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«NONÈ QUI,
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E RISORTO>>
I racconti di risurrezione
e la loro rilettura nella Veglia pasquale
b
SAN PAOLO
© EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2015
Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano)
www.edizionisanpaolo.it
Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l.
Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano)
ISBN 978-88-215-9469-4
Alle donne della mia comunità ecclesiale.
Da loro ispirato, a lòro dedicato.
INTRODUZIONE
7
Una funzione simile a quella dei paliotti- e in speci-
fico quelli appena menzionati - mi pare essere assunta
dalle pericopi evangeliche della Veglia pasquale, l'unico
elemento variabile di una struttura liturgica sempre
uguale a se stessa (almeno per ciò che riguarda il Lezio-
nario) che affida al testo evangelico il compito di dare
la tonalità specifica a quella Pasqua 1• È così che nella
sequenza fissa delle otto letture dell'Uno e dell'Altro Te-
stamento si inserisce, secondo un ritmo triennale, l'an-
nuncio di risurrezione ora di Matteo, ora di Marco, ora
di Luca.
Lo scopo delle pagine che seguono è quello di inda-
gare come questi tre "ovali" evangelici si inseriscano
nella struttura che li sostiene, e mostrare come i signifi-
cati sprigionati dai testi sacri siano causati dalla relazio-
ne dei tre ann~nci con il loro ambito di proclamazione
o, detto altrimenti, dal fondamentale rapporto che in-
tercorre tra testo e contesto, dinamica messa ben in evi-
denza dalla ricontestualizzazione liturgica.
Per tale motivo, all'analisi dei testi evangelici premet-
teremo alcune riflessioni di carattere metodologico con
·l'intento di fornire al nostro lettore quegli strumenti che
gli saranno utili, non solo per una comprensione più ap-
profondita dei tre racconti di risurrezione ma, più in
generale, per poter acquisire una modalità di lettura va-
lida per ogni testo.
L'approccio a questo primo capitolo è opportuno
per orientare la lettura; tuttavia vi si può accedere an-
1
Qui, e nel prosieguo della riflessione, facciamo riferimento ai testi del
Lez::ion~riodel Messal.e Romano promulgato da papa Paolo VI.
8
·che dopo previa immersione nei tre racconti proposti.
Questo secondo itinerario, per alcuni versi, sarebbe
preferibile.
La prospettiva d'analisi sarà, ovviamente, quella di
un biblista. Non ce ne vogliano i colleghi liturgisti.
9
I
TESTI IN CONTESTO
11
quando si scoprirà che la profezia di Is 7, 10-14 si con-
clude con poche parole estrapolate dal capitolo succes-
sivo: «7•14Ecco: la vergine concepirà e partorirà un fi-
glio, che chiamerà Emmanuele, 8•10perché Dio è con
norn.
Chi abbia un po' di dimestichezza con i testi biblici
non può non rimanerne sorpreso, talvolta disorientato,
sollevando ben presto delle obiezioni a tale modalità di
maneggiare la Scrittura.
La liturgia non agisce unicamente sui testi - median-
te questi piccoli ma significativi ritocchi - , ma intervie-
ne principalmente sui contesti, ricollocando i brani bi-
blici in situazioni comunicative mutate.
Si prenda per esempio l'utilizzo liturgico di Mt 1, 18-
25. La prassi odierna riserva il testo della cosiddetta an-
nunciazione a Giuseppe per diverse occasioni. Tra que-
ste µ 18 dicembre, sottolineandone il carattere profetico
(abbinato a Ger 23,5-8), e la M essa vigiliare del Natale
(abbinato a Is 62, 1-5), accentuandone invece il caratte-
re di compimento gioioso. Il brano è poi impiegato in
altri contesti celebrativi con diseguali accenti tematici:
nella solennità di san Giuseppe, dove l'attenzione è fo-
calizzata sullo sposo di Maria; nella memoria del San-
tissimo nome di Gesù, ove l'accento cade sul significato
del nome; infine nel Comune della Vergine Maria. Lo
stesso testo, in ragione del contesto, acquista una can-
giante valenza semantica.
Un'osservazione simile potrebbe essere fatta, tra gli
altri, per il testo delle beatitudini matteane (Mt 5, 1-12),
proclamato dalla liturgia nella Solennità di Tutti i San-
ti, nella Commemorazione dei Fedeli Defunti, ·nelle li-
12
turgie dei matrimoni, nelle memorie dei martiri, e nella
IV domenica del Tempo Ordinario/A.
Esempi del genere potrebbero moltiplicarsi, ma que-
sti possono essere sufficienti per comprendere un mec-
canismo costan temente all'opera nella comunicazione
e, dunque, nella trasmissione della Rivelazione, la qua-
le non prescinde dalle parole e dalle modalità umane 1•
Cos'è allora che rende fruibile ed eloquente un testo
in così svariati contesti di proclamazione? E soprattutto,
cos'è che permette di esplicitare la sua potenzialità
semantica, di regolarla, di variarne gli accenti, pur in
un arco non infinito di significati?
1
Cfr. Concilio Vaticano II, Costitu<:ione dogmatica sulla Divina Rivela<:ione
Dei Verbum, 12.
2 Per un primo ma significativo approccio, suggeriamo l'agile contributo
13
o più letture, alcuni elementi testuali vengono valoriz-
zati, altri - magari centrali nel contesto originario -
attenuati o addirittura omessi. Il contesto che determi-
na il tipo di comunicazione trasmessa non è più ristret-
to all'ambito letterario della Scrittura - che il biblista
cerca sempre di salvaguardare - ma ampliato a quello
liturgico offerto dal Lezionario e dalla celebrazione,
che diviene prioritario per la rilettura liturgica del te-
sto biblico. I Praenotanda del Messale Romano vi fanno
esplicito riferimento:
3 Il
concetto cli «testo» è qui ripreso nella sua accezione più ampia a in-
tendere qualsiasi segno strutturato in ordine a una comunicazione: un'opera
d'arte o un film, al pari cli un racconto biblico o un'omelia. Su questo argo-
mento cfr. y. Eco, Opera aperta, Bompiani, Milano 1962.
14
Tale meccanismo - e il biblista ne è ben consap evo-
le - non è d'altronde ristretto alla prassi liturgica, ma
appartiene intrinsecamente alla letteratu ra biblica. Dal
punto di vista letterario, la rilettura di tradizioni note in
contesti mutati è ciò che ha dato origine al testo sacro.
Giusto p er fare un esempio di una regola strutturante,
si p ensi alle citazioni del Primo Testamento presenti nel
Nuovo, ma anche al principio stesso che soggiace alla
teoria sinottica delle «due fonti»4 •
Appare ora chiaro quanto il p roblema ermeneutico
della comunicazione ruoti intorno alla questione conte-
stuale. All'origine della comunicazione sta sempre la
p arola in contesto. Il cambiamento dello sfondo in cui
il testo viene collocato fa sì che una parola, una frase,
un brano biblico assumano significati diversi. Così dei
motivi già presenti nei testi vengon o esaltati, assumendo
valore tematico, e temi centrali vengono attenuati, dive-
nendo ora ~otivi di complemento 5 . L'asse comunicati-
vo si è spostato da un piano all'altro, dallo sfondo al ri-
4
Sarà utile per il lettore tenere presente questa prospettiva storica rela-
tiva all'origine dei Vangeli. Secondo la teoria più accreditata (quella detta
delle «due fonti» , appunto) i Vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca)- det-
ti tali in quanto riportano un comune impianto narrativo ed episodi simili
- sarebbero stati originati da due fonti letterarie. La prima di queste è rap-
presentata dallo stesso Vangelo di Marco; l'altra, ipoteticamente ricostruita
sulla base delle intersezioni e differenze dei tre, è detta dagli esegeti «fonte
Q?>. Tale teoria diviene importante in ottica comunicativa. Notare gli espli-
citi interventi di Matteo e Luca sulla fonte che ha fatto loro da canovaccio
sarà significativo: in essi (correzioni, spostamenti, omissioni, aggiunte, sinte-
si, spiegazioni) si manifesterà un ragguardevole segnale del loro intento co-
municativo.
5 Simile alla distinzione esistente in ambito musicale, così anche in cam-
15
lieve, mutando decisamente gli accenti e le tonalità del-
la comunicazione originaria.
In sintesi, comprendere il° p eculiare significato di un
testo biblico utilizzato in ambito liturgico significa avere
la capacità di saper cogliere quello scarto semantico che
viene a verificarsi ogni qualvolta si traspone un testo dal
proprio ambito letterario a un nuovo contesto che, nel
nostro caso, è la relazione a una rete organica di rac-
conti biblici, ma anche all'apparato eucologico e cele-
brativo dell'azione liturgica.
Su questa basilare proposta teorica offriremo solo
brevi spunti. È bene però tenere presente questo per-
corso metodologico e soprattutto il fatto che la destina-
zione liturgica rimane l'ultimo e proprio contesto comu-
nicativo (ermeneutico) del testo biblico6.
Scongiurato un sommario giudizio sull'atteggiamen-
to liturgico nei confronti della Scrittura, occorre, d'altra
parte, auspicare un maggior dialogo tra biblisti e litur-
gisti nell'approfondimento della ricerca, affinché la
Scrittura proclamata nel Rito sia sempre più l'evento di
un Dio che continua a consegnarsi all'uomo nella fra-
gilità della parola umana.
16
2. Testo e contesto: quale rapporto?
In spiaggia
sul litorale toscano,
un bagnante si «Bagnino? Ci sono squali
avvicina: qui?».
Il bagnino risponde:
«No, tranquillo, vada
pure.
Hanno troppa paura dei
coccodrilli!».
(rielaborazione da Achille Campanile)
17
livello convenzionale (ciò che può registrare un dizio-
nario o una grammatica). Affinché una comunicazione
possa·riuscire, occorre che parlante e destinatario, testo
e lettore, cooperino: interrogandosi, facendo ipotesi su
cosa si sta dicendo, riempiendo tutti quei "buchi" in-
formativi lasciati in sospeso o dati per scontato, conver-
gendo progressivamente sul contesto proprio di quella
comunicazione. Va da sé che in una relazione orale ta-
le dinamica è reciproca, mentre nel testo scritto sarà il
lettore a immettersi in questa relazione, che tuttavia il
testo prevede e attende. Questa è la pragmatica, per
come la intendiamo nella nostra ottica comunicativo-let-
teraria.
