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Maurizio Guidi

«NONÈ QUI,
'
E RISORTO>>
I racconti di risurrezione
e la loro rilettura nella Veglia pasquale

b
SAN PAOLO
© EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2015
Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano)
www.edizionisanpaolo.it
Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l.
Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano)

ISBN 978-88-215-9469-4
Alle donne della mia comunità ecclesiale.
Da loro ispirato, a lòro dedicato.
INTRODUZIONE

Fin dall'antichità, la tradizione cristiana ha tributato


grande onore ad alcuni simboli liturgici. Legato a que-
sti, spicca la cura che da sempre circonda l'ambone, la
sede e l'altare. Circa quest'ultimo, la venerazione portò
ben presto (già dal IV secolo) a elaborati abbellimenti
con l'impiego di materiali molto preziosi: lamine dora-
te, marmi, intarsi o stoffe pregìate. Nacque così il pallium
o antependium che, a partire dal XV secolo, la tradizione
eccles~ale ricorda soprattutto con il nome di paliotto: una
decorazione della parte anteriore dell'altare, spesso mol-
.to pregiata che, soprattutto a partire dal tardo Cinque-
cento, ebbe un notevole sViluppo nell'arte sacra europea.
Nella famiglia francescana (nata nei primi anni del
XIII secolo) i paliotti, dovendo commisurarsi con un'ar-
te piuttosto povera, divennero spesso dei pannelli mo-
bili in semplice stoffa amorevolmente decorata, impie-
gati, in prevalenza, per porre in rilievo le feste maggio-
ri dell'anno liturgico. Talvolta il paliotto si limitava a
piccoli ovali che_,introdotti in una struttura lignea fissa,
segnalavano la peculiarità della festa che si stava cele-
brando:_il Corpus Domini, la Natività, la Pasqua, alcu-
ne feste dei santi ecc. ·

7
Una funzione simile a quella dei paliotti- e in speci-
fico quelli appena menzionati - mi pare essere assunta
dalle pericopi evangeliche della Veglia pasquale, l'unico
elemento variabile di una struttura liturgica sempre
uguale a se stessa (almeno per ciò che riguarda il Lezio-
nario) che affida al testo evangelico il compito di dare
la tonalità specifica a quella Pasqua 1• È così che nella
sequenza fissa delle otto letture dell'Uno e dell'Altro Te-
stamento si inserisce, secondo un ritmo triennale, l'an-
nuncio di risurrezione ora di Matteo, ora di Marco, ora
di Luca.
Lo scopo delle pagine che seguono è quello di inda-
gare come questi tre "ovali" evangelici si inseriscano
nella struttura che li sostiene, e mostrare come i signifi-
cati sprigionati dai testi sacri siano causati dalla relazio-
ne dei tre ann~nci con il loro ambito di proclamazione
o, detto altrimenti, dal fondamentale rapporto che in-
tercorre tra testo e contesto, dinamica messa ben in evi-
denza dalla ricontestualizzazione liturgica.
Per tale motivo, all'analisi dei testi evangelici premet-
teremo alcune riflessioni di carattere metodologico con
·l'intento di fornire al nostro lettore quegli strumenti che
gli saranno utili, non solo per una comprensione più ap-
profondita dei tre racconti di risurrezione ma, più in
generale, per poter acquisire una modalità di lettura va-
lida per ogni testo.
L'approccio a questo primo capitolo è opportuno
per orientare la lettura; tuttavia vi si può accedere an-

1
Qui, e nel prosieguo della riflessione, facciamo riferimento ai testi del
Lez::ion~riodel Messal.e Romano promulgato da papa Paolo VI.

8
·che dopo previa immersione nei tre racconti proposti.
Questo secondo itinerario, per alcuni versi, sarebbe
preferibile.
La prospettiva d'analisi sarà, ovviamente, quella di
un biblista. Non ce ne vogliano i colleghi liturgisti.

Ringrazio sinceramente il prof. Stefano Zeni per il


prezioso confronto esegetico e la prof.ssa Lucia Bodec-
chi per la revisione del testo.

9
I

TESTI IN CONTESTO

1. Per introdurre il problema

1.1. La liturgi,a e le sue ~letture bibliche

Chiunque abbia provato a meditare un testo bibli-


co tratto dal Lezionario della Messa o, ancor più, ab-
bia tentato di guid~r~ un'assemblea nel fare esperien-
za di Dio che parla alla sua Chiesa mediante la pro-
clamazione liturgica, si sarà più volte imbattuto nella
problematica di come mettere in relazione le letture
proposte. Avrà inoltre riscontrato, con una certa me-
raviglia, che i testi liturgici non corrispondono del tut-
to a quelli riportati nella Bibbia. Talvolta mancano dei
versetti, in altre occasioni il naturale finale narrativo è
omesso, non di rado si aggiungono brevi parole intro-
duttive per riallacciarsi a un tema o ad una circostan-
za specifica.
Un biblista, per esempio, si troverà certo a disagio
quando la notte di Pasqua dovrà proclamare Mc 16, 1-7,
consapevole che lo sconvolgente e pregnante v. 8 di que-
sto capitolo finale di Marco è stato omesso. Stessa cosa
awerrà nella Solennità dell'Annunciazione (25 marzo)

11
quando si scoprirà che la profezia di Is 7, 10-14 si con-
clude con poche parole estrapolate dal capitolo succes-
sivo: «7•14Ecco: la vergine concepirà e partorirà un fi-
glio, che chiamerà Emmanuele, 8•10perché Dio è con
norn.
Chi abbia un po' di dimestichezza con i testi biblici
non può non rimanerne sorpreso, talvolta disorientato,
sollevando ben presto delle obiezioni a tale modalità di
maneggiare la Scrittura.
La liturgia non agisce unicamente sui testi - median-
te questi piccoli ma significativi ritocchi - , ma intervie-
ne principalmente sui contesti, ricollocando i brani bi-
blici in situazioni comunicative mutate.
Si prenda per esempio l'utilizzo liturgico di Mt 1, 18-
25. La prassi odierna riserva il testo della cosiddetta an-
nunciazione a Giuseppe per diverse occasioni. Tra que-
ste µ 18 dicembre, sottolineandone il carattere profetico
(abbinato a Ger 23,5-8), e la M essa vigiliare del Natale
(abbinato a Is 62, 1-5), accentuandone invece il caratte-
re di compimento gioioso. Il brano è poi impiegato in
altri contesti celebrativi con diseguali accenti tematici:
nella solennità di san Giuseppe, dove l'attenzione è fo-
calizzata sullo sposo di Maria; nella memoria del San-
tissimo nome di Gesù, ove l'accento cade sul significato
del nome; infine nel Comune della Vergine Maria. Lo
stesso testo, in ragione del contesto, acquista una can-
giante valenza semantica.
Un'osservazione simile potrebbe essere fatta, tra gli
altri, per il testo delle beatitudini matteane (Mt 5, 1-12),
proclamato dalla liturgia nella Solennità di Tutti i San-
ti, nella Commemorazione dei Fedeli Defunti, ·nelle li-

12
turgie dei matrimoni, nelle memorie dei martiri, e nella
IV domenica del Tempo Ordinario/A.
Esempi del genere potrebbero moltiplicarsi, ma que-
sti possono essere sufficienti per comprendere un mec-
canismo costan temente all'opera nella comunicazione
e, dunque, nella trasmissione della Rivelazione, la qua-
le non prescinde dalle parole e dalle modalità umane 1•
Cos'è allora che rende fruibile ed eloquente un testo
in così svariati contesti di proclamazione? E soprattutto,
cos'è che permette di esplicitare la sua potenzialità
semantica, di regolarla, di variarne gli accenti, pur in
un arco non infinito di significati?

1.2. Un «problemr})) non solo liturgi,co

Non è nostra intenzione trattare qm i princ1p1


dell'ermeneutica liturgica della Bibbia, per la quale
rinviamo a specifiche trattazioni2 . Tuttavia-ci pare op-
portuno offrire almeno alcuni basilari chiarimenti sul
problema appena suscitato, per poi connetterlo alla
nostra prospettiva: il rapporto tra testo scritto e conte-
sto d'uso.
Per quanto concerne le esemplificazioni citate so-
pra (differente è la questione per il Lezionario feriale),
il criterio principe di riferimento per la liturgia è quel-
lo tematico. In base ad un tema che tiene insieme due

1
Cfr. Concilio Vaticano II, Costitu<:ione dogmatica sulla Divina Rivela<:ione
Dei Verbum, 12.
2 Per un primo ma significativo approccio, suggeriamo l'agile contributo

di R . D e Zan, I moluplici tesori dell'unica Parol.a, Messaggero, Padova 20122. Si


trovano qui, con abbondanti esempi, alcuni chiarimenti sui princìpi che det-
tano queste operazioni liturgiche sui testi biblici.

13
o più letture, alcuni elementi testuali vengono valoriz-
zati, altri - magari centrali nel contesto originario -
attenuati o addirittura omessi. Il contesto che determi-
na il tipo di comunicazione trasmessa non è più ristret-
to all'ambito letterario della Scrittura - che il biblista
cerca sempre di salvaguardare - ma ampliato a quello
liturgico offerto dal Lezionario e dalla celebrazione,
che diviene prioritario per la rilettura liturgica del te-
sto biblico. I Praenotanda del Messale Romano vi fanno
esplicito riferimento:

Un solo e identico testo si può leggere e usare sotto diver-


si aspetti, e anche in diverse occasioni e celebrazioni
dell'anno liturgico. Cosa da tenersi presente nell'omelia,
nell'esegesi pastorale e nella catechesi. Dagli indici dell' Or-
dinamento del/,e Letture della Messa risulta a tutti evidente l'uso
variato, per esempio, di Rrn 6 e Rrn 8 nei diversi tempi
dell'anno liturgico. e nelle diverse celebrazioni dei sacra-
menti e dei sacramentali (Praenotanda Ordo Lectionum Missae,
3, nota 7).

La liturgia, dunque, non fa altro che evidenziare e


sfruttare un principio che è costantemente alPopera nel-
la comunicazione umana, la quale può essenzialmente
essere compresa come quella capacità di due o più in-
terlocutori di convergere su un contesto proprio. Muta-
to il contesto, il significato del testo3 acquisirà nuova,
talvolta imprevedibile, luce.

3 Il
concetto cli «testo» è qui ripreso nella sua accezione più ampia a in-
tendere qualsiasi segno strutturato in ordine a una comunicazione: un'opera
d'arte o un film, al pari cli un racconto biblico o un'omelia. Su questo argo-
mento cfr. y. Eco, Opera aperta, Bompiani, Milano 1962.

14
Tale meccanismo - e il biblista ne è ben consap evo-
le - non è d'altronde ristretto alla prassi liturgica, ma
appartiene intrinsecamente alla letteratu ra biblica. Dal
punto di vista letterario, la rilettura di tradizioni note in
contesti mutati è ciò che ha dato origine al testo sacro.
Giusto p er fare un esempio di una regola strutturante,
si p ensi alle citazioni del Primo Testamento presenti nel
Nuovo, ma anche al principio stesso che soggiace alla
teoria sinottica delle «due fonti»4 •
Appare ora chiaro quanto il p roblema ermeneutico
della comunicazione ruoti intorno alla questione conte-
stuale. All'origine della comunicazione sta sempre la
p arola in contesto. Il cambiamento dello sfondo in cui
il testo viene collocato fa sì che una parola, una frase,
un brano biblico assumano significati diversi. Così dei
motivi già presenti nei testi vengon o esaltati, assumendo
valore tematico, e temi centrali vengono attenuati, dive-
nendo ora ~otivi di complemento 5 . L'asse comunicati-
vo si è spostato da un piano all'altro, dallo sfondo al ri-

4
Sarà utile per il lettore tenere presente questa prospettiva storica rela-
tiva all'origine dei Vangeli. Secondo la teoria più accreditata (quella detta
delle «due fonti» , appunto) i Vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca)- det-
ti tali in quanto riportano un comune impianto narrativo ed episodi simili
- sarebbero stati originati da due fonti letterarie. La prima di queste è rap-
presentata dallo stesso Vangelo di Marco; l'altra, ipoteticamente ricostruita
sulla base delle intersezioni e differenze dei tre, è detta dagli esegeti «fonte
Q?>. Tale teoria diviene importante in ottica comunicativa. Notare gli espli-
citi interventi di Matteo e Luca sulla fonte che ha fatto loro da canovaccio
sarà significativo: in essi (correzioni, spostamenti, omissioni, aggiunte, sinte-
si, spiegazioni) si manifesterà un ragguardevole segnale del loro intento co-
municativo.
5 Simile alla distinzione esistente in ambito musicale, così anche in cam-

po letterario si differenzia il «tema>> dal «motivo», l'idea di fondo che tiene


unito semanticamente un testo da ciò che vi ruota intorno e la arricchisce.
Per approfondimenti, cfr. C . Segre, Avviamento all'analisi del testo letterario,
Einaudi, Torino 19992, 331-359.

15
lieve, mutando decisamente gli accenti e le tonalità del-
la comunicazione originaria.
In sintesi, comprendere il° p eculiare significato di un
testo biblico utilizzato in ambito liturgico significa avere
la capacità di saper cogliere quello scarto semantico che
viene a verificarsi ogni qualvolta si traspone un testo dal
proprio ambito letterario a un nuovo contesto che, nel
nostro caso, è la relazione a una rete organica di rac-
conti biblici, ma anche all'apparato eucologico e cele-
brativo dell'azione liturgica.
Su questa basilare proposta teorica offriremo solo
brevi spunti. È bene però tenere presente questo per-
corso metodologico e soprattutto il fatto che la destina-
zione liturgica rimane l'ultimo e proprio contesto comu-
nicativo (ermeneutico) del testo biblico6.
Scongiurato un sommario giudizio sull'atteggiamen-
to liturgico nei confronti della Scrittura, occorre, d'altra
parte, auspicare un maggior dialogo tra biblisti e litur-
gisti nell'approfondimento della ricerca, affinché la
Scrittura proclamata nel Rito sia sempre più l'evento di
un Dio che continua a consegnarsi all'uomo nella fra-
gilità della parola umana.

6Cfr. Pontificia Commissione Biblica, L'ìnterprttazione dtlla Bibbia nella


Chìtsa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1993, 110-111; Sacro-
sanctum Concilium 7. ··

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2. Testo e contesto: quale rapporto?

2.1. La, questione contestuale

SFONDO NARRATIVO PRIMO PIANO DISCORSO

In spiaggia
sul litorale toscano,
un bagnante si «Bagnino? Ci sono squali
avvicina: qui?».
Il bagnino risponde:
«No, tranquillo, vada
pure.
Hanno troppa paura dei
coccodrilli!».
(rielaborazione da Achille Campanile)

Se la situazione proposta sopra suscita una certa ila-


rità, è perché intuitivamente riusciamo a capire l'equi-
voco che si è venuto a creare tra i due interlocutori. Ciò
che non funziona in questa conversazione - o meglio,
funziona benissimo a livello comico - non sono tanto le
regole sintattiche (come disporre le parole in una frase), le
competenze semantiche (la comprensione dei vocaboli) o la
non condivisione di uno stesso codice linguistico (l'italia-
no, il greco, ma anche un linguaggio tecnico), bensì il
mancato riconoscimento delle intenzioni del parlante,
ovverosia la capacità di mettere in relazione ciò che è
stato detto con il proprio contesto d'uso. Tale capacità
di usare in modo poliedrico frasi e parole è detta compe-
tenza pragmatica.
Le espressioni comunicano (secondo l'intenzione del
parlante) molto di più di quanto in realtà non clic.a no a

17
livello convenzionale (ciò che può registrare un dizio-
nario o una grammatica). Affinché una comunicazione
possa·riuscire, occorre che parlante e destinatario, testo
e lettore, cooperino: interrogandosi, facendo ipotesi su
cosa si sta dicendo, riempiendo tutti quei "buchi" in-
formativi lasciati in sospeso o dati per scontato, conver-
gendo progressivamente sul contesto proprio di quella
comunicazione. Va da sé che in una relazione orale ta-
le dinamica è reciproca, mentre nel testo scritto sarà il
lettore a immettersi in questa relazione, che tuttavia il
testo prevede e attende. Questa è la pragmatica, per
come la intendiamo nella nostra ottica comunicativo-let-
teraria.

Nessun fenomeno può essere studiato separatamen-


te dal contesto a cui appartiene. Un dizionàrio sarà cer-
to utile per comprendere le possibilità indicizzate di un
termine ch e non si conosce; ma una lingua non nasce e
non vive in un dizionario. Le parole si trovano sempre
in un testo, su uno sfondo narrativo e cognitivo, legate
a situazioni, in relazione tra loro e con il mondo, con-
nesse a eventi, fisici o letterari, e dunque in contesto, in
quell'ambiente comunicativo che precede e determina
il senso degli «oggetti» che in esso trovano la loro collo-
cazione.
Ogni parola o frase, ogni brano o composizione, pos-
siede un potenziale semantico mai totalmente prevedi-
bile a priori dalle convenzioni linguistiche. Testo e con-
testo, linguaggio e processi comunicativi reali sono in-
scindibilmente legati tanto che la dipendenza contestua-
le può essere compresa quale proprietà essenziale del
linguaggio umano e, dunque, anche del testo rivelatò.

