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Che cos’è la stilistica?

“Deviazione” e “messa in evidenza” sono due parole chiave nel glossario di questa disciplina, da sempre interessata a
individuare la diversità dalla norma come strategia privilegiata della comunicazione di forme verbali, scritte e orali.

La scuola anglosassone spicca per innovazione e ricchezza di proposte: Mick Short e la sua scuola sono un punto di
riferimento per la disciplina.

L’orientamento è a favore di un’indagine che pone come priorità il testo tout court, letterario e non; gli aspetti formali di
un testo, la sua struttura linguistica e il contesto culturale e cognitivo, in cui questa si colloca sono determinanti per
stabilirne la funzione e il significato e necessari, seppur non sufficienti, per l’interpretazione.

Chi si occupava di stilistica si inseriva nella tradizione dei formalisti russi e degli studiosi del Circolo di Praga; tra questi
spicca Roman Jacobson, il cui oggetto di indagine privilegiato è il testo letterario.

Jacobson fonda il suo modello del processo comunicativo con sei elementi e relative funzioni linguistiche:

1- Mittente: chi invia il messaggio- funzione emotiva o espressiva, comunica gli stati d’animo
2- Destinatario: ricevente del messaggio – funzione conativa
3- Contesto: luogo/periodo storico/momento della giornata- funzione referenziale
4- Contatto: ambiente o canale che consente la connessione fra mittente e destinatario – funzione fàtica
5- Codice: sistema comprensibile da mittente e destinatario (parole, linguaggio, gesti) – funzione metalinguistica
6- Messaggio: il contenuto della comunicazione – funzione poetica, la quale si esplicita ogni volta che nel linguaggio,
anche comune, cerchiamo di valorizzare le risorse linguistiche utilizzate per potenziare il significato. (i like Ike).

La stilistica contemporanea adotta un metodo di analisi oggettivo e uniforme.

Deve seguire la regola delle tre “R”, come suggerisce Paul Simpson, e le procedure devono essere:

-RIGOROSE, in quanto basate su un preciso apparato di criteri,

-RECUPERABILI dalla comunità degli studiosi, così da poter essere verificate,

-REPLICABILI in altri testi.

La svolta più originale degli studi attuali sullo stile è l’attenzione alla componente sociolinguistica; accanto ai più
tradizionali ambiti quali fonologia, semantica, morfologia, hanno conquistato un ruolo di primo piano la pragmatica e lo
studio del discorso, delle strutture del linguaggio, così come vengono usate e interpretate in situazione, la stilistica
cognitiva, la corpus linguistics e la stilistica multimodale.

Tali approcci sono accomunati:

-dal rigore nell’applicazione sui testi,

-dalla possibilità di condividere con la comunità scientifica,

-dall’interesse ad evidenziare la costruzione del significato come scopo principale della comprensione e interpretazione
testuale.

La stilistica proclamata dunque interdisciplina per eccellenza, in grado di mantenere la propria identità e missione
disciplinare, ma allo stesso tempo di accogliere prospettive e metodologie di molte altre discipline.
-L’oggetto della stilistica: lo stile-

La stilistica si occupa dello studio dello stile; il termine stile si presta a molti significati.

Etimologicamente deriva da stilus, stilo, uno strumento per scrivere, un tipo di penna e, metonimicamente parlando, una
maniera di scrivere.

Per stile nel linguaggio si possono intendere gli aspetti, le abitudini o le idiosincrasie di uno o più individui appartenenti ad
una comunità linguistica collocata in un preciso periodo storico e luogo geografico.

Stile è il modo in cui il linguaggio viene usato, ha dunque a che fare con la parole, come ci insegna Ferdinand de Saussure,
e rimanda a scelte compiute tra forme linguistiche diverse.

Stile può anche essere riferito all’efficacia di una modalità espressiva, possiamo parlare di uno stile chiaro, adeguato,
bello, involuto.

Quello di cui ci occuperemo in questa sede però è ben riassunto dalla definizione, che ne danno Geoffrey Leech e Mick
Short: “il modo in cui il linguaggio è usato in un dato contesto, da una data persona, per un determinato scopo e così via”.
Una definizione apparentemente semplice, ma con la quale viene presa una posizione e indicata una direzione ben
precisa rispetto all’oggetto degli studi stilistici.