18
2. 2. I passi della ricerca
19
tura (malauguratamente ciò stesse per accadere, lo in-
vitiamo a passare immediatamente oltre!), ci limitiamo
qui a sintetizzare i passaggi della problematica, per giun-
gere subito ai punti salienti della ricerca attuale. Eviden-
ziamo solo gli elementi maggiormente significativi per
il tipo di analisi testuale che proporremo.
20
b) La ricerca oggi: la comunicazione coine relazione
21
di volta in volta l'orizzonte e i limiti nei quali la singola
analisi si muove. Un conto è un'analisi storica (e il con-
testo avrà qui dei connotati storici), un conto è una let-
teraria, un conto è una psicologica.
22
(3) A tutto ciò consegue la necessità di riconoscere
che la parola non ha semplicemente la capacità di rin-
viare a un contesto possibile, ma anche la duttilità di
essere mutata da un nuovo contesto e dalle intenzioni
rese manifeste dal parlante. Parola e contesto interagisco-
no continuamente tra loro, senza mai affermare un de-
finitivo equilibrio. Tale osservazione è sostanziale per
comprendere il testo in ottica pragmatica e per acco-
gliere il fenomeno della ricontestualizzazione, elemento
evidente nell'uso liturgico della Scrittura, e tuttavia non
estrinseco al testo biblico.
c) Il principio-guida
23
2.3. Cosa intendere per «conusfJJ»
24
re un testo, dunque, significa essenzialmente saperlo col-
locare su uno sfondo narrativo, base schematica di ogni
tipo di attività cognitiva dell'uomo.
Non per questo la configurazione del contesto è af-
fidata all'inventiva bizzarra del lettore, ma è segnata e
limitata da fattori testuali che ne costituiscono la struttu-
ra. Di essa fanno parte:
25
in virtù della struttur~ di cui abbiamo appena fatto men-
zione.
Alla luce di ciò, si può affermare che definire il con-
testo significa concretamente proporre al nostro inter-
locutore un possibile e plausibile sentiero semantico, ri-
chiamando il lettore a comprendere un testo nello "spa-
zio" - e secondo gli accenti - intesi dalla struttura con-
testuale di cui fa parte. Al variare di questo quadro co-
gnitivo di riferimento, e al mutare della relazione tra i
suoi elementi strutturali, varierà di conseguenza anche
il contenuto della comunicazione.
La struttura contestuale così schematizzata nei suoi
elementi di fondo permette di configurare quell'oriz-
zonte che consente a un segno linguistico (una parola
come un testo) non di indicare convenzionalmente qual-
cosa, una volta per tutte, ma di mqnifestare un'intenzione
comunicativa, la quale, molto spésso, è possibile non solo
grazie alle parole, ma nonostante queste 10! Un testo, in
altri termini, comunica sempre molto di più di quanto
non dica. Se applichiamo questa osservazione alle rela-
zioni umane, la suggestione diviene evidente. La rela-
zione con un testo non si estranea da tali ~namiche e
modalità.
°
1Cfr. M. Bertuccelli Papi, Che cos'è la pragmatica, Bompiani, Milano
20002, 193. Una teoria linguistica deve rendere ragione anche di questo.
26
PER UNA LETTURA ADEGUATA
27
*La nostra proposta parte da un presupposto basi-
lare: il testo biblico (come e più di ogni altro) intende
entrare in relazione con i suoi destinatari, rivelare (non
celare) le sue intenzioni comunicative. Il compito dell'in-
terprete sarà quello di riconoscere tali intenzioni, ma-
nifestate in virtù delle tracce testuali. Saranno queste a
decretare l'uso o l'abuso di un testo.
28
II
IL RACCONTO DI RISURREZIONE
NEL VANGELO DI MATTEO
29
Pur con suddivisioni talvolta più dettagliate, quest'ul-
timo arco narrativo è ragionevolmente divisibile in due
frangenti con tre episodi su ogni fronte, come spesso è
solito articolare i suoi racconti Matteo. In modo parti-
colare, Mt.28 presenta un'unità piuttosto compatta. Co-
me in Le 24, se pur in modo .Più sobrio, Matteo perce-
pisce la necessità di articolare maggiormente la conclu-
sione marciana, deline(lndo un breve percorso di cui
l'annuncio alle donne presso il sepolcro costituisce il
primo fondamentale passo.
A questo livello di collocazione della pericope mat-
teana, va dunque notata subito una significativa diver-
sità tra il valore che essa ha nel testo evangelico e l'uso
che ne fa la liturgia. Se 28, 1-1 O nel Vangelo di Matteo
è il primo passo per la comprensione della risurrezio-
ne del Figlio dell'uomo, la liturgia, al contrario, ne
usufruisce come climax narrativo e celebrativo della Ve-
glia pasquale. La tensione verso un compimento, pre-
sente nel contesto matteano, viene a cadere nel percor-
so delle letture liturgiche che trovano in questa procla-
mazione il loro culmine. Il comando del Risorto in 28, 1O
viene così ad assumere maggiore peso in quanto su que-
ste parole di Gesù termina il percorso del Lezionario,
mentre nel contesto dell'opera matteana ha ancora la
sfumatura di passaggio, preludendo al glorioso incontro
degli Undici in Mt 28, 16-20. La corsa all'annuncio (v.
8), interrotta dall'incontro con il Risorto (v. 9-1 O), divie-
ne paradigmatica di ogni esperienza di fede, soprattutto
per quei discepoli che ora, facendo memoria di quanto
Yhwh ha compiuto nella storia di salvezza; sono chia-
mati a incontrare il Cristo vivo prima di annunciare in
30
verità una parola di fraternità, di perdono e di vita
(28, 10).
Ma vediamo innanzi tutto la fisionomia del testo e la
sua articolazione. Con l'intento di facilitare la compren-
sione del lettore, propongo qui una traduzione letterale,
funzionale alle spiegazioni che seguiranno. Per meglio
cogliere le dinamiche del racconto, articolo la narrazio-
ne sec9ndo le tre linee portanti della comunicazione: lo
sfondo, il primo piano e il discorso. La suddivisione ri-
sulterà utile per comprendere l'asse principale della co-
municazione e le sue dinamiche.
31
rotolò via la pietra
e sedeva su di essa.
311 suo aspetto era
come la folgore
e la sua veste bianca
come la neve.
4 Per la paura di lui
le guardie furono colte
da tremore e divennero
come morte.
sAllora rispondendo,
l'angelo
disse alle donne:
«Non abbiate paura
voì;
so che cercate Gesù
il Crocifisso.
Non è qui.
6 Infatti è stato
risuscitato come disse.
Su, vedete
il luogo dove giaceva;
e, in fretta, andate,
dite ai suoi discepoli
che è stato risuscitato
7 dai morti.
Ed ecco vi precede
in Galilea,
là lo vedrete.
32
Ed ecco io ve lo dissi».
8E lasciato in fretta il
sepolcro,
con paura e gioia
grande,
corsero ad annunciare
ai suoi discepoli.
dicendo: « Rallegratevi».
Ed esse
avvicinatesi gli strinsero i piedi
e lo adorarono.
10 Allora dice loro Gesù: «Non abbiate paura.
Andate, ·
annunciate
ai miei fratelli
affinché vadano
in Galilea,
e lì mi vedranno».
3. Le strutture narrative
33
lo del Signore si accosta la reazione terrorizzata delle
guardie (vv. 2-4); vi è poi una rivelazione rivolta alle don-
ne a cui segue l'annotazione d~lla loro reazione (vv. 5-8); ·
infine la manifestazione del Risorto stesso che si fa in-
contro alle due discepole e conferma la missione appe-
na affidata loro dall'angel.o.
L'espressione kai idou («ed ecco»), ripetuta quattro
volte, pone in rilievo le due manifestazioni teofaniche e
le parole di rivelazione: la comparsa dell'angelo (28,2)
e del Risorto (28,9); l'incontro fissato in Galilea per i di-
scepoli (28,7) e la solenne consegna dell'annuncio dell'in-
viato dal cielo (28, 7: «ed ecco io ve.lo dissi»). Sia la ma-
nifestazione angelica sia quella di Gesù esordiscono con
lo stereotipo invito delle epifanie a non temere.
Elementi dello sfondo e del pri~o piano narrativo
sono ben articolati, offrendo equilibrio e armonia alla
composizione, particolare che favorisce già una comu-
nicazione, la quale, contrariamente a quella di Marco,
non ha toni drammatici o paradossali, bensì rassicu-
ranti.
Della linea dello sfondo fanno parte ~e coordinate tem-
porali, la descrizione dell'angelo e la paura degli uomi-
ni, parallela a q':1ella delle donne che tuttavia è contras-
segnata da gioia (v. 8).
Nell'asse principale della narrazione si trovano, invece,
l'identità delle due discepole; la loro intenzione di muo-
versi per <<Vedere il sepolcro»; l'intervento angelico; la
reazione delle g~ardie, immobili come morte, a cui si
oppone quella della Maddalena e dell'altra Maria che
corrono a portare l'annuncio. Segue poi in quest'asse
l'incontro con il Risorto che arresta la corsa delle <lisce-
34
pole, e infine l'adorazione di Gesù da parte delle due
donne.
La linea del discorso è occupata per la sua totalità (di-
versamente da Mc 16,3) dalla parola angelica e da quel-
la di Gesù, caratteristica, ci pare, non indifferente, so-
prattutto se connessa alla particolarità che_evidenziere-
mo al v. 5. Fin da adesso notiamo già che nel contesto
della risurrezione narrata da Matteo a nessuno è data
voce se non al messo celeste e al Risorto. L'espressione
umana di obiezione o d'incomprensione non tròva qui
spaz10.
Com'è tipico del Primo Evangelista, la parola di Ge-
sù in 28, 1O conferma autoritativamente la rivelazione
appena offerta, qui mediante la voce.angelica, altrove
mediante la Scrittura. Dell'esteso annuncio angelico
spicca senz'altro la tonalità gioiosa e il raddoppiamento
della parola di risurrezione («è stato risuscitato»: 28,6. 7).
Tale tonalità è rafforzata in 28,9 dove le prime parole
del Risorto invitano le d~nne, quasi fosse un ordine, a
rallegrarsi (cfr. imperativo chairete).
35
so incontro con il Risorto che si realizza nella corsa ob-
bediente dell'annuncio di risurrezione.