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2. 2. I passi della ricerca

Una volta individuato nel contesto il fulcro della co-


municazione, il problema è ben lontano dall'essere ri-
solto. Addentrandosi in uno studio della questione con-
testuale si scopre rapidamente di avere poggiato i piedi
su un terreno particolarmente instabile. Innanzi a noi
si aprono scenari piuttosto foschi, raramente attraver-
sati da sprazzi di luce. Si riscontra subito una certa con-
fusione - terminologica innanzi tutto -, nonché una va-
. rietà piuttosto spiccata di approcci a una realtà che, in
prima battuta, ci sembrava così scontata.
Lungi dal chiarificarsi, il contesto diviene - per uti-
lizzare una celebre espressione di Y Bar-Hillel - ben
presto come un ripostiglio dove gettare e ritrovare un
po' di tutto 7: aspetti linguistici, semantici, sintattici, ora
fattori extralinguistici, la gestualità, il tono, vari aspetti
fisici della situazione, elementi prossimali o remoti rin-
vii, ora entità mentali e psicologiche. L'intero mondo
intorno a un testo dovrebbe essere preso in considera-
zione. Ma se tutto è contesto - e il contesto è determi-
nante per comprendere una comunicazione - allora
ogni cosa diviene basilare e niente, dunque, realmente
significativo!
Per non tediare il nostro benevolo lettore con que-
stioni che potrebbero scoraggiarlo nel proseguire la let-

7 Parafrasando la nota immagine di pragmatica concepita come «cestino

dei rifiuti» della teoria semantica, rintracciabile in Y Bar-Hillel, «Out of the


pragmatic wastebasket», Linguistic lnquiry 2 (1971) 401-407, la applichiamo
qui al contesto. L'ambigua reazione inizialmente avuta in ambito linguistico
nei confronti della pragmatica si traspone, in sede esegetica, alle questioni
contestuali, ora espunte dal vivo delle analisi perché non conformi ai model-
li ermeneutici proposti, ora riprese come fattori decisivi per decretare il va-
lore semantico di un testo!

19
tura (malauguratamente ciò stesse per accadere, lo in-
vitiamo a passare immediatamente oltre!), ci limitiamo
qui a sintetizzare i passaggi della problematica, per giun-
gere subito ai punti salienti della ricerca attuale. Eviden-
ziamo solo gli elementi maggiormente significativi per
il tipo di analisi testuale che proporremo.

a) L'apporto della Linguistica Testuale

A partire dalla metà dello scorso secolo, indagando


sulle peculiarità di quella comunicazione che si instaura
tra testo scritto e lettore (è questo l'ambito a cui ci de-
dicheremo), la Linguistica Testuale ha apportato alcuni
chiarimenti alla ricerca, aiutandola perlomeno a distin-
. guere le problematiche e gli ambiti di analisi. Si è così
affermata una prima distinzione tra

- testo, unità linguistica coesa, in quanto alla sintassi,


e çoerente, in quanto alla semantica;
- co-testo, porzione testuale che accompagna, ed è
intesa, per la éomprensione di un determinato brano;
- e contesto. Mentre le definizioni dei primi due ele-
menti (testo e co-testo) vengono generalmente accolte,
in questa fase iniziale della ricerca il concetto di conte-
sto resta ancora piuttosto nebuloso, in quanto include
elementi linguistici al pari di quelli extratestuali (le con-
dizioni storiche in modo specifico). Nonostante i nume-
rosi tentativi, una definizione soddisfacente stenta a im-
porsi fino alle indagini più recenti.

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b) La ricerca oggi: la comunicazione coine relazione

Dopo alcuni decenni d'indagine - soprattutto in vir-


tù di un cambiamento offerto da modelli alternativi di
comunicazione (propriamente si parla di modelli con-
testuali e inferenziali)- si è recentemente compreso che,
alla base delle varie proposte per definire il contesto e
la sua funzione, soggiace, in realtà, il modo stesso di
comprendere la comunicazione umana e, in specifico,
la differenza tra uno scambio avviato mediante un testo
scritto e una conversazione orale. Sganciatasi da un in-
genuo modello rriatematico-meccanicistico, inteso come
trasferimento di un pacchetto di dati da un soggetto
all'altro, la comunicazione è sempre più compresa come
relazione e, in specifico, come manifestazione, e riconoscimen-
to, delle intenzioni comunicative. Tali intenzioni - in un
testo scritto - sono palesate esclusivamente mediante
strumenti linguistici, che spetta al lettore riconoscere: la
sintassi, la semantica, la «fisionomia» di un testo (para-
gonabile, per alcuni aspetti, al volto e alle espressioni del
nostro interlocutore), il genere letterario, l'alternanza
tra sfondo e primo piano, il ritmo narrativo, le incoe-
renze, le stranezze ecc.
Pur ancora in discussione, si è recentemente giunti a
suggerire alcuni elementi essenziali della questione con-
testuale, che qui riepilogo con tre osservazioni.

(1) Parlando di contesto, più che appellarsi a un'astrat-


ta e inqualificabile categoria ermeneutica (principio che
regola l'int~rpretazione) capace di comprendere ogni
possibile elemento linguistico ed extralinguistico, occor-
re parlare sempre al plurale di «contesti», specificando

21
di volta in volta l'orizzonte e i limiti nei quali la singola
analisi si muove. Un conto è un'analisi storica (e il con-
testo avrà qui dei connotati storici), un conto è una let-
teraria, un conto è una psicologica.

(2) Il rapporto testo-contesto è il cardine stesso di ogni


comunicazione e non può essere relegato ai margini o
in appendice a una seria investigazione linguistica.
Ogni .c omunicazione naturale, in quanto convergen-
za di soggetti su un contesto proprio, è il luogo della ri-
conciliazione dei due poli della problematica contestua-
le: la parola agisce sul contesto, il contesto agisce sulla
parola. In questa duplice prospettiva trovano la loro
espressione anche i due versanti di una qualsivoglia in-
terazione comunicativa, cioè l'ottica del parlante e qu.el-
la del destinatario o, detto altrimenti, la prospettiva che
genera il testo (gli aspetti storici e fisici che gli hanno da-
to vita), e quella interpretativa del destinatario (o letto-
re-uditore, nel nostro caso).
È a questo livello che comunicazione orale e comu-
nicazione scritta, pur sll:nili per molti aspetti, vanno di-
stinte. Se nella comunicazione orale il testo viene sem-
pre con il suo contesto, nella comunicazione avviata da
un testo scritto il contesto andrà "ricostruito", e questo
non unicamente a livello storico (l'osservazione sarà più
comprensibile al momento che leggeremo i testi pasqua-
li). Nasce dunque, in ambito esegetico, la necessità di
acquisire strumenti teoretici appropriati, al fine di con-
figurare adeguatamente gli elementi strutturali del con-
testo che, come abbiamo intuito, non dimora affatto al-
la periferia della teoria linguistico-interpretativa.

22
(3) A tutto ciò consegue la necessità di riconoscere
che la parola non ha semplicemente la capacità di rin-
viare a un contesto possibile, ma anche la duttilità di
essere mutata da un nuovo contesto e dalle intenzioni
rese manifeste dal parlante. Parola e contesto interagisco-
no continuamente tra loro, senza mai affermare un de-
finitivo equilibrio. Tale osservazione è sostanziale per
comprendere il testo in ottica pragmatica e per acco-
gliere il fenomeno della ricontestualizzazione, elemento
evidente nell'uso liturgico della Scrittura, e tuttavia non
estrinseco al testo biblico.

c) Il principio-guida

La tesi è dunque semplice e, crediamo, condivisibile:


il significato di una parola, o di un testo, dipende dal
contesto d'uso e varia significativamente al mutare del-
lo sfondo comunicativo nel quale viene impiegata/ o.
Lo sforzo, piuttosto, consiste n~ll'applicare questo
semplice principio alla lettura dei testi biblici, sia nel lo-
ro contesto biblico-letterario, sia nella loro ricontestua-
lizzazione all'interno della liturgia. Ovviamente alla ba-
se di ciò sta l'acquisizione di appropriati strumenti
.d'analisi, finora poco trattati dalle ricerche esegetiche,
a cui qui non è necessario ricorrere in modo specifico,
se non con qualche accenno8 .

8 Abbiamo diffusamente trattato l'argomento in M. Guidi, «Cosi avvenne

I.a generazione di Gesù Messi.aJ>. Paradigma comunicativo e qutstione contestuale nella


l.ettura pragmatica di Mt 1,18-25, Gregorian & Biblical Press, Roma 2012. li
lettore più esperto troverà in questo testo il dovuto fondamento teorico alla
nostra proposta di lettura e un'abbondante bibliografia per l'approfondimen-
to. Qui riutilizziamo e semplifichiamo solo alcune osservazioni.

23
2.3. Cosa intendere per «conusfJJ»

D ai brevi cenni fatti circa la discussione odierna sui


fattori contestuali appare evidente come alla base di ogni
connotazione di contesto stia, in definitiva, il concetto
stesso di tessuto testuale (t,extus è il participio passato di
uxere, cioè «tessere»). In un'accezione del testo come tra-
ma di artifici sintattico-retorici (insieme di strutture) il
contesto sarà naturalmente individuato in elementi pret-
tamente linguistici della superficie testuale, mettendo
tra parentesi l'intervento interpretativo del destinatario.
In un'accezione storico-critica, che legga il testo nella
sua fase generativa come espres.sione di una determina-
ta cultura, il contesto diverrà una sorta di inesauribile
rinvio a eventi e sistemi semiotici, testimoni ed espres-
sione di quella stessa cultura di appartenenza. In una
lettura inceritrata sul lettore (tecnicamente detta reader-
orienud'), al contrario, il contesto perderà ogni ancorag-
gio storico, per abbracciare l'ambito fruitivo e psicolo-
gico dcl lettore empirico.
All'interno di un approccio pragmatico, che legge la
comunicazione come azione di cooperazione tra parlan-
t,e e destinatario, il contesto si delinea come costruzione nar-
rativa che prende il suo avvio al momento che testo e
lettore entrano in relazione, o, detto con un linguaggio
più "biblico", in un rapporto di alleanza comunicativa. In
altri termini, in un'ottica pragmatica, il contesto non si
scopre - quasi fosse un elemento celato dietro o tra le
parole - ma si costruisce nella cangiante relazione di
mutua cooperazione tra dementi testuali (sintassi,
semantica, genere letterario, incoerenze ecc.) e inferen-
ze suggerite dal lettore (domande, ipotesi). Comprende-

24
re un testo, dunque, significa essenzialmente saperlo col-
locare su uno sfondo narrativo, base schematica di ogni
tipo di attività cognitiva dell'uomo.
Non per questo la configurazione del contesto è af-
fidata all'inventiva bizzarra del lettore, ma è segnata e
limitata da fattori testuali che ne costituiscono la struttu-
ra. Di essa fanno parte:

- la superficie discorsiva (testo eco-testo);


- la ricostruzione delle azioni salienti fatta su base
verbale-sintattico-retorica lfabula);
- la descrizione delle azioni secondo la loro narra-
zione e gli effetti da esse suscitati (intreccio);
- il riferimento a elementi enciclopedici documentabili;
- la valorizzazione del meccanismo di rinvio ad altri
testi-eventi, rinvio suggerito e reso manifesto dalla stra-
tegia comunicativa come intenzione intertestuale.

Si delinea così una struttura essenziale che permette di


leggere e ri-leggere q~alsiasi testo nella sua relazione
fruitiva con il lettore. ·
Come non si può parlare di una determinazione as-
soluta del senso testuale9, così, in ottica comunicativa,
non si può parlare di un unico contesto statico di riferi-
mento. Anche se testualmente circoscritto, il contesto
mantiene un peculiare carattere dinamico, permettendo di
fatto la polisemia di un testo, e parimenti limitandone
indebite derive interpretative. Vari significati divengono
possibili, ma non tutti sono legittimati dal testo, proprio

9 La tradizione ebraica parla a questo riguardo dei settanta volti della


Torah; quella cristiana vi fa eco con il concetto risalente a Gregorio Magno
secondo il quale la Scrittura cresce con chi la legge.

25
in virtù della struttur~ di cui abbiamo appena fatto men-
zione.
Alla luce di ciò, si può affermare che definire il con-
testo significa concretamente proporre al nostro inter-
locutore un possibile e plausibile sentiero semantico, ri-
chiamando il lettore a comprendere un testo nello "spa-
zio" - e secondo gli accenti - intesi dalla struttura con-
testuale di cui fa parte. Al variare di questo quadro co-
gnitivo di riferimento, e al mutare della relazione tra i
suoi elementi strutturali, varierà di conseguenza anche
il contenuto della comunicazione.
La struttura contestuale così schematizzata nei suoi
elementi di fondo permette di configurare quell'oriz-
zonte che consente a un segno linguistico (una parola
come un testo) non di indicare convenzionalmente qual-
cosa, una volta per tutte, ma di mqnifestare un'intenzione
comunicativa, la quale, molto spésso, è possibile non solo
grazie alle parole, ma nonostante queste 10! Un testo, in
altri termini, comunica sempre molto di più di quanto
non dica. Se applichiamo questa osservazione alle rela-
zioni umane, la suggestione diviene evidente. La rela-
zione con un testo non si estranea da tali ~namiche e
modalità.

°
1Cfr. M. Bertuccelli Papi, Che cos'è la pragmatica, Bompiani, Milano
20002, 193. Una teoria linguistica deve rendere ragione anche di questo.

26
PER UNA LETTURA ADEGUATA

*L'analisi dei testi che segue è saldamente fondata


su criteri testuali verificabili (sintassi, semantica, strut-
ture linguistiche, tempi verbali, genere letterario). Il let-
tore meno esperto non ne sarà appesantito, quello più
aweduto potrà intuire e facilmente verificare la fonda-
tezza delle osservazioni proposte mediante il ricorso al
testo critico.
La lettura dei tre racconti della risurrezione cerca
di tener presente una comune traccia di analisi, e tut-
tavia la adatta (o la contestualizza!) ai singoli casi. Di
ogni testo si terrà presente il duplice ambiente comu-
nicativo (biblico e liturgico), attenendosi prevalente-
mente ai dati oggettivi: il testo biblico, innanzi tutto,
e il suo co-testo, nel Lezionario e nel Vangelo, la strut-
tura del Rito e i sui principali input..Il testo evangelico
verrà presentato secondo le strutture narrativo-verba-
li dello sfondo, del primo piano e del discorso; se ne eviden-
zieranno costantemente i segnali letterari che mag-
giormente rinviano all'intenzione comunicativa. È su
quest'ultima che si cercherà di convergere progressi-
vam ente.

27
*La nostra proposta parte da un presupposto basi-
lare: il testo biblico (come e più di ogni altro) intende
entrare in relazione con i suoi destinatari, rivelare (non
celare) le sue intenzioni comunicative. Il compito dell'in-
terprete sarà quello di riconoscere tali intenzioni, ma-
nifestate in virtù delle tracce testuali. Saranno queste a
decretare l'uso o l'abuso di un testo.

*L'itinerario di lettura segue l'ordine canonico-litur-


gico dei Vangeli (Matteo, Marco, Luca); tuttavia, dal
punto di vita esegetico, è bene tener presente che il testo
di Marco funge da traccia letteraria per fa versione mat-
teana e lucana. Questo è uno dei motivi per cui al Se-
condo Evangelista abbiamo dedicato maggior spazio.
D'altra parte, l'ordine scelto aiuta così una certa pro-
gressione nella proposta d'analisi, gradatamente più pre-
cisa e articolata.

* Per un'adeguata comprensione di quanto suggeri-


remo, consigliamo di tener sempre sott'occhio la strut-
turazione proposta e di arricchire la lettura con i rinvii
biblici suggeriti.

