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Collana BIBLICA
I VOLTI
INSOLITI
DI DIO
MEDITAZIONI BIBLICHE
«-'> 2006 Centro editoriale dehoniano
via Nosadella 6 - 40123 Bologna
EDB (marchio depositato)
ISBN 88-10-22128-1
bia ci insegna che non vi è alcuna esperienza umana dalla quale Dio
possa essere assente. Nemmeno il peccato ci separa da Dio. Il Nuo-
vo Testamento ce ne darà una prova splendida. Il Dio della Bibbia è
un Dio pellegrino, che vive sotto la tenda e accompagna il suo popo-
lo in tutti i suoi esili, che lo segue in tutti gli Egitti e le Babeli della
sua storia e lo guida in tutti i suoi deserti. Infine, «ha piantato la sua
tenda fra noi e abbiamo visto la sua gloria» quando il Verbo si è fat-
to carne (Gv 1,14). Ormai è la stessa umanità che diventa il luogo
della rivelazione. Ci spetta ora di fare nostra questa esperienza e di
entrare nella storia dove Dio, il Dio dei patriarchi, il Dio dell'esodo
e il Dio di Gesù Cristo ci precede e ci guida.
«Quando potrò venire a contemplare il volto di Dio?», dice il
salmista (Sal 42,3). Mosè dirà qualcosa di simile in Es 33,18: «Fam-
mi vedere la tua gloria» e uno dei discepoli di Gesù, Filippo, farà eco
alla stessa richiesta durante i discorsi di Gesù dopo l'ultima cena:
«Mostraci il Padre e ci basta» (Gv 14,8). Il desiderio.umano di vede-
re Dio pervade la Bibbia, la storia del cristianesimo e la storia delle
religioni. Le risposte sono molte, sono variegate e spesso sorpren-
denti. Il titolo di questo libro vuole esprimere la sorpresa che ci
aspetta quando percorriamo la Bibbia in cerca di una risposta a que-
sta lancinante domanda. Mi permetto, in conclusione di questo bre-
ve «invito al viaggio», di riprendere un aneddoto che fa parte della
tradizione dei Chassidim, i pii ebrei. Un giovane discepolo si avvici-
na una mattina al suo vecchio maestro e gli dice: «Come mai, nei tem-
pi antichi, Dio appariva spesso ai nostri padri, ad Abramo, ad Isac-
co, a Giacobbe, a Mosè e a tanti altri? Oggi, invece, nessuno lo vede
più». Il vecchio rabbino rifletté a lungo, lisciandosi la barba con la
mano, poi rispose: «Perché noi, non possiamo più chinarci abba-
stanza in basso».
Il significato della storiella non è del tutto chiaro. Il rabbino in-
tendeva dire che non possiamo vedere Dio perché non vogliamo più
inchinarci davanti alla sua gloria e alla sua maestà ? Vale a dire perché
manchiamo dell'umiltà necessaria? O pensava forse che non siamo
più capaci di rispettarlo e venerarlo come si deve? In un tal senso sa-
rebbe dunque un invito a ritrovare quello che la Bibbia chiama «il ti-
more di Dio» senza il quale nessuno può «vedere la faccia di Dio».
Potremo cioè vederlo solo quando ritroveremo il senso dell'adora-
Introduzione: il Dio della Bibbia e il Padre dz· Gesù Cristo 7
zione. O forse voleva dire che Dio non si deve cercare nelle alture,
nelle esperienze sublimi e straordinarie, bensì nella semplicità delle
cose «terra terra»? Guardiamo troppo in alto, mentre Dio si rivela
«in basso». Si dovrebbe parlare allora, alla stregua di François Varil-
lon, dell'umiltà di Dio e, forse, proprio nel senso etimologico della
parola, vale a dire di un Dio «vicino al suolo». Umiltà, infatti, viene
dalla parola latina humus, che significa «suolo». Per questo motivo,
chi si piega, si china, si abbassa verso il suolo, potrà scoprire il volto
di Dio; ma non ci riuscirà «se il suo cuore s'inorgoglisce, se sono bo-
riosi i suoi occhi, e si muove fra cose troppo grandi, superiori alle sue
forze» (cf. Sal 131,1). Deus semper maior («Dio è sempre più gran-
de»), così si intitola una celebre opera sugli esercizi di s. Ignazio di
Loyola, scritta in tedesco da un gesuita di origine polacca, Erich
Przywara. Alla fine della sua vita, però, lo stesso Przywara avrebbe
preferito rovesciare la formula per dire: Deus semper minor («Dio è
sempre più piccolo»). 1 Aveva ragione? Le pagine che seguono vor-
rebbero non offrire una risposta completa a queste domande, quan-
to piuttosto segnalare, al limitare dei boschi biblici, i sentieri che si
inoltrano qua nella fustaia, là nel bosco ceduo, là ancora nella mac-
chia mediterranea, per ritrovare le orme che il nostro Dio ha lasciato
al suo passaggio quando & venuto a visitarci alla brezza dell'alba (cf.
Es 34,2; lRe 19,12).
]EAN-LOUIS SKA
Giugno 2005
1. INTRODUZIONE
nimati (luce, cielo, terra, mare, astri) alla vegetazione, poi a forme più
elaborate di vita, vale a dire a esseri viventi sempre più «intelligenti»
(pesci, uccelli, animali, uomini). Si può anche vedere nel brano una
corrispondenza fra creazione del mondo e risveglio della coscienza
umana. Nel seno materno, l'embrione vive in un mondo di tenebre e
di «acqua» (liquido amniotico). La prima esperienza del neonato, al-
la nascita, è quella della luce - perciò «dare alla luce» è sinonimo di
«partorire». Il neonato fa successivamente l'esperienza del tempo
(giorno-notte), poi dello spazio, con le sue dimensioni verticali e oriz-
zontali. La vita di un essere umano passa in seguito per diverse fasi:
vegetativa, animale, poi sempre più «umana», fino al matrimonio.
L'ultima tappa è il sabato dove l'essere umano sperimenta l'infinito
dell'eternità divina.
2. Quali sono le prime opere di Dio? Vedi per esempio l'uso del
verbo «separare» e «chiamare» nella prima parte della settimana.
Quanti «scompartimenti» vi sono nell'universo?
3. Dopo la creazione delle piante (Gen 1,11-12), ci si aspette-
rebbe la creazione degli animali. Le piante serviranno, infatti, a nu-
trire tutti gli esseri viventi. Però non è così e Dio crea gli astri nel
quarto giorno (Gen 1,14-19). Ciò dimostra l'importanza di questa
opera che si trova in mezzo alla settimana. Inoltre Dio affida agli astri
un «dominio» sul ritmo dei giorni e delle notti, sulla divisione fra lu-
ce e tenebre (Gen 1,16.18). Come esprimere tale dominio in un lin-
guaggio moderno? Gli uomini che saranno creati dopo possiedono
questo potere o vi sono subordinati? Quali conseguenze possiamo
trarre da questo fatto a proposito della condizione umana secondo il
presente brano? I «tempi fissi» di cui parla Gen 1,14 («stagioni» o
«feste» secondo le traduzioni) sono in realtà le feste liturgiche, i mo-
menti in cui si raduna il popolo per celebrare il suo Dio. Perché il te-
sto dà tanta importanza al «tempo liturgico»? Perché fare del tempo
e della storia un «tempo sacro»?
4. Nella seconda parte della settimana, Dio crea gli esseri viven-
ti: pesci, uccelli, animali ed esseri umani. Ogni specie riempie una
parte dell'universo: gli uccelli riempiono il cielo, i pesci le acque e gli
uomini la terra. In questa parte dominano due verbi importanti: il
verbo «creare» e il verbo «benedire». La benedizione è legata alla fe-
condità. Per la prima coppia di esseri umani, essa significa anche
Il Dio creatore che abita il tempo e la storia (Gen 1,1-2,3) 13
1. INTRODUZIONE
1. I NTRODUZIONE
Caino e Abele sono i primi due «fratelli» della storia umana. Se-
condo Gen 4,1-2, sono i figli di Adamo ed Eva. Tuttavia, i genitori
spariscono rapidamente dal racconto e non intervengono più sino al-
la conclusione (Gen 4,25 ). Per esempio, il brano non menziona nes-
suna reazione da parte loro dopo la morte violenta di Abele. Conta-
no solo i due fratelli. Il conflitto che sorge è paradigmatico perché
oppone un agricoltore a un pastore. La storia è pertanto emblemati-
ca perché mette in scena due «tipi». Il racconto descrive anche il pri-
mo omicidio, che è un fratricidio. In questo modo, suggerisce che
ogni omicidio potrebbe essere un fratricidio.