In Mt 28,5 la costruzione logico-narrativa pone in
evidenza un elemento alquanto strano. Alla lettera il
testo dice che l'angelo «risponde» alle donne. D ata
l'incoerenza con la dinamica narrativa (manca una do-
manda rivolta all'angelo da parte delle donne), si in-
terpreta spesso la costruzione matteana in modo piut-
tosto generico con espressioni come «volgendosi verso
di loro, l'angelo disse», oppure omettendo del tutto il
primo verbo e mantenendo solo il secondo: «l'angelo
disse» (così, per esempio, l'ultima traduzion.e della
Conferenza Episcopale Italiana), disinnescando la ten-
sione presente nel racconto. In realtà Matteo distingue
nettamente due verbi, l'uno al participio, l'altro all'in-
dicativo: «rispondendo (apokritheis), l'angelo disse (eipen)
alle donne .. .». La voce delle discepole non è espressa,
mentre è posta in rilievo quella rivelativa dell'angelo
prima, del Risorto poi. Alla luce dell'uso matteano del-
la costruzione apokrinomai + lego («rispondere» + «di-
re»)1 è lecito mantenere la provocazione e pensare qui
a una vera e propria risposta, anche se di fatto non c'è
verbalizzazione di alcuna domanda antecedente al v. 5.
Se così, vale allora la pena accogliere la provocazione
che il testo offre e chiedersi a cosa replichi l'angelo con
le sue parole. Più avanti cercheremo di offrire la nostra
interpretazione.
36
4. Il genere letterario e la sua funzione
comunicativa
37
messaggio divino») costituisce qui il centro di attenzione
del racconto. Se in Mt 1, 18-25 le parole angeliche erano
raddoppiate e confermate dalla Scrittura (Is 7, 14), nel
racconto pasquale il Risorto stesso convalida l'annuncio
angelico e ribadisce la missione già assegnata alle donne.
Essa ha per fine un'esperienza di visione e d'incontro (Mt
28, 7 .1 O). Sia nell'annuncio di nascita di Mt 1, sia ora in
quello di risurrezione, l'impiego di schemi noti, di perso-
naggi conos.ciuti, nonché l'addolcimento delle asperità e
delle.tensioni appartenenti alla fonte marciana, testimo-
niano l'intento comunicativo dell'evangelista nel sugge-
rire al lettore di comprendere questo evento in continui-
tà con l'opera di Dio nella storia, e al contempo di porre
alla sua base una parola nuova - pur comprensibile solo
mediante l'Antico - rappresentata dalla stessa risurrezio-
ne di Gesù. L'identità dell'ultimo discendente davidico,
messa già in evidenza in Mt 1- 2, viene ora significativa-
mente arricchita dall'evento della risurrezione, ulterior-
mente chiarito dall'intronizzazione gloriosa suggerita po-
co oltre da Mt 28,16-20. Gesù è il Messia atteso d'Israe-
le, il re escatologico, la conferma e la risposta fedele di
Dio alle promesse antiche.
Come avremo modo di notare, l'articolazione nar-
rativa di Marco e di Matteo nei confronti del racconto
pasquale muove da prospettive diverse e da un differen-
te intento comunicativo. Se la conclusione brusca del
Secondo Evangelista porta il suo lettore verso una de-
cisione esistenziale da prendere innanzi allo sconcertan-
te e paradossale messaggio del Vangelo, Matteo lò invi-
ta invece a riflettere sull'identità di questo Messia
d'Israele, collocandolo sull'affidabile sfondo di continui-
tà rappresentato dalla storia salvifica del suo popolo.
38
5. L'intento comunicativo: rilievi semantici
e nodi pragm.atici
39
Il terremoto, altro elemento apocalittico, accompa-
gna l'evento della risurrezione, come aveva sottolineato
la morte di Gesù e la conseguente apertura dei sepolcri
con la risurrezione dei santi (27 ,5 1-52.54). A conclusio-
ne del racconlo della passione Matteo pone questa an-
notazione con l'aggiunta «dopo la sua risurrezione»
(27 ,53), connettendo così esplicitam ente la morte e la
risurrezione di Gesù, e dischiudendone l'effetto al futu-
ro. Ma fin da quel tragico momento, di quella croce si
intende evidenziare la fecondità.
Al fianco delle guardie Matteo situa il gruppo ristret-
to delle due donne. Anch'esse sono testimoni dell'even-
to angelico e dell'apertura della tomba, contrariamente
al racconto marciano in cui la luce della risurrezione è
qualcosa che precede l'iniziativa delle discepole, nel si-
lenzio del sabato che si dischiude al primo giorno della
settimana. La conclusione solenne dell'annuncio ange-
lico («ed ecco io ve lo dissi») dà particolare peso alle pa-
role e al compito assegnato alle donne in Matteo. Esse,
diversamente da Marco e Luca, sono costituite testimo-
ni attendibili: non sono solo le prime a ricevere l'annun-
cio angelico, ma le prime a cui il Risorto si fa incontro.
In questo contesto rivelativo, avevamo già notato lo
strano uso del verbo apokrinomai («rispondere») con cui
M atteo introduce le parole dell'angelo al v. 5. M entre le
guardie cadono a terra tramortite, si dice che il messag-
gero dal cielo ribatte a M aria di Magdala e all'altra Ma-
ria, anche se di fatto la narrazione non esplicita alcun
interrogativo da parte loro! Tale uso, apparentemente
improprio o quantomeno eccessivo della costruzione
verbale, va coniugato sia al fatto che Matteo, così facen-
do, dà voce solo ad «agenti divini» ~'angelo e il Risorto),
40
sia all'introduzione enfatica del pronome di seconda
persona plurale che segue subito dopo le parole dell'an-
gelo: «non abbiate paura, voi». L'aggiunta del pronome
è qui superflua e ha l'effetto di porre enfasi sulle donne,
mettendole in contrasto con il gruppo maschile della
scorta inviata dai capi del popolo: le discepole non han-
no nulla da temere, mentre le guardie sono lasciate nel-
la loro paralisi, atteggiamento in cui resteranno conge-
late fino a 28, 11, quando raggiungeranno la città per
annunciare ai capi dei sacerdoti l'accaduto.
In 28,5-7 si aggiunge esplicitamente il motivo per cui
le donne non devono essere sopraffatte dalla paura. Es-
so è riposto nella stessa p~rola di Gesù, affidabile e ve-
ritiera al pari della Scrittura: «egli è stato risuscitato,
come disse». Innanzi alla tomba vuota le discepole non
devono dunque temere, ma rallegrarsi sulla base dell'af-
fidabilità della promessa fatta da Gesù .
. Torniamo dunque all'interrogativo che ci siamo po-
sti: perché lo strane;> impiego del verbo apoknnomai? A
cosa risponde l'angelo in 28,5?
Il messaggero celeste, rivolgendosi a M~ria di Mag-
dala e all'.a ltra Maria, sembra andare incontro a un'ine-
spressa richiesta di chiarimento da parte delle due don-
ne che hanno assistito a una manifestazione dai toni
apocalittici (28,2-3) e alla reazione atterrita delle guardie
che divengono, innanzi a loro, «come morte» (28,4).
L'angelo replica dunque al loro sgomento: «non abbia-
te paura, voi»; ribatte a un timore visibilmente espresso
dal loro atteggiamento. La paura umana innanzi all'in-
comprensibile - spesso palpabile intorno alla tomba di
una persona amata - non è banalizzata o sminuita da
Dio, ma riceve risposta. Tuttavia, è posta su un altro
41
piano rispetto alla rivelazione, l'unica alla quale Matteo .
dà effettivamente voce, omettendo ogni altra parola.
Il limite imposto alla paura dalla parola dell'angelo
diviene passo previo all·'accoglienza di una novità. Innan-
zi all'Altro che si fa incontro in modo inatteso, occorre
prima di tutto fugare il timore o quantomeno impedire
che esso rinchiuda in una paralisi mortifera la capacità
di scelta e di comprensione da parte degli uomini.
Nonostante il «comando» divino, il v. 8 («lasciato in
fretta il sepolcro, con paura e gioia grande») rivelerà
chiaramente cpe questo forte timore, di fatto, non è
·sçomparso. E tuttavia è stato affiancato da «gioia gran-
de», da qualcosa di tangibile e profondo che fa sì che
esso non divenga totalizzante. La paura innanzi all'in-
comprensibile, dunque, non scompare, ma in virtù
dell'apertura alla Parola di novità (28,6-7) viene ridi-
mensionata e posta su altro piano: ·non è più l'unica
realtà presente nell'orizzonte della decisione umana.
Accogliere la rivelazione ha a che fare con il supera-
mento del timore a cui Dio risponde (v. 5), restituendo
dignità alla debolezza e all'incapacità di comprendere
da parte dell'uomo innanzi a ciò che lo sorpassa. Tale
superamento avviene mediante il perentorio richiamo
all'affidabilità della parola del Messia. La paura della
morte resta - anche per chi, come le due donne, acco-
glie il messaggio della risurrezione - nondimeno la fi-
ducia nella Parola del Signore non permette che tale
. timore paralizzi il discepolo impedendogli l'annuncio:
esso è possibile, nonostante la paura e il limite umano.
La corsa delle donne diviene espressione di questo su-
peramento; e proprio nel responsabile cammino di an-
nuncio, Gesù risorto si fa incontro.
42
III
IL RACCONTO DI RISURREZIONE
NEL VANGELO DI MARCO
Maria Maddalena,
Maria di Giacomo
e Salome comprarono
aromi
per andare a ungerlo
[Gesù]
2 e molto presto,
"il primo dei sabati",
vanno al sepolcro
continua
43
La domanda che avvia l'esperienza
3 E dicevano tra loro:
scorgono (theoreo)
che la pietra era stata
rotolata via,
era infatti molto
grande.
a. la visione
5 Entrate nel sepolcro,
videro (horao) un
giovane
e furono spaventate.
continua
44
SFONDO PRIMO PIANO DISCORSO
b. la parola
6 Egli allora dice loro:
e a nessuno dissero
niente.
Avevano paura infatti.
