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UNIVERSITA' POPOLARE MARIANA

Anno 2010-2011

Corso sulla VOLONTÀ DI DIO

Rocca di Papa, sabato 29 gennaio 2011


Lezione 2a

Giovanna Maria Porrino

La volontà di Dio nel Nuovo Testamento (Testo preparato)

Tre premesse:

- Il titolo generale della presente lezione è: La volontà di Dio nel Nuovo Testamento. Un
titolo impegnativo e molto vasto. Sarebbe, infatti, necessario un lavoro molto più lungo e
complesso per parlare in modo esauriente di una tematica così ampia, che tenga conto
dell’insieme degli scritti neotestamentari. Nel testo che segue, ho limitato la mia ricerca
ad alcuni passi dei Vangeli, citando là dove mi è sembrato opportuno qualche altro testo
(in particolare, le lettere paoline e l’Apocalisse).

- Ho cercato di citare in nota i versetti biblici cui mi riferisco; ma consiglierei ugualmente,


nello studio di questa lezione, di avere a portata di mano una Bibbia, in modo da poterla
consultare, se necessario.

- A complemento di questa lezione, può essere utile leggere la prima parte del libro di
Chiara Lubich, Il sì dell’uomo a Dio, dal titolo «L’adesione a Dio nell’Antico e nel Nuovo
Testamento».

1
Nel «Sì» di Dio all’uomo, il «sì» dell’uomo a Dio

I. Sia fatta la tua volontà

I vangeli di Matteo e Luca riportano la preghiera del Padre nostro. In Luca1, la preghiera
scaturisce dalla richiesta fatta da un suo discepolo: Signore, insegnaci a pregare (cf. Lc 11, 1), in
Matteo il Padre nostro è inserito nel grande discorso della montagna (Mt 5-7). Nelle due forme
della preghiera, Gesù insegna ai suoi discepoli a rivolgersi al Padre con le sue stesse parole. La
nuova versione ufficiale della Bibbia commenta così:
«Mt 6, 9-13 e Lc 11, 2-4 contengono due differenti forme di questa preghiera. È
difficile stabilire quale sia la più antica, poiché in entrambe si trovano tracce di
adattamento ai destinatari. Matteo ci offre una versione in sette domande, forse
ampliate dall’uso liturgico della Chiesa delle origini; Luca, infatti, nella sua versione,
[…], presenta solo cinque domande2. Certo è che il linguaggio di Matteo è più vicino
a quello usato da Gesù, come traspare dalla forte impronta giudaica. Nella
preghiera giudaica del Qaddish3 (“Santo”), che si recitava al termine della liturgia
del sabato, si trovano analogie con il “Padre nostro”: “Sia glorificato e santificato il
suo Nome così grande, nel mondo che ha creato secondo la sua volontà! Faccia
regnare il suo regno … Il suo Nome sia lodato di eternità in eternità”»4.
Ogni giorno invochiamo dunque Dio Padre usando le parole stesse di Gesù, consegnate in
questa preghiera:
Voi dunque pregate così:
Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra. (Mt 6, 9-10)
Ma cosa ha inteso Gesù con questa invocazione, indirizzata al Padre: sia fatta la tua volontà
come in cielo così in terra?
La Bibbia ci pone di fronte a un Dio che vuole qualcosa, che sa ciò che vuole, e che ci chiede
di entrare con lui in questa volontà. Bisogna, però, sapere in cosa consiste questa volontà che

1
Per un approfondimento del Padre nostro in Luca, rimando al commento di G. Rossé, Il Vangelo di Luca:
commento esegetico e teologico, Città Nuova, Roma, 1992, pp. 417-427.
2
La versione di Luca è più breve e in essa manca la richiesta del «sia fatta la tua volontà», tipica di Matteo:
«Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome,venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane
quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non
abbandonarci alla tentazione». (Lc 11, 2-4).
3
Ecco il testo del Qaddish:
«Sia innalzato e santificato il nome del Signore, nel mondo da lui creato secondo la sua volontà. Faccia regnare il
suo regno nella vostra vita e nei vostri giorni, e nella vita di tutta la stirpe d'Israele, ora e sempre, e dite: Amen.
Benedetto il nome del Signore, sulla terra e nell'eternità. Sia benedetto, lodato, onorato, esaltato, magnificato e
glorificato il Nome del Santo, sia egli benedetto, oltre ogni benedizione e ogni canto, oltre ogni lode e ogni
consolazione che si pronunciano in questo mondo, e dite: Amen. Siano ricevute le preghiere e le suppliche di tutto il
popolo d'lsraele, davanti al loro padre che è nei cieli, e dite: Amen, Benedetto il nome di Dio, ora e sempre - una
grande pace del cielo e la vita sia su noi, e su tutto Israele, e dite: Amen. Ogni aiuto mi viene da Dio che fece la
terra e i cieli, Colui che fa la pace nei cieli, su di noi faccia la pace e su tutto Israele, e dite: Amen.»
4
Cf. nota a Mt 6, 9-13 in La Sacra Bibbia, nuova versione ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana, éd. 2008.
2
Gesù ci presenta come la volontà di un Padre e anche dove trovarla5. Un’altra domanda che
possiamo porci è la seguente : i testi della Scrittura ci offrono delle chiavi di comprensione, ci
indicano delle vie per penetrare meglio, per conoscere in profondità questo mistero della sua
volontà (cf. Ef 1, 9)?
Gesù è ebreo e parla ad ebrei, quindi per addentrarci in questo mistero, mi sembra
opportuno ripercorrere brevemente, alla luce di questa tematica, qualche passo saliente
dell’Antico Testamento6, ma soprattutto cercheremo di capire il significato stesso della parola
ebraica, usata per esprimere tale concetto. In una seconda parte, poi, in continuità e alla luce di
quanto emerge dai testi dell’Antico Testamento, tenteremo di cogliere la novità della volontà di
Dio così come ci è presentata dai testi del Nuovo Testamento. E in una terza sezione,
cercheremo di capire come vivere noi, oggi, da cristiani e come membri dell’Opera di Maria,
tale volontà.

La volontà di Dio nell’Antico Testamento: alcune piste, in sintesi


Il termine ebraico (rāṣōn), tradotto nelle nostre Bibbie con la parola «volontà», deriva da una
radice verbale che significa accettare benevolmente, compiacersi di e nella forma passiva indica
l’essere favoriti. Tale parola designa per lo più il sentimento soggettivo di benevolenza, di
gradimento, indicando cioè il favore o la grazia di Dio (o di un superiore); e in senso oggettivo,
indica ciò che è gradito a qualcuno. I testi della Scrittura ci presentano quindi una volontà
benevola, un favore ricco di grazie: si tratta di una volontà d’amore. In ebraico l’espressione
«volere qualcuno», come in altre lingue [in italiano per es. «volere (bene a) qualcuno»], è
sinonimo di «amare qualcuno». In questo senso Dio vuole il suo Servo (Is 42, 1), il suo popolo
(Sal 44, 4), i giusti (Sal 22, 9)7.
La creazione stessa è una delle manifestazioni della volontà benevola di Dio. L’uomo e la
donna, creati a sua immagine e somiglianza (Gen 1, 26-27), sono chiamati a essere il «tu» di
Dio, a vivere con Lui nel giardino di Eden. Il progetto di Dio sull’adam, cioè sull’umanità, è
dunque da sempre un progetto di comunione. L’uomo e la donna si realizzeranno pienamente
nella e per la comunione con Colui che li ha creati a sua immagine. La disobbedienza (cf. Gen 3)
al comando/consiglio divino «Non mangerai dell’albero» (Gen 2, 17) segna la triplice rottura
(con Dio, tra l’uomo e la donna, con il creato) di tale incipiente comunione che costituiva
l’originale volontà di Dio sull’umanità ai suoi albori.
Tuttavia, il «no» dell’uomo a Dio non mette in crisi il «sì» di Dio all’uomo8. Infatti, Dio, il
Santo di Israele, «vuole» abitare in mezzo agli uomini9. Questa sua volontà d’amore tesse un
piano, un disegno che ha un duplice intento: salvare l’uomo dalla condizione di peccato in cui è

5
Cf. «Vouloir ce que Dieu veut : un appel, une aventure», Christus, 2008/218, p. 20.
6
Per un approfondimento sulla volontà di Dio nei testi del Primo Testamento rimando alla lezione di Albert Dreston.
7
Cf. art. «Volonté de Dieu», in Vocabulaire de Théologie Biblique, publié sous la direction de X. Léon-Dufour,
Paris, Cerf, 1999, col 1353.
8
«Il mio progetto resta valido, io compirò ogni mia volontà!» (Is 46, 10).
9
Dio è il santo d’Israele, ed Egli stesso afferma nel libro del profeta Osea : sono Dio e non uomo, sono il Santo in
mezzo a te (cf. Os 11,9). Si potrebbe ripercorrere tutta la Scrittura alla luce di questa tematica: Dio che desidera
abitare in mezzo agli uomini.
3
venuto a trovarsi e inaugurare un nuovo itinerario di comunione, di santificazione. Il Dio
Creatore si fa dunque Salvatore10.
Di questo lungo cammino, in cui Dio rivela poco a poco questo suo disegno di salvezza nelle
varie tappe che segnano la storia di Israele11, vorrei segnalare brevemente due figure che si
possono intravedere nella Scrittura e che ci saranno utili per entrare nel «mistero della sua
volontà», resa manifesta poi nei testi del Nuovo Testamento.

1. La misteriosa figura del Servo sofferente, per mezzo del quale si compirà la volontà di JHWH
Nel Secondo Isaia, in quattro testi denominati dalla critica letteraria «i canti del servo
sofferente», emerge una figura enigmatica, quella di un uomo, che Dio stesso qualifica come
suo servo cui Egli affida una missione:
Ecco il mio servo che io sostengo,
il mio eletto di cui mi compiaccio.
[lett. il mio eletto in cui la mia anima si compiace o che la mia anima desidera, vuole]
Ho posto il mio spirito su di lui;
egli porterà il diritto alle nazioni.(Is 42, 1)

Il Servo è un uomo eletto, scelto da Dio: egli è voluto, desiderato da JHWH 12. Chiamato da
Dio ad essere luce delle nazioni, il Servo sarà stabilito come alleanza del popolo; il suo compito
sarà di portare la «mia salvezza » (cioè la salvezza di JHWH) fino all’estremità della terra (cf. Is
49, 6). Il Signore gli rivolge ancora queste parole:
8
Così dice il Signore:
«Al tempo della benevolenza ti ho risposto,
nel giorno della salvezza ti ho aiutato.
Ti ho formato e ti ho stabilito
come alleanza del popolo,
per far risorgere la terra,
per farti rioccupare l'eredità devastata,
9
per dire ai prigionieri: «Uscite»,
e a quelli che sono nelle tenebre: «Venite fuori».
Essi pascoleranno lungo tutte le strade,
e su ogni altura troveranno pascoli.
10
Non avranno né fame né sete
e non li colpirà né l'arsura né il sole,
perché colui che ha misericordia di loro li guiderà,
li condurrà alle sorgenti d'acqua.
11
Io trasformerò i miei monti in strade
e le mie vie saranno elevate.

