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DANIELE TRIPALDI

Gesù di Nazareth nell'Apocalisse di Giovanni


Spirito, profezia e memoria

MORCELLIANA
INTRODUZIONE

ESPERIENZA, IDENTITÀ, MEMORIA.


RIFLESSIONI PRELIMINARI

L‘Apocalisse di Giovanni viene generalmente considerata riserva e re-


pertorio di «evidence of the phenomenon of prophecy and ecstasy» (Nasral-
1 2
lah, 2003, p. 68) . Tra le pieghe di conflitti e dibattiti sulla profhteiva , è
però già nel momento in cui Giovanni dà forma sensibile, materiale, su roto-
lo, alla sua esperienza, che emergono e si articolano significati, si genera un
discorso che ridefinisce simbolicamente, dall‘interno, identità, strutture co-
3
noscitive e sociali .
La (ri)costruzione dell‘esperienza e delle sue potenzialità di significato,
nei limiti del contesto socio-culturale, procede con il farsi del testo. Aspetto
«drammatico» e dimensione «poetica» della rivelazione coincidono e si i-
4
dentificano : ciò che Giovanni ha creduto di vedere, la sua interazione con le
figure che gli sono apparse, sono espressi e visualizzati nel testo, nel suo lin-
guaggio, nella sua retorica, nelle sue interpretazioni, e non sono altrimenti
raggiungibili.
Affrontare la relazione di un‘esperienza visionaria complessa significa
quindi affrontare un processo rituale e un progetto retorico, insieme, di tra-
5
sformazione della realtà . Ne viene coinvolta anche la rappresentazione di
Gesù di Nazareth.

1
Cfr. Aune, 1996, pp. 350-352; 382-387; 511-539, e, soprattutto, Thompson, 2003b.
2
Cfr. Duff, 2001, pp. 48-60 e 113-125.
3
Devisch, 1978a, pp. 173-189, e 1978b, pp. 270-288, parla di «symbolic articulation
process». Il punto è trascurato da Nasrallah, 2003, pp. 63-70.
4
Riprendo e adatto la distinzione tra «microdramatics» e «poetics» introdotta da Wer-
bner, 1989, pp. 21-26.
5
Cfr. Tambiah, 1995, pp. 130-161. Su definizione ed applicazione all‘esegesi
dell‘Apocalisse del concetto di retorica come costruzione di un universo simbolico, vedi, in
particolare, Schüssler Fiorenza, 1994, pp. 39-58. Istruttiva, ma parziale, anche la definizione
di Aune, 1986, pp. 86-87: «(1) Form: an apocalypse is a prose narrative, in autobiographical
form, of revelatory visions experienced by the author, so structured that the central revelatory
message constitutes a literary climax, and framed by a narrative of the circumstances sur-
rounding the revelatory experience(s). (2) Content: the communication of a trascendent, often
eschatological, perspective on human experience. (3) Function: (a) to legitimate the trascen-
dent authorization of the message, (b) by mediating a new actualization of the original revela-
tory experience through literary devices, structures and imagery, which function to ―conceal‖
6 Introduzione

1. LOGICHE DELLA RIVELAZIONE

Giovanni traduce, in segni e simboli, un‘esperienza di contatto con il


divino. Nel testo, articola e interpreta la sua ―estasi‖, il suo accesso a una re-
altà altra da e superiore alla quotidiana, normalmente nascosta, che è anche
attingere a una nuova sfera di conoscenza e significato.
In quali condizioni, contesti o occasioni si realizza? Come viene speri-
mentata e rappresentata questa sensibilità ampliata? Come si sviluppa e mo-
della nello spazio e nel tempo? Quali categorie culturali vengono mobilitate
per comprenderla e spiegarla? Che tipo di operazioni intellettuali e razionali-
6
tà presuppone? .
Non è questione di puro e semplice interesse fenomenologico: ne va
fondamentalmente dell‘archeologia, per così dire, di una trasformazione,
sperimentata, interpretata e proposta, che, descrivendo e individuando, col-
locando e restringendo possibilità, spazi e contenuti cognitivi, produce auto-
rità, e, al tempo stesso, inquadra e convalida la creazione di una nuova iden-
tità, tanto a livello individuale che a livello sociale.
Non offrendo l‘Apocalisse tassonomie o teorie esplicite, porsi queste
domande comporta andare a scavare sotto ciascuno dei ventidue capitoletti
in cui l‘opera è stata divisa, senza isolarsi o isolarli da, anzi piuttosto inte-
grandosi e integrandoli in un confronto con altri testi in corrispondenza ideo-
logica. Soprattutto, senza sorvolare, in prima battuta, su una serie di proble-
mi teorici che la non immediatezza del metodo storico e la natura del testo
7
stesso sollevano .

2. UNA VISIONE DI GESÙ: TRA COSTRUZIONE DEL PASSATO E TRASFORMAZIONE DEL PRESENTE

La trasformazione si fa scrittura, il progetto narrazione autobiografica.


Nell‘universo simbolico del testo viene evocata e costruita anche una imma-
gine di Gesù di Nazareth.
Per precisare e affinare la prospettiva analitica che mi preme, converrà a
questo punto aprire una parentesi ―cristologica‖ e allargare l‘obiettivo su un
desideratum della ricerca storica.

the message which the text ―reveals‖, so that (c) the recipients of the message will be encour-
aged to modify their cognitive and behavioral stance in conformity with trascendent perspec-
tives». Segue ampio commento, pp. 87-91.
6
Cfr. le indicazioni di Vernant, 1991, pp. 303-305 e 310-315.
7
Cfr.Vernant, 1991, pp. 261-268, e Berger, 1991a, pp. 17-44.
Esperienza, identità, memoria: riflessioni preliminari 7

2.1 Un “Gesù storico” nell‟Apocalisse di Giovanni?

«Tod und Auferstehung Jesu […] ist das Entscheidende, ja im Grunde das Einzige,
was für Paulus an der Person und dem Schicksal Jesu wichtig ist, – einbegriffen ist
dabei die Menschenwerdung und das Erdenleben Jesu als Tatsache, d.h. in ihrem
Dass; – in ihrem Wie nur insofern, als Jesus ein konkreter, bestimmter Mensch, ein
8
Jude, war» (Bultmann, 1954, p. 289 [corsivo mio]) .

L‘autorevolezza della dicotomia bultmanniana ha segnato, quando più,


quando meno velatamente, i tentativi di descrivere il discorso su Gesù quale
viene elaborato da Giovanni: presente e futuro del Cristo morto e risorto, ora
Signore glorificato, occupano la scena, nella convinzione condivisa che per-
mettano di focalizzare il supposto unico interesse di redattore e lettori impli-
citi dello scritto – e non piuttosto degli esegeti moderni: si misura l‘apporto
della tradizione, si apprezzano il contributo e gli sviluppi personali di Gio-
vanni.
Di contro, il passato di Gesù e la sua ri-figurazione, la sua interpretazio-
ne nella memoria e nel testo vengono inequivocabilmente liquidati come
cornice marginale e indistinta, in quanto fatti non consistenti come referenti
storici delle comunità dei suoi seguaci. Dalle monografie ormai classiche di
T. Holtz (1962) e J. Comblin (1965), agli ultimi interventi di M.E. Boring
(1992), D. Guthrie (1994) e C.H. Talbert (1999), passando per il contributo
di F. Bovon (1972), l‘attenzione si indirizza quasi spontaneamente da nasci-
ta, morte in croce e resurrezione al nucleo kerygmatico, che questi eventi,
pur tanto cursoriamente menzionati, racchiudono. Questo nucleo, in ultima
istanza, ne fonda l‘importanza al presente, in ragione delle sue risonanze so-
teriologiche. Più recenti orientamenti della ricerca non mancano di appro-
fondire le distanze e si concentrano sullo sfondo giudaico-apocalittico delle
9
concezioni di Messia e Figlio dell‘Uomo , sul rapporto tra cristologia e ange-
10
lologia oppure sulla dimensione storico-sociale che la prima assume (Slater,
1999).
Lo spoglio di bibliografie e rassegne bibliografiche, anche esteso a
comprendere temi più specifici, quali, per esempio, Apocalisse e tradizione

8
La critica più recente ha provveduto a smussare e relativizzare questo giudizio, cfr.
Pesce, 2003a, per alcune prime indicazioni bibliografiche.
9
Cfr. Müller, 1972; Yarbro Collins, 1996, in particolare, pp. 159-197.
10
Cfr. Stuckenbruck, 1995; Carrell, 1997; Gieschen, 1998.
8 Introduzione

gesuana o Apocalisse e tradizione evangelica, conferma l‘unilateralità e uni-


11
formità del quadro .
Nelle parole di Segalla:
«moltissimo si discute del rapporto dell‘Apocalisse con l‘AT, con l‘apocalittica giu-
daica, con la storia che vi si riflette come in uno specchio, della sua particolare strut-
tura letteraria, della sua simbolica, dell‘ambiente liturgico e così via. Per quanto ri-
guarda il Gesù terreno, al più si rimanda alla morte e risurrezione di Gesù come vit-
toria dell‘Agnello» (Segalla, 2000, pp. 115-116).

Presenze e assenze tra i numerosi desiderata per la ricerca futura elen-


cati da O. Böcher (1998, pp. 167-168) – investigazione della continuità tra
apocalittica giudaica e protocristiana, da un lato, e profetismo dell‘AT,
dall‘altro; precisazione del rapporto tra Apocalisse e Paolo o tra Apocalisse e
altri testi apocalittici del NT; determinazione della situazione storico-politica
in cui nasce e della funzione storico-politica che l‘Apocalisse svolge; appro-
fondimento dell‘angelologia e della demonologia; sviluppo di una appropria-
ta ermeneutica teologica, capace di individuare e distinguere tradizione e re-
dazione, eredità giudaica e proprium cristiano, enunciati di validità storica-
mente circoscritta ed enunciati di validità non temporalmente circoscritta;
analisi del legame che salda escatologia ed ecclesiologia – comprovano la
generale correttezza di queste considerazioni, e rinviano implicitamente ad
12
una soddisfazione critica di fondo, che nutre il disinteresse .

2.2 Dualismi in crisi


13
Nello studio che a buon diritto R. Penna definisce «pionieristico» e che
tuttora non perde la sua fondamentale validità e ricchezza, T. Holtz viene al-
lo scoperto e non nasconde limiti e difficoltà di questa impostazione, con tut-
to l‘imbarazzo esegetico che ingenera.
Commentando Ap 3, 14, rileva, nel secondo predicato che definisce il
«simile ad un figlio d‘uomo» come oJ mavrtu~ oJ pistov~, un accenno alla vi-

11
Cfr. Lohmeyer, 1934; Feuillet, 1963; Kraft, 1973; Vanni, 1976, e 1980, in particolare,
pp. 32-33; Muse, 1996; Holtz, 1997; Böcher, 1998; Prigent, 2000b. Per un ulteriore aggior-
namento fino al 2002, si possono consultare con profitto Casalini, 2001, pp. 351-359, e 2002,
pp. 361-364.
12
Cfr., tuttavia, Ellis, 1999, pp. 226-228, e Holladay, 2005, pp. 550 e 555 n.11. Ma si
tratta, più che altro, delle classiche, e anche fin troppo sbrigative, nel nostro caso, eccezioni
che confermano la regola.
13
Penna, 1999, pp. 463-465, in particolare, p. 464.
Esperienza, identità, memoria: riflessioni preliminari 9

cenda storica di Gesù, che lo differenzierebbe dal primo e dal terzo e ne


14
romperebbe quasi l‘armonia :
«Wir verkennen nicht die Schwierigkeit dieser Interpretation. Nach unserer Erklär-
ung ist dies die einzige Stelle, an der in dem ganzen Complex der Christus-Vision
(1, 12 ff.) und der Sendschreiben […] auf die Christusgeschichte Bezug genommen
wird. Streng genommen handelt es sich hier […] um einen Namen, der das Werk des
geschichtlichen Christus bezeichnet; er passt daher nicht recht in den Zusammen-
hang. Wir sehen aber keine andere Möglichkeit der Erklärung […]. Es wird viel-
mehr so sein, dass 1, 5 die Christusprädikation 3, 14 nach sich gezogen hat. Durch
die Erweiterung von pistov~ zu pistov~ kai; ajlhqinov~ ist aber wahrscheinlich der
“Zeuge” Gott näher gerückt und seine Erhöhung angedeutet» (Holtz, 1962, p. 143
[corsivo mio]).

Questa percezione immediata ed acuta di uno spuntare di riferimenti a e


riformulazioni della vicenda storica di Gesù non rimane un caso isolato, ma
riaffiora in altre osservazioni sparse, fino a constatare l‘influsso modellante
di tradizioni gesuane sulla formazione e l‘intreccio delle visioni – con tutte
le conseguenze per l‘esegesi dei singoli passi che poi ne derivano e che
15
Holtz non esita a trarre .
Come per la Jesusforschung a partire dalla seconda metà del secolo
16
scorso , insomma, il problema lasciato giacere a monte, suona: esiste, anche
per Giovanni e le comunità a cui scrive, una continuità tra Gesù della storia e
Cristo della fede? Nonostante le differenze storiche, letterarie, teologiche tra
genere ―vangelo‖ e genere ―apocalisse‖, quale figura del ―Gesù storico‖, e,
via di seguito, quando, come e in che misura, trova spazio nell‘Apocalisse e,
17
«trasformata dal nuovo orizzonte letterario e dalla nuova funzione» , si ri-
verbera sulla riflessione, propriamente, ―cristologica‖?

2.3 Sulle tracce di un insegnamento

L‘unico studio sistematico delle tradizioni sinottiche nell‘Apocalisse è e


18
rimane la monografia di L.A. Vos (1965) .

14
Holtz, 1962, pp. 140-143.
15
Ibid., pp. 17; 55-57; 99-100; 125; 131-134.
16
Presentazione sintetica e ulteriori rimandi bibliografici in Fusco, 1998; Puig i Tàr-
rech, 2000, in particolare, 194-199; Marguerat, 2001.
17
Segalla, 2000, p. 138.
18
Una diecina di anni prima circa aveva scritto un rapido articolo di approfondimento
Boismard (1953), concentrato però piuttosto sulla demonologia dei due scritti e sulle possibili
ipotesi di contatti letterari, che ne riuscissero a spiegare convincentemente le somiglianze.
Cfr. anche i grandi commentari della prima metà del secolo scorso: Swete, 1907, p. xcvi;
10 Introduzione

Lo studio nasceva da un confronto critico con le posizioni di H. Koester


(1957) e con queste si sviluppava in un serrato dialogo, fondandosi sulle ri-
cerche della scuola scandinava (H. Riesenfeld, 1957; B. Gerhardsson, 1961).
Si proponeva di aprire una finestra sulla tradizione sinottica alla fine del I
sec.d.C., e, in seconda battuta, di stabilire la misura di fluidità in cui questa
19
circolasse al volgere del II . Vos finiva col rintracciare venticinque detti di
Gesù, le cui variazioni non incidevano sostanzialmente sulla forma fissata e
20
trasmessa per via orale .
A prescindere dal diverso grado di sicurezza raggiungibile
nell‘accertamento dell‘impiego, diretto o indiretto, dei singoli lo,goi e
dall‘eventuale contestabilità di inclusioni ed esclusioni, come che stiano ef-
fettivamente le cose sullo stato della tradizione, ciò che più mi sembra rile-
vante è che dallo studio di Vos emerge comunque un Giovanni ben familiare
21
con la predicazione di Gesù di Nazareth , e con materiale individuabile e i-
22
solabile in precisi rivoli della tradizione .
Sulla sua scia, successivamente, sempre insistendo sulla stessa metodo-
logia critica combinata di storia delle forme, storia delle tradizioni, e storia
della redazione, allo scopo di enucleare e precisare fonti e dipendenze lette-
rarie, si sono mossi i contributi di R. Bauckham (1977), G.K. Beale (1985) e
23
U. Vanni (1991) .
L‘analisi di Vos soffre tuttavia di due limiti.
Da un lato, appare generalmente circoscritta ai sinottici o, al più, agli
scritti canonici e non prende in considerazione paralleli eventualmente atte-
24
stati negli altri scritti proto-cristiani esclusi dal canone . Bauckham (1977, p.
169) ha già compiuto un passo in avanti in questa direzione, relativamente
alle parabole sulla parusia, ed il suo contributo più recente sull‘argomento
(1983) è la dimostrazione delle prospettive aperte: il suo procedimento com-
25
parativo andrebbe ripreso, esteso ulteriormente ed approfondito .

Charles, 1920, pp. lxiii-lxv e xciv; lxxxiv-lxxxvi per i sinottici, e pp. xxxi-xxxiii per il vange-
lo di Giovanni; Lohmeyer, 1953, p. 196.
19
Vos, 1965, pp. 1-9.
20
Cfr. il prospetto finale ibid., pp. 218-219.
21
Ibid., pp. 194 e 215-216. Contro Boring, 1992, p. 715 e n.16. Cfr. anche le conclusio-
ni della critica più recente a proposito del rapporto Gesù – Paolo in Pesce, 2003a, p. 51 e n.20.
22
Vos, 1965, pp. 193-195 e 215-220.
23
Cfr. anche Wenham, 1984, in particolare, pp. 294-318.
24
Uniche due eccezioni: la transitoria menzione del parallelo di 2 Clem. 3, 2 a Ap 3, 5
(Vos, 1965, p. 89 n.144) ed il probabile ―agraphon‖ di Ap 2, 10 (pp. 192-193).
25
Cfr. il giudizio di Vanni, 1991, pp. 15-16 e 37, che conclude: «Lasciarlo in disparte o
liquidarlo con affermazioni generiche (scil. «il problema di un rapporto tra l‘Apocalisse e Lu-
ca, tra l‘Apocalisse e i Sinottici in generale») significherebbe trascurare un supplemento di
luce determinante per l‘interpretazione dell‘Apocalisse» (citazione p. 37).
Esperienza, identità, memoria: riflessioni preliminari 11

Dall‘altro, probabilmente in ragione dei paletti che Vos stesso si è im-


posto, della natura della sua ricerca, e di scopi ed interessi intrinseci che la
26
orientavano , non si avverte la preoccupazione di delineare la fisionomia del
Gesù di Giovanni, sulla base del materiale raccolto, selezionato ed investiga-
to.

2.4 Spiragli di una memoria

L‘articolo recente di Segalla, già spesso citato, si propone come primo


tentativo diretto e consapevole di ricostruire la ―memoria storica‖ di Gesù di
Nazareth nell‘Apocalisse.
Viene tracciata subito una cesura con la discussione passata: il metodo
storico-critico non renderebbe giustizia al testo apocalittico e alle sue strate-
gie letterarie, di qui la necessità di abbandonarlo e ricorrere a un metodo per
Segalla più adatto, l‘intertestualità. Non più dunque ricerca di «una specie di
citazioni o allusioni letterali, che comprovino la dipendenza, e perciò
l‘influsso», ma piuttosto analisi del patrimonio testuale dell‘autore,
dell‘«intreccio di enunciati presi da altri testi e la loro trasposizione in un
testo nuovo», che, nello specifico, stabiliscano le «risonanze» della tradizio-
ne evangelica mediante un confronto distinto, ma non separato, tanto con i
sinottici che con il vangelo di Giovanni. All‘interno del contesto più ampio
della marturiva ÆIhsou',
«la tradizione di Gesù nell‘Apocalisse viene a confermare quella evangelica e a di-
mostrare come essa possa configurarsi in veste nuova e in contesti nuovi e con nuo-
ve finalità rispetto al contesto e alle finalità delle narrazioni evangeliche, luogo pri-
27
vilegiato della memoria di Gesù» .

Partendo da questi presupposti, l‘inchiesta di Segalla procede registran-


do, caso per caso, l‘affiorare della tradizione gesuana nell‘Apocalisse, e con
ciò costituisce quantitativamente la base oggettiva della memoria del Gesù
28
terreno nello scritto .
Una volta poi identificata la «testimonianza di Gesù» con questa tradi-
29
zione , si passa alla sintesi complessiva dei dati raccolti: «quale figura di
Gesù trova risonanza nell‘Apocalisse? E quale ri-figurazione ne viene da-
30
ta?» . Poco ritornano gli eventi esterni della vita di Gesù: ascendenza giu-
26
Vos, 1965, pp. 9-15.
27
Segalla, 2000, pp. 117-119.
28
Ibid., pp. 119-130
29
Ibid., pp. 131-136.
30
Ibid., p. 137.
12 Introduzione

daica e davidide (Ap 5, 5; 22, 6; cfr. 3, 7 e 12, 5-6), crocifissione a Gerusa-


lemme (Ap 11, 8), resurrezione dai morti (Ap 1, 5). Più frequentata appare la
tradizione dei detti, con prevalenza assoluta dei logoi di contenuto escatolo-
gico (cfr. Ap 1, 7 e Mt 24, 30; Ap 6, 12-13a e Mt 24, 29 // Mc 13, 14-15; Ap
6, 15-16 e Lc 23, 30 e 21, 36; Ap 11, 2 e Lc 21, 24), seguiti dalle parabole e
dal loro linguaggio (Ap 2, 7.11.17.29; 3, 6.13.22; 13, 9 e Mc 4, 9.23 // Mt 13,
9 // Lc 8, 8; Ap 3, 3 e 16, 15 e Lc 12, 37-39; Ap 14, 15-16 e Mt 13, 24-30), un
detto sulla sequela (Ap 14, 4 e Lc 9,57 // Mt 8, 19), uno sulla proclamazione
futura dell‘evangelo (Ap 14, 6 e Mt 24, 14 // Mc 13, 10) e due sullo sposo
(Ap 19, 6-9; 21, 2 e Mc 2, 18-20 parr.; Ap 19, 9 e Lc 14, 16-17); più isolata,
ma non meno significativa, la tradizione giovannea, riecheggiata nei temi
dello sposo (Ap 1, 7 e Gv 3, 29) e della regalità di Gesù, nella morte a Geru-
salemme (Ap 11, 8 e Gv 19, 20), nel detto sulla rinuncia alla propria vita (Ap
12, 11 e Gv 12, 25). Interessante di sfuggita come le risonanze si concentrino
sostanzialmente nelle sette lettere e nei sette sigilli, fatte salve altre sporadi-
che occorrenze nel prosieguo del testo e «l‘acuto dello sposalizio conclusi-
31
vo» (Ap 19 – 20) .
Emerge la figura di Gesù come Agnello sgozzato, Messia Sposo e Pro-
feta escatologico, che annuncia la sua venuta futura come Figlio dell‘Uomo
32
e, con questa, il prossimo irrompere della giustizia divina e del regno . Cia-
scuno dei tratti rilevati riecheggia nella trasfigurazione apocalittica della tra-
dizione: l‘Agnello sgozzato «si rivela il crocifisso risorto, che siede alla de-
stra di Dio e da lui riceve potere e sovranità sulla storia presente e futura»; il
Messia Sposo ricompare nelle premure e nell‘amore del Signore per le sue
comunità e, fondendosi con l‘Agnello, orienta tutta la visione ultima della
Gerusalemme celeste, definendo anche il tempo delle comunità come tempo
della celebrazione delle nozze e dell‘attesa dello sposo; il Gesù profeta esca-
tologico è infine assurto a Rivelatore celeste che schiude a Giovanni il de-
33
corso e il senso della storia fino alla sua consumazione nell‘eternità di Dio .
Due considerazioni mi sembrano d‘obbligo: estendere l‘analisi al quarto
Vangelo rappresenta solamente un primo passo. Le tradizioni gesuane
dell‘Apocalisse vanno inquadrate nel complesso più ampio della tradizione
gesuana, quale ci è attestata non solo dai vangeli canonici, non solo dal Nuo-
vo Testamento, ma anche da tutta la produzione letteraria cristiana extra-
canonica. Segalla si è spinto, per primo, a tracciare un profilo del Gesù ter-
reno sulla base di quanto l‘Apocalisse stessa, con le sue scelte e le sue dislo-
cazioni, lasciasse intravedere come «terreno solido, anche se nascosto, fon-

31
Ibid., pp. 130-131 (citazione p. 130).
32
Ibid., pp. 137-138.
33
Ibid., pp. 138-141 (citazione p. 139).
Esperienza, identità, memoria: riflessioni preliminari 13

34
damento di tutto l‘edificio» . Ha così potuto recuperare quell‘unità di inter-
pretazione storica e cristologia, che lo porta a constatare che «la verità della
rivelazione presente in ordine al futuro è fondata nella testimonianza di Ge-
35
sù, del Gesù terreno» . Le sue conclusioni sul Gesù di Giovanni come Mes-
sia Sposo e Profeta escatologico mi sembra colgano sufficientemente il se-
gno, e quel che più conta, rispecchino la visione e le intenzioni di Giovanni
stesso. Sono tuttavia parziali. Segalla ha lasciato fuori dalla discussione testi,
che le possono documentare, confermare e approfondire.

3. TRA FUTURO E PASSATO

Già qualche anno fa, E. Norelli aveva individuato e ripetutamente pro-


posto, come nucleo generativo delle ―apocalissi‖ scritte dai seguaci di Gesù,
«la nécessité de situer l‘homme Jésus par rapport a l‘œuvre du salut que Dieu a réa-
lisé par lui; la réponse passe par une mise en clair de la relation de Jésus à Dieu et de
36
l‘identité céleste de Jesus» (1997, p. 155) .

L‘identità del Gesù martire e del Cristo vivente nell‘eternità, su cui si


concentra e focalizza la contraddizione del presente sperimentata dai suoi
seguaci: ecco, nello specifico, la risposta concreta dell‘Apocalisse di Gio-
vanni, che sposta il problema e lo risolve, nella misura in cui
«ce que le croyants persécutés sont à présent, le Christ le fut dans le passé, et donc,
ce qu‘il est actuellement, ils le deviendront» (cfr. Ap 2, 26-28 e 3, 21).

L‘identità del Galileo crocifisso e del Signore seduto sul trono del Padre
è tuttavia accessibile solo guadagnando una rivelazione che prospetti – e ri-
costruisca – la realtà dal punto di vista dell‘osservatorio divino: qui nasce
37
l‘Apocalisse di Giovanni . Cerchiamo di ampliare la base teorica di queste
osservazioni e, al tempo stesso, di misurarle ed affinarle sul testo.

3.1 Esperienza estatica e memoria: una nuova prospettiva

Le annotazioni di Norelli presuppongono alcuni elementi d‘interesse:


esiste, è conosciuto e tramandato un passato di Gesù; la presenza del Cristo

34
Ibid., p. 118.
35
Ibid., p. 119. Cfr. anche p. 141.
36
Cfr. già Id., 1995a, pp. 172-177 e 189-199.
37
Norelli, 1997, pp. 156-157. Più ampiamente, già Id., 1995a, pp. 196-199.
14 Introduzione

celeste e la sua rivelazione soprannaturale lo comprendono e ne dischiudono


il senso; il senso così dischiuso muove da e si riverbera sul presente delle
comunità cui Giovanni si rivolge, orientandone il futuro.
Come immaginarne allora l‘interrelazione? O, più precisamente: che
cos‘è il passato? In quali modi e forme si trasmette e riproduce? Che ruolo
giocano il corpo e le esperienze di contatto con il divino nella sua rappresen-
tazione?
Secondo J. Assmann, che recupera e sviluppa le intuizioni di M. Hallb-
wachs (1925; 1950; 1988), il passato costituisce non tanto o non semplice-
mente la percezione «naturale» del tempo che passa, del divenire delle cose,
ma piuttosto «nasce solo nel momento in cui ci si riferisce ad esso», quando,
cioè, e nella misura in cui il ricordo lo ricostruisce e immagina, in relazione
a quadri di significato di un presente dato e all‘organizzazione
38
dell‘esperienza futura e dell‘identità di un gruppo sociale . Sopravvivenza di
testimonianze oggettive e soluzione di continuità emergente tra queste e il
presente, tra ieri e oggi – e la morte, per Assmann, «è l‘esperienza primige-
39
nia di tale differenza» – sono le condizioni necessarie per l‘attivazione del
40
ricordo e la nascita del passato .
A livello di classificazione teorica, a una memoria comunicativa basata
sull‘interazione sociale quotidiana e incentrata sul passato recente si oppone
una memoria fondante, o culturale, interessata ai tempi delle origini e frutto
41
di «mnemotecnica specializzata» : agganciato a figure simboliche in cui il
42
passato si coagula , il ricordo fondante si forma, si trasmette e si attualizza
38
Assmann, 1997, pp. 5-17 (citazione p. 7). Cfr. anche pp. 49: «Solo il passato signifi-
cativo viene ricordato, e solo il passato ricordato diventa significativo. Il ricordo è un atto di
semiotizzazione», che procede del tutto a prescindere da problemi di storicità (corsivo
dell‘autore), e 60: «Il passato non nasce spontaneamente, ma è il risultato di una costruzione e
rappresentazione culturale; esso viene sempre guidato da motivi, attese, speranze e obiettivi
specifici, ed è plasmato dal quadro di riferimento del presente».
39
Ibid., p. 34.
40
Ibid., pp. 7-10 e 34-37.
41
Ibid., p. 26.
42
Per la sua elaborazione del concetto di «figure di ricordo», Assmann si riallaccia di-
rettamente a Hallbwachs e alle sue images-souvenirs: «con ―figure di ricordo‖ […] intendia-
mo delle ―immagini di ricordo‖ conformate culturalmente, socialmente vincolanti; preferiamo
il concetto di ―figura‖ a quello di ―immagine‖ perché esso non si riferisce solo alla forma ico-
nica, ma, per esempio, anche a quella narrativa» (ibid., p. 13 n.19). Per Hallbwachs, citato in
testo, le immagini di ricordo si sviluppano da un doppio processo: da un lato, «per potersi fis-
sare nella memoria di un gruppo, una verità deve presentarsi nella forma concreta di un even-
to, di una persona, di un luogo», dall‘altro, «al suo ingresso in tale memoria, ogni personaggio
e ogni fatto storico viene trasposto in una teoria, in una nozione, in un simbolo; esso ottiene
un senso, diventando un elemento del sistema di idee della società». Tra le «figure di ricordo»
della tradizione ebraico-cristiana, Assmann enumera l‘esodo, la peregrinazione nel deserto, la
conquista della terra di Canaan, l‘esilio, Gerusalemme, la storia della Passione di Gesù (ibid.,
pp. 16-17 e 26-27). Altri concetti diffusi negli studi di memoria sociale, che di fatto collimano
Esperienza, identità, memoria: riflessioni preliminari 15

istituzionalmente in rituali, danze, miti, immagini decorative, abiti, ornamen-


ti, testi, per opera di delegati al sapere, di specialisti della tradizione, dallo
43
sciamano all‘aedo, dal sacerdote al mandarino . La distinzione introdotta, di
fatto, non si mantiene impermeabile: «nella realtà di una cultura storica», i
44
due modi del ricordare «si compenetrano variamente» .
Se Assmann finisce poi per interessarsi più che altro all‘espressione te-
stuale come strategia di produzione o cancellazione del ricordo, è stato meri-
to di P. Connerton aver insistito sull‘«incorporazione» come strumento al-
ternativo – se non privilegiato – all‘«inscrizione», per concretizzare
l‘esigenza e la volontà di ricordare: prima che ai documenti scritti, è al corpo
e ai suoi automatismi che, tanto nei rituali commemorativi quanto in gesti e
pratiche abitudinari e codificati, si affidano le memorie, i valori, le categorie
45
che un gruppo desidera preservare dall‘oblio .
Partendo da queste premesse, l‘etno-psichiatra italiano R. Beneduce ha
recentemente rimesso in discussione un approccio riduzionistico a quegli sta-
ti di dissociazione e tecniche del corpo che vanno sotto il nome di trance e
possessione, evidenziandone la polisemia culturale e sociale, e optando per
un‘analisi che ne isolasse due nuclei problematici strettamente collegati: il
costruirsi dell‘identità in rapporto con l‘alterità, e la memoria.
Da un lato, infatti, la possessione trasforma un essere, il posseduto, in
un altro essere, divinità, spirito, defunto, incorporando il sacro e sacraliz-
zando il corpo. Questo diviene il «chiasmo attraverso cui comunicano le po-
larità che ordinano il mondo e i territori che lo dividono»; mai semplice ri-
cettacolo dell‘Altro, si modifica nella sua struttura più profonda «e ciò non
soltanto per il tempo della crisi rituale, ma in modo duraturo», dal momento
46
che la possessione costituisce uno stato permanente .
Dall‘altro, proprio in quanto «tecnica appresa a partire da precise prati-
che del corpo e da altrettanto ben definiti stati della mente (danze, movimen-
ti della testa e del corpo, mimi, auto- o eteroinduzione di stati di trance
47
ecc.)» , costruita e sperimentata «dentro un preciso orizzonte culturale, este-
tico, antropologico, dove un ―corpo psichico‖ vive accanto ad un ―corpo spi-
48
rituale‖» , la possessione si rivela dominio di memorie incorporate: in con-

con la riflessione di Assman, sono «tradition» (Kirk – Thatcher, 2005, pp. 39-40; Schwartz,
2005a, p. 55), «frame work» / «frame image» (Horsley, 2005, pp. 75-77), «locus» / «place»
(Dewey, 2005, pp. 120-123), «keying» / «framing» (Schwartz, 2005b, p. 250), «memory gen-
re» (Williams, 2006, pp. 35-36).
43
Assmann, 1997, pp. 23-33 e 60-63.
44
Ibid., p. 26.
45
Connerton, 1999, pp. 116-117 e passim. Cfr. anche Tambiah, 1995, pp. 131-135.
46
Beneduce, 2006, pp. 83-84 (citazioni p. 83).
47
Ibid., p. 264.
48
Ibid., p. 266.
16 Introduzione

testi e pantheon africani dei più diversi, emergono sempre «frammenti di sto-
ria, figure di antenati, dinastie, nomi di santi e re, riferimenti a luoghi, terri-
tori, insediamenti, o a eventi come la migrazione, l‘islamizzazione o la colo-
49
nizzazione» .
A regolare convivenza dei due corpi, la «doppia presenza», di sé e
dell‘Altro, e produzione di memorie, intervengono forme di rappresentazio-
ne mimetica: maschere raffigurano l‘Altro, e, ricoprendo volti e corpi, stabi-
liscono un contatto diretto ed immediato con gli esseri del mondo invisibile,
di modo che l‘attore non sia di fatto più distinguibile da loro; divinità, spiriti,
antenati, che si sostituiscono ed incarnano nei corpi dei posseduti, sono cat-
turati e riprodotti in ogni dettaglio, conosciuti e dominati per trasmissione
50
orale ed imitazione .
Eloquente mi sembra il caso riportato da Connerton (1999, pp. 78-79) e
ripreso da Beneduce stesso (2006, pp. 240-241):
«Ancora nel regno dell‘Uganda si scoprì un modo per tenere lo spirito del re morto
tra i suoi sudditi sotto forma rappresentativa. Dopo la sua morte veniva nominato un
medium, o mandura, nel quale il re morto prendeva la sua dimora; questo medium
non solo ne riproduceva l‟esatta apparenza ma anche l‟eloquio e i gesti del re morto
(sic!). Nei clan incaricati di fornire i mandura si tramandavano a voce e per imita-
zione le caratteristiche di ciascun re all‟epoca della sua morte. […] Questa rappre-
sentatività non riattivava il re morto senza interruzione, ma di quando in quando il
medium ne era posseduto e incarnava il re in ogni particolare» (corsivo mio).

Nello spazio così creato, le memorie sono resuscitate e riaffermate, o


cancellate e neutralizzate, biografie di personaggi storici divenuti spiriti e
narrazioni di eventi che li vedevano coinvolti sono re-inventate, caratteri e
51
valori, tradizioni e anti-tradizioni sono attivamente prodotti .
Nella complessa dialettica di ricordo ed oblio, rivitalizzata dalla mime-
si, trance e possessione, in quanto mnemotecniche, cercano di «ritrovare un
passato perduto dimenticando il presente – e il passato immediato con il qua-
le tende a confondersi – per ristabilire una continuità con il passato più anti-
co» (M. Augé, citato in Beneduce, 2006, p. 260).
Queste riflessioni ci offrono, credo, il modello teorico che cercavamo.
Si tratta ora di verificarne sul testo il potenziale esplicativo come quadro di
riferimento unificante della nostra ricerca.

49
Ibid., p. 235.
50
Ibid., pp. 279-295. Cfr. anche Boddy, 1994, pp. 423-426, e le esemplificazioni lingui-
stiche, con relative conclusioni, di Krings, 1999, pp. 54-65.
51
Beneduce, 2006, pp. 284-295. Cfr. anche Boddy, 1994, pp. 414-422, e Masquelier,
1999.
Esperienza, identità, memoria: riflessioni preliminari 17

3.2 Esperienza estatica e memoria: corpo, mimesi e storia nell‟ Apocalisse


52
di Giovanni

Ap sembra di fatto muoversi su una intersezione di profili simile: la


memoria di Gesù, per un verso, si orienta sull‘esperienza storica di un passa-
to relativamente recente, entro un orizzonte temporale di nemmeno set-
tant‘anni al massimo dalla sua morte; per l‘altro, si riproduce nella forma
simbolica di visioni e di un‘ascensione celeste, che è processo rituale e testo
– e ritorniamo così alle osservazioni svolte in apertura – e, programmatica-
mente, testo «sacro» e «canonico», rivelato ad un ―profeta‖ (Ap 1, 1-2 e 22,
53
18-19) ; è trasmessa tra le «parole di profezia» destinate a lettura e ascolto
assembleare nella voce di un lettore (Ap 1, 3); si coagula in figure di ricordo,
condensa il passato relativo in mito, in storia fondante (cfr. Ap 12).
Procediamo con ordine.
L‘esperienza che Giovanni rievoca e riscrive è innanzitutto
un‘esperienza visionaria centrata sul corpo e sulle sue trasformazioni: qua-
lunque significato preciso abbia quell‘«ejgenovmhn ejn pneuvmati» (Ap 1, 10 e
4, 2), come avremo modo di approfondire, si tratta di un trapasso ad una mo-
dalità di esistenza fisica diversa, che gli permette di entrare in contatto con il
mondo soprannaturale. Giovanni può ora vedere esseri normalmente invisi-
bili, salire al cospetto del trono divino, coprire distanze proibitive fra cielo e
terra.
Non è solo una trasformazione individuale ed occasionale, ma anche
sociale e permanente, suggellata di nuovo nel corpo, in cui è definitivamente
impressa: in Ap 10, 5-11, all‘inghiottire ed assimilare il rotolo che ha viag-
52
Negli ultimi vent‘anni, si sono succeduti, con ritmo crescente, i tentativi di leggere te-
sti del primo cristianesimo alla luce della teoria della memoria sociale. Fondamentali, di re-
cente, i contributi raccolti nel volume 52 dei Semeia Studies, a cura di A. Kirk e T. Thatcher,
e in Biblical Theological Bulletin 36/1 (2006), numero monografico della rivista, a cura di D.
Duling. Vanno qui sicuramente segnalati , gli interventi più specifici e circoscritti di Theissen,
1988; Destro – Pesce, 1998a; Guijarro Oporto, 2008. Sui riti in atto nelle comunità paoline
come pratiche di ricordo e conoscenza di Gesù, alcune intuizioni si trovano già nelle pagine
seminali di Meeks, 1983, pp. 140-163, e, più esplicitamente, in Koester, 1999, pp. 342-349.
Accennano, più o meno cursoriamente, oppure semplicemente implicano anche le esperienze
di contatto con il soprannaturale come forme di attualizzazione della memoria di Gesù Kei-
ghtley, 2005, pp. 143-147 e Lampe, 2006, pp. 101-108, e 124-128, per l‘epistolario paolino, e
Afzal, 2008, pp. 30-31; 49-52; 83-113, per Ap.
53
Sulla differenza fra «testo sacro» e «testo canonico», insiste Assmann, 1997, p. 66:
«Un testo sacro è una sorta di tempio verbale, un‘attualizzazione del sacro nel medium della
voce» ed esige «una recitazione tutelata ritualmente mediante una scrupolosa osservanza delle
prescrizioni riguardanti i luoghi, i tempi, la purezza, ecc. Un testo canonico, invece, incarna i
valori normativi e formativi di una società, la ―verità‖: questi testi vogliono essere presi a cuo-
re, seguiti e trasposti in realtà vissuta».
18 Introduzione

giato di mano in mano fino a lui, dal Seduto sul trono all‘angelo forte, attra-
verso l‘Agnello, e su cui è stato pronunciato un giuramento sul Dio vivente,
Giovanni ne assorbe sostanza e potere, mentre scrive il suo (cfr. Ap 10, 3-4),
poi riattualizzate nel modello esplicito offerto dal breve prologo (Ap 1, 1-3).
Se anche non si può parlare propriamente di possessione, in questa
coincidenza di esperienza e scrittura, corpo e testo, Giovanni arriva ad incar-
nare stabilmente, secondo schemi culturali della tradizione ―profetica‖ giu-
daica, le personalità di chi gli ha concesso la rivelazione e lo ha inviato a
―profetizzare‖. L‘oracolo divino pronunciato in prima persona (Ap 1, 7), e la
polifonia finale di Ap 22, 7-20, in cui si succedono a parlare, sempre in pri-
ma persona e senza soluzione di continuità, l‘angelo, Gesù, lo Spirito, la
Sposa, lasciano intuire chiaramente come Giovanni si immagini di rappre-
sentare il mondo divino ed i suoi agenti, che, per mano sua, scrivono (cfr. 14,
13; 19, 9; 21, 5-8): come ha scritto Z. Pleše a proposito della cornice narrati-
va dell‘Apocrifo di Giovanni (2006, pp. 11-20), la presenza di più voci in
prima persona e le transizioni ex abrupto dall‘una all‘altra producono
«uncertainties about the exact separation between the outer and inner frame, as well
as between the frame and the inner narratives, leaving a confusing impression of
their mutual overspilling. The net result is the fusion of the two first-person voices,
so that one becomes the double of the other. […] Two separate planes (divine and
human) and two irreconcilable perspectives (universal and individual) are thus
bound together in a single “I”, following the rhetorical procedure typical for the
discourse of mystic experience. The multiplication of the narrative voices within the
frame creates only an apparent discontinuity. What remains the same from one level
to another is that single “I” within which the divine author and the human narrator
54
speak the same message of salvation» (pp. 18-19 [corsivo mio]) .

Nel corpo e nelle sue trasformazioni è sedimentata, rappresentata e ri-


55
scritta anche una memoria .

54
Aune (1996, pp. 140-143; 522; 575-577), e, soprattutto, Nasrallah (2003, pp. 178-
182), hanno di fatto mostrato quanto sottile sia il discrimine e facile il passaggio da un «ora-
colo di auto-raccomandazione» del tipo ―Io sono‖, che conferma e legittima chi lo pronuncia
come tramite autentico della rivelazione divina, alle accuse di possessione e pretesa equipara-
zione alla divinità (cfr. anche Gv 10, 14.19-20.33-36). Sull‘artificiosità di una dicotomia rigi-
da fra trance di visione e trance di possessione, cfr., per il mondo antico, lo scolio a Eschilo,
Sept. 497-498: «e[nqeoi levgontai oiJ uJpo; favsmatov~ tino~ ajfaireqevnte~ to;n nou`n kai; uJp o;
ejkeivnou tou` qeou` tou` fasmatopoiou` katecovmenoi». Per il mondo moderno, valgono le
osservazioni di Beneduce, 2006, pp. 65-70.
55
Su ispirazione divina e narrazione ―profetica‖ di eventi passati, cfr. Flavio Giuseppe,
C. Ap. 1, 37-38: «Eijkovtw~ ou\n, ma'llon de; ajnagkaivw~, a{te mhvte to; uJpogravfein aujtexou-
sivou pa'sin o[nto~, mhvte tino;~ ejn toi'~ grafomevnoi~ ejnouvsh~ diafwniva~, ajlla; movnon tw'n
profhtw'n ta; me;n ajnwtavtw kai; palaiovtata kata; th;n ejpivpnoian th;n ajpo; tou' qeou' ma-
Esperienza, identità, memoria: riflessioni preliminari 19

Per due volte, l‘imperativo «mnhmovneue» gioca un ruolo nelle esorta-


zioni alle sette chiese (Ap 2, 5 e 3, 3). La prima occorrenza non si limita a
supporre la distanza di tempo intercorso tra la nascita e i primordi della co-
munità e la sua situazione attuale, ma carica quelli di valore ―protologico‖ e
fondante, costruendo il passato in antitesi al presente di deriva, come posi-
zione celeste da cui l‘angelo della comunità in Efeso è caduto («povqen pev-
56
ptwka~»): siamo nel solco della più tipica mitologia enochica ; la seconda
connette l‘esortazione al ricordo alle origini della comunità di Sardi come
fase di un processo di ricezione e ascolto di tradizioni che ne include anche
la preservazione («kai; thvrei»); entrambe associano l‘imperativo, diretta-
mente o indirettamente, alle idee di ravvedimento (metanovew) e fedeltà alla
memoria (threvw), che alimentano la speranza di salvezza e il senso di ele-
zione delle comunità (cfr. la formulazione in negativo di Ap 2, 5.16.22; 3, 3,
e, in positivo, di 3, 8-10, con l‘«ejgw; hjgavphsav se» del verso 9):
«Dal principio del carattere eletto deriva quello del ricordo: infatti l‘essere eletto non
significa altro che un complesso di obblighi altamente vincolanti che in nessun caso
57
devono cadere in oblio» (Assmann, 1997, pp. 6-7) .

In Ap 2, 13.25-26 e 3, 3.8.10, l‘obbligo o l‘attività del ricordo degli ini-


zi, in quanto preservare dall‘oblio e attenersi ai suoi pivsti~, e[rga, lovgo~ e
o[noma, si indirizza più specificatamente su Gesù e sull‘obbedienza alla sua
rivelazione. La coscienza escatologica è radicale: in lui «ist die alte Welt zu
Ende gegangen, eine neue Welt beginnt – schon jetzt im Verborgenen, bald
58
in aller Öffentlichkeit» (cfr. Ap 1, 5).

qovntwn, ta; de; kaqÆ auJtou;~ wJ~ ejgevneto safw'~ suggrafovntwn, ouj muriavde~ biblivwn eijsi;
parÆ hJmi'n ajsumfwvnwn kai; macomevnwn, duvo de; movna pro;~ toi'~ ei[kosi bibliva tou' panto;~
e[conta crovnou th;n ajnagrafh;n ta; dikaivw~ pepisteumevna». La fine di una chiara succes-
sione dei profeti avrebbe portato poi allo scadere di credibilità (pivsti~) di scritti composti dai
tempi di Artaserse in poi, e alla chiusura del ―canone‖ (ibid., 41-42). Cfr. Filone, Mos. 2, 188
e 263-264, dove Mosè, ejpiqeiavsa~, katasceqeiv~ o qeoforhqeiv~, riporta alla luce – in que-
sto senso, rappresenta – il ricordo offuscato (mnhvmh!) della successione temporale degli eventi
della creazione. Esperienza estatica e memoria del passato si sovrappongono anche in Or. sib.
3, 1-35.809-823, e 11, 315-321.
56
Cfr. Ulland, 1997, pp. 58-61. Sull‘influsso di tradizioni enochiche nell‘Ap, vedi Lu-
pieri, 1990 e 1992.
57
Cfr. anche Theissen, 1988, pp. 174-179. Beneduce, 2006, p. 85, scrive che il possedu-
to si trova, sin dall‘inizio, «gettato su una scena pubblica […], in un gruppo (quello dei mem-
bri del culto) la cui ragion d‘essere sta nella periodica manifestazione di sofferenza, della co-
mune esperienza di eletti, del legame perenne con i loro compagni invisibili (corsivo mio)».
Sono gli stessi elementi che Giovanni sceglie per la sua presentazione: «Io, Giovanni, vostro
fratello e compagno nell‟afflizione, nel regno e nella perseveranza in Gesù» (Ap 1, 9 [corsivo
mio]). Segue il racconto dell‘arrivo a Patmos e della prima visione.
58
Theissen, 1988, p. 181. Più nello specifico scende Norelli, 1995a, p. 198:
nell‘Agnello sgozzato, convergono «la dimensione divina dell‘eternità e il destino umano di
20 Introduzione

Tra Ap 12 e Ap 22, la memoria delle origini si sviluppa in visione com-


piuta, che dà senso di quegli inizi, spiega il passato recente ed il presente,
59
orienta il futuro : la donna nel cielo – Israele dei primordi partorisce il mes-
sia Gesù, rapito in cielo, ed «i restanti del seme di lei», la comunità di quanti
sono fedeli a Gesù, discendenza del vero Israele (Ap 12).La lotta con il pote-
re satanico introduce lo sdoppiamento: al residuo di Israele che resiste vergi-
ne sul monte santo si contrappone l‘Israele che siede sui monti, prostituen-
dosi con i popoli e le manifestazioni di quello nella storia (cfr. Ap 14, 1-5 e
17). Il discorso di Giovanni è perfettamente giudaico, e coinvolge diretta-
mente i gruppi dei seguaci di Gesù, concepiti come «tribù» e «genti» in con-
tinuità con l‘Israele storica. Il contrasto sarà risolto alla discesa della Gerusa-
lemme celeste (Ap 21): nella complessità degli attributi di cui è corredata, vi
si riconosce l‘Israele sposa del Messia e dimora di Dio sulla nuova terra,
fondata sui dodici apostoli scelti da Gesù, che include ed incarna una collet-
tività santa, e ne esclude una impura ed imbastarditasi con la menzogna ―pa-
gana‖ (cfr. Ap 21, 8.27 e 22, 15). Le forti connotazioni messianiche che il
contesto comunitario aveva assunto in Ap 12 lasciano spazio, tra i capp. 21 –
22,
«ad una fraseologia e ad un immaginario di derivazione sacerdotale che associano
gruppo che officia il culto e témenos cultuale (proiettando nel témenos escatologico
il riscatto del gruppo sui devianti)» (Arcari, 2008, p. 429; cfr. Ap 1, 5).

Esperienza estatica e memorie incorporate si toccano e compenetrano


secondo strategie di riproduzione mimetica: la possibilità ed il fatto stesso
che il Gesù celeste conceda una rivelazione a Giovanni, ossia che un indivi-
duo storico morto, creduto risorto e seduto sul trono di Dio, comunichi con
un altro individuo storico in vita, tramite il suo angelo (cfr. Ap 1, 1-3), impli-
ca non solo che Giovanni sperimenti un contatto, per visioni ed ascensioni,
con un mondo normalmente invisibile e inaccessibile, e con gli esseri che lo
popolano, ma anche che chi rivela e si rivela sia riconoscibile ed identificabi-
le, tanto da Giovanni che vede e scrive quanto da coloro che leggeranno o
ascolteranno le sue «parole di profezia». Rappresentare una rivelazione di
Gesù comporta, quindi, di fatto, anche riprodurre mimeticamente la sua ―vo-
ce‖, le sue caratteristiche, la sua storia, recuperando ed attualizzando eloquio
e parole a lui attribuiti e tradizioni tramandate su di lui, esattamente allo

persecuzione e martirio. Così precisamente questo destino può diventare il perno della storia,
il che si esprime nel potere conferitogli di aprire il libro dai sette sigilli e di tenere il giudizio»
(cfr. anche pp. 175-176 e 197).
59
Seguo, a grandi linee, l‘analisi di Arcari, 2008, pp. 321-424. Con Destro – Pesce,
1998a, pp. 176-177, potremmo parlare, per Ap 12, di costruzione dello «statuto mitologico»
del gruppo.
Esperienza, identità, memoria: riflessioni preliminari 21

stesso modo che la presenza e l‘autorità del Dio delle scritture sacre ebrai-
che, dietro Giovanni (cfr. Ap 1, 1.8 e 22, 6.13), è confermata dalla fitta trama
di ―allusioni‖ a quelle stesse scritture sacre che si credeva ne contenessero
gli oracoli. Di più, l‘esperienza stessa di comunicazione con il mondo divi-
no, attraverso visioni, ascensioni e rivelazioni di voci celesti, potrebbe già in
sé presupporre, richiamare ed imitare quelle pratiche di contatto con il so-
prannaturale, che venivano ricordate e trasmesse come caratteristica non
marginale di un‘attività ―profetica‖ di Gesù (cfr. Mc 1, 9-13 parr., e 9, 2-8
parr.; Mt 11, 25-27; Lc 10, 18; Gv 3, 11-13; 5, 19; 8, 26.38.40; 12, 27-30; 15,
15), ed erano, inoltre, ampiamente diffuse fra i gruppi dei suoi seguaci in li-
nea con questo modello, e nelle forme comuni anche al Giudaismo contem-
60
poraneo e alle religioni ellenistiche .
Nella doppia continuità così creata tra la prima rivelazione di Gesù e
questa nuova – Giovanni, poi, le chiamerà entrambe pivsti~ (cfr. Ap 2, 13 e
14, 12), individuandone il cardine costante nella uJpomonhv e sottolineando
che sulla loro osservanza si decide la salvezza (cfr. Ap 3, 10, e 13, 10; 14,
12) –, la memoria non è solo imposta come obbligo, ma si riproduce e riaf-
ferma come una memoria di Gesù, sottratta al «flusso della tradizione» e, per
altro verso, precipitata e sancita testualmente come valida e definitiva.

3.2.1 Memoria, scrittura, canonizzazione

Abbiamo già toccato più volte un aspetto che ora varrà la pena di fer-
marsi ad approfondire.
La rivelazione che impone il dovere della memoria si fissa come testo
scritto all‘origine, la scrittura si sovrappone da subito all‘esperienza e si i-
dentifica con essa: questo è quanto riferisce e vuol far credere Giovanni. In
ogni caso, il testo scritto è quanto noi possediamo per provare a descrivere
ed analizzare l‘esperienza che lo ha generato.
Dodici volte, ad aprire, intervallare o chiudere le visioni, incalza
l‘imperativo «gravyon» sulla bocca di esseri celesti che poi dettano (Ap 1,
11.19; 2, 1.8.12.18; 3, 1.7.14; 14, 13; 19, 9; 21, 5); momenti delle visioni
stesse arrivano a coinvolgere la realtà e le reazioni delle comunità in quanto
premio o castigo, riportato nel rotolo, per la loro risposta alla rivelazione lì
trascritta (Ap 22, 18-19), oppure possono richiudersi sull‘esperienza di Gio-
vanni, per un esplicito divieto di trascrizione (Ap 10, 3-4).
C‘è di più. Le corrispondenze formulari tra Ap 22, 18-19 e Dt 4, 1-2; 12,
32; 29, 19-20 mirano a conferire al rotolo lo status di «new law code to a
60
Cfr. analisi e conclusioni in Destro – Pesce, 2007a, pp. 40-55.
22 Introduzione

61
new Israel, which is modeled on the old law code to ethnic Israel» , a garan-
tirgli una forza vincolante che si opponga a tempo, continuazioni, variazio-
62
ni . Riemerge, in una nuova modulazione, quel tema della rivelazione ―pro-
fetica‖ fonte e garanzia di un testo pubblico che configura il rapporto fra pro-
fezia e torah, fra ispirazione profetica e canonizzazione, come un rapporto
63
teso e conflittuale di reciproca implicazione e interdipendenza .
Al di là dei singoli punti di contatto ideologici con i testi citati di Flavio
Giuseppe e Filone, il quadro che si va ricomponendo corrisponde al modello
64
implicito di memoria profetica offerto dal Vangelo di Giovanni : esistono e
circolano parole e insegnamenti ricevuti direttamente da Gesù e tradizioni su
di lui, il suo passato, che sono e devono essere ricordati e trasmessi (cfr. Gv
14, 25 e 15, 20); lo Spirito rivela solamente ciò che ascolta, ciò che prende
da Gesù (cfr. Gv 16, 12-15), e, nel suo nome, genera e alimenta l‘attività del
ricordo, intesa probabilmente come «tecnica di interpretazione delle parole
di Gesù in situazioni che ordinariamente (prese di per sé, senza riferimento
65
alle parole di Gesù) non veicolano significati particolari» (cfr. Gv 14, 25-
26; 15, 26-27; 16, 8-11); le esperienze di rivelazione dello Spirito sono im-
maginate sul modello del ―profetismo‖ di Gesù, e tendono a riprodurne un
elemento costituivo, la ricerca e le pratiche di contatto con il soprannaturale
(cfr. Gv 1, 32-33.50-51; 3, 11-13; 12, 27-30.37-41; 20, 19-23); la memoria è
fissata in un testo scritto ispirato e normativo (cfr. Gv 2, 22; 6, 5-6.64; 7, 38-
40; 19, 35-37).
Abbiamo già incontrato più volte e commentato il ricorrere di tutti que-
sti elementi in Ap: se il Vangelo di Giovanni è stato giustamente definito «o-
66
pera ―profetica‖» , nulla di fatto ci impedisce di pensare ad Ap come ad una
forma letteraria della memoria pneumatica di Gesù esercitata nei gruppi gio-
61
Beale, 1998, pp. 95-98 (citazione p. 95).
62
Cfr. il contemporaneo Flavio Giuseppe, C. Ap. 1, 42, sulle scritture ebraiche: «Dh'lon
dÆ ejsti;n e[rgw/ pw'~ hJmei'~ provsimen toi'~ ijdivoi~ gravmmasi: tosouvtou ga;r aijw'no~ h[dh
parw/chkovto~ ou[te prosqei'naiv ti~ oujde;n ou[te ajfelei'n aujtw'n ou[te metaqei'nai tetovl-
mhken, pa'si de; suvmfutovn ejstin eujqu;~ ejk prwvth~ genevsew~ ÆIoudaivoi~ to; nomivzein aujta;
qeou' dovgmata kai; touvtoi~ ejmmevnein kai; uJpe;r aujtw'n, eij devoi, qnhvskein hJdevw~» (corsivo
mio; cfr. anche Filone, Mos. 2, 34). Qualche decennio più tardi, Artemidoro di Daldi, Onir. 2,
70, concluderà similmente il suo secondo libro: «Devomai de; tw'n ejntugcanovntwn toi'~ bibliv-
oi~ mhvte prosqei'nai mhvte ti tw'n o[ntwn ajfelei'n» (corsivo mio). A sorvegliare e punire è
invocato l‘Apollo di Daldi, più volte apparso ad Artemidoro in sogno o in visione (ejpistav~),
per ordinargli di comporre il suo trattato (keleuvsa~ tau'ta suggravyai). Per un‘analisi più
dettagliata dei processi di testualizzazione e canonizzazione, rimando ad Assmann, 1997, pp.
63-68.
63
Cfr., in particolare, Grottanelli, 2003, pp. 37-47.
64
Metto a frutto le analisi di Mussner, 1968; Theobald, 2002, pp. 600-615; Destro – Pe-
sce, 2003; Thatcher, 2005, pp. 82-85.
65
Destro – Pesce, 2003, p. 96.
66
Ibid., p. 105.
Esperienza, identità, memoria: riflessioni preliminari 23

67
vannisti, alternativa a quella che trova espressione in Gv . Questa scrittura,
sancita e legittimata dall‘angelo, con la memoria, fissa una specifica visione
di Gesù, ora non più negoziabile, e la investe di autorità particolare, fra le
tante disponibili e concorrenti; per un altro verso, non esclusivo, ma com-
plementare, nascendo a distanza dai destinatari reali e dalle loro pressioni, e
ricreandoli all‘interno del proprio progetto retorico, sociale, religioso, libera
e sviluppa le potenzialità di quella memoria non solo di rafforzare, ma anche
68
di sfidare e trasformare l‘identità dei gruppi cui si rivolge .
Progetto e potenzialità, questi, tanto più rilevanti e decisivi quanto più
ascoltatori e lettori impliciti sono, invece, quasi paradossalmente, immagina-
ti vicini e presenti.

3.2.2 Verso la trasformazione: la lettera di Giovanni

A Norelli (1995a, p. 171) si deve ancora un‘osservazione, che, se nasce


come risultato dei suoi tentativi di ridefinire le ―apocalissi‖ e coglierne lo
sviluppo storico e letterario, al tempo stesso, per chiarezza, si impone come
dichiarazione di intenti e progetto da perseguire:
«è ancora importante sottolineare l‟orientamento dei testi apocalittici ai “lettori vir-
tuali” nel senso comunemente adoperato nella teoria letteraria: i lettori che un autore
ha in mente nel comporre la propria opera, cioè il gruppo storicamente definito cui si
dirige. Si tratta di un‟istanza cui si dovrebbe dedicare particolare attenzione a pro-
posito delle apocalissi, che sembrano in generale rivolgere le loro rivelazioni in
primo luogo a destinatari ben definiti; pur mantenendo quindi la qualità di comuni-
cazione a due tempi, propria dei testi letterari, esse sembrano presupporre una mino-
re distanza tra le due fasi» (corsivo mio).

Se ne può dedurre, quindi, che una ―apocalisse‖ inviata come lettera ac-
corcerebbe ulteriormente questa distanza.
Con argomenti convincenti, M. Karrer ha dimostrato che Ap, nella sua
interezza, è una lettera e che, in quanto tale, si articola come forma di comu-
nicazione i cui estremi non indeterminati, ovvero autore e destinatari, sono
69
geograficamente e temporalmente separati .
67
Sui conflitti fra i diversi gruppi giovannisti, l‘esigenza di rivelazioni, e la produzione
di memorie e contro-memorie di Gesù, orali e scritte, cfr. ibid., pp. 104-105; Destro – Pesce,
2005, pp. 345-350; Thatcher, 2005, pp. 94-97.
68
Cfr. le riflessioni di Thatcher, 2005, pp. 85-97, e Kelber, 2005, pp. 227-229, sulle
specificità della comunicazione scritta rispetto a quella orale.
69
Cfr. Karrer, 1986, in particolare, pp. 285-312, e 1989. Si misurano con la sua tesi, e,
in vario grado, ne approfondiscono criticamente i contenuti Pezzoli-Olgiati, 1997; Ulland,
1997, in particolare, pp. 21-26; Roose, 2000; Giesen, 2000a, in area tedesca; Bauckham,
24 Introduzione

Nella pratica epistolare antica, la lettera è concepita come succedaneo


70
del discorso parlato, diretto, faccia a faccia . Di volta in volta, quindi, il mit-
tente attingerà dal repertorio di forme letterarie a sua disposizione:
«was der von ihm angestrebten Kommunikation am besten zu dienen scheint. Zwi-
schen den vorgegebenen literarischen Ausdrucksformen und den einzelnen Stilmit-
teln, auf die ein Autor zurückgreifen kann, ihren spezifischen Anwendungen und
den verschiedenen Möglichkeiten der schriftlichen Kommunikation zwischen räum-
lich Getrennten sowie den mit der Kommunikation verfolgten Zielen besteht eine
Interdependenz» (Schnelle, 1996, p. 51).

La costruzione e rappresentazione di una memoria di Gesù, nella visio-


ne, fa parte di questo dialogo in absentia e rientra nella strategia retorica
messa in atto per individuare e definire l‘identità dei suoi seguaci nel mondo
del testo e, così, intervenire sulla percezione della realtà e dell‘identità delle
71
sette comunità storiche .

3.2.3 La memoria come segno

Interpretazioni e ri-contestualizzazioni dischiudono aspetti di una realtà


72
e di una verità che vanno al di là della mera fattualità storica . Strutture e
contenuti di significato nuovo aggiungono spessore alla descrizione e spie-
gazione degli eventi; la rivelazione, in quanto accesso al territorio di cono-
scenza divino, «attesta» – è il linguaggio di Giovanni –, e legittima una di-
mensione del presente sperimentato e delle sue appendici passate e future
73
altrimenti non avvertita o avvertibile .
L‘esperienza ―profetica‖ straordinaria che ha per soggetto Dio e Gesù
Cristo, e la retorica gesuana che la alimenta vogliono modificare e ordinare,
in una prospettiva nuova e sensata, l‘esperienza quotidiana delle comunità, i

1993a, in particolare, pp. 38-91 e 174-198, e 1993b; Garrow, 1997, in area anglosassone. Ho
cercato di dimostrare più ampiamente il carattere epistolare dello scritto sulla base dell‘unità
referenziale interna di lettere (Ap 2-3) e visioni (Ap 4-22) in Tripaldi, 2008.
70
Cfr. Cicerone, Att. 1, 6, 8; 9, 10, 1; 12, 39, 2 e 53; 13, 18; Quint. fratr. 1, 1, 45; Fam.
2, 9, 2; Seneca, Ep. 40, 1; 67, 2; 75, 1; 1 Cor 5, 3; 2 Cor 10, 10-11; Col 2, 5; Gregorio di Na-
zianzo, Ep. 87, 1-2 e 93, 1-2; Basilio di Cesarea, Ep. 27; 197, 1; 226, 1; 239, 1; 269, 1.
71
Cfr. le importanti riflessioni teoriche di Karrer, 1986, pp. 41-48, sull‘interazione fra
le diverse istanze di autore e lettori sviluppate dalla lettera nel suo farsi.
72
Cfr. Berger, 1991a, pp. 124 e 139-141, e 2002, pp. 63-70 e 93-98, e Schüssler Fioren-
za, 1994, pp. 49-52. Più in generale, Devisch, 1978b, pp. 282-288.
73
Sulla percezione del tempo nel mondo mediterraneo antico, cfr. Malina, 1996, pp.
179-214, e, più sistematicamente e con rilevanza diretta per l‘ Ap, Afzal, 2008, pp. 16-36.
Esperienza, identità, memoria: riflessioni preliminari 25

loro fatti e problemi concreti, e confermarne o ri-orientarne valori, compor-


74
tamenti, pratiche .
Questo costituirsi della visione-testo in «momenti analitici» e «momenti
75
rivelativi» , in riferimenti storici e paradigmi simbolici, senza che i confini
possano essere chiaramente distinti, sottolinea, sul piano retorico-letterario,
la fusione dei generi ―lettera‖ e ―apocalisse‖ e l‘unità dello scritto, e spiega il
parallelismo di destini costruito a legare la vicenda storica di Gesù e quelle
sparse dei suoi seguaci.
Nelle visioni, insomma, la memoria di Gesù è oggettivata su linee di
continuità con il presente ed il futuro delle comunità, e attualizzata, per dirla
con Giovanni stesso, come segno, «shmei'on» (cfr. Ap 12, 1.3), come figura
simbolica che significa la dimensione passata fondante delle esperienze sto-
riche delle comunità e che, nella nicchia di autorità creata dal contatto con il
divino, genera la ―verità‖ di realtà ed identità alternative, da e oltre le con-
76
traddizioni ed i conflitti percepiti nel quotidiano .

4. MEMORIA DELL‘ESPERIENZA, ESPERIENZA DELLA MEMORIA: UNA PROPOSTA DI RICOSTRUZIONE

Articoleremo la nostra ricerca in due parti principali.


La prima (cap. 1) sarà tutta concentrata sulla costruzione dell‘esperienza
estatica di Giovanni. Non mi interessa sapere se Giovanni abbia realmente
visto quello che ha visto o se è tutto una finzione letteraria, tanto più che
questi estremi non si escludono a vicenda. Ciò che mi preme è piuttosto rile-

74
Cfr. Pezzoli-Olgiati, 1997, e Ulland, 1997. Arcari, 2008, pp. 252-320, offre un‘ottima
ricostruzione del contesto storico e sociale su cui l‘autore di Ap intende intervenire. Non sarei
tuttavia altrettanto reciso e radicale nell‘escludere ogni riferimento a Roma e al suo imperium
dalla rappresentazione della prostituta di Ap 17: proprio nella «polimorfa ambiguità» dei sim-
boli apocalittici evocata da Arcari (p. 296), e già acutamente percepita da Koch (1989, pp.
430-440) si sviluppa quella continuità e sovrapposizione progressiva fra Gerusalemme e Ro-
ma, così bene evidenziata di recente dalla Andrei (2007, pp. 17-23). Dopotutto, agli occhi di
Giovanni, gruppi avversari, Israele decaduto e genti di fatto coincidono, come Arcari stesso
non manca più volte di notare (cfr. anche Roose, 2000, pp. 189-199); è su questa identifica-
zione tout court che si crea un gioco di specchi costante fra Roma e Gerusalemme, impero e
Israele, i segni che esprimono e rivelano i loro destini. La prostituta di Ap 17 sarebbe allora un
«tensive symbol», ovvero un simbolo il cui complesso di significati non è né esaurito né ade-
guatamente espresso da un unico referente (cfr. Perrin, 1976, pp. 29-32). Rientrate sulla scena
Roma e la sua espansione politica e culturale, tornano utili, dando profondità all‘analisi esege-
tica, anche le osservazioni di Beneduce, 2006, in particolare, pp. 276-278 e 281-295, e Hor-
sley, 2008, sul rapporto fra trance/possessione e dominio coloniale.
75
La terminologia è di Turner, 1975, pp. 15-33. Cfr. anche le precisazioni di Werbner,
1989, pp. 24-26.
76
Cfr. le lucide pagine di Norelli, 1995a, pp. 196-199. Più generali, ma non meno signi-
ficative si presentano le riflessioni di Beneduce, 2006, pp. 241-260 e 265-295.
26 Introduzione

vare attraverso il testo, e descrivere come Giovanni abbia immaginato


l‘esperienza che nel testo rappresenta, e all‘interno di quale immaginario so-
cio-culturale più ampio questa immaginazione si collochi e acquisti senso.
L‘accento cade e cadrà, anche quando non esplicitato, sempre su questi due
elementi. In questa direzione, la struttura binaria di fondo del capitolo e
l‘efficacia dell‘analisi comparativa dovranno rispondere a – e di – quelle esi-
genze di riflessione teorica e integrazione con testi in corrispondenza ideolo-
gica cui già sopra accennavamo.
La seconda parte (capp. 2-3) affronterà la costruzione della memoria,
piegando alle specificità del testo di Giovanni una classificazione corrente
nella ricerca sul Gesù storico.
In un primo momento (cap. 2), ci concentreremo sui logoi che possano
risalire a tradizioni gesuane: proveremo a riesaminare l‘evidenza finora rac-
colta dagli studi precedenti, sfruttando principalmente gli elenchi di Vos
(1965, pp. 218-219) e Segalla (2000, pp. 121-129), e, dove possibile, passe-
remo ad ampliarla ed arricchirla. Per il confronto e l‘identificazione, non ci
limiteremo al materiale sinottico e giovanneo, ma ci muoveremo nel più va-
sto spettro della letteratura cristiana antica, analizzando i possibili paralleli
caso per caso, senza privilegiare, pregiudizialmente, il ―canonico‖ rispetto al
77
―non canonico‖ o all‘ ―apocrifo‖, l‘ ―ortodosso‖ rispetto all‘ ―eterodosso‖ .
Se rimane evidente che «il racconto evangelico del Gesù terreno sta ai
margini della narrazione apocalittica o se si vuole è il fondamento nascosto
nelle sue pieghe» (Segalla, 2000, p. 118), ne segue anche che ridursi a rin-
tracciare solo citazioni in vario grado o allusioni più o meno letterali non è
sufficiente. Mantiene pertanto la sua validità la proposta di Segalla (ibid.) –
che diventa poi tentativo – di ricorrere al metodo della «intertestualità»:
«può trattarsi di parole, di sintagmi, di allusioni e di citazioni implicite, che il nuovo
testo utilizza e con cui entra in tensione dialogica. All‘interprete spetta il compito di
far sentire le risonanze dei testi intrecciati e spiegare che trasformazione hanno subi-
to, per capire il senso attuale nel richiamo al testo precedente».

È necessaria tuttavia una puntualizzazione. Gli elevati livelli di analfa-


betismo nel mondo mediterraneo antico, la centralità della lettura ad alta vo-
ce, privata e pubblica, le caratteristiche fisiche stesse dei testi prodotti (scrip-
tio continua; assenza di un sistema visibile di divisioni interne; frequenza di
scansioni per anafora, parallelismo, inclusione, allitterazione) rimandano tut-
78
ti a contesti di fruizione fondamentalmente orale . Ciò non significa che, nel

77
Su questa esigenza ineludibile per una ricerca storica il più possibile obiettiva, cfr.
Norelli, 2008.
78
Cfr. i dati e le conclusioni di Esler, 2005, pp. 152-155.
Esperienza, identità, memoria: riflessioni preliminari 27

nostro caso, Giovanni non potesse avere – o non avesse – accesso diretto ai
testi che utilizzava e intrecciava al suo, ma solo che è alta la probabilità che
li conoscesse e citasse a memoria, e che, quando li riproduce e trascrive, lo
79
faccia secondo modalità tipiche della comunicazione orale . Se è vero allora
che i testi scritti stessi sono l‘unica fonte a disposizione dell‘interprete per
rintracciarne le risonanze reciproche, spesso seguendo la propria logica di
una copiatura passiva più o meno fedele, è altrettanto vero che non si può e
non si deve sovrapporre acriticamente la situazione storica, i paradigmi cul-
turali e i procedimenti esegetici dell‘interprete moderno alla situazione stori-
ca e al modus operandi più verosimile dell‘autore dell‘Apocalisse: questi po-
teva attingere non solo a tradizioni orali complementari o alternative ai testi,
ora più o meno ricostruibili dall‘interprete, ma anche a versioni ri-oralizzate
di quegli stessi testi, vere e proprie variazioni sul ―canovaccio‖ offerto dal
materiale scritto; tutte e tre queste tipologie di ―fonti‖ erano, poi, a loro volta
suscettibili non tanto di una ripetizione meccanica, quanto di ulteriori modu-
80
lazioni e attualizzazioni nello stile di una performance orale .
Ripensato e precisato in tal senso, il metodo della «intertestualità» pro-
posto da Segalla, pur prospettando risultati più sfumati, nella loro maggiore
complessità, acquista in profondità storica e sensibilità critica
nell‘identificare e ricostruire tradizioni e ―traiettorie‖ gesuane.
Nel secondo momento (cap. 3), infine, dopo aver ricapitolato i riferi-
menti che materializzano, storicamente e geograficamente, la vicenda del
Nazareno, per essere conosciuti e ricordati esplicitamente da Giovanni, ten-
teremo di fare luce sugli e[rga di Gesù, cui Ap stessa accenna (2, 26), men-
zionando pivsti~ (2, 13 e 14, 12), uJpomonhv (3, 10), lovgo~ (3, 8). Due volte,
Gesù viene detto aver vinto (3, 21 e 5, 5: «ejnivkhsa»/«ejnivkhsen») e due
volte, aver riscattato (1, 5: «luvsa~», e 5, 9: «hjgovrasa~»). Questa vittoria è
la premessa all‘intronizzazione sul trono del Padre suo (3, 21), alla consegna
del rotolo sigillato e al tributo celeste di gloria e onore (5, 5-14). L‘analisi di

79
Cfr. le osservazioni di Flavio Giuseppe sulla tecnica compositiva di chi scrive storia
in B.J. 1, 15, e i ―doppioni‖ in B.J. 1, 78-80 e A.J. 13, 311-313, B.J. 1, 373-379 e A.J. 15, 127-
146, B.J. 2, 111-113 e A.J. 17, 345-348, con gli elementi di repetitio scritta e orale esposti
nella letteratura pseudo-clementina (Ep. Clem. 19-20 e Rec. 1, 23, 5-7). Sono di fatto gli stessi
procedimenti che, in forma più elaborata e a uno stadio più avanzato di riflessione teorica,
sottendono alle exercitationes retoriche nel parlare (dicendo) e nello scrivere (scribendo), ri-
mandando alle origini e al carattere essenzialmente orali dell‘arte oratoria (cfr. Quintiliano,
Inst. 1, 9, 2-3, e 10, passim, e Porter 1997, pp. 480-501). Va quindi sfumata l‘opposizione net-
ta tra una visione prettamente oralista (cfr. Lord, 1978) ed una prettamente retorico-letteraria
(cfr. Talbert, 1978, in risposta allo stesso Lord) delle relazioni fra testi. In questa direzione, si
segnalano le considerazioni metodologiche e l‘analisi di Uro, 2003, pp. 106-133.
80
Cfr. Berger, 1984, pp. 12-13 e 15-16; Dunn, 2003, pp. 192-253; Esler, 2005, pp. 164-
166 e 167-168; Kelber, 2005, pp. 226-239, e 2006.
28 Introduzione

storia delle tradizioni che dedicheremo a due pericopi in particolare, Ap 11,


3-12 e 12, 1-18, si presterà, infine, ad individuare e chiarire l‘universo sim-
bolico di cui questa memoria si nutre e in cui viene collocata e ridefinita, ca-
ricata di significato e rivissuta.
CAPITOLO PRIMO

TRA VISIONE E TESTO LETTERARIO:


FENOMENOLOGIA DI UN‘ESPERIENZA ―PROFETICA‖

L‘Apocalisse, dicevamo, nasce esperienza estatica. Nello schema schiz-


zato nel breve prologo alla lettera (Ap 1, 1-3), Giovanni la descrive tra i due
poli della «rivelazione» («ajpokavluyi~») e della visione («o{sa ei\den») me-
diate da personaggi del mondo soprannaturale: Gesù Cristo «mostra» (deiv-
knumi) e «indica» (shmaivnw), inviando un angelo, Giovanni vede e «testi-
monia» (marturevw). L‘esperienza si fa poi testo: sono le «parole della pro-
fezia» (oiJ lovgoi th'~ profhteiva~), lette e ascoltate in seno alle comunità
1
dei seguaci di Gesù. In mezzo, la letterarizzazione .
Giovanni comprende e si esprime nei termini della propria immagina-
zione culturale: non esiste profhteiva senza svelamento o manifestazione di
2
ciò che è nascosto a forme di conoscenza ordinaria , senza «visione» (Ap 9,
17: o{rasi~; cfr. Sir 46, 15 e 48, 22.24-25), senza parole, comunicazione, nel
3
nostro caso, scritta . Risalire controcorrente ai contorni di questa esperienza
―profetica‖ passa inevitabilmente per una lettura profonda del testo, oltre la
letterarizzazione, e questa, a sua volta, non può prescindere da una integra-
4
zione comparativa delle categorie di Giovanni . Si impone quindi, come pri-
1
Cfr., più in generale, Yarbro Collins, 1996, pp. 1-20, e, nello specifico, Frenschkow-
ski, 2005, pp. 21-29.
2
Di contro ad ajpokavluyi~, di uso abbastanza periferico e asistematico, al di fuori del-
la produzione ―apocalittica‖ giudaica e cristiana, deivknumi e shmaivnw sono termini tecnici,
rispettivamente, anche del linguaggio misterico e mantico, sempre per «svelare, rivelare ciò
che è segreto»; cfr., più approfonditamente, Frenschkowski, 1995, pp. 267-276, con bibliogra-
fia. Su deivknumi, cfr. H.Cer., 474-476 (di Demetra); Aristofane, Ran. 1032 e [Euripide?],
Rhes. 943-944 (di Orfeo); Diodoro Siculo 5, 48, 4 (di Zeus), ma cfr. anche Corp. herm., fr.
23, 5 (di Ermes) e PGM III, 599 (del dio); su shmaivnw, cfr. Eraclito fr. 93 (della Pizia); Seno-
fonte, Mem.1, 1, 2-4 (del daimovnion di Socrate e degli dei); Arriano, Epict. diss. 1, 17, 18-19
(di divinatori, viscere, corvi e cornacchie); Dione Crisostomo, Or. 1, 64 (di Zeus mediante
uccelli, sacrifici e ogni sorta di mantikhv) e 34, 4 (di aquile e falchi); Elio Aristide, Or. 51, 1 e
52, 1 (di Asclepio in sogno); Artemidoro di Daldi, Onir. 1, 22-23.32 e 2, 2-5.8 (di sogni;
nell‘ultimo passo, in coppia con deivknumi); Ezechiele tragico in Eus., Praep. ev. 9, 29, 6 (di
sogno); Flavio Giuseppe, A.J. 10, 238.240 (di scrittura divina).
3
Cfr. Frenschkowski, 2005, pp. 398-400.
4
Cfr. le indicazioni programmatiche dell‘ Experientia Group formatosi presso la SBL
in Flannery, 2008a, pp. 1-2 e 5-6, e 2008b, p. 16. Sull‘aspetto teorico del problema, rimando
alla discussione in Burke, 1992, pp. 44-47; Pilch, 1996, pp. 134-136; Fabietti, 1999, pp. 111-
30 Capitolo primo

ma esigenza critica, di sviluppare un modello politetico flessibile, capace di


5
vedere e descrivere ciò che Giovanni intende per ―profezia‖ .

1. COMUNICAZIONE CON IL MONDO SOPRANNATURALE E STATI ALTERATI DI COSCIENZA: LA


―PROFEZIA‖

Primo passo fondamentale verso la costruzione di questo modello si è


rivelato lo spoglio dei dati letterari – e non solo – provenienti dal mondo
6
mediterraneo antico . Questo ha poi costituito, in seconda battuta, la base do-
cumentaria e la cartina di tornasole per la comparazione con fenomeni o e-
7
sperienze religiose analoghe presenti in altre culture e società .
Ciò che Giovanni riconosce, individua e chiama profhteiva appare ri-
entrare tra le pratiche di contatto e comunicazione con realtà altre
dall‟esperienza umana quotidiana, che sono percepite fondarla o quantome-
no conoscerla, nella sua dimensione profonda, in qualunque forma esse siano
poi presupposte nelle diverse cosmologie (antenati; spiriti; una gerarchia di
divinità più o meno influenti; il Dio supremo o unico).

226. Valgono anche, nello specifico, le lucide osservazioni finali di Frenschkowski, 2005, pp.
28-29.
5
Cfr. definizioni, indicazioni e caveat in Malina, 1983, pp. 11-25; Elliott, 1986, pp. 1-
33; Burke, 1992, pp. 28-33. Un modello politetico si configura in relazione ad un gruppo, «in
which membership does not depend on a single attribute. The group is defined in terms of a
set of attributes such that each entity possesses most of the attributes and each attribute is
shared by most of the entities» (Burke, 1992, p. 32).
6
Cfr., in particolare, fosse solo per la mole di materiale raccolto, Aune, 1996, pp. 52-
103; 157-171; 195-283, a cui vanno affiancati Frenschkowski, 1995, pp. 266-347, e Forbes,
1995, pp. 103-217 e 279-312. Cfr. anche Halliday, 1913; Dodds, 1956, in particolare, capp. 3-
5, e 1965, in particolare, capp. 2-3; Burkert, 1962, pp. 36-55, e 2005; Lindblom, 1968; Gunkel
1979; Niditch, 1980; Wilson, 1980; Overholt, 1982; Id., 1986; Id., 1989; Catastini, 1990;
North, 1990; Garland, 1990, in particolare, pp. 82-90; Vernant, 1991, pp. 303-317; Berger,
1992; Brenner, 1993; Cryer, 1994; Grabbe, 1995, in particolare, pp. 85-98 e 119-151; Mauri-
zio, 1995; Douglas, 1999, in particolare, pp. 109-133; Nissinen, 2000 e 2003; Nasrallah,
2003; Cancik-Kirschbaum, 2003; Grottanelli, 2003; Stone, 2003; Sfameni Gasparro, 2004;
Iles Johnston – Struck 2005; Filoramo, 2005, pp.151-290.
7
Cfr. Evans-Pritchard, 1937, in particolare, pp. 148-182 e 258-386; Eliade, 1953; El-
liott, 1955; Beattie, 1964; Lewis, 1971; Jordan, 1972, in particolare, pp. 60-86; Turner, 1975,
pp. 207-338; Blacker, 1975; Zuesse, 1975 e 1987, pp. 375-382; Devisch, 1978a, pp. 173-189,
e 1978b, in particolare, pp. 270-288; Peters – Price-Williams, pp. 1980; Tedlock, 1981; A-
hern, 1981, in particolare, pp. 45-63; Werbner, 1989, in particolare, pp. 19-60; Blier, 1991;
Meyer, 1991; Devisch, 1991; Shaw, 1991; Anderson – Johnson, 1991; Goodman, 1994; E-
glash, 1997; Townsend, 1997; Comba 2001; Walsh, 2003; Lapassade, 2008.
Tra visione e testo letterario 31

Fin qui nulla, dunque, che nella sostanza distingua la profhteiva dalla
8
divinazione o dalla consultazione oracolare . Anzi, possiamo dire, piuttosto,
che essa si presenta come forma specifica di divinazione, basata non tanto
sulla trasmissione e lo studio della letteratura omenistica, o sull‘esperienza
pratica dell‘interpretazione di segni riconosciuti come inviati dal mondo so-
prannaturale (volo di uccelli, disposizione di viscere o ossa, corpi celesti,
stormire di fronde, movimenti di statue), quanto su esperienze estatiche per-
sonali del profhvth~ (o anche dou'lo~, nella terminologia di Giovanni: cfr.
Ap 1, 1; 10, 7; 22, 9), che a quello danno diretto accesso (cfr. la catena rive-
9
lativa Dio – Gesù Cristo – angelo – Giovanni in Ap 1, 1-2) : visioni, sogni,
audizioni, rivelazioni, viaggi celesti, possessione aprono, garantiscono e au-
torizzano socialmente un canale comunicativo fruibile tra il soprannaturale e
gli esseri umani.
Il flusso di informazione e significato che ne deriva e le esperienze reli-
10
giose di intersezione e ―sconfinamento‖ , sulle quali si innesta, presuppon-
gono di caso in caso differenti interpretazioni culturali di alterazioni nello
11
stato di coscienza del soggetto che ne è al centro . Queste modificano fun-
zioni fisiologiche, sensazioni, percezioni, pensiero e sentimenti, e finiscono
con l‘incidere anche sulla «relazione dell‘individuo con sé stesso, il corpo, il
proprio senso d‘identità, e l‘ambiente circostante, con il tempo, lo spazio e
12
altre persone» .

8
Cfr. Berger, 1992, pp. 219 e 229, che parla indifferentemente di «prassi mantica» o
«cultura mantica» soggiacente alla letteratura di visione di ambiente giudaico-cristiano ed el-
lenistico-romano.
9
Overholt, 1989, pp. 21-25 e 117-147, e Cancik-Kirschbaum, 2003, pp. 43-51. Cfr. la
tipologia che Zuesse chiama «possession divination» (1987, pp. 376-378) e Grabbe «spirit
divination» (1995, pp. 136-141 e 150-151). Vedi anche Turner, 1975, pp. 15-16 e, in partico-
lare, 207 e ss. Importante e necessaria comunque la puntualizzazione di Peek, 1991a, pp. 1-
22, sulla tendenza di questi modi a sovrapporsi e confondersi nelle pratiche divinatorie: «All
analyses try to distinguish those forms involving ecstatic states from those performed in nor-
mal states of conciousness, yet the only real difference between them is that in ecstatic states
the occult powers “speak” through the diviner rather than the divinatory apparatus. All divi-
nation forms involve a non-normal state of inquiry which then requires a ―rational‖ interpreta-
tion of the revealed information by the client if not by the diviner» (p. 12; corsivo mio). Lo
segue Maurizio, 1995, pp. 80-81 e 83, che parla di «possessione» di agenti umani e/o non u-
mani. Cfr. anche Evans-Pritchard, 1937, pp. 313-322 e 359-364; Tedlock, 1981, pp. 163-165
e 169-170; Werbner, 1989, pp. 20-21 e 32-34; Blier, 1991, pp. 83-88; Meyer, 1991, pp. 95-98;
Devisch, 1991; Shaw, 1991, pp. 145-149; Goodman, 1994, pp. 64-71 e 134-135; Graf, 2005,
in particolare, pp. 65-78.
10
Cfr. Iles Johnston, 2005a, in particolare, pp. 10-16 e 22, e 2005b, pp. 299-301; Bur-
kert, 2005, in particolare, pp. 30-36 e 48.
11
Cfr. Peek, 1991b, in particolare, pp. 197 e 199-202.
12
Cfr. Bourguignon 1973; Ead., 1976; Ead., 1979, p. 236; Goodman, 1972, in partico-
lare, pp. 58-86; Ead., 1989; Ead., 1991; Ead., 1992; Winkelmann, 1997. Su stati alterati di
coscienza e interpretazione dell‘esperienza religiosa negli scritti confluiti nel canone neote-
32 Capitolo primo

Nella realtà, i concetti stessi di stato e di stato cosciente normale, oltre


che fuorvianti ed arbitrari, cristallizzano quello che nei fatti è stato definito
13
un «multidimensional dynamic flow of experience» , un continuum di rea-
zioni pre-formate e insorgenti sotto determinate condizioni (per esempio,
veglia, sonno, sogno, stato ipnagogico, stato ipnopompico, ipnosi, schizofre-
14
nia, coma) , nel quale le transizioni dall‘una all‘altra sono alquanto fluide.
Tali transizioni possono occorrere spontaneamente oppure essere indotte.
In questo quadro complesso, a cui qui possiamo solo accennare, le espe-
rienze che noi chiamiamo estatiche si vengono a configurare, nel loro pro-
prio specifico, come ingresso cercato o involontario, immediato o guidato in
quegli stati alterati di coscienza che si raggruppano sotto la più ampia classi-
15
ficazione di trance(s) . Di per sé queste non hanno contenuto, essendo con-
16
dizioni neurofisiologiche, per così dire, vuote, culturalmente riempibili , ma
non è escluso che le tecniche in grado di stimolarle e le diverse reazioni neu-
ro-fisiologiche che innescano finiscano poi per evocare, quasi dettare, i ca-
17
ratteri specifici dell‘esperienza stessa . Ciò che le definisce in senso stretto è
la dissociazione da sé e dagli altri: da un lato, è inibita la trasmissione delle
percezioni di peso, spazio, tempo, moto volontario, dolore, confini identitari,
dall‘altro, si intensifica la consapevolezza della presenza del corpo nella sua
totalità, come frontiera dell‘individuo e capacità di renderlo attivo. Le mani-
festazioni esteriori di tali stati dissociativi spaziano dall‘incoscienza totale
alla leggera distrazione, dall‘euforia e dal rapimento, anche violenti, alla ca-
talessia. Tra i fattori, infine, che li possono ingenerare, si contano ipnosi, pa-
ura o tensione, pratiche di meditazione, digiuno, preghiera, agenti biochimici
– profumi, incenso, o allucinogeni – musica e danza, malattia e afflizioni fi-
18
siche, sonno .

stamentario, e nella letteratura giudica coeva, cfr., soprattutto, Pilch, 1995; Id., 1996, in parti-
colare, pp. 133-138; Id., 1998; Id., 2002; Id., 2004, in particolare, pp. 1-11 e 170-187; Vol-
lenweider, 2005; Lawrence, 2005, in particolare, pp. 49-52; Segal, 2006; Lietaert Peerbolte,
2008; Shantz, 2008.
13
Walsh, 1993, in particolare, p. 745.
14
Pilch (2002, p. 35, e 2004, p. 181) ne elenca una ventina in tutto.
15
Cfr. le frequenti osservazioni di Walsh, 1993, pp. 745 e 753-758, e Pilch, 2002, p. 35.
16
Cfr. Bourguignon, 1979, pp. 265-266; Goodman, 1989, p. 29; Pilch, 1995, pp. 53-57.
17
Cfr. Bourguignon, 1979, ibid.; Goodman, 1989, passim, in particolare, pp. 211-250;
Ead., 1992, passim; Walsh, 1993, p. 758; Segal, 2006, pp. 34-37.
18
Cfr. Bourguignon, 1979, pp. 235-236; Goodman, 1992, passim; Walsh, 1993, p. 745;
Pilch, 1995, p. 53; Winkelmann, 1997, passim; Segal, 2006, pp. 31-36; Lietaert Peerbolte,
2008, pp. 168-170; Shantz, 2008, pp. 198-202; Lapassade, 2008, pp. 183-189 e passim. Accu-
rate fenomenologie antiche, sostanzialmente confermate dai dati moderni, offrono Apuleio,
Apol. 42-43; Porfirio, Aneb. in Giamblico, Myst. 3, 2.4.9.11.14 (ed. Sodano); Giamblico,
Myst. 3, 5 (ed. Sodano).
Tra visione e testo letterario 33

Le fonti letterarie, papirologiche, e archeologiche, da un lato, la docu-


mentazione etnografica, dall‘altro, delineano un quadro sufficientemente ac-
curato della diffusione di questi stati tanto nel mondo Mediterraneo antico
quanto in quello contemporaneo e in altre società moderne, occidentali e
non, da giustificare la conclusione che tutti potessero avere, cercare, procu-
19
rarsi direttamente visioni, rivelazioni, sogni, viaggi celesti . Che cos‘è dun-
que che crea un profhvth~?
Ritorniamo su un punto già rilevato e mettiamone in luce uno nuovo.
Innanzitutto, il profhvth~ comunica messaggi o compie azioni in rap-
porto ad una collettività più o meno ampia (cfr. Ap 1, 1.3; 22, 10.16.18), il
contatto con il soprannaturale non sembra culminare in una unione mistica o
contemplare il soddisfacimento dei propri interessi o bisogni, almeno non
unicamente ed esclusivamente. In secondo luogo, – ed è ciò che mi preme
più sottolineare –, nella sua esperienza personale, il profhvth~ è socialmen-
te costituito e riconosciuto come intermediario mediante un rito di iniziazio-
20
ne (cfr. Ap 10) .
Secondo una recente e mirata definizione (Destro – Pesce, 2000, p. 29),
per iniziazione religiosa vanno intesi
«i processi a cui una persona si deve sottoporre, sotto la guida di uno o più esperti,
per acquisire una specifica formazione e un determinato grado di competenza e spe-
cializzazione in precisi ambiti (azioni rituali, atti magici, estasi, interpretazioni eso-
teriche, atti sacrificali, ecc.). La qualificazione religiosa non implica solo

19
Per un verso, basti qui citare l‘iscrizione di Onussanio, che ricorda la visione mattuti-
na del nipote defunto e divinizzato (CIL VI, 3 nr. 21521; età augustea), il grande papiro magi-
co di Parigi (PGM IV; III-IV sec.d.C), che contiene anche istruzioni per una ascesa al cielo in
«spirito» (475 e ss.), e l‘epigrafe funeraria della profetessa Nana che riferisce di inni e pre-
ghiere, di visite angeliche e di una voce (IV sec.d.C.; testo greco e traduzione in Eisen, 1996,
pp. 65-73); per l‘altro, si faccia riferimento agli esperimenti personali di Goodman, 1989, pp.
87-140 e 186-200, e Walsh, 1993, pp. 747-750. Cfr. anche le conclusioni di Dodds, 1956, pp.
116 n. 82 e 297, e Goodman, 1989, pp. 22-23, e 1991, pp. 30-31, e la statistica proposta da
Pilch, 1996, p. 133: 437 su 488 (= 90%) società analizzate di ogni parte del mondo possiedo-
no forme istituzionalizzate di stati alterati di coscienza. La percentuale nel solo mondo Medi-
terraneo si attesta all‘80%.
20
Overholt, 1989, pp. 17-25 e 141. Un rito è «un sistema di comunicazione simbolica
costruito culturalmente. È costituito da sequenze di parole e atti, strutturati e ordinati e spesso
espressi con molteplici mezzi, il cui contenuto e la cui disposizione sono caratterizzati in va-
rio grado da formalismo (convenzionalità), stereotipia (rigidità), condensazione (fusione) e
ridondanza (ripetizione). Nelle sue caratteristiche costituive, l‘azione rituale è performativa, in
questi tre sensi: […] dire qualcosa è fare qualcosa, in quanto atto convenzionale; nel senso,
abbastanza diverso, di una rappresentazione scenica che usa molteplici mezzi di comunica-
zione, grazie ai quali i partecipanti sperimentano intensamente l‘evento; e nel senso dei valori
indicati […] essendo connesso con (e inferito da) gli attori durante la rappresentazione. […] Il
suo contenuto culturale è radicato in costrutti cosmologici o ideologici particolari» (Tambiah,
1995, pp. 130-131).
34 Capitolo primo

l‘assunzione di funzioni particolari o istituzionali (ad esempio quelle sacerdotali),


ma l‘acquisizione di tutto ciò che è il risultato di un addestramento, di una precisa
21
esperienza o dell‘apprendimento di una tradizione sacra» .

Secondo P. Bourdieu (1991, pp. 117-119), la funzione essenziale sog-


giacente a questi riti è di carattere istitutivo, non tanto, cioè, il passaggio ef-
fettivo di una linea, quanto la consacrazione e legittimazione della linea stes-
sa che viene tracciata: investendo attivamente qualcuno di un nuovo status o
ruolo, nelle forme corrette e riconosciute, essi esprimono simbolicamente e
impongono a chi ne è investito una identità personale e sociale percepita
come seconda natura, e con ciò lo separano da chi questa identità non pos-
22
siede .
Sulla scorta della classificazione proposta da M. Eliade (1987, p. 225),
23
si distinguono solitamente tre tipi di azione iniziatica : il primo tipo abbrac-
cia i riti collettivi, diversamente obbligatori per tutti i membri di una comuni-
tà (circoncisione, infibulazione, cresima); il secondo ed il terzo coinvolgono
solo gruppi di varie dimensioni, se non solamente singoli individui, e com-
prendono rispettivamente i riti di ingresso in società segrete, sette, confrater-
nite, gruppi religiosi (battesimo, ordalie) e i riti di costituzione a specialista
24
religioso o a ruoli più prettamente politici (sciamano, sacerdote, capo, re) . I
processi iniziatici possono essere pubblici e inglobare un ricco apparato sim-
bolico come consistere in esperienze estatiche e trasmissione di conoscenze
impartite da uno o più esseri soprannaturali, fermo restando che le due pos-
25
sibilità non si escludono a vicenda .

21
Cfr. anche Turner, 1967, in particolare, pp. 93-111.
22
Bourdieu, 1991, pp. 117; 122-123; 125.
23
Lo schema opera già implicitamente in van Gennep, 1986, pp. 70-113.
24
Eliade stesso è conscio dei limiti e dell‘arbitrarietà di questa classificazione: secondo
e terzo tipo avrebbero molto in comune e, più in generale, «despite their specialized uses, the-
re is a sort of common denominator among all these categories of initiation, with the result
that, from a certain point of view, all initiations are much alike» (1987, p. 225; corsivo mio). I
confini tra primo e secondo tipo poi, a seconda delle condizioni geografiche, storiche e socia-
li, possono risultare molto fluidi, e i riti classificati oscillare tra l‘uno e l‘altro (penso, ad e-
sempio, al battesimo cristiano, passato da rito d‘ingresso nei primi gruppi di seguaci di Gesù a
rito collettivo nel mondo cattolico). Non ultimo, come scrivono Destro – Pesce, 2000, p. 29,
la qualificazione religiosa non si limita necessariamente all‘assunzione di ruoli istituzionali o
speciali.
25
Cfr. le ripetute annotazioni di Eliade, 1987, p. 226, e, soprattutto, 1988, pp. 166; 175-
176; 178; 184-185, e i casi etnografici riportati in Bourguignon, 1979, pp. 243-244; 247; 252-
257; Goodman, 1989, pp. 180-181; 188-189; 259, e 1992, pp. 47-51 e 56-59; Whyte, 1991, in
particolare, pp. 157-158; Townsend, 1997, pp. 444-447. Cfr. anche Buss, 1981, in particolare,
pp. 11-17. Discutono esempi dal mondo antico Shaked, 1999; Filoramo, 1999, pp. 140-145;
DeConick, 2001, pp. 42-64; Camplani, 2002, pp. 116-117. Sulla diffusione di forme analoghe
di iniziazione fra i gruppi di seguaci di Gesù, cfr. Lalleman, 1998, pp. 52-57; Destro – Pesce,
Tra visione e testo letterario 35

Evidentemente, l‘iniziazione ―profetica‖ si accosta a quest‘ultima va-


riante del terzo tipo: autoritativamente investendolo dall‘alto di poteri e
competenze per l‘ingresso e la comunicazione con il mondo soprannaturale,
informandolo su chi sia e chi debba essere, trasforma l‘iniziato nella misura
in cui trasforma la percezione che questo ha di sé, inculcando il nuovo com-
portamento da adottare per conformarsi a tale rappresentazione. Fa inoltra in
modo che altri vi si conformino, ri-orientandone rappresentazioni e aspetta-
tive, e incidendo decisivamente sul loro atteggiamento nei confronti
26
dell‘iniziato .
In conclusione, ciò che Giovanni chiama profhteiva si rivela essere
una forma di divinazione e, in quanto tale, si inserisce in un sistema di prati-
che culturalmente definite e strutturate per produrre conoscenza e significa-
27
to, attingendo a fonti ritenute soprannaturali .
L‘accesso a queste fonti, per garantire una corretta comunicazione tra
mondo umano e mondo sovraumano, coinvolge e comporta, da parte del
profhvth~, una attività sensoriale non normale, che ha la sua base in altera-
zioni degli stati di coscienza, in particolare “trances”, e che, variamente in-
terpretata, ne definisce anche fisicamente la condizione liminale di interme-
28
diario, di portale tra i due mondi .
Specializzazione nel dominio di tali stati e riconoscimento sociale della
nuova condizione di intermediario costituito seguono ad una iniziazione che
spesso è segnata da esperienze estatiche, o può svolgersi direttamente come
29
tale .

2000, pp. 35-110; Turner, 2000, pp. 128-137; DeConick, 2001, pp. 86-108 e 135-162, con
qualche riserva sulla sua interpretazione di Gv.
26
Cfr. Bourdieu, 1991, p. 119.
27
Cfr. Grabbe, 1995, p. 107. Cfr. anche Peek, 1991b, pp. 193-212; Cryer, 1994, pp.
121-122; Forbes, 1995, p. 279.
28
Cfr. Peek, 1991b, pp. 197-199.
29
Cfr., per esempio, Devisch, 1978, p. 179-182, e Overholt, 1986, pp. 102-104; 106-
113; 122-123; 132-133, e 1989, pp. 27-68 e passim, che mostrano anche come processi inizia-
tici simili non si riducano a o coincidano necessariamente con la prima esperienza estatica del
futuro ―profeta‖. Nel mondo antico, si segnalano forse, già, il caso di Isaia (cfr. le indicazioni
temporali non perfettamente coincidenti offerte da Is 1, 1 e 6, 1), l‘esperienza di Erma, costi-
tutito e confermato nel suo ministerium con visioni e viaggi estatici dispersi temporalmente e
spazialmente nell‘arco di almeno due anni (cfr. Vis. 2, 1, 1; 2, 2, 1; 2, 3, 1-3; 3, 1, 1 – 3, 2, 4, e
Sim. 10, 2, 2-4 e 4, 1), e la biografia di Mani, punteggiata di visioni fin dalla fanciullezza, ma
segnata decisivamente dalla rivelazione ricevuta a ventiquattro anni (cfr. CMC 2, 2-11; 3, 2-
14; 4, 2-13; 10, 21 – 11, 23; 13, 2-15; 14, 4 – 16, 23; 17, 23 – 26, 5). Secondo la ricostruzione
di At 22, 6-21, presentata come autobiografica, dopo la prima visione sulla via di Damasco
che ne produce la conversione (22, 6-16), interviene una seconda e[kstasi~ a sancire l‘invio
in missione e quindi la nuova identità di apostolo di Saulo (22, 17-21).
36 Capitolo primo

1.1 Tra testo e descrizione: uno schizzo teorico

In questo senso, l‘Apocalisse di Giovanni si presenta come resoconto


narrativo in prima persona, come resoconto diretto – raro, eppure spesso sot-
tovalutato – di un‘esperienza ―profetica‖ personale all‘interno di un gruppo
30
di seguaci di Gesù (Ap 1, 1-3. 9-10) : in che modo la concepisce, dunque, e
si concepisce Giovanni nel raccontarla?
Non mi interessa qui sollevare la questione della sua veridicità, del suo
contenuto di ―realtà‖ in sé e per sé, in proporzione alla sua elevata stilizza-
31
zione letteraria . Piuttosto, quello che mi attira è l‘immaginazione sociale
dell‘autore/redattore, che si è sedimentata nello strato più profondo del te-
32
sto : l‘immaginazione che, implicitamente, dietro le parole, tra le frasi, riflet-
te una fenomenologia del fatto ―profetico‖, vissuto in quanto tale da Giovan-
ni e in quanto tale praticato, riconosciuto o almeno tollerato dalle comunità
33
cui Giovanni si rivolge e dal gruppo che Giovanni appoggia .
Spogliando evidentemente entrambi delle sfumature più propriamente
distintive, fatta salva la diversa natura delle fonti, credo che una dichiarazio-
ne programmatica di P.M. Peek (1991a, p. 11) sullo studio dei sistemi di di-
vinazione – e la ―profezia‖, abbiamo visto, ne è uno – esprima e chiarisca
questo mio interesse:

30
Cfr. anche le notizie autobiografiche e gli accenni in Paolo (1 Cor 15, 8; 2 Cor 12, 1-
4.7; Gal 1, 15-16 e 2, 2), nelle Od. Sal. 11, 11-23; 18, 1-3; 21, 1-7; 35, 7; 36, 1-6; 38, 1-2, e
nei frammenti profetici ―montanisti‖. Sorprende la ripetuta insistenza di Flannery, 2008a, pp.
16-17, e Segal, 2008, p. 24, sull‘assoluta unicità dell‘epistolario paolino come fonte di prima
mano, non anonima né pseudonima, su esperienze religiose simili per il I sec.d.C. Questa pre-
sunzione, indimostrata e arbitraria, non giustifica l‘assenza di un qualunque contributo speci-
fico su Ap nel primo volume di EXPERIENTIA, che raccoglie i loro interventi.
31
Sulla base di quanto si è venuto osservando, credo si tratti per lo più di un falso pro-
blema che riposa su una dicotomia tra esperienza ―reale‖ – interpretazione culturale che di
fatto non si dà (Knoblauch, 2003, pp. 102-113; Stone, 2003, pp. 169-170 e 177-180; DeCo-
nick, 2006, pp. 5-6; Lietaert Peerbolte, 2008, p. 170; Miller, 2008; Shantz, 2008, p. 202;
Ramsaran, 2008, p. 211). E se anche si desse, la stessa convenzionalità del testo implicita-
mente riposerebbe sull‘assunto, comune all‘immaginazione soco-culturale del redattore e dei
destinatari, che sia così che un‘esperienza profetica deve avere luogo nella ―realtà‖ ed essere
poi rappresentata. Cfr. le lucide riflessioni su fatti e finzione di Burke, 1992, pp. 101-103 e
126-129. Un ricco dossier comparativo e ragionato su forme e stilemi ricorrenti nei resoconti
di visioni di età greco-romana è offerto da Berger, 1992, pp. 177-225; per un ricco repertorio
di fonti ordinate per temi, cfr. anche MacDermot, 1971. Fletcher-Louis, 2008, tratteggia sto-
ria, problemi e prospettive di un‘analisi dell‘esperienza religiosa all‘origine dei testi ―apocalit-
tici‖.
32
Per una lettura antropologica dei testi, cfr. Pesce, 2001, e Destro – Pesce, 2004b, in
particolare, pp. 3-17.
33
Cfr. le osservazioni a più ampio raggio di Lewis, 1971, pp. 34-35; 76-78; 176; Bour-
guignon, 1976, pp. 12; 17; 24; 37-39; 41; 46-49, e 1979, pp. 239-243; 249; 266-267; Wilson,
1980, pp. 66-68; Overholt, 1989, pp. 23-24; Peek, 1991a, p. 2; Grabbe, 1995, p. 110.
Tra visione e testo letterario 37

«The appropriate analysis should focus on the esthetic elements, semiotic patterning,
dramaturgical features and transformational processes of the diviner and the divina-
tory congregation. [...] ―Praxeological approach‖ […] also takes into account the
specific divination event, differing types of divination, clients‘ problems, and the
subsequent dynamics of the sessions which lead to practical action in the larger cul-
tural context».

