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Esegesi significa ‘tirare fuori’, in greco exsegheomai. L’esegesi è lo strumento, esso non è lo scopo,
e tali strumenti esegetici ci aiutano a vedere oltre le finestre bibliche e ad aprirle. L’esegesi è come
un archeologo, che scava in profondità, a volte col piccone, scoprendo in modo grossolano, altre
volte col lo spazzolino, andando con precisione e minuziosità. Un altro esempio, è come le
immagini stereografiche, ti sforzi di vedere in profondità ciò che c’è nell’apparenza della
confusione dei colori. Il testo è Re, l’esegeta è al servizio del testo. Leggendolo così com’è, senza
cadere nella presunzione che abbiamo capito già tutto, bisogna sempre andare in profondità. (libro,
(consigliato) Richard Erickson, Guida introduttiva all’esegesi del Nuovo Testamento, oppure W.
Hegger, Metodologia del Nuovo Testamento).
B. L’esegesi può essere definita ancora con l’entrare in un dialogo critico con il testo, l’esegesi è
un’investigazione che va dal generale al particolare. Hanz J. Garramer, ermeneuta tedesco dice
«Ogni comprensione del singolo elemento è condizionato dalla comprensione del tutto. Ogni
spiegazione del singolo elemento presuppone la comprensione del tutto». Questo vuol dire prima di
andare al dettaglio della lettura, devo fare una lettura generale, poi posso andare in profondità.
Avendo una visione d’insieme, e dopo del particolare.
C. Esegesi come «lettura scientifica» dei testi, leggere i testi rispettando la distanza e le condizioni
che ci separano dal Sitz Im Leben, dal 21° secolo a quello del testo. È un tentativo di essere
oggettivi ai testi. Posso avere una lettura corretta e non corretta, tra queste due opposizioni, in
mezzo ci sono altre molteplici comprensioni. Lo scopo nostro è quello di avvicinarci al più possibile
a quella corretta. David Banon ha scritto un libro L’interpretazione infinita, un rabbino.
Tema interessante: Cos’è il concetto di verità? Non tutti hanno lo stesso concetto… e siamo davvero sicuri quale sia il concetto di
verità nella Bibbia? Io sono la Via, la Verità e la Vita, Verità sta in mezzo a questi due nomi, come se essa divarichi e traballi al fine
di portarci alla Vita. Son 3 parole messe in sequenza dinamica.
La nostra capacità di lettura è influenzata da vari fattori:
1. L’intensità della lettura, lentezza e attenzione
2. Conoscenza e padronanza della lingua
3. La propria esperienza di vita, chi è Dio per la tua vita, un medico o un arbitro? Colui che ti
lenisce le ferite o che ti dice cosa è giusto o sbagliato?
4. Non solo la nostra esperienza di vita, ma anche il particolare stato d’animo del lettore ha
effetto sulla comprensione del testo. Lo stesso testo riletto in diversi stati emotivi ci fa
comprendere o non comprendere come si dovrebbe.
Lettura scientifica del testo significa, dice K. Weimar, linguista tedesco del 20° sec.,
Metodologia del NT, p. 12 «Interrogare, interrogare ed interrogare», cioè per sfuggire
all’illusione di leggere velocemente e pensare di capire all’instante ciò che si è letto, bisogna
soffermarsi e porsi delle domande. L’aspetto del dilettante è quello di interrogarsi, più sei bravo
a porre delle domande al testo, più provi a dischiudere la profondità del testo.
1. Lettura molteplice del Nt: Ovvero si intente che la lettura della bibbia non sia mai fatta
singolarmente o in solitario, bisogna considerare altri metodi e approcci, dunque come
comunità interpretante, dice P. Ricoeur. È nel conflitto dei pensieri che nasce l’esegesi. Cosa
vuol dire metodologia? Viene dalla parola greca metodos, all’interno del quale troviamo
meta-odos, ovvero «seguire una via», «andare dietro ad una via», letteralmente il modo, il
come si ricerca, si investiga, il modo per perseguire, raggiungere, andare dietro allo scopo,
l’obbiettivo. Cioè non si fa ricerca biblica, esegesi a caso, ma ce segui una metodologia, per
fare i giusti passi.
2. Metodi e approcci: Più che metodo, esso è un approccio, che tiene conto di alcuni relazioni
3. Sincronia e diacronia: approccio sincronico ha a che fare con la forma finale, con il fermo
immagine del testo in se. Mentre quello diacronico faceva utilizzo di tutti i dati precedenti
alla stillazione finale, ovvero il Sitz im Leben, interessati al movimento dell’immagine.
Matteo, Marco e Luca sono i responsabili della ricezione e rielaborazione.
1 Cor 15:1ss: ogni autora scrive quello che scrive perché ha trovato le sue fonti.
Approcci in prospettiva sincronica:
- Semantica
- Sintattico strutturale
- analisi narrativa
- analisi retorica, tentativo del testo di convincerti
- analisi pragmatica
-
prospettiva diacronica:
- critica delle fonti
- critica delle forme
- esempi del polo della storia, contesto storico
- critica storica, ricostruzione dela fatto storico
- metodo comparativo, opportunità di confrontare (es. scritti di Qumran o altri scritti)
- contestuali, legati alla teologia della liberazione
- legati alla scienza umanistica
- psicologica
Ancora oggi il textus receptus (ND, KJV) è usato. È un testo piu conservatore, soprattutto riguardo
al tema della divinità di Gesù. Traduce da Erasmo, gli altri testi o versioni. Per questo la Diodati ha
ancora alcuni limiti oggi, perché è ripresa da un manoscritto molto antico. 1 Tim 3:16
Dopo il textus receptus sono arrivate le prime edizioni critiche.
Per l’esame Filippo vuole sapere a memoria le sezioni principali, queste all’interno sono meno
importanti.
L’utilità di segmentare i testi, o meglio, costruire delle unità minori, ridurre il testo nelle più piccole
unità letterarie, ovvero le pericopi. Bisogna dunque scomporre le varie parti per capire i vari temi.
Segmentare, secondo B. Corsani, significa che le principali componenti del testo possono essere
scomposte in altre componenti, lui le suddivide in 4 parti:
1. Unità letterarie o paragradi di base (o pericopi) dal greco peri-kopto. La pericope è il più
piccolo brano dotato di senso compiuto, una unità dunque significativa. Es: ‘la
moltiplicazione dei pani e dei pesci’, o potrebbe essere anche una parabola, o semplicemente
un cambiamento di tema è indice di piccole pericopi.
2. Sezioni (gruppi di unità letterarie)
3. Parti, (ovvero più sezioni che compongono queste parti)
4. Scritto (parti che compongono lo scritto, es: vangelo, epistola, etc…)
Esercitazione in classe:
Matteo 5:1-35
pericope 1 vv. 1-12 Le beatitudini (1-3, cornice letteraria)
pericope 2 vv. 13-16 Sale della terra e luce del mondo
pericope 3 vv. 17-19 valore eterno della legge di Dio
Pericope 4 vv. 20-48 le 6 antitesi sulla legge di Gesù: ‘vi fu detto che’, si ripete spesso v. 28, 43,
e altri prima, questo designa un nuovo tema che ha sempre inizio.