Sebbene la tradizione della stilistica sia connessa con lo studio del testo letterario, essa mette a disposizione strumenti
adatti per una tipologia di testi molto più ampia (giornalistico, politico, pubblicitario ecc.) che condividono con il testo
letterario almeno l’attenzione per il lettore e le strategie che ne consentono l’accaparramento.

Un primo strumento per individuare lo stile consiste nel contemplare sette livelli principali che rendono rigorosa e
sistematica l’analisi:

1- Fonologia; fonetica: il modo in cui le parole sono pronunciate


2- Grafologia: le forme del linguaggio sulla pagina
3- Morfologia: il modo in cui sono costruite le parole
4- Sintassi; grammatica: il modo in cui le parole si combinano con altre per formare frasi
5- Lessicologia; analisi lessicale: il vocabolario di una lingua
6- Semantica: il significato delle parole
7- Pragmatica; discourse analysis: il significato del linguaggio in un contesto

Pur mantenendo distinti questi livelli, va ricordato che sono naturalmente interconnessi e cooperano l’un l’altro per la
produzione di un’espressione linguistica.

La diversa tipologia dei testi e l’ipotesi di indagine guideranno verso la scelta dei livelli linguistici da valutare; ad es. un
monologo drammatico chiama in causa gli strumenti della pragmatica, un testo romanzesco richiede attenzione al livello
della sintassi, all’uso del discorso diretto e indiretto (speech and thought presentation) e così via.
Stilistica del testo Drammatico- comunicazione e linguaggio drammatico

Dramma, dal greco “azione”, indica una messa in scena che si realizza su un palcoscenico, sul quale gli attori
rappresentano gli eventi e i personaggi di una storia.

Per testi drammatici s’intendono tutti quei testi che sono scritti per essere rappresentati.

Teatro invece è il termine omnicomprensivo con cui convenzionalmente ci si riferisce a tutte le dinamiche che
intercorrono tra attori e pubblico e che riguardano aspetti della performance (luci, scenografia, costumi, movimenti dei
corpi degli attori, fino al tipo di pubblico).

La comunicazione drammatica dunque è fatta necessariamente di un insieme di segni diversi: ogni aspetto del messaggio
del testo e della scena teatrale è un segno e produce significati a più livelli. Un oggetto o un gesto non hanno mai solo un
senso ma ne evocano altri. Mittenti e destinatari sono quindi coinvolti in una “polifonia informazionale”, ottenuta
attraverso l’insieme di aspetti multi segnici.

Per testo teatrale si intende convenzionalmente l’insieme degli aspetti verbali visibili e cinetici che costruiscono la messa
in scena, distinguendolo così come testo in scena, dal testo drammatico in quanto scritto per la scena.

Il testo teatrale è stato definito un pre-testo proprio perché precede la messa in scena.

L’elemento che determina la radicale diversità è nell’idea di testo che non potrà essere inteso soltanto come opera
scritta.

La forma comunicativa verbale dominante è il dialogo e presenta un’intensità informazionale tipica del testo di finzione:
la comunicazione resta codificata e mantiene obiettivi che non sono propri della conversazione reale.

Il dialogo drammatico ha diverse funzioni:

in relazione al plot:

1- fornisce informazioni necessarie alla comprensione di ciò che sta succedendo


2- informa gli spettatori di eventi passati e li prepara a quelli futuri;
3- costruisce le situazioni in modo tale da raggiungere un climax e suscitare o confondere le aspettative
degli spettatori;

in relazione ai personaggi:

1- Mostra le relazioni tra i personaggi


2- Rivela aspetti della personalità dei personaggi attraverso le loro stesse parole
3- Mostra ciò che un personaggio pensa di un altro o di una situazione

Ciò che consente al dialogo di creare una dialettica interpersonale tra i soggetti all’interno dello spazio e del tempo del
discorso, è la deissi. Dal greco “indicare”, sono chiamati deittici tutti quei termini che indicano il luogo e il tempo del
discorso, come avverbi di tempo, aggettivi dimostrativi che indicano il presente, pronomi personali, nonché il presente del
verbo.