45
Il testo marciano della risurrezione si presenta molto
compatto e ben ripartito. Proprio per questa sua unità
le opinioni degli esegeti rivelano una certa difficoltà nel
suddividere il brano, oscillando, per la maggior parte,
tra una proposta bipartita e una suddivisione in tre mo-
menti. Più in generale, il testo manifesta una certa ritro-
sia ad essere compreso sotto un unico criterio. L'evento
narrato sfugge, più di ogni altro, a una sua schematiz-
zazione e presa concettuale.
Senza forzare l'andamento narrativo, seguendo il ri-
lievo dato dagli elementi collocati nell'asse principale
della comunicazione, si può suddividere il racconto in
quattro momenti. Tra questi, particolare spazio è dato
all'evento epifanico di 16,5-7, mentre nei frangenti estre-
mi troviamo il movimento al sepolcro e la fuga da ·quel-
lo spazio vuoto che, nonostante la Parola, terrorizza le
donne. Il racconto può essere così compreso:
46
Conclusione:faga e si/,enzio. Le donne reagiscono alla parola:
fuggono e si consegnano al silenzio (v. 8). .
2. Le strutture narrative
47
sente storico, e la duplice esperienza di visione Oa pietra .
rotolata e il giovane seduto alla destra in vesti bianche)
che tuttavia è ben distinta, attraverso l'uso di due verbi
sensoriali diversi. In riferimento alla pietra, si dice che
le donne «scorgono», mediante il verbo theoreiJ. Circa il
giovane, si dice invece che esse «videro», esperienza
espressa mediante l'impiego del verbo horaiJ, tipico nei
racconti di epifania. Lo stesso verb<?, nella sua forma al.
futuro medio (opsesthe), è adoperato per riferirsi all'espe-
rienza del Risorto a cui i discepoli vengono orientati:
«Là lo vedrete».
Fanno poi parte della focalizzazione narrativa l'even-
to uditivo dell'annuncio; infine la reazione negativa del-
le donne, espressa al v. 8 in duplice forma: la fuga, .col-
ma di tremore e stupore, e il silenzio enfatizzato con la
doppia negazione («e a nessuno dissero niente»).
Il campo semantico del movimento abbraccia i
vv. 1-2; quello del vedere domina i vv. 4-5; la parola det-
ta o negata regge i vv. 6-7 e il v. 8. Tutti questi rilievi an-
'dranno ovviamente valorizzati al fine di comprendere
gli elementi principali sui quali la comunicazione di Mc
16, 1-8 intende far convergere il proprio lettore.
48
stesso silenzio, attorniato stavolta dalla paura umana, si
concluderà il racconto, creando così un legame signifi-
cativo tra questi due luoghi in cui la parola e l'azione
umana sono assenti.
Disegnano poi elementi dello sfondo l'annotazione
della sollecitudine femminile nel mettersi in cammino
molto presto, «il primo dei sabati»; e l'aggiunta conclu-
siva e sorprendente che il sole si è già levato quando es-
se giungono al sepolcro.
Dello stesso piano narrativo fanno parte la preoccu-
pazione per la grande pietra (vv. 3.4) di cui si enfatizza-
no le dimensioni in relazione alla forza delle donne;
l'entrare e l'uscire dal sepolcro (vv. 5.8); ma soprattutto,
come accennato, la grande paura (v. 8) che conclude la
narrazione.
Coincidendo con il finale del Vangelo, il racconto stes-
so sembra non dare possibilità di appello alla paura del
gruppo delle discepole! Il gar («infatti») conclusivo enfa-
tizza ancor più la profondità dello spavento atterrito, non-
ché la sconcertante conclusione di un racconto che si era
presentato fin dall'inizio come «buona notizia» (1, 1) !
49
L'elemento più rilevante in quest'asse è senz'altro
l'annuncio di risurrezione pronunciato dal misterioso
giovane all'interno del sepolcro. Le sue parole vanno
incontro alla paura delle donne, offrendo altra prospet-
tiva a quella che, da molte sfumature, appare come una
vera e propria ossessione del piccolo gruppo femminile,
il cui pensiero è totalmente assorto dal luogo della se-
poltura. L'annuncio del giovane conforta le donne pro-
prio su questo punto («non è qui», non è questo il <<luo-
go»), rinviando ·a un'esperienza del Risorto che avverrà,
ma non in quello spazio, non su- quella strada.
Significative poi sono le due qualificazioni con cui è
presentato Gesù: «il Nazareno» e «il Crocifisso». En-
trambe si riferiscono all'identità di colui che è stato co-
nosciuto dall'inizio del suo ministero in Galilea (cfr. 1,24)
fino agli ultimi eventi accaduti in Gerusalemme (la cro-
cifissione).
Le stesse scelte verbali fatte da Marco sono indicati-
ve. Il titolo «Crocifisso» viene espresso mediante l'uso
del participio perfetto (estauromenon), suggerendo così una .
storia che ha segnato in modo indelebile Gesù. La risur-
rezione è vista come intervento di un Altro, espressa con
un aoristo passivo (egerthe) interpretabile C?me passivo
divino. Colui che vive al presente è quel Nazareno co-
nosciuto in Galilea e seguito fin sotto la croce; evento
cruciale di donazione che ha segnato e segna tuttora la
sua identità. .
La missione offerta alle donne è sintetizzata nel GO-
mando di «andare», e specificata mediante l'annuncio
di un appuntamento con il Risorto che esse devono por-
tare ai discepoli. Notiamo subito che, pur volendo man-
tenere un <<finale aperto», il racconto evangelico potreb-
50
be benissimo terminare qui, in 16, 7, chiedendo impli-
citamente al lettore di completare lui stesso il racconto
e di «consegnare» l'annundo appena riposto nelle ma-
ni delle donne. Di fatto, invece, in modo molto brusco
e sconcertante, Marco percepisce la necessità di aggiun-
gere paura, fuga e silenzio. Viene allora naturale chie-
dersi perché turbare così. un racconto. Perché questa
sconcertante annotazione finale? Al momento adegua-
to sarà importante riprendere questo interrogativo:
!"'inopportuna" aggiunta è evidentemente significativa
al fine di comprendere l'intenzione comunicativa
dell'autore.
51
rola, un punto di svolta nella trama narrativa, affidando
al loro destinatario autorevolezza per una particolare
missione. Un esempio di ciò può essere visto nel noto
episodio sulla via per Damasco relativo all'apostolo Pao-
lo, come riportato nel libro degli Atti (At 9,1-19; 22,4-
16; 26,9-18).
Nel Vangelo di Marco, però, la missione affidata al-
le tre donne dal misterioso giovane sembra fallire mise-
ramente: all'incoraggiamento ad «andare» fa seguito un
ripiegamento; al comando di «dire» una ·parola di per-
dono e di annunciare un appuntamento si oppone la
totale incapacità di parola.
Messa dunque in evidenza la rivelazione quale ele-
mento centrale del genere stesso, occorre chiedersi a chi
sia affidata in realtà questa missione in Mc 16, visto che
le donne escono di scena tra sile'nzio e paura.
Notiamo inoltre che, pur facente parte del topos let-
terario, il fattore paura-timore è molto enfatizzato tan-
to da farne un motivo ben evidenziato nell'asse comu-
nicativo principale. I due verbi e i due sostantivi («esse-
re spaventati» in 16,5.6; <~tremore», «stupore» e «avere
paura>> in 16,8) che descrivono l'ampiezza e l'impatto
di questa emozione sul lettore, nonché la loro colloèa-
zione in punti strategici dell'intreccio narrativo, eviden-
ziano bene questo intento. A conclusione del suo scritto
Marco individua nella profondità e, per molti versi,
nell'incomprensibilità dell'esperienza di paura uno stru-
mento espressivo adeguato. Il paradosso che ha accom-
pagnato il lettore in tutta la sequenza evangelica si ripe-
.te ora, in modo amplificato e sconcertante, anche nel
finale, lasciando il lettore con cogenti interrogativi ai
quali dove,r dare risposta.
52
4. Il testo nei suoi contes ti
2 Per maggiori particolari sul legame di 16, 1-8 con quanto precede, cfr.
R . Pesch, op. cit., 75 7-7 58. Circa l'identità e il numero delle liste femminili di
15,40.47 ; 16,1, cfr. Ivi, 737-741; S. Légasse, op. cit., 836-837.
53
cruciali della sua vicenda, come era stato fin dall'inizio
del suo ministero (cfr. 15,41). Tra la componente fem-
minile dei discepoli si isolano tre personaggi, evidente-
ménte significativi: Maria di Magdala, Maria di Giaco-
mo (e diJoses), Salome.
54
sul mistero di un evento che sorpassa e paralizza le ca-
pacità umane, ma coinvolge ora i lettori nella ricerca di
un incontro che ha come base l'affidabilità della stessa
parola evangelica. Se il contesto letterario di Mar~o la-
scia il lettore in silenzio e con l'animo sospeso su una
decisione vitale da prendere, il Marco della Veglia invi-
ta a muoversi verso quell'incontro che ora la risurrezio-
ne di Gesù rende possibile.
L'omissione del v. 8 decreta inoltre una comunica-
zione che non si chiude più con il silenzio, in una sorta
di diminuendo sonoro («non dissero niente a nessuno,
avevano paura infatti!»), ma con la Parola, quella stessa
che le donne scoprono essere viva e presente anche in
un sepolcro.
Nel contesto proprio del racconto della passione, an-
che le donne, pur fedeli, fuggono - al pari dei discepoli
al Getsemani - sopraffatte da una realtà impossibile da
accogliere per un uomo e per un discepolo. Nella Veglia
pasquale, .al contrario, l'accento nei loro riguardi è po-
sto sulla fedeltà e sulla cura a quel Gesù che esse hanno
«seguito e servito» (cfr. 15,41) fin dalla Galilea.
Nel nuovo contesto liturgico altri particolari del testo
marciano vengono magnificati. I richiami temporali al
giorno di sabato appena passato, al mattino presto e ad
una nuova alba su cui si affaccia la proclamazione evan-
gelica, non possono non essere sensibilmente legati al
contesto orario della litu~gia pasquale, rafforzando il
simbolismo letterario già creato dall'evangelista. Più che
credere che sia la Veglia pasquale a dare forma al rac-
conto marciano3, ci pare molto più plausibile pensare,
55
come spesso è per i riti, che sia la liturgia ad adattarsi il
più possibile al testo biblico in modo da rendere "visi-
bile" ed esperibile la Parola ai discepoli che ora fanno
memoria di quegli avvenim.e nti4 •
Il nuovo evento salvifico, situato alle prime luci di un
nuovo giorno, si riallaccia poi alla manifestazione della
potenza del Signore «sul far del mattino» che libera il
suo popolo dalla morsa egiziana (cfr. Es 14, terza lettu-
ra della Veglia) e, ancor prima, alla potenza della Paro-
la che, nel.primo giorno della ereazione, crea luce, se-
parando questa dalle tenebre (cfr. Gen 1, prima lettura
della Veglia). La tonalità gioiosa e luminosa creata dal
contesto della Veglia sopraffà la tonalità paradossale e
sconcertante del finale marciano, evidenziandone
l'aspetto positivo.