Tutto sta nel lasciare metodi e paradigmi simbolici soggiacenti emerge-


34
re nella loro globalità e specificità .
Come primo strumento utile per affinare la sensibilità a questa dimen-
sione analitica e rilevare così i contorni della ―profezia‖ di Giovanni può ve-
nirci in aiuto il modello sviluppato da R.N. Walsh per descrivere e confron-
tare estasi sciamaniche, meditazioni buddiste e yogiche, crisi di schizofre-
35
nia .
Il modello si incentra sulla osservazione di dodici aspetti chiave:
1. Grado di riduzione della consapevolezza del contesto o ambiente in cui
l‘esperienza ha luogo
2. Capacità di comunicare
3. Concentrazione
a. Grado di concentrazione
b. Natura della concentrazione, fissa o fluida
4. Grado di controllo
a. Capacità di entrare in e uscire da uno stato alterato di coscienza a
proprio arbitrio
b. Capacità di controllare il contenuto dell‘esperienza
5. Grado di eccitazione
6. Grado di calma (bassi livelli di agitazione e distraibilità)
7. Sensibilità o acutezza della percezione sensoriale
8. Natura del senso di identità
9. Sensazioni: piacevolezza o dolore
10. Percezione di uno stato fuori dal corpo
11. Contenuto dell‘esperienza interiore:
a. Senza forma
b. Provvisto di forma, differenziato e con oggetti specifici:
1) Grado di organizzazione
2) Modalità degli oggetti predominanti
3) Intensità degli oggetti

34
Cfr. già le ripetute osservazioni di Niditch, 1980, pp. 153-154 e 158-163, e Tedlock,
1981, pp. 163-170, e la sintesi conclusiva dello stesso Peek, 1991b, pp. 192-213.
35
Walsh, 1993, pp. 746-747.
38 Capitolo primo

4) ―Livello‖ psicologico degli oggetti (personale o archeti-


pico)
12. Livello di sviluppo dello stato di coscienza in sequenze progressive

Pregio non trascurabile di questo modello è la possibilità che offre di


raccogliere, coordinare e focalizzare esperienze, suggestioni, interpretazioni
36
sviluppate dalla ricerca .
Forte è, però, il rischio di cadere in un circolo vizioso imponendo il
modello al testo e appiattendo e schiacciando il secondo sul primo. Posto,
però, a livello generale, che non esiste una percezione pura dei fatti e che la
conoscenza umana si fonda in ultima analisi su assiomi che confermano sé
37
stessi , bisogna comunque non confondere una prima fase di elaborazione
propositiva del modello con la sua fase di verifica e ri-costruzione, cui si
procederà dopo un confronto diretto con i dati che la superficie del testo la-
38
scia trasparire .
In concreto e nello specifico, non ci resta quindi che iniziare con il trat-
teggiare la cosmologia che l‘esperienza estatica presuppone e vede, venen-
39
done informata e a sua volta informandola . Passeremo poi ad esaminare
l‘antropologia della rivelazione nell‘Apocalisse ed i caratteri e lo sviluppo
dell‘esperienza stessa, nell‘immaginazione sociale del redattore e nel lin-
guaggio che la veicola.

36
Cfr. Bourguignon, 1976, pp. 8 e 40-41, e 1979, 235-236.262; Goodman, 1989, pas-
sim. Cfr. anche Malina – Pilch, 2000, pp. 4-8; Pilch, 2004, pp. 182-186; Vollenweider, 2005,
pp. 104-105 e n.10; 106-107; 115-117 e n.52.
37
Cfr. Pilch, 1996, pp. 134-135; Lampe, 1997, in particolare, pp. 348-354, e 1998, in
particolare, pp. 21-26. Questi ultimi due contributi, rielaborati ed ampliati, sono confluiti in
Id., 2006, rispettivamente, pp. 1-100 e 123-129.
38
Cfr. anche le indicazioni metodologiche in Pilch, 1996, pp. 134-136, e Destro – Pe-
sce, 2000, p. xiv.
39
«Le cosmologie […] sono classificazioni di portata onnicomprensiva. Esse sono
strutture di concetti e di relazioni che trattano l‘universo o il cosmo come un sistema ordinato,
descrivendolo in termini di spazio, di tempo, di materia, di movimento e popolandolo di dei,
esseri umani, animali, spiriti, demoni e simili. […] Le cosmologie […] tendono quasi sempre
[…] a essere viste come una sistemazione permanente di cose e di persone, e le premesse che
ne sono alla base, così come l‘ordine iniziale, sono viste sia come dotati di un‘esistenza al di
fuori del flusso degli eventi mutevoli e delle speranze della vita quotidiana, sia come
all‘origine, in qualche misura, dei quotidiani fenomeni superficiali del tempo presente»
(Tambiah, 1995, pp. 24-25). Cfr. le osservazioni di Bourguignon, 1976, pp. 15-16 (p. 38: «In
Haiti, dissociation into diverse (spirit) personalities fits in with the understanding people have
of the universe, of gods, and of human nature» [corsivo mio]), e 1979, pp. 243-244 e 266-267;
Burton, 1991, in particolare, pp. 41-42 e 44-45; Meyer, 1991; Devisch, 1991 (p. 130: «The
divination shows how the fundamental symbolic process of world construction among the
Yaka operates and how the sociocultural order finds its origin in this process and profoundly
imposes itself on the bodily experience in a mutual modeling of each other» [corsivo mio]);
Shaw, 1991, p. 143.
Tra visione e testo letterario 39

2. IMAGO MUNDI

Il cosmo (Ap 11, 15; 13, 8; 17, 8) di Giovanni si articola su tre livelli
coesistenti e comunicanti: abisso – mare, terra, cielo. Abisso e cielo costitui-
scono gli estremi, negativo e positivo, che comprendono la terra.
Procediamo dal basso verso l‘alto. L‘abisso è il mondo sotterraneo, il
cui ingresso sulla terra, concepito a forma di pozzo, è chiuso a chiave (Ap 9,
1-2 e 20, 1.3). Alimenta il mare e probabilmente anche le sorgenti, in quanto
40
raccolta delle acque primordiali (cfr. Ap 5, 13 e 14, 7) , e ne sale fumo come
di fornace grande (Ap 9, 2). Il mare sembra comunicare strettamente con
l‘abisso di cui condivide la natura sotterranea e le connotazioni negative (cfr.
41
Ap 5, 13; 20, 13-14 e 21, 1) .
La terra abitata emerge dal mare, ha quattro angoli, con quattro venti
corrispondenti che la battono (Ap 7, 1). È un susseguirsi di deserti (Ap 12, 14
e 17, 3), monti con rocce e grotte (Ap 6, 15-16 e 16, 20), pianure (Ap 20, 9),
fiumi e sorgenti (Ap 8, 10 e 16, 4), su cui spiccano il fiume grande, l‘Eufrate
(Ap 9, 14 e 16, 12), Gerusalemme, il Tempio e il monte Sion, forse il suo
centro, comunque il suo punto più sacro (Ap 11, 1-2.8; 14, 1).
Il cielo si stende in alto sopra la terra come un rotolo svolto (Ap 6, 14),
ha un suo culmine, il mesouravnhma (Ap 8, 12 e 14, 6), sole, luna e stelle vi
sono appese (Ap 6, 12-13 e 8, 10). Ha quanto meno una porta (Ap 4, 1), ma
si squarcia ed apre anche completamente (Ap 19, 11), dando accesso in ogni
caso a un al di là della volta e del firmamento, ugualmente chiamato cielo
(oujranov~: Ap 4, 2 e 11, 19). L‘unico caso in cui Giovanni parla di oujranoiv
(cfr. 12, 12 e 13, 6) sembra intendere proprio questo, e non permette pertanto
di precisare ulteriori suddivisioni in tre o sette sfere. Nel cielo oltre la volta
si producono fulmini, voci, tuoni, fuoco, sismi, pioggia, grandine, che poi
dalle aperture scendono sulla terra (cfr. Ap 4, 5; 8, 7; 11, 6.19; 13, 13; 16, 18.
21; 20, 9).
Questi tre piani della realtà non sono vuoti, ma densamente abitati.
Dall‘abisso, dal suo fumo, sciamano cavallette, e si diffondono sulla ter-
ra (Ap 9, 1-11). Ne risale poi una bestia mostruosa (Ap 13, 1-3 e 17, 8), agli
ordini di Satana. Probabilmente abisso e mare si dividono le imprecisate cre-
ature sotterranee menzionate in 5, 13, forse pesci (cfr. 9, 1 e P.Oxy. 654, 13-
15), sicuramente i morti (Ap 20, 13). L‘abisso ospiterà per mille anni la pri-
40
Cfr. Jeremias, 1926, in particolare, pp. 94-108 e 125-127, e Lupieri, 2000, pp. xlix-li.
41
Cfr. Ap 13, 1 e 17, 8; Gb 38, 16-17; Rm 10, 7 e la sua fonte, Dt 30, 12-13 TM e LXX;
Vang. Tom. 3, tanto nella versione copta che nel greco conservatoci da P.Oxy. 654, 9-15.
40 Capitolo primo

gionia di Satana (Ap 20, 1-3.7), funzionando quindi anche come carcere di
spiriti decaduti. Nel mare vivono le creature viventi (Ap 8, 9 e 16, 3), e si
muovono le isole (Ap 6, 14 e 16, 20). Le barche (Ap 8, 9 e 18) segnalano la
presenza umana, concretizzata in timonieri, naviganti, marinai, «quanti lavo-
rano il mare» (Ap 18, 17).
La terra pullula di vita vegetale e animale, tanto selvatica e mortale (Ap
42
6, 8) quanto addomesticata e docile (agnello, vitello, bestiame vario, greggi,
43
cavalli) , pura o impura (Ap 18, 2 e 22, 15), di uomini e di angeli.
I primi presentano distinzioni di ethnos, legami parentali e lingua (Ap 7,
9; 11, 9; 13, 7), sotto i due denominatori comuni Gentili (Ap 11, 2) e Giu-
dei/Israele (Ap 2, 9; 3, 9), greco (Ap 9, 11) ed aramaico (ibid.). Le opposi-
zioni grandi/piccoli, ricchi/ poveri e liberi/schiavi (Ap 13, 16; cfr. anche 19,
18 e 20, 12) riassumono una più complessa stratificazione politica, sociale ed
economica che va dai re agli schiavi, passando per i maggiorenti, i coman-
danti di migliaia, i ricchi, i potenti, i liberi (Ap 6, 15).
I secondi esercitano dominio sugli elementi (fuoco, acque, venti: cfr., ri-
spettivamente, Ap 7, 1-2; 14, 18; 16, 5), animano la natura o costituiscono la
controparte spirituale di rilievi e isole (Ap 6, 14; 8, 8; 16, 20 in parallelo a
12, 8), e influenzano decisivamente le vicende umane, portando guerra, per-
dita di raccolti e rincaro dei prezzi, carestie, pestilenze, morte, infuriare di
venti, sciami di cavallette (Ap 6, 2-8 e 9, 15-19; 7, 1-2; 9, 1-11).
Mare e terra, con i suoi abitanti, sono anche il campo di azione ristretto
e provvisorio del Satana, cacciato dal cielo (Ap 12, 7-9.12-13), delle schiere
di angeli che questi ha trascinato con sé (Ap 12, 4.9), e dei suoi due più diret-
ti emissari, la bestia che sale dall‘abisso e quella che sale dalla terra (Ap 13).
Di qui procedono l‘attrazione del potere della città grande, che si reputa di-
vino, e l‘oppressione che ne segue, da un lato (Ap 13, 1-7), segni e ispirazio-
ne demoniaca della falsa profezia, dall‘altro (Ap 13, 11-17; 16, 13-14). Non
solo: spiriti impuri e demoni percorrono ora la terra (Ap 16, 13-14) e si inse-
diano tra le rovine (Ap 18, 2)
Il cielo, sotto la volta, è popolato da indistinti uccelli che volano nel
44
mesouravnhma (Ap 18, 2 e 19, 17), puri o impuri che siano (Ap 18, 2) , e, in

42
Delle «bestie della terra» che Giovanni mostra di conoscere, la maggior parte presen-
ta associazioni negative, se non demoniache (cavalletta, scorpione, leopardo, orso, rospo),
solo il leone è connotato più ambiguamente e può sfumare su toni positivi. Cfr. Park, 1997,
pp. 155-245.
43
I primi due sono associati rispettivamente all‘Unto di Dio e ad una delle creature vi-
venti del Trono, gli ultimi tre figurano in un catalogo commerciale come beni di scambio (Ap
18, 13). Il cavallo, in più, oscilla tra rappresentazioni demoniache ed angeliche – e queste più
o meno dannose o salutari –, a seconda anche del colore. Cfr. Park, 1997, pp. 27-50; 74-123;
230-234.
Tra visione e testo letterario 41

più, da stelle, aquile, fenomeni atmosferici, tutti probabilmente di varia natu-


ra angelica (cfr. le due stelle di Ap 8, 10-11 e 9, 11, e 12, 4.9; l‘aquila parlan-
te di 8, 13 e l‘aquila grande di 12, 14, per cui cfr. anche 4, 7; i fulmini, le vo-
ci, i tuoni fuoriuscenti dal trono in 4, 5 e le voci dei sette tuoni di 10, 3-4, per
45
cui cfr. anche 1, 10.12) . Innumerevoli altri angeli – ed eventualmente le nu-
vole per gli spostamenti, non solo i loro (Ap 1, 7; 11, 12; 14, 14-16) – lo at-
traversano e collegano alla terra, garantendo l‘esecuzione della giustizia (Ap
8, 8-11; 14, 14-20; 16, 1-17) e l‘origine divina della vera profezia (Ap 1, 1-2
e 9-16; 10, 1-10; 22, 6.8.16).
Oltre la volta, ormai ripulita dopo lo scontro fra angelli ribelli e angeli
rimasti fedeli a Dio (Ap 12, 7-9), si estende la corte celeste: in una spirale
concentrica, si succedono miriadi di angeli, ventiquattro anziani, quattro cre-
ature viventi, sette spiriti, o arcangeli, di fronte al Trono, cherubini o serafini
probabilmente, che, nel mezzo del Trono, attorniano il Trono e cantano il tri-
saghion, Dio, il creatore dell‘universo, sul Trono e, in mezzo al Trono e alla
creature viventi, l‘Agnello, l‘Unto di Dio (Ap 4, 2-8; 5, 6-7; 8, 2; cfr. 12, 15).
Oltre la volta, da sempre presso Dio, si trova il Tempio con tutto il suo
apparato: vi è custodita l‘arca del patto (Ap 11, 19 e 15, 5), non mancano
l‘altare d‘oro (Ap 6, 9; 8, 3-4; 9, 13; 14, 18), di natura angelica come il Tro-
no (entrambi parlano, emettono voci: Ap 9, 13; 16, 7.17; 19, 5; 21, 3-4, ri-
spettivamente), incensieri per le preghiere dei santi (Ap 8, 3-4), trombe (Ap
8, 2.6 e ss.), infine, officianti, sia angeli sia giusti ed eletti, che servono come
sacerdoti dinanzi al Trono (Ap 8, 2-5; 15, 5-8; 7, 9-15). È qui l‘origine ulti-
ma e il vertice della creazione (Ap 4, 11): da qui procedono le rivelazioni
(cfr. Ap 1, 1-2; 1, 12-16 e 15, 1.6; 17, 1; 21, 9-10; 5, 1 – 10, 11; 14, 13; 22,
6.16-20) e l‘instaurazione del regno di Dio e della sua giustizia (Ap 8, 8-11;
14, 14-20; 16, 1-17; 19, 1-2.6; 21, 1-3); qui ritornano le lodi di tutte le crea-
ture, in un movimento verticale unificante, dal basso verso l‘alto (Ap 5, 13-
14).
La mappa che abbiamo disegnato, seguendo Giovanni, non ha nulla di
teorico o speculativo: la cosmologia antica si fa, contemporaneamente, trac-
ciato e residuo dell‘esperienza, topografia di un contatto con il mondo so-
prannaturale che quell‘esperienza, a sua volta, modella, inserendola nel pro-
46
prio ordine e nelle proprie dinamiche di comunicazione .

44
Gli uccelli impuri, in quanto tali, sono associati a demoni e spiriti impuri come fauna
delle rovine.
45
Cfr. Charlesworth, 1986; Park, 1997, pp. 157-165 e 185-196; Lupieri, 2000, ad locc.,
e pp. xlvi-xlviii; Malina – Pilch, 2000, ad locc.; Malina, 2002, pp. 19-23; 32-35; 39-40; 43.
46
Cfr. Thompson, 2003b, pp. 138-140. Sulla visione del trono (Ap 4 – 5) fra esperienza
e tradizione letteraria, cfr. anche Rowland, 2006, e Afzal, 2006.
42 Capitolo primo

3. IL LINGUAGGIO DELLA RIVELAZIONE

A più riprese Giovanni usa l‘espressione «ejn pneuvmati» come sintesi


ed interpretazione chiave della propria esperienza visionaria, due volte intro-
ducendola con «ejgenovmhn» (Ap 1, 10 e 4, 2), due volte con «ajphvnegkevn
me», soggetto un angelo (Ap 17, 3 e 21, 10). Proporre una ricostruzione di
questa esperienza implica quindi innanzitutto illuminare il significato cultu-
rale della formula di caso in caso, nella misura in cui essa accenna alla rifles-
sione stessa di Giovanni sulla percezione del proprio stato nello snodarsi del
47
processo rivelativo .
Prima, però, un rapido sguardo alla concezione generale dell‘uomo che
emerge dal testo, e alla complessa costellazione semantica che il termine
pneu'ma evoca.

3.1 L‟antropologia giovannea

Analiticamente, l‘essere umano è costituito di sangue, su cui la vita


scorre via (Ap 6, 10; 16, 6; 17, 6; 18, 24; 19, 2), carne (Ap 17, 16; 19, 18.21)
e yuchv o pneu'ma, che la vita infondono (yuchv: Ap 12, 11 e cfr. 8, 9 e 16, 3;
pneu'ma: Ap 11, 13 e cfr. 13, 15), e producono linguaggio (cfr. Ap 13, 15) ed
emozioni, come il desiderio (Ap 18, 14).
Il nou'~ è la sede di e la facoltà intellettiva stessa che calcola, decifra ed
interpreta, ed acquisisce e possiede sapienza (cfr. Ap 13, 18 e 17, 9).
Cuore (Ap 2, 23; 17, 17; 18, 7) e reni (Ap 2, 23) covano pensieri, deci-
sioni, azioni.
Olisticamente, può essere individuato in quanto tale come sw'ma o yuchv
(Ap 18, 13), indifferentemente prima (ibid.; cfr. anche Ap 12, 11) o dopo la
morte (Ap 6, 9: le «anime» gridano, hanno una voce, quindi probabilmente
48
anche bocca e lingua, possono indossare vesti, e «riposare» ; e 20, 4).

47
Cfr. Boll, 1914, pp. 4-6; Moering, 1920; Festugière, 1944, pp. 313-317; Schweizer,
1959, in particolare, pp. 447-449; Russell, 1964, in particolare, pp. 140-157; 359; 377-379;
Jeske, 1985 (più utile per status quaestionis ed ulteriore bibliografia che per conclusioni o
altro); Bauckham, 1993a, in particolare, pp. 150-159; Schimanowski, 2002, in particolare, pp.
78-83; Thompson, 2003b, pp. 138-141.
48
Cfr. lo snodo argomentativo di Tertulliano, An. 8, 4-5.
Tra visione e testo letterario 43

49
3.2 Lo «spirito» nell‟Apocalisse

Il termine pneu'ma in Ap ricorre in un ampio spettro di significati. Può


essere, come abbiamo già visto, il soffio vitale infuso in ciò che è inanimato
(da Dio: Ap 11, 13; dalla bestia che sale dalla terra: Ap 13, 15), in questo
50
senso parzialmente sovrapponendosi al campo semantico di yuchv ; può indi-
care una o più entità celesti e/o demoniache nella loro natura ―ventosa‖, invi-
sibile e sovraumana (Ap 1, 4; 3, 1; 4, 5: in coincidenza con la loro natura i-
51 52
gnea ; 5, 6; 8, 2; 16, 13-14; 18, 2) ; con o senza il genitivo «th'~ pro-
fhteiva~», ma sempre con l‘articolo, individua, in quanto tale,
l‘insufflazione della potenza divina, ispiratrice della testimonianza
dell‘angelo – angelo di Dio, del Signore e dello Spirito di profezia, dunque –
che, da un lato, schiude le visioni e, per mezzo della scrittura, si deposita e
parla nel libro (Ap 2, 11.17.29; 3, 6.13.22; 14, 13; 19, 10, in parallelo a 22, 6.
16), dall‘altro, indirizza ed eleva al Signore risorto l‘invito a venire,
all‘unisono con la preghiera della Sposa (Ap 22, 17); è, infine, quella parte,
stato, condizione – senza soluzione di continuità fra questi tre aspetti –
dell‘essere umano, che funge da sede di visioni e rivelazioni ―profetiche‖, e
si oggettiva in una modalità di esistenza pneumatica (Ap 22, 6; cfr. 1, 1-2;
53
19, 10; 22, 16) .

3.3 La formula e l‟esperienza

Le brevi osservazioni a margine, sopra svolte, e un po‘ tutti questi usi,


credo, in particolare, l‘ultimo descritto, e comunque il loro denominatore
comune, ovvero la concezione del pneu'ma come soffio soffiato, come mate-
ria, essenza ―aerea‖ (cfr. il suffisso -ma), normalmente invisibile e impercet-

49
Cfr., da ultimo, pur se con un‘eccessivo interesse a indugiare in speculazioni pneuma-
tologiche unitarie, il breve contributo di Hahn, 2005.
50
Cfr. Euripide, Hec., 571; 1 En. 22, 3-7; Gdc 15, 19 LXX; Apoc. Mos. 31; Gius. Asen.
19, 3; Or. sib. 4, 46; Mt 27, 50; Lc 8, 55; Gv 19, 3; At 7, 59; PGM V, 462; Porfirio, Vit. Plot.
2.
51
Cfr. Sal 103, 4 LXX, citato anche in Eb 1, 7; 1 Clem. 36, 3 e Gn Rab. 21, 13; 4Q403
fr. 1 I, 43 e II, 8-9; 4Q405ShirShabbf fr. 23 I, 8-9; 2 En. 20, 1; 22, 8-10; 37; Pr. Gius. (citata
in Origene, Comm. Jo. 2, 189-190); 3 En. 2, 1; 6, 1-2; 15 e 35, 6.
52
Cfr. 1 En. 15, 6-10; Nm 16, 22 e 27, 16 LXX; Flavio Giuseppe, A.J., 4, 108; At 23, 8;
Eb 12, 9; 1 Clem. 59, 3 e 64, 1; Ps.-Clemente, Hom. 3, 33 e 8, 12; PGM V, 467 e XII, 262;
P.Warr. 21, 24.26.
53
Cfr. 1 Ts 5, 23; 1 Cor 7, 34; 2 Cor 7, 1, e, in particolare, 1QH 20, 11-13; 1 Cor 14,
2.14-16 (in opposizione a nou'~).32; Od. Sal. 6, 1-7. Cfr. anche il commento di Aune 1997 ad
Ap 4, 1, e 1998b ad Ap 22, 6, con le rapide, ma incisive annotazioni di Pesce, 1985, pp. 425-
426.
44 Capitolo primo

tibile, dell‘uomo e di creature sovraumane, proiettano luce sulle quattro oc-


correnze che più ci interessano.
Le prime due sono simili per struttura formale, uguali e diverse per le
sfumature di significato che emergono dai rispettivi contesti: in 1, 9-10, Gio-
vanni scrive di essere arrivato sull‘isola chiamata Patmos («ejgenovmhn ejn th'/
nhvsw/ th/' kaloumevnh/ Pavtmw/»), e di essere entrato in «spirito» nel giorno del
Signore («ejgenovmhn ejn pneuvmati ejn th'/ kuriakh'/ hJmevra/»). Grammatical-
mente, ejgenovmhn può fungere da aoristo tanto di giv(g)nomai quanto di eijmiv,
54
e quindi denotare indistintamente moto o stato ; ejn delimita il luogo, lo spa-
55
zio del moto e/o dello stato , nel primo caso, luogo, spazio geografico, nel
56
secondo, luogo, spazio antropologico .
Giovanni passa in una condizione e funzionalità psico-fisica in cui è
possibile sentirsi muovere e cadere a terra come morto (Ap 1, 12-19) e, al
contempo, individuare e percepire attivamente con l‘udito, la vista ed il tatto
(Ap 1, 10.12.17) la presenza di un essere sovrannaturale. Evidentemente,
l‘accesso alla realtà altra presuppone l‘ingresso in questo stato sensoriale ec-
cezionale, non ordinario, che Giovanni cerca di spiegarsi e interpretare a po-
steriori come «spirito», come esistenza ―pneumatica‖ che mantiene le fun-
zioni percettive e intellettive del corpo, allineando però la natura dell‘essere
umano a quella della realtà sovraumana che invisibilmente lo circonda (cfr.
57
Ap 1, 4; 3, 1; 4, 5; 8, 2), e permettendo così il contatto .

54
Cfr. LSJ, s.v. giv(g)nomai, II. 3 e BDAG, s.v. givnomai, 5c e 6a. Vedi anche BD § 98.
Nell‘Apocalisse, h[mhn conserva il suo valore imperfettivo. Solo in un caso, si allinea ad ejge-
novmhn, ma nel senso di «esistere, venire in esistenza» (Ap 4, 11; cfr. v.l. ejgevnonto 2329; Gn
1, 3.6.9 LXX; Sal 32, 9 LXX; Sap 1, 14; Gv 1, 2; 2 Cor 5, 17; Ap 21, 5-6). «ejgevneto» corri-
sponde di fatto a «h\lqen» in Ap 11, 15 e 12, 10 (cfr. 11, 17-18 e 19, 6-7).
55
Anche Giovanni, per quanto raramente, confonde ejn e eij~: cfr. Ap 11, 11 (contro Ez
37, 10 LXX!) e 15, 8; 21, 27; 22, 14; Ap 1, 11 e 1, 3; 13, 8; 20, 12.15; 21, 27; 22, 18-19. Cfr.
BD § 202, 2; 205-206; 218; LSJ, s.v. ejn, A. I. 8; BDAG, s.v. ejn, 2b e 3.
56
Entrambe le possibilità sono attestate, per esempio, in At 13, 4-5 (navigazione da Se-
leucia a Salamina) e 12, 11 (da sonno e successiva ―trance‖ a stato normale di veglia); 22, 17
(da stato di veglia a ―trance‖). Cfr. Lisia, Or. 24, 25; Plutarco, Aem. 39 e Def. orac. 432d;
Appiano, Lyb. 104; Elio Aristide, Or. 50, 5 e 51, 8.29; Mc 9, 33; 2 Tm 1, 17; Herm. Vis. 3, 9,
4; Policarpo, Phil. 3, 2; Mart. Pol. 5; Egesippo in Eusebio, H.E. 4, 22, 2; Anonimo anti-
montanista in Eusebio, H.E. 5, 16, 4 e 7 (sull‘estasi di Montano); Atti Piet. Paolo 14 e 24; An.
Pil. recc. A e B, 11. Plutarco, Def. orac. 432 d, è particolarmente interessante: «ejxivstatai
(scil. to; mantiko;n th'~ yuch'~) de; kravsei kai; diaqevsei tou' swvmato~ ejn metabolh/' gignomev-
nou h}n ejnqousiasmo;n kalou'men» (corsivo mio), tanto più che, contemporaneamente, sul ver-
sante divino, l‘ejnqousiasmov~ è individuato come produrre visioni (fantasivai) e luce (fw'~)
sul futuro (Pyth. orac. 397c). Cfr. anche Zahn, 1924, p. 180 e n. 4. Per il resto, in 1 Cor 11,
18, Paolo può scrivere «sunercomevnwn uJmw'n ejn ejkklhsiva/», intendendo uno spazio (cfr. 11,
20) individuato dal radunarsi dei seguaci di Gesù a Corinto come comunità (cfr. 14, 23 e 26).
57
Cfr. Moering, 1920, pp. 150-151, e Kraft, 1974, p. 95. Interessante anche la
spiegazione di Ecumenio, Comm. Apoc. 1, 23 (X sec.d.C.): «o} ei\pen ejgenovmhn ejn pneuvmati
deivknusin mh; aijsqhth;n mhde; sarkikoi'~ wjsi;n h] ojfqalmoi'~ oJrwmevnhn ijdei'n ojptasivan,
Tra visione e testo letterario 45

In Ap 4, 1-2, Giovanni racconta di aver visto una porta aperta in cielo e


udito la prima voce di nuovo chiamarlo ed esortalo a salire. Segue di nuovo
la formula: ejgenovmhn ejn pneuvmati, e Giovanni si ritrova oltre la volta cele-
ste a contemplare il Trono e la corte divina.
Non vedo come si possa sfuggire alla conclusione che in questo passo
genevsqai ejn pneuvmati copra in pieno l‘esperienza dell‘ascensione attraver-
58
so il firmamento . Al che è sottesa senza dubbio l‘idea che, attraverso questa
trasformazione, Giovanni si possa elevare fino alle altezze dove Dio dimora,
per poi ancora vedere (passim), udire (passim), parlare (Ap 7, 14), piangere
abbondantemente (Ap 5, 4), inghiottire (Ap 10, 10), assaporare (ibid.), prova-
re amarezza di stomaco (ibid.), di nuovo cadere ai piedi di un angelo (Ap 19,
10 e 22, 8), senza, con ciò, riferirvisi mai in terza persona, come di un altro
(cfr. Ap 1, 9 e 22, 8). Identità e superamento dei limiti imposti dalla corpo-
reità umana ordinaria, dunque: lo «spirito» è lo stato in cui l‘essere umano
può sperimentare di varcare il confine che separa la terra, la realtà ordinaria,
e il cielo, la realtà altra, è il punto di rottura tra le due, raggiunto guidando
nella seconda il proprio sé fisico, altrimenti un intruso, così da percepirla
59
correttamente .
Giovanni prosegue il suo resoconto: «ejn pneuvmati» un angelo lo ha
portato via prima in un deserto (Ap 17, 3), poi, su un monte grande e alto (Ap
21, 10). In «spirito», quindi, anche le distanze tra i luoghi si accorciano fino
ad annullarsi, in «spirito» si sperimenta quella sospensione temporanea
60
dell‘esistenza fisica che di fatto le accorcia ed annulla .

ajlla; profhtikoi'~, peri; w|n pneumatikw'n ajkow'n e[legen oJ ÆHsai?a~» (corsivo mio). Già
Filone, Decal. 32-35, supponeva che sul Sinai la potenza divina avesse emanato una voce so-
prannaturale, «che immetteva un udito diverso nelle anime di ciascuno, molto superiore a
quello in funzione attraverso le orecchie (35; cfr. Origene, Cels. 2, 72 e 6, 72); l‘autore di Ef
pregava che il Dio di Gesù e padre della Gloria concedesse ai destinatari «pneu'ma sofiva~ kai;
ajpokaluvyew~ ejn ejpignwvsei aujtou', pefwtismevnou~ tou;~ ojfqalmou;~ th'~ kardiva~ uJmw'n »
(Ef 1, 17-18 [corsivo mio]).
58
Contro Jeske, 1985, p. 456.
59
Con Moering, 1920, pp. 151-153; Festugière, 1944, pp. 315-317; Russell, 1964, p.
167 e n.1; Lindblom, 1968, pp. 39-41 e 45: «bei den ekstatischen Entrückungen ist es der
Pneumamensch, der entrückt wird, während der Körper auf Erden bleibt» (p. 41). Cfr. anche
le osservazioni di Goodman, 1989, passim; Malina, 2002, pp. 40-42; Malina – Pilch, 2000,
pp. 4-8; Thompson, 2003b, pp. 140-141. Pace Bauckham, 1993a, p. 153 e n.5: se è vero che
in Ap 11, 12 lo stesso ordine di 4, 1, si riferisce a una traslazione fisica dei due testimoni, è
anche vero che lì manca genevsqai ejn pneuvmati, sostituito da «kai; ajnevbhsan eij~ to;n oujra-
no;n ejn th'/ nefevlh/». Il che mi pare piuttosto sottolineare una differenza sostanziale tra le due
esperienze e, per converso, quindi, la non fisicità di quella di Giovanni (cfr. T. Ab. rec. B 8, 1-
6: il patriarca viene caricato «ejn swvmati» su una nuvola). Ancora Ecumenio, Comm. Apoc. 3,
5, 3-4, scrive: «kai; ejn pneuvmati ajnelqwvn — ouj ga;r swmatikh; oujd‘ aijsqhth; gevgonen hJ
a[nodo~ —, oJrw', fhsiv, to;n qrovnon». Che i due ejn abbiano però simile valore locale-
strumentale?
60
Cfr. Lindblom, 1963, pp. 129-130 e 197-198, e Pilch, 2004, pp. 65-67.
46 Capitolo primo

Un rapido confronto sinottico con le tentazioni di Gesù ed il ―rapimen-


to‖ di Filippo può illuminare, per contrasto e per analogia.
Gesù viene spinto (Mc 1, 12), fatto salire (Mt 4, 1) o condotto (Lc 4, 1)
nel deserto, Filippo afferrato e trasportato ad Azot (At 8, 39), entrambi dallo
61
Spirito, entrambi fisicamente . Mentre Filippo scompare dalla vista
dell‘eunuco e può continuare a dedicarsi alla predicazione (At 8, 39-40), Ge-
sù, giunto nel deserto, digiuna per quaranta giorni e quaranta notti (Mt 4, 2 e
Lc 4, 2). Il digiuno lo prepara a vedere Satana, che lo accompagna sul pinna-
colo del Tempio, prima, e su un monte molto alto, immediatamente dopo,
nella versione matteana (4, 3-10). Luca ha l‘ordine degli spostamenti inverti-
to e il suo ajnagagwvn lascia implicitamente emergere solo un luogo soprae-
levato sullo sfondo del primo (4, 5-12). Fatto sta che la visione iniziale di
Satana stessa, la mappa e la successione a breve termine dei suoi movimenti,
la visione finale degli angeli al suo servizio nel deserto, comune a Mt e Mc
(Mt 4, 11 e Mc 1, 13), il ritorno, infine, in Galilea (Mc 1, 14; Mt 4, 12; Lc 4,
13-15), presi insieme, nelle diverse versioni, suggeriscono che Gesù non sia
mai immaginato spostarsi fisicamente dal deserto: si sarebbe trattato quindi,
nel linguaggio di Giovanni, di un‘esperienza «ejn pneuvmati».

3.4 Una comparazione

Il formulario giovanneo, in tutta la sua densità, quasi criptica, non rima-


ne un‘interpretazione o teoria culturale isolata. Alcuni paralleli, nelle loro
corrispondenze, possono aiutarci a ricostruirne e ridefinirne la complessità.
In 1 En. 70, 1 – 71, 3 (siamo probabilmente intorno alla seconda metà
del I sec.a.C.), «nome», «io» e «il mio spirito» si alternano come soggetto
della ascensione nei cieli:
«Ed avvenne, dopo di ciò, che il mio spirito si nascondesse e salisse nei cieli. Vidi i
figli degli angeli camminare su fiamme di fuoco e i loro vestiti, ed anche le loro tu-
niche (erano) bianche e la luce del loro volto (era) come grandine. E vidi due fiumi
di fuoco e la luce di questo fuoco splendeva come giacinto ed io caddi sul mio volto,
innanzi al Signore degli Spiriti. L‘angelo Michele, uno degli arcangeli, mi prese per
la mano destra e mi fece alzare e mi condusse […]. E caddi sulla mia faccia e tutto
il mio corpo si disciolse, il mio spirito si modificò e chiamai a gran voce, con spirito
di forza, e benedissi, magnificai ed esaltai. E quelle benedizioni che uscivano dalla

61
Cfr., in particolare, la corsa di Elia dal Carmelo a Izreel, davanti al carro di Acab, sot-
to l‘impulso della «mano di JHWH» (1 Re 18, 45-46) e i suoi – solo accennati – imprevedibili
spostamenti causati dallo «spirito di JHWH» (1 Re 18, 12 e 2 Re 2, 16).
Tra visione e testo letterario 47

mia bocca eran gradite al cospetto di questo Capo dei Giorni» (71, 1-3.11-12 [corsi-
62
vo mio]) .

Nell‘arco di circa tre secoli e mezzo dopo, tre testi, tre gruppi di seguaci
di Gesù.
L‘Ascensione di Isaia (seconda metà I – inizi II sec.d.C.) descrive la
trance del profeta come innalzamento da lui dell‘intelletto (probabilmente
dialogismov~, nell‘originale greco perduto) o della sapienza di questo mondo
(6, 10-11.17). Isaia, liberatosi temporaneamente dalla carne straniera (8,
11.14.27; 9, 5), viene preso per mano dall‘angelo con cui ha il potere di par-
lare, nonostante la sua bocca taccia (6, 11 e 7, 3), e condotto fino al settimo
cielo. La «gloria del suo volto» man mano si trasforma (7, 25), lui si spaven-
ta e trema (9, 1), fino a giungere alla contemplazione di Dio: «e vidi una
Gloria grande, essendosi aperti gli occhi del mio spirito» (9, 37 [corsivo mi-
63
o]) .
Nelle Odi di Salomone (prima o seconda metà del II sec.d.C.), ad essere
elevati si succedono il cuore, le membra rafforzate ed il corpo guarito (18, 1-
3), e l‘«anima-io», a mani stese (35, 7), oppure in passaggio davanti al volto
di Dio, dopo aver rivestito un corpo di luce (lett. «e furono a me membra alla
mia anima [o a me stesso]»), e senza essere più afflitta da dolore, afflizione o
64
sofferenza (18, 2-4.6; cfr. anche 11, 11-23; 36, 1-6; 38, 1-2) .
L‘Apocrifo di Giacomo (II-III sec.d.C.) si chiude sull‘esperienza non
completa di un viaggio celeste di Giacomo e Pietro:
«Dopo che ebbe detto queste cose (scil. Gesù), se ne andò, ma noi piegammo le gi-
nocchia, io e Pietro, e ringraziammo e inviammo il nostro cuore (hēt) su in cielo e
udimmo nelle nostre orecchie e vedemmo nei nostri occhi […]. E quando passammo
oltre quel luogo, inviammo la nostra mente (nou'~) più su e vedemmo nei nostri occhi
e udimmo nelle nostre orecchie […]. Dopo queste cose, volemmo ancora inviare il
nostro spirito (pneu'ma) in alto, ai piedi della Maestà ma quando salimmo non ci fu
65
permesso di vedere o udire nulla» (15, 6-25 [corsivo mio]) .

62
Seguo la traduzione di L. Fusella in Sacchi, 1981, pp. 570-571. Cfr. Apoc. Seth in
CMC 51, 1-20.23: all‘apparire dell‘angelo «si mutò il mio pensiero (frovnhsi~) e divenni (ej-
genovmhn) come uno degli angeli più grandi». Segue il rapimento nei cieli.
63
Traduzione del testo etiopico di E. Norelli, in Bettiolo – Giambelluca Kossova – Le-
onardi – Norelli – Perrone, 1995.
64
Testo siriaco in Charlesworth, 1977 (la traduzione è mia). Commenta Aune, 1982, p.
438: «For the Odist [...] prophetic inspiration involves the (temporary) cessation of mortal
weakness and corruption, a notion very similar to a very popular Greek theory of divine inspi-
ration which viewed the physical body as a hindrance to the inherently prophetic powers of
the soul». Avremo modo di precisare questa affermazione; per ora, cfr. Plutarco, Def. orac.
431d-432f, e Filone, Migr. 190-192.
65
Testo copto in Williams, 1985 (la traduzione è mia).
48 Capitolo primo

Concezioni simili trovano spazio anche nelle istruzioni per intraprende-


re un viaggio celeste e ottenere un oracolo, contenute nel grande papiro ma-
gico di Parigi (PGM IV, 475-750; III-IV sec.d.C.). Queste dimostrano ancora
66
una volta come sotto i testi letterari, a cui per lo più ci siamo limitati , si
possa e si debba intuire il profilo di pratiche diffuse che si traducono in in-
terpretazioni culturali e linguaggio simili, quando non comuni.
Nel nostro caso, si prescrive una purificazione preparatoria perché, in
uno stato temporaneo di santità, la natura umana corruttibile stia ferma
(e[sthka). Solo così ciò che ad un mortale è proibito diventa realizzabile:
sperimentare di non essere più in sé (725: «oujk ejn seautw'/ e[sei», di fatto
costruzione corrispondente, via negationis, a «ejgenovmhn ejn pneuvmati»!), di
salire nei cieli (sunavneimi) e, dopo essere stato rigenerato nel pensiero (nov-
hma), contemplare (ejpopteuvw/katopteuvw) il Principio immortale e
l‘immortale Aion, con lo «spirito immortale» (to; ajqavnaton pneu'ma) e gli
«occhi immortali» (ta; ajqavnata o[mmata) (504-535).
Ad un certo momento dell‘ascesa (538-541), in cielo si incontreranno
delle porte chiuse: dopo aver pronunciato ancora una volta la parola «silen-
zio», prosegue immediatamente il papiro, «apri gli occhi e vedrai aperte le
porte e il mondo degli dei che è dentro le porte, così che dal piacere della
visione e dalla gioia il tuo spirito (to; pneu'mav sou) corra insieme e salga (aj-
nabaivvnw)» (625-629 [corsivo mio]). La somiglianza con Ap 4, 1-2 non do-
67
vrebbe a questo punto più stupire né tantomeno fare problema .

3.5 Controprove

Restano due silenzi ed una contrapposizione escatologica, tutti densi di


significato e di riflessioni, come cartina di tornasole per chiarire il duplice
risvolto dell‘esperienza ejn pneuvmati.
P.Oxy. 1381 (II sec.d.C.) racconta una apparizione simultanea del dio
Asclepio ad un malato e a sua madre (91-140). Il giovane è sprofondato nel
sonno, la donna lo accudisce cercando a tutti i costi di rimanere sveglia e ve-
68
de la «fantasiva» divina entrare (108-113) : la statura sovrumana
66
L‘elenco potrebbe essere ancora più lungo, cfr. Filone, Opif. 70, 71; Her. 69-70;
Spec. 2, 44-45 e 3, 1-6, dove si parla anche di occhio (o[mma) del pensiero o dell‘anima; Plu-
tarco, Gen. Socr. 590b-592e, e Sera 563d-f; Zost. 4, 20 – 7, 22 (NHC VIII, 1); Corp. herm.
10, 25 e 11, 18-19; Anth. pal. 9, 577, senza contare la parodia lucianea dell‘Icaromenippo.
Ulteriori materiali e discussione in Bousset, 1960; Colpe, 1967; Himmelfarb, 1988.
67
Cfr. anche i rispettivi prologhi, PGM IV, 475-485 e Ap 1, 1-3.
68
Il contemporaneo Plutarco scriveva in Pyth. orac. 397c che l‘ejnqousiasmov~ è
l‘«immettere» fantasivai nell‘anima umana. Cfr. l‘uso di fantavzomai in Elio Aristide, Or.
50, 48, ad introdurre il resoconto di una sua «visione di sogni», ed in Corp. herm. 13, 11, a
Tra visione e testo letterario 49

dell‘essere comparso e lo splendore delle vesti di lino che lo avvolgono do-


minano la visione (cfr. Ap 1, 13-16). La percezione «di‘ o[yew~» della madre
tremante (cfr. Ap 1, 17) è messa in parallelo a e copre di fatto il «di‘ ojnei-
ravtwn ejfantasiwvqhn» del figlio (139-140), anche, e soprattutto, in quanto
stato, diremmo, psico-fisico: è una condizione alterata, evidentemente affine
69 70
all‘ebbrezza , da cui si rientra in sé, ancora in stato di veglia , e recuperando
la normale sobrietà (ajnanhvfw), allo scomparire dell‘epifania divina (124-
125).
Ad esemplificazione della sua ricchezza di visioni e rivelazioni, Paolo
descrive l‘esperienza di un rapimento estatico fino al terzo cielo e al paradiso
(2 Cor 12, 2-4). La natura di traslazione nella sfera celeste e nel mondo divi-
no dell‘esperienza stessa – per lo meno quale viene percepita e successiva-
mente riportata – e l‘audizione sovraumana in cui culmina insinuano
nell‘apostolo il dubbio che il corpo fisico non vi sia stato coinvolto come
luogo o mezzo (cfr. 12, 2: ejn/ejktov~, dentro/fuori, e 12, 3: ejn/cwriv~,
con/separatamente da) e prospettano, con ciò, la possibilità di una forma al-
tra di stato corporeo e attività sensoriale, pur senza nominarli a chiare lette-
71
re .
Ad integrare questo silenzio, possono venirci in aiuto alcune riflessioni
ancora di Paolo sulla resurrezione: secondo 1 Cor 15, 44, il corpo seminato
«yucikovn», ovvero carne e sangue corruttibili (cfr. 50), è resuscitato «pneu-
matikovn». Al primo Adamo, prosegue Paolo, divenuto «yuchv» vivente, suc-
cederà l‘ultimo Adamo, passato a «pneu'ma» vivificante (15, 45). La tra-
sformazione, qui prospettata come nuovo atto di creazione, è incentrata sul
corpo, e ha già coinvolto la vicenda di Gesù, in quanto antitipo di Adamo
(cfr. Rm 5, 14-15). Si estende poi anche all‘esperienza dei suoi seguaci, per

tradurre la percezione visiva raggiunta non con la vista fisica né con il corpo (13, 3: «swvmati
kai; oJravsei») o gli altri sensi ormai chiusi (13, 6) ma con la nohtikh; ejnevrgeia, sviluppata
nell‘estasi (13, 4: maniva; oi[strhsi~ frenw'n), come in un sogno senza sonno (ibid.).
69
Sempre Plutarco, Def. orac. 432e, scrive: «qermovthti ga;r kai; diacuvsei povrou~ ti-
na;~ ajnoivgein fantastikou;~ tou' mevllonto~ eijko;~ ejstin (scil. to; mantiko;n rJeu`ma kai;
pneu`ma), wJ~ oi\no~ ajnaqumiaqei;~ e{tera polla; kinhvmata kai; lovgou~ ajpokeimevnou~ kai;
lanqavnonta~ ajpokaluvptei» (corsivo mio).
70
Nell‘esperienza del visionario, i confini tra veglia e sonno possono oscillare e con-
fondersi. Cfr. Elio Aristide, Or. 48, 32-33 e 51, 31; Ps.-Filone, L.A.B. 28, 6-7 («expergefac-
tus»); Plutarco, Gen. Socr. 590b; Corp. herm. 1, 1; Massimo di Tiro, Diss. 9, 7; Giamblico,
Myst. 3, 2.
71
Cfr., per converso, l‘ordine di Dio a Michele in T. Ab. rec. B 8, 1: «ajnalabou' ejn
swvmati». Sulla pericope paolina, cfr. Lincoln, 1979; Segal, 2008; Lietaert Peerbolte, 2008;
Shantz, 2008. Segal (2008, p. 22) arriva ad una conclusione complementare, in negativo, alla
nostra, quando scrive che «not being sure of whether the ascent took place in the body or out
of the body is the same as saying that one is not taking account of the Platonic concept of the
soul».
50 Capitolo primo

quella conformità di destini con il loro Signore stabilitasi nel battesimo (cfr.
Rm 6, 3-5): non ci può essere «kainh; ktivsi~» se non in Cristo (2 Cor 5, 17).
Ora, se il Signore è «to; pneu'ma» (2 Cor 3, 17) e chi si congiunge al Signore
è un unico «pneu'ma» con Lui (1 Cor 6, 17; cfr. anche 12, 13), questo legame
e dunque la nuova creazione si realizzano e confermano in tutte quelle mani-
festazioni (fanevrwsi~) estatiche che Paolo specifica come «dello Spirito»
(1 Cor 12, 7) e che scandiscono le riunioni della comunità. La trasformazio-
ne corporea che si completerà solo alla fine dei tempi (cfr. 1 Cor 15, 51-52 e
Fil 3, 21) si ritrova quindi anticipata e prefigurata anche nella rivelazione di
misteri, nelle preghiere, nei salmi «in spirito» (1 Cor 14, 2.14-16), e negli
pneuvmata stessi dei profeti (1 Cor 14, 32), tutti interpretabili come veri e
propri momenti di passaggio nella nuova condizione di esistenza acquisita e
insieme prossima a svelarsi permanentemente, lo pneu'ma/sw'ma pneumati-
72
kovn, appunto .

3.6 Duplicità e olismo: verso una conclusione

«Anche noi divenimmo come corpi (sw'ma) spirituali (pneu'ma): i nostri occhi si a-
prirono da ogni lato, e l‘intero luogo si rivelò di fronte a noi. Ci avvicinammo ai cie-
li ed essi si sollevarono gli uni contro gli altri. I guardiani delle porte furono turbati e
gli angeli si impaurirono e fuggirono […] Credevano che sarebbero stati tutti distrut-
ti. Vedemmo il nostro Salvatore dopo che aveva attraversato tutti i cieli» (Vang.
73
Salv. fr. 100, 33-51 [corsivo mio]) .

Senso di una percezione dilatata, dischiusa, ed esperienza


dell‘ascensione emergono in contorni netti da questo frammento del Vangelo
del Salvatore. Di questa duplicità credo viva anche il linguaggio di Giovanni
(cfr. Ap 1, 10-17, e 4, 1-2), quel suo (ejgenovmhn) ejn pneuvmati che vuole af-

72
Sull‘infusione del soffio di vita/spirito di Gn 2, 7 nel visionario e la sua trasformazio-
ne, cfr. Ez 2, 1-2; Gv 20, 22; Apoc. Sem in CMC 57, 17-21. Affrontano e discutono la conver-
genza di discorso sulla nuova creazione, esperienze estatiche e trasformazione interiore De-
stro – Pesce, 1998b, pp. 187-191 e 193-195; Segal, 1999, pp. 259-267, e 2008; Lampe, 2006,
pp. 123-129; Shantz, 2008, pp. 195-205. Sempre Segal (1980, pp. 1341-1342) aveva già riflet-
tuto sul carattere di prefigurazione e anticipazione dell‘ascesa post mortem assunto dal viag-
gio celeste.
73
Cfr. anche fr. 113, 1-8.13-16.24-26: «[…] da tutti i cieli. Allora, noi gli apostoli, que-
sto mondo divenne come tenebra di fronte a noi, e noi divenimmo come coloro che sono negli
eoni della gloria […]. E vedemmo il nostro Salvatore, quando raggiunse il quarto cielo […].
Angeli ed arcangeli fuggirono». Testo copto in Hedrick – Mirecki, 1999 (la traduzione è mia).
Una diversa ricostruzione dell‘ordine delle pagine e dei frammenti è stata proposta da Emmel,
2002. Riserve su questa nuova ipotesi ha espresso, a sua volta, Hedrick, 2003.
Tra visione e testo letterario 51

ferrare e definire ciò che riferisce di aver sperimentato. Duplicità dello sve-
lamento e della percezione di uno stato non solo fisico, ricomponibile e og-
gettivabile olisticamente: che si chiami – e poi sia tradotta – «cuore», «ani-
ma», «mente», «intelletto» «pensiero, «sapienza» oppure «spirito»,
nell‘essere umano sembra coesistere una dimensione dell‘esistenza, distinta
dal corpo fisico, che ne condivide però struttura, proprietà e caratteristiche. È
corpo, è coscienza, ha una sua propria vita, quando si attiva.
L‘immaginazione giovannea condivide una sensibilità esperienziale tra-
sversalmente diffusa, non solo nel mondo antico74, ma la esprime secondo
categorie culturali specificatamente ebraiche: come yuchv (Ap 12, 11; cfr. 8,
9; 16, 3; 18, 13) rappresenta l‘uomo nella sua integrità corporea di essere vi-
vente fatto di carne e sangue (Ap 6, 10; 16, 6; 17, 6.16; 18, 24; 19, 2.18.21),
così pneu'ma lo individua complessivamente in una identità e coscienza sem-
pre percepite come corpo, ma radicalmente altre, in continuità ―materiale‖
con il mondo soprannaturale con cui l‘uomo è ora in grado di entrare in con-
tatto: angeli appaiono come corpi di pneu'ma che esce dal trono di Dio (cfr.
Ap 1, 4; 3, 1; 4, 5; 5, 6; 8, 2), e il Signore, che ha inviato l‘angelo a Giovan-
ni, è chiamato Dio degli «pneuvmata» dei profeti (Ap 22, 6), Dio dello «spiri-
to» che ciascun profeta ha e, dunque, è, come il perfetto parallelismo con il
sintagma «yucai; ajnqrwvpwn» (Ap 18, 13) dimostra (cfr. Ap 8, 9 e 16, 3: cre-
75
ature marine sono dette prima avere, poi, essere yuchv) . L‘uso di giv(g)nomai
segnala il passaggio dall‘una all‘altra condizione corporea, da «anima» a
76
«spirito», da «uomo» a «profeta», da creatura terrena a essere celeste .
Nell‘interpretazione di Giovanni, visioni ed esperienze estatiche si col-
locano nello stato non ordinario del sé così immaginato.

74
Come ha scritto C. Shantz, alla luce di studi psichiatrici recenti sugli stati alterati di
coscienza: «The body, as it has been known, is stripped away, and yet subjects continue to
know themselves as embodied» (2008, p. 202). Beneduce, 2006, p. 266, mutua da Paolo, at-
traverso É. de Rosny, la concezione di una compresenza nell‘essere umano di «corpo psichi-
co» e «corpo spirituale» per definire l‘orizzonte culturale, estetico ed antropologico dentro il
quale trance e possessione sono costruite e sperimentate come stati della mente e tecniche del
corpo.
75
Questa stessa sensazione di alterità, di non normalità dello stato di coscienza affiora
chiaramente nelle interviste a visionari moderni raccolte da Knoblauch, 2003, pp. 106-110,
pur nella prevedibile divergenza di linguaggio e categorie culturali utilizzati per descriverla ed
interpretarla.
76
Cfr. le analisi di Thompson, 2003b, pp. 140-141, e, in una prospettiva più generale,
Segal, 2006, pp. 27-30 e 39-40.
52 Capitolo primo

77
4. LO «SPIRITO» E L‘ESTASI: STORIA DI UNA VISIONE

Letterariamente, Ap si presenta come trascrizione autobiografica unita-


ria di più esperienze visionarie.
In quanto tale, da un lato, le copre e descrive, dall‘altro, coprendole e
descrivendole, le compatta e interpreta, creando l‘universo del testo, in tutta
la sua continuità e coerenza, scandita dai rimandi interni e, non ultimo, dalla
78
ricorrenza di «ejgenovmhn ejn pneuvmati» o «ajphvnegkevn me ejn pneuvmati» . Il
ripetersi di queste espressioni formulari non è detto tuttavia che non segnali
anche una sostanziale discontinuità, spaziale o temporale che sia, a livello
esperienziale. Il resoconto di Giovanni potrebbe riallacciarsi allora a visioni,
un viaggio celeste, traslazioni separati, in cui l‘autore ha voluto ravvisare un
79
filo conduttore, lasciandone sullo sfondo le fratture .
Il punto che mi preme ancora una volta rilevare è che non si danno né si
possono dare ingenuamente fatti senza interpretazione. Ap è, in quest‘ottica,
una riscrittura di ―trances‖ culturalmente filtrata, e non potrebbe essere al-
trimenti: quello che Giovanni ha visto è esistito per le sette chiese ed esiste
per noi solo nella misura in cui rappresenta quello che Giovanni ha dovuto e
creduto di vedere secondo modelli culturali e sociali di comportamento pre-
80
vedibili .
Essersi proposti, fin dove è possibile, di invertire il flusso di questo pro-
cesso che ha portato al testo, nella forma letteraria in cui lo conosciamo, e di
chiarire contesti, contorni e significati delle esperienze di Giovanni, come
dal testo esplicitamente o implicitamente emergono, si è già risolto e non
può che risolversi, dove il testo stesso taccia quanto dove esso parli, in una
interrogazione dei presupposti culturali. Questo si rivela possibile anche e
soprattutto in una prospettiva intertestuale: l‘inserimento dell‘Apocalisse in
una costellazione di testi che tradiscano un sostrato culturale comune e corri-
spondenze ideologiche precise ci ha già permesso e ci permetterà ancora di
vagliare ipotesi e prenderne successivamente in considerazione la plausibili-
81
tà storica .

77
Cfr. Filho, 2002, che tuttavia non va oltre un‘analisi della struttura del testo. Si limita
alla superficie narrativa e ad una prospettiva «storico-morfologica» anche il più recente e ge-
nerale contributo di Arcari, 2004.
78
Filho, 2002, pp. 213-215.225.229-231.
79
Cfr. Berger, 1992, pp. 218-219, e Pesce, 2001, pp. 93; 97-101; 103, e comunicazioni
personali.
80
Cfr. Pilch, 2004, pp. 74-76, e, nello specifico, Rowland, 2006, pp. 41-46 e 53.
81
Cfr. Destro – Pesce, 2004b, pp. 6-8 e 12.
Tra visione e testo letterario 53

4.1 Il soggiorno a Patmos

Giovanni apre il suo racconto dicendo espressamente di essere arrivato


a Patmos «dia; to;n lovgon tou' qeou' kai; th;n marturivan ÆIhsou'» (Ap 1, 9).
A cosa fa riferimento?
Partiamo da due punti fermi: il primo è che, in Ap, l‘endiadi «parola di
Dio e testimonianza di Gesù» definisce strettamente la rivelazione, le visioni
che Giovanni attesta e trascrive come parole di profezia (Ap 1, 1-3; cfr. Ap
82
19, 10 e 22, 9) . Il secondo è la sfumatura causale-finale che diav con accusa-
83
tivo può assumere e di fatto necessariamente assume nel nostro versetto,
84 85
come forse anche in 2, 3 (cfr. Ap 2, 13 e 3, 8) . Seguendo Bousset e Kraft ,

82
Cfr. Roose, 2000, pp. 37-47, in particolare, pp. 41-43, nonostante una tournure teolo-
gica ed esistenzialista di troppo, con inevitabili conclusioni generalizzanti che finiscono per
perdere di vista il testo.
83
Emblematico Gv 12, 9: «h\lqon ouj dia; to;n ÆIhsou'n movnon, ajllÆ i{na kai; to;n Lavza-
ron i[dwsin o}n h[geiren ejk nekrw'n», costruzione che suppone che la folla fosse venuta a ve-
dere sia Gesù che Lazzaro. Cfr. Tucidide 4, 40 e 5, 53; Platone, Resp. 367b e 524c; Aristotele,
Eth. nic. 1172b, 21; Flavio Giuseppe, A.J. 9, 84; Mc 2, 27; Gv 11, 42 e 12, 30; Rm 4, 23-24 e
1 Cor 9, 10 (diav) in parallelo a Rm 15, 4 (eij~) e 1 Cor 10, 11 (prov~); 1 Cor 11, 9; Epifanio di
Salamina, Pan. 2, 1, 63; Apophth. Patr. 292c. Questo uso si protrae fino in età bizantina e per-
siste nel neo-greco giav. Cfr. LSJ, s.v. diav, B. III. 2-3; Sophocles, 1887, s.v. diav, 6; BD §
222a. Mi sembra quantomeno significativo che Eusebio, H.E. 3, 18, 1, parafrasando Ap 1, 9,
usi e{neken per il diav di Giovanni.
84
Non è quindi esatto affermare che «in der Offb gibt diav mit Akkusativ immer den
Grund […] an», né che in 6, 9 e 20, 4 «lässt das dia, deutlich an eine Verfolgungssituation
denken» (Roose, 2000, pp. 41-42; cfr. anche, tra i tanti, Lohmeyer, 1953, p. 15, e, più recen-
temente, Prigent, 2000, p. 97 e Horn, 2005, in particolare, pp. 145-146). Per un verso, infatti,
in Ap 4, 11; 12, 11; 13, 14, il significato della preposizione sfuma sullo strumentale «in forza
di, grazie a», per l‘altro, in Ap 6, 9 e 20, 4, sono i participi a convogliare l‘idea dell‘uccisione
violenta, non la preposizione stessa, che rimane, per così dire, neutrale, indifferente. Tenendo
conto anche dell‘accezione formulare di «parola di Dio e testimonianza di Gesù» sopra rileva-
ta, e della menzione puramente di passaggio di Patmos quale semplice isola – e non quale
luogo d‘esilio, come spesso erroneamente supposto – in Plinio il Vecchio, Nat. 4, 69, vengono
a cadere tutti gli argomenti interni a favore di una supposta relegatio di Giovanni sull‘isola
(cfr. Thompson, 2003a, pp. 33-34). La tradizione ecclesiastica sulla persecuzione imperiale ai
danni dell‘apostolo Giovanni, apparentemente sconosciuta a Ireneo, che forse, però, già data il
testo (o Giovanni in vita? Cfr. Haer. 5, 30, 1 e 3) sotto il regno dell‘ultimo dei Flavi, è attesta-
ta chiaramente solo a partire da Clemente d‘Alessandria (Quis div. 42: liberazione dopo la
morte di un innominato tiranno) e Tertulliano (Praescr. 36, 3: relegatio da Roma, dopo un
fallito tentativo di immersione nell‘olio bollente; manca il nome dell‘imperatore) in poi (Ori-
gene, Hom. Matt. 7, 51 e 16, 6; Vittorino di Petovio, Comm. Apoc. 10, 3; Eusebio, H.E. 3, 20,
9 e 3, 23, 1; Girolamo, Vir. ill. 10; Paolo Orosio, Hist. 7, 10, 5, tutti unanimi sul nome di Do-
miziano). Piuttosto che fondarsi su fonti esterne autonome, questa tradizione sembra essere
nata da una riflessione esegetica sul testo simile a quella moderna, sostenuta dallo scarno ac-
cenno di Ireneo, e comunque circondata fin da subito di un alone leggendario (testi, discus-
sione e ricostruzione in Horn, 2005, pp. 147-159). Sulla dubbia storicità di una persecuzione
domizianea ai danni dei cristiani, cfr., ora, Thompson, 1990, in particolare, pp. 95-115, e
2003a, pp. 26-36; Ulrich, 1996, pp. 269-289; Riemer, 1998, in particolare, pp. 12-33 e 53-62;
54 Capitolo primo

proprio sulla scorta di Ap 1, 1-3, potremmo quindi parafrasare: «ejgenovmhn


ejn th/' nhvsw/ th/' kaloumevnh/ Pavtmw/ i{na marturhvsw to;n lovgon tou' qeou'
kai; th;n marturivan ÆIhsou'».
Detto questo, però, non abbiamo ancora risposto alla domanda, abbiamo
semplicemente riformulato il pensiero: la ragione dell‘arrivo a Patmos va
cercata nella rivelazione di Gesù Cristo, nell‘Apocalisse stessa; Giovanni è
giunto sull‘isola per testimoniarla, ovvero riceverla e trasmetterla. Di nuovo
allora: che cosa significa?
Insieme a Lero e Lepsia, frouvrion di Mileto, Patmos aveva acropoli e
postazioni fortificate, un torrione, terreni di proprietà di Apollo Didimeo, un
ginnasio dedicato ad Ermes e un tempio di Artemide, e poteva permettersi ed
offrie le varie pratiche rituali a questi ultimi connesse (feste, lampadedromie,
riti misterici, banchetti), con tutto il flusso e riflusso di gente che presuppo-
nevano e attiravano. Per il resto, il suo territorio aspro e vulcanico, qua e là
interrotto da torrenti e campi irrigui a prato, ben si prestava all‘allevamento
86
di capre .
Ora, se il contenuto del libro viene per la prima volta rivelato su
quest‘isola, come può essere stato contemporaneamente motivo e fine del
viaggio? Cerchiamo di formulare un‘ipotesi – e tale deve rimanere – che, nel
contesto sociale dell‘Apocalisse e dei suoi destinatari, abbia una qualche
probabilità storica di colmare il vuoto di informazione lasciato aperto nella
87
porzione non scritta del testo .
Nella letteratura di rivelazione, affiora di frequente un modulo formale
per cui il rivelatore ingiunge al visionario di farsi trovare in un dato luogo, a
discrezione dell‘uno o dell‘altro, eventualmente ad un‘ora stabilita, e lì at-

Jossa, 2000, in particolare, pp. 73-82 e 85-86; Biguzzi, 2004, pp. 79-100, più preoccupato pe-
rò di salvaguardare comunque la tradizione antica; Andrei, 2007, pp. 12-13 e nn.7-8.
85
Bousset, 1906, pp. 191-192; Kraft, 1974, pp. 40-42. Cfr. anche le osservazioni di
Thompson, 1990, pp. 172-173, e 2003a, pp. 33-34, e Aune, 1997, pp. clxxvii-clxxviii e 81-82.
86
Cfr. Saffrey, 1975, in particolare, pp. 386-407, e Manganaro, 1963/64, in particolare
per Patmos, pp. 329-346. Schmidt, 1949, fa ulteriore riferimento alla presenza di un ippodro-
mo, di templi di Apollo e Dioniso, di un Amazonio. Stando agli storicamente sospetti Atti di
Giovanni dello Pseudo-Procoro (V sec.d.C.), Patmos, nel fiorire di città e centri abitati, a-
vrebbe annoverato anche un tempio di Zeus (158-159) e un paio di portici, ovvero la stoà
Domizia a Phora (104-105), dove Giovanni e Procoro sbarcano sull‘isola (56: «h\lqomen ejn
Pavtmw/ th/' nhvsw/ »; cfr. 98; 117; 154), e uno più piccolo chiamato «la porta», in una località
imprecisata (122). Sui dati archeologici e letterari, si sofferma, più brevemente, anche Horn,
2005, pp. 139 e 147-149, con bibliografia.
87
Sulle società ad «alto contesto», cfr. Malina – Pilch, 2000, pp. 19-21 e, più estesa-
mente, Malina, 1993, che sottolinea come il mondo Mediterraneo del I sec.d.C fosse «a high
context society, with much of what they (scil. «the author» e «his Mediterranean hearers»)
intended to communicate totally absent from the text, yet rather firmly in place in the com-
mon social system into which they were socialized. The considerate reader needs to fill in the
social system in order not to be mystified» (p. 22).
Tra visione e testo letterario 55

tendere nuove comunicazioni e rivelazioni. Tale modulo è attestato tanto in


apocalissi contemporanee a quella giovannea (cfr. 2 Bar. 10, 3; 20, 6 – 21,
3.6 – 22, 1; 43, 3 – 47, 1-2 – 48, 1.25-26; 4 Esd. 9, 24-26; 12, 51; 13, 56 –
14, 2; 14, 23-26 e 38-41; Apoc. Ab. 9, 1-10 e 12, 1-4; Herm. Vis. 3, 1, 1-5)
quanto negli Atti di apostoli canonici (9, 3-12 e 22, 10).
Similmente, sempre nella narrazione lucana, le discese di Agabo da Ge-
rusalemme ad Antiochia di Siria, insieme ad altri profeti, e dalla Giudea a
Cesarea Marittima, questa volta da solo, sono segnate da rivelazioni e legate
alla sua attività profetica: come ricezione e comunicazione dell‘annuncio di
una carestia, in un contesto comunitario, la prima (At 11, 27-29); come ese-
cuzione di un‘azione simbolica e trasmissione di un avvertimento divino a
Paolo, affidategli evidentemente già in Giudea, la seconda (At 21, 10-11).
Paolo stesso e Barnaba, prima soli, poi insieme a Giuda e Sila, profeti
anch‘essi (At 15, 32), svolgono la propria azione profetica itinerante in ac-
cordo con le indicazioni dello Spirito (At 13, 1-3 e 15, 22.28; cfr. anche 16,
6-7.9-12), e probabilmente quel parakalevw, che Luca, sulla scia del Paolo
delle lettere, eleva a scopo e funzione principale di questa (cfr. At 11, 22-23;
14, 23; 15, 32, da una parte, e 1 Cor 14, 3.31 e 1 Ts 5, 11, dall‘altra), presup-
pone anche le stesse esperienze rivelatorie e visionarie in seno alle comunità
di arrivo (cfr. Rm 11, 25-27; 1 Cor 14, 29-31 e 15, 54-55; 2 Cor 12, 1-7; 1 Ts
88
5, 19-22) .
Ancora Ireneo riferisce come un certo Marco il ―mago‖ – o piuttosto il
―profeta‖? – e i suoi discepoli, a cavallo della metà del II sec.d.C., girassero,
89
di città in città («peripolivzonte"»), di casa in casa , per la provincia d‘Asia
a «profetizzare» e «far profetizzare», nelle cene del loro «tiaso» (Haer. 1,
13, 3-6). Il vescovo di Lione liquida l‘esperienza estatica bollandola come
90
vaneggiare di parole sciocche buttate là per caso, vuote ed audaci , ma poi
conosce e cita anche una lunga e complessa visione cosmogonica raccontata
in prima persona dallo stesso Marco (Haer. 1, 14, 2 – 1, 15, 3).
Il testo di Erma sopra citato è il più esplicito e diffuso, e vale la pena ri-
portarlo per intero:
«nhsteuvsa" pollavki" kai; dehqei;" tou' kurivou i{na moi fanerwvsh/ th;n ajpokavlu-
yin h}n moi ejphggeivlato dei'xai dia; th'" presbutevra" ejkeivnh", aujth'/ th/' nuktiv,
moi w\ptai hJ presbutevra kai; ei\pevn moi: ejpei; ou{tw" ejndeh;" ei\ kai; spoudai'o"
eij" to; gnw'nai pavnta, ejlqe; eij" to;n ajgro;n o{pou condrivzei", kai; peri; w{ran

88
Cfr. Aune, 1996, pp. 377 e n.4, e 395-396.
89
Sembra, infatti, che venissero ospitati negli oi\koi di altri seguaci di Gesù, o, quanto-
meno, questo è il caso esemplare di Marco, accolto da un diacono.
90
Cfr. la descrizione dell‘estasi di Montano e di due altre donne lì presenti, tratteggiata
dall‘anonimo antimontanista (Eusebio, H.E. 5, 16, 7-9).
56 Capitolo primo

pevmpthn ejmfanisqhvsomaiv soi kai; deivxw soi a} dei' se ijdei'n: hjrwvthsa aujth;n
levgwn: kuriva, eij" poi'on tovpon tou' ajgrou'É o{pou, fhsivn, qevlei" ejxelexavmhn tov-
pon kalo;n ajnakecwrhkovta. pri;n de; lalh'sai aujth'/ kai; eijpei'n to;n tovpon, levgei
moi: h{xw ejkei' o{pou qevlei". ejgenovmhn ou\n, ajdelfoiv, eij" to;n ajgro;n, kai; sunwvyisa
ta;" w{ra", kai; h\lqon eij" to;n tovpon o{pou dietaxavmhn aujth'/ ejlqei'n, kai; blevpw
sumyevlion keivmenon ejlefavntinon, kai; ejpi; tou' sumyelivou e[keito kerbikavrion
linou'n, kai; ejpavnw levntion ejxhplwmevnon linou'n karpavsinon» (corsivo mio).

Siamo all‘inizio del resoconto autobiografico della terza visione: Erma


digiuna e prega di ricevere la rivelazione promessagli nella visione prece-
dente. Le sue preghiere sono esaudite: probabilmente in sogno, gli appare
l‘anziana e vengono stabiliti luogo ed ora. Giunto sul posto («ejgenovmhn ou\n,
ajdelfoiv, eij" to;n ajgrovn»: cfr. Ap 1, 10), Erma vede un subsellium di avo-
rio, coperto da un cuscino e da un lenzuolo di lino sopra il cuscino; a questa
vista si spaventa e trema (cfr. Ap 1, 17), finché, di nuovo in sé, non prende
coraggio e torna a pregare. Sopraggiunge allora l‘anziana, in compagnia di
sei giovani (Vis. 3, 1, 5-6), che, letteralmente, lo insedia al di sopra dei pre-
sbiteri, ma sotto i martiri, a motivo di una purificazione ancora incompleta
(cfr. Vis. 3, 1, 8 – 3, 2, 4).
Traducendo nel vocabolario pressoché analogo di Giovanni, potremmo
dire che Erma si è recato nel campo «dia; th;n ajpokavluyin h}n moi ejphggeiv-
lato (scil. oJ kuvrio") dei'xai dia; th'" presbutevra"» (cfr. Vis. 3, 9, 2 e Ap 1,
1-2.9-10): dati i punti di contatto evidenti – tradizionali e non – con lo sno-
darsi del resoconto giovanneo (cfr. anche Vis. 3, 9, 2 e Ap 4, 1), possiamo
intuire anche una convergenza di fondo nel profilo dell‘esperienza visionaria
che soggiace ai due testi? Possiamo cioè sottintendere una qualche concate-
nazione di visione/rivelazione e spostamento anche per Giovanni, e immagi-
nare, dietro il suo arrivo a Patmos, uno scenario analogo?
Credo sia un‘ipotesi quantomeno plausibile da tenere in considerazione,
non solo perché Ap, nel suo intreccio di riprese e richiami interni, sembra
suggerirla, e, presa di per sé, non è in contrasto né con la grammatica o
l‘usus scribendi di Giovanni né con i dati archeologici a nostra disposizio-
91
ne ; non solo perché Ap mostra di conoscere questa forma di appuntamento
92
concordato o imposto per nuove visioni (cfr. 1, 19 e 4, 1) ; ma anche e so-
91
Contro la spesso frettolosa assunzione che Patmos fosse un‘isola poco densamente
abitata, se non deserta (cfr. Lohmeyer, 1953, p. 15; Kraft, 1974, pp. 40-41; Roloff, 1984, p.
39; Müller, 1984, p. 81; Giesen, 1997, p. 84).
92
Una struttura sintattica simile si ritrova in 4 Esd. 9, 24-26: «ibis autem in campum
florum […] et manduca solummodo de floribus campi, et carnem non gustabis et vinum non
bibes sed solummodo flores, et deprecare Altissimum sine intermissione, et veniam et loquar
tecum. Et profectus sum, sicut dixit mihi, in campum quod vocatur Ardat, et sedi ibi in flori-
bus» (corsivo mio; cfr. anche 12, 51 e 13, 56-57); At 9, 6 e 22, 10; Herm. Vis. 3, 9, 2.4. In 2
Tra visione e testo letterario 57

prattutto in ragione del suo potenziale esplicativo. Se Giovanni, infatti, è


preparato alla visione, anzi, più correttamente, se Giovanni va sull‘isola per
la rivelazione che poi confluirà nel rotolo, si dà anche conto del particolare
della scrittura nel corso dell‘esperienza estatica (Ap 10, 4), ed il reperimento
concreto del materiale scrittorio, il suo stesso essere implicitamente presup-
posto a portata di mano, non dovrebbe fare più problema (cfr. 4 Esd. 14, 23-
24 e 37-47).

4.2 Scene da una liturgia

Giovanni è arrivato sull‘isola, dunque, non sappiamo se ed, eventual-


mente, come si sia preparato alle visioni, ma alla fine, «nel giorno del Signo-
re», passa, giunge in «spirito» (Ap 1, 10).
La puntualizzazione temporale inscrive probabilmente l‘esperienza nel
93
contesto liturgico domenicale : il «giorno del Signore», il primo giorno della
settimana (1 Cor 16, 2 e At 20, 7), è il giorno in cui l‘ejkklhsiva si riunisce
(Did. 14, 1), scandendo il tempo specifico della propria esistenza, inaugurata
dalla resurrezione di Gesù (Ign. Magn. 9, 1; Ep. Apos. 18; Vang. Piet. 35 e
50; cfr. anche Barn. 15, 9). È il giorno in cui si rompe il pane e si mangia il
kuriako;n dei'pnon per ricordare il Signore ed aspettarne il ritorno (1 Cor 11,
19-20 e 23-26; At 20, 7 e 11; Did. 14, 1 e 9 – 10, 1; cfr. anche 2 Pt 2, 13; Gd
12; Ign. Eph. 20, 2, e Smyr. 7, 1 e 8, 2; Plinio il Giovane, Ep. Tra. 10, 96,
94
7) .
Domenicali e non, le riunioni dei primi gruppi di seguaci di Gesù, in
spazi sociali e contesti cultuali, di caso in caso, più o meno plausibilmente
ricostruibili, attestano diffusamente forme rituali loro proprie: preghiere (At
2, 42; 6, 6; 12, 5; 13, 3; 1 Ts 5, 17-18; 1 Cor 14, 13-15 e 16, 22; 1 Tm 2, 1-
2.8; 1 Clem. 59-61; Herm. Mand. 11, 9; Ascen. Isa. 6, 8; Od. Sal. 37, 1-2),
canto di inni e salmi (At 2, 47 e 4, 24-31; 1 Cor 14, 15; Ascen. Isa. 6, 3; anti-
fonali in Plinio il Giovane, Ep. Tra. 10, 96, 7), lettura ad alta voce di lettere

Bar., a seguire l‘imperativo si alternano participio (10, 3 e 20, 6) e futuro (20, 6 e 43, 3). Cfr.
anche Gius. Asen. 14, 12-13. In 2 Bar. 22, 1, dopo la preghiera che Baruch eleva nel luogo
indicatogli (20, 6) e, nel frattempo, raggiunto (21, 1-2), «ecco si aprirono i cieli e vidi e mi fu
data forza e si udì una voce dalle altezze e mi disse» (cfr. Ap 4, 1-2; la traduzione dal siriaco è
mia). Non sono però sicuro che, tra Ap 3, 14 e 4, 1-2, si possa effettivamente collocare uno
spostamento fisico di Giovanni. Nel II sec.d.C., i viaggi terapeutici di Elio Aristide saranno
pianificati da Asclepio in «visioni di sogni» (cfr., significativamente, Or. 49, 1 e 51, 8).
93
Cfr., più ampiamente, Bauckham, 1984, Llewelyn, 2001. Critico Young 2003.
94
Luca sembra comunque lasciare intendere che il primo giorno della settimana non
fosse l‘unico ad essere esclusivamente deputato alla celebrazione di questo pasto comune (cfr.
At 2, 46). Cfr. anche Did. 16, 2; Ign. Eph. 13, 1, e Pol. 4, 2; 2 Clem. 17, 3.
58 Capitolo primo

(At 15, 22-31; 1 Ts 5, 27; 2 Ts 2, 2.15 e 3, 14; Col 4, 16), insegnamenti ed


esortazioni (At 2, 42; 20, 7.11; 1 Ts 5, 11; 1 Tm 4, 11-13; 2 Tm 3, 16 e 4, 2;
Plinio il Giovane, ibid.), cena del Signore, digiuno (At 13, 3), imposizione
delle mani (At 6, 6 e 13, 3; 1 Tm 4, 14 e 5, 22; Ascen. Isa. 6, 5), bacio santo
95
(1 Ts 5, 26; 1 Cor 16, 20; 2 Cor 13, 12; Rm 16, 16; 1 Pt 5, 14) .
Queste pratiche potevano preparare a e guidare in esperienze di contatto
con il soprannaturale, attese e ricercate, interpretate e riconosciute come atti-
vità dello Spirito di Dio o intervento del Gesù celeste, venendone, a loro vol-
96
ta, integrate e ricostituite . Paolo elenca yalmov", didachv, ajpokavluyi",
glw'ssa ed eJrmhneiva come contributo pneumatico personale
all‘edificazione della comunità (1 Cor 14, 26; cfr. anche 14, 6.13-16 e Rm
14, 6-8); Col 3, 16 esorta ad esplorare la ricchezza della parola di Cristo, in-
segnando e incoraggiando con salmi, inni e canti spirituali elevati nel cuore a
Dio; Ef 5, 18-20, sulla stessa linea, invita a non ubriacarsi di vino, ma piutto-
sto a riempirsi di Spirito, parlando tra di sé e inneggiando al Signore con il
cuore in salmi, inni e canti spirituali. Una raccolta di questi inni ispirati van-
no probabilmente considerate le Odi di Salomone, dietro la cui composizione
97
si può intuire il profilo di un‘attività profetica .
Questa anche, infatti, era aspettata manifestarsi nelle comunità, e intor-
98
no ad esse ruotava , come sappiamo non solo di Tessalonica (1 Ts 5, 20), Fi-
lippi (Fil 3, 15), Corinto (1 Cor 13, 2 e 14, 1-6.26.29-31), Roma (Rm 12, 6),
o Efeso (Ef 1, 17-19), nell‘ambito, insomma, della missione paolina. Secon-
do la ricostruzione lucana, infatti, il profeta Agabo, disceso da Gerusalemme
in compagnia di altri profeti, riceve la sua rivelazione dallo Spirito, al termi-
ne del viaggio, seduto in una ejkklhsiva ad Antiochia di Siria, si alza e pre-

95
Cfr. soprattutto Lampe, 1987, in particolare, pp. 233-241; 257-263; 301-320, e 1991,
in particolare, pp. 186-203; Smith, 2003, in particolare, pp. 173-217; Horbury, 2005. Cfr. an-
che Meeks, 1983, in particolare, pp. 29-36; 75-84; 140-163, e Stegemann – Stegemann, 1995,
pp. 237-246.
96
Cfr. Meeks, 1983, pp. 148-149; Lampe, 1991, pp. 188-191; Thompson, 2003b, pp.
141-145; Destro – Pesce, 2007b. Quest‘ultimo contributo insiste sulle parole scritte o pronun-
ciate come strumento religioso in cui, all‘interno dei gruppi di seguaci di Gesù, si traduce una
rivelazione, qui intesa genericamente come «una qualsiasi comunicazione da parte di potestà
divine inviata a specifici individui e da loro coscientemente ricevuta ed espressa con precise
modalità o forme culturali. In qualsiasi caso, il termine ―rivelazione‖ rinvia a procedimenti ed
esperienze di conoscenza molto particolari che riguardano l‘auto-consapevolezza e l‘identità
stessa dei soggetti in scena» (p. 79). Su rituali e stati alterati di coscienza, cfr. anche Bourgui-
gnon, 1979, pp. 243-244; Goodman, 1972, pp. 75-86, e 1994, pp. 48-51; D‘Aquili – Newberg,
1993, in particolare, pp. 28-31; Pilch, 2004, pp. 170-180; Lapassade, 2008, passim. Più cauto
Forbes, 1995, pp. 282-283.
97
Cfr. Aune, 1972, in particolare, pp. 166-194, e 1982, pp. 435-460.
98
Cfr. Reiling, 1973, in particolare, pp. 143-151, e 1977, in particolare, pp. 60-61 e 66-
76; Aune, 1972, pp. 177-181 e, più ipoteticamente, 1996, pp. 363-367; più reciso, invece, il
giudizio di Forbes, 1995, pp. 242-247; 288-289; 304.
Tra visione e testo letterario 59

dice la carestia incombente, muovendo i discepoli a risolversi per un inter-


vento di aiuto (At 11, 28-29; cfr. anche 1, 14-15 e 2, 1-4). L‘invio in missio-
ne di Paolo e Barnaba è sancito dallo Spirito Santo, evidentemente per bocca
di uno dei profeti o dei maestri presenti, «mentre servivano al Signore e di-
99
giunavano» (At 13, 1-3; cfr. 1 Tm 1, 18 e 4, 14; Can. Murat. 11-14) . Giuda
e Sila, infine, profeti anch‘essi, confortano e incoraggiano i fratelli radunati
100
ad Antiochia (At 15, 30-32) .
Nel Vangelo di Giovanni, la prima apparizione di Gesù ai soli discepoli
avviene la sera del primo giorno della settimana, a porte chiuse (Gv 20, 19-
23). Questo ha indotto a pensare che
«il redattore stia immaginando una scena di un‘assemblea cultuale della comunità.
Forse, il redattore modella questa scena ispirandosi a prassi liturgiche profetiche
dell‘ambiente giovannista o addirittura sta costruendo il loro modello fondativo»
101
(Destro-Pesce, 2003, p. 92) .

La Didaché lascia piena libertà ai profeti di «ringraziare» (10, 7), nel


102
corso del pasto eucaristico (Did. 9 – 10) , mentre, per Erma, il vero profeta
è riempito di Spirito santo dall‘angelo dello Spirito profetico, solo quando si
sia elevata una preghiera a Dio in seno ad una «assemblea di uomini giusti
103
che hanno la fede dello Spirito divino» (Herm. Mand. 11, 9) .
Più in dettaglio sembrano scendere le Odi di Salomone: i singoli mem-
bri della comunità si alzano (8, 3-4; cfr. 26, 12), allargano le braccia a forma
di croce (27, 1-3; 35, 7; 37, 1), ed elevano la preghiera (cfr. 14, 7-8 e 37, 1-
104
2) , i «cantori» (26, 12; cfr. 7, 17), chiamati anche «veggenti» (7, 18) o, an-
cora, «servitori di quella bevanda» (6, 13), sperimentano il «riposo» dello

99
Rimane poco chiaro se si tratti di una liturgia che coinvolge l‘intera comunità, oppure
specificatamente profetica.
100
Per l‘interpretazione dei singoli passi, cfr. Aune, 1996, pp. 354-355; 395-396; 491-
499.
101
Sulle capacità profetiche del Gesù giovannista, dei discepoli e della comunità, e infi-
ne del redattore che ha prodotto il testo, cfr. Boring, 1979 e 1982, in particolare, pp. 48-50 e
70; Destro – Pesce, 2000, pp. 89-94 e 122-126; Iid., 2001; Iid., 2003, pp. 144-168. Sul conte-
sto liturgico del profetismo giovannista, cfr. Aune, 1972, in particolare, pp. 65-135.
102
Sulla pratica del ringraziamento profetico e la sua persistenza, tra II e III sec.d.C.,
cfr. le testimonianze su Marco in Asia (Ireneo, Haer. 1, 13, 2-5), Peregrino in Siria-Palestina
(Luciano, Peregr. 11-16), e la profetessa anonima in Cappadocia e Ponto (lettera di Firmilia-
no in Cipriano, Ep. 75, 10, 2-5).
103
Cfr. Reiling, 1973, pp. 122-151; Norelli, 1994, pp. 235-248; Aune, 1996, pp. 366-
367 e 390-393.
104
Sull‘estensione (e[ktasi~) delle mani come gesto di preghiera, cfr. Origene, Or. 31,
2. Ancora l‘Alessandrino (Cels. 7, 44 e Comm. Jo. 28, 24-25) sembra attestare la connessione
fra preghiera e viaggio celeste. Sull‘analisi di questa dinamica si è soffermato Perrone, 2001,
pp. 136-139.
60 Capitolo primo

Spirito e intonano odi in cui visioni, audizioni, viaggi celesti, discorsi in


105
prima persona del Gesù risorto si intrecciano .
L‘Ascensione di Isaia ci offre un altro approfondito termine di parago-
ne: Isaia, seduto sul letto, inizia a parlare nello Spirito Santo, scambiando
con Ezechia «parole di fede e di verità», di fronte ai principi di Israele, agli
eunuchi, ai consiglieri del re, a quaranta profeti e figli di profeti e al popolo
(6, 2-7). Al che tutti cadono in ginocchio e glorificano il Dio di verità che si
sta rivelando, finché Isaia tace, gli occhi aperti, unicamente le funzioni vitali
in attività, e, sprofondato nella trance, sperimenta un viaggio celeste (6, 8-13
e 7, 2). Quando Isaia torna in sé, popolo, eunuchi, principi vengono fatti u-
scire, e la visione narrata ai soli Ezechia, Josab, il figlio di Isaia, profeti e
106
giusti, in cui era il profumo dello Spirito (6, 15-17) .
Quanto questa precisa fenomenologia dell‘esperienza e della sua tra-
smissione possa essere pensata riflettere una prassi liturgica reale, trova ulte-
riore conferma in una polemica paolina e in una testimonianza oculare di
Tertulliano.
In 2 Cor 12, Paolo si vanta delle visioni e rivelazioni che ha sperimenta-
to, passando a raccontare un rapimento al terzo cielo e uno (o è lo stesso?)
fino al paradiso – se nel corpo o fuori dal corpo, rimane incerto anche a lui –,
dove sarebbero poi risuonate parole che a un essere umano non è lecito pro-
nunciare. Preferisce però subito chiudere la parentesi perché nessuno si fac-
cia un giudizio di lui basandosi sulla ricchezza delle sue esperienze di con-
tatto con il mondo divino (1-7). Nell‘immaginazione di Paolo e nel linguag-
gio che culturalmente la esprime, dunque, le ajpokaluvyei" che il profeta ri-
ceve seduto nell‘assemblea comunitaria (1 Cor 14, 29-31; cfr. 14, 6.26) pos-
sono, di fatto, presupporre e, in sostanza, rivelarsi viaggi celesti, in quanto
107
ejkstavsei" (2 Cor 5, 13; cfr. 1 Cor 14, 2.28) . Sta poi al profeta parlare, nel
silenzio degli altri (1 Cor 14, 29-31).
Dalla sua, Tertulliano, An. 9, 4, riporta il caso di una sorella
«apud nos revelationum charismata sortita, quas in ecclesia inter dominica sollem-
nia per ecstasin in spiritu patitur; conversatur cum angelis, aliquando etiam cum
Domino, et vidit et audit sacramenta et quorundam corda dinoscit et medicinas de-
siderantibus sumit. Iamvero prout scripturae leguntur aut psalmi canuntur aut allo-
cutiones proferuntur aut petitiones delegantur, ita inde materiae visionibus submini-

105
Cfr. Aune, 1982, pp. 439-449.
106
Cfr. Bori, 1980, in particolare, pp. 374-385, e 1983, in particolare, pp. 140-145; No-
relli, 1994, pp. 235-236, e 1995b, ad locc. Segnalo qui che anche 4 Bar. 9, 1-28, poco dopo il
136 d.C., sembra presupporre uno scenario liturgico simile.
107
Cfr. Lincoln, 1979, p. 219, e Shantz, 2008, pp. 196-197, con bibliografia. Significa-
tiva la parafrasi 2 Cor 12, 2-5 offerta da CMC 61, 22 – 62, 1: «wJ~ ejkto;~ eJautou' aJrpageiv~ ».
Tra visione e testo letterario 61

strantur. Forte nescioquid de anima disserueramus, cum ea soror in spiritu esset.


Post transacta sollemnia dimissa plebe, quo usu solet nobis renuntiare quae viderit
(nam et diligentissime digeruntur, ut etiam probentur), “inter cetera”, inquit,
108
“ostensa est mihi anima corporaliter […]”» (cfr. anche Epifanio, Pan. 49, 2, 3-4) .

Proiettata su questi scenari plausibili, l‘Apocalisse stessa sembra


conservare tracce di una qualche cerimonia liturgica a monte dell‘esperienza
109
visionaria . Senza volere presumere di ricostruirne in dettaglio elementi,
struttura e sviluppo, alcune osservazioni ci possono aiutare a metterla quan-
110
tomeno in luce .
Nel «giorno del Signore», alle liturgie angeliche si affaccia a prendere
parte anche una «folla grande» (Ap 7, 9-10; 19, 1-3.6-8), con dignità e fun-
zioni sacerdotali (Ap 7, 15): sembra essere, a tutti gli effetti, il corrispettivo
celeste delle ejkklhsivai terrene che, nella dimensione cultuale loro propria,
si presuppone evochino il culto del mondo divino, agganciandosi ed alline-
111
andosi ad esso (cfr. Ap 3, 10; 7, 14; 11, 18; 12, 12; 13, 6-7; 18, 20; 19, 5) .
All‘apertura del settimo sigillo, calato il silenzio, le «preghiere dei santi» (Ap
5, 8) sono offerte sull‘altare e trovano la loro via al cospetto di Dio (Ap 8,
1.3-4).
Inoltre, queste scene di culto in cielo sono immaginate recuperare e
comprendere forme e materiali sicuramente attestati nell‘uso comunitario
cristiano per il I sec.d.C., quali l‘antifonia degli inni, le dossologie o
112
l‘apertura di preghiera «eujcaristou'mevn soi» .
Non ultimo, anche il gesto della proskynesis, più volte ripetuto dalla
corte celeste (Ap 4, 10; 7, 11; 11, 16; 19, 4), presenta affinità strutturali rile-
vanti con il modello di liturgia profetica riflettuto e proposto da Paolo in 1
Cor 14, 24-25. A seguito di un‘attenta e minuziosa ricostruzione, Pesce
(1985, p. 401) lo descrive così:
«Dopo la profezia, come dopo la glossolalia, come dopo ogni atto di preghiera o si-
mili, l‘assemblea risponde con un semplice ―Amen‖ o con una risposta libera che
viene introdotta e preceduta dalla proskynesis. La prostrazione viene fatta proprio
perché la manifestazione dello spirito di Dio presente nell‘assemblea richiede da
108
Cfr. Waszink, 1947, ad loc., e Norelli, 1994, pp. 245-247.
109
Cfr. Robert Nusca, 2005, e, con alcune riserve, Gieschen, 2006, pp. 352-354.
110
Rielaboro qui, nella mia prospettiva, analisi e conclusioni di Jörns, 1971.
111
Per questa identificazione, cfr. l‘esegesi puntuale di Ulfgard, 1989, pp. 69-107, e gli
accenni di Gieschen, 2006, p. 351.
112
Discussione in Jörns, 1971, pp. 65-73; 98-99; 161-163. Interessante il confronto an-
cora con la testimonianza di Plinio il Giovane (Ep. Tra. 10, 96, 7: «carmenque Christo quasi
Deo dicere secum invicem»), la danza di Gesù e degli apostoli in Atti Giov. 94-96, e con il
frammento di inno ricopiato sul verso dell‘ultimo foglio di P.Bodm. 13 (III sec.d.C.), a segui-
re immediatamente il Peri; to; Pavsca di Melitone di Sardi.
62 Capitolo primo

parte di questa un atto di adorazione della Presenza e di sottomissione alla volontà di


113
Dio che si è manifestata» .

Ora, la partecipazione di un estraneo alla riunione, tenuta probabilmente


in una casa privata, la sua prostrazione di fronte all‘evidenza della teofania e
la sua proclamazione di fede definiscono strutturalmente il quadro prospetta-
to da Paolo, eppure, mancano in tutti i paralleli individuati da Pesce in Ap.
Ritornano tuttavia in Ap 3, 8-9: il Signore risorto afferma di aver lasciato una
porta aperta (quvra hjnew/gmevnh!) davanti all‘angelo dell‘ejkklhsiva di Fila-
delfia, e farà in modo che i «Giudei» dell‘«assemblea di Satana», forse E-
brei, forse altri seguaci di Gesù, in ogni caso, estranei al gruppo e non Ebrei,
per Giovanni, vengano (h{xousin) e si prostrino ai suoi piedi (proskun-
hvsousin), riconoscendo (gnw'sin) che il Signore lo ama114. Porta del cielo
115
(cfr. Ap 4, 1) o di un‘abitazione che sia, compaiono qui di nuovo quegli
stessi elementi di verosimiglianza sociologica che, filtrati nelle scene celesti,
nel loro insieme, restituiscono plausibilità storica di uso liturgico alla rappre-
116
sentazione letteraria giovannea della proskynesis .
Continuità e comunione, dunque, tra culto terreno e culto celeste, nella
117
visione, di domenica . Il cerchio si chiude: il rotolo di Giovanni è destinato
alla lettura comunitaria – ciò almeno presuppone la beatitudine di Ap 1, 3,
indirizzata ad un lettore e più ascoltatori –, l‘esperienza della rivelazione si
118
riattualizza e rinnova nel suo contesto culturale originario .