In quanto segni vuoti, non portatori di contenuto in sé stessi, i deittici sono l’esempio migliore di pre-testo e possono
essere valorizzati solo dalla messa in scena dell’azione drammatica.

L’interpretazione dei deittici dipende dunque dal contesto e dall’intenzione di chi parla.
Pragmatica e stilistica del linguaggio drammatico (speech acts)

Il termine pragmatica deriva dal greco pragma (azione) e si riferisce a quel filone della linguistica che studia il linguaggio in
rapporto all’agire umano, esaminando in particolar modo il problema di come l’ascoltatore individui le intenzioni del
parlante all’interno di un determinato contesto.

Precisamente si occupa dell’interazione tra aspetti linguistici ed extralinguistici e degli effetti di senso che ne conseguono:
potremmo dire che si concentra sul significato dell’enunciato (utterance), piuttosto che della frase (sentence) così come
scaturisce dalla situazione di chi parla e chi ascolta.

È la disciplina che ha più influenzato e orientato le indagini stilistiche contemporanee, in virtù del fatto che la modalità
comunicativa dominante è il dialogo in situazione; per questo motivo, la tipologia che meglio si presta ad essere
analizzata è quella dei testi teatrali, cinematografici, ma anche dialoghi delle serie televisive.

Una delle teorie utilizzate per l’analisi del testo drammatico è quella degli atti di parola (speech acts).

La teoria viene sviluppata dal filosofo del linguaggio John Austin e poi ampliata da John Searle.

Austin segnala la capacità performativa del linguaggio, in virtù della quale gli enunciati stessi sono in grado di realizzare
azioni in contesti specifici e fissa tre classi principali di atti linguistici:

1- ATTO LOCUTIVO: stringa di parole pronunciate o scritte dal mittente


2- ATTO ILLOCUTIVO: indica le intenzioni del mittente, un’azione ben precisa (ordine, richiesta)
3- ATTO PERLOCUTIVO: quando il destinatario realizza l’azione e si ottiene un effetto con la parola.

Affinché la comunicazione sia efficace sono necessarie altrettante condizioni che Austin chiama di felicità:

1- PREPARATORIA: procedure convenzionali senza le quali l’atto non può esistere


2- ESSENZIALE: il parlante si deve sentire impegnato e obbligato interiormente
3- DI SINCERITA’: stato interiore appropriato di sincerità.

Searle contribuisce a definire la forza illocutiva secondo ulteriori cinque tipologie:

1- ATTI DICHIARATIVI: il parlante compie un’azione e cambia la realtà (io ti proclamo Regina)
2- ATTI ASSERTVI: il parlante dichiara ciò che per lui è vero (oggi è una bella giornata)
3- ATTI ESPRESSIVI: il parlante dichiara i propri sentimenti (sono desolato)
4- ATTI COMMISSIVI: il parlante si impegna a compiere un’azione futura (prometto che…)
5- ATTI DIRETTIVI: il parlante chiede ad altri di fare qualcosa (ti ordino di arrestare quel criminale)

Pur tenendo conto delle condizioni di felicità, molti testi drammatici sono costruiti proprio sulla violazione di queste
condizioni.
Pragmatica e stilistica del linguaggio drammatico (Conversational analysis e turni conversazione)

Mick Short definisce la forma drammatica “the conversational genre” e in effetti un dialogo drammatico sembra voler
mimare una chiacchierata ordinaria.

Le differenze:

- La conversazione è spontanea e informale e non è preceduta da alcuna trascrizione.


- Il dialogo drammatico invece è un testo scritto per essere detto.
- Gli enunciati della conversazione possono non corrispondere a vere e proprie frasi, la forma grammaticale può
non essere accurata.
- La conversazione si avvale di feedback dell’interlocutore richiamando la funzione fatica descritta da Jacobson.