Tradurre i testi antichi è un’arte davvero difficile, Antonie B. dice «tradurre è sia abitare nella
lingua dello straniero, sia dare ospitalità». La lingua si evolve col tempo, dunque anche le traduzioni
devono andarci appresso. Non esiste dunque una traduzione perfetta, sono tutte utili, ma nessuna è
indispensabile. Ogni nuova traduzione non esaurisce mai il senso profondo e la ricchezza semantico
del testo in lingua originale.
Es: Matteo 5:48, c’è una diversa traduzione ‘siate perfetti’, ‘sarete perfetti’.
In fase preparatoria all’esegesi di un testo si deve distinguere la traduzione personale e provvisoria,
da quella finale.
Ci sono 2 importanti obbiettivi al fine di una buona traduzione: a. fedeltà all’originale, ovvero non
aggiungere nulla, ne sfumature di lingua che possa venire a cambiare il senso o l’enfasi. b.
comprensibilità per i nuovi temi. Non si può lasciare comunque neanche troppo letterali, perché
nella lingua in cui è stata tradotta non ha un senso molto forte
- La traduzione in 2 fasi:
a. La comprensione del testo: capire meglio possibile il testo a partire dalla
lingua originale o di partenza
b. La ricostruzione linguistica: il traduttore deve potere riprodurre un testo
con la piu alta equivalenza possibile fra lingua di partenza e la lingua
d’arrivo.
Domande essenziali per ogni traduttore:
Mc 1:15 differenza tra kairos, che è il tempo qualificato, specifico di qualcosa in particolare, di
grande contenuto, mentre kronos è dedito allo scorrere del tempo. Qualcosa si è compiuto, ciò che
doveva succedere è accaduto, è giunto a termine. Inoltre troviamo due verbi interessanti, metanoeite
e pisteuo, convertitevi e credete. La CEI rispetta molto la giusta traduzione, mentre la TILC traduce
con ‘cambiate vita’. Mentre nella CEI traduce ‘il tempo è compiuto’ e nella TILC ‘il tempo della
salvezza è venuto’, è una forzatura aggiungere ‘salvezza’, perché nel testo originale non c’è. Si può
pensare dunque che faccia riferimento alla venuta del Messia.
Rom 10:4 per telos, si intende ‘raggiungere lo scopo’, o semplicemente ‘la fine’. Oltre ciò il
verbo essere qui è sottinteso. Traduzione letterale: «Lo scopo della legge è Cristo, per la
giustificazione di ognuno che crede». La CEI traduce ‘il termine della legge’, si sofferma sul tempo
come ‘la fine’. Mentre la TILC traduce ‘Cristo è lo scopo e la fine della legge di Mosè’, è molto più
definita, esce fuori dalla bolla del testo greco. Inoltre nel testo greco si dice dicaiosunev, ovvero
giustizia, inteso come giudizio. Mentre la TILC traduce ‘è posto nella giusta relazione con Dio’. La
giustizia di cui ci parla Paolo è inteso come fu per il profeta Isaia, che significa salvezza, Dio che ci
rende e dichiara giusti. Cristo è lo scopo della legge di Mosè, affinchè chiunque crede venga posto
con la giusta relazione con Dio, grazie alla fede in lui, essendo in pace e riconciliati con lui. Questa
definizione della TILC va molto bene.
La NVB traduce molto bene la prima parte, anche la ND ha un’ottima traduzione. Mentre la NR usa
un plurale più elegante ‘tutti coloro che credono’.
Analisi strutturale
Obbiettivi dell’analisi:
1. Reperire e descrivere l’articolazione del testo (approccio descrittivo), ovvero che prova
a vedere come è articolato il testo
2. Illuminare il senso del testo, facendo luce sull’idea, o per capire quali sono le idee
principali o secondarie.
Elementi di metodo:
a. Lessico e statistiche
Gv 18:38 cos’è la verità?
In Mt il concetto di verità si trova solo una volta, in Mc 3, così come in luca, ma in Gv 20
volte. Dunque se cerchiamo la verità (aletheia) sappiamo che in Gv troveremo la risposta.
Per quanto riguarda invece la dikaiosune, ovvero la giustizia, troviamo una ricorrenza di tale
parola in tutto il Nt come 92 volte, ma è in stra-gran maggioranza nel Corpus Paolinum, con
35 ricorrenze in Romani.
La parola kriticos, che significa ‘capace di giudicare, valutare’. Essa ricorre in tutta la
Bibbia, soltanto nell’epistola agli ebrei (4:12). È dunque un apax allegomen (in the whole
bible)
Un altro termine raro nel Nt, che ricorre solo due volte, In ebrei, e nel corpus paolinum, In
Rom 3:25, ilasterion, ‘sacrificio propiziatorio’. Nell’AT il propiziatorio era il coperchio
dell’arca (un contenitore), dove sopra vi erano gli angeli. Interessante come Paolo usa
questo termine. Il Signore definisce il personaggio con questo termine figurato, lo fa
diventare il coperchio dell’arca.
Ebrei 9:5, qui si descrivono gli oggetti materiali, mentre in Rom lo si attribuisce a Cristo il
propiziatorio, c’è quindi invece una sfumatura teologica.
b. Forme e funzioni grammaticali
Che sono:
i. Tempi verbali
ii. Modi verbali
iii. Verbi
iv. Particelle di collegamento: preposizioni e congiunzioni
v. Sostantivi e nomi
vi. Aggettivi
vii. Avverbi
Bisogna in particolar modo sottolineare i verbi d’azione!
c. Proprietà stilistiche e retoriche
Figure stilistiche e figure retoriche
d. Struttura ed articolazione del testo
Come è fondamentale per chi scrive organizzare il proprio materiale, cosi è fondamentale
per chi legge e vuole capire un testo, scoprire la sua specifica chiave d’organizzazione (in
macro la struttura di uno scritto, ed in micro la struttura di un brao). Taxis, ‘strutturare’
letteralmente. Dev’essere uno schema, con una mappa concettuale
Ripetizioni significative:
Mt 28:18-20, si ripete (si itera), panta, che significa ‘tutto’. Questo sottolinea la missione
della chiesa:
1. ‘Ogni potere’, ovvero, tutto è possibile in Gesù
2. ‘tutti i popoli’, ovvero, il vangelo non ha barriere
3. ‘tutte quante le cose che vi ho comandato’, ovvero, insegnare tutta la volontà di Dio
4. ‘tutti i giorni’, ovvero, la presenza di Gesù al nostro fianco è una certezza, non siamo
soli.
Non a caso il numero 4 nella Bibbia, rappresenta la completezza.
Mt 23:8, si ripete ‘guai a voi…’ in greco uai de umin. Si ripete 7 volte, al v. 13, 14, 15, 16,
23, 25, 27, 29.
Anche In Mt 5:21-48, ci sono 6 antitesi, ‘voi avete udito che fu detto … ma io vi dico’
Rom 14:1-15:7, ‘accogliere l’altro poiché è come Dio accoglie’
Questa giunzione rappresenta una cornice letteraria. La ripetizione fa da cornice del
racconto, perché si trova sia all’inizio che alla fine, in Rom 14 e 15. È dunque un’inclusione.
Si ripete proslambanomai, due volte pima proslambaveste e poi proselabeto. Quando si
ritrova un verbo che apre una pericope e la chiude, significa che il discorso è unitario.
