 'applicazione 21 1
3 . Primitività dell ' idillica? Contrassegni dell ' idillio sono l' assenza di
dolore, la serenità, il calore, la concordia, l' unità tra interno e esterno, la
quiete, la tranquillità, lo splendore, l' armonia e la bellezza. L' idillica non
riflette tutte le aspirazioni e le speranze84, però ne riflette di molto essenziali.
È perciò possibile cominciare una predica sulla rinuncia al potere con la
descrizione dell' idillio in cui Carlo V visse a San Yuste dopo la sua abdica
zione8S, cominciarla cioè con le immagini di alberi di castagno nella solitudi
ne dei monti, con l ' immagine di viti e con la descrizione del profumo
dell' alloro e di incontaminati garofani.
4. Idillica e realismo: l' idillica è contraddistinta da un di più che nella
realtà non è 'mantenibile' . Tuttavia gli idilli, quali isole che comunicano
qualcosa di quel che può essere, di quel che potrebbe essere, hanno qualcosa
in comune con altri segni e con altre azioni simboliche nel campo della reli
gione cristiana.
Ma non si tratta di un' apparenza ingannevole, di una fuga dalla realtà, del
'rifugio nell' idillio' , della simulazione di una felicità privata che manda tut
to il resto del mondo 'al diavolo' ? Con questo non abbiamo menzionato un
pericolo di ogni forma di estetica in generale?
Ma d' altra parte: proprio il realismo del cristianesimo deve prendere
seriamente anche bisogni e evitare riduzioni razionali. Il cristianesimo si
distingue per un realismo che prende in tutto e per tutto sul serio le condi
zioni dell' uomo, che non le tace e che conosce l' ambivalenza di ogni sfera
umana. Come può proprio colui che vuole essere appassionatamente giusto
fare a meno di fermarsi un momento, di una sosta che può consistere nel fat
to di gioire, attraverso la corporeità, di un fiore e di un paesaggio? Dovrem
mo percepire ciò che sotto forma di dono già esiste, ciò che non siamo sem
pre costretti a fare prima noi e che ci viene invece incontro e ci bacia sotto
forma di frammenti di un mondo beato.
L' idillica e ciò che spesso diciamo kitsch fanno parte del vasto campo dei
sogni dell ' uomo. Essi sono spesso molto semplici, ma condividono la sua
dignità. E quando essi sono 'commoventi ' e maldestri, ci mostrano con ciò
qualcosa della sua miseria, della sua lacerazione e del suo desiderio di pace.
è indulgere in modo puro e semplice alla voglia di magia degli uomini e un' altra dare costante
mente e in modo del tutto unilaterale alla religione una forma antropologica .
.. È certamente compito della ratio evidenziare qui eventuali carenze. Nel caso dell'idillica tali
carenze risiedono nel campo del linguaggio e del dialogo, forse nel campo del sociale nel senso più
vasto del termine, in quanto il sociale si spinge al di là della 'sicurezza animale' . Ma non per que
sto l' idillica va rinnegata, bensì va presa, in quanto settore parziale, in tutto e per tutto sul serio.
" Cfr. K. BERGER, Wie ein Vogel ist das Wort, Stuttgart 1987, 2 1 6-22 1 (su Rom 5, 1 - l l ).
212 terza parte
Come ogni utopia, così anche l' idillio ha perciò una grande importanza etica
e politica.
5 . Idillica e cristianesimo: l' idillica non ha mai a che fare con la dogmati
ca; essa non è né rigorosamente cristologica, né rigorosamente trinitaria, né
qualunque altra cosa che possa essere 'rigorosamente' pensata; l' idillica
riguarda il lato umano, pensato 'dal basso' , della salvezza. A motivo delle
categorie sacerdotali e clericali86 della teologia cristiana, straordinariamente
influenzate già dai presupposti giudaici del Nuovo Testamento, noi ci rap
presentiamo la salvezza e il paradiso sostanzialmente in termini cultuali87• Il
problema è perciò essenzialmente anche un problema del nostro culto: il
lato umano risalta troppo poco in questa concezione metaforica, e una delle
conseguenze è la mancanza della possibilità di collegare la felicità umana
con il regno di Dio. Io ritengo perciò che quanto si esprime sotto forma di
idillio e, in parte, anche come 'kitsch' religioso, sia un frammento di una
rimossa aspettativa celeste.
L' idillica non riguarda sogni teologicamente dettati o legittimati, ma
sogni umani, sogni non sublimati e tradotti in principi. - Quando nella fre
nesia dell' avvento gli uomini percepiscono da qualche parte il suono di Stil
le Nacht, heilige Nacht, non ci è forse lecito pensare che essi vogliono tutti
quanti in qualche modo una notte silente e santa? Possiamo realmente cre
dere che sia scomparso ogni presagio di ciò che una notte santa potrebbe
essere? Occorre assolutamente conoscere la distinzione tra Antico e Nuovo
Testamento per poter associare qualcosa all'espressione 'notte santa' ?
