Estratto
dall’autore. Tra questi due è presentato un altro tipo di analisi retorica, quello
«attento ai procedimenti di composizione semitici»4. Questo è molto più
giovane della retorica classica greco-latina; tuttavia non è privo della sua
storia, che conta già un paio di secoli. Di recente è più conosciuto sotto il
nome «analisi retorica biblica e semitica», proprio per rendere giustizia alla
sua specificità che lo distingue dagli altri due tipi, giacché prendendo in
esame testi biblici, e più generalmente semitici, scopre in essi una retorica
diversa da quella greco-latina. Non è stata descritta nell’antichità in trattati di
retorica; è stata scoperta attraverso lo studio della composizione dei testi
biblici. Mentre la retorica classica è prescrittiva, la retorica biblico-semitica è
unicamente descrittiva.
Benché chiamata retorica, in quanto «arte di comporre discorsi per-
suasivi»5, non impone al lettore un esplicito e lineare procedimento logico,
ma lo lascia più libero per scoprire da solo, con le proprie forze e con il
proprio impegno, il messaggio del testo celato nella rete delle riprese e
ripetizioni, non di rado simmetriche.
Se a quest’analisi viene assegnato un posto tanto alto, fra le altre vie da
percorrere per arrivare a una fedele interpretazione del testo sacro, in che cosa
allora consiste la sua utilità? In che cosa consiste il suo contributo nella
valorizzazione delle ricchezze dei testi biblici?
Il presente articolo intende suggerire una risposta a queste domande tramite
un’esposizione dell’analisi retorica biblica e semitica, in cui non si prescinde
dai primi sviluppi del metodo nel passato, ma si concentra sui suoi frutti
emersi nel presente. Lo sviluppo odierno è segnato dalla pubblicazione di non
poche analisi di testi biblici — in particolare di libri interi: Luca, Amos,
Lettera di Giacomo, Prima Lettera di Giovanni, di Galati — e altri — in
particolare del Corano —6, e anche dalla sistematizzazione metodologica del
Trattato di R. Meynet7. L’esposizione si articola in tre parti dedicate
rispettivamente alle tre domande: Che cosa è l’analisi retorica biblica e
semitica? Come nacque? A che serve? Specialmente in quest’ultima parte si
analizzeranno alcuni testi biblici, con lo scopo di mostrare come la retorica
compositiva del testo influisce sulla sua interpretazione e come quest’analisi
può contribuire alla scoperta dell’inesauribile ricchezza della Bibbia.
———––
4
PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, 37.
5
Ibid., 37.
6
Per la bibliografia delle opere nate grazie all’applicazione di quest’analisi retorica, come
pure per l’attività della società internazionale che se ne occupa, vedi il sito internet della
Società internazionale per lo studio della Retorica Biblica e Semitica (RBS):
www.retoricabiblicaesemitica.org.
7
R. MEYNET, Trattato di retorica biblica, Retorica biblica 10, Bologna 2008.
La prima e la più generica risposta alla domanda sulla natura della retorica
biblica viene suggerita dal luogo dove la Pontificia Commissione Biblica
colloca questo metodo nel suo documento. Alla fine del punto dedicato al
metodo storico-critico, pur ribadendo l’indispensabilità dello studio dia-
cronico «per far comprendere il dinamismo storico che anima la Sacra
Scrittura», la Commissione indica l’insufficienza di una lettura puramente
storica del testo biblico8. Così, il punto seguente, in cui è collocata l’analisi
retorica biblica, si apre con l’indicazione della necessità di uno studio
sincronico, che è in grado di scoprire la molteplicità degli aspetti letterari,
utili per l’esegesi biblica e il nutrimento spirituale del lettore. Il capitolo
«Nuovi metodi di analisi letteraria» elenca dunque l’analisi retorica, l’analisi
narrativa e l’analisi semiotica. Un denominatore comune di questi tre metodi
è il loro interesse collocato nel testo stesso: nella sua composizione, nella
logica narrativa, nel modo in cui esso esercita il suo influsso sul lettore.
A differenza del metodo storico-critico, in questi metodi al centro dell’at-
tenzione dell’esegeta non sta più l’autore(i) o il redattore(i) del testo e le loro
intenzioni, che rimangono sempre in una certa misura ipotetiche, ma il testo
stesso e le sue caratteristiche, che hanno forza d’influire sul lettore e perfino
cambiare la sua vita. Lo sviluppo degli studi linguistici e letterari mostra che
ogni testo può essere affrontato in questa maniera. Eppure la legittimità e
l’utilità di tale avvicinamento è ancora più forte nel caso della Bibbia, giacché
la tradizione della Chiesa riconosce che il testo biblico è ispirato da Dio. La
Bibbia è in grado di operare sempre con una vitalità nuova, interagendo con il
presente dei suoi lettori. Il messaggio del testo biblico non si limita quindi al
suo senso letterale, al senso voluto dall’autore umano nel contesto storico in
cui è nato, ma, grazie all’azione dello Spirito Santo il testo è in grado di
trasmettere un messaggio «attualizzato» dell’autore divino.
senza entrare nelle altre parti del sistema retorico classico, quali inventio,
elocutio, actio e memoria9, in quanto essi vengono giudicati meno pertinenti
nell’interpretazione del testo sacro.