Punti comuni:

- Il ruolo determinante giocato dal contesto in entrambi i casi


- La modalità analoga di scambio linguistico attraverso un alternarsi di turni

Ci sono poi quattro punti da tener presente:

1- ORDINE SINTATTICO: in un testo teatrale le enunciazioni sono complete, auto-sufficienti e devono essere seguibili
e ripetibili perché se lo spettatore non comprende il messaggio si vanifica l’operazione.
2- INTENSITA’ INFORMAZIONALE: il testo teatrale si predispone per dare una serie di informazioni che altrimenti lo
spettatore non sarebbe in grado di avere; questa intensità non arriva solo dai contenuti verbali, ma da segnali che
possono essere resi in altro modo, con i gesti, con il corpo dell’attore.
3- PUREZZA ILLOCUTIVA: gli atti di parola contenuti in un testo teatrale devono essere puri, chiari; lo spettatore
deve avere un’idea non ambigua della forza illocutiva.
4- CONTROLLO DELLA DIVISIONE DEL CAMPO: la divisione del campo di gioco, ci devono essere dei turni per parlare.

La conversation analysis è un’area di studi sociali interessata alle strutture e ai modelli che si realizzano nella
conversazione. Lo studioso più importante è Harvey Sacks.

La CA ha a che fare con la pragmatica e quindi come il linguaggio è usato in contesto, come le forme linguistiche si
strutturano quando c’è uno scambio e come questi operino come un comportamento sociale.

1- Il primo punto è il concetto di turno, piccola parte del discorso prodotta da un parlante, finché il parlante non
cambia e l’altro prende la parola. Questo spostamento produce:
2- Mosse comunicative, che sono unità di azione di tipo sintattico. Dentro a queste mosse c’è una tipologia:
3- Le coppie, che sono turni di conversazione convenzionali (a un saluto generalmente si risponde con un saluto);
4- Completion point, momento di pausa in cui implicitamente si passa la parola. Purché si mantenga la
conversazione, è possibile:
5- Overlapping, sovrapposizione di turni, di interventi di vari parlanti.
Pragmatica e stilistica del linguaggio drammatico – Teoria della cooperazione e (Im)Politeness Theory -

La teoria della cooperazione è stata elaborata da Paul Grice e stabilisce la necessità di una collaborazione tra gli
interlocutori affinché una conversazione sia efficace.
Egli indica quattro massime da seguire:
1- QUALITA’: tenta di dare un contributo vero
2- QUANTITA’: non fornire informazioni superiori a quelle richieste
3- RELAZIONE: sii pertinente rispetto alla conversazione
4- MODO: evita espressioni ambigue/oscure e non essere prolisso nell’esposizione

Le regole possono essere violate e questo non significa che non ci sia cooperazione tra i parlanti; quando le
massime vengono utilizzate per l’analisi e l’interpretazione di un testo drammatico, bisogna tener conto
dell’intenzione del parlante.

La violazione di qualsiasi massima sarà frutto di una precisa scelta stilistica, che intende ottenere un preciso
effetto sul personaggio e sullo spettatore.

Grice distingue due modalità di violazione:

VIOLATE: l’infrazione non viene colta dal destinatario che non rileva la menzogna e la conseguente violazione
della massima di qualità.

FLOUT: il destinatario può esser consapevole dell’infrazione e questo aggiunge ulteriori significati
all’interpretazione; esercizi di ironia di vario tipo sono classici esempi di violazione della massima di qualità.

Siamo quindi in presenza di un’implicatura conversazionale, in quanto la scelta stilistica della violazione indica un
significato del messaggio comunicativo diverso, ulteriore o perfino opposto.

Grice puntualizza che altre regole possono essere attivate e ne menziona una quinta: sii cortese.

La riflessione parte dagli studi di Goffmann che, introducendo il concetto di “faccia”, ci parla di un fenomeno
legato alla reputazione, all’immagine pubblica e al prestigio che ogni individuo tende ad avere e proteggere.

Saranno Brown e Lewinson ad ampliare questo discorso, distinguendo tra faccia positiva, il desiderio di essere
approvati e apprezzati per ciò che siamo e facciamo e faccia negativa, la necessità di rispettare e mantenere un
valore positivo sociale del mio interlocutore, la modalità di essere rispettoso, di non umiliare l’altro.