La chiesa dei pastori, che si rivolge all' intelletto, deve verosimilmente
imparare molte cose sul carattere differenziato dei sentimenti umani, che
non è necessariamente legato all' istruzione. Né dovrebbe in continuazione
rimuovere le proprie emozioni.
lo non condivido perciò affatto l' idea piena di commiserazione che certi
uomini avrebbero purtroppo bisogno di sentimentalità. Come se non ne
'avessimo' tutti 'bisogno' . Gli uomini sono piuttosto esseri che hanno biso
gno di moltissime cose. La tenerezza è anche una forma di idillica. Non si
tratta perciò di un bisogno purtroppo presente accanto ad altri, bensì noi
86 Già nel giudaismo intertestamentario il pensiero teologico viene decisamente formulato con
l' aiuto della metaforica sacerdotale. Ciò vale per tutta la rappresentazione del cielo o paradiso
come santuario (e per il tempio di Gérusalemme concepito come la sua immagine). Quanto al
Nuovo Testamento vanno ricordate la concezione dei due ordinamenti cultuali secondo Eb e la
suddivisione della realtà in due piani, nel piano terreno e nel piano celeste-cultuale, secondo
l' Apocalisse di Giovanni.
87 Come culto in cielo, come canto e adorazione davanti a Dio. Gli angeli sono qui pensati quasi
solo come addetti al culto celeste e meno come messaggeri.
Sulla prassi dell 'applicazione 213
uomini siamo tutti quanti molto bisognosi. E anche se qualche volta l' idilli
ca può essere un momento di illusione, ciò ci dice solo qualcosa sulla gran
dezza della nostra aspirazione.
Per testi mitici intendiamo quelle testimonianze che abbracciano ciò che
nel secolo XIX fu detto ' soprannaturalistico' . Cioè : racconti concernenti
visioni, trasfigurazioni, miracoli (singole dimostrazioni strabilianti di poten
za, che vanno dalla nascita verginale agli esorcismi, alle guarigioni, alle
moltiplicazioni di pani e fino alla risurrezione), inoltre affermazioni apoca
littico-escatologiche riguardanti sia l' escatologia indi vi duale («Con la morte
è tutto finito?»), sia l ' escatologia futura universale. Di esse fanno parte
anche affermazioni relative a figure invisibili come gli angeli, i demoni, -il
diavolo, nonché affermazioni sullo stato intermedio tra la morte e la risurre
zione. Al centro sta senza dubbio la problematica della risurrezione, e preci
samente sia della risurrezione di Gesù, sia della risurrezione corporea di tutti
o di tutti i cristiani 'alla fine' . Questi testi costituiscono una buona parte del
la tradizione neotestamentaria e sono considerati 'difficili' , una difficoltà
accresciuta dal fatto che qui particolarmente forte è proprio la presunta o
reale pressione esercitata dagli 'ortodossi' che stanno al margine o ai vertici
della chiesa.
Questi racconti furono detti ' mitici' , perché frutto di una concezione
dell' influsso di potenze divine in questo mondo, una concezione diffusa in
modo particolare nel mondo antico, frutto cioè di una immagine del mondo
che è considerata superata dall' esegesi critica e che non può più essere con-
·
divisa.
" Cfr. per esempio A. MERZ, Jesus als Wundertiiter, in ZNT l ( 1998).
•• Cfr. per esempio l ' interpretazione di Gv I l , secondo la quale questo capitolo avrebbe riguar
normale, nel quale sono valide le leggi naturali classiche, sia l' unico possi
bile. In modo simile al razionalismo classico argomenta anche il fondamen
talismo. Per i suoi rappresentanti tutto quel che la Bibbia dice è vero e reale,
e precisamente nel senso di un' affermazione delle scienze naturali. Pure qui
esiste solo l'unico mondo regolato da leggi e nessun altro piano della realtà.
E poiché la Bibbia deve essere vera nel senso dimostrabile con l' aiuto delle
scienze naturali, si gioisce per ogni pietra che testimonia, ad esempio, che
Ponzio Pilato sarebbe realmente vissuto. Così infatti è possibile dimostrare
che la B ibbia ha ragione.
La visuale del mondo dell' era postmoderna dischiude invece, a mio avvi
so, la possibilità di contare su diverse possibilità di accesso alla realtà, con
ogni campo avente le sue proprie regole e i suoi propri criteri.
In un prirrìo passo si tratta ancora una volta di ricostruire qualcosa. In tale
ricostruzione occorre mostrare che la visuale del mondo tipicamente antica
non comprende solo la nota e famigerata costruzione a tre piani del mondo,
ma comprende anche una concezione particolare circa gli invisibili «influssi
provenienti dall' esterno» sugli uomini.
ESTERNO I E ESTERNO II
Nell ' uomo noi riscontriamo oggi un esterno e un interno. L' esterno lo
chiamiamo mondo, l' interno anima. Collochiamo tutto il campo dei pensie
ri, dei sogni, dei sentimenti e delle esperienze religiose nell' interno. Di qui
deriva l' idea del 'pastore d'anime' , che si occupa appunto dell' anima. Pure
l' idea che la religione sia semplicemente una faccenda privata deriva dal
fatto che la situiamo completamente nell' anima del singolo.