Questo vuol dire che lui non era ben accetto ai suoi occhi? Dio è cer-
to libero nelle sue scelte e nelle sue preferenze. Però in questo caso
la scelta sembra di primo acchito arbitraria e avrà inoltre delle con-
seguenze fatali per Abele.
Fra le diverse spiegazioni, due sono più interessanti. La prima si
fonda su studi di psicologia religiosa (René Girard).1 Secondo questo
studioso, la differenza fondamentale fra il sacrificio di Abele e quel-
lo di Caino è che il primo offre animali e il secondo vegetali. Abele
deve esercitare una certa violenza - ammazza animali e sparge sangue
- per offrire i suoi sacrifici. Caino invece non è «violento». In ogni
essere umano, tuttavia, si nasconde una carica di violenza che deve
trovare una «via di uscita». Nel caso di Abele, questa violenza trova
uno sbocco accettabile e costruttivo: il sacrificio di animali a Dio. Nel
caso di Caino, invece, la violenza non si scarica poiché le sue offerte
sono vegetali e così ritorna alla fine contro Abele, suo fratello. Que-
sto modo di agire è evidentemente inaccettabile. Dio aveva chiesto
invano a Caino di «dominare» la violenza che è in agguato come un
animale ed è pronta a colpire (Gen 4,6-7). La domanda quindi è di
sapere come «addomesticare» o «incanalare» la violenza e raggressi-
vità che si nasconde in ogni individuo e in ogni società.
La seconda spiegazione si basa sulle riflessioni dei rabbini. Per
loro, il sacrificio di Caino non è stato accettato perché non corri-
spondeva alle esigenze riguardo alle offerte vegetali: bisogna offrire
le primizie e non qualsiasi offerta. Abele, dal canto suo, rispetta que-
ste esigenze poiché offre i primogeniti del suo gregge. L'uno non sce-
glie, mentre l'altro lo fa. Caino, infine, non è capace neanche di «sce-
gliere» la sua condotta e si lascia dominare dalla gelosia (Gen 4,6-7).
In questo caso, si può riflettere sull'importanza della libertà di scelta
nelle azioni umane e sul legame fra la relazione corretta con Dio e la
relazione corretta con «il fratello».
2. Perché Dio interviene per castigare Caino? Nel mondo bibli-
co, il sangue è sacro e appartiene solo a Dio, perché <<la vita è nel san-
gue» (Lv 17,14). Chi sparge il sangue infrange una legge divina. Nes-
1. INTRODUZIONE
1. I NTRODUZIONE
del III secolo d.C., celebre e famoso personaggio della corte di Zenobia, regina di
Palmira in Siria, giustiziato dall'imperatore Aureliano nel 273 d.C. Si deve collocare
questo scritto più probabilmente entro la fine del I secolo a.C. e la prima metà del I
secolo d.C. ·
26 I volti insoliti di Dio
gamba del suo padrone tornato a casa· dopo venti anni di peregrina-
zioni. Omero descrive con accuratezza la premurosa preparazione
dell'acqua tiepida per la lavanda dei piedi perché l'ospite ha appena
parlato di Ulisse - vale a dire di se stesso - a Penelope, mentre Euri-
clea era presente. Il lettore sa, evidentemente, che Ulisse parla di se
stesso e aspetta il tempo che occorrerà prima che Penelope lo ricò-
nosca. D'altronde, la preparazione dell'acqua è fatta con cura per
onorare qualcuno che ha parlato molto bene di Ulisse e ha commos-
so Penelope ed Euriclea. La breve scena ha quindi un doppio scopo:
mostrare quanto affetto può suscitare il solo ricordo di Ulisse nelle
persone che lo aspettano e dare abbastanza tempo al lettore per pre-
pararsi psicologicamente alla scena del riconoscimento. In altre pa-
role, occorre descrivere la miscela dell'acqua fredda con l'acqua cal-
da affinché la tensione <lrammatica della scena raggiunga il punto
giusto. In questo passo Omero, forse, non rispetta le regole care al
trattato Il Sublìme, ma perviene a un livello di profondità poco co-
mune perché riesce a concentrare tutta la densità di un momento al-
tamente drammatico nella descrizione di un gesto del tutto comune.
1986, 408. «Non c'era il gatto nel fuoco» significa che il fuoco era acceso e si cuci-
nava. C'era quindi da mangiare per tutti.
n Nella scena seguente Lucia si assetta con grande semplicità, «per un'abitu-
dine, per un istinto di pulizia e di verecondia». Si «rifà rapidamente il trucco», co-
me si direbbe oggi. Quel gesto istintivo e molto femminile è un altro segno che la vi-
ta normale riprende il suo corso. In questo caso, Manzoni riesce a mostrare quale sia
lo stato d'animo del suo personaggio in una breve descrizione di gesti spontanei e,
in realtà, molto comuni.
32 I volti insoliti di Dio
14 Nel poema intitolato Ève («Eva») scritto nel 1913, un anno prima della tra-
gica morte durante la prima guerra mondiale.
IL CESPUGLIO, LA ROSA SELVATICA E IL DIO
DEI PARIA E DEGLI SVENTURATI
(Gen 21,8-20)
1. lL CESPUGLIO DI AGAR
sato perché, nel mondo biblico, era il modo normale di spiegare qua-
li fossero le caratteristiche di una nazione. Si spiega e si giustifica rac-
contando. Il nostro brano fa parte di questo tipo di testi e intende
pertanto chiarire la parentela di Isacco (Israele) con Ismaele>ma an-
che la rivalità fra i loro discendenti che vivono in territori contigui
oppure che si incrociano nelle stesse regioni desertiche. Le relazioni
fra i due popoli che discendono da Isacco e da Ismaele sono com-
plesse come tante relazioni fra fratelli, da Caino e Abele (Gen 4) fino
al primogenito e al figliol prodigo della celebre parabola di Luca (Le
15). Occorre dire, tuttavia, che i due fratellastri, ambedue figli di
Abramo, non si parlano mai. Il conflitto è monopolizzato, per così di-
re, dalle due madri. Lo stesso Abramo si separa da suo figlio a ma-
lincuore (21,11). Sara, e la sola Sara, vuole e ottiene l'espulsione di
Agar e di suo figlio. «Quel che donna vuole, il cielo lo vuole>» dice la
vecchia saggezza popolare. Il detto si applica perfettamente al nostro
racconto perché Dio, assente all'inizio della narrazione, interviene
solo per schierarsi dalla parte di Sara, assecondarla nella sua decisio-
ne e chiedere ad Abramo di accontentarla (2 1,12).
Agar, cacciata via con suo figlio, s'inoltra nel deserto portandolo
sulle sue spalle. Abramo, in un ultimo gesto di commiserazione, le
fornisce acqua e pane per il viaggio (21,12). 1 Un otre d 'acqua non du-
ra a lungo, tuttavia, e ben presto Agar si accorge di trovarsi in una
brutta situazione. Secondo il testo, «Essa partì, sviandosi per il de-
serto di Bersabea, finché fu esaurita l'acqua dell'otre. Allora essa ab-
bandonò il ragazzo sotto un arbusto e andò a sedersi dirimpetto, al-
la distanza di un tiro d'arco, perché diceva: "Non voglio vedere
quando il ragazzo morrà!". E quand>essa si fu seduta dirimpetto, te-
nendosi lontana, ella alzò la sua voce e pianse» (2 1,14-16).2
1 Il testo ebraico del versetto è alquanto difficile da tradurre. Con ogni proba·
bilirà è stato ritoccato perché, secondo la cronologia dei racconti precedenti, lsmae·
le dovrebbe avere fra i quattordici e i sedici anni (cf. Gen 17,25). Nel racconto, tut·
tavia, è ancora un neonato incapace di camminare e perciò la madre Io porta sulle
sue spalle.