10
Storicamente parlando, Israele ha fatto prima l’esperienza di un Dio che salva (cf. l’esperienza di salvezza
dell’Esodo) e poi è arrivato alla comprensione che se Jhwh è l’unico che salva, Egli è anche il Creatore dell’universo
e dell’uomo.
11
La chiamata di Abramo (Gen 12); elezione di Mosé (Es 3-4) con il dono delle Dieci Parole (Es 20) e l’alleanza
con il popolo, chiamato a essere santo perché Yhwh è santo; la vocazione dei profeti cui Dio rivela il suo piano
misterioso di salvezza.
12
Il testo di Isaia in 42,1 ci ricorda la voce che scende dal cielo, al momento del battesimo di Gesù e che afferma:
«Questi è il mio Figlio diletto nel quale ho posto la mia compiacenza» (Mt 3, 17).
4
12
Ecco, questi vengono da lontano,
ed ecco, quelli vengono da settentrione e da occidente
e altri dalla regione di Sinìm».
13
Giubilate, o cieli,
rallégrati, o terra,
gridate di gioia, o monti,
perché il Signore consola il suo popolo
e ha misericordia dei suoi poveri. (Is 49, 8-13)

La volontà salvifica di JHWH si compirà grazie alle misteriose sofferenze che il Servo
sopporterà per le moltitudini:
Ma al Signore è piaciuto [ o il Signore ha voluto] prostrarlo con dolori13.
Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione,
vedrà una discendenza, vivrà a lungo,
si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. (Is 53, 10)

Il termine usato qui per indicare la volontà di JHWH, è diverso da quello usato in
precedenza, ma l’azione o il concetto espressi sono sinonimi: il verbo esprime, infatti,
l’affezione di un uomo verso una donna o un altro uomo (Gen 34, 19; 1 Sam 19, 1; 2 Sam 20,
11), ma soprattutto il favore di uno che è superiore o dal lato giuridico o dal lato sociale verso
colui che in qualche maniera da lui dipende.
Il verbo assume quindi questi significati: prendere piacere a, compiacersi in, volere; il
sostantivo di conseguenza assume il significato di desiderio, piacere, desiderio ardente, buona
volontà14. Si tratta anche qui di un desiderio ardente del Signore, della sua volontà amorosa15
che vuole offrire a tutti la sua salvezza. La Scrittura sembra svelare ai suoi lettori la volontà di un
Dio innamorato dell’umanità. Questa sua volontà si realizzerà in un modo misterioso: tramite i
dolori di un uomo, il servo di JHWH, da lui prescelto.

13
Nell’antichità, ciò che accade nel mondo e all’uomo è in genere attribuito all’azione Dio (o di una divinità).
Bisogna fare attenzione a ben interpretare questo versetto quando esso è riferito a Gesù: il Padre non è un essere
morboso che si compiace dei dolori di un uomo, e ancor più dei dolori del Figlio. Il quarto vangelo afferma: «Dio,
infatti, ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma
abbia la vita eterna» (Gv 3,16). Gesù è consegnato dal Padre nelle mani di un mondo peccatore. È l’Innocente che
verrà messo a morte dagli «empi». Già in altri testi dell’Antico Testamento si afferma che la condotta del giusto è
rimprovero per l’uomo empio:
Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d'incomodo e si oppone alle nostre azioni;
ci rimprovera le colpe contro la legge e ci rinfaccia le trasgressioni contro l'educazione ricevuta.
Proclama di possedere la conoscenza di Dio e chiama se stesso figlio del Signore.
È diventato per noi una condanna dei nostri pensieri; ci è insopportabile solo al vederlo,
perché la sua vita non è come quella degli altri, e del tutto diverse sono le sue strade.
Siamo stati considerati da lui moneta falsa, e si tiene lontano dalle nostre vie come da cose impure.
Proclama beata la sorte finale dei giusti e si vanta di avere Dio per padre.
Vediamo se le sue parole sono vere, consideriamo ciò che gli accadrà alla fine.
Se infatti il giusto è figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto e lo libererà dalle mani dei suoi avversari.
Mettiamolo alla prova con violenze e tormenti,
per conoscere la sua mitezza e saggiare il suo spirito di sopportazione.
Condanniamolo a una morte infamante, perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà» (Sap 2, 12-20).
14
Cf. E. Jenni, C. Westermann, Dizionario Teologico dell’Antico Testamento, ed. Italiana a cura di G.L. Prato,
Marietti, 1982, vol. primo, col. 541-542.
15
Mi sembra importante precisare che questa volontà amorosa è anche una volontà efficace: vari testi sottolineano
quest’aspetto; cf. Sal 115, 3; 135, 6; Is 49, 9-11.
5
2. Gerusalemme Sposa
Accenniamo brevemente a un’altra tematica, cioè alla dimensione sponsale sottolineata con
audacia da vari testi dell’Antico Testamento, basti pensare alla metafora in cui Dio stesso si
manifesta come Sposo di Israele o di Gerusalemme che viene proclamata sua sposa16, spesso
infedele ed adultera. Emerge da vari testi una figura femminile. Il tema ci interessa perché
legato in Isaia alla volontà di JHWH. È un testo che ci lascia col fiato sospeso:
1
Per amore di Sion non tacerò,
per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo,
finché non sorga come aurora la sua giustizia
e la sua salvezza non risplenda come lampada.
2
Allora le genti vedranno la tua giustizia,
tutti i re la tua gloria;
sarai chiamata con un nome nuovo,
che la bocca del Signore indicherà.
3
Sarai una magnifica corona nella mano del Signore,
un diadema regale nella palma del tuo Dio.
4
Nessuno ti chiamerà più Abbandonata,
né la tua terra sarà più detta Devastata,
ma sarai chiamata Mia Gioia [lett. il mio ardente desiderio in lei/la mia volontà in lei]
e la tua terra Sposata,
perché il Signore troverà in te la sua delizia [lett. Si compiacerà in te]
e la tua terra avrà uno sposo.
5
Sì, come un giovane sposa una vergine,
così ti sposeranno i tuoi figli;
come gioisce lo sposo per la sposa,
così il tuo Dio gioirà per te. (Is 62, 1-4)

Questo testo di Isaia presenta la Gerusalemme futura, la Gerusalemme degli ultimi tempi,
che riceverà dal suo Sposo un nuovo nome: «la mia volontà in lei». In lei il Signore si
compiacerà, come uno sposo trova le sue delizie nella sua sposa. L’immagine dello sposalizio,
delle nozze di Dio con Israele, con Gerusalemme (e in loro con l’intera umanità) è una delle
immagini più ardite della Scrittura; essa manifesta l’immenso amore di Dio per il suo popolo,
ma anche per tutte le nazioni.
Per concludere, ecco in sintesi alcune tematiche dell’Antico Testamento da tener presente
nella nostra ricerca di una risposta alla domanda che ci siamo posti all’inizio: che significato ha
per Gesù - poi per i discepoli e quindi per noi oggi - la domanda del Pater, «sia fatta la tua
volontà»? I temi sono i seguenti:
- Il disegno primitivo sull’uomo e sulla donna, creati a immagine e somiglianza di Dio, è
quello di realizzare se stessi nella piena comunione con il loro Creatore;
- Il «no» dell’uomo a Dio non mette in crisi il «sì» di Dio all’uomo; la volontà amorosa,
l’ardente desiderio di Dio di abitare in mezzo agli uomini inventa un piano di salvezza,

16
Ti farò mia sposa per sempre,ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell'amore e nella benevolenza,
ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore. (Os 2, 21-22).
6
che si realizza nelle varie alleanze che Dio stipula con Israele (Abramo, Isacco, Giacobbe,
Mosè, Davide) e in particolare nel dono delle Dieci Parole, come cammino che Dio indica
all’uomo per raggiungere la felicità;
- Il Signore è il Dio della vita: egli non vuole, non si compiace della morte del peccatore,
ma desidera la sua conversione perché egli viva17;
- Dai testi dell’Antico Testamento emergono due figure: quella del servo sofferente, per
suo tramite si compirà la volontà del Signore e quella della Gerusalemme futura (Israele)
presentata come sposa ricevente un nome nuovo, la mia volontà in lei. Nella
Gerusalemme rinnovata JHWH troverà la sua gioia. Quest’ultimo testo suggerisce con
forza che il progetto di Dio sull’umanità ha un aspetto eminentemente nuziale,
sponsale.

II. La volontà di Dio nel Nuovo Testamento: il «sì» di Gesù al Padre

«Volere» e «volontà» nel Nuovo Testamento


Anche in greco, il verbo «volere» assume i significati di: desiderare, amare, compiacersi in,
volere18. Riferito a Dio, il verbo ha sempre un carattere di fermezza assoluta, di sovrana
sicurezza e di certa efficacia. Esso assume un duplice significato:
a) Esprime la volontà divina nella creazione (1 Cor 12, 18; 15, 38);
b) Manifesta la sovranità di Dio nell’opera della salvezza (Gv 3, 8; 1 Tim 2, 4).
Per l’uso della parola «volontà», dobbiamo notare che, a differenza dell’Antico, il Nuovo
Testamento non usa quasi mai la forma plurale19. Della volontà di Dio si parla quindi quasi
esclusivamente al singolare, perché essa non è tanto caratterizzata dall’idea delle singole
norme di legge da osservare, ma piuttosto dalla consapevolezza che la volontà di Dio è una
«possente unità»20.