113
Per l‘analisi esegetica e la ricostruzione, vedi Pesce, 1985, pp. 388-403.
114
Mi sembra interessante notare come il parallelo formulare offerto da Ap 2, 23
(«gnwvsontai pa`sai aiJ ejkklhsivai o{ti ejgwv eijmi oJ ejraunw`n nefrou;~ kai; kardiva~ kai;
dwvsw uJmi`n eJkavstwó kata; ta; e[rga uJmw`n»), nel contesto immediato della lettera a Tiatiri (Ap
2, 18-29), presupponga una concezione di profezia come scandaglio e svelamento ―pneumati-
co‖ dell‘interiorità umana e anticipazione del giudizio escatologico, del tutto simile a quella
accennata da Paolo in 1 Cor 14, 23-25. Cfr. Pesce, 1985, pp. 408-432, e Roose, 2000, pp.
162-175; 179; 191-193, che però sfiora il punto solo di riflesso.
115
Così intende, ad esempio, Gieschen, 2006, pp. 352-353, che presuppone, come chia-
ve interpretativa, una riattualizzazione del viaggio celeste di Giovanni, sempre comunque in
contesto liturgico.
116
Cfr. Pesce, 1985, pp. 403-408 e Destro – Pesce, 2004b, pp. 28-30.
117
Cfr. le liturgie angeliche (4Q400ShirShabba fr. 2, 2-7), gli inni (1QHa 3, 21-22 e 11,
7-13) e la Regola delle Benedizioni di Qumran (1QSb 3, 25-26 e 4, 24-26), secondo la corre-
lazione reciproca indicata ed approfondita da C. Newsom nell‘introduzione a Charlesworth –
Newsom, 1999, in particolare, pp. 4 e 9-12. Cfr. anche 1 Cor 11, 10 (istruzioni su preghiera e
profezia femminili!); Col 2, 18; Eb 10, 22-24; Ascen. Isa. 6, 8 e 10, 6, con il commento di No-
relli, 1995b, a 6, 8, in particolare, pp. 337-339, e le annotazioni di Himmelfarb, 1988, pp. 91-
93; Origene, Or. 31, 5 e Hom. Luc. 23, 177-178.
118
Cfr. Aune, 1972, in particolare, pp. 178-179; Thompson, 1990, pp. 71-73; Gieschen,
2006, p. 352. Più esitante Norelli, 1994, p. 239.
Tra visione e testo letterario 63

4.3 Archeologia del pneu'ma: visioni e viaggi celesti

Probabilmente preparato e guidato, quindi, da preghiere di invocazione


e attesa o inni, forse anche da altri fenomeni di contatto con il divino in cor-
so, Giovanni entra in quello stato che riconosce come e chiama pneu'ma.
Se dobbiamo pensare al dei'pnon in un edificio chiuso come cornice li-
119
turgica specifica dell‘esperienza , il trapasso nella nuova condizione si con-
120
suma in un radicale oscuramento della percezione dello spazio circostante :
fenomeni auditivi, più o meno articolati e distinti (Ap 1, 10.17; 2, 1 – 3, 22) e
121
apparizioni bianco-luminose, anche intense (Ap 1, 14-16) , si riorganizzano
intorno ad un centro vagamente localizzato dietro il veggente e interpretato
come «un simile ad un figlio d‘uomo» in mezzo a sette lucerniere dorate,
ognuna con un proprio luogo (Ap 1, 10.12 e 2, 5), e su di un suolo, su di una
119
Per una discussione dell‘evidenza archeologica e letteraria di questa pratica religiosa
centrale per la vita delle associazioni volontarie del mondo greco-romano, cfr. Osiek – Balch,
1997, pp. 193-204, e Harland, 2003, pp. 61-83. Smith, 2003, pp. 176-177 e 181-187, e Hor-
bury, 2005, pp. 242-250 e 258-261, argomentano convincentemente per la sua diffusione nelle
comunità di seguaci di Gesù di Gerusalemme e della Giudea, Antiochia e Siria, Galazia, Fri-
gia, Corinto, Africa (cfr. Pass. Perp. 17, 1!) e Roma. Per le attestazioni tra i gruppi di seguaci
di Gesù in Asia Minore durante i primi due secoli, cfr. At 20, 7.11; Ef 5, 18-19; Col 3, 16, con
l‘istruttiva interpretazione di Clemente d‘Alessandria in Paed. 2, 43, 1-3; Plinio il Giovane,
Ep. Tra. 10, 96, 7; Ireneo, Haer. 1, 13, 4. Tanto Ef e Col che Ireneo mettono più o meno e-
splicitamente in luce la frequenza di episodi estatici nello svolgersi del banchetto (cfr. anche
Aristosseno di Taranto in Apollonio, Hist. Mir. 40, 1; Filone, Contempl. 83-88; Gd 8.12; 2 Pt
2, 1.10.13.18; Plutarco, Quaest. conv. 713a; Ps.-Clemente, Hom. 3, 13, 3 e 11, 14, 1; Rec. 4,
13.30 e 5, 30-31); al riguardo, si rivelano utili le pagine di Klinghardt, 1996, pp. 200-216 e
343-351, e Deutsch, 2006, pp. 288-308. In Ap, il culto sacerdotale della Gerusalemme celeste
e l‘esperienza liturgica della visione del volto di Dio (22, 3-4; cfr. 19, 7-8 e 21, 2.9) realizzano
il dei'pnon escatologico promesso a più riprese (cfr. 2, 17; 3, 20; 19, 9), secondo una conver-
genza di immagini attestata anche in Filone, QE 2, 39; Mut. 137.259-260; Fug. 137-139, e in
Gn Rab. 2, 2; Lev Rab. 20, 10; Nm Rab. 20, 10; b. Ber. 17a (cfr. l‘analisi di Lieber, 2006); per
converso, della visione-banchetto godono i servi sigillati con il nome di Dio e dell‘Agnello, e
avvolti in vesti bianche (Ap 22, 4.14; cfr. 7, 2-17 e 14, 1), dettagli che riflettono una qualche
forma di rito battesimale in uso, come dimostrato da Gieschen, 2006, pp. 342-352. Due segni
evidenti, crediamo, che, anche nell‘immaginazione di Giovanni, prassi liturgica comunitaria e
forma simposiale si sovrappongano e coincidano (cfr. le conclusioni di Osiek – Balch, 1997,
p. 208). Sulla pervasività della metafora del banchetto escatologico in Ap, cfr. Lichtenberger,
2004, pp. 244-250.
120
Cfr. le interviste a visionari tedeschi contemporanei riportate da Knoblauch, 2003, p.
109.
121
La loro frequenza generale è rilevata da Goodman, 1987, in particolare, p. 283; Ber-
ger, 1992, pp. 215-216; Pilch, 2004, pp. 20-21 e 71-72. Già Plutarco, Amat. 762d-e, scriveva
che gli uomini, per la maggior parte, «se scorgono un bagliore (sevla~) in casa di notte, lo ri-
tengono divino (qei'on) e stupiscono». Cfr. Ez 1, 4; Dn 7, 9-10 e 10, 5-6; CIL VI, 3 nr. 21521;
Plutarco, Virt. prof. 81d-e; Ps.-Ippolito, Haer. 4, 35, 3-36, 1; Corp. herm. 1, 1-6; Ps.-
Ippocrate, Ep. 15, 4-6; Apoc. Seth in CMC 50, 12-18; Apoc. Sem in CMC 56, 12-20; Apoc.
Enosh in CMC 59, 17 – 60, 8; PGM IV, 1104-1112; Giamblico, Myst. 3, 6; Gregorio di Na-
zianzo, Or. 4, 55; Proclo, Comm. Resp. 1, 110-111.
64 Capitolo primo

superficie alquanto indeterminata (Ap 1, 17 e 2, 1). Percezioni ordinarie e


non ordinarie si fondono inscindibilmente nel dare forma alla figura che è
122
apparsa .
123
Da una posizione possibilmente distesa o seduta , Giovanni ricorda di
essersi girato (Ap 1, 12), per poi crollare a terra (Ap 1, 17), e di aver speri-
mentato sensorialmente l‘accostarsi della realtà altra che gli si è dischiusa,
124
non ultimo anche per via tattile (ibid.) : l‘improvvisa consapevolezza della
presenza e della gloria dell‘angelo lo ha terrorizzato fino all‘impotenza ed al
125
collasso . L‘esperienza è descritta rasentare la morte (ibid., cfr. T. Ab. [L] 9,
1-3), e alla destra dell‘angelo che si posa su di lui è implicitamente attribuita
la funzione di rinforzarlo e rimetterlo in piedi (cfr. Ez 1, 28 – 2, 2; Dn 8, 17-
18 e 10, 7-11.16-19; 4 Esd. 10, 29-37). Sembra quindi sottesa la percezione
di rinnovamento e rigenerazione (cfr. PGM IV, 504-535), quasi di nuova
creazione (cfr. Ap 11, 11 e Ez 37, 5-10, e Apoc. Sem in CMC 57, 3-20), se-
condo quella sequenza di morte e rinascita attestata nei resoconti di molte
126
esperienze estatiche . A riportare in piedi ed in vita Giovanni, dettaglio su

122
Per un discorso tardo-antico su forme e amorfia delle apparizioni luminose, cfr. Por-
firio, Philos. orac. in Eusebio, Praep. ev. 5, 8, 10; Proclo, Comm. Resp. 1, 110-111 e Comm.
Crat. 71, 54; Michele Psello, Exp. orac. in PG 122, 1136b-c.
123
Sono queste le due posture normalmente previste dalle regole simposiali (Luciano,
Symp. 13). Cfr. anche Lampe, 1991, pp. 190-191; Osiek – Balch, 1997, p. 203; Smith, 2003,
pp. 24-27 e 178. Un oracolo di Prisca, citato da Tertulliano (Exh. cast. 10, 5), attesta, per
l‘Asia Minore del II sec.d.C., la pratica di piegare il viso in basso, con tutta probabilità da se-
duti, per udire voci salvifiche: sembra essere la stessa posizione assunta da Elia in preghiera
in 1 Re 18, 42, adottata, secondo la tradizione rabbinica, anche da Hanina ben Dosa ed Elea-
zar ben Dordio (cfr. b. Ber 34b e b. „Abod. Zar. 17a), e successivamente diffusa per preparare
la discesa nella merkabah (Hek. Zut.̣ § 424 Schäfer; cfr. Morray-Jones, 2006, pp. 171-172).
124
Berger, 1992, pp. 212-213 e 219, offre una dettagliata analisi letteraria e storico-
religiosa della collocazione tradizionale delle apparizioni rispetto al visionario, e dei motivi
del suo voltarsi ed essere rialzato, in età greco-romana.
125
Cfr. 1 En. 14, 9.13-14; Dn 7, 15 e 10, 17-18; CIL VI, 3 nr. 21521; 4 Esd. 5, 14-15;
Plutarco, Sera 568a; Giuliano, Ep. 16, 2-3; Apoc. Enosh in CMC 53, 1-10; Apoc. Sem in CMC
57, 3-16, e il tremore scatenato nei posseduti dagli spiriti zar (Kenyon, 1999, p. 96) o loa
(Métraux, 1971, pp. 120-122). Significative anche le esperienze personali raccontate da La-
passade, 2008, p. 225.
126
Cfr. Davila, 2002, e 2006, pp. 106-107 e 123-125; Walsh, 2007, pp. 71-84; Shantz,
2008, pp. 198-203; Lapassade, 2008, p. 85. Sulla connessione fra posizione distesa e morte,
posizione eretta e creazione dell‘uomo insistono anche altri testi databili tra la fine del I e la
seconda metà del II sec.d.C: secondo 4 Esd. 4, 5, la polvere dà ad Adamo «corpo di morti»,
poi vivificato dal soffio divino; per Saturnino, stando a Ireneo, Haer. 1, 24, 1, Adamo, prima
di ricevere la scintilla di vita che lo raddrizza, non ce la faceva ad alzarsi in piedi, e si agitava
sul suolo come un verme; Vang. Naass. in Ps.-Ippolito, Haer. 5, 7, 6, precisa che Adamo, an-
cora privo di anima, giaceva disteso a terra, immobile, senza il minimo sussulto e senza respi-
ro come una statua. In Ap è la stessa resurrezione di Gesù ad essere considerata un ritorno alla
vita e alla posizione eretta (cfr. 1, 5.18; 2, 8; 3, 21; 5, 6).
Tra visione e testo letterario 65

127
cui il testo non si sofferma, limitandosi a presupporlo , sono di fatto le paro-
le immediatamente successive dell‘angelo: queste pronunciano e compiono
la trasformazione, rievocando e riattualizzando il potere soprannaturale ma-
nifestatosi nel passaggio dalla morte alla vita e nella nuova identità divina
128
del Gesù che l‘angelo incarna e rappresenta (Ap 1, 18) . Il trasferimento del
potere e della nuova condizione, creati ed attivati dall‘atto verbale, passa per
il contatto raggiunto tra il corpo collassato di Giovanni e quello glorioso
129
dell‘angelo, che produce unione e identificazione del primo con il secondo .
Al termine della dettatura delle sette lettere (Ap 2 – 3), il meta; tau'ta di
130
Ap 4, 1 segna un primo stacco temporale . Il punto di orientamento costitui-
to dal «simile ad un figlio d‘uomo» scompare, le pareti si aprono, lo spazio
già indistinto si dilata fino ad essere completamente trasceso: sullo sfondo
appaiono il cielo ed una porta aperta, il mondo celeste che rivela e attira.
Giovanni deve essere ancora «in spirito», tanto più che l‘audizione si ripete
ed è la stessa voce di prima ad accompagnarlo fuori di sé. Eppure, come se
131
già non lo fosse, entra di nuovo, «eujqevw~» – scrive – «ejn pneuvmati», e sa-
127
Analogo ritorno dalla posizione distesa a quella eretta è evidentemente implicito an-
che tra Ap 19, 9-10 e 19, 11; 21, 9-10. Il cadere ai piedi dell‘angelo in 2, 17 non va comunque
confuso con la proskynesis di 19, 10 e 22, 8, come fa invece Lupieri, 2000, pp. 118-119: nella
corrispondenza strutturale, a fare e segnalare la differenza, sono, rispettivamente, la similitu-
dine «wJ~ nekrov~» di 2, 17, assente in 19, 10 e 22, 8, e l‘infinito con valore finale «pro-
skunh'sai (aujtw/')» di 19, 10 e 22, 8, assente, a sua volta, in 2, 17.
128
L‘angelo parla chiaramente in prima persona a nome di Gesù risorto. Le sue parole
assumono quindi il carattere di auto-presentazione performativa che comunica ed infonde la
vita dopo la morte che Gesù dice di aver sperimentato ed essere. Non siamo distanti dal saluto
ripetuto di Gv 20, 19.21, o dall‘uso del nome o di parabole e racconti della vita di Gesù per
esorcizzare indemoniati, guarire paralitici e produrre estasi, sogni o insonnia (cfr. Mc 9, 39-40
par.; At 3, 6-8 con 4, 10 e 19, 13; Ireneo, Haer. 1, 13, 2; Origene, Cels. 1, 6.25; T. Sal. 6, 8;
11, 6; 22, 20; PGM IV, 1234.3019-3020 e XII, 192.389). La convinzione che le parole di Ge-
sù racchiudessero potenza era diffusa, come attestano Gv 6, 63 e 15, 3 (le parole del maestro
sono spirito e vita, e purificano); Massimilla in Eusebio, H.E. 5, 16, 17 (colui che parla per
bocca della profetessa, con tutta probabilità, Cristo, come chiariscono i suoi altri due logoi
citati da Epifanio, Pan. 48, 12, 4 e 13, 1, si definisce parola, spirito e potenza); Clemente di
Alessandria, Exc. 3, 1 (le parole del Signore sono potenza; per questo, infiammano e fanno
risplendere la luce di cui parlano, alla stregua dell‘insufflazione dello Spirito dopo la resurre-
zione). Sull‘efficacia della parola dell‘angelo in una delle scene che hanno fornito il modello
letterario a Giovanni per riferire della sua esperienza, cfr. Dn 10, 18-19: «E mi toccò di nuovo
come un‘apparenza d‘uomo e m‘infuse forza. E disse: ―Non temere, uomo prediletto, pace a
te! Recupera le forze, rinfrancati!‖, e mentre parlava con me, mi ritornarono le forze e dissi:
―Parli il mio Signore, perchè mi hai restituito le forze‖»
129
Cfr. le riflessioni di Destro – Pesce, 2008, pp. 183-184, sul potere del corpo di Gesù
e le guarigioni.
130
Meta; tau'ta ed il suo equivalente meta; tou'to articolano, qui come altrove, lo sno-
darsi interno delle visioni, senza peraltro sembrar presupporre eccessiva soluzione di continui-
tà tra l‘una e l‘altra (cfr. Ap 7, 1.9; 15, 5; 18, 1; 19, 1).
131
Il senso di repentinità nel passaggio ad una forma altra di percezione è ancora ele-
mento ricorrente nelle descrizioni di esperienze visionarie autobiografiche citate da Kno-
66 Capitolo primo

132
le al cospetto del trono divino (Ap 4, 1-2) . Sospetto che qui Giovanni stia
cercando di descrivere una seconda fase, più profonda forse, della sua estasi,
in cui il passaggio nello stato di pneu'ma sia stato vissuto come immediata e
netta percezione del proprio separarsi dal corpo fisico e del salire in cielo,
intrapreso in quella stessa dimensione o esistenza di pneu'ma già sperimenta-
133
ta con la prima visione e ancora individuata come sé . Non penso a due e-
sperienze separate e distanti, quanto piuttosto, a due momenti successivi e
progressivi della stessa.
Si guardi ancora all‘Ascensione di Isaia: dopo le parole di verità e di fe-
de pronunciate da Isaia ed Ezechia, vengono udite una porta aprirsi e la voce
dello Spirito manifestarsi nell‘ispirazione profetica di Isaia, seduto sul letto.
Poi, improvvisamente, Isaia tace, ha gli occhi aperti, ma non vede, può solo
respirare: è subentrata l‘ascesa ai cieli (6, 6-14 e 7, 2-9). Risalta, nel raccon-
to, come anche Isaia tenda a sincronizzare il primo annuncio profetico e la
visione dell‘angelo: questi lo prende per mano, dialoga con lui e fa per con-
durlo attraverso i sette cieli, o mentre ancora Isaia sta parlando – eppure gli
astanti non vedono nulla – o quando già tace e rimane immobile – eppure il
popolo è ingannato da ciò che vede e pensa che il profeta sia morto (cfr. 6, 6-
8.14 e 7, 2-5). Mi sembra chiaro che il discorso, per avere una logica, vada
spostato e compreso su un piano non fisico.
Allo stesso modo, Giovanni, in un primo momento, vede, ascolta, si
muove ejn pneuvmati, ad un livello di percezione fisica già offuscata ed alte-
rata, tutta concentrata sulla visione incipiente; successivamente, nel varcare
la porta aperta, la trance acquista profondità e viene sperimentata, interpreta-
ta e descritta come ascesa in cielo, senza più limiti fisici tra il proprio sé,
134
comunque immaginato in una integrità ―corporea‖, e gli oggetti percepiti .

blauch, 2003, 109 e n. 14. Cfr. anche 1 En. 14, 8-9; Lc 2, 9-13; At 9, 3 e 22, 6; 2 Bar. 6, 2-4;
Herm., Sim. 6, 1, 1-2; Plutarco, Sera, 563e-f.568a; Apoc. Sem in CMC 55, 14-21 (55, 16-18:
«ejxaivfnh~ h{rpasevn me pneu'ma to; zw'n»); Lib. Crat. p. 46 (ed. Bertholet).
132
Su questa ripetizione, le difficoltà che ha sollevato e le soluzioni proposte per risol-
verle, cfr. la rassegna e discussione delle ipotesi offerta da Aune, 1997, pp. 283-284.
133
Su posizioni analoghe, già Swete, 1907, p. 67, e Roloff, 1984, p. 66.
134
Cfr. le annotazioni generali di Clottes – Lewis-Williams, 1997, pp. 14-17 e 26-27;
Pilch, 2004, pp. 18-19 e 69-77, con ampia bibliografia, e Lapassade, 2008, pp. 98 e 187, e il
caso citato da Walsh, 2007, pp. 73-74. Similmente su Enoc, addormentatosi presso le acque di
Dan, ad ovest del monte Hermon, a forza di leggere la preghiera degli angeli ribelli, cadono
visioni (1 En. 13, 7-10): nella visione, vede e ascolta, innanzitutto, nuvole, stelle, fulmini e
vento incitarlo a salire, poi ascende al cielo ed entra nella dimora di Dio (14, 8-9). Al suo ri-
sveglio, torna dagli angeli che lo aspettano sul massiccio del Libano ad informarli dell‘esito
negativo della sua intercessione (13, 9-10). Su acqua, trance e visioni nel mondo mediterraneo
antico, cfr. anche Ez 1, 1 e 43, 3; Varrone in Apuleio, Apol. 42; PGM IV, 160-169.224-
231.3210-3254; Porfirio, Aneb. in Giamblico, Myst. 3, 11.14 (ed. Sodano); Agostino, Civ. 7,
35. Altri due casi con una fenomenologia comparabile riporta Plutarco: in Sera 563e-f, Tespe-
sio di Soli racconta che, persa la coscienza dopo una caduta, aveva l‘impressione, in un primo
Tra visione e testo letterario 67

Varcata la porta, lo circondano i contorni di luce, incandescenza, cando-


re, immensità che, nella immaginazione culturale di Giovanni, delineano il
mondo divino e gli esseri che lo abitano e che incontrerà. Questi contorni si
intrecciano sinesteticamente ad audizioni di musica, voci, canti, inni che sfi-
dano l‘orecchio ed il linguaggio umani a coglierne ed esprimerne la grandez-
135
za (Ap 4, 2 e ss. e passim) .
Nella loro realtà oggettiva, percezioni e figure (l‘agnello sgozzato a set-
te occhi, il drago, la donna vestita di sole, la bestia che sale dal mare) conti-
nuano a sfumare tra ordinario e non ordinario, gli spazi a ridefinirsi
136
nell‘estensione stessa del cosmo ; il senso del tempo e delle sue connotazio-
ni sembra precipitare nell‘a-temporalità, in una contemplazione simultanea
di passato, presente e futuro cosmici, scandita semplicemente dalle esperien-
137
ze che si succedono ed estendono per episodi .

momento, di essersi rialzato, di respirare con tutto il suo essere (o{lo~) e di guardarsi intorno,
«l‘anima (yuchv) aperta come fosse un unico occhio». Non vedeva più nulla di ciò che vedeva
prima, solo le stelle nella loro immensità e lucentezza, meravigliosa ed intensa al punto che la
sua anima, trasportata dalla luce, potè poi muoversi dovunque per l‘aria, facilmente e rapida-
mente. Nel frattempo, il suo corpo veniva preparato per la sepoltura (cfr. 563d e 568a). In
Gen. Socr. 590b-c, viene riferita l‘esperienza di Timarco, discepolo di Socrate: sceso nella
grotta oracolare di Trofonio per avere un responso sulla natura del daimovnion del maestro,
viene avvolto dall‘oscurità. Dopo una preghiera, inizia progressivamente a perdere coscienza
di sé e non riesce più a distinguere se è sveglio o già sogna. Gli sembra solo, ad un certo pun-
to, che le cuciture della sua testa si allentino e rilascino la sua anima (yuchv), che si mescola
con l‘aria pura e lucente, prende fiato e finisce per ingrandirsi ed estendersi come una vela.
Inizia così il viaggio celeste. Al termine, svanita ogni percezione e consapevolezza degli og-
getti e dei paesaggi che lo circondavano nelle sue visioni, rientra in sé e si ritrova nella grotta,
esattamente nello stesso punto dove si era disteso (592e).
135
Cfr. 4Q286Bera fr. 1; 4Q405ShirShabbf frr. 11.13-15; fr. 20 II, 21-22; fr. 23 II, 7-10;
1 En. 14, 9-23 e 71, 5-13; 4 Esd. 10, 55-57. In Ap, l‘aggettivo mevga~ «come i termini a radice
rb in certa letteratura mistica di area semitica, probabilmente definisce una qualità sovrumana,
spirituale del sostantivo cui si riferisce. ―Grande‖ indicherebbe l‘estraneità dell‘oggetto alla
sfera della fisicità o dell‘umanità» (Lupieri, 2000, pp. 114-115). Sulla visione del trono divino
in Ap 4 – 5 e le sue relazioni con altri testi apocalittici e con la mistica ebraica, fra esperienza
estatica e tradizione letteraria, cfr. Smith, 1963, pp. 150-160; Rowland, 2006, pp. 46-50 e 55-
56; Sanders, 2006, pp. 59-64 e 73-79; Davila, 2006; Morray-Jones, 2006.
136
Cfr., in particolare, PGM IV, 1104-1112, dove all‘approfondirsi della trance del vi-
sionario corrisponde, al primo riaprire degli occhi, l‘allargarsi a forma di volta della luce della
lampada nella stanza, al secondo, il suo scomparire nell‘immensità di bagliore, ormai senza
pareti né limiti, che fa da preludio alla visione della divinità seduta. Una fenomenologia simi-
le presenta anche il papiro demotico Mag. LL col. 2 (III sec.d.C.; introduzione, traduzione e
note in Bresciani, 1999, pp. 777-797)
137
Cfr., più ampiamente, le annotazioni sparse di Lupieri, 2000, pp. 139-141 e 191-197,
e Afzal, 2008, pp. 28 e 33. Quest‘ultimo, in particolare, rileva come la stessa struttura lettera-
ria dell‘Ap, con i suoi flashback, le ripetizioni, le sequenze intercalate ed interconnesse, esplo-
ri quegli aspetti non lineari del tempo sperimentato normalmente esclusi dall‘esperienza uma-
na.
68 Capitolo primo

La ricorrenza di espressioni formulari, quali «kai; shmei'on mevga w[fqh


ejn tw/' oujranw/'», nelle sue varianti (Ap 12, 1.3 e 15, 1), e «kai; ajphvnegkevn
me ejn pneuvmati» (Ap 17, 3 e 21, 10), può segnalare, infatti, non solo mere
138
cesure letterarie nella struttura del testo ; piuttosto, ci sarebbe da chiedersi
se non rimandi ad una pluralità o intensificazione avvertita di ―fatti‖, che,
dispersi temporalmente, la redazione compatta e re-innesta sul continuum
139
interpretativo del progetto che la presiede . Quantomeno significativi sem-
brano essere i due spostamenti di Giovanni sempre «in spirito», il primo «in
un deserto» (Ap 17, 3), il secondo «su un monte grande ed elevato» (Ap 21,
9), nell‘esplorare anche la geografia terrestre dell‘estasi su un‘isola
dell‘Egeo.
Di pari passo con la familiarità con lo stato, cresce la presenza di Gio-
vanni, ora parte integrante delle visioni, cresce la sua capacità di comunicare
con gli abitanti della realtà altra, fino a scambiare battute (Ap 7, 13-14) o in-
teragire direttamente con loro (Ap 10, 8-9), e la scala delle emozioni si fa
140
ampia e variabile, dal pianto dirotto (Ap 5, 4) allo stupore grande (Ap 17,
6), e di nuovo al timore, reverenziale questa volta (Ap 19, 10 e 22, 6), pas-
sando per le percezioni di intensa dolcezza (Ap 10, 10) e amarezza di stoma-
co (ibid.). C‘è da chiedersi, per queste sensazioni come poi per l‘attività di
scrittura, se e quanto sia presupposta una minima coscienza residua del pro-
141
prio corpo ―fisico‖ .
Sulle ultime parole dell‘angelo, la rivelazione si chiude. Giovanni si li-
mita ad aggiungere i saluti finali in calce alla lettera (Ap 22, 20-21). Non
sappiamo dopo quanto tempo e come sia ritornato in sé, né dove si sia ritro-
vato: il suo resoconto si interrompe alquanto bruscamente, non appena
l‘intera rivelazione è stata convogliata e comunicata per iscritto.
138
Mazzaferri, 1989, pp. 330-365, e Aune, 1997, pp. xc-cv e cx-cxxxiv, passano en-
trambi in rassegna le principali ipotesi di suddivisione del libro. Cfr. anche Bauckham, 1993a,
pp. 2-22.
139
Cfr. le osservazioni di Malina – Pilch, 2000, pp. 8-11, e Stone, 2003, pp. 171-177.
Sulla base dei paralleli raccolti (Ps.-Ippocrate, Ep. 15, 4-6; Elio Aristide, Or. 50, 56-57; Plu-
tarco, Cons. Apoll. 109c, e Sera 563b – 568a; Boezio, Cons. phil. 1), Berger, 1992, p. 218,
conclude: «es ist daher zu vermuten, dass das Phänomen der Folgevision(en) im paganen wie
im jüdisch-christlichen Bereich ein wesentlicher, jedenfalls häufig anzutreffender Bestandteil
der visionären Erfahrungen selbst gewesen ist, der sich dann in den genannten Texten litera-
risch niederschlug». Le esperienze visionarie autobiografiche citate in Knoblauch, 2003, pp.
104-105, mi sembra avvalorino decisamente questa possibilità.
140
Su ―trance‖, visioni e pianto del veggente, cfr. l‘iscrizione di Tell Deir ‗Alla e Nm
22, 4-14; 2 Re 8, 7-15, con le osservazioni di Grottanelli, 2003, pp. 37-47. Cfr. anche Platone,
Symp. 215d-e, e Epifanio, Pan. 49, 2, 4.
141
Almeno, questo è quanto emerge dall‘evidenza antica, su cui avremo modo di torna-
re (ma cfr. anche Plotino, Enn. 4, 8, 1; 5, 12, 9-20; 6, 9, 9-11!), e da resoconti autobiografici
più tardi di rapimenti estatici, per cui cfr. i testi raccolti da Buber, 1987, pp. 78-79; 193-194;
209-214, e Pozzi, 1992, pp. 81-82; 106-108; 119; 136; 140; 158-159; 166-167; 216-217.
Tra visione e testo letterario 69

4.4 Tra esperienza e letteratura: verso l‟Apocalisse

L‘ordine di scrivere ciò che avrebbe visto in un rotolo era riecheggiato


nelle prime parole della voce che Giovanni udiva dietro di sé (Ap 1, 10-11),
e lì lo avvertiva anche che era avvenuto ciò che a posteriori ha cercato di
spiegarsi – e noi con lui – con le parole ejgenovmhn ejn pneuvmati. La scrittura
è dunque un elemento costitutivo della sua esperienza visionaria, in quanto
forma e strumento di trasmissione: Giovanni vede e deve riportare.
In Ap 22, 18-19, l‘angelo suggella lo status profetico di «questo rotolo»:
l‘accoglienza che riceverà deciderà del destino escatologico di chi ne ascolta
la lettura, in bilico tra le «piaghe» e «il legno della vita e la città santa», ivi
trascritti appunto. L‘angelo sembra già dare per scontata – e ultimata – la
stesura delle visioni: «piaghe» copre quantomeno i settenari delle trombe e
delle coppe (cfr. Ap 9, 18.20; 15, 1.6.8; 16, 9.21; 21, 9), «il legno della vita e
la città santa» condensano la discesa e descrizione della Gerusalemme cele-
142
ste (Ap 21, 10 – 22, 5) .
L‘impressione è confermata dalla breve e significativa parentesi di Ap
10, 3-4: al grido dell‘angelo,
«parlarono i sette tuoni le loro voci, e quando parlarono i sette tuoni, mi apprestavo
a scrivere (e[mellon gravfein) e udii una voce dal cielo dire: ―Sigilla le cose che
hanno detto i sette tuoni, e non scriverle (kai; mh; aujta; gravyh/~)‖».

Giovanni, insomma, era già lì pronto a scrivere, ma viene fermato pri-


ma: la proibizione, anche nel suo contrappunto grammaticale, suona come
143
un‘eccezione imposta all‘ordine precedente . Giovanni si immagina e si
rappresenta a scrivere quindi, e questo nel corso delle visioni, mentre è «in
spirito»: cosa presuppone un simile scenario? Cerchiamo di scavare nel testo
con una prima serie di confronti.
In Migr. 34-36, Filone racconta un particolare interessante della sua at-
tività intellettuale, ripetutosi spesso, dice, al momento di venire alla scrittura
di opere filosofiche: quando sa nei dettagli cosa trattare e comporre, le idee
gli vengono a mancare e rimane improduttivo, altre volte, invece,

142
Cfr. Vanni, 1971, pp. 111 e 112-113.
143
Dei commentari danno un qualche spazio alla semplice constatazione Bousset, 1906,
pp. 308-309; Charles, 1920, p. 262; Lohmeyer, 1953, p. 85; Massyngberde Ford, 1975, p.
159; Thomas, 1995, p. 65; Giesen, 1997, p. 232; Murphy, 1998, p. 252; Beale, 1999, pp. 533-
534.
70 Capitolo primo

«keno;~ ejlqw;n plhvrh~ ejxaivfnh~ ejgenovmhn ejpinifomevnwn kai; speiromevnwn


a[nwqen ajfanw`~ tw`n ejnqumhmavtwn, wJ~ uJpo; katoch`~ ejnqevou korubantia`n kai;
pavnta ajgnoei`n, to;n tovpon, tou;~ parovnta~, ejmautovn, ta; legovmena, ta; grafov-
mena» (35; corsivo mio)

L‘esperienza lo sorprende come «godimento di luce, vista acutissima,


chiarezza la più cristallina delle cose, quale solo potrebbe essere attraverso
gli occhi, quando qualcosa viene mostrato nella maniera più evidente» (i-
144
bid.) . Questa stessa follia di coribante e l‘illuminazione, che qui, diretta-
mente dalla contemplazione di Dio, si riverberano sulla scrittura, Filone le
rappresenta altrove come ascesa nei cieli e visione (Opif. 70-71 e Her. 69-
70; cfr. Migr. 169). Un ampio squarcio autobiografico (Spec. 3, 1-6) rivela la
sua lunga familiarità con esperienze simili, re-introducendo, in questo caso,
145
l‘esegesi del testo sacro come loro risultato (cfr. anche Cher. 27) .
Qualche decennio più tardi, 4 Esd. si conclude con la preghiera di Esdra
a Dio di infondergli lo Spirito Santo per poter mettere di nuovo per iscritto la
Legge data alle fiamme. La risposta non si fa attendere:
«praepara tibi buxos multos et accipe tecum Saream, Dabriam, Selemiam, Ethanum
et Asihel, quinque hos qui parati sunt ad scribendum velociter. Et venies hic, et ego
accendam in corde tuo lucernam intellectus, quae non extinguetur quoadusque
finiantur quae incipies scribere» (4 Esd. 14, 18-25).

Tavolette di legno alla mano, Esdra e i tachigrafi si recano al campo,


come concordato, finché l‘indomani, Esdra, in visione, beve dal calice dello
Spirito, e inizia a parlare e dettare (14, 37-42). Dettatura e trascrizione auto-
matica lavorano nella perfetta sintonia dell‘ispirazione divina e in quaranta
giorni producono novantaquattro libri (14, 43-44).
Anche Erma, in visione, si ritrova a copiare un rotolo, lettera per lettera,
il cui contenuto, sulle prime, indecifrabile, gli viene poi manifestato, per es-
sere integrato da altre parole, prima della diffusione in più copie e della let-
tura pubblica (Vis. 2, 2, 1 – 2, 4, 3; 4, 3). Il processo di aggiunta e rimaneg-
giamento attraversa almeno due altre visioni e più fasi (cfr. Vis. 3, 8, 11), ma
alla fine la rivelazione della Chiesa si completa con un appello diretto a ri-
cordare le rivelazioni già trascritte (Vis. 4, 3, 6). Sotto la dettatura
dell‘Angelo del ravvedimento, il Pastore, che entra nella casa di Erma, dopo
che questi ha pregato e si è seduto sul letto (Vis. 5, 1-2), seguono i dodici
mandati (cfr. ibid., 5-7, e Mand. 12, 3, 2) e le parabole (cfr. Vis. 5, 5-7, e
144
Cfr. anche le osservazioni di Goodman, 1994, pp. 52-53; 55; 187-188, e Lapassade,
2008, p. 233, su ―ispirazione‖ artistica e ―trance‖.
145
Cfr. Wan, 1994; Heininger, 1996, pp. 146-159, e 2004, pp. 195-204; Borgen, 1998,
pp. 309-320; Nasrallah, 2003, pp. 36-44; Deutsch, 2008, pp. 87-94.
Tra visione e testo letterario 71

Sim. 5, 3, 7 e 9, 33, 1), raccontate in più occasioni e in locazioni diverse


146
(monte: Sim. 5, 1, 1; casa: Sim. 6, 1, 1-5; forse ancora casa: Sim. 9, 1, 1-4) .
In casa li sorprende l‘Angelo che ha inviato il Pastore, «postquam scripsi li-
brum hunc» (Sim. 10, 1, 1).
I papiri magici, infine: formule stereotipe ripetono e variano il consi-
glio di tenere sempre a portata di mano una tavoletta, prima di evocare la di-
vinità, per scrivere la rivelazione in presa diretta: «ece eggistav sou pina-
kivda, i{na o{sa levgei gravyh/~» (PGM VIII, 90-91); «ece de; pinakivda, eij~
h}n mevll>ei~ gravfein, o{sa soi levgei» (PGM XIII, 90-91 e 647; cfr. anche
ibid., 137-138 e 696-697). Il consiglio è chiaro, la memoria considerata inaf-
fidabile: «ejpa;n eijsevlqh/ oun oJ qeov~, kavtw blevpe kai; gravfe ta; legovme-
147
na» (PGM XIII, 211-213 e 565-567) .
Comincia a delinearsi una precisa pratica di scrittura dell‘esperienza vi-
sionaria nel corso dell‟esperienza visionaria stessa, che poi chiaramente è
148
diversa di contesto in contesto . Tre aspetti si impongono ora all‘analisi.
La preparazione. Esplicitamente, 4 Esd. e i papiri, implicitamente, Filo-
ne ed Erma prevedono il rifornimento e la preparazione di materiale scritto-
rio, che siano poi, nello specifico, tavolette o rotoli. Ad attenersi
all‘indicazione fornita in Ap 1, 11 («ciò che vedi scrivilo su un biblion»), cui
Ap 10, 3-4 formalmente e concettualmente si riallaccia, Giovanni dovrebbe

146
Sim. 6, 1-5 e 9, 1, 1-4 sembrano piuttosto movimenti intra-visionari, l‘ambiente reale
rimane probabilmente quello di partenza (cfr. Sim. 10, 1, 1).
147
In Pyth. orac. 397 c-d, anche Plutarco si confronta con la possibilità teorica che la
Pizia scriva, e non pronunci, oracoli in stato di ejnqousiasmov~.
148
Si rivela quindi inesatto, da più punti di vista, il giudizio di Rowland, 2006, p. 52:
«the comparative lack of parallel descriptions of ancient people being possessed and then
writing automatically makes straightforward comparison within Judaism, or even toward the
ancient world at large, impossible». Solo per citare altri casi famosi: la Sibilla cumana di Vir-
gilio, nel suo furore estatico (insana vates), «fata canit foliisque notas et nomina mandat./
Quaecumque in foliis descripsit carmina virgo/ digerit in numerum atque antro reclusa relin-
quit» (Aen. 3, 444-446); Hildegard di Bingen (1098-1179) insiste sulla fedele corrispondenza
del testo trascritto con la visione: «Et ea que scribo, illa in visione video et audio, nec alia
verba pono quam illa que audio, latinisque verbis non limatis ea profero, quemadmodum illa
in visione audio, quoniam sicut philosophi scribunt scribere in visione hac non doceor» (Ep.
103r, 88-92); nel prologo del Sermo Angelicus di Brigitta di Svezia (1303-1373), Cristo pro-
mette alla mistica di inviarle il Suo angelo a dettarle le letture per il suo ordine monastico
femminile, e questa, nella sua cella, con finestra sull‘altare della chiesa di S. Lorenzo in Da-
maso, a Roma, «praeparabat se cotidie […] ad scribendum cum pugillari et carta et penna in
manibus, postquam horas et oraciones suas legebat, et sic parata angelum Domini expecta-
bat» (1-4). All‘arrivo dell‘angelo, che si metteva in piedi al suo fianco, e dettava «distincte et
ordinate» nella lingua materna della futura santa, costei, ogni volta, scriveva dalla sua bocca,
seguendo l‘ordinamento «per lecciones» che l‘angelo introduceva nel testo (5-11). Su trance,
possessione e scrittura automatica, cfr. anche Blacker, 1975, pp. 130-134; Ahern, 1981, pp.
49-50; Goodman, 1991, pp. 113-120, con ulteriore bibliografia; Masquelier, 1999, pp. 41-42;
Rowland, 2006, pp. 52-53.
72 Capitolo primo

aver avuto tra le mani un rotolo di fogli di papiro (cfr. 2 Gv 12; 4 Bar. 6, 19;
P.Flor. 367, 7; Anth. pal. 9, 174, 4-6 e 401, 3; Plutarco, [Plac. philos.]
149
900b) , e una canna (cfr. 3 Gv 13; 3 Macc. 4, 20; Anth. pal. 9, 401, 3; Cle-
mente di Alessandria, Strom. 6, 4, 36, 1) da intingere nell‘inchiostro (2 Gv
12 e 3 Gv 13; Clemente d‘Alessandria, ibid.; 4 Bar., ibid.; Anth. pal., 9, 401,
150
3; T. Ab. A 12, 3-4; Sinesio di Cirene, Ep. 157) . Ciò presuppone quanto-
meno che, nel contesto socio-culturale in cui poi effettivamente le ha avute e
trascritte, Giovanni si aspettasse di avere esperienze estatiche e di poterle
simultaneamente stendere su papiro, e si fosse quindi preparato per preser-
151
varne i contenuti .
Il rapporto tra visione e realtà. R.L. Thomas è l‘unico studioso che ab-
bia cercato di farsi un‘idea di come Giovanni possa essere venuto eseguendo
l‘ordine di Ap 1, 11.19 ed essersi apprestato a scrivere ciò che i tuoni dice-
vano:
«This apparently means that John used intervals between activity during his visions
to do his writing [...], or at least to take notes on what he had seen or heard [...]»
(1995, p. 65).

Vogliamo precisare e raffinare questo tentativo.


Tutti i testi sopra riportati giocano su una interazione, una sorta di limi-
nalità fondamentale: la scrittura si colloca sulla soglia tra la realtà altra in cui
l‘esperienza estatica introduce, e la realtà quotidiana. Lo scritto è prodotto
nel corso della visione o della rivelazione, ma continua ad esistere come og-
getto concreto per usi concreti anche al di fuori di queste. Filone produce i
suoi trattati filosofici ed esegetici, Esdra la sua nuova Legge, e i settanta libri
esoterici, Erma l‘originale da leggere e mettere in circolo in più copie,
l‘apprendista visionario dei papiri i messaggi della divinità che lo riguarda-
no.
Intersezioni simili tra il piano di esistenza in stati alterati di coscienza e
l‘ambiente circostante si possono osservare in casi riportati nella letteratura
antropologica: fenomeni di scrittura automatica in Cina, Giappone e Singa-

149
Cfr. anche Ap 6, 14: «e il cielo si separò come un biblion che si arrotola». Le osser-
vazioni di Balz, 1980, p. 22, e Karrer, 1986, p. 168, integrano utilmente i dati testuali.
150
Il redattore dell‘inserto di Atti Giov. Pro. conservato da N, P3 e m3 (Zahn, 1880, pp.
184-185) sembra esplicitare i sottintesi di Ap, costruendo uno scenario analogo e insieme di-
verso da quello che veniamo delineando. Procoro avrebbe infatti trascritto l‘Apocalisse, sotto
dettatura di Giovanni, su fogli di papiro e con inchiostro, dopo l‘estasi dell‘apostolo. Sulla
produzione, l‘uso e la diffusione del rotolo di papiro nell‘antichità, vedi Nestle – von Dob-
schütz, 1923, pp. 32-33, e, più diffusamente, Millard, 2000, in particolare, pp. 19-20; 27-28;
58-60,151e Hezser, 2001, pp. 126-144.
Non penso comunque a ricerca o induzione mirata delle visioni, tramite, per esem-
pio, isolamento, digiuno, preghiera, afflizioni corporee.
Tra visione e testo letterario 73

pore operano tra il livello di trance dello scrivente ed il supporto scrittorio


152
materiale a disposizione ; sciamani, al culmine della trance, nel pieno del
loro viaggio celeste o sotterraneo, correggono la frequenza del battito di
tamburo dell‘assistente o evitano ostacoli sulla traiettoria delle proprie dan-
153
ze , e più in generale non cessano di intervenire sul contesto rituale, gli og-
154
getti simbolici della seduta e gli astanti ; indovini conducono le sedute divi-
natorie in un gioco di stati alterati di coscienza, manipolazione del proprio
155
corpo e/o dei parafernalia, e consulenze ai clienti .
Nel quadro così schizzato si inseriscono e acquistano la giusta dimen-
sione alcune riflessioni della fonte anti-―montanista‖ (inizi III sec.d.C.) usata
156
da Epifanio, sulla tipologia delle «ejkstavsei~» (Pan. 48, 5, 1-8) :
l‘«e[kstasi~» del sonno profondo disattiva i sensi corporei, ma non lo
«hJgemonikovn» né il «frovnhma». Spesso, infatti, l‘anima del dormiente
«fantavzetai kai; oJra`æ eJauth;n wJ~ ejn ejgrhgovrsei kai; peripatei` kai; ejrgavzetai
kai; pontoporei` kai; dhmhgorei`, kai; ejn pleivosi kai; ejn meivzosi touvtwn dia; oj -
neiravtwn eJauth;n qewmevnh: ouj mh;n kata; to;n ajfraivnonta kai; ejn ejkstavsei gi-
novmenon ejkstatiko;n a[nqrwpon, to;n tw`æ swvmati kai; th`æ yuch`æ ejgrhgorovta ta;
deina; metaceirizovmenon kai; pollavki~ eJautw`æ deinw`~ crwvmenon kai; toi`~ pevla~:
ajgnoei` ga;r a} fqevggetai kai; pravttei, ejpeidhvper ejn ejkstavsei gevgonen ajfro-
suvnh~ oJ toiou`to~» (7-8).

Se, dunque, una differenza tra i due stati c‘è, non va ricercata nei conte-
157
nuti o nella forma del sogno o della visione , ma piuttosto nel grado di coin-
volgimento sensoriale e fisico nel contesto dell‘esperienza estatica, nullo o
quasi nullo nei dormienti (1-6), elevato, pur nell‘ incoscienza
dell‘«e[kstasi~ frenw'n», nei profeti ―montanisti‖. Questo loro attivismo,
esteso al proprio corpo e ai presenti, in qualsiasi cosa poi, nei fatti, consistes-
158
se , si fa tanto più interessante, quanto più il «pareksth'nai» poteva essere
152
Cfr. Elliott, 1955, pp. 56-57; 113; 115; 121; 140-145; Blacker, 1975, pp. 132-
133.134.136.239; Davis, 1980, pp. 5; 26-28; 117; 135-136; Ahern, 1981, pp. 49-50; Good-
man, 1991, pp. 114-116 e 119-120, e 1994, pp. 134-135.
153
Cfr. Townsend, 1997, pp. 442.453.
154
Cfr. Peters – Price-Williams, 1980, pp. 399-401; 403-404; 407; Walsh, 1993, pp.
748-750 e 755, e 2003, pp. 269-278; Goodman, 1994, pp. 157-162; Lawrence, 2005, p. 49.
155
Cfr. Zuesse, 1975, p. 163 n.7; Blacker, 1975, pp. 238-239; Burton, 1991, pp. 45-50;
Devisch, 1991, 114-121; Peek, 1991b, pp. 199-202; Allen, 1991, pp. 389-391; Goodman,
1994, pp. 64-65 e 67-69.
156
Estensione, datazione e analisi della fonte in Nasrallah, 2003, pp. 46-51 e 167-196.
157
Attestati entrambi per la ―nuova profezia‖, cfr. Tertulliano, Marc. 4, 22, 4-5; An. 9,
4; Exh. cast. 10, 5, ed Epifanio, Pan. 49, 1, 2-3.
158
Oltre alla complessa fenomenologia psico-fisiologica della divinazione per posses-
sione divina offerta da Giamblico, Myst. 3, 4-7, cfr. anche Tibullo, El. 1, 6, 43-54; Luciano,
Syr. d. 50-51; Proclo in Michele Psello, Or. for. 1, 311-332; Michele Psello, [Op. daem.] 14.
74 Capitolo primo

sperimentato ed interpretato anche come ascensione nei cieli – prestando co-


sì, peraltro, il fianco ad accuse di ―volo magico‖ (cfr. l‘anonimo anti-
montanista in Eusebio, H.E. 5, 16, 14 e Atti Piet. 32, 2-3).
Insomma, Giovanni non smaschera qui il suo vero volto di riflessivo let-
terato da tavolino che esce dal suo ruolo di visionario, e si ritaglia uno spazio
159
per dar conto al lettore della propria attività e della propria opera . Nella mi-
sura, invece, in cui accenna al suo disporsi a scrivere, suppone evidentemen-
te di muoversi ancora tra cielo e terra. La sua estasi allora non avrebbe tron-
cato di netto ogni contatto con e oscurato ogni percezione del suo corpo ―fi-
160
sico‖, dell‘ambiente originario e degli oggetti che vi appartengono .
Lo scritto: appunti o testo letterario? L‘ipotesi di Thomas, come ab-
biamo visto, oscillava tra una scrittura fluente, più organizzata, e semplici
161
annotazioni .
Forme di scrittura automatica rilevano, in effetti, un raggio abbastanza
ampio nel grado di complessità della produzione: si va da segni su carta,
sabbia o polvere, poi interpretati o pronunciati, ed eventualmente trascritti e
162 163
raccolti in testi voluminosi di natura sistematica , a caratteri leggibili , a
poemetti sapienziali o lunghi ofudesaki (lett. «punta di penna»), ovvero scrit-
164
ti di rivelazione in forma metrica , racconti delle origini e visioni dell‘età
165
paradisiaca futura , o resoconti autobiografici delle proprie esperienze esta-
166
tiche . Su un arco di ampiezza poco minore si dispiegano le testimonianze
dei nostri testi: ad un estremo, abbiamo le probabilmente scarne note su ta-
voletta dell‘apprendista visionario dei papiri, all‘altro, le articolate composi-
zioni letterarie su rotolo di Filone ed Erma, ed il profluvio di libri, esoterici e
167
non, di 4 Esd.; in mezzo, i metri della Sibilla .

159
Bousset, 1906, p. 309. Cfr. anche la più ambigua formulazione di Beale, 1999, pp.
533-534.
160
Nella misura in cui preserva una memoria dell‘esperienza, l‘esistenza stessa
dell‘Apocalisse conferma di fatto questo grado di presenza cosciente da parte di Giovanni.
161
Già Massyngberde Ford, 1975, p. 159, parlava di «notes».
162
Cfr. Elliott, 1955, pp. 113; 115; 140-145, e Goodman, 1994, pp. 134-135.
163
Cfr. Elliott, 1955, pp. 56-57; Jordan, 1972, pp. 64-67; 73; 77; Blacker, 1975, p. 239.
164
Cfr. Elliott, 1955, pp. 121 e 172-173; Blacker, 1975, pp. 132-133 e 136; Goodman,
1991, pp. 114-116.
165
Cfr. Blacker, 1975, p. 134.
166
Cfr. Goodman, 1991, p. 120.
167
Cfr. anche Brigitta di Svezia, Serm. ang., prol. 4-5 e 10-11, e Hildegard di Bingen,
Ep. 103r, 90-92. Scrive Millard, 2000, p. 23, che le tavolette a cera, provviste di cerniera,
«wurden in hellenistischer und römischer Zeit zum Schreibmaterial für Steuereinnehmer,
Verwaltungsbeamte, Geschäftsleute und Gelehrte. Amtliche und juristische Texte wurden
ebenso darauf geschrieben wie geschäftliche Aufzeichnungen. Ausgenommen waren jedoch
(ausser im Schulzimmer) literarische Werke, denn diese gehörten auf Rollen». Cfr. anche dati
ed osservazioni in Hezser, 2001, pp. 127-131 e 133-136.
Tra visione e testo letterario 75

Riallacciandoci alle considerazioni che svolgevamo all‘inizio, Giovanni


si rappresenta pronto a riportare su rotolo le voci del settenario dei tuoni,
come in settenari si sviluppano le trombe (Ap 8, 6 – 11, 15), che inglobano
Ap 10, 3-4, e le coppe (Ap 15, 1 – 16, 21), ovvero le «piaghe» date già per
trascritte dall‘angelo in Ap 22, 18-19, insieme alla visione della Gerusalem-
me celeste; si aggiungano forse anche i messaggi isolati dall‘angelo con
l‘ordine «gravyon» (Ap 2, 1.8.12.18; 3, 1.7.14; 14, 13; 19, 9; 21, 5): sembra
delinearsi così un primo abbozzo di ossatura della futura Apocalisse di Gio-
vanni, per quanto non perfettamente coincidente con la redazione definitiva,
tanto nella struttura che nella forma. Ap 1, 9-20, e 22, 6-20, ad esempio,
hanno chiaramente carattere retrospettivo e la loro stesura risale probabil-
mente a dopo l‘esperienza; lo stesso discorso vale per i punti in cui riaffiora
la cornice narrativa della storia di Giovanni, e le suture letterarie che sottoli-
neano il progetto unificante del redattore (cfr. Ap 4, 1-8; 5, 4-5; 7, 13-17; 10,
4.8-11; 11, 1; 12, 1.3; 14, 13; 15, 1; 17, 1-3; 21, 5.9-10; e tutte le occorrenze
di «kai; tw/' ajggevlw// th'~ ejn C ejkklhsiva~ gravyon», «meta; tou'to/tau'ta», e
168
«kai; eidon/hkousa») .

4.5 Una sintesi

Cerchiamo ora di interpretare i dati che abbiamo raccolto, verificando e


adattando alla rappresentazione fornita o presupposta dal testo il quadro fe-
nomenologico proposto da Walsh.
Coscienza del contesto o dell‟ambiente dell‟esperienza. A ipotizzare
come contesto liturgico specifico dell‘esperienza, la consapevolezza
dell‘ambiente si rivela estremamente ridotta, quasi nulla, non fosse per il
processo di scrittura in corso durante la trance, di cui Giovanni rimane per-
fettamente cosciente e in pieno controllo. Assente un qualsiasi accenno di
comunicazione con i presenti.
Concentrazione. Se, come probabile, sono stati inni, preghiere, o altre
manifestazioni ―pneumatiche‖ ad aver guidato Giovanni nella sua trance, la
concentrazione si è fissata ed intensificata. Si fa poi progressivamente più
fluida, scivola continuamente di oggetto in oggetto, di visione in visione, al
tempo stesso, mantenendo almeno un qualche grado di focalizzazione sul
processo di scrittura.
Controllo. Non abbiamo elementi per determinare se Giovanni fosse in
grado di entrare e uscire dalla trance a suo piacimento. Tanto meno comun-

168
Cfr. il primo dei livelli narrativi evidenziati da Boring, 1992, pp. 704-707.
76 Capitolo primo

que sembra evocare e controllare in prima persona, per i propri scopi, i con-
tenuti delle sue esperienze.
Eccitazione. Paura e collasso, pianto, meraviglia profonda e terrore di
fronte al sacro, nel loro susseguirsi e oscillare tra piacevole e doloroso, la-
sciano trasparire le incisive oscillazioni nello stato emozionale di Giovanni.
Coscienza di sé e senso dell‟identità. Giovanni sembra già muoversi su
un piano non esclusivamente fisico prima delle vere e proprie esperienze ex-
tra-corporee del viaggio celeste e delle due traslazioni. La percezione di sé
non appare, ad ogni modo, particolarmente offuscata: nella rappresentazione,
sembrano affiorare residui dispersi di consapevolezza della presenza del cor-
po, delle sue funzioni e delle sue attività, che funzionano anche da modello
per l‘immaginazione dello stato altro. Piuttosto, l‘esperienza di contatto con
il divino trasforma radicalmente l‘identità di Giovanni nella misura in cui,
come vedremo, lo costituisce profhvth~.
Contenuto dell‟esperienza. I contenuti delle trance di Giovanni si rior-
ganizzano in un complesso multiforme e coerente. La molteplicità dei sensi
coinvolti (vista, udito, tatto, gusto) ne manifesta la ricchezza e sfaccettatura.
Interpretazione e creazione di significati e strutture si sviluppano coerente-
mente con i presupposti e le concezioni culturali condivisi da lui e dai suoi
lettori impliciti, prendendo la forma letteraria di lettera/―apocalisse‖.
Livelli di sviluppo dello stato. Si possono forse individuare due fasi suc-
cessive e progressive nell‘esperienza e nel racconto di Giovanni; più pro-
blematico appare decidere se nel testo siano confluite più esperienze separa-
te. Resta sempre aperta la possibilità che la rivelazione di Patmos fosse stata
pre-annunciata da una rivelazione precedente. Le une e l‘altra rinvierebbero
allora ad una familiarità relativamente elevata con le estasi.

5. ANCHE GIOVANNI TRA I ―PROFETI‖?

Un primo sguardo alla storia della ricerca su Ap 10 è sufficiente ad in-


dividuare le tre linee di interesse principali, su cui questa si è mossa: analisi
letteraria e di storia delle tradizioni soggiacenti all‘ ―intermezzo‖; interpreta-
zione dei contenuti e della funzione del rotolo al centro della pericope; iden-
tificazione di una seconda ―vocazione‖ o commissione ―profetica‖ – i termi-
169
ni oscillano acriticamente –di Giovanni .
Per quanto possibile, cercheremo qui di ri-orientare metodi, interessi e
risultati dell‘esegesi moderna verso una comprensione più approfondita di
ciò che Giovanni sta, nei fatti, cercando di descrivere: il rito dell‘ingestione
169
Cfr. i commentari ad loc., e Kowalski, 2004, pp. 307-324.
Tra visione e testo letterario 77

del rotolo stesso, e la conseguente, propria definitiva costituzione nello sta-


tus di ―profeta‖ (Ap 10, 10-11).

5.1 Piccola parentesi filologica

Osserviamo, innanzitutto, che non ci sono due rotoli distinti nell‘Ap. Il


«biblarivdion»/«biblivon» di Ap 10, 2.8 va identificato infatti con il «bibliv-
on» di Ap 5, 1: da un lato, la confusione della tradizione manoscritta in Ap
170
10, 2.8.9-10, riflessa anche nel testo latino commentato da Vittorino ,
dall‘altro, l‘uso linguistico di un Erma, che alterna le forme «biblarivdion»,
«biblivdion» e «biblivon», in riferimento allo stesso scritto (cfr. Vis. 2, 1, 3 e
4, 2-3), impongono di non insistere troppo sull‘effettiva valenza di diminuti-
vo assunta da biblarivdion, e, di conseguenza, su una non necessaria molti-
171
plicazione di rotoli . L‘assenza in Ap 10, 2 dell‘articolo determinativo, che
grammaticalmente avrebbe dovuto rimandare al rotolo di 5, 1, non pregiudi-
ca questa identificazione, una volta integrata nel quadro del modus scribendi
del redattore. Giovanni, infatti, in Ap 14, 1 introdurrà di nuovo i 144.000 di
Ap 7, 4 senza articolo determinativo e sempre in dipendenza logica da un
«kai; eidon».
La seconda apparizione, dopo Ap 5, 2, di un angelo «forte», e la ripresa
delle allusioni al sottotesto ezechielino (cfr. Ez 2, 9 – 3, 3 con Ap 5, 1 e 10,
2.8-10) creano allora l‘arco narrativo su cui si estende la vicenda del rotolo:
scritto dentro e di dietro, era inizialmente chiuso e sigillato nella mano destra
di Dio (Ap 5, 1), viene preso e progressivamente dissigillato dall‘Agnello,
sigillo dopo sigillo (Ap 6, 1 – 8, 1), si mostra finalmente aperto nella mano
172
dell‘angelo (Ap 10, 1-2) .
Ancora: non esistono due ―vocazioni‖ profetiche di Giovanni. Il «dei'
se pavlin profhteu'sai» di Ap 10, 11, che segue immediatamente
170
Comm. Apoc. 10, 1.3 ha i termini invertiti, presentando, rispettivamente, «liber» per
Ap 10, 2 e «libellus» per Ap 10, 8.
171
Cfr., ad esempio, l‘uso costante di ajrnivon per ajrhvn e qhrivon per qhvr, e l‘alternanza
di crusov~ e crusivon in Ap 3, 18; 9, 7; 17, 4; 18, 12.16; 21, 18.21, con una netta predilezione
per il secondo. Sul sistema dei diminutivi nel greco-ellenistico, in generale, e nel greco di Ap,
in particolare, cfr. Mussies, 1971, pp. 86-87; 108-111; 116-117, che conclude: «there is only
one diminutive word in the Apc.: biblarivdion (in X 2, 9, 10)» (120). L‘evidenza appena rile-
vata mi sembra tuttavia favorire l‘ipotesi che, nel greco di Giovanni, nessuna formazione di
diminutivo sia più semanticamente produttiva e che, quindi, sotto questo aspetto, Ap non co-
nosca diminutivi.
172
La stessa catena di rivelazione, che parte da Dio e arriva a Giovanni, passando per
Gesù Cristo, prima, e il Suo angelo, poi, si ritrova già, sotto forma di sintesi programmatica,
in Ap 1, 1-2. Cfr. anche le osservazioni di Mazzaferri, 1989, pp. 264-279; Bauckham, 1993a,
243-257; Moyise, 1995, p. 77; Lupieri, 2000, pp. 171-172 e 174.
78 Capitolo primo

l‘inghiottimento e la digestione del rotolo, non replica le istruzioni di Ap 1,


11-20: da un punto di vista di storia delle forme, questa è un‘angelofania
(cfr. Dn 10, 4-21; Gius. Asen. 14 – 17; Apoc. Ab. 8 – 11) e non una Beruf-
173
ungsvision . Piuttosto, ricorrendo, pochi versetti più sopra (Ap 10, 7), il ter-
mine «profh'tai» per la prima volta in Ap, il «profhteu'sai» di 10, 11, a
cui Giovanni è chiamato, sembra chiaramente alludere ad un suo riordina-
mento fra questi e, per converso, alla riattualizzazione nella sua delle loro
esperienze di rivelazione sul compimento del mistero di Dio. Di conse-
guenza, il pavlin andrà meglio inteso nella sfumatura specifica di «di nuovo,
a tua volta» (cfr. Sofocle, El. 371; Aristofane, Ach. 342; Platone, Resp. 612d;
Senofonte, Anab. 1, 6, 7; Callimaco, Hymn. Dian. 87; Mt 4, 7; Gv 12, 22 v.l.;
174
1 Cor 12, 21) .

5.2 La trasmissione della capacità profetica in atto: sequenze, simboli, prin-


175
cipi

L‘azione rituale dell‘ingestione del rotolo si colloca praticamente a ri-


dosso della settima tromba, che si apre proletticamente sulla consumazione
finale (Ap 11, 14-19).

5.2.1 L‘angelo, i tuoni, il divieto di scrivere

Inizialmente, il redattore costruisce la scena della discesa dal cielo del


176
colossale angelo forte, nella sua gloria divina , un rotolo in mano, il piede
destro sul mare, il sinistro sulla terra (Ap 10, 1-2).
Presa posizione, questi lancia un urlo, evidentemente intellegibile e co-
municativo: non solo la similitudine del leone rievoca contesti profetici ben
presenti alla memoria di Giovanni (cfr. Am 3, 7-8 e Ap 10, 7), ma anche la
reazione a breve termine dei sette tuoni e le altre ricorrenze della formula
«e[kraxen fwnh/' megavlh/» (o «ejn ijscura/' fwnh/'») in concomitanza con mo-
vimenti angelici (Ap 7, 2; 14, 15; 18, 2; 19, 17) lasciano intuire come nel
173
Così anche Müller, 1984, p. 80; Roloff, 1984, p. 38; Karrer, 1986, pp. 140-141.
174
Con Mazzaferri, 1989, pp. 292-295.
175
Per una critica costruttiva al modello tripartito (segregazione, liminalità, riaggrega-
zione) dei riti di passaggio proposto da A. van Gennep e approfondito da V. Turner, vedi le
preoccupazioni di Werbner, 1989, pp. 11-15; Tambiah, 1995, pp. 158; Destro – Pesce, 2000,
pp. 29-32. L‘analisi più accurata ed esaustiva della pericope resta, a mio giudizio, Glonner,
1999, pp. 201-238.
176
Diffusamente, Glonner, 1999, pp. 214-218. Cfr. Gieschen, 1998, pp. 245-269, in par-
ticolare, 256-260, e Lupieri, 2000, pp. 170-172.
Tra visione e testo letterario 79

grido si possa celare una prima rivelazione, forse in forma imperativa e im-
plicitamente diretta ai sette tuoni (cfr. Ap 7, 2; 14, 15; 19, 17, tutti passi dove
però il destinatario viene espressamente nominato), o che comunque ne sca-
tena immediatamente una seconda (cfr., in particolare, Ap 18, 1-8, l‘unico
altro caso dove l‘urlo non è specificamente indirizzato).
All‘angelo risponde l‘eco delle voci dei sette tuoni: probabilmente
anch‘essi di natura angelica (voci e tuoni fuoriescono dal trono di Dio in Ap
4, 5, come i sette spiriti; cfr. 1 En. 59, 2) o quantomeno come tali interpreta-
bili (cfr. Gv 12, 28-29), si fanno latori di una conoscenza accessibile a Gio-
177
vanni, se può provare a metterla per iscritto . Accessibile e riservata a Gio-
vanni, quando una voce dal cielo, probabilmente la stessa di Ap 4, 1 e 1, 10-
11.19, quindi, del «simile ad un figlio d‘uomo», gli impone enfaticamente di
178
passare il tutto sotto silenzio (10, 3-4) . La sequenza di rivelazioni si viene
così ad interrompere. Appare inutile ipotizzarne i contenuti: nella logica del-
la scena, Giovanni diventa l‘unico depositario umano di questa conoscenza
scaturita dal mondo sovrannaturale e sottratta ad un ulteriore processo di dif-
fusione per scrittura, la sua Apocalisse non copre per intero le rivelazioni da
lui ricevute. Una linea è quindi marcata tra lui e i destinatari, nella misura in
179
cui la trasmissione di conoscenza esoterica è anche trasmissione di autorità .
La prima fase del passaggio verso una nuova esistenza è conclusa.

5.2.2 Il giuramento

La seconda parte del rito si incentra sul giuramento dello stesso angelo
(Ap 10, 5-7).
177
Cfr. il commento di Lupieri, 2000, p. 172, e Aune, 1998a, pp. 559-561.
178
Intendo «sfravgison a} ejlavlhsan aiJ eJpta; brontaiv, kai; mh; aujta; gravyhæ~ » come
parallelismo endiadico del tipo «lavlei kai; mh; siwphvshæ~»(At 18, 9; cfr. anche Mt 5, 42 e 23,
23; Lc 6, 29-30; 1 Cor 14, 39).
179
Anche Paolo, nel suo concetto di profezia, associa conoscenza (1 Cor 13, 2) e autori-
tà (1 Cor 11, 2-10), ed è nel contesto del conflitto sulla sua autorità di apostolo che egli rac-
conta delle sue visioni e rivelazioni, e delle parole impronuciabili da lui udite nel paradiso (2
Cor 12, 1-13; cfr. 1 Cor 9, 1-6). Su questa esperienza uditiva e la densità dell‘aggettivo
a[rrhto~ usato da Paolo, cfr. Lietaert Peerbolte, 2008, pp. 164-168 e 175-176. In Mc, il cer-
chio dei tre, Pietro, Giacomo e Giovanni, riceve tutta una serie di insegnamenti e rivelazioni
speciali dal maestro (Mc 5, 35-43; 9, 1-13; 13, 3-37; 14, 32-42), che, per un verso, finiscono
ad alimentare le loro pretese di autorità e la conseguente conflittualità all‘interno del gruppo
dei dodici (cfr. Mc 10, 35-45), per l‘altro, giustificano la loro centralità nel movimento dei
seguaci di Gesù, dopo la sua morte (cfr. At 3, 1 – 4, 22 e 11, 2-3, e Gal 2, 9, con Giacomo, il
fratello di Gesù, a sostituire Giacomo figlio di Zebedeo). Anche i papiri magici insistono sulla
conoscenza esoterica come condizione del conferimento di «potenza» (PGM IV, 475-485 e
734-739). Per un‘interpretazione simile, cfr., più tentativamente, Lohmeyer, 1953, p. 82;
Kraft, 1974, p. 148; Roloff, 1984, p. 109; Karrer, 1986, p. 271.
80 Capitolo primo

180
La sua mano destra, la mano dell‘onore e della pivsti~ , si alza verso il
181
cielo , tutta la sua posizione corporea è tesa e orientata a Dio: la mano al
cielo, e i piedi che l‘angelo – ci viene ricordato – ha fermamente posto sul
mare, il destro, e sulla terra, il sinistro (cfr. Ap 10, 2 e 5), coinvolgono sim-
bolicamente il «Vivente nei secoli dei secoli» nel giuramento solenne, per
contatto con la sua creazione, di cui rivendica il dominio (cfr. Mt 5, 34-35 e
182
23, 22) . Arrivano inoltre praticamente a dettare la formulazione verbale che
accompagna ed esplica il gesto dell‘angelo:
«kai; w[mosen ejn tw`æ zw`nti eij~ tou;~ aijw`na~ tw`n aijwvnwn, o}~ e[ktisen to;n oujrano;n
kai; ta; ejn aujtw`æ kai; th;n gh`n kai; ta; ejn aujth`æ kai; th;n qavlassan kai; ta; ejn aujth`æ»
183
(Ap 10, 6) .
Il parallelo più significativo per la comparazione si registra nell‘Iliade,
quando Era giura sullo Stige e sugli dei ctonii, afferrando con una mano la
terra e con l‘altra il mare (Il. 14, 270-279). Appare in effetti probabile che
qui trovino il loro riflesso letterario pratiche in uso anche al di fuori del
mondo divino e delle sue rappresentazioni: Bacchilide, per due volte (5, 41-
45 e 8, 19-21), formula un giuramento, descrivendosi piegato a toccare la
184
terra con la mano, per evocare evidentemente i poteri ctonii di Gaia ;

180
Cfr. Senofonte, Anab. 1, 6, 6 e 2, 5, 3; Appiano, Lyb. 64, 284; Flavio Giuseppe, A.J.
18, 326.328.
181
Già in Omero, i giuramenti su Zeus sono pronunciati alzando lo scettro al cielo, Il. 7,
411-412 e 10, 321.328-331. Cfr. anche Gn 14, 22 (Abramo giura su JHWH sollevando la ma-
no), Dt 32, 39-41 TM (JHWH giura su sé stesso, mano al cielo; la LXX traduce, integrando:
«kai; ojmou'mai th/' dexia/' mou»), e Dn 12, 7 (l‘angelo giura sul Vivente nei secoli con la mano
sollevata verso il cielo).
182
Cfr. Glonner, 1999, p. 220. Giuramenti su realtà sovrumane possono cercare di stabi-
lire una qualche forma di contatto, reale o simbolico che sia, tra queste e chi giura (Sommer-
stein, 2007, p. 2). In Il. 7, 411-412 e 10, 321.328-331, Agamennone ed Ettore, rispettivamen-
te, per giurare, impugnano ed innalzano entrambi lo scettro, oggetto creduto di origine divina
e fatto risalire a Zeus (cfr. 1, 238-239 e 277-279, e 2, 46 e 100-108; cfr. anche 1, 233-246). Il
rito del giuramento sui sacrifici (cfr. Tucidide 5, 47; la legge citata in Andocide, Or. 1, 97;
Polibio 38, 20, 5) prevedeva di fatto che venissero toccati l‘altare o le ceneri dei sacrifici, co-
me il caso di Annibale mostra concretamente (cfr. Polibio 3, 11, 5-7, e Cornelio Nepote, Han.
2, 3-5). Un‘iscrizione da Filadelfia del I sec.a.C. (testo greco in Sokolowski, 1955, pp. 53-55)
obbliga tutti i partecipanti ad un culto privato a giurare toccando l‘iscrizione stessa, in quanto
trascrizione delle norme cultuali rivelate in sogno da Zeus (ll. 54-58.60, dove il giuramento è
chiamato direttamente «aJfhv»; cfr. ll. 3-4). Chi giurasse su Apollo poteva stringere eventual-
mente l‘alloro, pianta consacrata al dio (cfr. Antonino Liberale, Metam. 1, 3).
183
Vale qui la pena sottolineare come la clausola relativa, con la sua triplice scansione,
manchi nei sottotesti che ispirano la scena (cfr. Gn 14, 19.22, ma, soprattutto, Dn 12, 7). È
quindi un‘espansione redazionale di Giovanni. Sulla formula del giuramento, cfr. anche Fla-
vio Giuseppe, C. Ap. 2, 121: «ojmnuovntwn to;n qeo;n to;n poihvsanta to;n oujrano;n kai; th;n
gh'n kai; th;n qavlassan».
184
Cfr. MacLachlan, 2007, p. 92 e n. 4.
Tra visione e testo letterario 81

l‘epigramma conservato in Anth. pal. 14, 72, secondo il lemma, un responso


oracolare del II sec.d.C., consiglia, per un giuramento inviolabile, di mettere
in piedi la persona sulla spiaggia, il viso al sole nascente, il piede destro in
mare (!), il sinistro sulla terra asciutta, le mani a toccare entrambi, e di farle
evocare il cielo, la terra, gli approdi marini ed il sole (4-11); le istruzioni sul
giuramento trasmesse da Ps.-Clemente, Cont. 1, 2 – 4, 3, prescrivono, infine,
la posizione eretta presso una fonte di acqua corrente e l‘invocazione a te-
stimoni di cielo, terra, acqua, che tutto comprendono, dell‘aria che penetra
185
dovunque e fa respirare, e del Dio che è sopra ogni cosa .
Il richiamo continuo alla postura dell‘angelo sembra quindi far emerge-
re la coerenza unitaria che soggiace all‘azione rituale e che non si esaurisce
186
nella somma totale delle singole fasi in cui si articola .
Giovanni passa poi a riportare in discorso diretto le promesse che il
tempo finirà, e che, al suono della settima tromba, si sarà compiuto il mistero
di Dio, come annunciato ai Suoi servi, i «profeti» (Ap 10, 6-7). Sono i conte-
nuti che caratterizzano il giuramento, e questo, se procedura e atto di comu-
nicazione convenzionale accettato, finisce per implicare non solo Dio, chia-
mato a sancire la sua veridicità, ma anche i presenti, o meglio, il presente,
Giovanni, proponendo e garantendo il proprio intento trasformativo della re-
187
altà : stiamo toccando il punto di snodo tra la seconda e terza fase del rito,
tra il giuramento stesso, e l‘ordine e l‘ingestione del rotolo (Ap 10, 8-11).
Abbiamo infatti già rilevato come Ap 10, 11 recuperi la prospettiva storica
sulla ―profezia‖ sottesa a 10, 7, e ne attualizzi il flusso nel presente, in Gio-
vanni. In questo senso, Ap 14, 6, parlerà, quasi fondendo i due versetti, di un
vangelo eterno da annunciare («eujaggelivsai»; cfr. 10, 7) a tutti gli abitanti
188
della terra, genti, tribù, lingue e popoli (cfr. 10, 11) .
Una connessione simile di giuramento, rotolo scritto e ingestione, in
questo caso, del liquido in cui la scrittura è stata diluita, si riscontra nel rito
di Sotah (Nm 5, 11-31; Filone, Spec. 3, 56-62; Flavio Giuseppe, A.J. 3, 270-

185
Fra gruppi di seguaci di Gesù di origine giudaica, una procedura di giuramento simi-
le è attestata almeno dal Libro di Elchasai (inizi del II sec.d.C.), citato in Ps.-Ippolito, Haer.
9, 15, 2.5-6. Sull‘uso di giuramenti all‘aria aperta informano anche Varrone, Ling. lat. 5, 66, e
Plutarco, Quaest. rom. 271b.
186
Cfr. l‘analisi letteraria di Aune, 1998a, pp. 555-556.
187
Cfr. le utili osservazioni di Austin, 1987, pp. 17; 22; 25-29, che, a proposito della
promessa, scrive: «Ovviamente, perché io abbia promesso, è normalmente necessario che: A)
io sia stato sentito da qualcuno, magari dal destinatario della promessa; B) questi abbia capito
che si188
tratta di una promessa» (p. 22; corsivo dell‘autore).
Per l‘interpretazione, cfr. Müller, 1984, pp. 202 e 266-267; Roloff, 1984, pp. 110 e
152; Lupieri, 2000, pp. 174 e 224. L‘alternanza di dativo e accusativo dopo ejpiv nei due passi
(cfr. anche Ap 22, 16) non comporta variazioni sostanziali di significato, cfr. BD § 235. Sulla
corrispondenza letteraria e tematica di Ap 10, 11 e 14, 6-7, insiste Siew, 2005, pp. 80-82.
82 Capitolo primo

273; m. Sot. 1, 1 – 3, 8). Come scioglierla allora ed interpretarla? Cerchiamo


innanzitutto di ricostruire il sistema di concezioni culturali in cui acquista
senso.
Per l‘evocazione di un dio, un papiro magico prevede che la formula
vada scritta su due parti di nitro: una verrà leccata, l‘altra immersa e lavata
via in un cratere di latte e vino, che dovrà essere trangugiato, dopo la recita-
zione della preghiera, una lunga cosmologia che termina sulla pronuncia del
nome della divinità e l‘invocazione vera e propria. Non resta quindi che di-
stendersi sui tappeti e aspettare l‘ingresso dell‘essere divino (PGM XIII,
127-213; cfr. ibid. 377-717). Così anche sustavsei~ e teletaiv a dei o de-
moni (PGM IV, 779-786, e VII, 505-528), e creivai (PGM XIII, 1040-1054)
premettono invocazioni alla consumazione di uova o al leccare foglie, in-
scritte, rispettivamente, con il nome del demone o del dio a cui ci si inizia, e
189
con simboli magici . Su principi analoghi, Paolo presuppone che le parole
pronunciate da Gesù e da lui stesso ricordate trasformino i due elementi tipi-
ci del mangiare a tavola, il pane ed il vino, in cibo speciale, identificandoli
con il corpo ed il sangue del Signore ed attivando così quel potere di giudi-
zio, condanna e salvezza della sua morte, che con il cibo viene assunto (1
190
Cor 11, 23-30) ; in Did. 9, 1 – 10, 3, la medesima funzione di sacralizzazio-
ne è svolta dalle preghiere di ringraziamento innalzate a Dio sul vino e sul
pane, prima di mangiare e bere: separando il cibo e la bevanda da consumare
da ogni altro cibo e bevanda dati agli uomini, e costituendoli nutrimento
«spirituale», vita e conoscenza (cfr. le corrispondenze fra 10, 2-3 e 9, 3),
queste li trasformano nella conoscenza e vita di fatto consumata (cfr. 10, 1-
3), e producono l‘inabitazione del nome santo invocato e benedetto nei cuori
191
di quanti sono ammessi al pasto rituale (ibid.) .
Come si vede, quindi, comunicando la realtà che enuncia, l‘atto verbale
192
carica e impregna della propria forza il cibo o la scrittura . Questi vengono

189
Sulle implicazioni reciproche di parola orale, parola scritta e potere nei riti ―magici‖
dell‘antichità, si interrogano Frankfurter, 1994, pp. 190-199, e 1995; Graf, 1995, pp. 71-73;
203-205; 211-213; 215-218; Versnel, 2002; Struck, 2002, pp. 393-396.
190
Cfr. l‘analisi di Pesce, 1990, pp. 497-507.
191
Cfr., soprattutto, la formulazione di Teodoto (seconda metà del II sec.d.C.) conserva-
taci in Clemente d‘Alessandria, Exc. 82, e quella di Origene, Comm. Matt. 11, 14. Il punto mi
sembra rilevato, mutatis mutandis, anche dal commento di Visonà, 2000, pp. 167-168: in Did.
10, 3 «è evidente la stretta correlazione tra l‘azione di grazie sul pasto e quella che già si deli-
nea come eucaristia in senso forte», ovvero come «eucaristia sacramentale».
192
Come chiarisce esplicitamente una maledizione in copto di V-VI sec.d.C.: «Dirai: io
invoco la tua grande forza su di […]. La tua grande forza ora sarà su questo scritto» (tradu-
zione italiana in Pernigotti, 2000, pp. 70-71). Cfr. anche PGM III, 413 (non prima del IV
sec.d.C.): «Pronuncia (scil. la formula/preghiera sul pane, le tortine e le dodici figurine di pa-
sta di farina d‘orzo e latte bovino) tre volte e mangiali da digiuno e ne conoscerai la forza».
Mauss, 1965, spiega che le cose magiche, sottoposte ad incantesimo, vengono rivestite di una
Tra visione e testo letterario 83

poi ingeriti, la scrittura direttamente o indirettamente, con o senza il supporto


193
materiale, trasmettendo il potere che garantisce l‘efficacia del rito . Più spe-
cificatamente, il giuramento, sia che asserisca sia che prometta, invera e fon-
da la corrispondenza fra parole e cose, crea, nel farsi delle parole, la realtà
stessa dei fatti enunciati – passati, presenti o futuri –, fornendo il paradigma
194
per eccellenza di atto verbale .
Già Cicerone, interrogandosi sulla vis insita nel giuramento (Off. 3, 102-
104), la individuava non tanto nella paura dell‘ira divina, ma nella sua speci-
fica natura di «affirmatio religiosa» che costituisce fides, da intendersi, se-
condo la paretimologia di Off. 1, 23, come «[fieri] quod dictum est». Lin-
guaggio analogo usa Dionigi di Alicarnasso per introdurre il giuramento che
chiude la guerra tra Roma e Gabii (Ant. rom. 4, 58, 3-4): il giuramento è sen-
tito necessario perché produce pivsti~, sancendo e realizzando, con la sua
forza, un futuro di dominio più saldo (ejgkratevstero~) per Roma, e di pro-
sperità sicura (bevbaio~) e senza incertezze per Gabii. Filone (Leg. 3, 203-
204), commentando il giuramento di Dio per sé stesso a garanzia delle pro-
messe fatte ad Abramo (Gn 22, 16-17), arriverà a non distinguere più tra pa-
role di Dio e giuramenti: le prime possiedono infatti la caratteristica propria
di ogni giuramento, vale a dire, che «qualsiasi cosa Dio dica accade», ovvero
ancora, come Filone stesso si esprime altrove (Sacr. 65), la coincidenza pie-
na e perfetta di lovgo~ e e[rgon. Tale è la pivsti~/ijscurovth~ (Leg. 3, 204), o
195
bebaiovth~ (Sacr. 93), che le contraddistingue .

sorta di consacrazione magica (p. 44). Le formule di incantesimo, come le preghiere, sono
infatti riti orali che «hanno, quanto meno, l‘effetto di evocare una potenza e di specializzare
un rito. Si invoca, si chiama, si rende presente la forza spirituale che deve rendere efficace il
rito» (p. 54). Cfr. anche Id., 1997, pp. 51-52.
193
Il Socrate platonico così descrive un rimedio per il mal di testa: «si tratta di una fo-
glia, e una formula (ejpw/dhv) è [scritta?] sul rimedio. Se la si pronuncia e contemporaneamente
si fa uso del rimedio, il rimedio guarisce assolutamente; senza la formula, invece, la foglia
non serve a nulla» (Platone, Charm. 155e [corsivo mio]; analogamente, sul pane eucaristico,
Origene, Comm. Matt. 11, 14). Questo evidentemente perché, non investita della «duvnami~»
(cfr. 156b) della formula pronunciata, la foglia rimane una semplice foglia. Cfr. anche le os-
servazioni di Baermann Steiner, 1954; Finnegan, 1969; Tambiah, 1995, pp. 41-121.
194
Cfr. le riflessioni di Agamben, 2008. Sulla teoria dei performativi e degli atti verbali,
cfr. anche Austin, 1987, che include «giuro di» fra gli esempi di commissivi, ovvero di quegli
enunciati il cui scopo intero è di «impegnare chi parla ad una certa condotta» (pp. 115-116;
cfr. anche pp. 110-111). Lo segue Sommerstein, 2007, p. 2. Già Mauss, 1965, p. 52, inseriva
il giuramento tra le forme di riti orali comuni a magia e religione, mediante i quali, anche
«senza compiere nessun atto fisico esplicito, il mago crea, distrugge, dirige, scaccia, fa ogni
cosa con la voce, il fiato, o, anche, il desiderio» (p. 55; cfr. anche Id., 1997, pp. 51-52 e 57-
58). Lesses, 1995, ha provato ad applicare le teorie del linguaggio performativo all‘analisi del
rituale di adorcismo del Principe della Presenza, come tramandato nella letteratura hekalotica.
195
Fra le condizioni necessarie per la riuscita, la «felicità», degli enunciati commissivi,
Austin, 1987, conta «l‘intenzione di mantenere una certa ulteriore linea d‘azione, laddove
l‘uso della procedura data era designato precisamente ad inaugurarla (rendendola obbligatoria
84 Capitolo primo

Concretamente, nel rito di Sotah cui facevamo riferimento, la sospetta


adultera era fatta aderire, con un doppio amen, al giuramento-maledizione
condizionata, pronunciati dal sacerdote. Il testo, trascritto su rotolo, veniva
poi sciolto in acqua mescolata a polvere del pavimento del santuario e, sotto
questa forma, era bevuto dalla donna (cfr. Nm 5, 19-28 e m. Sot. 2, 3 – 3, 4):
«Attraverso una dispersione fisica – le parole d‘invocazione fissate e circoscritte in
un rotolo sono disperse in un corpo – si amplia notevolmente l‘azione di penetrazio-
ne legale. Da atto verbale diventa per così dire un ―evento corporale‖. Incanalando
le norme giuridiche nei processi fisiologici, si dà alla legge la concretezza necessaria
per influenzare ampi settori dell‘esistenza» (Destro, 1989, p. 159)

Il giuramento, prevedendo l‘invocazione del Nome, si rivelava uno dei


mezzi rituali che operavano questo processo di potenziamento ed asserzione
196
della legge e del giudizio divino .
Chiarito così il senso delle azioni in sé e della loro sequenza, torniamo
finalmente a Giovanni.
Il giuramento dell‘angelo, nella sua complessità, pone le basi su cui sarà
costruita la parte conclusiva del rito, nella misura in cui comunica ed enuncia
quei tempi – l‘esaurimento del crovno~ destinato al ravvedimento ed al ripo-
so (cfr. Ap 2, 21 e 6, 11), tra sesta e settima tromba, nello scorrere della sto-
ria profetica – e quegli eventi – il compimento del mistero/parole di Dio (cfr.
Ap 17, 17) – che avranno luogo successivamente (cfr. Ap 21, 5-6). Comuni-
candoli ed enunciandoli, li evoca e quasi materializza come già avvenuti, e
sposta così ciò che accade a Giovanni nella sfera della verità e giustizia divi-
197
na, che realizzano immancabilmente sé stesse e per sé stesse garantiscono .

o facoltativa)» (p. 36), con il conseguente dovere «di comportarsi effettivamente in tal modo»
(p. 17). Entrambi gli aspetti convivono nel concetto di fides/pivsti~, che, come abbiamo visto,
è il perno della riflessione antica sul giuramento (cfr. anche Licurgo, Leoc. 79, e Flavio Giu-
seppe, A.J. 12, 8).
196
Destro, 1989, pp. 146-167. Come mostrano perlomeno Pausania, Descr. 7, 25, 13 e
PGM V, 184-211, la concezione implicita «sugli effetti corporei negativi provocati da un con-
tatto mediante ingerimento di un cibo sacro con una parte corporea indegna che provochi an-
che uno svelamento e giudizio sull‘intenzione interiore del singolo» (Pesce, 1990, p. 513) è
attestata anche al di fuori della cultura ebraico-palestinese (contro Pesce, ibid.).
197
Giovanni scrive precisamente: «crovno~ oujkevti e[stai, ajllÆ ejn tai`~ hJmevrai~ th`~
fwnh`~ tou` eJbdovmou ajggevlou, o{tan mevllhæ salpivzein, kai; ejtelevsqh to; musthvrion tou`
qeou'»(cfr. anche Ap 15, 1 e 17, 17). La costruzione della frase e l‘uso dell‘aoristo di televw
sono evidenti semitismi (cfr. materiali ed ipotesi in Lancellotti, 1964, p. 56; Mussies, 1971, p.
337; Thompson, 1985, pp. 38-41; 55-56; 88; Aune 1998a, pp. 550-551). Il rapido passaggio
da futuri ad aoristi è tratto saliente dello stile e dell‘esperienza di Giovanni, e ricorre tanto
nella narrazione delle visioni (cfr. Ap 18, 1-19 e 20, 5.7-9), quanto in bocca ai personaggi che
Giovanni incontra o all‘io rivelatore (cfr. Ap 11, 3-13). Dietro la scelta grammaticale, emerge
l‘interesse a sottolineare l‘aspetto compiuto dell‘azione espressa dal verbo, e, sotto
quest‘aspetto, proiettata nel futuro, come da perfetto ebraico e aramaico: per il semplice fatto
Tra visione e testo letterario 85

Queste, investendo le parole scritte su recto e verso del rotolo da ingerire


(cfr. Ap 5, 1), le compenetrano, e conferiscono loro la virtù che ne assicura la
realizzazione, instaurandone ed attivandone il potere di trasformazione del
normale ordine delle cose.
Alla luce di Ap 5, 1 e delle costanti e dense allusioni ad Ez 2 – 3, il roto-
lo nella destra del Seduto sul Trono va probabilmente interpretato come rap-
presentazione simbolica della rivelazione, passata a e dischiusa dall‘Agnello.
Questa rivelazione risulta di fatto indirizzata a Giovanni per il tramite
dell‘angelo, se il rotolo così inteso comprende quello stesso mistero riservato
198
ai profeti della storia d‘Israele . Il giuramento dell‘angelo ne ricolloca quin-
di ora la trasmissione nell‘imminenza della settima tromba, e ne crea, plasma
e dispiega carattere e forza di verità ultima che si può efficacemente realiz-
zare perché affermata e sancita dall‘angelo, e quindi praticamente già realiz-
199
zata presso Dio .
È questa, di fatto, la consapevolezza che emerge da Ap 1, 1-3: riappa-
rendo in Giovanni e nel suo rotolo, le parole divine entrano ed agiscono per-
vasivamente nella sfera umana, adempiendo il giuramento ed il «mistero».
La scrittura ―profetica‖ stessa di Giovanni, ora, a sua volta testimone, si fa
segno che i tempi stanno scorrendo rapidamente e che gli eventi riportati nel-
le visioni sono ormai prossimi al compimento.

di essere deciso nel piano eterno di Dio e compreso nella Sua attività rivelatrice, tutto ciò che
è visto o preannunciato come futuro o in procinto di compiersi di fatto si è già verbalmente
realizzato, mentre è visto o preannunciato, e, per la forza vincolante di quell‘atto verbale, si
realizzerà senza ombra di dubbio (cfr. le osservazioni di Thompson, 1985, pp. 38-39, e Lupie-
ri, 2000, pp. 173-174). Il giuramento di Ap 10, 6-7, tanto più, chiamando Dio stesso a testi-
mone e garante, sembra così non solo basarsi su, ma quasi partecipare e infondersi del potere
creativo della Sua volontà (cfr. Ap 4, 11).
198
Sulla stretta corrispondenza – se non proprio di coincidenza si tratta – tra la formula-
zione dell‘atto verbale ed il testo scritto coinvolto, cfr. anche, oltre agli esempi già citati,
l‘aneddoto riportato in y. Ta„an. 66d, che riferisce specificatamente di un giuramento: «Ri-
guardo a Levi ben Sisi, truppe giunsero alla sua città. Lui prese un rotolo della Torah, e salì in
cima al tetto. Disse: ―Signore dei mondi, se ho trascurato una singola parola di questo libro
della Torah, che salgano contro di noi, altrimenti, che se ne vadano!‖ Subito le cercarono, ma
non le trovarono più». Sul carattere esoterico della conoscenza definita come musthvrion, ha
giustamente insistito Stroumsa, 1996, pp. 65-71.
199
Cfr. Glonner, 1999, pp. 218-219; 225-227; 236. Acquista nuovo significato allora
notare anche come le parole della rivelazione siano più volte specificate come «fede-
li»/«degne di fede» (Ap 21, 5 e 22, 6), e «veritiere»(Ap 19, 9; 21, 5; 22, 6), alla pari di Dio e
dei Suoi giudizi in atto (Ap 6, 10; 15, 3; 16, 6; 19, 2) o di Cristo (Ap 1, 5; 3, 7.14; 19, 11), e
come, soprattutto, Giovanni definisca il proprio scritto pivsti~ (Ap 14, 12) e «testimonianza»
di Gesù e del suo angelo (Ap 1, 2.9; 12, 17; 19, 10; 20, 4, cfr. anche 22, 16.18.20), altro con-
cetto chiave nella pratica del giuramento (cfr. Cicerone, Off. 3, 104: «quod autem affirmate
quasi deo teste promiseris, id tenendum est», e Ps.-Clemente, Cont. 1, 2 – 4, 3).
86 Capitolo primo

5.2.3 L‘ingestione del rotolo

La voce di Ap 10, 4 apre la terza fase del rito: l‘ordine è di andare e


prendere il rotolo aperto nella mano dell‘angelo (Ap 10, 8). Giovanni obbe-
disce e chiede all‘angelo di consegnarglielo. Risponde una seconda istruzio-
ne per bocca dell‘angelo stesso: Giovanni lo dovrà prendere e mangiare, sarà
dolce ed amaro (Ap 10, 9). Giovanni esegue e constata le due opposte sensa-
zioni (Ap 10, 10), quando un soggetto indistinto, forse ancora la voce celeste
200
di prima , forse la voce e l‘angelo all‘unisono, lo indirizza e conferma nella
sua nuova esistenza (Ap 10, 11), con il «dei'» a convogliare tutta l‘autorità
della volontà divina per influire sul modello normativo e comportamentale
cui questa dovrà ispirarsi.
Perché un rotolo? E cosa significa ingerirlo? Che relazione corre tra
l‘azione rituale e le parole che la chiudono? Sono tutte domande che merita-
no riflessioni specifiche.
Se Geremia divorava la parola di Dio, senza mediazione di materiale
scritto (Ger 15, 16), già Ezechiele inghiotte una mglt spr, una «kefali;~ bi-
blivou», come traduce la LXX, a riprova della diffusione della pratica della
201
scrittura ai suoi tempi, e della propria attività letteraria (Ez 2, 9 – 3, 3) .
Giovanni stesso non trasmette le sue rivelazioni oralmente; lo abbiamo visto,
anzi, immaginarsi a scrivere, e su rotolo (cfr. Ap 1, 11.19 e 10, 3-4). È pro-
babile allora che anche stavolta i due rotoli si attirino e spieghino a vicenda,
finendo per sovrapporsi, quasi l‘uno – il rotolo inghiottito nella visione – ve-
nisse ad impregnare la scrittura dell‘altro, e nell‘altro – il rotolo del testo
202
scritto – si traducesse concretamente il primo . Si rifletterebbe e declinereb-
be qui quell‘«egemonia» della scrittura e del testo contenente Dio e la sua
rivelazione, dentro e attraverso le lettere, che si viene affermando nel Giuda-
ismo dell‘epoca (cfr. Ap 22, 18.19 e Dt 4, 2; 13, 1; 29, 19; CD-A 15, 1-2; Fi-
lone, Decal. 18-19, e Mos. 2, 34-38 e 188; Flavio Giuseppe, C. Ap. 1, 37-
42), e non solo (cfr. Artemidoro di Daldi, Onir. 2, 70; Ireneo, Haer. 1, 14, 1-
203
3; Corp. herm. 16, 1-2; Giamblico, Myst. 7, 1) .

200
Il plurale indefinito «levgousin» va interpretato come semitismo equivalente di si-
gnificato al passivum divinum (cfr. Ap 11, 1.3).
201
Brenner, 1993, p. 165. Cfr. anche Demsky, 1988, pp. 10-16; Davis, 1989, pp. 30-31;
37-45; 51; Willi-Plein, 1997, pp. 77-82.
202
Cfr. l‘osservazione di sfuggita di Lupieri, 2000, p. 172.
Cfr. Dolève-Gandelman – Gandelman, 1996, pp. 184 e 189. Per un panoramica più
203

ampia sulla concezione antica del potere racchiuso nelle lettere scritte e nei libri, cfr. Speyer,
1992, pp. 62-70; Frankfurter, 1994, pp. 192-211; Hezser, 2001, pp. 193-195 e 209-226.
Sull‘emergere di una cultura del testo sacro nel mondo tardo-antico, utile anche Stroumsa,
2006, pp. 33-59.
Tra visione e testo letterario 87

La trasformazione, non semplicemente metaforica, del testo in corpo,


con conseguente produzione di nuovo testo, è operata per ingestione.
La scienza medica antica interpretava l‘alimentazione come processo di
assimilazione del nutrimento al nutrito: i cibi e le bevande, ciascuno con
specifiche proprietà, una volta introdotti nel corpo, pervadono l‘intero siste-
ma, e, trasformati dagli organi digerenti, si aggiungono ed attaccano, per a-
nalogia di sostanza, alle sue singole parti (vene, arterie, ossa, muscoli, san-
gue, cervello, nervi), integrandole e costruendole (Galeno, Nat. fac. 1, 5-
8.10-11 e 3, 1; cfr. anche Ippocrate, Alim. 2-7.22.49).
Questa concezione culturale era evidentemente diffusa: si spiega così
perché Silla fosse stato consigliato dal suo aruspice di mangiare, lui solo, le
viscere di un vitello sacrificato, il cui fegato aveva un caput somigliante a
una corona d‘oro, a presagio della imminente vittoria (Agostino, Civ. 3, 24);
più in generale, diventa chiaro il senso della pratica di ingerire le parti prin-
cipali di animali mantici, come il cuore di corvi, falchi o talpe, per condivi-
derne la yuchv divinatrice (Porfirio, Abst. 2, 48; cfr. il rito per l‘acquisizione
di prescienza in PGM III, 424-441 e il mito orfico in Proclo, Comm. Crat.
110). Su incorporazioni simili, giocano anche filtri d‘amore (PGM VII, 970-
972) e ricette per incrementare le proprie capacità mnemoniche (cfr. PGM I,
204
234-247 e III, 410-417) . Secondo Vit. Pro. 33, infine, il padre di Elia vide
due figure luminose avvolgere il nascituro nel fuoco e dargli da mangiare
fiamme infuocate; l‘interpretazione che del prodigio riceverà a Gerusalemme
spiegherà che fuoco sarebbe stata la dimora di suo figlio, e giudizio la sua
parola, e avrebbe giudicato Israele con la spada e con il fuoco (cfr. Sir 48,
1.3-7; Lc 9, 54; Ap 11, 5).
Non mancano ingerimenti di materiale scritto: un rito di defixio si in-
centra sull‘inserimento di una lastra di piombo, incisa con il nome della vit-
tima, nello stomaco di un rospo morto, allo scopo di lasciarne il corpo a pu-
trefarsi e seccare come quello dell‘animale (PGM XXXVI, 233-255); un in-
cantesimo per l‘abbondanza prescrive il modellamento, a foggia di Osiride,
di una statuina tricefala della triade Horus, Anubi, Iside, con cuore nel ven-
tre, e la deposizione, nello stesso ventre, di un pezzo di papiro con il testo
della preghiera da recitare per tutta la notte e al risveglio (PGM IV, 3125-
205
3171; cfr. E 3229, col. 5, 1-28) . Nel Romanzo di Setne I, testo conservato

204
Lo stato di conservazione del papiro C (V/VI sec.d.C.), secondo la numerazione di
Betz 1986, illustra bene la pratica: il papiro è stato scritto una prima volta, sciolto nell‘acqua
per far passare le parole dell‘incantesimo e il loro potere di guarigione in forma liquida, infine
riscritto nuovamente, in previsione della preparazione di altre bevande oppure come amuleto.
Cfr. anche Wortmann, 1968, pp. 102-104.
205
Discutono e analizzano queste ed altre pratiche analoghe Olsson, 1933; Leipoldt –
Morenz, 1953, pp. 178-180; Hopfner, 1974, pp. 420-421; Ritner, 1993, pp. 102-110.
88 Capitolo primo

da un papiro demotico del III sec.a.C., lo scriba Naneferkaptah si fa portare


davanti
«un pezzo di papiro nuovo e scrisse tutte le parole che erano sul libro davanti a lui,
lo imbibì di birra e lo sciolse nell‘acqua; poi, quando conobbe che era disciolto, lo
206
bevve e seppe ciò che c‘era in esso» .

Gli ultimi due esempi citati e gli incantesimi di iniziazione e di raffor-


zamento della memoria presuppongono evidentemente un‘associazione tra
ingestione di materiale scritto, incorporazione e memoria o conoscenza, che
traspare anche da una delle interpretazioni proposte da Artemidoro di Daldi
per i sogni di «mangiare libri» (Onir. 2, 45):
«b […]

».
Vittorino di Petovio, interpretando la nostra scena, scriverà di conse-
guenza che ricevere e mangiare il rotolo non significa altro che imprimersi
207
nella memoria la visione mostrata (Comm. Apoc. 10, 3) .
Insomma, nell‘accumularsi delle connotazioni simboliche che caratte-
rizzano l‘ingestione, con la predominanza delle idee di incorporazione e as-
208
similazione, acquisizione e conoscenza di ciò che è ingerito , è il corpo ad
essere coinvolto nell‘ultima fase del rituale: in quel momento e in quelle
condizioni create dal giuramento dell‘angelo, la potenza creatrice e rivelatri-
ce divina si condensa e concentra nelle lettere del rotolo che, inghiottite e as-
sorbite da Giovanni, lo penetreranno fisicamente – in un certo senso, si fa-
ranno corpo, si «accarneranno», per dirla con Dante (Purg. 14, 22) – e lo in-
vestiranno di sapere e autorità ―profetici‖ senza precedenti. Il bisogno di co-
noscenza dal mondo divino e la separazione tra questo e Giovanni sono inte-

206
Seguo la traduzione di Bresciani, 1999, pp. 886-887.
207
Istruttivo il caso del grammatico Didimo di Alessandria (I sec.a.C.): la sua instanca-
bile attività compilatoria gli guadagnò il soprannome di «Viscere di bronzo», significativa-
mente ribaltato nell‘ironico «Dimentica-libri» da Demetrio di Trezene (cfr. Suda s.v. Divdu-
mo~, e Ateneo, Deipn. 4, 139c).
208
Geu'si~ sta per gnw'si~, sottolinea, con un efficace gioco di parole, la Grande Rivela-
zione attribuita a Simon Mago (II sec.d.C.) e citata in Ps.-Ippolito, Haer. 6, 15, 3. Se Ez 3, 10
riprende expressis verbis, commenta ed interpreta l‘ingestione del rotolo di 3, 4, già nel sotto-
testo ezechielino della scena si avverte la forte interconnessione di scrittura, incorporazione e
interiorizzazione/memoria. Cfr. Fabry, 1984, pp. 432-435; Ringgren, 1984, pp. 1036-1037;
Davis, 1989, pp. 50-53. Cfr. anche Leipoldt – Morenz, 1953, pp. 179-180; Ritner, 1993, pp.
102-110; Dolève-Gandelman – Gandelman, 1996, pp. 196-198, e, più in generale, pp. 185-
196, sui procedimenti di trasformazione del corpo in testo e del testo in corpo.
Tra visione e testo letterario 89

riorizzati e colmati, la trasformazione si rivela radicale e irrevocabile: a Gio-


vanni sono trasferiti facoltà, compiti e modalità di operare che individuano
209
socialmente la sua nuova identità di «profeta» : l‘azione simbolica subito
ordinatagli (Ap 11, 1-2), il potere di compiere segni (cfr. Ap 11, 3-6, con 13,
12-14 e 16, 13-14), le esperienze estatiche stesse e le rivelazioni dello Spiri-
to, nell‘imminenza della parusia (cfr. Ap 14, 13; 19, 10; 22, 17; cfr. anche
22, 6), l‘equiparazione allo status degli angeli (Ap 19, 10 e 22, 8-9), tutto
concorre a definire e creare, nella sua immaginazione culturale, il «profetiz-
zare» cui è chiamato. Non ultimo, il rotolo stesso, su cui e che scrive, diven-
210
ta, implicitamente, «degurgitazione dei significanti» potenti ingurgitati , e
quindi «rotolo di profezia»: fedeltà a e preservazione del suo messaggio po-
tranno ora decidere e misurare la beatitudine escatologica di chi ne ascolta le
parole (cfr. Ap 22, 7.9.10.18-19, e 1, 3).

5.3 Appunti per una (ri)lettura dell‟Apocalisse

Abbiamo più volte rilevato come alcuni elementi dell‘azione rituale


rappresentata in Ap 10 non emergano dal nulla, ma si inseriscano in un pre-
ciso flusso narrativo: il rotolo viene preso e dissigillato dall‘Agnello tra Ap 5
e Ap 8; l‘angelo è il secondo angelo forte a comparire dopo quello di Ap 5, 2;
la voce dal cielo segue Giovanni da Ap 4, 1, o forse già da Ap 1, 11, se ordini
e divieto di scrivere vanno effettivamente riportati alla stessa fonte (cfr. Ap
211
1, 19; 2, 1.8.12.18; 3, 1.7.14; 14, 13; 19, 9) ; i sette tuoni di Ap 10, 3 si alli-
neano alla serie dei sette sigilli (Ap 6, 1 – 8, 1) e si innestano su quella delle
sette trombe (Ap 8, 6 – 11, 15).
Non sfugge l‘impressione che dietro questa calcolata struttura si possa
celare non solo una articolata architettura letteraria, ma anche, a livello più

209
È nel corpo dell‘iniziando che «l‘identità e lo status raggiunti vengono definiti e i-
scritti in forma permanente o comunque irreversibile. È il corpo che subisce e conserva i segni
iniziatici, da quelli poco invasivi (unzioni, decorazioni, colorazioni, immersioni, alitazioni,
salivazioni, ecc.) a quelli decisamente marcati e indelebili (circoncisione, scarificazione, muti-
lazioni, ecc.), o più blandi ma non meno costrittivi (segregazioni, restrizioni alimentari, divie-
ti, ecc.). La realtà corporale diventa così lo strumento della memoria e della consapevolezza
della propria configurazione sociale, del proprio posto nel gruppo, del proprio rapporto con la
legge umana o divina» (Destro – Pesce, 2000, p. 29). Più in generale, Werbner, 1989, scrive:
«by means of the body, performers of the ritual passage find and resituate themselves in cos-
mological space. By means of the body, also, performers personify who they are, and what
they intend to become in relation to the forces around them» (p. 1; cfr. anche pp. 32-34).
210
Mutuo l‘espressione da Dolève-Gandelman – Gandelman, 1996, p. 196, dove è usata
per spiegare l‘ingestione del rotolo in Ez 2, 7-10 e 3, 1-4, scena madre, lo ripetiamo, della no-
stra.
211
Cfr. la discussione in Gieschen, 1998, pp. 260-269, in particolare, pp. 264-269.
90 Capitolo primo

profondo, il profilo di una complessa azione rituale, che, in Ap 10, 11, cul-
212
mina e si apre sulla nuova realtà creata .
Le giunture narrative illuminano infatti una sequenza più ampia, scandi-
ta in prima sede dalle esperienze di Giovanni: la voce e la visione che le in-
troducono e portano il terrore e la percezione della morte, poi, la rigenera-
zione, la scrittura, e la stesura delle lettere (Ap 1, 10 – 3, 22), l‘ascensione al
cielo (Ap 4, 1), l‘impotenza del pianto (Ap 5, 4) e il disorientamento della
propria ignoranza (Ap 7, 13-14), l‘accesso graduale, in un caso, riservato, al-
la conoscenza degli eventi che accompagnano il dischiudersi della rivelazio-
ne, e la sua interiorizzazione finale, costantemente sotto la guida di angeli,
anziani e voci celesti (Ap 6, 1 – 10, 11), sembrano tutti segnare lo snodarsi di
un processo di rinnovamento, attraverso cui Giovanni è guidato, e da cui
Giovanni esce investito del potere di «profetizzare». Le visioni continueran-
no, con un unico rimprovero dell‘angelo al suo stupore (Ap 17, 6-7), e, alla
fine (Ap 21, 1 – 22, 6), gli sarà consentito di entrare nella nuova Città –
Tempio, contemplare la Gloria di Dio che la riempie, il Trono e il Volto di
213
Dio e dell‘Agnello, conoscerne le misure di lunghezza, larghezza e altezza .
Mostrare, deiknuvw, nel greco di Giovanni, e scrivere, gravfw, denotano
e comprendono il rapporto che genera il Giovanni «profeta» e l‘Apocalisse
intera «profezia» (Ap 1, 1; 4, 1 in parallelo a 1, 19; 17, 1; 21, 9-10; 22,
1.6.8): Ap 10, 11, se non annuncia un invio diretto nel mondo esterno, lo
proietta sul testo stesso, e sulla sua diffusione e circolazione, imprimendo

212
Non credo sia un caso che, a parte la retrospettiva di Ap 1, 3, solo da Ap 10, 11 in
poi, i termini «profeta» e «profezia» si possano trovare associati, direttamente o indirettamen-
te, all‘esperienza di Giovanni. Sempre da qui in poi, si costituisce l‘equazione tra «profezia»,
«testimonianza» di Gesù o dell‘angelo, e «fedeltà» di Gesù, ad indicare la rivelazione conte-
nuta nel rotolo dell‘Apocalisse (cfr. sempre, in retrospettiva, Ap 1, 2-3).
213
Le analisi di Stone, 1990, pp. 30-33, e 2003, pp. 171-176 su 4 Esd., di Destro – Pe-
sce, 2000, pp. 65-98 su Gv, e di Turner, 2000, pp. 131-137, su Allogene (NHC XI 58, 26 – 61,
21) mettono bene in rilievo la corrispondenza profonda fra struttura letteraria e
(ri)composizione dell‘esperienza iniziatica. Il processo descritto da Giovanni trova, a mio pa-
rere, un parallelo decisivo ancora nel Pastore di Erma, di qualche decennio più tardi: secondo
le parole del Pastore, riferite in Sim. 9, 1, 1-3, al subentrare dell‘angelo della conversione,
cioè il Pastore stesso, alla vergine Chiesa, entrambi forme dell‘unico Spirito, è corrisposta una
progressiva crescita di duvnami~ in Erma, che ha superato paure, dubbi, tristezze e pianti (cfr.,
ad esempio, Vis. 3, 1, 5 e 10, 6, e 4, 1, 3.7). A questa si apprestano a seguire, a loro volta, la
maggiore ajkribeiva delle visioni che gli saranno mostrate, la manifestazione diretta
dell‘angelo glorioso, il Figlio di Dio, lo Spirito (Sim. 10, 1, 1), e ulteriori invii del Pastore
(Sim. 10, 4, 5). L‘esperienza di conversione e rinnovamento attraversa quindi tutto il testo
(cfr. Vis. 1, 4, 3 e 3, 11-12, e Sim. 9, 14, 3) e lo trascende, segnando la preminenza di Erma
sui presbiteri (cfr. Vis. 2, 2, 6 e 4, 2-3, con 3, 1, 8-9 e 2, 4), e confermandolo nel ministerium
di proclamare la grandezza di Dio, la paenitentia e l‘osservanza dei precetti trascritti, da cui,
per bocca del Figlio di Dio, dipendono vita e morte, benedizioni e maledizioni escatologiche
(Sim. 10, 2, 2-4 e 4, 1). Testi di 4 Esd., Giovanni ed Erma trovano precise corrispondenze nei
resoconti autobiografici citati da James, 1998, pp. 175-229 e 328-344.
Tra visione e testo letterario 91

alle parole già scritte e alle parole che lo saranno il nuovo essere di Giovanni
e loro, e la consapevolezza – di Giovanni e di chi lo leggerà o ascolterà – di
confrontarsi con la sua nuova esistenza ed il suo nuovo ruolo.

6. LO «SPIRITO», LA CONOSCENZA, L‘AUTORITÀ

Raccolta ed esaminata l‘evidenza, ricostruita e valorizzata la conforma-


zione tutta particolare dell‘esperienza di Giovanni e del suo testo, ci trovia-
mo finalmente nelle condizioni di poter valutare – e, al tempo stesso, dispie-
gare – l‘efficacia esplicativa del modello che abbiamo proposto.
Per Giovanni, profhteiva, il contatto con il mondo sovrumano e la co-
municazione straordinaria della rivelazione, presuppongono ed operano un
passaggio, una trasformazione di fondo: genevsqai ejn pneuvmati. La nuova
condizione viene sperimentata a più riprese, e rappresentata in successione
come ampliamento e amplificazione della percezione, che permette di co-
gliere l‘invisibile e lo ―pneumatico‖, nello sfumare dell‘ambiente circostan-
te; come ascensione, che valica e supera l‘opposizione fondamentale terra-
cielo, e offusca le distinzioni temporali; come traslocazioni, al di là di qual-
siasi spostamento o anche movimento fisico, verso spazi ―altri‖, un deserto
prima, popolato dalle manifestazioni diaboliche, una montagna altissima poi,
luogo deputato all‘epifania del divino.
Il cosmo e la realtà sono così recuperati in una unità di costituzione e
significato in cui
«Diesseits und Jenseits, präexistente und jetzige Welt, geistige und körperliche Per-
son, Sichtbarkeit und Unsichtbarkeit, Sterne und Kräfte, Gedanken und Visionen
214
ineinander verschweben» (Colpe, 1976, pp. 624-625) .

Ne risulta ridisegnata anche la mappa epistemologica. Ai limiti e alla


frammentazione della normale conoscenza umana, si sovrappone ora un re-
gistro olistico di interpretazione dischiuso dall‘esperienza stessa dell‘estasi, e
culturalmente pre-dato: è il territorio delle identità e della conoscenza
―pneumatiche‖ (cfr. Ap 11, 8), della «sapienza» (cfr. Ap 13, 18 e 17, 9), che
si trasforma in simboli da applicare alla comprensione, o meglio, ricostru-

214
Per una discussione di questo «unbroken world», da una prospettiva semantica, fon-
damentale Thompson, 1990, pp. 74-91.
92 Capitolo primo

215
zione della realtà dei quotidiani , per noi ora esistenti solo in quanto cornici
216
storiche del testo scritto .
A livello di collocazione temporale – e qui ci muoviamo su terreno fer-
mo –, l‘estasi è riportata al «giorno del Signore», con buone ragioni, da in-
tendere come giorno in cui le comunità dei seguaci di Gesù si riuniscono a
celebrarne la resurrezione. A livello di collocazione spaziale, oltre la precisa
notazione che situa Giovanni sull‘isola di Patmos, siamo lasciati a congetture
più o meno verosimili: una probabile collocazione dell‘esperienza in un con-
testo liturgico, forse, più tentativamente, un dei'pnon, la radicherebbe in uno
spazio fortemente caricato dalla presenza del Signore, attesa e invocata, ce-
217
lebrata e sperimentata in manifestazioni estatiche . Nella mente del redatto-
re, entrambi i riferimenti, esplicito, il primo, implicito, se vediamo bene, il
secondo, sembrano evocare simbolicamente una liminalità che precede e tra-
scende categorie di classificazione e linee di demarcazione comunicative ed
epistemologiche (divino – umano; celeste – terreno; spirituale – corporeo;
sacro – profano; invisibile – visibile; vita – morte; passato – presente – futu-
218
ro; tempo – spazio) .
Le potenzialità di significato che l‘estasi così attinge sono condensate,
esplicate ed attivate nell‘iniziazione: divorando il rotolo, Giovanni viene a
contenere la capacità e legittimazione di accedere al divino e alla sua densità
cognitiva. Questa trasformazione singola, ontologica e sociale, si completa,
con l‘ingurgitazione, a ridosso di una linea profetica emergente dal passato, e
a monte di una trasformazione futura universale, che, con la nuova esperien-
219
za profetica di Giovanni, finiscono per radicarsi nel presente .
L‘attività cosciente di scrittura e la funzionalità della memoria, elabora-
ta anche simbolicamente con la rappresentazione dell‘ingestione del rotolo,
215
Cfr. l‘insistenza della cosiddetta Weckformel in Ap 2, 7.11.17.29; 3, 6.13.22; 13, 9-
10, e l‘analisi di Vanni, 1988, pp. 63-72.
216
Cfr. Schüssler Fiorenza, 1994, pp. 34-39, e Pezzoli-Olgiati, 1997, pp. 22-29; 37-41;
190-250.
217
Lampe, 1991, pp. 198-203 e 211-213. Su modi e forme della koinwniva con la divini-
tà nei banchetti greco-romani, cfr., ad esempio, P.Oxy. 99, 14 (55 d.C.), e le analisi di Klauck,
1982, pp. 91-166 e 258-261; Smith, 2003, pp. 77-84; 106-118; 150-172; 191; 205; Horbury,
2005, pp. 242-252; 262; 264-265.
218
Cfr. Thompson, 1990, pp. 56-73, e, cursoriamente, Filho, 2002, pp. 213; 228; 232-
234. Testi in Aune, 1972, pp. 29-44; 89-113; 126-133; 184-193. Sul concetto di liminalità ap-
plicato al tempo e allo spazio rituale delle comunità paoline, cfr. Strecker, 1999, pp. 192-199;
222-247; 311-338.
219
Sembra un preludio all‘oracolo di Massimilla: «met‘ ejme; profhvth~ oujkevti e[stai,
ajlla; suntevleia» (citato in Epifanio, Pan. 48, 2, 4). Sugli elenchi di profeti stilati dai cosid-
detti Montanisti e dai loro avversari, cfr. l‘anonimo citato da Eusebio, H.E. 5, 17, 3-4, P.Oxy.
1, 5, con il commento di Norelli, 1994, pp. 242-245, e la periodizzazione storica proposta da
Tertulliano in Virg. 1, 4-7, e riflessa anche in Res. 63, 7-10; Jejun. 11, 6; Mon. 3, 8-10 e 14, 3-
4. A conclusioni analoghe arriva Glonner, 1999, pp. 228; 230-233; 237.
Tra visione e testo letterario 93

creano una continuità tra processo iniziatico e produzione e fruizione del te-
sto: il supporto materiale su cui Giovanni fissa le visioni e che verrà inviato
come lettera prolunga, quasi contenendolo, l‘esistenza e le valenze denotati-
ve del rotolo ingurgitato, per esprimere concretamente, nell‘atto comunicati-
vo, l‘ordine di significato che rappresenta. Non è operazione neutrale ed a-
settica: tempi, modi, soggetti e contenuti della profhteiva sono articolati e
sanciti, autorità di redattore e lettera vengono (ri)costruite dall‘interno,
l‘identità dei seguaci di Gesù formulata e confermata nei termini della cono-
scenza divina guadagnata, culturalmente legittimata e trasmessa. La ricezio-
ne, il confronto con e le reazioni alla lettera acquistano in prospettiva il ca-
rattere di negoziazione della nuova ―realtà‖, e di dibattito e conflitto su auto-
220
rità ed identità, tra approvazione, rifiuto, contrattazioni (cfr. Ap 22, 18-19) .
Nella misura, quindi, in cui questa ri-strutturazione della realtà coinvol-
ge una «rivelazione» di Gesù e ne specifica il messaggio come fattore deci-
sivo nella definizione di un‘identità dei suoi seguaci e del loro h|qo~ di fronte
all‘ ―altro‖ demonizzato (cfr. Ap 1, 1-4; 2, 20-25; 6, 9; 12, 17; 14, 1-12; 20,
4), i nostri interessi ci portano ora a chiederci quale immagine di Gesù essa
crea e trasmette come memoria fondante, nello spazio epistemologico e auto-
221
ritativo che l‘estasi ha così individuato e rivendicato a Giovanni .