Face threatening acts sono atti di minaccia che possono essere rivolti ad entrambi gli interlocutori; sarà
minacciata la faccia positiva nel caso in cui chi parla pronunci o riceva rimproveri o critiche, mentre una richiesta
o un ordine equivarranno a una minaccia della faccia negativa.

Nella dinamica del testo teatrale è molto frequente il percorso legato al conflitto, per questo si sono sviluppate
strategie di impoliteness, concepite per attaccare la faccia dell’interlocutore; questo sarà molto utile per capire le
relazioni tra i personaggi, come si manipolano o vengono manipolati per raggiungere determinati obiettivi e come
questo incida sulla storia.
La narrazione nel testo drammatico

A volte la forma dialogica è chiamata a fare spazio e accogliere parti narrative, portando variazioni delle modalità
comunicative:

- Si alterano i ritmi dello scambio dialogico


- Si modificano i tratti linguistici
- Si modifica la frequenza dei deittici
- Si modifica la temporalità del verbo

Per l’analisi di questo testo nel testo la stilistica ha utilizzato un modello elaborato da William Labov, adatto per leggere
le forme dello storytelling all’interno di dinamiche dialogiche.

Quello che conta nella disposizione delle frasi è innanzitutto rispettare un ordine temporale.

Labov individua e suggerisce una sequenza:

1- ABSTRACT: parte che dà inizio alla storia


2- ORIENTATION: fornisce le coordinate spazio-temporali della storia, il dove-quando, presenta i personaggi e gli
eventi che precedono.
3- COMPLICATING ACTION: l’evento principale della storia, che in genere altera lo stato delle cose
4- EVALUATION: fondamentale per connettere gli eventi (può però inserirsi in qualunque parte della storia)
5- RESOLUTION: eventi finali della storia, il narratore può fare il punto della situazione e commentare la storia.
6- CODA: la storia è finita, spesso con una morale.

Nonostante il successo applicativo del modello, la sua proposta non solo non sembra discostarsi molto da quella
aristotelica, ma non riesce sempre ad adattarsi alle narrazioni incluse nei testi drammatici.

Per l’efficacia della narrazione, vanno considerate sul piano stilistico, strategie di coinvolgimento (involvement strategies)
orientate all’accaparramento del destinatario.

Un esempio è il dialogo shakespeariano tra Prospero e Miranda nella Tempesta, nel quale Prospero narra le vicende che
hanno condotto padre e figlia sull’isola. In questa scena una narrazione lineare viene inserita nell’azione drammatica, ma
è però interrotta da una serie di scambi dialogici.

La tecnica di coinvolgimento del destinatario infatti, passa attraverso numerose domande, ordini, commenti e richieste,
atti di parola per lo più direttivi, che mirano a mantenere l’attenzione e soddisfano esigenze di caratterizzazione dei due
personaggi.

L’efficacia dello storytelling, la suspense e la rivelazione che seguono sono gestite dalle dinamiche testuali proprie del
dramma, che riescono addirittura ad accentuare la narrabilità della storia.
La Stilistica del testo non – letterario

Alla fine degli anni Sessanta del Novecento la critica ad una stilistica esclusivamente letteraria ha portato
l’attenzione sul ruolo del contesto nell’efficacia della comunicazione.

Solo grazie all’affermarsi della sociolinguistica e della pragmatica abbiamo avuto contributi significativi circa il
rapporto di reciproca influenza tra linguaggio e contesto e il significato attivato dalla dinamica tra autore, testo e
lettore.

Si sono così sviluppate discipline di indagine sul testo non – letterario con le quali la stilistica si è confrontata.
Parliamo di tre approcci:

- La Discourse Analysis
- La Critical Discourse Analysis (CDA)
- La Critical Metaphor Analysis (CMA)

Questi approcci pongono l’attenzione sugli aspetti legati al modo in cui l’ideologia e il potere si manifestano nella
comunicazione linguistica, tenendo conto in particolare della ricezione della comunità di riferimento.

I principi di base della CDA furono elaborati da Norman Fairclough, secondo il quale nel linguaggio “as a social
practice”, il contesto svolge un ruolo cruciale.