Diversamente stavano le cose per gli uomini del tempo di Gesù. Qui
l' uomo dotato di occhi, cuore e voce, non divisibile in corpo e anima, bensì
esistente come un tutto, si muove tra due campi esterni. Il primo, che chia
miamo qui di seguito Esterno l, è il mondo visibile, in cui esistono altri
uomini e tutto il cosmo percepibile. L' altro esterno è il mondo invisibile,
che chiamiamo Esterno II. Si tratta infatti di una seconda zona della realtà
esterna all' uomo, non di un mondo presente nel suo intimo. Questo mondo
invisibile non è soggettivo, privato o solo immaginato, bensì addirittura
oltremodo reale. Esso è radicalmente distinto dai sogni. Sognare, così si dice
già nel primo giudaismo, è una faccenda dei veggenti e dei profeti pagani, e
le loro affermazioni sono tutte parti della fantasia. Invece per ebrei e cristia
ni l'Esterno II è la realtà di Dio, e precisamente una realtà immarcescibile. È
Sulla prassi dell 'applicazione 217
possibile vedere questo campo o suoi settori anche con gli occhi normali,
ma spesso esso è descritto così: questo campo diventa accessibile se - per
dirla in termini figurati - ci si volta. Allora si percepisce quel che altrimenti
si ha dietro la schiena.
Questo secondo campo esterno (Esterno Il) è a sua volta diviso in due :
Dio e gli angeli stanno da una parte, satana e i demoni dall' altra, ma distan
ziati di alcuni gradini in fatto di potere. L' Esterno II non è quindi il mondo
interiore, né consiste in rappresentazioni o in cose che 'bisogna credere ' .
Esso è piuttosto la metà più importante e perenne della realtà. Non c' è biso
gno di dimostrarne l' esistenza. No, per questi uomini è del tutto chiaro che
gli occhi del cuore sono più acuti di quelli del corpo. Di fronte a questa
realtà delle potenze buone e delle potenze cattive l' unica cosa importante è
sapere su quali di esse si punta, quale nome si invoca. Si capisce che nel
caso di questo Esterno II si tratta tutto sommato di religione, e certo non
solo della religione cristiana e ebraica.
Questo mondo dell ' Esterno II diventa accessibile nel momento della
visione ; allora un veggente profetico può forse percepire il lembo della
veste di Dio. Dal primo all' ultimo libro della Bibbia simili visioni fondano
la fede degli ebrei e dei cristiani. Esse sono viste con gli occhi corporei,
come se il sipario fosse alzato per un momento. Anche la trasfigurazione di
Gesù fa parte di queste visioni.
Oltre alle visioni, che permettono un accesso diretto a questo Esterno Il,
esiste una specie di zona intermedia tra Esterno i e Esterno Il, in cui l'Ester
no II influisce sul mondo visibile. In questa zona intermedia esistono imma
gini, parabole, potestà, miracoli, inviati da Dio, la fede e la preghiera. Essi
costituiscono altrettante possibilità dell' Esterno II di influire sull' Esterno L
Con ciò non pensiamo naturalmente ad alcun soprannaturalismo, in cui due
mondi starebbero l' uno accanto all' altro e per i quali esisterebbe poi una
zona in cui essi si sovrapporrebbero. Il vantaggio della nostra distinzione tra
'visibile' e 'invisibile' sta piuttosto nel fatto che essa riguarda l' esperienza.
Si tratta infatti di un' esperienza particolarmente qualificata e trasparente
(nei confronti dell' Esterno Il) e non dell' influsso di un campo sull ' altro. A
motivo di questa struttura dell' esperienza succede che i compagni di Paolo
non vedono nulla quando egli ha la visione della sua conversione . - Al
riguardo non va tuttavia dimenticato un effetto fondamentale dell' invisibile
Esterno II: la creazione. È importante. vedere questo, perché le immagini, le
parabole e i miracoli, anzi anche l' Inviato di Dio e la sua potestà hanno
qualcosa a che fare con la creazione. Ciò riguarda, da un lato, il potere crea
tore. L'Inviato di Dio è infatti, per esempio secondo Paolo, secondo il van
gelo di Giovanni e secondo molti altri testimoni, il «mediatore della creazio-
218 terza parte
ne» ; «per mezzo di lui tutto è stato fatto». E a proposito della fede Gesù dice
che essa può spostare le montagne, che essa ha cioè un potere creatore. Di
conseguenza la fede può anche guarire colui in cui essa si trova. E le parole
di Gesù sono parole potenti come la parola creatrice. I miracoli sono atti
creatori. Il fatto che il potere di creare riluca nei miracoli non significa che
esso non sorregga continuamente di nascosto anche l 'Esterno l.