220
La definizione di Aune citata a inizio del capitolo acquista ora di complessità e pro-
fondità. Sull‘atto di comunicazione profetica, cfr. il modello elaborato da Overholt, 1989, pp.
17-25, che ha il merito di tenere conto delle diverse forme di pressione esercitate dai destina-
tari del messaggio sul profeta stesso, prima, durante e dopo il processo comunicativo.
221
Non è un caso, in fondo, che, dopo i Vangeli e insieme ad Eb, Ap sia il testo canoni-
co con più ricorrenze del nome Gesù. Sulla costruzione narrativa di Gesù in Eb, cfr., in parti-
colare, Roloff, 1990, pp. 144-167; Walter, 1997, pp. 151-168; Bradshaw Aitken, 2003.
CAPITOLO SECONDO

LE PAROLE DI GESÙ
NELL‘APOCALISSE

L‘importanza dell‘unica ―apocalisse‖ proto-cristiana divenuta canonica


per un riesame della trasmissione dei detti di Gesù non è stata ancora gene-
ralmente riconosciuta, e i dati e gli elementi che può fornire non ancora ade-
guatamente valutati e valorizzati. Eppure certa terminologia usata da Gio-
vanni allude chiaramente a processi di tradizione orale in corso. Ap 3, 3, in-
fatti, legge: «mnhmovneue ou\\n pw'~ ei[lhfa~ kai; h[kousa~ kai; thvrei». Il
«pw'~» sta per tiv o o{sa, e non va tradotto con «in che modo», «con quale a-
nimo», bensì con «cosa», a introdurre una interrogativa indiretta in funzione
1
di oggetto del verbo «ricordare» .
Un confronto incrociato con Ap 2, 25-26 e 3, 8.10 conferma questa in-
terpretazione, e non solo. Lascia infatti intuire quali contenuti specifici
l‘interrogativa possa sottintendere, ovvero la «parola» e/o le «opere» di Gesù
tramandati oralmente (cfr. Lc 1, 2.4; 1 Ts 3, 4; 4, 2.9; 5, 1-2): «lambavnw» e
«ajkouvw» rievocano il processo di trasmissione e ricezione di insegnamenti e
tradizioni (cfr. Gv 17, 8; 1 Cor 11, 23 e 15, 1.3; Gal 1, 8-9.12; Fil 4, 9; 1 Ts
2
2, 13 e 4, 1) , i due imperativi coordinati, «mnhmovneue» e «thvrei», indivi-
duano le fasi del recupero, memoria e custodia (cfr., rispettivamente, Gv 15,
20 e 16, 4; At 20, 35; Papia in Eusebio, H.E. 3, 39, 15; Policarpo, Phil. 2, 3;
2 Clem. 17, 3; Ap. Giac. 2, 8-21, e Mt 28, 19-20; Mc 7, 9 v.l.; Gv 8, 51.55;
3
14, 23; 17, 6-8; Flavio Giuseppe, Vita 361b) .
Giovanni, l‘angelo e le chiese devono aver avuto il loro Gesù, dunque, e
noi cercheremo a nostra volta di recuperarlo. Rinunceremo a (ri)costruire
forme pure ―originarie‖, e a rintracciare paternità gesuane, tra e dietro le ri-
1
Cfr. Mc 5, 16 e parr.; 4, 30 e parr.; 12, 26 e parr.; Lc 8, 18 e Mc 4, 24; Lc 10, 10;
P.Oxy. 939, 12-13 e 23-24. Simile l‘uso corrispondente di «ou{tw~»in Mt 7, 12 e 9, 33, e Mc
2, 12, e di «kaqwv~» in Gv 8, 28 e 1 Gv 1, 27. Cfr. Ljungvik, 1964, in particolare, pp. 31-33.
2
Con Vos, 1965, pp. 209-214, e Segalla, 2000, pp. 135-136. Cfr. anche Bauckham,
1977, in particolare, p. 163, e le conclusioni, al riguardo, di Yarbro Collins, 1992, in partico-
lare, pp. 567-568.
3
Cfr. anche 3 Cor 3, 4-5. Su mnhmoneuvw in formule di citazione di parole di Gesù, cfr.
Koester, 1957, pp. 5-6, e 1990, pp. 32-33; 66; 189. Threvw ricorre, in Ap, in alternanza con
kratevw (cfr. Ap 2, 25-26 e 3, 8.10-11), che, a sua volta, può avere per oggetto tradizioni tra-
smesse (cfr. Mc 7, 3-4.8; 2 Ts 2, 15; Ap 2, 14-15). Sulla traduzione, cfr. Marino, 2003.
96 Capitolo secondo

ghe, simili tradizioni orali, o anche scritte e ri-oralizzate, non generandosi o


comunque non esistendo in astratto, ma trasmettendosi, in forma unica e o-
4
gni volta ―originale‖, nei tempi e contesti della singola riproduzione .
Prima di entrare concretamente tra le parole che ci interessano, diventa
quindi essenziale evidenziare le linee di orientamento nella ripresa e fissa-
zione scritta del materiale gesuano, su cui l‘Apocalisse di Giovanni stessa
5
sembra indirizzare

1. UN‘INDICAZIONE ―PROGRAMMATICA‖? PER UN SIGNIFICATO ALLE ALLUSIONI

Giovanni non cita mai direttamente, ma costruisce la sua ―apocalisse‖


su una trama non espressa di corrispondenze intertestuali e richiami a tradi-
zioni orali, che presuppone come noti a chi la leggerà e ascolterà: se non lo
fossero, l‘alludere stesso non sarebbe riconosciuto e non si attiverebbe come
6
processo ermeneutico . Il gioco intertestuale si orienta sulle scritture ebrai-
7
che, l‘eco di tradizioni orali su fonti non ebraiche , materiali apocalittici ―a-
8 9
pocrifi‖ e detti attribuiti a Gesù . Giovanni, dunque, entra in contatto con te-
sti e tradizioni che lo influenzano, ha le visioni, e, consapevolmente o incon-
sapevolmente che sia, sulla base di quegli stessi testi e quelle stesse tradizio-
10
ni, le modella e redige l‘ ―apocalisse‖ che oggi porta il suo nome .
Se, riassunti in estrema sintesi, sono questi i dati rozzi che risaltano agli
occhi dell‘osservatore esterno, Ap 1, 1-3 ci offre direttamente la prospettiva
complementare dell‘autore.
Nello spazio di pochi versetti, convergono infatti sul testo più auto-
definizioni. L‘Apocalisse è concepita, tra l‘altro, come «la parola di Dio e la
4
Cfr. la discussione in Overholt, 1986, pp. 314-329, e le considerazioni di Assmann,
1997, pp. 60-62 e 67-68, su ripetizione e variazione nella tradizione orale e nella trasmissione
scritta. Nello specifico, appaiono convincenti analisi e conclusioni in Dunn, 2003, pp. 192-
254; Kahl, 2005, pp. 404-442; Kelber, 2006. Più in generale, Tambiah, 1995, pp. 145-154,
con ulteriore letteratura.
5
Cfr., in questo senso, i tentativi di Borgen, 1998, pp. 121-157 e 185-204; Bauckham,
2004, in particolare, pp. 78-90; Kloppenborg, 2004, in particolare, pp. 116-122.
6
Definizioni, classificazione e discussione critica dei criteri per l‘identificazione di al-
lusioni in Hylen, 2005, in particolare, pp. 44-75, con ampia bibliografia.
7
Yarbro Collins, 1976; Busch, 1996, in particolare, pp. 67-85; Koch, 2004, in particola-
re, pp. 138-157. Critico nei confronti di questa linea esegetica, Lupieri, 2000, pp. 192-194,
che sostiene un radicamento di Giovanni in schemi culturali principalmente giudaici. Lo se-
gue Arcari, 2008, pp. 152-225 e 330-365.
8
Berger, 1976, pp. 22-101; Lupieri, 1990 e 1992; Glonner, 1999, p. 260; Arcari, 2007,
pp. 219-220.
9
Vos, 1965, pp. 54-193, e Segalla, 2000, pp. 117-129.
10
Fekkes, 1994, pp. 288-290, e Beale, 1999 , pp. 65-67. Cfr. anche il quadro tracciato
da Rowland, 2006, pp. 43-44.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 97

testimonianza di Gesù Cristo». La coppia è parallela e complementare, i due


sintagmi si richiamano e integrano a vicenda, aprendo un discorso che coin-
volge anche redazione e dettato del testo.
L‘esperienza di Giovanni, in quanto essa stessa «parola di Dio», si vuo-
le collocare al culmine delle rivelazioni profetiche di Israele (cfr. Ap 10, 6-
7.11 e 17, 17) e di queste si nutre fino nel tessuto narrativo e stilistico, in una
11
dinamica di riprese e re-interpretazioni . Ma la sua ―apocalisse‖ si presenta
esplicitamente anche come «testimonianza di Gesù Cristo», di Colui con il
quale il Logos divino stesso si identifica (Ap 19, 13), e che, per bocca del
12
suo angelo, lo rivela e attesta (cfr. Ap 22, 6.16) . Non possiamo non aspet-
tarci, allora, che affiori anche un registro più propriamente gesuano, quella
stessa memoria che Giovanni conosce e trasmette: Ap deve essere ricono-
sciuta anche come comunicazione di Gesù, la «rivelazione di Gesù Cristo
che Dio gli diede» deve nascere, in quanto «parole di profezia», sul terreno
13
delle scritture ebraiche e della tradizione gesuana .
14
«o{sa ei\den» aggiunge Giovanni e chiarisce : non c‘è differenza sostan-
ziale tra interventi diretti dell‘angelo e resoconto visionario, i due piani nar-
rativi si intersecano e sovrappongono, anche bruscamente (cfr. Ap 13, 9-
10.18 e 16, 15). Tutto il testo è «lovgoi pistoi; kai; ajlhqinoiv» (Ap 22, 6),
tutto il testo è, allo stesso tempo, visione e rivelazione dell‘angelo (cfr. Ap
15
22, 6.8.16) . Il Gesù vivente parla, nel suo angelo, anche dopo le lettere alle
sette chiese in Asia (Ap 2 – 3), e mostra le sue parole in atto nelle visioni, le
(ri)visualizza. Di questo carattere totalizzante della sua «testimonianza» do-
vremo tenere conto, se, di fatto, in Ap non esiste l‘implicito e ogni ―allusio-
ne‖ alla tradizione gesuana va riferita e attribuita, direttamente o indiretta-
mente, all‘angelo in quanto primo tramite di shmaivnw e deiknuvw (Ap 1, 1 e
22, 6), e, risalendo di un grado la catena di autorità, a Gesù stesso, di cui
16
l‘angelo è portavoce e manifestazione .
Parlavamo di ―allusione‖ poco sopra. Nei suoi termini, Giovanni si pro-
pone di testimoniare, per iscritto, la rivelazione di Dio e Gesù Cristo, a lui
comunicata e mostrata dal loro angelo, e questo fa nel linguaggio, stile, im-

11
Cfr. Mazzaferri, 1989, in particolare, pp. 259-378; Fekkes, 1994, pp. 106-290; Moyi-
se, 1995, in particolare, pp. 45-84; Beale, 1999, in particolare, pp. 60-128; Arcari, 2001 e
2008; Kowalski, 2004; Jauhiainen, 2005.
12
Cfr. Karrer, 1986, pp. 96-106; Mazzaferri, 1989, pp. 304-313; Carrell, 1997, pp. 119-
128; Roose, 2000, pp. 26-38.
13
Contro Kraft, 1974, p. 16: «Die alttestamentliche Prophetie ist die einzige Quelle, auf
die er sich bei seinen Weisungen stützt».
14
Cfr. Aune, 1997, p. 19, e Roose, 2000, pp. 147-149.
15
Cfr., da ultimo, Bucur, 2008, in particolare, pp. 182 e 188-189. Meno precisamente,
Boring, 1992, in particolare, pp. 720-721.
16
Pace Boring, 1992, p.715 n.16.
98 Capitolo secondo

magini, messaggi divini e gesuani già familiari a lui e ai suoi destinatari. Se


conosce e ―allude‖ alle rivelazioni profetiche delle scritture ebraiche e alla
tradizione gesuana, riportando direttamente la sua testimonianza a Gesù,
tramite l‘angelo, e a Dio, tramite Gesù (cfr. Ap 1, 1-3), ai suoi occhi, in ulti-
ma analisi, Dio e Gesù parlano la propria lingua, citano e commentano sé
stessi, chiarendo e interpretando, sviluppando e attualizzando le proprie pa-
role, e anche svelandone o annotandone il compimento: sulla scorta di tutte
le osservazioni fin qui svolte, non siamo di fatto lontani dalla rappresenta-
zione della scena su cui si apre l‘Apocrifo di Giacomo, che H. Koester
(1990, p. 189) così commentava:
«whether or not the sayings are taken from a written document, the hermeneutical
situation described here implies that sayings of Jesus, or collection of sayings, are
transmitted in the free tradition and that the process of their interpretation is identi-
cal with the production of written documents».

Riconoscere con Giovanni stesso, che un seguace di Gesù, ha un contat-


to con il mondo soprannaturale (Dio, il Gesù vivente, il loro angelo) e a se-
guire ―profetizza‖ rivela insomma i limiti del paradigma letterario dell‘ ―al-
lusione‖, e la sua insufficienza a dar conto del rapporto complesso tra le sue
17
«parole di profezia» e le parole di Gesù .

1.1 Parola “profetica” e parole di Gesù: un modello di trasmissione

Nella sua analisi delle dinamiche sociali della ―profezia‖, T.W. Over-
holt approfondisce, in prospettiva comparativa, il ruolo svolto dai discepoli
nel preservare e diffondere il messaggio di un ―profeta‖. Il loro intervento
può mediare la comunicazione ai destinatari, e occasionalmente rivelazioni a
loro dirette integrano le parole del maestro e autorizzano la loro attività.
Questa azione di filtro influisce sulla continuità del messaggio trasmesso,
sviluppando, amplificando, alterando: «changes arise in response to the si-

17
Cfr. osservazioni e conclusioni di Rowland, 2006, pp. 45-56: «[…] in some forms of
the interpretation of Ezek 1 the meaning of the text may come about as the result of ―seeing
again‖ what Ezekiel saw. This may arise in the form of a vision (as appears to have been the
case for John the visionary on Patmos), rather than by an explanation of the details of what
Ezekiel saw» (p. 56). Questa apertura alle ricadute ―esegetiche‖ dell‘esperienza estatica mi
sembra corrispondere pienamente ai dati testuali, impliciti ed espliciti, che abbiamo cercato di
evidenziare. Sul rapporto biunivoco fra testo ed esperienza, cfr. anche l‘analisi di Sanders,
2006. Sull‘autorivelazione dello Spirito di Dio come criterio ermeneutico delle Scritture nella
concezione paolina e sulle sue implicazioni, cfr. Pesce, 1984, pp. 85-108. Arcari, 2007, pp.
229-230; 232-234; 236, suggerisce un‘origine profetica e carismatica per l‘esegesi dei mate-
riali ―scritturistici‖ e delle tradizioni attribuite a Gesù in Did. 16.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 99

tuation in which the disciple operated and the way in which he interpreted
18
what he had originally heard» (Overholt, 1989, p. 45) .
Se la figura storica di Gesù di Nazareth è stata da più voci caratterizzata
19
come afferente anche ad una tipologia ―profetica‖ dell‘esperienza religiosa ,
e sono riconosciute la frequenza dei fenomeni di contatto con il divino e
l‘importanza della comunicazione di parole dal Gesù celeste, tra i suoi se-
20
guaci , si fa interessante verificare brevemente l‘utilità del modello su alcuni
passi proto-cristiani di matrice ―profetica‖, appunto, composti tra I e II
sec.d.C., per cercare di inquadrare storicamente anche l‘interazione di Gio-
vanni con la tradizione dei detti di Gesù.
Partiamo da Paolo. In 1 Ts, l‘apostolo introduce nella sua argomenta-
zione una «parola del Signore» per confortare la comunità che aveva fondato
21
(4, 13-18). Si è dibattuto se questo sia in effetti un detto di Gesù o non piut-
tosto un oracolo ricevuto e pronunciato da un ―profeta‖, se non addirittura da
22
Paolo stesso (cfr. 1 Cor 13, 2 e 15, 51-52; 2 Cor 12, 3-4; Rm 11, 25-27) ,
fatto sta che, cercando di superare questa contraddizione, forse solo apparen-
23
te , si può riconoscere come gli elementi della discesa dal cielo del Signore,
degli angeli, della tromba e della riunione degli eletti coincidano con la for-
24
ma matteana di tradizioni ―apocalittiche‖ gesuane (cfr. Mt 24, 30-31) ; al
tempo stesso, però, la distinzione introdotta tra «i morti che si sono addor-
mentati in Cristo», e «noi che rimaniamo ancora in vita», e la convergenza
dei loro destini escatologici tradiscono e rispondono ad una crisi dell‘attesa
25
della parusia acutamente sperimentata con la morte di alcuni fratelli .
Gli Atti di apostoli canonici ci preservano un frammento diretto della
predicazione di Paolo e Barnaba: «dobbiamo passare attraverso molte affli-
zione per entrare nel regno di Dio» (At 14, 22; cfr. 1 Ts 3, 3-4). Interessante,
da un lato, che, a ridosso della missione, i due siano contati tra i «profeti»
della comunità di Antiochia (At 13, 1 e 15, 32) e svolgano poi effettivamente

18
Cfr. Overholt, 1989, pp. 44-51 e, più ampiamente, 1986, pp. 309-331.
19
Cfr. Meier, 1994, pp. 1040-1046; Aune, 1996, pp. 284-349; Theissen – Merz, 1999,
pp. 299-340; Dunn, 2003, p. 334 e 655-666; Mimouni, 2003. Ricche di spunti anche le brevi
riflessioni di Overholt, 1989, pp. 66-68.
20
Cfr. i ripetuti interventi di Destro-Pesce, 2003; 2006; 2007b.
21
Così Jeremias, 1965, pp. 105-108; Holtz, 1983, in particolare, pp. 59-66; Wenham,
1984, in particolare, pp. 89-91 e 304-306, e 1995, p. 305; Pesce, 2005, pp. 501-502.
22
Così Cerfaux, 1951, pp. 33-34 e n.1; Siber, 1971, pp. 37-38; Aune, 1996, pp. 472-
480.
23
Cfr. Stuhlmacher, 1983.
24
Con Pesce, 2005, pp. 501-502, non escludo aprioristicamente che possano essere at-
tribuiti alla trasmissione dei detti di Gesù anche elementi non attestati dai sinottici.
25
Cfr. la ricostruzione di Aune, 1996, pp. 475-479, e l‘interpretazione di Dunn, 1998,
pp. 299-304. Sul privilegio dei vivi rispetto ai defunti nel giorno della resurrezione, cfr. Dn
12, 12; 4 Esd. 5, 41-42 e 13, 24; Ascen. Isa. 4, 15; Od. Sal. 7, 50 e 18, 7; Or. sib. 3, 371.
100 Capitolo secondo

funzioni considerate ―profetiche‖ (parakalevw: cfr. At 14, 22 e 15, 32; 1


Cor 14, 3.31; 1 Ts 4, 18); dall‘altro, che questo detto non solo presenti affini-
tà tematiche con rami della tradizione sinottica e non (cfr. Mt 6, 10; Mc 10,
23-31; Vang. Tom. 58), ma sia anche variamente conosciuto e trasmesso co-
me parola gesuana da Barn. 7, 11; Ireneo, Haer. 5, 28, 3; Tertulliano, Bapt.
26
20; Atti Giov. Pro. 25; Ps.-Macario, Hom. 27, 20 . Nella formulazione speci-
fica del testo di At, emergono in primo piano le manifestazioni di ostilità e-
sterna alla formazione ed alla sopravvivenza delle comunità dei seguaci di
Gesù (cfr. anche 1 Ts 1, 6; 2, 14-15; 3, 3-4).
E. Norelli ha dimostrato che «una più ampia connessione letteraria» tra
27
Ascen. Isa. 4, 14-17 e Lc 12, 36-37 «è innegabile» . La rilettura della para-
bola del ritorno del padrone si inserisce nella visione-discorso di Isaia – e del
gruppo profetico proto-cristiano che si cela dietro il suo personaggio e lo
28
scritto – sugli ultimi tempi e sulla parusia di Cristo sotto il regno di Beliar-
29
Nerone redivivo . Si arricchisce così del confronto con la riflessione mille-
naristica del redattore e con la sua interpretazione delle scritture ebraiche,
nello specifico Is 13, 5 LXX e 24, 21-23; Dn 12, 12; Zc 14, 5 LXX, proietta-
te e, al tempo stesso, quasi osservate nel loro compimento (cfr. la formula-
zione ―teorica‖ in Ascen. Isa. 4, 21-22).
Erma mostra di essere entrato in contatto con una pluralità di detti e tra-
dizioni gesuane, che riaffiorano in vari punti del libro dettatogli dal Pastore
(Vis. 2, 2, 8 e 4, 2, 6; Mand. 2, 4-6; 4, 1, 1.6; 9, 8; 10, 2, 2-6 e 3, 2; Sim. 5, 2;
30
9, 20, 2 e 29, 1.3) . Per mancanza di spazio, mi limiterò alle due occorrenze
nelle Visioni.
La prima (2, 2, 8), «w[mosen ga;r kuvrio~ kata; tou` uiJou` aujtou`, tou;~
ajrnhsamevnou~ to;n kuvrion aujtw`n ajpegnwrivsqai ajpo; th`~ zwh`~ aujtw`n»
(cfr. Mt 12, 33; Lc 12, 9; 2 Tm 2, 11-12) compare come asserzione di giura-
mento, precisata e adattata alla rivelazione della seconda ed ultima penitenza
di fronte alla tribolazione finale, con l‘introduzione di due categorie di rin-
negatori, i prossimi e i passati; la seconda (4, 2, 6), «oujai; toi`~ ajkouvsasin
ta; rJhvmata tau`ta kai; parakouvsasin: aiJretwvteron h\n aujtoi`~ to; mh;
gennhqh`nai» (cfr. Mt 26, 24; Mc 14, 21; 1 Clem. 46, 8), è modulata a mi-
naccia rivolta agli incerti, sempre nell‘approssimarsi di quella.
Il mio ultimo esempio abbandona per un attimo la trasmissione delle pa-
role di Gesù e tocca il testo stesso di Ap, nella misura in cui questo, nel giro

26
Cfr. D‘Anna, 2001, in particolare, p. 192.
27
Norelli, 1994, pp. 213-219 (citazione p. 213).
28
Cfr. Norelli, 1995b, pp. 53-66.
29
Cfr. Bauckham, 1983, in particolare, p. 130, e Norelli, 1994, in particolare, pp. 183-
186.
30
Cfr. Hagner, 1985, in particolare, pp. 243-244, e Pesce, 2005, pp. 646-647.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 101

di nemmeno un secolo, finisce per alimentare, a sua volta, l‘annuncio dei


profeti ―montanisti‖. Una rivelazione, ricevuta a Pepuza per incubazione da
Quintilla o Priscilla, e citata in Epifanio, Pan. 49, 1, 3, rievoca come Cristo
si fosse presentato alla profetessa in aspetto femminile e avvolto in una veste
splendente, le avesse infuso la sapienza e svelato («ajpekavluyev moi») che
quel luogo era santo («a{gion»), e che lì sarebbe discesa Gerusalemme dal
cielo («w|de th;n ÆIerousalh;m ejk tou' oujranou' katievnai»). La visione di
Giovanni (cfr. Ap 21, 2.10) viene così circoscritta spazialmente e localizzata
31
al centro di quella geografia sacra, che essa stessa contribuisce a creare .
In tutti gli esempi che ho proposto, mi sembra si evidenzino bene linee
di trasmissione di materiale tradizionale gesuano, che richiamano, rievocano
strutture sintattiche, fraseologia o immagini, e, alla luce di nuove rivelazioni
ricevute da seguaci del Nazareno, di volta in volta, alterano e declinano, at-
tualizzano e interpretano questa memoria fondativa nel contesto storico e
32
comunicativo di pertinenza .
Si tratta ora di verificare quanto questo inquadramento storico e compa-
rativo del fenomeno possa aiutarci, in sintonia con le affermazioni di Gio-
vanni stesso, ad esaminare e comprendere in profondità le modalità specifi-
che del suo recupero di parole di Gesù.

31
Frankfurter, 1996, pp. 133-134; 136-137; 141-142, esclude un‘influenza diretta di Ap
su questo oracolo, e sembra pensare piuttosto a tradizioni orali comuni. Credo, tuttavia, che
una relazione con Ap sia innegabile; al più, si potrebbe parlare di dipendenza da variazioni
orali secondarie del testo scritto. I punti di contatto linguistici sono già di per sé significativi,
ma evidenziano anche come, nei testi apocalittici non cristiani vicini a Giovanni, fra le tante
corrispondenze, manchi proprio il particolare specifico della discesa della città (cfr. Lupieri,
2000, pp. 325-326).
32
Cfr. lo schizzo del rapporto fra tradizione gesuana ed «ermeneutica della memoria» in
Gv, offerto da Theobald, 2002, pp. 554-615, da integrare con le osservazioni di Destro – Pe-
sce, 2003, pp. 91-103. Utili le osservazioni di Arcari, 2007, pp. 217-218 e 233-236, sulla cre-
azione profetica di nuovi testi, mediante ripresa di testi e/o tradizioni precedenti, considerati
autorevoli. Tra questi, Arcari annovera anche tradizioni ascritte a Gesù, suscettibili degli stes-
si procedimenti di adattamento, attualizzazione e universalizzazione che operano sulle scrittu-
re ebraiche. Un interessante termine di confronto è offerto anche da Merz, 2004, che ha ana-
lizzato 1-2 Tim come esercizio intertestuale pseudoepigrafico di auto-interpretazione di sotto-
testi, tradizioni e formulazioni paoline: ne esce il quadro di una letteratura che, nella persona
fittizia di Paolo, sviluppa, rivede, appiattisce e perfino corregge le sue affermazioni, alla luce
di dibattiti e conflitti con altri gruppi sulla memoria ed il messaggio dell‘apostolo (pp. 382-
387). Si potrebbe aggiungere che, non ultimo autore di simili auto-interpretazioni ed, eviden-
temente, del testo interpretato e riletto, è chiamato in causa ancora lo Spirito (cfr. 1 Tim 4, 1-3
e 2 Tim 3, 1-9 e 4, 3-4, con 2 Ts 2, 3.10-12), quello stesso Spirito di Dio di cui già Paolo ri-
vendicava il possesso per legittimare correzioni, ampliamenti ed integrazioni ai comandamen-
ti del Signore (cfr. 1 Cor 7, 8-40).
102 Capitolo secondo

2. TRA LE PAROLE

Che cosa intendiamo, innanzitutto, per ―parole di Gesù‖?


A prescindere da questioni di autenticità, in ―parole di Gesù‖, compren-
do parole esplicitamente attribuite o riconducibili a tradizioni gesuane, non
necessariamente od esclusivamente attestate nelle scritture cristiane canoni-
33
che, in qualsiasi forma esse possano comparire .
Con forma, non alludo semplicemente a distinzioni di genere letterario
– i due termini sono spesso, e impropriamente, utilizzati come sinonimi –,
operabili in sede di analisi di Formgeschichte. Miro, anche e soprattutto, in-
fatti, ad allargare il campo d‘indagine a semplici espressioni, stilemi o giri di
frase che abbiano un qualche probabilità di risalire a una o più di queste tra-
dizioni, senza che tuttavia sia possibile individuarli e identificarli con detti
specifici, estrapolati a loro volta da contesti altrettanto particolari e immedia-
34
ti .
L‘articolazione doppia dell‘analisi che ci apprestiamo a condurre mo-
35
strerà concretamente cosa ci proponiamo .

33
Cfr. Pesce, 2005, pp. xii-xiv e 597-598.
34
Ancora valide le indicazioni teoriche di Hylen, 2005, pp. 53-56; 74, in particolare, 54
e 58-59 sulla «descrizione definita». Cfr. anche, sebbene più superficialmente, Segalla, 2000,
pp. 117-119. Arcari, 2007, dà ragione della necessità di aumentare la sensibilità dell‘analisi in
questa direzione, per adeguarla alla complessità storica del fenomeno studiato: «Questo pro-
cedimento (scil. il ricorso a testi e/o tradizioni considerati autorevoli) poteva andare dalla ri-
presa, attualizzazione e universalizzazione di passi specifici di particolari scritti, fino alla ri-
presa di particolari stilemi se non addirittura di un‘atmosfera generale di un testo attraverso
l‘inclusione di piccole spie di identificazione […] il concentrarsi su una metodologia esclusi-
vamente volta all‘analisi di ―paralleli‖ ha portato molti studiosi a non scandagliare ulteriori
rimandi e riprese che, proprio a un‘attenta analisi filologica […], si sono rivelati di notevole
interesse (il caso della citazione di 1 Enoc 15,3 in Ap 14,4)» (pp. 217-218 e 219-220).
35
Per la lettura delle tabelle che seguono, si tenga presente che i paralleli inseriti sono
quelli più prossimi, possibilmente attribuiti o attribuibili a Gesù e indipendenti da Ap, come si
proverà a dimostrare. Laddove siano citate più opere, la loro disposizione nelle colonne alla
destra dei passi di Ap si basa sullo stesso principio combinato di prossimità e indipendenza:
quanto più simile ed eventualmente indipendente, tanto più vicino. In calce a ciascuna tabella,
riportiamo generalmente, fatti salvi i casi poi discussi, i paralleli secondari, o perché meno
stretti e immediatamente rilevanti o perché, con molta probabilità, dipendenti dal testo di Ap o
dei paralleli primari, come di volta in volta emergerà dalla discussione. Le tabelle assumono
struttura sinottica solo a partire dall‘analisi di eventuali ricorrenze di singoli detti specifici
(2.2), laddove più precise corrispondenze formali lo rendano possibile. Per semplificarne e
chiarirne la lettura, si è deciso di segnalare, con una linea a tratto continuo, unicamente le cor-
rispondenze linguistiche, sintattiche, e strutturali più forti e decisive; le analogie formali più
tenui, ma non meno significative, e i punti di contatto tematici saranno esaminati e valutati nel
commento analitico.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 103

2.1 Piccolo vocabolario gesuano

2.1.1 Il venire di Gesù


Ap Gv

2, 5: «e[rcomaiv soi» 14, 3: «kai; eja;n poreuqw` kai; eJtoimavsw


tovpon uJmi`n, pavlin e[rcomai kai; pa-
2, 16: «e[rcomaiv soi tacuv» ralhvmyomai uJma`~ pro;~ ejmautovn»

3, 11: «e[rcomai tacuv» 14, 18: «oujk ajfhvsw uJma`~ ojrfanouv~,


e[rcomai pro;~ uJma`~»
22, 7: «kai; ijdou; e[rcomai tacuv»
14, 28: «hjkouvsate o{ti ejgw; ei\pon uJmi`n,
22, 12: «ijdou; e[rcomai tacuv» uJpavgw kai; e[rcomai pro;~ uJma`~»

22, 20: «nai;; e[rcomai tacuv» 21, 22: «levgei aujtw`æ oJ ÆIhsou`~, eja;n auj-
to;n qevlw mevnein e{w~ e[rcomai» (cfr. an-
che v. 23)

Altri paralleli:
 Ap 2, 25: «plh;n o} e[cete krathvsate a[cri~ ou\ a]n h{xw»; 3, 3: «h{xw ejpi;
se»
 Lc 19, 13:«pragmateuvsasqe ejn w\æ e[rcomai»

Nell‘Apocalisse, «e[rcomai», variamente modulato, compare sempre in


bocca all‘angelo di Gesù, e sempre, nonostante sia Dio l‘ ejrcovmeno~ per ec-
cellenza (Ap 1, 4.8 e 4, 8), si riferisce alla venuta escatologica del Signore
(cfr. Ap 1, 7) che parla adesso in prima persona.
Il Gesù di Gv si esprime in maniera pressoché identica nell‘assicurare il
36
suo ritorno alla fine dei tempi . In tre dei cinque «e[rcomai» con soggetto
Gesù stesso, quelli che ricorrono nel discorso di addio ai discepoli (Gv 14 –
17), si toccano altre somiglianze formali, quali l‘accenno al gruppo dei se-
guaci come polo di destinazione della parusia («soi» o anche «ejpi; se» in
Ap, «pro;~ uJma'~» in Gv), e l‘eventuale espansione con promessa o minaccia
al futuro (cfr. Gv 14, 3 e Ap 2, 5.16). Più sullo sfondo, rimangono le scritture
ebraiche con il raro «e[rcomai» divino (cfr. Is 66, 18 e Zc 2, 14), che al più

36
Ampia discussione in Frey, 2000, pp. 19-22; 40-43; 148-153, e Theobald, 2002, pp.
506-521.
104 Capitolo secondo

37
confluisce nell‘«oJ ejrcovmeno~» di Ap , e l‘isolata occorrenza della versione
lucana della parabola delle mine, nel discorso diretto del futuro re (cfr. Lc
19, 14-27).
Per quanto possa risultare chiaro che «die früchristliche (syn. und
vorpln.) Menschensohn-Apokalyptik» rimanga il quadro di riferimento in cui
38
si situa l‘espressione ―giovannea‖ (cfr. anche Ap 1, 7) , è in ogni caso troppo
poco per parlare, non che di dipendenza, di sviluppi distinti di tradizioni co-
muni anche ai Sinottici e a Paolo. D‘altro canto, il differente orizzonte inter-
pretativo in cui l‘espressione è calata in Gv e in Ap (cfr. Gv 14, 15-21 e 16,
39
12-22, e Ap 2, 16 e 19, 11-21) , lascia emergere i primi lineamenti di un nu-
cleo simile di tradizioni costituitesi come gesuane, ma patrimonio autonomo
di ciascun redattore. La frequenza delle risonanze affinerà questo primo giu-
dizio iniziale.

2.1.2 Dio e Padre


Ap Gv

2, 26.28: «oJ nikw`n kai; oJ thrw`n a[cri 10, 18: «ejxousivan e[cw qei`nai aujthvn,
tevlou~ ta; e[rga mou, dwvsw aujtw`æ ejxou- kai; ejxousivan e[cw pavlin labei`n
sivan ejpi; tw`n ejqnw`n, […] wJ~ kajgw; aujthvn:tauvthn th;n ejntolh;n e[labon
ei[lhfa para; tou` patrov~ mou» para; tou` patrov~ mou»

3, 2.5: «ouj ga;r eu{rhkav sou »ta;¼ e[rga 20, 17: «ajnabaivnw pro;~ to;n patevra
peplhrwmevna ejnwvpion tou` qeou` mou mou kai; patevra uJmw`n kai; qeovn mou
[…] kai; oJmologhvsw to; o[noma aujtou` kai; qeo;n uJmw`n»
ejnwvpion tou` patrov~ mou kai; ejnwvpion
tw`n ajggevlwn aujtou »

3, 12: «oJ nikw`n poihvsw aujto;n stu`lon


ejn tw`æ naw`æ tou` qeou` mou, kai; e[xw ouj mh;
ejxevlqhæ e[ti, kai; gravyw ejpÆ aujto;n to;
o[noma tou` qeou` mou kai; to; o[noma th`~

37
Cfr. anche Is 3, 14; 4, 5; 40, 10; 41, 4; 66, 15; Ab 2, 3; Ml 3, 1; Dn 7, 13 LXX; 1 En.
1, 9; T. Ash. 7, 2-3; T. Giud. 14; Es Rab 3, 6; Tg. fram. Es 3, 14; Tg. Ps.-J. Dt 32, 39.
38
Theobald, 2002, p. 516. Cfr. anche Dodd, 1963, pp. 413-418.
39
Cfr. le interpretazioni di Aune, 1972, pp. 126-133, e Moloney, 2005, in particolare,
pp. 249-259, da un lato, e Theobald, 2002, pp. 516-521, dall‘altro, per quanto quest‘ultima a
volte si mostri orientata anche da precisi interessi teologici. Gv 21, 22.23 attesta comunque
parallelamente un uso identico.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 105

povlew~ tou` qeou` mou, th`~ kainh`~ ÆIe-


rousalhvm, hJ katabaivnousa ejk tou`
oujranou` ajpo; tou` qeou` mou»

Altri paralleli:
 Ap 1, 6: «kai; ejpoivhsen hJma`~ basileivan, iJerei`~ tw`æ qew`æ kai; patri; auj-
tou`» (cfr. anche 14, 1)
 Rm 15, 6: «i{na oJmoqumado;n ejn eJni; stovmati doxavzhte to;n qeo;n kai; pa-
tevra tou` kurivou hJmw`n ÆIhsou` Cristou` » (cfr. anche 2 Cor 1, 3 e 11, 31;
Ef 1, 3; Col 1, 3; 1 Pt 1, 3)
 Mc 15, 34: «oJ qeov~ mou oJ qeov~ mou, eij~ tiv ejgkatevlipev~ meÉ» (cfr. anche
Mt 27, 46)

Se l‘appellativo «padre mio» di fatto accomuna il Gesù ―sinottico‖ e il


Gesù ―giovanneo‖, non così oJ qeov~ mou: fatta salva la traduzione
dall‘aramaico del grido di Gesù sulla croce, compare un‘unica volta nella
tradizione gesuana divenuta canonica, in Gv e in coordinazione con oJ pathvr
40
mou .
Ancora una volta Ap sembra attingere liberamente a tradizioni pre-
giovannee. Da un lato, infatti, il linguaggio dalle forti reminescenze ―gio-
vannee‖ di Ap 2, 26-28 (ejxousivan lambavnein para; tou' patrov~; cfr. Gv 5,
26-27 e 17, 1-2) appare tradire l‘origine specifica anche del sintagma nomi-
41
nale oJ pathvr mou . Dall‘altro, l‘uso dei termini oJ pathvr e oJ qeov~ è sì con-
temporaneo e ravvicinato (cfr., in particolare, Ap 3, 2.5), ma mai combinato.
La valenza, inoltre, di legame esclusivo tra Dio e Gesù, che essi insieme,
nell‘Ap, traducono ed esprimono, di contro a passi come Gv 20, 17, tendono
ad escludere l‘influenza diretta e immediata del testo evangelico e della sua
42
ideologia sul redattore di Ap .

40
Col 1, 3 permette di accertare che, nelle ricorrenze della formula all‘interno del cor-
pus e della tradizione paolina, il genitivo «di Gesù Cristo» specifica unicamente il sostantivo
«padre» e non anche «Dio». Ap 1, 6, dalla sua, rievoca a posteriori e anticipa le successive
occorrenze dei termini nel corso della visione (cfr. tutto Ap 1, 4-6 e 1, 8.11; 3, 14; 4, 5.8; 5, 9-
10). Il binomio «Padre mio e Dio mio» è attestato ora anche in 4Q372apocrJosephb fr. 1, 16
(cfr. 4Q460 fr. 5 I, 5 per l‘analogo «Padre mio e Signore mio», sempre rivolto a Dio)
41
Frey, 1993, p. 356. Per la fraseologia, cfr. anche Mt 11, 27 e 28, 18; At 2, 33; Herm,
Sim. 5, 6, 4, che ne attestano la diffusione al di fuori della letteratura giovannista, e, con tutta
probabilità, indipendentemente dalla sua influenza.
42
Ap specifica ulteriormente solo «Dio» con genitivi di pronomi personali altri da «mi-
o» o «suo» sempre riferiti a Gesù (cfr. Ap 5, 10; 7, 10.12; 12, 10; 19, 1.5.6), e proietta nel fu-
turo escatologico la figliolanza dei soli vincitori (Ap 21, 7, dove però «Dio» sostituisce il «pa-
dre» di 1 Sam 7, 14 TM e LXX, e dei Targumim, cfr., invece, Gv 1, 12 e 1 Gv 3, 1-2).
106 Capitolo secondo

2.1.3 La parola e la custodia


Ap Gv

3, 8: «kai; ejthvrhsav~ mou to;n lovgon, 8, 51.52: «ajmh;n ajmh;n levgw uJmi`n, ejavn
kai; oujk hjrnhvsw to; o[nomav mou» ti~ to;n ejmo;n lovgon thrhvshæ, qavnaton
ouj mh; qewrhvshæ eij~ to;n aijw`na […] su;
3, 10: «o{ti ejthvrhsa~ to;n lovgon th`~ levgei~, ejavn ti~ to;n lovgon mou
uJpomonh`~ mou» thrhvshæ, ouj mh; geuvshtai qanavtou eij~
to;n aijw`na»

14, 23-24: «ejavn ti~ ajgapa`æ me to;n lov-


gon mou thrhvsei […] oJ mh; ajgapw`n me
tou;~ lovgou~ mou ouj threi`»

15, 20: «eij to;n lovgon mou ejthvrhsan,


kai; to;n uJmevteron thrhvsousin. »

Altri paralleli:
 Ap 2, 26: «kai; oJ nikw`n kai; oJ thrw`n a[cri tevlou~ ta; e[rga mou»
 Vang. Tom. 1 (P.Oxy. 654): «o{[sti~ a]n th;n ejrmhneiv]an tw'n lovgwn
touvt[wn euJrivskh/, qanavtou] ouj mh; geuvshtai»; 19: «se divenite miei di-
scepoli e ascoltate le mie parole, queste pietre vi serviranno. Ci sono infatti
cinque alberi in Paradiso, che non avvizziscono né d‘estate né d‘inverno e
le cui foglie non cadono: chi li conoscerà non gusterà la morte»
 Gv 12, 47: «kai; ejavn tiv~ mou ajkouvshæ tw`n rJhmavtwn kai; mh; fulavxhæ, ejgw;
ouj krivnw aujtovn»
 Mt 22, 28: «didavskonte~ aujtou;~ threi`n pavnta o{sa ejneteilavmhn uJmi`n»

L‘uso di oJ lovgo~ mou retto da threvw si restringe a Gv ed Ap, e ancora


43
una volta la costruzione compare solo in bocca a Gesù .
Sui richiami puramente formali, cui si potrebbe forse aggiungere la
formulazione di promesse in forma condizionale (cfr. Gv 8, 51-52; Vang.
Tom. 1 e 19; Ap 2, 26-28), si innestano anche complessi tematici più ampi
riscontrabili in entrambi i testi: «custodire la parola», in Ap 3, 8, viene inte-
44
grato da «non rinnegare il mio (scil. di Gesù) nome» , che di fatto poi sfuma
nel nome del Padre suo (cfr. Ap 14, 1 e 22, 3-4), mentre, in Gv 17, 6, si alli-

43
La LXX attesta, solo sporadicamente, threi'n tou;~ lovgou~ mou, in bocca a Dio (1
Sam 15, 11), e threi'n ta; rJhvmatav mou, in bocca al padre che istruisce il figlio (Pr 3,1; cfr.
anche 21).
44
Ma cfr. anche Mt 10, 33; Lc 12, 9; Ap 2, 13 e 3, 5.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 107

nea alla manifestazione del nome di Dio ai discepoli, nome che il Padre ha
dato a Gesù (cfr. Gv 17, 11-12). La custodia fedele garantisce l‘amore di Dio
45
e di Gesù (Ap 3, 9 e Gv 14, 21-24; cfr. anche Ap 1, 5 e 20, 4-9) , e innesca la
reciprocità della preservazione, che viene a coinvolgere in prima linea Dio
46
stesso e Gesù (cfr. Ap 3, 10 e Gv 17, 6-8.11-12.15) .
La fraseologia matteana affine e i detti paralleli a Gv 8, 51-52 rintrac-
ciabili in Vang. Tom. 1 e 19, rielaborati in sede redazionale e, con tutta pro-
babilità, non riconducibili a una Vorlage giovannea, lascerebbero pensare a
una diffusione abbastanza ramificata del detto, e dell‘espressione e delle sue
varianti, con esso, tale da non imporre per queste una dipendenza diretta di
47
Ap da Gv . Questa ipotesi si fa preferire anche per l‘assenza, in Ap, del corri-
spettivo threi'n ta;~ ejntola;~ mou/ta~; ejmav~ (Gv 14, 15.21 e 15, 10; cfr. 1 Gv
2, 3-4 e 2 Clem. 4, 5): Ap conosce unicamente comandamenti divini (Ap 12,
48
17 e 14, 12) e non le sviluppa, in ogni caso, in senso cristologico (cfr. Gv 8,
49
55 e 15, 10) .

2.1.4 L‘«Io sono» di Gesù


Ap Gv

22, 13: «ejgw; [eijmi] to; ÒAlfa kai; to; 6, 35: «ejgwv eijmi oJ a[rto~ th`~ zwh`~»
ÇW, oJ prw`to~ kai; oJ e[scato~, hJ ajrch; (cfr. anche vv. 41.48.51)
kai; to; tevlo~»
8, 12: «ejgwv eijmi to; fw`~ tou` kovsmou»
22, 16: «ejgwv eijmi hJ rJivza kai; to; gevno~
Dauivd, oJ ajsth;r oJ lampro;~ oJ prwi>nov~» 10, 7: «ejgwv eijmi hJ quvra tw`n pro-
bavtwn» (cfr. anche v. 9)

45
L‘intreccio multiplo di allusioni isaiane in Ap 3, 9 (cfr. Is 43, 4; 49, 23; 60, 14) rivela
la mano di Giovanni e sottolinea la sua volontà di stabilire questa connessione (Fekkes, 1994,
pp. 133-137). Sulla scorta di queste osservazioni, mi pare qui importante segnalare come,
quantomeno in altre due delle quattro totali occorrenze di ajgapavw nell‘Apocalisse (Ap 1, 5 e
12, 11), si possano percepire chiaramente sfumature giovannee.
46
La costruzione threvw ejk si incontra solo in Ap 3, 10 e Gv 17, 15: qui, la protezione è
direttamente dal Malvagio, lì dall‘ora della prova che incombe, e con ciò indirettamente dallo
stesso Diavolo di Ap 2, 10 (cfr. anche 1 Gv 5, 18, ma, soprattutto, Mt 6, 13; Did 8, 2; Ap.
Giac. 4, 29-31; Ps.-Clemente, Hom. 3, 55). Si veda Riesenfeld, 1969, pp. 141-142 e nn. 14 e
16, e Frey, 1993, p. 355 n.172.
47
Koester, 1990, pp. 114-115; Theobald, 2002, pp. 503-504; Nordsieck, 2004, pp. 33-
34 e 94;.
48
Cfr. Sir 29, 1; T. Dan 5, 1; Flavio Giuseppe, A.J. 8, 120; Mt 19, 17; 1 Gv 3, 22-24 e 5,
3.
49
Frey, 1993, pp. 354-356.
108 Capitolo secondo

10, 11: «ejgwv eijmi oJ poimh;n oJ kalov~»

11, 25: «ejgwv eijmi hJ ajnavstasi~ kai; hJ


zwhv»

14, 6: «ejgwv eijmi hJ oJdo;~ kai; hJ ajlhvqeia


kai; hJ zwhv»

15, 1: «ejgwv eijmi hJ a[mpelo~ hJ ajlhqinhv»


(cfr. anche v. 5)

Altri paralleli:
 Vang. Tom. 77: «Io sono la luce che è sopra tutti loro. Io sono il tutto»
 Ignazio, Phld. 9, 1: «aujto;~ w]n quvra tou` patrov~, diÆ h\~ eijsevrcontai ÆA-
braa;m kai; ÆIsaa;k kai; ÆIakw;b kai; oiJ profh`tai kai; oiJ ajpovstoloi kai; hJ
ejkklhsiva»
 Vang. Naass. in Ps.-Ippolito, Haer. 5, 8, 21: «ejgwv eijmi hJ puvlh hJ ajlhqinhv»
 Atti Giov. 95: «luvcno~ eijmiv soi tw`æ blevpontiv me. ajmhvn. e[soptrovn eijmiv
soi tw`æ noou`ntiv me. ajmhvn. quvra eijmiv soi krouvontiv me. ajmhvn. oJdov~ eijmiv
soi parodivthæ»
 Marcello in Eusebio, Marc. 1, 2, 26: «proi>w;n dÆ au\qi~ oJ aujto;~ eijsavgei
to;n swth`ra levgonta ejgwv eijmi hJ hJmevra»
 Ps.-Clemente, Hom. 3, 52, 2: «ejgwv eijmi hJ puvlh th`~ zwh`~: oJ diÆ ejmou` eijs-
ercovmeno~ eijsevrcetai eij~ th;n zwhvn»
 Afraate, Dem. 4, 5: «Io sono la porta della vita: chiunque entrerà attraverso
di me, vivrà in eterno»
 Pietro di Sicilia, Hist. Man. 29: «ejgwv eijmi to; u{dwr to; zw'n»
 Giovanni Sabanisʒe, Mart. Ab. 4, 11 (ed. Schultze): «Egli è stato chiamato
porta, poiché ha detto: ―Io sono la porta della vita‖»

Sulla bocca dell‘angelo di Gesù e del Gesù di Gv, le affinità si riducono


a una semplice dimensione strutturale: alla formula «ejgwv eijmi» seguono pre-
dicazioni, nell‘Ap, eventualmente metaforiche (cfr. 1, 17-18 e 2, 23), intro-
dotte dall‘articolo. Al contrario del redattore del vangelo, Ap non le espande
in esplicazioni soteriologiche, muovendosi piuttosto alla confluenza di tradi-
zioni veterotestamentarie ed ellenistiche di auto-presentazione di divinità e
di suoi rappresentanti o inviati, se davvero di confluenza, e non di una tradi-
zione comune e diversificata, è lecito parlare (cfr. Es 3, 14; Is 48, 12; Ger
17, 10, e Ap 1, 8 con Diodoro Siculo, 1, 27, 4-5; Plutarco, Is. Os. 354c e
PGM IV, 185-191 e V, 145-159; Sir 24, 18; Gius. Asen. 14, 8 e 15, 12; T.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 109

50
Ab. (A) 16; Pr. Gius. in Origene, Comm. Jo. 2, 189-190) : formula e predi-
cazioni coincidenti, metaforiche e non, ritornano pronunciate anche a nome
51
di Dio (cfr. Ap 1, 8 e 21, 6-8, e 1, 17-18 e 22, 13) .
I paralleli offerti da Vang. Tom., Ignazio, Vang. Naass. e omelie pseu-
52
do-clementine, tutti non necessariamente dipendenti da Gv , anche dalla lo-
ro, più che una rete di corrispondenze dirette, sembrano presupporre
l‘esistenza di un complesso di tradizioni gesuane pre-giovannee formate e
53
modellate sugli stilemi di simili auto-rivelazioni .

2.1.5 La vittoria
Ap Gv

3, 21: «wJ~ kajgw; ejnivkhsa» 16, 33: «ejgw; nenivkhka to;n kovsmon»

Altri paralleli:
 Lc 11, 22: «ejpa;n de; ijscurovtero~ aujtou` ejpelqw;n nikhvshæ aujtovn, th;n
panoplivan aujtou` ai[rei ejfÆ h\æ ejpepoivqei, kai; ta; sku`la aujtou` diadiv-
dwsin»
 Vang. Salv. 13, 10.14: «Io combatto per voi: anche voi fate la guerra (pov-
lemo~) […] non piangete da <ora in avanti>, ma gioite piuttosto, amen. Io
ho vinto il mondo, e voi non lasciate che il mondo vi vinca»

50
Cfr. Norden, 1913, pp. 177-201.239; Bultmann, 1953, p. 167 n.2; Schweizer, 1965,
pp. 12-35; 64-82; 111-112; 127-129; Berger, 1984, p. 39; Id., 1991, pp. 197-198; Id. 1997, pp.
55-56 e 195-197, con ulteriore bibliografia; Geiger, 1992; Aune, 1996, pp. 140-143; Cebulj,
2000, pp. 21-57; 123-126; 266-287. Cfr. anche la succinta analisi delle occorrenze nell‘Ap
offerta da Frey, 1993, pp. 400-402.
51
Per la fraseologia, cfr. Is 41, 4; 43, 10; 44, 6; 48, 12; Ger 17, 10.
52
Su Vang. Tom. e Ignazio, cfr., rispettivamente, Koester, 1990, pp. 117-118 e Nord-
sieck, 2004, pp. 291-293, e Theobald, 2002, pp. 296-300 e 544-545, che pure, stranamente,
liquida Ps.-Clemente, Hom. 3, 52, 2 come «Aufnahme von Joh 10, 9» (p. 295), con le stesse
argomentazioni avanzate per l‘indipendenza di Phld. 9, 1. Se dunque la dimostrazione per I-
gnazio tiene, mi pare il caso, non fosse altro, almeno di riesaminare il giudizio sia sul detto
conservato dall‘omelia pseudo-clementina sia sulla citazione dello Ps.-Ippolito (cfr. anche
Egesippo in Eusebio, H.E. 2, 23, 8.12). A conclusioni opposte arriva, infatti, l‘analisi di Kline,
1975, pp. 163-164. Per una recente messa a punto, che tiene conto anche della tradizione si-
riaca e georgiana del detto, vedi Tripaldi – Stori, 2009. Su possibili contatti fra le tradizioni
sinottiche e Gv, si sofferma Geiger, 1992, in particolare, pp. 468-470, che però, tra le «h\lqon-
Worte» giovannee, manca di citare Gv 12, 46, tanto più interessante per gli stretti paralleli che
presenta con Gv 8, 12 e 9, 5.
53
Sulla relazione specifica tra Gv ed Ap, cfr. le conclusioni di Frey, 1993, pp. 401-402,
e Theobald, 2002, pp. 299-300 e 544-545.
110 Capitolo secondo

 P.Stras. Copt. 5 (verso): «<Voi (?)> ora vi rallegrate che io <ho vinto> il
mondo»

Lc 11, 22, da una parte, e Gv 16, 33 con Ap 3, 21, dall‘altra, sono le uni-
54
che parole ―canoniche‖ di Gesù che si incentrino su una sua vittoria : il detto
lucano si inserisce nella disputa sull‘attività esorcistica di Gesù (Lc 11, 14-
26) e traduce in immagini il conflitto in corso tra di lui e i demoni, il regno
di Dio e quello di Satana; Gv 16, 33 e Ap 3, 21, entrambe in prima persona,
entrambe sullo sfondo di tradizioni martirologiche e apocalittiche, spostano
il discorso su un piano di dimensioni cosmologiche, Gv inquadrando la vitto-
ria di Gesù nella cacciata del sovrano del mondo (cfr. Gv 12, 13; 14, 30, 16,
55
11) , Ap celebrandola nella guerra contro le forze sataniche (cfr. Ap 12, 1-
56
12) . L‘uso assoluto del verbo in Ap, di contro a Gv e alla linea di sviluppo
57 58
che ne procede , fa propendere per un‘origine autonoma dell‘espressione .

2.1.6 La lingua di Gesù

In un‘ottica comparativa che, dove possibile, non si limitasse soltanto ai


Sinottici, abbiamo cercato di isolare alcuni elementi verbali che punteggiano
il discorso dell‘angelo di Gesù in Ap.
Il confronto ha permesso di riallacciarli ipoteticamente a tradizioni ge-
suane pre-giovannee in un periodo (seconda metà del I – prima metà del II
sec.d.C) che non vedeva ancora la fissazione scritta soppiantare la trasmis-
sione orale. Nel migliore dei casi, attestazioni non canoniche indipendenti
hanno allargato il quadro storico ad una ramificazione e diffusione di tradi-

54
Bauernfeind, 1942, p. 943, e Frey, 1993, pp. 389-390.
55
Cfr. Holtz, 1981, p. 1149; Taeger, 1994, pp. 25-28; Berger, 1997, pp. 170-171 e 233-
239.
56
Cfr. Holtz, 1981, p. 1150, e Taeger, 1994, pp. 33-41.
57
Così su Vang. Salv., Frey, 2002, pp. 75-78, e Plisch, 2005, pp. 70-73. Su P.Stras., più
cautamente, Schneemelcher, 1987, pp. 87-88. Risalta, in entrambi i testi, la connessione di
gioia dei discepoli e vittoria di Gesù (ma cfr. orientativamente Gv 16, 20-22 e 31-33), in
Vang. Salv., l‘esortazione conseguente e parallela, diretta ai discepoli, di non lasciarsi vincere
dal mondo, in una sfumatura piuttosto analoga all‘uso di nikavw in 1 Gv e Ap in riferimento ai
seguaci di Gesù: collage di passi giovannei o risonanze di tradizioni – o sviluppi di tradizioni
– comuni e indipendenti?
58
Ap 5, 5 e 17, 14 riprendono, invece, tradizioni messianiche, e le fondono con la cri-
stologia dell‘Agnello, illuminando bene la complessità semantica e le sfumature temporali
della vittoria di Gesù in Ap. Cfr. le osservazioni di Roose, 2000, pp. 66-67 e 70-71.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 111

zioni ben più pervasiva di quanto i testi poi confluiti nelle scritture cristiane,
59
presi in sé stessi, lascino presumere .
Il linguaggio di Gesù nell‘Ap, nei costrutti, nelle forme, nelle espressio-
ni che crediamo di aver riconosciuto e identificato, si colloca in questo alveo
orale più esteso.

60
2.2 I detti .
61
2.2.1 La beatitudine dell‘udire e custodire (Ap 1,3) .
Ap Lc Vang. Tom. Herm. Sim.

1, 3: 11, 28: «menou'n 79: 5, 3, 9:


«makavrio~ makavrioi «Beati
oJ ajnaginwvskwn
kai; oiJ ajkouvonte~ oiJ ajkouvonte~ quanti hanno ascol- «o{soi eja;n
tato ajkouvsante~
tou;~ lovgou~ to;n lovgon la parola aujta;
th`~ profhteiva~ tou` qeou` del Padre
kai; throu`nte~ kai; fulavssonte~» e l‘hanno custodita thrhvswsi
ta; ejn aujth`æ ge- in verità»
grammevna»

59
Illuminanti la ricostruzione di Theobald, 2002, pp. 196-198 e 525-528, e le sue preci-
sazioni alle tesi di Koester, 1990, pp. 544-546 e 552-553. Ma cfr. già Koester, 1957, pp. 45-57
e 79-94, e Berger, 1995, p. 615-616.
60
Dell‘elenco offerto da Vos, 1965, pp. 218-219, non discuto qui Ap 6, 4; 11, 6; 13, 10;
17, 4; 18, 4: il primo, il quarto ed il quinto passo offrono una base testuale troppo esigua, vaga
e generica per una comparazione fondata, argomentabile in primo luogo su criteri formali,
tanto più avendo tutti paralleli precisi nelle scritture ebraiche che possano averli ispirati (cfr.,
rispettivamente, Ger 4, 10 e 12, 12 LXX, e Is 2, 4; Ger 51, 7 TM e Tg. Neb.; Ger 50, 8 e 51,
6.45 TM); il secondo rimanda a linguaggio e tradizioni diffusi ampiamente e irriducibili alla
sola tradizione delle parole di Gesù, quale attestata da Lc 4, 25 (cfr. Gc 5, 17 e i testi citati da
Aune, 1998a, p. 615); nell‘analisi del terzo, infine, lo studioso olandese si basa, in maniera
decisiva, su una lezione secondaria, che dà l‘impressione di essere piuttosto una armonizza-
zione scribale a Mt 26, 52, volta a semplificare le durezze linguistiche e la comprensione del
passo, di fatto però stravolgendone il senso (cfr. Charles, 1920, pp. 355-356, e Metzger, 1971,
p. 750): morte per spada e deportazione erano infatti il destino – storico e paradigmatico –
incombente sul popolo di Dio per mano di Babilonia e dei re della terra (cfr. Ger 15, 2; 1 Esd.
8, 74; Lc 21, 24 con Ap 17, 5-6 e 18, 2-4.24). Dell‘elenco offerto da Segalla, 2000, pp. 121-
129, in parte seguendo Vos, ho escluso le corrispondenze solo tematiche, le risonanze chiara-
mente mediate dai sottotesti di riferimento comuni, e quei paralleli che la tradizione sinottica
e giovannea non presentassero mai effettivamente in bocca a Gesù come sue parole. In ap-
pendice al capitolo, si può trovare un prospetto comparativo degli elenchi, il mio compreso.
61
Cfr. Vos, 1965, pp. 54-60, e Vanni, 1991, pp. 18-20.
112 Capitolo secondo

makavrioi
e[sontai»

Altri paralleli:
 Gc 1, 22.25: «givnesqe de; poihtai; lovgou kai; mh; ajkroatai; movnon para-
logizovmenoi eJautouv~ […] oJ de; parakuvya~ eij~ novmon tevleion to;n th`~
ejleuqeriva~ kai; parameivna~, oujk ajkroath;~ ejpilhsmonh`~ genovmeno~
62
ajlla; poihth;~ e[rgou, ou\to~ makavrio~ ejn th`æ poihvsei aujtou` e[stai»
 Gv 12, 47: «kai; ejavn tiv~ mou ajkouvshæ tw`n rJhmavtwn kai; mh; fulavxhæ, ejgw;
ouj krivnw aujtovn»
 Lc 8, 21: «mhvthr mou kai; ajdelfoiv mou ou\toiv eijsin oiJ to;n lovgon tou` qe-
ou` ajkouvonte~ kai; poiou`nte~»

Questa è la prima delle tre possibili corrispondenze tra Ap e rami della


tradizione gesuana che compaiano nella doppia cornice redazionale dello
scritto e non nel resoconto visionario.
In tre delle varianti in cui il detto ci è tramandato, il nucleo formale e
strutturale della beatitudine si è preservato nello stesso ordine sintattico:
l‘aggettivo makavrio~/neiat- è seguito dai participi plurali sostantivati dei
63 64
verbi ajkouvw/sōtem e threvw o fulavssw/(h)areh e- a reggere lovgo~ . In
Erma, invece, una relativa indefinita subordina il participio «ajkouvsante~»
al congiuntivo «thrhvswsi», con oggetto un pronome neutro plurale a rica-
pitolare le prescrizioni dell‘angelo. Se, come abbiamo avuto già modo di os-
servare (2.1.3), elementi singoli di questa fraseologia si trovano dispersi an-
che in altri detti, la loro combinazione specifica, giocata su un‘antitesi diver-
sa da quella più tradizionale di ajkouvw/ajkroavomai e poievw (cfr. Gv 12, 47 e
Mt 7, 24; Lc 6, 47 e 8, 21; Rm 2, 13; Gc 1, 22-25), è attestata solo nel nostro.
Si può quindi, con buona probabilità, supporre che queste strette corrispon-
denze risalgano a materiale tradizionale comune e che tale materiale, sulla
base delle due occorrenze che attribuiscono la beatitudine esplicitamente a
Gesù, sia da identificare con una sua parola.

62
Il macarismo finale potrebbe indicare che Gc 1, 22-25 abbia parafrasato e fuso due
detti di Gesù, Mt 7, 21-27 // Lc 6, 47-49, e Lc 11, 28 appunto. Cfr. le osservazioni di Bau-
ckham, 2004, pp. 78-84 e 87, e Kloppenborg, 2004, pp. 122-127.
63
threvw e fulavssw sono di fatto sinonimi (cfr. Mt 19, 17.20 e Gv 17, 11-12), con pre-
valenza assoluta del primo nella letteratura giovannea, in generale, e nell‘Ap, in particolare. Il
copto (h)areh e-può tradurre entrambi in costruzione con l‘accusativo, cfr. Ap 1, 3 bo e 3, 10
sa bo; Lc 11, 28 sa bo; Mt 19, 17.20 sa bo; Gv 17, 12 sa bo; Rm 2, 26 sa bo mf. Erma alterna
l‘uso (cfr. Vis. 5, 1, 7).
64
In Ap 1, 3, a 046. 1854 pc leggono ton logon per tou~ logou~, ma l‘unanimità dei
testimoni a 22, 6-7.18-19 dimostra che si tratta probabilmente di una armonizzazione, consa-
pevole o inconsapevole, con il parallelo lucano.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 113

Giovanni espande il macarismo a «colui che legge», riflettendo il conte-


sto liturgico cui il rotolo è destinato, e identifica concretamente la «parola di
Dio», che pure sembra conoscere in qualche connessione ravvicinata con il
detto (cfr. Ap 1, 2), con le «parole della profezia» ed i suoi contenuti scritti
65
(cfr. Ap 22, 6-7.10.18-20) . Lettore ed ascoltatori vengono così coinvolti nel-
la beatitudine, nella misura in cui inscrivere la propria esistenza nel mondo
66
testuale di Giovanni significa seguire e preservare la rivelazione divina .

67
2.2.2 Il compiersi del tempo e il regno (Ap 1, 3 e 22, 10)
Ap Lc

1, 3: «oJ ga;r kairo;~ 21, 8: «oJ kairo;~


ejgguv~» h[ggiken»
(cfr. anche 22, 10)

Altri paralleli:
 Mt 21, 34: «o{te de; h[ggisen oJ kairo;~ tw'n karpw'n»
 Rm 13, 11-12: «kai; tou`to eijdovte~ to;n kairovn, o{ti w{ra h[dh uJma`~
ejx u{pnou ejgerqh`nai, nu`n ga;r ejgguvteron hJmw`n hJ swthriva h] o{te ej-
pisteuvsamen. hJ nu;x proevkoyen, hJ de; hJmevra h[ggiken»
 1 Cor 7, 29: «tou`to dev fhmi, ajdelfoiv, oJ kairo;~ sunestalmevno~ ej-
stivn»
 Fil 4, 5: «oJ kuvrio~ ejgguv~»
 Mc 13, 29 (= Mt 24, 33): «ejgguv~ ejstin ejpi; quvrai~»
 Lc 21, 30: «ejgguv~ ejstin hJ basileiva tou' qeou'»
 Barn. 21, 3: «ejggu;~ hJ hJmevra, ejn h/| sunapolei`tai pavnta tw`æ
ponhrw`æ: ejggu;~ oJ kuvrio~ kai; oJ misqo;~ aujtou` »
 1 Clem. 21, 3: «ijdwmen, pw`~ ejgguv~ ejstin»
 Gc 5, 8: «makroqumhvsate kai; uJmei`~, sthrivxate ta;~ kardiva~ uJmw`n,
o{ti hJ parousiva tou` kurivou h[ggiken»
 1 Pt 4, 7: «pavntwn de; to; tevlo~ h[ggiken»

L‘attesa di una fine dei tempi ormai prossima appare largamente diffusa
68
e modulata nei testi proto-cristiani . Le formulazioni che le danno voce sono
di fatto delle più varie, specialmente quando si tratta di indicare di chi o di

65
Similmente il testo di Erma riportato (cfr. Vis. 5, 1, 5-7).
66
Cfr. Schweiker, 2005, pp. 116-117.
67
Vos, 1965, pp. 178-181.
68
Preisker, 1933, pp. 330-331.
114 Capitolo secondo

cosa si aspettasse la prossima manifestazione. Risalta quindi il parallelismo


strutturale e linguistico tra Ap 1, 3 e Lc 21, 8: lo stesso soggetto, «oJ kairov~»,
è seguito dall‘avverbio «ejgguv~», con il predicato sottinteso (ma cfr. Ap 22,
10), o dal perfetto di ejggivzw, con l‘analogo significato di «essersi fatto vici-
69
no, essere vicino» . Queste precise corrispondenze accomunano i nostri due
testi anche contro passaggi delle scritture ebraiche, quali Ez 7, 4 e 12 LXX e
Dn 7, 22, di cui riecheggiano solo più vagamente la fraseologia, di fatto più
influente su altre formulazioni (cfr., ad esempio, Rm 13, 11-12 e Barn. 21, 3,
70
da un lato, e Mc 1, 15 e Mt 12, 29 // Lc 11, 20, dall‘altro) . Da Mt 21, 34,
poi, li separa entrambi l‘uso assoluto e non metaforico di kairov~.
In Lc, l‘espressione è messa in bocca ai falsi profeti che in futuro parle-
ranno a nome di Gesù, presentandosi come suoi inviati, e pertanto come lui,
e riproponendo il nucleo del suo annuncio sull‘imminenza del regno (cfr. Lc
21, 8 con Mc 1, 14-15 // Mt 4, 17 e Mt 10, 7 // Lc 10, 9; Lc 10, 11 e 21, 30;
71
Giustino, Dial. 51, 2) . Ap stessa sembra conservare alcune tracce di tale
predicazione, e ciò porterebbe a confermare la possibilità di una derivazione
di Ap 1, 3 e 22, 10 dalla tradizione gesuana: in 11, 15.17-18, le voci celesti
celebrano l‘avvento incipiente del «regno sul mondo» di Dio e del Suo Unto
72
(cfr. anche 12, 10) e del «kairov~» di stabilire la giustizia ; in 14, 6-7, il
«vangelo eterno» proclamato dall‘angelo si qualifica come invito a temere
Dio e darGli gloria, nell‘incombenza dell‘ora del Suo giudizio, in una parola,
come invito alla metavnoia (cfr. Ap 16, 9.11) prima della parusia, esortazione
indirizzata a più riprese alle sette comunità (cfr. Ap 2, 5.16.22-23; 3, 3.19-

69
L‘aggettivo ebraico qrwb (qryb nelle versioni aramaiche) può essere reso in greco sia
con «ejgguv~» (cfr. Gn 45, 10; Es 13, 17; Is 13, 6; Ez 30, 3) che con «h[ggiken» (cfr. Ez 7, 7
[4]). Cfr. le osservazioni di Vos, 1965, p. 180 n. 335.
70
Aune, 1997, p. 21, rileva la sinonimia di Ap 1, 3 e Lc 21, 8, ma ne propone una di-
pendenza comune da Dn 7, 22, dove l‘aramaico zmn‟ mt‟̣ è tradotto con «oJ kairo;~ e[fqasen»
da Teodozione, e «oJ kairo;~ ejdovqh» dai Settanta. Va fatto notare però che, delle otto occor-
renze di mt‟̣ nel TM, solo due delle cinque tradotte alquanto liberamente dalla LXX (Dn 4,
8.19) sono rese con ejggivzw, mentre Teodozione recupera sempre il più fedele fqavnw (cfr.
Casey, 1998, p. 27). Nella stessa direzione, la portata dell‘evidenza dei Targumim sulla corri-
spondenza ng„ – mt‟̣ – ejggivzw era stata già circoscritta e limitata da Black, 1954, pp. 260-262.
L‘equivalenza tra mt‟̣ ed ejggivzw, e, di riflesso, tra ejggivzw e fqavnw non mi sembra quindi co-
sì facile, o, perlomeno, non così immediata da stabilire. Cfr., da ultimo, Dunn, 2003, pp. 407-
408, con altra letteratura.
71
Si vedano Meier, 1994, pp.431-432.434; Theissen – Merz, 1999, pp. 329 e 464; No-
relli, 2008, p. 39. Sul linguaggio del regno nella letteratura proto-cristiana e la sua ascendenza
gesuana, cfr. anche Dunn, 2003, pp. 383-387, che, come esempi, elenca: il regno «si è avvici-
nato», «verrà», «è sopraggiunto», va «cercato», ci si «entra», è «afferrato», «subisce violen-
za» (p. 387).
72
Come i parallelismi incrociati tra Ap 11, 15.17-18, e 19, 6-7 aiutano a chiarire, ejgev-
neto corrisponde qui sostanzialmente a h\lqen (cfr. anche Ap 1, 9-10; 4, 2; 17, 3).
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 115

73
20) e già ben radicata nella tradizione delle parole di Gesù . Su queste stesse
linee (compiersi del kairov~ e prossimità [h[ggiken] della venuta del regno;
esigenza escatologica della conversione [metanoei'te] e della fede
nell‘eujaggevlion) corre il sunto marciano del «vangelo di Dio» proclamato
da Gesù (Mc 1, 14-15; cfr. Mt 4, 17, che però elimina ogni riferimento al
74
vangelo) . Questa introduzione sintetica rappresenta, con tutta probabilità,
75
una composizione redazionale di Mc , e segue uno schema di predicazione
missionaria arcaico (cfr. Mc 6, 12; 1 Ts 1, 9-10; At 14, 15-17 e 17, 24-31; Eb
76
6, 1-2 e 11, 6) ; al tempo stesso, sembra raccogliere e coordinare frammenti
e motivi centrali dell‘insegnamento del Nazareno, variamente sparsi nella
77
tradizione dei detti .
Con la sua vicinanza al sommario iniziale marciano, Ap 14, 6-7 dimo-
stra chiaramente che Giovanni conosce lo schema in qualche sua forma e lo
recupera e trasforma. Queste conclusioni vengono quindi a integrare le con-
siderazioni su base formale già svolte, e confortano l‘ipotesi che Ap 1, 3 –
come, del resto, 22, 10 – provenga dallo stesso bacino di tradizioni gesuane.
Il coinvolgimento di lettore e ascoltatori nella beatitudine acquista così signi-
ficato e rilevanza escatologica decisivi: lettura, ascolto e preservazione del
rotolo si inscrivono nel quadro del prossimo compimento dei tempi prean-
nunciato da Gesù e nell‘imminente avverarsi delle parole di profezia rivelate
a Giovanni e da lui trascritte e inviate (cfr. Ap 22, 10).

2.2.3 La parusia del Figlio dell‘Uomo e il lutto delle tribù della terra (Ap 1,
78
7)
Ap Mt Did. Apoc. Piet.

1, 7: 24, 30: 16, 8: 6: «Tutti loro


«ijdou; «kai; tovte «tovte
79
e[rcetai meta. tw'n
nefelw'n,

73
Dunn, 2003, pp. 498-500.
74
Cfr. anche le osservazioni di Berger, 1995, pp. 613 e 625.
75
Discussione e ulteriore letteratura in Meier, 1994, pp. 430-431.
76
Cfr. Berger, 1995, pp. 387-388.389-390 e 613-614.
77
Cfr. Theissen – Merz, 1999, pp. 319 e 464, e Dunn, 2003, pp. 384-385; 407-408; 437-
439.
78
Vos, 1965, pp. 60-71; Schüssler Fiorenza, 1972, pp. 185-192; Wenham, 1984, pp.
314-315; Beale, 1985, pp. 138-140; Karrer, 1986, pp. 121-123; Yarbro Collins, 1992, pp. 543-
547.
116 Capitolo secondo

kai; o[yetai aujto;n o[yetai vedranno


come verrò su una
nuvola splendente
che è eterna […]
pa'~ ojfqalmo;~ kai; oJ kovsmo~ Allora i popoli,
oi{tine~ aujto;n ejxe-
kevnthsan,
avendo visto
to;n kuvrion ejr- questo,
covmenon ejpavnw
tw'n nefelw'n
tou' ouj-
ranou'...»
kai; kovyontai kovyontai piangeranno
ejpÆ aujto;n
pa'sai aiJ fulai; th'~ pa'sai aiJ fulai; ciascuna delle loro
80
gh'~» th'~ gh'~ nazioni»
kai; o[yontai
to;n uiJo;n tou' ajn-
qrwvpou ejrcov-
menon ejpi; tw'n
nefelw'n tou' ouj-
ranou'»

Altri paralleli:
 Giustino, Dial. 14, 8: «o{te ejn dovxhæ kai; ejpavnw tw`n nefelw`n parev-
stai, kai; o[yetai oJ lao;~ uJmw`n kai; gnwriei` eij~ o}n ejxekevnthsan»
 Ps.-Epifanio, Test. 100, 1: «Zacariva~ levgei: o[yontai to;n uiJo;n tou`
ajnqrwvpou ejrcovmenon ejpi; tw`n nefelw`n:kai; kovyontai fulai; kata;
fulav~»

Con il passo di Giustino e lo Ps.-Epifanio, sono questi gli unici quattro


testi proto-cristiani a conflare le citazioni di Dn 7, 13-14 e Zc 12, 10 in
un‘unica profezia escatologica sulla parusia, che Mt ed Apoc. Piet. riportano
81
esplicitamente in bocca a Gesù . Ap 1, 7 si presenta come proclamazione

79
C 2053 pc sa leggono epi, come in Ap 14, 14 e Mt 24, 30. Sia ejpiv che metav possono
tradurre „m, cfr. Dn 7, 13 LXX e Q.
80
Traduco dalla versione inglese letterale di Buchholz, 1988.
81
Anche Did. la conosce probabilmente come parole di Gesù, cfr. Draper, 1985, pp.
280-284, e 1996, pp. 88-91; Pesce, 2005, pp. 96-97 e 601.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 117

profetica di Giovanni stesso: è un‘ulteriore rifrazione della tradizione gesua-


na?
L‘ossatura del detto può essere ricondotta a una scansione tripartita: la
venuta con le nuvole del Figlio dell‘Uomo attira lo sguardo dei popoli e li
spinge a battersi per il cordoglio o a piangere. A restringere, per un attimo, il
confronto ad Ap e Mt emergono coincidenze profonde e precise: il sintagma
«pa'sai aiJ fulai; th'~ gh'~», e il riorientamento del «vedere», non più «guarda-
re a», direttamente sulla venuta, da un lato, il genitivo plurale «tw'n ne-
felw'n», dall‘altro, isolano i due detti, rispettivamente, dal testo masoretico,
le traduzioni greche e la citazione di Zc 12, 10 in Gv 19, 37, e dai due paral-
82
leli sinottici a Mt (Mc 13, 26 e Lc 21, 27) , ricollocandoli nell‘alveo di tradi-
83
zioni che affiorano anche in Did. e Apoc. Piet. .
Le coincidenze si fanno tanto meno casuali quanto più i due passi mo-
strano di seguire altrimenti l‘originale ebraico ed aramaico e/o il greco dei
84
Settanta e dei tre . L‘inversione della sequenza «vedere» – «battersi» e la e-
stensione rispettiva delle citazioni – Ap riproduce più integralmente Zc, Mt il
85
sottotesto danielico – rendono improbabile un legame diretto . In Ap 1, 7 a-
vremmo quindi una traccia e un frammento delle tradizioni parallele
86
all‘―apocalisse sinottica‖ da cui origina il materiale specifico di Mt 24 . La
chiusa mutila della ―piccola apocalisse‖ di Did., nutrita di corrispondenze
87
con Mt 24, sembra confermarlo .
Una possibilità alternativa è che Ap 1, 7 rispecchi un filone esegetico
88
proto-cristiano eventualmente confluito in una raccolta di testimonia .

82
Vos, 1965, pp. 62-68; Wenham, 1984, pp. 314-315; Yarbro Collins, 1992, pp. 543 e
546.
83
In Apoc. Piet. (135 d.C. circa), la sequenza successiva vedere (x2) – piangere, il sin-
golare «nuvola» per il plurale usato da Mt (cfr. Lc 21, 27), la presenza della cerchia degli «an-
geli di Dio» (cfr. Mt 25, 31; Lc 9, 26 e 12, 8-9, e Ap 3, 5), la citazione più fedele di Zc 12, 10-
12 sono tutti elementi che farebbero concludere per una trasmissione indipendente dalla for-
mulazione di Mt 24, 30. L‘espressione «il trono della mia (sua) gloria» in riferimento al Figlio
dell‘Uomo, tra i Sinottici, caratteristica del solo Mt (cfr. 19, 28 e 25, 31), si trova già in 1 En.
61, 8; 62, 5; 69, 27.29. Cfr. anche il commento di Buchholz, 1988, pp. 267-276.
84
Per Ap 1, 7, cfr. Dn 7, 13 TM; Zc 12, 10 TM; Zc 12, 10 TM e LXX; per Mt 24, 30,
cfr. Dn 7, 13 TM e LXX. Vedi anche Charles, 1920, pp. 17-18; Schüssler Fiorenza, 1972, pp.
186-188; Aune, 1997, p. 54.
85
Cfr. Holtz, 1962, p. 135; Vos, 1965, pp. 62 e 65-71; Schüssler Fiorenza, 1972, pp.
188-192; Karrer, 1986, p. 122 n.58; Bauckham, 1993a, pp. 319-320; Yarbro Collins, 1992, p.
546; Prigent, 2000a, p. 91.
86
Vedi Norelli, 1995b, pp. 172-176; Visonà, 2000, pp. 239-245; Pesce, 2005, pp. 600-
601. Cfr. Charles, 1920, pp. 18-19, che però insiste sulla mediazione della Vorlage matteana.
87
Cfr. le osservazioni di Aune, 1997, pp. 52 e 55.
88
Cfr. Bauckham, 1993a, 318-321, e Prigent, 2000a, pp. 91-92. Questo, di per sé, non
esclude che il detto combinato possa essere arrivato a Giovanni come tradizione gesuana.
118 Capitolo secondo

Decisive per questa ipotesi sono le attestazioni di Giustino e dello Ps.-


Epifanio.
Ora, Giustino sembra avere presente piuttosto il terzo stico di Dn 7, 13
LXX (cfr. Dial. 31, 13) e Dn 7, 14, inseriti nello schema delle due venute di
Cristo (cfr. anche Dial. 32, 10-14 e 64, 51-53), e su questa linea, accentua il
tema del riconoscimento finale del solo Israele, appoggiandosi appunto a Zc
89
12, 10-12, che attribuisce erroneamente ad Osea . I contatti letterali si rive-
lano abbastanza blandi e superficiali, comunque mediati dal greco di versio-
ne dei testi citati.
Lo Ps.-Epifanio (IV sec.d.C), dal canto suo, ha la tendenza ad allineare
e completare le profezie vetero-testamentarie con i testi evangelici, matteani,
in particolare (cfr. 45.2; 96.3; 99; 101). Il testimonium 100.1 non sfugge a
questa tendenza: la citazione di Zaccaria si limita al secondo verso, fusa ed
integrata con Mt 24, 30. L‘evidenza di una tradizione esegetica, dunque, lati-
ta.
Ap 14, 13; 16, 15; 22, 12-13 mostrano come il nostro frammento vada
ora letto nel movimento complessivo di Ap 1, 7-8, a formare una breve unità
letteraria di discorso ―profetico‖, in cui al primo oracolo risponde un secon-
90
do, garantendo, ampliando, re-interpretando .

2.2.4 L‘invito all‘attenzione


Ap Vang. Tom. Mt Lc Mc

2, 7: «oJ e[cwn 8, 4: «Chi ha 11, 15: «oJ e[cwn 8, 8: «oJ e[cwn 4, 9: «o}~ e[cei
ou\~ orecchio w\ta w\ta w\ta
per udire, ajkouvein ajkouvein
ajkousavtw» oda» ajkouevtw» akouevtw» ajkouevtw»
(cfr. anche 2, (cfr. anche 21, (cfr. anche 13, (cfr. anche 14,
11.17.29; 3, 10; 24, 2; 63, 3; 9 e 43) 35 e 12, 21
6.13.22) 65, 8; 96, 3) v.l.)
13, 9: «ei[ ti~ 4, 23: «ei[ ti~
e[cei ou\~ e[cei w\ta
ajkouvein
ajkousavtw» ajkouevtw»
(cfr. anche 7,
16 v.l.)

89
Karrer, 1986, p. 122 n.58. Cfr. anche Barn. 7, 8-10.
90
Cfr. Aune, 1996, pp. 521-524 e 594-595.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 119

Altri paralleli:
 P.Oxy. 1081 (= Soph. Ges. Cristo 97, 16 – 99, 12), 6-8: «oJ e[cwn w\ta tw'n
ajperavntwn ajkouvein ajkouevtw»; 18-19: «oJ e[cwn w\ta tw'n ajperavntwn aj-
kouvein ajkouevtw»
 Vang. Maria 7, 8-9: «Chi ha orecchio per udire, oda»; 8, 10-11: «Chi ha o-
recchio per udire, oda»
 Ps.-Simon Mago, Grande Riv. in Ps.-Ippolito, Haer. 6, 16, 1: «ajrkei`,
fhsiv, to; lecqe;n uJpo; tw`n ejqnw`n pro;~ ejpivgnwsin tw`n o{lwn toi`~ e[cousin
ajko(a;~) <th'~ ajk>oh`~»

Se la specificazione peculiare a Giovanni («cosa lo Spirito dice alle


chiese») individua nella rivelazione di Gesù, nelle visioni, l‘oggetto
dell‘ascolto (cfr. Ap 1, 1-3 e 22, 16), la forma base dell‘invito formulare (cfr.
anche Ap 13, 9) è rintracciabile, con leggere variazioni, nel contesto della
tradizione – sinottica e non – delle parabole di Gesù e della loro interpreta-
91
zione . In particolare, il singolare di «orecchio» e l‘assenza dell‘infinito «aj-
kouvein» trovano riscontro specifico in Vang. Tom. 63, 3; 65, 8; 96, 3, mentre
la protasi ipotetica di Ap 13, 9 ha paralleli unicamente nella tradizione te-
stuale di Mc, tanto come lezione accolta dagli editori (4, 23) che come va-
riante di apparato (7, 16).
Dietro sembrano celarsi gli sviluppi della formula profetica di procla-
mazione quali si erano venuti delineando nella tradizione sapienziale e ―apo-
92
calittica‖ , ma non si può né si deve misconoscere come l‘invito
all‘attenzione «im Urchristentum eine eigene Gestalt erhielt, die sich nur in
93
einem bestimmten Überlieferungsektor findet» , l‘Ap stessa e i discorsi di
rivelazione, da un lato, ed il materiale parabolico appunto, dall‘altro.

94
2.2.5 Della vittoria: la corona della vita (Ap 2, 10) .
Ap 2 Tm Gc Vang. Tom.

2, 10: «givnou 4, 8: 1, 12: 58:


«loipo;n ajpovkeitaiv

91
Cfr. Dibelius, 1910, in particolare, pp. 468-471; Horst, 1954; Hahn, 1971, in partico-
lare, pp. 377-379; Fusco, 1980, pp. 155-159; Popkes, 1983; Crossan, 1983, pp. 68-73; Enroth,
1990, in particolare, pp. 600-601.
92
Così Hahn, 1971, pp. 379-380; Berger, 1972, pp. 480-482 n.1; Fusco, 1980, p. 156;
Popkes, 1983, pp. 92-93; Aune, 1996, pp. 174-175 e 518.
93
Popkes, 1983, p. 93. Cfr. anche Vos, 1965, pp. 71-75.
94
Vos, 1965, pp. 192-193.
120 Capitolo secondo

moi
«makavrio~ ajnh;r «Beato l‘uomo
pisto;~ a[cri qa- o}~ uJpomevnei pei- che ha faticato
navtou, rasmovn
o{ti dovkimo~ genov-
meno~
kai; dwvsw soi lhvmyetai e ha trovato
oJ th`~ dikaiosuvnh~
to;n stevfanon stevfano~, to;n stevfanon
th`~ zwh`~» th`~ zwh`~, la vita»
o}n ejphggeivlato
toi`~ ajgapw`sin auj-
tovn»
o}n ajpodwvsei moi oJ
kuvrio~ ejn ejkeivnhæ
th`æ hJmevra/»

Altri paralleli:
 Lib. grad. 3, 3: «Poiché gli atleti stanno in piedi nella lotta e nel combatti-
mento e colpiscono e sono colpiti, a loro disse il Signore: ―Dopo che abbia-
te colpito e siate stati colpiti, se vincerete e salirete dal combattimento e ri-
ceverete la corona e con la corona uscirete da questo mondo, i vostri peccati
non saranno ricordati, ma come sarete trovati nella vittoria, sarete presi in-
coronati‖»
 Atti Fil. 135: «tovte oJ kuvrio~ fanei;~ tw`æ Filivppwó ei\pen:[…] tiv~ de; ejn
stadivwó gennaivw~ dramw;n ouj lambavnei to; brabei`onÉ tiv~ de; pluvna~ ta; iJ-
mavtia aujtou` hJdevw~ aujta; moluvneiÉ w\ Fivlippe, ijdou; oJ numfwvn mou
e{toimov~ ejstin, ajlla; makavriov~ ejstin oJ euJreqei;~ ejn aujtw`æ e[cwn to;
e[nduma lamprovn: aujto;~ gavr ejstin oJ lambavnwn to;n stevfanon {vv.ll:
95
th'~ cavrito~ ] th'~ cara'~} ejpi; th'~ kefalh'~ aujtou' »
 1 Pt 5, 4: «kai; fanerwqevnto~ tou` ajrcipoivmeno~ komiei`sqe to;n aj-
maravntinon th`~ dovxh~ stevfanon»
 Atti Tom. 147: «to;n nekro;n ejzwopoivhsa kai; to;n zw'nta ejnivkhsa kai; to;
uJsterouvmenon ejplhvrwsa i{na devxwmai th'~ nivkh~ to;n stevfanon»

Ap 2, 10 ricorre in bocca al «simile ad un figlio d‘uomo», nella lettera


dettata all‘angelo della comunità di Smirne (Ap 2, 7-11).

95
Cfr. anche 144, dove la metafora viene elaborata. Forti sono in tutto il brano le remi-
niscenze di Ap (cfr. 3, 4; 7, 14; 19, 8-9).
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 121

Nonostante le immagini dell‘agone e della corona siano già diffuse nella


96
letteratura giudaica ellenistica , che un detto sul premio della corona esistes-
se, sotto qualche forma, nella tradizione gesuana, lo lasciano, verosimilmen-
te, intendere già due particolarità della versione di Gc. La formula «ej-
phggeivlato toi`~ ajgapw`sin aujtovn» chiude, infatti, in Gc 2, 5 la ripresa
97
della beatitudine dei poveri (Mt 5, 3; Lc 6, 20; Vang. Tom. 54) ; inoltre, la
sua clausola finale «toi`~ ajgapw`sin aujtovn» ricorre in 1 Cor 2, 9 a suggello
di un‘altra promessa escatologica che Vang. Tom. conosce come parola di
98
Gesù (17; cfr. Mt 13, 16-17 e Lc 10, 23-24) , ed è ripetuta, in una forma leg-
germente diversa («toi`~ hjgaphkovsi th;n ejpifavneian aujtou`»), anche in 2
Tm 4, 8, a conclusione del nostro detto.
Il confronto incrociato dei paralleli isola poi gli elementi tematici e
formali ricorrenti nella sequenza: prova/tentazione – perseveranza e resisten-
99
za – premio della corona come ricompensa per la vittoria . Questi elementi
sono tutti chiaramente rilevabili anche nel contesto più ampio di Ap 2, 10: la
sofferenza (pavscw) è preannunciata come prova scatenata dal Diavolo
(«peirasqh'te»), che genera afflizione (qli'yi~). La fedeltà ad ogni costo in
questa prova satanica, in Ap, parallela a e di fatto coincidente con la uJpo-
monhv (cfr. Ap 13, 10 e 14, 2), sarà ricompensata da Gesù con il dono della
corona della vita. Le ricorrenze del linguaggio della fede e della fedeltà e
l‘occorrenza del verbo divdwmi sembrano allineare la variazione del testo di
Giovanni alla forma conservata in 2 Tm 4, 7-8 piuttosto che a Gc 1, 12.
Le tre variazioni così disponibili permettono allora di ipotizzare
l‘esistenza e la circolazione di un detto in cui Gesù prometteva ai suoi se-
guaci rimasti fedeli nella prova il dono della corona della vita. Il detto non
rimarrebbe isolato nella tradizione gesuana, al contrario, andrebbe a inserirsi
in tutto un complesso di parole declinate sul tema del premio riservato alla

96
Cfr. Sap 4, 2; T. Ben. 4, 1; Filone, Agr. 109-120; Leg. 2, 108; Praem. 27; Migr. 133-
136; 4 Macc. 6, 10 e 33; 7, 1-4; 17, 10-18; T. Giob. 4, 6.9-10; 1 Cor 9, 24-25; Eb 12, 1-4; 2
Clem. 7, 1. I paralleli secondari riportati, compresi i due logoi attribuiti esplicitamente al Si-
gnore, attingono più probabilmente a questo campo semantico comune, quando non ad alcuni
dei testi appena citati (cfr., ad esempio, At. Fil. 135 e 1 Cor 9, 24-25).
97
Bauckham, 2004, pp. 80-81, e Kloppenborg, 2004, pp. 135-141.
98
Cfr. Pesce, 2005, pp. 511-512 e 529-531. Sull‘eventuale presenza di tradizioni gesua-
ne in 1 Cor 2, vedi Koester, 1990, pp. 52-59.
99
Rispetto agli altri testi, e in particolare, a Gc 1, 12, con cui condivide forma e struttu-
ra di macarismo, Vang. Tom. li declina in maniera tutta particolare: attribuisce la parola diret-
tamente a Gesù; uJpomevnw sfuma in un hise, «affaticarsi, penare», che solitamente non lo tra-
duce mai; scompaiono la corona e i relativi accenni al dare o ricevere, sostituiti da «ha trova-
to», sempre la vita. Questi due verbi caratterizzano entrambi una dialettica di ricerca e scoper-
ta, ben più radicata nel mondo simbolico del testo di quanto non lo sia il campo semantico
agonistico (cfr. Vang. Tom. 2; 8; 94; 107; 109-111, con le annotazioni linguistiche di Schrö-
ter, 2009, pp. 46-47). Viene immediato, quindi, pensare a interventi redazionali.
122 Capitolo secondo

sofferenza e alla perseveranza (cfr. Mt 10, 22; Mc 13, 13; Lc 21, 19 e 22, 28-
30; Vang. Tom. 58; 2 Clem. 19, 3; Barn. 7, 11; Tertulliano, Bapt. 20; Atti
100
Giov. Pro. 25; Ps.-Macario, Hom. 27, 20) .

101
2.2.6 L‘ora, il ladro, la veglia (Ap 3, 2.3 e 16, 15) .
Ap Did. Mt Lc

3, 2.3: 16, 1: 24, 42-44: 12, 39-40:


«givnou grhgorw`n «grhgorei`te «grhgorei`te ou\n,
[…] […]
eja;n ou\n mh;
grhgorhvshæ~,
h{xw wJ~ klevpth~,
kai; ouj mh; gnw`æ~ ouj ga;r oi[date o{ti oujk oi[date
102
poivan w{ran th;n w{ran, ejn h\æ poivaæ hJmevraæ
oJ kuvrio~ hJmw`n oJ kuvrio~ uJmw`n
h{xw e[rcetai» e[rcetai.
ejpi; sev»
ejkei`no de; «tou`to de;
ginwvskete o{ti ginwvskete o{ti
eij h[ædei eij h[ædei
oJ oijkodespovth~ oJ oijkodespovth~
poivaæ fulakh`æ poivaæ w{raæ
oJ klevpth~ oJ klevpth~
e[rcetai, e[rcetai,
ejgrhgovrhsen a]n
103
kai; oujk a]n oujk a]n
ei[asen ajfh`ken
diorucqh`nai diorucqh`nai
th;n oijkivan to;n oi\kon
aujtou`. aujtou`.
dia; tou`to

100
Cfr. l‘analisi recente di De Luca – Rescio – Stori – Tripaldi – Walt, 2008.
101
Vos, 1965, pp. 75-85; Bauckham, 1977, pp. 165-169 e 174-176; Crossan, 1983, pp.
57-66; Yarbro Collins, 1992, p. 559.
K L G, la vetus latina e la Vulgata, sys.p sams bopt e alcune minuscole hanno wra
102

come Lc, Ap e Did.


‫א‬1 A lat syp.h sams bo offrono un testo più simile a Mt 24, 43, inserendo egrhgor-
103

hsen kai.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 123

kai; uJmei`~ kai; uJmei`~


givnesqe e{toimoi, givnesqe e{toimoi,
o{ti h\æ ouj dokei`te o{ti h\æ w{raæ ouj do-
w{raæ kei`te
oJ uiJo;~ tou` oJ uiJo;~ tou`
ajnqrwvpou ajnqrwvpou
e[rcetai» e[rcetai»

16, 15: 12, 37:


«ijdou; e[rcomai
wJ~ klevpth~.
makavrio~ «makavrioi
oiJ dou`loi ejkei`noi,
ou}~ ejlqw;n oJ
kuvrio~ euJrhvsei
oJ grhgorw`n grhgorou`nta~»
kai; thrw`n ta; iJmav-
tia aujtou`»

Altri paralleli:
 1 Ts 5, 2: «hJmevra kurivou wJ~ klevpth~ ejn nukti; ou{tw~ e[rcetai»
 2 Pt 3, 10: «h{xei de; hJmevra kurivou wJ~ klevpth~»
 Vang. Tom. 21, 5-7: «Perciò, io vi dico che il padrone di casa, se sa che
viene il ladro, veglierà prima che venga, e non lo lascerà entrare nella casa
del suo regno a prendere i suoi beni. Quanto a voi, vegliate al cospetto del
mondo, e cingetevi con gran forza ai fianchi, perché i predoni non trovino
la strada per venire da voi»; 103: «Disse Gesù: ―Beato l‘uomo che sa in che
parte [della casa? della notte?] entrano i predoni, per alzarsi, radunare il
proprio regno e cingersi ai fianchi prima che entrino‖»
 Didimo, Trin. 3, 22: «wJ~ klevpth~ ejn nukti; e[rcetai hJ teleutaiva hJmevra»
 Epifanio, Anch. 21, 2: «wJ~ klevpth~ ejn nukti; e[rcetai hJ hJmevra ejkeivnh»
 Epifanio, Pan. 69, 44: «givnesqe e{toimoi, e[stwsan aiJ ojsfuve~ uJmw`n pe-
riezwsmevnai kai; aiJ lampavde~ uJmw`n ejn tai`~ cersi;n uJmw`n, kai; e[sesqe
wJ~ kaloi; dou`loi, prosdokw`nte~ to;n i[dion despovthn. wJ~ ga;r lhæsth;~ ejn
nuktiv, ou{tw~ paragivnetai hJ hJmevra»

La letteratura protocristiana ci ha preservato riflessi molteplici della pa-


rabola gesuana del ladro. In accordo con la tradizione più antica (1 Ts, Mt //
Lc, Did., Vang. Tom.), per quanto più concisamente, Ap, sia in 3, 3 che in 16,
15, ne attesta l‘associazione e la connessione logica con quella dei servi vigi-
124 Capitolo secondo

104
lanti . L‘assenza della precisazione temporale «nella notte», si fa segno di
una maggiore affinità letteraria e tematica con le varianti sinottiche, più con
105
Lc che con Mt, che ha anche fulakhv, e di Did. . Lo confermano le ricor-
renze simultanee di grhgorevw e dell‘imperativo di givnomai con funzione
esortatoria introduttiva. Specifica di Mt // Lc e Ap è l‘espressione «a quale
ora», che, per Giovanni, farebbe decisamente pensare ad una conoscenza del
106
brano escatologico di Q . Anche il macarismo di Ap 16, 15 trova una diretta
107
analogia in Lc 12, 37 e, meno immediatamente, in Vang. Tom. 103 : la
combinazione di «vegliare» con «conservare le proprie vesti» (cfr. Ap 3, 18)
va forse interpretata come sviluppo dell‘immagine o della veglia contro la
nudità del sonno e del lavoro, o del cingersi i fianchi, in ogni caso, quindi,
come indice della preparazione alla parusia (cfr. Mt 24, 18.37-41; Mc 13, 18;
108
Lc 17, 26-36; Gv 21, 7; Vang. Tom. 21, 1-4) .
Nella rivelazione dell‘angelo, di parabole rimane ben poco e la forma in
cui possano essere giunte a Giovanni non si lascia ricostruire con certezza:
nonostante Ap 16, 14 mostri di conoscere un «giorno grande di Dio» come
contesto di riferimento prossimo per la ripresa (cfr. 1 Ts 5, Didimo ed Epifa-
nio), il generale passaggio alla prima persona, soggetto Gesù stesso, ne ha
fatto collassare la struttura narrativa e isolato le immagini, fondendole con
l‘interpretazione, le elaborazioni individuali di Giovanni, l‘applicazione con-
109
creta in funzione parenetica .

110
2.2.7 La confessione del nome davanti al Padre e agli angeli (Ap 3, 5) .
Ap 2 Clem. Mt Lc

3, 5: 3, 2: «levgei de; kai; 10, 32: 12, 8: «levgw de;


aujtov~: uJmi`n,
«pa`~ ou\n o{sti~ pa`~ o}~ a]n

104
Vos, 1965, pp. 83-85, e Bauckham, 1977, pp. 165-167 e 170. Cfr. anche Ap 3, 20.
105
Vos, 1965, pp. 81-82, e Bauckham, 1977, pp. 169. Sebbene una ambientazione not-
turna manchi, e nonostante la presenza, almeno in 21, 5-7, di roeis (= grhgorevw), i due logoi
di Vang. Tom., con la loro menzione dei «predoni» (lhsthv~), presuppongono piuttosto la tra-
dizione che riaffiora in At. Tom. 146, Epifanio, Pan. 69, 44, e nella traduzione bohairica di Mt
24, 43.
106
Bauckham, 1977, pp. 166 e 170, e Pesce, 2005, pp. 542-543.
107
Cfr. Crossan, 1983, pp. 64-66.
108
Bauckham, 1977, p. 171. Per la fraseologia dell‘intera beatitudine, cfr. Ap 3, 4 e 18.
109
Bauckham, 1977, pp. 167-169 e 175, chiama l‘intero processo «paraenetic deparabo-
lization».
110
Koester, 1957, pp. 72-73, che però non discute Ap 3, 5; Vos, 1965, pp. 85-94; Don-
fried, 1974, pp. 60-61; Vanni, 1991, pp. 20-22; Yarbro Collins, 1992, pp. 559-562.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 125

«oJ nikw'n […] to;n oJmologhvsantav oJmologhvsei oJmologhvshæ


me ejn ejmoi; ejn ejmoi;
ejnwvpion e[mprosqen e[mprosqen
tw`n ajnqrwvpwn, tw`n ajnqrwvpwn, tw`n ajnqrwvpwn,
kai; oJ uiJo;~ tou`
ajnqrwvpou
112
oJmologhvsw oJmologhvsw oJmologhvsw oJmologhvsei
kajgw;
to; o[noma aujtou` aujto;n ejn aujtw`æ ejn aujtw`æ
111
ejnwvpion ejnwvpion e[mprosqen e[mprosqen
tou` patrov~ mou tou` patrov~ mou» tou` patrov~ mou
tou` ejn »toi`~¼
oujranoi`~»
kai; ejnwvpion
tw`n ajggevlwn tw`n ajggevlwn
113
aujtou»` tou` qeou` »

Altri paralleli:
 Herm., Vis. 2, 2, 8: «w[mosen ga;r kuvrio~ kata; tou` uiJou` aujtou`, tou;~ ajr-
nhsamevnou~ to;n kuvrion aujtw`n ajpegnwrivsqai ajpo; th`~ zwh`~ aujtw`n »
 2 Tm 2, 11-12: «pisto;~ oJ lovgo~: eij ga;r sunapeqavnomen, kai; suzhvso-
men: eij uJpomevnomen, kai; sumbasileuvsomen: eij ajrnhsovmeqa, kajkei`no~
ajrnhvsetai hJma`~»

Il detto si presenta in forma condizionale, con protasi relativa in Mt //


Lc, participiale in Ap e 2 Clem., e apodosi ruotante intorno al futuro di ojmo-
logevw, alla prima persona singolare in Ap, Mt e 2 Clem., alla terza, sempre
singolare, in Lc. nikavw è sicuramente variazione di Giovanni, che, se di fatto
114
copre bene l‘area semantica di ojmologevw , innesta la parola gesuana nella
forma e struttura fissa caratteristiche delle promesse al vincitore.
L‘integrazione, ugualmente giovannea, di «to; o[noma aujtou'» come com-
plemento oggetto del secondo ojmologevw, il primo in Ap, di contro agli ara-
maismi di Lc e Mt, e al più corretto greco di 2 Clem., non incide sul senso
complessivo, data l‘equivalenza tra nome e persona individuata dal nome
(cfr. Nm 1, 2.20 e 3, 40.43; Mt 1, 21.23.25; Lc 1, 31-32; Gv 1, 7 e 2, 11; At 1,

111
‫ א‬1611 hanno emprosqen in accordo con Mt e Lc.
112
Marcione leggeva omologhsw (Tertulliano, Marc. 4, 28).
113
Marcione (cfr. Tertulliano, ibid., ed Epifanio, Pan. 42, 11, 6 e 15 scovlion l) e ‫*א‬
omettono twn aggelwn, entrambi evidentemente per motivi teologici.
114
Vos, 1965, pp. 87-89. Su origine, forma e funzione delle promesse al vincitore, vedi
Hahn, 1971, pp. 381-390; Berger, 1971, pp. 19-27; Müller, 1974, pp. 104-107.
126 Capitolo secondo

15; Rm 10, 13-14; Ap 3, 4 e 11, 13). Ap si ritrova quindi molto vicina


all‘«aujtovn» di 2 Clem., e non solo per la costruzione di «ojmologhvsw» con
l‘accusativo.
Se, poi, «e[mprosqen» (Mt e Lc) ed «ejnwvpion» (Lc; Ap; 2 Clem.) si
possono spiegare come mere scelte stilistiche di versione da un originale a-
115
ramaico , l‘alternanza tra «al cospetto del Padre mio», che 2 Clem. conserva
intatto e Mt amplia con il suo «che è nei cieli», e «al cospetto degli angeli di
Dio», proprio del solo Lc, individua più decisamente due linee di tradizione
che convergono e si intersecano nel «di fronte al Padre mio e di fronte ai
Suoi angeli» di Giovanni: rappresenta il testo di Ap una fase più antica della
116
trasmissione in cui le due espressioni coesistevano, non ancora scisse , op-
pure è il punto di arrivo di un processo di interventi redazionali su Q che
117
culmina nella fusione delle formulazioni di Lc (= Q) e Mt ? Per quel che di
sicuro si può arrivare a dire, l‘accordo frequente di Ap e 2 Clem. nelle diver-
genze dai due Sinottici implica quantomeno una indipendenza dai testi evan-
118
gelici .
La ripresa, come accennavamo, figura tra le promesse al vincitore indi-
rizzate all‘angelo della comunità di Sardi, e forse proprio per questo manca
la controparte negativa sul rinnegamento, che i Sinottici pure conoscono (Mt
10, 33 // Lc 12, 9). Comunque, se anche l‘ajrnevomai di Ap 3, 8, poco più sot-
to, acquistasse il suo pieno senso solo in voluta giustapposizione
119
all‘ojmologevw di 3, 5 , ciò non significherebbe di necessità che Giovanni
conoscesse entrambe le formulazioni, in positivo e in negativo, come due
facce dell‘unico detto. Certamente, la costruzione speculare di ojmolo-
gevw/oujk ajrnevomai con o[noma, del vincitore, prima, di Gesù, poi, sembra
evocare di fatto un parallelismo tra Ap 3, 5 e 8, e potrebbe favorire, a livello
120
testuale, questa ipotesi . A considerare, però, più attentamente Mt 10, 32-33
e Lc 12, 8-9, 2 Tm 2, 11-12 ed Erma, e 2 Clem. 3, 2 sembra piuttosto che esi-
stessero tre diverse trasmissioni: solo in positivo (2 Clem. e, ora, Ap), solo in
121
negativo (2 Tm e Erma), in combinazione (Mt // Lc) . La tradizione della
―regola d‘oro‖ può fornire un buon termine di paragone (solo in positivo: Mt

115
Vos, 1965, pp. 90-91, e Vanni, 1991, p. 21.
116
Vos, 1965, pp. 91-92, con discussione e bibliografia.
117
Vanni, 1991, pp. 21-22.
118
Cfr. le conclusioni di Donfried, 1974, p. 61. Yarbro Collins, 1992, p. 560, nega la
possibilità di una dipendenza anche da Q.
119
Così Vos, 1965, pp. 93-94.
120
Vos, 1965, pp. 89-90 e 94. Ap 3, 10 offre un caso analogo di consequenzialità fra a-
zione e reazione, con il verbo threvw. Cfr., tuttavia, anche Ap 2, 13.
121
Interessante, ma sempre con la riserva di un salto da meme à meme dello scriba,
l‘assenza di 12, 9 in alcuni testimoni del vangelo di Lc: ¸45 pc e sys boms.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 127

7, 12 // Lc 6, 31; solo in negativo: Did. 1, 2, Vang. Tom. 6 (= P.Oxy. 654, 32-


122
40), Lib. grad. 15, 16; in combinazione: Lib. grad. 7, 1) .
Nella voce del «simile ad un figlio d‘uomo» apparso a Giovanni, la vo-
ce di Gesù sale come voce del Risorto e Vivente, e prospetta la ricompensa
che la scelta della conversione o la purezza dei suoi seguaci a Sardi, la loro
vittoria, si trascinerà dietro, al suo ritorno con la corte celeste. Le loro vicen-
de, le loro storie recuperano così una dimensione e rilevanza escatologica
che le visioni successive si preoccuperanno di portare alla luce e realizzare.