2 Alcuni cambiano il testo sulla base della traduzione greca (LXX) e leggono:
«egli alzò la voce e pianse» perché l'angelo di Dio, nel v. 17, sente la voce del ragaz-
zo, non quella della madre. Il testo ebraico, tuttavia, non porta alcuna traccia di cor·
Il cespuglio, la rosa selvatica e il Dio dei paria... (Gen 21,8-20) 35
rezìonì. Si deve supporre, quindi, una lacuna nel racconto, fatto non raro nelle nar-
razioni bibliche: la madre piange perché il bambino piange. Dio sente il pianto del
bambino perché, come vedremo, lui, così come la madre, si preoccupa solo della sua
sorte.
36 I volti insoliti di Dio
sud, nel Rhode Island, e finì massacrata dagli amerindi con tutta la sua famiglia, tran-
ne una figlia che gli aggressori portarono via con loro. La meniione di Ann Hut-
chinson - il cui nome inizia con la lettera A - è certamente intenzionale in questo
primo capitolo perché rappresenta un primo sforzo di emancipazione della donna
nella società puritana di quell'epoca.
' È celebre, per esempio, il saggio di HENRY JAMES in merito («Hawthorne: The
Scarlet Letten), c. V del suo libro Hawthorne [London 1879]).
6 ll brano è attribuito dagli specialisti a una fonte diversa da quelle del quarto
gorosa degli stessi magistrati nel suo giudizio ed esige la pena capita-
le. Il vangelo del quale parla «una femmina, la più brutta e quindi la
più severa fra questi giudici improvvisati» seive in questo caso a con-
dannare a morte, non a «salvare e guarire» come si aspetterebbe un
fedele lettore del Nuovo Testamento. È tutto il contrario. Il vangelo è
tradito, secondo H awthorne, e usato come clava per colpire la donna
che, secondo lo stesso autore, si dovrebbe invece paragonare alla Ver-
gine Maria: «Se tra la folla di puritani fosse stato un cattolico, il qua-
dro di quella donna giovane e bella, che stringeva la sua bambina al
seno, gli avrebbe ricondotto il pensiero all'immagine della maternità
divina, quale tanti pittori famosi l'hanno riprodotta sulle loro tele, e
per ragioni di contrasto, avrebbe pensato al frutto di quella maternità,
destinato a redimere il mondo. Per ragione di contrasto: qui si tratta-
va di un'offesa fatta alla più sacra funzione della vita umana e la crea-
tura era nata dalla colpa [ .. .J».s La folla è pronta, per riprendere il lin-
guaggio del vangelo, a buttare subito la prima pietra senza nemmeno
chiedersi della propria colpevolezza.
Il vangelo, invece, mette in scena Gesù Cristo che salva la don-
na adultera dai suoi giudici e le riapre la via della vita: «Neppure io
ti condanno. Va' e d'ora in poi non peccare più» (Gv 8,1 1). S. Ago-
stino, in una frase meravigliosa per concisione e densità, descrive co-
sì il momento nel quale la donna si ritrova sola davanti a Gesù: «Eri-
masero solo loro due, la m isera e la misericordia». 9 Ne La lettera scar-
latta, tuttavia, troviamo la misera, ma dov'è la misericordia? Hester
Prynne si salva da sola, contro tutti quanti? Siamo in un mondo dal
quale Dio è assente e nessuno può redimere l'umanità ammalata ?
La risposta, penso, si trova proprio nella descrizione dettagliata
del cespo di rose selvatiche all'inizio del racconto. Il cespo ha un
messaggio da trasmettere a chiunque passa la porta della prigione, os-
sia «che il cuore profondo di madre natura è tuttavia benigno verso
dico, però, che è riuscito ad andare a vivere con il pastore, non sana
le ferite e il senso di colpa del suo ospite. Lo avvelena lentamente, in-
vece, e non impedirà affatto la sua morte. La sua conoscenza delle
piante è inutile, anzi dannosa. 19 Il medico de La lettera scarlatta, Chil-
lingworth, fa esattamente I'opposto del medico evangelico che non è
venuto per i sani, ma per i malati. Non può perdonare, lo dirà espli-
citamente, e deve per forza assumere il suo destino di demone: «Non
posso perdonare, non ho questo potere, come tu credi [. .. ]. Voi che
mi avete offeso non avete peccato se non per una folle illusione: né io
ho peccato se mi sono assunto la funzione di un démone. È il destino
che vuole tutto questo. Lascia dunque che i suoi fiori oscuri germo-
glino come possono». 20 Si riconoscono qui echi della dottrina della
predestinazione nella quale Chillingworth si trova imprigionato e che
lo distruggerà. Alla rosa selvatica che appare all'inizio del racconto si
oppongono adesso, in una tragica antitesi, i «fiori oscuri» di un «de-
stino» che non lascia spazio alla libertà, alla pietà e al perdono.
E, per rimanere nello stesso tema «vegetale», aggiungiamo un ul-
timo tratto. Pearl, in una scena precedente, si era divertita a gettare
fiori a sua madre, prendendo come bersaglio proprio la lettera scar-
latta dell'infamia che questa aveva dovuto cucire sul suo petto.2 1 Il
mondo vegetale di Hawthorne ne La lettera scarlatta è fatto di fiori e
di erbe, di alberi e di cespi che esprimono l'antinomia fra una società
puritana chiusa e disumana e la natura selvaggia che porta in sé la
speranza di un mondo libero e riconciliato.
3. CONCLUSIONE
19 Cf. le finali parallele dei cc. XIII («L'altro volto di Hester») e XIV («Hester
e il medico»): «[Hesterl vide il vecchio medico che portava un cestello sotto il brac-
cio e, appoggiato a un bastone, andava raccogliendo erbe medicamentose» (p. 129)
e «Il vecchio agitò tristemente la mano e si l'imise alla ricerca delle erbe» (p. 135).
Raccoglie erbe, ma non può guarire.
20 C. XIV, «Hester e il medico», 135.
21 C. VI, «Pearl», 73.
Il cespuglio, la rosa selvatica e il Dio dei paria... (Gen 21,8-20) 45
1. INTRODUZIONE
dante, rivelato dal suo figlio che abita una tenda in mezzo a noi e ci
accompagna nei nostri viaggi? Quali sono gli aspetti della nostra re-
ligione che sono in accordo con questa fede? E quali richiedono di
essere corretti? Il cristiano di oggi è tentato di dimenticare che il suo
Dio è un Dio viandante? Perché? Come reagire?
«lo sono la via, la verità e la vita», dice Gesù Cristo in Gv 14,6.
In quale modo questa frase di Giovanni permette di capire un aspet-
to essenziale della rivelazione divina nell'Antico Testamento? Secon-
do questo testo di Giovanni, la verità biblica è una verità statica o una
verità dinamica? La verità biblica si può ridurre a una serie di defi-
nizioni o è piuttosto il frutto di un percorso? O forse si identifica con
l'autenticità del percorso? «Non mi cercheresti se non mi avessi già
trovato», dice Dio a Pascal. Si trova Dio perché e finché si cerca Dio.
LA VOCAZIONE DI MOSÈ O IL DIO DELLA LIBERTÀ
(Es 3,1-4,18)
1. INTRODUZIONE
1. INTRODUZIONE
mentre, nell'altra, gli egiziani sono ricoperti dalle acque che «crolla-
no» su di loro quando Mosè vi stende la mano una seconda volta
(14,26). Nel racconto attuale, le due versioni sono state amalgamate
con grande arte e il lettore si accorge appena delle differenze. Domi-
nano in ogni modo le immagini della seconda versione ed è forse que-
sto aspetto che ha più importanza per la meditazione del brano.