Ciò è vero anche per lo stesso ~ono di paura enfatiz-
zato dall'evangelista. Tolto il v. 8, la paura torna ad es-
sere <<normale elemento» di una forma letteraria, dive-
nendo, in definitiva, positiva consolazione, invito acco-
rato a fugare il timore, come già esortava la voce di Mo-
sè: «Non abbiate paura! Siate forti e vedrete la salvezza
del Signore, il quale oggi agirà per voi» (cfr. Es 14,13-1 5).
Il motivo della liberazione diviene il filo rosso che le-
ga significativamente il testo marciano all'uscita
dall'Egitto di cui l'Esodo è emblema perenne. L'uso dei
passivi in M c 16,4.6 («rotolata via Qa pietra]; «è stato
4
Con questa affermazione non intendiamo fare asserzioni a livello sto-
rico. Notiamo semplicemente che il Rito è eloquenza della Parola e acquista
valore e spessore comunicativo solo quando rende visibile ed esperibile la
Parola viva consegnata alla Chiesa. Così, se ci pensiamo, è anche per l'eu-
caristia, dove la proclamazione del testo biblico non è semplicemente deman-
data al Lezionario: l'intero Rito è eloquenza della Parola, dal saluto iniziale
allo scioglimento dell'assemblea.
56
risuscitato»), orientano il cuore e l'attenzione del lettore
verso gli interventi prodigiosi di liberazione operati da
Dio in quella storia che è appena stata rievocata dai te-
sti biblici. La risurrezione del Signore diviene così anche
liberazione da un carcere e da un luogo di morte («non
è qui»).
57
e nella loro pietà verso il Maestro. Vari esegeti sottoli-
neano qui l'inattendibilità storica del progetto delle tre
discepole (ungere Gesù)5, sia perché tale pratica non sa-
rebbe conosciuta presso Israele, sia, sòprattutto, perché,
a due giorni di distanza dalla sepoltura, difficilmente si
poteva pensare di ungere un corpo di un defunto, stra-
ziato dall'infame pratica della flagellazione e della cro-
cifissione. Al di là delle congetture storiche su questi
particolari (presenti comunque, pur con accenti e cro-
nologie diverse, anche in Le 24, 1 e Gv 19,40), pare evi-
dente l'accento che l'autore vuole porre sull'intento di
raggiungere il corpo morto di Gesù da parte delle don-
ne, nonché il rinvio tematico a un'unzione - ancora a
opera di una donna - già precedentemente narrata in
14,3-9, interpretata da Gesù stesso come anticipo della
sua sepoltura (14,8).
La particolarità .del racconto marciano è evidente in
un confronto sinottico. In Mt 28, 1 le donne si mettono
in movimento «per vedere» il sepolcro; senza troppi par-
ticolari Mt 28,2 passa subito alla manifestazione ange-
lica. In Luca si dice sì che le donne portano aromi·, ·ma
si elide l'esplicito riferimento all'unzione del corpo, fat-
to invece da Marco. La pietra non costituisce un pro-
blema per raggiungere quel corpo nel Terzo Vangelo,
mentre diviene quasi ossessione in Mc 16,2-4.
Nell'ottica di Marco, il sepolcro svolge un ruolo pro-
spettico per la narrazione: le donne «vanno al sepolcro»
(16,2); «entrano» (16,5); «escono» (16,8); tre azioni
espresse, nel testo greco, mediante un unico verbo,
erchomai, con i suoi composti. Inoltre le donne si inter-
58
rogano specificatamente su «chi» potrà rotolare «per
loro» la pietra, rimandando alla necessità di un inter-
vento esterno che, tuttavia, dal punto di vista meramen-
te storico forse non s.arebbe stato così necessario6 • Anche
qui, al di là della fattibilità concreta, l'evidente attenzio-
ne del narratore è volta a costruire un ambiente comu-
nicativo in cui, secondo la prospettiva del piccolo grup-
po di donne, è necessario un intervento esterno al fine
di realizzare il loro progetto: raggiungere quel corpo
non è nelle loro possibilità. Esse, infatti, non si interro-
gano sul «come» adempiere il loro scopo, ma su «Chi»
lo farà per loro.
Avvicinandosi al sepolcro, il loro sguardo è dimesso
come se si sottolineasse il totale assorbimento in questi
mesti pensieri ~a notazione «alzando lo sguardo, scor-
gono ... » di 16,4 suggerisce uno sguardo basso). Scopri-
re la pietra rotolata via - di cui ancora una volta e con
enfasi si sottolinea la grandezza (16,4) - è per loro un
vero e proprio ribaltamento di prospettiva. Ora è pos-
sibile aprirsi a una nuova visione delle cose.
Se l'ambiente comunicativo di 16, 1-4 ci aveva por-
tato a convergere sulla prospettiva ripiegata e malinco-
nica delle discepole, ora l'orizzonte si apre a nuove po~
sibilità di lettura. È questa, di fatto, la proposta avanza-
ta dal giovane messaggero in 16,6-7. Nel sepolcro esse
non trovano il caos e l'orrore della morte, ma la vitalità
di un giovinetto, compostamente seduto e rivestito di
una veste bianca. In questo ambiente dischiuso dalla
59
potenza di Dio (16,4), risuona ora la forza di una paro-
fa che annuncia la ripresa di una relazione interrotta dai
tragici eventi di Gerusalemme.
Nei rilievi semantici avevamo notato una certa pro-
gressione nell'uso dei verbi di percezione visiva nei w.
4-7: le donne «scorgono» (theorousin) la pietra, «vedono»
(eidon) il giovinetto, infine. sono chiamate ad annunciare
un appuntamento in cui i discepoli <<Vedranno» (opsesthe)
il Risorto. Lo sguardo mesto delle discepole, che si era
destato di front.e alla pietra rotolata, è progressivamen-
te chiamato a innalzarsi - ad andare oltre - dal sepolcro
all'incontro c~n il Crocifisso Risorto che non avviene in
quel luogo, ma in un oltre verso il quale esse sono chia-
mate a incamminarsi.
60
colari del racconto cli risurrezione i legami con gli even-
ti salvifici della storia d'Israele. Il «giovinetto» cli M c
16,5 diviene esplicitamente in Mt 28,2 «l'angelo del Si-
gnore», rinviando così il lettore a "sceneggiature" note
e rassicuranti del panorama salvifico.
A nostro avviso, la figura marciana del neaniskos, in-
sieme alla sua descrizione, più che suggerire direttamen-
te un agente celeste o sostituirsi in modo.metaforico al
Risorto, costituisce qui un simbolo letterario costruito
appositamente dall'autore in e per questo contesto che
mantiene, come tutto il Vangelo marciano, uno spicca-
to alone cli mistero.
A questo proposito ci pare opportuna una digressio-
ne tecnica per giustificare la lettura di questo nodo co-
municativo costruito mediante la figura del «giovinetto».
Ci richiamiamo alla concezione del simbolo letterario
proposta da U. Eco8 in ottica <<pragmatica»9 .
U.n simbolo letterario è creato da un testo quando, ri-
cercando la cooperazione del lettore, insiste in modo
non "economico", gratuito e ridondante su oggetti e
azioni che, così facendo, non rientrano più pienamente
nella sceneggiatura che il lettore si attenderebbe in quel
determinato ambiente comunicativo. È la ragione, giu-
sto per fare un esempio, per cui un gatto con gli stivali
non desta scalpore se collocato in una fiaba, mentre sa-
rebbe del tutto inatteso se comparisse nel testo di un
contratto commerciale.
prende l'opera letteraria (e ogni opera in genere} nel suo necessario e costi-
utivo dialogo con il proprio fruitore. Ogni opera/testo intende comunicare
e lo fa presupponendo una partecipazione attiva del proprio lettore.
61
Tal~ meccanismo può essere utilizzato in modo po-
sitivo. La risposta non pertinente del testo alle attese del
lettore introduce talvolta a un modo simbolico che orienta
verso la ricerca di una pertinenza altra in relazione a
quei particolari o personaggi che eccedono la sceneg-
giatura intrapresa.
Ciò che offre al segno letterario la possibilità di agire
simbolicamente è il contesto in cui viene utilizzato. Es-
so ha la forza di renderlo al tempo stesso rilevante e tut-
tavia non pertinente, dotandolo così di una funzione che
possiamo chiamare epifanica. Al contrario dell'allegoria,
che iinvia a sceneggiature conosciute, il modo simboli-
co mette in gioco qualcosa che, fino a quel momento,
non era stato ancora semanticamente regolato, e vale
dunque non in senso generale, ma in e per quello spe-
cifico contesto di utilizzo.
Il simbolo, per sua natura, resterà sempre rinvio ad
altro, in modo mai del tutto definito, suggerendo sem-
plicemente che c'è qualcosa che potrebbe essere detto,
ma questo qualcosa non potrà mai venire espresso una
volta per tutte. Questa funzione ci pare pienamente as-
solta dal «giovinetto» per come viene costruito nell'am-
biente narrativo di Mc 14,32- 16,8. .
Nel contesto della cattura di Gesù, la penna dell'evan-
gelista tratteggia dunque questo personaggio che im-
provvisamente appare sulla scena narrativa nel momen-
to in cui i discepoli, scandalizzati dalla sorte del loro
M aestro, fuggono. In quel medesimo momento, quasi
a commentare questo strappo scandaloso awenuto tra
Gesù e coloro che fin dall'inizio erano stati costituiti «af-
finché .fossero con lui» (3, 14: non semplicemente stare,
ma essere con Gesù), 14,51 introduce un giovinetto _c he
62
«lo segue», rivestito solo di un lenzuolo. Bloccato nella
sua sequela, il giova~e fugge, come hanno appena fatto
i discepoli e, rimasto nudo, lascia dietro di sé ciò di cui
è rivestito.