123
2.2.8 La parabola dei servi vigilanti (Ap 3, 20) .
Ap Lc Ascen. Isa.

3, 20: 12, 36-37: «kai; uJmei`~ 4, 16:


o{moioi ajnqrwvpoi~
prosdecomevnoi~ to;n
kuvrion eJautw`n
«ijdou; povte ajnaluvshæ «Dopo 1332 giorni
ejk tw`n gavmwn,
e{sthka ejpi; th;n quvran i{na ejlqovnto~
kai; krouvw: kai; krouvsanto~
ejavn ti~ ajkouvshæ th`~ fwnh`~
mou
kai; ajnoivxhæ th;n quvran, eujqevw~ ajnoivxwsin
aujtw`æ.
makavrioi oiJ dou`loi
ejkei`noi,
eijseleuvsomai pro;~ aujto;n ou}~ ejlqw;n oJ kuvrio~ verrà il Signore […]
E conforterà
euJrhvsei quanti saranno stati trovati
grhgorou`nta~ nella carne con i santi, nel-
le vesti dei santi,
ajmh;n levgw uJmi`n o{ti
perizwvsetai
kai; deipnhvsw metÆ aujtou` kai; ajnaklinei` aujtou;~

122
Pesce, 2005, pp. 560-561 e 592-593. Cfr. anche le varianti del logos sulla rinuncia a
sé stessi in Mt 16, 25; Mc 8, 35; Lc 17, 33; Gv 12, 25, e Ap 12, 11 e di quello sulla fedeltà nel-
le piccole cose in Lc 16, 10-12, e 2 Clem. 8, 3-6.
123
Vos, 1965, pp. 94-100; Bauckham, 1977, pp. 170-174, e 1983, pp. 130-132; Roloff,
1989; Norelli, 1994, pp. 213-219.
128 Capitolo secondo

kai; aujto;~ metÆ ejmou`» kai; parelqw;n


diakonhvsei e il Signore servirà
aujtoi`~» coloro che avranno veglia-
to
in questo mondo»

Altri paralleli:
 Or. sib. 2, 177-181:
«u{yisto~ pavntwn panepivskopo~ aijqevri naivwn
u{pnon ejpÆ ajnqrwvpoi~ skedavsei blevfarÆ ajmfikaluvya~.
w\ mavkare~ qeravponte~, o{sou~ ejlqw;n ajgrupnou`nta~
eu{roi oJ despovzwn: toi; dÆ ejgrhvgorqan a{pante~
pavntote prosdokavonte~ ajkoimhvtoi~ blefavroisin»
 Metodio, Symp. 5, 2: «kai; uJmei'~ o{moioi givnesqe ajnqrwvpoi~ prosdecomev-
noi~ to;n kuvrion aujtw'n, povte ajnaluvei ejk tw'n gavmwn, i{na ejlqovnti kai;
krouvsanti aujtw/' eujqevw~ ajnoivxwsin: makavrioiv ejste, o{ti ajnaklinei'
uJma'~ kai; parelqw;n diakonhvsei»
 Epifanio, Pan. 69, 44: «kai; e[sesqe wJ~ kaloi; dou`loi, prosdokw`nte~ to;n
i[dion despovthn»

Un primo sguardo chiarisce subito che le differenti versioni della para-


bola, acquisita la sua interpretazione in riferimento alla parusia del Signore,
ne riflettono e rileggono elementi isolati differenti, all‘interno del quadro e-
scatologico loro propro. Solo Metodio torna a narrarla per intero, e seguendo
abbastanza fedelmente il testo occidentale di Lc (cfr. Ireneo, Haer. 5, 34, 2 e
D it syc).
In Ap 3, 20, l‘angelo, a titolo di Gesù, si è calato direttamente nel ruolo
del «signore» della parabola. La comparazione verbale e l‘identificazione
come tradizione gesuana si giocano sulla connessione krouvw – ajnoivgw e sul
composto di e[rcomai che traduce l‘ingresso del padrone-Signore. La reci-
procità del «banchettare con» sussume e rimanda ai «far stendere» e «servi-
re» di Lc (cfr. 13, 29 e 22, 27.30, ma, soprattutto, 17, 7-8) e al «servire» di
124 125
Ascen. Isa. : l‘Ap «deve avere conosciuto qualcosa di simile» . Le affinità
incrociate tra Ap e Lc, Lc e Ascen. Isa., Ap e Ascen. Isa. risalendo ad una fa-
126
se pre-lucana, che sia poi Q stessa o la forma confluita in Q , emerge «un

124
Vos, 1965, p. 97, e Roloff, 1989, pp. 460-461 e 463.
125
Norelli, 1994, pp. 215-216 n.478.
126
Cfr. Bauckham, 1977, p. 174, e Roloff, 1989, pp. 456-463, da integrare con le osser-
vazioni di Norelli, 1994, pp. 214-218, che tengono giustamente conto anche di Ascen. Isa. 4,
16.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 129

―blocco di tradizione‖ che […] ha già dietro di sé una storia di applicazione


127
ecclesiologica ed escatologica» .
Giovanni ha spiegato e riadattato i singoli elementi della parabola rilet-
ta: l‘io parlante del Signore nella comunicazione epistolare, l‘indefinito sin-
golare «ti~» a rompere l‘apostrofe all‘angelo e indirizzare ascoltatori ―rea-
li‖, ma ancora indeterminati a Laodicea, l‘immagine del banchettare aprono
128
sul macarismo degli invitati al banchetto messianico (cfr. Ap 19, 9.17) , alla
cui ombra si svolgerà la visione dell‘instaurazione del regno di Dio e
l‘Agnello e dei suoi seguaci su tutta la creazione (Ap 19, 6 – 22, 5).

129
2.2.9 Del sedere sul trono (Ap 3, 21) .
Ap Lc Mt Tom. Atl.

3, 21: 22, 28-30: «uJmei`~ 19, 28: «uJmei`~ 145, 13-16:


dev ejste
«oJ nikw`n oiJ diamemenhkov- oiJ ajkolouqhvsan- «Se infatti usci-
te~ metÆ ejmou` tev~ moi, te
ejn toi`~ peiras- dalle pene e dal-
moi`~ mou le passioni del
corpo,
dwvsw kajgw; diativqemai riceverete
aujtw`æ uJmi`n
riposo da Colui
che è buono,
ejn th`æ paliggene-
sivaæ, o{tan kaqivshæ
oJ uiJo;~ tou` ajn-
qrwvpou
ejpi; qrovnou dovxh~
aujtou`,
kaqivsai kaqhvsesqe e regnerete
metÆ ejmou` kai; uJmei`~ con il re,
ejpi; dwvdeka
ejn tw`æ qrovnwó mou, qrovnou~
wJ~ kajgw; ejnivkhsa kaqw;~ dievqetov voi congiunti

127
Norelli, 1994, p. 218.
128
Sulla dimensione comunicativa delle beatitudini nell‘Ap, cfr. Karrer, 1986, p. 106, e
Giesen, 1997, pp. 64-72, in particolare, 66 e 70-72.
129
Bousset, 1906, pp. 233-234; Vos, 1965, pp. 100-104; Karrer, 1986, pp. 213-217.
130 Capitolo secondo

moi con Lui e Lui


kai; ejkavqisa congiunto con
meta; tou` patrov~ oJ pathvr mou voi, da ora a tut-
mou ta l‘eternità»
ejn tw`æ qrovnwó
aujtou`»
basileivan
i{na e[sqhte kai;
pivnhte ejpi; th`~
trapevzh~ mou ejn
th`æ basileivaæ mou,
kai; kaqhvsesqe
ejpi; qrovnwn
krivnonte~
ta;~ dwvdeka ta;~ dwvdeka
fula;~ krivnonte~ fula;~
tou` ÆIsrahvl» tou` ÆIsrahvl»

Altri paralleli:
 2 Tm 2, 11-12: «pisto;~ oJ lovgo~: eij ga;r sunapeqavnomen, kai; suzhvso-
men: eij uJpomevnomen, kai; sumbasileuvsomen: eij ajrnhsovmeqa, kajkei`no~
ajrnhvsetai hJma`~»

A fronte delle poche coincidenze verbali precise, struttura e movimento


del detto si corrispondono: non solo in Q, ma anche in altri rami della tradi-
130
zione gesuana (cfr. la riscrittura sintetica di 2 Tm) , doveva esistere una
promessa di condivisione del regno, e più concretamente di occupazione di
131
troni, per chi avesse perseverato al suo fianco .
L‘idea dell‘intronizzazione escatologica del fedele si sviluppa proba-
bilmente a partire dall‘esegesi di Dn 7, 9.13-14.22.27 (cfr. Ap 20, 4), ed è
attestata nella produzione enochica più recente (1 En. 108, 12, databile al II-I
sec.a.C), a Qumran (4Q521 fr. 2 II, 7 e, forse, 4Q491 fr. 2 I, 8-18), e nella
letteratura giudaica ellenistica (T. Giob. 33, 1-9).
Ap 3, 21 offre tuttavia punti di contatto solidi con la parola gesuana,
specificatamente, nella versione tramandata da Lc: Gesù non solo promette,
ma conferisce anche, in prima persona, il regno ed il trono (Ap: «dwvsw»; Lc
22, 29: «diativqemai») come lui ha ricevuto dal Padre suo (Ap: «wJ~ kajgw;

130
Come in 1 Tm 1, 15, anche in 2 Tm 2, 11-12, la formula «pisto;~ oJ lovgo~» introduce
la ripresa di materiale tradizionale, tra cui frammenti gesuani, trasmessi oralmente (cfr. 1 Tim
5, 18). Vedi supra, 2.2.5.
131
Vos, 1965, pp. 101-103, e Karrer, 1986, pp. 213-214.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 131

ejnivkhsa kai; ejkavqisa meta; tou` patrov~ mou ejn tw`æ qrovnwó aujtou'»; Lc 22,
29: «kaqw;~ dievqetov moi oJ pathvr mou»); l‘assegnazione del trono e del po-
tere regale si realizza nella partecipazione al banchetto escatologico (cfr. Ap
3, 20 e Lc 22, 30).
Il riferimento all‘intronizzazione di Gesù stesso avvicina però il verso
giovanneo soltanto apparentemente alla formulazione matteana, dal momen-
to che in Ap l‘evento è presentato come un precedente già compiutosi (cfr.,
allora, piuttosto, Mt 26, 64; Mc 14, 62; Lc 22, 69; Eb 1, 3; 8, 1; 10, 12; 12,
2), mentre, al contrario, in Mt 19, 28 è tutto proiettato nel futuro, a fungere
da momento scatenante della nuova creazione (paliggenesiva; cfr. anche
132
25, 31) .
Più particolare è l‘attestazione di Tom. Atl.: il detto compare influenzato
dalla tradizione indipendente su regno e riposo escatologico (cfr. anche 140,
40 – 141, 2; Vang. Tom. 2 [greco in P.Oxy. 654, 5-9]; Atti Tom. 136 e 142;
Vang. Eb. in Clemente d‘Alessandria, Strom. 2, 9, 45, 5 e 5, 14, 96, 3), e ri-
flette un‘escatologia di carattere più marcatamente ―mistico‖, centrata
sull‘identità ultima e l‘unione con la divinità, forse non del tutto estranea al
passo stesso dell‘Ap (cfr. 2, 28 e 22, 16, e 3, 12 e 21, 22), e comune a scritti
circolanti tra altri gruppi di seguaci di Gesù (cfr. 1 Cor 15, 28; Vang. Tom.
22 e 108; Atti Tom. 147; Vang. Eg. in Clemente d‘Alessandria, Strom. 3, 13,
92, 2; Vang. Fil. 67, 31-34). Il redattore di Pist. Soph. rileggerà Ap 3, 21, e i
paralleli sinottici, chiaramente su queste linee (cfr. 1, 45 e, soprattutto, 2,
96.99).
Come abbiamo appena accennato, Giovanni lascia cadere – o non cono-
sce? – i dodici troni e il giudizio sulle dodici tribù d‘Israele, e il suo univer-
salismo di fatto coincide con l‘unicità del trono promesso, ovvero il trono di
Gesù che a sua volta è quello di Dio.
Se l‘allusione all‘intronizzazione sovrumana del vincitore va quindi ri-
ferita proletticamente al «trono di Dio e dell‘Agnello» che Giovanni vedrà in
Ap 22, 3-5 (cfr. Ap 4, 2-3.6 e 5, 6), allora anche le variazioni di Ap 3, 21 ri-
spetto alla tradizione si inseriscono in quel «piano programmato di rivela-
zione graduale da parte dell‘autore» che sfocia nella visione finale della Ge-
133
rusalemme celeste .

132
Non insisterei invece troppo su un‘altra differenza: in Ap, Gesù si siede sul trono del
Padre, in Mt, sul trono della sua gloria. Già nel Libro delle Parabole di Enoc, il trono della
gloria del figlio dell‘Uomo veniva di fatto identificato con il trono della gloria di Dio (cfr. 1
En. 65, 4 ; 69, 29; 71, 6, e 61, 8; 62, 5; 69, 27)
133
Lupieri, 2000, pp. 136-137 (citazione p. 137).
132 Capitolo secondo

134
2.2.10 Il giorno dell‘ira (Ap 6, 15-17)
Ap Lc

6, 15-17: 23, 30:


«kai; oiJ basilei'~ th'~ gh'~ kai; oiJ me-
gista'ne~ kai; oiJ cilivarcoi kai; oiJ
plouvsioi kai; oiJ ijscuroi; kai; pa'~
dou'lo~ kai; ejleuvqero~ e[kruyan eJau-
tou;~ eij~ ta;~ sphvlaia kai; eij~ ta; pev-
tra tw'n ojrevwn:
kai; levgousin toi'~ o[resin «tovte a[rxontai levgein toi'~ o[resin:
kai; tai'~ pevtrai~, pevsete ejfÆ hJma'~ pevsete ejfÆ hJma'~, kai; toi'~ bounoi'~
kai; kruvyate hJma'~ kaluvyate hJma'~»
ajpo; proswvpou tou' kaqhmevnou ejpi;
tou' qrovnou kai; ajpo; th'~ ojrgh'~ tou'
ajrnivou, 21, 34-36:
135
o{ti h\lqen hJ hJmevra hJ megavlh th'~ «ejpeiseleuvsetai ga;r (scil. hJ hJmevra
ojrgh'~ aujtw'n, ejkeivnh)
ejpi; pavnta~ tou;~ kaqhmevnou~ ejpi; prov-
swpon pavsh~ th'~ gh'~.
ajgrupnei'te de; ejn panti; kairw'/
136
kai; tiv~ duvnatai deovmenoi i{na katiscuvshte
ejkfugei'n tau'ta pavnta ta; mevllonta
givnesqai,
137
staqh'naiÉ» kai; staqh'nai
e[mprosqen tou' uiJou' tou' ajnqrwvpou»

Tra i tanti echi delle scritture ebraiche confluiti in Ap 6, 15-17 (cfr. Gl


2, 11 e 3, 4; Sof 1, 14 e 2, 2; Na 1, 6; Ml 3, 2), il sopravvenire del giorno con
i suoi segni cosmici e l‘ondata di terrore sugli uomini sembra portare tracce
gesuane: le reazioni in scena, da un lato, di «uomini» (Lc 21, 26) e «pavnte~
oiJ kaqhvmenoi ejpi; provswpon pavsh~ th'~ gh'~» (Lc 21, 35), uniche tra i Si-
nottici, e, dall‘altro, di sette gruppi che, in Ap, di fatto vi equivalgono (Ap 6,
15; cfr. 6, 10; 10, 11 e 14, 6; 13, 12-14.16 e 16, 2.8-9.21), e corrispondenze
verbali più precise (Lc 21, 36: «katiscuvshte [...] staqh'nai»; Ap 6, 17:

134
Vos, 1965, pp. 117-120; Wenham, 1984, pp. 311-314; Vanni, 1991, pp. 24-25.
‫א‬c A C L W Q Y f1.13 å lat sy Irlat leggono epeleusetai.
135

A C D Q f13 å latt sy leggono kataxiwqhte; cfr. Lc 20, 35; At 5, 41; 2 Ts 1, 5.


136

137
D it sy hanno sthsesqe.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 133

138
«duvnatai staqh'nai») ne sono probabile indizio . Con D. Wenham, si po-
trebbe forse rintracciare anche un parallelismo formale tra il «seismo;~ mev-
ga~» di Ap 6, 12 (cfr. 11, 3.19 e 16, 18) e i «seismoi; [...] megavloi» del solo
Lc 21, 11, e una corrispondenza logica e tematica tra Ap 6, 14: «kai; pa'n
o[ro~ kai; nh'so~ ejk tw'n tovpwn aujtw'n ejkinhvqhsan» (cfr. 16, 20), e Lc 21,
25: «kai; ejpi; th'~ gh'~ sunoch; ejqnw'n ejn ajporiva/ h[cou~ qalavssh~ kai; sav-
139
lou» .
I segni del giorno imminente nel sole, nella luna e nelle stelle, sulla ter-
ra e nel mare vengono, per il resto, descritti da Giovanni con ampiezza di
dettagli, di contro, questa volta, al sunto lucano, e più in linea con i paralleli
sinottici di Mt 24, 29 e Mc 13, 24-25. La brevità della formulazione di Lc
appare quindi di carattere redazionale, ma, al tempo stesso, i contatti tra Ap e
Mt e Mc non vanno oltre la ripresa di aspettative, temi e linguaggio escatolo-
gici diffusi (cfr., a prescindere dai sottotesti biblici già indicati, T. Mos. 10,
5-6; 4 Esd. 7, 39-42; Barn. 15, 5; Lattanzio, Epit. 71, e Inst. 7, 16, 8-9; A-
sclepius 3, 25).
Ap 6, 16, nella sua ripresa di Os 10, 8, offre un importante elemento di
corollario alla nostra analisi: con Lc 23, 30, di nuovo, Sondergut lucano, in-
verte l‘ordine dei verbi «coprire» e «cadere» rispetto all‘originale ebraico e
alla LXX. La resa più fedele di Lc, che conserva separate le due esclamazio-
ni, e le variazioni «pevtrai» e «kruvptw» introdotte da Giovanni (cfr. Is 2,
10.19.21), con la coordinazione degli imperativi, sembrano escludere un
rapporto diretto tra i due testi: per quanto il brano lucano non sia parte dell‘
―apocalisse sinottica‖, si fa comunque più forte l‘impressione che i due re-
140
dattori avessero accesso ad un bacino comune di tradizioni gesuane .
Tocchiamo così un punto nevralgico: dietro e oltre le tradizioni ―apoca-
littiche‖ diffuse, in Ap, possono intuirsi contorni ed influenze specifiche del-
la cosiddetta apocalisse sinottica o dei materiali che vi soggiacciono?

2.2.11 ―Apocalisse sinottica‖ e Apocalisse di Giovanni

In parte, abbiamo già risposto alla domanda, riscontrando massi erratici


tradizionali che affiorano anche in Mt 24, Mc 13 o Lc 21 (cfr. Ap 1, 7; 3, 3 e
141
16, 15; 6, 10-17) . Questo non basta tuttavia a dimostrare che Giovanni li

138
Cfr. Charles, 1920, pp. lxxxv e 158-159; Wenham, 1984, pp. 311-312 e 314; Vanni,
1991, pp. 24-25.
139
Wenham, 1984, pp. 312-313.
140
Vos, 1965, pp. 118-120.
141
Cfr. anche Wenham, 1994, pp. 55-56 e 311-318.
134 Capitolo secondo

conoscesse da una qualche forma dell‘ ―apocalisse sinottica‖, e non piuttosto


come detti trasmessi isolatamente: il testo deve essere battuto a tappeto.
Procederemo quindi secondo un ordine di probabilità, in una scala che
va dalle reminiscenze più probabili a quelle meno probabili. Così facendo
accumuleremo progressivamente evidenza che, con l‘accumularsi stesso, per
142
un verso, corroborerà l‘incertezza crescente delle eventuali allusioni , per
l‘altro, ci indirizzerà a determinare se ed in quale misura Giovanni abbia ve-
rosimilmente attinto a tradizioni di un discorso escatologico di Gesù o co-
munque in esso già confluite ed inglobate.

2.2.11.1 Il calpestamento di Gerusalemme ed il tempo delle genti (Ap 11,


143
2)
Ap Lc

11, 2: «kai; th;n aujlh;n th;n e[xwqen tou' 21, 24:


naou' e[kbale e[xwqen kai; mh; aujth;n
metrhvsh~,
o{ti ejdovqh «kai; pesou'ntai stovmati macaivrh~
kai; aijcmalwtisqhvsontai
toi'~ e[qnesin, eij~ ta; e[qnh pavnta,
kai; th;n povlin th;n aJgivan kai; ÆIerousalh;m
144
pathvsousin e[stai patoumevnh uJpo; ejqnw'n,
145
mh'na~ tesseravkonta kai; duvo» a[cri ou| plhrwqw'sin kairoi; ejqnw'n»

Altri paralleli:
 Ps.-Clemente, Hom. 2, 17, 4-5: «ou{tw~ dhv, wJ~ oJ ajlhqh;~ hJmi'n profhvth~
ei[rhken, prw'ton yeude;~ dei' ejlqei'n eujaggevlion uJpo; plavnou tino;~ kai;
ei\q¾ ou{tw~ meta; kaqaivresin tou' aJgivou tovpou eujaggevlion ajlhqe;~ kruv-
fa diapemfqh'nai eij~ eJpanovrqwsin tw'n ejsomevnwn aiJrevsewn»; 3, 15, 2:
«ouj mh; parevlqh/ hJ genea; au{th, kai; hJ kaqaivresi~ ajrch;n lhvyetai: ejleuv-
sontai ga;r kai; kaqiou'sin ejntau'qa kai; pericarakwvsousin kai; ta; tev-
kna uJmw'n ejntau'qa katasfavxousin»
 Lattanzio, Inst. 4, 21, 2-5: «sed et futura illis aperuit omnia […] etiam hic
futurum esse dixerunt, ut post breve tempus inmitteret deus regem, qui e-

142
Cfr. la nozione di «frequenza» sviluppata da Hylen, 2005, pp. 57-58.
143
Cfr. Vos, 1965, pp. 120-125, e Wenham, 1984, pp. 207-210.
144
A ha metrhsousin.
Dopo plhrwqwsin, B legge: kai esontai kairoi eqnwn, L 892 1241 syrp mg cod bo,
145

invece: kairoi kai esontai kairoi eqnwn. D omette kairoi eqnwn.


Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 135

xpugnaret Iudaeos et civitates eorum solo adaequaret, ipsos autem fame si-
tique confectos obsideret. Tum fore ut corporibus suis vescerentur et con-
sumerent invicem, postremo ut capti venirent in manus hostium et in con-
spectu suo vexari acerbissime coniuges suos cernerent, violari ac prostitui
virgines, diripi pueros, allidi parvulos, omnia denique igni ferroque vasta-
ri, captivos in perpetuum terris suis exterminari»

A dispetto della frequenza con cui il motivo delle genti che calpestano
Gerusalemme ed il Tempio è attestato nella letteratura ebraica (cfr. Is 63, 18;
Zc 12, 3 LXX; Sal. Sal. 2, 2 e 17, 22; Dn 8, 13; 1 Macc. 3, 45 e 4, 60), la
preferenza accordata a patevw piuttosto che all‘usuale katapatevw, la speci-
ficazione temporale offerta, più vaga in Lc, più precisa nell‘Ap, e la struttura
sintattica simile rimandano ad un rapporto tra i due detti non mediato da altri
146
precedenti letterari .
Gli stessi eventi sembrano essere adombrati anche nei frammenti profe-
tici sulla distruzione del santuario citati dalle omelie pseudo-clementine e
attribuiti a Gesù, ma non riducibili al sottotesto di alcuno dei nostri Sinottici
(cfr., invece, la sintesi di Tertulliano, Res. 22, 3-4, basata appunto su Lc
147
21) . Anche l‘analoga profezia di Gesù sulla distruzione di Gerusalemme
citata da Lattanzio come parte integrante della predicazione orale, prima,
scritta, poi, degli apostoli, modula vaghi riflessi di Lc 19, 43-44 e 21, 24 (cfr.
anche 4 Esd. 10, 22!), risalendo, a detta di Lattanzio stesso (Inst. 4, 21, 1-2),
a insegnamenti escatologici impartiti da Gesù prima di lasciare i discepoli (4,
21, 2: «discedens»), quaranta giorni dopo la resurrezione (cfr. già Pred. Piet.
fr. 7, con l‘introduzione di Clemente d‘Alessandria, Strom. 6, 6, 48, 1).
A Giovanni andrà riportato il calcolo preciso della durata dei tempi, al-
lineata al periodo di testimonianza dei due profeti (Ap 11, 3), di nutrimento
della donna nel deserto (Ap 12, 6 e 14), e del dominio della bestia che sale
148
dal mare (Ap 13, 5) : nel suo nuovo contesto, l‘oracolo è trasportato e riferi-
to alla guerra scatenata dalla bestia contro la «dimora» di Dio, «tou;~ ejn tw/'
oujranw'/ skhnou'nta~», e i suoi «santi» (Ap 13, 6-7; cfr. Ap 11, 7.9-10 e 12,
146
Vos, 1965, pp. 121-122, e Wenham, 1984, pp. 207-208, si pronunciano per un rifles-
so di tradizione pre-sinottica comune.
147
Cfr. Hom. 3, 15, 2 con Lc 19, 43-44 e 21, 21; quanto a Hom. 2, 17, 4-5, più in gene-
rale, i cinque momenti di questa «visione dei destini storici delle chiese protocristiane e del
ruolo del gruppo ‗clementino‘ in questa storia complessiva» (Pesce, 2005, p. 728) si distacca-
no tutti e radicalmente dalla periodizzazione offerta dall‘ ―apocalisse sinottica‖; nello specifi-
co, manca, in Mt 24, 15-28 e Mc 13, 14-23, una menzione diretta dell‘occupazione di Gerusa-
lemme e della distruzione del Tempio. Il punto si rivela tanto più interessante a notare come
in Ap 11, 2, il cortile esterno del Tempio sia fatto coincidere con «la città santa» (cfr. 11QT
44, 1-16). Kline, 1975, pp. 129 e 154-155, colloca Hom. 3, 15, 2, piuttosto tentativamente, tra
i paralleli lucani, e Hom. 2, 17, 4-5 tra gli ―agrapha‖.
148
Per simili speculazioni, cfr. Dn 7, 25; 8, 14; 9, 27; 12, 7.9-13, e Ascen. Isa. 4, 12.14.
136 Capitolo secondo

149
17) , ambiguamente stretti tra l‘esposizione agli attacchi di Satana, la resi-
stenza e la protezione divina. E se naov~, altare e adoratori sono in salvo, il
150
cortile esterno e la città, rigettati, sono già caduti .

151
2.2.11.2 La proclamazione del vangelo (Ap 14, 6)
Ap Pred. Piet. Mt Mc

14, 6: «kai; ei\don fr. 7: 24, 14: 13, 10:


a[llon a[ggelon
petovmenon ejn
mesouranhvmati,
e[conta
eujaggevlion
aijwvnion
«ejxelexavmhn
uJma`~ dwvdeka,
maqhta;~ krivna~
ajxivou~ ejmou`, ou}~
oJ kuvrio~ hjqevl-
hsen, kai; ajpo-
stovlou~ pistou;~
hJghsavmeno~
ei\nai,
pevmpwn ejpi; to;n
kovsmon
«kai;
eujaggelivsai eujaggelivsasqai khrucqhvsetai
tou'to to; eujag-
gevlion
th'~ basileiva~
ejpi; tou;~ ka- tou;~ kata; th;n ejn o{lh/ th'/ oijkou-
qhmevnou~ oijkoumevnhn mevnh/
ejpi; th'~ gh'~ ajnqrwvpou~»
eij~ martuvrion
kai; ejpi; pa'n pa'sin toi'~ «kai; eij~ pavnta
e[qno~ e[qnesin» ta; e[qnh
149
Wenham, 1984, pp. 209-210.
150
Cfr. Lupieri, 2000, pp. 175-176, e Eliav, 2005, pp. 344-346.
151
Vos, 1965, pp. 152-157.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 137

kai; fulh;n
prw'ton dei'
khrucqh'nai
kai; glw'ssan
kai; laovn»
to; eujaggev-
lion»

Altri paralleli:
 Ascen. Isa. 3, 17-18 (P.Amherst 1): «kai; wJ~ ajpostelei' tou'~ maqhta;~ auj-
tou', kai; maqhteuvsousin pavnta ta; e[qnh kai; pa'san glw'ssan eij~ th;n
152
ajn[.]stasein tou' ajgap[.]tou' »
 Mc 16, 15: «kai; ei\pen aujtoi'~: poreuqevnte~ eij~ to;n kovsmon a{panta
khruvxate to; eujaggevlion pavsh/ th'/ ktivsei»
 Lc 24, 46-47: «kai; ei\pen aujtoi'~ o{ti ou{tw~ gevgraptai paqei'n to;n Cri-
sto;n kai; ajnasth'nai ejk nekrw'n th'/ trivth/ hJmevra/, kai; khrucqh'nai ejpi;
tw'/ ojnovmati aujtou' metavnoian kai; a[fesin aJmartiw'n eij~ pavnta ta; e[qnh
< ajrxavmenoi ajpo; ÆIerousalhvm»
 Vang. Maria 8, 21-22: «Andate dunque ed annunciate l‘evangelo del re-
gno»; 9, 5-9: «Erano (scil. gli apostoli) tristi e piansero abbondantemente,
dicendo: ―Come andremo noi alle genti e annunceremo l‘evangelo del re-
gno del Figlio dell‘Uomo?‖»
 Ps.-Clemente, Hom. 2, 17, 4-5: «[…] wJ~ oJ ajlhqh;~ hJmi'n profhvth~
ei[rhken, […] meta; kaqaivresin tou' aJgivou tovpou eujaggevlion ajlhqe;~
kruvfa diapemfqh'nai eij~ eJpanovrqwsin tw'n ejsomevnwn aiJrevsewn»

L‘hapax «eujaggevlion» si inserisce in una tradizione escatologica ge-


suana che ne inquadrava la predicazione come segno dell‘approssimarsi del-
153
la fine .
I paralleli formali non si riducono all‘occorrenza del termine: l‘azione
di diffusione orale, che può essere di volta in volta specificatamente definita
(Ap: eujaggelivzw // Mt e Mc: khruvssomai // Ps.-Clemente: diapevmpomai),
si indirizza ad un preciso destinatario, la totalità dei popoli (Ap: «pa'n
154
e[qno~»; Mt e Mc: «pavnta ta; e[qnh») . In Ap e Mt inoltre, la terra abitata si
fa esplicitamente teatro della proclamazione.

152
La versione ge‗ez legge: «e il Diletto in persona, sedendo sulle loro spalle, uscirà e
invierà i suoi dodici discepoli; e istruiranno tutti i popoli e ogni lingua circa la resurrezione
del Diletto» (tr.it. E. Norelli).
153
Vos, 1965, pp. 153-154.
154
L‘ejpiv di Giovanni è ricalcato sull‘ „l ebraico dopo verba dicendi, nel senso di ‟l (cfr.
Ap 10, 11 e Ger 28 (35), 8; Ez 21, 7; 34, 2; 36, 1; 37, 4.9; Am 7, 15), e sostituisce qui i più
138 Capitolo secondo

155
Pur senza menzionare alcun «evangelo» , tanto Pred. Piet. quanto A-
scen. Isa. 3, 18 conservano traccia di una tradizione simile come parole
d‘invio in missione dei discepoli da parte del Risorto: la prima le riporta in
discorso diretto, presentando e caratterizzando il messaggio da proclamare
agli uomini del mondo abitato («eujaggelivsasqai tou;~ kata; th;n oijkou-
mevnhn ajnqrwvpou~»!) come segmento di una predicazione sugli eventi futuri;
la seconda sembra riprendere le parole di Gesù (cfr. «pavnta ta; e[qnh kai;
pa'san glw'ssan»!) nel complesso della grande profezia di Isaia (Ascen. Isa.
156
3, 13 – 4, 22) , un‘ ―apocalisse‖, questa, dalle forti affinità letterarie con Mt
157
24 e Did. 16 . Le corrispondenze contestuali, formali e tematiche dei due
testi fra di loro e con Mt 28, 19-20; Lc 24, 47 e At 17, 30-31; Mc 13, 10 e 16,
15-16 aprirebbero allora uno spiraglio su tradizioni retrostanti comuni, forse
utilizzate a fini missionari dai cosiddetti ellenisti, gruppi di seguaci di Gesù
158
di origine ebraica e lingua greca .
Vero è che, in Ap, è un angelo, in prima battuta, ad avere
l‘«eujaggevlion» da annunciare. Attraverso la mediazione del testo, tuttavia,
159
che costruisce uno stretto legame con Ap 10, 7.11 , e, riproducendo le visio-
160
ni dell‘autore, le rivolge alle ekklesiai in ascolto , è l‘esperienza ―profetica‖
161
stessa di Giovanni a parlare, a riecheggiare in quanto grido letto . Questo
grido, dell‘angelo e di Giovanni, dunque, grido di esortazione a temere, glo-
162
rificare, prostrarsi al Dio creatore , è colto nell‘adempiere la profezia ge-

comuni dativo/accusativo semplice o eij~/ejn della persona (cfr. Lc 24, 47 D, di contro a Lc 1,


19; 2, 10; 3, 18; At 17, 15 D; 1 Cor 15, 1; Gal 1, 8-9.16; 1 Pt 1, 25). Cfr. BD § 152, 2 e 206,
4. Per l‘interscambiabilità tra dativo e ejpiv + accusativo e le oscillazioni tra eij~, ejn ed ejpiv
nell‘Ap, cfr. già, rispettivamente, 2, 5.16 e 3, 3; 1, 3.11 e 3, 12; 13, 12.14.16. I manoscritti
biblici del Mar Morto leggono spesso „l al posto dell‘ ‟l del testo masoretico, con tutta proba-
bilità, non per sole ragioni fonetiche.
155
Similmente a Lc 24, 47, ne è però dichiarato il contenuto, cfr. anche Mc 16, 15-16 e
Ap 14, 7.
156
Norelli, 1994, pp. 160-161.
157
Analisi dei testi in Norelli, 1995b, pp. 173-176.
158
Cfr. anche At 14, 21, e Ignazio, Eph. 3, 1 e 10, 1, e Rom. 3, 1 e 5, 1. Vedi, più am-
piamente e approfonditamente, Norelli, 1994, pp. 160-163, da integrare con le conclusioni di
Wenham, 1994, pp. 268-281 e, soprattutto, con le osservazioni di Berger, 1995, pp. 613-614 e
625-626. Sulle corrispondenze tra Ascen. Isa. e Pred. Piet., vedi ancora Norelli 1995b, pp.
188-190; 193; 207 e 580-581; 232; 277-278.
159
L‘«aijwvnion» proietta l‘«eujaggevlion» nel passato «eterno» della volontà divina, di-
schiusa nel tempo ai «profeti, suoi servi» cfr. Ap 10, 7. Sul rapporto tra Ap 10 e Ap 14, vedi
anche van Schaik, 1980, pp. 221-222.
160
Aune, 1986, pp. 86-91.
161
Conclusioni simili in van Schaik, 1980, pp. 220-221 e 225-228.
162
Dai paralleli offerti emerge chiaramente come caratteristiche e contenuti
dell‘«eujaggevlion» siano l‘elemento più instabile e «kontextbezogen» della tradizione. L‘Ap,
nello specifico, sembra riflettere direttamente la situazione delle comunità descritta nei capito-
li 2 – 3, dove già più volte aveva risuonato l‘imperativo «convertiti» (2, 5.16; 3, 3.19;
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 139

suana in cui prende forma letteraria: è la «testimonianza di Gesù» ai suoi se-


guaci sul loro presente e futuro (cfr. Ap 2, 5.16.21-22; 3, 3.19 e 15, 2-4; 16,
163
9.11) , l‘uno a preparare l‘altro, entrambi, nella lettura, ricollocati e compre-
si sulla soglia della fine, come da lui preannunciato.

164
2.2.11.3 La mietitura (Ap 14, 14-16)
Ap Mt Mc

14, 14-16: «kai; 24, 30-31: «kai; 13, 26-27: «kai; tovte
ei\don, o[yontai o[yontai
kai; ijdou; nefevlh leukhv,
kai; ejpi; th;n nefevlhn
kaqhvmenon
o{moion uiJo;n ajnqrwvpou to;n uiJo;n tou' ajnqrwvpou to;n uiJo;n tou' ajnqrwvpou
[…]
ejrcovmenon ejrcovmenon
ejpi; tw'n nefelw'n […] ejn nefevlai~ […]
kai; ajpostelei' tovte ajpostelei'
kai; ejn th'/ ceiri; aujtou'
drevpanon ojxuv. kai; a[llo~
165
a[ggelo~ tou;~ ajggevlou~ aujtou' tou;~ ajggevlou~
meta; savlpiggo~ me-
gavlh~,
ejxh'lqen ejk tou' naou',
kravzwn ejn fwnh'/ megavlh/
tw'/ kaqhmevnw/ ejpi; th'~
nefevlh~: pevmyon to; drev-
panovn sou kai; qevrison,
o{ti h\lqen hJ w{ra qerivsai,

sull‘equivalenza di «temere» e «convertirsi», per «dare gloria», cfr. Ap 14, 7 e 16, 9). Tanto
più colpisce quindi la convergenza con Pred. Piet. su temi e contesti della predicazione (con-
versione all‘unico Dio creatore di tutto, come emerge dai frr. 2a e 6; annuncio di salvezza e
perdizione, cfr. Ap 14, 1-5 e 8, 21)), che dovrà esser fatta risalire a una tradizone comune.
163
Giustamente Giesen, 2000b, pp. 228-238, osserva che i destinatari dei messaggi degli
angeli in Ap 14, 6-13, non sono «die gottfernen Menschen»: Giovanni non dimentica mai
«wer seine Adressaten sind: die bedrängten Christen Kleinasiens» (pp. 230-231). Analoga-
mente già van Schaik, 1980, pp. 226-227. Sulla funzione del settenario delle coppe, immedia-
tamente a seguire, cfr. Biguzzi, 1995, pp. 165-167 e 171-172.
164
Vos, 1965, pp. 144-152, e Yarbro Collins, 1992, pp. 562-567.
‫ א‬A C Q Y f1.13 å lat sy Orlat inseriscono o presuppongono autou, con un forte so-
165

spetto di armonizzazione con Mt 24, 31.


140 Capitolo secondo

o{ti ejxhravnqh oJ qerismo;~


th'~ gh'~.
kai; e[balen oJ kaqhvmeno~ kai; ejpisunavxousin kai; ejpisunavxei
ejpi; th'~ nefevlh~ tou;~ ejklektou;~ aujtou' tou;~ ejklektou;~ [auj-
to; drevpanon aujtou' tou']
ejk tw'n tessavrwn aj- ejk tw'n tessavrwn
nevmwn» ajnevmwn
ejpi; th;n gh'n, ajp‘ a[krou gh'~
kai; ejqerivsqh hJ gh'»
e{w~ a[krou oujranou'»

Altri paralleli:
 Mc 4, 29: «o{tan de; paradoi' oJ karpo;~, eujqu;~ ajpostevllei to;n drevpa-
non, o{ti parevsthken oJ qerismov~ »
 Mt 13, 30: «ejn kairw'/ tou' qerismou' ejrw' toi'~ qeristai'~ […] to;n de;
166
si'ton sunagavgete eij~ th;n ajpoqhvkhn mou»; 13, 41: «ajpostelei' oJ
uiJo;~ tou' ajnqrwvpou tou;~ ajggevlou~ aujtou' »
 Did. 9, 4: «w{sper h\n tou'to to; klavsma dieskorpismevnon ejpavnw tw'n oj-
revwn kai; sunacqe;n ejgevneto e}n ou{tw sunacqhvtw sou hJ ejkklhsiva ajpo;
tw'n peravtwn th'~ gh'~ eij~ th;n sh;n basileivan»; 10, 5-6: «kai; suvnaxon
aujth;n ajpo; tw'n tessavrwn ajnevmwn th;n aJgiasqei'san eij~ th;n sh;n basi-
leivan h}n hJtoivmasa~ aujth'/»
 Vang. Tom. 21, 9-10: «Sia in mezzo a voi un uomo intelligente! Quando il
frutto è giunto (scil.: a maturazione), egli è venuto in fretta, la sua falce nel-
la sua mano, e l‘ha mietuto. Chi ha orecchio per udire, oda!»

Ap 14, 6-13 e 14, 14-20 costituiscono due unità letterarie distinte e ac-
coppiate, nella ricorrenza del tema dell‘incombenza ed esecuzione del giudi-
167
zio (cfr. 14, 7 e 15: «o{ti h\\lqen hJ w{ra th'~ krivsew~ aujtou'»/«qerivsai») .
A grandi linee, Ap 14, 14-20 offre una rappresentazione visuale
dell‘oracolo di Gl 4, 13, variando sulle due immagini della mietitura e della
168
vendemmia (cfr. anche Ger 51, 33) . In un‘ottica di storia delle tradizioni,
tanto la mietitura come metafora del giudizio escatologico, quanto la parte-
cipazione di angeli all‘istruzione dei processi e all‘esecuzione delle sentenze
bene si radicano nel filone letterario ―apocalittico‖ (cfr., rispettivamente, 4
Esd. 4, 28-29 e 2 Bar. 70, 2-3, e 1 En. 54, 1-2; 55, 3-4; 61, 5; 62, 9-11; 63,

B G f1 pc leggono sunagete, D e k sullegetai (sic!).


166

167
Cfr. le osservazioni di van Schaik, 1980, pp. 222-223, e Giesen, 2000b, p. 230.
168
Yarbro Collins, 1992, pp. 564-565. Vedi anche Vos, 1965, p. 145, e Lupieri, 2000, p.
229.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 141

1.10). Ap 14, 14-16 nasce quindi dalla fusione originale di queste due tradi-
169
zioni con Dn 7 o c‘è dell‘altro?
L‘angelo di Ap 14, 14, il primo della seconda serie, è introdotto da Gio-
170
vanni come «o{moion uiJo;n ajnqrwvpou» , designazione che divide solo con
l‘angelo di Dio/Gesù Cristo apparso in 1, 13. La nuvola, bianca di splendore
(cfr. Ap 19, 8 e 14), e la corona lo assimilano ulteriormente a raffigurazioni
della parusia di Gesù (cfr. Ap 1, 7; Lc 21, 27; Apoc. Piet. 6): se non si tratta
direttamente del Figlio dell‘Uomo sinottico, sicuramente abbiamo a che fare
con una sua manifestazione angelica che ne ha incorporato gli attributi, più
171
propriamente, divini e ―cristologici‖ .
Il secondo angelo armato di falce (Ap 14, 17) uscirà, poi, direttamente
dal tempio celeste, da davanti il trono di Dio e dell‘Agnello (cfr. Ap 7, 15 e
8, 2-3), dove si organizzano e prendono forma gli interventi divini sulla terra
(cfr. Ap 8, 2-6; 11, 19; 15, 5-8). Gli altri angeli che, in doppia battuta, escono
dal tempio e dall‘altare, nel tempio, tra il primo ed il terzo (Ap 14, 15 e 18),
comunicano l‘ordine di inviare («pevmyon») le falci e articolano ulteriormen-
te la catena dell‘invio della coppia che li ha preceduti.
Ora, una simile associazione di angeli del Figlio dell‘Uomo e mietitura
traspare in controluce da Mc 13, 26 ma, soprattutto, Mt 24, 31, e riceve la
sua formulazione teorica in Mt 13, 39-41, come elemento
172
dell‘interpretazione della parabola delle zizzanie . I testi della Didachè ri-
portati lasciano intravedere l‘utilizzo di tradizioni escatologiche affini (sun-
avgw adoperato in senso ―tecnico‖; ejkklhsiva; ta; pevrata th'~ gh'~/oiJ tevs-
173
sare~ a[nemoi), ma con soggetto Dio in persona . Le espressioni di Ap «oJ
qerismo;~ th'~ gh'~» e «ejqerivsqh hJ gh'» danno, inoltre, a presupporre
un‘equazione «qerismov~» = «gh'» riflessa ancora in Mt 24, 31, Mc 13, 27

169
Yarbro Collins, 1992, pp. 565-567.
170
Cfr. l‘«a[llo~ a[ggelo~» di Ap 14, 15.17. Sull‘interpretazione del «simile ad un figlio
d‘uomo» come figura angelica, vedi Coppens, 1980, p. 229; Yarbro Collins, 1992, pp. 548-
551 e 562-567; Stuckenbruck, 1995, pp. 218-228 e 240-245; Carrell, 1997, pp. 157-160 e
175-186; Aune, 1998a, pp. 800-801.
171
Ricco materiale e utili osservazioni in Yarbro Collins, 1992, pp. 551-558 e 567-568;
Carrell, 1997, pp. 186-195; Lupieri, 2000, pp. 229-230.
172
Vos, 1965, pp. 148-149 e 152; Kraft, 1974, p. 197; Aune, 1998a, pp. 843 e 845. An-
che Vang. Tom. 57 mostra di conoscere un gruppo non ben specificato, forse di servi, forse di
mietitori, cui viene vietato di strappare le zizzanie, ma non ne fornisce alcuna interpretazione
e non sembra nemmeno, comunque, che questi servi o mietitori siano poi effettivamente coin-
volti nella raccolta finale. Su angeli, messi e giudizio, cfr. b. Sanh. 95b e l‘esegesi rabbinica di
Gl 4, 13 in Midr. Sal 8, 1, 73.
173
La similitudine di Did. 9, 4 tradisce visibilmente la vitalità della metafora della rac-
colta in riferimento alla realtà escatologica. Sul regno di Dio preparato per gli eletti, cfr. Mt
25, 34.
142 Capitolo secondo

(«gh'») e Did. 9, 4 («gh'») e 10, 6, ed elaborata esplicitamente sempre in Mt


174
13, 38: «oJ de; ajgrov~ ejstin oJ kovsmo~» .
Alcuni particolari della scena sembrano, infine, trovare precise corri-
spondenze in Mc 4, 29 e Vang. Tom. 21, 9-10: nella parabola marciana del
seme che cresce da sé, l‘uomo che lo ha seminato «subito manda la falce (aj-
postevllei to; drevpanon), perché è giunta la mietitura (o{ti parevsthken oJ
qerismov~)»; nell‘attestazione parallela di Tommaso, l‘uomo sapiente va a
mietere il frutto maturo falce alla mano, come una falce è nella mano del
175
primo angelo di Ap 14, 14 (cfr. anche 14, 17) .
Le corrispondenze tra Ap e Mc si possono spiegare come ripresa comu-
ne di Gl 4, 13, secondo una linea interpretativa condivisa, in diversa forma e
con coincidenze verbali più strette, ora con l‘uno ora con l‘altro testo ―cano-
nico‖, anche da LXX e Tg. Neb. (cfr. Ap 14, 8.15!). Il particolare che invece
isola Ap e Vang. Tom. 21, 10 dal resto dei paralleli, pur non sembrando ca-
suale, preso in sé, non permette di stabilire eventuali dipendenze tra i due
scritti. Resta il fatto che la sua presenza parrebbe originarsi in quella stessa
convergenza, se non piuttosto coincidenza, di materiale escatologico e mate-
176
riale parabolico, appena riscontrata nella visione in corso .
Discriminante si rivela, in ultima analisi, il contesto: la proclamazione
dell‘«eujavggelion» appare precedere di nuovo gli eventi incombenti della
fine e dettare lo sviluppo delle ―allusioni‖ che li descrivono (cfr. Mt 24, 14 e
30-31 e Ap 14, 6 e 14-16).

177
2.2.11.4 I sei sigilli e i segni della fine (Ap 6, 4-14)
Ap Lc Mt Mc

6, 4: «i{ppo~ 21, 9-10: «polev- 24, 6-7: «polev- 13, 7-8: «polev-
purrov~» –«la- mou~ kai; ajkata- mou~ kai; ajkoa;~ mou~ kai; ajkoa;~
bei'n th;n stasiva~» polevmwn» – polevmwn» –
eijrhvnhn ejk th'~ – «ejgerqhvsetai «ejgerqhvsetai «ejgerqhvsetai
gh'~ kai; i{na e[qno~ ejpi; e[qno~ ga;r e[qno~ ejpi; ga;r e[qno~ ejpi;
ajllhvlou~ sfav- e[qno~ e[qno~

174
Aune, 1998a, p. 845. Quantomeno significativo allora che la preghiera di Did. 10, 2-
6 prosegua e si avvii a concludere con: «ejlqevtw cavri~ kai; parelqevtw oJ kovsmo~ ou\to~» (6).
175
Cfr. DeConick, 2007, p. 114.
176
Considerata l‘importanza di entrambi per una ricostruzione delle traiettorie gesuane
nel cristianesimo delle origini, si lamenta ancora, per quanto io sappia, l‘assenza di uno studio
più approfondito sul rapporto tra Ap e Vang. Tom.
177
Charles, 1920, pp. 158-160; Lohmeyer, 1953, pp. 58-59; Vos, 1965, pp. 181-192;
Wenham, 1984, pp. 296-297; Beale, 1985, pp. 135-137.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 143

xousin – mav- kai; basileiva ejpi; kai; basileiva ejpi; kai; basileiva ejpi;
caira megavlh» basileivan» basileivan» basileivan»

6, 5-6.8: «i{ppo~ 21, 11: «kai; kata; 24, 7: «kai; 13, 8:


mevla~» – «zu- tovpou~
govn» – «coi'nix
sivtou dhnarivou,
kai; trei'~ coiv-
nike~ kriqw'n
dhnarivou kai; to;
e[laion kai; to;n
oi\non mh;
ajdikhvsh~/»
«i{ppo~ clwrov~»
–«ejxousivan [...]
ajpoktei'nai ejn
rJomfaiva/ kai;
ejn limw'/ kai; limoi; kai; e[sontai «e[sontai
ejn qanavtw/» loimoi; e[sontai» limoi;» limoi;»
6, 9: «ta;~ yuca;~ 21, 12-13.16-17: 24, 9: «tovte 13, 12-13: «kai;
tw'n ejsfagmevnwn «ejpibalou'sin paradwvsousin paradwvsei
ejf‘ uJma'~ ta;~ uJma'~ eij~ qli'yin ajdelfo;~ ajdelfo;n
cei'ra~ aujtw'n kai; eij~ qavnaton kai;
dia; to;n lovgon diwvxousin» – path;r tevknon,
tou' qeou' kai; dia; «ajpobhvsetai uJmi'n kai;
th;n marturivan eij~ martuvrion» – ejpanasthvsontai
h}n ei\con» – «to; «paradoqhvsesqe tevkna ejpi; gonei'~
ai|ma hJmw'n ejk de; kai; uJpo; gonevwn
tw'n kai; ajdelfw'n kai;
katoikouvntwn suggenw'n kai;
ejpi; th'~ gh'~» – fivlwn, kai; kai; kai;
«oiJ suvndouloi
aujtw'n kai; oiJ
ajdelfoi; aujtw'n
oiJ mevllonte~
ajpoktevnnesqai qanatwvsousin ajpoktenou'sin qanatwvsousin
wJ~ kai; aujtoiv» ejx uJmw'n uJma'~, aujtou;~, kai;
kai; e[sesqe kai; e[sesqe e[sesqe
misouvmenoi uJpo; misouvmenoi uJpo; misouvmenoi uJpo;
pavntwn pavntwn tw'n pavntwn tw'n ejqnw'n
144 Capitolo secondo

ejqnw'n
dia; to; o[nomav mou» dia; to; o[nomav dia; to; o[nomav mou»
mou»
6, 12-14: «kai; 21, 11: 24, 7: 13, 8: «e[sontai
seismo;~ «seismoiv te «seismoi; seismoi;
mevga~ megavloi»
ejgevneto,
kata; tovpou~» kata; tovpou~»
21, 25-26: «kai; 24, 29: 13, 24-25:
e[sontai shmei'a
kai; oJ h{lio~ ejn hJlivw/ «oJ h{lio~ «oJ h{lio~
ejgevneto mevla~» skotisqhvsetai, skotisqhvsetai,
– «hJ selhvnh o{lh kai; selhvnh/ kai; hJ selhvnh kai; hJ selhvnh
ejgevneto wJ~ ouj dwvsei to; fevg- ouj dwvsei to; fevg-
ai|ma, go~ aujth'~, go~ aujth'~,
kai; oiJ ajstevre~ kai; a[stroi~ – kai; oiJ ajstevre~ kai; oiJ ajstevre~
tou' oujranou'
e[pesan pesou'ntai e[sontai
eij~ th;n gh'n» – ajpo; tou' oujranou', ejk tou' oujranou'
pivptonte~,
«oJ oujrano;~ aiJ […] dunavmei~ kai; aiJ dunavmei~ kai; aiJ dunavmei~
ajpecwrivsqh» – tw'n oujranw'n tw'n oujranw'n aiJ ejn toi'~ oujra-
noi'~
saleuqhvsontai» saleuqhvsontai» saleuqhvsontai»
«pa'n o[ro~ kai; – «ajporiva/ h[cou~
nh'so~ ejk tw'n qalavssh~ kai; sav-
tovpwn aujtw'n lou »
ejkinhvqhsan»

La sinossi proposta illustra bene, credo, tanto le rade affinità verbali,


quanto le forti corrispondenze tematiche e, soprattutto, strutturali. Presi di
per sé, i singoli elementi formano parte del classico repertorio ―apocalittico‖
di prodigi ed eventi che, nel mondo umano e naturale, precedono e annun-
ciano la fine; basta sfogliare le pagine dedicate da P. Volz all‘argomento per
178
accorgersene .
Da Ap 6 e i suoi paralleli sinottici, emerge tuttavia lo stesso ordine di
179
base. Lo si può schizzare così :

178
Volz, 1966, pp. 147-163, da integrare con Aune, 1998a, pp. 416-419.
179
Cfr. Charles, 1920, p. 158; Lohmeyer, 1953, pp. 58-59; Vos, 1965, pp. 182-187;
Wenham, 1984, pp. 296-297.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 145

1. Guerre
2. Sollevamenti e stragi reciproche tra i popoli
3. Carestie
4. Persecuzioni a causa del nome di Gesù
5. Sconvolgimenti cosmici (sole; luna; stelle; cielo/potenze del cielo)
Ap 6 conosce anche un «seismov~ mevga~», ma isolato a ridosso dei fe-
nomeni celesti, di contro ai «seismoiv» molteplici di Mc, Mt e Lc («megav-
loi»!), che accompagnano, invece, le carestie. Ancora come nella sola ver-
sione lucana, ritorna la combinazione di carestia e pestilenza (qavna-
to~/loimov~ = mwt‟/dbr, cfr. il testo masoretico, i LXX, in parallelo ad Aqui-
la e Simmaco, e il targum a Ger 14, 12 e 21, 7, e Ez 5, 12.17; 14, 21; 33,
180
27) . Il ruolo di testimoni ispirati o ―profetici‖ che i seguaci di Gesù rive-
stono nelle persecuzioni accomuna, infine, di nuovo esclusivamente, Ap 6, 9
e Lc 21, 13, segnalato dalle rispettive ricorrenze di marturiva (cfr. Ap 11,
3.7; 12, 11.17; 19, 10) e martuvrion (cfr. Lc 21, 12-15 e At 1, 8; 4, 33; 5, 32;
6, 8 – 7, 55). Ap non segue tuttavia il testo di Lc contro Mc e Mt, quando
questo riassume e sintetizza i segni celesti. Le versioni di Ap 6 e Lc 21, in-
somma, sembrano di nuovo allinearsi, ma non toccarsi: anche le corrispon-
denze già evidenziate tra Ap 6, 15-17 e Lc 21, 34-36 lo confermerebbero.
Senza avventurarsi in un‘interpretazione puntuale ed esaustiva dei passi,
va sottolineato che l‘impianto generale di Ap 6, 1-8 ricalca la prima e
l‘ottava visione notturna di Zaccaria (Zc 1, 8-11 e 6, 1-3.6), e singoli motivi,
particolari, o giri di frase dell‘intero capitolo recuperano e sviluppano gene-
ralmente testi delle scritture ebraiche (cfr. Ap 6, 8 e Ez 5, 12.17; Ap 6, 12 e Is
13, 10 e Gl 2, 10 e 3, 4; Ap 6, 13-14 e Is 34, 4, ma anche Vang. Tom. 111!).
Tra le pieghe del testo e della sua costruzione retorica, filtrano comunque le
realtà economiche dell‘Asia Minore (Ap 6, 6: ricca produzione di olio e vino,
181
importazione di cereali) e si intuiscono i contorni trascesi di situazioni quo-
tidiane delle comunità, se non addirittura fatti specifici e concreti, quasi di
182
cronaca (cfr. Ap 6, 9-11 e l‘uccisione di Antipa menzionata in 2, 10.13) .
Giovanni, come abbiamo già avuto modo di ribadire, riscrive il presente co-
me scena del crepuscolo della prima creazione, nelle parole delle scritture
d‘Israele e del Dio che le ha rivelate, e nella testimonianza della tradizione
183
gesuana e dell‘angelo che la mostra e conferma .

180
Vedi Vos, 1965, p. 184, e Wenham, 1984, p. 313.
181
Cfr. Günther, 1980, pp. 182-184, e Aune, 1998a, pp. 398-400.
182
Cfr. le osservazioni di Ulland, 1997, pp. 74-76; 80-90; 163-168.
183
Cfr. anche Afzal, 2008, pp. 100-103.
146 Capitolo secondo

184
2.2.11.5 Le due bestie, ovvero: i falsi messia e i falsi profeti (Ap 13)
Ap 13 Mt 24 Did. 16 Ascen. Isa. 4

1-3.12.14: la prima 24a: «ejgerqhv- 4: «kai; tovte 1-4: Beliar sotto


manifestazione di sontai ga;r yeudov- fanhvsetai oJ le spoglie di Ne-
Satana, la bestia cristoi» kosmoplanh;~ wJ~ rone
che sale dal mare, è uiJo;~ qeou'» 6b.8: si farà
il doppione passare per il
dell‘Agnello, sgoz- Cristo
zato, morto e risor-
to (cfr. Ap 5, 6):
Nerone redivivo?
12.13.14: la secon- 24a-b «kai; yeudo- 4: lo accompa-
da bestia (cfr. 16, profh'tai gnano, obbe-
13 e 19, 20: «oJ dienti, «tutte le
yeudoprofhvth~») potenze di que-
«th;n ejxousivan sto mondo»
tou' prwvtou qhriv-
ou pa'san poiei'
ejnwvpion aujtou'» –
«poiei' kai; dwvsousin 5.6.10: miracoli
shmei'a megavla» – shmei'a megavla kai; 6: «tutto ciò che
«ta; shmei'a a} ej- tevrata» (cfr. anche vorrà farà nel
dovqh aujtw'/ 11a: «kai; polloi; mondo»
poih'sai ejnwvpion yeudoprofh'tai ej-
tou' qhrivou» gerqhvsontai»)
3: «kai; ejqau- 24c: «w{ste «kai; hJ gh' para- 7: «gli crede-
mavsqh o{{lh hJ gh' planh'sai, eij duna- doqhvsetai eij~ ranno tutti gli
ojpivsw tou' qhriv- tovn, kai; tou;~ ejkle- cei'ra~ aujtou'» uomini nel
ou» ktouv~» (cfr. anche mondo»
4: «prosekuv- 11b) 8: lo riconosce-
nhsan tw'/ qhrivw/» ranno come uni-
co signore
9: la maggior
parte dei cristia-
ni si svierà die-
tro di lui
5: «kai; ejdovqh 12: potere asso-

184
Vos, 1965, pp. 133-136 e Wenham, 1984, pp. 205-207.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 147

aujtw'/ ejxousiva luto per tre anni,


poih'sai mh'na~ sette mesi e ven-
tesseravkonta tisette giorni
kai; duvo» (= tre an-
ni e sei mesi)
7: «kai; ejdovqh 10-11: in ogni
aujtw'/ ejxousiva ejpi; città e regione
pa'san fulh;n kai; 18: la creazione
lao;n kai; glw'ssan intera ha servito
kai; e[qno~» Beliar
14-15: erezione di 11: erezione
una «eijkwvn» della della sua imma-
prima bestia gine
13.15: prodigi del «kai; poihvsei aj- 5: prodigi con
fuoco dal cielo e qevmita a} ouj- gli astri (cfr. an-
della statua parlan- devpote gevgonen che 4 Esd. 4, 5)
te ejx aijw'no~»
8: «kai; proskunhv- 10: «tovte 5: «kai; skanda- Cfr. 7-9
sousin aujto;n skandalisqhvsontai lisqhvsontai
pavnte~ oiJ katoi- polloiv» polloi; kai; ajpo-
kou'nte~ ejpi; th'~ lou'ntai»
gh'~»
10: «w|dev ejstin 13: «oiJ de; 13:
hJ uJpomonh; «oJ de; uJpomeivna~ uJpomeivnante~ ejn pochi «santi» e
kai; hJ pivsti~ th'/ pivstei aujtw'n credenti restano
tw'n aJgivwn» fedeli
eij~ tevlo~ ou|to~ swqhvsontai 15-16: il Signo-
swqhvsetai» uJp‘aujtou' tou' re darà il riposo
kataqevmato~» ai pii e a quanti
per la «fede»
avranno male-
detto Beliar e i
suoi re/potenze

Altri paralleli:
 2 Ts 2, 8-12: «kai; tovte ajpokalufqhvsetai oJ a[nomo~ […] ou| evstin hJ pa-
rousiva kat‘ ejnevrgeian tou' satana' ejn pavsh/ dunavmei kai; shmeivoi~ kai;
tevrasin yeuvdou~ kai; ejn pavshæ ajpavthæ ajdikiva~ toi`~ ajpollumevnoi~, ajnqÆ
w\n th;n ajgavphn th`~ ajlhqeiva~ oujk ejdevxanto eij~ to; swqh`nai aujtouv~. kai;
dia; tou`to pevmpei aujtoi`~ oJ qeo;~ ejnevrgeian plavnh~ eij~ to; pisteu`sai
148 Capitolo secondo

aujtou;~ tw`æ yeuvdei, i{na kriqw`sin pavnte~ oiJ mh; pisteuvsante~ th`æ aj-
lhqeivaæ ajlla; eujdokhvsante~ th`æ ajdikivaæ»
 1 Cor 1, 10: «parakalw' de; uJma'~, ajdelfoiv, […] i{na […] mh; h/\ ejn uJmi'n
scivsmata»; 11, 18-19: «prw'ton me;n ga;r sunercomevnwn uJmw'n ejn ejk-
klhsiva/ ajkouvw scivsmata ejn uJmi'n uJpavrcein kai; mevro~ ti pisteuvw. dei'
ga;r kai; aiJrevsei~ ejn uJmi'n ei\nai»
 Giustino, Dial. 35, 3: «a} ga;r prolabw;n mevllein givnesqai ejn ojnovmati auj-
tou' e[fh, tau'ta o[yei kai; ejnergeiva/ oJrw'men telouvmena. ei\pe ga;r: pol-
loi; ejleuvsontai ejpi; tw'/ ojnovmativ mou, e[xwqen ejndedumevnoi devrmata
probavtwn, e[swqen de; eijsin luvkoi a{rpage~. kaiv: e[sontai scivsmata
kai; aiJrevsei~. kaiv: prosevcete ajpo; tw'n yeudoprofhtw'n, oi{tine~ ejleuv-
sontai pro;~ uJma'~, e[xwqen ejndedumevnoi devrmata probavtwn, e[swqen de;
eijsin luvkoi a{rpage~. kaiv: ajnasthvsontai polloi; yeudovcristoi kai;
yeudapovstoloi, kai; pollou;~ tw'n pistw'n planhvsousi»
 Did. syr. 6, 5, 23: «Come anche il nostro Signore e Salvatore Gesù disse:
―Ci saranno fazioni e lacerazioni‖; e di nuovo: ―Guai al mondo dagli scan-
dali! È necessario, infatti che vengano scandali e lacerazioni, ma tuttavia
guai all‘uomo per mano del quale verranno!»
 Lattanzio, Inst. 4, 30, 2.5: «ante omnia scire nos convenit et ipsum et lega-
tos eius praedixisse quod plurimae sectae haberent existere […] ac mo-
nuisse ut summa prudentia caveremus […] nonnulli autem falsorum pro-
phetarum vaticinio inlecti, de quibus et veri prophetae et ipse praedixerat,
exciderunt a doctrina dei et traditionem veram reliquerunt»
 Ps.-Clemente, Hom. 16, 21, 4: «e[sontai ga;r, wJ~ oJ kuvrio~ ei\pen, yeuda-
povstoloi, yeudei'~ profh'tai, aiJrevsei~, filarcivai»
 Didimo, Trin. 3, 22: «oJ kai; ta; ejsovmena shmei'a peri; ejkei'non to;n kairo;n
proeirhkw;~, kai; mevllwn ejkeivnhn aujth;n ajnatevllein th;n fobera;n kai;
ajnevsperon hJmevran, oJ kai; th'~ krivsew~ to; sch'ma kai; to;n trovpon pro-
eipw;n, oJ ajpodeicqei;~ e[cein qhsaurou;~ sofiva~ kai; gnwvsew~, kai;
promhnuvsa~: e[sontai ejn uJmi'n aiJrevsei~ kai; scivsmata»

L‘impressione è forte che Ap 13 risenta dello schema apocalittico sog-


giacente anche a Ascen. Isa. 4, Did. 16 e 2 Ts 2. Mt attinge a materiali affini
in 24, 10-13, eliminando la figura dell‘ ―Anticristo‖ e adattandoli alla tradi-
zione marciana dei molti pseudo-profeti e pseudo-messia (Mt 24, 5 // Mc 13,
6 // Lc 21, 8; Mt 24, 23-26 // Mc 13, 21-22, cfr. Lc 17, 23), conosciuta peral-
185
tro dalla stessa Did. (16, 3) .

185
Cfr. la dettagliata analisi di storia delle tradizioni offerta da Norelli, 1995b, pp. 174-
175.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 149

Ap, dalla sua, sdoppiando la potenza satanica nel mondo, ne recupera e


convoglia alcuni tratti distintivi: la bestia che sale dalla terra si rivela essere
«oJ yeudoprofhvth~» per eccellenza, e la sua attività caratteristica viene
specificata come planavw (Mc 13, 22 ha ajpoplanavw!) con l‘aiuto dei «se-
gni» («megavla»: cfr. Mt 24, 24!) che le è dato di fare (Ap 13, 13-14; 16, 13-
186
14; 19, 20) . Se, poi, «gli abitanti sulla terra» (Ap 13, 14; cfr. 13, 12 e 16)
comprendono anche i seguaci di Gesù, come pare suggerire decisamente un
confronto incrociato tra Ap 3, 10; 5, 9 e 7, 9, e 14, 3-4.6-13, il «planavw»
della seconda bestia ha di mira gli stessi gruppi prospettati ancora da Mt 24,
24 (cfr. anche 24, 11) e Ascen. Isa. 4, 7-9, ma non da Mc 13, 22. Ap raffigura
tuttavia un solo falso profeta, mentre Mt parla di una pluralità di manifesta-
zioni. Il contrasto non va però calcato e, anzi, si stempera a notare come, nel-
la seconda bestia, si concentrino ed integrino le rappresentazioni dei vari
gruppi profetici e carismatici che punteggiavano alcune comunità della pro-
vincia d‘Asia, già bollati da Giovanni come falsi apostoli e falsi profeti (cfr.
187
Ap 2, 2.6.14-15.20-24) .
Formulazioni diverse di una stessa predizione sull‘emergere di fazioni e
lacerazioni, legati agli inganni di falsi profeti e falsi apostoli, si ritrovano,
188
forse già conosciute come parola di Gesù, in 1 Cor 1, 10 e 11, 18-19 , e,
poi, a lui direttamente attribuite in Giustino, Dial. 35, 3; Did. syr. 6, 5, 23;
Lattanzio, Inst. 4, 30, 2.5; Ps.-Clemente, Hom. 16, 21, 4; Didimo, Trin. 3, 22.
Giustino la tramanda in una raccolta di quattro detti di forma e tema af-
189
fini probabilmente «già diffusa in modo orale nel suo ambiente» , come fa-
rebbe pensare anche la combinazione di Did. syr., legata dal ripetersi della
190
parola-chiave sdq‟ .
Le Homiliae pseudo-clementine la riferiscono, invece, come detto isola-
to (ma cfr. 2, 17, 4-5!), mentre Lattanzio (cfr. Inst. 4, 21, 1-2) e Didimo, alo-
ro volta, sembrano citarla di nuovo come parte di un insegnamento più am-
pio sugli eventi degli ultimi giorni. Soprattutto per Lattanzio, si può aver
motivo di ritenere che questo materiale escatologico non abbia un preciso
191
corrispettivo nell‘ ―apocalisse sinottica‖ .

186
Vos, 1965, pp. 134-135.
187
Lo dimostrano ampiamente le analisi di Garrow, 1997, pp. 88-91; Ulland, 1997, pp.
55-57; 101-111; 114-116; Roose, 2000, pp. 189-200; Arcari, 2008, pp. 297-301.
188
Devo la segnalazione ad una comunicazione pubblica del prof. E. Norelli.
189
Seguo argomentazioni e conclusioni di Pesce, 2005, pp. 660-661 (citazione p. 661).
Per altre probabili tracce di una composizione simile, cfr. Tertulliano, Praescr. 4, 1-4.6.
190
Pesce, ibid. Sulla forma dei due detti valgono, mutatis mutandis, le osservazioni lì
svolte da Pesce a proposito di Giustino. La formulazione sinottica corrispondente è qui Mt 18,
7.
191
Cfr. supra, 2.1.
150 Capitolo secondo

Su sfondo e contrappunto di un midrash di Dn (cfr. Ap 13, 1-2 e Dn 7,


192
4-7.24; Ap 13, 5-7 e Dn 7, 8.11.20-21.25) , l‘avvertimento gesuano acquista
in concretezza e individua i suoi obiettivi non nel futuro, ma nel presente di
Giovanni e dei suoi destinatari, di cui svela il volto nascosto di terreno della
193
lotta escatologica tra Dio e Satana, ed i loro rispettivi emissari . Come ha
incisivamente scritto M. Pesce a proposito di Ps.-Clemente, Hom. 16, 21, 4,
quello che «originariamente sarebbe dovuto essere un insegnamento di Gesù
su ciò che sarebbe dovuto accadere negli ultimi tempi», col passare del tem-
po, si è trasformato in «una specie di dichiarazione sugli eventi negativi che
194
accompagnano la vita delle comunità dei seguaci di Gesù» .

2.2.11.6 Una ricostruzione

L‘analisi letteraria ha permesso di individuare, caso per caso, singoli ri-


flessi di tradizioni che convergono su traiettorie escatologiche gesuane.
A titolo di ricostruzione generale, offriamo un quadro sinottico delle
195
corrispondenze :
Ap Lc Mt Mc
Ap 1, 7 Mt 24, 30 (Mc 13, 26)

Ap 6, 3-11 Lc 21, 9-13.16-17 (Mc 13, 7-12)

Ap 6, 12-14 Lc 21, 25 (cfr. 11) (Mc 13, 24-


25)

Ap 6, 15-17 Lc 21, 25-26.35-36

192
Cfr. Beale, 1985, p. 142.
193
Cfr. le conclusioni di Ulland, 1997, pp. 324-336. Similmente si esprime Roose, 2000,
pp. 200 e 217-227.
194
Pesce, 2005, p. 732.
195
Amplio e rielaboro gli schemi proposti da Vos, 1965, pp. 186-187; Wenham, 1984
pp. 359-362; Beale, 1985, p. 146. I passi seguono la successione di Ap; il grassetto segnala la
coincidenza in forma e/o tema e sequenza, il tondo la semplice corrispondenza di forma e/o
tema, senza che l‘ordine nella disposizione del materiale coincida. Data la loro generale irrile-
vanza per Ap, nei passi dove è possibile formarsi un giudizio più sicuro sulla forma della tra-
dizione conosciuta, i paralleli di Mc sono indicati tra parentesi.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 151

Ap 11, 1-2 Lc 21, 24

Ap 13 Mt 24, 5.10-11.24 (Mc 13, 5-


6.21-22)

Ap 14, 6 Mt 24, 14 (Mc 13, 10)

Ap 14, 14-16 Mt 24, 31 (Mc 13, 27)

Di fatto emergono due sequenze corrispondenti alla disposizione della


―apocalisse sinottica‖: Ap 6, 3-17 e Ap 13 – 14, 6.14-16, la prima più com-
patta della seconda: il primo dei due nuclei di parole evidenziati (Ap 6, 3-17)
descrive gli eventi che anticipano ed annunciano la parusia, il secondo (Ap
13 e 14, 6.14-16) ruota sugli eventi da questa scatenati. Nel quadro così deli-
neato, cresce la probabilità che Giovanni conoscesse gli ultimi frammenti
rintracciati nell‘orbita immediata di tali nuclei, e quindi di una qualche for-
196
ma del discorso escatologico di Gesù .
Come Ap 6, 15-17 dimostra e poi 11, 2 conferma, per il primo, Giovan-
ni attinge a tradizioni attestate altrove dal solo Lc, con l‘incognita rappresen-
tata dai detti citati in Lattanzio e nelle Omelie pseudo-clementine; così an-
che, oltre l‘ ―apocalisse sinottica‖, fa in Ap 1, 3 e 3, 20-21, che, però, per ca-
ratteristiche formali e ampia diffusione, andranno interpretate come probabili
tracce di tradizioni ―pre-lucane‖ (cfr., rispettivamente, per 1, 3: Lc 11, 28
[Q?] // Vang. Tom. 79 // Herm. Sim. 5, 3, 9; per 3, 20: Lc 12, 36-38 // Ascen.
Isa. 4, 16 [Q?]; per 3, 21: Lc 22, 28-30 // Mt 19, 28 [Q?]; 2 Tm 2, 11-12;
197
Tom. Atl. 145, 13-16) .
Quanto al secondo, Ap 1, 7; 13; 14, 6.14-16 mostrano forti punti di con-
tatto con formulazioni proprie di Mt. Almeno per Ap 1, 7, tuttavia, la testi-
monianza indipendente della Did. – e, più tentativamente, di Apoc. Piet. –, e,
per Ap 13, le attestazioni incrociate di Did., 2 Ts e Ascen. Isa. permettono di

196
Charles, 1920, pp. 158-159; Lohmeyer, 1953, p. 58; Vos, 1965, pp. 187 e 191-192;
Wenham, 1984, pp. 366-367; Beale, 1985, pp. 144-145.
197
Su Ap 3, 20-21, vedi le osservazioni di Bauckham, 1977, p. 174; Roloff, 1989, pp.
456-463; Norelli, 1994, pp. 214-218.
152 Capitolo secondo

intravvedere contorni e circolazione di un complesso di tradizioni ―pre-


198
matteane‖ .
Per entrambi i nuclei di parole, questa conclusione potrebbe risultare
avvalorata da un‘ulteriore osservazione: anche dove mostra corrispondenze
con passi matteani e lucani che su Mc si basano e Mc rielaborano (cfr., ad
esempio, Ap 1, 7 e 6, 12-14), Ap sembra non tradire mai una conoscenza di-
retta e peculiare del sottotesto del primo vangelo. La forma – è la deduzione
– in cui queste parole sono attestate in Ap deve essere quindi indipendente
dalla redazione di Mt e Lc che di Mc 13 fanno il canovaccio della propria
199
versione dell‘ ―apocalisse sinottica‖ .
Delle tre possibilità di interpretazione del processo di trasmissione di
questi materiali – 1) conoscenza delle tradizioni scritte o orali soggiacenti ai
vangeli; 2) conoscenza e redazione letteraria del testo dei vangeli, eventual-
mente secondo moduli orali; 3) conoscenza orale di seconda mano di tradi-
zioni individuali come appaiono nei vangeli, a seguito di una o più letture –,
penso si possa ragionevolmente escludere, con qualche sicurezza, solo la se-
conda: a contrasto con la sostanziale fedeltà dell‘interazione letteraria con le
scritture ebraiche, risalta l‘alto grado di fissità e variabilità nel recupero delle
200
tradizioni gesuane, come è tipico per ri-narrazioni di tradizioni orali . In po-
sitivo, fanno propendere per la prima ipotesi, da un lato, le indicazioni di
Giovanni stesso in Ap 3, 3 e 2, 25-26 e 3, 8.10, e il contesto storico in cui
possono essere inserite, dall‘altro, la già rilevata presenza di ulteriori tracce
di tradizioni non riconducibili direttamente alle relative attestazioni nei due
Sinottici in questione.
Riflusso di materiale pre-sinottico o combinazione del testo, scritto o ri-
201
oralizzato, di Mt e Lc che sia , la rilettura da parte di Giovanni è stata co-
munque profonda: il discorso escatologico, interpretato alla luce delle realtà
delle sette comunità d‘Asia, gli ha fornito una griglia di eventi, significati,
motivi su cui disporre il loro passato, presente e futuro e mostrarne il senso
nascosto. La vita delle comunità ne è illuminata e ricompresa a sua volta,
comportamenti e valori criticati o (ri)formulati, le parole gesuane, intrecciate
alle scritture d‘Israele, sviluppano tutta la densità di parole profetiche, già

198
Cfr. anche Ap 19, 7-9 e Mt 22, 1-14, e Ap 22, 12 e Mt 16, 27, con l‘analisi che ne
proponiamo infra, 2.2.16 e 2.2.17.
199
Ringrazio qui di nuovo il prof.S. Guijarro Oporto e la dott.ssa M. Rescio, che, sepa-
ratamente, mi hanno fatto notare il punto.
200
Per un‘analisi del problema in tutta la sua complessità, vedi Dunn, 2003, pp. 192-
253.
201
Per la prima possibilità, si pronunciano Vos, 1965, p. 192; Wenham, 1984, pp. 366-
373; Beale, 1985, pp. 144-147; a favore di una dipendenza diretta di Ap da Lc si schiera, inve-
ce, Vanni, 1991.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 153

adempiute, o in procinto di compiersi, comunque aperte ad ogni nuova attua-


202
lità, e, al tempo stesso, proiettate sulla parusia .

203
2.2.12 Della rinuncia a se stessi (Ap 12, 11)
Ap Gv Mt Mc Lc

12, 11: «kai; 12, 25: «kai; 10, 39: «kai; oJ 8, 35: «o}~ dÆ a]n 9, 24: «o}~ dÆ
oujk hjgav- oJ misw`n ajpolevsa~ ajpolevsei a]n ajpolevshæ
phsan
th;n yuch;n th;n yuch;n th;n yuch;n th;n yuch;n th;n yuch;n
aujtw`n aujtou` aujtou` aujtou` aujtou`
a[cri
qanavtou»
ejn tw`æ kovsmwó
touvtwó
e{neken ejmou` e{neken »ejmou` e{neken ejmou`,
kai;¼ tou` euj-
aggelivou
eij~ zwh;n
aijwvnion
fulavxei euJrhvsei swvsei ou\to~ swvsei
aujthvn» aujthvn» (cfr. aujthvn» aujthvn»
anche 16, 25) (cfr. anche
17, 33)

Altri paralleli:
 Atti Tom. 130: «e[lege~ de; pavlin o{ti tauvthn oJ ajpostrefovmeno~ th;n
zwh;n devxetai th;n aijwnivan, kai; oJ misw`n to; th`~ hJmevra~ kai; nukto;~ fw`~
qeavshtai fw`~ to; mh; katalambanovmenon, »
 Sal. Man. 159, 15-16: «chi si umilierà sarà sollevato, chi si innalzerà sarà
umiliato, chi muore vive, chi soffre trova riposo»; 273, 10-11: «mi sono

202
Vedi l‘analisi specifica di Afzal, 2008, pp. 89-113. Più generale, e da smussare in al-
cuni punti, il giudizio di Wenham, 1984, p. 373 n. 1: «it is notable that both Paul and the au-
thor of Revelation appear to be much freer in the use of the traditions of the eschatological
discourse than are the synoptic evangelists, which is probably because they are seeking to ap-
ply the tradition, not to transmit it. The evangelists, while interpreting the tradition, are seek-
ing to preserve it and pass it on» (corsivo mio). Cfr. anche ibi, pp. 209-210, e Beale, 1985, p.
145.
203
Crossan, 1983, pp. 86-94, e Theobald, 2002, pp. 121-125.
154 Capitolo secondo

abbandonato alla morte confidando nella parola di Dio: ―Chi morirà vivrà,
chi si umilierà sarà innalzato‖»

L‘uso, insolito per Giovanni, di yuchv, nel senso riflessivo di «la propria
vita, se stessi», e di ajgapavw con soggetto diverso da Dio – Cristo (cfr. Ap 1,
5; 3, 9; 20, 9) inducono necessariamente ad accostare Ap 12, 11 all‘aforisma
gesuano sulla salvezza della vita, preservatoci in tre versioni indipendenti:
204
Mc 8, 35 = Mt 16, 25 = Lc 9, 24; Mt 10, 39 // Lc 17, 33 (= Q); Gv 12, 25 .
Se «oujk hjgavphsan» riflette l‘opposizione amare/odiare che contraddistin-
205
gue specificatamente Gv , in Ap sembra affiora una linea di tradizione che
ha isolato e trasmesso il risvolto positivo del detto (cfr. Atti Tom. e Sal.
Man.).
L‘originaria struttura condizionale è stata risolta in un parallelismo con
nikavw (cfr. Ap 2, 10-11, e la rilettura di Or. sib. 2, 45-47) a segnare la condi-
zione umana ormai realizzatasi e, quindi, celebrata nell‘inno, per la vittoria
su Satana e l‘avvento della «salvezza e la potenza e il regno di Dio e il pote-
re del suo Unto» (Ap 12, 7-10).

206
2.2.13 Seguire Gesù (Ap 14, 4)
Ap Gv

14, 4: «ou\toi oiJ ajkolouqou`nte~ tw`æ ajrnivwó 13, 36:


o{pou a]n uJpavghæ» «o{pou uJpavgw
ouj duvnasaiv moi nu`n ajkolouqh`sai,
ajkolouqhvsei~ de; u{steron»

Altri paralleli:
 Gv 12, 26: «eja;n ejmoiv ti~ diakonh`æ, ejmoi; ajkolouqeivtw, kai; o{pou eijmi; ejgw;
ejkei` kai; oJ diavkono~ oJ ejmo;~ e[stai»
 Mt 8, 19: «kai; proselqw;n ei\~ grammateu;~ ei\pen aujtw`æ, didavskale,
ajkolouqhvsw soi o{pou eja;n ajpevrchæ»; 19, 28: «oJ de; ÆIhsou`~ ei\pen
aujtoi`~, ajmh;n levgw uJmi`n o{ti uJmei`~ oiJ ajkolouqhvsantev~ moi […]»
 Lc 9, 57: «kai; poreuomevnwn aujtw`n ejn thæ̀ oJdwæ̀ ei\pevn ti~ pro;~ aujtovn,
ajkolouqhvsw soi o{pou eja;n ajpevrchæ»

204
Crossan, 1983, p. 92, e Theobald, 2002, pp. 113-114 e 124 .
205
Vedi Crossan, 1983, pp. 93-94. Cfr. Theobald, 2002, p. 125.
206
Vos, 1965, pp. 136-144, e Aune, 1998a, pp. 812-813.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 155

 Vang. Maria 8, 15-21: «State attenti a non lasciarvi ingannare da nessuno


che dica: ―Ecco, da questa parte!‖ o ―Ecco, in questo luogo!‖. Dentro di
voi, infatti, è il figlio dell‘uomo: seguitelo!»
 Lib. Grad. 3, 5: «Se uno non avrà rinunciato a tutto quello che possiede, e
non prenderà la sua croce e mi segua e mi imiti, non è degno di me»; 25, 4:
«Come, infatti, dice il Signore: ―Abbassatevi e separatevi e santificatevi dal
mondo e dal matrimonio e amate tutti gli uomini e seguitemi; non siate del
mondo come io non sono stato del mondo e non ho penato nel mondo, ma
seguitemi e siate perfetti‖»; 30, 26: «Ma se vuoi raggiungere questa grande
porzione e perfezione e imitarmi ed essere glorificato con me, abbandona
ogni cosa e prendi la tua croce e seguimi; altrimenti, non sei degno di me»

Le ricorrenze di ajkolouqevw nel significato pregnante di seguire Gesù e


aderire ai suoi insegnamenti e al suo destino punteggiano diffusamente la
tradizione gesuana, sia a livello di discorso diretto, come parola di Gesù, o in
207
bocca ad altri personaggi intorno a lui, sia sul piano del racconto .
In Ap si limitano di fatto a questa clausola esplicativa (ma cfr. anche Ap
19, 14, in parallelo a 17, 14), che, in assenza di altre indicazioni sul soggetto
che la pronuncia, sarà da attribuire probabilmente all‘attivtà redazionale di
Giovanni stesso. Risalta così ancora maggiormente l‘estraneità al suo usus
scribendi (ajkolouqevw con il dativo, di contro al più frequente ajkolouqevw
metav: Ap 6, 8 e 14, 8-9.13), che avvalora l‘ipotesi del recupero di materiale
tradizionale. Se la forma participiale del verbo trova un parallelo piuttosto
estemporaneo in Mt 19, 28, il linguaggio invece sembra ricalcare decisamen-
te rifrazioni giovannee della tradizione, come la presenza del costrutto ajko-
208
louqevw o{pou, e del verbo uJpavgw lasciano supporre .
Una più precisa corrispondenza nella costruzione di ajkolouqevw con
o{pou a[n/ejavn e il congiuntivo di un verbo di moto si ritrova però solo tra Ap
14, 4 e Mt 8, 19 // Lc 9, 57, che, pur se non direttamente in bocca a Gesù, ne
riecheggiano l‘insistenza e la radicalità dell‘esortazione alla sequela (cfr. an-
che Atti Paolo Tec. 25, 4).
Appare preferibile allora pensare che Ap visualizzi e declini formula-
zioni diffuse e più generiche della comprensione del discepolato gesuano,
inteso appunto come sequela incondizionata del maestro (cfr. Mc 8, 34
209
parr.) .

207
Sulle occorrenze nelle scritture cristiane, vedi Kittel, 1933, pp. 213-215.
208
Aune, 1998a, p. 813.
209
Aune, ibid. Cfr. anche le conclusioni di Vos, 1965, pp. 143-144. Secondo Theissen,
2001, p. 333 n. 51, questa insistenza sulla sequela ed il radicalismo etico cui Ap dà voce col-
legherebbero Giovanni ai gruppi di carismatici itineranti, indipendenti da comunità stanziali e
strutturate.
156 Capitolo secondo

210
2.2.14 La pietra da mola ed il mare (Ap 18, 21) .
Ap Lc Mc Mt 1 Clem.

18, 21: 17, 2: 9, 42: 18, 6: 46, 8:


«kai; h\ren
ei\~
a[ggelo~
ijscuro;~
«oujai; tw`æ ajn-
qrwvpwó ejkeivnwó:
kalo;n h\n aujtw`æ, eij
oujk ejgennhvqh, h]
«kai; o}~ a]n «o}~ dÆ a]n
skandalivshæ skandalivshæ
e{na tw`n e{na tw`n e{na tw`n
mikrw`n mikrw`n ejklektw`n mou
touvtwn tw`n touvtwn tw`n
pisteuovntwn pisteuovntwn
»eij~ ejmev¼, eij~ ejmev,
skandalivsai:
«lusitelei` kalovn ejstin sumfevrei krei`tton h\n
aujtw`æ aujtw`æ aujtw`æ aujtw`æ
ma`llon
eij eij perivkeitai i{na kremasqh`æ periteqh`nai
livqon wJ~ livqo~
211 212
muvlinon muliko;~ muvlo~ ojniko;~ muvlo~ ojniko;~ muvlon
mevgan
perivkeitai
peri; to;n trav- peri; to;n trav- peri; to;n trav-
chlon aujtou` chlon aujtou` chlon aujtou`
kai; kai; kai; kai; kai;

210
Koester, 1957, pp. 16-19; Vos, 1965, pp. 157-159; Hagner, 1973, pp. 152-164, e
1985, pp. 237-238.
211
‫ א‬sostituisce mulinon con liqon, 051 å gig Prim con mulon, lezione attestata anche
da alcuni manoscritti della Vetus Latina (C I S). In entrambi i casi, si tratta di glosse esplicati-
ve, la seconda, in particolare, facilitata da reminiscenze dei paralleli sinottici.
W pc hanno liqo~ oniko~, A Y å sy bomss armonizzano con Mt e Mc, e leggono
212

mulo~ oniko~.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 157

e[balen e[rriptai bevblhtai katapontisqh`æ katapontisqh`nai


ejn tw`æ pelavgei
eij~ th;n eij~ th;n eij~ th;n th`~ eij~ th;n
qavlassan» qavlassan qavlassan» qalavssh~» qavlassan,
h] i{na skan- h] e{na tw`n
dalivshæ tw`n ejklektw`n mou
mikrw`n diastrevyai»
touvtwn e{na»

Altri paralleli:
 Atti Piet. 6: «Respondens autem Petrus dixit eis: ―Si autem contingat mihi
cum inimico domini nostri lapidem molarem suspendi, sicut dominus meus
dicebat ad nos, si quis de fratribus scandalizasset, et in profundo mergi?‖»
 Clemente d‘Alessandria, Strom. 3, 18, 107, 2: «―oujai; tw`æ ajnqrwvpwó ej-
keivnw/‖, fhsi;n oJ kuvrio~, ―kalo;n h\n aujtw`æ eij mh; ejgennhvqh, h] e{na tw`n
ejklektw`n mou skandalivsai: krei`tton h\n aujtw`æ periteqh`nai muvlon kai;
katapontisqh`nai eij~ qavlassan, h] e{na tw`n ejklektw`n mou diastrev-
yai‖»
 Marcione in Tertulliano, Marc. 4, 35, 1: «vae dicit auctori scandalorum:
expedisse ei, si natus non fuisset aut si molino saxo ad collum deligato pra-
ecipitatus esset in profundum, quam unum ex illis modicis utique discipulis
213
eius scandalizasset»
 Origene, Hom. Num. 25, 1: «melius fuerat homini non nasci aut molam asi-
nariam ligari circa collum eius et praecipitari in profundum maris quam ut
scandalizet unum de pusillis istis»
 Adamanzio, Fid. 1, 814e: «oujai; tw`æ ajnqrwvpwó diÆ ou\ oJ uiJo;~ tou` ajnqrwvpou
para divdotai:sumfevrei aujtw`æ eij mh; ejgennhvqh, h] gennhqevnta muvlwó oj-
nikw`æ prosteqh`nai kai; katapontisqh`nai ejn tw`æ bavqei th`~ qalavssh~
[…] tivni lovgwó keleuvei to;n ajdivkw~ ajsebhvsanta ÆIouvdan dikaivw~ eij~ qav-
lassan rJivptesqaiÉ»

Nella cornice narrativa ispirata da Ger 51, 63-64 TM (= 28, 63-64


LXX), risalta, per la sua assenza nel sottotesto, la sequenza di motivi livqo~
wJ~ muvlino~, bavllw, eij~ qavlassan. Tale sequenza si ritrova, invece, integra
e letterale, per quanto con leggere e prevedibili alterazioni di fraseologia,
nelle varianti della minaccia gesuana ai provocatori di scandali tra i suoi se-
214
guaci .

213
Ricostruzione del testo greco in Harnack, 1985, pp. 222-223.
214
Vos, 1965, p. 158.
158 Capitolo secondo

Nonostante la corrispondenza pressoché letterale con Mc nel nesso bavl-


lomai eij~ th;n qavlassan, l‘espressione « livqon wJ~ muvlinon» (cfr. Lc 17, 2)
e la contestualizzazione nella serie incalzante di guai (Ap 18, 10.16.19) gri-
dati a Babilonia, che ha versato e si è ubriacata del sangue di santi e profeti,
quanti testimoniano la rivelazione di Gesù (cfr. Ap 17, 4 e 18, 24), spingono
215
verosimilmente Ap 18, 21 nell‘orbita di Q , o piuttosto della tradizione orale
216
viva, come testimoniata anche da 1 Clem. .
L‘azione simbolica dell‘angelo traduce ed inscena il detto gesuano in
217
prospettiva profetica («ou{tw~ oJrmhvmati blhqhvsetai») . Come nel passag-
gio da skandalivzw a diastrevfw in 1 Clem. 46, 8 si intravedono le lotte e le
divisioni che stanno sfaldando la comunità di Corinto (cfr. 46, 9), così
l‘apparente silenzio sugli scandali in Ap trova la sua controparte concreta
nell‘ubriacatura di sangue e nell‘azione distruttrice di Babilonia (cfr. Ap 19,
4), che, per contrappasso, attira su di sé l‘ebbrezza e la distruzione del furore
divino (Ap 11, 18 e 18, 6-8).

218
2.2.15 Il sangue dei giusti (Ap 18, 24) .
Ap Mt Lc

18, 24: 23, 34-35: «dia; tou`to 11, 49-50: «dia; tou`to
kai; hJ sofiva tou` qeou`
ei\pen,
ijdou; ejgw; ajpostevllw ajpostelw`
pro;~ uJma`~ profhvta~ eij~ aujtou;~ profhvta~
kai; sofou;~ kai; gram- kai; ajpostovlou~,
matei`~:
ejx aujtw`n ajpoktenei`te kai; ejx aujtw`n ajpokte-
nou`sin
kai; staurwvsete,
kai; ejx aujtw`n masti-
gwvsete ejn tai`~ suna-

215
Cfr. Koester, 1957, p. 19.
216
Cfr. Hagner, 1973, pp. 157-159, e 1985, pp. 237-238, e Pesce, 2005, 640 n.1. Oltre a
Clemente d‘Alessandria, che conosce e cita il suo omonimo di Roma (cfr. Strom. 1, 7, 38, 8;
4, 17, 105, 1; 5, 12, 80, 1), anche Marcione, Origene e Adamanzio sembrano aver conflato gli
stessi passaggi di 1 Clem.: fonte extracanonica indipendente dai vangeli sinottici o risultato di
una tradizione comune di fusione ed applicazione omiletica e catechetica (Hagner, 1973, pp.
162-164, e 1985, pp. 237-238)?
217
Lohmeyer, 1953, p. 152. Cfr. anche Kuhn, 1933, p. 513.
218
Vos, 1965, pp. 162-163, e Vanni, 1991, pp. 30-31.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 159

gwgai`~ uJmw`n
kai; diwvxete kai; diwvxousin,
ajpo; povlew~ eij~ povlin
«kai; ejn aujth`æ o{pw~ e[lqhæ ejfÆ uJma`~ i{na ejkzhthqh`æ
ai\ma profhtw`n pa`n ai\ma divkaion to; ai\ma pavntwn tw`n
profhtw`n
kai; aJgivwn euJrevqh kai;
pavntwn tw`n ejsfagmevnwn
ejkcunnovmenon to; ejkkecumevnon
ejpi; th`~ gh`~» ejpi; th`~ gh`~»
ajpo; katabolh`~ kovsmou
ajpo; th`~ genea`~
tauvth~»

Altri paralleli:
 1 Ts 2, 14-15: «ta; aujta; ejpavqete kai; uJmei`~ uJpo; tw`n ijdivwn sumfuletw`n
kaqw;~ kai; aujtoi; uJpo; tw`n ÆIoudaivwn, tw`n kai; to;n kuvrion ajpoktei-
navntwn ÆIhsou`n kai; tou;~ profhvta~, kai; hJma`~ ejkdiwxavntwn, kai; qew`æ mh;
ajreskovntwn, kai; pa`sin ajnqrwvpoi~ ejnantivwn»

Nella generale diffusione del topos della morte violenta dei profeti (cfr.
1 En. 89, 51.53; Giub. 1, 12; At 7, 52; Eb 7, 37-38; Giustino, Dial. 14, 6; Ire-
219
neo, Haer. 4, 28, 3 e 5, 14, 1) , Ap sembra aver preservato un frammento
specifico di tradizioni gesuane a noi conosciute attraverso Q e Paolo,
220
quest‘ultimo più vicino, probabilmente, alla variazione matteana .
All‘ampio respiro discorsivo di tali rifrazioni, si contrappone in Ap un
detto isolato, corrispondente a Mt 13, 35 e Lc 11, 50: se il termine «ai|ma» e
l‘inclusività resa da varie forme di pa'~ caratterizzano tutti e tre i passaggi, il
genitivo «tw'n profhtw'n» retto da «ai|ma» accomuna Ap e Lc, contro
l‘aggettivo «divkaion» di Mt; la generalizzazione «ejpi; th'~ gh'~», al contra-
221
rio, isola Ap e Mt . Il participio «ejsfagmevnwn» e la menzione degli
«a{gioi», invece, tradiscono direttamente la mano di Giovanni, traducendo
nel suo linguaggio i due gruppi, ovvero seguaci di Gesù («profeti» – «santi»)

219
Testi e discussione in Steck, 1967, pp. 60-184.
220
Cfr., in particolare, Mt 23, 32.37 e 1 Ts 2, 16 («plhrwvsate […] h{xei […] ejpi; th;n
genea;n tauvthn» – «eij~ to; ajnaplhrw'sai […] e[fqasen de; ejp‘ aujtouv~»). Commento in
Wenham, 1981, pp. 361-363. Steck, 1967, pp. 274-278, propone un raffronto anche con la
parabola dei vignaioli malvagi in Mc 12, 1-9.
221
Vos, 1965, p. 163. Cfr. Kuhn, 1933, p. 513, e Lupieri, 2000, pp. 239 e 294.
160 Capitolo secondo

222
e tutti i giusti/profeti uccisi, o «sgozzati», sulla terra , che si riscontrano an-
che nei paralleli sinottici e paolino come vittime passate, presenti e future
223
della città o dei «Giudei» . Ogni volta, insomma, rappresentazione della
comunità e urgenza dell‘esperienza di persecuzione (cfr. Ap 2, 9 e 3, 9) sti-
224
molano e dettano la riattualizzazione .

225
2.2.16 La parabola del banchetto nuziale (Ap 19, 6-9) .
Ap Mt Lc

19, 6-7.9: «aJllhloui>av, 22, 2-3: 14, 15-16.24:

o{ti ejbasivleusen kuvrio~ «wJmoiwvqh hJ basileiva


oJ qeo;~ »hJmw`n¼ oJ panto- tw`n oujranw`n ajnqrwvpwó
kravtwr. basilei`,
caivrwmen kai; ajgal-
liw`men, kai; dwvswmen th;n
dovxan aujtw`æ,
o{ti h\lqen oJ gavmo~ o{sti~ ejpoivhsen gavmou~
tou` ajrnivou […] tw`æ uiJw`æ aujtou`.
kai; ajpevsteilen tou;~
douvlou~ aujtou` kalevsai
«ajkouvsa~ dev ti~ tw`n
sunanakeimevnwn tau`ta
kai; levgei moi, gravyon: ei\pen aujtw`æ,
makavrioi makavrio~ o{sti~ favge-
226
tai a[rton ejn th`æ basi-
leivaæ tou` qeou`. oJ de;
ei\pen aujtw`æ, a[nqrwpov~
ti~ ejpoivei dei`pnon mev-
ga, kai; ejkavlesen pol-

222
Cfr. Ap 6, 9; 11, 18; 16, 6. Sullo stretto legame, se non proprio, in alcuni casi, equi-
valenza, tra giusti e profeti, vedi Mt 13, 17 e 23, 29; Flavio Giuseppe, A.J. 10, 38; 2 Bar. 85,
1.3.12; Eb 11, 32-33; Gc 5, 16-18; Ascen. Isa. 2, 5.12; 4, 22; 6, 17; 9, 36.
223
Su Gerusalemme come „r dmym, vedi Ez 22, 2-3.6.9.12.27; 36, 18; 1QpHab 9 – 12;
4Q175 21-30; 4Q379 2, 7-14; 2 Bar. 64, 2.
224
Il vincolo tra le prime due è particolarmente forte in Ap, come già rilevato da Satake,
1966, pp. 26-34 e 47-57, proprio in riferimento ai termini «oiJ a{gioi» e «profhvth~».
225
Vos, 1965, pp. 163-174, e Vanni, 1991, pp. 31-34.
A* W f13 å sys.c Cyrlem leggono ariston. Cfr. Mt 22, 4 e le osservazioni di Pesce,
226

1978, pp. 187; 190 e n.56; 196 e n.63.


Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 161

louv~ […]
levgw ga;r uJmi`n o{ti
oiJ eij~ to; dei`pnon tou` tou;~ keklhmevnou~ eij~ oujdei;~ tw`n ajndrw`n ej-
gavmou tou` ajrnivou tou;~ gavmou~» keivnwn tw`n keklhmevnwn
keklhmevnoi» geuvsetaiv mou tou` deiv-
pnou»

Altri paralleli:
 Vang. Tom. 64, 1.11-12: «Un uomo aveva ospiti, e, quando ebbe preparato
il banchetto, disse al suo servo di invitare gli ospiti […] Disse il padrone al
servo. ―Va‘ di fuori per le strade, e quelli che troverai portali a banchetta-
re!‖. Compratori e mercanti non entreranno nei luoghi di mio padre»
 Atti Fil. 135: «ijdou; oJ numfwvn mou e{toimov~ ejstin, ajlla; makavriov~ ejstin oJ
euJreqei;~ ejn aujtw`æ e[cwn to; e[nduma lamprovn: aujto;~ gavr ejstin oJ lam-
bavnwn to;n stevfanon ejpi; th`~ kefalh`~ aujtou`. ijdou; to; dei`pnon e{toimon,
kai; makavrio~ oJ kalouvmeno~ kai; e{toimo~ genovmeno~ ejlqei`n pro;~ to;n
keklhkovta aujtovn »
 Ps.-Clemente, Hom. 8, 22, 3 – 8, 23, 1: «ajlla; kaiv tine~ tou` hJmetevrou
e[qnou~, oi{tine~ ejpi; kakai`~ pravxesin uJpo; tou` th`~ kakiva~ hJgemovno~
prolhfqevnte~, e[peita w{sper ejpi; dei`pnon uJpo; patro;~ uiJw`æ telou`nto~
gavmou~ klhqevnte~ oujc uJphvkousan. ajnti; de; tw`n ajpeiqhsavntwn dia; th;n
provlhyin oJ tou;~ gavmou~ tw`æ uiJw`æ telw`n path;r dia; tou` profhvtou th`~
ajlhqeiva~ ejkevleusen hJmi`n eij~ ta;~ diexovdou~ tw`n oJdw`n ejlqou`sin (o{ ej-
stin pro;~ uJma`~) kaqaro;n e[nduma gavmou peribalei`n (o{per ejsti;n bav-
ptisma, o} eij~ a[fesin givnetai tw`n pepragmevnwn uJmi`n kakw`n) kai; tou;~
ajgaqou;~ eij~ to; qeou` dei`pnon eijsavgein ejk th`~ metameleiva~, eij kai; th;n
ajrch;n ajpeleivfqhsan th`~ eujwciva~»

Se rare sono, nel quadro della letteratura giudaica coeva, le attestazioni


227
del motivo del Messia sposo di Israele e delle sue nozze , la tematizzazione
iniziale, in Ap 19, 6-7, di una coincidenza tra stabilimento del regno di Dio e
venuta delle nozze dell‘Agnello invita immediatamente ad un raffronto con
la parabola gesuana del grande banchetto, preservataci in tre versioni indi-
228
pendenti, due delle quali, Mt 22, 1-14 e Lc 14, 15-24, forse derivanti da Q .
227
Vos, 1965, pp. 165-166, e Aune, 1998b, p. 1030. Rimane sempre valida l‘obiezione,
per quanto solo parziale, di Vanni, 1991, p. 32, che «l‘Apocalisse trasferisce direttamente al
Cristo risorto molte prerogative di Dio riscontrabili nell‘AT», e quindi teoricamente anche il
ruolo di sposo di Israele (Os 2, 19-20; Ger 3, 20; Ez 16, 8-14; Is 49, 18; 50, 1; 54, 1-6; 62, 5;
Tg. Sal 48; Tg. Cant).
228
Cfr. Pesce, 1978, e Jones, 1995, pp. 400-401. Aguirre Monasterio, 2006, pp. 122-
124, con letteratura, si pronuncia per un‘origine orale pre-matteana di Mt 22, 1-14: si tratte-
rebbe di un‘altra parabola, affine a e diversa da Lc 14, 15-24, e indipendente da Q. Sulla ver-
162 Capitolo secondo

La riscrittura offerta dall‘ottava omelia pseudo-clementina sembra essere in-


vece ricalcata per la gran parte sulla versione matteana, pur lasciando affio-
rare particolarità riconducibili a una «tradizione evangelica giudeo-cristiana
che si è sviluppata su una traiettoria divergente», rappresentata anche da
Vang. Tom., Marcione e numerosi testimoni del testo occidentale di Lc, la
229
traduzione araba del Diatessaron di Taziano .
I tre testi (Ap, Mt, Lc) sono legati dall‘occorrenza del participio sostan-
tivato oiJ keklhmevnoi, precisato in Ap e Mt da sintagmi analoghi, rispettiva-
mente «eij~ to; dei`pnon tou` gavmou» e «eij~ tou;~ gavmou~», mentre Lc sottin-
tende, con tutta probabilità, un eij~ to; dei`pnon (cfr. 14, 16 e 24).
Ap e Lc, contro Mt, hanno in comune il solo termine dei'pnon e la sua
specificazione come di Gesù. Il termine ricorre peraltro anche nel copto di
Vang. Tom., insieme al verbo corradicale deipnevw. Caratteristica, ma non
decisiva a provare contatti di alcun tipo, è poi la forma del macarismo, che,
in Lc, introduce e provoca la parabola, qualificandola come parabola del Re-
gno, mentre in Ap, chiude, in bocca all‘angelo, la proclamazione e riflette sui
suoi significati. Fa così da contrappunto positivo alla sentenza di esclusione
degli invitati in Lc e Vang. Tom., ancora sulla bocca di Gesù (cfr. anche At.
230
Fil. 135) .
231
Più fitte e nevralgiche appaiono le corrispondenze con Mt 22, 1-14 : il
232
banchetto di Ap è un banchetto di nozze (gavmo~; cfr. Mt: gavmo~/gavmoi) , per
cui ai santi è richiesta una veste di bisso «splendente puro» (cfr. Ap 19, 14, la
«veste di nozze» di Mt 22, 11-12, e la «veste di nozze pura» dello Ps.-
Clemente); le celebrazioni sono proclamate e si succedono immediatamente
a ridosso dell‘incendio e della distruzione della città che ha versato il sangue
dei servi (cfr. Mt 22, 6-7 e Ap 17, 16; 18, 9.18.24; 19, 1-3); lo stesso binomio
di Mt 22, 14, «klhtoiv»/«ejklektoiv», ritorna in Ap 17, 14 ad evocare prolet-

sione di Vang. Tom., cfr. Beatrice, 1978. Crossan, 1985, pp. 39-52, offre un‘analisi della tra-
smissione della parabola, nelle sue tre stesure, a partire dalle sue recitazioni orali da parte di
Gesù.
229
Analisi e conclusioni in Beatrice, 1978, pp. 245-246 e 270-274 (citazione pp. 272-
273). Data la diffusione ramificata del cosiddetto Sondergut matteano in tradizioni indipen-
denti dal primo vangelo (cfr. Gc, Did., Vang. Tom., Ascen. Isa., Ignazio), rimane, a conti fatti,
problematico stabilire se e quanto sia appropriato identificare e classificare tale materiale co-
me Sondergut e come ―matteano‖, se non persino ―pre-matteano‖. Cfr. le prospettive offerte
da un‘analisi interna del materiale proprio a Mt in Jones, 1995, pp. 402-410, relativamente
alla nostra parabola, e Aguirre Monasterio, 2006, pp. 118-129, più in generale.
230
Vos, 1965, p. 172, e Vanni, 1991, p. 33.
231
Vos, 1965, pp. 172-174; Crossan, 1985, pp. 46-51; Lupieri, 2000, p. 298.
232
La combinazione di «dei'pnon» e «gavmo~»/«gavmoi» ricorre ancora solo nelle Omelie
pseudo-clementine.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 163

ticamente gli eserciti dell‘Agnello radunati per la battaglia escatologica su


233
cui le nozze si aprono (cfr. Ap 19, 11-21) .
Individuare le affinità, come si vede, non significa comunque poterle a-
strattamente isolare dal diverso contesto e dall‘interpretazione che il testo di
Giovanni ne propone.
Nella dissoluzione della sua struttura narrativa originale, la parabola è
ora mostrata accadere, il banchetto nuziale infatti diventa «un evento rea-
234 235
le» : gli invitati coincidono con la sposa stessa (cfr. Ap 19, 7-8) , una batta-
glia inaugura le nozze e i festeggiamenti si proiettano nella discesa della Ge-
236
rusalemme celeste (cfr. Ap 21, 2.9-10) .
Nella promessa di questo futuro, si inscrive il presente delle comunità e
dei loro vincitori, sulla base, non ultimo, della fedeltà al testo profetico che
lo ha creato da tradizioni letterarie e/o orali condivise (cfr. Ap 21, 1-7 e 22,
14-15.18-19).