Il denominatore comune, che unisce i tre tipi di analisi retorica, secondo il
documento è la persuasione: «tutti i testi biblici sono in qualche misura dei
testi persuasivi», perciò «una certa conoscenza della retorica fa parte del
bagaglio normale degli esegeti»10. Eppure leggendo la Bibbia non è difficile
accorgersi che non tutti i testi biblici sono «persuasivi» nello stesso modo. Se
Paolo nelle sue lettere si serve della persuasione a volte in modo più esplicito,
usando le figure retoriche ben conosciute e definite dalla retorica classica, tale
logica di persuasione non può essere trovata ad esempio nei Salmi. Se Luca
apre il suo vangelo e i suoi Atti con frasi assai sofisticate e simili a quelle
trovate nella letteratura greca del suo tempo, non significa che nella sua opera
applichi in maniera costante tutti gli strumenti della retorica classica, per
esercitare sul lettore questo tipo di persuasione.
Un attento esame di non pochi testi biblici, sia dell’Uno che dell’Altro
Testamento, rivela infatti che la loro composizione — che influisce sulla loro
retorica — non rispetta tanto le ben precise regole dell’arte classica, greco-
latina, di comporre discorsi persuasivi. La Bibbia sorprende ad esempio con
la frequenza delle ripetizioni formali, sia al livello della grammatica che al
livello del discorso, il che non armonizza bene con i canoni classici, secondo i
quali le frequenti ripetizioni di solito manifestano la debolezza stilistica
dell’opera. Questo fenomeno infastidisce spesso gli esegeti influenzati dal
pensiero occidentale. Così ad esempio, per gli studiosi della Redaktions-
geschichte le ripetizioni diventano segno che fa sospettare la presenza di strati
redazionali. Ma forse queste loro spiegazioni non sono sempre le migliori,
perché rischiano di proiettare la nostra mentalità occidentale sui testi nati
nella mentalità semitica? Sembra che per capire meglio il ruolo di queste
ripetizioni sia meglio astenersi dalle affrettate ipotesi interpretative, marcate
spesso da una logica lineare, e dedicarsi allo studio del dato più oggettivo,
che si rivela cioè negli aspetti formali del testo, per aprirsi a una logica
diversa, segnata dalle simmetrie compositive realmente presenti nel testo.
Queste simmetrie, che costituiscono la caratteristica essenziale della
retorica biblica e semitica, si possono riassumere in due, o forse tre, nozioni
principali: la binarietà, la paratassi e la simmetria (e in particolare il così
———––
9
Vedi A. MARCHESE, Dizionario di retorica e di stilistica, Milano 1991, 263.
10
PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, 37.
La binarietà
È la prima e la più semplice figura retorica usata nella Bibbia, poiché
genericamente parlando non è altro che un tipo di ripetizione. Forse il modo
più facile di rendesi conto della sua presenza frequente è quello di leggere un
salmo, perché proprio nei testi di poesia il fenomeno di una ritmica ri-
petizione è più evidente. Infatti le moderne riscritture dei salmi di solito
rispettano il loro ritmo, presentando le strofe, in cui appaiono spesso distici,
ossia segmenti bimembri, di due periodi molto simili, come in questo
esempio:
Signore, non si esalta il mio cuore
né i miei occhi guardano in alto;
non vado cercando cose grandi
né meraviglie più alte di me (Sal 131,1).
Nel primo distico, che mette in parallelo sia il «cuore» e gli «occhi», sia
l’«esaltarsi» e il «guardare in alto», le ripetizioni sono incrociate; nel secondo
invece, dato che il verbo «vado-cercando»14 non è ripetuto ma economizzato,
la ripetizione riguarda solo i sostantivi15. Le parole che sono ripetute qui non
sono identiche, ma sinonimiche. Nella Bibbia ci sono però anche delle
costruzioni grammaticali, tipicamente semitiche, che ripetono il medesimo
———––
11
Vedi R. MEYNET, Trattato, 13, dove si indica che le caratteristiche essenziali della
retorica biblica possono essere «ridotte» a due: la binarietà e la paratassi. Tuttavia, penso che,
specialmente ai fini di questa presentazione, sia opportuno aggiungere alle due nozioni anche
il «concentrismo», un neologismo, coniato dallo stesso Meynet, che indica le strutture con-
centriche in genere, ibid., 252 (nota 63) — dato che la sua presenza è assai frequente, special-
mente nella composizione di unità testuali più grandi, come ad es. le sequenze.
12
Vedi R. MEYNET, Trattato, 13.