Dall ' altro lato l ' influsso dell ' Esterno II sull ' Esterno I riguarda anche
l' ordine della creazione. La creazione è infatti, come l ' uomo può vedere
osservandola, una realtà ordinata con cura e in maniera grandiosa, natural
mente ordinata anche i n modo rigoro s o e addirittura tras gredibile
(dall' uomo). I miracoli ripristinano qualcosa dell' ordinamento della creazio
ne nel senso del primo mattino del paradiso terrestre, e in modo simile ope
rano le parabole: di fronte al mondo visibile spesso sconfortante (Esterno I)
brilla a volte una realtà nuova e diversa, in cui poi il padrone serve addirittu
ra lo schiavo fedele e in cui il padre abbraccia il figliol prodigo, anziché
condannarlo. La funzione terapeutica delle parabole sta nel fatto che esse
offrono agli uomini incerti , preoccupati e pieni di aspettative ' storie'
dell' inizio e della fine. Ad esempio la storia del lievito, che all' inizio è insi
gnificante, ma che alla fine avrà fatto fermentare tutta la pasta. In modo
simile la preghiera comunica, con la ripetizione di formule fatte o anche di
modi prestabiliti di comportarsi con Dio, un frammento dell' ordine della
creazione e induce l' uomo a inserirsi in esso.
Gesù opera guarigioni e parla in parabole per influire beneficamente con
le une e con le altre, in certo qual modo parallelamente. E nella preghiera
personale notturna partecipa direttamente al mondo dell ' Esterno II e attinge
forza da esso.
Condizione di questa partecipazione non è naturalmente il fatto che uno
la voglia, bensì il fatto che uno è una sola cosa con Dio (o anche con gli
uomini). Questa unione con Dio si chiama, ad esempio, fede. Chi infatti
costruisce con la fede su Dio e punta su di lui, è una sola cosa con lui. Per
questo valgono poi le promesse che la fede, piccola anche solo come un gra
nello di senape, possiede la potenza creatrice di spostare alberi e montagne
o di guarire malati. E poiché Gesù è una sola cosa con Dio, Dio lo risuscita.
La risurrezione di Gesù in quanto miracolo va vista alla luce della sua unio
ne con Dio. E le stesse azioni mirabili le possono compiere anche gli uomi
ni, qualora essi siano una cosa sola tra di loro o concludano fra di loro la
pace. Allora la loro preghiera sarà esaudita, allora essi potranno spostare
montagne. L'unione vale però anche come condizione per operare in allean
za con la parte avversa, perché nel caso di Gesù i suoi avversari si domanda
no se egli cacci i demoni «in Beelzebub». Questa 'unione' ha quindi due
Sulla prassi dell 'applicazione 219
CONSEGUENZE ERMENEUTICHE92
92 Il paragrafo che segue è in buona parte una citazione da K. BERGER, Wer war Jesus wirklich ?,
Stuttgart 1998'.
Sulla prassi dell 'applicazione 22 1
LA TERZA VIA
La concezione qui proposta deve essere una terza via tra il fondamentali
smo e il razionalismo. - Le considerazioni a questo riguardo sono maturate
tra il 1 994 e il 1 997, negli anni che erano dominati dal dibattito sulle tesi di
G. Liidemann, teologo di Tubinga, circa la risurrezione, i miracoli e tutto il
campo dei testi 'mitici' della Bibbia. Allora divenne chiaro che l' ermeneuti
ca tradizionale è più o meno riducibile ai due gemelli che portano il nome di
fondamentalismo e di razionalismo.
Questi due sistemi, come abbiamo visto, non hanno solo la stessa conce
zione dei fatti, ma sono anche animati da un pathos molto simile. Il fonda
mentalismo sottolinea l ' obbedienza, lo scandalo, il caparbio 'tuttavia' della
fede, la lettera della Scrittura, la corporeità ineliminabile. Il razionalismo
sottolinea l' onestà, la necessità di venire a patti con la ragione, l ' attenzione
pastorale per quei molti che non possono credere alla lettera.
La crisi attuale delle chiese è anche una crisi dell' ermeneutica, perché
essa non riesce a comunicare nel modo giusto i temi religiosi centrali (realtà
di Dio, risurrezione di Gesù, futuro del mondo). E il modo in cui si è fatto e
si fa esegesi non è privo di colpe per lo stato delle chiese.
La terza via qui da esporre vuole essere un contributo al dibattito circa il
cambiamento di questa situazione. Come terza via essa presenta le seguenti
caratteristiche:
l . Evita la collisione con la ragione (ratio ), senza tuttavia ridurre il mes
saggio alla misura della ragione, e raggiunge questo risultato collocando le
affermazioni 'mitiche' su un altro piano, sul piano di una realtà dotata di
propri criteri e di una propria logica.
2. Mette al centro questo aspetto: nei fatti 'mitici ' si tratta sempre di un
incontro molto ravvicinato con la realtà stessa di Dio, una realtà che è
governata da proprie leggi e che non obbedisce semplicemente al sistema
delle regole della ragione.
Non che qui qualcuno conosca esattamente Dio. I fenomeni 'mitici' sono
tuttavia forme di incontro con le potenze del mondo invisibile, che deve
avere qualcosa a che fare con la realtà di Dio, come racconta la Bibbia.