Rom 5:1-11 «giustificati-riconciliati per mezzo di Gesù Cristo», qui si trova il verbo
Kaucomai, che significa ‘vantarsi’, in entrambi i vv. Inoltre si ripete la parola ‘riconciliati,
sia al 5 che all’11. L’inclusione più ampia e più complessa da cogliere, sottolinea come una
ripetizione sottolinea tale riconciliazione con Cristo.
I parallelismi sono strutture ripetitive, spesso ripetendo un concetto con parole diverse,
es: (1) AB//A’B’, questo è sinonimico. Questi parallelismi li usiamo anche nel nostro parlare
odierno, es: «Tale padre, tale figlio». Dunque chiunque può fare tali ripetizioni, non si deve
essere chissà quale linguista.
Nel NT un esempio di tale parallelismo è in 1 Cor 10:21 «non potete bere il calice del
Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa
dei demòni», questa è una chiara ripetizione, chiamata isocolon¸ che è una figura retorica
che consiste nella perfetta corrispondenza fra due o piu membri di un periodo, per numero e
disposizione di parole. Seguendo tale struttura e disposizione (AB//A’B’), stessa posizione
del verbo e del sostantivo.
Un altro parallelismo è (2) AB//A’B’ antitetico, ovvero una ripetizione con una
contrapposizione. Lc 10:2 «Il raccolto è grande, ma gli operai sono pochi».
Un’altra costruzione particolare è (3) il Chiasmo, AB//B’A’. C’è un detto popolare che dice
«Chi ha pane non ha denti, chi ha denti non ha pane»
Luca 23:35 «Altri ha salvato, salvi se stesso», un altro esempio di chiasmo.
Strutture concentriche: A A’
B B’
C
Dove C è il punto centrale. Es: Rom 5:1-11, qui c’è tale costruzione.
A: «Giustificazione per fede, pace con Dio attraverso Cristo» (vv.1-2a)
B: «Speranza della gloria di Dio» (vv.2b-5a)
C: «Morte di Cristo, manifestazione dell’amore di Dio» (vv.5b-8)
B’: «Speranza della salvezza futura» (vv.9-10)
A’: «Riconciliazione con Dio attraverso Cristo» (v.11)
ANALISI SEMANTICA
Essa si occupa dei contenuti, dei significati, delle parole, delle parabole, dei discorsi e dunque dei
testi, cercando di capirne iìla valenza di significato dei singoli lessemi (la piccola unità del lessico).
Quali domande si pone la semantica: Che cosa significa tale termine? Cosa voleva dire l’autore con
tale parola/espressione? Siamo sicuri che quando traduciamo tale parola, sia una buona traduzione?
Cosa vuo dire questo testo/brano?
Es: «Gli esseri umani perdono di vista Dio», «Di fronte al perdono di Dio, gli esseri umani devono
scegliere…»
La semantica è la scienza che si occupa del significato di segni e di combinazioni di segni
linguistici, ossia della relazione fra fora e contenuto, tra significante e significato, e ciò nelle parole,
nelle frasi e nei testi. Essa ci serve per approfondire il senso del testo.
A. Del lessico:
Parousia, si usa in 1 Cor 16:17 anche nel senso di ‘venuta’, ‘arrivo’ della persona, ma non
in senso spirituale o di escatologia.
Exsousia, usata nel Nt ha due significati, ‘autorità’, o ‘potere’. Mt 28:18 «Ogni potere…»
sarebbe stato meglio usare ‘autorità’, più che potere.
Psiuke, nel Nt significa tante cose, ‘animo’, ‘vita’, ‘(l’intera) persona’ in At 2 (qui dice che
si convertirono 3000 psiukai, persone, anime)
Afesis, che significa perdono, è un termine che si riavvicina al verbo affiemi, ovvero
perdonare. Afesis è sempre usato con un’accezione spirituale, come la preghiera del padre
Nostro. Mt 13:36, qui si trova il verbo affiemi, qui abbiamo un altro senso del verbo, è usato
in senso letterale, ovvero di ‘lasciare scorrere’, ovvero abbattere i muri, lasciar fluire la
relazione tra Dio ed il popolo, dare vita. Dio non perdonò la folla, ma la lasciò andare, la
lasciò scorrere, la lasciò congedare. Mc 2:5-7, Mt 18:27 e 32. C’è un aspetto materiale del
termine affiemi.
B. Del testo
*Es: Rom 5:12-21, è molto articolato, ci sono diversi temi da intendere, bisogna leggere e rileggere
Ha una struttura binaria, morte e vita, peccato e giustizia.
Sinonimi e contrari.
Dunque per quanto riguarda la semantica, il senso dei singoli vocaboli incide sul senso generale del
testo, così come il senso generale del testo orienta il senso contestuale dei vocaboli. Ogni
comprensione del singolo elemento è condizionato dalla comprensione del tutto. Ogni spiegazione
del singolo elemento presuppone la comprensione del tutto. Si va dunque dal testo al dettaglio
L’INTERTESTUALITA’
È un approccio sincronico alla Bibbia. Ovvero prendere dei collegamenti con da un libro all’altro,
es: genesi con l’Apocalisse. Collegare versetti con altri versetti. Quanto può essere forzato o quanto
applicabile?
Il termine intertestualità è recente e si fa risalire a Julia Kristeva (1967), secondo la quale ogni testo
si costruisce come mosaico di citazioni, ogni testo è assorbimento e trasformazione di un altro testo.
Leggendo e scrivendo, in un modo o nell’altro, siamo continuamente in dialogo con altri teste. A
ogni libro, dalla Bibbia in giù, sono associate idee e altri libri; Ogni scrittura porta con sé altre
scritture.
Definizione d’intertestualità:
Cosa si intende per enciclopedia? Ogni umano ha un’enciclopedia personale, nel proprio gruppo di
famiglia, es: nella famiglia Alma, c’è l’enciclopedia personale, gli ‘almini’ o il ‘cuppel’, il
computer. Nell’enciclopedia personale potremmo dire una parola che tutti gli altri invece non
capiranno perché non conoscono.
Secondo G. Genette ogni testo porta con sé un intertesto, che consiste in citazioni implicite o
esplicite, allusioni, imitazioni. Rom 1:17 è una citazione implicita, perché paolo lo sottolinea che
‘sta scritto’.
Ap 21:24-25 e Is 60:11
Un testo prta sempre ad un altro testo, ma porta con sé un intertesto, consistente in citazioni
implicite o esplicite, allusioni e imitazioni, tracce, eco e rinvii. Es: Ap 21 contiene tante citazioni
implicite
L’intertestualità è un approccio sincronico, tuttavia, la linea del tempo resta un criterio significativo
per determinare quale testo (o autore) può verosimilmente averne influenzato o ispirato un altro.
Che sia stato scritto ovviamente prima del testo. Dunque intertestualità significa consultare testi che
lo precedono, perché è un testo su cui si è basato. Leggendo Isaia ovviamente non posso considerare
l’Apocalisse perché è sicuro che lui non abbia preso spunto da quello, in quanto successivo ad Isaia,
li non potranno mai esseri citazioni riprese o copiate. Per questo è un approccio sincronico.