28
II

IL RACCONTO DI RISURREZIONE
NEL VANGELO DI MATTEO

1. Il testo nei suoi contesti

Nella quasi totalità dei commentatori il racconto del-


la risurrezione di Gesù nel Vangelo di Matteo è com-
preso all'interno del percorso narrativo disegnato dagli
ultimi due capitoli dell'opera, e in specifico nella loro
seconda parte. Dopo la consegna del Figlio dell'uomo,
che occupa il racconto di Mt 26, 1- 27 ,3 la, l'evangelista
presenta il Figlio dell'uomo crocifisso e intronizzato in
Mt 27 ,31 b-28,20.
Quest'ultimo tragitto, quello che a noi interessa, è
così comprensibile:

Passione, morte e sepoltura di Gesù


2 7,31 b-44: crocifissione
27 ,45-54: morte
27 ,55-66: sepoltura
La risurrezione di Gesù
28,1 -10: annuncio di risurrezione
28,11-15: spiegazione del sepolcro vuoto
28,16-20: il testamento del Risorto

29
Pur con suddivisioni talvolta più dettagliate, quest'ul-
timo arco narrativo è ragionevolmente divisibile in due
frangenti con tre episodi su ogni fronte, come spesso è
solito articolare i suoi racconti Matteo. In modo parti-
colare, Mt.28 presenta un'unità piuttosto compatta. Co-
me in Le 24, se pur in modo .Più sobrio, Matteo perce-
pisce la necessità di articolare maggiormente la conclu-
sione marciana, deline(lndo un breve percorso di cui
l'annuncio alle donne presso il sepolcro costituisce il
primo fondamentale passo.
A questo livello di collocazione della pericope mat-
teana, va dunque notata subito una significativa diver-
sità tra il valore che essa ha nel testo evangelico e l'uso
che ne fa la liturgia. Se 28, 1-1 O nel Vangelo di Matteo
è il primo passo per la comprensione della risurrezio-
ne del Figlio dell'uomo, la liturgia, al contrario, ne
usufruisce come climax narrativo e celebrativo della Ve-
glia pasquale. La tensione verso un compimento, pre-
sente nel contesto matteano, viene a cadere nel percor-
so delle letture liturgiche che trovano in questa procla-
mazione il loro culmine. Il comando del Risorto in 28, 1O
viene così ad assumere maggiore peso in quanto su que-
ste parole di Gesù termina il percorso del Lezionario,
mentre nel contesto dell'opera matteana ha ancora la
sfumatura di passaggio, preludendo al glorioso incontro
degli Undici in Mt 28, 16-20. La corsa all'annuncio (v.
8), interrotta dall'incontro con il Risorto (v. 9-1 O), divie-
ne paradigmatica di ogni esperienza di fede, soprattutto
per quei discepoli che ora, facendo memoria di quanto
Yhwh ha compiuto nella storia di salvezza; sono chia-
mati a incontrare il Cristo vivo prima di annunciare in

30
verità una parola di fraternità, di perdono e di vita
(28, 10).
Ma vediamo innanzi tutto la fisionomia del testo e la
sua articolazione. Con l'intento di facilitare la compren-
sione del lettore, propongo qui una traduzione letterale,
funzionale alle spiegazioni che seguiranno. Per meglio
cogliere le dinamiche del racconto, articolo la narrazio-
ne sec9ndo le tre linee portanti della comunicazione: lo
sfondo, il primo piano e il discorso. La suddivisione ri-
sulterà utile per comprendere l'asse principale della co-
municazione e le sue dinamiche.

2. Mt 28,1-10: distribuzione della comunicazione

SFONDO PRIMO PIANO DISCORSO

In cammino per vedere


1 Passato il sabato,
all'alba del primo dei
sabati,
Maria Maddalena
e l'altra Maria
venne per vedere il
sepolcro.

La teofania e la paura che paralizza


2 Ed ecco awenne un
grande terremoto.
Un angelo del Signore,

disceso dal cielo,


accostatosi,

31
rotolò via la pietra
e sedeva su di essa.
311 suo aspetto era
come la folgore
e la sua veste bianca
come la neve.
4 Per la paura di lui
le guardie furono colte
da tremore e divennero
come morte.

Dalla paralisi ·all'annuncio

sAllora rispondendo,

l'angelo
disse alle donne:
«Non abbiate paura
voì;
so che cercate Gesù
il Crocifisso.
Non è qui.
6 Infatti è stato
risuscitato come disse.
Su, vedete
il luogo dove giaceva;
e, in fretta, andate,
dite ai suoi discepoli
che è stato risuscitato
7 dai morti.
Ed ecco vi precede
in Galilea,
là lo vedrete.

32
Ed ecco io ve lo dissi».

8E lasciato in fretta il
sepolcro,
con paura e gioia
grande,

corsero ad annunciare
ai suoi discepoli.

· L'incontro con il Risorto


9 Ed ecco Gesù le
incontrò

dicendo: « Rallegratevi».

Ed esse
avvicinatesi gli strinsero i piedi
e lo adorarono.
10 Allora dice loro Gesù: «Non abbiate paura.
Andate, ·
annunciate
ai miei fratelli
affinché vadano
in Galilea,
e lì mi vedranno».

3. Le strutture narrative

Dopo l'introduzione del v. 1, che offre le coordinate


temporali e l'identità dei soggetti femminili, il racconto
teofanico di Mt 28, 1-1 O si articola in tre momenti ben
coesi e çoerenti tra loro. Alla manifestazione dell'ange-

33
lo del Signore si accosta la reazione terrorizzata delle
guardie (vv. 2-4); vi è poi una rivelazione rivolta alle don-
ne a cui segue l'annotazione d~lla loro reazione (vv. 5-8); ·
infine la manifestazione del Risorto stesso che si fa in-
contro alle due discepole e conferma la missione appe-
na affidata loro dall'angel.o.
L'espressione kai idou («ed ecco»), ripetuta quattro
volte, pone in rilievo le due manifestazioni teofaniche e
le parole di rivelazione: la comparsa dell'angelo (28,2)
e del Risorto (28,9); l'incontro fissato in Galilea per i di-
scepoli (28,7) e la solenne consegna dell'annuncio dell'in-
viato dal cielo (28, 7: «ed ecco io ve.lo dissi»). Sia la ma-
nifestazione angelica sia quella di Gesù esordiscono con
lo stereotipo invito delle epifanie a non temere.
Elementi dello sfondo e del pri~o piano narrativo
sono ben articolati, offrendo equilibrio e armonia alla
composizione, particolare che favorisce già una comu-
nicazione, la quale, contrariamente a quella di Marco,
non ha toni drammatici o paradossali, bensì rassicu-
ranti.
Della linea dello sfondo fanno parte ~e coordinate tem-
porali, la descrizione dell'angelo e la paura degli uomi-
ni, parallela a q':1ella delle donne che tuttavia è contras-
segnata da gioia (v. 8).
Nell'asse principale della narrazione si trovano, invece,
l'identità delle due discepole; la loro intenzione di muo-
versi per <<Vedere il sepolcro»; l'intervento angelico; la
reazione delle g~ardie, immobili come morte, a cui si
oppone quella della Maddalena e dell'altra Maria che
corrono a portare l'annuncio. Segue poi in quest'asse
l'incontro con il Risorto che arresta la corsa delle <lisce-

34
pole, e infine l'adorazione di Gesù da parte delle due
donne.
La linea del discorso è occupata per la sua totalità (di-
versamente da Mc 16,3) dalla parola angelica e da quel-
la di Gesù, caratteristica, ci pare, non indifferente, so-
prattutto se connessa alla particolarità che_evidenziere-
mo al v. 5. Fin da adesso notiamo già che nel contesto
della risurrezione narrata da Matteo a nessuno è data
voce se non al messo celeste e al Risorto. L'espressione
umana di obiezione o d'incomprensione non tròva qui
spaz10.
Com'è tipico del Primo Evangelista, la parola di Ge-
sù in 28, 1O conferma autoritativamente la rivelazione
appena offerta, qui mediante la voce.angelica, altrove
mediante la Scrittura. Dell'esteso annuncio angelico
spicca senz'altro la tonalità gioiosa e il raddoppiamento
della parola di risurrezione («è stato risuscitato»: 28,6. 7).
Tale tonalità è rafforzata in 28,9 dove le prime parole
del Risorto invitano le d~nne, quasi fosse un ordine, a
rallegrarsi (cfr. imperativo chairete).

Mentre Marco omette del tutto la visione del Risor-


to e Luca la articola nei due racconti che seguono, Mat-
teo è l'unico ad aggiungere l'incontro e la parola di Ge-
sù nella stessa scena dell'annuncio pasquale al sepolcro
fatto al gruppo femminile dei discepoli.
Partite con il semplice intento di <<Vedere il sepolcro»
(28, 1), le donne sono coinvolte in ben altra esperienza
da quella per la quale avevano mosso i loro passi: il ter-
remoto le scuote, la tomba è aperta non da mani d'uo-
mo. Il loro orizzonte si colora della manifestazione di
Dio, prima con la visione angelica, poi mediante lo stes-

35
so incontro con il Risorto che si realizza nella corsa ob-
bediente dell'annuncio di risurrezione.
In Mt 28,5 la costruzione logico-narrativa pone in
evidenza un elemento alquanto strano. Alla lettera il
testo dice che l'angelo «risponde» alle donne. D ata
l'incoerenza con la dinamica narrativa (manca una do-
manda rivolta all'angelo da parte delle donne), si in-
terpreta spesso la costruzione matteana in modo piut-
tosto generico con espressioni come «volgendosi verso
di loro, l'angelo disse», oppure omettendo del tutto il
primo verbo e mantenendo solo il secondo: «l'angelo
disse» (così, per esempio, l'ultima traduzion.e della
Conferenza Episcopale Italiana), disinnescando la ten-
sione presente nel racconto. In realtà Matteo distingue
nettamente due verbi, l'uno al participio, l'altro all'in-
dicativo: «rispondendo (apokritheis), l'angelo disse (eipen)
alle donne .. .». La voce delle discepole non è espressa,
mentre è posta in rilievo quella rivelativa dell'angelo
prima, del Risorto poi. Alla luce dell'uso matteano del-
la costruzione apokrinomai + lego («rispondere» + «di-
re»)1 è lecito mantenere la provocazione e pensare qui
a una vera e propria risposta, anche se di fatto non c'è
verbalizzazione di alcuna domanda antecedente al v. 5.
Se così, vale allora la pena accogliere la provocazione
che il testo offre e chiedersi a cosa replichi l'angelo con
le sue parole. Più avanti cercheremo di offrire la nostra
interpretazione.

1 La costruzione ricorre 49 volte in Matteo. In 45 casi è utilizzata per

introdurre la risposta di un soggetto all'interno di un dialogo. In quattro oc-


casioni ( 11,25; 22, 1; 27 ,21 e 28,5), invece, pone in evidenza una replica ver-
bale a specifici atteggiamenti o azioni appena descritti.

36
4. Il genere letterario e la sua funzione
comunicativa

In modo ancor più spiccato rispetto a Marco (con le


sue molte peculiarità) e a Luca, la forma letteraria impie-
gata da Matteo per trasmettere il suo messaggio pasqua-
le è affidata al genere delle teofanie che l'evangelista con-
nota con tratti tipicamente apocalittici. Se in Marco - vi-
sto che i connotati del «giovinetto» si distinguono da quel-
li di una semplice figura angelica - preferiremo parlare
genericamente di epifarue, nel caso di Matteo la terrni-
nologia teofanica diviene quantomeno appropriata. Ciò
è evidente in alcuni tratti della descrizione narrativa: Mat-
teo usa espressamente il costrutto angelos kyriou («angelo
del Signore»); l'aspetto dell'inviato «dal cielo», la sua ve-
ste, la reazione delle guardie e il grande terremoto testi-
moniano in modo inequivocabile la sua identità. Pari-
menti, sia per le donne che per il lettore, i connotati di
Gesù risorto sono chiaramente quelli del Signore glorio-
so a cui esse tributano un gesto di adorazione (28,9), si-
milmente a ciò che poco oltre faranno gli Undici (28,17).
Diversamente dal racconto marciano che pone in tensio-
ne i suoi lettori, l'annuncio di Matteo riprende in tutto e
per tutto i toni rassicuranti e distesi degli eventi salvifici
di quel Dio fedele che continua a manifestare la sua for-
za e la sua gloria tra gli uomini.
Oltre a rievocare le manifestazioni angeliche di testi
noti della tradizione (canonica e non), l'angelo del Signo-
re di Mt 28 non può non richiamare al lettore l'annuncio
di nascita di Mt 1,18-25 e la presenza massiccia degli in-
terventi divini in Mt 2. Come nell'annunciazione di na-
scita, l'esplicita parola di rivelazione (tecnicamente «il

37
messaggio divino») costituisce qui il centro di attenzione
del racconto. Se in Mt 1, 18-25 le parole angeliche erano
raddoppiate e confermate dalla Scrittura (Is 7, 14), nel
racconto pasquale il Risorto stesso convalida l'annuncio
angelico e ribadisce la missione già assegnata alle donne.
Essa ha per fine un'esperienza di visione e d'incontro (Mt
28, 7 .1 O). Sia nell'annuncio di nascita di Mt 1, sia ora in
quello di risurrezione, l'impiego di schemi noti, di perso-
naggi conos.ciuti, nonché l'addolcimento delle asperità e
delle.tensioni appartenenti alla fonte marciana, testimo-
niano l'intento comunicativo dell'evangelista nel sugge-
rire al lettore di comprendere questo evento in continui-
tà con l'opera di Dio nella storia, e al contempo di porre
alla sua base una parola nuova - pur comprensibile solo
mediante l'Antico - rappresentata dalla stessa risurrezio-
ne di Gesù. L'identità dell'ultimo discendente davidico,
messa già in evidenza in Mt 1- 2, viene ora significativa-
mente arricchita dall'evento della risurrezione, ulterior-
mente chiarito dall'intronizzazione gloriosa suggerita po-
co oltre da Mt 28,16-20. Gesù è il Messia atteso d'Israe-
le, il re escatologico, la conferma e la risposta fedele di
Dio alle promesse antiche.
Come avremo modo di notare, l'articolazione nar-
rativa di Marco e di Matteo nei confronti del racconto
pasquale muove da prospettive diverse e da un differen-
te intento comunicativo. Se la conclusione brusca del
Secondo Evangelista porta il suo lettore verso una de-
cisione esistenziale da prendere innanzi allo sconcertan-
te e paradossale messaggio del Vangelo, Matteo lò invi-
ta invece a riflettere sull'identità di questo Messia
d'Israele, collocandolo sull'affidabile sfondo di continui-
tà rappresentato dalla storia salvifica del suo popolo.

38
5. L'intento comunicativo: rilievi semantici
e nodi pragm.atici

Mt 28, 1-1 O si dimostra ben ancorato al suo co-testo.


I soggetti femminili che muovono i loro passi all'alba del
primo giorno dopo il sabato sono gli stessi già menzio-
nati ,nella scena del sepolcro (2 7, 61) e, prima ancora,
nell'episodio della crocifissione (2 7,55-56) dove, .come
nel nostro testo, sono soggetti del «vedere». Là da lon-
tano (27 ,55: «vi erano là anche mqlte donne, che osser-
vavano da lontano»), qui invece nell'azione di.avvicina-
mento al sepolcro («vennero per vedere il sepolcro»). Le
donne non hanno perso d'occhio due fondamentali pun-
ti di riferimento per la comprensione di questo Messia:
la sua passione e la sua morte, la croce e il sepolcro.
Le guardie presenti in 28,2-4 sono già state introdot-
te al termine della scena della sepoltura (27 ,62-66). In
quell'episodio erano inviate alla tomba per garantire
che nessuno potesse trafugare il corpo e poi attestare
che Gesù fosse risorto come egli stesso aveva «detto»
(27 ,63). Pur te_stimoni di un evento dal cielo (28,2-4), in
28, 11-15 le gliardie si lasciano corrompere dai capi del
popolo per attestare il falso. La menzogna di cui i giudei
fanno le spese è opera di alcuni, di pastori iniqui (27 ,62;
28, 11), e causa d'ingiustizia tra i figli d'Israele fino ad
oggi (28, 15). Quei fratelli tra i quali il Messia nasce
(1,1-17) e per i quali percepisce particolare responsabi-
lità (15,24; cfr. 10,6), patiscono ancora una volta gli ef-
fetti di cuori induriti e chiusi alla Parola, le angherie di
pastori empi già fortemente biasimati dalla tradizione
profetica. Anche innanzi a eclatanti testimonianze, la
libertà dell'uomo può opporre rifiuto a Dio; decisione
che tragicamente ricade su altri.