13
Nella presentazione essenzialmente seguo la parte del Trattato di R. Meynet, dedicata a
queste caratteristiche (pp. 13-24), dove il lettore può trovare l’analisi più sviluppata.
14
In ebraico si tratta di un solo verbo hƗlak.
15
In ebraico si tratta però di un aggettivo (gƗdôl) e un participio (del verbo pƗlƗ’), sempre
al plurale.
La paratassi
La nozione è più conosciuta, giacché in senso stretto è spesso riferita alla
sintassi. Indica infatti «il rapporto di coordinazione fra due frasi nell’ambito
di un enunciato o di un discorso»17 e si contrappone all’ipotassi, dove il rap-
porto è invece esplicitamente subordinato. Nella paratassi le due frasi sono
semplicemente accostate e spetta al lettore trovare il loro nesso logico.
Il fatto che nella Bibbia la paratassi sia molto frequente diventa importante,
perché già a prima vista suggerisce che i testi biblici non siano governati dalla
retorica classica. Infatti, secondo i suoi canoni, i discorsi in cui la struttura
paratattica prevale su quella ipotattica svelano una debolezza stilistica18.
———––
16
Per approfondimento vedi R. MEYNET, Trattato, 18-19; l’A., citando P. Beauchamp,
(L’Un et l’Autre Testament, I-II, Paris 1997, 1990), e P. Bovati, («Deuterosi e compimento»,
Teologia 27 [2002] 20-34), spiega qui la questione correlata, chiamata «deuterosi».
17
Vedi A. MARCHESE, Dizionario di retorica e di stilistica, 233, che come l’esempio di
paratassi propone la frase: «è un gran furbo, si farà strada nella vita», di ipotassi invece: «è un
gran furbo, per cui si farà strada nella vita».
18
Cf. A. MARCHESE, Dizionario di retorica e di stilistica, 154-155; l’A. nota che la strut-
tura sintattica più complessa, con una prevalenza di subordinate, è tipica di uno stile più colto.
———––
19
Per una lista di tanti esempi dell’endiadi nella bibbia ebraica e i dati statistici vedi
R. LILLAS, Hendiadys in the Hebrew Bible. An Investigation of the Applications of the Term,
Gothenburg 2012, 167-194 (dati statistici), 357-608 (esempi). Per una voce critica sull’uso del
termine vedi J. CHRZANOWSKI, Verbal Hendiadys Revisited: Grammaticalization and Auxilia-
tion in Biblical Hebrew Verbs, Washington 2011. L’A. sostiene la necessità di restringere
drasticamente la nozione dell’endiadi, in particolare escludendo la cosiddetta «endiadi
verbale», specialmente nel caso di verbi ausiliari ibid., 421.
20
Vedi R. MEYNET, Trattato, 20-23; l’esempio citato in seguito si trova a p. 21, con la
differenza però che la traduzione CEI del 1974 è stata sostituita da quella nuova del 2008.
Se ciò avviene al livello delle singole sentenze del libro dei Proverbi, non è
escluso che una simile logica funzioni anche al livello delle unità testuali più
grandi: il lettore cioè è invitato a trovare il nesso logico tra le unità dello
scritto. Quest’invito, però, riguarda non solo il libro dei Proverbi21, ma anche
tutta la Bibbia22, la cui retorica rivela chiaramente una caratteristica «para-
tattica», a differenza della retorica greco-latina che tende a esplicitare le
connessioni, per esercitare meglio la forza di persuasione.
Non è difficile notare, che la prima e la seconda caratteristica della retorica
biblica siano legate. Per poter parlare della paratassi ci vogliono infatti al-
meno due elementi (binarietà); capita spesso che questi elementi siano simili
nella loro diversità, oppure diversi nella loro somiglianza, il che invita il
lettore a scoprire il loro rapporto e a interpretarlo, per comprendere meglio
quale sia il messaggio globale del testo. Il lettore è spesso aiutato a scoprire
questo rapporto grazie alla terza caratteristica della retorica biblica.
sulla poesia sacra degli Ebrei, in cui tra l’altro presenta la classificazione del
«parallelismo dei membri», distinguendone i tre tipi: sinonimico, antitetico e
sintetico32. Nella sua altra grande opera dedicata al libro di Isaia, pubblicata
venticinque anni dopo33, egli mostra che le stesse caratteristiche dei testi poe-
tici si possono trovare anche nei libri profetici. Naturalmente il parallelismo
biblico era conosciuto già nell’antichità34, ma l’opera di Lowth, che al suo
tempo trovò grande successo, segna l’inizio di una riflessione più sistematica
su questo fenomeno35.
La scoperta dell’esistenza e dell’importanza delle strutture concentriche36
appartiene invece allo scienziato tedesco del settecento, Johann Albrecht
Bengel, conosciuto per il suo contributo alla critica testuale. A differenza di
Lowth, egli si dedica ai testi del NT, scritti in prosa, e il suo interesse va
decisamente verso la composizione dei testi più ampi. Le sue osservazioni
riguardanti l’importanza delle strutture concentriche si trovano nella sua più
grande opera, intitolata Gnomon Novi Testamenti37.