17
Questo tema è presente nel libro di Ezechiele : Io non godo (non voglio, non mi compiaccio) della morte di chi
muore. Oracolo del Signore Dio. Convertitevi e vivrete (18, 32); Di' loro: Com'è vero che io vivo - oracolo del
Signore Dio -, io non godo della morte del malvagio, ma che il malvagio si converta dalla sua malvagità e viva.
Convertitevi dalla vostra condotta perversa! Perché volete perire, o casa d'Israele? (33, 11).
18
Il verbo greco, usato dai traduttori della LXX, assume anch’esso il significato di aver voglia di, provar diletto in
qualcuno o qualcosa. Quando i LXX usano il verbo in questo senso, il soggetto è prevalentemente Dio. Sempre nei
LXX, il verbo assume altre due sfumature di significato: essere decisamente ben disposto, e nel significato di
volontà decretante, si intende il dominio sovrano di Dio sulla creazione e sulla storia e al manifestarsi della sua
signoria nei singoli avvenimenti. Cf. G. Schrenk « qšlw, qšlhma, qšlhsij », in G. Kittel, – G. Friedrich, Grande
lessico del Nuovo Testamento, vol. IV, Paideia, 1966, col. 264 e 267.
La Settanta, indicata spesso con le lettere romane LXX, è la più importante e antica traduzione in lingua greca della
Bibbia ebraica (Antico Testamento); la traduzione fu probabilmente eseguita ad Alessandria d’Egitto tra il III e il I
secolo a.C., per tale ragione la LXX è a volte chiamata anche Bibbia d’Alessandria. La traduzione greca della
Bibbia era usata soprattutto dagli ebrei della diaspora; essa è diventata poi il testo di referenza dei cristiani di lingua
greca, ed è stata utilizzata dalla maggioranza degli scrittori del Nuovo Testamento.
19
La forma plurale ricorre in At 13,22, ma si tratta di una citazione dei LXX (Is 44,28) e in Ef 2,3.
20
Per tutto il paragrafo cf. G. Schrenk « qšlw, qšlhma, qšlhsij », in G. Kittel,– G. Friedrich, Grande lessico del
Nuovo Testamento, vol. IV, Paideia, 1966, col. 289.
7
In Gesù vi fu il «sì»
Un primo testo del Nuovo Testamento, importante da evidenziare per il tema che ci occupa,
è il passaggio della seconda lettera ai Corinzi, in cui Paolo presenta Gesù come l’uomo del «sì».
L’Apostolo, infatti, afferma:
Il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che abbiamo annunciato tra voi, io, Silvano e Timòteo, non fu
«sì» e «no», ma in lui vi fu il «sì». Infatti, tutte le promesse di Dio in lui sono «sì». Per
questo attraverso di lui sale a Dio il nostro «Amen» per la sua gloria. (2 Cor 1, 19-20).
Gesù è, quindi, l’uomo secondo il cuore di Dio; come figlio di Davide, Egli ha compiuto ogni
sua volontà (cf. Ac 13, 22), realizzando così le promesse di Dio. Gesù è Figlio di Dio, ma anche
Figlio dell’uomo: in lui si è compiuto il «sì» pieno e totale alla volontà del Padre. È il Nuovo
Adamo.

Gesù rivela e compie la volontà di un Dio che è Padre


Già dai testi dell’Antico Testamento emerge la paternità di Dio nei confronti del suo popolo
e in particolare nei confronti del re-messia. Il fare la volontà di Dio si fonda su tale relazione
filiale ancora in germe. Ma la piena manifestazione della volontà del Padre avviene nel Nuovo
Testamento. Sono la persona e l’opera del Figlio che situano il rapporto con Dio su una base
totalmente nuova. Gesù ha una relazione unica con il Dio di Israele, che Egli invoca usando il
termine Abbà. Ricreando così una parola originaria del linguaggio umano, Egli svela il rapporto
filiale che lo unisce a Dio. L’esperienza dell’Abbà è la fonte del messaggio e della vita del Figlio.
Da tale invocazione emerge la relazione unica di Gesù con la volontà del Padre. Gesù è, con
tutto se stesso, rivelazione plenaria della volontà del Padre. Per questa conoscenza esclusiva,
reciproca e intima che unisce il Padre e il Figlio21, Gesù ci rivela la volontà paterna in modo
duplice: come dono e come norma di vita22.
La volontà di Dio in Matteo e Giovanni
Nei vangeli di Matteo e Giovanni, si fa cenno varie volte alla volontà di Dio, da due
prospettive diverse, ma entrambe ci rivelano il mistero di questa volontà. In Matteo, Gesù parla
della «volontà del Padre mio». La parola ricorre sei volte:
6,10b Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra.
7,21 Non chiunque mi dice: «Signore, Signore», entrerà nel regno dei cieli,
ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.
12,50 Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre.
18,14 Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda.
21,31 Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro:
«In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio».
26,42 Si allontanò una seconda volta e pregò dicendo: «Padre mio, se questo calice non può passare
via senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà».

21
«Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se
non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. » (Mt 11,27).
22
Per l’intero paragrafo cf. S. De Fiores, T. Goffi (a cura di), Nuovo Dizionario di Spiritualità, ed. Paoline, Roma,
1982, col. 1711.
8
Matteo sembra organizzare, in modo ben preciso, queste sei ricorrenze della parola
«volontà» nell’intento di spiegare ai suoi lettori in cosa consiste questo invito di Gesù a fare la
volontà del Padre. Un primo elemento che emerge da alcuni di questi passaggi è che la volontà
del Padre è una realtà da «fare», da «compiere».
Il primo testo presenta la terza domanda del Pater (6, 10), in cui Gesù insegna ai discepoli a
rivolgersi al Padre, chiedendo: «SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ come in cielo così in terra».
Nel passaggio successivo (7, 21-23)23, Gesù afferma che non basta dire «Signore, Signore»,
ma occorre fare «la volontà del Padre mio», il discepolo che agisce così entrerà nel regno dei
cieli. Il termine «Signore»24, in greco Kyrie, era un’antichissima invocazione della prima
comunità cristiana rivolta a Gesù, che nella liturgia era invocato con tale appellativo. A tale
professione di fede della prima comunità – «Gesù è Signore» – devono corrispondere delle
opere, cioè tutta una vita vissuta in conformità alla volontà del Padre celeste25.
Il fare la volontà del Padre è dunque la carta d’accesso al Regno dei cieli.
Il testo suggerisce inoltre un fare che è adesione interiore alla Parola di Dio, un compiere che
è un entrare in relazione col Figlio e col Padre; è in definitiva un costruire la casa sulla roccia.
L’atteggiamento contrario, cioè un’osservanza meramente esteriore – il dire “Signore, Signore”
– simboleggia il rifiuto di entrare in un rapporto di comunione, il che equivale a costruire la casa
sulla sabbia. Infatti, la parabola dell’uomo prudente e dell’uomo stolto che costruiscono,
entrambi, una casa, segue i versetti che qui commentiamo, quasi ad illustrare i due diversi
atteggiamenti : fare la volontà del Padre è ascoltare le parole di Gesù e metterle in pratica (v.
24), quindi è un costruire sulla roccia; colui che si limita ad invocare il nome del Signore e
ascolta le sue parole senza metterle in pratica (v. 26) costruisce invece sulla sabbia. Fare la
volontà di Dio coincide dunque con l’ascoltare le parole di Gesù e col metterle in pratica.
Nel versetto consecutivo, cioè in 12, 50, si fa un passo in avanti e si afferma che colui che fa
«la volontà del Padre mio», proprio per questo, è per Gesù: fratello, sorella, madre. Il fare la
volontà di Dio ci fa dunque membri della stessa famiglia26 di Gesù. Il fare la volontà di Dio è uno
dei segni distintivi del seguace di Gesù; agendo così, egli diventa suo parente27.

23
Il testo integrale di Mt 7, 21-23 è il seguente: Non chiunque mi dice: «Signore, Signore», entrerà nel regno dei
cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In quel giorno molti mi diranno: «Signore, Signore,
non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome
non abbiamo forse compiuto molti prodigi?». Ma allora io dichiarerò loro: «Non vi ho mai conosciuti.
Allontanatevi da me, voi che operate l'iniquità!».
24
Nella traduzione greca dei LXX, il termine «kyrios» traduce, in genere, il tetragramma sacro, YHWH.
25
«A questa professione di fede orale in Gesù-Signore deve corrispondere, però la professione dei fatti: e le opere
non devono essere dirette ad altro che “alla volontà del Padre mio che è nei cieli”. […] La volontà di Dio è per tutti
l’unico termine di orientamento. […] Gesù “conosce” soltanto chi è totalmente uno con lui. Egli è in lui e con lui
solo quando ne dirige i pensieri e ne guida la via: solo allora si attua quale “conoscere” pieno di amore,
quell’intimità vicendevole, l’agire uno nell’altro.» Cf. W. Trilling, Commenti spirituali del Nuovo Testamento:
Vangelo secondo Matteo, vol 1, Città Nuova, Roma, 1964, p. 154-156.
26
«Fare la volontà del Padre crea vincoli familiari con Cristo (Mt 12, 50; cf. Mc 3, 35; Lc 8, 21) e, unendo a Gesù,
unisce i discepoli tra loro. La “ecclesìa” è quindi l’ambiente privilegiato in cui si comunica e si compie la volontà
del Padre.» Cf. S. De Fiores, T. Goffi (a cura di), Nuovo Dizionario di Spiritualità, ed. Paoline, Roma, 1982, col.
1711.
27
« Chi porta questo distintivo è con ciò stesso anche suo “parente spirituale”, gli è fratello e sorella e madre. Il
legame del sangue, la parentela della famiglia e del ceppo naturale, il vincolo nazionale non sono decisivi per il
9
Anche le altre due ricorrenze della parola «volontà» sono in un certo modo legate fra loro.
Non si parla più di colui che fa la volontà del Padre, ma si esplicita che cosa è la volontà del
Padre. Il contesto di 18, 14, in cui la parola «volontà» appare per la quarta volta nel vangelo di
Matteo, è quello della breve parabola della pecora smarrita:
Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le
novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita? In verità io vi dico: se
riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano
smarrite. Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli
si perda. (Mt 18,12-14).
La volontà del Padre è dunque, una volontà di salvezza; in questo versetto, Gesù usa la nota
immagine del pastore28 e parla del «Padre vostro», la cui volontà è che nessuno dei suoi figli si
perda, il testo specifica : nemmeno «uno di questi piccoli».
Il penultimo testo, in cui appare la parola «volontà», è quello della parabola dei due figli:
Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: «Figlio, oggi va' a
lavorare nella vigna». Ed egli rispose: «Non ne ho voglia». Ma poi si pentì e vi andò. Si
rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: «Sì, signore». Ma non vi andò. Chi dei
due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità
io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni, infatti,
venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute
invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete
nemmeno pentiti così da credergli. (Mt 21,28-32).
È un testo molto forte, che fa da eco a quanto detto in 18, 14, ma anche in 7, 21;
probabilmente l’autore vuole specificare l’identità di questi «piccoli» di cui il Padre si prende
cura e che non vuole che si perdano. Il testo è scandaloso: i pubblicani e le prostitute
precederanno i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo nel Regno di Dio! Pubblicani e
prostitute si sono pentiti e hanno creduto. Accogliendo la parola di Giovanni, sono entrati nella
dinamica d’amore del Regno di Dio. I capi dei sacerdoti e gli anziani non si sono pentiti e non
hanno creduto alle parole di conversione del Battista. Chi non ha creduto a Giovanni, non
crederà neppure nel Messia.