Es: Gv 8:58 «Prima che Abrahamo fosse nato, io sono» qui la linea del tempo non è rispettata,
invece di scrivere ‘io ero’, scrive ‘io sono’, dal punto di vista di grammatica è scritto pure male. In
Es 3:14 si ripete la stessa parola ego eimi. (ho perso l’argomentazione) Seconda argomentazione:
Ricercando dal greco tale espressione ego eimi, nel NT troveremo svariati testi, in quanto è usato
molte volte senza però un senso stretto ma un semplice ’io sono Cristina, io sono Mario ecc’. Ma
non troveremo tanta carica teologica, come la troviamo in Gv, e qui troviamo 7 metafore di ego
eimi, con senso teologico
1. Gv 6:35, seguito da un nominativo, «io sono il pane della vita»
2. Gv 8:12, «io sono la luce del mondo»
3. Gv 10:7 e 9, «io sono la porta delle pecore»
4. Gv 10:11 e 14, «io sono il buon pastore»
5. Gv 11:25 «io sono la resurrezione e la vita»
6. Gv 14:6 «io sono la via, la verità e la via»
7. Gv 15:1, 5 «io sono la vera vite»
Terza argomentazione: In Gv, dunque Gesù ripete ‘io sono’, anche la notte, quando viene
sequestrato e tradito da Giuda. Gv 18:4-6. Perché cadono a terra? Forse avviene qualcosa di
straordinario, la sua espressione ego eimi, esprime una rivelazione del divino, del vero Dio, una
teofania. È dunque lo stesso Dio di Esodo.
Isaia 53:4, questo è il canto del servitore dell’Eterno. Nell’ebraico la parola halaienu, che significa
‘le nostre malattie’. Nel greco (nella septuaginta) invece hanno slittato il senso letterale, cioè ‘i
nostri peccati’. È stato capito, riletto, e ricevuto male. In mt 8:17, c’è una citazione esplicita di Isaia,
viene proprio nominato, e viene detto quanto segue «affinchè si adempisse ciò che fu detto dal
profeta Isaia ‘Egli ha preso le nostre infermità e ha portato le nostre malattie». Matteo sta
utilizzando ciò che ha scritto Isaia, e lo ha scritto bene, lo ha tradotto con quello che era il senso
nell’ebraico, ovvero ‘malattie’.
1 Pt 2:24, qui si discosta di nuovo, cita dalla septuaginta (LXX), perché traduce amartias, ovvero
peccati. In Is e Mt si preferisce parlare di dolore e sofferenza, mentre nella LXX (Isaia) ed in 1 Pt si
preferisce l’interpretazione di peccato. Hanno usato sfumature diverse, perché non cambia il senso
di ciò che dice.
Genette, un critico francese, ci dice dunque che il testo, porta con sè:
1. Un intertesto, con citazioni implicite o esplicite, allusioni ed imitazioni
2. Un paratesto, che consiste in titolo, sottotitolo, prefazione, avvertenza, note, illustrazioni,
che richiamano un altro testo. Cos’è il paratesto? Teoricamente non esiste, eppure anche i
manoscritti, ovvero le copie dei manoscritti più antichi, contengono ai lati delle scritte, dei
riferimenti, quelli son chiamati paratesti. Nella Bibbia moderna sono tutti quesi riferimenti
biblici in basso a destra di un versetto, che si richiaano, da un punto di vista teologico,
letterale o di senso.
3. Un metatesto,ovvero un testo che ha per argomento un altro testo
4. Un ipertesto, ossia ogni testo derivato per trasformazione da un testo anteriore, un esempio è
un commentario.
5. Un architesto, consiste in tutto ciò che, in maniera implicita o esplicita, rinvia allo statuto del
genere letterario a cui appartiene.
In ebraico infatti sono esattamente le stesse basi verbali, nella stessa sequenza. In realtà non
sappiamo se lo scrittore di Giosuè lo abbia fatto intenzionalmente. Ciò che accomuna questi
personaggi è la mancanza di fiducia. Il loro peccato in fondo è il peccato di ogni essere umano.
Luca 4:16-19, questa profezia si trova in Is 61, ma vediamo che in Luca Gesù legge fino ad un
cero punto, non legge tutto ciò che è scritto in Is 61. Forse il volto del Messia che annuncia Dio
è troppo forte nella profezia lucana, per questo lo diminuisce. Mette sotto silenzio il v.2 di Isaia
61, cioè del giorno di vendetta e di giudizio. Mostrando quindi in Luca un Messia di salvezza.
ANALISI PRAGMATICA
Approccio utilizzato per qualunque genere letterario, con la linguistica quindi, con il modo di
comunicare.
L’analisi pragmatica si può fare sulla base di tale premessa: colui che parla e che scrive, colui
che comunica, ha sempre un obbiettivo, un’intenzione, la volontà d’influenzare l’uditore o il
lettore ad assumere un atteggiamento o a compiere un’azione. Dunque chi scrive, scrive sempre
con l’intento di influenzare chi legge, si vuole comunicare una gioia, un’emozione, che possa
provocare un’azione, un movimento da parte dell’altro. Essa dunque si chiede perché e per
quale scopo è stato scritto un testo?
Es: Gv 4:23-24, dal punto di vista storico, e del non detto potremmo dire che in quel momento
non sono le sinagoghe che fanno capire chi è credente o meno. Quello che è sottinteso è la
brutta relazione tra giudei e samaritani o dove bisogna adorare. Gesù sta dicendo ‘Basta conflitti
tra giudei e samaritani, basta battaglie’. Questa è l’intenzione pragmatica di questo testo.
Es: Mc 2:23-28, qui si coglie pure un’intenzione che va oltre il pranzo di sabato tra i discepoli.
Ci dice qualcosa in rapporto al nostro rapporto col sabato. «Il sabato è stato fatto per l’uomo e
non l’uomo per il sabato», non c’è un’esortazione a l’azione, bensì c’è un criterio, ovvero che la
legge di Dio è data per il bene dell’uomo, la legge non ci deve tappare le ali, anzi. Marco qui ci
da qualcosa che si può applicare nel corso della nostra vita. Quello che vuole dirci, è che Dio è
buono e che dobbiamo amarlo al disopra della legge, non dobbiamo amare la legge, ma colui
che l’ha creata.
Secondo Roman Jakobson, la comunicazione verbale che si può riassumere in 6 funzioni del
linguaggio, che si puo inserire in tutto il linguagigo umano. La funzione del linguggio dunque è
differenziale.
ANALISI RETORICA
È anche detta l’arte della persuasione. La retorica nasce intorno al 5to secolo a.C., nel senso che
nasce in modo consapevole, prima la si usava senza farci caso. Perchè tutti usano la retorica
spontaneamente. In Sicilia ci sono stati due sovrani, tiranni, Gelone e Girone, che con nell’uso della
forza hanno sottratto le terre ai contadini (485 a.C). I contadini si ribellano e si fanno difendere
nelle aree di tribunale, da uomini che cercano di convincere con l’uso delle parole.
Diffusori di questa disciplina furono Empedocle, Torace e Pisia.