Quasi un secolo dopo, il lavoro dei due summenzionati autori, e in modo
particolare quello di Lowth, viene rivisto e sviluppato da John Jebb, vescovo
e scrittore irlandese, nella sua opera38 pubblicata nel 1820. Egli non si limita
solo alla sintesi delle scoperte dei suoi predecessori, ma allarga la sua ricerca
sui parallelismi praticamente a tutta la Bibbia; scopre una gradazione in quelli
sinonimici e approfondisce la funzione del «parallelismo inverso», tanto da
poter godere l’onore di primo fondatore dell’analisi retorica dei testi biblici39.
Sebbene la parte finale della sua opera Sacred Literature, contenga già uno
studio dei testi più lunghi, tuttavia il contributo più decisivo in questa materia
appartiene al suo contemporaneo, lo scrittore inglese Thomas Boys, che come
primo si dedica ad analizzare testi biblici completi, riconoscendosi allo stesso
tempo debitore dell’opera di Jebb.
———––
32
Vedi R. LOWTH, De sacra poesi Hebraeorum praelectiones academicae Oxonii habitae,
Oxford 1753.
33
R. LOWTH, Isaiah: A New Translation with a Preliminary Dissertation and Notes,
London 1778.
34
Vedi L. ALONSO SCHÖKEL, Estúdios de Poética Hebrea, Barcelona 1963, 197s.
35
Bisogna aggiungere che, poco prima di Lowth, Ch. Schoettingen (Horae Hebraicae et
Talmudicae, Dresdae – Lipsiae 1733), pubblicò le sue dieci leggi dell’exergasia, riguardanti
cioè il parallelismo di due frasi che ripetono una simile idea; cf. R. MEYNET, Trattato, 37-42.
36
Il mondo giudaico medievale conosce la struttura concentrica, come dimostra una
riscrittura del Sal 67 nella forma della menorah, di cui prime testimonianze risalgono al XV
sec.; vedi S. SPERO, «The Menorah Psalm», Jewish Bible Quarterly 37 (2009), 12. Tuttavia il
fatto rimane isolato in quanto non testimoniato dalla presentazione di altri testi.
37
J.A. BENGEL, Gnomon Novi Testamenti, Tübingen 1742.
38
J. JEBB, Sacred Literature comprising a review of the principles of composition laid
down by the late Robert Lowth, Lord Bishop of London in his Praelectiones and Isaiah: and
an application of the principles so reviewed, to the illustration of the New Testament in a
series of critical observations on the style and structure of that sacred volume, London 1820.
39
Vedi R. MEYNET, Trattato, 57.
Il lavoro più rilevante di Thomas Boys viene espresso nei suoi due libri,
Tactica Sacra e A Key to the Book of the Psalms40. La seconda opera è più
ordinata e metodologica, sebbene l’autore stesso la ritenga ancora lontana da
«una visone perfetta»41. Dopo aver analizzato i diversi modi del parallelismo
dei distici, illustrati con degli esempi presi sia dalla poesia che dalla prosa
biblica, Boys passa all’esame dei Salmi, per proporre infine la composizione
di alcuni di loro per intero (ad es. Sal 96; 98; 101, 128). In conclusione del
suo studio sottolinea l’importanza dell’analisi compositiva per comprendere
meglio i testi biblici mediante l’esame dei rapporti tra i parallelismi, e in
particolare menziona l’utilità di quest’analisi per la critica testuale, per una
giusta traduzione e per poter riconoscere e apprezzare l’armonia compositiva
dei testi sacri. In più, Boys è consapevole di diversi «gradi» di parallelismo42,
a seconda del livello dell’organizzazione testuale, e si rivela assai preciso
nell’applicazione dei criteri che usa43.
Una decina di anni dopo, l’interesse rivolto alle prime opere dell’analisi
retorica biblica si fa sentire in Germania, specialmente grazie a Friedrich
Koester, David Heinrich Mueller e Johannes Konrad Zenner. Questi autori
sviluppano la teoria strofica, fondata dal primo di loro, secondo la quale la
poesia ebraica «è essenzialmente di natura strofica, cioè che dispone i versi in
gruppi simmetrici»44. La teoria, pur criticata per un forzato tentativo di
avvicinare la poesia ebraica alle forme della poesia greca, conserva il pregio
di estendere le leggi del parallelismo dei membri alle unità testuali superiori,
e di considerarli giustamente la chiave della composizione dei testi45.
Eppure lo sviluppo più fecondo dell’analisi retorica biblica continua
nell’ambito anglofono, specialmente con John Forbes e Ethelbert William
Bullinger. Il primo si interessa del «parallelismo dei numeri»46, ossia il valore
quantitativo del parallelismo, e anzitutto valorizza in modo più adeguato la
funzione delle strutture concentriche. Il contributo più rilevante del secondo è
invece l’uso di diverse forme tipografiche per migliorare la visualizzazione
dei rapporti formali nel testo riscritto.