L'affermazione principale del racconto è ]a sovranità del Dio d'I-
sraele sulla natura poiché egli comanda al vento e al mare e alle na-
zioni per salvare il suo popolo e sconfiggere gli egiziani. Questa sal-
vezza, però, è operata tramite Mosè (cf. 14,31). Il tutto significa che
l'esistenza d 'Israele dipende non da qualsiasi eroe, capo carismatico
o monarca, ma da Dio stesso e dal suo servitore, Mosè. Più impor-
tante ancora, forse, il testo afferma con forza che Israele è nato mol-
to tempo prima della monarchia. Mosè e non Davide è il vero fon-
datore d'Israele. Pertanto, Israele potrà anche soprawivere senza la
monarchia. Questo messaggio evidentemente si rivolge anzitutto al-
l'Israele che torna dall'esilio di Babilonia.
(14,13); (2) Dio combatterà per Israele contro gli egiziani (14,14).
Nella conclusione della seconda scena (14,25) ritroviamo quanto
Mosè aveva affermato nel v. 14: gli egiziani fuggono perché scopro-
no con sgomento che «il Signore combatte per Israele contro l'Egit-
to». Gli egiziani confermano pertanto ciò che Mosè aveva previsto.
Nei w. 30-31, il narratore descrive la morte degli egiziani e la sal-
vezza d'Israele in termini molto vicini a quelli del v. 13: il Signore
«salva» il suo popolo e Israele vede gli egiziani morti sulla sponda
del mare.
Infine, le tre scene si concludono con un atto di fede: quello di
Mosè in 14,13-14; quello degli egiziani in 14,15, quando devono ri-
conoscere che il Signore, vale a dire il Dio d'Israele e non qualsiasi
dio, combatte contro di loro; quello d'Israele in 14,31, quando crede
nel Signore e in Mosè, suo servitore.
1. La gloria del Dio creatore. Più volte, Dio annunzia che «si
glorificherà contro Faraone e il suo esercito» (14,4.17 -18). Si potreb-
be tradurre: «si glorificherà a spese di Faraone e del suo esercito». La
«gloria» di Dio è, nella Bibbia, la manifestazione del suo potere nel-
la storia d'Israele. Es 14 descrive, infatti, la prima rivelazione di que-
sta gloria. Di quale gloria si tratta? Per annientare gli egiziani, Dio di-
vide le acque e fa apparire la «terra asciutta» nel loro mezzo
(14,16.21-22.29; 15,19). In questa maniera, Dio rinnova il gesto che
aveva compiuto il terzo giorno della creazione, quando fece apparire
per la prima volta la «terra asciutta» dalle acque primordiali (Gen
1,9-10). Chi è quindi il Dio che salva Israele? Quale potenza adope-
ra per salvarlo? Infine, qual è il legame fra la gloria di Dio e la sal-
vezza d'Israele?
2. La paura, il timore e la fede. Si notino i tre riferimenti al «ti-
more» o alla «paura» in Es 14,10.13.31. Vi è progressione fra questi
tre versetti? Perché Israele «teme» in Es 14,10? E chi Israele «teme»
in Es 14,31 ? Come spiegare il passaggio dall'uno all'altro? Il «timo-
re» di Es 14,31 è associato alla «fede». Come spiegare questo awici-
namento? Si veda Rm 8,15. Si può leggere questo versetto alla luce di
Es 14? Qual è il suo significato? Si veda anche Gal 5,1.
58 I volti insoliti di Dio
1
I testi citati sono ripresi da G . PETROCCHI (ed.), La Commedia secondo l'an-
tica vulgata, Edizione Nazionale della Società Dantesca Italiana, Milano 1966-1967,
I-IV.
60 I volti insoliti di Dio
2 I passi in cui appare tale immagine sono numerosi. Il nostro scopo, in questa
breve indagine, è solo di mettere in rilievo la parentela di Dante con il pensiero filo-
sofico greco, ripreso daUa scolastica medievale, e con il pensiero biblico sul Dio del-
l'Esodo.
3 La foresta oscura, come ben si sa, rappresenta il peccato, e il colle è quello
della virtù illwninato dalla grazia divina.
Le spalle di Dio (Es 33,18-23) 61
to, tuttavia, è assalito dalla paura perché trova davanti a sé tre belve,
una lonza, un leone e una lupa, che, tagliandogli la via, gli impedi-
scono di procedere (I,31-58).4 La paura che paralizza il poeta è più
volte menzionata in questo primo canto (I,44.53 .89; cf. II,63) e il pe-
ricolo è così grande che si vede quasi costretto a tornare nella «selva
oscura»: «tal mi fece la bestia sanza pace I che, venendomi 'ncontro,
a poco a poco I mi ripigneva là dove 'l sol tace» (I,58-60).
Vi sono in questi versi, nonostante l'atmosfera cupa e deprimen-
te, alcuni raggi di speranza. È il mattino (I,37), che ricorda probabil-
mente il mattino del quarto giorno della creazione, giorno nel quale
Dio crea gli astri (Gen 1,14-19). In questo contesto appare per la pri-
ma volta nella Divina Commedia I' amore divino che muove gli astri:
«Temp'era dal principio del mattino, I e 'l sol montava 'n sù con
quelle stelle I eh'eran con lui quando l'amor divino I mosse di prima
quelle cose belle» (I,3 7 -40). L'amore divino che dà movimento ai cie-
li («le cose belle») dà anche speranza al poeta: «sì ch'a bene sperar
m'era cagione» (I,41). Il poeta, nondimeno, non riesce a «muoversi»
a causa delle belve. Occorre pertanto trovare il mezzo che permetterà
ali' amore divino che «muove» i cieli di «muovere» anche il poeta
bloccato sulla strada che conduce alla cima del colle della virtù e del-
la grazia. Questo mezzo, come si sa, sarà Virgilio, la guida inviata da
Beatrice, che mostrerà al poeta la via da seguire (I,64-136). Dopo una
lunga conversazione fra i due, in cui Virgilio spiega a Dante, fra le al-
tre cose, qual è l'itinerario da seguire per uscire dalla foresta, itinera-
rio che attraversa l'Inferno e il Purgatorio per poi entrare nel cielo
(«A te convien tenere altro viaggio»: I,91 ), Dante si mette in moto e
segue la sua guida. L'ultimo verso del primo canto è da leggere at-
tentamente perché contiene il verbo chiave che ci interessa da vicino,
il verbo «muoversi»: «Allor si mosse, e io li tenni dietro» (I,136). Sarà
il primo importante passo verso la salvezza, il primo passo che farà
uscire Dante dalla «selva oscura» e lo condurrà, attraverso l'Inferno
e il Purgatorio, fino alla porta del Paradiso. Il primo passo, tuttavia,
lo fa Virgilio, mentre Dante inizia il suo lungo viaggio dietro al poe-
5 In ebraico, la parola «gloria» (kabod) è della stessa radice del verbo «essere
pesante», «avere peso».
66 I volti insoliti di Dio
3. A MO' DI CONCLUSIONE
degli uomini che sono andati con pericolo della loro vita?». E non vol-
le berla. Tali cose compirono i tre prodi.
lemme solo in 2Sam 5,6-9. Il tratto appartiene ai racconti di battaglia: l'eroe porca a
casa, fra i trofei, la testa del nemico abbattuto. Cf. Gdt 13,15. Si veda anche lSam
.31,9, ove i Filistei portano in trionfo nelle loro città le teste di Saul e dei suoi tre fi-
gli, oppure 2Sam 20,22, racconto di un assedio che finisce quando, su consiglio di
una vecchia donna saggia, si getta a Gioab, generale di Davide, la testa di Seba, fi-
glio di Bicrì, il ribelle.