Per CDA s’intende una struttura analitica per studiare le connessioni tra linguaggio, potere e ideologia.

Un’influenza significativa giunge dal filosofo francese Michel Focault, al quale va fatta risalire la nozione di
discorso, inteso come un’area che determina chi deve dire cosa, a chi e in quale situazione e secondo procedure
che orientano le pratiche discorsive e le strategie enunciative.

È un’idea di linguaggio in cui sono presenti i vincoli del contesto, in cui si devono seguire le convenzioni e in cui si
presuppone una forma di autorità.

Il linguaggio diventa evento, parola in atto, lingua effettivamente usata per raggiungere scopi, in situazioni
concrete.

Da un lato il linguaggio rispecchia la società e le sue pratiche e dall’altro costituisce una forza importante per
creare nuove realtà.

Molti sostenitori della teoria fanno focus sulle tematiche relative al potere, alla discriminazione e
all’ineguaglianza e su come questo si realizzi sia sul piano discorsivo che sociale.

La CDA diventa allora uno strumento per smascherare forme di ideologia coercitiva, individuando significati
sociali espressi nei discorsi, analizzando le strutture linguistiche alla luce del contesto più ampio in cui si
collocano.

Fairclough elabora un modello nel quale mostra come il concetto di discorso comprenda le condizioni sociali sia di
produzione che di interpretazione interne al contesto.

Egli distingue tre fasi di analisi:

1- DESCRIZIONE: che riguarda gli aspetti formali del testo

2- INTERPRETAZIONE: che riguarda il rapporto tra testo e componenti dell’interazione

3- SPIEGAZIONE: che collega il contesto sociale all’analisi e interpretazione del testo.


- Political stylistics –

Un ambito nel quale CDA e CMA sono state ampiamente utilizzate è la cosiddetta political linguistics, settore di studi che
utilizza, per la sua dimensione interdisciplinare, terreni diversi, dalle scienze politiche alla linguistica, dalla filosofia politica
alla retorica.

A monte di questa riflessione non può che esserci Michel Foucault, il quale colloca il nesso tra sapere e potere all’interno
del discorso, binomio che si costituisce attraverso una rete di pratiche discorsive che si rinforzano l’un l’altra e
compongono la realtà stessa.

Sono tali pratiche discorsive ad assegnare ruoli: perseguite da individui per ragioni specifiche, le relazioni di potere
restano però collettive e soggetti, oggetti del sapere, modalità di argomentazione e regola di conferma vengono imposti
dalle pratiche discorsive stesse.

Discorso è dunque la parola chiave, parola in contesto, parola che è evento, che fa, crea, è struttura e processo ed è una
lingua vivente con la quale una comunità definisce i propri confini e criteri di appartenenza e si rinnova.

In questo ambito l’analisi stilistica è uno strumento di indagine su schemi concettuali e ideologici particolarmente
efficace, ad esempio considerando la trama metaforica del messaggio politico.

La CMA è un utile approccio sia per identificare quali metafore vengono utilizzate in testi che hanno obiettivi di
persuasione, come i discorsi o i manifesti politici, sia per provare a spiegare la scelta delle metafore rispetto
all’interazione tra l’oratore specifico e le circostanze dell’evento discorsivo.

Tale spiegazione può indicare come le metafore vengono usate sistematicamente per creare discorsi di legittimazione e
delegittimazione all’origine di ideologie e visioni del mondo.

- Stilistica e pragmatica storica –

A partire dagli inizi del nuovo millennio, la stilistica ha potenziato lo studio in prospettiva diacronica sulla lingua e i testi
del passato, con gli strumenti e le teorie della stilistica contemporanea.

La nuova stilistica storica integra infatti la stilistica con la linguistica e la pragmatica storica, da un lato lavorando sui
cambiamenti della lingua nel corso del tempo, in uno specifico genere o autore, e dall’altro facendo focus sulla lingua
come mezzo di comunicazione in determinati contesti piuttosto che su aspetti strutturali.

Lo scopo è quello di analizzare gli stili stabili o in cambiamento, in un determinato periodo storico, contribuendo così agli
studi di storia della lingua e dell’evoluzione delle forme linguistiche.