Il novecento è un periodo di forte espansione dell’analisi retorica. Non c’è
posto qui per accennare all’opera di tutti gli autori che hanno contribuito a
questo sviluppo. Basti menzionare i nomi di George Buchanan Gray, Charles
———––
40
T. BOYS, Tactica Sacra. An attempt to develop, and to exhibit to the eye by tabular
arrangements, a general rule of composition prevailing in the Holy Scriptures, London 1824;
e il suo A Key to the Book of the Psalms, London 1825.
41
T. BOYS, A Key to the Book of the Psalms, 4.
42
T. BOYS, A Key to the Book of the Psalms, 220.
43
Vedi R. MEYNET Trattato, 80.
44
F. KOESTER, «Die Strophen oder der Parallelismus der Verse der Hebräischen Poesie»,
Theologische Studien und Kritiken 4 (1831), 47.
45
Vedi R. MEYNET Trattato, 81, per il giudizio più completo di questa teoria.
46
J. FORBES, The Symmetrical Structure of Scripture, Edinburgh 1854, 82.
———––
47
Le loro opere più rilevanti per l’analisi retorica sono rispettivamente: G.B. GRAY, The
Forms of Hebrew Poetry, Hodder and Stoughton, London 1915; Ch. SOUVAY, Essai sur la
métrique des Psaumes, St-Louis 1911; A. CONDAMIN, Le Livre d’Isaïe, Paris 1905, il suo Le
Livre de Jérémie, Paris 1920, e anzitutto Poèmes de la Bible, avec une introduction sur la
strophique hébraïque, Paris 1933; M. JOUSSE, «Le style oral rythmique et mnémotechnique
chez les verbo-moteurs», Archives de philosophie, II.IV, Paris 1925, ristampato poi in Le
Style oral, Paris 1981.
48
N.W. LUND, Chiasmus in the New Testament. A Study in Formgeschichte, Chapel Hill
1942, 40-41. Queste leggi possono essere sintetizzate nella maniera seguente: 1) il centro
segna sempre una svolta; 2) dopo il centro, il primitivo sviluppo del pensiero viene ripreso;
3) le idee identiche sono spesso collocate al centro e agli estremi, e non altrove; 4) le idee al
centro di un testo riappaiono spesso agli estremi del testo parallelo; 5) i termini rilevanti
esegeticamente tendono a occupare una posizione strategica nel testo; 6) grandi unità testuali
sono spesso delimitate da un’inclusione; 7) nella stessa unità testuale le forme chiastiche e
parallele non di rado si mescolano.
49
Ibid., 28. Si noti che Lund chiama «chiastiche» le strutture concentriche. Sebbene solo
esse siano nominate nel titolo del libro, l’A. non vi trascura neppure le costruzioni parallele.
50
E. GALBIATI, La struttura letteraria dell’Esodo, Roma, 1956; l’A. formula qui quindici
canoni della composizione dei testi narrativi della Bibbia, in buona parte notati già dai suoi
predecessori; vedi R. MEYNET Trattato, 104.
51
P. LAMARCHE, Zacharie IX-XIV. Structure littéraire et messianisme, Études bibliques
Nouvelle Série 33, Paris 1961.
52
A. VANHOYE, La Structure littéraire de l’Épître aux Hébreux, Paris 1963, 1976. Gli anni
del lavoro dell’A. sono finalmente incoronati dal suo commento L’Épître aux Hébreux. «Un
prêtre différent», Rhétorique sémitique 7, Pendé 2010 (tradotto in italiano, spagnolo e
inglese).
Nella parte finale del presente studio verranno esaminati alcuni esempi
concreti, presi dal Nuovo Testamento, che da un lato illustrano ulteriormente
le summenzionate caratteristiche della retorica biblica, e dall’altro lato mirano
a mostrare come quest’analisi sia utile, non solo per scoprire e presentare le
figure retoriche, ma anzitutto per interpretare i testi che ne fanno uso.
Uno dei pregi dell’analisi retorica biblica è senz’altro la distinzione di vari
livelli compositivi. Si potrebbe sintetizzare la rilevanza di questa distinzione
parafrasando la frase conosciuta dalla teoria di percezione Gestalt: «l’insieme
del testo è diverso dalla mera somma delle sue parti». La Bibbia è ben
composta non solo al livello delle piccole unità, ma anche ai livelli superiori,
fino a quello dell’insieme del testo, che forma un libro. La riscrittura e
———––
53
R. MEYNET, L’Évangile selon saint Luc: Analyse rhétorique, I-II, Paris 1988 (deuxième
édition : L’Évangile de Luc, Rhétorique sémitique 1, Paris 2005 ; troisième édition, Pendé
2011) ; trad. italiana, Il vangelo di Luca, Retorica biblica 1, Roma 1994 ; Retorica biblica 7,
Bologna 2003.