Dio, Davide e il prezzo di un sorso d'acqua (2Sam 23, 14-17) 73
2 L'episodio è riportato dallo storico QuINTUS CURTIUS Rurus nella sua Storia di
Alessandro Magno di Macedonia (7.5 .1 -1 6). lJ suo esercìto si trovava nell'attuale Af-
ghanistan e dovette attraversare un deserto per circa 75 chilometri prima di rag-
giungere il fiume Oxus (oggi chiamato Amu Daria). Il caldo era tanto intenso da ob-
bligare le truppe a camminare di notte. Tutti soffrivano la sete, ma quando due sol-
dati offrirono acqua al re, questi chiese loro per chi l'avessero portata. Essi rispose-
ro che era per i loro figli. li re rifiutò allora di berne e disse: «Non posso sopporta-
re di bere da solo e non c'è abbastanza acqua per condividerla con tutti. Andate su-
bito e date ai vostri figli quello che avete portato per loro».
74 I volti insoliti di Dio
scudo l'universo: terra, cielo e mare (483 ). 2 Il poema inizia con una
descrizione del cielo (484-489) e termina con quella del fiume Ocea-
no (il mare, 606-608). La descrizione della terra - come prevedibile
- è molto più particolareggiata (490-605). Vi troviamo molti aspetti
della vita dell'epoca, aspetti spesso contrastanti o complementari. So-
no rappresentate scene della vita cittadina e della vita rurale, scene di
pace e scene di guerra, scene gioiose e scene serie, scene di vita agri-
cola e di vita pastorale, bestiame grosso e bestiame minuto, mietitu-
ra e vendemmia. Infine, ed è con ogni probabilità intenzionale, la
parte dedicata alla terra inizia con la descrizione di una città ove si
celebrano nozze, si allestiscono banchetti e si organizza un ballo
(491-496) e finisce con una descrizione simile: una pista di danza
(590-605). Lo «scudo di Achille», in altre parole, celebra anzitutto la
gioia di vivere: la musica, la danza, i banchetti, la giovinezza e l'amo-
re. Esso esalta anche l'abbondanza e la ricchezza economica che vie-
ne dai campi e dalle greggi. La lunga e precisa descrizione dei lavori
dei campi, della vita pastorale (con la lotta disuguale contro i leoni
che sbranano un toro) e della vendemmia testimonia l'importanza
che il mondo greco antico accordava a queste attività essenziali alla
sopravvivenza. Altri aspetti della società greca antica non potevano
mancare: il processo e la guerra.
Troviamo quindi sullo scudo di Achille una «scena speculare»
perché il poema, dedicato tutt'intero alla guerra, contiene al suo in-
terno una raffigurazione di una scena di battaglia, e, questa, proprio
su un'arma da guerra. L'ideale, certo, è la vita gioiosa e tranquilla del-
le feste, della danza e dei banchetti. Questa vita dipende, però, da
una parte dai guerrieri che difendono le città contro gli invasori che
hanno come primo scopo di arricchirsi saccheggiando e, dall'altra,
dal duro lavoro di mezzadri, pastori e vendemmiatori. L'Iliade, certo,
2 Per essere più precisi, ecco un breve riassunto del poema: terra, cielo e ma-
re (483); cielo (483-489); due città di uomini (490-540) - nella prima si descrivono
un matrimonio (491-496) e un processo (497-508), l'altra è assediata e assistiamo a
una battaglia (509-540); il lavoro dei campi: aratura (541-549); mietitura nella te-
nuta regale (550-556); pasto regale e minestra di farina per i braccianti (556-560);
vigneto e vendemmia (561-572); una mandria - un toro è attaccato da due leoni
(573-586); gregge di pecore (587-589); danza (590-605); fiume Oceano (606-608).
Lo scttdo di Achille, la farina di Eliseo e la cipolla di Dostoevskij 77
2. LA FARl A DI ELISEO
loro vita al contenuto del misterioso libro per non cadere sotto la ma-
ledizione che, secondo lo stesso libro, è appesa sulla testa d i chiun-
que non obbedisce. L'esistenza, nell'antico Israele, non dipende dal-
la forza delle armi e dalle virtù eroiche dei sovrani, spesso molto de-
boli. L'esistenza dipende molto di più dalla conoscenza di un «libro»
e dalla disponibilità a far corrispondere la propria vita a quanto que-
sto libro detta. La salvezza, in altre parole, viene da una «sapienza di
vita» e non dalla forza. Per illustrare questo modo di pensare e per
meglio misurare la distanza che separa, su questo punto, la Bibbia
dall'Iliade di Omero, propongo di leggere un breve testo che appar-
tiene al cosiddetto «ciclo di Eliseo». Si tratta, nuovamente, di un te-
sto raramente citato (2Re 4,38-41):
38 Eliseo se ne tornò a Gàlgala mentre nel paese c'era la carestia e i di-
scepoli dei profeti erano seduti al suo cospetto. E gli disse al suo servo:
«Metti sul fuoco la pentola più grande e fa' cuocere una minestra per i
discepoli dei profeti». 39 Uno di essi, ch'era uscito in campagna in cer-
ca di verdura, trovò una vite selvatica da cui raccolse zucche selvatiche,
fino a riempirne la falda della veste. Ritornato, le tagliò a pezzi e le
gettò nella pentola, perché non sapeva che cosa fossero. 40 Ne versò poi
agli altri perché ne mangiassero. Appena questi ebbero gustato la mi-
nestra, gridarono: «C'è la morte nella pentola, uomo di Dio!», e non ne
poterono mangiare. 41 Il profeta ordinò: «Portatemi della farina»; la
gettò nella pentola, poi disse: «Versatene alla gente perché ne mangi».
E non ci fu più nulla di cattivo nella pentola.
4 lRe 8,37 (= 2Cr 6,28); 2Cr 20,9; Ger 14,12; 21 ,7.9; 24,10; 27,8.13; 28,8;
29,17.18; 32,24.36; 34,17; 38,2; 42,17.22; 44,13; Ez 5,12.17; 6,11.12; 7,15; 12,16;
14,21; Bar 2,25; Ap 6,8. La triade tradizionale, frequente specialmente in Geremia
ed Ezechiele, è quella della spada, della peste e della fame.
80 I volti insoliti di Dio
4,1-7). Farina, sale, olio: ecco gli strumenti della salvezza usati dal
profeta. Certamente, non abbiamo niente di paragonabile allo splen-
dente scudo di Achille. Siamo in un altro mondo, non quello aristo-
cratico e «sublime» dell'Iliade e dell'epopea in genere. Siamo nell'u-
niverso del popolino che combatte ogni giorno per la sua soprawi-
venza; vale a dire, letteralmente, per il suo «pane quotidiano». Que-
sta soprawivenza, in alcuni casi come quelli descritti nei racconti
summenzionati, ha del miracoloso. Occorre aggiungere subito, tutta-
via, che il miracoloso - lo straordinario che ricerca la letteratura di
tutti i tempi - si riduce a un gesto semplice ed è ottenuto grazie ad
elementi comuni. La farina, il sale o l'olio sono sempre a disposizio-
ne. Basta saperli utilizzare a buon fine, nel modo e nel momento giu-
sti. Il potere del profeta non consiste in una capacità soprannaturale
di trasformare tutto in oro, bensì nel saper utilizzare ingredienti re-
peribili in ogni casa in Israele. La sàlvezza, in altre parole, può di-
pendere da una bagattella che è alla portata di mano di chicchessia.
Non è necessario, come nel caso di Achille, ricorrere a un dio per
fabbricare un oggetto unico e impareggiabile.