La costruzione del simbolo letterario, elemento co-
struito in e per questo specifico testo, appare evidente e
non può non imprimersi nella mente del lettore che a
questo stadio del racconto solleva una domanda di sen-
so a suo riguardo, tenendo comunque strettamente uni-
to il simbolo del neaniskos alla sequela e alla scandalosa
cattura di Gesù. Essa ha l'effetto di arrestare la via del
giovane che, a sua volta, fugge.
A distanza di appena due capitoli, sempre nella se-
quenza che porta alla conclusione della narrazione
evangelica (14,32-16,8), un'altra figura di giovane ap-
pare nella scena, stavolta all'interno di un racconto
epifanico: non è chiamato angelo, ma neaniskos; è giun-
to là dove i discepoli non sono arrivati e dove le donne
ritenevano impossibile pervenire; seduto, non disteso
come un cadavere; «alla destra», segno di onore e glo-
ria 10; rivestito di bianco, come le vesti che nella trasfi-
gurazione denotavano lo stato vittorioso e glorioso del
Signore (9,3). Egli ora annuncia che la via tracciata da
quel Messia, la cui sorte ha bloccato e scandalizzato -
esperienza di cruda nudità - persino coloro che erano
stati costituiti affinché fossero con lui, non conduce al-
la morte, ma alla vita e ha la forza di riallacciare i rap-
porti che la paura e il rinnegamento avevano interrot-
to: nonostante lo scandalo, la via dietro a Gesù può
prosegmre.
63
La figura del giovinetto - così come le caratterizza-
zioni a lui legate - non è dunque simbolo a sé stante,
scevro dall'ambiente narrativo costruito dal testo mar-
ciano. Ci pare pertanto sensata la proposta di Grilli
che legge in esso una figura epifanica, rivelatrice del
cammino che il lettore è chiamato a compiere nel dia-
logico rapporto con il Vangelo 11 . L'epifania di Mc
16,5-7 rivela la sorte di quel corpo tanto cercato dalle
donne, ma al tempo stesso rivela anche al discepolo di
ogni tempo la meta del cammino evangelico e la pos-
sibilità di proseguire quella via, anche innanzi allo
scandalo della morte, come a quello del rinnegamento
e della fuga.
La ricontestualizzazione liturgica del testo marciano
rende significative a questo livello - e non a livello sto-
rico - le osservazioni di Standaert12 sul possibile signi-
ficato del testo legato all'ambiente liturgico della Veglia
pasquale, s.o prattutto quando in essa si celebrano i bat-
tesimi. Acq~sta allora ancor più forza il simbolismo ap-
pena evidenziato che il rito battesimale riprende ed
estende. La veste bianca del catecumeno non può non
esaltare la veste già trovata nel Vangelo, così come il
simbolismo battesimale morte/vita non può non con-
notarsi come ripresa e possibilità di nuove relazioni tra
il Ri~orto e i suoi discepoli. La relazione tra Rito e Van-
gelo va dunque vista nelle due direz~oni, in reciproca
influenza e specificazione.
11
M. Grilli, «Paradosso» e«mistero». Il VangeÙJ di Marco, Dehoniane, Bologna
2012, 110.
2 B. Standaert, op. ciL, III, 876-877.
1
64
5.3. La parola: Mc 16, 6-7
65
a
essere vinto affidandosi quella parola in cui riecheggia
la voce dell'annuncio evangelico.
La costatazione dell'assenza di Gesù nella tomba
(«non è qui») deve decretare il termine di quella loro ri-
cerca per aprirsi all'orizzonte dischiuso dalla parola di
vita che là, anche in una tomba, si fa incontro. Come
nella <<via» di sequela che le ha portate dalla Galilea al
sepolcro, le donne sono ancora chiamate ad affidarsi a
una voce che, per la potenza di Dio, apre nuovi scenari.
b) La, missione. La seconda parte della parola di rive-
lazione si concentra sull'incarico affidato alle donne,
chiamate a uscire da quella prospettiva di morte in cui
si sono rinchiuse. Ancora un imperativo le esorta e le
incoraggia ad «andare» e a «dire» ai discepoli, e a Pie-
tro, che Gesù rinnova la promessa già fatta loro. Le don-
ne sono costituite messaggere di un appuntamento e,
dunque, della ripresa di quella relazione che gli eventi
scandalosi della Pasqua sembravano avere distrutto. Al-
la luce del Getsemani e del manifesto rinnegamento di
Pietro, non può qui sfuggire l'implicita parola di perdo-
no che l'annuncio della ripresa di una relazione porta
con sé, soprattutto nei riguardi di Pietro (cfr. 14,66-7 2)
che, anche nel finale del Vangelo, viene posto in rilievo.
In questo cammino, come era stato in tutta la sua vi-
ta terrena 13, Gesù-pastore (cfr. 14,27-28) «precede» an-
cora i discepoli. Su questa rinnovata via di sequela, che
ha alla base la sua fedele parola («come vi disse»), i di-
scepoli lo vedranno, ne faranrio ancora esperienza, tut-
tavia egli resterà sempre un passo avanti a loro. Le pa-
role del giovinetto chiudono l'annuncio evangelico fatto
13
Si vedano soprattutto 10,32; 14,28.
66
dal testo liturgico di Marco: si rinvia a un appuntamen-
to e a un'esperienza che ha alla base la parola di Gesù
trasmessa dal Vangelo. Ma il testo marciano prosegue
in modo sconcertante, aggiungendo un versetto che
cambia notevolmente la prospettiva di lettura.
Come in tutto il racconto di Marco, Gesù sfugge an-
cora a chi cerca di prenderlo, metafora di un mistero che
non può essere posseduto. Il Maestro invita piuttosto a
seguirlo, a camminare dietro a lui: <<Vi precede in Gali-
lea» (cfr. 1, 17 e 8,33: «dietro a me»).
14
Nonostante il Vangelo canonico secondo Marco prosegua con i rac-
conti delle apparizioni pasquali (16,9-20) è questa, 16,8, la conclusione
dell'opera come concepita dall'evangelista. Ciò è· ben attestato dalla tradi-
zione testuale e unanimemente accolto dalla critica. Quanto segue, pur in-
serito redazionalmente in appendice alla narrazione, è chiaramente un'ag-
giunta che intende integrare il raccònto lasciato aperto dal misterioso silen-
zio delle donne. Se pur non originali, ritenendoli tuttavia ispirati, i versetti
successivi sono stati conservati e trasmessi. Tale conclusione è detta oggi <<fi-
nale canonica>>.
15
Sulla base dell'articolo di P. van der Hordt, «Can a Book end with
yap? A note on Mark XVI,8»,]ournal of Theologi.cal Stu.dies 23 (1972) 121-124,
e sulle testimonianze qui riportate di Plotino e Musonio Rufo, alcuni autori
tendono ad attenuare la sorpresa di 16,8 comprendendola come perfetta-
mente coerente allo stile dell'autore e alle tecniche della letteratura antica.
Fermo restando che il paradosso è una tecnica retorica ampiamente utiliz-
zata da Marco, e che è unanimemente riconosciuto quanto l'esperienza re-
67
fatto letterario che la conclusione originale del Vangelo
di Marco abbia provocato - e provochi tuttora - scan-
dalo, tanto da percepire la necessità di completarlo, op-
pure di addolcirlo, come è il caso della pericope evan-
gelica della Veglia che ha, ovviamente, altri intenti. L'in-
tenzionale aggiunta di 16,8 dopo l'annuncio di 16, 7 sol-
leva enormi domande, non meramente di carattere let-
terario-narrativo, testimoniando l'efficacia di un effetto
pragmatico inteso dall'autore. Il silenzio e la paura che
suggellano la conclusione di un «lieto annuncio» non
possono non destare interrogativi nel lettore e fare per-
cepire che, ancora una volta, e in modo emblematico,
gli eventi pasquali non si impongono automaticamente
sull'uomo. Lo stop decretato da Marco a ogni facile en-
tusiasmo che un finale tutto sommato glorioso come
quello di 16, 7 potrebbe suggerire, fa perlomeno com-
prendere che ci si trovi qui innanzi a qualcosa che su-
pera ogni ordinaria storia e vicenda umana.
La paura, finora elemento "normale" della forma
comunicativa impiegata, diviene in 16,8 centro di atten-
zione. Espressa con ben due sostantivi e un verbo, sul
quale si chiude il racconto (ephobounto gar), ha la forza di
instradare alla fuga e di bloccare la parola. Su questo
silenzio carico di ·paura umana si chiude il lieto .annun-
cio! Il brano che si era aperto segnalando uno spazio
temporale (il sabato) non segnato da azioni o iniziative
umane si chiude ora consegnando il lettore a quella stes-
ligiosa proposta dall'autore passi inevitabil~ente per il tema della paura, non
si può negare che nel suo contesto (finale di un Vangelo, preceduto in 16,7
da una lieta notizia) la conclusione marciana desti quantomeno sconcerto.
La storia dell'interpretazione, partendo proprio dalla formazione del cano-
ne, lo testimonia ampiamente.
68
sa inoperosità: silenzio e incapacità umana che Dio può
ancora fecondare con la sua azione salvifica.
Come il silenzio inoperoso dell'uomo espresso nello
fabbat - memoriale dell'attività creatrice e redentrice di
· Yhwh -viene scoperto dalle donne quale spazio colma-
to dall'azione vivificante di Dio (vv. 1-7), così ora anche
l'inattività muta e terrorizzata delle discepole può esse-
re fecondata dalla stessa potenza.salvifica. A questo si-
lenzio scandaloso, eppure abitato da Dio, la narrazione
della «lieta notizia» consegnerà il suo lettore.
L'aggiunta di 16,8 sposta l'accento comunicativo di
16, 7, invitando non tanto all'annuncio quanto ad abi-
tare con fiducia quello spazio creato da un evento pa-
radossale in cui pare palesarsi tutta l'impotenza umana
e divina. Esperienza, che non di rado, ogni discepolo
storico incontra nella vita.
La fuga e il silenzio annullano la missione affidata
alle donne; ciononostante non viene negata la possibi-
lità di accedere a quell'esperienza d'incontro con il Ri-
sorto basata non sulla testimonianza umana (che spro-
fonda nell'impossibilità in 16,8), bensì sulla promessa
fedele di Gesù (cfr. 14,28) che viene reiterata nel finale
del Vangelo. A questa il lettore viene orientato. La pro-
messa di Gesù resta valida proposta per chiunque ascol-
ti la parola dell'evangelo.