237
2.2.17 La parusia ed il giudizio (Ap 22, 12) .
Ap Mt 1 Clem. Apoc. Piet. 2 Clem.

22, 12: «ijdou; 16, 27: 34, 3: «ijdou; 1: 11, 6: «pisto;~


«mevllei ga;r gavr ejstin
oJ uiJo;~ tou` oJ kuvrio~, oJ ejpaggeilav-
ajnqrwvpou meno~
e[rcomai e[rcesqai «io verrò
tacuv,
kai; oJ misqov~ kai; oJ misqo;~ ta;~ ajntimisqiv-
a~
mou aujtou`

233
Cfr. Miller, 1998, pp. 314-316. Il detto «polloi gar eisin klhtoi oligoi de ekle-
ktoi» è aggiunto a Mt 20, 14 da C D W Q f1.13 å latt sy mae bopt, e a Lc 14, 24 da G f13 579
700 892mg al, e attestato indipendentemente da Barn. 4, 14 (discussione in Koester, 1957, pp.
125-158, e Hagner, 1985, p. 242): «o{tan blevpete meta; thlikau`ta shmei`a kai; tevrata ge-
gonovta ejn tw`æ ÆIsrahvl, kai; ou{tw~ ejnkatalelei`fqai aujtouv~, prosevcwmen, mhvpote, wJ~
gevgraptai, ―polloi; klhtoiv, ojlivgoi de; ejklektoi;‖ euJreqw`men». Il contesto di trasmissione,
come si vede, non è qui troppo distante da quelli di Mt e Ap (cfr. anche Barn. 4, 11-13).
234
Vanni, 1991, p. 33.
235
Vos, 1965, p. 171, e Miller, 1998, pp. 304-305 e 315-316. Siamo alla confluenza del-
la parabola gesuana con la tradizione della comunità come sposa di Cristo (cfr. 2 Cor 11, 2; Ef
5, 25-33; 2 Clem. 14, 2; più allusivamente, sembrano presupporla anche Rm 7, 1-4, e 1 Cor 6,
14-17).
236
Miller, 1998, pp. 309-316.
237
Vos, 1965, pp. 174-178.
164 Capitolo secondo

metÆ ejmou`, pro;


proswvpou
aujtou`,
ejn th`æ dovxhæ nella mia
tou` patro;~ gloria,
aujtou`
meta; tw`n ajg- con tutti i
gevlwn aujtou`, miei santi
kai; tovte angeli, […]
ajpodou`nai ajpodwvsei ajpodou`nai e renderò ajpodidovnai
eJkavstwó eJkavstwó eJkavstwó a ciascuno eJkavstwó
wJ~ kata; th;n kata; to; secondo
238
to; e[rgon pra`xin e[rgon la sua opera» tw`n e[rgwn
ejsti;n
aujtou'» aujtou'» aujtou'» aujtou`»

Altri paralleli:
 Barn. 21, 3: «ejggu;~ oJ kuvrio~ kai; oJ misqo;~ aujtou`»

Partiamo da una impasse. D.A. Hagner concludeva il confronto e


l‘analisi di Ap 22, 12 e 1 Clem. 34, 3, sostenendo l‘esistenza di una combi-
nazione tradizionale di Is 40, 10 e 62, 11; Pr 24, 12; Sal 61, 13 LXX comune
ai due testi: le concordanze dell‘infinito «ajpodou'nai», di «to; e[rgon» e del
«kaiv» prima di «oJ misqo;~», contro i passi delle scritture ebraiche, sono, in-
fatti, bilanciate dalle opposizioni «pro; proswvpou aujtou'»/«metÆ ejmou'» e «oJ
239
kuvrio~»/«e[rcomai tacuv» . L‘occorrenza unica del verbo ajpodivdwmi ed ec-
cezionalmente del singolare «to; e[rgon», altrove sempre al plurale, nel greco
di Ap (cfr., in particolare, 2, 23!) confermerebbero l‘origine da una fonte pre-
240
esistente . Quanto all‘identificazione concreta di questa fonte, le alternative
di Hagner erano le scritture ebraiche canoniche, o uno scritto ―apocalittico‖
241
perduto .
Ora, per quel che ci interessa, da un lato, 1 Clem. 34, 3 rivela precise
corrispondenze tematiche e strutturali con Mt 16, 27 e Apoc. Piet. 1, forse
242
indipendente da Mt , i paralleli, dal canto loro, più prossimi, ancora una vol-
ta, ad Ap 22, 12: la sequenza parusia e giudizio individuale basato

‫ *א‬f1 it vgcl sy co leggono il più facile e meno raro ta erga.


238

239
Hagner, 1973, pp. 61-62 e 270-271.
240
Cfr. Vos, 1965, p. 176, e Aune, 1998b, p. 1218.
241
Hagner, 1973, p. 271.
242
La possibilità è in effetti lasciata aperta e sostenuta da Buchholz, 1988, pp. 267-276 e
406, contro Bauckham, 1988, pp. 4723-4724.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 165

sull‘azione o l‘opera si estende, di fatto, anche a testi in cui Gesù parla di sé


243
stesso o del Figlio dell‘Uomo o del Figlio di Dio , e si snoda in una fraseo-
244
logia affine (ijdouv/e[rcomai; ajpodivdwmi; singolare di e[rgon o pravxi~ );
dall‘altro, la citazione, già introdotta da un «prolevgei» allineato al «levgei»
245
di 1 Clem. 34, 8 contro il «levgei hJ grafhv» di 1 Clem. 34, 6 , è tramandata
in una sezione parenetica che fonda il suo discorso sulla prospettiva delle
benedizioni escatologiche, riassunte appunto al v. 8, dall‘ulteriore rifrazione
di «un detto in cui Gesù prometteva ai suoi beni futuri nel mondo che ver-
246
rà» . Questo legame emerge ancora più accentuato in 2 Clem. 11, 6: nello
sfumare di distinzioni tra Gesù e Dio, in quanto Signore, per le formule di
247
citazione di logoi gesuani (cfr. 2 Clem. 13, 2 e 4) , le promesse di 11, 7 sul
regno di Dio attivano l‘allusione allo stesso detto, e richiamano, contempo-
raneamente, l‘«oJ ejpaggeilavmeno~» del verso precedente, andando logica-
248
mente ad includere anche quella lì espressa .
Queste due linee di ragionamento potrebbero far ipotizzare quantomeno
che il nostro detto circolasse e fosse conosciuto, in varie forme, anche sotto
249
il nome e l‘autorità di Gesù: è decisamente il caso di Mt, Ap e Apoc. Piet. .
In Ap, sulla bocca del suo angelo, viene declinato di nuovo alla prima perso-
na singolare e determinato temporalmente dal «tacuv» apposto ad

243
Cfr. Vos, 1965, pp. 175-176, e Aune, 1998b, pp. 1218-1219.
244
Cfr. Sir 35, 22: «e{w~ ajntapodw/' ajnqrwvpw/ kata; ta;~ pravxei~ aujtou'», dove però
ricorre il più comune plurale.
245
Pesce, 2005, p. 639. Il soggetto rimane incerto tra Dio e Gesù. Clemente stesso oscil-
la tra Dio e Cristo come autori delle scritture ebraiche, attribuendo ad entrambi il titolo di
«kuvrio~» (cfr. Hagner, 1973, pp. 26-33 e 272-277).
246
Pesce, 2005, p. 529. Cfr. Mt 13, 16-17 // Lc 10, 23-24; 1 Cor 2, 9; Gc 1, 12 e 2, 5;
Vang. Tom. 17; Atti Piet. 39; Mart .Piet. 10; Dial. Salv. 139, 20 – 140, 9; Pr. Paolo A 25-29;
Clemente d‘Alessandria, Protr. 10, 94, 4; Const. ap. 7, 32, 5; T. Dom. 1, 28; fr. manicheo del
Turfan M 789; T. Dom. Gal. 11; Vang. Giov. Apocr. 30, con il commento di Pesce, 2005, pp.
511-512; 573; 639; 671; 679; 683.
247
Cfr. Donfried, 1974, p. 49, in generale, e Pesce, 2005, p. 645, in particolare, sull‘ ―a-
graphon‖ di 2 Clem. 13, 2.
248
Vale la pena notare come in 2 Clem. 12, 1-6 e 13, 2-4 l‘argomentazione poi proceda
e si sviluppi su una linea continua di ―agrapha‖ gesuani, per concludersi, a composizione ad
anello, con una nuova reminiscenza del logos sui doni approntati dal Signore per i suoi eletti
in 14, 5. Cfr. Lührmann, 2000, pp. 132-137. Sulla compiutezza di questa sezione, vedi anche
le osservazioni sparse di Donfried, 1974, pp. 150; 152; 165-168.
249
Per casi analoghi di attribuzione a Gesù, cfr., tra gli altri, Ps.-Filone, L.A.B. 26, 13, 1
Cor 2, 9 e Pr. Paolo A 25-29, e i già citati Mt 13, 16-17//Lc 10, 23-24; Vang. Tom. 17; Atti
Piet. 39; Mart. Piet. 10; Dial. Salv. 139, 20 – 140, 9; Clemente di Alessandria, Protr. 10, 94,
4; Const. ap. 7, 32, 5; inoltre, At 14, 22 e Barn. 7, 11, Tertulliano, Bapt. 20, Atti Giov. Proc.
25, Ps.-Macario, Hom. 27, 20; Ef 4, 26 e Adamanzio, Fid. 13, Did. syr. 2, 53, Const. ap 2, 53,
1-3, Vit. Syncl. 63; Clemente d‘Alessandria, Quis div. 40, Ps.-Atanasio, Quaest. Ant. 36, Eva-
grio, Vit. Ant. 15, Giovanni Climaco, Scal. Parad. 7, 16 e Giustino, Dial. 47, 5, e Lib. grad. 3,
3 e 15, 4; Ef 4, 30 e Herm. Mand. 10, 2, 5, e Girolamo, Comm. Ezech. 6, 18, 7.
166 Capitolo secondo

«e[rcomai» secondo una formula tipica di Giovanni (cfr. Ap 2, 16; 3, 11; 22,
250
7.20) . I termini della profezia ne risultano, come dire, prolungati e accor-
ciati, l‘attesa del suo compimento ravvivata e riattualizzata nel dialogo a di-
stanza conclusivo con le sette comunità cui Ap è diretta.

2.2.18 L‘invio dello Spirito e le due testimonianze (Ap 22, 16)

Ap e Gv condividono la costruzione di marturevw con l‘accusativo nella


251
sfumatura di «rivelare le cose celesti in qualità di testimoni oculari» : Gio-
vanni il Battezzatore e Gesù attestano ciò che hanno visto ed udito (Gv 1, 32-
34; 3, 11.32), rendendo testimonianza alla verità (Gv 5, 33 e 18, 37); Gio-
vanni testimonia le sue visioni, ovvero «la parola di Dio e la testimonianza
di Gesù Cristo», identica ,a sua volta, con lo svelamento di segreti,
252 253
l‘«ajpokavluyi~» , che Dio ha dato a Gesù Cristo (Ap 1, 1-3) . In Gv 3, 11 e
18, 37, e Ap 22, 16.18.20, parlano rispettivamente Gesù e il suo angelo a suo
nome, e definiscono entrambi la propria missione come attività di testimoni:
è possibile tracciare una relazione più diretta tra alcuni usi dell‘espressione
nei due testi?
Una delle promesse di invio dello Spirito reiterate dal Gesù giovanneo
nei discorsi di addio, e le parole di chiusura del Gesù dell‘Ap, in bocca
all‘angelo, offrono sicuramente uno spiraglio interessante per il confronto:
Ap Gv Lc

22, 16: 15, 26-27: 24, 48-49: «uJmei`~ mavr-


ture~ touvtwn.
«o{tan e[lqhæ oJ pa-
ravklhto~
«ejgw; ÆIhsou`~ o}n ejgw; kai; »ijdou;¼ ejgw;
e[pemya pevmyw uJmi`n ajpostevllw

250
Aune, 1998b, p. 1218.
251
Per la costruzione, cfr. anche 1 Tm 6, 13, dove però marturevw rimane confinato
nell‘ambito tecnico forense, senza ulteriori connotazioni. Sull‘uso di Gv e Ap, vedi Brox,
1961, pp. 70-76 e 92-105, e, soprattutto, Beutler, 1975, pp. 75-144; 182-183; 188-191; 284-
286; 307-313; 318-338.
252
Cfr. Smith, 1989.
253
Il verbo divdwmi si sovrappone qui alla sfera semantica di deiknuvw (cfr. Gv 5,
20.22.36), esattamente come i correlativi e[cw, lambavnw e il possessivo ejmov~ glossano ajkouvw
in Gv 16, 13-15 (cfr. anche Ap 3, 3 e, soprattutto, 5, 1.4.7-8, con il nesso tematico lambavnw –
ajnoivgw – blevpw, che apre a Ap 10, 1-2.8-11). Si tratta quindi di un primo passaggio di rivela-
zione.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 167

to;n a[ggelovn mou th;n ejpaggelivan


para; tou` patrov~, tou` patrov~ mou
ejfÆ uJma`~» (cfr. At 1, 8 e 2,
33)
to; pneu`ma th`~ ajlhqeiva~
o} para; tou` patro;~ ejk-
poreuvetai,
marturh`sai uJmi`n ejkei`no~ marturhvsei
tau`ta ejpi; tai`~ peri; ejmou`. kai; uJmei`~ de;
ejkklhsivai~» marturei`te»

Altri paralleli:
 Gv 14, 26: «oJ de; paravklhto~, to; pneu`ma to; a{gion o} pevmyei oJ path;r ejn
tw`æ ojnovmativ mou, ejkei`no~ uJma`~ didavxei pavnta kai; uJpomnhvsei uJma`~ pavn-
ta a} ei\pon uJmi`n »ejgwv¼ »; 16, 7: «eja;n ga;r mh; ajpevlqw, oJ paravklhto~ oujk
ejleuvsetai pro;~ uJma`~: eja;n de; poreuqw`, pevmyw aujto;n pro;~ uJma`~»
 Lib. grad. 9, 12: «Quando invierò il Paracleto agli apostoli, renderò anche
voi perfetti»

Proviamo innanzitutto a delineare una prima fisionomia del testimoniare


di Gesù nello Spirito condivisa dai due redattori: in Gv, lo Spirito, che esce
(ejkporeuvomai) dal Padre, sarà inviato dal Padre stesso in nome di Gesù,
ovvero da Gesù da parte del Padre, e testimonierà, ripetendo quello che a-
scolterà, e riferendo ciò che viene («ta; ejrcovmena»), e sempre ricevendo da
Gesù che ha dal Padre (cfr. Gv 14, 16-17.26; 15, 26; 16, 7-15); in Ap, Dio e
Gesù hanno inviato il proprio angelo a mostrare o testimoniare ciò che è sta-
bilito accadrà in fretta, ricevendo da Dio che ha dato a Gesù (cfr. Ap 1, 1 e
254
22, 6.16) . Questa azione rivelatrice di Gesù viene identificata con lo «Spiri-
to della profezia», che parla per bocca dell‘angelo (Ap 2, 7.11.17.29; 3,
6.13.22; 14, 13). Meglio e più precisamente, presa dall‘altro verso: l‘angelo
inviato da Dio e Gesù è implicitamente ed esplicitamente individuato tra i
sette angeli che stanno al cospetto di Dio (cfr. Ap 1, 12-16; 8, 2; 15, 1-8; 17,
1; 21, 9). Questi coincidono con i sette spiriti (pneu'ma) che escono (ejkpo-
reuvomai) dal trono di Dio, bruciandovi dinanzi (Ap 4, 5), e sono inviati sulla
terra (Ap 5, 6). Sono gli stessi che compaiono nella formula di saluto di Ap 1,

254
Gli eventi che si compiranno a breve scadenza coprono la venuta dell‘ora della prova
su tutti gli abitanti della terra (Ap 3, 10), la venuta di Dio (Ap 1, 4.8; 4, 8; 11, 17-18), la venu-
ta di Cristo (Ap 1, 7; 2, 5.16.25; 3, 3.11; 16, 15; 19, 7; 22, 12.17.20). La stessa estensione pro-
fetica all‘escatologia si intravede nei «ta; ejrcovmena» promessi come annuncio dello Spirito in
Gv 16, 13. Cfr. convincentemente Frey, 2000, pp. 190-204.
168 Capitolo secondo

255
4-6, tra Dio e Gesù Cristo . Insomma, l‘angelo è anche un angelo dello Spi-
rito, oppure, detto in termini invertiti, Giovanni concepisce lo Spirito, indi-
256
vidualmente e corporativamente, sotto forma angelica .
Su questi presupposti culturali comuni, prendono corpo corrispondenze
formali più strette fra Ap 22, 16 e Gv 15, 26: il verbo pevmpw in prima perso-
na, all‘aoristo in Ap, al futuro in Gv, la funzione di testimonianza espressa da
marturevw, i destinatari, della testimonianza in Ap, dell‘invio in Gv, indicati
con il pronome personale di seconda persona plurale. Diverge, è vero,
l‘identità dell‘inviato, l‘angelo di Gesù in Ap, lo Spirito di verità in Gv. Tut-
tavia, come abbiamo visto, tanto Ap che Gv tendono, di fatto, a sovrapporre
le concezioni di angelo e Spirito. Anche Lc conosce una tradizione simile,
con l‘equivalente ajpostevllw al posto di pevmpw, il «voi» dei discepoli come
destinatari, e la «promessa del Padre mio» per oggetto. Mi sembra significa-
tivo che, in At 1, 8 e 2, 33, questa promessa sia poi ulteriormente qualificata
257
come dono dello «Spirito santo» . Dall‘analisi emerge così un nucleo for-
male sufficientemente stabile da far pensare alla circolazione e riproduzione,
in variazioni molteplici, di un detto attribuito a Gesù sull‘invio dello Spirito
ai discepoli.
Si possono qui misurare e caratterizzare, più o meno sottilmente, con-
258
vergenze e divergenze di dettaglio tra Ap e Gv, come è stato fatto . Allar-
gando ancora la comparazione, appare evidente che le une e le altre, e la
forma stessa del detto con le sue variazioni, si innestano su un complesso di
tradizioni attestato anche dai Sinottici (cfr. Mc 13, 9.11 // Lc 21, 15, in paral-
lelo ad At 6, 10; Mt 10, 18-20 // Lc 12, 11-12 [= Q]), e riportato come parole
di Gesù, sulla promessa dello Spirito e della sua testimonianza ai e nei di-
scepoli.

255
La migliore e più approfondita discussione dei passi si trova in Gieschen, 1998, pp.
260-269, che però non si spinge fino ad identificare il «simile ad un figlio d‘uomo» di Ap 1,
13 e ss. con l‘angelo o uno degli angeli dello Spirito (cfr. Ap 1, 13 e 15, 6, e 14, 14). Una ne-
cessaria integrazione comparativa forniscono le osservazioni di Norelli, 1980, pp. 346-364, e
1983, pp. 215-220; 259-266; 271-274. Cfr. anche Lupieri, 2000, pp. 141; 159; 236; 353-354.
256
Vedi anche infra, 2.2.19 e n. 269. Cfr. Filone, Mos. 1, 274.277; Flavio Giuseppe, A.J.
4, 108; Lc 1, 26.35 e 24, 49; At 8, 26.28.39; Ascen. Isa. 3, 15; 4, 21; 9, 33-36.40; 10, 4; 11,
4.33-34; Lib. Elch. in Ps.-Ippolito, Haer. 9, 13, 1-3; Herm. Mand. 11, 9-10 e Sim. 9, 1-3; il
maestro ebreo in Origene, Princ. 1, 3, 4. Che anche dietro la personalizzazione giovannea del-
lo Spirito inviato come «oJ paravklhto~» si celi un riflesso di questa pneumatologia angelo-
morfica? Vedi l‘interessante analisi di Gieschen, 1998, pp. 286-293.
257
Va qui notato, inoltre, a sostegno di quanto stiamo dicendo, che sia in Gv 15, 26 che
in Lc 24, 48-49 ricorre anche un riferimento esplicito alla funzione di testimoni prospettata ai
discepoli stessi. Il motivo non è estraneo nemmeno ad Ap (cfr., ad esempio, 6, 9 e 17, 6)
258
Cfr. Beutler, 1975, pp. 190-191; 330; 335-336, e Frey, 1993, pp. 389 e 392-393.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 169

259
In questo contesto, si viene poi profilando lo specifico giovannista : le
parole al passato dell‘angelo inquadrano l‘esperienza profetica vissuta da
Giovanni precisamente nel modello che ritroviamo fondato dal redattore del
vangelo nella vicenda storica di Gesù, e di qui proiettato nel futuro.
Un ultimo punto che mi pare importante sottolineare: nella testimonian-
za del Paracleto, è compreso il compito di ricordare ai discepoli tutte le paro-
le del maestro (Gv 14, 26; cfr. 2, 22 e 7, 39). Testimonianza della testimo-
nianza, dunque, può essere considerata in parte la sua azione, tanto più che,
in Gv 4, 44 e 13, 21, marturevw introduce direttamente due detti profetici di
Gesù conosciuti anche ai Sinottici (cfr., rispettivamente, Mc 6, 4 e parr. e 14,
18 e parr.). Di entrambi il redattore del vangelo vuole constatare
260
l‘adempimento e di conseguenza la veridicità . Mi sembra evidente che si
tratti della stessa continuità dialettica tra le due testimonianze che stiamo rin-
tracciando in quella singola e specifica marturiva di Gesù che vuole essere
ed è l‘Apocalisse di Giovanni.

261
2.2.19 La sete e l‘acqua della vita (Ap 22, 17)
Ap Gv

22, 17: «kai; oJ diyw`n 7, 37-38: «ejavn ti~ diya`æ


262
ejrcevsqw, ejrcevsqw prov~ me
263
oJ qevlwn labevtw kai; pinevtw oJ pisteuvwn eij~ ejmev .
kaqw;~ ei\pen hJ grafhv, potamoi; ejk th`~
koiliva~ aujtou` rJeuvsousin
264
u{dwr zwh`~ u{dato~ zw`nto~ »
dwreavn»
259
Cfr. anche Dodd, 1963, pp. 407-413; Brown, 1971, pp. 694 e 699-700;
Schnackenburg, 1992, pp. 163-169. Sull‘indipendenza di Gv da Lc, e, più in generale, dai Si-
nottici, vedi osservazioni e conclusioni in Schnackenburg, 1967, pp. 16-32, e Theobald, 2002,
pp. 56; 68-86; 113-118; 139-149; 156-162; 174-199, ma, soprattutto, Borgen, 1998, pp. 121-
157 e 185-204, ricco di spunti metodologici ricavati dalla comparazione dei testi. Un panora-
ma complessivo della problematica hanno offerto recentemente Labahn – Lang, 2004, e
Schreiber, 2006.
260
Su questo aspetto del profetismo giovannista, cfr., in particolare, Destro – Pesce,
2003, p. 96.
261
Taeger, 1989, pp. 67-85; Frey, 1993, pp. 395-398; Theobald, 2002, pp. 458-475.
pro~ me manca in ¸66* ‫ *א‬D b e vgms.
262

263
Accolgo la punteggiatura cosiddetta occidentale, con Bultmann, 1953, p. 228 e n.3;
Brown, 1966, pp. 320-321 e n.6; Schnackenburg, 1971, pp. 210-211 e n.3. Cfr. anche la di-
scussione in Bienaimé, 1990, in particolare, pp. 282-307.
264
Come mostrano i casi analoghi di Gv 8, 6; 12, 6.33; 13, 11; 21, 19, è l‘espressione
«tou`to de; ei\pen» a inizio di 7, 39 a interrompere e chiudere il discorso diretto di Gesù.
170 Capitolo secondo

Altri paralleli:
 Vang. Tom. 13, 5: «Io non sono il tuo maestro, poiché tu hai bevuto e ti sei
ubriacato della fonte zampillante che io ho misurato»; 28 (= P.Oxy. 1, 11-
17): «e[[s]thn ejn mevsw/ tou' kovsmou kai; ejn sarkei; w[fqhn aujtoi'~ kai; eu|-
ron pavnta~ mequvonta~ kai; oujdevna eu|ron diyw'nta ejn aujtoi'~; 108: «Chi
ha bevuto dalla mia bocca diverrà come me; anch‘io diverrò lui, e ciò che è
nascosto si rivelerà»
 Giustino, Dial. 114, 4: «wJ~ kai; caivrein ajpoqnhvskonta~ dia; to; o[noma to;
th`~ kalh`~ pevtra~, kai; zw`n u{dwr tai`~ kardivai~ tw`n diÆ aujtou` ajga-
phsavntwn to;n patevra tw`n o{lwn bruouvsh~, kai; potizouvsh~ tou;~ bou-
lomevnou~ to; th'~ zwh'~ u{dwr piei'n»

Sullo sfondo di una probabile derivazione da Is 55, 1, si viene precisan-


do un rapporto più diretto tra le due tradizioni: stessa è la struttura bimembre
del detto, in perfetto parallelismo in Ap, chiastica in Gv, equivalente la forma
265
condizionale in cui i due membri sono formulati , ancora, identica la fraseo-
logia del primo, con soggetto al singolare e l‘imperativo di e[rcomai coordi-
nato in terza persona, di contro al soggetto plurale («oiJ diyw'nte~») e al po-
reuvomai della LXX, e agli imperativi in seconda persona plurale del testo
masoretico di Isaia e della tradizione sapienziale (Pr 9, 5; Sir 24, 19-21 e 51,
266
23; Od. Sal. 30, 2) . Dalla sua, la versione aramaica conservata in Tg. Isa
passa da un soggetto di terza persona singolare con esortativi coordinati, a
soggetto ed imperativi di seconda persona plurale.
Un‘analisi più approfondita mostra poi come anche la costruzione del
secondo membro nei fatti si corrisponda. Per un verso, infatti, risalta l‘uso
comune del participio sostantivato come soggetto. Per l‘altro, il lambavnw di
Ap 22, 17 riprende chiaramente il divdwmi divino di 21, 6, e la coppia di ver-
bi, coprendo e implicando, dalla prospettiva di chi offre o da quella di chi
riceve, l‘atto del bere, si allinea all‘uso del redattore del vangelo, come atte-
267
stato in Gv 4, 10.13-14 e 7, 39 . Lambavnw finisce così per equivalere, nella
sostanza, al pivnw di Gv 7, 37. «Acqua di vita» e «acqua viva» rappresentano,
infine, varianti sinonimiche (cfr. Gv 6, 48 e 51), tanto che Gv 7, 38 («pota-
moi; […] u{dato~ zw`nto~») trova un suo preciso parallelo in Ap 22, 1 («po-
268
tamo;n u{dato~ zwh'~») .

265
Taeger, 1989, p. 68; Frey, 1993, p. 396; Theobald, 2002, pp. 459-460. Cfr. anche
l‘analisi della struttura letteraria di Ap 22, 17 proposta da Lupo, 2003, pp. 343-344.
266
Correttamente Theobald, 2002, pp. 470-471.
267
Theobald, 2002, pp. 460 e 465.
268
Taeger, 1989, pp. 67-68.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 171

Tutte queste osservazioni guadagnano di peso a considerare come le pa-


269
role siano da riportare all‘angelo di Gesù, che in nome di Gesù parla . Ciò
significa che il detto di Ap 22, 17 può essere attribuito, con un certa sicurez-
za, a Gesù stesso.
Allargando, ora, rapidamente lo sguardo a Vang. Tom. 28, 90 e 108, Mt
11, 28, Pist. Soph. 2, 95, 3 e Dial. Salv. 141, 3-6, non si può non riscontrare
come motivi e stilemi della discesa e dell‘invito della Sapienza si fossero già
fatti largo e diffusi in parole gesuane, con variazioni spesso indipendenti fra
270
di loro . Nel nostro caso specifico, Ap non sembra tradire l‘influenza del te-
sto scritto di Gv: l‘avverbio «dwreavn» riecheggia forse lo «a[neu ajrgurivou
271
kai; timh'~» del passo di Is secondo la LXX , e l‘uso di qevlw nel secondo
membro, di contro a pisteuvw, per integrare e orientare diyavw, ha un suo
preciso corrispettivo nell‘uso di verbi di volere e desiderare in tradizioni sa-
pienziali giudaiche (cfr. Filone, Virt. 79; Giustino, Dial. 114, 4; Tg. Isa 55,
1; Mek. a Es 19, 2c).
Ci si potrebbe, a questo punto, anche chiedere se l‘appena citata varia-
zione sul tema di Giustino rifletta e preservi una «Gemeindeüberlieferung»
272
nota a Gv, Ap e Giustino stesso, indipendentemente l‘uno dall‘altro . In ogni
caso, postulare un rapporto di dipendenza diretta tra Gv e Ap risulta in effetti
273
difficile .

269
Istruttivi le osservazioni e i dubbi di Lupieri, 2000, p. 358. Decisive sono però le ri-
correnze della fraseologia tipica del «simile a un figlio d‘uomo» (cfr. Ap 2, 7.11.17.29; 3,
6.13.22; 14, 13; 21, 9; 22, 18), l‘esistenza stessa di angeli delle singole comunità in Ap 2 – 3,
e gli evidenti caratteri celesti, quindi angelici e ―spirituali‖, della donna di Ap 12, in quanto
Israele primordiale o ejkklhsiva di Dio (per la corona, cfr. Ap 12, 1 con 4, 4.10; 6, 2; 14, 14;
per la vestizione di corpi e fenomeni celesti, con 10, 1, per lo splendore del sole, con 1, 16 e
10, 1, per l‘associazione con le stelle, con 1, 16). Sulla coppia angelo dello Spirito e angelo
della Chiesa, cfr. Ascen. Isa. 3, 15-16. In Herm. Sim. 9, 1, 1-3, la Chiesa e l‘angelo della con-
versione, il Pastore, sono considerati manifestazioni dello stesso Spirito, che è poi il Figlio di
Dio preesistente, ovvero l‘angelo gloriso da cui sono stati inviati (cfr. Sim. 9, 1, 1 e 5, 6, 4-7;
Vis. 5, 2; Mand. 11, 9-10). Cfr. anche 2 Clem. 14, 1-3. Sull‘identificazione della Sapienza ipo-
statizzata con lo Spirito e l‘Angelo del Signore e la sua manifestazione nel Tempio/Israele,
vedi già Sir 24, 3-17 e Sap 9, 9-11.17-18; 18, 15-16.
270
Cfr. le osservazioni di Theobald, 2002, pp. 470-471; 528; 530-532; 548-553, da inte-
grare con l‘analisi di DeConick, 1990, su Vang. Tom. 90, Mt 11, 28, Pist. Soph. 2, 95, 3 e
Dial. Salv. 141, 3-6.
271
Lupo, 2003, p. 350.
272
Così Taeger, 1989, p. 84 e n. 86 (cfr. anche analisi e puntualizzazioni di Theobald,
2002, pp. 80-86). Osserva ancora Taeger, 1989, p. 85, che, da un punto di vista di storia delle
tradizioni, Giustino (cfr. anche Dial. 69, 6) mostra «wie das Motiv vom lebendigen (bzw. Le-
bens-)Wasser mit Rückgriff auf atl. Weissagungen zur Sprache gebracht werden konnte, ein
Vorgang, den indirekt (da sie das Alte Testament nie zitiert) auch die Apk bezeugt und der
sich in dem dem Traditionsstück angehörenden Schriftzitat Joh 7, 38 andeutet».
273
Cfr. Berger, 1995, p. 616. Contro Frey, 1993, pp. 396-398, e Theobald, 2002, pp.
461-466 e 475-476, non calcherei sulla possibile distinzione tra il cristocentrismo di Gv 7, 37-
172 Capitolo secondo

Nella polifonia del monologo finale dell‘angelo, il logos, come dicevamo,


va attribuito sempre, interposta persona, a Gesù: la sua voce rinnova la pro-
messa di Ap 21, 6, e apre la visione di Ap 22, 1, nel presente della lettura e
dell‘ascolto, alle comunità che si accostano al testo e alla rivelazione gesua-
274
na che questo incorpora e trasmette .

3. TRAIETTORIE GESUANE.

Cerchiamo di riannodare le molteplici fila del discorso che siamo venuti


sviluppando.
Giovanni sembra aver avuto accesso tanto a rami di tradizione gesuana
confluiti anche in Q, Mt, Lc e Gv, quanto a rivoli non catturati dalla trasmis-
275
sione evangelica divenuta poi canonica . Di caso in caso, le corrispondenze
con questa si lasciano difficilmente ridurre ad un contatto diretto, a maggior
ragione se il materiale gode di attestazioni multiple indipendenti, che lascia-
no supporre una più ampia circolazione prima e dopo la fissazione letteraria
276
nel testo di uno solo o più dei quattro .
A tenere conto della forma stessa e delle condizioni di propagazione, i
detti sono tutti mostrati accadere nella visione o proiettati oltre la visione, tra
e come eventi che si compiranno a breve termine nel piano divino (cfr. Ap
22, 6). Si stabilisce così una continuità dialettica, prima, tra la rivelazione
storica di Gesù e la rivelazione dell‘angelo, poi, tra queste ed il presente del-
le comunità d‘Asia (cfr. Ap 22, 16). La lettura assembleare della lettera in-
scrive lettore ed ascoltatori in questo orizzonte testuale e ne esplica appieno
il potenziale trasformativo (cfr. Ap 1, 3 e 22, 18-19): le parole gesuane, che
la nuova rivelazione ora analizza e interpreta, presenta e conferma come
predizioni, si fanno immagine, evento della visione e della realtà, e, nello
svelare il proprio senso profondo in connessione a fatti, personaggi, nomi,

38 ed un supposto teocentrismo di Ap 22, 17. Nonostante, infatti, Ap 21, 6 sia pronunciato dal
«Seduto sul trono», Ap 7, 17 e 22, 1, da un lato, e la coincidenza di predicati divini e gesuani
(cfr. proprio Ap 21, 6 e 22, 13), dall‘altro, consigliano prudenza nell‘imporre ai testi differen-
ziazioni troppo rigide. Cfr. Taeger, 1989, p. 35: «Das Lebenswasser-Motiv [ist] bewusst dem
Lamm zugeordnet und eindeutig christologisch geprägt; es erscheint gleichsam für das Lamm
reserviert».
274
Cfr. Ap 22, 16 e 18-19 e il commento di Lupieri, 2000, p. 358. Conclusioni simili,
seppure con orientamenti e interessi profondamente diversi l‘uno dall‘altro, offrono Taeger,
1989, pp. 49-50, e Lupo, 2003, pp. 350-355 e 359-360.
275
Vos, 1965, pp. 193 e 218-220; Berger, 1995, pp. 607-614; Segalla, 2000, p. 121-129.
276
Vos, 1965, pp. 218 e 220-223. Theobald, 2002, pp. 125 e 466-470, considera due dei
detti giovannisti di Ap (12, 11 e 22, 17) come «Gemeindegut». Datazioni ed eventuale status
canonico dei testi vanno allora, per lo meno, relativizzati.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 173

cercati e individuati, o solo abbozzati, mettono a nudo una comprensione più


piena e articolata della vita delle comunità, trasfigurandola, o piuttosto,
(ri)creandola ad anticamera della fine imminente e segno dell‘ispirazione
277
delle predizioni stesse, e (ri)generandone la tessitura morale . Nei termini di
Giovanni, anche le parole di Gesù celano e, viste realizzarsi, schiudono il
278
«mistero» divino comunicato per gli ultimi giorni ; la realtà, passato, pre-
sente, futuro, dei gruppi di suoi seguaci in Asia filtra attraverso questa gri-
glia simbolica e si ricompone in una prospettiva unitaria di significato e a-
279
zione .
Quale conoscenza fondativa, quale immagine implicita di Gesù ne risulta
allora congiuntamente trasmessa? Dai detti a lui attribuibili con un certa mi-
sura di probabilità, Gesù inizia ad emergere come profeta, i cui tratti di in-
viato e rivelatore finiscono per definirsi nella personificazione stessa della
280
Sapienza o del Logos profetico . La sua predicazione è caratterizzata da toni
ed attese escatologiche, culminanti nella venuta del Figlio dell‘Uomo e nel
giudizio, all‘interno dei quali si elaborano precetti sulla custodia della sua

277
Più approfonditamente ed in generale, Ulland, 1997, pp. 324-336, che, per Ap 12 –
13, usa il termine «Fiktion», tanto più significativo quanto più consapevolmente se ne recupe-
ra la radice fac- «fare, creare», in funzione della costruibilità stessa della realtà (cfr. il tedesco
«Wirklichkeit»); Pezzoli-Olgiati, 1997, pp. 247-251; Schweiker, 2005, pp. 102; 104-108; 116-
119. Cfr. anche Lampe, 2006, pp. 105-110 e passim, che, a proposito della connessione, evi-
dente agli occhi dei seguaci di Gesù, tra la sua resurrezione sperimentata nelle visioni e la vi-
cinanza del regno di Dio nelle sue parole e nei suoi atti, scrive: «Gott schien zu halten was
Jesus versprochen hatte» (p. 110).
278
Cfr. Ap 10, 6-7 e 1QpHab 7, 3-5.
279
Thompson, 1990, pp. 46-91, e Glonner, 1999, pp. 52-64 e 259-268. Sul potenziale
―metaforico‖ e trasformativo di procedimenti allusivi, insiste, alla luce di teorie linguistiche
moderne, Hylen, 2005, pp. 59-71.
280
Sulla connotazione essenzialmente profetica del titolo cristologico di «la parola di
Dio» (Ap 19, 13), insistono, in particolare, e a mio modo di vedere correttamente, Mazzaferri,
1989, pp. 304-305; 307-308; 311; Müller, 1999, pp. 476-478; Roose, 2000, pp. 213-217. Non
siamo troppo lontani dalla rappresentazione filoniana, e non solo, di Mosè profeta come «la
parola profetica» o «Spirito santo, degno del Signore, molteplice e inafferrabile, signore della
Parola fedele in tutto, profeta divino su tutta la terra, maestro perfetto nel mondo […], grande
angelo» (cfr. Leg. 3, 43; Migr. 151; Congr. 170; Plant. 117-119, e As. Mos. 11, 16-17), e di
Gesù stesso come «profeta della verità» nella letteratura pseudo-clementina (cfr., ad esempio,
Ap 19, 11-12.15-16 e 22, 17, e Ps.-Clemente, Hom. 11, 19, 1-2 e 3, 52, 3). Insieme a «Inviato
di Dio» e a «Profeta di Dio», «Parola di Dio» e «Spirito di Dio» continuano ad essere attestati
come titoli di Gesù nella tradizione islamica (cfr. Chialà, 2009, passim). Il principio base di
questo passaggio e delle sue implicazioni si ritrova formulato in Did. 4, 1: «tou` lalou`ntov~
soi to;n lovgon tou` qeou` mnhsqhvshæ nukto;~ kai; hJmevra~, timhvsei~ de; aujto;n wJ~ kuvrion:
o{qen ga;r hJ kuriovth~ lalei`tai, ejkei` kuvriov~ ejstin». Traiettorie simili della tradizione ge-
suana sono rilevate e seguite in Gv da Hengel, 1995, pp. 75-104, e Theobald, 2002, in partico-
lare, pp. 196-199; 528-532; 538-553.
174 Capitolo secondo

parola, la sequela senza compromessi e la rinuncia a sé stessi fino alla morte,


281
la «uJpomonhv» .
Questa immagine lasciamo al prossimo capitolo come risultato e come
ipotesi di lavoro.

281
A conclusioni analoghe arriva Segalla, 2000, p. 138.
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse 175

APPENDICE

LE PAROLE DI GESÙ
NELL‘APOCALISSE:
UNA TABELLA COMPARATIVA

Vos (1965) Segalla (2000) Tripaldi (2010)

1, 3a 1, 3a 1, 3a

1, 3b 1, 3b 1, 3b

1, 7 1, 7 1, 7

2, 7.11 et al. 2, 7.11 et al. 2, 7.11 et al.

2, 10

3, 3 (16, 15) 3, 3 (16, 15) 3, 2.3 (16, 15)

3, 5c 3, 5c 3, 5c (8?)

3, 20 3, 20 3, 20

3, 21 3, 21 3, 21 (x2!)

6, 4 6, 4

6, 1-12 6, 10.13 6, 4-9.11

6, 16 6, 15-17 6, 15-17

11, 2b 11, 2b 11, 2b

11, 3.6 11, 6


176 Capitolo secondo

12, 9

12, 11 12, 11

13, 9 13, 9 13, 9

13, 10 13, 10

13, 11.13 13, 11.13 13

14, 4b 14, 4b 14, 4b

14, 6 14, 6 14, 6

14, 14-19 14, 14-16 14, 14-16

17, 4b

18, 4 18, 4

18, 21 18, 21 18, 21

18, 24 18, 24 18, 23-24

19, 6-9 19, 6-9 19, 6-9

22, 12 22, 12

22, 16

22, 17
CAPITOLO TERZO

LE FIGURE DI GESÙ
NELL‘APOCALISSE

Finora ci siamo limitati a ricavare e ricomporre l‘immagine di Gesù dal-


la tradizione di parole che Giovanni sembra conoscere come gesuane.
L‘analisi si fa adesso più diretta, le figure che ne emergeranno più nette ed
esplicite, nella misura in cui toccheremo la costruzione progettuale scoperta
del discorso su Gesù: gli scarni accenni a episodi singoli o a elementi speci-
fici e decisivi della sua attività rappresentano tasselli di una narrazione e
(re)invenzione della sua figura, in cui un ruolo preponderante giocano la no-
zione di «fatti» o «opere» («e[rga»), che, come vedremo, non è da intendersi
in senso propriamente biografico, e le tradizioni convogliate a riassumerne,
raccontarne e spiegarne la vicenda. Di qui il sostanziale orientamento del ca-
pitolo verso la storia delle tradizioni; di qui la sua struttura tripartita e con-
centrica.
Forniamo innanzitutto le coordinate fondamentali di questa (ri)scrittura
della memoria.

1. RIFERIMENTI DAL PASSATO: ALCUNI PUNTI FISSI1

Gesù, l‘Agnello, è nato dalla tribù di Giuda, dalla famiglia di Davide


(Ap 5, 5 e 22, 16); le sue origini lo qualificano quindi come l‘Unto davidide,
2.
il Messia d‘Israele (cfr. Ap 11, 5.15 e 12, 10) La sua morte è avvenuta per
crocifissione nella città grande, Gerusalemme (Ap 11, 8); forse presuppo-
nendo la conoscenza di altri dettagli del racconto della Passione, Giovanni
accenna anche ad un suo essere stato «trafitto» (Ap 1, 7; cfr. Gv 19, 33-37;
3
Barn. 7, 8-10; Vang. Piet. fr. 2r 1-15; Giustino, Dial. 14, 8:) , tutte violenze,
queste, riflesse e condensate nel linguaggio dello sgozzamento (Ap 5, 6.9.12;
13, 8) e nella menzione del sangue da lui versato (Ap 1, 5; 5, 9; 7, 14; 12, 11;

1
Cfr. Talbert, 1999, pp. 171-172.
2
Penna, 1999, pp. 465-469.
3
Sul riflusso di tradizioni pre-sinottiche della Passione in Barn., cfr. Koester, 1957, pp.
152-156, e Hagner, 1985, p. 264 n.47.
178 Capitolo terzo

4
19, 13) . La sua resurrezione è adombrata, per antitesi, nel passaggio dalla
morte di nuovo alla vita (Ap 1, 5.18, e 2, 8) e integrata nell‘intronizzazione
sul trono di suo Padre, «in piedi» (Ap 3, 21 e 5, 6; cfr. At 2, 30-33 e 7, 55-56
5
e Ascen. Isa. 9, 27.35 e 11, 32) .
L‘intervallo di tempo tra la nascita e la morte è riempito unicamente
dall‘istituzione dei suoi «dodici apostoli», come fondamenti della comunità
escatologica, in corrispondenza evidente con le «dodici tribù dei figli
6
d‘Israele» (Ap 21, 12.14) .
Questo legame simbolico rimane vivo nella tradizione comune a Mt e
Lc sull‘intronizzazione dei dodici e il giudizio su Israele (Mt 19, 28 // Lc 22,
30), con cui Giovanni stesso mostra di essere entrato in contatto (cfr. Ap 3,
7
20-21) , ma è attestato esplicitamente solo nelle due varianti della scelta tra-
mandate da Vang. Ebion. in Epifanio, Pan. 30, 12, 3, ed in una interpretazio-
ne tipologica di Nm 19 offerta da Barn. 8, 3.
Riporto i passi qui di seguito:
Lc Gv Barn. Vang. Ebion.

6, 13: «kai; ejk- 6, 70: «ajpekrivqh 8, 3: «[…] oi\~ e[dwken «ejgevnetov ti~
lexavmeno~ ajpÆ aujtoi`~ oJ ÆIhsou`~, tou` eujaggelivou th;n ajnh;r ojnovmati
aujtw`n dwvdeka, Oujk ejgw; uJma`~ ejxousivan, ou\sin de- ÆIhsou`~, kai;
ou}~ kai; ajpo- tou;~ dwvdeka ejxe- kaduvo eij~ martuvrion aujto;~ wJ~ ejtw`n
stovlou~ wjnovma- lexavmhn» tw`n fulw`n (o{ti deka- triavkonta, o}~
sen […]» duvo fulai; tou` ÆIs- ejxelevxato
rahvl), eij~ to; khruvs- hJma`~ […]
sein» uJma`~ ou\n bouv-
lomai ei\nai
5, 9: «o{te de; tou;~ dekaduvo ajpo-
ijdivou~ ajpostovlou~ stovlou~ eij~
tou;~ mevllonta~ martuvrion tou`
khruvssein to; euj- ÆIsrahvl»
aggevlion aujtou` ejx-
elevxato […]»

4
Cfr., più profusamente, Holtz, 1962, pp. 44-47 e 71-80, e Penna, 1999, pp. 475 e 481-
483.
5
Holtz, 1962, pp. 29. 37-52. 57-58. 84; Comblin, 1965, pp. 23-24 e 198-202; Bovon,
1972, pp. 66 e 70-71; Penna, 1999, pp. 476 e 487-490. Per la fraseologia, cfr. Ap 11, 11; 13, 3
e 14; 20, 4-6.
6
Berger, 1995, pp. 146-150 e 612.
7
Cfr. Berger, 1995, pp. 150-151 e 609-610.
Le figure di Gesù nell‟Apocalisse 179

Altri paralleli:
 Vang. Naass. in Ps.-Ippolito, Haer. 5, 8, 12: «ajpo; ga;r tw`n dwvdeka, fhsiv,
fulw`n maqhta;~ ejxelevxato dwvdeka, kai; diÆ aujtw`n ejlavlhse pavshæ fulh`æ»

Rispetto a Lc e Gv, il parallelismo con le tribù d‘Israele e la fissità della


combinazione «dodici apostoli» potrebbero risalire a materiale tradizionale
comune ai tre testi, che si delinea, con più chiarezza, dietro le strette affinità
lessicali di Barn. e Vang. Ebion. («ejxelevxato»; «dekaduvo»; «eij~ martuv-
8
rion») .

2. CONSERVARE GLI «e[rga» DI GESÙ: IL PESO DELLA CHIESA DI TIATIRI (Ap 2, 26)9

La lettera alla chiesa a Tiatiri è l‘unica delle sette in cui l‘angelo di Ge-
sù estenda le promesse escatologiche finali a «oJ thrw'n a[cri tevlou~ ta;
e[rga mou», in parallelo con il solito «oJ nikw'n» (Ap 2, 26). Con l‘espressione
«le mie opere», l‘angelo sembra voler creare un polo di azione che controbi-
lanci le influenze sataniche dell‘insegnamento della profetessa Iezabel (cfr.
10
Ap 2, 20.24) : come andrà, quindi, sciolta ed interpretata nel dettaglio? La
rete di opposizioni e corrispondenze, in cui è calata, nel contesto stesso della
lettera e in quello più ampio del settenario, offre una traccia importante. Il
parallelismo chiastico puntuale tra Ap 2, 26 e 2, 25 identifica in «ta; e[rga
mou» il possesso di quanti «non hanno» l‘insegnamento di Iezabel. Risalta
netto il contrasto tra le opere di Gesù e le dottrine della donna, che, agli oc-
chi di Giovanni, insistevano su pratiche sessuali illecite, sul mangiare le car-
ni sacrificate agli idoli (Ap 2, 20-21) e sulla conoscenza delle profondità di
Satana (Ap 2, 24). In Ap 2, 22, queste dottrine si traducono nelle «ope-
11
re»della profetessa , e in Ap 9, 20-21, comportamenti sessuali illeciti e idola-
tria compaiono ancora sotto l‘etichetta di «opere» da cui gli uomini non
marchiati dal sigillo divino non si sono ravveduti. Il conflitto, dunque, coin-
volge i rispettivi insegnamenti, compresi, nei loro risvolti pratici, anche co-
12
me opere .
La lettera alla comunità di Filadelfia, a sua volta, ruota tutta sul legame
con la parola di «perseveranza» di Gesù, che garantisce la protezione
8
Cfr., al riguardo, le osservazioni di Pesce, 2005, p. 608.
9
Cfr., in generale, Marino, 2003, pp. 52-69.
10
Karrer, 1986, pp. 106 n.77 e 199, e Segalla, 2000, p. 135.
11
Identici movimento e coincidenza fra Ap 2, 6 e 15, a proposito delle dottrine dei Ni-
colaiti.
12
Cfr. Segalla, 2000, pp. 135-136, e Marino, 2003, pp. 64-66. L‘equivalenza di threvw,
kratevw ed e[cw, in riferimento alla preservazione di tradizioni trasmesse, propagate e accolte
(cfr. Vos, 1965, pp. 210-211), rafforza sicuramente il punto.
180 Capitolo terzo

13
dall‘ora della prova che sta per venire (Ap 3, 10) : per un verso, l‘averla pre-
servata in passato giustifica questa protezione, per l‘altro, tenere stretto il
possesso già in mano diventa l‘imperativo per non farsi sottrarre la corona
della vittoria (Ap 3, 11; cfr. 3, 8 e 10). Vale quindi la stessa condizione di
salvezza riscontrata per la preservazione delle «opere» di Gesù a Tiatiri, e lo
stesso rapporto fra parola e azione, se «la perseveranza» è elogiata fra le o-
pere delle comunità di Efeso e della stessa Tiatiri (cfr. Ap 2, 2-3 e 19).
Arriviamo così ad una prima conclusione, negativa: gli «e[rga» di Gesù,
in Ap, non sono puramente ―fatti‖ o episodi biografici, oggettivi e oggettiva-
bili, che si possano individuare in concreto e univocamente, nel contesto di
tradizioni storiche sulla vita di Gesù; i contenuti che li riempiono devono
piuttosto essere cercati e ricostruiti nella lettura e analisi particolare di ogni
occorrenza di astratti seguiti da un genitivo, «mou» o «ÆIhsou'», che ne preci-
14
si esplicitamente Gesù come l‘autore .

2.1 La «pivsti~»15

Due volte Giovanni parla di «pivsti~ ÆIhsou'», sempre all‘accusativo,


retto in Ap 2, 13 da «oujk hjrnhvsw», in 14, 12 dal suo contrappunto in positi-
vo «oiJ throu'nte~». Questa seconda occorrenza si inserisce in una variazio-
ne alla formula fissa «la parola di Dio e la testimonianza di Gesù Cristo»,
16
mediata da Ap 12, 17, e ne sostituisce il secondo membro : se Gesù è chia-
mato e chiama sé stesso «il testimone fedele e veritiero», nella sua funzione
di rivelatore che attesta e conferma la parola divina (cfr. Ap 1, 5; 3, 14; 19,
11), e questa si traduce nelle «parole fedeli e veritiere» che Giovanni trascri-
ve ed invia (Ap 21, 5 e 22, 6), la sua «fedeltà» individua allora, per metoni-
mia, la rivelazione stessa, nei suoi aspetti di affidabilità, credibilità e sicu-
rezza nello svelamento degli eventi prossimi a compiersi (Ap 22, 6; cfr. Dio-
doro Siculo, 1, 23, 7-8; Sal 18, 8-9 LXX e 92, 5 LXX; Gal 1, 8-9 e 23, e,
17
forse, 3, 23-25; 1 Tm 1, 15 e 4, 1-3.6; Ignazio, Eph. 16, 2) .

13
Cfr. Ap 1, 9; 2, 2-3.19; 14, 12, ed il commento di Lampe, 1981, pp. 96-98.
14
Sul carattere vago e generalizzante dell‘espressione, cfr. Holtz, 1991, pp. 351 e 354-
355; Ulland, 1997, pp. 52-53; Roose, 2000, pp. 61-63.
15
Altre ipotesi di traduzione sono discusse in Deer, 1987, e Marino, 2003, pp. 58-61.
16
Il genitivo sarà quindi sempre soggettivo, cfr. Donegani, 1997, in particolare, pp.
377-378, e Roose, 2000, pp. 26-28.
17
Cfr. Brox, 1961, pp. 98-100; Comblin, 1965, pp. 137-138; Beutler, 1975, pp. 334-
336; Donegani, 1997, pp. 319-321 e 489-496. Strettamente connesso è l‘aspetto di parola data
che impegna al compimento (P.Mert. 32, 2; Flavio Giuseppe, B.J. 6, 345, e A.J. 15, 134). Cfr.
anche Spicq, 1994, pp. 391-392.
Le figure di Gesù nell‟Apocalisse 181

Si affaccia così un tratto distintivo della concezione dell‘esperienza pro-


fetica. Già il Siracide (primo quarto del II sec.a.C.) elogiava la veracità di
Samuele: il testo greco lo definisce profeta provato «ejn pivstei aujtou'» e ri-
conosciuto fedele («pistov~») di visione nelle sue parole (46, 15; cfr. 1 Sam
3, 20 e Ger 28 [35], 9). Similmente, Isaia è chiamato profeta grande e fedele
(«pistov~») nella sua visione (Sir 48, 22), perché, con la forza dello Spirito,
ha conosciuto gli eventi finali, e mostrato il futuro ed i misteri nascosti prima
che sopraggiungessero (Sir 48, 24-25). Al Siracide fanno eco le parole che
chiudono le predizioni escatologiche del Libro dei Misteri (1Q27; metà I
18
sec.a.C.): nkwn hdbr lbw‟ w‟mt hmś‟ (fr. 1 i, 8) .
19
La ‟mt/‟mwnh profetica, in greco pivsti~ o ajlhvqeia , diventa ora il no-
20
do delle attese e dei dibattiti : in 1 Macc. (130-100 a.C.), la fusione nella
persona di Simone delle cariche di capo del popolo e sommo sacerdote è ap-
provata temporaneamente fino al sorgere di un profeta pistov~ (14, 41; cfr.
anche 4, 46 e 9, 27, e Dt 18, 15.19.22); T. Levi (II-I sec.a.C.) analizza ed e-
sprime la deriva del popolo d‘Israele nel perfetto parallelismo di disprezzo
delle parole dei profeti e disgusto per le parole degli ajlhqinoiv (16, 2); aj-
lhqinov~ deve essere provato il profeta che parla in Spirito della Didachè
(cfr. 11 e 13, 1), e per l‘anonimo ―anti-montanista‖ (fine II sec.d.C.), lo Spi-
rito veritiero («to; ajlhqino;n pneu'ma»), che «ha parlato nei profeti e svelato
loro le profondità dell‘esattezza della conoscenza di Dio» (Epifanio, Pan. 48,
7, 7), si manifesta da ogni dove: «le predizioni, infatti, che i profeti hanno
pronunciato e che formulavano in piena coscienza di sé, e si sono compiute e
21
si adempiono ancora» (48, 2, 5) .

18
Cfr. Ger 23, 28 («ajlhvqeia») e Dn 8, 26 (LXX: «ajlhvqeia»; Q: «ajlhqhv~») e 10, 1
(LXX: «ajlhqhv~»; Q: «ajlhqinov~»). Ellis, 1999, pp. 407-411, individua nella frase il parallelo
più affine, al di fuori del Nuovo Testamento, alla formula «pistov~ oJ lovgo~» delle Pastorali
(1 Tm 1, 15; 3, 1; 4, 9; 2 Tm 2, 11; Tt 3, 8), che, secondo la sua ricostruzione, risalirebbe a
profeti apocalittici o alla comunità di Esseni a Qumran, sarebbe poi passata a profeti della
missione giovannea (cfr. Ap 22, 6) e avrebbe infine contribuito alla enunciazione e trasmis-
sione degli insegnamenti, sempre profetici, cui è associata nelle Pastorali stesse. Cfr. anche
Berger, 1970a, in particolare, pp. 104-107.
19
Entrambi i termini greci – e rispettivi campi semantici afferenti – possono di fatto
tradurre la radice ebraica ‟mn e i suoi derivati, cfr. Ger 23, 28 e 28 (35), 9; Dn 8, 26 e 10, 1, e
Pr 14, 25; Sal 111 (110), 7 e 19 (18), 8, e Mc 14, 3; Gv 12, 3; Rm 3, 3-7 e 15, 8-9. Cfr. anche
Quell, 1933; Weiser, 1959, pp. 183-186; Comblin, 1965, p. 138.
20
Cfr. anche, più ampiamente, Norelli, 1994, pp. 93-113, e Filoramo, 2005, pp. 219-
253.
21
Cfr. la rappresentazione di casi e modelli profetici in Or. sib. 3, 1-7.698-701.809-829,
e 11, 315-324; Filone, Spec. 4, 48-52, e Mos. 2, 253; 261-262; 269; 280-281; 288-292; Flavio
Giuseppe, A.J. 10, 112-114; Plutarco, Pyth. orac. 407c; Mem. Marq. 2, 8; Flegonte di Tralle,
Mir. fr. 37 5, 25-30 (ed. Jacoby); Nonno di Panopoli, Paraphr. Jo. 1, 47.59.83-84.126. Cfr.
anche Berger, 1970a, pp. 109 e 150.
182 Capitolo terzo

Visioni, Spirito, compiersi degli eventi profetizzati definiscono, dunque,


la legittimità e l‘autenticità dell‘esperienza profetica, e questo vale bene per
Ap 14, 12 e per l‘Apocalisse testo profetico, cui il verso di fatto si riferisce,
in quanto rivelazione affidabile, fidata del Gesù celeste (cfr. Ap 19, 9-10, 21,
22
5-6 e 22, 6.16!) . Venendo ad Ap 2, 13, il contesto è simile, lo abbiamo vi-
sto, tuttavia, qui la «pivsti~» di Gesù non può coincidere con l‘Apocalisse
stessa, perché la si presuppone come già data, come già non rinnegata. Rien-
trano in gioco allora alcune osservazioni che abbiamo svolto nel capitolo
precedente a proposito delle traiettorie gesuane: la «fedeltà» di Ap 2, 13 con-
sterebbe delle parole della tradizione di Gesù considerate sotto il taglio di
rivelazione profetica che si è compiuta, si va compiendo o si compirà in fret-
23
ta, perciò degna di fede e sicura . La loro attualizzazione nel tessuto lettera-
rio delle visioni di Giovanni indica e sviluppa la ri-figurazione in atto, per
cui non si avverte soluzione di continuità tra le due pivstei~ di Gesù, tra le
sue due testimonianze profetiche, la attuale confermando la passata e propo-
24
nendosi, in prospettiva, altrettanto valida .

25
2.2 La «parola della uJpomonhv»

Una rapida sinossi può illustrare come «la mia fedeltà» di Ap 2, 13 trovi
il suo corrispondente speculare in «la mia parola» di Ap 3, 8:
Ap 3, 8: Ap 2, 13:

kai; ejthvrhsav~ mou to;n lovgon kratei`~ to; o[nomav mou

kai; oujk hjrnhvsw to; o[nomav mou kai; oujk hjrnhvsw th;n pivstin mou

22
Cfr. Berger, 1970a, pp. 150-151; Mazzaferri, 1989, pp. 304-313; Roose, 2000, pp.
144-161 e 188-229.
23
Anche in 2 Ts 3, 1-3 e 2 Tm 2, 11-13, le tre occorrenze di pistov~ ruotano intorno alla
ripresa di detti gesuani, con lo stesso significato; in 2 Ts 3, 3 e 2 Tm 2, 13, l‘aggettivo si riferi-
sce direttamente o indirettamente a Gesù stesso. Cfr. 2 Clem. 11, 6-7. Le omelie pseudo-
clementine citano parole profetiche di Gesù, constatandone l‘adempimento, a riprova della
sua prescienza e del suo essere «il profeta veritiero», in possesso dello Spirito eterno (Ps.-
Clemente, Hom. 3, 12, 3 – 3, 13, 1 e 3, 15, 1 – 3, 16, 1; cfr. anche 2, 17, 4-5 e 11, 35, 3-6 e la
teoria formulata in 2, 6, 1 e 10, 1, dove pisteuvw ricorre due volte).
24
Secca ed illuminante la formulazione di Filone, Mos. 2, 288: «w\n (scil. gli eventi fu-
turi predetti da Mosè in punto di morte a ciascuna tribù) ta; me;n h[dh sumbevbhke, ta; de; pro-
sdoka`tai, diovti pivsti~ tw`n mellovntwn hJ tw`n progegonovtwn teleivwsi~». Cfr. anche Her.
260-261 su Noè il giusto: «ta;~ eujca;~ kai; katavra~ a}~ ejpi; tai`~ au\qi~ geneai`~ ejpoihvsato
e[rgwn ajlhqeivaæ bebaiwqeivsa~ ouj katecovmeno~ ejqevspiseÉ».
25
Müller, 1982; Kerner, 1998, pp. 39-44; Marino, 2003, pp. 79-87, in particolare, p. 82.
Le figure di Gesù nell‟Apocalisse 183

I due concetti si sfiorano ed alternano, nella misura in cui entrambi de-


26
notano e caratterizzano l‘attività rivelatrice di Gesù .
In Ap 3, 10, Giovanni aggiunge un doppio genitivo «th'~ uJpomonh'~
mou». Verbo e costruzione sono gli stessi di 3, 8, ma cosa specifica il «mou»
di Gesù, «to;n lovgon» o « th'~ uJpomonh'~»? Le costruzioni genitivali simili a
11, 15 («hJ basileiva tou` kovsmou tou` kurivou hJmw`n»), ad annunciare il re-
gno universale di Dio, e a 13, 3 («hJ plhgh; tou` qanavtou aujtou»), a indicare
la ferita mortale della Bestia, e soprattutto la ripresa letterale di 3, 8 fanno
optare per l‘ipotesi che il genitivo del pronome personale modifichi il primo
sostantivo e l‘intero sintagma nominale, ricalcato su uno stato costrutto se-
27
mitico . La «mia parola della uJpomonhv», dice l‘angelo di Gesù, quindi, la
parola, da Gesù proclamata, di resistenza, sofferenza, attesa perseverante,
28
intensa e fedele . Il doppio ricorso all‘aoristo di threvw allude a tutto un pro-
cesso di trasmissione e custodia di questa parola, una parola che è allora tra-
dizione di parole di Gesù (cfr. Ap 3, 3). Al bacino di queste parole
l‘Apocalisse stessa mostra più volte di attingere (cfr. Ap 2, 10; 3, 5; 3, 20-21;
13, 10), altre ne interpreta nel nuovo orizzonte della uJpomonhv (cfr. Ap 1, 3 e
14, 12): sono parole di esortazione e promessa, ovvero pivsti~ perché non
cadranno, sono parole che, preservate e custodite, si trasformano negli e[rga
elogiati delle comunità, e nella certezza delle benedizioni escatologiche
29
promesse (cfr. Ap 2, 2-3.13.19.25; 3, 8.11; 13, 10; 14, 12) .
30
Un‘ultima annotazione . La struttura ad antitesi complementare di Ap 2,
13 e 3, 8 gioca su una stretta correlazione di fondo tra pivsti~/lovgo~ e
31
o[noma : il messaggio profetico di Gesù schiude la conoscenza del suo nome,
degli aspetti ivi manifestati, e perciò tangibili e pronunciabili, della sua atti-
32
vità e della sua natura, delle sue qualità e dei suoi poteri . In Ap 16, 12-16, la
33
scena che prepara alla battaglia escatologica di 19, 11-21 , l‘opposizione al
falso profeta e ai suoi segni viene evocata e sancita da un intervento diretto
dell‘angelo di Gesù, con le sue parole profetiche (16, 15; cfr. 3, 3). Conse-
26
Sull‘afferenza di levgw/lovgo~ alla sfera della rivelazione verbale in Ap, tra i «besto-
wal verbs», cfr. Mazzaferri, 1989, pp. 314-315; Aune, 1997, pp. 237 e 239; Marino, 2003, pp.
79-80.82.86-87.89. Cfr. anche Ap 12, 11: «dia; to;n lovgon th'~ marturiva~ aujtw'n».
27
Con Müller, 1984, p. 130, e Aune, 1997, pp. 231 e 238-239. Cfr. Mt 19, 28; At 5, 20 e
13, 26; Rm 7, 24 (greco e syph); Fil 3, 21; Col 1, 13; Eb 1, 3.
28
Cfr. Spicq, 1994, pp. 695-703, e Kerner, 1998, p. 40.
29
Lo stesso movimento rilevano Lampe, 1981, p. 97; Thompson, 1986, pp. 150-151;
Marino, 2003, pp. 89-90, che però si appoggiano tutti alla traduzione: «la parola della mia
perseveranza». Cfr. anche Roose, 2000, pp. 61-65.
30
Fondamentali le pagine di Müller, 1999, pp. 479-487, e Roose,, 2000, pp. 208-218.
31
Cfr. Aune, 1997, p. 237. In Or. sib. 3, 809-815 e 11, 315-321, si intrecciano ricono-
scimento della veridicità delle predizioni e cambiamento del nome della Sibilla.
32
Cfr. BDAG, s.v. o[noma, 1d, e Kraft, 1974, pp. 247-248.
33
Lupieri, 2000, pp. 241-244 e 306-307.
184 Capitolo terzo

guentemente, in Ap 19, 11-13, la battaglia così anticipata, l‘identità del sedu-


to sul cavallo bianco si risolverà nei nomi di «pisto;~ kai; ajlhqinov~» e «oJ
lovgo~ tou' qeou'»: la pivsti~ e il lovgo~ ÆIhsou' assommano la cifra della vera
34
profezia , nel profeta inviato e nella sua rivelazione si cela la manifestazione
stessa della parola (profetica) divina (cfr. Ap 1, 5; 3, 7.14; 6, 10, e Is 65, 16
35
LXX; 3 Macc. 2, 11; Eb 11, 11) .

36
2.2.1 NIKÂN: premesse, significato, effetti

Se dunque la uJpomonhv traduce e individua il messaggio di Gesù, per


due volte, l‘aoristo di nikavw comprende, caratterizza ed interpreta il ricordo
della sua esistenza passata (Ap 3, 21 e 5, 5). Giovanni stesso ce ne offre la
chiave di lettura: da un lato, integra e modella l‘esperienza dei suoi seguaci
in e sull‘esperienza di Gesù (cfr. Ap 2, 26 e 3, 21), dall‘altro, struttura «ejniv-
khsan» in parallelismus membrorum con «kai; oujk hjgavphsan th;n yuch;n
aujtw'n a[cri qanavtou» (Ap 12, 11) e vincola la «corona della vita», simbolo
di vittoria, alla fedeltà, ancora una volta, fino alla morte (Ap 2, 10). Non tan-
to e non solo la morte in cui culminano, quindi, ma la perseveranza, e
l‘obbedienza che possono condurre e, nello specifico, hanno condotto al sa-
37
crificio di sé , ecco emergere, nel gioco di specchi, i fattori della vittoria di
38
Gesù, che, in ultima analisi, collimano con il campo semantico di uJpomevnw .
Quali scenari presuppongono e aprono?
34
Si fa interessante a questo punto notare come l‘elogio per tenere stretto il nome di
Gesù e non aver rinnegato la sua fedeltà (Ap 2, 13) si contrapponga, nella lettera all‘angelo
della comunità di Pergamo, al rimprovero per la presenza di aderenti all‘insegnamento di Ba-
laam e dei Nicolaiti (2, 14-15). La minaccia a loro rivolta (2, 16) si concretizzerà testualmente
nella visione di Ap 19, 11-21 e della guerra contro la bestia, i re della terra e lo pseudo-
profeta, figura, questa, che di fatto li chiamerà più direttamente in causa, insieme a Iezabel di
Tiatiri (cfr. Garrow, 1997, pp. 88-91; Müller, 1999, pp. 481-485; Roose, 2000, pp. 217-221).
Altrettanto poco casuale, allora, che l‘aggettivo «veritiero» compaia, a sua volta, tra i titoli di
Gesù proprio nell‘intestazione della lettera all‘angelo di Filadelfia (Ap 3, 7), cioè al verso
immediatamente precedente l‘approvazione per la preservazione della sua parola e del suo
nome (Ap 3, 8). Cfr. anche il commento di Marino, 2003, pp. 76-77).
35
Non sfuggano ancora gli elementi della tradizione sapienziale della «Parola di Dio»
(Sap 18, 15-16; cfr. Eb 4, 12; Ef 6, 17; Ps.-Clemente, Hom. 11, 19, 1-2) rielaborati in Ap 19,
11-13.15-16, tanto più in rilievo, se il cavaliere, con Carrell, 1997, pp. 196-219, e Gieschen,
1998, pp. 252-256, rappresenta un‘ipostasi angelica di Cristo. Le corrispondenze con Ap 1,
13-16 (Stuckenbruck, 1995, pp. 211-232) e 6, 1-8 lasciano, a dire il vero, pochi dubbi al ri-
guardo.
36
Cfr. Middleton, 2006, pp. 158-170.
37
Il rapporto stretto con kratevw/threvw (Ap 2, 28 e 3, 10-12) appare evidente ed indi-
cativo.
38
Cfr. le ricorrenti sovrapposizioni interne attestate da passi come Ap 12, 17 (povle-
mo~/threvw/e[cw); 13, 7-10 (povlemo~/nikavomai/uJpomonhv); 14, 12 (uJpomonhv/threvw); 15, 2
Le figure di Gesù nell‟Apocalisse 185

In greco, nikavw si presta a indicare la vittoria per evidente superiorità in


39
guerra, in giudizio e nell‘agone sportivo . La letteratura giudaica, anche con-
temporanea a Giovanni, aveva già recuperato e declinato l‘immagine, nelle
molteplici possibilità che offriva: Sap (fine I sec.a.C. – inizi I sec.d.C.) e 4
Macc. (I sec.d.C.) celebrano rispettivamente i successi dell‘assenza di figli
che si accompagni all‘eccellenza morale (Sap 4, 1-3.6-7), e della ragione sul-
le passioni (4 Macc. 6, 33), che conduce i martiri vittoriosi al premio
dell‘incorruttibilità e della vita beata (4 Macc. 6, 10; 7, 1-4; 17, 10-18); T.
Giob. (I-II sec.d.C.) prospetta una guerra tra Giobbe e Satana. Una luce an-
gelica apparsa di notte al patriarca così gli promette:
«Se resisterai (eja;n uJpomeivnh/~), renderò il tuo nome celebre su tutta la terra per tutte
le generazioni fino alla fine dei tempi […] e verrai resuscitato (kai; ejgerqhvsh/) al
momento della resurrezione, e sarai come un atleta che nel pugilato sostiene la lotta
e riceve la corona (ejkdecovmeno~ to;n stevfanon)» (4, 6.9-10)

Alla vita come a un terreno di lotta, agli avversari, che siano le forze sa-
taniche, le tentazioni o le tribolazioni, alla vittoria o ai suoi premi alludono
40
anche 2 Tm 4, 7-8, Gc 1, 12 e 1 Gv 5, 4-5 .
In 1 En. 37 – 71, il cosiddetto Libro delle Parabole di Enoc (seconda
41
metà del I sec.a.C.), affiora invece più decisamente lo sfondo processuale :
in 46, 3, il destino di elezione del Figlio dell‘Uomo, stabilito da prima che il
mondo fosse creato (cfr. 48, 2-3.6), viene giustificato con la precisazione che
la sua sorte «ha vinto tutti, al cospetto del Signore degli Spiriti, in giustizia,
in eterno». Il suo nome è la salvezza dei giusti uccisi sulla terra che hanno
«odiato e disprezzato questo mondo di iniquità» e tutte le sue azioni e i suoi
comportamenti: al tempo dell‘afflizione e del giudizio, essi «vinceranno nel
nome del Signore degli Spiriti» (50, 2).

(nikavw), e l‘evidenza esterna raccolta e discussa da Müller, 1974, pp. 106-107, cui potrebbe
essere aggiunto Melch. 26, 4-9 (NHC IX, 1). Percezione simile traspare dalle osservazioni di
Satake, 1991, pp. 313-315; Kerner, 1998, pp. 47-52 e 115-116; Marino, 2003, pp. 63 e 66.
L‘acuta e lucida analisi di Roose, 2000, pp. 47-72, si perde in un distinguo troppo marcato tra
valenza «soteriologica» della vittoria di Gesù, con la sua effettiva morte in croce, e valenza
«etica» della vittoria dei cristiani, con la resistenza ad oltranza cui sono chiamati, anche e
proprio nell‘eventualità della morte.
39
Karrer, 1986, p. 216. Cfr. Bauernfeind, 1942, p. 941.
40
Sia per T. Giob. che per Gc rimane valida l‘osservazione di Müller, 1974, p. 107:
«Der Begriff nika'n fehlt allerdings, dafür steht uJpomevnein zum Ausdruck derselben Sache».
Il ricorso all‘immagine della corona lo conferma.
41
Hahn, 1971, pp. 384-385. Sulla «Rechtsstreit» nella letteratura giudaica antica, cfr.
brevemente Müller, 1964, pp. 57-64. Sulla corrispondenza vittoria-giustiza, sempre utile Bult-
mann, 1953, pp. 434-435 e n.7.
186 Capitolo terzo

42
4 Esd. (fine del I sec.d.C.) fonde le due prospettive : la vittoria definiti-
va di fronte al trono del giudizio (7, 115) segue alla vittoria nella lotta che,
dalla nascita, impegna gli uomini contro «il cattivo senno plasmato insieme a
loro» (7, 92). Spiega Uriele:
«Questo è il senso della lotta (certamen) che ha combattuto (certavit) l‘uomo che è
nato sulla terra: se sarà stato vinto, soffrirà le cose che tu hai detto (scil. i tormenti
lamentati da Esdra in 7, 116-126; cfr. anche 7, 80-87), ma se avrà vinto (si autem
vicerit), riceverà quello che io dico (scil. il riposo nei sette ordini delle anime dei
giusti elencati dall‘angelo in 7, 90-98)».
43
In Ap sembra dominare piuttosto la sfumatura marziale : il vincere di
Gesù nasconde la realtà di una battaglia, e, più in profondità, di un conflitto
44
di ordine cosmico con le forze sataniche (Ap 12) , e si colora di forti tinte
messianiche (cfr. Ap 5, 5 e 4QpGena; 1QSb 5, 26-29; 4 Esd. 11, 37 e 12,
1.31; 4QpIsaa; Šem. „Eśr. 15) ; parallelamente, la metafora del comprare e
45

dello sciogliere/liberare (cfr. Ap 5, 9 e 14, 3-4, e 1, 5), che ne descrive natura


ed effetti, evoca, con grande probabilità, la prigionia di guerra e la redemptio
46
ab hostibus (cfr. Ap 20, 1-3.7) .
Come racchiudendoli ai poli estremi, l‘aoristo di nikavw inaugura gli e-
venti escatologici, il futuro (Ap 17, 14; cfr. 16, 13-16 e 19, 11-21), li conclu-
de, ma la seconda vittoria nasce con e si consuma già nella prima: ciò che,
con questa, Gesù ha conquistato, ovvero il dominio sulle genti e il sedersi sul
trono di Dio, per sé (cfr. Ap 2, 28 e 3, 21), il riscatto a Dio, il regno e la di-
gnità sacerdotale, per i popoli (cfr. Ap 5, 5 e 9-10), alla fine, orienta e deter-
47
mina l‘esito dello scontro ultimo (cfr. Ap 17, 14 e 19, 14-16) .

2.3 Quali e[rga?

Nell‘immaginazione di Giovanni, l‘attività di Gesù («ta; e[rga mou») si


48
risolve di fatto nella sua parola («oJ lovgo~ mou») preservata e trasmessa .

42
Cfr. Hahn, 1971, p. 385, anche se la sua insistenza sulla «Leidenstheologie» giudaica
non convince del tutto.
43
Middleton, 2006, pp. 166-167 e 169-170, parla efficacemente di «near total dualism»
e «all-out war» (166).
44
Cfr. Müller, 1974, p. 106; Holtz, 1981, p. 1150; Taeger, 1994, pp. 33-41; Schimano-
wski, 2002, pp. 208-209.
45
Cfr. le osservazioni di Roose, 2000, pp. 66-67 e 70-72, e il dettagliato excursus in
Schimanowski, 2002, pp. 197-205.
46
Cfr. Holtz, 1962, pp. 65-68, e Schüssler Fiorenza, 1974, pp. 228-229.
47
Cfr. Roose, 2000, p. 71; Schimanowski, 2002, pp. 209-210; Prigent, 2000a, p. 205.
48
Cfr. Vos, 1965, pp. 209-210, e Segalla, 2000, pp. 135-136.
Le figure di Gesù nell‟Apocalisse 187

Questa si caratterizza più specificatamente come predicazione profetica au-


torevole e legittima («pivsti~») dai toni e contenuti escatologici, raccolti sot-
49
to la cifra della resistenza ad ogni costo («uJpomonhv») .
Accedervi e preservarla significa conoscere e riconoscere il suo nome
(«to; o[nomav mou») e la realtà che questo schiude: nella misura in cui Gesù è e
rimane il testimone, il rivelatore celeste, «pisto;~ kai; ajlhqinov~» (Ap 1, 5 e
3, 14), la parola divina stessa (Ap 19, 11-13), da cui ora origina di nuovo co-
noscenza sicura e affidabile («pivsti~»: Ap 14, 12; cfr. 19, 9-10 e 22, 6), e
che ora di nuovo incita alla «uJpomonhv» (cfr. Ap 13, 10 e 14, 12), la visione e
la scrittura costruiscono e organizzano la memoria. In quella memoria, fil-
trando continuità e corrispondenze, ritrovano fondati e sanciscono forme,
contenuti e funzioni dell‘esperienza profetica quale soggiace all‘Apocalisse,
e la propongono come rivelazione di Cristo tout court nell‘arena di fenomeni
50
e gruppi concorrenti, degradati a falsa profezia .
Questa ri-figurazione della tradizione e del ricordo viene calata nella
cornice di un mondo concepito come terreno di scontro tra Dio e Satana. Su
questo scacchiere, la vicenda di Gesù, la sua opposizione strenua a Satana e
vittoria nella fedeltà a Dio fino alla morte, e morte di croce, segna e anticipa,
nella sua portata escatologica e, specificatamente, messianica, la sconfitta
definitiva delle forze dell‘Avversario, e la glorificazione propria e dei suoi
51
seguaci .

3. DUE STORIE DI GESÙ

Gli elementi di ricordo rilevati non rimangono isolati e sconnessi. Gio-


vanni ne offre due riletture narrative, una immediata, l‘altra in controluce,
52
entrambe sotto forma di racconto ―mitico‖ .

49
Similmente, Kerner, 1998, pp. 40 e 45.
50
Cfr. Roose, 2000, pp. 158-160 e 188-224.
51
Cfr. Satake, 1991, pp. 313 e 321-322, e Middleton, 2006, pp. 169-170.
52
Scrive Assmann, 1997, pp. 26-27: «La memoria culturale si orienta in base a punti
fissi nel passato. Anche in essa il passato non è in grado di conservarsi in quanto tale, ma si
coagula piuttosto in figure simboliche a cui viene agganciato il ricordo: le storie dei padri –
l‘esodo, la peregrinazione nel deserto, la conquista del paese, l‘esilio – sono figure di ricordo
celebrate liturgicamente nelle feste, le quali gettano luce su situazioni del presente. Anche i
miti sono figure di ricordo: la differenza tra mito e storia cessa qui di valere. Per la memoria
culturale è valida non la storia de facto, ma solo quella ricordata; si potrebbe anche dire che
nella memoria culturale la storia de facto viene trasformata in storia ricordata e dunque in mi-
to. Il mito è una storia fondante, una storia che viene raccontata per chiarire il presente alla
luce delle origini. […]. Attraverso il ricordo la storia diventa mito; in tal modo essa, lungi
dal divenire non reale, solo ora si fa realtà, come forza durevole normativa e formativa»
(corsivo mio). Cfr. anche ibid., pp. 47-51. Williams, 2006, applica alle tradizioni gesuane
188 Capitolo terzo

Sono forse due tra i più complessi passaggi della lettera, e, per districar-
ci fra nodi esegetici, interrogativi aperti, vecchie e nuove metodologie e pro-
spettive di ricerca, cercheremo di creare una base testuale di analisi solida,
individuando i punti fermi che più direttamente ci interessano, e concentran-
53
do su di questi le nostre domande, con il loro taglio specifico .

3.1 Il Messia rapito in cielo: annotazioni a margine di Ap 12, 1-5

Preso nel suo contesto più ampio (Ap 12, 1-5.13-17), il racconto si di-
pana come conflitto tra la donna nel cielo, il suo primogenito, e gli altri della
sua discendenza, da un lato, e il grande drago rosso, dall‘altro, (cfr. Ap 12,
17), e funge da cornice alla sconfitta del serpente stesso e dei suoi angeli ad
opera delle milizie celesti guidate da Michele (Ap 12, 7-12).
Chi sono il serpente e il primogenito? Il testo è chiaro: quasi a non voler
lasciare dubbi sulla sua identità, sul drago grande si affollano gli epiteti di
«serpente antico, chiamato Diavolo e Satana, che seduce tutta la terra abita-
54
ta» (Ap 12, 9) , il primogenito, un figlio maschio, si rivela il Messia davidi-
de, destinato a «pascolare tutte le genti con bastone di ferro» (Ap 12, 5; cfr.
Sal 2, 8-9 LXX e Sal. Sal. 17, 21-24). Le ricorrenze parallele della citazione
55
in Ap 2, 27 e 19, 15 permettono di identificarlo storicamente con Gesù .
L‘ostilità tra i due, tra il drago ed il Messia, tra Satana e Gesù, si traduce
nella fame del drago che vuole divorare il nascituro: eco precisa di storie del-
56
la supposta persecuzione ordinata da Erode il Grande (cfr. Mt 2, 16-21) ?
Appare più probabile che, in questa fame, affiori una cifra dell‘intera espe-
rienza di Gesù, abbozzata come scontro con Satana o le potenze demoniache,

conservate nella Did. la nozione analoga di «genere di memoria», definito come pratica mne-
monica e/o immagine del passato a disposizione di un particolare gruppo sociale in uno speci-
fico momento (p. 35).
53
Mi limito a segnalare, a titolo di bibliografia fondamentale, Gollinger, 1971; Yarbro
Collins, 1976; Min, 1991; Busch, 1996; Kalms, 2001; Biguzzi, 2004, pp. 195-229; Koch,
2004; Siew, 2005; Omerzu, 2006; Arcari, 2008, pp. 324-365.
54
Cfr. Busch, 1996, pp. 61-66 e 116-135; Kalms, 2001, pp. 49-53 e 134-143; Biguzzi,
2004, pp. 202-212; Koch, 2004, pp. 238-252.
55
Cfr. Busch, 1996, pp. 67-75 e 86-102; Kalms, 2001, pp. 55-59; Biguzzi, 2004, pp.
212-217; Arcari, 2008, pp. 342-348; 353-356; 362-365, con molte riserve sull‘identificazione
della donna con Maria. L‘interpretazione collettiva come gruppo messianico (cfr. Gollinger,
1971, pp. 151-182, e Siew, 2005, pp. 152-164) ha quantomeno il merito di evidenziare deci-
samente, fino all‘equivoco e allo scambio, il parallelismo speculare che l‘Ap costruisce tra
Gesù e i suoi seguaci. Cfr. le osservazioni di Arcari, 2008, pp. 356-362.
56
Cfr. Lupieri, 2000, pp. 195-197, e Kalms, 2001, pp. 49; 61-62; 65; 127-131, in parti-
colare, 129. Prima rassegna e vaglio delle ipotesi sulla decifrazione storica della scena offre
Koch, 2004, pp. 227-232.
Le figure di Gesù nell‟Apocalisse 189

nel succedersi di prove da questi scatenate, che poteva essere alimentata da


molteplici tradizioni poi confluite anche nelle narrazioni evangeliche (cfr. Lc
4, 13 e 22, 3. 28; 1 Cor 2, 8; Eb 2, 18; 4, 15; 5, 7-10; Ascen. Isa. 9, 13-14 e
11, 18-19; Ignazio, Eph. 19; Giustino, Dial. 125, 4; Ippolito, Fr. Gen. 49, 16-
17; Vang. Ver. 18, 21-22; Apoc. Piet. 71, 5 [NHC VII, 3]): le tentazioni nel
deserto (Mc 1, 12-13 parr.), gli esorcismi di spiriti impuri (Mt 3, 22-27 parr.),
l‘opposizione di Pietro al suo destino (Mc 8, 32-33 parr.), la consegna da
parte di Giuda (Gv 6, 70-71 e 13, 2.27) e l‘abbandono dei discepoli (Lc 22,
31-53), l‘odio della folla e la crocifissione (Gv 8, 37-47; 12, 31; 14, 10; 16,
57
11) .
L‘intervento divino chiude i giochi: subito dopo il parto, sembra di capi-
re, il figlio della donna viene «rapito presso Dio e presso il suo trono» e sot-
58
tratto al pericolo incombente (Ap 12, 5) . Il passivo aJrpavzomai denota
l‘essere afferrati e strappati via senza opporre resistenza, che poi si tratti
concretamente di spostamenti fisici, da un luogo ad un altro (Apollonio Ro-
dio, Argon. 3, 1114: trasporto di tempeste; At 8, 39: traslazione ad opera
dell‘angelo del Signore; Flavio Giuseppe, A.J. 7, 113: fuga di Mefibošet sul-
le spalle della nutrice; Vit. Pro. 3, 14; Apoc. Mos. 37; Quinto Smirneo, Post.
11, 291: Afrodite mette in salvo il figlio Enea), di rapimenti estatici (2 Cor
12, 2.4; Apoc. Esdra 5, 7; 3 Bar. passim), o di ascensione nei cieli dopo la
morte o anche senza morte (Sap 4, 11: della morte del giusto; 1 Ts 4, 17: dei
seguaci di Gesù ancora in vita al momento della parusia; Erodiano, Hist. 1,
11, 2: di Ganimede rapito da Zeus; Esichio di Mileto, Vir. ill. 66:
59
dell‘assunzione in carne dell‘imperatore Giustiniano) .
Questa terza sfumatura tradisce l‘ottica tutta particolare in cui Giovanni
ricorda, immagina e trasmette la dimensione significativa e fondante delle
vicende di Gesù: il «metetevqh» di Sap 4, 10 parallelo all‘«hJrpavgh» di 4,
11, e un po‘ tutta la formulazione del verso applicano al giusto il modello del
destino di Enoc (cfr. Gn 5, 24 LXX e Tg. Ps.-J.; Sir 44, 16 e 49, 14; Filone,
57
Cfr. Berger, 1976, pp. 128-131 e le osservazioni di Ulland, 1997, pp. 192-196 e 331,
e Biguzzi, 2004, pp. 217-220. Come ha scritto Dunn, 2003, p. 381 delle tentazioni di Gesù nel
deserto, e a maggior ragione: «an impression made by Jesus, perhaps through his whole mis-
sion, is dramatically represented in this story form». Contro ogni possibile pretesa o tentativo
di far collimare al dettaglio Ap 12, 4-5 con narrazioni di eventi precisi della vita di Gesù, vale,
a livello teorico, l‘osservazione di Assmann, 1997, p. 49: «Solo il passato significativo viene
ricordato, e solo il passato ricordato diventa significativo. Il ricordo è un atto di semiotizza-
zione» (corsivo dell‘autore). Si tratta quindi di capire ed enucleare come il passato viene ri-
cordato e immaginato.
58
Cfr. le analisi di Busch, 1996, pp. 102-113, e Kalms, 2001, pp. 59-65, e la precisazio-
ne di Koch, 2004, pp. 234-235.
59
Su linguaggio e significati dell‘assunzione celeste nel mondo mediterraneo antico,
cfr. Lohfink, 1971, pp. 32-50 e 72-74; Zwiep, 1997, pp. 36-79; Aune, 1998a, pp. 689-690;
Smith, 2006, pp. 53-92.
190 Capitolo terzo

60
QG 1, 85-86, e Is 57, 1-2 LXX) . In compagnia di Elia, Enoc è il non morto
e traslato in cielo per eccellenza, in segno della protezione e del favore divi-
no accordatogli (cfr. 2 Re 2, 11, 1 Macc. 2, 58, e Sir 48, 9 e 12 su Elia; 1 En.
12, 1-2; 70, 1; 89, 52 e 90, 31, su Enoc ed Elia; Giub. 4, 23; Filone, QG 1,
85-86; Flavio Giuseppe, A.J. 1, 85 su Enoc, e 9, 28, su Elia, anche in coppia
61
con Enoc; Eb 11, 5; 2 En. 36, 1-2 e 67, 2-3) , ma la tipologia del profeta-
giusto rapito presso Dio si diffonde rapidamente ad altri personaggi delle
62
scritture sacre ebraiche : Melchisedek, dopo un concepimento e una nascita
miracolosa, trasportato e deposto nel paradiso dell‘Eden, nel terzo cielo,
dall‘arcangelo Michele, per essere sacerdote dei sacerdoti in eterno (2 En.
63
71, 28-29 e 72, 1-9; cfr. Eb 7, 3) , i profeti Mosè (Filone, Mos. 2, 288-292;
Sacr. 8; QG 1, 86; Flavio Giuseppe, A.J. 4, 326; Or. sib. 2, 245; Atti Pil. 16,
64
6-7; Ambrogio, Cain 1, 2, 8) , Fineas (Ps.-Filone, L.A.B. 48, 1, e Origene,
60
Berger, 1976, p. 34. Cfr. anche Müller, 1971, pp. 184-189.
61
Cfr., rispettivamente, Rosso Ubigli, 1984, e VanderKam,1995, e Öhler, 1997, pp. 2-
30.
62
Scrive Berger, 1971, p. 401 n.2: «es handelt sich um ein offenbar aus der Elias-
Tradition kommendes Element, das […] auch auf andere prophetische Gestalten übertragen
wurde, insbesondere auf Henoch, und welches häufig als Himmelsreise dargestellt wird, die
eine der Berufungsvision analoge Funktion hat». Cfr. anche Id., 1976, pp. 19-21. Se il profeta
Elia era celebre per il suo zelo per la Legge, e quindi per la sua giustizia, e l‘ascensione pote-
va rappresentarne la meritata ricompensa (cfr. 1 Macc. 2, 58; 4 Esd. 7, 106-111; Eb 11, 32-38;
Gc 5, 16-18; Ascen. Isa. 2, 14 e 9, 36; Pesiq. Rab. 9, 76a), Enoc il giusto (cfr. 1 En. 12, 4; 15,
1; 71, 15-16; Sir 49, 14; Giub. 10, 17; T. Giud. 18, 1; T. Dan 5, 6; T. Ben. 9, 1; Eb 11, 4-7;
Ascen. Isa. 9, 7-9.28) viene descritto con funzioni di profeta o comunque considerato tale in
Giub. 4, 22-24 (cfr. 1, 12); Gd 14; Barn. 4, 3-4; Atenagora, Leg. 24; Ippolito, Antichr. 43;
Clemente d‘Alessandria, Ecl. 2, 1; Origene, Princ. 4, 4, 8; Vang. Bart. 11-12 (cfr. anche ver-
sione slava).
63
In 2 En., l‘esaltazione di Melchisedek si consuma sulla traiettoria e a spese di Enoc,
ridimensionato a rivelatore delle strutture celesti e della vera halakhah. Da 11QMelch, si può
dedurre che, negli ambienti qumranici del I sec.a.C., la figura biblica del re di Salem fosse
ormai assorbita nel nuovo status di ‟lwhym, e forse venisse anche riconosciuta come l‘«unto
dello Spirito» preannunciato da Dn 9, 25. Il Libro dei Giubilei, dalla sua, sembra aver già
provveduto a cancellarne le tracce, mentre il Libro delle Parabole di Enoc trasformerà Enoc
in un essere sovrumano. Gli indizi di una concorrenzialità dei due personaggi si moltiplicano
se si tiene conto che il trattato scoperto a Nag Hammadi e intitolato Melchisedek si presenta,
alla stregua di tanta letteratura enochica, come testo autobiografico della rivelazione celeste
ricevuta e secretata dal santo sommo sacerdote dell‘Altissimo (NHC IX, 6, 24; 14, 9 – 15, 5;
27, 1-10). Cfr. Gianotto, 1984, pp. 59-86 e 193-216, e Sacchi, 1988, pp. 207-209. Nel quadro
della lunga tradizione di caratterizzazione sacerdotale e profetica di figure quali Levi e la sua
discendenza (Gius. Asen. 22, 8-9; 23, 8; 26, 7; e T. Levi 2, 10; 5, 4; 8, 2.14-15), Mosè (Filone,
Mos. 2, 292; Mem. Marq., passim; CIJ pp. 559 e 592 nr. 102), Samuele (1 Sam 3, 1.20-21; Sir
46, 13-20; Ps.-Filone, L.A.B. 51, 6-7; Palaia, ed. Vassiliev, p. 220), Geremia (4 Bar. 9, 8), il
Maestro di Giustizia (cfr. 4QpPsa 3, 15; 1QpHab 2, 2-9 e 7, 3-5; CD 6, 7-11; 1QS 9, 9-11),
Caifa (Gv 11, 49-51), non sfugga la rappresentazione di Melchisedek come profeta offerta
anche dalla Palaia p. 212.
64
Discussione di questi e altri testi, compresi Mc 9, 4 parr. e Ap 11, 3-6, in Meeks,
1967, pp. 122-125; 140-141; 209-214; 244-254; Lohfink, 1971, pp. 61-69; Smith, 2006, pp.
Le figure di Gesù nell‟Apocalisse 191

65
Comm. Jo. 6, 83-85) , Geremia (Mt 16, 14; 5 Esd. 2, 18; Vittorino di Peto-
vio, Comm. Apoc. 11, 3; Origene, Comm. Jo. 13, 403; cfr. anche 2 Macc. 2,
66
1-8 e 15, 12-16, e Vit. Pro. 2, 11-19) , Baruc (2 Bar. 13, 3; 43, 2; 46, 7; 48,
30; 76, 1-4), Esdra (4 Esd. 14, 9-15), fino all‘intero Israele (As. Mos. 10, 8-
9). La figura di Enoc assume chiari tratti messianici nell‘appendice al Libro
delle Parabole di Enoc, dove il patriarca stesso, asceso definitivamente pres-
so il Signore della Gloria, è rivelato essere il Figlio dell‘Uomo (1 En. 71, 14-
17), l‘Eletto e l‘Unto, conservato da sempre al cospetto di Dio, che, al suo
apparire alla fine dei tempi, si siederà sul trono della Gloria (cfr. 1 En. 45, 3;
67
48, 2-6.10; 51, 3; 52, 4-9; 61, 8; 62, 1-2.5-7) . A sua volta, anche l‘attesa del
ritorno di Elia si sovrappone, in alcuni circoli di orientamento sacerdotale, a
quella del Messia di stirpe aaronitica (cfr. CD 6, 7-11 e 1QS 9, 10-11,
4QTest, Ps.-Filone, L.A.B. 48, 1, Lc 1, 5-17, Gv 1, 20-21.25, e Tg. Yer I Es 6,
18 e 40, 9-11; Nm 25, 12; Dt 30, 4 e 33, 11, e Tg. Lam 4, 22; Midr. Sal 43,
68
1) .
Più vagamente, in 4 Esd., la preesistenza celeste e il disvelamento
dell‘Unto davidide (cfr. 12, 32 e 13, 26) sono vincolati ai destini «degli uo-
mini che sono stati accolti, che non hanno gustato la morte dalla loro nasci-
69
ta» (6, 26) e che torneranno e moriranno con lui dopo i suoi quattrocento
anni di regno (ibid.; 7, 28-30; 13, 52; cfr. 2 Bar. 13, 3 e 76, 3-4 con 30, 1, su

77-81. Per un confronto diretto tra ascensioni di Mosè in Filone e ascensione di Gesù nell‘Ap,
cfr. Borgen, 1996, pp. 151-152 e 154-159.
65
L‘equiparazione di Fineas a Elia si ritrova anche in Tg. Ps.-J. Nm 25, 17 e Pirqe R.
El. 47, ma la tendenza generale a fondere funzioni profetiche e funzioni sacerdotali era am-
piamente diffusa, come dimostrano le attestazioni raccolte da Berger, 1971, pp. 394-395, che
aggiunge: «dabei ist häufig von einem himmlischen Aufenthalt die Rede» (p. 395).
66
Cfr. Berger, 1976, pp. 256-257 n. 72, e Wolff, 1976, pp. 26-29.
67
Su datazione, origine e funzione dell‘appendice di 1 En. 70 – 71, nell‘economia gene-
rale del Libro delle Parabole di Enoc, cfr. Sacchi, 1981, pp. 569 e 571-572; Chialà, 1997, pp.
134-138 e 281-285, e 2007, pp. 159-163; Nickelsburg, 2007, pp. 42-43; Knibb, 2007, pp. 52 e
62-63; Kvanvig, 2007, pp. 187-193 e 197-206; Collins, 2007, pp. 221-227. Di compiti tradi-
zionalmente messianici sembra investito anche l‘angelo Melchisedek in 11QMelch: ritorno
dei prigionieri e liberazione dal peso di tutte le loro iniquità e dalle mani di Belial, esecuzione
della vendetta dei giudizi di Dio su Belial e i suoi partigiani, consolazione e istruzione degli
afflitti nella verità. Le figure di Melchisedek, del Principe delle Luci (1QS 3, 30; CD 5, 18;
1QM 13, 10) e di Michele (1QM 17, 6-8) sembrano qui convergere. Vale, allora, la pena nota-
re come 1 En. 61, 10 ponga l‘Eletto dopo le schiere del cielo e prima delle potenze che sono
sulla terra e sul mare (cfr. già Dn 7, 13-14.22 e 12, 1-2: Michele è il «Figlio dell‘Uomo»?).
68
Interessante già un confronto tra Is 49, 6, uno dei canti del Servo del Signore, il ma-
carismo di Sir 48, 11 su Elia, e le beatitudini messianiche di Sal. Sal. 17, 44 e 18, 6-8. Su Elia
come figura messianica a pieno titolo, non solo e non tanto come precursore del Messia, cfr.
Jeremias, 1938, pp. 931-933; Wieder, 1955, pp. 13-23; Robinson, 1958, pp. 268-270; Öhler,
1997, pp. 6-12; 14-24; 29-30; Fabry, 2006, pp. 282-283.
69
Smith, 2006, pp. 68-85 e 89-92, offre una lunga ed esaustiva lista delle figure, stori-
che o meno, di cui si tramandava che fossero state assunte in cielo, prima o dopo la morte.
192 Capitolo terzo

Baruc, e Ps.-Filone, L.A.B. 48, 1, su Fineas/Elia; Ascen. Isa. 9, 9; Ireneo,


70
Haer. 5, 5, 1; Ps.-Clemente, Rec. 1, 52, 4-5; Agostino, Gen. litt. 8) . Come in
2 Bar. 40, 1, il suo compito sarà, in prima battuta, di accusare trasgressioni
ed empietà dell‘avversario e dei popoli (4 Esd. 12, 31-32 e 13, 37; cfr. Lat-
tanzio, Inst. 7, 19, 7): è l‘ejlevgcw/arguo delle tradizioni escatologiche di
giudizio profetico associate al nome di Enoc (1 En. 13, 8.10 e 14, 1.3; Giub.
4, 24 e 10, 17; Sap 4, 20; Cipriano, Mont. 5), di Elia (Sir 48, 10) o di en-
trambi (Apoc. El. 4, 7-12; Apoc. Piet. 2; Chron. alex. p. 21, che le riporta
come tradizione ecclesiastica; Apoc. Ephr. 11; Apoc. Giov. apocr. 8; Ps.-
71
Metodio; Dieg. Dan 14, 11) .
Sul conto del Messia Menahem figlio di Ezechia, infine, circolava la
leggenda che fosse nato a Betlemme il giorno della distruzione del Tempio,
e, non molto dopo, fosse stato sollevato e strappato alle mani della madre da
venti e turbini, per essere custodito fino ai tempi stabiliti per l‘assunzione del
72
potere e la ricostruzione del Tempio (Lam Rab. 1, 16 = y. Ber. 2, 5a) . Il
luogo del nascondimento, qui non menzionato, rimane e deve rimanere evi-
dentemente sconosciuto (cfr. Mc 13, 21; Mt 24, 6; Gv 7, 25-27; Giustino,
Dial. 8, 4; 49, 1; 110, 1). Sulla semplice base testuale, non si può escludere
che tutto non si svolga sulla terra, ma rimangono comunque ancora ben visi-
bili i segni che il ciclo di Elia ed Eliseo, in particolare, il rapimento celeste
del primo nella tempesta (cfr. il testo di 2 Re 2, 11, tanto nella tradizione ma-

70 c
Cfr., sul ritorno di Enoc, 1 En. 90, 31; Giub. 4, 24 e 10, 17; 4QpsJub fr. 2, 3; più in
controluce, Sap 4, 20; Apoc. Paolo 20; sul ritorno di Elia, Ml 3, 23-24; Sir 48, 10; 4Q558 e
4Q521 fr. 2 III, 1-2 (?); Mc 8, 28 e 9, 12-13 par.; Lc 1, 16-17; Gv 1, 21.25; Or. sib. 2, 247;
Commodiano, Carm. apol. 833.839.850; sul ritorno di entrambi, Apoc. El. 4, 7; Apoc. Piet. 2;
Tertulliano, An. 50, 5; Ippolito, Comm. Dan. 4, 35; sul ritorno di Geremia, Mt 16, 14; 4 Esd.
2, 18 (con Isaia); Vittorino di Petovio, Comm. Apoc. 11, 3; sul ritorno di Mosè, i multi di Vit-
torino di Petovio, ibid.; Tg. fram. e Tg. Ps.-J. a Dt 33, 21; Es Rab 2, 6 (cfr. Ap 15, 3); Dt Rab.
3, 17; Qo Rab. 1, 8; Mem. Marq. 1, 9 e 2, 8 (cfr. Flavio Giuseppe, A.J. 18, 85 e Gv 4, 19-25).
Il «mutabitur cor inhabitantium et convertetur in sensum alium» di 4 Esd. 6, 26 ricorda le at-
tese concentratesi sul secondo invio di Elia (cfr. Is 49, 6; Ml 3, 22-23; Sir 48, 10; Lc 1, 17) e
già estesesi anche al Messia (T. Dan 5, 11 e Sal. Sal 17, 23-24.29.35 e 18, 7-8; cfr. anche At 3,
19-21 e Ap 19, 11.15).
71
Cfr. Müller, 1972, pp. 100-103, e Berger, 1973, pp. 10-11 n.38, e 1976, pp. 306-307
n.216. ejlevgcw appartiene al linguaggio stereotipo della predicazione profetica, cfr. Vit. Pro.
3, 2; 6, 2; 17, 2; 21, 11, e le osservazioni di Norelli, 1994, p. 102. Il giudizio di Girolamo con-
servato da Gioacchino da Fiore, Comm. Apoc. fol. 146b, attesta esplicitamente come si potes-
se facilmente presumere che le interpretazioni cristiane letterali di Ap 11, 2-6 attingessero a
fonti giudaiche, o di tendenza giudaizzante, sul ritorno dei due: «de Henoch et Helia, quos
venturos apocalypsis refert et esse morituros, non est huius temporis disputatio, cum omnis
ille liber aut spiritaliter intelligendus sit, aut si carnalem interpretationem sequemur, iudaicis
fabulis acquiescendum sit» (cfr. Id., Comm. Isa., prologo). Cfr. anche le conclusioni cui arriva
Bauckham, 1985, pp. 75-76.
72
Cfr. la ricostruzione della figura storica di Menahem e dello sviluppo della leggenda
proposta da Hengel, 1976, pp. 299-302.
Le figure di Gesù nell‟Apocalisse 193

soretica quanto nelle versioni di Tg. Ps.-J. e LXX, e Sir 48, 9.12), ha lasciato
73
sulla formazione dell‘episodio analogo .
È stato già giustamente evidenziato (Busch, 1996, pp. 102-107 e 110-
113) come ad Ap 12, 5; 2 En. 71, 17-28 e 72, 1-9; Lam. Rab. 1, 16 e y. Ber.
2, 5a, soggiaccia una analoga articolazione in nascita e rapimento del bambi-
no che porterà la salvezza. Lo stesso schema è ripetuto e modulato tredici
volte in Apoc. Adamo 77, 27 – 82, 19 (NHC V, 5; I-III sec.d.C.) a proposito
74
della genesi e della venuta del «fwsthvr», il «luminare della conoscenza» .
Queste variazioni culminano tutte, indistintamente, con il conferimento di
gloria e potenza al bambino, nel luogo (prevalentemente, cielo, deserto,
montagna o luogo elevato, ma anche giardino di fiori e nuvola) dove è stato
75
allevato in segreto, e con la sua seguente discesa sulla terra . Più nello speci-
fico, la seconda (78, 6-13) ne sottolinea la nascita da un grande profeta e ne
attribuisce il rapimento agli uccelli del cielo che lo nutrono su una montagna,
mentre la quarta (78, 27 – 79, 14) racconta dell‘inseguimento di una vergine
da parte delle armate demoniache di Salomone, e della sua fuga nel deserto,
dove partorirà e tirerà su il bambino. Sia che il «luminare» vada identificato
direttamente con Gesù sia che rappresenti una figura più indistinta di profe-
ta/giusto/sapiente o rivelatore celeste (cfr. Is 42, 6 e 49, 6; Dn 12, 3 LXX; T.
Levi 14, 3 e 18, 1-9; 1 En. 48, 2-4, in parallelo a 46, 3 e 49, 1-2; 1QM 17, 6-
8; 1QS 4, 1-7; 4QWiles of the Wicked Woman 1, 7; 11QPsa 27, 2-4.11; Gv
76
5, 35; Fil 2, 15; 2 Pt 1, 19; Ap 11, 3-4 e 21, 11.23) , mi sembra giustificato
concludere, alla luce degli altri paralleli riportati e discussi, che, perlomeno
in alcuni dei suoi sviluppi e delle sue rielaborazioni, di fatto quelli più pros-
simi alla versione di Ap 12, questo schema narrativo sia giunto al redattore di
Apoc. Adamo attraverso la mediazione di ambienti giudaici, e abbia risentito

73
Schwemer, 1994, pp. 119-135. Cfr. anche Pesiq. Rab. Kah. 5, 8 e Pesiq. Rab. 15, 10,
dove del Messia si dice che si ritirerà temporaneamente nel deserto (di Giuda o di Og) come il
suo predecessore Mosè.
74
Sul ripetuto invio di Elia, cfr. Ps.-Filone, L.A.B. 48, 1. Sulle successive nascite di Cri-
sto da una vergine e le metamorfosi storiche del profeta di verità, cfr., rispettivamente, Libr.
Elch. in Ps.-Ippolito, Haer. 9, 14, 1, e Ps.-Clemente, Hom. 3, 20, 1 (analogamente anche
Vang. Naz. in Girolamo, Comm. Isa. 4, 13). Il motivo è, con tutta probabilità, di origine profe-
tico-sapienziale (cfr. Sap. 7, 22.25-28)
75
Sul significato dell‘espressione formulare di chiusura «e così venne sull‘acqua», cfr.
Parafr. Sem 32, 5-12 (NHC VII, 1) e Trat. Set 50, 16-18 (NHC VII, 2) con le considerazioni
di Stroumsa, 1984, pp. 89-90 e n. 29.
76
L‘economia generale del testo richiederebbe piuttosto che si intenda Set. Così
Stroumsa, 1984, pp. 89-91 e 101-102, e Pearson, 1986, pp. 30-31. Franzmann, 1996, pp. xvi-
xvii, cita le voci favorevoli all‘identificazione con Gesù, passando in rassegna alcuni dei loro
argomenti, ma poi si limita a dimostrare come, a suo giudizio, storia del «luminare» e vicenda
di Gesù non coincidano. Filoramo, 1982, p. 870, pensa ad un influsso della teologia solare
mitraica.
194 Capitolo terzo

dell‘influsso di tradizioni su Elia e delle loro interpretazioni (cfr., in partico-


77
lare, Ps.-Filone, L.A.B. 48, 1) .
Stringiamo. L‘«hJrpavsqh to; tevknon aujth'~ pro;~ to;n qeo;n kai; pro;~
to;n qrovnon aujtou'» getta, più lunga, l‘ombra di uno schema profetico sulla
comprensione della comparsa di Gesù e sulla sua messianicità: il confronto
con e la frustrazione degli assalti di Satana preludono al rapimento presso
Dio, dove sarà custodito prima di tornare ed esercitare in pieno le funzioni di
re e giudice che gli sono attribuite (Ap 12, 5: «mevllei»!; cfr. anche 2, 27-28
78
e 19, 11-15, e le formule tradizionali di 1 Tm 3, 16 e Fil 2, 8-9) .
All‘analisi della seconda storia precisare questo abbozzo.