54
P. BOVATI – R. MEYNET, Le Livre du prophete Amos, Rhétorique biblique 2, Paris 1994.
55
A proposito dell’analisi compositiva di libri biblici interi si possono aggiungere qui gli
studi più recenti: T. KOT, La fede, via della vita, Composizione e interpretazione della lettera
di Giacomo, Retorica biblica 6, Bologna 2003; J. ONISZCZUK, La Prima Lettera di Giovanni.
La giustizia dei figli, Retorica biblica 11, Bologna 2009, e R. MEYNET, La lettera ai Galati,
Retorica biblica 17, Bologna 2012.
56
La versione francese esce una anno prima: Traité de rhétorique biblique, Rhétorique
sémitique 4, Paris 2007.
13
E non meravigliatevi, FRATELLI, se odia voi il mondo.
14
Noi sappiamo che siamo passati dalla morte nella vita,
perché AMIAMO I FRATELLI.
---------------------------------------------------
Chi non AMA, rimane nella morte.
---------------------------------------------------
15
Ognuno che odia IL FRATELLO SUO, omicida è,
e sapete, che ogni omicida non ha la vita eterna in lui rimanente.
16
In questo abbiamo conosciuto L’AMORE,
che EGLI per noi LA VITA SUA HA POSTO, e noi dobbiamo per I FRATELLI LE VITE PORRE.
------------------------------------------------------------------------------------------------------
17
Infatti, se uno ha beni del mondo e vede che IL FRATELLO SUO ha bisogno,
ed esclude la compassione sua verso di lui,
come L’AMORE di Dio può rimanere in lui?
Nel testo, che proviene dal cuore della sequenza centrale della 1Gv, tutte e
tre le summenzionate caratteristiche della retorica biblica sono ben visibili60.
La binarietà e la paratassi si possono notare facilmente nelle parti estreme,
che si distinguono per le ripetizioni, spesso in opposizione, e per la presenza
delle uniche due domande nel passo (12.17), l’ultima delle quali è retorica. La
prima parte ripete due volte i termini «ha sgozzato» e «il fratello suo», mentre
l’ultima parte ripete due volte il sostantivo «l’amore» e il sintagma «porre la
vita/le vite», una volta in riferimento a Cristo e l’altra in riferimento ai
cristiani. La binarietà e la paratassi non mancano neppure nella seconda parte,
segnata dall’opposizione tra «la vita» e «la morte», ciascuna ripetuta due
———––
59
Per la composizione e l’interpretazione dell’insieme della sequenza di Mt 7,13-27, si
veda G. LORI, Il Sermone della Montagna, 200-202.
60
Per una più dettagliata analisi della composizione vedi J. ONISZCZUK, La Prima Lettera
di Giovanni, 117-121.
volte, e tra l’«amare» e l’«odiare», pure essi ripresi due volte. Anche alcuni
altri vocaboli ricorrono due volte in questa parte: i sostantivi «fratelli» (al
plurale) e «omicida», i verbi «rimanere» e «sapere».
Le parti estreme sono parallele in quanto oppongono la figura di Caino,
con il suo delitto (12), e la figura di Cristo (cf. «Egli»), con la sua opera
salvifica (16). Va notato che Caino è l’unico personaggio dell’AT menzionato
in tutta la 1Gv. Intanto, tra le parti estreme esiste un doppio rapporto. I loro
primi versetti fungono similmente da introduzione, che espone una sorta di
principio, legato all’amore reciproco (11), o modello di amore (16); i loro
ultimi versetti (12 e 17) danno invece un’illustrazione del suddetto principio.
Da un lato, Caino sta in antitesi a Cristo, ma, allo stesso tempo, trova il suo
parallelo (al negativo) nell’indefinito «uno» (17) che non si prende cura del
proprio fratello. Dall’altro lato, Cristo, non solo si oppone a Caino, ma la sua
figura mira anche a illustrare (al positivo) il principio dell’amore fraterno,
spiegando, in modo concreto, come bisogna «amarsi gli uni gli altri» (11).
Il passo, essendo organizzato in maniera concentrica, illustra molto bene
anche la terza caratteristica della retorica biblica. La parte centrale diventa
infatti la chiave del passo, non solo perché aiuta a cogliere la relazione tra le
parti estreme, ma anzitutto perché fa vedere che il fondamento di questa re-
lazione è il legame della fratellanza, segnata dall’amore reciproco. La parte
centrale si apre infatti con il vocativo «fratelli», unico in tutta la Prima Lettera
di Giovanni, e indica che il passaggio spirituale dalla morte alla vita61 avviene
grazie all’«amare i fratelli» (14). Questo tema centrale aiuta a capire meglio il
messaggio delle parti estreme. Se la relazione della fratellanza è già in qualche
modo presupposta nel caso di Caino (12), che ha ucciso suo fratello Abele (cf.