3. Non si tratta di sottrarre qualcosa ai testi biblici che parlano della cor
poreità. Solo che, secondo la concezione della Bibbia, il corpo è una realtà
molto complessa e non !imitabile appunto ai dati · clinici. Se il corpo è in
linea generale l' organo del contatto con la realtà, allora proprio il modo in
cui esso è percepito e in cui qualcosa produce per suo tramite un effetto è
d' importanza decisiva.
222 terza parte
Questa quarta porta immette nella realtà del religioso o dello spirituale.
Chiamo 'spirituale' un' esperienza della realtà, in particolare di una forza,
che non è regolata dalle leggi naturali. La regola fondamentale dello spiri
tuale si chiama concentrazione: si tratta di una realtà, potenza o tempo con
centrato, in modo simile a quello che conosciamo come 'presenza di spiri
to' . Questa realtà non opera sorprendendo e sconvolgendo solo nel caso del
miracolo e riesce spesso a commuovere il cuore.
Qui vigono regole specifiche e una logica particolare. Non si procede
i nfatti in modo semplicemente 'irrazionale ' . Il fatto di percepire questo
campo della realtà è, a mio avviso, d'importanza decisiva per il futuro del
cristianesimo come religione. Nella misura in cui tale campo è anche oggi
ancora accessibile, si diparte da qui un ponte per comprendere i racconti
biblici di miracoli. I miracoli sono 'spirituali ' nella loro origine, perché nel
la triplice costellazione fatta di taumaturgo - destinatario del miracolo - Dio
si perviene a una strabiliante esperienza della potenza.
Il punto ermeneutico di aggancio per una applicazione 'oggi' sta nel fatto
che pure oggi facciamo una serie di esperienze spirituali. Si tratta di feno
meni a cui ci possiamo rifare, non di verità di fede. Tali fenomeni sono:
l . Guaritori del terzo mondo e guaritori delle nostre latitudini, i cui suc
cessi non sono spiegabili con il principio di causalità.
2. La benedizione liturgica, ove la parola benedicente quale parola poten
te crea realtà. Qui rientrano anche la preghiera di intercessione e le preghie
re potenzialmente di tipo esorcistico.
3. La presenza reale nella cena del Signore o - in modo diverso - nelle
icone.
4. Le feste e i tempi sacri. La festa significa presenza spirituale dell' even
to celebrato (teologia dei misteri).
5 . La presenza 'ricordata' di più eventi in un determinato giorno (notte di
Pasqua/notte di P a s s ah come pre senza della creazione della luce,
dell' alleanza con Abramo, della fuga dall' Egitto, della risurrezione di Gesù,
del ritorno o avvento del Messia).
6. Concentrazione di eventi in una persona (lo sono uscito con Mosè
·
dall' Egitto, sono stato gasato a Auschwitz . . . Ezer Weizmann nel 1 996 al
Bundestag tedesco, secondo Die Zeit, relazione gen. 1 996).
Comune a tutte queste percezioni è il fatto che la realtà non è qui contrad
distinta dalla causalità. Tuttavia i 'successi' sono a volte visibili . Così il suc
cesso di una guarigione è a volte visibile a uomini che non sono convinti di
questo tipo di medicina spirituale. Altre esperienze spirituali non sono chia
ramente sperimentabili da tutti o comunque non da tutti gli interessati allo
stesso modo, cosa che vale ad esempio per le visioni, per la cui percezione
224 terza parte
bisognava essere amici (discepoli) o nemici (Paolo). Nel caso delle guari
gioni si presuppone addirittura una aspettativa positiva. Per questo, secondo
Mc 6,5 , Gesù non poté compiere guarigioni nella propria patria, perché que
gli uomini «non si aspettavano nulla da lui» .
S e c i ponessimo dal punto d i vista della prima porta e riconoscessimo tut
tavia la validità della quarta porta, potremmo distinguere tra fatti 'solidi' e
fatti 'morbidi' . I fatti 'solidi' sarebbero quelli che, in base al risultato, sono
visibili e constatabili, anche se la loro origine rimane inspiegabile in base al
punto di vista della prima porta. I fatti 'morbidi' sarebbero quelli che sono
percepiti solo all' interno dello spazio dischiuso dalla quarta porta.
Risultato ermeneutico: in questo modo non disponiamo solo di ponti per
comprendere i testi neotestamentari , bensì riscopriamo e prendiamo
coscienza di un campo tuttora esistente di esperienze spirituali.
Alla posizione qui esposta93 viene spesso obiettato (da rappresentanti del
la scuola bultmanniana) di essere 'fondamentalistica' . Ma si tratta di un
grossolano fraintendimento: quanto alla loro causa e, in parte, anche quanto
al loro effetto i fenomeni spirituali non sono parte costitutiva di una realtà
solo unidimensionale e misurabile in base a regole e criteri collaudati dal
punto di vista delle scienze naturali e dal punto di vista storico-critico. Que
sto significa: qui siamo di fronte - dal punto di vista della prima porta - a un
carattere di realtà gradualmente 'massiccio' .