39
Il terremoto, altro elemento apocalittico, accompa-
gna l'evento della risurrezione, come aveva sottolineato
la morte di Gesù e la conseguente apertura dei sepolcri
con la risurrezione dei santi (27 ,5 1-52.54). A conclusio-
ne del racconlo della passione Matteo pone questa an-
notazione con l'aggiunta «dopo la sua risurrezione»
(27 ,53), connettendo così esplicitam ente la morte e la
risurrezione di Gesù, e dischiudendone l'effetto al futu-
ro. Ma fin da quel tragico momento, di quella croce si
intende evidenziare la fecondità.
Al fianco delle guardie Matteo situa il gruppo ristret-
to delle due donne. Anch'esse sono testimoni dell'even-
to angelico e dell'apertura della tomba, contrariamente
al racconto marciano in cui la luce della risurrezione è
qualcosa che precede l'iniziativa delle discepole, nel si-
lenzio del sabato che si dischiude al primo giorno della
settimana. La conclusione solenne dell'annuncio ange-
lico («ed ecco io ve lo dissi») dà particolare peso alle pa-
role e al compito assegnato alle donne in Matteo. Esse,
diversamente da Marco e Luca, sono costituite testimo-
ni attendibili: non sono solo le prime a ricevere l'annun-
cio angelico, ma le prime a cui il Risorto si fa incontro.
In questo contesto rivelativo, avevamo già notato lo
strano uso del verbo apokrinomai («rispondere») con cui
M atteo introduce le parole dell'angelo al v. 5. M entre le
guardie cadono a terra tramortite, si dice che il messag-
gero dal cielo ribatte a M aria di Magdala e all'altra Ma-
ria, anche se di fatto la narrazione non esplicita alcun
interrogativo da parte loro! Tale uso, apparentemente
improprio o quantomeno eccessivo della costruzione
verbale, va coniugato sia al fatto che Matteo, così facen-
do, dà voce solo ad «agenti divini» ~'angelo e il Risorto),

40
sia all'introduzione enfatica del pronome di seconda
persona plurale che segue subito dopo le parole dell'an-
gelo: «non abbiate paura, voi». L'aggiunta del pronome
è qui superflua e ha l'effetto di porre enfasi sulle donne,
mettendole in contrasto con il gruppo maschile della
scorta inviata dai capi del popolo: le discepole non han-
no nulla da temere, mentre le guardie sono lasciate nel-
la loro paralisi, atteggiamento in cui resteranno conge-
late fino a 28, 11, quando raggiungeranno la città per
annunciare ai capi dei sacerdoti l'accaduto.
In 28,5-7 si aggiunge esplicitamente il motivo per cui
le donne non devono essere sopraffatte dalla paura. Es-
so è riposto nella stessa p~rola di Gesù, affidabile e ve-
ritiera al pari della Scrittura: «egli è stato risuscitato,
come disse». Innanzi alla tomba vuota le discepole non
devono dunque temere, ma rallegrarsi sulla base dell'af-
fidabilità della promessa fatta da Gesù .
. Torniamo dunque all'interrogativo che ci siamo po-
sti: perché lo strane;> impiego del verbo apoknnomai? A
cosa risponde l'angelo in 28,5?
Il messaggero celeste, rivolgendosi a M~ria di Mag-
dala e all'.a ltra Maria, sembra andare incontro a un'ine-
spressa richiesta di chiarimento da parte delle due don-
ne che hanno assistito a una manifestazione dai toni
apocalittici (28,2-3) e alla reazione atterrita delle guardie
che divengono, innanzi a loro, «come morte» (28,4).
L'angelo replica dunque al loro sgomento: «non abbia-
te paura, voi»; ribatte a un timore visibilmente espresso
dal loro atteggiamento. La paura umana innanzi all'in-
comprensibile - spesso palpabile intorno alla tomba di
una persona amata - non è banalizzata o sminuita da
Dio, ma riceve risposta. Tuttavia, è posta su un altro

41
piano rispetto alla rivelazione, l'unica alla quale Matteo .
dà effettivamente voce, omettendo ogni altra parola.
Il limite imposto alla paura dalla parola dell'angelo
diviene passo previo all·'accoglienza di una novità. Innan-
zi all'Altro che si fa incontro in modo inatteso, occorre
prima di tutto fugare il timore o quantomeno impedire
che esso rinchiuda in una paralisi mortifera la capacità
di scelta e di comprensione da parte degli uomini.
Nonostante il «comando» divino, il v. 8 («lasciato in
fretta il sepolcro, con paura e gioia grande») rivelerà
chiaramente cpe questo forte timore, di fatto, non è
·sçomparso. E tuttavia è stato affiancato da «gioia gran-
de», da qualcosa di tangibile e profondo che fa sì che
esso non divenga totalizzante. La paura innanzi all'in-
comprensibile, dunque, non scompare, ma in virtù
dell'apertura alla Parola di novità (28,6-7) viene ridi-
mensionata e posta su altro piano: ·non è più l'unica
realtà presente nell'orizzonte della decisione umana.
Accogliere la rivelazione ha a che fare con il supera-
mento del timore a cui Dio risponde (v. 5), restituendo
dignità alla debolezza e all'incapacità di comprendere
da parte dell'uomo innanzi a ciò che lo sorpassa. Tale
superamento avviene mediante il perentorio richiamo
all'affidabilità della parola del Messia. La paura della
morte resta - anche per chi, come le due donne, acco-
glie il messaggio della risurrezione - nondimeno la fi-
ducia nella Parola del Signore non permette che tale
. timore paralizzi il discepolo impedendogli l'annuncio:
esso è possibile, nonostante la paura e il limite umano.
La corsa delle donne diviene espressione di questo su-
peramento; e proprio nel responsabile cammino di an-
nuncio, Gesù risorto si fa incontro.

42
III

IL RACCONTO DI RISURREZIONE
NEL VANGELO DI MARCO

1. Mc 16,1-8: distribuzione della comunicazione

SFONDO PRIMO PIANO DISCORSO

Introduzione: in cammino dopo il silenzio


1 Passato il sabato,

Maria Maddalena,
Maria di Giacomo
e Salome comprarono
aromi
per andare a ungerlo
[Gesù]
2 e molto presto,
"il primo dei sabati",

vanno al sepolcro

quando il sole si è già


levato.

continua

43
La domanda che avvia l'esperienza
3 E dicevano tra loro:

«Chi rotolerà via per


noi la pietra
dalla porta del
sepolcro?»
4
E, alzando lo sguardo,

scorgono (theoreo)
che la pietra era stata
rotolata via,
era infatti molto
grande.

La duplice esperienza nel sepolcro

a. la visione
5 Entrate nel sepolcro,

videro (horao) un
giovane

seduto alla destra


rivestito di una veste
bianca

e furono spaventate.

continua

44
SFONDO PRIMO PIANO DISCORSO

b. la parola
6 Egli allora dice loro:

«Non siate spaventate.


Voi cercate Gesù,
il Nazareno,
il Crocifisso
è stato risuscitato,
non è qui.
Ecco il luogo
dove lo deposero.
Ma andate,
7 dite ai suoi discepoli
e a Pietro:
vi precede in Galilea.
Là lo vedrete,
come vi disse».

Conclusione: fuga e silenzio


8 E uscite,

fuggirono dal sepolcro.

Avevano infatti tremore


e stupore

e a nessuno dissero
niente.
Avevano paura infatti.

45
Il testo marciano della risurrezione si presenta molto
compatto e ben ripartito. Proprio per questa sua unità
le opinioni degli esegeti rivelano una certa difficoltà nel
suddividere il brano, oscillando, per la maggior parte,
tra una proposta bipartita e una suddivisione in tre mo-
menti. Più in generale, il testo manifesta una certa ritro-
sia ad essere compreso sotto un unico criterio. L'evento
narrato sfugge, più di ogni altro, a una sua schematiz-
zazione e presa concettuale.
Senza forzare l'andamento narrativo, seguendo il ri-
lievo dato dagli elementi collocati nell'asse principale
della comunicazione, si può suddividere il racconto in
quattro momenti. Tra questi, particolare spazio è dato
all'evento epifanico di 16,5-7, mentre nei frangenti estre-
mi troviamo il movimento al sepolcro e la fuga da ·quel-
lo spazio vuoto che, nonostante la Parola, terrorizza le
donne. Il racconto può essere così compreso:

Introduzione: in cammino dopo il sil.enzio. Dopo il silenzio del


sabato, le donne si muovono per comprare aromi e anda-
re al sepolcro, ma qualcosa ha preceduto le loro azioni: il
sole si è già levato (vv. 1-2).

La domanda che avvia l'esperienza. Il loro movimento verso il


sepolcro è accompagnato da una domanda che innesca il
racconto dell'epifania; la constatazione della pietra roto-
lata fa levare loro gli occhi su altre prospettive (vv. 3-4).

La duplice esperienza nel sepolcro. Entrate nel sepolcro, la Mad-


dalena, Maria di Giacomo e Salome sono coinvolte in
un'epifania: vedono il giovane rivestito di una veste bian-
ca e odono la sua parola (vv. 5-7). La reazione delle donne
alla visione del giovane è lo spavento (v. 5).

46
Conclusione:faga e si/,enzio. Le donne reagiscono alla parola:
fuggono e si consegnano al silenzio (v. 8). .

. Il finale della pericope resta sconcertante per l'anda-


mento narrativo: al comando di andare si oppone la fu-
ga colma di «tremore e stupore»; alla richiesta di an-
nunciare contrasta l'enfati<;:a negazione della parola:
«e a nessuno dissero niente». Nette opposizioni che do-
vranno necessariamente essere comprese.
Eccetto i vv. 6-7, dove colui che parla è il misterioso
giovane (neaniskos), tutti i verbi principali hanno le don-
ne come soggetto.

2. Le strutture narrative

2.1. L)asse pnncipal,e della comunicazione

La fisionomia del testo viene disegnata attraverso la


distribuzione della comunicazione nelle sue tre direttri-
ci principali: il primo piano, con tutte le azioni che decre-
tano il movimento narrativo; lo sfondo, con gli elementi
di secondo pl.ano, talvolta presupposti necessari all'azio-
ne; l'asse discorsivo ove si collocano le parole pronunciate
dai personaggi, sempre legate a elementi dello sfondo o
della focalizzazione narrativa.
Nella linea del pnmo piano (detta anche fabula) tro-
viamo le azioni che fanno procedere il racconto. La pri-
ma di queste - l'acquisto degli aromi da parte delle tre
donne - è collocata .esplicitamente: trascorso il giorno
di festa.
Nella stessa linea comunicàtiva è posto il viaggio del-
le donne al sepolcro, messo in rilievo dall'uso del pre-

47
sente storico, e la duplice esperienza di visione Oa pietra .
rotolata e il giovane seduto alla destra in vesti bianche)
che tuttavia è ben distinta, attraverso l'uso di due verbi
sensoriali diversi. In riferimento alla pietra, si dice che
le donne «scorgono», mediante il verbo theoreiJ. Circa il
giovane, si dice invece che esse «videro», esperienza
espressa mediante l'impiego del verbo horaiJ, tipico nei
racconti di epifania. Lo stesso verb<?, nella sua forma al.
futuro medio (opsesthe), è adoperato per riferirsi all'espe-
rienza del Risorto a cui i discepoli vengono orientati:
«Là lo vedrete».
Fanno poi parte della focalizzazione narrativa l'even-
to uditivo dell'annuncio; infine la reazione negativa del-
le donne, espressa al v. 8 in duplice forma: la fuga, .col-
ma di tremore e stupore, e il silenzio enfatizzato con la
doppia negazione («e a nessuno dissero niente»).
Il campo semantico del movimento abbraccia i
vv. 1-2; quello del vedere domina i vv. 4-5; la parola det-
ta o negata regge i vv. 6-7 e il v. 8. Tutti questi rilievi an-
'dranno ovviamente valorizzati al fine di comprendere
gli elementi principali sui quali la comunicazione di Mc
16, 1-8 intende far convergere il proprio lettore.

2. 2. La linea dello sfondo

Sullo sfondo narrativo troviamo i molti riferimenti


temporali collocati soprattutto nei w. 1-2, a indicare un
qualcosa che segna realmente uria nuova alba. Spicca-
no tra questi la menzione del sabato, sul quale si getta
un reverenziale e rispettoso silenzio; in esso non si de-
scrive alcuna azione, né pensiero né dialogo. Con lo

48
stesso silenzio, attorniato stavolta dalla paura umana, si
concluderà il racconto, creando così un legame signifi-
cativo tra questi due luoghi in cui la parola e l'azione
umana sono assenti.
Disegnano poi elementi dello sfondo l'annotazione
della sollecitudine femminile nel mettersi in cammino
molto presto, «il primo dei sabati»; e l'aggiunta conclu-
siva e sorprendente che il sole si è già levato quando es-
se giungono al sepolcro.
Dello stesso piano narrativo fanno parte la preoccu-
pazione per la grande pietra (vv. 3.4) di cui si enfatizza-
no le dimensioni in relazione alla forza delle donne;
l'entrare e l'uscire dal sepolcro (vv. 5.8); ma soprattutto,
come accennato, la grande paura (v. 8) che conclude la
narrazione.
Coincidendo con il finale del Vangelo, il racconto stes-
so sembra non dare possibilità di appello alla paura del
gruppo delle discepole! Il gar («infatti») conclusivo enfa-
tizza ancor più la profondità dello spavento atterrito, non-
ché la sconcertante conclusione di un racconto che si era
presentato fin dall'inizio come «buona notizia» (1, 1) !

2.3. L)asse del discorso

Il primo elemento presente a livello discorsivo è la


domanda delle donne riguardante il macigno che ostrui-
sce l'accesso al sepolcro: «chi rotolerà via per noi la pie-
tra dalla porta del sepolcro?» (v. 3). Dal punto di vista
narrativo, l'interrogativo ha l'effetto di creare quella ten-
sione che innesca il racconto dell'evento epifanico di
16,5-7.

49
L'elemento più rilevante in quest'asse è senz'altro
l'annuncio di risurrezione pronunciato dal misterioso
giovane all'interno del sepolcro. Le sue parole vanno
incontro alla paura delle donne, offrendo altra prospet-
tiva a quella che, da molte sfumature, appare come una
vera e propria ossessione del piccolo gruppo femminile,
il cui pensiero è totalmente assorto dal luogo della se-
poltura. L'annuncio del giovane conforta le donne pro-
prio su questo punto («non è qui», non è questo il <<luo-
go»), rinviando ·a un'esperienza del Risorto che avverrà,
ma non in quello spazio, non su- quella strada.
Significative poi sono le due qualificazioni con cui è
presentato Gesù: «il Nazareno» e «il Crocifisso». En-
trambe si riferiscono all'identità di colui che è stato co-
nosciuto dall'inizio del suo ministero in Galilea (cfr. 1,24)
fino agli ultimi eventi accaduti in Gerusalemme (la cro-
cifissione).
Le stesse scelte verbali fatte da Marco sono indicati-
ve. Il titolo «Crocifisso» viene espresso mediante l'uso
del participio perfetto (estauromenon), suggerendo così una .
storia che ha segnato in modo indelebile Gesù. La risur-
rezione è vista come intervento di un Altro, espressa con
un aoristo passivo (egerthe) interpretabile C?me passivo
divino. Colui che vive al presente è quel Nazareno co-
nosciuto in Galilea e seguito fin sotto la croce; evento
cruciale di donazione che ha segnato e segna tuttora la
sua identità. .
La missione offerta alle donne è sintetizzata nel GO-
mando di «andare», e specificata mediante l'annuncio
di un appuntamento con il Risorto che esse devono por-
tare ai discepoli. Notiamo subito che, pur volendo man-
tenere un <<finale aperto», il racconto evangelico potreb-

50
be benissimo terminare qui, in 16, 7, chiedendo impli-
citamente al lettore di completare lui stesso il racconto
e di «consegnare» l'annundo appena riposto nelle ma-
ni delle donne. Di fatto, invece, in modo molto brusco
e sconcertante, Marco percepisce la necessità di aggiun-
gere paura, fuga e silenzio. Viene allora naturale chie-
dersi perché turbare così. un racconto. Perché questa
sconcertante annotazione finale? Al momento adegua-
to sarà importante riprendere questo interrogativo:
!"'inopportuna" aggiunta è evidentemente significativa
al fine di comprendere l'intenzione comunicativa
dell'autore.

3. Il genere letterario e la sua funzione


comunicativa

Pur arricchito dalla drammaticità di toni apocalittici,


sembra abbastanza evidente che, dal punto di vista for-
male, la comunicazione sia affidata in gran parte al ge-
nere letterario dei racconti di epifania con i suoi rico-
nosciuti elementi letterari: apparizione di un messagge-
ro celeste; reazione di paura dei destinatari; formula
consolatoria («non temere» o simili); messaggio di rive-
lazione; incarico; segno legittimante. A questi talvolta
segue l'estasi e il silenzio del destinatario 1• Elementi for-
mali ben presenti in Mc 16, 4-8, compresa la centralità
offerta al messaggio di rivelazione e la mi~sione confe-
rita ai destinatari . .
A livello comunicativo, l'intento delle epifanie è quel-
.lo di sancire, mecli<~.nte un'esperienza di visione e di pa-
1
Cfr. R . Pesch, Il vangelo di Marco, II, Paideia, Brescia 1982, 762.

51
rola, un punto di svolta nella trama narrativa, affidando
al loro destinatario autorevolezza per una particolare
missione. Un esempio di ciò può essere visto nel noto
episodio sulla via per Damasco relativo all'apostolo Pao-
lo, come riportato nel libro degli Atti (At 9,1-19; 22,4-
16; 26,9-18).
Nel Vangelo di Marco, però, la missione affidata al-
le tre donne dal misterioso giovane sembra fallire mise-
ramente: all'incoraggiamento ad «andare» fa seguito un
ripiegamento; al comando di «dire» una ·parola di per-
dono e di annunciare un appuntamento si oppone la
totale incapacità di parola.
Messa dunque in evidenza la rivelazione quale ele-
mento centrale del genere stesso, occorre chiedersi a chi
sia affidata in realtà questa missione in Mc 16, visto che
le donne escono di scena tra sile'nzio e paura.
Notiamo inoltre che, pur facente parte del topos let-
terario, il fattore paura-timore è molto enfatizzato tan-
to da farne un motivo ben evidenziato nell'asse comu-
nicativo principale. I due verbi e i due sostantivi («esse-
re spaventati» in 16,5.6; <~tremore», «stupore» e «avere
paura>> in 16,8) che descrivono l'ampiezza e l'impatto
di questa emozione sul lettore, nonché la loro colloèa-
zione in punti strategici dell'intreccio narrativo, eviden-
ziano bene questo intento. A conclusione del suo scritto
Marco individua nella profondità e, per molti versi,
nell'incomprensibilità dell'esperienza di paura uno stru-
mento espressivo adeguato. Il paradosso che ha accom-
pagnato il lettore in tutta la sequenza evangelica si ripe-
.te ora, in modo amplificato e sconcertante, anche nel
finale, lasciando il lettore con cogenti interrogativi ai
quali dove,r dare risposta.