Ora come giustificare l’applicazione di tale retorica nella Bibbia? Alcuni testi biblici, hanno
scoperto, che avevano una retorica simile ad alcuni testi antichi. Nella cultura dell’oralità del I sec.
e soprattutto in diaspora, la retorica antica era molto diffusa. Gli scritti del NT, nati per contribuire
allo sviluppo della Chiesa e della predicazione, rivestono caratteristiche e forme siili ai discorsi
persuasivi dell’arte retorica greco-romana. Paolo era uno di quelli che usava molta retorica,
addirittura già Agostino e Calvino si resero conto di tale sua retorica. Che rassomigliava molto alla
retorica antica greco romana (classica). Oggi la retorica è un metodo sincronico storico-critico, oltre
l’analisi narrativa. L’approccio retorico ha a che fare solo coi testi discorsivi.
Il pioniere nel 20esimo sec. fu Hanz Diter Betz, che scrive un articolo molto buono sulla retorica
antica, da lui nasce una nuova consapevolezza della retorica. Egli si rende conto che il modo in cui
è organizzata la lettera ai Galati, ha la struttura di un discorso retorico dell’antichità. Nella retorica
antia non c’era la ‘parenesi’, ovvero una parte del discorso in cui si esortava. Cosa fa dunque Hanz?
Inventa la parola exortatio, di cui ne parla nel suo capitolo sull’esortazione. Viene considerato però
esagerato.
Da lui ha la sua illuminazione Kennedy, il quale avrà un approccio più equilibrato. Lui si occupa
della lettera ai Romani. Hanz e Kennedy concepiscono l’approccio retorico considerando le lettere
di Paolo. Ma esse non si capisce se sia discorsi o semplici lettere, perché secondo oro aveva anche
funzione di discorso persuasivo (e hanno ragione, perché è così).
A partire invece da Joanne Noel Aletti, biblista Neotestamentario francese, afferma che leggere tutt
ala lettere ai Romani con la griglia retorica è troppo esagerato. Paolo ha usato cn grande libertà la
retorica, non ha usato tutto il tempo questo metodo. Joanne dunque dice che Paolo trasgrediva le
regole stesse della retorica, dunque consigliava di scomporre l’intera lettera (qualsiasi di Paolo) in
piccole parti, in modo da rendere parti di una unità discorsiva. Questa sua scoperte mette a frutto
l’attenzione dei suoi allievi, uno dei quali è Antonio Pitta, il quale utilizza tale metodo e lo usa per
la lettera ai Galati. Dove essa deve seguire due generi letterari differenti.
L’art dunque è la tecnica della persuasione, convincere l’altro con la parola. Cicerone scrisse «Non
c’è nulla di più nobile che riuscire a catturare l’attenzione delle persone con la parola […]»
I retori dell’antichità greco romana sono: Aristotele (384-322 a.C), Cicerone (106-43 a.C.) e
Quintiliano (30/40-96 d.C.).
Tutti i discorsi dell’antichità erano racchiusi in 3 generi. Ci sono tre tipi di retorica, e tutti e tre i
retori lo confermano e condividono. Lo scopo della retorica deliberativa è di esortare o di
dissuadere. Lo scopo della retorica forense è di accusare o difendere. Lo scopo di quella epidittica e
di lodare o di biasimare. Il primo tipo di discorso è proprio delle assemblee cittadine imperiali, nelle
quali gli uditori devono poi decidere circa il futuro; il secondo è proprio dei tribunali, dove gli
uditori devono giudicare del passato; il terzo è infine proprio del mercato o dell’anfiteatro dove,
come spettatori, devono giudicare circa le capacità artistiche dell’oratore.
Dal libro di Roland Barthes, La retorica antica, Bompiani, Milano 2011, p. 84.
Un esempio nella lettera dei Galati, All’inizio abbiamo un discorso forense, dove dal v. 11 Paolo si
difende, dicendo che il vangelo che proclama non è il suo, ma di Dio. Antonio Pitta dice invece che
c’è un discorso epidittico, non è un discorso accusatorio ne difensivo. Bensì che Paolo vuole
centrarsi sul tema della libertà.
Joanne Noel lo chiama il genere di discorso dominante, che appartiene a uno dei tre.
Cos’è un discorso?
Quando nell’antichità dovevano insegnare ai propri allievi come strutturare un discorso, gli
insegnavano 5 tappe:
*oltre elocutio, si può dire anche ornatus, che letteralmente significa ‘ornamento’. Questa è la fase
del ‘come lo dico? Con quali parole?’.
Taxis-Dispositio-Disposizione:
Il discorso persuasivo ha generalmente una strutturaletteraria fissa, in 5 parti:
1. Exordium - esordio, ovvero il tentativo di mettere insieme l’uditorio con l’oratore
2. Narratio - l’esposizione dei fatti, breve, concisa e chiara e verosimile
3. Propositio – enunciazione della tesi
4. Probatio – esposizione delle argomentazioni, ovvero una conferma positiva ed un rifiuto
negativo
5. Peroratio – conclusione e appello ai sentimenti, qui si dava una cura profonda ai dettagli.
L’esordio della conclusione è il volo, la probatio la stasi in volo e la peroratio è l’atterraggio.
Ben fatto sia alla fine e all’inizio, se fai un buon viaggio, ma l’atterraggio fa schifo o ti
schianti, non hai convinto nessuno, è un disastro.
Secondo Aristotele l’essenza di ogni discorso, ovvero le parti necessarie, è costituita da solo due
parti:
1. Propositio – enunciazione della tesi
2. Probatio – esposizione delle argomentazioni, con delle ragioni, delle tesi, altrimenti meglio
non aprire bocca.
Lexis-Elocutio-Stile, Eloquenza:
Tecniche e figure per ornare o abbellire il discorso, in modo da conferirgli efficacia comunicativa,
intensità, vivacità e gradevolezza.
1. Figure di parola, a tutti piace sentire belle parole, a tutti piace il bello
2. Figure di senso o tropi. Che sono: la metafora, allegoria, parabola, metonimia, antonomasia,
litote, ironia, sinestesia (un salto sensoriale, Paolo si volto e vide la voce, come?), etc…
3. Figure di ordine o di costruzione, ovvero il parallelismo, chiasmo, struttura concentrica,
inclusione, etc…
4. Figure di pensiero, come il paragone, ossimoro, paradosso, iperbole, aforisma (Rm 14:23,
«quello che non viene dalla fede è peccato», o.o pazzesco!), etc…
Suggerimenti metodologici
Premessa: se non abbiamo mai fatto retorica, usare testi ed imparare dai manuali di retorica antica
Metodi quando si legge un testo (es: Rm 14)
1. Dispositio: capire quale sia la propositio e le argomentazioni che seguono
2. Determinare se esiste una sola tesi, o se i sono più tesi e sottotesi. E se ci sono c’è per forza
un’argomentazione alla tesi e sottotesi.
3. Identificare quali sono le argomentazioni utilizzate, alcune volte a favore, altre a sfavore di
Paolo.
4. Determinare in modo prevalente, l’argomentazione che Paolo sta tenendo in quel dato testo,
e capire se appartiene a quale genere di discorso (forense, deliberativo o epidittico).
Controllando i verbi se sono al presente, al passato o al futuro, questi fanno capire tanto
5. Individuare le 3 parole: ethos, pathos, logos. Su quale di questi mette più accento Paolo?
6. Es: Gal 1:11, qui c’è una maggioranza dell’ethos, sta dando le sue giustificazioni e
credenziali personali.