Mentre i fondamentalisti s i attendono che il Gesù apparso a Pasqua non
sia altri che il Gesù rianimato così com' era prima, qui si ritiene che, nel caso
di queste apparizioni, deve essersi trattato di una corporeità trasformata di
Gesù nel senso della quarta porta, perché con un corpo ordinario non si pas
sa attraverso una porta chiusa ( Gv 20), né si scompare improvvisamente (Le
24) . La dimensione della trasformazione va fatta cominciare già prima di
Pasqua in occasione della trasfigurazione e del cammino sulle acque. - E la
corporeità trasformata è una categoria tipicamente spirituale.
'Trasformazione' significa qui anzitutto: diventare diverso, e precisamen
te diverso dalla realtà in cui valgono in misura piena le leggi dello spazio e
del tempo. Tutte le visioni e trasfigurazioni poggiano su questa diversità. Si
tratta indubbiamente di corporeità, ma il corpo non è un meccanismo, per
., Cfr. al riguardo maggiori ragguagli in K. BERGER, Darf man an Wunder glauben ?, Stuttgart
1 996.
226 terza parte
cui vale qui in modo particolare l' affermazione che il corpo umano è, dopo
Dio, il più grande mistero.
Per questo tipo particolare di corporeità trasformata valgono poi anche
determinate regole, che valgono altrimenti per lo spirito, così per esempio il
fatto che attraverso la condivisione esso aumenta («una gioia condivisa è
una più grande gioia»).
Per il fondamentalismo e per il razionalismo la fotografabilità è il criterio
decisivo. Ma chi dice: «Tutto fu precisamente così», misconosce il fatto che
il verbo 'fu' possiede una diversa dimostrabilità a seconda della porta scelta.
Mentre il fondamentalismo pensa a una ovvia produzione di miracoli e la
fonda semplicemente sull' 'onnipotenza' di Gesù (o sulla fede dei cristiani),
la 'realtà' della quarta porta è in alta misura una realtà relazionale (cfr. sopra
a proposito di Mc 6,5) e fondamentalmente distinta da quella della prima
porta. Si tratta perciò solo in piccola parte di fatti 'oggettivi' ( ' solidi ' ) e
piuttosto di eventi 'relazionali' (con conseguenze). Con questo i fatti non
sono 'soggettivi' .
Diversamente da come suppone il fondamentalismo, il potere di compiere
miracoli non è sempre l' unica via per guarire qualcuno. Nel nostro schema
vengono piuttosto riconosciuti la coesistenza e lo specifico diritto di ogni
zona della realtà. Perciò in esso non si punta «tutto su una carta», bensì io
penso a una complementarità delle vie di accesso alla realtà (la qual cosa
include anche il fatto che una via non può mettere sotto tutela un' altra via) e
a una interdisciplinarità nel modo di procedere.
I miracoli non sono necessariamente causati né dalla qualità delle perso
ne interessate ( 'Figlio di Dio' ), né come prodotti della fede, né la fede in
essi è ottenibile con la forza. I fatti, di cui parlano le scienze naturali, sono
divenuti necessariamente (causalità) e vanno perciò necessariamente accet
tati. I miracoli posseggono, sotto questo punto di vista, maggiori tracce di
libertà. Quanto alla loro provenienza essi sono figli della grazia, quanto alla
loro accettazione dipendono dal fatto che uno si occupi in linea generale di
questo campo .
I miracoli non sono perciò riproducibili o esigibili a piacimento, e va
respinto per questo motivo il motto spesso ricorrente: «Chi non riesce a fare
miracoli, non crede a sufficienza» . Nel settore in cui immette la quarta porta
non vige l' immagine aristotelica del mondo con una struttura teleologica,
immagine secondo la quale un' azione viene compiuta per un determinato
scopo e ogni effetto è il risultato di una causa efficiente. Qui vale piuttosto
la proposizione: «Il bene si diffonde» (bonum est diffusivum sui), cioè: esso
irradia, si dà a profusione. Quindi non: «lo voglio operare dappertutto un
miracolo» (e rispettivamente: «Devi credere in ogni circostanza ai miraco-
Sulla prassi dell 'applicazione 227
alle conseguenze che il presente ha per il futuro. Essa non svela perciò delle
cose qualsiasi, ma indica le linee che vanno dal presente alla salvezza o al
giudizio.
7. Le apocalissi cristiane si riferiscono sempre non soltanto a condizioni
future, bensì soprattutto al ruolo del mediatore Gesù Cristo. Secondo i testi
apocalittici egli deve ancora svolgere il ruolo decisivo, che consiste nel sal
vare dall' ira di Dio, nel vincere l' inferno, la morte e il diavolo e, poi, nella
fondazione della comunità salvata. In altre parole: qui diventa essenziale
quel che ancora deve accadere. Il ruolo di Gesù non è ancora stato svolto
sino in fondo.