52
4. Il testo nei suoi contes ti

4.1. L)annuncio di risurrezione nel contesto comunicativo di


Mc 14)32- 16,8

L'annuncio di risurrezione presentato da Marco si


dimostra strettamente connesso con il racconto prece-
dente da cui non può essere isolato. In modo particola-
re i legami sono subito evidenti dal punto di vista nar-
rativo nei personaggi menzionati e nella progressione
temporale, estendendosi in realtà fino all'episodio del
Getsemani (14,32-52). Qui era stata introdotta la miste-
riosa figura del neaniskos (il giovane) che ora riappare
sulla scena narrativa, annunciando l'evento della risur-
rez10ne.
Il forte legame con il contesto anteriore è poi stabi-
lito dal passaggio temporale (cfr. 15,40: «la preparazio-
.ne del sabato»; 16, 1: «passato il sabato»), nell'introduzio-
ne di Gesù mediante il solo pronome («p er andare ad
unger-lo»), dai soggetti femminili e dalle loro azioni/ at-
teggiamenti lasciati in sospeso in 15,47 2. Il gruppo fem-
minile che solo ora - sottolineando così l'osservanza del
riposo sabbatico - si muove per azioni di pietà e rispetto
verso il defunto maestro (comprare aromi, ungere, ve-
nire al sepolcro) è lo stesso che accompagna i momenti
principali del racconto della passione: è presente alla
morte di Gesù (15,40), alla sua sepoltura (15,47), ora al-
la risurrezione. Là dove i discepoli paiono assenti, le
donne accompagnano e seguono Gesù nelle circostanze.

2 Per maggiori particolari sul legame di 16, 1-8 con quanto precede, cfr.
R . Pesch, op. cit., 75 7-7 58. Circa l'identità e il numero delle liste femminili di
15,40.47 ; 16,1, cfr. Ivi, 737-741; S. Légasse, op. cit., 836-837.

53
cruciali della sua vicenda, come era stato fin dall'inizio
del suo ministero (cfr. 15,41). Tra la componente fem-
minile dei discepoli si isolano tre personaggi, evidente-
ménte significativi: Maria di Magdala, Maria di Giaco-
mo (e diJoses), Salome.

4. 2 L'annuncio di risurrezione nel contesto comunicativo della


Véglia pasquale

Sradicato dal suo ancoraggio testuale e collocato


all'interno della sequenza di letture che struttura la Ve-
glia pasquale, il testo di Marco viene privato della sua
finale (16,8), trovando chiusura narrativa in 16,7 con
l'appuntamento da annunciare ai discepoli. Il racconto,
I).On più specificato come conclusione della vicenda
evangelica di Marco, bensì come approdo del lungo dia-
logo intrattenuto tra. i nove testi dell'Uno e dell'Altro
Testamento, perde il suo carattere di conclusione para-
dossale per mettere in rilievo la promessa di un incontro
fatta dal Risorto: <<VÌ precede in Gahlea. Là lo vedrete,
come vi disse».
Nella "nuova" pericope, pur rimanendo aperta la
questione della missione affidata alle donne (anche con-
cludendo con 16, 7 non si esplicita se esse portino, op-
pure no, l'annuncio ai discepoli), l'accento si sposta ora
dal paradossale e quasi scandaloso contrasto «dire/non
dire», «andare/fuggire», alla promessa e alle parole di
Gesù («come disse»; cfr. 14,27-28), al fine di sperimen-
tarne l'affidabilità.
Il nuovo finale - che pure resta un finale aperto - non
porta più alla domanda sul paradosso, dischiudendosi

54
sul mistero di un evento che sorpassa e paralizza le ca-
pacità umane, ma coinvolge ora i lettori nella ricerca di
un incontro che ha come base l'affidabilità della stessa
parola evangelica. Se il contesto letterario di Mar~o la-
scia il lettore in silenzio e con l'animo sospeso su una
decisione vitale da prendere, il Marco della Veglia invi-
ta a muoversi verso quell'incontro che ora la risurrezio-
ne di Gesù rende possibile.
L'omissione del v. 8 decreta inoltre una comunica-
zione che non si chiude più con il silenzio, in una sorta
di diminuendo sonoro («non dissero niente a nessuno,
avevano paura infatti!»), ma con la Parola, quella stessa
che le donne scoprono essere viva e presente anche in
un sepolcro.
Nel contesto proprio del racconto della passione, an-
che le donne, pur fedeli, fuggono - al pari dei discepoli
al Getsemani - sopraffatte da una realtà impossibile da
accogliere per un uomo e per un discepolo. Nella Veglia
pasquale, .al contrario, l'accento nei loro riguardi è po-
sto sulla fedeltà e sulla cura a quel Gesù che esse hanno
«seguito e servito» (cfr. 15,41) fin dalla Galilea.
Nel nuovo contesto liturgico altri particolari del testo
marciano vengono magnificati. I richiami temporali al
giorno di sabato appena passato, al mattino presto e ad
una nuova alba su cui si affaccia la proclamazione evan-
gelica, non possono non essere sensibilmente legati al
contesto orario della litu~gia pasquale, rafforzando il
simbolismo letterario già creato dall'evangelista. Più che
credere che sia la Veglia pasquale a dare forma al rac-
conto marciano3, ci pare molto più plausibile pensare,

3 È questa l'ipotesi di B. Standaert, Marco. Vangelci di una notte, vangelci pçr-


la vìta, 1-ill, Dehoniane, Bologna 20 l l.

55
come spesso è per i riti, che sia la liturgia ad adattarsi il
più possibile al testo biblico in modo da rendere "visi-
bile" ed esperibile la Parola ai discepoli che ora fanno
memoria di quegli avvenim.e nti4 •
Il nuovo evento salvifico, situato alle prime luci di un
nuovo giorno, si riallaccia poi alla manifestazione della
potenza del Signore «sul far del mattino» che libera il
suo popolo dalla morsa egiziana (cfr. Es 14, terza lettu-
ra della Veglia) e, ancor prima, alla potenza della Paro-
la che, nel.primo giorno della ereazione, crea luce, se-
parando questa dalle tenebre (cfr. Gen 1, prima lettura
della Veglia). La tonalità gioiosa e luminosa creata dal
contesto della Veglia sopraffà la tonalità paradossale e
sconcertante del finale marciano, evidenziandone
l'aspetto positivo.
Ciò è vero anche per lo stesso ~ono di paura enfatiz-
zato dall'evangelista. Tolto il v. 8, la paura torna ad es-
sere <<normale elemento» di una forma letteraria, dive-
nendo, in definitiva, positiva consolazione, invito acco-
rato a fugare il timore, come già esortava la voce di Mo-
sè: «Non abbiate paura! Siate forti e vedrete la salvezza
del Signore, il quale oggi agirà per voi» (cfr. Es 14,13-1 5).
Il motivo della liberazione diviene il filo rosso che le-
ga significativamente il testo marciano all'uscita
dall'Egitto di cui l'Esodo è emblema perenne. L'uso dei
passivi in M c 16,4.6 («rotolata via Qa pietra]; «è stato

4
Con questa affermazione non intendiamo fare asserzioni a livello sto-
rico. Notiamo semplicemente che il Rito è eloquenza della Parola e acquista
valore e spessore comunicativo solo quando rende visibile ed esperibile la
Parola viva consegnata alla Chiesa. Così, se ci pensiamo, è anche per l'eu-
caristia, dove la proclamazione del testo biblico non è semplicemente deman-
data al Lezionario: l'intero Rito è eloquenza della Parola, dal saluto iniziale
allo scioglimento dell'assemblea.

56
risuscitato»), orientano il cuore e l'attenzione del lettore
verso gli interventi prodigiosi di liberazione operati da
Dio in quella storia che è appena stata rievocata dai te-
sti biblici. La risurrezione del Signore diviene così anche
liberazione da un carcere e da un luogo di morte («non
è qui»).

5. L'intento comunicativo: i nodi pragniatici

5.1 Le donne in Mc 16,1-4

Diversamente da Le 24, 1-1 2 che svelerà solo in me-


dias res l'identità del gruppo femminile delle discepole,
fin da subito Marco tiene vivo il legame narrativo con
quella componente femminile che già aveva manifesta-
to essere presente nella morte (15,40), nella sepoltura
(15,47) e ora alla risurrezione di Gesù (16,1). Segnalate
sullo sfondo, in chiusura dei due episodi della passione,
esse compaiono ora come protagoniste nell'asse prin-
cipale della comunicazione. Mentre i discepoli abban-
donano definitivamente la scena narrativa all'arresto
di Gesù (14,50), esse, che fin dagli inizi hanno «seguito
e servito» Gesù (15,41), proseguono lealmente ad esse-
re presenti là dove egli si trova. Pietro, l'unico dei di-
scepoli ancora menzionato dopo 14,50 (episodio del
rinnegamento: 14,66-72), verrà esplicitamente eden-
faticamente chiamato in causa nell'annuncio del miste-
rioso giovane al sepolcro (16, 7: «dite ai suoi discepoli e
a Pietro»).
Le donne sono qui presentate nella loro devota os-
servanza delle norme giudaiche (osservanza del sabato)

57
e nella loro pietà verso il Maestro. Vari esegeti sottoli-
neano qui l'inattendibilità storica del progetto delle tre
discepole (ungere Gesù)5, sia perché tale pratica non sa-
rebbe conosciuta presso Israele, sia, sòprattutto, perché,
a due giorni di distanza dalla sepoltura, difficilmente si
poteva pensare di ungere un corpo di un defunto, stra-
ziato dall'infame pratica della flagellazione e della cro-
cifissione. Al di là delle congetture storiche su questi
particolari (presenti comunque, pur con accenti e cro-
nologie diverse, anche in Le 24, 1 e Gv 19,40), pare evi-
dente l'accento che l'autore vuole porre sull'intento di
raggiungere il corpo morto di Gesù da parte delle don-
ne, nonché il rinvio tematico a un'unzione - ancora a
opera di una donna - già precedentemente narrata in
14,3-9, interpretata da Gesù stesso come anticipo della
sua sepoltura (14,8).
La particolarità .del racconto marciano è evidente in
un confronto sinottico. In Mt 28, 1 le donne si mettono
in movimento «per vedere» il sepolcro; senza troppi par-
ticolari Mt 28,2 passa subito alla manifestazione ange-
lica. In Luca si dice sì che le donne portano aromi·, ·ma
si elide l'esplicito riferimento all'unzione del corpo, fat-
to invece da Marco. La pietra non costituisce un pro-
blema per raggiungere quel corpo nel Terzo Vangelo,
mentre diviene quasi ossessione in Mc 16,2-4.
Nell'ottica di Marco, il sepolcro svolge un ruolo pro-
spettico per la narrazione: le donne «vanno al sepolcro»
(16,2); «entrano» (16,5); «escono» (16,8); tre azioni
espresse, nel testo greco, mediante un unico verbo,
erchomai, con i suoi composti. Inoltre le donne si inter-

5 Cfr. R. Pesch, op. cit. , 772; S. Légasse, op. ciL , 847-848.

58
rogano specificatamente su «chi» potrà rotolare «per
loro» la pietra, rimandando alla necessità di un inter-
vento esterno che, tuttavia, dal punto di vista meramen-
te storico forse non s.arebbe stato così necessario6 • Anche
qui, al di là della fattibilità concreta, l'evidente attenzio-
ne del narratore è volta a costruire un ambiente comu-
nicativo in cui, secondo la prospettiva del piccolo grup-
po di donne, è necessario un intervento esterno al fine
di realizzare il loro progetto: raggiungere quel corpo
non è nelle loro possibilità. Esse, infatti, non si interro-
gano sul «come» adempiere il loro scopo, ma su «Chi»
lo farà per loro.
Avvicinandosi al sepolcro, il loro sguardo è dimesso
come se si sottolineasse il totale assorbimento in questi
mesti pensieri ~a notazione «alzando lo sguardo, scor-
gono ... » di 16,4 suggerisce uno sguardo basso). Scopri-
re la pietra rotolata via - di cui ancora una volta e con
enfasi si sottolinea la grandezza (16,4) - è per loro un
vero e proprio ribaltamento di prospettiva. Ora è pos-
sibile aprirsi a una nuova visione delle cose.
Se l'ambiente comunicativo di 16, 1-4 ci aveva por-
tato a convergere sulla prospettiva ripiegata e malinco-
nica delle discepole, ora l'orizzonte si apre a nuove po~­
sibilità di lettura. È questa, di fatto, la proposta avanza-
ta dal giovane messaggero in 16,6-7. Nel sepolcro esse
non trovano il caos e l'orrore della morte, ma la vitalità
di un giovinetto, compostamente seduto e rivestito di
una veste bianca. In questo ambiente dischiuso dalla

6 Cfr. S. Légasse, op. cil, 850. Secondo l'autore la pietra di un sepolcro


non era così grande da richiedere l'intervento di una squadra maschile; tre
donne sarebbero state sufficienti. Ma per Marco quella pietra è «molto gran-
de» (16,4). · ·

59
potenza di Dio (16,4), risuona ora la forza di una paro-
fa che annuncia la ripresa di una relazione interrotta dai
tragici eventi di Gerusalemme.
Nei rilievi semantici avevamo notato una certa pro-
gressione nell'uso dei verbi di percezione visiva nei w.
4-7: le donne «scorgono» (theorousin) la pietra, «vedono»
(eidon) il giovinetto, infine. sono chiamate ad annunciare
un appuntamento in cui i discepoli <<Vedranno» (opsesthe)
il Risorto. Lo sguardo mesto delle discepole, che si era
destato di front.e alla pietra rotolata, è progressivamen-
te chiamato a innalzarsi - ad andare oltre - dal sepolcro
all'incontro c~n il Crocifisso Risorto che non avviene in
quel luogo, ma in un oltre verso il quale esse sono chia-
mate a incamminarsi.

5.2 La visione: Mc 16,5

La prima parte dell'epifania narrata in 16,5-7 è de-


dicata all'esperienza di visione che ha per oggetto il.gio-
vane (neaniskos) vestito di bianco. Dopo l'enfasi data a un
altro giovane misteriosamente inserito nella narrazione
di 14,51 (parte dello stessoJco-testo), al lettore non può
sfuggire la relazione stabilita tra le due figure. A questo
riguardo occorre notare che, pur facendo pensare a una
manifestazione angelica, Marco non usa qui il termine
«angelo» eh.e ben conosce7 , ma riprende ancora il ter-
mine e la figura del neaniskos di 14,51-52.
Mentre Marco prosegue nel costruire un ambiente
che favorisca il senso di mistero che circonda Gesù, Mat-
teo, al contrario, cerca di evidenziare anche nei parti-
7
Cfr. Mc 1,2. 13; 8,38; 12,25; 13,27.32.

60
colari del racconto cli risurrezione i legami con gli even-
ti salvifici della storia d'Israele. Il «giovinetto» cli M c
16,5 diviene esplicitamente in Mt 28,2 «l'angelo del Si-
gnore», rinviando così il lettore a "sceneggiature" note
e rassicuranti del panorama salvifico.
A nostro avviso, la figura marciana del neaniskos, in-
sieme alla sua descrizione, più che suggerire direttamen-
te un agente celeste o sostituirsi in modo.metaforico al
Risorto, costituisce qui un simbolo letterario costruito
appositamente dall'autore in e per questo contesto che
mantiene, come tutto il Vangelo marciano, uno spicca-
to alone cli mistero.
A questo proposito ci pare opportuna una digressio-
ne tecnica per giustificare la lettura di questo nodo co-
municativo costruito mediante la figura del «giovinetto».
Ci richiamiamo alla concezione del simbolo letterario
proposta da U. Eco8 in ottica <<pragmatica»9 .
U.n simbolo letterario è creato da un testo quando, ri-
cercando la cooperazione del lettore, insiste in modo
non "economico", gratuito e ridondante su oggetti e
azioni che, così facendo, non rientrano più pienamente
nella sceneggiatura che il lettore si attenderebbe in quel
determinato ambiente comunicativo. È la ragione, giu-
sto per fare un esempio, per cui un gatto con gli stivali
non desta scalpore se collocato in una fiaba, mentre sa-
rebbe del tutto inatteso se comparisse nel testo di un
contratto commerciale.

8 Cfr. soprattutto U. Eco, Semictica e.filosofia del linguaggi.o, Einaudi, Torino


1984, 243-254.
9 Come già precisato nel cap. I, si tratta di quella prospettiva che com-

prende l'opera letteraria (e ogni opera in genere} nel suo necessario e costi-
utivo dialogo con il proprio fruitore. Ogni opera/testo intende comunicare
e lo fa presupponendo una partecipazione attiva del proprio lettore.