Anche la stilistica storica pone al centro dell’attenzione un’indagine rigorosa, sistematica e ripetibile; per affrontare
l’analisi stilistica sarà necessario raccogliere informazioni in merito al contesto di produzione sociale, culturale, linguistico
e pragmatico dei testi studiati, badando ad aspetti quali le convezioni dei generi testuali, la storia editoriale, la modalità di
compilazione.

In una prospettiva diacronica va identificato l’arco di tempo preso in considerazione integrando analisi quantitativa e
qualitativa per identificare norme e deviazioni linguistiche. La prospettiva diacronica è consolidata dalle indagini
quantitative della corpus stylistics e della corpus linguistics che hanno permesso la compilazione di importanti database
di testi del periodo storico indagato consentendo una comparazione tra grandi quantità di informazioni.

Linguistica storica e pragmatica sono state integrate con esiti fecondi nello studio del linguaggio orale, inserito in un
contesto sociale per comprendere l’interazione tra i parlanti, focalizzando l’attenzione sull’enunciazione, sull’intenzione di
chi parla e sull’interpretazione che darà chi ascolta.

In questo contesto la pragmatica storica può essere definita il campo di studi che analizza i modelli dell’interazione umana
intenzionale secondo il modo in cui le condizioni della società l’hanno determinata nel passato, gli sviluppi storici di quei
modelli. È dunque un settore empirico dello studio linguistico, interessato al fenomeno della variazione linguistica nel
tempo e all’esercizio del linguaggio autentico del passato.
La Stilistica del testo Narrativo – stilistica e narratologia –-

Nella tradizione della stilistica anche lo studio del testo narrativo è stato messo in secondo piano a favore di quello
poetico. Il primo contributo a prendere in considerazione il linguaggio della prosa di finzione è il famoso volume di Leech
e Short “Style in fiction”.

Negli anni ’80 del secolo scorso già si parlava di new stilistics, ma va ricordato che nei decenni successivi lo statuto della
stilistica si è modificato accentuando il forte carattere interdisciplinare.

Una delle discipline con cui sono avvenute le connessioni più significative è la narratologia, che si occupa di aspetti
prioritari per la stilistica, come il rapporto tra plot e story, lo studio del punto di vista, della presentazione del discorso e
della struttura della narrazione.

La stilistica e la narratologia sono complementari, anche se la stilistica si concentra sulle tecniche linguistiche adottate e la
narratologia sugli aspetti strutturali che vanno oltre le forme strettamente verbali.

Si distanziano se si parla di “ritmo”, che per la narratologia equivale alla velocità tra il tempo di narrazione e il tempo degli
eventi narrati e per la stilistica sul rapporto tra sillabe accentate o non e sulla lunghezza delle parole usate.

Rispetto a questioni come punto di vista e presentazione del discorso le due discipline convergono.

-Storia e racconto-

Secondo S. Rimmon-Kenan per narrative fiction si intende la successione temporale degli eventi narrati.

Questa descrizione evidenzia tre punti fondamentali:

1- Il processo comunicativo implicito del narrare


2- L’esistenza di eventi connessi o cronologicamente o da una relazione causa-effetto
3- Il carattere immaginario dell’oggetto del messaggio

Raccontare una storia significa presentare una sequenza di eventi e la connessione tra questi stabilisce forme diverse di
quella narrazione. Secondo la nota distinzione messa a punto dai formalisti russi, la fabula (story) è data dagli
avvenimenti disposti secondo un ordine logico e cronologico, mentre l’intreccio (plot) è dato dagli stessi eventi
nell’ordine in cui vengono narrati.

Quando si narra attraverso le parole va operata una distinzione tra storia (che ha a che fare con gli eventi narrati) e
narrazione (forma verbale che comunica tali eventi, è un racconto così come viene prodotto).

Per narrazione s’intende necessariamente la trascrizione in forma verbale degli eventi che la compongono: non è
suscettibile di adattamento, è espressa attraverso uno stile, un punto di vista con cui sono presentati i personaggi, una
voce anziché un’altra.