3. LA CIPOLLA D1 DosroEVSKIJ5
«C'era una volta una donna cattiva cattiva che un giorno morì. E die-
tro di sé non lasciava nemmeno una buona azione. I diavoli la afferra-
rono e la lanciarono nel lago di fuoco. Ma ]'angelo custode della don-
4. CONCLUSIONE
Uno scudo, una manciata di farina, una cipolla: tre elementi che,
in tre situazioni molto diverse, divengono decisivi. Lo scudo di Achil-
le è di origine divina e manifesta, in questo modo, che non può ap-
La sapienza dello scriba viene dal tempo speso nella riflessione, si di-
venta sapienti trascurando l'attività pratica. Come penserà alla sapien-
za chi tiene l'aratro? La sua preoccupazione è quella di un buon pun-
golo, conduce i buoi e pensa al loro lavoro, i suoi discorsi riguardano i
figli delle vacche. Applìca il suo cuore a far solchi, rimane insonne per
il fieno delle giovenche. Così è per ogni artigiano e costruttore, sempre
occupato, di giorno e di notte: chi esegue l'intaglio dei sigilli mette tan-
ta pazienza nel cambiare le forme; applica il suo cuore per raffigurare
le immagini, finirà la sua opera perdendo il sonno. Così il fabbro, po-
sto vicino all'incudine, è intento al lavoro del ferro. Il vapore del fuoco
liquefà le sue carni, mentre egli si accanisce al caldo del camino. Il col-
po del martello ribatte nel suo orecchio, i suoi occhi sono fissi sul mo-
dello; applicherà il suo cuore per finire le sue opere, sarà insonne per
realizzare un ornamento perfetto. Così il ceramista, seduto al suo lavo-
ro, gira con i suoi piedi la ruota, si trova sempre preoccupato per la sua
opera, perché tutto il suo lavoro è soggetto al calcolo. Col suo braccio
modella l'argilla e con i piedi ne rammollisce la durezza, applica il suo
cuore per finire la lucidatura e perde il sonno per pulire il forno. Tutti
costoro confidano nelle loro mani e ciascuno è abile nel suo mestiere.
Senza di loro la città non può essere costruita, nessuno può abitarvi o
circolarvi. Ma essi non sono ricercati per il consiglio del popolo, e nel-
1' assemblea non emergono; sul seggio del giudice non siedono e la di-
sposizione della legge non comprendono. Non dimostrano né cultura
né conoscenza della legge, e non sono perspicaci nei proverbi. Ma essi
assicurano il funzionamento del mondo e nell'esercizio della loro arte
c'è la loro preghiera (Sir 38,24-34).
nate» e la loro arte è una vera preghiera. Un modo fra i tanti di con-
ciliare - anzi, di identificare - contemplazione e azione, Marta con
Maria (Le 10,38-42).
Il giudizio complessivo del Siradde nei confronti degli artigiani
è tuttavia negativo. Siamo, come detto, in un'epoca tardiva della tra-
dizione biblica, e si percepisce forse l'influsso di una certa mentalità
greca e della filosofia di Platone. Il Siracide ha poca stima in parti-
colare per 1' aratore, il cui universo mentale si misura con il raggio del
suo pungolo, che può pensare solo in termini di buoi e ha una con-
versazione limitata ai «figli delle vacche» (38,25). Era difficile essere
più pungente e più sprezzante: in questi versetti si riconosce il tono
consueto dei commenti fatti dai cittadini nei confronti dei contadini.
La Bibbia, però, contiene altre considerazioni sul mondo agricolo,
come ad esempio in un testo di Isaia spesso trascurato.
23 Fate attenzione e udite la mia voce, siate attenti e udite la mia paro-
la! 24 Ara forse l'aratore tutto il giorno per seminare? Non scinde egli
ed erpica il terreno? 25 Non spiana egli la superficie, non vi semina
l'anèto, e non vi sparge il comino? Non mette il grano e l'orzo e la spel-
ta lungo i confini? 26 Il suo Dio gli ha inculcato questa regola, lo ha
ammaestrato. 27 Certo, l'anèto non si trebbia con la trebbiatrice né si fa
girare il rullo sul comino, ma l'anèto si batte con il bastone e il comino
con la verga. 28 Si schiaccia forse il frumento? Certo, non si pesta inde-
finitamente; vi si fanno passare sopra la ruota del carro e i suoi cavalli,
ma non si schiaccia. 29 Anche ciò proviene dal Signore degli eserciti,
che è meraviglioso nel suo consiglio e grande in sapienza (Is 28,23-29).
2 Il merismo è una figura di stile che consiste nel descrivere una totalità citan-
done due elementi opposti o complementari, oppure due estremi. Esempi: creare il
cielo e la terra significa creare l'universo; conoscere il bene e il male significa cono-
scere tutto quello che è necessario per comportarsi secondo le regole della morale;
da Dan a Beersheva significa tutto il territorio d'Israele; dai più grandi ai più picco-
li significa tutta la popolazione.
92 I volti insoliti dì Dio
4 «Il gesto augusto del seminatore»: si veda V. Huco, poema «Le soir», nella
raccolta Les chansons des rues et des bois. Il poema finisce in questo modo: Et je mé-
dite, obscur témoin, I Pendant que, déployant ses voiles, I I.:ombre où se mele une ru-
meur, I Semble élargir jusqu'aux étoiles, I Le geste auguste du semeur. «E medito,
oscuro testimone, I Mentre, spiegando le sue vele, I I: ombra alla quale si mescola
un rumore, I Sembra allargare fino alle stelle, I Il gesto augusto del seminatore».
«SONO FORSE UN DIO DA VICINO,
E NON UN DIO DA LONTANO?»
(Ger 23,23)
«La sola cosa che chiedo al Signore, quella che cerco per dawe-
ro, è abitare nella casa del Signore per tutti i giorni della mia vita, per
contemplare la soavità del Signore e ammirare il suo tempio» (Sal
27,4). Questo versetto del Salmo 27 traduce in termini poetici una
certezza diffusa nella cultura dell'antico Israele così come in tutto il
mondo antico, e forse non solo in quello. Questa certezza può esse-
re riassunta in parole semplici: si vive bene solo a casa, fra la propria
gente, nel proprio paese. Nel linguaggio più religioso e più teologico
della Bibbia, questa consapevolezza si esprime spesso in un linguag-
gio cultuale. L'orante del Salmo 27, ad esempio, brama una sola co-
sa: poter passare tutta la vita nel tempio del suo Dio perché lì e solo
lì trova l'incolumità che ricerca con tanta premura. Il Signore è buo-
no e generoso nella sua terra, la terra d'Israele, ed è una vera male-
dizione doverla lasciare per vivere in esilio in un altro paese.
Davide, quando è costretto da Saul a vivere nel deserto, si la-
menta amaramente di essere stato allontanato «dall'eredità del Si-
gnore», come se dovesse «servire dei stranieri» (lSam 26,19). Ora
Davide si trova nel deserto di Giuda, a poca distanza dalla sua città,
Betlemme, in una regione conosciuta. Pur ammettendo che vi sia una
parte di esagerazione nel suo discorso, esso testimonia la mentalità
dell'epoca: essere fuori di casa e dover vivere come un ramingo si-
gnifica essere lontano da Dio. Il deserto non è la terra data da Dio in
eredità al suo popolo: vivere fuori della terra, in definitiva, significa
dover «servire altri dei» perché il Signore regna solo nella sua terra.
Non dobbiamo dimenticare che l'idea di un Dio creatore dell'uni-
96 I volti insoliti di Dio
ciò che vedrai con i tuoi occhi. Il Signore ti farà tornare in Egitto su
delle navi, ripercorrendo la via della quale ti avevo detto: "Non la ri-
vedrai più! ". Là vi offrirete in vendita ai vostri nemici com~ schiavi e
come schiave, ma senza trovare compratore!» (Dt 28,64-68).
Il testo contiene tutti gli elementi elencati sopra: I' esilio significa
dover servire altri dei, perdere ogni sicurezza e addirittura la voglia di
vivere, albergare solo sentimenti di ansia e di disperazione. Si potreb-
bero aggiungere altri testi, come il famoso Salmo 13 7, il canto degli
esuli in Babilonia: «Presso i fiumi di Babilonia, là sedevamo e piange-
vamo, ricordandoci di Sion; ai pioppi di quella terra avevamo appeso
le nostre cetre ... Se mi dimenticassi di te, Gerusalemme, s'inaridisca la
mia destra; s'attacchi al palato la mia lingua, se non mi ricordassi di
te; se non ponessi Gerusalemme sopra di ogni mia gioia ... » (Sal 1.37,1-
2.5-6). A questo canto sconfortato ne risponde un altro che esprime
l'incredibile gioia del ritorno: <<Quando il Signore ricondusse i prigio-
nieri di Sion, ci sembrava di sognare. Allora la nostra bocca si riempì
di riso, la nostra lingua di canti di gioia» (Sal 126,1-2).
senziali della sua esistenza e della sua sicurezza erano spariti di colpo.