61
Tal~ meccanismo può essere utilizzato in modo po-
sitivo. La risposta non pertinente del testo alle attese del
lettore introduce talvolta a un modo simbolico che orienta
verso la ricerca di una pertinenza altra in relazione a
quei particolari o personaggi che eccedono la sceneg-
giatura intrapresa.
Ciò che offre al segno letterario la possibilità di agire
simbolicamente è il contesto in cui viene utilizzato. Es-
so ha la forza di renderlo al tempo stesso rilevante e tut-
tavia non pertinente, dotandolo così di una funzione che
possiamo chiamare epifanica. Al contrario dell'allegoria,
che iinvia a sceneggiature conosciute, il modo simboli-
co mette in gioco qualcosa che, fino a quel momento,
non era stato ancora semanticamente regolato, e vale
dunque non in senso generale, ma in e per quello spe-
cifico contesto di utilizzo.
Il simbolo, per sua natura, resterà sempre rinvio ad
altro, in modo mai del tutto definito, suggerendo sem-
plicemente che c'è qualcosa che potrebbe essere detto,
ma questo qualcosa non potrà mai venire espresso una
volta per tutte. Questa funzione ci pare pienamente as-
solta dal «giovinetto» per come viene costruito nell'am-
biente narrativo di Mc 14,32- 16,8. .
Nel contesto della cattura di Gesù, la penna dell'evan-
gelista tratteggia dunque questo personaggio che im-
provvisamente appare sulla scena narrativa nel momen-
to in cui i discepoli, scandalizzati dalla sorte del loro
M aestro, fuggono. In quel medesimo momento, quasi
a commentare questo strappo scandaloso awenuto tra
Gesù e coloro che fin dall'inizio erano stati costituiti «af-
finché .fossero con lui» (3, 14: non semplicemente stare,
ma essere con Gesù), 14,51 introduce un giovinetto _c he

62
«lo segue», rivestito solo di un lenzuolo. Bloccato nella
sua sequela, il giova~e fugge, come hanno appena fatto
i discepoli e, rimasto nudo, lascia dietro di sé ciò di cui
è rivestito.
La costruzione del simbolo letterario, elemento co-
struito in e per questo specifico testo, appare evidente e
non può non imprimersi nella mente del lettore che a
questo stadio del racconto solleva una domanda di sen-
so a suo riguardo, tenendo comunque strettamente uni-
to il simbolo del neaniskos alla sequela e alla scandalosa
cattura di Gesù. Essa ha l'effetto di arrestare la via del
giovane che, a sua volta, fugge.
A distanza di appena due capitoli, sempre nella se-
quenza che porta alla conclusione della narrazione
evangelica (14,32-16,8), un'altra figura di giovane ap-
pare nella scena, stavolta all'interno di un racconto
epifanico: non è chiamato angelo, ma neaniskos; è giun-
to là dove i discepoli non sono arrivati e dove le donne
ritenevano impossibile pervenire; seduto, non disteso
come un cadavere; «alla destra», segno di onore e glo-
ria 10; rivestito di bianco, come le vesti che nella trasfi-
gurazione denotavano lo stato vittorioso e glorioso del
Signore (9,3). Egli ora annuncia che la via tracciata da
quel Messia, la cui sorte ha bloccato e scandalizzato -
esperienza di cruda nudità - persino coloro che erano
stati costituiti affinché fossero con lui, non conduce al-
la morte, ma alla vita e ha la forza di riallacciare i rap-
porti che la paura e il rinnegamento avevano interrot-
to: nonostante lo scandalo, la via dietro a Gesù può
prosegmre.

°Cfr. Mc 10,37-40; 12,36 (cfr. SaJ 110,1); 14,62.


1

63
La figura del giovinetto - così come le caratterizza-
zioni a lui legate - non è dunque simbolo a sé stante,
scevro dall'ambiente narrativo costruito dal testo mar-
ciano. Ci pare pertanto sensata la proposta di Grilli
che legge in esso una figura epifanica, rivelatrice del
cammino che il lettore è chiamato a compiere nel dia-
logico rapporto con il Vangelo 11 . L'epifania di Mc
16,5-7 rivela la sorte di quel corpo tanto cercato dalle
donne, ma al tempo stesso rivela anche al discepolo di
ogni tempo la meta del cammino evangelico e la pos-
sibilità di proseguire quella via, anche innanzi allo
scandalo della morte, come a quello del rinnegamento
e della fuga.
La ricontestualizzazione liturgica del testo marciano
rende significative a questo livello - e non a livello sto-
rico - le osservazioni di Standaert12 sul possibile signi-
ficato del testo legato all'ambiente liturgico della Veglia
pasquale, s.o prattutto quando in essa si celebrano i bat-
tesimi. Acq~sta allora ancor più forza il simbolismo ap-
pena evidenziato che il rito battesimale riprende ed
estende. La veste bianca del catecumeno non può non
esaltare la veste già trovata nel Vangelo, così come il
simbolismo battesimale morte/vita non può non con-
notarsi come ripresa e possibilità di nuove relazioni tra
il Ri~orto e i suoi discepoli. La relazione tra Rito e Van-
gelo va dunque vista nelle due direz~oni, in reciproca
influenza e specificazione.

11
M. Grilli, «Paradosso» e«mistero». Il VangeÙJ di Marco, Dehoniane, Bologna
2012, 110.
2 B. Standaert, op. ciL, III, 876-877.
1

64
5.3. La parola: Mc 16, 6-7

La seconda parte dell'epifania è occupata dalla pa-


rola di rivelazione. Posta in rilievo dall'introduzione
con l'uso del presente storico («dice»), essa si suddivide
in due frangenti: a) il consolante annuncio di risurre-
zione che si oppone alla prima reazione di paura delle
tre donne (16,6); b) l'incarico di andare dai discepoli,
e da Pietro, a ribadire loro la promessa fatta da Gesù
in 14,27-28.
a) L'annuncio. In consonanza con il genere epifanico,
alla reazione di paura delle donne segue una parola di
consolazione («non siate spaventate») che contrasta alla
lettera con il primo sentimento («furono spaventate»),
cercando di orientarlo verso la novità che Dio apre in-
nanzi a loro. Il neaniskos mostra di conoscere l'oggetto
della ricerca delle donne: esse cercano l'uomo che han-
no seguito e servito fin dagli inizi ddla sua predicazione,
dalla Galilea, ove lo conobbero come «il Nazareno», fi-
no al Golgota dove fu «crocifisso».
Le donne sono invitate ad abbandonare la via della
paura e quella della ricerca di un Gesù conosciuto se-
condo i connotati storici della sua provenienza («il Na-
zareno») e della sua scandalosa morte (<<il Crocifisso»)
che tuttora lo qualifica agli occhi degli uomini. La pau-
ra può essere fugata solo con l'accoglienza di una nuova
prospettiva ~he M arco - con l'impiego di un passivum
divinum - sottolinea provenire da Dio («è stato risuscita-
to»). Lo spavento che assale le donne nella loro incapa-
cità di pe"rvenire a risposte innanzi a un evento che va
al di là della loro capacità umana di comprensione, può

65
a
essere vinto affidandosi quella parola in cui riecheggia
la voce dell'annuncio evangelico.
La costatazione dell'assenza di Gesù nella tomba
(«non è qui») deve decretare il termine di quella loro ri-
cerca per aprirsi all'orizzonte dischiuso dalla parola di
vita che là, anche in una tomba, si fa incontro. Come
nella <<via» di sequela che le ha portate dalla Galilea al
sepolcro, le donne sono ancora chiamate ad affidarsi a
una voce che, per la potenza di Dio, apre nuovi scenari.
b) La, missione. La seconda parte della parola di rive-
lazione si concentra sull'incarico affidato alle donne,
chiamate a uscire da quella prospettiva di morte in cui
si sono rinchiuse. Ancora un imperativo le esorta e le
incoraggia ad «andare» e a «dire» ai discepoli, e a Pie-
tro, che Gesù rinnova la promessa già fatta loro. Le don-
ne sono costituite messaggere di un appuntamento e,
dunque, della ripresa di quella relazione che gli eventi
scandalosi della Pasqua sembravano avere distrutto. Al-
la luce del Getsemani e del manifesto rinnegamento di
Pietro, non può qui sfuggire l'implicita parola di perdo-
no che l'annuncio della ripresa di una relazione porta
con sé, soprattutto nei riguardi di Pietro (cfr. 14,66-7 2)
che, anche nel finale del Vangelo, viene posto in rilievo.
In questo cammino, come era stato in tutta la sua vi-
ta terrena 13, Gesù-pastore (cfr. 14,27-28) «precede» an-
cora i discepoli. Su questa rinnovata via di sequela, che
ha alla base la sua fedele parola («come vi disse»), i di-
scepoli lo vedranno, ne faranrio ancora esperienza, tut-
tavia egli resterà sempre un passo avanti a loro. Le pa-
role del giovinetto chiudono l'annuncio evangelico fatto

13
Si vedano soprattutto 10,32; 14,28.

66
dal testo liturgico di Marco: si rinvia a un appuntamen-
to e a un'esperienza che ha alla base la parola di Gesù
trasmessa dal Vangelo. Ma il testo marciano prosegue
in modo sconcertante, aggiungendo un versetto che
cambia notevolmente la prospettiva di lettura.
Come in tutto il racconto di Marco, Gesù sfugge an-
cora a chi cerca di prenderlo, metafora di un mistero che
non può essere posseduto. Il Maestro invita piuttosto a
seguirlo, a camminare dietro a lui: <<Vi precede in Gali-
lea» (cfr. 1, 17 e 8,33: «dietro a me»).

5. 4. ·La paura: Mc 16, 8

Da sempre il v. 8 risulta il maggior problema inter-


pretativo del racconto marciano di risurrezione tanto
che, fin dall'antichità, si .è percepito l'esigenza di inte-
grarlo con le apparizioni del Risorto (Mc l 6,9~20) 1 4 •
Nonostante ci si voglia appellare a un finale tutto som-
mato "normale" anche per la letteratura antica 15 , è un

14
Nonostante il Vangelo canonico secondo Marco prosegua con i rac-
conti delle apparizioni pasquali (16,9-20) è questa, 16,8, la conclusione
dell'opera come concepita dall'evangelista. Ciò è· ben attestato dalla tradi-
zione testuale e unanimemente accolto dalla critica. Quanto segue, pur in-
serito redazionalmente in appendice alla narrazione, è chiaramente un'ag-
giunta che intende integrare il raccònto lasciato aperto dal misterioso silen-
zio delle donne. Se pur non originali, ritenendoli tuttavia ispirati, i versetti
successivi sono stati conservati e trasmessi. Tale conclusione è detta oggi <<fi-
nale canonica>>.
15
Sulla base dell'articolo di P. van der Hordt, «Can a Book end with
yap? A note on Mark XVI,8»,]ournal of Theologi.cal Stu.dies 23 (1972) 121-124,
e sulle testimonianze qui riportate di Plotino e Musonio Rufo, alcuni autori
tendono ad attenuare la sorpresa di 16,8 comprendendola come perfetta-
mente coerente allo stile dell'autore e alle tecniche della letteratura antica.
Fermo restando che il paradosso è una tecnica retorica ampiamente utiliz-
zata da Marco, e che è unanimemente riconosciuto quanto l'esperienza re-

67
fatto letterario che la conclusione originale del Vangelo
di Marco abbia provocato - e provochi tuttora - scan-
dalo, tanto da percepire la necessità di completarlo, op-
pure di addolcirlo, come è il caso della pericope evan-
gelica della Veglia che ha, ovviamente, altri intenti. L'in-
tenzionale aggiunta di 16,8 dopo l'annuncio di 16, 7 sol-
leva enormi domande, non meramente di carattere let-
terario-narrativo, testimoniando l'efficacia di un effetto
pragmatico inteso dall'autore. Il silenzio e la paura che
suggellano la conclusione di un «lieto annuncio» non
possono non destare interrogativi nel lettore e fare per-
cepire che, ancora una volta, e in modo emblematico,
gli eventi pasquali non si impongono automaticamente
sull'uomo. Lo stop decretato da Marco a ogni facile en-
tusiasmo che un finale tutto sommato glorioso come
quello di 16, 7 potrebbe suggerire, fa perlomeno com-
prendere che ci si trovi qui innanzi a qualcosa che su-
pera ogni ordinaria storia e vicenda umana.
La paura, finora elemento "normale" della forma
comunicativa impiegata, diviene in 16,8 centro di atten-
zione. Espressa con ben due sostantivi e un verbo, sul
quale si chiude il racconto (ephobounto gar), ha la forza di
instradare alla fuga e di bloccare la parola. Su questo
silenzio carico di ·paura umana si chiude il lieto .annun-
cio! Il brano che si era aperto segnalando uno spazio
temporale (il sabato) non segnato da azioni o iniziative
umane si chiude ora consegnando il lettore a quella stes-

ligiosa proposta dall'autore passi inevitabil~ente per il tema della paura, non
si può negare che nel suo contesto (finale di un Vangelo, preceduto in 16,7
da una lieta notizia) la conclusione marciana desti quantomeno sconcerto.
La storia dell'interpretazione, partendo proprio dalla formazione del cano-
ne, lo testimonia ampiamente.

68
sa inoperosità: silenzio e incapacità umana che Dio può
ancora fecondare con la sua azione salvifica.
Come il silenzio inoperoso dell'uomo espresso nello
fabbat - memoriale dell'attività creatrice e redentrice di
· Yhwh -viene scoperto dalle donne quale spazio colma-
to dall'azione vivificante di Dio (vv. 1-7), così ora anche
l'inattività muta e terrorizzata delle discepole può esse-
re fecondata dalla stessa potenza.salvifica. A questo si-
lenzio scandaloso, eppure abitato da Dio, la narrazione
della «lieta notizia» consegnerà il suo lettore.
L'aggiunta di 16,8 sposta l'accento comunicativo di
16, 7, invitando non tanto all'annuncio quanto ad abi-
tare con fiducia quello spazio creato da un evento pa-
radossale in cui pare palesarsi tutta l'impotenza umana
e divina. Esperienza, che non di rado, ogni discepolo
storico incontra nella vita.
La fuga e il silenzio annullano la missione affidata
alle donne; ciononostante non viene negata la possibi-
lità di accedere a quell'esperienza d'incontro con il Ri-
sorto basata non sulla testimonianza umana (che spro-
fonda nell'impossibilità in 16,8), bensì sulla promessa
fedele di Gesù (cfr. 14,28) che viene reiterata nel finale
del Vangelo. A questa il lettore viene orientato. La pro-
messa di Gesù resta valida proposta per chiunque ascol-
ti la parola dell'evangelo.
Pur evidenziando il fallimento della missione affida-
ta alle tre donne, Marco non nega tuttavia la possibilità
d'incontro con il Risorto: essa si basa non sulla capacità
dei discepoli, bensì sulla fedeltà della parola di Gesù.
L'annuncio di una profonda esperienza che deve realiz-
zarsi al di là della narrazione, sulle strade della sequela
ove ora il Risorto promette di farsi trovare, è ciò a cui

69
Marco rinvia mediante l'espediente pragmatico di 16,8.
Il fallimento umano dei discepoli e delle discepole, al
pari del paradosso di fede di un Signore crocifisso, non
può cancellare la possibilità d'incontro con il Risorto. E
questo - per chiunque abbia, esperienza reale di vita e
di discepolato - è .un lieto, lietissimo annuncio!

70
IV

IL RACCONTO DI RISURREZIONE
NEL VANGELO DI LUCA 1

1. Le 24, 1-12: distribuzione della co~unicazione

SFONDO ·PRIMO PIANO DISCORSO

Al sepolcro il primo dei sabati

A. 111 primo [giorno]


dopo il sabato
[te[i} de mia[i} ton
sabbaton],
al mattino presto

[le donne] vennero al


sepolcro,

portando gli aromi


che avevano preparato.

continua

.1 Proponiamo qui in una versione semplificata quanto già apparso in


Gregorianum 95 (20 14) 467-485 con il titolo «L'annuncio pasquale di Le 24,
1-12 e la sua ricontestualizzazione liturgica>>. Ringraziamo il direttore della
rivista, il pro[ Roland Meynet, per averne permesso la pubblicazione.

71
2 Etrovarono la pietra
rotolata via dal
sepolcro.

3 Ma entrate,

non trovarono il corpo


del Signore Gesù.

Il praeconium paschale
B. 4 Eavvenne [kai
egeneto] ,

mentre se ne stavano
incerte [aporeo]
su .ciò,

ecco due uomini


stettero innanzi a loro
in vesti sfolgoranti.

5 Divenute loro
impaurite
e chinato il volto a
terra,
essi dissero loro:

continua

' 72
6 «Perché cercate il
Vivente
tra i morti?
Non è qui,
ma è risorto.
Ricordate come parlò a
7 voi
quando era ancora in
Galilea,
dicendo che
il Figlio dell'uomo
doveva essere
consegnato
nelle mani
degli uomini peccatori,
essere crocifisso
e il terzo giorno
risuscitare».
8 Esi ricordarono
delle sue parole

L'annuncio delle donne


B'. 9 e, tornate dal
sepolcro,
annunciarono tutte
queste cose
agli Undici e a tutti gli
altri.
10 Erano Maria
Magdalena
e Giovanna, e Maria di
Giacomo
e le altre che erano con
loro.
Dicevano agli apostoli
queste cose.
continua

73
11
Eapparvero innanzi a
loro
come un non senso
queste parole

e non credevano loro.