Gal 4:17-20, qui c’è il pathos, sta toccando i sentimenti di chi lo sta ascoltando.
Bisogna sempre osservare le relazioni che Paolo annuncia nel suo inizio del capitolo e nella sua
conclusione, per vedere se è stato coerente. Questo significa provare a valutarne la coerenza del
discorso.
7. Digressione, ovvero stavi parlando di una cosa, poi per fare un esempio, fai una parentesi
L’analisi retorica ha il merito di aiutare il lettore a capire che cosa nel testo ha valore di più
importante delle cose importanti, ciò che è davvero importante tra tutte le cose importanti, con un
aneddoto, un paragone, ecc… che ci fanno capire meglio il punto della tesi.
ROMANI 1:1-17
Ci troviamo nell’esordio del capitolo. Romani è il testo più maturo sulla teologi paolina
Ritornando al testo in greco, la prima parola con cui Paolo apre la lettera, è proprio il suo nome,
Paolo. Citandosi come schiavo, servo di Dio, con umiltà sincera e profonda. Non usò diaocno di
Dio, ma intenzionalmente sceglie doulos. Perché scelse questa parola? Perché voleva sottolineare la
sua forte appartenenza, servitore, il suo timore per Dio. Lo dice anche in Galati 2:20, Cor 6:20,
l’espressione che usa qui, è proprio ‘essere comprato a caro prezzo’, sottolineando il mercato e la
sua appartenenza al venditore. Anche in Gn 26.24, ebed Yahwe, Nm 12:7-8, con Mosè, 2 Sam 27:5,
con Davide, anche Giacomo 1:1, si presenta come doulos, anche nella lettera di 1Pietro. Apostolos,
che significa letteralmente ‘appartato’, dunque ‘messo da parte’, e un altro parola euanghelion,
ovvero messaggero, quindi con lo scopo di portare il messaggio di Dio. Dunque è uno schiavo,
messo da parte per parlare del vangelo di Dio. Mc 1:1 qui troviamo, il vangelo di Gesù Cristo, non
di Dio. Poi ancora in 2Tes 1:8, qui dice di nuovo evangelo di Cristo. Perché c’è questo contrasto?
Paolo in Rm 1:2 dice che già prima, Dio ha annunciato tale vangelo, ma dove nel passato, nelle
Sacre Scritture si trova? Secondo Giuseppe Barbaglio, si ritrova questo pre vangelo in Gn 15:6, qui
Dio promette ad Abrahamo una discendenza lunghissima ed enorme. Ed Abrahamo credette. In Rm
4:3 troviamo una sorta di proof text della giustificazione per fede di Dio, citando Abramo. È la
stessa citazione di Gn 15:6, Abramo credette alla giustizia, dicaiosune. Paolo riscrive il vangelo in
rapporto di continuità con le scritture dell’AT, continuando quella stessa promessa.
Ai vv. 3-4 c’è un condensato di cristologia, perché riguarda la discendenza di Cristo, che è di
Davide, secondo la carne, ma da Dio secondo lo spirito. Qui Paolo sta descrivendo l’umanità del
Figlio di Dio. Cosa di dice questo kata sarka? Cioè che è venuto nella carne, Dio si è incarnato,
dunque è pienamente umano ma anche pienamente Dio. Gv 7:42, 2Sam 7:12, Gr 23:5, riguardo la
discendenza regale, del re Davide, del Messia. In Rm Paolo insiste sulla divinità del Figlio di Dio,
perché dice che fu ‘costituito’ Figlio di Dio, questa volta dice, kata pneuma, secondo lo spirito.
Mettendo in relazione ciò alla sua morte e resurrezione. Se nel v. 3 si sottolineava tutta la sua
umanità, qui si sottolinea sia la sua umanità, ma anche la sua divinità per la resurrezione. Alla fine
attribuisce il titolo di kirios, ovvero Signore, attribuito anche a Yahwe, Adonai, è lo stesso titolo.
Paolo qui sta facendo una forte dichiarazione. I romani a quei tempi kirios veniva usato per
attribuire divinità al loro imperatore, in quel tempo Cesare.
v.5, qui troviamo il termine karis, che significa grazia. Nel Nt si trova 155 volte tale parola, ma solo
nei 13 scritti di Paolo si trova 96 volte, i Romani 24 volte. Ovvio che Paolo da molta importanza
alla grazia di Dio che riceviamo come dono per eccellenza da Dio. Al v. 7 mentre questo termine
grazia, è usato per definire un saluto, dire grazia e pace, era un saluto tipico che si davano le
persone. Qui troviamo il termine di saluto in greco karis, e quello in ebraico eirene, ovvero shalom.
Nel v. 5 sottolinea sia grazia che apostolato. Fantastico il collegamento che fa, perché prima Paolo
parla di sé, poi di Dio/Cristo, e poi di ‘noi’, di tutti coloro che fanno apostolato del vangelo. Paolo
sottolinea che tutti noi siamo apostoli, non siamo solo graziati, a chiamati alla missione, abbiamo
tutti la capacità apostolica. Siamo tutti noi come Paolo chiamati alla vocazione missionaria. Così
come dice infatti al v. 5, «abbiamo ricevuto grazia ed apostolato, per l’ubbidienza della fede»,
abbiamo non solo la grazia, ma abbiamo anche la responsabilità di fare apostolato fra tutte le
nazioni. E Paolo qui al v. 6 sta coinvolgendo anche la chiesa di Roma, dicendo «anche voi siete
chiamati».
Al v. 7 Paolo fa un captatio benevolentia, sottolinea il fatto che i romani siano ‘diletti di Dio’, amati
di Dio. Poi dice «chiamati ad essere santi», ovvero aghios, santi, messi da parte.
I vv. 1-2, ci sottolineano che il nuovo testamento non cambia la rivelazione dell’AT, soltanto lo
attua, ma parla della stessa rivelazione dell’AT.
Rom 1:8-15:
Qui Paolo fa focus sul suo desiderio di andare a trovare i fratelli a Roma. Rom 1:15 con Rom 15:15,
prima dice che è pronto ad evangelizzare, ma loro conoscevano già il vangelo e credono, allora
perché lo dice? La sua intenzione era quella di fortificare la loro fede e mettere i puntini sulle ì, così
come infatti dice in 15:15. Vorrebbe essere così vicino a loro da incoraggiarli. Nel v. 8 c’è una
captatio benevolentia, perché inizia col ringraziare, eucaristo. Inoltre Paolo sottolinea chi ringrazia,
ovvero, il «mio Dio». Sottolinea non un Dio qualunque, ma il suo, lo specifica.
Nel v. 10 c’è il termine en to teleuomai tou teou, ovvero ‘per la volontà di Dio’. Qualsiasi cosa la fa
SE è nella volontà di Dio. Ricorda un concetto chiave della fede ebraica, e della tradizione ebraica-
cristiana, come Gesù in Mt 26:36ss, nel Getsemani. E anche in Giacomo 4:13-17. Chiede la volontà
di Dio.Verbo metado e sko, che sono introdotti da ina, che sottolinea ‘affinchè’, sko, possa ottenere
tra voi qualche frutto spirituale. Paolo qui ha la convinzione di poter donare alla comunità qualche
dono spirituale affinchè essa possa svolgere la sua missione. L’idea ai vv. 11-13, ovvero di dare
qualcosa di spirituale e riceve un frutto è una bella immagine, un pastore capace di dare e di
ricevere. Hanno lo stesso scopo, al v. 11 e 13, ina ti uctado e ina tina karpon. Al v. 14 invece
abbiamo un parallelismo perfetto chiamata ‘isokolon’. Dove Ellesin corrisponde a sofois, te/te,
kai/kai, barbarois/ofeiletes. Al v. 15 Paolo si dichiara pronto ad evangelizzare.