Se Dio non ha più tempio, è come un sovrano che non possiede più
alcun palazzo: non può più regnare. La conquista di Gerusalemme si-
gnificava inoltre che il Dio d'Israele non era stato capace di difende-
re la propria città dagli dei babilonesi che l'avevano sconfitto e quin-
di regnavano al suo posto nella città santa e nella terra di Giuda.
Ma il Dio d'Israele non cedette il suo posto agli dei babilonesi e
se le cose presero un'altra piega, lo dobbiamo in gran parte a Eze-
chiele. La domanda che si pone in quel momento è di sapere dov'è
Dio se il tempio è distrutto. Dio avrà un'altra «dimora»? Per arrivare
a formulare una risposta a questa difficile domanda, Ezechiele fa un
enorme sforzo d'immaginazione. Molto probabilmente aiutato da
modelli e rappresentazioni mesopotamici, Ezechiele afferma che il
Dio d'Israele non ha aspettato che la sua dimora fosse profanata dai
babilonesi: se n'è andato prima. In una visione sobria, ma nello stes-
so tempo densa di conseguenze per il modo di rappresentarsi la pre-
senza di Dio in Israele, egli descrive la partenza della gloria del Si-
gnore dal tempio di Gerusalemme: «I cherubini allargarono quindi le
ali e con loro si mossero le ruote e la gloria del Dio d'Israele sopra di
loro. La gloria del Signore si sollevò di mezzo alla città e si fermò sul
monte, a oriente di essa. Poi uno spirito mi alzò e mi trasportò in Cal-
dea presso gli esuli, in visione, nello spirito di Dio, e la visione che
avevo visto scomparve allontanandosi in alto. Io riferii agli esuli tutte
le cose alle quali il Signore mi aveva fatto assistere» (Ez 11,22-24). In
parole molto semplici, Ezechiele afferma che il Dio d'Israele può
muoversi. Non è una divinità statica, legata a un luogo particolare, a
un santuario, bensì una divinità capace di spostarsi. Per questa ragio-
ne, i cherubini che trasportano il trono divino sono alati e sono mu-
niti di ruote. Sarà forse difficile rappresentarsi graficamente questi
cherubini, soprattutto perché muniti di ali e di ruote. L'essenziale,
però, è di capire la loro funzione nella profezia di Ezechiele.
I Il «Cherubino» unisce in Sé la potenza deJ più temuto fra gli animali selvati-
ci, il leone; del più possente animale domestico, il toro o il bue; del più grande uc-
cello, l'aquila, alla quale si aggiunge l'intelligenza dell'uomo (la testa). Questi esseri
si ritrovano nell'Apocalisse e diventeranno i simboli dei quattro evangelisti.
2 Il fiume Kebar è probabilmente un canale nelle vicinanze di Nippur, città a
sud-est di Babilonia.
100 I volti insoliti di Dio
rusalemme, che Israele raggiungerà dopo tanti anni. Dio non aspetta
il suo popolo nella terra. Egli viene a condividere la condizione pre-
caria di chiunque viaggia nel deserto, terra inospitale e pericolosa.
Dio quindi non è solo la meta da raggiungere alla fine del viaggio,
bensì «fa parte» del viaggio che diventa il luogo privilegiato della sua
presenza. Il Dio eterno accetta di abitare nell'effimero e nel transito-
rio, il Dio onnipotente non disdegna di tenere compagnia alla fragi-
lità umana, il Dio vivente estende il suo regno nel deserto, «paese ari-
do e di voragini, paese brullo e di ombra di morte, paese dove nes-
suno passa e dove nessuno abita» (cf. Ger 2,6). Il Nuovo Testamen-
to dirà l'ultima parola su questo mistero nel Vangelo di Giovanni, in
un testo ben noto che riprende due immagini essenziali dell'Esodo,
la tenda e la gloria: «Il Verbo si è fatto carne, ha piantato la sua ten-
da fra noi ed abbiamo visto la sua gloria» (Gv 1,14).
IL DIO DELLA FEDELE TENEREZZA
(Os 2,4-25)
1. INTRODUZIONE
von Hos 2,4-27», in Biblische Zeitschrift 133(1969), 41-59. Per più particolari su que-
sto brano, si possono consultare H. SIMIAN-YOFRE, Il deserto degli dei. Teologia e sto-
ria nel libro di Osea, EDB, Bologna 1994, 22-42; A. WÉNIN, Osée et Gomer: parabo-
le de lafidélité de Dieu, Os 1-3 (Connaltre la Bible), Lumen Vitae, Bruxelles 1998.
Il Dio della fedele tenerezza (Os 2,4-25) 105
1. INTRODUZIONE
l La parola «tempio» appare più volte nel salterio: Sal 5,7; 11,4; 18,6; 27,4;
29,9; 48,9; 65,4; 68,29; 78,69; 79,1; 138,2. La parola «santuario» è altrettanto fre-
quente: Sai 20,2; 60,6; 63,2; 68,17.24.35; 73,17; 74,3.7; 84,5; 96,6; 102,19; 108,7;
114,2; 134,2; 150,1.
Il Dio della sete (Sai 63) 109
Il salterio, per essere più precisi, è stato composto per l'uso del
popolo, delle assemblee liturgiche e degli individui. In realtà, i salmi
sono piuttosto dei «formulari» scritti da gente colta, probabilmente
dal personale dei santuari, per l'uso liturgico di tutti. Gli autori dei
salmi sono simili ai nostri liturgisti e ai nostri compositori di canti sa-
cri. Vi sono quindi molte convenzioni letterarie nei salmi e non dob-
biamo cercarvi tracce di situazioni precise, di sentimenti personali o
di esperienze molto concrete. Il linguaggio dei salmi rimane in gene-
re molto vago perché il «formulario» doveva essere utilizzato da per-
sone diverse in situazioni analoghe.
2 Questi versetti sono fra quelli che sono stati espunti dal breviario romano.
110 I volti insoliti di Dio
4 Per altri usi della stessa parola, si vedano Sal 35,8; Gb 30,3; Is 47,11.
IL DIO DI UN MONDO NUOVO
(Mt 5-7)
1. I NTRODUZIONE
1. INTRODUZIONE
visamente nei panni dell'operaio della prima ora che contesta il mo-
do di agire del padrone. Gesù racconta quindi questa parabola per
quelli che contestano Dio e il suo modo di agire nella storia della sal-
vezza. Come rispondere alla domanda del padrone?
2. Per poter capire il modo, l'atteggiamento del padrone quan-
do paga gli operai, occorre ricordarsi della prima parte della parabo-
la. Il padrone è infatti il suo personaggio principale. Perché va a cer-
care operai cosi spesso? Perché torna un'ultima volta, all'undicesima
ora (alle 5 del pomeriggio), un'ora prima del tramonto? Deve avere
le sue ragioni. La ragione più semplice del suo comportamento è l'ur-
genza: il padrone vuol finire al più presto la vendemmia. Possono ar-
rivare le prime piogge, o i ladruncoli, o più semplicemente l'uva è
matura e bisogna raccoglierla senza indugio prima che si guasti. C'è
molto da fare e mancano gli operai. Il padrone vuole quindi ingag-
giare il maggior numero di persone.
3. Perché allora pagare tutti nello stesso modo, iniziando dagli
ultimi? Che cosa rende tutti gli operai «uguali»? Una sola cosa: han-
no tutti partecipato alla vendemmia. Erano tutti nella vigna e nessu-
no è rimasto fuori. Solo quelli che non sono stati assunti non sono pa-
gati. La cosa importante e la sola che sembra importare al padrone è
questa: aver lavorato nella vigna. Il padrone ricompensa tutti nello
stesso modo perché tutti l'hanno aiutato a finire la vendemmia.
4. Forse si deve anche capire che lavoro e salario in questa pa-
rabola non sono separabili: il vero salario è il fatto di aver potuto par-
tecipare alla vendemmia. Il lavoro è il salario, perché questo tipo di
lavoro ha valore in sé. Certo, la parabola vuol far capire qual è l'eco-
nomia della salvezza. Come applicare allora la lezione della parabola
alla vita cristiana e ali'evangelizzazione? Come si rivela Dio in questa
parabola? Qual è la sua «felicità»?