regno di Dio. Attraverso tutti questi legami, per quanto stretti e profondi possano essere, passa, come una spada,
l’esigenza del Dio vivente. È in rapporto a lui che ormai si distinguono parenti ed estranei, familiari e no. Avevamo
pur udito che la parola di Gesù può penetrare come una spada fin nell’intimità della famiglia e qui dividere genitori
e figli, figlia e madre, figlio e padre (10, 34-36), e che il vincolo con lui deve prevalere sul vincolo con padre e
madre (10, 37). Il messaggio di Gesù ha questa caratteristica: la volontà di Dio è la legge suprema che decide la vera
appartenenza a lui, dell’essere suoi veri discepoli. […] Il discepolo è, in senso spirituale, un “parente di Gesù”. […]
Chi si unisce senza riserve a Gesù viene senz’altro accolto nella sua “famiglia”, gli diventa intimo e familiare come
lo sono i fratelli e sorelle, genitori e figli. […] Il Regno di Dio crea un nuovo ordine, una unità spirituale,
sperimentabile nella fede, che supera di molto i legami terreni. Nella nuova parentela, nella solidarietà spirituale
della Chiesa, gustiamo già un anticipo del compimento in cielo.» Ibid.
28
Il vangelo di Giovanni presenterà Gesù come il buon pastore: « Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e
le mie pecore conoscono me (Gv 10, 14); «E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io
devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore» (Gv 10, 16). L’immagine
del pastore che va in cerca della pecora smarrita, richiama alcuni testi di Ezechiele : «Come un pastore passa in
rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in
rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine» (Ez 34,
12); «Susciterò per loro un pastore che le pascerà, il mio servo Davide. Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro
pastore. Il mio servo Davide regnerà su di loro e vi sarà un unico pastore per tutti; seguiranno le mie norme,
osserveranno le mie leggi e le metteranno in pratica» (Ez 34, 23-24). Da questi testi emerge, non soltanto la cura del
pastore per le pecore, ma anche il piano divino di ricondurre tutti all’Uno.
10
L’ultimo testo dell’evangelista Matteo, in cui appare la parola «volontà», si ricollega al
primo, cioè alla domanda del Pater. Infatti, soltanto in questi due passaggi appare la frase «sia
fatta la tua volontà»: l’evangelista ha probabilmente disposto le due frasi usando
un’inclusione29 in modo da racchiudere i vari passaggi sulla volontà del Padre. L’autore del
primo vangelo sembra aver costruito questi testi in modo concentrico: ai due estremi ha posto
la preghiera al Padre: «sia fatta la tua volontà», man mano che si progredisce, l’evangelista
spiega chi è colui che fa tale volontà, e ne esplicita il significato:

A 6,10b Sia fatta LA TUA VOLONTÀ, come in cielo così in terra.

B 7,21 Non chiunque mi dice: «Signore, Signore», entrerà nel regno dei cieli,
ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.

C 12,50 Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre.

C’ 18,14 Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda.

B’ 21,31 Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio.

A’ 26,42 Si allontanò una seconda volta e pregò dicendo: «Padre mio, […], sia fatta LA TUA VOLONTÀ».

L’ultima frase, che corrisponde alla domanda del Padre nostro, è pronunciata sempre da
Gesù, ma in circostanze tragiche: il Figlio dell’Uomo è nell’orto del Getsèmani e sta per essere
consegnato in mano ai peccatori (v. 45). I suoi discepoli, coloro che gli hanno chiesto «insegnaci
a pregare», sono incapaci di farlo e dormono stanchi. Gesù è da solo nella sua preghiera al
Padre. La sua volontà umana indietreggia di fronte al calice amaro che lo attende. Come agli
inizi del vangelo, Gesù ripete: «SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ».
La terza domanda del Pater esprime il pieno consenso dell’orante all’integrale attuazione del
volere di Dio, in analogia con la glorificazione del suo nome e l’avvento del suo regno; tale
atteggiamento coincide esattamente con la preghiera che Gesù fa salire al Padre nel
Getsèmani30; essa rivela l’accettazione e la piena adesione di Gesù al misterioso piano di
salvezza. «La vita di Gesù è radicata e si svolge esclusivamente nell’ambito della volontà di
Dio»31.
Il quarto vangelo approfondirà questa realtà. Mentre il Gesù di Matteo parla della «volontà
del Padre mio», il Cristo giovanneo esprimerà lo stesso concetto usando l’espressione «la
volontà di Colui che mi ha mandato» che non è altri che il «Padre mio». L’inviato reca in sé e
trasmette la volontà di Colui che lo manda:
«Nella interezza della sua persona, Gesù è il Figlio fin dall’origine e quindi anche l’inviato (7,
28; 8, 42). Egli è nel seno del Padre e uno con lui (1, 18; 10, 38; 14, 10; cf. 10, 30). Perciò il
Padre gli mostra ogni cosa ed egli ascolta le parole di Dio (5, 20; 8, 47). Ma insieme a questo
aspetto del suo essere vi è la disposizione, sempre nuova e risoluta, alla concreta

29
L’inclusione è la ripetizione di una parola o di una frase all’inizio e alla fine di un testo. Vi possono essere
inclusioni, in punti strategici di uno stesso libro (inizio, centro, fine), che indicano la tematica principale dell’opera.
Questo espediente letterario è molto usato dagli autori della Bibbia, per indicare una stretta in relazione fra i testi, e
serve al disegno teologico dell’autore biblico.
30
Cf. G. Schrenk « qšlw, qšlhma, qšlhsij », in G. Kittel, – G. Friedrich, Grande lessico del Nuovo Testamento, vol.
IV, Paideia, 1966, col. 290.
31
Ibid.
11
ubbidienza ; egli dimostra di essere veramente Figlio mediante la costante docilità alla
volontà del Padre»32.

Nel quarto vangelo, la parola «volontà» ricorre otto volte in sei versetti:
4,34 Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato
e compiere la sua opera.
5,30 Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto,
perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
6,38 perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà,
ma la volontà di colui che mi ha mandato.
6,39 E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha
dato, ma che lo risusciti nell'ultimo giorno.
6,40 Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita
eterna; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno».
7,17 Chi vuol fare la sua volontà, riconoscerà se questa dottrina viene da Dio,
o se io parlo da me stesso.

Questa volontà divina è per Gesù suo «cibo» (Gv 4, 34), cioè alimento e ragione della sua
vita. Tale volontà costituisce la missione stessa del Figlio; Egli è venuto nel mondo per compiere
la sua opera : cioè portare a termine l’opera intrapresa da Dio33. Questo versetto è uno dei testi
chiave del vangelo giovanneo sulla totale obbedienza di Gesù al Padre. I suoi progetti e i suoi
pensieri non sono altro che i pensieri e i progetti del Padre suo. Egli non fa la propria volontà,
ma quella di Colui che lo ha mandato. Gesù è soltanto l’Inviato di Dio34. La volontà del Padre si
identifica con la missione del Figlio come Salvatore35.
Il vangelo di Giovanni quindi ci mostra Gesù in un rapporto di obbedienza incondizionata alla
volontà del Padre e di piena adesione ad essa. Per capire quest’obbedienza di Gesù è opportuno
precisare che la lingua ebraica, per esprimere l’azione di obbedire a qualcuno, usa un costrutto
verbale la cui traduzione letterale è : «ascoltare la voce di». In latino il verbo ob-audire, da cui
derivano in italiano le parole obbedire e obbedienza, significa: ascoltare stando di fronte.
L’obbedienza è fondamentalmente un mettersi all’ascolto di qualcuno che parla. Il quarto
vangelo presenta Gesù in quest’atteggiamento di profondo ascolto. E il Padre a sua volta
ascolta la parola del Figlio36.

32
Cf. G. Schrenk « qšlw, qšlhma, qšlhsij », in G. Kittel, – G. Friedrich, Grande lessico del Nuovo Testamento, vol.
IV, Paideia, 1966, col. 291-2.
33
«[…] l’adempimento della volontà del mandante è l’alimento e la ragione della vita di Gesù. […] La volontà viene
adempiuta col portare a termine l’opera intrapresa da Dio. La ragione, la forza ed il fine della vita del Figlio
consistono nel portare a buon compimento quest’opera.» Ibid. col 292.
34
I. De La Potterie, Gesù e i samaritani, p. 49, cit. in G. Zevini, Commenti spirituali del Nuovo Testamento:
Vangelo secondo Giovanni, Città Nuova, 1989, p. 170.
35
Cf. G. Zevini, Commenti spirituali del Nuovo Testamento: Vangelo secondo Giovanni, Città Nuova, 1989, p 170-
171.
36
Levarono dunque la pietra. Gesù alzò gli occhi e disse: «Padre, ti ringrazio per avermi ascoltato. Sapevo bene
che tu sempre mi ascolti. Ma l'ho detto per la gente che sta attorno, affinché credano che tu mi hai mandato». (Gv
11, 41-42)
12
Come nel vangelo di Matteo il desiderio ardente del «Padre vostro» (cf. Mt 18, 14) è che
nessuno si perda, così in Giovanni la volontà di «Colui che mi ha mandato» è non solo che Gesù
non perda nulla di quanto il Padre gli ha affidato, ma anche che gli uomini credano nel Figlio,
per ottenere la vita eterna e partecipare alla resurrezione nell’ultimo giorno. La volontà di Dio si
esprime quindi non soltanto nell’opera di salvezza che il Figlio ha da compiere, ma anche nella
partecipazione degli uomini alla resurrezione, alla pienezza della vita di Dio37.
La lettera agli Ebrei esprime con altre parole questa stessa realtà; il testo dell’epistola
sottolinea due aspetti del mistero di Cristo: l’incarnazione del Figlio e l’offerta sacrificale del suo
corpo nel mistero pasquale:
4
È impossibile infatti che il sangue di tori e di capri elimini i peccati. 5Per questo, entrando
nel mondo, Cristo dice:
Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato.
6
Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato.
7
Allora ho detto: «Ecco, io vengo - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro -
per fare, o Dio, la tua volontà».
8
Dopo aver detto: Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né
sacrifici per il peccato, cose che vengono offerte secondo la Legge, 9soggiunge: Ecco, io
vengo a fare la tua volontà. Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo.
10
Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù
Cristo, una volta per sempre.
11
Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e a offrire molte volte gli
stessi sacrifici, che non possono mai eliminare i peccati. 12Cristo, invece, avendo offerto un
solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, 13aspettando ormai che i
suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi. 14Infatti, con un'unica offerta egli ha
reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati.
Anche in questo passaggio della lettera agli Ebrei, che cita il Sal 39,7-9 secondo la traduzione
greca della LXX, «il ministero di Cristo è inteso come volontaria offerta della propria vita e del
proprio essere alla volontà di Dio, al posto dei sacrifici di animali e delle consuete offerte. E
poiché nel corpo di Cristo e nella sua vita è la volontà di Dio che si è adempiuta, noi siamo stati
consacrati a Dio già in questa volontà»38.
La volontà di Dio si realizza in e per Cristo, proprio perché Gesù porta a compimento, nel
mistero pasquale, l’opera di Colui che lo ha inviato nel mondo, cioè la salvezza dell’uomo e la
sua santificazione.
Gesù dice: Voglio!
Fin qui abbiamo esaminato le varie ricorrenze della parola «volontà» in Matteo e Giovanni,
sottolineando particolarmente quell’aspetto della vita di Gesù tutto teso alla realizzazione della
volontà di Dio. Abbiamo visto quanto Gesù si riceva totalmente dal Padre e quanto ogni sua
azione sia tesa al compimento della volontà del Padre suo.