8. Può certamente essere cosa ragionevole scuotere di nuovo il caleido
scopio, cioè scrivere nuove apocalissi con le vecchie immagini o anche con
nuove immagini applicate. Tuttavia non bisognerebbe progettare alla luce
del passato, bensì - come avvenuto nell' Apocalisse di Giovanni - alla luce
del punto finale.
9. L' apocalittica ha qualcosa a che fare con la pedagogia, cerca cioè di
guidare con comprensione ogni singolo ad attivare la propria fede in corri
spondenza delle proprie paure o speranze.
L' insicurezza in questo campo è quasi ancor più grande che nel paragrafo
precedente. Infatti, con l' aiuto della costruzione di una 'escatologia' , era
perlomeno ancora possibile trarre profitto dalle affermazioni apocalittiche
per delineare delle categorie come quella di una 'esistenza escatologica' .
Invece questo non è facilmente possibile nel caso degli angeli, dei demoni e
dei diavoli. Ma una considerazione più attenta mostra che il problema prin
cipale sta nella traduzione del concetto di persona. Per il Nuovo Testamento
queste potenze sono persone con un nome, agli uomini moderni riesce inve
ce difficile estendere tanto il concetto di persona, che nel frattempo è stato
linguisticamente definito in modo assai rigoroso. Possiamo tuttavia osserva
re che le 'potenze buone' di Bonhoeffer sono accettate, malgrado lo scettici
smo generale nei confronti degli angeli94• L' importanza religiosa pratica di
queste potenze sta, per la concezione biblica, nella possibilità di raggiunger
le mediante la parola (esorcismi, inni), e qui disponiamo anche di correzioni
neotestamentarie (Gd 9; Co/ 2).
Bibliografia: J. DERRIOA, Text und Interpretation, 1 984; Io., Die Schrift und die
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L 'interpretazione nella critica letteraria e nell 'insegnamento, Einaudi, Torino
1 987] ; A. THISELTON, New Horizons in Hermeneutics, 1 997.
Mentre con Ulrich Luz ( 1 987) possiamo rimproverare all ' ermeneutica di
H. Weder di essere solo paolina e non canonica, J. Schroter sostiene di nuo
vo una rigorosa limitazione della teologia 'neotestamentaria' al canone.
Invece io, nella mia nuova traduzione di tutti gli scritti cristiani primitivi
sino all' anno 200 d.C., ho decisamente rinunciato, anche per quanto riguar
da la successione degli scritti, alla limitazione al canone. Infatti quel che la
semplice storia della crescita del canone insegna non può essere all' improv
viso tutto completamente diverso sotto il profilo teologico. E del resto nei
confronti della pretesa di J. Schroter possiamo dire: se esistesse perlomeno
un solo caso di un teologo che prendesse davvero sul serio sotto il profilo
teologico il canone neotestamentario, per esempio, nel senso di una corretta
valutazione di tutto il corpus epistolare postpaolino, già la metà della mia
istanza sarebbe soddisfatta. Nulla vediamo però in realtà di ciò, e neppure J.
Schroter dice come egli vorrebbe attuare un' impresa del genere. A scanso di
equivoci rimando, per la mia concezione della «insostituibilità del canone»,
al primo paragrafo della mia Einleitung sopra citata.
Bibliografia: K. BERGER, Wie kommt das Ende der Welt?, Stuttgart 1 999.
' Cfr. C. LANDMESSER, op. cit. , 389. - Del resto io distinguo effettivamente tra verità scientifico
esegetica e verità ermeneutica. - La cosa che più delude Landmesser sembra essere il fatto che io
non sviluppo contenutisticamente un credo nell'ermeneutica. lo concepisco in effetti l' ermeneutica
come una dottrina del metodo e non come una dogmatica in breve. La domanda, che suona come
una critica, perché mai, nel caso di un' ermeneutica formale, si debba leggere proprio la Bibbia,
suona in realtà come un autogol: chi vuole trovare in una ermeneutica il motivo per cui deve legge
re la Bibbia, scambia occasione e causa. Viceversa bisogna chiedere a Landmesser se sia veramen
te giusto dire che le professioni di fede della chiesa antica siano un 'effetto' di testi neotestamenta
ri. Al contrario: non i testi creano le professioni di fede, bènsì le professioni di fede sono cristalliz
zazioni della vita della chiesa. Lex orandi lex credendi!
2 Il modo in cui il criterio paolino deli' oikodomi è giudicato da Landmesser come ermeneutica
mente inadeguato (pp. 369-372) è sintomatico della sua posizione in generale: la croce e la risurre
zione di Gesù sarebbero il criterio della <<edificazione della comunità>>. Solo la parola salvante del
la croce sarebbe il vero criterio contenutistico della verità (p. 37 1). Sotto il profilo esegetico questi
tentativi di Landmesser ben difficilmente potrebbero essere considerati come riusciti.