In questi vv. troviamo un ‘pastore’ che prega per i suoi membri di chiesa, un pastore pienamente
coinvolto nella chiesa, un pastore che sente un legame forte con i membri, che si preoccupa, che si
prende cura. Paolo qui è al servizio del vangelo.
vv.16-17, questa è la propositio generalis.
Paolo non si vergogna, Paolo usa questo verbo perchè, dicono alcuni: Paolo non si vergogna del
vangelo perché il vangelo gli ha cambiato la prospettiva. Lui sarebbe pronto a morire sulla croce,
così come fece Gesù, il vangelo e la sua promessa ti porta a questo, a non vergognarti di fare
qualcosa del genere. Paolo dice che tale vangelo è dinamite di Dio, perché tra virgolette esso crea
un’esplosione nella vita di chi intende il significato del vangelo. Per quale scopo? La salvezza, che è
lo scopo principale del vangelo. Per chi? Per chiunque crede, dal verbo pisteuonti. Qui il tema
principale è proprio questo, credere. Ma cos’è proton? Deut 7:7 «tu sei un popolo consacrato. Dio ti
ha scelto per essere un tesoro», qui c’è la promessa fatta già da prima. In questo ‘prima’ bisogna
richiamare la promessa fatta in Abramo in Gn 12:1-3, dove tutte le famiglie saranno benedette.
Ecco cosa esprime il v. 16 alla fine «prima il giudeo, e poi il greco». Qui c’è una netta separazione
tra i due popoli, bianco e nero. Rom 10:12-13, qui riprende lo stesso concetto.
Al v. 17 invece cita un proof text, ovvero «il giusto vivrà per fede», citata da Abacuc 2:4b Paolo sta
fondando il principio della salvezza per fede, e dice Paolo che sta riaffermando ciò che sta nell’AT,
dunque questo concetto c’è già dall’AT. Cosa si intende però per dikaiosune? Essa non è una
giustizia contabile, retributiva o distributiva, non è ricompensa dovuta al merito, ma è giustizia
redentiva, ovvero azione salvifica di Dio che ristabilisce l’uomo nella giusta relazione con lui. La
giustizia dunque è un atto di misericordia, Lutero quando scopre questo si allieva, perché prima era
terrorizzato da tale affermazione. Lutero prese questo intendimento dalla tradizione giudaica.
Secondo Lutero la giustizia di Dio è l’atto e la volontà di Dio attraverso cui Dio dichiara giusto
(giustifica) il credente, riconducendolo a sé. Dunque Dio non giudica con la bilancia.
Dikaiosune, Isaia 51:5-6, «La mia giustizia è vicina […]»
Ritornando ad Abacuc 2:4b, troviamo la definizione al versetto 17 dove dice «poiché in esso la
giustizia di Dio è rivelato da ‘fede’ a ‘fede’, com’è scritto: il giusto vivrà per ‘fede’», in greco
pistis, fede, fiducia, fedeltà o affidabilità, in ebraico emunah. In questo versettto si ripete 3 volte la
parla pistis. Cos’è la fede? Il concetto fondamentale è quello di un’aderenza che fa incollare, come
la corteccia dell’albero, il credente all’essere e alla volontà di Yaweh.
L’espressione «da fede a fede» viene interpretata diversamente da diversi padri della chiesa
apostolica. Agostino scrive ‘dalla fede per predicatore alla fede di colui che riceve il vangelo’.
Lutero invece, la interpreta da colui che è già maturo nella fede, a colui che è ancora immaturo di
fede. Carl Bart, dalla fedeltà di Dio alla fede dell’uomo. Per paolo che scrisse questa situazione,
voleva forse dire che il punto d’inizio è sia punto d’inizio che punto di fine, tutta l’esperienza di un
credente ruota intorno alla fede.
Ma perché Paolo scomoda Abacuc 2:4b? Cos’è? Una citazione autorevole ovviamente. In Abacuc
Paolo trovò la citazione perfetta da prendere, la sceglie perché? La Mishna Makkoth 24a scrive
questo:
Galati 3:11, il giusto per fede vivrà, anche qui c’è la stessa identica citazione, lo scrive dunque
anche ai credenti della Galazia. Del testo di Abacuc in ebraico (nel TM, testo massoretico) dice ‘per
la sua fede’, mentre in greco (nella LXX) dice ‘per fede mia, vivrà’. Qui è cambiato qualcosa di
importante. Nel TM l’accento è messo sulla fede del giusto, c’è un accento antropologico, sul fare
dell’uomo, mentre nella LXX l’accento è sull’opera, sul fare di Dio. Dunque gli ebrei che hanno
riscritto la LXX hanno reinterpretato gli scritti, la sfumatura è evidentemente cambiata. Paolo
quando scrive la lettera ai Romani, ha citato quindi dal TM o dalla LXX? Paolo è stato ancora più
originale, lui non sceglie nessuna delle due citazioni, bens’ omette sia ‘sua’, sia ‘mia’, e lascia in
maniera ambigua, molti la chiamano ‘figura retorica’, chiamata ‘anfibologia’. Cos’è? È
un’ambiguità sintattica voluta. Ma perché è voluto restare così ambiguo? Paolo preferisce una santa
ambiguità, cioè noi sappiamo che i lettori di Paolo leggevano a partire dal greco della LXX, ma altri
avevano accesso anche al TM, in greco, dunque Paolo intenzionalmente non ha usato nessuna delle
due letteralmente. Roberto Barenas, un pastore di teologia ha commentato questa cosa: galati 5:6
«in cristo non ha valore … ciò che vale è la fede che opera per mezzo dell’amore», Paolo lascia
questo messaggio, non ha importanza l’agire, ma la fede. La salvezza viene da un Dio fedele,
perché la fede sia nostra che la fedeltà di Dio ci portano alla salvezza. Ma in Ebrei 10:38, Paolo dice
«il mio giusto, per fede vivrà», dove la citazione è ancora più diversa. La vita di ogni essere umano
è legata alla pistis, ognuno crede in qualcuno, la fede cristiana ci accoglie e ci fa credere nella
veridicità delle promesse salvifiche di Dio. Ma ogni credente sa che anche Dio ha una sua pistis, nel
senso che è fedele, ha a che fare con la stabilità, promette e compie, non se lo rimangia, la sua pistis
non è perché Dio crede in qualcos altro, non in quel senso, ma per la sua coerenza e stabilità.
Paolo usufruiva ovviamente anche del TM in ebraico. Qui c’è tutto il materiale teologico che aiuta a
parlare della salvezza secondo gli scritti paolini.