37
«Secondo 6,39 s. il contenuto della volontà del mandante è che la vita sia manifestata nella sua pienezza: il Figlio
conduce tutti coloro che si volgono a lui e credono in lui, tutti coloro, cioè, che gli sono stati dati, ora alla vita eterna
ed un giorno alla resurrezione. La volontà del Padre viene così descritta come un avvenire di salvezza già compiuto,
nel quale però è inclusa anche l’intera via che vi conduce. L’adempimento della volontà divina da parte del Figlio è
sempre inteso anche come rinuncia alla propria autonoma volontà.» Cf. G. Schrenk « qšlw, qšlhma, qšlhsij », in G.
Kittel, – G. Friedrich, Grande lessico del Nuovo Testamento, vol. IV, Paideia, 1966, col 292.
38
Ibid. col 294.
13
In altri testi, gli evangelisti sottolineano la volontà stessa di Gesù. Infatti, in varie circostanze,
Egli usa il verbo «volere» in prima persona, dicendo imperativamente: «voglio!». Gesù vuole la
guarigione del lebbroso (cf. Mt 8, 3; Mc 1, 41; Lc 5, 13); ricorda ai suoi ascoltatori l’imperativo di
Dio, espresso dal profeta Osea: «Misericordia io voglio e non sacrifici» (Os 6, 6), aggiungendo di
essere venuto non a chiamare i giusti ma i peccatori (Mt 9, 13; 12, 7). Gesù ha compassione
della folla digiuna, che lo segue da tre giorni e afferma «non voglio rimandarli digiuni»,
operando il secondo miracolo del pane (Mt 15, 32), preludio di un altro pane che darà per i
secoli.
Abbiamo già descritto il momento di lotta drammatica e di filiale adesione di Gesù alla
volontà del Padre. In tale contesto, troviamo per l’ultima volta nel testo del primo vangelo il
verbo «voglio» sulle labbra di Gesù. Rileggiamo l’intero passaggio:
Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: «Sedetevi
qui, mentre io vado là a pregare». E, presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a
provare tristezza e angoscia. E disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui
e vegliate con me». Andò un poco più avanti, cadde faccia a terra e pregava, dicendo:
«Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come io voglio, ma
come [vuoi] tu!». Poi venne dai discepoli e li trovò addormentati. E disse a Pietro: «Così,
non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora? Vegliate e pregate, per non entrare in
tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». Si allontanò una seconda volta e
pregò dicendo: «Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si
compia la tua volontà». Poi venne e li trovò di nuovo addormentati, perché i loro occhi si
erano fatti pesanti. Li lasciò, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le
stesse parole. Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: «Dormite pure e riposatevi! Ecco, l'ora
è vicina e il Figlio dell'uomo viene consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco,
colui che mi tradisce è vicino». (Mt 26, 36-46).
A differenza di Marco e Luca, il racconto di Matteo è più dettagliato; l’evangelista riporta per
ben due volte le parole di Gesù e lo fa usando sia la forma verbale sia il sostantivo39.
La prima frase, evidenzia il rinnegamento della volontà umana di Gesù: «non come io voglio
ma come tu», l’originale greco infatti non ripete il verbo volere come nella traduzione italiana.
La seconda frase, invece sottolinea l’adesione di Gesù alla volontà del Padre: «sia fatta la tua
volontà», riprendendo la stessa domanda del Pater, come abbiamo già notato. Per ben tre
volte, Gesù ripete al Padre la supplica di allontanare il calice, e per tre volte rimette la sua
volontà in quella del Padre suo. È il Figlio che con la sua volontà umana aderisce pienamente al
misterioso disegno di salvezza e lo compie:
«L’accettazione della volontà del Padre è libera anche se drammatica: per compierla, Gesù
rinuncia a fare la propria (Gv 5, 30; 6, 38; cf 10, 17s, Mc 14, 36 e par.). Ma in tal modo egli
non si aliena bensì esprime la sua libertà più profonda. L’obbedienza del Figlio è ispirata
dall’amore per il Padre e per gli uomini, ed è condizione per restare nell’agapē del Padre
(Gv 14, 31; 15, 9-12; Gal 2, 20). La comunione interiore che si stabilisce tra il Figlio e il

39
L’evangelista Marco usa il verbo: «non ciò che io voglio, ma ciò che tu [vuoi]» (Mc 14,36), invece Luca usa il
sostantivo: «tuttavia non la volontà mia, ma la tua sia fatta » (Lc 22,42) (qui ho rispettato l’ordine delle parole
secondo il testo greco e non quello della versione CEI).
14
Padre, nel libero incontro delle volontà, fa sì che l’ “opera” di Gesù sia dono del Padre, e il
Padre doni a Gesù il potere di realizzare personalmente l’“opera di salvezza”»40.

Matteo e Luca sono anche i testimoni di un’altra aspirazione profonda di Gesù: ambedue gli
evangelisti riportano il lamento di Gesù su Gerusalemme; un lamento che ha accenti accorati ed
esprime tutto l’amore di un Dio che rispetta la libertà dell’uomo, fino ad essere impotente di
fronte ad essa:
Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a
te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia raccoglie i suoi pulcini
sotto le ali, e voi non avete voluto! (Mt 23, 37; cf. Lc 13, 34)
La metafora della chioccia e dei pulcini, come quella del pastore che raduna le sue pecore,
vuole manifestare ciò che poi l’evangelista Giovanni esprimerà in quella pagina sublime al
capitolo 17 : uno degli aspetti salienti della volontà di Dio è quello di radunare tutti in unità. Ed
è proprio in questa preghiera, in cui Gesù chiede «che tutti siano una sola cosa; come tu, Padre,
sei in me e io in te, siano anch'essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato», che ci
sorprende un «voglio» di Gesù rivolto al Padre:
Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch'essi con me dove sono io, perché
contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione
del mondo. (Gv 17, 24)
In questo passaggio, in cui Gesù esprime la sua volontà di Figlio − che per l’essere uno del
Padre e del Figlio, è anche volontà del Padre −, il «mistero della sua volontà» si svela
ulteriormente. Essa non consiste soltanto nella salvezza degli uomini e nella loro partecipazione
alla resurrezione finale, ma è in definitiva «essere con Gesù», è contemplare la sua gloria e - in
lui, con lui e per lui - essere «con-glorificati».
«Gesù inizia coll’esprimere non tanto una domanda ma la “sua volontà” al Padre, che è in
comunione con la sua: la volontà di salvezza per i suoi, che gli sono stati dati e costituiscono
la sua proprietà personale. La prospettiva della preghiera qui riguarda la condizione futura
che attende tutti i credenti. E Gesù la esprime con un “voglio” fondato sull’unità eterna di
amore del Padre verso di lui e sull’impegno di fedeltà con cui egli segue il destino dei suoi
fedeli. Vuole che ogni credente, che lo ha seguito nel cammino della fede e dell’amore, sia
salvo e partecipi dello splendore della sua gloria divina […]. Tutti i credenti sono chiamati
così a partecipare all’unità di amore tra il Padre e il Figlio»41.

L’evangelista Luca riporta un’altra frase di Gesù esprimente anch’essa un suo desiderio, una
sua volontà ardente, che si compirà soltanto con e nel battesimo della passione:
Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un
battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!
(Lc 12,49-50).
Gesù ha da compiere la missione affidatagli dal Padre: cioè gettare un fuoco sulla terra,
portare lo Spirito Santo con la sua forza purificatrice e rinnovatrice:
40
A. Vanhoye, «L’oeuvre du Christ, don du Père (Jn 5,36 et 17,4)», RecSR 48 (1960) 377-419), cit. in S. De Fiores,
T. Goffi (a cura di), Nuovo Dizionario di Spiritualità, ed. Paoline, Roma, 1982, p. 1719-1720. La sottolineatura in
grassetto è nostra.
41
Cf. G. Zevini, Commenti spirituali del Nuovo Testamento: Vangelo secondo Giovanni, vol. II, Città Nuova, 1989,
p. 216.
15
«Egli desidera ardentemente che l’invio dello Spirito abbia già luogo. Ma prima deve essere
immerso in un bagno, deve passare attraverso la passione, che si riverserà su di lui come
onda tempestosa. L’ansia gli urge dentro finché non sia compiuta la morte dolorosa.
L’agonia del Getsèmani si preannuncia. La salvezza escatologica non viene senza l’asprezza
della passione. Il desiderio ardente di salvare deve accompagnarsi con il coraggio di
sopportare il tormento della passione. L’assunzione al cielo si compie attraverso la croce.
Gesù è in cammino verso Gerusalemme, dove lo attende la gloria attraverso la morte»42.

La prima comunità cristiana, in un inno di benedizione rivolto a Dio Padre, che è anche una
possente sintesi cristologica, ha così espresso il «mistero della sua volontà» :
3
Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
4
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
5
predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d'amore della sua volontà,
6
a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
7
In lui, mediante il suo sangue,
abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia.
8
Egli l'ha riversata in abbondanza su di noi con ogni sapienza e intelligenza,
9
facendoci conoscere il mistero della sua volontà,
secondo la benevolenza che in lui si era proposto
10
per il governo della pienezza dei tempi:
ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra.
11
In lui siamo stati fatti anche eredi,
predestinati - secondo il progetto di colui
che tutto opera secondo la sua volontà -
12
a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.
13
In lui anche voi, dopo avere ascoltato la parola della verità,
il Vangelo della vostra salvezza, e avere in esso creduto,
avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso,
14
il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione
di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria. (Ef 1, 3-14).
È un testo densissimo, che meriterebbe uno studio approfondito. Mi limito semplicemente
ad evidenziare alcuni passaggi nodali dell’inno, attinenti al tema che ci interessa:
- Nei primi versetti (vv. 3-6) l’autore dell’inno presenta «il disegno d’amore della sua
volontà»: Dio, il Padre di Gesù, cui sono attribuiti i titoli di «Signore» e «Cristo», ci ha
scelti nel Figlio prima della creazione del modo; tale elezione ha un duplice fine :
divenire santi e immacolati di fronte a lui nella carità, ed essere per Dio dei figli adottivi,
in Cristo;
- Tale disegno d’amore si è realizzato nella persona del Figlio; in lui «mediante il suo
sangue», abbiamo ottenuto la redenzione e il perdono «secondo la ricchezza della sua
grazia»;