3.2 I due testimoni e il loro Signore (Ap 11, 3-13)

Gli strascichi della sconfitta celeste del drago e della sua ira per i ripetu-
ti fallimenti di colpire la donna (Ap 12, 6-16) si ripercuotono sul «resto della
sua discendenza» che viene ora coinvolto in una guerra con il Satana e i suoi
due emissari (Ap 13).
La presenza anticipata, in Ap 11, 7, della bestia che sale dall‘abisso e fa
guerra ai due testimoni, uccidendoli sotto gli occhi di «popoli e tribù e lingue
e genti» (cfr. 11, 9), induce a considerare 11, 3-13 la rappresentazione speci-
fica e diffusa dell‘andamento di quello stesso conflitto disposto e prospettato
79
in 13, 7-10, quasi un episodio-simbolo delle ostilità aperte : stesso il lasso di
tempo – i 1260 giorni di 11, 3 coincidono con i 42 mesi di 13, 5 –, stesse an-
che le vittime, che siano chiamate «santi» (13, 7 e 10) o «coloro che custodi-
scono i comandamenti di Dio e hanno la testimonianza di Gesù» (12, 17) o
«i miei due testimoni» (11, 3). I primi sono infatti esplicitamente identificati
con i secondi (cfr. 13, 10 e 14, 12), hanno una testimonianza da custodire
(cfr. anche 12, 10), e passi come Ap 17, 6 e 18, 24, per un verso, 19, 10 e 22,
77
Cfr. l‘analisi di Berger – Colpe, 1993, testi nn. 618-621 pp. 346-348. Sulla dipenden-
za di Apoc. Adamo da tradizioni profetiche e ―apocalittiche‖ giudaiche insistono MacRae,
1965, pp. 32-34, e Pearson, 1984, pp. 470-474. Su diffusione e forme del motivo letterario
dell‘esposizione del neonato, che in Apoc. Adamo trovano ulteriore riflesso, cfr. Redford,
1967, pp. 211-220 e 225.
78
Cfr. Müller, 1972, pp. 184-187; Busch, 1996, pp. 107 e 112-113; Zwiep, 1997, pp.
77-79; Kalms, 2001, pp. 60-61. L‘associazione di unzione e profezia è rintracciabile anche in
Ap 11, 3-4. Sul profeta-messia, cfr. T. Levi 8, 14-15 e 18, 1-7; T. Ben. 9, 1-2 e 11, 2; Mt 26,
68; Lc 24, 19-21; Gv 1, 20-21.25.45-49; 4, 19.25.29.39; 6, 14-15; 7, 40-42. Cfr. anche, nel
dettaglio, le annotazioni di Volz, 1966, pp. 191-201, e i contributi di Meeks, 1967, pp. 211-
214 e 246-254, e Berger, 1971, pp. 401 e 424-425, e 1973, pp. 10-37 e 43-44.
79
Cfr. analisi e osservazioni in Giblin, 1984, pp. 446-454; Lupieri, 2000, pp. 206-208;
Siew, 2005, pp. 198-205 e 279-285. Öhler, 1997, pp. 272 e 282, parla di tipologia, Middleton,
2006, p. 169, seguendo Bauckham, 1993b, p. 84, di parabola.
Le figure di Gesù nell‟Apocalisse 195

80
6.9, per l‘altro, quantomeno, li assimilano a profeti ; l‘attività dei due testi-
moni è descritta, al contempo, dal sostantivo marturiva (11, 7) – sono di fat-
to i testimoni di Gesù (cfr. Ap 2, 13; 6, 9; 11, 3) – e dal verbo profhteuvw –
81
e di profeti hanno tipologicamente vesti e poteri .
I due, insomma, incorporano associativamente i molti, i molti si rispec-
82
chiano nei due . Viene da chiedersi se Giovanni prospetti ancora movimenti
corrispondenti tra le due fasi della strategia satanica, tra l‘assalto a Gesù, il
primogenito della donna, e l‘attacco ai loro – di Gesù, prima, di Giovanni,
83
poi – seguaci, il resto del seme della donna (cfr. già Ap 2, 26-28 e 3, 21). Le
ordina ancora secondo schemi simili e riconoscibili?

3.2.1 Schizzo di una convergenza

Senza pretendere di riscontrare aderenze integrali, punto per punto, tra


questi momenti, mi pare si possano individuare quattro nuclei fondamentali
in cui la ripetizione si cristallizza.
Il ricorso alla citazione di Zc 4, 11-14 per identificare i due testimoni li
qualifica come figure messianiche dalle funzioni regali e sacerdotali, oltre
84
che profetiche . In Ap, Gesù è «l‘Unto di Dio» per eccellenza (cfr. Ap 12,
10), ma, con il suo sacrificio, ha trasformato i suoi seguaci in un popolo di re
e sacerdoti (Ap 1, 6; 5, 10; 7, 14-15) che combatterà e regnerà con lui nel suo
interregno millenario e poi nei secoli dei secoli, servendo Dio e vedendo il
Suo volto (cfr. Ap 17, 14 e 19, 14-16; 20, 4-6; 21, 3-5). Loro spetta la piena

80
Cfr. Satake, 1966, pp. 57-63 e 115-119, e Roose, 2000, pp. 38-46 e 156-158.
81
Cfr. Strand, 1981, pp. 129-131; Giblin, 1984, pp. 440-443; Öhler, 1997, pp. 267-272;
Siew, 2005, pp. 215-219; 233-235; 249-250. Cfr., in particolare, le tradizioni parallele raccol-
te da Ascen. Isa. 1, 8-11; 2, 8; 3, 10, ma anche Dn 9, 3; 1 Macc. 2, 6-8.12-14, e 3, 45-47; Sal.
Sal. 2, 19-21.
82
Cfr. Feuillet, 1958, pp. 191-195; Öhler, 1997, pp. 271-272; Aune, 1998a, pp. 603-
606; Lupieri, 2000, pp. 177-179; Siew, 2005, pp. 226-232.
83
Con Satake, 1966, pp. 61-62 e 71-72, e Roose, 2000, pp. 41 e 147-156, si ricordi
sempre che, per Giovanni, «la parola di Dio e la testimonianza di Gesù» indicano univoca-
mente l‘Apocalisse stessa, la rivelazione da lui ricevuta e trascritta: è ad essa, suona
l‘esortazione, che bisogna attenersi fedelmente senza alterarla o contaminarla (cfr. Ap 22,
16.18-19).
84
L‘espressione «che stanno in piedi di fronte al Signore» di Ap 11, 4 ne qualifica spe-
cificatamente posizione e rango di sacerdoti (cfr. Dt 17, 12 e 18, 7; Ez 44, 15; Zc 3, 1; Giub.
30, 18; T. Levi 2, 10; CD 4, 6; 1QSb 3, 25-26 e 4, 24-26; 4Q174, 7; 4Q400ShirShabba fr.1 I,
3-4; Lc 1, 8; Ap 7, 15 e 21, 3-4). Sull‘attesa di due messia, l‘uno di stirpe regale, l‘altro di
stirpe sacerdotale, vedi Sir. 45, 6-26 e 47, 11; Giub. 31, 9-23; 1QS 9, 11; CD 7, 18-19; 12, 23;
14, 19; 19, 10; 20, 1; 4QTest 21-30; più incerti e problematici risultano i passi dei Testamenti
dei Dodici Patriarchi normalmente addotti (T. Levi 2, 11 e 8, 11-15; T. Dan 5, 10-13; T. Nef.
8, 2-3; T. Gad 8, 1; T. Gius. 19, 11-12; T. Ben. 11, 2).
196 Capitolo terzo

dignità messianica: già partecipano e parteciperanno di quella di Gesù (cfr.


Ap 2, 27-28 e 12, 5; 19, 14-16; 22, 16).
Il breve inserto «o{pou kai; oJ kuvrio~ aujtw'n ejstaurwvqh» (Ap 11, 8)
colloca volutamente i cadaveri dei due sulla piazza di quella stessa Gerusa-
lemme, che aveva visto anche la crocifissione di Gesù: i profeti non possono
85
morire fuori dalle sue mura (cfr. Lc 13, 33) . Melitone di Sardi (Pasch. 711-
712.724-725.744-750) riporta tradizioni che collocano l‘esecuzione di Gesù
in mezzo a Gerusalemme, e più precisamente, nel mezzo della piazza e della
città, sotto gli occhi di Israele e di tutte le genti (cfr. Ap 11, 9 e Lc 23, 10; At
4, 25.27 e 13, 27-28; e anche Ascen. Isa. 11, 20 e Vang. Piet. 9-10). La gioia
degli abitanti della terra per lo spettacolo ed il supplizio della fine dei testi-
moni (Ap 11, 10) trova il suo corrispettivo tematico nell‘indifferenza del po-
polo di Pasch. 744-750 e 753-759, e nella gioia dei Giudei di Vang. Piet. 23,
per la morte del Nazareno.
Elementi del linguaggio della loro resurrezione, ricavati dalla visione
delle ossa di Ezechiele (Ap. 11, 11: «pneu`ma zwh`~ ejk tou` qeou` eijsh`lqen
ejn aujtoi`~, kai; e[sthsan ejpi; tou;~ povda~ aujtw`n »; cfr. Ez 37, 5.10 LXX) si
allineano con l‘uso di Giovanni, che, per fare riferimento alla resurrezione di
Gesù, rifugge dai più ―classici‖ derivati di ajnivsthmi ed ejgeivrw (cfr., ad e-
sempio, 1 Cor 15, 4.15; Rm 6, 4.9; Mt 28, 6-7; Mc 8, 31 e 16, 6; Lc 24, 6-7 e
At 2, 24.32; Gv 2, 22 e 20, 9; Vang. Piet. 56), e gli preferisce «ejsthkov~»,
letteralmente, stante, in piedi (Ap 5, 6), e «e[zhse», visse, prese vita (Ap 2, 8;
cfr. 1, 17-18 e Rm 14, 9), come, poi, i morti decapitati per la testimonianza di
Gesù e la parola di Dio e quanti si sono rifiutati di adorare la bestia (Ap 20,
86
4) .
Alla reviviscenza dei due segue immediatamente la loro ascesa in cielo
nella nuvola (Ap 11, 12). La voce celeste che apre la scena, e la nuvola che li
nasconde e trasporta contano, in generale, nel repertorio classico di motivi
per un rapimento celeste (cfr., rispettivamente, Sofocle, Oed. col. 1626-

85
Cfr. Aune, 1998a, pp. 618-619. Lc 13, 6-9 e 31-33, nemmeno discussi nella monogra-
fia di Öhler, sembrano peraltro inquadrare invio e attività di Gesù stesso in schemi escatologi-
ci di tre giorni/tre anni (e mezzo? 13, 7-8: tre anni sono già passati, l‘anno in questione è il
quarto che comincia a scorrere; cfr. le durate della siccità causata da Elia in 1 Re 18, 1; Lc 4,
25; Gc 5, 17, e della sua predicazione al suo ritorno in Vittorino di Petovio, Comm. Apoc. 12,
6; Commodiano, Carm. apol. 834; Pesiq. Rab. 35). Su Lc 13, 32-33, cfr. ancora Jeremias,
1971, pp. 222-226, e le integrazioni di Berger, 1976, pp. 139-141.
86
Cfr. T. Ab. A 18, 11 e 4 Bar. 7, 18-20, dove l‘aquila è probabilmente un‘epifania an-
gelica della divinità. Sulla percezione del ritorno dal viaggio celeste e del risveglio dall‘estasi
come resurrezione, a volte, dopo tre giorni, cfr. 4 Bar. 9, 7-13; Ascen. Isa. 6, 10-17; Plutarco,
Sera 563d e Gen. Socr. 590b; Apuleio, Metam. 11, 21, 5-24; Epifanio, Pan. 40, 7, 2. La voce
di Ap 11, 12 che ordina l‘ascesa ai due testimoni sarebbe, secondo Berger, 1984, p. 343, un
relitto di questa tradizione.
Le figure di Gesù nell‟Apocalisse 197

1629; 2 En. 64, 1; Filostrato, Vit. Apoll. 8, 30; Diogene Laerzio, Vit. Filos. 8,
68, e Dosiade fr. 5; Apollodoro, Bibl. 2, 7, 7; 1 En. 14, 8 e 39, 3; Flavio Giu-
seppe, A.J. 4, 326). Più nello specifico, però, a livello lessicale,
l‘«hJrpavsqh» di Ap 12, 5 e l‘«ajnevbhsan» di Ap 11, 12 colgono e descrivono
lo stesso movimento: 1 Ts 4, 17 prospetta il rapimento («aJrpaghsovmeqa»)
escatologico sulle nuvole per i seguaci di Gesù trovati ancora in vita; secon-
do Melitone di Sardi, l‘ascesa di Cristo nelle altezze dei cieli (cfr. Pasch.
766 e 808) attira gli uomini, che vi vengono «afferrati» (cfr. 330 e 784); in
Epifanio, Pan. 40, 7, 2, a katabaivnw corrispondono, nella direzione oppo-
sta, aJrpavzw e ajnafevrw, e, poco più sotto, a 40, 7, 6, «aJrpagevnta~» prelu-
de alla discesa definitiva sulla terra dopo tre giorni di viaggio celeste, ed è
pertanto usato pressoché come sinonimo di ajnabavnta~. Non a caso, la tipo-
logia enochica che attraversa Sap 4, 10 – 5, 2 conosce già «hJrpavgh» (4,
87
11) . Più tardi, alcune varianti della tradizione soggiacente ad Ap 11, 3-13, in
questo punto, scambieranno i verbi: Lattanzio, Inst. 7, 17, 1-4, ha «reviviscet
atque […] rapietur in caelum»; il greco di Atti Pil. 2, 9 riecheggia il passag-
gio di 1 Ts 4, 17 con dettato pletorico, di contro allo scarno e conciso testo
offerto dalla recensione latina: «iterum vivi in nubibus assumendi»; Commo-
diano, Carm. apol. 861-863, più diffusamente, scrive che il Signore eleverà
(«tollit») in aria i due, rialzati dal suolo e divenuti immortali.
La stessa sequenza unica in due fasi, resurrezione (ajnevsth) e ascensio-
ne (ajnevbh), si riscontra per Gesù nelle formule conservate da Barn. 15, 9;
Melitone, Pasch. 765-766; Giustino, Dial. 36, 5, e nella narrazione di Vang.
Piet. 39-40 e 56. Come in Ap 11, 12-13, in Mt 27, 51 e 28, 2, in Vang. Piet.
21; 35; 41; Melitone, Pasch. 730.745 e 751-752 (cfr. Sal 17, 14 LXX), ter-
remoti, voci celesti, tuoni ne accompagnano il decesso sulla croce o la resur-
rezione/ascensione, e ne legittimano l‘autorità.
L‘accurata analisi proposta da Satake (2008, pp. 261-262) ci permette di
di rilevare come molti dei motivi e degli elementi che siamo venuti indivi-
duando in Ap 11, 3-13 vadano di fatto attribuiti ad interventi redazionali di
Giovanni: la figura dei «miei due testimoni» e il computo della durata della
loro azione in 1260 giorni (11, 3), la loro identificazione con i due ulivi e le
due lucerne di Zc 4, 11-14 (11, 4), la menzione della bestia a 11, 7, la distru-
zione della città con un terremoto (11, 13; cfr. anche 16, 18), la precisazione
sulla crocifissione di Gesù (11, 8) mostrano come e in quale direzione la

87
Il Tg. Ps.-J. legge a Gn 5, 24: «Ed Enoc servì nella verità davanti a YHWH, ed ecco
non era più fra gli abitanti della terra, perché fu preso (‟tngd = ajnelhvmfqh) e salì (slq = aj-
nevbh) nella volta celeste». Cfr. anche il testo greco di 1 En. 12, 1-2; la versione aramaica di
Gn 5, 24 in Tg. Neof. I e Tg. fram.; Sir 49, 14; Lc 24, 51 e At 1, 9.22; At 1, 10-11.
198 Capitolo terzo

88
Vorlage sia stata rielaborata . Lo sdoppiamento in due personaggi e la per-
vasiva coloritura gesuana che abbiamo rintracciato si allineano evidentemen-
89
te a questi sviluppi redazionali . Che poi il parallelismo con la vicenda di
Gesù venga evidenziato a chiare lettere solo per il luogo dell‘esecuzione (Ap
11, 8), e che sia riscontrabile una sfasatura fra i tempi intercorsi dalla morte
alla resurrezione/ascensione, nei due casi – rispettivamente tre giorni e tre
giorni e mezzo (Ap 11, 11) – lasciano pensare che Giovanni lavori su uno
schema tradizionale analogo a e, pertanto, integrabile con materiali e storie
su Gesù, ma, al tempo stesso, irriducibile ad una diretta dipendenza da que-
90
sti .
Proviamo, allora, a ricostruirlo e collocarlo storicamente.

3.2.2 Tradizioni e scritture91

Dicevamo, più sopra, di attese del ritorno di figure profetiche rapite e


preservate in cielo per la fine dei tempi.
Tradizioni enochiche relativamente più recenti (II-I sec.a.C.) prospetta-
vano una seconda discesa del patriarca, prima o al tempo del giudizio, a Ge-
rusalemme, in compagnia di Elia (1 En. 90, 30-31 [= Libro dei Sogni], prima
92
metà del II sec.a.C.; cfr. anche 89, 52) , o da solo, sulla terra, forse d‘Israele,
in qualità di scriba di giustizia e testimone (cfr. Giub. 4, 24 e 10, 17 e
4Q227), oppure di Unto e Figlio dell‘Uomo (cfr. 1 En. 71, 14-17 e 51, 3-5;
53, 6-7).
A ritorni simili devono fare riferimento Ps.-Filone (prima del 70 d.C.) e
4 Esd.: in L.A.B. 48, 1, a Fineas è ordinato di ritirarsi sul monte a Danaben,
Lì sarà nutrito dall‘aquila inviata da Dio, finché non sarà tempo per lui di
scendere dal popolo, forte del potere di chiudere ed aprire il cielo, ed essere
messo alla prova – evidentemente nella persona di Elia. Salirà, infine, in
88
Cfr. anche osservazioni e conclusioni in Berger, 1976, pp. 37-38, e Aune 1998a, pp.
592-593.
89
L‘effettiva constatazione che ciascuno dei testimoni, nella sua specifica individualità,
assuma i doppi tratti di Mosè ed Elia contemporaneamente (cfr. Ap 11, 3.5-6) mi sembra favo-
rire l‘ipotesi di Aune, 1998b, pp. 602-603, che la fonte o tradizione giunta a Giovanni preve-
desse un‘unica figura profetica in cui si accentravano più attributi tipologici. Diversamente
argomenta Satake, 2008, pp. 263-264. Sulle affinità di Ap 11, 3-13 con le (ri)narrazioni della
vicenda di Gesù come segno di attività redazionale, cfr. l‘analisi di Berger, 1976, pp. 25-26;
31-32; 37-38.
90
Cfr. Berger, 1976, pp. 30.131.
91
Tra i principali contributi, ricordo qui Berger, 1976, pp. 22-109; Nützel, 1976 e 1986;
Bauckham, 1976 e 1985; Black, 1978; Zeron, 1979; Zeller, 1986, pp. 154-160; Seng, 1990;
Öhler, 1997, pp. 263-288; Lampe, 2006, pp. 195-201; Freund, 2009, pp. 464-475.
92
Cfr. il commento di Tiller, 1993, pp. 377-379.
Le figure di Gesù nell‟Apocalisse 199

quello stesso cielo presso i suoi antenati, dove rimarrà fino a che Dio non si
ricordi del mondo. Allora, continua Dio – e pronome e verbo scivolano dalla
seconda persona singolare alla seconda persona plurale – «adducam vos et
93
gustabitis quod est mortis» . 4 Esd. affianca al Messia gli uomini che sono
stati accolti senza aver gustato la morte: saranno trovati insieme a lui, insie-
me a lui e a tutti i viventi spireranno (cfr. 6, 26; 7, 28-30; 13, 52); dopo sette
giorni di silenzio primordiale, avrà inizio il rinnovamento del mondo con la
resurrezione dei dormienti e il giudizio di Dio (7, 31-36). In entrambi i testi,
alla discesa segue l‘esperienza della morte che i rapiti non avevano provato;
4 Esd., dalla sua, sembra presupporre anche una loro attività – di predicazio-
ne? – , dai contorni fortemente eliani:
«et erit, omnis qui derelictus fuerit ex omnibus istis quibus praedixi tibi, ipse salva-
bitur et videbit salutare meum et finem saeculi mei, et videbunt qui recepti sunt ho-
mines, qui mortem non gustaverunt a nativitate sua, et mutabitur cor inhabitantium
et convertetur in sensum alium» (6, 25-26)

In tal senso, può risultare utile un confronto con le precisazioni di 7, 28-


30; 12, 30-34 e 13, 22-42.52, che sintetizzeranno le funzioni dell‘Unto rive-
lato sul monte Sion nell‘arguere le iniquità di re e popoli della terra con il
fuoco della sua parola, e nel ricostituire le tribù d‘Israele riconducendole
all‘osservanza della Legge (cfr. 1 Re 18, 36-37; Ml 3, 1-2.23-24; Sir 48, 10;
94
Sal. Sal. 17, 25-29.35-36, e 18, 7-8) . La resurrezione specifica dell‘uno e
degli altri sfuma tuttavia nella prospettiva di quella generale.
Un‘ossatura narrativa più ampia e ulteriori elementi di analisi offre Sap
4, 10 – 5, 16: il problema del male, nella forma della persecuzione e della
fine violenta e prematura del giusto ad opera dei malvagi (cfr. 2, 12-20), vie-
ne affrontato e risolto con l‘aiuto della tipologia enochica. In trasparenza, la
morte del giusto e sapiente, assimilato in 7, 27-28 anche ai profeti, ricalca la
traslazione, il rapimento del giusto per antonomasia, a preludio del suo ritor-
no per il giudizio finale, in quanto salvezza personale e condanna degli empi
in vita, conseguimento della pace dell‘immortalità e della speranza della re-
surrezione (cfr., nell‘ordine, 4, 14.17 e 5, 2; 4, 16.20; 1, 12.15; 2, 22-24; 3,
1-4; 4, 1.7). La scena appare chiara: in un gioco di sguardi, i popoli (4, 14),
prima, osservano la morte del giusto, che, contando sull‘aiuto divino, li ave-
va contrastati, riprovati e infamati (2, 12-17), e questo nell‘ignoranza, nella

93
Cfr. Black, 1978, pp. 231-232. Sia Black che Berger, 1976, pp. 299-300 n. 189, e Ze-
ron, 1979, p. 100, con argomenti diversi, individuano nel passaggio al plurale un riferimento
indiretto alla presenza di Enoc, cfr. L.A.B. 1, 16 («et non inveniebatur») con Gn 5, 24 e 2 Re
2, 17.
94
Cfr. anche Black, 1978, pp. 230-231, e Zeller, 1986, p. 159.
200 Capitolo terzo

derisione, e nel disprezzo (4, 14.17-18; cfr. Ap 11, 10); poi, al vedere la sua
resurrezione, cadranno in confusione e stupore, paura crescente e ravvedi-
mento, prorompendo in lamenti (5, 1-3; cfr. 1 En. 62, 3-6 e Ap 11, 11.13), in
mezzo, il disonore e la rovina provocate dalla punizione divina (4, 19); a se-
guire, instaurato da Dio, il regno, nella gloria e nel fulgore, dei giusti che
hanno versato il loro sangue (4, 16-23 e 3, 7-8, cfr. Is 53, 8-12; Dn 7, 23-27 e
12, 1-3; As. Mos. 10, 8-9; 4 Macc. 17, 2-6; T. Giob. 40, 1-4; Ap 19, 19 – 20,
5). I molteplici piani del discorso si incrociano e sovrappongono costante-
mente: anche se non si riesce a distinguere chiaramente notizie di un martirio
95
di Enoc , caratterizzazione enochica e dimensioni sapienziale, apocalittica e
96
martirologica finiscono per intrecciarsi ed integrarsi .
Da queste basi ad attese di persecuzioni e martirio reali dei redituri, il
passo è comunque breve, lo impongono in fondo la giustizia e la carriera
profetica, storica o escatologica che sia (cfr., sull‘Elia ―storico‖, 1 Re 19,
2.10.14; 1 En. 89, 52; Ps.-Filone, L.A.B. 48, 1; Eb 11, 37-38; Ascen. Isa. 2,
14). Ne ritroviamo traccia in tradizioni raccolte da testi evangelici su Gio-
97
vanni il Battezzatore e Gesù : secondo i ―canoni‖ contemporanei delle bio-
grafie dei profeti, Giovanni veste pelo di cammello e una cintura di pelle (Mt
3, 4 e Mc 1, 6; cfr. 2 Re 1, 8 e 2, 8; Is 20, 2; Zc 13, 4; Eb 11, 37; Ap 11, 3;
Ascen. Isa. 2, 10), vive per luoghi deserti (Mt 3, 1; Mc 1, 2-4; Lc 1, 80 e 3, 2;
cfr. 4 Bar. 3, 10; Eb 11, 32.38; Ascen. Isa. 2, 8-12), con la sua predicazione,
entra in conflitto con il potere politico, nella persona di Erode Antipa (Lc 3,
19; cfr. Vit. Pro. 3, 2; 6, 2; 17, 3; 21, 11 e Ascen. Isa. 2, 14 su Elia), che, per

95
Come ipotizza Black, 1978, pp. 233-234.
96
Cfr. Nickelsburg, 1972, pp. 48-79; Berger, 1976, pp. 34; 112; 120-121; 144-145; 350-
351 n.399; 358 n.430; 384-385 nn. 505-507; Kellermann, 1978, pp. 41 e 102-103; Fabry,
2006, pp. 276-277. Strette corrispondenze linguistiche e tematiche sono rilevabili anche tra T.
Giob. 39, 8-12 e 40, 3 sui figli di Giobbe uccisi da Satana e assunti in cielo, cercati e non tro-
vati, e 2 Re 11 – 12 e 16 – 18, su Elia assunto in cielo, cercato e non trovato. Nickelsburg,
1972, pp. 68-79, è convinto di poter rintracciare le radici comuni di Dn 12, Sap 2 e 4 – 5, 1
En. 46 e 62 – 63 nella ricezione dei canti del Servo Sofferente di Is 52 – 53.
97
Non le considero ―cristiane‖ per due ordini di ragioni contigue: quasi tutti, se non tut-
ti, gli autori degli scritti poi inclusi nel ―Nuovo Testamento‖, sono di estrazione giudaica
(come ribadito, di recente, da Hengel, 2005, pp. 85-90), e, più in generale, la percezione di un
―cristianesimo‖ come sistema religioso distinto dal Giudaismo nasce non prima della seconda
metà del II sec.d.C fra gruppi di seguaci di Gesù ―gentili‖ (cfr. le analisi di Pesce, 2003a, pp.
43-47; Id., 2003b; Id., 2005b, pp. 41-51; Destro –Pesce, 2004c, pp. 531-538). Da condividere
quindi, sempre cum grano salis ovviamente, auspicio e annotazioni di Hengel, 2005, p. 99:
«next to Josephus, Philo, Qumran, and the early rabbinic tradition, the New Testament could
become the most important source for Judaism of the first century CE […]. Directly or indi-
rectly, these texts (scil. vangeli, epistolario paolino, Atti, corpus giovanneo, testi ―gnostici‖, i
―Padri‖ del II secolo fino a Clemente d‘Alessandria e Tertulliano) illumine the conceptions
and motives of contemporary Judaism; moreover, as Origen and Jerome show, the discussion
between Jews and Christians continued even in later centuries».
Le figure di Gesù nell‟Apocalisse 201

reazione, lo manda a catturare, lo imprigiona e lo decapita (Mt 14, 6-12; Mc


6, 16.21-29; Lc 9, 9; Flavio Giuseppe, A.J. 18, 118-119; cfr. Vit. Pro. 1, 1; 2,
98
1; 3, 2; 7, 2; 23, 1; Ascen. Isa. 2, 14; 3, 12; 5, 1) . Il terrore del tetrarca e la
voce popolare che il taumaturgo Gesù altri non fosse che Giovanni resuscita-
to da Dio (cfr. Mt 14, 2; Mc 6, 14-16; Lc 9, 7-9) presuppongono non solo e
non tanto la morte violenta, ma piuttosto la sequenza morte violenta e resur-
rezione come segno di legittimazione della sua autorità profetica ininterrotta
99
(cfr. Mt 14, 5 e 21, 23-27) . L‘identificazione, anche scritturale, con Elia re-
divivo non cade casuale (Mt 11, 9-10.14 e 17, 10-13; Mc 1, 2 e 9, 12; Lc 1,
100
12.76 e 7, 26-27) .
Se la notizia del diffondersi dell‘opinione che Gesù di Nazareth fosse
Elia è raccolta indistintamente dai tre Sinottici (Mc 6, 14-16 e 8, 27-30; Mt 6,
14; Lc 9, 8.19). In Mt, Mc e Gv, inoltre, paralleli dispersi e ambigui tra i due
si colgono di fatto in resoconti di miracoli (Mc 5, 22-24.35-43) e di chiamata
dei discepoli (Mc 1, 16-20, e Mt 4, 18-22 e 8, 19-22 // Lc 9, 57-62), o nella
101
predizione del ritorno in cielo al Padre dopo la resurrezione (Gv 7, 33-37) .
L‘opera lucana, dalla sua, conosce, raccoglie e integra in un disegno di am-
pio respiro tradizioni segnate più profondamente dalla tipologia eliana:
dall‘invio del profeta (Lc 4, 24-27) alla resurrezione del figlio della vedova
di Nain (Lc 7, 11-17), dalla radicalità dell‘invito alla sequela (Lc 9, 57-62) al
rifiuto di far piovere fuoco dal cielo (Lc 9, 52-56, soprattutto, v. 54 v.l.), dal
102
periodo di attività (cfr. Lc 13, 6-8 e 32-33) alla convergenza di destini nella
teleivwsi~ – ajnavlhyi~ (Lc 9, 30-31 e 51; 12, 32-33; 24, 51; At 1, 9-11; cfr.

98
Più approfonditamente, Tilly, 1994, pp. 146-247.
99
Cfr. Berger, 1976, pp. 16-22, a integrazione delle conclusioni di Tilly, 1994, pp. 245-
254. Stando a Flavio Giuseppe, A.J. 18, 116 e 119, circolava l‘opinione che la disfatta della
spedizione militare di Antipa contro Areta fosse frutto della giusta punizione divina e vendi-
casse l‘uccisione di Giovanni, confermandolo indirettamente come «uomo buono». Stessa
funzione, stavolta non in alternativa, ma in aggiunta alla resurrezione, assolve il terremoto di
Ap 11, 13 (cfr. Mt 27, 51-54 e Vang. Piet. 21). La leggenda del Messia Menahem figlio di E-
zechia (Lam Rab. 1, 16 = y. Ber. 2, 5a) interpreterà il linciaggio del leader zelota nel Tempio
in stretto nesso causale con la sua distruzione, e ne riconfigurerà la morte come rapimento nei
venti sul precedente di Elia, cfr. Hengel, 1976, p. 302, e Schwemer, 1994, pp. 116-118 e 127-
130.
100
Cfr. le precisazioni critiche di Berger, 1976, p. 144 e Nützel, 1976, pp. 87-94, e
1986, pp. 164-167.
101
Cfr. Öhler, 1997, pp. 111-118; 135-137; 154-164; 244-247, da integrare con i sugge-
rimenti e le considerazioni di Robinson, 1958, pp. 264-265, e Berger, 1976, pp. 120-122. No-
tevoli i tratti eliani assunti, nelle tradizioni rabbiniche, dalle figure carismatiche di Oni il trac-
ciatore di cerchi, e di Hanina ben Dosa, entrambi con tutta probabilità di origine galilaica, cfr.
Mimouni, 2003, pp. 68-78. Su motivi e linguaggio dell‘assunzione in altri passi di testi poi
confluiti nel Nuovo Testamento, cfr. Smith, 2006, pp. 88-89
102
Berger, 1976, pp. 139-141.
202 Capitolo terzo

103
anche Vang. Piet. 19) e alla vana ricerca del corpo (Lc 24, 3-6.23), fino al
lascito dello Spirito (Lc 24, 49; At 1, 8 e 2, 2-4) e alla nuova discesa sulla
terra per la reintegrazione di Israele (At 1, 6.11 e 3, 21), il modello del Tisbi-
ta traccia un filo rosso che attraversa tutta la parabola gesuana rappresentata
104
e offre la chiave di volta per la sua comprensione . È uno schema creato e
sviluppato su misura oppure riadattato in linea con corrispondenze strutturali
105
reali ? E poi: l‘operazione, quale che sia delle due, muove e innova a partire
dal ciclo dell‘Elia ―storico‖ e dalle attese che aveva generato (1 Re 17, 1 – 2
Re 2, 11, e Ml 3, 1.22-23), o si rifà direttamente a tradizioni analoghe e più
specifiche su un doppio ritorno escatologico di Elia, eventualmente infram-
mezzato dalla sofferenza e dalla morte (cfr. Mc 9, 11-13; Mt 17, 10-13; Giu-
106
stino, Dial. 49, 3-8) ?
Sono, entrambe, questioni che andrebbero affrontate singolarmente e
con più spazio e profondità di analisi di quanto possiamo fare qui. In merito,
in particolare, alla seconda, che è quella che maggiormente ci interessa, pro-
veremo tuttavia a svolgere qualche riflessione sul materiale testuale a nostra
disposizione.
In Apoc. El. (C), databile intorno alla seconda metà del III sec.d.C., sia
107
che la si guardi come opera giudaica rimaneggiata in ambienti cristiani , sia
che la si giudichi testo compiutamente cristiano che recupera e rielabora un
108
complesso di materiali giudaici preesistenti , il quadro si ricompone nella
sua complessità: in 4, 7-18, all‘udire che lo Spudorato è apparso nel luogo
santo, Elia ed Enoc scendono a rimproverarlo e combatterlo. Lo Spudorato
contrattacca e li affronta per sette giorni sulla piazza della grande città fino a
sopraffarli e ucciderli. Dopo tre giorni e mezzo, al quarto giorno, i due si

103
Sap 4, 10-13; Filone, Leg. 3, 45; Lc 13, 32-33 (cfr. 9, 51); Eb 5, 7-10; 7, 26-28; 10,
22-23 associano tutti teleiovomai a morte e ascensione/rapimento.
104
Cfr. Öhler, 1997, pp. 175-244; Zwiep, 1997, pp. 80-117; Smith, 2006, pp. 86-87 e
116.
105
Di due tra le ricostruzioni più recenti, ad esempio, Meier, 1994, pp. 1044-1046, pro-
pende per la storicità e l‘intenzionalità di questa convergenza, mentre Dunn, 2003, pp. 657;
664-666; 682 n. 315; 686-687, appare più incerto e oscillante.
106
Cfr. l‘esposizione di Berger, 1976, pp. 40-47, dove però presupposti e conclusioni
dell‘analisi di storia delle tradizioni non riescono a convincere del tutto, e, soprattutto, pp.
128-141. Marcus, 1989, pp. 55-57, pensa, invece, per Mc 9, 11-13, ad una conciliazione ese-
getica marciana di Ml 3, 22 con l‘idea del Messia sofferente: la venuta di Elia come suo pre-
cursore verrebbe così riqualificata alla luce della natura e del destino del Messia che lo segue,
mentre il testo citato sulla fine violenta di Elia non si rivelerebbe essere altro che il sillogismo
implicito che riconcilia due attese escatologiche scritturali in apparente contraddizione.
107
Cfr., in varia misura, Rosenstiehl, 1972, pp. 61-76; Schrage, 1980, pp. 204-225;
Wintermute, 1983, pp. 721-730.
108
Cfr. Frankfurter, 1993, pp. 16-20; 31-44; 241-298, e 1996, pp. 136-170 e 196-200, e
Gianotto, 1999, di cui seguo traduzione e numerazione in capitoli e versi, in particolare, 128-
133.
Le figure di Gesù nell‟Apocalisse 203

rialzano e rinfocolano le invettive, promettendogli la morte, quando avranno


abbandonato la carne del corpo fisico. Alla nuova reazione furiosa e stavolta
impotente dell‘avversario, circondati dalla città, levano grida di gioia al cielo
109
risplendendo . In 5, 32-33, la coppia torna sulla terra e si riveste della carne
dello spirito, insegue il Figlio d‘Iniquità e lo uccide senza lasciargli proferire
parola. Segue a ruota il regno millenario dell‘Unto che sfocerà nella nuova
creazione (5, 36-39).
Dati i chiari punti di contatto con Ap 11, 3-13, si tratta ora di stabilire
dipendenze e fonti.
Una derivazione diretta del nucleo del racconto di Ap mi sembra si pos-
sa escludere con sufficiente probabilità per l‘accumularsi dell‘evidenza con-
traria e per il suo peso specifico: da un punto di vista strettamente narrativo, i
due personaggi sono due caratteri distinti, e non lo sdoppiamento di uno so-
lo; il secondo rapito martirizzato è Enoc e non Mosè, secondo una tradizione
che riaffiora in Apoc. Piet. 2 (etiopico), Ireneo, Haer. 5, 5, 1, e Tertulliano,
an. 50, 5, influenzerà poi l‘interpretazione delle settanta settimane di Dn 9 e
Ap 11, 3 avanzata da Ippolito, Comm. Dan. 4, 35 e 50; Antichr. 43 e 46-47;
110
Gai. 6, sarà, infine, bollata da Girolamo come iudaicae fabulae ; sullo stes-
so campo, Gerusalemme, la battaglia combattuta è uguale e diversa: in Ap
11, 3-13, i due profetizzano nella completa invulnerabilità per 1260 giorni,
mentre le genti calpestano la città santa, allo scadere di questo termine, sono
attaccati, vinti e uccisi dalla bestia che sale dall‘abisso, con il benestare e la
corresponsabilità delle genti, e infine risorgono dopo tre giorni e mezzo ria-
nimati dallo Spirito divino; in Apoc. El. (C), invece, prima, nel quarto anno
del re persiano vincitore dei re assiri, si manifesterà lo Spudorato nei luoghi
santi (3, 1.5), poi, alla notizia della sua comparsa, dopo il primo sacrificio
della vergine Tabita (4, 1-6), i due prenderanno rapidamente l‘iniziativa,
scenderanno dai cieli e gli lanceranno apertamente la sfida, rimproverandolo
sette giorni sulla piazza della città, soccombendo però alla sua furia, finché il
quarto giorno si rimetteranno in piedi e continueranno l‘invettiva come se
niente fosse stato, adesso invincibili e forti del futuro successo finale, in
111
quanto creature angeliche (5) . Analoga concatenazione e movimento si ri-
petono di fatto, con leggere variazioni, negli episodi di Tabita e del rogo dei

109
Dati gli evidenti rimandi di 4, 16 a 5, 32-33, mi domando se 4, 16-19 non possa rife-
rirsi proletticamente alla scena finale dell‘annientamento. Una seconda ascensione sembra
comunque presupposta tra le due discese, cfr. la ricostruzione proposta da Nützel, 1976, pp.
60-67. Berger, 1976, pp. 80-82, si preoccupa di sottolineare come la resurrezione di 4, 15 sia
la condizione necessaria per l‘assunzione della nuova corporalità a 5, 32.
110
Cfr. Bauckham, 1976, p. 452.
111
Cfr. Berger, 1976, pp. 74-82; Nützel, 1976, pp. 69-71; Bauckham, 1976, p. 453;
Schrage, 1980, pp. 207-209; Satake, 2008, pp. 262-264.
204 Capitolo terzo

60 giusti (4, 30-33), che segnano, anche nel numero delle vittime, il ritmo
ternario di un‘escalation di violenza del Figlio d‘Iniquità. All‘ultimo sopru-
so, non seguirà stavolta la resurrezione della folla di martiri, ma la reazione
del mondo divino, in traslazioni, battaglie di angeli e conflagrazioni cosmi-
112
che (5) .
Il secondo invio della coppia in gloria a uccidere il Figlio d‘Iniquità,
dopo il giudizio dei Pastori delle pecore (Apoc. El. (C) 4, 30-32), riprende
esplicitamente e rielabora, anche nell‘ordine degli avvenimenti, il Libro dei
113
Sogni (cfr. 1 En. 90, 25-27 e 31) . Ps.-Metodio, Comm. Apoc. 6, conosce so-
lo questa discesa ed il successivo trionfo sull‘avversario (cfr. 4 Esd. 6, 25-
26; 7, 28-30; 12, 30-34 e 13, 22-42.52; 2 Bar. 40, 1-2; 2 Ts 2, 3-8; Ap 19, 11-
21). Il silenzio di Apoc. El. (C) sull‘ascensione dei due dopo la resurrezione,
che pure la logica narrativa deve presupporre, sembra suggerire l‘ipotesi di
114
una giustapposizione redazionale di due versioni distinte e indipendenti ,
per quanto la formulazione di Tertulliano, an. 50, e la diffusa attesa di irru-
zioni sulla terra e interventi ripetuti, non necessariamente escatologici, di E-
lia dalla sua base celeste non consentano di escludere che le due discese in
115
realtà doppioni non fossero e coesistessero già in un‘unica sintesi .
Ora, lo schema generale scandito da persecuzione dei giusti, morte, re-
surrezione, ascensione o apparizione al persecutore (cfr. T. Giob. 18 e 39, 8
– 40, 3, e 4 Macc. 9, 22; 13, 17; 16, 25; 17, 17-18), e i particolari delle sin-
gole scene, da un punto di vista formale e di storia delle tradizioni, apparten-
gono alla letteratura martirologica: così la furia del nemico (Dn 3, 13.19; 11,
30; Bel 8; 2 Macc. 7, 39; 4 Macc. 8, 2 e 9, 10; At 7, 54), la pratica di lasciare
insepolti i cadaveri degli uccisi (1 Macc. 7, 17, e Flavio Giuseppe, B.J. 4,
316-317), lo svolgersi del conflitto sotto gli occhi di tutta la città o di tutto il
116
mondo (3 Macc. 4, 11 e 5, 24, e 4 Macc. 17, 14.16-17) .
A livello strutturale, As. Mos. 8 – 10 (prima metà II sec.a.C. con rima-
neggiamenti degli inizi del I sec.d.C.) offre un caso parallelo di intersezione
con tradizioni apocalittiche: negli ultimi tempi, il sorgere di un re dei re sca-
tenerà un‘ondata di morti e violenze sul popolo di Israele (8). Taxo, della tri-
bù di Levi, e i suoi sette figli, pur di non trasgredire la legge, si lasciano mo-
rire di fame, nella speranza che il loro sangue venga vendicato da Dio (9). La
112
Cfr. Rosenstiehl, 1972, pp. 32-34; Berger, 1976, pp. 74-75 e 80-81; Nützel, 1976, pp.
64-65; Bauckham, 1985, pp. 74-75; Aune, 1998a, pp. 588-590.
113
Come evidenzia, in particolare, Black, 1978, pp. 228-230.
114
Cfr. Bauckham, 1976, pp. 455-458, e 1985, 75-76, e Zeller, 1986, pp. 159.
115
Le considerazioni di Berger, 1976, pp. 79-82, e Nützel, 1976, pp. 66, si integrano.
Sulle attività di Elia tra cielo e terra, cfr. Mt 27, 47-49 e Lc 9, 30-31, e i testi raccolti in Str-B
IV/2, pp. 769-779.
116
Questi e altri paralleli in Nickelsburg, 1972, pp. 93-111; Berger, 1976, pp. 21-22; 40-
42; 74-75; 77; 79-80; Bauckham, 1985, pp. 72-73.
Le figure di Gesù nell‟Apocalisse 205

vendetta in effetti non tarderà: il Celeste uscirà dalla sua dimora e si manife-
sterà, sconvolgendo la terra e punendo le nazioni (10, 1-7):
«allora tu sarai felice, Israele, salirai sui colli e sulle ali di un‘aquila, e saranno finiti.
Dio ti esalterà e ti stabilirà nel cielo delle stelle, nel luogo della sua dimora. Tu
guarderai dall‘alto e vedrai sulla terra i tuoi nemici e li riconoscerai. Ti rallegrerai,
117
renderai grazie e loderai il tuo Creatore» (10, 8-9 [corsivo mio]) .

Analogamente Apoc. Piet. 2, 10 – 3, 3 (intorno al 135 d.C.) lascerà sfu-


mare l‘insegnamento di Enoc ed Elia sulle false pretese del Messia manife-
statosi alla casa di Israele nel bagno di sangue innocente che questi mette in
atto e che precede la parusia e il giudizio; dalla sua, Apoc. Adamo 77, 2-18,
prevede che il «luminare», alla sua terza discesa, sarà punito nella carne dal-
le potenze e dal loro principe dopo aver compiuto segni e meraviglie con la
potenza dello spirito per oltraggiarli. A quel punto, i popoli riconosceranno il
loro peccato e saranno condannati da una voce celeste (83, 4 – 84, 28), men-
tre i giusti, quanti hanno preservato le parole del Dio degli eoni, saranno da
118
questi conosciuti (85, 1-4) .
Le convergenze con Ap 11, 3-13 si moltiplicano in Ascen. Isa., e non si
limitano solo a somiglianze strutturali: il conflitto fra il gruppo profetico di
seguaci di Gesù ed il re Beliar/Nerone e i servi che recluterà, a immediato
ridosso della parusia (cfr. Ascen. Isa. 4, 2-13) è proiettato nel passato, nello
scontro di Isaia e dei profeti intorno a lui con Manasse, re empio di Giuda, i
119
falsi profeti della sua corte e Beliar che li anima (cfr. 2, 1-16) . Sia i due te-
stimoni di Ap 11 che Isaia e i suoi sono vestiti di sacco e predicano la con-
versione in aperta collisione con il potere politico che li porterà alla morte
(cfr. Ap 11, 3 e Ascen. Isa. 2, 10); in entrambi i testi, Gerusalemme è chia-
mata Sodoma (cfr. Ap 11, 8 e Ascen. Isa. 3, 10); anche per Isaia ed i suoi an-
titipi, al martirio a Gerusalemme sotto gli occhi del re, dei maggiorenti e del
popolo (cfr. Ap 11, 8-9 e Ascen. Isa. 5, 12), seguirà l‘ascensione in cielo, an-
ticipata dai viaggi estatici praticati nel gruppo (cfr. Ap 11, 12 e Ascen. Isa. 2,
120
9; 4, 16-17; 8, 14-15; 11, 34-35) .

117
Cfr. le osservazioni di Nickelsburg, 1972, pp. 28-31 e 82-84, e Bauckham, 1985, pp.
71-72.
118
Secondo Pearson, 1986, pp. 31-32, si tratterebbe di un‘ulteriore variazione sul mo-
dello narrativo delle persecuzioni del giusto e della sua successiva glorificazione (cfr. Is 52 –
53 e Sap 1 – 6).
119
Come nota Norelli, 1995b, p. 136, in Ascen. Isa., la persecuzione e uccisione di Isaia
a opera di Bechira e Manasse è inquadrata in «una storia di persecuzioni di profeti che si ripe-
te con uno schema fisso», partendo da Elia.
120
Per una comparazione dei due testi, cfr. Berger – Colpe, 1993, p. 345, e Norelli,
1994, pp. 109-113.
206 Capitolo terzo

Insomma, quel che appare più sicuro e storicamente comprovabile, a


succo dell‘analisi, è che Ap 11, 3-13 e Apoc. El. (C) 4, 7-19 condividano un
nucleo tradizionale comune, e quindi retrodatabile almeno fino alla seconda
metà del I sec.d.C., che narrava della discesa di una o più figure profetiche,
eventualmente assimilate oppure identificate con Elia, Enoc o Mosè, a con-
trastare l‘Avversario della fine dei tempi comparso a Gerusalemme. Seguiva
la descrizione del conflitto e della loro morte per sua mano, sul modello del-
la persecuzione dei profeti e dei giusti da parte di peccatori o re empi, possi-
bilmente sotto l‘ispirazione di Satana. Chiudeva la loro resurrezione e forse
121
la loro ascensione, a preludio del prossimo trionfo finale dei giusti . Lo
schema era flessibile e malleabile, e poteva essere replicato e modulato in
più di una variazione.
Alla rilettura e stesura di Giovanni vanno ascritti rimandi e connessioni
alla trama della sua ―apocalisse‖, naturalmente, e i tratti che riallineano i due
testimoni alla tradizione, da un lato, a Gesù e alle comunità dei suoi seguaci,
dall‘altro: il breve excursus sui poteri di ascendenza eliana e mosaica, e le
glosse sulla loro identità messianica e sulla coincidenza del loro luogo
d‘esecuzione con quello del loro Signore (Ap 11, 4-6.8); il rilievo dato alla
presenza, compartecipazione e gioia dei popoli della terra (Ap 11, 9-10); il
linguaggio della reviviscenza e dell‘ascensione, se non proprio l‘ascensione
stessa (Ap 11, 11-12); la cura dei particolari, voce celeste e terremoto, che le
circonda (Ap 11, 12-13); lo sdoppiamento, la depersonalizzazione e ri-
122
significazione collettiva, e l‘attualizzazione della prospettiva escatologica .
A intercettare e incrociare la versione giovannea, in Commodiano (metà
del III sec.d.C.) e Lattanzio (III-IV sec.d.C.) riemerge ancora la variante in-
123
dividuale della tradizione .
In Carm. apol. 834-864, la comparsa del Siro/Nerone redivivo è antici-
pata dall‘invio di Elia e dalla sua predicazione in Giudea per una prima metà
di settimana. Alle violenze di Nerone sui cristiani e alle false conversioni del
popolo giudaico, Elia, adirato, prega che non piova più, chiude il cielo e mu-
ta l‘acqua in sangue (cfr. Ap 11, 6): è la fame (826-846). I Giudei, piegati
dalle piaghe, si appellano al senato e all‘imperatore che convincono con fal-
se accuse, suppliche e doni. Questi allora «vehiculo publico rapit ab oriente
prophetas»: Elia si è improvvisamente moltiplicato (847-856; cfr. Tertullia-

121
Cfr. anche Berger, 1976, pp. 49-101; Nützel, 1976, pp. 66-67; 76; 85-87; 94; Lampe,
2006, pp. 199-200 e n. 269; Smith, 2006, pp. 78-80.
122
Cfr. le accurate analisi di Berger, 1976, pp. 22-40; Nützel, 1976, pp 67-69 e 71-76;
Öhler, 1997, pp. 266-282, che preferisce parlare di tipizzazione funzionale (p. 282), e i corsivi
stampati nel testo da Aune, 1998a, p. 593, a segnalare le espansioni editoriali.
123
Cfr. Berger, 1976, pp. 38; 66-74; 331 n.313; Nützel, 1976, pp. 79-84; Zeller, 1986, p.
159; Aune, 1998a, pp. 588-593 e 602-603.
Le figure di Gesù nell‟Apocalisse 207

no, an. 35, 6 e 50, 5, Vittorino di Petovio, Comm. Apoc. 7; 12, 3-4 e 6-7; 20,
1, e, più tardi, l‘aggiunta alla Vit. El. tramandata da Isidoro di Siviglia, ob.
patr. 35, 3). Nerone immola i profeti, ma il loro martirio provoca un terre-
moto che distrugge la decima parte della città, probabilmente Roma, adesso,
e uccide settemila uomini (cfr. Ap 11, 13). I cadaveri insepolti sono risuscita-
ti al quarto giorno e salgono, immortali, in cielo (857-864; cfr. Ap 11, 11-
12).
Dalla sua, Lattanzio (Inst. 7, 17, 1-2) non fa nomi: all‘incombere del
compimento dei tempi, Dio invierà un grande profeta a convertire gli uomini
e lo investirà di «potestatem mirabilia faciendi»; se non sarà ascoltato, chiu-
derà il cielo e trasformerà l‘acqua in sangue, mentre, se attaccato, si difende-
rà con il fuoco che esce dalla sua bocca (cfr. Ap 11, 5-7). Grazie a simili
prodigi, convertirà molti, ma al termine della sua missione, sorgerà un re dal-
la Siria che condurrà alla rovina se stesso e i resti del genere umano:
«Hic pugnabit adversus prophetam dei et vincet et interficiet eum et insepultum ia-
cere patietur, sed post diem tertium reviviscet atque inspectantibus et mirantibus
cunctis rapietur in caelum» (Inst. 7, 17, 3; cfr. Ap 11, 7.9.11-12).

La persecuzione si estenderà successivamente a tutti i giusti, fuggiti nei


deserti e radunatisi su un monte, finché Dio non invii loro il liberatore (Inst.
7, 17, 4-11 e 19, 1-8; cfr. 4 Esd. 6, 25-26; 12, 1 – 13, 38.52, e Vittorino di
124
Petovio, Comm. Apoc. 7; 12, 4.6; 20, 1) .
In entrambi i passaggi, in diverso grado, come si vede, il riflusso, mne-
monico, orale, o scritto che fosse, di fraseologia e motivi dell‘Ap non ha
cancellato del tutto le tracce di una linea di trasmissione incentrata sulla pre-
dizione del ritorno di un solo profeta simile ad Elia, dei suoi poteri miracolo-
si, e della sua opposizione al sovrano degli ultimi tempi, che culminerà nella
sua morte. Resurrezione e ascensione ne garantiranno,a seguire, la salvezza e
125
legittimazione definitiva .

124
Sulle possibili fonti giudaiche di Lattanzio, cfr. Berger, 1976, pp. 66-67; 73-74; 330
n.311, e Aune, 1998a, pp. 592-593. Freund, 2009, pp. 464-469, si pronuncia invece per una
dipendenza diretta e assoluta di Lattanzio da Ap. Fatta eccezione per un rapido rimando a
Commodiano, lo studioso non si interroga tuttavia né sul rapporto con gli altri paralleli (uno
per tutti, Apoc. El.), né sull‘origine, la storia e le funzioni della tradizione analizzata. Inoltre, è
vero che Lattanzio dimostra esplicitamente di conoscere Ap (cfr. Epit. 37, 8), ma se la ridu-
zione dei profeti da due ad uno fosse realmente un intervento redazionale di Lattanzio sul te-
sto di Giovanni per semplificare le vicende agli occhi di un pubblico non cristiano, come
spiegare che, in Mort. 2, 8, li menzioni tutti e due, e che, in Epit. 66, 7, i profeti scompaiano
entrambi, riassorbiti evidentemente nell‘interpretazione collettiva che viene proposta
dell‘episodio singolo, e, più in generale, di Ap 11 – 13?
125
Cfr. analisi e conclusioni in Berger, 1976, pp. 69-72 e 74, e Aune, 1998a, pp. 602-
603.
208 Capitolo terzo

3.2.3 Gesù: il profeta escatologico

Eravamo partiti con l‘intuizione – e la presunzione – della specularità


strutturale di Ap 12, 1-5.17 e 13, 4-8, e Ap 11, 3-13: l‘attacco di Satana, falli-
to contro il primogenito della donna, si estende agli altri discendenti di lei,
attraverso la bestia che sale dal mare, i due testimoni subiscono la stessa of-
fensiva del loro Signore.
Di fatto, chiavi di volta l‘ «hJrpavsqh» di Ap 12, 5, e la precisazione di
Ap 11, 8: «o{pou kai; oJ kuvrio~ aujtw'n ejstaurwvqh», le corrispondenze si ar-
ticolano in quattro nuclei: non solo convergenze di idee e linguaggio, ma an-
che il recupero di tradizioni, canoniche e non canoniche, sulla passione di
Gesù scandiscono le fasi salienti del vecchio e nuovo conflitto in comparsa,
morte, reviviscenza, ascensione.
Qui la mano di Giovanni è intervenuta su narrazioni preesistenti: a ri-
percorrere a ritroso le nostre fonti dal IV sec.d.C., tra II sec.a.C. e I sec.d.C.,
si formano e sviluppano, dall‘alveo della letteratura enochica, attese sul ri-
torno di Enoc ed Elia che si arricchiscono della progressiva confluenza di
126
elementi della tradizione sapienziale, profetica e apocalittica . L‘Apocalisse
di Giovanni, meno sicuramente, e Apoc. El. (C), più chiaramente, sembrano
127
tramandarne due versioni indipendenti a doppio protagonista , i racconti e-
vangelici, Commodiano, Vittorino di Petovio, presuppongono invece una va-
riante ridotta a Elia, che riaffiora integralmente in Lattanzio. Denominatore
comune, la figura centrale del profeta inviato alla fine dei tempi e lo schema
martirologico che lega conflitto, morte, resurrezione, ascensione o appari-
128
zioni .
Dietro il velo della tipologia e del parallelismo, su cui si misura la se-
quela stessa dei gruppi di suoi seguaci in termini di ripetizioni e continuità
interne, si conferma quindi e specifica l‘immaginazione profetica che infor-
ma, dipana e orienta il ricordo dell‘attività e del destino di Gesù: nel gioco
reciproco di attrazione e rimodellamento fra intreccio gesuano e tradizioni
sul profeta escatologico, e nella costruzione della duplice analogia, tra queste
e i due testimoni/profeti, da una parte, e i due testimoni/profeti e il loro Si-
gnore, dall‘altra, passato e presente si incontrano ed illuminano, Gesù appare
come il profeta inviato da Dio al volgere dei tempi, e da Lui stesso legittima-
126
Cfr. Berger, 1976, pp. 125 e 144-145.
127
Cfr., tuttavia, l‘episodio gemello di Tabita in Apoc. El. (C) 4, 1-6 e le riflessioni di
Berger, 1976, pp. 74-77, e Nützel, 1976, pp. 64-65.
128
Cfr. Berger, 1976, pp. 40-42; 101-124; 132-133; 143; 145-146; 149, e Lampe, 2006,
pp. 199-200.
Le figure di Gesù nell‟Apocalisse 209

to, nell‘autorità ultima della sua pretesa e della sua rivelazione, per resusci-
129
tazione e rapimento seguiti alla morte .

3.3 Gesù, il prisma di Giovanni, e il mondo

L‘analisi condotta ha di fatto confermato e integrato i risultati del capi-


tolo precedente, che avevamo lasciato aperti come ipotesi di lavoro.
Il recupero di detti gesuani ―profetici‖, o comunque, mi si passi il ter-
mine, ―profetizzati‖, l‘accumularsi di riferimenti sparsi alla sua genealogia
messianica, alla reintegrazione delle tribù d‘Israele nei suoi dodici apostoli,
alla violenza della sua morte per crocifissione a Gerusalemme, alla revivi-
130
scenza , in una parola, gli elementi ―storici‖ e fattuali di una tradizione che
testimoniava e rimandava a Giovanni l‘eco dell‘esistenza passata di un certo
Gesù di Nazareth, si coagulano nella figura cui il ricordo si aggancia, traen-
done significato e impulso trasformativo.
Nelle parole si conservano e trasmettono gli e[rga di Gesù, non altro
che la sua parola di rivelazione (lovgo~), sicura e affidabile (pivsti~), sotto la
cifra della resistenza e della attesa (uJpomonhv), che si riverbera ancora
nell‘attuale rivelazione del Cristo celeste. La sua vittoria (nikavw) contro Sa-
tana e le sue forze si è originata e consumata in questa stessa opposizione ir-
riducibile che lo ha portato al sacrificio.
Nelle visioni di Ap 11, 3-13 e 12, 1-5, il quadro si ricompone nello
schema della venuta del profeta escatologico: la predicazione e di seguito la
lotta con l‘Avversario si risolvono nella sua morte, ma l‘intervento di Dio
che lo rianima e rapisce ne conferma la legittimità di Suo inviato e rappre-
sentante.
Non è uno schema isolato nella letteratura proto-cristiana: Ascen. Isa.
11, 18-22 rievoca l‘attività storica del Diletto come operare di «segni grandi
e miracoli nella terra d‘Israele e Gerusalemme». L‘invidia dello Straniero
suscita l‘ostilità dei figli d‘Israele che lo consegnano al re e lo crocifiggono

129
Importanti le osservazioni di Berger, 1976, in particolare, pp. 142-143; 145-146;
149; 423 n.628, che, tra l‘altro, precisa: «es könnte sich bei Apk 11 und allen Seitenstücken
(theoretisch) sogar ohne weiteres um christliche Bildungen handeln – nur es würde sich eben
lediglich um eine Analogiebildung handeln, nicht um eine Kopie. Diese Analogie ist aufgrund
gemeinsamer weisheitlicher und apokalyptischer Traditionen historisch verständlich zu ma-
chen. Eigenart und Funktion der Rede von der Auferstehung Jesu könnte man vielleicht an-
hand der Zeugentradition besser begreiflich machen. Die letzere hat dann zumindest Kom-
mentarcharakter: Sie zeigt, wie in grundsätzlich verwandten Milieu auch die Auferstehung
Jesu hätte aufgefasst werden können» (pp. 145-146).
130
Da sfumare quindi, anche se più nel tono che nella sostanza, il giudizio di Norelli,
1997, p. 156: «l‘Apocalypse ne mentionne pas la résurrection de Jésus».
210 Capitolo terzo

sul legno a Gerusalemme. Dopo il terzo giorno di soggiorno nello Šeol, il


131
Diletto risorge e invia i suoi discepoli, poi ascende ai cieli .
Fra le scritture poi divenute canoniche, At 2, 22-24.33-34 non attesta
l‘offensiva satanica, per quanto il terzo Vangelo la menzioni esplicitamente
(cfr. Lc 4, 13 e 22, 3), ma conosce «dunavmei~ kai; tevrata kai; shmei'a» con
cui Dio ha accreditato Gesù, la sua consegna agli empi da parte degli Israeliti
e l‘inchiodamento per mano loro, la resuscitazione e la vittoria sulla morte,
cui segue l‘elevazione nei cieli. La declinabilità dello schema è esemplificata
in At 10, 36-42: Gesù di Nazareth viene unto con Spirito Santo e potenza
(duvnami~), opera nella regione dei Giudei e a Gerusalemme, sotto gli occhi
dei discepoli, guarendo quanti sono sotto il potere del diavolo. Appeso sul
legno dai Giudei, Dio lo resuscita e manifesta ai discepoli, che istruisce: in
lui si compie la parola divina sul profeta come Mosè (cfr. At 10, 43 e 3, 22-
132
24) .
I temi dei «shmei'a kai; tevrata » compiuti da Gesù, e della chiamata e
133
istruzione dei discepoli ritornano uniti, infine, in Barn. 4, 14 e 5, 8-9 .
Anche in Ap potrebbe non mancare un riferimento indiretto alla sua at-
tività carismatica. L‘ejxousiva, contemporaneamente mosaica e eliana, dei
due testimoni secondo Ap 11, 6, si oppone ai «shmei'a (megavla)» ―magici‖,
frutto dell‘ejxousiva concessa al loro corrispettivo demoniaco, il «falso profe-
ta», e chiamati in causa in Ap 13, 12-14; 16, 13-14; 19, 20: alla luce delle
corrispondenze già accertate tra la coppia e il loro Signore, che sia stato an-
che questo tratto elaborato e sviluppato da Giovanni in conformità alla figura
134
―storica‖ del secondo, sotto l‘influenza di una tradizione simile? La presen-
za degli altri elementi dello schema sembra poter confortare tale conclusio-
ne.
Su questo sfondo, in ogni caso, Gesù è rivelato, nell‘Apocalisse, il vero
profeta, la sua parola diventa riflesso della Parola profetica di Dio e voce

131
Se alludesse davvero a Gesù, dovremmo ricomprendere qui anche Apoc. Adamo 77,
1-9.16-18: «E compirà segni e meraviglie, per oltraggiare le potenze ed il loro principe. Allo-
ra il Dio delle potenze sarà confuso, dicendo: ―Qual è il potere di quest‘uomo che è innalzato
sopra di noi?‖. Allora scatenerà una grande ira contro quell‘uomo […] Allora puniranno la
carne di quell‘uomo su cui è venuto lo Spirito Santo».
132
In un contesto non dissimile, Lc 24, 19 parla di Gesù come di «ajnh;r profhvth~ du-
natov~ ejn e[rgw/ kai; lovgw/ ejnantivon tou' qeou' kai; panto;~ tou' laou'».
133
Per il confronto e l‘analisi dei singoli testi, cfr. Norelli, 1995b, pp. 571-579.
134
Deve essere stata una tradizione evidentemente accessibile anche a Flavio Giuseppe,
se questi, in A.J. 18, 63, poteva chiamare Gesù «sofo;~ ajnhvr», e motivare: «h\n ga;r para-
dovxwn e[rgwn poihthv~, didavskalo~ ajnqrwvpwn tw`n hJdonh`æ tajlhqh` decomevnwn». A riprova
della predilezione divina per Eliseo aveva già scritto (9, 182): «qaumasta; ga;r kai; paravdo-
xa dia; th`~ profhteiva~ ejpedeivxato e[rga kai; mnhvmh~ lampra`~ para; toi`~ ïEbraivoi~ ajxi-
wqevnta» (cfr. Sir 48, 13-14). Su questo punto, cfr. Mimouni, 2003, p. 83.
Le figure di Gesù nell‟Apocalisse 211

135
della Sapienza . Le sue vicende sono il terreno storico dello scontro finale
tra Dio e Satana, e montano alla portata cosmica di un conflitto già segnato
univocamente, avviato al trionfo di Dio, proprio con il suo invio e le reazioni
a catena che innesca. Mondo e tempo delle comunità ne escono rifondati e
sono consegnati al punteggiare di testimonianze profetiche e vittorie dei suoi
veri seguaci – i seguaci di Giovanni.

135
Secondo Koch, 2004, p. 235, nella poliedricità dell‘immagine del neonato presso il
trono divino di Ap 12, 5 si mescola anche un modello sapienziale (cfr. Pr 8, 21-30; Sap 9,
4.10; Ap 3, 14). Sulla stretta associazione di rapimento celeste dell‘emissario e rappresentante
della Sapienza e suo ruolo escatologico futuro, cfr. anche 1 En. 37 – 71, con le osservazioni di
Kvanvig, 2007, pp. 187-193 e 202-206, e Lc 13, 34-35 (= Q), con le riflessioni e conclusioni
di Hengel, 1995, pp. 84-87, e Smith, 2006, pp. 33-36; 38-44; 94-116; 168-170.
CONCLUSIONI

OLTRE L‘APOCALISSE

«La testimonianza di Gesù, infatti, è lo Spirito della profezia» (Ap 19,


10): con queste parole, l‘angelo motiva il primo rifiuto del gesto di adorazio-
ne di Giovanni e giustifica la condizione di «servo» che accomuna a lui Gio-
vanni e i suoi fratelli che hanno la testimonianza di Gesù, ovvero «tw'n
profhtw'n kai; tw'n throuvntwn tou;~ lovgou~ tou' biblivou touvtou» (Ap 22,
9). Nell‘esperienza ―profetica‖ caratterizzata come contatto con il Gesù cele-
ste e con lo Spirito che lo attiva e anima, e nel possesso e preservazione, sot-
to forma di lettera, della rivelazione gesuana e dello Spirito che l‘ha ispirata,
la superiorità degli angeli sugli esseri umani si attenua e scompare – questo
1
sembra essere il succo dell‘intervento cursorio dell‘angelo .
Sui due estremi dell‘inciso, soggetto e complemento, convergono di fat-
to l‘esperienza specifica di Giovanni e la nostra ricerca.

1. GIOVANNI E LO SPIRITO DI PROFEZIA

Se lo Spirito genera la profhteiva e Dio, il Signore degli spiriti dei


profeti, ha inviato l‘angelo che parla a nome dello Spirito (Ap 22, 6; cfr. 2,
11.17.29; 3, 6.13.22; 14, 13; 22, 17), il passaggio di Giovanni in Ap 1, 10 ad
una condizione psico-fisica elusivamente definita come pneu'ma, che gli
permette di vedere e udire l‘angelo, non si può che svolgere sotto l‘influsso
2
dello pneu'ma divino .

1
Cfr. le analisi di Stuckenbruck, 1995, pp. 251-256; Donegani, 1997, pp. 365-368 e
458-460; Roose, 2000, pp. 200-206.
2
Nella differenza di linguaggio e di categorie culturali, la teoria che la divinità o una
qualche forza da essa promanante ispirasse il parlare ―profetico‖, provocando alterazioni delle
normali funzioni corporee e psichiche, in greco e[kstasi~, era ampiamente diffusa, cfr. Or.
sib. 3, 1-7.295-300.698-701; Filone, Her. 68-70; 249; 258-263.265; Ebr. 146, 2; Spec. 1, 65 e
4, 48-50; Mos. 1, 175.277.283 e 2, 175.190.250 («oujkevt‘ w]n ejn ejautw/'»!).258.265.291; Ps.-
Filone, L.A.B. 28, 6-7; 1 Ts 5, 19-20.23, e 1 Cor 12, 4-10 e 14, 13-19.32; At 2, 17; 7, 55-56;
10, 9-11.19; 11, 5.11; 22, 17; Ascen. Isa. 5, 7.14; 6, 6-14.17; 9, 36-37; Od. Sal. 6, 1-7; 35, 7;
36, 1-6; 38, 1-2; 40, 3-4; Herm. Sim. 9, 1, 1 e 5, 6, 4-7; Vis. 5, 2; Mand. 11, 9-10; Montano in
214 Conclusioni

Arrivato a Patmos per ricevere la rivelazione, il «giorno del Signore»,


forse nell‘ambito liturgico di un dei'pnon, Giovanni entra in una condizione
distinta da quella comune e accede ad una dimensione di esistenza che rende
possibile il contatto con realtà sovrumane, nella scomparsa di ogni percezio-
ne spaziale e temporale originaria: correggendo il tiro di un‘osservazione di
E. Schweizer, pneu'ma sono potenza divina e stato umano che concedono
«visioni che l‘uomo comune non ha» (cfr. Ap 1, 10 e ss.), lo trasportano «in
regioni meravigliose sottratte allo sguardo dell‘uomo naturale» (cfr. Ap 4, 2;
3
17, 3; 21, 10) . Nell‘immaginarsi a scrivere durante le visioni, Giovanni po-
trebbe lasciare intravedere un certo grado di controllo e preparazione ad
un‘esperienza attesa, prevista o addirittura provocata; più sicuramente, tradi-
sce la preoccupazione di rinsaldare l‘autorità ultima del suo messaggio, nella
misura in cui il suo testo si presenta e propone come riproduzione scritta, fe-
dele e puntuale – quasi verrebbe da dire, letterale – della rivelazione divina.
Questa preoccupazione non lascia intatto nemmeno il personaggio del visio-
nario-scrittore: noi non sappiamo se le visioni raccontate in Ap siano state
davvero un blocco così compatto, articolato e connesso come Ap le rappre-
senta, oppure anche se fossero le prime del suo autore, fatto sta che Giovanni
stesso si trasforma in Ap – il perno simbolico del processo è Ap 10 – in
profhvth~ (cfr. Ap 10, 11) o, per citarlo direttamente, dou'lo~ di Dio (cfr. Ap
1, 1), allineandosi come ultimo e definitivo alle file dei profeti servi cui Dio
ha svelato il suo mistero (cfr. Ap 10, 7 e 11).
Lo status di sundouliva acquisita con l‘angelo, con i fratelli profeti e
quanti osservano le sue parole, che sono «testimonianza di Gesù» e «Spirito
di profezia» tout court, non fa che confermare identità, poteri e autorità che,
ingerito il rotolo, Giovanni letteralmente incarna, e profilarlo più nettamente
tra i fratelli profeti a lui fedeli, e nella sfida ai gruppo profetici a lui rivali,
4
attivi nelle comunità .

2. LO SPIRITO DI PROFEZIA E GESÙ

La presenza dell‘angelo sulla scena di Ap 19, 9-10 (cfr. 22, 8) e la ricor-


renza dell‘espressione « la testimonianza di Gesù» sovrappongono
l‘equazione di Ap 19, 10 alla catena di mediazione descritta in Ap 1, 1-2 (Dio

Epifanio, Pan. 48, 4, 1; Plutarco, Def. orac. 431d-432f e Pyth. orac. 397c; Disc. 8-9 55, 24 –
58, 22 e 60, 27-32 (NHC VI, 6).
3
Schweizer, 1959, p. 447.
4
I due versanti di questo stesso fronte sono messi in rilievo separatamente da Stucken-
bruck, 1995, pp. 255-256, e Roose, 2000, in particolare, pp. 200-201 e 205-221.
Oltre l‟Apocalisse 215

– Gesù – angelo), e riallineano le fonti della rivelazione sull‘azione dello


pneu'ma.
Rilevata allora la frequenza di detti di Gesù in bocca all‘angelo e nelle
visioni da questi mostrate, e individuate le ―storie‖ di Gesù precipitate nelle
forme narrative di Ap 11, 3-13 e Ap 12, 1-5, lo Spirito finisce per rappresen-
tare, nell‘esperienza di contatto con il divino, la chiave ermeneutica delle
tradizioni gesuane, e attiva e trasmette la memoria del Nazareno.
Su una doppia finzione di continuità, tra il Gesù terreno e il Gesù rivela-
tore celeste, da un lato, e il Gesù terreno e i seguaci, suoi e di Giovanni,
dall‘altro, si gioca la ri-figurazione del ricordo: la predicazione orientata alla
fine imminente, la venuta del Figlio dell‘Uomo e il giudizio, e, nel loro in-
combere, incentrata sui precetti della fedeltà alla parola, della sequela senza
compromessi e della rinuncia a sé stessi, della uJpomonhv, si inserisce nel qua-
dro del conflitto atteso tra il Profeta degli ultimi giorni e l‘Avversario. Ai
primi successi di Satana, culminati con l‘assassinio del profeta, Dio risponde
resuscitando il Suo inviato e rapendolo in cielo, e ne legittima così la pretesa
di verità.
Sulla sua autorità di emissario e rappresentante di Dio così fondata, si
innesta l‘identificazione con la Sapienza pre-esistente, se è la Sapienza che
«di generazione in generazione passando in anime sante, ne fa amici di Dio e
profeti» (Sap 7, 27; cfr. Lc 11, 49). Tanto più, quindi, se sapiente, giusto e
profeta si allineano e coincidono (cfr. Mt 13, 17 e 23, 29.34-35; Filone, Her.
259-260; Flavio Giuseppe, A.J. 10, 38; 2 Bar. 85, 1.3.12; Sap 2, 12-13.17; 4,
17; 7, 28; Lc 24, 19 e At 3, 14.22 e 7, 52; Eb 11, 32-33; Gc 5, 16-18; Ascen.
Isa. 2, 5.12 e ss.; 4, 22; 6, 17; 9, 36), e per il giusto risulta creato il mondo
(cfr. 1 En. 46, 3; 48, 2-3.6; 49, 3; Vang. Tom. 12; b. Ber. 61b; b. Sanh. 98b;
b. Ḥul. 89a), Gesù, il vero profeta e giusto, si svela «principio della creazio-
ne di Dio» (Ap 3, 14; cfr. Pr 8, 22-23; Sir 24, 3.8-10; Sap 9, 1-2.9; Filone,
Conf. 146; Gv 1, 1-2.14), e i suoi lovgoi danno voce al lovgo~ profetico divi-
no, che, nella sua esistenza celeste, continua a rivelare, o meglio, «testimo-
5
niare» ai suoi servi (cfr. Ap 19, 10-13) .

5
Sull‘evidenza storica che emerge dalle tradizioni evangeliche a proposito dell‘autorità
rivendicata da Gesù come profeta/sapiente ed emissario escatologico della Sapienza, si im-
pongono le riflessioni di Hengel, 1995, pp. 75-89; 93-104; 114, e l‘equilibrata presa di posi-
zione di Dunn, 2003, pp. 664-666; 694-696; 702-704. Rimane evidente, in ogni caso, che
Giovanni sta esprimendo, evidenziando e sviluppando il significato di ciò che in Gesù si è
compiuto, e che è stato ricordato e trasmesso in quanto già significativo in partenza. Cfr. la
già citata serie di appellativi che riceve Mosè morto e assunto in cielo: «Spirito santo, degno
del Signore, molteplice e inafferrabile, signore della Parola fedele in tutto, profeta divino su
tutta la terra, maestro perfetto nel mondo […], grande angelo» (As. Mos. 11, 16-17; per la
coincidenza di Sapienza, Spirito di Dio ed essere angelico, cfr. Sir 24, 3-4 e 1 En. 42, 1-2; 46,
1.3; 48, 2-3; 49, 3). Sull‘identificazione del Messia con la Sapienza pre-esistente nella lettera-
216 Conclusioni

La sua strenua opposizione fino alla morte, e il suo sangue, confluiti


nella visione dell‘Agnello sgozzato, hanno segnato la sua vittoria, e impresso
la svolta decisiva al conflitto in corso. Questo, prese le forme delle pressioni
esterne e dell‘integrazione culturale socialmente imposta e spalleggiata da
6
alcuni movimenti carismatici interni alle comunità gesuane , si trascina nella
violenza del breve tempo accordato ancora alla frustrazione e all‘ira di Sata-
na:
«il problema della persecuzione e del martirio crea la necessità di riaffermare il con-
trollo di Dio sulla storia, mediante una rivelazione che consenta di vedere le cose dal
punto di vista di Dio, laddove dal punto di vista umano il caos sembra regnare. Ora è
però l‘Agnello sgozzato a costituire il filo rosso che traccia l‘ordine nella storia del
mondo. Per questo è essenziale che in lui convergano la dimensione divina
7
dell‘eternità e il destino umano di persecuzione e martirio» (Norelli, 1995a, p. 198)

Contro ogni realtà o fattualità storica, le ―storie‖ di Gesù e la conformità


al suo destino conferiscono senso e orientano l‘esperienza del presente, e
contemporaneamente riorganizzano l‘attesa del futuro: il costituirsi di un re-
gno eterno di sacerdoti da subito officianti di fronte al trono celeste si fonda
sul riscatto nel sangue dell‘Agnello (cfr. Ap 1, 5; 7, 14-15; 20, 6; 22, 3-5);
vittoria e assunzione della regalità messianica o intronizzazione del vincitore
nelle lettere agli angeli di Tiatiri e Laodicea sono radicate nella vittoria, in-
tronizzazione e autorità messianica di Gesù (Ap 2, 26-28 e 3, 21); la vittoria
su Satana dei fratelli ancora esposti alle sue accuse si è consumata «grazie al
sangue dell‘Agnello e alla parola della loro testimonianza», ed è significati-
vamente riassunta e ampliata in un detto gesuano: «kai; oujk hjgavphsan th;n

tura sapienziale ed apocalittica, importanti le osservazioni di Hengel, 1995, pp. 104-108 e


114-115, e Fabry, 2006, pp. 276-277 e 288-289. Con Berger, 1997, pp. 227-231, non credo
che l‘agnello di Ap denoti altro che l‘innocenza e la giustizia che qualificano Gesù come me-
diatore del perdono dei peccati (cfr. Gv 1, 29 e 1 Gv 2, 1-2 e 3, 5.7-8). A Qumran, i dodici
uomini e tre sacerdoti al vertice della comunità sono chiamati a essere «perfetti in ogni cosa
rivelata da tutta la legge, per compiere verità, giustizia, giudizio […] e per lavare il peccato
nel praticare giustizia e affrontare la prova» (1QS 8, 1-3); per Filone, Sacr. 121, ogni sapiente
è «luvtron tou' fauvlou» (cfr. anche 128); in 2 En. 64, 5, e 11QMelch 2, 6, rispettivamente,
Enoc il giusto e Melchisedek sono deputati ad affrancare gli uomini dal peccato; secondo As.
Mos. 12, 6, Mosè, assunto in cielo, pregherà e supplicherà per Israele ed i suoi peccati davanti
a Dio. Che poi l‘agnello sia «sgozzato» indica come la funzione espiatrice del giusto si esten-
da a e si realizzi compiutamente nella sua morte violenta.
6
Cfr. Karrer, 1986, pp. 186-203 e 263-276, che tuttavia calca troppo, a mio giudizio, su
tendenze ―gnostiche‖ o ―gnosticizzanti‖, e Roose, 2000, pp. 166-177; 183-185; 193-198. Pro-
blematizzano e giustamente approfondiscono la dialettica tra situazione reale e percezione e
costruzione simbolica della crisi Thompson, 1990, pp. 95-167 e 171-193, e Ulland, 1997, in
particolare, pp. 157-169 e 324-336. Cfr. anche l‘importante messa a punto di Arcari, 2008, pp.
237-276 e 280-301.
7
A conclusioni analoghe arriva Barr, 2003, pp. 14-19.
Oltre l‟Apocalisse 217

8
yuch;n aujtw'n a[cri qanavtou» (Ap 12, 11) . In quanto essi stessi testimoni
immersi nello scontro, siano poi, direttamente, ―profeti‖ o, indirettamente,
9
depositari di un testo ―profetico‖, l‘Apocalisse, appunto , i seguaci di Gesù
sono chiamati a preservare e seguire incondizionatamente i passi del loro Si-
gnore secondo Giovanni (cfr. Ap 2, 13; 3, 8.10-11; 11, 3-13; 12, 17; 13, 7.10;
10
14, 3-4.12) .
D‘altro canto, la ricorsività di destini tracciata dalla memoria pneumati-
ca smaschera le carenze ed i compromessi del presente, nella misura in cui il
presente può decadere e di fatto decade da un passato di Gesù, la cui predi-
cazione, da un lato, l‘ascolto e la preservazione, dall‘altro, coincidono con il
tempo delle origini delle comunità (cfr. Ap 2, 4-5.24-26 e 3, 3.8.10). Il rav-
vedimento si produce allora solo nel ricordo, ed esattamente come riacquisi-
zione di quel passato e di quelle origini (cfr. Ap 2, 5 e 3, 3: «mnhmovneue […]
kai; metanovhson»).
Anche sotto questo taglio più interno, il ricordo e la sua attualizzazione
nel contesto di un‘esperienza ―profetica‖, secondo gli schemi della letteratu-
ra di rivelazione, contribuiscono ad articolare la resistenza alla crisi percepita
e alle pressioni sperimentate da gruppi minoritari radicali di seguaci di Ge-
11
sù , che si intravedono realmente dietro Giovanni, o comunque si integrano
12
costitutivamente nel progetto da lui immaginato e propagato .

3. LA TESTIMONIANZA DELLO SPIRITO: GESÙ, GIOVANNI E GLI ―ALTRI‖

In un contributo recente sulle dinamiche di articolazione delle compe-


tenze rituali nell‘antichità, D. Frankfurter ne ha individuate alcune che pos-
sono assumere particolare rilievo per un‘interpretazione di Ap: 1) prossimità
o marginalità rispetto alla comunità; 2) capacità di combinare vecchi e nuovi
idiomi e tecnologie; 3) affiliazione istituzionale e formazione letteraria, me-
diante cui la tradizione religiosa autoritativa possa essere mediata con tradi-
zioni ed esigenze locali; 4) proiezione, in qualità di profeta, di una nuova i-
deologia, alla luce della quale il profeta stesso risalti come taumaturgo stra-

8
Cfr. anche Thompson, 1990, pp. 189-190.
9
Cfr. le conclusioni di Marino, 2005, in particolare, pp. 384-388.
10
Cfr., seppure con qualche riserva sulla radicalità delle interpretazioni, Middleton,
2006, pp. 158-170.
11
Thompson, 1990, pp. 193-197, recuperando categorie di P. Berger, parla di «cogniti-
ve minority» e «cosmopolitan sectarianism».
12
Cfr. lo schizzo storico sul «ricordo contrappresentistico» e la religione biblica offerto
da Theissen, 1988, in particolare, pp. 172-179, e, più analiticamente, le osservazioni di As-
smann, 1997, pp. 50-58, a proposito delle «mitodinamiche del ricordo», e l‘esemplificazione
sul caso d‘Israele e della storia deuteronomistica (pp. 161-189).
218 Conclusioni

ordinario; 5) abilità di articolare un universo di competenze e pratiche rituali


pericolose, per risolverlo nei propri termini e alimentare le proprie rivendi-
cazioni di autorità e carisma (2002, pp. 177-178).
In più punti queste dinamiche sono affiorate nel nostro testo. Il modello
di Frankfurter appare quindi appropriato per raccogliere, in una sintesi orga-
nica e flessibile, i risultati della nostra ricerca, e chiuderla, forse un po‘ para-
dossalmente, su un‘ulteriore apertura.
Giovanni si colloca di fatto alla periferia delle comunità a cui scrive:
che, per comunicare la sua rivelazione, scriva a loro nella forma di una lette-
ra implica necessariamente una distanza spaziale, non solo al momento
dell‘esperienza estatica, ma anche nell‘atto dello scrivere; che scriva con tale
abbondanza di dettagli e quindi le conosca, o abbia avuto contatti con loro, e
poi si rechi a Patmos sembra indicare un suo più generale stile di vita itine-
13
rante ; se così, e stando all‘imperativo celeste di uscire dalla città carica di
peccati (Ap 18, 4), cui fanno eco critiche alla ricchezza (cfr. Ap 3, 17-18 e
18, 9-19) e apprezzamenti per la povertà (cfr. Ap 2, 9 e 3, 8), emerge anche
l‘estraneità sociale di Giovanni al contesto urbano greco-romano, alle strate-
gie di integrazione dell‘Impero e al suo sistema economico che sui centri cit-
14
tadini appunto si imperniavano . Su questa doppia distanza, momentanea o
regolare che fosse la prima, permanente e accentuata la seconda, si misura il
conflitto con figure e gruppi profetici locali che non sembrano spostarsi dalle
comunità integrate nella polis in cui agiscono (cfr. Ap 2, 14-15.20), e con al-
15
tri itineranti e marginali (cfr. Ap 2, 2) .
A questa doppia distanza, Giovanni vede, inghiotte e, trascrivendo, ri-
gurgita in lettere la «parola di Dio e la testimonianza di Gesù» (cfr. Ap 1,
2.11.19; 10, 4.8-11; 22, 7.9.18-19), significato e significante delle scritture
ebraiche e delle parole di Gesù, concepite come tradizione autoritativa e

13
Cfr. Roose, 2000, pp. 166-174; Theissen, 2001, p. 333; Thompson, 2003a, pp. 42-43;
Satake, 2008, p. 37.
14
Nell‘eterogeneità di presupposti metodologici e conclusioni specifiche, concordano
sulla centralità in Ap della critica all‘ordo Romanus Theissen 2001, pp. 330-333; Harland,
2003, pp. 252-263; Thompson, 2003a, pp. 36-45; Friesen, 2003, pp. 51-64; Ruiz, 2003, pp.
123-134; Rossing, 2005, pp. 192-196; Lampe, 2006, pp. 118-121; Andrei, 2007, pp. 17-31.
Cfr. anche le riflessioni di Destro – Pesce, 2008, pp. 19-26 e 32-41, su mappe mentali e terri-
tori reali nella predicazione di Gesù. Non andrebbe in questo senso sottovalutata la centralità,
nell‘immaginario di Giovanni, di deserto e monti come luoghi di prova e preservazione, pu-
rezza e rinnovamento (cfr. Ap 13, 14-16; 14, 1.4-5; 21, 10), di contro alla città raffigurata co-
me cuore della contaminazione (cfr. Ap 17, 1-6; 18, 2-3; 19, 2), almeno fino a quello stesso
rinnovamento: che si tratti di un riflesso della collocazione socio-ecologica del movimento
intorno a Giovanni, quale sperimentata e/o progettata da Giovanni stesso (cfr. Theissen, 1978,
pp. 47-51, e i casi in Siria e Ponto riportati da Ippolito, Comm. Dan. 4, 18, 1-3 e 19)?
15
La base storica di questi conflitti e la dialettica di autorità ad essi soggiacente sono
state ben analizzate da Arcari, 2008, pp. 256-257; 262-280; 297-304; 319-320.
Oltre l‟Apocalisse 219

fondante delle comunità: nella sacralità inviolabile e nel potere di realizzarsi


16
imposti al segno scritto e letto (cfr. Ap 22, 18-19 e 10, 5-7) , il rotolo rac-
chiude il mistero di Dio che si compie come già profetizzato, lo Spirito e la
17
vita che ne scaturisce (cfr. Ap 10, 7-11; 19, 10; 22, 17-19) . Per il tramite del
contatto con il mondo soprannaturale, dell‘incorporazione della parola divina
e della stesura della lettera che riproduce entrambi nella comunicazione,
Giovanni aspira a profilarsi come unico rappresentante autorizzato di Dio e
Gesù, e di quella linea di tradizione profetica che al primo fa capo e nel se-
condo culmina, per rispondere ad esigenze, conflitti e costruzioni identitarie
storicamente e geograficamente localizzati (cfr. Ap 2, 14-16.20-23 e 19, 10-
18
21) . La sua alfabetizzazione, la familiarità con e l‘uso delle scritture ebrai-
che finiscono così per articolare decisivamente questo progetto.
Il progetto si rivela essere di fatto la (ri)composizione di una nuova vi-
sione del mondo e dei rapporti sociali fra Giovanni e le comunità, fra gruppi
e figure all‘interno delle comunità, e fra le comunità e l‘esterno.
Come è stato persuasivamente argomentato, Ap 10, 1-11 e Ap 14, 6-7 si
corrispondono, fungendo da cornice del macro-chiasmo che abbraccia Ap 11,
19
1 – 14, 5 : il «mistero di Dio» (Ap 10, 7) annunciato ai suoi servi, i profeti, e
«il vangelo eterno» (Ap 14, 6) da annunciare ai popoli della terra si integrano
20
e fondono nella nuova esperienza profetica di Giovanni (Ap 10, 11) . Questa
è a sua volta chiaramente compresa e replicata nella missione e nella predi-
cazione di penitenza dei due testimoni (Ap 11, 3-13), che proietta una vicen-
21
da storica circoscritta in un contesto escatologico di scala cosmica . Allinea-
16
Su simboli, metafore, reticenze ed ambiguità di Ap come tracce di linguaggio dello
Spirito, cfr. Thompson 2003b, pp. 145-149. Seguendo l‘analisi di de Certeau, 2008, pp. 167-
169, gli stessi solecismi e barbarismi del greco di Ap potrebbero essere interpretati sul model-
lo del «miracolo» (p. 168), come segni, cioè, impressi sulla lingua da un atto di potenza divina
che produce parole e linguaggio carichi di potere, in quanto violazioni della grammatica e del-
la sintassi ordinarie (cfr. le osservazioni di Maurizio, 1995, pp. 81-83 e 85-86, su lingua e stile
degli oracoli della Pizia). Non diversamente gli antichi percepivano ed usavano gli onomata
barbara, su cui Plinio il Vecchio, Nat. 28, 20 scrive: «neque est facile dictu, externa verba
atque ineffabilia abrogent fidem validius an Latina et inopinata, quae inridicula videri cogit
animus semper aliquid inmensum exspectans ac dignum deo movendo, immo vero quod numi-
ni imperet». Significativa anche la discussione in Origene, Cels. 1, 25 e 5, 45; Corp. herm. 16,
1-2; Giamblico, Myst. 7, 4-5, cui vanno affiancate le riflessioni più generali di Tambiah, 1995,
pp. 49-58 e 151-155, sul linguaggio ―magico‖ e rituale.
17
Cfr. Aune, 1986, pp. 86-87; Lupieri, 2000, p. 358; Thompson, 2003b, pp. 149-150;
Gieschen, 2006, p. 352.
18
Analoghe osservazioni e conclusioni in Satake, 1966 , pp. 57-63, ribadite da ultimo in
2008, pp. 49-50; Roose, 2000, pp. 144-156; 162-166; 189-221; Arcari, 2008, pp. 255-256 e
303-304.
19
Cfr. Siew, 2005, pp. 67-83.
20
Siew, 2005, pp. 81-82 e 248.
21
Cfr. Norelli, 1994, pp. 109-113, e 1995b, p. 292, e Siew, 2005, pp. 198-199; 226-232;
248-250.
220 Conclusioni

to ai due veri profeti, e con loro al proprio gruppo profetico, Giovanni si


rappresenta così simbolicamente investito di potere taumaturgico (Ap 11, 6:
ejxousiva) addirittura superiore alle capacità di Mosè ed Elia, e al centro di un
conflitto con Satana ed i suoi due emissari, il secondo, il «falso profeta», a
mettere a servizio del primo segni magici (Ap 13, 13-14: shmei'a) portento-
22
si .
Nel plasmare questo antagonismo speculare, si misura chiaramente
l‘abilità di Giovanni a ridefinire i territori della conoscenza e dell‘autorità
profetica: da una parte, lui – e chi, nelle comunità, lo ha seguito, lo segue o
seguirà la sua lettera – forte dell‘investitura divina, e della produzione di un
testo normativo che la rivelazione divina incorpora; dall‘altra, i Nicolaiti, Ie-
zabel e i loro seguaci, con le loro false pretese ed i loro insegnamenti satani-
23
ci .
Nel corpo-testo di Giovanni, su cui convergono estasi e contatto con il
Gesù celeste, parola profetica vista, inghiottita e rigurgitata, voce e memoria
di quello stesso Gesù che ora rivela, si inscrivono ed annodano le molteplici
linee di questi discorsi: impressi e riprodotti nell‘esperienza pneumatica, e
nel rotolo che la riporta, racchiude e rappresenta, il presente di Giovanni e
dei suoi, degli altri gruppi e delle comunità, in genere, e i suoi conflitti di in-
tegrazione socio-economica e autorità profetica si innestano su tradizioni e
24
linguaggi gesuani ; aperta così una nuova possibilità di pensarli, compren-
derli e descriverli tra passato e futuro, ne escono rielaborati e ricostruiti
nell‘ottica di colui che viene riconosciuto a comunicare in quell‘esperienza e
nel rotolo.

22
Sulla specularità delle figure dei due testimoni e della seconda bestia, insiste corret-
tamente Siew, 2005, pp. 198-201; 234; 266-267. Delle facoltà concesse alla seconda bestia, la
prima, quella di far scendere fuoco dal cielo, scimmiotta di fatto il potere di Elia e dei due te-
stimoni (cfr. 1 Re 18, 38; 2 Re 1, 10; Lc 9, 54; Ap 11, 5), la seconda, quella di insufflare la
vita nella statua della prima bestia, rientra nel repertorio stereotipato di azioni imputabili co-
me ―magiche‖ (cfr. PGM XII, 14-95; Asclepius 23b-24a e 37-38; Giamblico, Myst. 5, 23;
Proclo, Comm. Tim. 3, 6, con Ps.-Clemente, Hom. 2, 32, 2 e 34, 1, e Atti Andr. Matt. 13-15 e
29): il processo di inversione e rovesciamento del carisma profetico dei due testimoni non
potrebbe essere più evidente.
23
Le analisi di Norelli, 1994, pp. 109-113; Garrow, 1997, pp. 88-91; Roose, 2000, pp.
189-221; Arcari, 2008, pp. 262-276 e 297-304, hanno chiarito, a mio giudizio, in maniera de-
cisiva, come dietro i tratti della seconda bestia siano da intravedere i gruppi profetici cui Gio-
vanni intende opporsi. Cfr. anche Duff, 2003, in particolare, pp. 77-79.
24
Come ha scritto Arcari, 2008, p. 304: «Gesù rappresenta l‘asse di questa identità set-
taria (scil. di Giovanni e del suo gruppo) – la sua caratteristica centrale –, mentre la visione
del mondo apocalittica è lo strumento con cui il gruppo cerca di capire la sua aderenza a Ge-
sù». Cfr. anche Barr, 2003, pp. 18-19.
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den/New York/Köln 1997.
RINGRAZIAMENTI

Desidero qui ringraziare quanti, direttamente o indirettamente, hanno


collaborato alla stesura di queste pagine: il prof. Mauro Pesce, per averle di-
scusse a più riprese, e averne favorito la pubblicazione; il prof. Peter Lampe
dell‘Università di Heidelberg, per aver accettato di seguire la tesi di dottora-
to da cui sono nate, ed averne accompagnato la redazione con la sua espe-
rienza di esegeta attento a profetismi antichi e moderni; la prof.ssa Clemen-
tina Mazzucco dell‘Università di Torino, per aver letto il testo ed averlo ar-
ricchito con puntuali osservazioni filologiche; il prof. Claudio Gianotto
dell‘Università di Torino per i preziosi suggerimenti che vi sono confluiti; il
prof. Lorenzo Perrone, per averne incoraggiato e sostenuto costantemente la
pubblicazione; il prof. Antonio Cacciari, per la disponibilità a frequenti con-
sulenze informatiche nell‘ultima, cruciale fase di redazione. La responsabili-
tà per le ipotesi formulate ed eventuali errori, imprecisioni o sviste rimane
chiaramente solo mia.
Il ringraziamento non può non essere esteso poi alla biblioteca «Giu-
seppe Dossetti» dell‘Istituto di Scienze Religiose – Fondazione «Giovanni
XXIII» di Bologna, alla biblioteca del Wissenschaftlich-Theologisches Se-
minar dell‘Università di Heidelberg, alla biblioteca del Dipartimento di Filo-
logia Classica e Medioevale dell‘Università di Bologna, e alla biblioteca del
Pontificio Istituto Biblico a Roma, di cui ricorre quest‘anno il centenario, per
avermi ospitato nelle varie fasi della ricerca; ancora, a Elisabetta De Luca,
Mara Rescio e Luigi Walt, amici e compagni d‘avventura e di infinite di-
scussioni, più o meno serie, e revisioni; a mio nonno Alberto, per avermi
aiutato a recuperare bibliografia a distanza, e a tutta la mia famiglia per il so-
stegno e la vicinanza costanti; alla famiglia Dell‘Isola, per l‘ospitalità, la di-
sponibilità e l‘affetto dimostratimi; a Daniele Murino, per l‘amicizia che è
nata e cresciuta insieme al progetto; ai miei coinquilini in Germania, e spe-
cialmente a Elaine, per la pazienza con cui tante mattine d‘inverno ha ascol-
tato idee e sproloqui nel mio tedesco.
Un grazie tutto particolare infine a Maria: a lei io e questo libro dob-
biamo tutto, ben oltre quanto lei stessa immagini.
INDICE DELLE FONTI CITATE

Per le abbreviazioni dei libri biblici ci si è attenuti alla Bibbia di Gerusalemme. Le


abbreviazioni degli altri scritti citati, dei papiri e delle iscrizioni seguono, dove pos-
sibile, P.H. Alexanders – J.F. Kutsko – J.D. Ernest – S. Decker-Lucke – D.L. Peter-
sen (edd.), The SBL Handbook of Style for Ancient Near Eastern, Biblical and Early
Christian Studies, Peabody 1999, e le indicazioni ivi offerte.