IL DIO DEL POVERO LAZZARO
(Le 16,19-3 1)
1. INTRODUZIONE
1. INTRODUZIONE
dall'esperienza per risalire verso Dio, origine della vita nella sua pie-
nezza. Legge la storia e vi scopre un «piano divino», più antico della
creazione del mondo e che si conclude con la «fine dei tempi». La
storia, anche la nostra storia quotidiana, ha un «senso» e questo sen-
so lo troviamo in Gesù Cristo e nel suo vangelo. Niente è assurdo, ba-
nale o indifferente nella nostra vita. Il vangelo «dà senso» a tutto. Co-
me riscoprire questa dimensione? Come imparare o imparare sempre
di nuovo a «benedire Dio» nella vita di ogni giorno?
2. Il piano di Dio abbraccia tutta la storia umana e tutto l'uni-
verso. È quindi più largo delle nostre preoccupazioni. Come allarga-
re i nostri orizzonti e interessi per farli coincidere con quelli di Dio?
Come evitare la tentazione di restringere la vita cristiana a un picco-
lo mondo rinchiuso in se stesso? A quale piano ci associa Dio?
3. Cristo, modello e salvatore dell'umanità. Per Paolo come per
i primi cristiani, questa verità era «nuova». Perciò la Lettera agli Efe-
sini parla di un «mistero» (qualcosa di imprevedibile). Dov'è questa
novità per noi? Che cosa Cristo può apportare al mondo d'oggi?
Quale speranza? Che «senso» può dare alla vita dell'umanità del ter-
zo millennio? Che cosa può annunziare alle generazioni di domani?
4. Pagani ed ebrei. La Chiesa è formata da ebrei e pagani, tutti
convertiti a Cristo. Si può ritrovare la stessa diversità nella Chiesa di
oggi? Vi sono tensioni? Come vivere forme concrete di vita ecclesia-
le senza far sparire le differenze?
IL DIO DELLA NUOVA CREAZIONE
(Ap 21,1-8; 21,9-22,5)
1. INTRODUZIONE
1 Le Chiese orientali (Chiese di lingua greca) hanno esitato ancora più a lungo
delle Chiese occidentali (Chiese latine) a causa delle forti critiche del potere politi-
co contenute nel libro dell'Apocalisse. Le Chiese orientali erano, infatti, più legate
all'impero delle Chiese latine.
126 I volti insoliti di Dio
nel mondo nuovo non vi è più né mare (Ap 21,1) né notte (Ap 21,25;
22,5; cf. Is 60,11) . Esiste solo la terra asciutta e il giorno non finisce
mai. È finita l'alternanza dei giorni e delle notti, della luce.e delle te-
nebre, così come sparisce la divisione fra la terra asciutta e le acque
e svaniscono la sofferenza· e addirittura la morte (Ap 21,4). Per la
Bibbia, il mare e la notte rappresentano residui del caos primordia-
le nel nostro mondo. Non sono esattamente simboli del male, quan-
to piuttosto dell'ambiguità e dell'indifferenziato. Es 14,1-31 utilizza
molto questi due simboli nella descrizione del passaggio del mare:
Israele rinasce mentre attraversa il mare di notte (vedi sopra). Altri
testi dell'Antico e del Nuovo Testamento alludono alla stessa tema-
tica. Vale in particolare per la risurrezione di Gesù. Perché, secon-
do tutti i vangeli, la risurrezione ha luogo <<il primo giorno della set-
timana»? Che cosa aveva creato Dio il primo giorno della settima-
na? Qual è allora il legame con la risurrezione? E chi sarà la luce de-
finitiva della nuova Gerusalemme (cf. Ap 21,23; 22,5)? Come tra-
durre questi simboli del mare e della notte in un linguaggio e in im-
magini più moderni?
2. La città nuova e la dimora di Dio. Il testo di Ap 21-22 insiste
molto sulla Gerusalemme celeste, simbolo del mondo nuovo. La città
non è mai chiusa e le nazioni vi verranno in un grande pellegrinaggio
(Ap 21,24-26; cf. ls 60,3.11; Zc 14,16-19). La città, però, sarà intera-
mente pura: «nulla d'impuro in essa entrerà» (Ap 21,27; cf. Is 35,8;
52,1; Zc 13,1 -2; 14,20-21). Non vi sarà tempio in questa città (Ap
21,22). Perché? La ragione è semplice: tutto è sacro nella Gerusa-
lemme celeste, non esiste più alcuno spazio «profano». Così come so-
no spariti notte, mare e morte, non esiste più alcun elemento profa-
no, non purificato e sconsacrato. Dio dimora con l'umanità e non vi
è più alcun ostacolo alla comunicazione fra Dio e il suo popolo.
Per l'Apocalisse, la liturgia terrestre rispecchia e prefigura la li-
turgia celeste. Che cosa significa la nostra liturgia se la viviamo alla
luce di quanto dice lApocalisse? La divisione fra «sacro» e «profa-
no» è destinata a permanere? La risurrezione di Gesù Cristo ha inau-
gurato gli ultimi tempi? Come? Secondo Gv 2,21 che cosa è il «tem-
pio» di Dio sulla terra (vedi anche Gv 1,14)? Dove possiamo adora-
re Dio? Che cosa rappresentano allora le nostre chiese? Qual è il cul-
to del Nuovo Testamento?
128 I volti insoliti di Dio
ANTICO TESTAMENTO
Genesi 35,25-26 88
35,30-35 88
1,1 -2,3 9-13
35,31 - 36,1 15
2,4b-25 10
4,1-16 19-21 Levitico
11,1-9 23 -24
18,1-8 25 , 28-30 17, 11 74
21,8-20 33 -37 17,14 20-21
26,2 49
28,10-22 52 Deuteronomio
41,33.39-40 15 15,4 118
46,1-7 47-50 28,64-68 95-96
31,11 96
Esodo
lSamuele
3, 1 -4,18 51-53
3,6 5 17 71-73
14,1-31 55-58 17,4-7 77-78
14,15 69 17,51 72
15,18 58 26,19 95
20,2 5
33,18-23 64-69 2Samuele
33,18 5 7,5-7 47
35 - 40 100-101 23,14- 17 71-74
35,10 88 24,18-25 52
132 I volti insoliti di Dio
lRe Proverbi
8,27 48 8,22-30 15-17
Siracide
2 Re
38,24-34 89-90
2,19-22 80
4,1-7 80-81 Isaia
4,38-41 79-81 11,6 43
22 78 23,4 111
25,6 llO
lCronache 28,23-29 90-93
45,6-7 5
21,26-27 52 66,l 48
Giobbe Geremia
30,3-8 35 2,6 101
23,23 95
Salmi Ezechiele
27,4 95 1,1-28 98-100
27,8 96 3,15 99
42 96 11,22-24 98
42,3 6 37,14 5
63 107-112
126 97 Osea
131,1 6 2,4-25 103-105
137 97 11,9 5
Nuovo TESTAMENTO
Matteo 13,1 93
20,1-16 117-118
5-7 113 -115
5,44 111
Marco
9,12-13 42
10,42 74 9,41 74
Indice delle citazioni bibliche 133
Luca Romani
10,38-42 90 6,1-11 58
16,19-31 119-120
22,27 32 Calati
5,1 57
Giovanni
Efesini
1,14 6, 49, 101
7,49 89 2,3-14 121-123
8,1-11 39
8,11 40 lPietro
14,6 50 3,18-22 58
14,8 6
Apocalisse
Atti
21,1-8 125-128
4,34-35 119 21 ,9 -22,5 125-128
INDICE TEMATICO
LA VOCAZIONE DI MOSÈ
O IL DIO DELLA LIBERTÀ (Es 3,1- 4,18) .................. » 51
1. Introduzione .............. .. ............. ............................. » 51
2. Costruzione del brano .... ........................ ................ » 52
3. Qualche pista di riflessione per la meditazione .... » 53
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