UN ALTRO TESTO
Rm 3:21-31, approfondimento teologico della tesi che è in Rm 1:16-17 (titolo
dell’approfondimento: Il dono della grazia)
A. Contesto letterario
Alcune premesse, se la tesi che Paolo esprime in 1:16-17, possono essere il fondamento
dello slogan sola fide (dei 4 sola), ovvero il giusto solo per fede vivrà, invece al cap 3, si
ritrovano altri slogan, ovvero sola grazia, e solus Cristus. In termini retorici Jean Noel lo
chiama Sub propositio, cioè 3:21-31 è una sottotesi della tesi, Paolo dunque rilancia il tema
della tesi e la approfondisce. In che contesto letterario ci troviamo? Rom 1:18-3:20, questa
parentesi in mezzo alla tesi e la sottotesi, questa sezione tratta un’amara riflessione, Paolo
dice qui tutti gli esseri umani sono nel peccato. Ma chi sono TUTTI gli esseri umani? Che si
può suddividere in 3.
1. Peccato dei non giudei, dei greci, ovvero i pagani 1:18-2:16.
2. Peccato dei giudei che peccano anche loro, anche se seguono la legge, anche loro si sono
staccati 2:17-3:8
3. Carattere universale del peccato, di tutti gli esseri umani 3:9-20
Mediante la legge si conosce il peccato, è questo ciò che si dice negli ultimi vv. quindi sia
chi ha la legge, sia chi non ce l’ha, non viene giustificato per la legge.
B. Struttura
1. La giustizia (salvifica) di Dio (3:21-24)
Mc 10:45, qui viene usata la stessa immagine, la parola per ‘liberare’ è iutron, ovvero
letteralmente liberare dalla schiavitù.
Qui Paolo usa la tecnica della diatriba, il mastro poneva della domanda e lui stesso
rispondeva. Ma nel porre la domanda dava da riflettere ai discepoli. Paolo poneva
domande per coinvolgerli nel discorso. Rispondendo alle domande retoriche dice che
‘noi siamo convinti che siamo giustificati una volta per tutte, per fede, senza le opere
della legge’. Paolo riprende di nuovo questa espressione al v. 29, Dio è di tutti, dei
giudei, degli ebrei, dei pagani, è per la salvezza di tutti. Al v. 30 letteralmente sta
dicendo ‘circoncisione’, peritomen. Al v. 31 sta la domanda clue del discorso di Paolo.
«Dunque noi cancelliamo la legge per mezzo della fede?», una domanda chiave,
importante. Quindi se siamo salvati per grazia la legge si cancella? Me ghenoito, così
non sia. Al contrario si stabilisce la legge, si fa stare in piedi la legge. Rom 3:20.
Esso è un inno in armonia, coerente con la grazia, da vivere nella vita biblica. Qui la grazia è a buon
mercato.
1. 6.1-11. Paolo apre dicendo ‘cosa dunque’, sta concludendo il ragionamento iniziato
precedentemente. Iniziando con una domanda retorica, e rispondendo con un me
ghenoito. Ovviamente chi vive nel peccato disconosce la grazia. Abbiamo la forza di
vincere il peccato, ma continuiamo a perdere sempre. In questa pericope la parola
amartia, la troviamo 6 volte in 11 vv. Questa parole è un aparola chiave del c. 6. In tutto
il cap. 6 ricorre 16 volte in 23 vv., in Rm 7 si trova 14. A questa categoria si ricollega
Rm 6, dove il peccato è colui che ci da una ricompensa che è la morte. Infatti thanatos
(morte) si trova 4 volte in questi vv. A proposito Elle White scrive «Non è possibile
spiegare l’origine dl peccat, ne fornire una ragione che ne giustifichi la sua esistenza. Il
peccato, perciò è un intruso, della cui presenza non può essere fornita nessuna ragione;
esso è misterioso e inspiegabile. Scusarlo significherebbe difenderlo. Se si potesse
trovare una scusa o una causa per la sua esistenza, esso cesserebbe di essere peccato».
Peccando noi manchiamo il bersaglio.
In questi vv. Paolo prlerà di battesimo al v. 3 e al v. 4. Al v. 5 cambia immagine, dice
che noi siamo ‘piantati’. E al v. 6 usa un’altra immagine a proposito del vecchio uomo.
Ci sono 3 metafore o llustrazioni della vita cristiana.
a. Metafora del battesimo, Rm 6:3-4, qui ci dice che la vita cristiana significa essere
immersi totalmente nella morte di Cristo, ciò che significa infatti ‘battesimo’. Per
essere resuscitati alla vita nuova ed eterna. Dunque il kerygm adi Cristo è
simboleggiato dal nostro battesimo. Morte e resurrezione in Cristo. Anche in Gal
3:27 troviamo questo tema dell’immersione.
b. La metafora dell’innesto, Rm 6:5 sumsutoi, complantati (latino), innestati. Così
come un albero può cambiare innestando un altro seme, allo stesso modo noi,
possiamo cambiare. Mt 15:13 qui troviamo sia il verbo ‘piantare’, sia il sostantivo
‘pianta’. Innestati dunque nella morte e resurrezione di Cristo. Tale unione è
indissolubile, Paolo usa il verbo sumsutoi, con base sutoi, e aggiunta di sun, che
significa ‘con, insimee’.
c. Metafora della crocifisisone, Rm 6:6, con il verbo sustauroo, ovvero ‘essere
crocifissi con’. Il verbo stauro è crocifiggere, anche qui si trova dunque il prefisso
sun. Se il vecchio uomo è crocifisso, un re o un padrone può regnare nella nostra
vita? Su Dio ovvio. E se il nostro vecchio io morirà nella crocifissione, quel nostro
vecchio uomo non ci sarà più, è morto nella croce di Cristo.
Al v. 10 c’è o de ze, ze to teo, ora egli vive, egli vive per Dio. Si tratta di Gesù Cristo. È
un’anadiplosi, si conclude con una parola e si riinizia con la stessa. Si sottolinea la vita
in Gesù. Tu per chi vuoi vivere? Io voglio vivere per Dio.
2. Rm 6:12-14, Chi regna nella tua vita? Chi è il tuo re e chi è il tuo signore?
Se portiamo a morire il nostro vecchio uomo, moriremo nella carne. Dunque è Dio che
vuole regnare nella tua vita, tu vorresti che fosse il peccato il signore della tua vita?
Dobbiamo sapere che noi abbiamo un difensore che ci difende dal peccato, ed il risultato
sarà positivo, perché abbiamo con lui la grazia. Al v. 13 c’è una figura retorica, un
ossimoro (es. corri piano, o silenzio assordante), ‘morti viventi’, ecco cosa dice Paolo.
Noi siamo morti viventi, questa è la definizione di credenti per Paolo. Morti per il
peccato, viventi per la grazia di Dio.
3. 6:15-23, Liberi da e liberi per. Al servizio della giustizia di Dio. Al v. 22 Paolo dice,
«ma ora liberati dal peccato, siamo schiavi di Dio, avete come frutto la santificazione».
Lutero parlando della lettera ai Romani, dice dei credenti «Noi siamo similmente giusti e
peccatori». Non deve regnare il peccto nella nostra vita, ma Gesù, e noi siamo dati a
prestare le nostre membra, o come li chiama Paolo ‘armi’, per la giustizia di Dio.
Per l’esame, la trduzione vale 20/100 punti, non analisi parola per parola, Rm 1:1-17, Rm 3,
Rm 6:1-14. Si devono tradurre solo 4 vv. di questi testi.