Pur evidenziando il fallimento della missione affida-
ta alle tre donne, Marco non nega tuttavia la possibilità
d'incontro con il Risorto: essa si basa non sulla capacità
dei discepoli, bensì sulla fedeltà della parola di Gesù.
L'annuncio di una profonda esperienza che deve realiz-
zarsi al di là della narrazione, sulle strade della sequela
ove ora il Risorto promette di farsi trovare, è ciò a cui
69
Marco rinvia mediante l'espediente pragmatico di 16,8.
Il fallimento umano dei discepoli e delle discepole, al
pari del paradosso di fede di un Signore crocifisso, non
può cancellare la possibilità d'incontro con il Risorto. E
questo - per chiunque abbia, esperienza reale di vita e
di discepolato - è .un lieto, lietissimo annuncio!
70
IV
IL RACCONTO DI RISURREZIONE
NEL VANGELO DI LUCA 1
continua
71
2 Etrovarono la pietra
rotolata via dal
sepolcro.
3 Ma entrate,
Il praeconium paschale
B. 4 Eavvenne [kai
egeneto] ,
mentre se ne stavano
incerte [aporeo]
su .ciò,
5 Divenute loro
impaurite
e chinato il volto a
terra,
essi dissero loro:
continua
' 72
6 «Perché cercate il
Vivente
tra i morti?
Non è qui,
ma è risorto.
Ricordate come parlò a
7 voi
quando era ancora in
Galilea,
dicendo che
il Figlio dell'uomo
doveva essere
consegnato
nelle mani
degli uomini peccatori,
essere crocifisso
e il terzo giorno
risuscitare».
8 Esi ricordarono
delle sue parole
73
11
Eapparvero innanzi a
loro
come un non senso
queste parole
Pietro al sepolcro
A'. 12 Ma Pietro,
alzatosi,
corse al sepolcro
e, chinatosi, vide le bende sole
e se ne andò [a casa],
meravigliandosi per
l'accaduto.
2
In Mc 16,1-8 la lista delle donne è posta all'inizio del racconto (16,1),
nonostante il versetto precedente (15,47) riporti l'elenco di altre tre donne,
tra cui la stessa Maddalena. Luca percepirà solo in 24,10 l'esigenza di espli-
citare i soggetti femminili di questa· scena, interrompendo così la linearità
del racconto tra 24,9 e 24,11.
74
- elemento grammaticale che rinvia al movimento del-
le donne introdotte in 23,55 - ma soprattutto la costru-
zione greca to men... te [i} de che crea un legame con la
scena della crocifissione-deposizione (23,56b; 24,1) e,
allo stesso tempo, decreta un passaggio da un atteggia-
mento statico a uno dinamico: <<il giorno di sabato ri-
posarono, ma il primo giorno dopo il sabato venne-
ro ...»3.
Dal punto di vista narrativo l'avanzamento del rac-
conto ruota intorno a un passaggio temporale: dal «gior-
no di sabato» in 23,56 si passa a «nell'uno dei sabati»
di 24,1. Comune ai quattro Vangeli, l'espressione te[i}
de mia[i} tOn sabbatOn4 riflette una costruzione e un pen-
siero tipicamente ebraici (nella versione greca dei Set-
tanta traduce l'ebraico 'e!J,iid bafabbat) che consiste nel
numerare i giorni della settimana a partire dallo fabbat,
così come nell'intendere con la stessa espressione ta sab-
bata o to sabbaton l'intero settenario. Ragion per cui si può
leggere in 24, 1 «il primo giorno dopo il sabato» oppure
«il primo giorno della settimana».
È indubbio, tuttavia, che il costrutto chiami in causa
il sabato come fattore discriminante del computo tem-
porale e, nel nostro caso, come elemento di svolta nella
fabula narrativa. L'elemento è rilevante, visto che anche
75
in 23,54 la sottolineatura di questo giorno non è indif-
ferente: «cominciava a risplendere il sabato». In 23,56,
due versetti dopo, si menziona ancora il sabato come
giorno del comandamento, secondo quanto riportato in Es
20,8-11 e Dt 5, 12-15 dove è richiesto rispettivamente di
«ricordarsi» (Es 20,8) del sabato a motivo dell'azione
creatrice di Yhwh e di «osservarlo» (Dt 5, 12) in ragione
della liberazione dall'Egitto.
Nel contesto lucano l'elemento temporale è dunque
un segnale insistito (tre volte in quattro versetti), eviden-
za che scompare nella sua pericope liturgica che avvia
il racconto con 24,1. Tuttavia sarà proprio il contesto
liturgico a dare nuova forza alla menzione del «primo
dei sabati».
76
chiamo al sabato afferma la continuità con una tradi-
zione che ha sperimentato nella storia gli eventi salvifi-
ci di Dio di cui il sabato è memoriale: il giorno in cui
Israele è chiamato a ricordarsi di un Dio che dà la vita,
cli un liberatore che spezza i vincoli mortiferi della schia-
vitù.
Proprio per questo, la risurrezione il «primo giorno
dopo il sabato» dice l'intervento di Dio che si colloca al
di là di ogni speranza, in una dimensione di "oltre" che
appartiene in sé a tutte le promesse fatte a Israele, in
uno spazio e in un tempo in cui solo Dio può operare.
In questo sentiero semantico aperto dal contesto li-
turgico acquistano allora ulteriore valore il richiamo al
«Vivente» (ton zonta) di 24,5 e l'imperativo di 24,6: «ri-
cordate» (mnesthete); «ed esse si ricordarono», conclude
in tono grave e solenne il v. 8.
La memoria liturgica, esplicitata dal lungo percorso
testuale della Veglia, è lo stesso cammino che le donne
sono invitate ad avviare «ricordandosi»; cammino che
troverà la sua meta (<<partendo d~ Mosè e da tutti i pro-
feti»: 24,27) nel riconoscimen to del Risorto allo spezza-
re del pane.
Quello dunque che era un elemento possibile del te-
sto e del co-testo lucano, diviene un segnale maggiore
- un accento forte, per dirla in termini musicali - nella
comunicazione avviata dalla liturgia pasquale.
77
Marco, che fa di questo brano la conclusione stessa del
suo Vangelo, Luca colloca sì la scena del sepolcro vuoto
al termine della narrazione evangelica; ciononostante
prima di giungere al vero e proprio epilogo c'è ancora
una strada da percorrere. D etto in altri termini, l'an-
nuncio della risurrezione (offerto in 24,1-12), in sé, non
è per Luca sufficiente, ma dev'essere completato. Que-
sto cammino viene articolato nei successivi due episodi:
il racconto di Emmaus e l'incontro tra Gesù e i disce-
poli in Gerusalemme. Solo qui l'incredulità e lo scetti-
cismo suscitati dall'annuncio delle donne saranno col-
mati, portando a termine l'itinerario di riconoscimento
proposto dall'evangelista.
Dunque, da brusco epilogo di un racconto il testo lu-
cano del primo annuncio, di risurrezione diviene un pre-
ludio alla comprensione dell'evento pasquale che si arti-
cola essenzialmente in tre tappe:
78
3. Le s trutture narrative
79
a duplicare la lieta notizia appena portata agli Apostoli5 ,
pone in evidenza la componente femminile dei discepo•
li di Gesù.
L'esplicitazione dei soggetti posta solo al v. 10 è stra-
na, soprattutto se confrontata con Marco (lo stesso av-
viene con Matteo) che la colloca all'inizio. Così facendo,
Luca interrompe in modo apparentemente maldestro
la linearità del racconto, richiedeq.do una particolare
cooperazione interpretativa da parte del suo lettore. In
sede opportuna occorrerà ritornare su questo nodo co-
municativo, interrogandosi sull'intenzionale svelamento
posticipato dell'identità del gruppo femminile e sull'ef-
fetto da esso suscitato nel lettore6 .
Il movimento delle donne, salite con Gesù dalla Ga-
lilea a Gerusalemme (cfr. Le 8,2-3), conduce al ritrova-
mento della pietra rotolata via dal sepolcro, ma non al
ritrovamento del corpo del Signore, già oggetto del loro
attento sguardo in 23,55 («osservarono il sepolcro e come
deposero il suo corpo»). Inaspettatamente, ciò che esse
ritrovano non è un corpo, ma la parola di Gesù che i
due uomini richiamano alla memoria7• È su questa
«via>>, riaperta dalla parola, che potrà ora awenire l'in-
contro con il Risorto.
Diversamente dal cammino delle donne, la corsa di
Pietro porta al ritrovamento delle sole bende che av-
80
volgevano. il corpo cli Gesù. Un'ambigua nota di stu-
pore chiude il racconto: «e se ne andò (apelthen pros
heauton), meravigliandosi. per l'accaduto» (24, 12). Nel
descrivere il movimento cli allontanamento dal sepol-
cro da parte di Pietro, l'evangelista utilizza una costru-
zione che ha suscitato l'interesse dei commentatori.
Nel contesto dell'azione narrativa, l'espressione apelthen
pros heauton («andò verso se stesso») viene a ragione tra-
dotta con «se ne andò a casa sua». Tuttavia, in modo
figurato, può essere compresa come un rientro in se
stesso da parte del primo tra gli apostoli, lasciando co-
sì intuire un possibile e positivo sviluppo di quell'ini-
ziale stupore8 .
3. 2. La fabula
8 In questa linea, F.
Bovon, Luca, ID, Paideia, Brescia 2013, 536, che col-
lega a Gen 12,l e Le 15, 17 («rientrare in se stesso»).
81
È da notare che l'oggetto di questo ricordo non è
semplicemente lasciato all'esercizio mnemonico delle
donne (come in Mt 28,6 che riporta simile espressione:
«è risorto come disse»), ma esplicitamente detto, ripe-
tendo gli ·annunci della passione e l'inattesa vicenda
del Figlio dell'uomo consegnato nelle mani dei pecca-
tori, crocifisso e risorto al terzo giorno (24, 7; cfr.
9,22.44)9 .