42 Cf. A. Stöger, Commenti spirituali del Nuovo Testamento: Vangelo secondo Luca, vol. I, Città Nuova, 1966, p.
334-335.
16
- Il Padre ha riversato su di noi in abbondanza tale grazia, facendoci conoscere «il mistero
della sua volontà»: ricondurre ogni cosa (quelle nei cieli e quelle sulla terra) a Cristo,
unico capo;
- In Cristo, siamo stati fatti anche eredi e destinati ad essere lode della sua gloria;
- In Lui abbiamo ricevuto il sigillo dello Spirito Santo come caparra di tale eredità, in
attesa della completa redenzione.
Concludiamo questa seconda parte con questo stralcio del Dizionario di Spiritualità, che
sintetizza quanto abbiamo rilevato finora :
«Gesù è infine colui che ha accettato e vissuto totalmente la volontà del Padre in una vera storia
d’uomo, dalla venuta nel mondo fino alla morte di croce (Eb 10, 5-9; Fil 2, 8). L’assimilazione del
volere paterno è così profonda e vitale da esprimersi nel simbolo del cibo (Gv 4, 34). In grado
sommo Gesù è l’uomo della nuova alleanza che ricevette sul cuore la volontà del Signore quando
“imparò l’obbedienza da ciò che soffrì” (Eb 5, 8) e la realizzò nella più piena libertà, offrendo se
stesso al Padre mediante lo Spirito (cf. Eb 9, 14), in un’opzione di solidarietà con i “fratelli” (Eb 2,
14-17). L’obbedienza è ricreata al centro dell’esistenza, un’obbedienza trasformante e fonte della
nuova obbedienza cristiana, perché animata dalla carità pasquale (Rm 5, 19; Eb 5,8s).
Consumando l’offerta gradita di amore (Ef 5, 2), Gesù è “mediatore di una nuova alleanza” (Eb 9,
15), in cui la comunione col Padre è accessibile. Cristo possiede in pienezza, per comunicarli, la
sapienza e lo Spirito che consentono di conoscere e di compiere ciò che è gradito al Padre»43.

III. La risposta dell’uomo: un sì nel Sì del Padre, del Figlio e dello Spirito
Redenzione e salvezza dell’uomo, partecipazione alla resurrezione e alla glorificazione del
Figlio, ricapitolazione di ogni cosa creata in Cristo, unità: ecco in sintesi la volontà di Dio
sull’umanità intera e su ogni uomo e su ogni donna in particolare. Come evidenziato sopra, tale
disegno è stato portato a compimento da Gesù nella sua vita terrena, culminata nella Pasqua,
vittoria sulla morte e sorgente inesauribile di Vita nuova.
Come cristiani − e in particolare come membri di un’Opera chiamata a concorrere alla
realizzazione della preghiera di Gesù: che tutti siano uno44, che come abbiamo evidenziato si
situa al centro del mistero della sua volontà −, siamo interpellati a partecipare attivamente a
questo disegno amoroso di Dio sull’umanità45. Possiamo farlo in modo duplice: da una parte
inserendoci in questo progetto universale di salvezza che Dio ha sul mondo per realizzare il
come in cielo così in terra, cioè la partecipazione di tutti alla comunione trinitaria, dall’altra
aderendo al disegno personale d’amore del Padre su ciascuno di noi, in una vita vissuta sul
modello di quella di Gesù. Anzi ancor più: essere un altro Gesù sulla terra, in una vita tutta tesa
alla realizzazione dell’ut omnes unum sint.

43
Cf. S. De Fiores, T. Goffi (a cura di), Nuovo Dizionario di Spiritualità, ed. Paoline, Roma, 1982, p. 1712. La
sottolineatura in grassetto è nostra.
44
«siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il
mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me» Gv 17, 22-23.
45
Paolo nella seconda lettera a Timoteo afferma: « [… ] Dio, nostro salvatore, […] vuole che tutti gli uomini siano
salvati e giungano alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli
uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (2,4-6).
17
La domanda che ci occupa ora è la seguente: come inserirci noi, oggi, in questa volontà di
Dio che è disegno globale di salvezza e di unità, di santificazione e di glorificazione? Come
scoprire la volontà del Padre e vivere di essa, giorno dopo giorno?
Il discernimento e la pratica della volontà di Dio rientra nel mistero dell'incontro di due
volontà, quella dell'uomo e quella di Dio46. Per discernere tale volontà non basta conoscere la
lettera della legge (Rm 2, 18), ma occorre aderire ad una persona, e ciò può avvenire solo per
mezzo dello Spirito Santo donatoci dal Figlio (Gv 14, 26).
L'adesione alla persona di Gesù, lo sceglierlo come modello della nostra vita, anzi il voler
vivere come un altro Lui (e ciò presuppone il rinnegare se stessi e il prendere ogni giorno la
propria croce47) ci aiuta nel «discernere qual è la volontà di Dio, ciò che è bene, ciò che gli piace,
ciò che è perfetto» (Rm 12, 2). Questo discernimento non riguarda soltanto la vita quotidiana,
ma come abbiamo visto sopra, riguarda la realizzazione del disegno sponsale che il Padre ha
sull’umanità intera48.

Volere ciò che Dio vuole49


«Volere ciò che Dio vuole» è risposta umile di riconoscenza: cosa nella mia vita viene dallo
Spirito di Dio e costruisce questo regno d’amore? Cosa invece vi si oppone?
La chiamata dello Spirito non viene dall’esterno di noi stessi, infatti, la volontà di Dio non si
aggiunge alle tante esigenze che tessono la nostra vita. Si tratta piuttosto di una voce
persistente, un desiderio che nasce all’interno di tali esigenze, che le apre all’infinito e, come
una sorgente, le irriga, dando loro un senso nuovo e insospettato. È una chiamata che apre il
nostro tempo, il nostro quotidiano, la nostra storia a tale sorgente. «Volere ciò che Dio vuole»
non consiste soltanto nell’obbedire ai suoi comandamenti, ma soprattutto nell’aprirsi e
nell’aprire la propria vita all’amore di Dio, disponendosi ad amarLo «con tutto il cuore, con
tutta l’anima, con tutto lo spirito» (Lc 10, 27). Ci si apre così ad una volontà, che si scopre ogni
giorno sempre più intima a noi stessi che la nostra propria volontà.
«Volere ciò che Dio vuole» è accettare di partire e di impegnarsi in un’avventura, il cui
cammino non è conosciuto prima; tale cammino richiede abbandono e fiducia, sarà segnato da
ombre e sofferenze, come il cammino fatto da Gesù, cammino di verità e d’incarnazione.
«Volere ciò che Dio vuole» nel cuore di ogni nostra azione è un modo di esprimere il desiderio
di vivere da risorti. Realizzando la volontà di Dio e nutrendosi di essa, l’uomo realizza se stesso,
costruisce la sua libertà contemporaneamente al Regno di Dio. È una storia da ricominciare ogni
giorno.

46
«La volontà di Dio ha due aspetti complementari: è dono inesauribile ed è norma di vita in una libertà rinnovata.
Nel senso prioritario è il disegno sapienziale, agapico e finalizzato della salvezza integrale dell’uomo, gratuità di
comunione sempre più profonda con la Trinità, con i fratelli nella chiesa e con gli uomini di buona volontà. […] La
volontà di Dio è anzitutto offerta di grazia che mette in opera l’incontro interpersonale, nel dialogo di due libertà.
È quindi un dono da accogliere» Cf. S. De Fiores, T. Goffi (a cura di), Nuovo Dizionario di Spiritualità, ed.
Paoline, Roma, 1982, p. 1708. Le sottolineature sono nostre.
47
Cf. Mt 16, 24.
48
E. Jacquemin, X. Léon-Dufour, «Volontà di Dio», in Xavier Léon-Dufour (cur.), Dizionario di Teologia Biblica,
Marietti, Casale Monferrato, 1976, col. 1403-1408.
49
Questa parte si ispira ampiamente all’articolo «Vouloir ce que Dieu veut : un appel, une aventure», in Christus,
2008/218, p. 5-8.
18
Il desiderio di essere riuniti a Dio in tutto ciò che viviamo rimane ciononostante segnato dal
peccato e da limiti di ogni genere. Volontà di Dio e volontà dell’uomo sono allora disgiunte
come due desideri che fanno fatica a incontrarsi. «Sia fatta la tua volontà», diciamo nel Padre
nostro. Per dare a questa preghiera il suo senso pieno, perché essa diventi nostro «cibo» come
lo era per Gesù, bisogna risvegliare in noi la passione per questa volontà. La volontà di Dio è
questo slancio d’amore che ci vuole vivi e ci crea in ogni istante. La volontà di Dio ci attira
verso la bontà del Padre che ci chiama a diventare un Corpo, al seguito del Figlio suo. La
volontà di Dio è questo amore che ci conduce e ci immerge già da adesso, tramite lo Spirito
nella vita del Padre e del Figlio, una vita senza fine.

La volontà di Dio è volontà di un Padre


Gesù ci svela il volto paterno di Dio. Il Figlio ci dà in dono l’invocazione «Abbà»50 e lo Spirito
Santo mette sulle nostre labbra l’Abbà del Figlio eterno (cf. Gal 4, 6; Rm 8, 15; cf. Lc 11, 2),
poiché Egli ci ha dato di diventare figli nel Figlio (Gal 3, 26; 4, 4-6). Come già visto sopra, nella
lettera agli Efesini, Paolo parla della filiazione come di un «disegno d’amore della sua
volontà»51. E all’amore di un tale Padre, noi rispondiamo da figli, inserendoci nel piano d’amore
che Egli ha su ciascuno.

«Venga il tuo Regno»


Dopo l’invocazione al Padre nostro, Gesù ci invita a chiedere la santificazione del Nome e la
venuta del Regno di Dio fra gli uomini. Ogni giorno chiediamo: «Venga il tuo regno». È questa la
grande preghiera del discepolo; essa riguarda la consumazione dei tempi: che Dio sia realmente
re, che regni veramente sull’intera umanità. A ciò deve convergere ogni nostra aspirazione. Con
l’aggiunta che segue – «sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra» - noi ci impegniamo a
che la sua volontà trionfi e sia compiuta. Se noi vogliamo ciò che Dio vuole, il regno di Dio, si
attua già quaggiù sulla terra. Ma non siamo degli spettatori passivi: il Padre ci chiama ad una
partecipazione attiva, impegnandoci con tutte le nostre energie per compiere la volontà di Dio
e far sì che Egli sia realmente Signore nella nostra vita52.