Pietro al sepolcro

A'. 12 Ma Pietro,

alzatosi,

corse al sepolcro
e, chinatosi, vide le bende sole
e se ne andò [a casa],

meravigliandosi per
l'accaduto.

2. Il testo nei suoi contes ti

2.1. L'avvio della comunicazione

La pericope che dà awio al capitolo 24 del testo lu-


cano è fortemente ancorata al racconto della passione-
morte del capitolo precedente. Ne sono evidenza la
man.c ata esplid.tazione del soggetto in 24,1 («vennero»)2

2
In Mc 16,1-8 la lista delle donne è posta all'inizio del racconto (16,1),
nonostante il versetto precedente (15,47) riporti l'elenco di altre tre donne,
tra cui la stessa Maddalena. Luca percepirà solo in 24,10 l'esigenza di espli-
citare i soggetti femminili di questa· scena, interrompendo così la linearità
del racconto tra 24,9 e 24,11.

74
- elemento grammaticale che rinvia al movimento del-
le donne introdotte in 23,55 - ma soprattutto la costru-
zione greca to men... te [i} de che crea un legame con la
scena della crocifissione-deposizione (23,56b; 24,1) e,
allo stesso tempo, decreta un passaggio da un atteggia-
mento statico a uno dinamico: <<il giorno di sabato ri-
posarono, ma il primo giorno dopo il sabato venne-
ro ...»3.
Dal punto di vista narrativo l'avanzamento del rac-
conto ruota intorno a un passaggio temporale: dal «gior-
no di sabato» in 23,56 si passa a «nell'uno dei sabati»
di 24,1. Comune ai quattro Vangeli, l'espressione te[i}
de mia[i} tOn sabbatOn4 riflette una costruzione e un pen-
siero tipicamente ebraici (nella versione greca dei Set-
tanta traduce l'ebraico 'e!J,iid bafabbat) che consiste nel
numerare i giorni della settimana a partire dallo fabbat,
così come nell'intendere con la stessa espressione ta sab-
bata o to sabbaton l'intero settenario. Ragion per cui si può
leggere in 24, 1 «il primo giorno dopo il sabato» oppure
«il primo giorno della settimana».
È indubbio, tuttavia, che il costrutto chiami in causa
il sabato come fattore discriminante del computo tem-
porale e, nel nostro caso, come elemento di svolta nella
fabula narrativa. L'elemento è rilevante, visto che anche

3 La costruzione greca men/ de può essere equiparata a quella latina qui-


dem / autem (cfr. 23,56-24, I). Cfr. J.A. Fitzmyer, The Gospel According I.o Luk.e,
II, Doubleday, New York (NY) 1985, 1543.
4
Così anche in Mc 16,2, Mt 28,l e Gv 20, l (cfr. At 20,7; 1Cor 16,2). Si
veda anche Sai 23, 1 (tls mi.as sabbatòn); 47,1 (deutera[i} sahbatou); 93, l (tetradis
sahbatòn) secondo la versione greca dei Settanta. Allo stesso modo anche il
termine e Mbdqme (il settimo giorno)·che nel giudaismo indica sia il sabato
che la settimana. Cfr. E. Lohse, «<J~<X'tOV», in Grande Lessico del Nuovo Te-
stamento, XI, 1022-1106.

75
in 23,54 la sottolineatura di questo giorno non è indif-
ferente: «cominciava a risplendere il sabato». In 23,56,
due versetti dopo, si menziona ancora il sabato come
giorno del comandamento, secondo quanto riportato in Es
20,8-11 e Dt 5, 12-15 dove è richiesto rispettivamente di
«ricordarsi» (Es 20,8) del sabato a motivo dell'azione
creatrice di Yhwh e di «osservarlo» (Dt 5, 12) in ragione
della liberazione dall'Egitto.
Nel contesto lucano l'elemento temporale è dunque
un segnale insistito (tre volte in quattro versetti), eviden-
za che scompare nella sua pericope liturgica che avvia
il racconto con 24,1. Tuttavia sarà proprio il contesto
liturgico a dare nuova forza alla menzione del «primo
dei sabati».

2. 2. Il contesto liturgi,co della ~glia pasquale

La ricollocazione liturgica del testo lucano al termi-


ne di una lunga sequenza narrativa che ha visto i suoi
capisaldi proprio nel racconto genesiaco e in quello del-
la liberazione dall'Egitto, offre all'elemento sabbatico
nuova foce e vigore, soprattutto se si considera la chiave
interpretativa offerta dal Sai 118 ed esplicitata dal ver-
setto alleluiatico ch e ne riprende il v. 24: «questo è il
giorno che hafatto il Signore», rileggendo così l'annun-
cio di risurrezione nella linea delle grandi opere «fatte»
da Yhwh in fav?re dell'uomo e del suo popolo, nelle
creazione come nell'esodo (cfr. Gen 1 e Es 14-15).
Letta in questa luce, la connotazione temporale di
Le 24, 1 assume uno spiccato spessore teologico. Il ri-

76
chiamo al sabato afferma la continuità con una tradi-
zione che ha sperimentato nella storia gli eventi salvifi-
ci di Dio di cui il sabato è memoriale: il giorno in cui
Israele è chiamato a ricordarsi di un Dio che dà la vita,
cli un liberatore che spezza i vincoli mortiferi della schia-
vitù.
Proprio per questo, la risurrezione il «primo giorno
dopo il sabato» dice l'intervento di Dio che si colloca al
di là di ogni speranza, in una dimensione di "oltre" che
appartiene in sé a tutte le promesse fatte a Israele, in
uno spazio e in un tempo in cui solo Dio può operare.
In questo sentiero semantico aperto dal contesto li-
turgico acquistano allora ulteriore valore il richiamo al
«Vivente» (ton zonta) di 24,5 e l'imperativo di 24,6: «ri-
cordate» (mnesthete); «ed esse si ricordarono», conclude
in tono grave e solenne il v. 8.
La memoria liturgica, esplicitata dal lungo percorso
testuale della Veglia, è lo stesso cammino che le donne
sono invitate ad avviare «ricordandosi»; cammino che
troverà la sua meta (<<partendo d~ Mosè e da tutti i pro-
feti»: 24,27) nel riconoscimen to del Risorto allo spezza-
re del pane.
Quello dunque che era un elemento possibile del te-
sto e del co-testo lucano, diviene un segnale maggiore
- un accento forte, per dirla in termini musicali - nella
comunicazione avviata dalla liturgia pasquale.

2.3 L'annuncio pasqua/,e nel contesto del Terzo Vangelo

Diversa prospettiva è, invece, offerta alla pericope


evangelica nel suo contesto letterario. A differenza di

77
Marco, che fa di questo brano la conclusione stessa del
suo Vangelo, Luca colloca sì la scena del sepolcro vuoto
al termine della narrazione evangelica; ciononostante
prima di giungere al vero e proprio epilogo c'è ancora
una strada da percorrere. D etto in altri termini, l'an-
nuncio della risurrezione (offerto in 24,1-12), in sé, non
è per Luca sufficiente, ma dev'essere completato. Que-
sto cammino viene articolato nei successivi due episodi:
il racconto di Emmaus e l'incontro tra Gesù e i disce-
poli in Gerusalemme. Solo qui l'incredulità e lo scetti-
cismo suscitati dall'annuncio delle donne saranno col-
mati, portando a termine l'itinerario di riconoscimento
proposto dall'evangelista.
Dunque, da brusco epilogo di un racconto il testo lu-
cano del primo annuncio, di risurrezione diviene un pre-
ludio alla comprensione dell'evento pasquale che si arti-
cola essenzialmente in tre tappe:

- l'annuncio e il ricordo presso la tomba vuota (24, 1-1 2);


- il cammino dei discep~li di Emmaus (24, 13-35);
- l'incontro con il Risorto (24,36-53).

Il tutto avviene nel medesimo spazio temporale e teo-


logico offerto dal <<primo giorno dopo il sabato»: un uni-
co giorno in cui sono situati tutti gli avvenimenti dell'ul-
timo capitolo del Vangelo.
L'episodio di 24,1-12 introduce a un'ultima e decisi-
va «strada>> che conduce all'incontro e al riconoscimen-
to del Risorto in cui è fondamentale il ricordo della Pa-
rola. Tale ricordo, come vedremo, è un'esperienza che
va ben al di là dell'esercizio della memoria. Il motivo de
«la via>>, gi~ peculiarità del Vangelo lucano, ritorna dun-
que anche in questa fase finale del racconto.

78
3. Le s trutture narrative

C onfigurato lo sfondo sul p alco della relazione co-


municativa, vediamo ora in modo più sistematico alcu-
ni dettagli della comunicazione testuale, partendo dalle
strutture narrative. Come sempre, dividiamo l'analisi
secondo le linee comunicative del primopiano (o fabula) e
dello sfondo. Circa la linea del discorso - di cui fa parte in
Le 24, 1-12 unicam ente l'esteso annuncio angelico dei
vv. 5b-7 - ci occuperemo direttamente trattando fin-
tento comunicativo.

3.1. L)articolazione del racconto

Il racconto si articola in quattro momenti con i due


annunci p asquali (24,5b-7; 24,9) collocati al centro del-
la costruzione, mentre i due movimenti verso il sepolcro
ne rappresentan o risp ettivamente la scena iniziale e
quella finale. Si può dunque comprendere 24, 1-12 se-
condo una struttura chiastica:

A. Al sepolcro il primo giorno dopo il sabato


B. Upraeconium pascha/,e
B'. L'annuncio delle donne
I( . Pietro al sepolcro

D ei due annunci, quello angelico è molto più svilup-


p ato (il più sviluppato tra i Sinottici). L'annuncio delle
do~ne, invece, è solo brevemente narrato (al contrario
del discorso diretto dei vv. 6-7) e sortisce un effetto op-
posto al primo. Tuttavia, esso è arricchito da un'esp an-
sione sull'identità del gruppo femminile la quale, oltre

79
a duplicare la lieta notizia appena portata agli Apostoli5 ,
pone in evidenza la componente femminile dei discepo•
li di Gesù.
L'esplicitazione dei soggetti posta solo al v. 10 è stra-
na, soprattutto se confrontata con Marco (lo stesso av-
viene con Matteo) che la colloca all'inizio. Così facendo,
Luca interrompe in modo apparentemente maldestro
la linearità del racconto, richiedeq.do una particolare
cooperazione interpretativa da parte del suo lettore. In
sede opportuna occorrerà ritornare su questo nodo co-
municativo, interrogandosi sull'intenzionale svelamento
posticipato dell'identità del gruppo femminile e sull'ef-
fetto da esso suscitato nel lettore6 .
Il movimento delle donne, salite con Gesù dalla Ga-
lilea a Gerusalemme (cfr. Le 8,2-3), conduce al ritrova-
mento della pietra rotolata via dal sepolcro, ma non al
ritrovamento del corpo del Signore, già oggetto del loro
attento sguardo in 23,55 («osservarono il sepolcro e come
deposero il suo corpo»). Inaspettatamente, ciò che esse
ritrovano non è un corpo, ma la parola di Gesù che i
due uomini richiamano alla memoria7• È su questa
«via>>, riaperta dalla parola, che potrà ora awenire l'in-
contro con il Risorto.
Diversamente dal cammino delle donne, la corsa di
Pietro porta al ritrovamento delle sole bende che av-

5 L'inserzione di 24,lOb detta delle ripetizioni di 24,9b: «annunciaro-

no»/ «dicevano»; «Undici/ Apostoli»; «tutte queste cose»/ «queste cose».


6 Abbiamo notato che la mancata esplicitazione del soggetto in 24,1 ri-

chiama il gruppo femminile presente nella scena della crocifissione, morte e


sepoltura di Gesù, là dove esse restano nondimeno anonime; solo in 24,10
si esplicita la loro identità.
7
Cfr. R. Meynet, Il Vangew secondo l.J.Jca. Analisi Rewrica, Dehoniane, Bo-
logna 2003, 881.

80
volgevano. il corpo cli Gesù. Un'ambigua nota di stu-
pore chiude il racconto: «e se ne andò (apelthen pros
heauton), meravigliandosi. per l'accaduto» (24, 12). Nel
descrivere il movimento cli allontanamento dal sepol-
cro da parte di Pietro, l'evangelista utilizza una costru-
zione che ha suscitato l'interesse dei commentatori.
Nel contesto dell'azione narrativa, l'espressione apelthen
pros heauton («andò verso se stesso») viene a ragione tra-
dotta con «se ne andò a casa sua». Tuttavia, in modo
figurato, può essere compresa come un rientro in se
stesso da parte del primo tra gli apostoli, lasciando co-
sì intuire un possibile e positivo sviluppo di quell'ini-
ziale stupore8 .

3. 2. La fabula

La linea dellafabula demarca soprattutto i due man-


cati ritrovamenti (quello delle donne e di Pietro) e un
evento che - come spesso accade in Luca quando si uti-
lizza la formula kai egeneto («e avvenne») - in;ipatta deci-
samente sulla storia narrata e sulle vicende storiche de-
gli uomini. I due uomini descritti in vesti sfolgoranti (che
24,23 identificherà chiaramente con degli «angeli») bal-
za~o improvvisamente nella scena e annunciano la no-
vità narrativa: il Vivente non abita tra i morti, in una
tomba, ma è stato risuscitato (24,6a). Il loro annuncio
pasquale è completato da un comando (24,6b-7), un
pressante invito a ricordare le parole di Gesù e la via
percorsa con lui fin dalla Galilea.

8 In questa linea, F.
Bovon, Luca, ID, Paideia, Brescia 2013, 536, che col-
lega a Gen 12,l e Le 15, 17 («rientrare in se stesso»).

81
È da notare che l'oggetto di questo ricordo non è
semplicemente lasciato all'esercizio mnemonico delle
donne (come in Mt 28,6 che riporta simile espressione:
«è risorto come disse»), ma esplicitamente detto, ripe-
tendo gli ·annunci della passione e l'inattesa vicenda
del Figlio dell'uomo consegnato nelle mani dei pecca-
tori, crocifisso e risorto al terzo giorno (24, 7; cfr.
9,22.44)9 .
In ottica comunicativa, l'esplicitazione del «cosa» ri-
cordare (24, 7) 10 fa sì che il naturale accento pragmatico
del comando dato dai due uomini non cada più sulle
semplici parole di Gesù (una volta esplicitate non sono
più da ricordare!), ma sul «come» del suo pàrlare (24,6b:
«ricor.date come parlò a voi»), owerosia sull'aspetto rela-
zionale - rafforzato dall'introduzione del pronome per-
sonale (hymin: «a voi») - evidentemente decisivo per la
comprensio~e. Tale fattore di relazionalità diverrà ba-
silare nell'esperienza del Risorto fatta anche dai disce-
poli di Emmaus ed espressamente ripreso in ~4,32:
«Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli
conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le
Scritture?». Se pur con funzione grammaticale differen-
te, anche qui si fa uso dello stesso costrutto (hos elalesen
hymin), sottolineando - come d~terminante per il rico-
noscimento - il rapporto vivo ed esperienziale con Ge-
sù (si veda anche 24,30-31.35).

9 Sitratta di una sintesi, ma anche di un'esplicitazione delle stesse paro-


le di Gesù. Si veda anche 9,31; 17,25; 18,31-34; in Le 24 ai v. 7 .26.46. Negli
annunci della passione (9,22.43-45 e 18,31-34) mai si esplicita la crocifissio-
ne, così come non si parla di <<peccatori».
10
Nei racconti di risurrezione Luca è l'unico a riferirsi alle parole stesse
di Gesù circa la sua morte e risurrezione.

82
La memoria riattivata delle donne (24,8), che lascia
intuire positivo stupore e apertura alla fede, contrasta
nettamente con il «non senso» dato a quelle stesse pa-
role da parte degli Undici e di tutti gli altri. Evidente-
mente l'annuncio, da solo, non è sufficiente; l'aspetto
relazionale pare divenire discriminante.

3.3. La Linea dello sfondo

La ripartizione offerta evidenzia numerosi elementi


collocati sullo sfondo narrativo. Oltre al già menziona-
to riferimento temporale (24,1) che rimarrà stabile per
l'intera sequenza di Le 24, sono qui presenti la cura del-
le donne nel preparare gli aromi (24,2b) e la loro incer-
tezza (24,4) sulla quale si innestano la paura e l'impos-
sibilità di proseguire il cammino (24,5). È elemento di
sfondo anche l'identità del gruppo femminile, inserita
in 24, 1Omediante l'impiego di due forme verbali all'im-
p e.rfetto che offrono un certo stacco all'andamento nar-
rativo, decretandone un deciso rallentamento.
Infine, è parte dello sfondo l'incredulità del gruppo
apostolico (2 4, 11 b) a cui fa eco la meraviglia di Pietro
(24, l 2d). Con quest'ultima si conclude il racconto.
L'annuncio della risurrezione di 24,5b-7 si staglia
dunque su un atteggiamento di incredulità e dubbio che
caratterizza la componente maschile dei discepoli e con-
trasta nettamente con il gruppo delle donne. In virtù del
ricordo - ben sottolineato in 24,8 - esse passano da un
atteggiamento incerto, statico e pauroso (24,4-5) alla ri-
presa della «via>> e all'annuncio.