Guardando al futuro 235
ermeneutico. In questo campo si tratta anche dell' 'unità della realtà' . Come
indicato più da vicino nel titolo menzionato, la mistica è il lato positivo del
la 'teologia negativa' . Cioè : la conoscenza categoriale degli oggetti teologici
conduce ad aporie e contraddittorietà (per es. , tra scienze naturali3 e alcuni
dogmi ; tra libertà e grazia) . Per sfuggire all' affermazione che tutto sarebbe
risolvibile solo 'nel fallimento' , io guardo al Nuovo Testamento e alla tradi
zione cristiana e trovo che la soluzione delle contraddittorietà sta, al di là del
categoriale, nell 'esperienza del mistero di Dio e, in fondo, dell ' amore.
Si tratta pertanto di una dimensione relazionale, e qui conta soprattutto il
concetto di verità che si ha. Lo spazio vitale e la realtà di questo amore è la
chiesa. In fondo l' esistenza di questo spazio della verità è solo la conse
guenza derivante dall' immagine stessa di Dio: l' unico Dio si protende al di
là di sé e comunica la propria unità e unicità come amore. A chi ritiene que
sto troppo poco scientifico o approssimativo diciamo: qui non si tratta di
filosofia kantiana, ma di un campo che sta più vicino alla poesia e alla misti
ca di tutti i secoli. O viceversa: il modo categoriale di comprendere la realtà
non è all' altezza del mistero di Dio. Perciò la teologia ha ragion d' essere
solo come preparazione alla via mistica di essere cristiani.
L' affermazione sul giudizio non è, nella menzionata esperienza dell' amo
re, una limitazione dogmatica, bensì l' intuizione che l' amore ha lineamenti
e che riguarda uno spazio vitale avente limiti concreti.
La mistica è in fondo una prassi sorretta dalla fiducia che l' unità degli
opposti, che sta alla base e come fine di tutta la realtà, non è un principio
morto, bensì il Dio vivo. La vita dell ' esegeta della B ibbia trova perciò
l ' unità nello studio degli opposti che trova nell' inno, nella preghiera e nel
lamento 'davanti a Dio' . Qui è il luogo della verità, e quanto fa categorial
mente a pugni nello spazio, potrebbe trovare qui la pace.
' La bella teoria rabbinica, secondo la quale Dio avrebbe fatto al momento della creazione anche
i miracoli, ma li avrebbe resi accessibili solo a determinate persone elette, ha la sua profonda verità
nel fatto che ambedue, la creazione normale e i miracoli incomprensibili, risalirebbero al medesi
mo unico Dio.
Appendice
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Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
Rispetto 1 68
Gioia 171
4. Reperimento di norme concrete . 1 72
Necessità di norme 1 72
Il Nuovo Testamento: un modello 1 75
· Compromessi 1 77
La casistica è necessaria? 1 80
Critica delle rappresentazioni del fine 181
Coercizioni oggettive 1 83
Modello delle gambe della sedia 1 84
5. Gli artefici dell' applicazione 1 85
Il principio gnoseologico 1 85
Percezione del dolore 1 87
6. Confronto . . . . . . .
. . . . .. . . 1 89
Vie del confronto 1 89
Punto di confronto tra situazione e testo 1 90
Confronto di campi dei testi (aspetto dell' efficacia) 1 96
Spiegazione esemplare da parte della stessa Scrittura
(aspetto della provenienza) 1 98
Mediazione liturgica 1 99
7. Applicazione e emotività . . . . .
. . . .. .. . . . . . . . . 200
Sull' importanza delle emozioni nell'ermeneutica 200
Definizione concettuale 20 1
La cornice 202
Emotività e libertà 202
Sul rapporto tra interno e esterno 203
Conseguenze per l' ermeneutica 203
Emancipazione dell' emotività 205
La necessità antropologica e teologica dell' 'idillica'
(illustrata con l' esempio della spiegazione di Le 2,4-20
nella festa di Natale) 205
8. L' interpretazione di testi 'mitici' . . . . . . . . . . . . . 213
Che cosa sono i testi mitici? 213
Metodo dell' esegesi storico-critica classica 213
Che cos' è la realtà? 215
Esterno I e Esterno II 216
Conseguenze ermeneutiche 220
La terza via 22 1
Elementi comuni delle varie esperienze spirituali 224
Conseguenze per i miracoli 225
260 Indice
Guardando al futuro 23 1
Bibliografia . . . 237
Indice dei nomi . 254
Biblioteca biblica
2. GIUSEPPE SEGALLA
Introduzione all 'etica biblica del Nuovo Testamento.
Problemi e storia
Pagine 320
3. GERHARD LOHFINK
Per chi vale il discorso della montagna ?
Pagine 232
4. ROBERT ALTER
L 'arte della narrativa biblica
Pagine 232
5. JOSEF SCHREINER
I Dieci comandamenti nella vita del popolo di Dio
Pagine 128
6. JOSEPH A. FITZMYER
Luca teologo.
Aspetti del suo insegnamento
Pagine 1 92
7. JEAN-NOEL ALETTI
L 'arte di raccontare Gesù Cristo.
La scrittura narrativa del vangelo di Luca
Pagine 232
8. ROLAND MEYNET
L 'analisi retorica
Pagine 296
9. JOACHIM GNILKA
Teologia del Nuovo Testamento
Pagine 184