50
«I discepoli ricevono in dono l’invocazione di Gesù: Abbà (Gal 4, 6; Rm 8, 15; cf. Lc 11, 2). Essa testimonia il
passaggio alla libertà dei figli ed eredi “per volontà di Dio” (Gal 4, 7; Rm 8, 14-17). La spiritualità cristiana è
interamente configurata dall’esperienza dell’Abbà, dalla relazione con la volontà del Padre. Il suo contenuto è la
santificazione, la letizia, la preghiera e il ringraziamento (1 Ts 4, 3-8; 5, 16-18). […] La conoscenza e il compimento
della volontà del Padre sono una realtà dinamica. […] Trasformato dallo Spirito di Dio, il credente può obbedire
all’esigenza divina, non costrizione esterna, ma legge interna della sua nuova vita in continua crescita. Il primo dono
di tale vita è la fede in Cristo evocata dall’attrazione interiore del Padre (Gv 6, 44, cf. Is 54, 13). Percepita nella luce
della fede e penetrante nell’uomo con l’azione dello Spirito, la parola di Cristo diviene sorgente d’insegnamento
intimo, l’ “unzione” che fa sapere tutto (1 Gv 2, 20.27). Realizzando la promessa della nuova alleanza, Dio imprime
con lo Spirito la sua legge nel cuore dei credenti (Eb 10, 16; 2 Cor 3, 3), insegna la sapienza della fede e la prassi
dell’amore fraterno (1 Ts 4, 9). La volontà di Dio dà a chi la compie un sigillo d’eternità (1 Gv 2, 17.)» Cf. S. De
Fiores, T. Goffi (a cura di), Nuovo Dizionario di Spiritualità, ed. Paoline, Roma, 1982, p. 1712.
51
predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d'amore della sua volontà
(Ef 1, 5).
52
Per tutto il paragrafo cf. W. Trilling, Commenti Spirituali del Nuovo Testamento: Vangelo secondo Matteo, vol 1,
Città Nuova, Roma, 1964, pp. 131-132.
19
«Sia fatta la tua volontà»
Nelle pagine precedenti, abbiamo visto fino a che punto Gesù si sia conformato alla volontà
del Padre: in Lui il misterioso disegno di salvezza si è compiuto in pienezza. Nel Figlio, tutto
proteso al Padre, la volontà di Dio si è realizzata sulla terra, come in cielo. Anche noi, che
rivolgiamo al Padre quotidianamente la preghiera del Figlio, siamo chiamati a riconoscere tale
volontà e a viverla nella nostra vita e per il seguace di Gesù, la volontà del Padre può essere
riassunta nella pratica del comandamento nuovo di Gesù:
«Sia fatta la tua volontà. Che cos’è l’avvento del Regno se non il compimento della volontà
del Padre? Il suo Nome, quello del Padre, è glorificato in ciò: che i figli compiano la sua
volontà, mostrandosi in questo veri figli. Null’altro. Non c’è neppure da specificare il
contenuto di tale volontà, tanto esso è evidente, essendo implicito nel riconoscimento del
Padre e, dunque, nel reciproco riconoscimento dei figli come tra loro fratelli. È questo in fin
dei conti, il significato del duplice comandamento dell’amore (Mt 22, 37-39; Mc 12, 29-31) e
del comandamento di Gesù: “Questo io vi comando, che vi amiate gli uni gli altri. Come io
ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13, 34)53.

Vivendo così noi cristiani contribuiamo alla realizzazione del «come in cielo così in terra»:
Come in Cielo così in terra. Il “come” (òs) è il legame vero, l’unico, tra Cielo e terra. La vita
del Cielo ha da trasferirsi in terra. La quale terra ha da restare: non solo nel tempo
presente, ma anche in quello definitivo che ancora ha da venire. Non si parlerà allora di
“cieli nuovi e terre nuove”? “Come”: la stessa legge di vita che vive in Cielo – la
santificazione del Nome del Padre da parte del Figlio, quel soffio infinito di reciproca
glorificazione che è lo Spirito – ha da vivere in terra. Questa la volontà del Padre»54.

Il comandamento nuovo
Il comandamento nuovo, datoci da Gesù, manifesta – come abbiamo appena visto –
un’esplicita volontà di Dio per ogni cristiano. Già con i profeti e il Deuteronomio, l’obbedienza
fondata sulla fede e sulla speranza scopre una base più profonda e una nuova chiamata:
l’amore. L’amore è il segreto della volontà di Dio e diventa il comandamento dato a Israele:
«Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze»
(Dt 6, 5). A questo primo comandamento Gesù lega un secondo, tratto dal libro del Levitico e
che Egli definisce simile al primo: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lv 19, 18).
L’amore può prendere la forma di un comandamento55? Certamente, se il comandamento
viene lui stesso dall’amore. L’amore autentico non può volere come risposta che l’amore. E
quando è Dio che ama, la sua attesa prende la forma di un imperativo: un Dio che ama

53
Cf. P. Coda, «Questo Dio per la libertà», in M. Cacciari, P. Coda, Io sono il Signore Dio tuo, Il Mulino, 2010, pp.
53-54.
54
Ibid.
55
La parola comandamento, come del resto il termine legge, hanno nella lingua ebraica un significato molto più
ampio di quello che i due vocaboli assumono nelle nostre lingue; lungi dall’essere gravosi, i comandamenti
costituiscono la «gioia» (Sal 119, 47.143) e l’«amore» (Sal 119, 127) del salmista. Nel Decalogo, Dio chiama coloro
che osservano i suoi comandamenti «quelli che mi amano» (Es 20, 6; Dt 5, 10). La legge, i comandamenti sono un
dono di Dio al suo popolo e all’umanità. Cf. Il Dizionario della Bibbia, a cura di Paul J. Achtemeier e della Society
of Biblical Literature, ed. italiana a cura di Piero Capelli, Zanichelli, 2008, p. 185.
20
domanda l’amore. L’amore donato e comandato nasce nel più profondo del cuore e impegna
tutta l’esistenza. Se l’amore è il segreto della volontà di Dio, esso è anche il motore del suo
agire e chiede all’uomo di rispondere impegnando tutto se stesso. L’esistenza che Dio propone
a Israele è non solo un programma da vivere, ma anche una chiamata di ogni giorno a
incontrare Dio nell’amore. La volontà di Dio è questo incontro permanente, quotidiano56.
Mentre il Gesù di Matteo unisce in un unico comando l’amore verso Dio e l’amore per il
prossimo, il Cristo giovanneo57 lascia alla sua comunità un comandamento, presentato come
regola di vita e suo distintivo: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri.
Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete
miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 34-35; cf. 15, 12.17). Tale
insegnamento, perché rivelazione di Dio, è anzitutto un dono di Gesù ai suoi discepoli e un
programma che deve illuminare la loro vita, perché radicata nell’amore scambievole. Come già
sottolineato in precedenza, l’amore al prossimo è già un precetto dell’Antica Alleanza (cf. Lv 19,
8), ma nel quarto vangelo, Gesù da un comandamento che Egli definisce come «mio» (cf. Gv 15,
12) e come «nuovo» (cf. Gv 13, 34).
In cosa consiste tale novità? Il comandamento non è «nuovo» soltanto perché è il cuore e la
sintesi della nuova alleanza, o perché caratterizza la vita della comunità dei seguaci di Gesù, o
ancora perché riproduce nel mondo l’amore di Cristo per i discepoli, o perché è caparra dei
«cieli nuovi e della terra nuova». Il comandamento è «nuovo» perché ha come modello e norma
lo stesso Gesù: l’amore reciproco tra fratelli «deve commisurarsi sul suo amore verso di noi,
sempre nuovo, sempre profondo, sempre insospettato, sempre gratuito»58. Si tratta dell’amore
che il Padre nutre per il Figlio, è quindi un amore che ha la sua origine nella vita di comunione
tra le Persone divine. Inoltre, il comandamento “nuovo” non è soltanto il distintivo di
appartenenza a Cristo, ma «è il volto stesso del Signore risorto e vivo nella sua Chiesa (cf. 1 Gv
4, 12), è la virtù essenziale del cristiano che vive nell’attesa del suo ritorno» 59. Infatti, dalla
reciprocità dell’amore scaturisce, sempre nuova e rinnovata, la presenza del Risorto fra i suoi
fino alla fine dei tempi, secondo la sua promessa (cf. Mt 18, 20 e 28, 20).

Volontà di Dio e santità


Il quarto vangelo ci riporta la confessione di Pietro nella sinagoga di Cafàrnao, dopo il
discorso sul pane di vita e la defezione di vari discepoli, l’apostolo riaffermando la sua fede in
Gesù lo designa con il nome di Santo di Dio. Leggiamo il passaggio giovanneo:
Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può
ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a
questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era
prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono
spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da
principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva:

56
Cf. «Vouloir ce que Dieu veut : un appel, une aventure», Christus, 2008/218, p. 26.
57
Per questo paragrafo cf. G. Zevini, Commenti spirituali del Nuovo Testamento: Vangelo secondo Giovanni, vol
secondo, Città Nuova, 1989, p. 119-124.
58
Ibid. p. 123.
59
Ibid. p. 123-124.
21
«Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». Da
quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse
allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da
chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il
Santo di Dio» (Gv 6, 60-69).
Luca, agli inizi del suo vangelo lega la santità di Gesù alla sua filiazione divina: concepito per
opera dello Spirito Santo, il bambino «sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio» (Lc 1, 35). I due
evangelisti attribuiscono a Gesù un termine usato nell’Antico Testamento per designare quasi
esclusivamente JHWH, il santo d’Israele (Is 5, 9). Con questo termine tipico della rivelazione
biblica, Israele proclama che Dio è «il Santo». Il profeta Osea mette sulla bocca stessa di Dio
l’espressione: «sono il Santo in mezzo a te» (Os 11, 9). La parola latina sanctus traduce l'ebraico
qadosh, che etimologicamente significa separato, segregato. Dicendo che «Dio è Santo», non si
vuole evidenziare una qualità accanto alle altre - Dio giusto, buono, fedele... -, ma proprio ciò
per cui Dio è Dio; si esprime la sua assoluta diversità da tutto ciò che non è Dio, quindi la sua
trascendenza.
La santità esprime quindi l'essere di Dio in sé, in quella pienezza di potenza e di vita infinita
che lo caratterizza. Corrisponde esattamente a ciò che è proprio di Dio, alla sua divinità60.
Il popolo d’Israele è chiamato da JHWH a essere santo. Questo invito alla santità è
soprattutto espresso nel libro del Levitico, in cui il tema è ricorrente:
Poiché io sono il Signore, vostro Dio. Santificatevi dunque e siate santi, perché io sono
santo... Poiché io sono il Signore, che vi ho fatto uscire dalla terra d'Egitto per essere il
vostro Dio; siate dunque santi, perché io sono santo (Lv 11, 44-45)61.
In Isaia il popolo santo sarà il popolo redento dal Signore: Li chiameranno «Popolo santo»,
«Redenti del Signore» (Is 62, 12).