Gen 4,8), ciò non è tanto evidente nel caso di Cristo, benché egli sia presentato
come modello dell’amore fraterno (16)62. Ma grazie al messaggio della parte
centrale diventa chiaro che Cristo va compreso anzitutto come fratello. Mentre
Caino diventa la figura di un fratello-nemico63, che «odia» e «uccide»,
togliendo la vita al proprio fratello, Gesù diventa un Fratello-Amico, che ama
e dà la propria vita per i fratelli. Cristo non è dunque come Abele64, perché
non perde la vita, ma la offre liberamente. La vera opposizione infatti non è tra
i due fratelli Caino e Abele, l’omicida e la sua vittima, che segnano gli inizi
———––
61
Si noti che i sostantivi «la vita» (hƝ zǀƝ) e «la morte» (ho thanatos) nella parte centrale
vanno intesi nel senso spirituale (cf. «la vita eterna», in 15), mentre «la vita» (hƝ psychƝ)
nell’ultima parte si riferisce alla vita fisica.
62
Il versetto 16: «In questo abbiamo conosciuto l’amore, che egli ha dato la sua vita per
noi; e noi dobbiamo dare la vita per i fratelli», che è intanto un bell’esempio della paratassi, è
interessante, perché cambia un po’ la logica: la conseguenza del fatto che Cristo ha dato la
vita per noi non è che noi dobbiamo dare la vita per lui, ma «per i fratelli»! Così, l’amore di
Dio datoci nel suo Figlio non va «restituito» alla sua fonte, ma deve circolare tra i fratelli.
63
Si noti però che Caino non viene mai nominato «fratello» né in Gen né nella 1Gv, quindi
più propriamente bisognerebbe parlare di «un non-fratello».
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Sembra significativo che il nome di Abele non viene menzionato nella Lettera.
della storia umana, ma tra Caino e Gesù, l’omicida e il donatore della vita, che
segnano l’inizio e la fine della storia della salvezza. Così, Gesù in quanto
Fratello sta in antitesi a Caino, ma in quanto Verbo Incarnato, pieno di vita
(Gv 1,4.14), si oppone al male, che si è «incarnato» nel primo fratello che ha
commesso il fratricidio.
Finora non si è detto niente del cuore del passo, cioè il brano centrale della
parte centrale. La minacciante frase: «Chi non ama, rimane nella morte» (14)
può sconcertare, specialmente perché segna il vero centro di tutta la 1Gv65, che
apparentemente non sembra altro che una bella lettera sull’amore di Dio. La
frase è in sintonia con il contesto immediato, marcato dall’opposizione tra
Caino e Cristo, rovesciando però la prospettiva. Infatti, Caino da aggressore,
che uccide fisicamente, diventa lui stesso vittima della sua azione, perché
l’odio covato per il fratello lo costringere a rimanere nella morte spirituale.
Cristo invece dando liberamente la sua vita per i fratelli, non la perde, perché
la dà per amore. Dall’altro lato, la frase, in quanto formulata in maniera tanto
assoluta e indefinita (cf. «chi»)66, ha un forte valore retorico, perché provoca
ogni lettore a interrogarsi sul proprio rapporto con i fratelli. Così, il testo
biblico pone di fronte al lettore le due realtà, esponendo il loro carattere
antitetico, e lo lascia libero di decidere da quale parte stare67.
L’unico vocativo «fratelli», nella 1Gv, collocato al centro del passo, è
dunque un chiaro segnale, che aiuta a cogliere la giusta prospettiva in cui va
considerato tutto il passo. Ora è opportuno situare questo passo nel suo
contesto più ampio, per capire che la fratellanza non è l’unica dimensione, pur
cruciale, nella quale vive la comunità giovannea, a cui l’Autore rivolge la sua
Lettera. Il passo fa parte di una sequenza, che viene formata da tre passi
disposti in maniera concentrica. Anche in questo caso i vocativi si rivelano un
efficace strumento retorico, che aiuta a scoprire il messaggio chiave del testo.
Non c’è posto qui per analizzare tutta la complessità del testo, tanto ricco,
della sequenza centrale della Prima Lettera di Giovanni. Perciò la tavola di
composizione evidenzia solo alcuni dei principali rapporti formali, che
trovano la loro espressione nel testo. Anzitutto bisogna notare la regolarità e
il significato dei vocativi, che nella 1Gv diventano un vero principio della
organizzazione del testo. I vocativi, «amatissimi» (2.21) e «figli» (7.18),
segnano l’inizio di ciascuna delle quattro parti, che formano i passi estremi, e
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65
Il testo costituisce il passo centrale della sequenza centrale della 1Gv.
66
L’espressione «chi non ama» traduce gr. ho mƝ agapǀn, in cui l’articolo, che precede il
participio, lo rende sostantivato e indefinito (lett. «il non amante»).