SCRITTI E AUTORI CRISTIANI 1, 2: 85, 113, 218


1, 2-3: 90
Adamanzio 1, 3: 17, 33, 44, 62, 89-90, 111-115,
Fid. 138, 151, 172, 183
1, 814e: 157 1, 3a: 175
13: 165 1, 3b: 175
1, 4: 43-44, 51, 103, 167
Afraate 1, 4-6: 105, 167
Dem. 4, 5: 108 1, 5: 9, 12, 19-20, 27, 64, 85, 107, 154,
177-178, 180, 184, 186-187, 216
Agostino 1, 6: 105, 195
Civ. 1, 7: 12, 18, 41, 103-104, 115-117, 133,
3, 24: 87 141, 150-152, 167, 175, 177
7, 35: 66 1, 7-8: 118
Gen. litt. 8: 192 1, 8: 21, 103, 105, 108-109, 167
1, 9: 19, 45, 53, 85, 180
Ambrogio 1, 9-10: 36, 44, 56, 114
Cain 1, 2, 8: 190 1, 9-16: 41
1, 9-20: 75
An. Pil. 11 (recc. A-B): 44 1, 10 – 3, 22: 90
1, 10: 17, 41-42, 44, 56-57, 63, 213
Ap 1, 10 e ss.: 214
1, 1: 21, 31, 33, 90, 97, 167, 214 1, 10-11: 69, 79
1, 1-2: 17, 31, 41, 43, 56, 77, 214 1, 10-17: 50
1, 1-3: 18, 20, 29, 36, 48, 53-54, 85, 96, 1, 11: 21, 44, 71-72, 86, 89, 105, 138,
98, 119, 166 218
1, 1-4: 93 1, 11-20: 78
258 Indice delle fonti citate

1, 12: 41, 44, 63-64 2, 20-21: 179


1, 12 e ss. : 9 2, 20-23: 219
1, 12-16: 41, 167 2, 20-24: 149
1, 12-19: 44 2, 20-25: 93
1, 13: 141 2, 21: 84
1, 13 e ss.: 168 2, 21-22: 139
1, 13-16: 49, 184 2, 22: 19, 179
1, 14-16: 63 2, 22-23: 114
1, 16: 171 2, 23: 42, 62, 108, 164
1, 17: 44, 49, 56, 63-64 2, 24: 179
1, 17-18: 108-109, 196 2, 24-26: 217
1, 18: 64-65, 178 2, 25: 103, 167, 179, 183
1, 19: 21, 56, 72, 79, 86, 89-90, 218 2, 25-26: 19, 95, 152
2 – 3: 65, 97, 138, 171 2, 26: 27, 104, 106, 179, 184
2, 1 – 3, 22: 63 2, 26-28: 13, 105-106, 195, 216
2, 1: 21, 64, 75, 89 2, 27: 188
2, 2: 149, 218 2, 27-28: 194, 196
2, 2-3: 180, 183 2, 28: 104, 131, 184, 186
2, 3: 53 2, 29: 12, 43, 92, 118, 167, 171, 213
2, 4-5: 217 3, 1: 43-44, 51, 75, 89
2, 5: 19, 63, 103, 114, 138-139, 167, 3, 2: 104-105, 122
217 3, 3: 12, 19, 95, 103, 114, 122-123, 133,
2, 6: 149, 179 138-139, 152, 166-167, 175, 183,
2, 7: 12, 92, 118, 167, 171, 175 217
2, 7-11: 120 3, 4: 120, 124, 126
2, 8: 21, 64, 75, 89, 196 3, 5: 10, 104-106, 117, 124, 126, 183
2, 9: 40, 160, 218 3, 5c: 175
2, 10: 10, 107, 119-121, 145, 175, 183- 3, 6: 12, 43, 92, 118, 167, 171, 213
184 3, 7: 12, 21, 75, 85, 89, 184
2, 10-11: 154 3, 8: 19, 27, 53, 95, 106, 126, 152, 175,
2, 11: 12, 43, 92, 118, 171, 175, 213 180, 182-184, 217-218
2, 12: 21, 75, 89 3, 8-9: 62
2, 13: 19, 21, 27, 53, 106, 126, 145, 3, 8-10: 19
180, 182-184, 195, 217 3, 9: 19, 40, 107, 154, 160
2, 14-15: 95, 149, 184, 218 3, 10: 19, 21, 27, 61, 95, 106-107, 112,
2, 14-16: 219 126, 149, 152, 167, 180, 183
2, 15: 179 3, 10-11: 217
2, 16: 19, 103-104, 114, 138-139, 166- 3, 10-12: 184
167, 184 3, 11: 103, 166-167, 180, 183
2, 17: 12, 43, 63, 65, 92, 118, 171 3, 12: 104, 131, 138
2, 18: 21, 75, 89 3, 13: 12, 43, 92, 118, 167, 171, 213
2, 18-29: 62 3, 14: 8-9, 21, 57, 75, 85, 89, 105, 180,
2, 19: 180, 183 184, 187, 211, 215
2, 20: 179 3, 17-18: 218
Indice delle fonti citate 259

3, 18: 77, 124 6, 1 – 10, 11: 90


3, 19: 138 6, 1-8: 145, 184
3, 19-20: 114 6, 1-12: 175
3, 20: 63, 124, 127-128, 131, 151, 175 6, 2: 171
3, 20-21: 151, 178, 183 6, 2-8: 40
3, 21: 13, 27, 64, 109-110, 129-131, 6, 3-11: 150
151, 174, 178, 184, 186, 195, 216 6, 3-17: 151
3, 22: 12, 43, 92, 118, 167, 169, 213 6, 4: 111, 142, 175
4 – 5: 41, 67 6, 4-9: 175
4, 1: 39, 45, 56, 62, 65, 79, 89, 90 6, 4-14: 142
4, 1-2: 45, 48, 50, 57, 66 6, 5-6: 143
4, 1-8: 75 6, 6: 145
4, 2: 17, 39, 42, 114, 214 6, 8: 40, 143, 145, 155
4, 2 e ss.: 67 6, 9: 41-42, 53, 93, 143, 145, 160, 168,
4, 2-3: 131 195
4, 2-8: 41 6, 9-11: 145
4, 4: 171 6, 10: 42, 51, 85, 132, 175, 184
4, 5: 39, 41, 43-44, 51, 79, 105, 167 6, 10-17: 133
4, 6: 131 6, 11: 84, 175
4, 7: 41 6, 12: 133, 145
4, 8: 103, 105, 167 6, 12-13: 39
4, 10: 61, 171 6, 12-13a: 12
4, 11: 41, 44, 53, 85 6, 12-14: 144, 150, 152
5: 89 6, 13: 175
5, 1 – 10, 11: 41 6, 13-14: 145
5, 1: 77, 85, 166 6, 14: 39-40, 72, 133
5, 2: 77, 89 6, 15: 40, 132
5, 4: 45, 68, 90, 166 6, 15-16: 12, 39
5, 4-5: 75 6, 15-17: 132, 145, 150-151, 175
5, 5: 12, 27, 110, 177, 184, 186 6, 16: 133, 175
5, 5-14: 27 6, 17: 132
5, 6: 43, 51, 64, 131, 146, 167, 177-178, 7, 1: 39, 65
196 7, 1-2: 40
5, 6-7: 41 7, 2: 78
5, 7-8: 166 7, 2-17: 63
5, 8: 61 7, 4: 77
5, 9: 27, 149, 177, 186 7, 9: 40, 65, 149
5, 9-10: 105, 186 7, 9-10: 61
5, 10: 105, 195 7, 9-15: 41
5, 12: 177 7, 10: 105
5, 13: 39 7, 11: 61
5, 13-14: 41 7, 12: 105
6: 144-145 7, 13-14: 68, 90
6, 1 – 8, 1: 77, 89 7, 13-17: 75
260 Indice delle fonti citate

7, 14: 45, 61, 120, 177 10, 5: 80


7, 14-15: 195, 216 10, 5-7: 79, 219
7, 15: 61, 141, 195 10, 5-11. 17
8: 89 10, 6: 80, 90
8, 1: 61 10, 6-7: 81, 85, 97, 173
8, 2: 41, 43-44, 51, 167 10, 7: 31, 78, 81, 138, 214, 219
8, 2-3: 141 10, 7-11: 219
8, 2-5: 41 10, 8: 77, 86
8, 2-6: 141 10, 8-9: 68
8, 3-4: 41, 61 10, 8-10: 77
8, 6 – 11, 15: 75, 89 10, 8-11: 75, 81, 166, 218
8, 6 e ss.: 41 10, 9: 77, 86
8, 7: 39 10, 9-10: 77
8, 8: 40 10, 10: 45, 68, 77, 86
8, 8-11: 41 10, 10-11: 77
8, 9: 40, 42, 51 10, 11: 77-78, 81, 86, 90, 97, 132, 137,
8, 10: 39 214, 219
8, 10-11: 41 11 – 13: 207
8, 12: 39 11: 209
8, 13: 41 11, 1 – 14, 5: 217
8, 18: 40 11, 1: 75, 86
8, 21: 139 11, 1-2: 39, 89, 151
9, 1: 39 11, 2: 12, 40, 134-135, 151
9, 1-2: 39 11, 2b: 175
9, 1-11: 39-40 11, 2-6: 192
9, 2: 39 11, 3: 86, 133, 135, 145, 175, 194-195,
9, 7: 77 197-198, 200, 203, 205
9, 11: 40-41 11, 3-4: 193-194
9, 13: 41 11, 3-6: 89, 190
9, 14: 39 11, 3-12: 28
9, 15-19: 40 11, 3-13: 84, 194, 197-198, 203, 205-
9, 17: 29 206, 208-209, 215, 217, 219
9, 18: 69 11, 4: 195, 197
9, 20: 69 11, 4-6: 206
9, 20-21: 179 11, 5: 87, 177, 220
10: 33, 76, 89, 138, 214 11, 5-6: 198
10, 1: 171 11, 5-7: 207
10, 1-2: 77-78, 166 11, 6: 39, 111, 175, 206, 210, 220
10, 1-10: 41 11, 7: 135, 145, 194-195, 197, 207
10, 1-11: 219 11, 8: 12, 39, 91, 177, 196-198, 205-
10, 2: 77, 80 206, 208
10, 3: 89 11, 8-9: 205
10, 3-4: 18, 21, 41, 69, 71, 75, 79, 86 11, 9: 40, 194, 196, 207
10, 4: 57, 75, 86, 218 11, 9-10: 135, 206
Indice delle fonti citate 261

11, 10: 196, 200 13, 1-3: 39, 146


11, 11: 44, 64, 178, 196, 198, 200 13, 1-7: 40
11, 11-12: 206-207 13, 3: 146, 178
11, 12: 41, 45, 196-197, 205 13, 4: 146
11, 12-13: 197, 206 13, 4-8: 208
11, 13: 42-43, 126, 197, 200-201, 207 13, 5: 135, 146, 194
11, 14-19: 78 13, 5-7: 150
11, 15: 39, 44, 114, 177, 183 13, 6: 39
11, 16: 61 13, 6-7: 61, 135
11, 17-18: 44, 114, 167 13, 7: 40, 147, 194, 217
11, 18: 61, 158, 160 13, 7-10: 184, 194
11, 19: 39, 41, 133, 141 13, 8: 39, 44, 147, 177
12 – 13: 173 13, 9: 12, 118-119, 176
12: 17, 20, 171, 186, 193 13, 9-10: 92, 97
12, 1: 25, 68, 75, 171 13, 10: 21, 111, 121, 147, 176, 183,
12, 1-5: 188, 208-209, 215 187, 194, 217
12, 1-12: 110 13, 11: 176
12, 1-18: 28 13, 11-17: 40
12, 3: 25, 68, 75 13, 12: 138, 146, 149
12, 4: 41 13, 12-14: 89, 132, 210
12, 4-5: 189 13, 13: 39, 146-147, 176
12, 5: 188-189, 193-194, 196-197, 208, 13, 13-14: 149, 220
211 13, 14: 53, 138, 146-147, 149, 178
12, 5-6: 12 13, 14-15: 147
12, 6: 135 13, 14-16: 218
12, 6-16: 194 13, 15: 42-43, 147
12, 7-9: 40, 41 13, 16: 40, 132, 138, 149
12, 7-10: 154 13, 18: 42, 91, 97
12, 7-12: 188 14: 138
12, 8: 40 14, 1: 39, 63, 77, 105-106, 218
12, 9: 40-41, 176, 188 14, 1-5: 20, 139
12, 10: 44, 105, 114, 177, 194-195 14, 1-12: 93
12, 11: 12, 42, 51, 53, 107, 127, 145, 14, 2: 121
153-154, 172, 176-177, 183-184, 217 14, 3-4: 149, 186
12, 12: 39, 61 14, 4: 12, 154-155
12, 12-13: 40 14, 4b: 176
12, 13-17: 188 14, 4-5: 218
12, 14: 39, 41, 135 14, 6: 12, 39, 81, 132, 136, 142, 151,
12, 15: 41 176, 219
12, 17: 85, 93, 107, 135, 145, 180, 184, 14, 6-13: 139-140, 149
188, 194, 208, 217 14, 6-7: 81, 114-115, 219
13: 40, 146, 148, 151, 176, 194 14, 7: 39, 138-140
13, 1: 39 14, 8: 142
13, 1-2: 150 14, 8-9: 155
262 Indice delle fonti citate

14, 12: 21, 27, 85, 107, 180, 182-184, 17: 25


187, 194, 217 17, 1: 41, 90, 167
14, 13: 18, 21, 41, 43, 75, 89, 118, 155, 17, 1-3: 75
167, 171, 213 17, 1-6: 218
14, 14: 141-142, 171 17, 3: 39, 42, 45, 68, 114, 214
14, 14-16: 41, 139, 141-142, 151, 176 17, 4: 77, 111, 158
14, 14-19: 176 17, 4b: 176
14, 14-20: 41, 140 17, 5-6: 111
14, 15: 78-79, 141-142 17, 6: 42, 51, 68, 168, 194
14, 15-16: 12 17, 6-7: 90
14, 17: 20, 141-142 17, 8: 39
14, 18: 40-41, 141 17, 9: 42, 91
15, 1 – 16, 21: 75 17, 14: 110, 155, 162, 186, 195
15, 1: 41, 68-69, 75, 84 17, 16: 42, 51, 162
15, 1-8: 167 17, 17: 42, 84, 97
15, 2: 184 18, 1: 65
15, 2-4: 139 18, 1-8: 79
15, 3: 85, 192 18, 1-19: 84
15, 5: 41, 65 18, 2: 40, 43, 78
15, 5-8: 41, 141 18, 2-3: 218
15, 6: 41, 69, 168 18, 2-4: 111
15, 8: 44, 69 18, 4: 111, 176, 218
16, 1-17: 41 18, 6-8: 158
16, 2: 132 18, 7: 42
16, 3: 40, 42, 51 18, 9: 162
16, 4: 39 18, 9-19: 218
16, 5: 40 18, 10: 158
16, 6: 42, 51, 85, 160 18, 12: 77
16, 7: 41 18, 13: 40, 42, 51
16, 8-9: 132 18, 14: 42
16, 9: 69, 114, 139 18, 16: 77, 158
16, 11: 114, 139 18, 17: 40
16, 12: 39 18, 18: 162
16, 12-16: 183 18, 19: 158
16, 13: 146 18, 20: 61
16, 13-14: 40, 43, 89, 149, 210 18, 21: 156, 158, 176
16, 13-16: 186 18, 23-24: 176
16, 14: 124 18, 24: 42, 51, 111, 158, 162, 176, 194
16, 15: 12, 97, 118, 122-124, 133, 167, 19 – 20: 12
175, 183 19, 1: 65, 105
16, 17: 41 19, 1-2: 41
16, 18: 39, 133, 197 19, 1-3: 61, 162
16, 20: 39-40, 133 19, 2: 42, 51, 85, 218
16, 21: 39, 69, 132 19, 4: 61, 158
Indice delle fonti citate 263

19, 5: 41, 61, 105 20, 12: 40, 44


19, 6 – 22, 5: 129 20, 13: 39
19, 6: 41, 105 20, 13-14: 39
19, 6-7: 44, 114, 160-161 20, 15: 44
19, 6-8: 61 21: 20
19, 6-9: 12, 160, 176 21 – 22: 20
19, 7: 167 21, 1 – 22, 6: 90
19, 7-8: 63, 163 21, 1: 39
19, 7-9: 152 21, 1-3: 41
19, 8: 141 21, 1-7: 163
19, 8-9: 120 21, 2: 12, 63, 101, 163
19, 9: 12, 18, 21, 63, 75, 85, 89, 129, 21, 3-4: 41, 195
160 21, 3-5: 195
19, 9-10: 65, 182, 187, 214 21, 5: 21, 75, 85, 180
19, 10: 43, 45, 53, 65, 68, 85, 89, 145, 21, 5-6: 44, 84, 182
194, 213-214, 219 21, 5-8: 18
19, 10-13: 215 21, 6: 170, 172
19, 10-21: 219 21, 6-8: 109
19, 11: 39, 65, 85, 180, 192 21, 7: 105
19, 11-12: 173 21, 8: 20
19, 11-13: 184, 187 21, 9: 63, 68-69, 167, 171
19, 11-15: 194 21, 9-10: 41, 65, 75, 90, 163
19, 11-21: 104, 163, 183-184, 186, 204 21, 10: 42, 45, 68, 101, 214, 218
19, 13: 97, 173, 178 21, 10 – 22, 5: 69
19, 14: 141, 155, 162 21, 12: 178
19, 14-16: 186, 195-196 21, 14: 178
19, 15: 188, 192 21, 18: 77
19, 15-16: 173, 184 21, 21: 77
19, 17: 40, 78-79, 129 21, 22: 131
19, 18: 40, 42, 51 21, 27: 20, 44
19, 19 – 20, 5: 200 22: 20
19, 20: 146, 149, 210 22, 1: 90, 170, 172
19, 21: 42, 51 22, 3-4: 63, 106
20, 1: 39 22, 3-5: 131, 216
20, 1-3: 40, 186 22, 4: 63
20, 3: 39 22, 6: 12, 21, 41, 43, 51, 68, 85, 89-90,
20, 4: 42, 53, 85, 93, 130, 196 97, 167, 172, 180-182, 187, 194, 213
20, 4-6: 178, 195 22, 6-7: 112-113
20, 4-9: 107 22, 6-20: 75
20, 5: 84 22, 7: 89, 103, 166, 218
20, 6: 216 22, 7-20: 18
20, 7: 40, 186 22, 8: 41, 45, 65, 214
20, 7-9: 84 22, 8-9: 89
20, 9: 39, 154 22, 9: 31, 53, 89, 194, 213, 218
264 Indice delle fonti citate

22, 10: 33, 89, 113-115 4, 16: 203


22, 12: 103, 152, 163-164, 167, 176 4, 16-19: 203
22, 12-13: 118 4, 30-32: 204
22, 13: 21, 107, 109, 172 4, 30-33: 204
22, 14: 44, 63 5: 203-204
22, 14-15: 163 5, 32: 203
22, 15: 20, 40 5, 32-33: 203
22, 16: 33, 41, 43, 81, 85, 97, 107, 119, 5, 36-39: 203
131, 166-168, 172, 176-177, 182,
195-196 Apoc. Ephr. 11: 192
22, 16-20: 41
22, 17: 43, 89, 167, 169-173, 176, 213 Apoc. Esdra 5, 7: 189
22, 17-19: 219
22, 18: 33, 85, 171 Apoc. Giov. apocr. 8: 192
22, 18-19: 17, 21, 44, 69, 75, 89, 93,
112, 163, 172, 195, 218-219 Apoc. Paolo 20: 192
22, 18-20: 113
22, 20: 85, 103, 166-167 Apoc. Piet.
22, 20-21: 68 1: 163-164
2: 192, 203
Ap. Giac. 2, 10 – 3, 3: 205
2, 8-21: 95 6: 115, 141
4, 29-31: 107
15, 6-25: 47 Apoc. Piet. (NHC VII, 3) 71, 5: 189

Apoc. Adamo Apophth. Patr. 292c: 53


77, 1-9: 210
77, 2-18: 205 Ascen. Isa.
77, 16-18: 210 1, 8-11: 195
77, 27 – 82, 19: 193 2, 1-16: 205
78, 6-13: 193 2, 5: 160, 215
78, 27 – 79, 14: 193 2, 8: 195
83, 4 – 84, 28: 205 2, 8-12: 200
85, 1-4: 205 2, 9: 205
2, 10: 200, 205
Apoc. El. (C) 2, 12: 160
3, 1: 203 2, 12 e ss.: 215
3, 5: 203 2, 14: 190, 200-201
4, 1-6: 203, 208 3, 10: 195, 205
4, 7: 192 3, 12: 201
4, 7-12: 192 3, 13 – 4, 22: 138
4, 7-18: 202 3, 15: 168
4, 7-19: 206 3, 15-16: 171
4, 15: 203 3, 17-18: 137
Indice delle fonti citate 265

4: 146, 148 7, 2-5: 66


4, 1-4: 146 7, 2-9: 66
4, 2-13: 205 7, 3: 47
4, 4: 146 7, 25: 47
4, 5: 146-147 8, 11. 47
4, 6: 146 8, 14: 47
4, 6b: 146 8, 14-15: 205
4, 7: 146 8, 17: 47
4, 7-9: 147, 149 9, 1: 47
4, 8: 146 9, 5: 47
4, 9: 146 9, 7-9: 190
4, 10: 146 9, 9: 192
4, 10-11: 147 9, 13-14: 189
4, 11: 147 9, 27: 178
4, 12: 135, 146 9, 28: 190
4, 13: 147 9, 33-36: 168
4, 14: 135 9, 35: 178
4, 14-17: 100 9, 36: 160, 190, 215
4, 15: 99 9, 36-37: 213
4, 15-16: 147 9, 37: 47
4, 16: 127-128, 151 9, 40: 168
4, 16-17: 205 10, 6: 62
4, 18: 147 11, 18-19: 189
4, 21: 168 11, 18-22: 209
4, 21-22: 100 11, 20: 196
4, 22: 160, 215 11, 32: 178
5, 7: 213 11, 34-35: 205
5, 1: 201
5, 12: 205 At
5, 14: 213 1, 6: 202
6, 2-7: 60 1, 8: 145, 167-168, 202
6, 3: 57 1, 9-11: 201
6, 5: 58 1, 10-11: 197
6, 6-8: 66 1, 11: 201
6, 6-14: 66, 213 1, 14-15: 59
6, 8: 57, 62 1, 15: 125
6, 8-13: 60 1, 22: 197
6, 10-11: 47 2, 1-4: 59
6, 10-17: 196 2, 2-4: 202
6, 11: 47 2, 17: 213
6, 14: 66 2, 24: 196
6, 15-17: 60 2, 30-33: 178
6, 17: 47, 160, 213, 215 2, 32: 196
7, 2: 60 2, 33: 167-168
266 Indice delle fonti citate

2, 33-34: 210 13, 1: 55, 59, 99


2, 42: 57-58 13, 1-3: 55, 59
2, 47: 57 13, 3: 57-58
3, 1 – 4, 22: 79 13, 4-5: 44
3, 6-8: 65 13, 26: 183
3, 14: 217 13, 27-28: 196
3, 19-21: 192 14, 15-17: 115
3, 21: 202 14, 21: 138
3, 22: 215 14, 22: 99, 100, 165
3, 22-24: 210 14, 23: 55
4, 10: 65 15, 22: 55
4, 24-31: 57 15, 22-31: 57
4, 25: 196 15, 28: 55
4, 27: 196 15, 30-32: 59
4, 33: 145 15, 32: 55, 99-100
5, 20: 183 16, 6-7: 55
5, 32: 145 16, 9-12: 55
5, 41: 132 17, 15 D: 138
6, 6: 57-58 17, 24-31: 115
6, 8 – 7, 55: 145 17, 30-31: 138
6, 10: 168 18, 9: 79
7, 52: 159, 215 19, 13: 65
7, 54: 204 20, 35: 95
7, 55-56: 178, 213 20, 7: 57-58, 63
7, 59: 43 20, 11: 57-58
8, 26: 168 21, 10-11: 55
8, 28: 168 22, 6: 66
8, 39: 46, 168, 189 22, 6-16: 35
8, 39-40: 46 22, 6-21: 35
9, 3: 66 22, 10: 55-56
9, 3-12: 55 22, 17: 44, 213
9, 6: 56 22, 17-21: 35
10, 9-11: 213 23, 8: 43
10, 19: 213
10, 36-42: 210 Atenagora
10, 43: 210 Leg. 24: 190
11, 2-3: 79
11, 5: 213 Atti Andr. Matt.
11, 11: 201 13-15: 220
11, 22-23: 55 29: 220
11, 27-29: 55
11, 28-29: 59 Atti Fil.
12, 5: 57 135: 120, 161-162
12, 11: 44 144: 120
Indice delle fonti citate 267

Atti Giov. 7, 11: 100, 122, 165


94-96: 61 8, 3: 178
95: 108 15, 5: 133
15, 9: 57, 197
Atti Giov. Pro. 21, 3: 113-114, 164
25: 100, 122, 165
56: 54 Basilio di Cesarea
98: 54 Ep.
104-105: 54 27: 24
117: 54 197, 1: 24
122: 54 226, 1: 24
154: 54 239, 1: 24
158-159: 54 269, 1: 24
pp. 184-185 Zahn: 72
Can. Murat. 11-14: 59
Atti Paolo Tec. 25, 4: 155
Chron. alex. p. 21: 192
Atti Piet.
6: 157 Cipriano
32, 2-3: 74 Ep. 75, 10, 2-5: 59
39: 165 Mont. 5: 192

Atti Piet. Paolo 1 Clem.


14: 44 21, 3: 113
24: 44 34, 3: 163-164
34, 6: 165
Atti Pil. 34, 8: 165
2, 9: 197 36, 3: 43
16, 6-7: 190 46, 8: 100, 156, 158
46, 9: 158
Atti Tom. 59-61: 57
130: 153 59, 3: 43
136: 131 64, 1: 43
142: 131
146: 124 2 Clem.
147: 120, 131 3, 2: 10, 124, 126
4, 5: 107
Barn. 7, 1: 121
4, 3-4: 190 8, 3-6: 127
4, 11-13: 163 11, 6: 163, 165
4, 14: 163, 210 11, 6-7: 182
5, 8-9: 210 11, 7: 165
5, 9: 178 12, 1-6: 165
7, 8-10: 118, 177 13, 2: 165
268 Indice delle fonti citate

13, 2-4: 165 57, 3-20: 64


13, 4: 165 57, 17-21: 50
14, 1-3: 171 59, 17 – 60, 8: 63
14, 2: 163 61, 22 – 62, 1: 60
17, 3: 57, 95
19, 3: 122 Col
1, 3: 105
Clemente d‘Alessandria 1, 13: 183
Ecl. 2, 1: 190 2, 5: 24
Exc. 2, 18: 62
3, 1: 65 3, 16: 58, 63
82: 82 4, 16: 58
Paed. 2, 43, 1-3: 63
Protr. 10, 94, 4: 165 Commodiano
Quis div. Carm. apol.
40: 165 833: 192
42: 53 834: 196
Strom. 826-846: 206
1, 7, 38, 8: 158 834-864: 206
2, 9, 45, 5: 131 839: 192
3, 13, 92, 2: 131 847-856: 206
3, 18, 107, 2: 157 850: 192
4, 17, 105, 1: 158 857-864: 207
5, 12, 80, 1: 158 861-863: 197
5, 14, 96, 3: 131
6, 4, 36, 1: 72 Const. ap.
6, 6, 48, 1: 135 2, 53, 1-3: 165
7, 32, 5: 165
CMC
2, 2-11: 35 1 Cor
3, 2-14: 35 1, 10: 148-149
4, 2-13: 35 2: 121
10, 21 – 11, 23: 35 2, 8: 189
13, 2-15: 35 2, 9: 121, 165
14, 4 – 16, 23: 35 5, 3: 24
17, 23 – 26, 5: 35 6, 14-17: 163
50, 12-18: 63 6, 17: 50
51, 1-20: 47 7, 8-40: 101
51, 23: 47 7, 29: 113
53, 1-10: 64 7, 34: 43
56, 12-20: 63 9, 1-6: 79
55, 14-21: 66 9, 10: 53
55, 16-18: 66 9, 24-25: 121
57, 3-16: 64 10, 11: 53
Indice delle fonti citate 269

11, 2-10: 79 16, 2: 57


11, 9: 53 16, 20: 58
11, 10: 62 16, 22: 57
11, 18: 44
11, 18-19: 148 2 Cor
11, 19-20: 57 1, 3: 105
11, 20: 44 3, 17: 50
11, 23: 82, 95 5, 13: 60
11, 23-26: 57 5, 17: 50
11, 23-30: 82 7, 1: 43
12, 4-10: 213 10, 10-11: 24
12, 7: 50 11, 2: 163
12, 13: 50 11, 31: 105
12, 21: 78 12: 60
13, 2: 58, 79, 99 12, 1-4: 36
14, 1-6: 58 12, 1-7: 55, 60
14, 2: 43, 50, 60 12, 1-13: 79
14, 3: 55, 100 12, 2: 49, 189
14, 6: 58, 60 12, 2-4: 49
14, 13-15: 57 12, 2-5: 60
14, 13-16. 58 12, 3: 49
14, 13-19: 213 12, 3-4: 99
14, 14-16: 43, 50 12, 4: 189
14, 15: 57 12, 7: 36
14, 23: 44 13, 12: 58
14, 23-25: 62
14, 24-25: 61 3 Cor 3, 4-5: 95
14, 26: 44, 58, 60
14, 28: 60 Dial. Salv.
14, 29-31: 55, 58, 60 139, 20 – 140, 9: 165
14, 31: 55, 100 141, 3-6: 171
14, 32: 43, 50, 213
14, 39: 79 Did.
15, 1: 95, 138 1, 2: 127
15, 3: 95 4, 1: 173
15, 4: 196 8, 2: 107
15, 8: 36 9 – 10: 59
15, 15: 196 9 – 10, 1: 57
15, 28: 131 9, 1 – 10, 3: 82
15, 44: 49 9, 3: 82
15, 45: 49 9, 4: 140-142
15, 50: 49 10, 1-3. 82
15, 51-52: 50, 99 10, 2-3: 82
15, 54-55: 55 10, 2-6: 142
270 Indice delle fonti citate

10, 3: 82 11, 32: 200


10, 5-6: 140 11, 32-33: 215
10, 6: 142 11, 32-38: 190
10, 7: 59 11, 37: 200
11: 181 11, 37-38: 200
13, 1: 181 11, 38: 200
14, 1: 57 12, 1-4: 121
16: 138, 146, 148 12, 2: 131
16, 1: 122 12, 9: 43
16, 3: 148
16, 4: 146 Ef
16, 5: 147 1, 3: 105
16, 8: 115 1, 17-18: 45
1, 17-19: 58
Did. syr. 4, 26: 165
2, 53: 165 4, 30: 165
6, 5, 23: 148-149 5, 18-19: 63
5, 18-20: 58
Didimo il cieco 5, 25-33: 163
Trin. 3, 22: 123, 148-149 6, 17: 184

Disc. 8-9 Ep. Apos. 18: 57


55, 24 – 58, 22: 214
60, 27-32: 214 Epifanio di Salamina,
Anch. 21, 2: 123
Eb Pan.
1, 3: 131, 183 2, 1, 63: 53
1, 7: 43 30, 12, 3: 178
2, 18: 189 40, 7, 2: 196-197
4, 12: 184 40, 7, 6: 197
4, 15. 189 42, 11, 6: 125
5, 7-10: 189, 202 42, 11, 15 scovlion l: 125
6, 1-2: 115 48, 2, 4: 92
7, 3: 190 48, 2, 5: 181
7, 26-28: 202 48, 4, 1: 214
7, 37-38: 159 48, 5, 1-6: 73
8, 1: 131 48, 5, 1-8: 73
10, 12: 131 48, 5, 7-8: 73
10, 22-23: 202 48, 7, 7: 181
10, 22-24: 62 48, 12, 4: 65
11, 4-7: 190 48, 13, 1: 65
11, 5: 190 49, 1, 2-3: 73
11, 6: 115 49, 1, 3: 101
11, 11: 184 49, 2, 3-4: 61
Indice delle fonti citate 271

49, 2, 4: 68 11, 9-10: 168, 171, 213


69, 44: 123-124, 128 12, 3, 2: 70
Sim.
Erma 5, 1, 1: 71
Vis. 5, 2: 100
1, 4, 3: 90 5, 3, 7: 71
2, 1, 1: 35 5, 3, 9: 111, 151
2, 1, 3: 77 5, 6, 4: 105
2, 2, 1: 35 5, 6, 4-7: 171, 213
2, 2, 1 – 2, 4, 3: 70 6, 1, 1-2: 66
2, 2, 6: 90 6, 1, 1-5: 71
2, 2, 8: 100, 125 6, 1-5: 71
2, 3, 1-3: 35 9, 1, 1: 171, 213
2, 4, 2-3: 77, 90 9, 1, 1-3: 90, 171
3, 1, 1 – 3, 2, 4: 35 9, 1, 1-4: 71
3, 1, 1-5: 55 9, 1-3: 168
3, 1, 5: 90 9, 14, 3: 90
3, 1, 5-6: 56 9, 20, 2: 100
3, 1, 8 – 3, 2, 4: 56 9, 29, 1. 100
3, 1, 8-9: 90 9, 29, 3: 100
3, 2, 4: 90 9, 33, 1: 71
3, 8, 11: 70 10, 1, 1: 71, 90
3, 9, 2: 56 10, 2, 2-4: 35, 90
3, 9, 4: 44, 56 10, 4, 1: 35, 90
3, 10, 6: 90 10, 4, 5: 90
4, 1, 3: 90
4, 1, 7: 90 5 Esd. 2, 18: 191
4, 3: 70
4, 2, 6: 100 Eusebio di Cesarea
4, 3, 6: 70 H.E.
5, 1-2: 70 2, 23, 8: 109
5, 5-7: 70 2, 23, 12: 109
5, 1, 5-7: 112 3, 18, 1: 53
5, 1, 7: 112 3, 20, 9: 53
5, 2: 171, 213 3, 23, 1: 53
Mand. 3, 39, 15: 95
2, 4-6: 100 4, 22, 2: 44
4, 1, 1: 100 5, 16, 4: 44
4, 1, 6: 100 5, 16, 7: 44
9, 8: 100 5, 16, 7-9: 55
10, 2, 2-6: 100 5, 16, 14: 74
10, 2, 5: 165 5, 16, 17: 65
10, 3, 2: 100 5, 17, 3-4: 92
11, 9: 57, 59 Marc. 1, 2, 26: 108
272 Indice delle fonti citate

Praep. ev. Girolamo


5, 8, 10: 64 Comm. Isa. 4, 13: 193
9, 29, 6: 29 Comm. Ezech. 6, 18, 7: 165
Vir. ill. 10: 53
Evagrio
Vit. Ant. 15: 165 Giustino
Dial.
Fil 8, 4: 192
2, 8-9: 194 14, 6: 159
2, 15: 193 14, 8: 116, 177
3, 15: 58 31, 13: 118
3, 21: 50, 183 32, 10-14: 118
4, 5: 113 35, 3: 148-149
4, 9: 95 36, 5: 197
47, 5: 165
Frr. manichei del Turfan M 789: 165 49, 1: 192
49, 3-8: 202
Gal 51, 2: 114
1, 8-9: 95, 138, 180 64, 51-53: 118
1, 12: 95 69, 6: 171
1, 15-16: 36 110, 1. 192
1, 16: 138 114, 4: 170-171
1, 23: 180 125, 4: 189
2, 2: 36
2, 9: 79 Gregorio di Nazianzo
3, 23-25: 180 Ep.
87, 1-2: 24
Gc 93, 1-2: 24
1, 12: 119, 121, 165, 185 Or. 4, 55: 63
1, 22: 112
1, 22-25: 112 Gv
1, 25: 112 1, 1-2: 215
2, 5: 121, 165 1, 2: 44
5, 8: 113 1, 7: 125
5, 16-18: 160, 190, 215 1, 14: 215
5, 17: 111, 196 1, 20-21: 191, 194
1, 21: 194
Gd 1, 25: 107, 191-192, 194
8: 63 1, 29: 216
12: 57, 63 1, 32-33: 22
14: 190 1, 32-34: 166
1, 45-49: 194
Giovanni Climaco 1, 50-51: 22
Scal. Parad. 7, 16: 165 2, 11: 125
Indice delle fonti citate 273

2, 22: 23, 169, 196 8, 51-52: 106-107


3, 11-13: 21-22 8, 52: 105
3, 11: 166 8, 55: 95, 107
3, 32: 166 9, 5: 109
3, 29: 12 10, 7: 107
4, 10: 170 10, 9: 107
4, 13-14: 170 10, 11: 107
4, 19: 194 10, 14: 18
4, 19-25: 192 10, 18: 104
4, 25: 194 10, 19-20: 18
4, 29: 194 10, 33-36: 18
4, 39: 194 11, 42: 53
4, 44: 169 11, 49-51: 190
5, 19: 21 12, 3: 181
5, 20: 166 12, 6: 169
5, 22: 166 12, 9: 53
5, 26-27: 105 12, 13: 110
5, 33: 166 12, 22 v.l.: 78
5, 36: 166 12, 25: 12, 126, 153-154
6, 5-6: 23 12, 26: 154
6, 14-15: 194 12, 27-30: 21, 22
6, 35: 107 12, 28-29: 79
6, 41: 107 12, 30: 53
6, 48: 107, 170 12, 31: 189
6, 51: 170 12, 33: 169
6, 63: 65 12, 37-41: 22
6, 64: 23 12, 46: 109
6, 70: 178 12, 47: 106, 112
6, 70-71: 189 13, 2: 189
7, 25-27: 192 13, 11: 169
7, 33-37: 201 13, 21: 169
7, 37: 170 13, 27. 189
7, 37-38: 169, 171 13, 36: 154
7, 38: 170-171 14 – 17: 103
7, 38-40: 23 14, 3: 103
7, 39: 169-170 14, 6: 107
7, 40-42: 194 14, 10: 189
8, 12: 107, 109 14, 15: 104, 107
8, 26: 21 14, 15-21: 104
8, 28: 95 14, 16-17: 167
8, 37-47: 189 14, 18: 103
8, 38: 21 14, 21: 107
8, 40: 21 14, 21-24: 106
8, 51: 95, 105 14, 23: 95
274 Indice delle fonti citate

14, 23-24: 106 21, 7: 124


14, 25: 22 21, 19: 169
14, 25-26: 22 21, 22: 103-104
14, 26: 167, 169 21, 23: 103-104
14, 28. 103
14, 30: 110 1 Gv
15, 1: 108 1, 27: 95
15, 5: 108 2, 1-2: 216
15, 3: 65 2, 3-4: 107
15, 10: 107 3, 5: 216
15, 15: 21 3, 7-8: 216
15, 20: 22, 95, 106 3, 22-24: 107
15, 26: 167-168 5, 3: 107
15, 26-27: 22, 166 5, 4-5: 185
16, 4: 95 5, 18: 107
16, 7: 167
16, 7-15: 167 2 Gv 12: 72
16, 8-11: 22
16, 11: 110, 189 3 Gv 13: 72
16, 12-15: 22
16, 12-22: 104 Ignazio di Antiochia
16, 13: 167 Eph.
16, 13-15: 166 3, 1: 138
16, 20-22: 110 10, 1: 138
16, 31-33: 110 13, 1: 57
16, 33: 109-110 16, 2: 180
17, 1-2: 105 19: 189
17, 6: 106 20, 2: 57
17, 6-8: 95, 107 Magn. 9, 1: 57
17, 8: 95 Phld. 9, 1: 108-109
17, 11-12: 106-107, 112 Pol. 4, 2: 57
17, 15: 107 Rom.
18, 37: 166 3, 1: 138
19, 3: 43 5, 1: 138
19, 20: 12 Smyr.
19, 33-37: 177 7, 1: 57
19, 35-37: 23 8, 2: 57
19, 37: 117
20, 9: 196 Ippolito
20, 17: 104-105 Antichr.
20, 19: 59, 65 43: 190, 203
20, 19-23: 22 46-47: 203
20, 21: 65 Comm. Dan.
20, 22: 50 4, 18, 1-3: 218
Indice delle fonti citate 275

4, 19: 218 Mort. 2, 8: 207


4, 35: 192, 203
4, 50: 203 Lc
Fr. Gen. 49, 16-17: 189 1, 2: 95
Gai. 6: 203 1, 4: 95
1, 5-17: 191
Ireneo di Lione 1, 8: 195
Haer. 1, 12: 201
1, 13, 2: 65 1, 16-17: 192
1, 13, 2-5: 59 1, 17: 192
1, 13, 3-6: 55 1, 19: 138
1, 13, 4: 63 1, 26: 168
1, 14, 1-3: 86 1, 31-32: 125
1, 14, 2 – 1, 15, 3: 55 1, 35: 168
1, 24, 1: 64 1, 76: 201
4, 28, 3: 159 1, 80: 200
5, 5, 1: 192, 203 2, 9-13: 66
5, 14, 1: 159 2, 10: 138
5, 28, 3: 100 3, 2: 200
5, 30, 1: 53 3, 18: 138
5, 30, 3: 53 3, 19: 200
5, 34, 2: 128 4, 1: 46
4, 2: 46
Isidoro di Siviglia 4, 5-12: 46
Ob. patr. 35, 3: 207 4, 13: 46, 189, 210
4, 13-15: 46
Lattanzio 4, 24-27: 201
Epit. 4, 25: 111, 196
37, 8: 207 6, 13: 178
66, 7: 207 6, 20: 121
71: 133 6, 29-30: 79
Inst. 6, 31: 127
4, 21, 1-2: 135, 149 6, 47: 112
4, 21, 2: 135 6, 47-49: 112
4, 21, 2-5: 134 7, 11-17: 201
4, 30, 2: 148-149 7, 26-27: 201
4, 30, 5: 148-149 8, 8: 12, 118
7, 16, 8-9: 133 8, 18: 95
7, 17, 1-2: 207 8, 21: 112
7, 17, 3: 207 8, 55: 43
7, 17, 4-11: 207 9, 7-9: 201
7, 17, 1-4: 197 9, 8: 201
7, 19, 1-8: 207 9, 9: 201
7, 19, 7: 192 9, 19: 201
276 Indice delle fonti citate

9, 24: 153-154 14, 24: 160, 162-163


9, 26: 117 14, 35: 118
9, 30-31: 201, 204 16, 10-12: 127
9, 51: 201 17, 2: 156, 158
9, 52-56: 201 17, 7-8: 128
9, 54: 87, 220 17, 23: 148
9, 54 v.l.: 201 17, 26-36: 124
9, 57: 12, 154-155 17, 33: 127, 153-154
9, 57-62: 201 19, 13: 103
10, 9: 114 19, 14-27: 103
10, 10: 95 19, 43-44: 135
10, 11: 114 20, 35: 132
10, 18: 21 21: 133, 135, 145
10, 23-24: 121, 165 21, 8: 113-114, 148
11, 14-26: 110 21, 9-10: 142
11, 20: 114 21, 9-13: 150
11, 22: 109 21, 11: 133, 143-144, 150
11, 28: 111-112, 151 21, 12-13: 143
11, 49: 215 21, 12-15: 145
11, 49-50: 158 21, 13: 145
11, 50: 159 21, 15: 168
12, 8: 124 21, 16-17: 143, 150
12, 8-9: 117, 126 21, 19: 122
12, 9: 100, 106, 126 21, 21: 135
12, 11-12: 168 21, 24: 12, 111, 134-135, 151
12, 21 v.l.: 118 21, 25: 133, 150
12, 32-33: 201 21, 25-26: 144, 150
12, 36-37: 100, 127 21, 26: 132
12, 36-38: 151 21, 27: 117, 141
12, 37: 123-124 21, 30: 113-114
12, 37-39: 12 21, 34-36: 132, 145
12, 39-40: 122 21, 35: 132
13, 6-8: 201 21, 35-36: 150
13, 6-9: 196 21, 36: 12, 132
13, 7-8. 196 22, 3: 189, 210
13, 29: 128 22, 27: 128
13, 31-33: 196 22, 28: 189
13, 32-33: 196, 201-202 22, 28-30: 122, 129, 151
13, 33: 196 22, 29: 130-131
13, 34-35: 211 22, 30: 128, 131, 178
14, 15-16: 160 22, 31-53: 189
14, 15-24: 161 22, 69: 131
14, 16: 162 23, 10: 196
14, 16-17: 12 23, 30: 12, 132-133
Indice delle fonti citate 277

24, 3-6: 202 4, 30. 95


24, 6-7: 196 5, 16: 95
24, 19: 215 5, 22-24: 201
24, 19-21: 194 5, 35-43: 79, 201
24, 23: 202 6, 4: 169
24, 46-47: 137 6, 12: 115
24, 47 D: 138 6, 14-16: 201
24, 48-49: 166, 168 6, 16: 201
24, 49: 168, 202 6, 21-29: 201
24, 51: 197, 201 7, 3-4: 95
7, 8: 95
Lib. grad. 7, 9 v.l.: 95
3, 3: 120, 165 7, 16: 119
3, 5: 155 7, 16 v.l.: 118
7, 1: 127 8, 27-30: 201
9, 12: 167 8, 28: 192
15, 4: 165 8, 31: 196
15, 16: 127 8, 32-33: 189
25, 4: 155 8, 34: 155
30, 26: 155 8, 35: 127, 153-154
9, 1-13: 79
Mart. Piet. 10: 165 9, 2-8: 21
9, 4: 192
Mart. Pol. 5: 44 9, 11-13: 202
9, 12: 201
Mc 9, 12-13: 192
1, 2: 201 9, 33: 44
1, 2-4: 200 9, 39-40: 65
1, 6: 200 9, 42: 156
1, 9-13: 21 10, 23-31: 100
1, 12: 46 10, 35-45: 79
1, 12-13: 189 12, 26: 95
1, 13: 46 13: 133, 152
1, 14: 46 13, 3-7: 79
1, 14-15: 114-115 13, 5-6: 151
1, 15: 114 13, 6: 148
1, 16-20: 201 13, 7-8: 142
2, 12: 95 13, 7-12: 150
2, 18-20: 12 13, 8: 143-144
2, 27: 53 13, 9: 168
4, 9: 12, 118 13, 10: 12, 136, 138, 151
4, 23: 12, 118-119 13, 11: 168
4, 24: 95 13, 12-13: 143
4, 29: 140, 142 13, 13: 122
278 Indice delle fonti citate

13, 14-15: 12 Mt
13, 14-23: 135 1, 21: 125
13, 18: 124 1, 23: 125
13, 21: 192 1, 25: 125
13, 21-22: 148, 151 2, 16-21: 188
13, 22: 149 3, 1: 200
13, 24-25: 133, 144, 150 3, 4: 200
13, 26: 117, 141, 150 3, 22-27: 189
13, 26-27: 139 4, 1: 46
13, 27: 141, 151 4, 2: 46
13, 29: 113 4, 3-10: 46
14, 3: 181 4, 7: 78
14, 18: 169 4, 11: 46
14, 21: 100 4, 12: 46
14, 32-42: 79 4, 17: 114-115
14, 62: 131 4, 18-22: 203
15, 34: 105 5, 3: 121
16, 6: 196 5, 34-35: 80
16, 15: 137 5, 42: 79
16, 15-16: 138 6, 10: 100
6, 13: 107
Melch. 6, 14: 201
6, 24: 190 7, 12: 95, 126
14, 9 – 15, 5: 190 7, 21-27: 112
26, 4-9: 185 7, 24: 112
27, 1-10: 190 8, 19: 12, 154-155
8, 19-22: 201
Melitone di Sardi 9, 33: 95
Pasch. 10, 7: 114
330: 197 10, 18-20: 168
711-712: 196 10, 22: 122
724-725: 196 10, 32: 124
730: 197 10, 32-33: 126
744-750: 196 10, 33: 106, 126
745: 197 10, 39: 153-154
751-752: 197 11, 9-10: 201
753-759: 196 11, 14: 201
765-766: 197 11, 15: 118
766: 197 11, 25-27: 21
784: 197 11, 28: 171
808: 197 12, 29: 114
12, 33: 100
Metodio di Olimpo 13, 9: 12, 118
Symp. 5, 2: 128 13, 16-17: 121, 165
Indice delle fonti citate 279

13, 17: 215 24, 10-11: 151


13, 24-30: 12 24, 10-13: 148
13, 30: 140 24, 11: 149
13, 35: 159 24, 11a: 146
13, 38: 142 24, 11b: 146
13, 39-41: 141 24, 13: 147
13, 41: 140 24, 14: 12, 136, 142, 151
13, 43: 118 24, 15-28: 135
14, 2: 201 24, 18: 124
14, 5: 201 24, 23-26: 148
14, 6-12: 201 24, 24: 149, 151
16, 14: 189-192 24, 24a: 146
16, 25: 127, 153-154 24, 24a-b: 146
16, 27: 152, 163-164 24, 24c: 146
17, 10-13: 201-202 24, 29: 12, 133, 144
18, 6: 156 24, 30: 12, 115-118, 150
18, 7: 149 24, 30-31: 99, 139
19, 17: 107, 112 24, 31: 139, 141, 151
19, 20: 112 24, 33: 113
19, 28: 117, 129, 131, 151, 154-155, 24, 37-41: 124
178, 183 24, 42-44: 122
20, 14: 163 25, 31: 117, 131
21, 23-27: 201 26, 24: 100
21, 34: 113-114 26, 52: 111
22, 1-14: 161-162 26, 64: 131
22, 2-3: 160 26, 68: 194
22, 4: 160 27, 46: 105
22, 6-7: 162 27, 47-49: 204
22, 11-12: 162 27, 50: 43
22, 14: 162 27, 51: 197
22, 28: 106 27, 51-54: 201
23, 22: 80 28, 2: 197
23, 23: 79 28, 6-7: 196
23, 29: 160, 215 28, 19-20: 95, 138
23, 32: 159
23, 34-35: 158, 215 Nonno di Panopoli
23, 37: 159 Paraphr. Jo.
24: 117, 133, 138, 146 1, 47: 181
24, 5: 148, 151 1, 59: 181
24, 6: 192 1, 83-84: 181
24, 6-7: 142 1, 126: 18
24, 7: 143-144
24, 9: 143 Od. Sal.
24, 10: 147 6, 1-7: 43, 213
280 Indice delle fonti citate

6, 13: 59 Princ.
7, 17: 59 1, 3, 4: 168
7, 18: 59 4, 4, 8: 190
7, 50: 99
8, 3-4: 59 Paolo Orosio
11, 11-23: 36, 47 Hist. 7, 10, 5: 53
14, 7-8: 59
18, 1-3: 36, 47 Parafr. Sem 32, 5-12: 193
18, 2-4: 47
18, 6: 47 Pass. Perp. 17, 1: 63
18, 7: 99
21, 1-7: 36 Pist. Soph.
26, 12: 59 1, 45: 131
27, 1-3: 59 2, 95, 3: 171
30, 2: 170 2, 96: 131
35, 7: 36, 47, 59, 213 2, 99: 131
36, 1-6: 36, 47, 213
37, 1: 59 Policarpo
37, 1-2: 57, 59 Phil.
38, 1-2: 36, 47, 213 2, 3: 95
40, 3-4: 213 3, 2: 44

Origene Pr. Paolo A 25-29: 165


Cels.
1, 6: 65 Pred. Piet.
1, 25: 65, 219 fr. 2a: 139
2, 72: 45 fr. 6: 139
5, 45: 219 fr. 7: 135-136
6, 72: 45
7, 44: 59 Ps.-Atanasio
Comm. Jo. Quaest. Ant. 36: 165
2, 189-190: 43, 109
6, 83-85: 191 Ps.-Clemente
13, 403: 191 Cont. 1, 2 – 4, 3: 81, 85
28, 24-25: 59 Ep. Clem. 19-20: 27
Comm. Matt. 11, 14: 82-83 Hom.
Hom. Num. 25, 1: 157 2, 6, 1: 182
Hom. Matt. 2, 10, 1: 182
7, 51: 53 2, 17, 4-5: 134-135, 137, 149, 182
16, 6: 53 2, 17, 5: 137
Hom. Luc. 23, 177-178: 62 2, 32, 2: 220
Or. 2, 34, 1: 220
31, 2: 59 3, 12, 3 – 3, 13, 1: 182
31, 5: 62 3, 13, 3: 63
Indice delle fonti citate 281

3, 15, 1 – 3, 16, 1: 182 Ps.-Metodio


3, 15, 2: 135 Comm. Apoc. 6: 204
3, 20, 1: 193
3, 33: 43 1 Pt
3, 52, 2: 108-109 1, 3: 105
3, 52, 3: 173 1, 25: 138
3, 55: 107 4, 7: 113
8, 12: 43 5, 4: 120
8, 22, 3 – 8, 23, 1: 161 5, 14: 58
11, 14, 1: 63
11, 19, 1-2: 173, 184 2 Pt
11, 35, 3-6: 182 2, 1: 63
16, 21, 4: 148-150 2, 10: 63
Rec. 2, 13: 57, 63
1, 23, 5-7: 27 2, 18: 63
1, 52, 4-5: 192 3, 10: 123
4, 13: 63
4, 30: 63 Rm
5, 30-31: 63 2, 13: 112
2, 26: 112
Ps.-Epifanio di Salamina 3, 3-7: 181
Test. 4, 23-24: 53
45. 2: 118 5, 14-15: 49
96. 3: 118 6, 3-5: 50
99: 118 6, 4: 196
100, 1: 116, 118 6, 9: 196
101: 118 7, 1-4: 163
7, 24: 183
Ps.-Ippolito 10, 7: 39
Haer. 10, 13-14: 126
4, 35, 3-36, 1: 63 11, 25-27: 55, 99
5, 7, 6: 64 12, 6: 58
5, 8, 12: 179 13, 11-12: 113-114
5, 8, 21: 108 14, 6-8: 58
6, 16, 1: 119 14, 9: 196
6, 15, 3: 88 15, 4: 53
9, 13, 1-3: 168 15, 6: 105
9, 14, 1: 193 15, 8-9: 181
9, 15, 2: 81 16, 16: 58
9, 15, 5-6: 81
Sal. Man.
Ps.-Macario 159, 15-16: 153
Hom. 27, 20: 100, 122, 165 273, 10-11: 153
282 Indice delle fonti citate

Soph. Ges. Cristo 5, 22: 58


97, 16 – 99, 12: 119 6, 13: 166

T. Dom. 1, 28: 165 2 Tm


1, 17: 44
T. Dom. Gal. 11: 164 2, 11: 181
2, 11-12: 100, 125-126, 130, 151
Tertulliano 2, 11-13: 182
An. 2, 13: 182
8, 4-5: 42 3, 1-9: 101
9, 4: 60, 73 3, 16: 58
35, 6: 207 4, 2: 58
50, 5: 192, 203-204, 207 4, 3-4: 101
Bapt. 20: 100, 122, 165 4, 7-8: 121, 185
Exh. cast. 10, 5: 64, 73 4, 8: 119, 121
Jejun. 11, 6: 92
Marc. Tom. Atl.
4, 22, 4-5: 73 140, 40 – 141, 2: 131
4, 28: 125 145, 13-16: 129, 151
4, 35, 1: 157
Mon. Trat. Set 50, 16-18: 193
3, 8-10: 92
14, 3-4: 92 1 Ts
Praescr. 1, 6: 100
4, 1-4: 149 1, 9-10: 115
36, 3: 53 2, 13: 95
Res. 2, 14-15: 100, 159
22, 3-4: 135 2, 16: 159
63, 7-10: 92 3, 3-4: 99-100
Virg. 1, 4-7: 92 3, 4: 95
4, 1: 95
1 Tm 4, 2: 95
1, 15: 130, 180-181 4, 9: 95
1, 18: 59 4, 13-18: 99
2, 1-2: 57 4, 17: 189, 197
2, 8: 57 4, 18: 100
3, 1: 181 5: 124
3, 16: 194 5, 1-2: 95
4, 1-3: 101, 180 5, 2: 123
4, 6: 180 5, 11: 58
4, 9: 181 5, 17-18: 57
4, 11-13: 58 5, 19-20: 213
4, 14: 58-59 5, 19-22. 55
5, 18: 130 5, 20: 58
Indice delle fonti citate 283

5, 23: 43, 213 Vang. Salv.


5, 26: 58 13, 10: 109
5, 27: 57 13, 14: 109
fr. 100, 33-51: 50
2 Ts fr. 113, 1-8: 50
1, 5: 132 fr. 113, 13-16: 50
2: 148 fr. 113, 24-26: 50
2, 2: 58
2, 3: 101 Vang. Tom.
2, 3-8: 204 1: 106-107
2, 8-12: 147 2: 121, 131
2, 10-12: 101 3: 39
2, 15: 58 6: 127
3, 1-3: 182 8: 121
3, 3: 182 8, 4: 118
3, 14: 58 12: 215
13, 5: 170
Tt 3, 8: 181 17: 121, 165
19: 106-107
Vang. Bart. 11-12: 190 21, 1-4: 124
21, 5-7: 123-124
Vang. Fil. 67, 31-34: 131 21, 9-10: 140, 142
21, 10: 118, 142
Vang. Giov. apocr. 30: 165 22: 131
24, 2: 118
Vang. Maria 28: 170-171
7, 8-9: 119 54: 121
8, 10-11: 119 57: 141
8, 15-21: 155 58: 100, 119, 122
8, 21-22: 137 63, 3: 118-119
9, 5-9: 137 64, 1: 161
64, 11-12: 161
Vang. Piet. 65, 8: 118-119
fr. 2r 1-15: 177 77: 108
9-10: 196 79: 111, 151
19: 22 90: 171
21: 197, 201 94: 121
23: 196 96, 3: 118-119
35: 57, 197 103: 123-124
39-40: 197 107: 121
41: 197 108: 131, 170-171
50: 57 109-111: 121
56: 196-197 111: 145
284 Indice delle fonti citate

Vang. Ver. b. „Abod. zar. 17a: 64


18, 21-22: 189
b. Ber
Vit. Syncl. 63: 165 17a: 63
34b: 64
Vittorino di Petovio 61b: 215
Comm. Apoc.
7: 207 b. Ḥul. 89a: 215
10, 1: 77
10, 3: 53, 77, 88 b. Sanh.
11, 3: 191-192 95b: 141
12, 3-4: 207 98b: 215
12, 4: 207
12, 6: 196, 207 2 Bar
12, 6-7: 207 6, 2-4: 66
20, 1: 207 10, 3: 55, 57
13, 3: 191
Zost. 4, 20 – 7, 22: 48 20, 6 – 21, 3.6 – 22, 1: 55
20, 6: 57
SCRITTI E AUTORI EBRAICI 21, 1-2: 57
22, 1: 57
Ab 2, 3: 104 30, 1: 191
40, 1: 192
Am 40, 1-2: 204
3, 7-8: 78 43, 2: 191
7, 15: 137 43, 3 – 47, 1-2 – 48, 1: 55
43, 3: 57
Apoc. Ab. 46, 7: 191
8 – 11: 78 48, 25-26: 55
9, 1-10: 55 48, 30: 191
12, 1-4: 55 64, 2: 160
70, 2-3: 140
Apoc. Mos. 76, 1-4: 191
31: 43 76, 3-4: 191
37: 189 85, 1: 160, 215
85, 3: 160, 215
As. Mos. 85, 12: 160, 215
8 – 10: 204
8: 204 3 Bar. passim: 189
9: 204
10, 1-7: 205 4 Bar.
10, 8-9: 191, 200, 205 3, 10: 200
11, 16-17: 173, 215 6, 19: 72
12, 6: 214 7, 18-20: 196
Indice delle fonti citate 285

9, 1-28: 60 9, 3: 195
9, 7-13: 196 9, 25: 190
9, 8: 190 9, 27: 135
10, 1: 181
Bel 8: 204 10, 4-21: 78
10, 5-6: 63
CD 10, 7-11: 64
4, 6: 195 10, 16-19: 64
5, 18: 191 10, 17-18: 64
6, 7-11: 190-191 10, 18-19: 65
7, 18-19: 195 11, 30: 204
12, 23: 195 12: 200
14, 19: 195 12, 1-2: 191
19, 10: 195 12, 1-3: 200
20, 1: 195 12, 3: 193
12, 7: 80, 135
CD-A 15, 1-2: 86 12, 9-13: 135
12, 12: 99-100
Dn
3, 13: 204 Dt
3, 19: 204 4, 1-2: 21
4, 8: 114 4, 2: 86
4, 19: 114 12, 32: 21
7: 141 13, 1: 86
7, 4-7: 150 17, 12: 195
7, 8: 150 18, 7: 195
7, 9: 130 18, 15: 181
7, 9-10: 63 18, 19: 181
7, 11: 150 18, 22: 181
7, 13: 104, 116-118 29, 19: 86
7, 13-14: 116, 130, 191 29, 19-20: 21
7, 14: 118 30, 12-13: 39
7, 15: 64 32, 39-41: 80
7, 20-21: 150
7, 22: 114, 130, 191 Dt Rab. 3, 17: 192
7, 23-27: 200
7, 24: 150 1 En.
7, 25: 135, 150 1, 9: 104
7, 27: 130 12, 1-2: 190, 197
8, 13: 135 12, 4: 190
8, 14: 135 13, 7-10: 66
8, 17-18: 64 13, 8: 192
8, 26: 181 13, 9-10: 66
9: 203 13, 10: 192
286 Indice delle fonti citate

14, 1: 192 69, 27: 117, 131


14, 3: 192 69, 29: 117, 131
14, 8: 197 70 – 71: 191
14, 8-9: 66 70, 1: 190
14, 9: 64 70, 1 – 71, 3; 46
14, 9-23: 67 71, 1-3: 47
14, 13-14: 64 71, 5-13: 67
15, 1: 190 71, 6: 131
15, 6-10: 43 71, 11-12: 47
22, 3-7: 43 71, 14-17: 191, 198
37 – 71: 185, 211 71, 15-16: 190
39, 3: 197 72, 1-9: 191
42, 1-2: 215 89, 51: 159
45, 3: 191 89, 52: 190, 198, 200
46: 200 89, 53: 159
46, 1: 215 90, 25-27: 204
46, 3: 185, 193, 215 90, 30-31: 198
48, 2-3: 185, 215 90, 31: 190, 192, 204
48, 2-4: 193 108, 12: 130
48, 2-6: 191
48, 6: 185, 215 2 En.
48, 10: 191 20, 1: 43
49, 1-2: 193 22, 8-10: 43
49, 3: 215 36, 1-2: 190
50, 2: 185 37: 43
51, 3: 191 64, 1: 197
51, 3-5: 198 64, 5: 216
52, 4-9: 191 67, 2-3: 190
53, 6-7: 198 71, 17-28: 193
54, 1-2: 140 71, 28-29: 190
55, 3-4: 140 72, 1-9: 190, 193
59, 2: 79
61, 5: 140 3 En.
61, 8: 117, 131, 191 2, 1: 43
61, 10: 191 6, 1-2: 43
62 – 63: 200 15: 43
62, 1-2: 191 35, 6: 43
62, 3-6: 200
62, 5: 117, 131 Es
62, 5-7: 191 3, 14: 108
62, 9-11: 140 13, 17: 114
63, 1: 141
63, 10: 141 Es Rab.
65, 4: 131 2, 6: 192
Indice delle fonti citate 287

3, 6: 104 14, 37-42: 70


14, 37-47: 57
1 Esd. 8, 74: 111 14, 38-41: 55
14, 43-44: 70
4 Esd.
2, 18: 192 Ez
4, 5: 64, 147 1, 1: 66
4, 28-29: 140 1, 4: 63
5, 14-15: 64 1, 28 – 2, 2: 64
5, 41-42: 99 2 – 3: 85
6, 25-26: 199, 204, 207 2, 1-2: 50
6, 26: 191-192, 199 2, 7-10: 89
7, 28-30: 191, 199, 204 2, 9 – 3, 3: 77, 86
7, 31-36: 199 3, 1-4: 89
7, 39-42: 133 3, 4: 88
7, 80-87: 186 3, 10: 88
7, 90-98: 186 5, 12: 145
7, 92: 186 5, 17: 145
7, 106-111: 190 7, 4 LXX: 114
7, 115: 186 7, 7 (4): 114
7, 116-126: 186 7, 12 LXX: 114
9, 24-26: 56 14, 21: 145
10, 22: 135 16, 8-14: 161
10, 29-37: 64 21, 7: 137
10, 55-57: 67 22, 2-3: 160
11, 37: 186 22, 6: 160
12, 1 – 13, 38: 207 22, 9: 160
12, 1: 186 22, 12: 160
12, 30-34: 199, 204 22, 27: 160
12, 31: 186 30, 3: 114
12, 31-32: 192 33, 27: 145
12, 32: 191 34, 2: 137
12, 51: 55-56 36, 1: 137
13, 22-42: 199, 204 36, 18: 160
13, 24: 99 37, 4: 137
13, 26: 191 37, 5: 196
13, 37: 192 37, 5-10: 64
13, 52: 191, 199, 204, 207 37, 9: 137
13, 56 – 14, 2: 55 37, 10: 44, 196
13, 56-57: 56 43, 3: 66
14, 9-15: 191 44, 15: 195
14, 18-25: 70
14, 23-24: 57 Filone d‘Alessandria
14, 23-26: 55 Agr. 109-120: 121
288 Indice delle fonti citate

Cher. 27: 70 2, 263-264: 19


Conf. 146: 215 2, 265: 213
Congr. 170: 173 2, 269: 181
Contempl. 83-88: 63 2, 280-281: 181
Decal. 2, 288: 182
18-19: 86 2, 288-292: 181, 190
32-35: 45 2, 291: 213
Ebr. 146, 2: 213 2, 292: 190
Fug. 137-139: 63 Mut.
Her. 137: 63
68-70: 213 259-260: 63
69-70: 48, 70 Opif. 70-71: 48, 70
249: 211 Plant. 117-119: 173
258-263: 213 Praem. 27: 121
259-260: 215 QG
260-261: 182 1, 85-86: 190
265: 213 1, 86: 190
Leg. QE 2, 39: 63
2, 108: 121 Sacr.
3, 43: 173 8: 190
3, 45: 202 65: 83
3, 203-204: 83 93: 83
3, 204: 83 121: 216
Migr. 128: 216
34-36: 69 Spec.
35: 70 1, 65: 213
133-136: 121 2, 44-45: 48
151: 173 3, 1-6: 48, 70
169: 70 3, 56-62: 81
190-192: 47 4, 48-50: 213
Mos. 4, 48-52: 181
1, 175: 213 Virt. 79: 171
1, 274: 168
1, 277: 168, 213 Flavio Giuseppe
1, 283: 213 A.J.
2, 34: 22 1, 85: 190
2, 34-38: 86 3, 270-273: 81
2, 175: 213 4, 108: 43, 168
2, 188: 19, 86 4, 326: 190, 197
2, 190: 213 7, 113: 189
2, 250: 213 8, 120: 107
2, 253: 181 9, 28: 188
2, 258: 213 9, 84: 53
2, 261-262: 181 9, 182: 210
Indice delle fonti citate 289

10, 38: 160, 215 23, 28: 181


10, 112-114: 181 28 (35), 8: 137
10, 238: 29 28 (35), 9: 181
10, 240: 29 50, 8: 111
12, 8: 84 51, 6: 111
13, 311-313: 27 51, 7: 111
15, 127-146: 27 51, 33: 140
15, 134: 180 51, 45: 111
17, 345-348: 27 51, 63-64: 157
18, 63: 210
18, 85: 192 Giub.
18, 116: 201 1, 12: 159, 190
18, 118-119: 201 4, 22-24: 190
18, 119: 201 4, 23: 190
18, 326: 80 4, 24: 192, 198
18, 328: 80 10, 17: 190, 192, 198
B.J. 30, 18: 195
1, 15: 27 31, 9-23: 195
1, 78-80: 27
1, 373-379: 27 Gius. Asen.
2, 111-113: 27 14 – 17: 78
4, 316-317: 204 14, 8: 108
6, 345: 180 14, 12-13: 57
C. Ap. 15, 12: 108
1, 37-38: 18 19, 3: 43
1, 37-42: 86 22, 8-9: 190
1, 41-42: 19 23, 8: 190
1, 42: 22 26, 7: 190
2, 121: 80
Vita 361b: 95 Gl
2, 10: 145
Gb 38, 16-17: 39 2, 11: 132
3, 4: 132, 145
Gdc 15, 19: 43 4, 13: 140-142

Ger Gn
3, 20: 161 1, 3: 44
4, 10: 111 1, 6: 44
12, 12: 111 1, 9: 44
14, 12: 145 2, 7: 50
15, 2: 111 5, 24: 189, 199
15, 16: 86 14, 19: 80
17, 10: 108-109 14, 22: 80
21, 7: 145 22, 16-17: 83
290 Indice delle fonti citate

45, 10: 114 66, 15: 104


66, 18: 103
Gn Rab.
2, 2: 63 Lam Rab. 1, 16: 192-193, 201
21, 13: 43
Lev Rab. 20, 10: 63
Hek. Zuṭ. § 424: 64
m. Sot.
Is 1, 1 – 3, 8: 82
1, 1: 35 2, 3 – 3, 4: 84
2, 4: 111
2, 10: 133 1 Macc.
2, 19: 133 2, 6-8: 195
2, 21: 133 2, 12-14: 195
3, 14: 104 2, 58: 190
4, 5: 104 3, 45: 135
6, 1: 35 3, 45-47: 195
13, 5: 100 4, 46: 181
13, 6: 114 4, 60: 135
13, 10: 145 7, 17: 204
20, 2: 200 9, 27: 181
24, 21-23: 100 14, 41: 181
34, 4:145
40, 10: 104, 164 2 Macc.
41, 4: 104, 109 2, 1-8: 191
42, 6: 193 7, 39: 204
43, 4: 107 15, 12-16: 191
43, 10: 109
44, 6: 109 3 Macc.
48, 12: 108-109 2, 11: 184
49, 6: 191-193 4, 11: 204
49, 18: 161 4, 20: 72
49, 23: 107 5, 24: 204
50, 1: 161
52 – 53: 200, 205 4 Macc.
53, 8-12: 200 6, 10: 121, 185
54, 1-6: 161 6, 33: 121, 185
55, 1: 170 7, 1-4: 121, 185
57, 1-2: 190 8, 2: 204
60, 14: 107 9, 10: 204
62, 5: 161 9, 22: 204
62, 11: 164 13, 17: 204
63, 18: 135 16, 25: 204
65, 16: 184 17, 2-6: 200
Indice delle fonti citate 291

17, 10-18: 121, 185 2, 247: 192


17, 14: 204 3, 1-35: 19
17, 16-17: 204 3, 1-7: 181, 213
17, 17-18: 204 3, 295-300: 213
3, 371: 99
Mek. Es 19, 2c: 171 3, 698-701: 181, 213
3, 809-815: 183
Mem. Marq. 3, 809-823: 19
1, 9: 192 3, 809-829: 181
2, 8: 181, 192 4, 46: 43
passim: 190 11, 315-321: 19, 183
11, 315-324: 181
Midr. Sal
8, 1, 73: 141 Os
43, 1: 191 2, 19-20: 161
10, 8: 133
Ml
3, 1: 104, 202 Pesiq. Rab.
3, 1-2: 197 9, 76a: 190
3, 2: 132 15, 10: 193
3, 22: 202 35: 196
3, 22-23: 192, 202
3, 23-24: 192, 199 Pesiq. Rab. Kah. 5, 8: 193

Na 1, 6: 132 Pirqe R. El. 47: 191

Nm Pr
1, 2: 125 3, 1: 106
1, 20: 125 3, 21: 106
3, 40: 125 8, 21-30: 211
3, 43: 125 8, 22-23: 215
5, 11-31: 81 9, 5: 170
5, 19-28: 84 14, 25: 181
16, 22: 43 24, 12: 164
19: 178
22, 4-14: 68 Ps.-Filone
27, 16: 43 L.A.B.
1, 16: 199
Nm Rab. 20, 10: 63 26, 13: 165
28, 6-7: 49
Or. sib. 48, 1: 190-194, 198, 200
2, 45-47: 154 51, 6-7: 190
2, 177-181: 128
2, 245: 190 1QH 20, 11-13: 43
292 Indice delle fonti citate

1QHa 4Q403
3, 21-22: 62 fr. 1 I, 43: 43
11, 7-13: 62 fr. 1 II, 8-9: 43

1QM 4Q405ShirShabbf
13, 10: 191 fr. 11: 67
17, 6-8: 191, 193 frr. 13-15: 67
fr. 20 II, 2, 21-22: 67
1QpHab fr. 23 I, 8-9: 43
2, 2-9: 190 fr. 23 II, 7-10: 67
7, 3-5: 173, 190
9 – 12: 160 4Q460 fr. 5 I, 5: 105

1Q27fr. 1 i, 8: 181 4Q491 fr. 2 I, 8-18: 130

1QS 4Q521
3, 30: 191 fr. 2 II, 7: 130
4, 1-7: 193 fr. 2 III, 1-2: 192
8, 1-3: 216
9, 9-11: 190 4Q558: 192
9, 10-11: 191
9, 11: 195 4QpGena: 186

1QSb 4QpIsaa: 186


3, 25-26: 62, 195
4, 24-26: 62, 195 4QpPsa 3, 15: 190
5, 26-29: 186
4QpsJubc fr. 2, 3: 192
4Q174, 7: 195
4QTest 21-30: 195
4Q175 21-30: 160
4QWiles of the Wicked Woman 1, 7:
4Q227: 198 193

4Q286Bera fr. 1: 67 11QMelch 2, 6: 216

4Q372apocrJosephb fr. 1, 16: 105 11QPsa


27, 2-4: 193
4Q379 2, 7-14: 160 27, 11: 193

4Q400ShirShabba 11QT 44, 1-16: 135


fr. 1 I, 3-4: 195
fr. 2, 2-7: 62 Qo Rab. 1, 8: 192
Indice delle fonti citate 293

1 Re 17, 44: 191


17, 1: 202 18, 6-8: 191
18, 1: 196 18, 7-8: 192, 199
18, 12: 46
18, 36-37: 199 1 Sam
18, 38: 220 3, 1: 192
18, 42: 64 3, 20: 181
18, 45-46: 46 3, 20-21: 192
19, 2: 200 7, 14: 105
19, 10: 200 15, 11: 106
19, 14: 200
Sap
2 Re 1 – 6: 205
1, 8: 200 1, 12: 199
1, 10: 220 1, 14: 44
2, 8: 200 1, 15: 199
2, 11: 190, 192, 202 2: 200
2, 16: 46 2, 12-13: 215
2, 17: 199 2, 12-17: 199
8, 7-15: 68 2, 12-20: 199
11 – 12: 200 2, 17: 215
16 – 18: 200 2, 22-24: 199
3, 1-4: 199
Sal 3, 7-8: 200
2, 8-9 LXX: 188 4 – 5: 200
17, 14 LXX: 197 4, 1: 199
18, 8-9 LXX: 180 4, 1-3: 185
19 (18), 8: 181 4, 2: 121
32, 9 LXX: 44 4, 6-7: 185
61, 13 LXX: 164 4, 7: 199
92, 5 LXX: 180 4, 10: 189
103, 4 LXX: 43 4, 10 – 5, 2: 197
111 (110), 7: 181 4, 10 – 5, 16: 199
4, 10-13: 202
Sal. Sal 4, 11: 189, 195
2, 2: 135 4, 14: 199-200
2, 19-21: 195 4, 16: 199
17, 21-24: 188 4, 16-23: 200
17, 22: 135 4, 17: 199, 215
17, 23-24: 192 4, 17-18: 200
17, 25-29: 199 4, 19: 200
17, 29: 192 4, 20: 192, 199
17, 35: 192 5, 1-3: 200
17, 35-36: 199 5, 2: 199
294 Indice delle fonti citate

7, 22: 193 T. Ab.


7, 25-28: 193 8, 1 (rec. B): 49
7, 27: 215 8, 1-6 (rec. B): 45
7, 27-28: 199 9, 1-3 [L]: 64
7, 28: 215 12, 3-4 (rec. A.): 72
9, 1-2: 215 16 (rec. A): 109
9, 4: 211 18, 11 (rec. A): 196
9, 9: 215
9, 9-11: 171 T. Ash. 7, 2-3: 104
9, 10: 211
9, 17-18: 171 T. Ben.
18, 15-16: 171, 184 4, 1: 121
9, 1: 190
Šem. „Eśr. 15: 186 9, 1-2: 194
11, 2: 194
Sir
24, 3: 215 T. Dan
24, 3-4: 215 5, 1: 107
24, 3-17: 171 5, 6: 190
24, 8-10: 215 5, 10-13: 195
24, 18: 108 5, 11: 192
24, 19-21: 170
29, 1: 107 T. Gad 8, 1: 195
35, 22: 165
44, 16: 189 T. Giob.
45, 6-26: 195 4, 6: 121, 185
46, 13-20: 190 4, 9-10: 121, 185
46, 15: 29, 181 18: 204
47, 11: 195 33, 1-9: 130
48, 1: 87 39, 8 – 40, 3: 204
48, 3-7: 87 39, 8-12: 200
48, 13-14: 210 40, 1-4: 200
48, 9: 190, 193 40, 3: 200
48, 10: 192, 199
48, 11: 191 T. Giud.
48, 12: 190, 193 14: 104
48, 22: 29, 181 18, 1: 190
48, 24-25: 29, 181
49, 14: 190, 197 T. Gius. 19, 11-12: 195
51, 23: 169
T. Levi
Sof 2, 10: 190, 195
1, 14: 132 2, 11: 195
2, 2: 132 5, 4: 190
Indice delle fonti citate 295

8, 2: 190 Nm 25, 12: 191


8, 11-15: 195 Dt 30, 4: 191
8, 14-15: 190, 194 Dt 33, 11: 191
14, 3: 193
16, 2: 181 Vit. Pro.
18, 1-7: 194 1, 1: 201
18, 1-9: 194 2, 1: 201
2, 11-19: 191
T. Mos. 10, 5-6: 133 3, 2: 192, 200-201
3, 14: 189
T. Nef. 8, 2-3: 195 6, 2: 192, 200
7, 2: 201
T. Sal. 17, 2: 192
6, 8: 65 17, 3: 200
11, 6: 65 21, 11: 192, 200
22, 20: 65 23, 1: 201
33: 87
Tg. Cant: 161
y. Ber. 2, 5a: 192-193, 201
Tg. fram.:
Gn 5, 24: 197 y. Ta„an. 66d: 85
Es 3, 14: 104
Dt 33, 21: 192 Zc
1, 8-11: 145
Tg. Isa 55, 1: 170-171 2, 14: 103
3, 1: 195
Tg. Lam 4, 22: 191 4, 11-14: 195, 197
6, 1-3: 145
Tg. Neb.Ger 51, 7: 111 6, 6: 145
12, 3: 135
Tg. Neof. I Gn 5, 24: 197 12, 10: 116-117
12, 10-12: 117-118
Tg. Ps.-J. 13, 4: 200
Gn 5, 24: 189, 197 14, 5: 100
Nm 25, 17: 191
Dt 33, 21: 192 SCRITTI E AUTORI GRECI E LATINI
Dt 32, 39: 104
2 Re 2, 11: 193 Andocide
Or. 1, 97: 80
Tg. Sal 48: 161
Anth. pal.
Tg. Yer I 9, 174, 4-6: 72
Es 6, 18: 191 9, 401, 3: 72
Es 40, 9-11: 191 9, 577: 48
296 Indice delle fonti citate

14, 72, 4-11: 81 Asclepius


3, 25: 133
Antonino Liberale 23b-24a: 220
Metam. 1, 3: 80 37-38: 220

Apollodoro Ateneo
Bibl. 2, 7, 7: 197 Deipn. 4, 139c: 88

Apollonio Bacchilide
Hist. Mir. 40, 1: 63 5, 41-45: 80
8, 19-21: 80
Apollonio Rodio
Argon. 3, 1114: 189 Callimaco
Hymn. Dian. 87: 78
Appiano
Lyb. Cicerone
64, 284: 80 Att.
104: 44 1, 6, 8: 24
9, 10, 1: 24
Apuleio 12, 39, 2: 24
Apol. 12, 53: 24
42: 66 13, 18: 24
42-43: 32 Fam. 2, 9, 2: 24
Metam. 11, 21, 5-24: 196 Off.
1, 23: 83
Aristofane 3, 102-104: 83
Ach. 342: 78 3, 104: 85
Ran. 1032: 29 Quint. fratr. 1, 1, 45: 24

Aristotele Cornelio Nepote


Eth. nic. 1172b, 21: 53 Han. 2, 3-5: 80

Arriano Corp. herm.


Epict. diss. 1, 17, 18-19: 29 1, 1: 49
1, 1-6: 63
Artemidoro di Daldi 10, 25: 48
Onir. 11, 18-19: 48
1, 22-23: 29 13, 3: 49
1, 32: 29 13, 4: 49
2, 2-5: 29 13, 6: 49
2, 8: 29 13, 11: 48
2, 45: 88 16, 1-2: 86, 219
2, 70: 22, 86 fr. 23, 5: 29
Indice delle fonti citate 297

Diodoro Siculo Galeno


1, 23, 7-8: 180 Nat. fac.
1, 27, 4-5: 108 1, 5-8: 87
5, 48, 4: 29 1, 10-11: 87
3, 1: 87
Diogene Laerzio
Vit. Filos. 8, 68: 197 Giamblico
Myst.
Dione Crisostomo 3, 2: 32, 49
Or. 1, 64: 29 3, 4: 32
3, 4-7: 73
Dionigi di Alicarnasso 3, 5: 28, 32
Ant. rom. 4, 58, 3-4: 83 3, 6: 63
3, 9: 32
Dosiade fr. 5: 197 3, 11: 32, 66
3, 14: 32, 66
Elio Aristide 5, 23: 220
Or. 7, 1: 86
48, 32-33: 49 7, 4-5: 219
49, 1: 57
50, 48: 48 Giuliano imperatore
50, 5: 44 Ep. 16, 2-3: 64
50, 56-57: 68
51, 1: 29 Ippocrate
51, 8: 44, 57 Alim.
51, 29: 44 2-7: 87
51, 31: 49 22: 87
52, 1: 29 49: 87

Eraclito fr. 93: 29 Licurgo


Leoc. 79: 84
Erodiano
Hist. 1, 11, 2: 189 Lisia
Or. 24, 25: 44
Euripide
Hec. 571: 43 Luciano
[Rhes.] 943-944: 29 Peregr.
11-16: 59
Filostrato Symp. 13: 64
Vit. Apoll. 8, 30: 197 Syr. d. 50-51: 73

Flegonte di Tralle Massimo di Tiro


Mir. fr. 37 5, 25-30: 181 Diss. 9, 7: 49
298 Indice delle fonti citate

Omero Pyth. orac.


Il. 397c: 44, 48, 214
1, 233-246: 80 397 c-d: 71
1, 238-239: 80 407c: 181
1, 277-279: 80 Def. orac.
2, 46: 80 431d-432f: 47, 214
2, 100-108: 80 432 d: 44
7, 411-412: 80 432e: 49
10, 321: 80 Sera
10, 328-331: 80 563b-568a: 68
14, 270-279: 80 563d: 67, 196
H. Cer. 474-476: 29 563d-f: 48
563e-f: 66
Pausania 568a: 64, 66-67
Descr. 7, 25, 13: 84 Gen. Socr.
590b-592e: 48
Platone 590b: 49, 196
Charm. 155e: 83 590b-c: 67
Resp. 592e: 67
367b: 53 Quaest. conv. 713a: 63
524c: 53 Amat. 762d-e: 63
612d: 78 [Plac. philos.] 900b: 72
Symp. 215d-e: 68
Polibio
Plinio il Giovane 3, 11, 5-7: 80
Ep. Tra. 10, 96, 7: 57-58, 61, 63 38, 20, 5: 80

Plinio il Vecchio Porfirio


Nat. Abst. 2, 48: 87
4, 69: 53 Vit. Plot. 2: 43
28, 20: 219
Proclo
Plotino Comm. Crat.
Enn. 71, 54: 64
4, 8, 1: 68 110: 87
5, 12, 9-20. 68 Comm. Resp. 1, 110-111: 63-64
6, 9, 9-11: 68 Comm. Tim. 3, 6: 220

Plutarco Ps.-Ippocrate
Aem. 39: 44 Ep. 15, 4-6: 63, 68
Virt. prof. 81d-e: 63
[Cons. Apoll.] 109c: 68 Quintiliano
Quaest. rom. 271b: 81 Inst.
Is. Os. 354c: 108 1, 9, 2-3: 27
Indice delle fonti citate 299

10 passim: 27 TESTI DEMOTICI

Quinto Smirneo Romanzo di Setne I


Post. 11, 291: 189 pp. 886-887 Bresciani: 87

Scolio a Eschilo, Sept. 497-498: 18 SCRITTI E AUTORI MEDIOEVALI

Seneca Boezio
Ep. Cons. phil. 1: 68
40, 1: 24
67, 2: 24 Brigitta di Svezia
75, 1: 24 Serm. Ang., prol.
1-4: 71
Senofonte 4-5: 74
Anab. 5-11: 71
1, 6, 6: 80 10-11: 74
1, 6, 7: 78
2, 5, 3: 80 Dante Alighieri
Mem.1, 1, 2-4: 29 Purg. 14, 22: 88

Sinesio di Cirene Dieg. Dan. 14, 11: 192


Ep. 157: 72
Ecumenio
Sofocle Comm. Apoc.
El. 371: 78 1, 23: 44
Oed. col. 1626-1629: 196 3, 5, 3-4: 45

Suda Esichio di Mileto


s.v. Divdumo~: 88 Vir. ill. 66: 189

Tibullo Gioacchino da Fiore


El. 1, 6, 43-54: 73 Comm. Isa., prol.: 192
Comm. Apoc. fol. 146b: 192
Tucidide
4, 40: 53 Giovanni Sabanisʒe
5, 47: 80 Mart. Ab. 4, 11: 108
5, 53: 53
Hildegard di Bingen
Varrone Ep.
Ling. lat. 5, 66: 81 103r, 88-92: 71
103r, 90-92: 74
Virgilio
Aen. 3, 444-446: 71 Lib. Crat. p. 46 Bertholet: 66
300 Indice delle fonti citate

Michele Psello P.Warr.


Exp. orac. (PG 122, 1136b-c): 64 21, 24: 43
[Op. daem.] 14: 73 21, 26: 43
Or. for. 1, 311-332: 73
PGM
Palaia I, 234-247: 87
p. 212 Vassiliev: 190 III, 410-417: 87
p. 220 Vassiliev: 190 III, 413: 82
III, 424-441: 87
Pietro di Sicilia III, 599: 29
Hist. Man. 29: 108 IV: 33
IV, 160-169: 66
PAPIRI IV, 185-191: 108
IV, 224-231: 66
E 3229, col. 5, 1-28: 87 IV, 475 e ss.: 33
IV, 475-485: 48, 79
Mag. LL col. 2: 67 IV, 475-750: 48
IV, 504-535: 48, 64
P.Amherst 1: 137 IV, 538-541: 48
IV, 625-629: 48
P.Bodm. 13: 61 IV, 725: 48
IV, 734-739: 79
P.Flor. 367, 7: 72 IV, 779-786: 82
IV, 1104-1112: 63, 67
P.Mert. 32, 2: 180 IV, 1234: 65
IV, 3019-3020: 65
P.Oxy. IV, 3125-3171: 87
1, 5: 92 IV, 3210-3254: 66
1, 11-17: 170 V, 145-159: 108
99, 14: 92 V, 184-211: 84
654: 106 V, 462: 43
654, 5-9: 131 V, 467: 43
654, 9-15: 39 VII, 505-528: 82
654,13-15: 39 VII, 970-972: 87
654, 32-40: 127 VIII, 90-91: 71
939, 12-13: 95 XII, 14-95: 220
939, 23-24: 95 XII, 192: 65
1081, 6-8: 119 XII, 262: 43
1381, 91-140: 48 XII, 389: 65
1381, 108-113: 48 XIII, 90-91: 71
1381, 124-125: 49 XIII, 127-213: 82
1381, 139-140: 49 XIII, 137-138: 71
XIII, 211-213: 71
P.Stras. Copt. 5 (verso): 110 XIII, 377-717: 82
Indice delle fonti citate 301

XIII, 565-567: 71
XIII, 647: 71
XIII, 696-697: 71
XIII, 1040-1054: 82
XXXVI, 233-255: 87

ISCRIZIONI

CIJ
p. 559 : 190
p. 592 nr.102: 190

CIL VI, 3 nr. 21521: 33, 63-64


INDICE DEGLI AUTORI MODERNI

Afzal C., 17, 24, 41, 67, 145, 153 Beneduce R., 15-16, 18-19, 25, 51
Agamben G., 83 Berger K., 6, 24, 27, 30-31, 36, 52, 63-
Aguirre Monasterio R., 161-162 64, 68, 96, 109-111, 115, 119, 125,
Ahern E.M., 30, 71, 73 138, 171-172, 178, 181-182, 189-
Allen T., 73 192, 194, 196, 198-209, 216
Anderson D.M., 30 Berger P., 217
Andrei O., 25, 54, 218 Bertholet M., 66
Arcari L., 20, 25, 52, 96-98, 101-102, Bettiolo P., 47
149, 188, 216, 218-220 Betz H.D., 87
Assmann J., 14-15, 17, 19, 22, 96, 187, Beutler J., 166, 168, 180
189, 217 Bienaimé G., 169
Augé M., 16 Biguzzi G., 54, 139, 188-189
Aune D.E., 5, 18, 30, 43, 47, 54-55, Black M., 114, 198-200, 204
58-60, 62, 66, 68, 79, 81, 84, 92-93, Blacker C., 30, 71, 73-74
97, 99, 104, 109, 111, 114, 117- Blier R., 30-31
119, 138, 141-142, 144-145, 154- Böcher O., 8
155, 161, 164-166, 183, 189, 195- Boddy J., 16
196, 198, 204, 206-207, 219 Boismard M.-É., 9
Austin J.L., 81, 83 Boll F., 42
Borgen P., 70, 96, 169, 191
Baermann Steiner F., 83 Bori P.C., 60
Balch D.L., 63-64 Boring M.E., 7, 10, 59, 75, 97
Balz H., 72 Bourdieu P., 34-35
Barr D.L., 216, 220 Bourguignon E., 31-32, 34, 36, 38
Bauckham R., 10, 23, 42, 45, 57, 68, Bousset W., 48, 53-54, 69, 74, 129
77, 95-96, 100, 112, 117, 121-122, Bovon F., 7, 178
124, 127-128, 151, 164, 192, 194, Bradshaw Aitken E., 93
198, 203-205 Brenner J.N., 30, 86
Bauernfeind J., 110, 185 Bresciani E., 67, 88
Beale G.K., 10, 22, 69, 74, 96-97, 115, Brown R.E., 169
142, 150-153 Brox N., 166, 180
Beatrice P.F., 162 Buber M., 68
Beattie J., 30 Buchholz D.D., 116, 117, 164
304 Indice degli autori moderni

Bucur B.G., 97 Dewey A.J., 15


Bultmann R. 7, 109, 169, 185 Dibelius M., 119
Burke P. 29-30, 36 von Dobschütz E., 72
Burkert W. 30, 31 Dodd C.H., 104, 169
Burton J.W. 38, 73 Dodds E.R., 30, 33
Busch P. 96, 188-189, 193-194 Dolève-Gandelman T., 86, 88-89
Buss M.J. 34 Donegani I., 180, 213
Donfried K.P., 124, 126, 165
Camplani A., 34 Douglas M., 30
Cancik-Kirschbaum E., 30-31 Draper J., 116
Carrell P.R., 7, 97, 141, 184 Duff P.B., 5, 220
Casalini N., 8 Duling D., 17
Catastini A., 30 Dunn J.D., 27, 96, 99, 114-115, 152,
Cebulj C., 109 189, 202, 215
Cerfaux L., 99
Charles R.H., 10, 69, 111, 117, 133, Eglash R., 30
142, 144, 151 Eisen U., 33
Charlesworth J.H., 41, 47, 62 Eliade M., 30, 34
Chialà S., 173, 191 Elliott A.J.A., 30, 73-74
Clottes J., 66 Elliott J.H., 30
Collins J.J., 191 Ellis E.E., 8, 181
Colpe C., 48, 91, 194, 205 Emmel S., 50
Comba E., 30 Enroth A.-M., 119
Comblin J., 7, 178, 180-181 Esler P.F., 26-27
Connerton P., 15-16 Evans-Pritchard E.E., 30-31
Crossan J.D., 119, 122, 124, 153-154,
162 Fabietti U., 29
Cryer F.H., 30, 35 Fabry H.-J., 88, 191, 200, 216
Fekkes J., 96-97, 107
D‘Anna A., 100 Festugière A., 42, 45
D‘Aquili E.G., 58 Feuillet A., 8, 195
Davila J.R., 64, 67 Filho J.A., 52, 92
Davis W., 73, 86, 88 Filoramo G., 30, 34, 181, 193
de Certeau M., 219 Finnegan R., 83
De Luca E., 122 Flannery F., 29, 36
de Rosny É., 51 Fletcher-Louis C., 36
DeConick A.D., 34-36, 142, 171 Forbes C., 30, 35, 58
Deer D., 180 Frankfurter D., 82, 86, 101, 202, 217-
Demsky A., 86 218
Destro A., 17, 20-23, 33-34, 36, 38, 50, Franzmann M., 193
52, 58-59, 62, 65, 78, 84, 89-90, 99, Frenschkowski M., 29-30
101, 169, 200, 218 Freund S., 198, 207
Deutsch C., 63, 70 Frey, J., 103, 105, 107, 109-110, 167-
Devisch R., 5, 24, 30-31, 35, 38, 73 171
Indice degli autori moderni 305

Friesen S.J., 218 Horbury W., 58, 63, 92


Fusco V., 9, 119 Horn H.W., 53-54
Fusella L., 43 Horsley R.A., 15, 25
Horst J., 119
Gandelman C., 86, 88-89 Hylen S., 96, 102, 134, 173
Garrow J.P., 24, 149, 184, 220
Geiger G., 109 Iles Johnston S., 30-31
van Gennep A., 34, 78
Gerhardsson B., 10 Jacoby F., 181
Giambelluca Kossova A., 47 James W., 90
Gianotto C., 190, 202 Jauhiainen M., 97
Giblin C.H., 194-195 Jeremias J., 39, 99, 191, 196
Gieschen C.A., 7, 61-63, 78, 89, 168, Jeske R.L., 42, 45
184, 219 Johnson D.H., 30
Giesen H., 23, 56, 69, 129, 139-140 Jones I.H., 161
Glonner G., 78, 80, 85, 92, 96, 173 Jordan D.K., 30, 74
Gollinger H., 188 Jörns K.-P., 61
Goodman F.D., 30-34, 38, 45, 58, 63, Jossa G., 54
70-71, 73-74
Grabbe L.L., 30-31, 35-36 Kahl W., 96
Graf F., 31, 82 Kalms J.U., 188-189, 194
Grottanelli C., 22, 30, 68 Karrer M., 23-24, 72, 78-79, 97, 115,
Günther H.W., 145 117-118, 129-130, 179, 185, 216
Guijarro Oporto S., 17, 152 Keightley G.M., 17
Gunkel H., 30 Kelber W.H., 23, 27, 96
Guthrie D., 7 Kellermann U., 200
Kenyon S.M., 64
Hagner D.A., 100, 156, 158, 163-165, Kerner J., 182-183, 185, 187
177 Kirk A., 15, 17
Hahn F., 43, 119, 125, 185-186 Kittel G., 155
Hallbwachs M., 14 Klauck H.-J., 92
Halliday W.R., 30 Kline L.L., 109, 135
Harland P.A., 63, 218 Klinghardt M., 63
von Harnack A., 157 Kloppenborg J.J., 96, 112, 121
Hedrick C.W., 50 Knibb M.A., 191
Heininger B., 70 Knoblauch H., 36, 51, 63, 66, 68
Hengel M., 173, 192, 200-201, 211, Koch K., 25
215-216 Koch M., 96, 188-189, 211
Hezser C., 72, 74, 86 Koester, H., 10, 17, 95, 98, 107, 109,
Himmelfarb M., 48, 62 111, 121, 124, 156, 158, 163, 177
Holladay C.R., 8 Kowalski, B., 76, 97
Holtz, T. 7-9, 99, 110, 117, 178, 180, Kraft, H., 8, 44, 54, 56, 79, 97, 141,
186 183
Hopfner T., 87 Krings M., 16
306 Indice degli autori moderni

Kuhn G.G., 158-159 Maurizio L., 30-31, 219


Kvanvig H.S., 191, 211 Mauss M., 82-83
Mazzaferri F.D., 68, 77-78, 97, 173,
Labahn M., 168 182-183
Lalleman P.J., 34 Meeks W.E., 17, 58, 190, 194
Lampe P., 17, 38, 50, 58, 64, 92, 173, Meier J.P., 99, 114-115, 202
180, 183, 198, 206, 208, 218 Merz A., 99, 101, 114-115
Lancellotti A., 84 Métraux A., 64
Lang M., 169 Metzger B.M., 111
Lapassade, G., 30, 32, 58, 64, 66, 70 Meyer P., 30-31, 38
Lawrence L.J., 32, 73 Middleton P., 184, 186-187, 194, 217
Leipoldt J., 87-88 Millard A.R., 72, 74
Leonardi C., 47 Miller J.B.F., 36
Lesses R., 83 Miller K.E., 162
Lewis I.M., 30, 36 Mimouni S.C., 99, 201, 210
Lewis-Williams D., 66 Mirecki P.A., 50
Lichtenberger H., 63 Moering E., 42, 44-45
Lieber A., 63 Moloney F.J., 104
Lietaert Peerbolte B.J., 32, 36, 49, 79 Morenz S., 87-88
Lincoln A.T., 49, 60 Morray-Jones C.R.A., 64, 67
Lindblom J., 30, 45 Moyise S., 77, 97
Ljungvik H., 95 Müller C., 185
Llewelyn S.R., 57 Müller T., 182
Lohfink G., 189-190 Müller U.B., 7, 56, 78, 81, 125, 173,
Lohmeyer E., 8, 10, 53, 56, 69, 79, 183-186, 190, 192, 194
142, 144, 151, 158 Murphy F.J., 69
Lord A.B., 27 Muse R.L., 8
Lührmann D., 165 Mussies G., 77, 84
Lupieri E., 19, 39, 41, 65, 67, 77-79, Mussner F., 22
81, 86, 96, 101, 131, 136, 140-141,
159, 162, 168, 171-172, 183, 188, Nasrallah L., 5, 18, 30, 70, 73
194-195, 219 Nestle E., 72
Lupo A.M., 170-172 Newberg A.B., 58
Newsom C., 62
MacDermot V., 36 Nickelsburg G.W.E., 191, 200, 204-
MacLachlan B., 80 205
MacRae G.W., 194 Niditch S., 30, 37
Malina B.J., 25, 30, 38, 41, 45, 54, 68 Nissinen M., 30
Manganaro G., 54 Norden E., 109
Marcus J., 202 Nordsieck R., 107, 109
Marguerat D., 9 Norelli E., 13, 20, 23, 25-26, 47, 59,
Marino M., 95, 179-180, 182-185, 217 61-62, 92, 100, 114, 117, 127-129,
Masquelier A., 16, 71 137-138, 148-149, 151, 168, 181,
Massyngberde Ford J., 69, 74 192, 205, 209-210, 216, 219-220
Indice degli autori moderni 307

North J., 30 Ringgren H., 88


Nützel J., 198, 201, 203-204, 206, 208 Ritner R.K., 87-88
Robert Nusca A., 61
Öhler M., 190-191, 194-196, 198, 201- Robinson J.A.T., 191, 201
202, 206 Roloff J., 56, 66, 78-79, 81, 93, 127-
Olsson B., 87 128, 151
Omerzu H., 188 Roose H., 23, 25, 53, 62, 97, 110, 149-
Osiek C., 63-64 150, 173, 180, 182-187, 195, 213-
Overholt T.W., 30-31, 33, 35-36, 93, 214, 216, 218-220
96, 99 Rosenstiehl J.-M., 202, 204
Rossing B.R., 218
Park D.-H., 40-41 Rosso Ubigli L., 190
Pearson B.A., 193-194, 205 Rowland C., 41, 52, 67, 71, 96, 98
Peek P.M., 31, 35-37, 73 Ruiz J.-P., 218
Penna R., 8, 177-178 Russell D.S., 42, 45
Pernigotti S., 82
Perrin N., 25 Sacchi P., 47, 190-191
Perrone L., 47, 59 Saffrey H.D., 54
Pesce M., 7, 10, 17, 20-23, 33-34, 36, Sanders S.L., 67, 98
38, 43, 50, 52, 58-59, 61-62, 65, 78, Satake A., 160, 185, 187, 195, 197-
82, 84, 89-90, 98-102, 116-117, 198, 203, 218-219
121, 124, 127, 135, 149-150, 158, Schäfer P., 64
160-161, 165, 169, 179, 200, 218 van Schaik A.P., 138-140
Peters L.A., 30, 73 Schimanowski B., 42, 186
Pezzoli-Olgiati D., 23, 25, 92, 173 Schmidt J., 54
Pilch J.J., 29, 32-33, 38, 41, 45, 52, 54, Schnackenburg R., 169
63, 66, 68 Schnelle U., 24
Pleše Z., 18 Schrage W., 202-203
Plisch U.-K., 110 Schreiber S., 169
Popkes W., 119 Schröter J., 121
Porter S.E., 27 Schüssler Fiorenza E., 5, 24, 92, 115,
Pozzi G., 68 117, 186
Preisker H., 114 Schultze K., 108
Price-Williams D., 30, 73 Schwartz B., 15
Prigent P., 8, 53, 117, 186 Schweiker W., 113, 173
Puig i Tàrrech A., 9 Schweizer E., 42, 109, 214
Schwemer A.-M., 193, 201
Quell G., 181 Segal A.F., 32, 36, 49-51
Segalla G., 8-9, 11-13, 26-27, 95-96,
Redford D.B., 194 102, 111, 172, 174-175, 179, 186
Reiling J., 58-59 Seng H., 198
Rescio M., 122, 152 Sfameni Gasparro G., 30
Riemer U., 53 Shaked S., 34
Riesenfeld H., 10, 107 Shantz C., 32, 36, 49-51, 60, 64
308 Indice degli autori moderni

Shaw R., 30-31, 38 Tilly M., 201


Siber P., 99 Townsend J.B., 30, 34, 73
Siew A.K.W., 81, 188, 194-195, 219- Tripaldi D. 24, 109, 122, 175
220 Turner J.D. 35, 90
Slater T.B., 7 Turner V. 25, 30-31, 34, 78
Smith D.A., 189-191, 201-202, 206,
211 Ulfgard H., 61
Smith D.E., 58, 63-64, 92 Ulland H., 19, 23, 25, 145, 149-150,
Smith M., 67, 166 173, 180, 189, 216
Sodano A.R., 32, 66 Ulrich J., 53
Sokolowski F., 80 Uro R., 27
Sommerstein A.H., 80, 83
Sophocles E.A., 53 VanderKam J.C., 190
Speyer W., 86 Vanni U., 8, 10, 69, 92, 111, 124, 126,
Spicq C., 180, 183 132-133, 152, 158, 160-163
Steck M.-O., 159 Vernant J.-P., 6, 30
Stegemann E.W., 58 Versnel H.S., 82
Stegemann W., 58 Visonà G., 82, 117
Stone M.E., 30, 36, 68, 90 Vollenweider S., 32, 38
Stori E., 109, 122 Volz P., 144, 194
Strand K.A., 195 Vos L.A., 9-11, 26, 95-96, 111, 113-
Strecker C., 92 115, 117, 119, 122, 124-130, 132-
Stroumsa G.G., 85-86, 193 137, 139-142, 144-146, 149-152,
Struck P.T., 30, 82 154-165, 172, 175, 179, 186
Stuckenbruck L.T., 7, 141, 184, 213-
214 Walsh R.N., 30, 32-33, 37, 64, 66, 73,
Stuhlmacher P., 99 75
Swete H.B., 9, 66 Walt L., 122
Walter N., 93
Taeger J.-W., 110, 169-172, 186 Wan S.K., 70
Talbert, C.H., 7, 27, 177 Waszink R., 61
Tambiah S.J., 5, 15, 33, 38, 78, 83, 96, Weiser A., 181
219 Wenham D., 10, 99, 115, 117, 132-
Tedlock B., 30-31, 37 136, 138, 142, 144-146, 150-153,
Thatcher T., 15, 17, 22-23 159
Theissen G., 17, 19, 99, 114-115, 155, Werbner R.P., 5, 25, 30-31, 78, 89
217-218 Whyte S.R., 34
Theobald M., 22, 101, 103-104, 107, Wieder N., 191
109, 111, 153-154, 169-173 Williams F.E., 47
Thomas R.L., 69, 72, 74 Williams R.H., 15, 187
Thompson L.L., 5, 41-42, 45, 51, 53- Willi-Plein I., 86
54, 58, 62, 91-92, 173, 183, 216-219 Wilson R.R., 30, 36
Thompson S., 84-85 Winkelmann M., 31-32
Tiller P.A., 198 Wintermute O.S., 202
Indice degli autori moderni 309

Wortmann D., 87 Zahn T., 44, 72


Zeller D., 198-199, 204, 206
Yarbro Collins A., 7, 29, 95-96, 115, Zeron A., 198
117, 122, 124, 126, 139-141, 188 Zuesse E.M., 30-31, 73
Young N.H. 57 Zwiep A.W., 189, 194, 202
SOMMARIO

INTRODUZIONE
Esperienza, identità, memoria. Riflessioni preliminari . . . . . 5
1. Logiche della rivelazione, 6 - 2. Una visione di Gesù: tra costruzio-
ne del passato e trasformazione del presente, 6 - 2. 1. Un ―Gesù stori-
co‖ nell‘Apocalisse di Giovanni?, 7 - 2.2. Dualismi in crisi, 8 - 2.3.
Sulle tracce di un insegnamento, 9 - 2.4. Spiragli di una memoria, 11 -
3. Tra futuro e passato, 13 - 3.1. Esperienza estatica e memoria: una
nuova prospettiva, 13 - 3.2. Esperienza estatica e memoria: corpo,
mimesi e storia nell‘Apocalisse di Giovanni, 17 - 3.2.1. Memoria,
scrittura, canonizzazione, 21 - 3.2.2. Verso la trasformazione: la lette-
ra di Giovanni, 23 - 3.2.3. La memoria come segno, 24 - 4. Memoria
dell‘esperienza, esperienza della memoria: una proposta di ricostru-
zione, 25

CAPITOLO PRIMO
Tra visione e testo letterario: fenomenologia di un‟esperienza
“profetica” . . . . . . . . . . . . . . . . 29
1. Comunicazione con il mondo soprannaturale e stati alterati di co-
scienza: la ―profezia‖, 30 - 1.1. Tra testo e descrizione: uno schizzo
teorico, 36 - 2. Imago mundi, 39 - 3. Il linguaggio della rivelazione, 42
- 3.1. L‘antropologia giovannea, 42 - 3.2. Lo «spirito»
nell‘Apocalisse, 43 - 3.3. La formula e l‘esperienza, 43 - 3.4. Una
comparazione, 46 - 3.5. Controprove, 48 - 3.6. Duplicità e olismo:
verso una conclusione, 50 - 4. Lo «spirito» e l‘estasi: storia di una vi-
sione, 52 - 4.1. Il soggiorno a Patmos, 53 - 4.2. Scene da una liturgia,
57 - 4.3. Archeologia del pneu'ma: visioni e viaggi celesti, 63 - 4.4.
Tra esperienza e letteratura: verso l‘Apocalisse, 69 - 4.5. Una sintesi,
75 - 5. Anche Giovanni tra i ―profeti‖?, 76 - 5.1. Piccola parentesi fi-
lologica, 77 - 5.2. La trasmissione della capacità profetica in atto: se-
quenze, simboli, principi, 78 - 5.2.1. L‘angelo, i tuoni, il divieto di
scrivere, 78 – 5.2.2. Il giuramento, 79 – 5.2.3. L‘ingestione del rotolo,
86 – 5.3. Appunti per una (ri)lettura dell‘Apocalisse, 89 – 6. Lo «spiri-
to», la conoscenza, l‘autorità, 91
312 Sommario

CAPITOLO SECONDO
Le parole di Gesù nell‟Apocalisse . . . . . . . . . . 95
1. Un‘indicazione ―programmatica‖? Per un significato alle allusioni,
96 - 1.1. Parola ―profetica‖ e parole di Gesù: un modello di trasmis-
sione, 98 - 2. Tra le parole, 102 - 2.1. Piccolo vocabolario gesuano,
103 - 2.1.1. Il venire di Gesù, 103 - 2.1.2. Dio e Padre, 104 - 2.1.3. La
parola e la custodia, 106 - 2.1.4. L‘ «Io sono» di Gesù, 107 - 2.1.5. La
vittoria, 109 - 2.1.6. La lingua di Gesù, 110 - 2.2. I detti, 111 - 2.2.1.
La beatitudine dell‘udire e custodire (Ap 1, 3), 111 - 2.2.2. Il compier-
si del tempo e il regno (Ap 1, 3 e 22, 10), 113 - 2.2.3. La parusia del
Figlio dell‘Uomo e il lutto delle tribù della terra (Ap 1, 7), 115 - 2.2.4.
L‘invito all‘attenzione, 118 - 2.2.5. Della vittoria: la corona della vita
(Ap 2, 10), 119 - 2.2.6. L‘ora, il ladro, la veglia (Ap 3, 3 e 16, 15), 122
- 2.2.7. La confessione del nome davanti al Padre e agli angeli (Ap 3,
5), 124 - 2.2.8. La parabola dei servi vigilanti (Ap 3, 20), 127 - 2.2.9.
Del sedere sul trono (Ap 3, 21), 129, - 2.2.10 Il giorno dell‘ira (Ap 6,
12-17), 132 - 2.2.11. ―Apocalisse sinottica‖ e Apocalisse di Giovanni,
133 - 2.2.11.1. Il calpestamento di Gerusalemme ed il tempo delle
genti (Ap 11, 2), 134 - 2.2.11.2. La proclamazione del vangelo (Ap 14,
6), 136 - 2.2.12.3. La mietitura (Ap 14, 14-16), 139 - 2.2.11.4. I sei si-
gilli e i segni della fine (Ap 6, 1-17), 142 - 2.2.11.5. Le due bestie, ov-
vero: i falsi messia e i falsi profeti (Ap 13), 146 - 2.2.11.6. Una rico-
struzione, 150 - 2.2.12. Della rinuncia a se stessi (Ap 12, 11), 153 -
2.2.13. Seguire Gesù (Ap 14, 4), 154 - 2.2.14. La pietra da mola ed il
mare (Ap 18, 21), 156 - 2.2.15. Il sangue dei giusti (Ap 18, 24), 158 -
2.2.16. La parabola del banchetto nuziale (Ap 19, 6-9), 160 - 2.2.17.
La parusia ed il giudizio (Ap 22, 12), 163 - 2.2.18. L‘invio dello Spiri-
to e le due testimonianze (Ap 22, 16), 166 - 2.2.19. La sete e l‘acqua
della vita (Ap 22, 17), 169 - 3. Traiettorie gesuane, 172 - Appendice.
Le parole di Gesù nell‘Apocalisse: una tabella comparativa, 175

CAPITOLO TERZO
Le figure di Gesù nell‟Apocalisse . . . . . . . . . . 177
1. Riferimenti dal passato: alcuni punti fissi, 177 - 2. Conservare gli
«e[rga» di Gesù: il peso della chiesa di Tiatiri (Ap 2, 26), 179 - 2.1. La
«pivsti~», 180 - 2.2. La «parola della uJpomonhv», 182 - 2.2.1. NIKÂN:
premesse, significato, effetti, 184 - 2.3. Quali e[rga?, 186 - 3. Due sto-
rie di Gesù, 187 - 3.1. Il Messia rapito in cielo: annotazioni a margine
di Ap 12, 1-5, 188 - 3.2. I due testimoni e il loro Signore (Ap 11, 3-
13), 194 - 3.2.1. Schizzo di una convergenza, 195 - 3.2.2. Tradizioni e
scritture, 198 - 3.2.3. Gesù: il profeta escatologico, 208 - 3.3 Gesù, il
prisma di Giovanni e il mondo, 209
Sommario 313

CONCLUSIONI
Oltre l‟Apocalisse . . . . . . . . . . . . . . 213
1. Giovanni e lo Spirito di profezia, 213 - 2. Lo Spirito di profezia e
Gesù, 214 - 3. La testimonianza dello Spirito: Gesù, Giovanni e gli
―altri‖, 217

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . 221

Ringraziamenti. . . . . . . . . . . . . . . . 255

Indice fonti citate. . . . . . . . . . . . . . . 257

Indice autori moderni. . . . . . . . . . . . . . 303

Sommario . . . . . . . . . . . . . . . . 311

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