La santità di Dio è anche bontà assoluta. La santità di Dio è in definitiva amore: Dio è santità
perché è amore (1 Gv 4, 16). A Lui l’uomo si rivolge con profonda fiducia, a Lui egli affida
l’intimo mistero della sua umanità. Tale amore si è espresso, come abbiamo già visto, nell’opera
della redenzione e della giustificazione dell’uomo, tramite il mistero della croce. Perciò la
salvezza dell’uomo è strettissimamente legata alla santità di Dio, poiché dipende dal suo
eterno, infinito Amore. E l’amore, elemento essenziale e decisivo della santità di Dio, attraverso

60
Si tratta quindi della santità ontica, cioè dell'essere di Dio e non della santità morale, che deriva da essa.
«JHWH non è soltanto giusto e misericordioso, è anche santo. È, secondo l’espressione d’Isaia, il Santo d’Israele
(Is 5, 19). La santità costituisce, nel suo più profondo mistero, l’Essere stesso di Dio: perciò è proclamato dai
serafini tre volte Santo (Is 6, 3). Ma che cosa significa per i profeti che JHWH è santo? Significa che Dio è il
Separato, il Trascendente, colui che è al di là di tutto ciò che è umano e perciò impuro e macchiato di peccato, è
l’infinita Purezza. […] La santità pone perciò una distanza infinita e un abisso incolmabile tra Dio e l’uomo. Dice
JHWH in Osea: “Sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te” (Os 11, 9). Ma la santità di JHWH non è una
forza che distrugge il peccatore: proprio perché è santo, JHWH è salvatore (cf. Os 11, 9). Nella sua infinita
trascendenza egli è l’Altissimo, ma abita con gli umili e gli oppressi (Is 57, 15). Così la santità di JHWH è insieme
lontananza e prossimità con i poveri e gli umiliati.» Cf. Ragione e fede di fronte al mistero di Dio, Gli editoriali
della Civiltà Cattolica, Elle Di Ci, Torino, 1997, p. 199-200. Le sottolineature in grassetto sono nostre.
61
Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: «Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo»
(Lv 19, 2); Santificatevi dunque e siate santi, perché io sono il Signore, vostro Dio. Osservate le mie leggi e
mettetele in pratica. Io sono il Signore che vi santifica (Lv 20,7-8); Sarete santi per me, poiché io, il Signore, sono
santo e vi ho separato dagli altri popoli, perché siate miei (Lv 20,26).
22
la redenzione e la giustificazione, guida l’uomo alla sua santificazione con la potenza dello
Spirito Santo62.
Il Nuovo Testamento attesta un legame profondo tra volontà di Dio e santificazione
dell’uomo. Gesù esorta i suoi, dicendo: «Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre
vostro celeste» (Mt 5, 48). Paolo nella prima lettera ai Tessalonicesi afferma: «Questa infatti è
volontà di Dio, la vostra santificazione» (1Ts 4, 3) ed invita i primi cristiani «a rivestire l'uomo
nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità» (Ef 4, 24). E l’autore della prima
lettera di Pietro, ricordando la chiamata alla santità espressa nella Scrittura, anch’egli esorta:
Come il Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta.
Poiché sta scritto: Sarete santi, perché io sono santo (1Pt 1, 15-16).
Amando, partecipiamo della santità di Dio – cioè del suo amore – e generiamo per l’amore
scambievole la presenza del Santo in mezzo a noi. Gesù è per eccellenza «il Santo» di Dio (cf. Ac 3, 14s).
È lui che ci santifica (cf. Gv 17, 19-24).

Maria, donna del «sì»


Per la realizzazione di questo disegno d’amore che attraversa i secoli della storia umana, Dio
si è scelto una creatura, una donna. Maria è presentata, infatti, dall’evangelista Luca, come una
giovane donna di Nazareth che aderisce all’annunzio sorprendente dell’angelo Gabriele.
Presentandosi come «la serva del Signore», la vergine sposa risponde al messaggero di Dio: «si
faccia di me secondo la tua parola» (Lc 1, 38). Cerchiamo di capire la profondità dell’adesione
della giovinetta di Nazareth ad una volontà così sconvolgente.

Dal sì di Nazareth al sì del Golgotha


Maria è colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore, ed è anche colei
che esulta di gioia nel suo Dio, che lei chiama «il mio Salvatore». Il perché dell’esultanza gioiosa
di Maria sta nel fatto che il Signore «ha guardato l'umiltà della sua serva» (Lc 1, 48). Questa è la
traduzione in lingua italiana dell’inizio del Magnificat63. Ma tale resa non è del tutto esatta.
Infatti, il testo greco dice: «ha guardato all’umiliazione della sua serva».
La parola «umiliazione» è un termine tecnico e fa riferimento alle varie situazioni
disonorevoli in cui una donna può venire a trovarsi. Probabilmente Maria evoca la sua
situazione di giovane donna «incinta», senza che la gente possa capire immediatamente che il
figlio è stato concepito per l’azione potente dello Spirito Santo. Come sottolinea il vangelo di
Matteo, Maria rischia, per il suo nuovo stato di madre, di essere denunciata e giudicata
pubblicamente (cf. Mt 1, 19). Maria parla dunque della sua umiliazione.
Rileggiamo l’inizio dell’annunciazione fatta dall’angelo alla giovinetta di Nazareth:
«Al sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata
Nazareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome
Giuseppe. La vergine si chiamava Maria» (Lc 1, 26-27).

62
In questo paragrafo seguo Giovanni Paolo II, Udienza del mercoledì 18.12.1985.
63
In questa sezione, seguo ampiamente il testo di Ph. Lefebvre, La Vierge au livre: Marie et l’Ancien Testament,
Cerf, Paris, 2007, pp.135-139.
23
La formula di presentazione di Maria, «una vergine, promessa sposa di un uomo», riprende
l’inizio del testo di una legge, consegnata nel Deuteronomio:
«Quando una fanciulla vergine è promessa sposa a un uomo e un altro uomo, trovandola in
città, giace con lei, condurrete tutti e due alla porta di quella città e li lapiderete a morte: la
fanciulla, perché, essendo in città, non ha gridato, e l'uomo perché ha disonorato la donna
del suo prossimo» (Dt 22, 23-24).

Luca, usando le stesse parole del testo deuteronomico, presenta una vergine sposa che nella
sua cittadina di Nazareth riceve la visita di un angelo. Presto, sembrerà che Maria abbia
commesso una grave colpa: è l’umiliazione pubblica. Matteo insisterà su quest’umiliazione di
Maria sottolineandone il carattere giuridico (Mt 1, 19). Giuseppe decide di rinviare Maria in
segreto, poiché lo scandalo pubblico avrebbe conseguenze tragiche (la lapidazione). Sarà
l’angelo a spiegare in sogno a Giuseppe la situazione; le parole dell’angelo rassicurano Giuseppe
che prenderà Maria con sé (cf. Mt 1, 20-22).
Il sì di Maria alla proposta dell’Angelo è dunque un sì cosciente e serio. Per questo suo sì,
Maria sembra essere una peccatrice, invece è una vergine che cammina sulle vie del Signore:
«Ecco la serva del Signore, avvenga per me secondo la tua parola». In questa sua umiliazione,
Maria anticipa ciò che suo figlio vivrà: accusato dalle più alte autorità religiose, messo in croce
come un maledetto.
Il fatto di essere messi al rango dei peccatori non è soltanto una prova personale per Gesù e
per la madre sua: la loro condiscendenza a scendere fin nel rango dei peccatori e dei maledetti,
permette che non vi sia nessun luogo della realtà umana e sociale che non sia stato assunto e
abitato da Dio. Il cammino di Maria e poi quello che Gesù percorrerà qualche anno dopo,
manifestano che Dio è presente in ogni situazione, anche la più terribile64. Gesù accetterà di
essere fatto «peccato»65 per noi: il Dio umanato scende, abbassandosi, fin nell’abisso del
peccato e della morte.
E Maria, da vera discepola, segue il Figlio suo.
Il Servo associa «la serva del Signore» al misterioso disegno di salvezza66. Il «fiat» della
giovinetta di Nazareth sarà seguito da un altro «fiat» : il sì doloroso della Madre ai piedi della
croce del Figlio derelitto.
Al misterioso Abbandono del Figlio fa eco l’incommensurabile Desolazione della Madre: il
“sì” generoso e totale del Nuovo Adamo e della Nuova Eva alla volontà del Padre li condurrà,
attraverso il mistero di una morte crudele e vergognosa, alla Resurrezione e alla Glorificazione.

Le nozze di Dio con l’umanità


Inserendoci nel grandioso disegno del Padre sull’intera umanità, corrispondendo al piano
d’amore del Padre su ciascuno di noi e vivendo col Santo in mezzo a noi, contribuiremo alla

64
Fin qui mi sono ispirata ampiamente al testo di Ph. Lefebvre, citato sopra.
65
Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo
diventare giustizia di Dio (2Cor 5, 21).
66
Gesù associa anche ogni credente a tale misterioso disegno: Poi disse a tutti: «Se qualcuno vuole venire dietro a
me, rinneghi se stesso, prenda la propria croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9, 23).
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realizzazione della volontà di Dio sul mondo: l’ut omnes, lo sposalizio escatologico di Dio con
l’umanità.
Il simbolismo nuziale, così presente nei testi profetici67, ha già trovato un suo primo
compimento nel mistero inaudito dell’incarnazione: il Verbo di Dio, mandato dal Padre, nel
seno di Maria si unisce all’umanità, si fa uomo per sempre. Sono le nozze, lo sposalizio di Dio
con l’umanità. Nel Nuovo Testamento, infatti, il titolo di Sposo che nella Bibbia ebraica è
attribuito a YHWH, designa Gesù (cf. Mc 2, 19-20 e par.; Gv 3, 29; 2 Cor 11, 2). È lui lo Sposo.
E nell’Apocalisse, Gerusalemme, la città santa che scende dal cielo, non sarà più chiamata
sposa di dio ma sposa dell’Agnello (Ap 21,9). Il testo rileva che essa è come una sposa
preparata, adorna per il suo Sposo (Ap 21, 2). Le nozze escatologiche giungeranno così al loro
pieno compimento: la città santa è la dimora di Dio fra gli uomini. Dio abiterà in mezzo agli
uomini, in una pienezza senza pari; l’umanità intera sarà il suo popolo «ed Egli sarà il Dio-con-
loro» (Ap 21, 1-3).
Compiendo giorno dopo giorno la volontà di Dio su di noi, viviamo, preparando il vestito per
le nozze dell’Agnello, nell’attesa viva e attiva della venuta dello Sposo, quando si compirà in
pienezza il disegno, la volontà amorosa di Dio sull’umanità, sua sposa, amata di amore eterno.
Lo Spirito e la Sposa dicono: «Vieni!»;
così chi ascolta dica: «Vieni!».
Colui che ha sete venga
e chi ne ha desiderio [chi vuole]
attinga gratuitamente l'acqua della vita (Ap 22, 17).

67
Cf. Os 1-3 ; 2,2ss ; Jr 31,3 ; Ez 16, 1-43.59-63 ; Is 54, 4-8; 61,10; 62,4s.
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