67
Non dovrebbe sfuggire il fatto che l’atteggiamento di «uno» che esclude la sua compas-
sione per un fratello bisognoso (17), è messo in parallelo con l’atteggiamento di Caino (12);
così in maniera molto forte viene contestualizzato il male dentro la comunità giovannea.
il vocativo «fratelli» (13) apre la seconda parte del passo centrale, analizzato
in precedenza. La loro distribuzione è perfettamente simmetrica e in più il
significato di ciascuno lascia la sua impronta sul messaggio del testo. Infatti, i
temi dell’amore, della figliolanza e della fratellanza, permeano tutta la
sequenza e lo fanno in maniera molto regolare.
2
AMATISSIMI, ora FIGLI DI DIO siamo, e ancora non è stato manifestato ciò che saremo.
Sappiamo che, quando sarà manifestato, simili a Lui saremo, perché lo vedremo come è. 3 E
ognuno che ha questa speranza in Lui, purifica se stesso, come Egli è puro. 4 OGNUNO CHE FA IL
5
PECCATO ANCHE L’INIQUITÀ FA; infatti il peccato è l’iniquità. E sapete che Egli è stato manifestato,
affinché i peccati togliesse, e peccato in Lui non c’è. 6 OGNUNO CHE IN LUI RIMANE, NON PECCA;
ognuno che pecca non lo ha visto, né lo ha conosciuto.
7
FIGLI, nessuno inganni voi, CHI FA LA GIUSTIZIA, È GIUSTO, COME EGLI È GIUSTO. 8 Chi fa il peccato,
dal diavolo è, perché fin dal principio il diavolo pecca. In questo è stato manifestato il
FIGLIO DI DIO, affinché distruggesse le OPERE del diavolo. 9 Ognuno che è stato generato
da Dio non fa peccato, perché seme di Lui in lui RIMANE, e non può peccare, perché da Dio è
stato generato. 10 In questo manifesti sono I FIGLI DI DIO e I FIGLI del diavolo: OGNUNO CHE
NON FA GIUSTIZIA, NON È DA DIO, come pure chi NON AMA IL FRATELLO SUO.
11
Poiché questo è il messaggio, il quale avete ascoltato fin dal principio, che AMIAMO
12
GLI UNI GLI ALTRI. Non come CAINO che dal maligno era e ha sgozzato IL FRATELLO
SUO. E per quale motivo ha sgozzato lui? Poiché le sue OPERE erano maligne, mentre
quelle del FRATELLO SUO GIUSTE.
13
E non meravigliatevi, FRATELLI, se vi odia il mondo. 14 Noi sappiamo che
siamo passati dalla morte nella vita, perché AMIAMO I FRATELLI. Chi NON AMA
15
RIMANE nella morte. Ognuno che odia IL FRATELLO SUO è omicida e sapete che
nessun omicida ha la vita eterna che in lui RIMANE.
16
In questo abbiamo conosciuto L’AMORE, che EGLI ha posto la sua vita per noi, e noi
dobbiamo porre le vite per I FRATELLI. 17 Infatti, se uno ha beni del mondo e vede che
IL FRATELLO SUO ha bisogno ed esclude la sua compassione per lui, come L’AMORE di
Dio può RIMANERE in lui?
18
FIGLI, non AMIAMO con parola né con la lingua, ma con OPERA e verità. 19 E in questo
conosceremo che dalla verità siamo, e davanti a Lui rassicureremo il nostro cuore, 20 ogni
volta che ci accusa il cuore, perché maggiore è Dio del nostro cuore e conosce tutto.
21 22
AMATISSIMI, se il nostro cuore non ci accusa, abbiamo fiducia presso Dio, e se qualcosa
chiediamo, riceviamo da Lui, perché I SUOI COMANDAMENTI OSSERVIAMO e le cose gradite davanti a
Lui facciamo. 23 E questo è il suo comandamento che crediamo al nome del FIGLIO DI LUI,
Gesù Cristo, e ci AMIAMO GLI UNI GLI ALTRI, come ha dato comandamento a noi. 24 E CHI OSSERVA I
SUOI COMANDAMENTI IN LUI RIMANE E LUI IN LUI. E in questo conosciamo che Egli RIMANE in noi, dallo
Spirito, il quale ha dato a noi.
Mentre i passi estremi sono dominati dalle ricorrenze dei termini «i figli»
(gr. ta tekna, 2.7.10.18) e «il Figlio» (gr. ho hyios, 8.23), il passo centrale è
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68
Un’occorrenza di «fratello» si trova anche alla fine del primo passo (10), ma serve a
introdurre il tema, elaborato poi nella parte centrale.
69
Il modo di presentare il tema della figliolanza divina, mettendo cioè al centro il tema
dell’amore fraterno, rafforza l’opinione di molti studiosi, secondo i quali uno dei principali
problemi della comunità giovannea fosse legato ai rapporti tra i suoi membri.
La certezza del dono della VITA ETERNA nel FIGLIO DI DIO C (5,13-21)
RIASSUNTO
ABSTRACT