In ottica comunicativa, l'esplicitazione del «cosa» ri-
cordare (24, 7) 10 fa sì che il naturale accento pragmatico
del comando dato dai due uomini non cada più sulle
semplici parole di Gesù (una volta esplicitate non sono
più da ricordare!), ma sul «come» del suo pàrlare (24,6b:
«ricor.date come parlò a voi»), owerosia sull'aspetto rela-
zionale - rafforzato dall'introduzione del pronome per-
sonale (hymin: «a voi») - evidentemente decisivo per la
comprensio~e. Tale fattore di relazionalità diverrà ba-
silare nell'esperienza del Risorto fatta anche dai disce-
poli di Emmaus ed espressamente ripreso in ~4,32:
«Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli
conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le
Scritture?». Se pur con funzione grammaticale differen-
te, anche qui si fa uso dello stesso costrutto (hos elalesen
hymin), sottolineando - come d~terminante per il rico-
noscimento - il rapporto vivo ed esperienziale con Ge-
sù (si veda anche 24,30-31.35).
82
La memoria riattivata delle donne (24,8), che lascia
intuire positivo stupore e apertura alla fede, contrasta
nettamente con il «non senso» dato a quelle stesse pa-
role da parte degli Undici e di tutti gli altri. Evidente-
mente l'annuncio, da solo, non è sufficiente; l'aspetto
relazionale pare divenire discriminante.
83
4. 'L'intento comunicativo: i nodi pragmatici
11
F.W Danker, A Greek-English kxi.con of the New Testament and other early
Christian /it,erature, Univcrsity of Chicago Press, Chicago 20003, 119 fa deri-
vare dalla radice poros (<<Via»). La forma verbale poreumai, qui preceduta da
alfa privativo, è molto utilizzata in Luca, presente anche in 4,30 (imperfetto)
e 9 ,51, inizio del viaggio di Gesù verso Gerusalemme.
12 L'idea è suggerita da M. Grilli, L'opera di Luca. I. Il Vangelo del ui.andante,
84
del narratore al cliché letterario del genere «apparizione»
o <<Visione» a cui appar:tiene, come componente proprio, ·
il timore del destinatario. Tuttavia non si può ridurre l'ele-
mento <<paura» in 24,5 a un semplice ricorso a uno sche-
ma narrativo senza valutarne la portata comunicativa.
La complessa fraseologia con cui è espresso l'atteg-
giamento timoroso delle donne (si veda soprattutto l'uso
del doppio genitivo assoluto) ha infatti l'effetto di rallen-
tare il ntmo della narrazione, e di solennizzare i movi-
menti delle donne prima dell'introduzione dell'annuncio
pasquale pronunciato all'unisono dai due uomini in ve-
sti sfolgoranti (24,5b). Questa tonalità, tipicamente li-
turgica (solennità, timore, rispetto) e già presente nel
contesto lucano, viene certamente posta in rilievo nella
trasposizione all'interno della Veglia pasquale. Cosicché
riecheggiano ora nell'annuncio corale intonato dai due
personaggi celesti sia il canto del Preconio che ha dato
av:'Ìo alla proclamazione della Parola, sia il cantico di
vittoria di Es 15.
85
A differenza di Marco, nel praeconium lucano le don-
ne ricevono il comando non di portare l'annuncio, ben-
sì di «ricordare». Nel luogo della memoria di un defun-
to (mnémeion: alla lettera il «monumento memoriale»),
esse sono chiamate a ricordare non un morto, ma una
parola viva.
N ell'ottica del Terzo Evangelista, dunque, l'annun-
cio sgorga spontaneo dalla capacità di ricordarsi di quel-
la esperienza e di saper connettere le parole di Gesù (e
della Scrittura) agli eventi pasquali. Questa prospettiva
diviene pragmaticamente significativa p er quel lettore
la cui fede non.può poggiare né sulla tomba· vuota né
sulle apparizioni del Risorto, ma sul fare memoria di
quella parola che apre continuamente vie d'incontro. È
questo, in definitiva, lo scopo stesso per cui Luca si ac-
cinge a scrivere: dare fondatezza all'insegnamento rice-
vuto (cfr. 1,4).
4. 4. .UinterrogatWo angeli.co
13
Per maggiori approfondimenti, cfr. B. Prete, <<L'annuncio dell'evento
pasquale nella formulazione di Luca 24,5-7», Sacra Doctrina 16 (1971) 495.
86
Riscontrato questo modo "abituale" nei tratti nar-
rativi del Terzo Evangelo, occorre però notare anche
che, dal punto di vista comunicativo, l'interrogazione
e il conseguente invito a ricordare si integrano vicen-
devolmente, sono cioè omogenei: i d_ue input vanno di
pari passo e mirano entrambi a un coinvolgimento di-
retto degli interlocutori nel ritrovare «la via». Interro-
gando le donne ed esortandole a ricordare, i due uo-
mini dai chiari tratti angelici non offrono in prima bat-
tuta una soluzione precostituita all'atteggiamento e
all'incertezza delle disc~pole, ma le invitano a parteci-
pare attivamente nel trovare una risposta, richiaman-
dole a un insegnamento e a una Parola che dovrebbe
essere gi~ parte del loro bagaglio di vita, in virtù della
sequela del Maestro fin dai suoi primi passi nel mini-
stero in Galilea.
Interrogare è forma comunicativa che apre le porte
alla relazione e alla necessità di dialogo; modalità peda-
gogica ben distinta dalla secca affermazione di un inse-
gnamento che non lascia spazio alla replica!
Con i dovuti distinguo, si potrebbe forse parlare an-
che in questa circostanza di un "effetto parabola" basa-
to sull'esperienza umana del contrasto morte-vita, e spri-
gionato dall'inattesa ricaduta sull'uditore di un giudizio
che egli stesso ha pronunciato, interrogandosi, appunto,
su quella vicenda. Nell'uno come nell'altro caso si trat-
ta di una "scoperta" personale e non di un'evidenza of-
ferta dall'esterno, magari da una voce autorevole. È co-
sì che in Luca si accoglie l'inaudito annuncio di risurre-
z10ne.
87
4.5. Le donne
14
La menzione delle donne è tradizionale: M c 16, l ne ricorda tre (Mad-
dalena, M aria di Giacomo e Salome); Mt 28, I due (Maddalena e l'altra Ma-
ria). Luca mantiene il numero tre, omette però Salome (Mc 16, l ) e aggiunge
Giovanna, già presente nell'elenco in Le 8,3. Maria di Giacomo invece ap-
pare solo qui in Luca; in Mc 15,40 si chiarisce «madre di» Giacomo. A par-
te Maria Maddalena, sempre in testa alla lista, si dà dunque la sensazione di
un ampio gruppo di discepole (cfr. <<le altre con loro»). Le donne che, salite
con Gesù a Gerusalemme, assistono alla morte-sepoltura sono le prime te-
stimoni della tomba vuota e le prime annunciatrici. Cfr. G. Rossé, Il Vangew
dilli.ca, Città Nuova, Roma 1992, 1012-1013.
88
Pur con l'eccezione di Maria di Giacomo, Luca men-
ziona qui personaggi conosciuti dal lettore, persone
autorevoli perché presenti fin dalla predicazione in Ga-
lilea (cfr. Le 8,2-3). Il riferimento a questo gruppo, di cui
si esplicitano tre nomi, accentua maggiormente il con-
trasto tra l'atteggiamento delle donne verso la parola di
annuncio e il rifiuto della stessa da parte degli Apostoli,
l'altra componente dei discepoli che fin dall'inizio sono
stati presenti con Gesù.
Nell'opera lucana gli Apostoli sono certamente i testi-
moni accreditati della Parola (si pensi soprattutto ad Atti).
Tuttavia, a~che il gruppo delle donne è in qualche modo
trasmettitore autorevole di quell'esperienza «fin da prin-
cipio» (1,2): esse aiutano a comprendere il «come» di
quella Parola, come essa avvenne in mezzo a loro; ne sono,
in altri termini, memoria. Su questo aspetto relazionale
aveva già insistito l'annuncio dei due uomini in 24,6-7.
La vittoria del Figlio dell'uomo sofferente sulla mor-
te non è cosa immediata da comprendere, e questo è un
particolare non certo nuovo nei racconti evangelici di
risurrezione. Ciò che risulta nuovo in Luca è il fatto che
essa dipenda non semplicemente dall'annuncio, ma da
un'esperienza globale dai tratti del tutto unici di cui le
donne conservano memoria; u.na via di comprensione
alla quale esse, insieme al lettore, sono ricondotte.
Questa, in definitiva, è la stessa via ed esperienza che,
mediante il memoriale liturgico, l'assemblea è chiama-
ta a fare nella liturgia pasquale, soprattutto quando es-
sa è celebrata da una comunità che accompagna la cre-
scita delle sue membra non solo con il cosa dell'oggetti-
vo annuncio, ma con il come dei tratti storici di quel Fi-
glio dell'uomo crocifisso e risorto.
89
INDICE
Introduzione pag. 7
I. TESTI IN CONTESTO » 11
IV IL RACCONTO DI RISURREZIONE
NEL VANGELO DI LUCA » 71
1. Le 24,1-12: distribuzione
della comunicazione » 71
2. Il testo nei suoi contesti » 74
2.1. L'avvio della comunicazione pag. 74
2.2. Il contesto liturgico della Veglia
pasquale » 76
2.3. L'annuncio pasquale nel contesto
del Terzo Vangelo » 77
3. Le strutture narrative » 79
3.1. L'articolazione del racconto » 79
3.2. Lafabula » 81
3.3. La linea dello sfondo » 83
4. L'intento comunicativo: i nodi pragmatici )) 84
4.1. Il motivo de «la via>> )) 84
4.2. La tonalità liturgica )) 84
4. 3. Il Praeconium Pascha/,e » 85
4.4. L'interrogativo angelico » 86
4.5. Le donne » 88
Stampa: Arti Grafiche Cuneo - Madonna dell'Olmo (Cuneo)
FAME E SETE DELLA PAROLA
«Verranno giorni - dice il Signore- in cui manderò la fame
sulla rerra: non fame di pane né sete di acqua, ma di ascol-
tare la parola di DioH. Ispirandosi a quesco oracolo dcl pro-
feta Amos (8,11), la collana vuole offrire una serie di lcccu-
re direcce e puncuali, ma anche spiricuali, su un testo, un
rema, un personaggio della Bibbia, in risposta a quella «fa-
me e sere» di spiritualità biblica che oggi molti cristiani
provvidenzialmente avvertono.