83
4. 'L'intento comunicativo: i nodi pragmatici

4.1. n motivo de «la VW»


In 24,4 l'incertezza delle donne innanzi all'improv-
visa comparsa dei due misteriosi uoniini è espressa m~­
diante il verbo aporeo che alla lettera significa «essere
senza via» (a-poros) 11, di qui il significato di «confusione»,
<<perplessità», «incertezza». La ricerca del corpo del Si-
gnore Gesù, arrestatasi innanzi a un sepolcro vuoto, ha
condotto le donne in un vicolo cieco (in una aporia) 12 •
Innanzi a una prospettiva di morte, infatti, non c'è via
d'uscita, a meno che il Signore non ne apra una.
Questo elemento, non particolarmente marcato nel
testo di Luca, assume invece maggior rilievo nella tra-
sposizione contestuale della Veglia. Il tema della via
chiusa non può non richiamare la situazione di Israele
sulla riva occidentale del mare Rosso con dietro di sé il
muro egiziano e innanzi l'abisso del mare: allora come
adesso è Dio, con la sua Parola, ad aprire una nuova via.

4.2. La tonalità liturgi,ca

Su questa situazione di stallo si innesta la condotta


timorosa delle donne (24,5). Pare evidente qui il ricorso

11
F.W Danker, A Greek-English kxi.con of the New Testament and other early
Christian /it,erature, Univcrsity of Chicago Press, Chicago 20003, 119 fa deri-
vare dalla radice poros (<<Via»). La forma verbale poreumai, qui preceduta da
alfa privativo, è molto utilizzata in Luca, presente anche in 4,30 (imperfetto)
e 9 ,51, inizio del viaggio di Gesù verso Gerusalemme.
12 L'idea è suggerita da M. Grilli, L'opera di Luca. I. Il Vangelo del ui.andante,

Dehoniane, Bologna 2012, 143. La proposizione temporale en LO[t} aporeisthai


autas con l'uso dell'infinito presente, sottolinea maggiormente il valore dura-
tivo della situazione in cui si trovano le donne: senz'altra prospettiva.

84
del narratore al cliché letterario del genere «apparizione»
o <<Visione» a cui appar:tiene, come componente proprio, ·
il timore del destinatario. Tuttavia non si può ridurre l'ele-
mento <<paura» in 24,5 a un semplice ricorso a uno sche-
ma narrativo senza valutarne la portata comunicativa.
La complessa fraseologia con cui è espresso l'atteg-
giamento timoroso delle donne (si veda soprattutto l'uso
del doppio genitivo assoluto) ha infatti l'effetto di rallen-
tare il ntmo della narrazione, e di solennizzare i movi-
menti delle donne prima dell'introduzione dell'annuncio
pasquale pronunciato all'unisono dai due uomini in ve-
sti sfolgoranti (24,5b). Questa tonalità, tipicamente li-
turgica (solennità, timore, rispetto) e già presente nel
contesto lucano, viene certamente posta in rilievo nella
trasposizione all'interno della Veglia pasquale. Cosicché
riecheggiano ora nell'annuncio corale intonato dai due
personaggi celesti sia il canto del Preconio che ha dato
av:'Ìo alla proclamazione della Parola, sia il cantico di
vittoria di Es 15.

4.3. Il Praeconium Paschale

Rispetto a M c 16,6 («è risorto, non è qui»), l'annun-


cio lucano di risurrezione è invertito e rafforzato da
un'avversativa esplicita: «non è qui, ma [alla] è risorto»
(Le 24,6). Se Marco si concentra maggiormente sulla
tomba vuota, aggiungendo: «Ecco il luogo dove lo de-
posero» (Mc 16,6), Luca mette in rilievo l'ambito seman-
tico della «vita». Anche la sintesi di Le 24;5b, riportata
per voce dei due di Emmaus in 24,23, riprende il me-
desimo accento: «è vivo».

85
A differenza di Marco, nel praeconium lucano le don-
ne ricevono il comando non di portare l'annuncio, ben-
sì di «ricordare». Nel luogo della memoria di un defun-
to (mnémeion: alla lettera il «monumento memoriale»),
esse sono chiamate a ricordare non un morto, ma una
parola viva.
N ell'ottica del Terzo Evangelista, dunque, l'annun-
cio sgorga spontaneo dalla capacità di ricordarsi di quel-
la esperienza e di saper connettere le parole di Gesù (e
della Scrittura) agli eventi pasquali. Questa prospettiva
diviene pragmaticamente significativa p er quel lettore
la cui fede non.può poggiare né sulla tomba· vuota né
sulle apparizioni del Risorto, ma sul fare memoria di
quella parola che apre continuamente vie d'incontro. È
questo, in definitiva, lo scopo stesso per cui Luca si ac-
cinge a scrivere: dare fondatezza all'insegnamento rice-
vuto (cfr. 1,4).

4. 4. .UinterrogatWo angeli.co

Tra i Sinottici, Luca si distingue per la formulazione


interrogativa dell'annuncio di Pasqua: «perché cercate
il Vìvente tra i morti? Non è qui, ma è risorto» (24,5b-6a).
L'espressione dell'insegnamento mediante l'uso di in-
terrogativi è tipico del Gesù lucano; ne abbiamo un
esempio anche poco oltre in 24,26 («Non bisognava che
il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella
sua gloria?»)13 .

13
Per maggiori approfondimenti, cfr. B. Prete, <<L'annuncio dell'evento
pasquale nella formulazione di Luca 24,5-7», Sacra Doctrina 16 (1971) 495.

86
Riscontrato questo modo "abituale" nei tratti nar-
rativi del Terzo Evangelo, occorre però notare anche
che, dal punto di vista comunicativo, l'interrogazione
e il conseguente invito a ricordare si integrano vicen-
devolmente, sono cioè omogenei: i d_ue input vanno di
pari passo e mirano entrambi a un coinvolgimento di-
retto degli interlocutori nel ritrovare «la via». Interro-
gando le donne ed esortandole a ricordare, i due uo-
mini dai chiari tratti angelici non offrono in prima bat-
tuta una soluzione precostituita all'atteggiamento e
all'incertezza delle disc~pole, ma le invitano a parteci-
pare attivamente nel trovare una risposta, richiaman-
dole a un insegnamento e a una Parola che dovrebbe
essere gi~ parte del loro bagaglio di vita, in virtù della
sequela del Maestro fin dai suoi primi passi nel mini-
stero in Galilea.
Interrogare è forma comunicativa che apre le porte
alla relazione e alla necessità di dialogo; modalità peda-
gogica ben distinta dalla secca affermazione di un inse-
gnamento che non lascia spazio alla replica!
Con i dovuti distinguo, si potrebbe forse parlare an-
che in questa circostanza di un "effetto parabola" basa-
to sull'esperienza umana del contrasto morte-vita, e spri-
gionato dall'inattesa ricaduta sull'uditore di un giudizio
che egli stesso ha pronunciato, interrogandosi, appunto,
su quella vicenda. Nell'uno come nell'altro caso si trat-
ta di una "scoperta" personale e non di un'evidenza of-
ferta dall'esterno, magari da una voce autorevole. È co-
sì che in Luca si accoglie l'inaudito annuncio di risurre-
z10ne.

87
4.5. Le donne

A questa osservazione vorremmo legare un ultimo


nodo comunicativo da. affrontare. Come abbiamo già
accennato, fintroduzione di 24, 1Orisulta narrativamen-
te maldestra, interrompendo la fluidità del racconto
(24,9.11), che di fatto procederebbe benissimo senza
l'inserzione dell'identità delle donne presenti al sepolcro
nel mattino successivo alla festa di Pasqua. La stessa co-
struzione compatta del v. 10, tutta all'imperfetto, ha la
funzione di porre in rilievo la componente femminile
dei discepoli di Gesù, pur collocandola sullo sfondo nar-
rativo 14. L'elemento diviene evidente se posto in rela-
zione all'utilizzo che i paralleli di Marco e Matteo fanno
di questo elenco o con lo stesso episodio dell'Ascensione
narrato in Atti dove i testimoni dell'evento sono ricor-
dati solo alla fine del racconto (At 1, 13). Nell'uno come
nell'altro caso, l'esplicitazione dei soggetti introduce o
conclude il racconto senza interromperlo, comè invece
avviene nel nostro caso. Occorre dunque interrogarsi
su quale sia la Eun:zione comunicativa di questo sposta-
mento presente ·nel testo lucano e narrativamente non
richiesto nel passaggio dal v. 9 (l'annuncio delle donne
agli Undici) al v. 11 Oa risposta incredula degli apostoli).

14
La menzione delle donne è tradizionale: M c 16, l ne ricorda tre (Mad-
dalena, M aria di Giacomo e Salome); Mt 28, I due (Maddalena e l'altra Ma-
ria). Luca mantiene il numero tre, omette però Salome (Mc 16, l ) e aggiunge
Giovanna, già presente nell'elenco in Le 8,3. Maria di Giacomo invece ap-
pare solo qui in Luca; in Mc 15,40 si chiarisce «madre di» Giacomo. A par-
te Maria Maddalena, sempre in testa alla lista, si dà dunque la sensazione di
un ampio gruppo di discepole (cfr. <<le altre con loro»). Le donne che, salite
con Gesù a Gerusalemme, assistono alla morte-sepoltura sono le prime te-
stimoni della tomba vuota e le prime annunciatrici. Cfr. G. Rossé, Il Vangew
dilli.ca, Città Nuova, Roma 1992, 1012-1013.

88
Pur con l'eccezione di Maria di Giacomo, Luca men-
ziona qui personaggi conosciuti dal lettore, persone
autorevoli perché presenti fin dalla predicazione in Ga-
lilea (cfr. Le 8,2-3). Il riferimento a questo gruppo, di cui
si esplicitano tre nomi, accentua maggiormente il con-
trasto tra l'atteggiamento delle donne verso la parola di
annuncio e il rifiuto della stessa da parte degli Apostoli,
l'altra componente dei discepoli che fin dall'inizio sono
stati presenti con Gesù.
Nell'opera lucana gli Apostoli sono certamente i testi-
moni accreditati della Parola (si pensi soprattutto ad Atti).
Tuttavia, a~che il gruppo delle donne è in qualche modo
trasmettitore autorevole di quell'esperienza «fin da prin-
cipio» (1,2): esse aiutano a comprendere il «come» di
quella Parola, come essa avvenne in mezzo a loro; ne sono,
in altri termini, memoria. Su questo aspetto relazionale
aveva già insistito l'annuncio dei due uomini in 24,6-7.
La vittoria del Figlio dell'uomo sofferente sulla mor-
te non è cosa immediata da comprendere, e questo è un
particolare non certo nuovo nei racconti evangelici di
risurrezione. Ciò che risulta nuovo in Luca è il fatto che
essa dipenda non semplicemente dall'annuncio, ma da
un'esperienza globale dai tratti del tutto unici di cui le
donne conservano memoria; u.na via di comprensione
alla quale esse, insieme al lettore, sono ricondotte.
Questa, in definitiva, è la stessa via ed esperienza che,
mediante il memoriale liturgico, l'assemblea è chiama-
ta a fare nella liturgia pasquale, soprattutto quando es-
sa è celebrata da una comunità che accompagna la cre-
scita delle sue membra non solo con il cosa dell'oggetti-
vo annuncio, ma con il come dei tratti storici di quel Fi-
glio dell'uomo crocifisso e risorto.

89
INDICE

Introduzione pag. 7

I. TESTI IN CONTESTO » 11

1. Per introdurre il problema » 11


1.1. La liturgia e le sue riletture bibliche » 11
1.2. Un «problema» non solo liturgico » 13
2. Testo e contesto: quale rapporto? » 17
2. 1. La questione contestuale » 17
2.2. I passi della ricerca » 19
a) L'apporto della Linguistica Testuale » 20
b) La ricerca oggi: la comunicazione
come relazione » 21
c) Il principio-guida » 23
2.3. Cosa intendere per «contesto» » 24

Per una /,ettura adeguata » 27

II. IL RACCONTO DI RISURREZIONE


NEL VANGELO DI MATTEO » 29

1. Il testo nei suoi contesti » 29


2. Mt 28, 1-10: distribuzione
della comunicazione » 31
3. Le strutture narrative pag. 33
4. Il genere letterario e la sua funzione
comunicativa » 37
5. L'intento comunicativo: rilievi semantici
e nodi pragmatici » 39

III. IL RACCONTO DI RISURREZIONE


NEL VANGELO DI I\1ARCO » 43

1. Mc 16, 1-8: distribuzione


della comunicazione » 43
2. Le strutture narrative » 47
2.1. L'asse principale della comunicazione » 47
2.2. La linea dello sfondo » 48
2.3. L'asse del discorso » 49
3. Il genere letterario e la sua funzione
comunicativa » 51
4. Il testo nei suoi contesti » 53
4.1. L'annuncio di risurrezione nel contesto
comunicativo di Mc 14,32-16,8 » 53
4.2. L'annuncio di risurrezione nel contesto
comunicativo della Veglia pasquale » 54
5. L'intento comunicativo: i nodi pragmatici » 57
5.1. Le donne in Mc 16,1-4 » 57
5.2. La visione: Mc 16,5 » 60
5.3. La parola: Mc 16,6-7 » 65
5.4. La paura: Mc 16,8 » 67

IV IL RACCONTO DI RISURREZIONE
NEL VANGELO DI LUCA » 71

1. Le 24,1-12: distribuzione
della comunicazione » 71
2. Il testo nei suoi contesti » 74
2.1. L'avvio della comunicazione pag. 74
2.2. Il contesto liturgico della Veglia
pasquale » 76
2.3. L'annuncio pasquale nel contesto
del Terzo Vangelo » 77
3. Le strutture narrative » 79
3.1. L'articolazione del racconto » 79
3.2. Lafabula » 81
3.3. La linea dello sfondo » 83
4. L'intento comunicativo: i nodi pragmatici )) 84
4.1. Il motivo de «la via>> )) 84
4.2. La tonalità liturgica )) 84
4. 3. Il Praeconium Pascha/,e » 85
4.4. L'interrogativo angelico » 86
4.5. Le donne » 88
Stampa: Arti Grafiche Cuneo - Madonna dell'Olmo (Cuneo)
FAME E SETE DELLA PAROLA
«Verranno giorni - dice il Signore- in cui manderò la fame
sulla rerra: non fame di pane né sete di acqua, ma di ascol-
tare la parola di DioH. Ispirandosi a quesco oracolo dcl pro-
feta Amos (8,11), la collana vuole offrire una serie di lcccu-
re direcce e puncuali, ma anche spiricuali, su un testo, un
rema, un personaggio della Bibbia, in risposta a quella «fa-
me e sere» di spiritualità biblica che oggi molti cristiani
provvidenzialmente avvertono.

37. E. Boserri, Cantico dei Cantici. «Tu che il mio cuore


ama». Estasi e ricerca, 2' ed.
43. A. Spreafico, Dio ama i poveri
44. G. Vivaldelli, Donna, perché piangi? Le domande di
Dio all'uomo
45. W. Vogels, I falliti tklla Bibbia. Scorie bibliche di in-
successo per imparare a vincere
46. D. Colerei, Le catene delia speranza. Riflessioni sulle
lettere di Paolo dalla prigionia, 2' ed.
47. B. Rossi, Come in uno specchio. I: incontro con la Paro-
la che trasforma. Lettura orante della Bibbia
48. A. F. Wrighr, Le grandi storie d'amore e d'amicizia del-
la Bibbia
49. R. Manes, IL ritorno. La sfida della riconci liazione ne l-
la parabola del figlio prodigo
50. F. Ceragioli, AL vincitore una pietruzza bianca. Zac-
cheo, Tommaso e altri amici di Gesù
51. F. Giuncoli, La storia di Abramo
52. F. Giuntoli, La storia degli inizi
53. F. Giunco(j, La storia di Giacobbe
54. F. Giuntoli, La storia di Giuseppe
55. G. Michelini, Passione, morte e risurrezione tkl Messia
secondo Matteo
57. S. Carorra, Invito al silenzio
58. G. Benzi, «A motivo di Cristo». Intervista a san Paolo
59. B. Costacurta, «Lascia andare il mio popolo». Riflessioni
b ibliche sul cammino dell'Esodo
60. L. Saraceno, Immagini del Regno. Leggere le parabole
nel Vangelo secondo Matteo
61. B. Maggioni, Dio ci aspetta sempre. li peccato, la mise-
ricordia, la conversione
62. P. Giroru, IL Vangelo tklla famiglia. Scoprirlo per annun-
ciarlo
76. O. Belleil, Elia L'uomo di fooco
77. P. Murray, In viaggio con Giona. La spiricualità dello
sconcerto
78. K. E. Bailey, Ilfiglio prodigo: parabola di ttn amore cro-
cifùso. I racconci di Luca 15 riletti con gli occhi del
Medio Oriencc
79. A. Spreafìco, Da nemici a fratelti. Il sogno di Dio per
il mondo. Percorso biblico
80. P. Placa, Accostarsi al Vangelo con sensi nuovi. Luce scon-
volgente e serena per i nostri giorni, 2' ed.
81. A. Amapani, Un uomo aveva due figli ... Riconoscersi
figli per divencarc padri

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