Laddove la storia può essere definita preletteraria, la narrazione è fatta necessariamente delle tecniche del racconto di
parole.

Va dunque tenuto conto della STORIA, ossia:

- degli eventi narrati

- della loro disposizione

- e dei personaggi che la compongono

E del RACCONTO, ovvero:

- la voce che narra

- il punto di vista adottato

- la distanza tra voce narrante ed evento focalizzando il racconto come enunciato linguistico.

È quest’ultimo aspetto l’oggetto privilegiato di indagine della stilistica.


Narratore, narratario e lettore (The Narrative voice)

Seymour Chatman sintetizza il modello comunicativo specifico del testo narrativo, operando una serie di importanti
distinzioni.

Autore reale – autore implicito – (Narratore) (narratario) – lettore implicito – lettore reale

La voce che narra la storia è l’istanza produttrice del discorso narrativo: il narratore, che va distinto dall’istanza di scrittura
poiché il narratore non è l’autore reale. Il narratore non è neanche l’autore implicito, che rappresenta piuttosto
l’immagine che il lettore può farsi dell’autore.

Narratore (narrator)e narratario (narratee) sono la coppia centrale, entrambi interni alla storia; a volte presente, altre
nascosto, il narratario è il destinatario diretto del narratore e si pone al corrispettivo livello diegetico. È il personaggio
all’interno del racconto al quale un altro personaggio (narratore) narra dei fatti. Nella medesima narrazione posso essere
presenti uno o più narratari, spesso personaggi della storia, con ruoli più o meno importanti rispetto agli eventi narrati.
(Decameron/Canterbury Tales). Il narratario all’interno dello scambio narrativo svolge un ruolo analogo a quello del
lettore.

Distinguiamo inoltre tra narratore di prima e terza persona.

Il narratore di prima persona è presente nella storia e narra solo ciò che ha visto e vissuto (es. autobiografie, diari,
memorie) e il lettore conosce in presa diretta riflessioni, emozioni ed eventi. Esiste il narratore di prima persona
protagonista o personaggio minore, osservatore.

Il narratore di terza persona si pone come voce esterna, non è uno dei personaggi, non è inserito negli eventi, ha il potere
di essere ovunque contemporaneamente e può veicolare la sua voce attraverso gli occhi di un solo personaggio.

Può essere onnisciente se conosce tutto dei suoi personaggi e lo mostra al lettore, può dichiarare la sua presenza
(obtrusivo) e interrompere quindi il flusso della narrazione, riassumere eventi passati, anticipare sviluppi futuri, offrire
valutazioni morali sugli eventi. Oppure può essere onnisciente non obtrusivo e guidare il lettore attraverso la
presentazione del mondo dei personaggi, ma non fa mai sentire direttamente la sua voce. Infine può essere anche non
onnisciente e si dice allora limitato.

Genette suggerisce un altro tipo di classificazione:

-Se il narratore è “al di sopra” della storia che narra, sarà EXTRADIEGETICO

-Se è interno a una storia, INTRADIEGETICO

I narratori intra/extra diegetici si classificano poi in base alla loro presenza o meno nella storia che narrano.

-Un narratore che partecipa alla storia, sarà OMODIEGETICO

-Un narratore che non lo fa, ETERODIEGETICO

Se il narratore omodiegetico è anche protagonista viene chiamato AUTODIEGETICO.

Anche per il lettore si distinguerà tra:

-Lettore reale: soggetto in carne e ossa, con una biografia, una cultura e un contesto sociale

-Lettore implicito: lettore ideale, il pubblico presupposto come destinatario.

A volte il lettore viene chiamato in causa come testimone (Jane Eyre), o diventa addirittura personaggio (Misery).
- Distanza e discorso- (Speech and thought presentation)

Quando parliamo di distanza ci riferiamo alla distanza tra la voce narrante, azione e personaggio.

La distanza fa riferimento alla maggiore o minore quantità di informazioni fornite e in maniera più o meno diretta.

Dosare la distanza, dice Genette, è un altro modo di narrare.

Prince conia e introduce altri due termini per indicare il tipo di distanza. Parla di:

- SHOWING (mimesi): si mostra l’evento e quindi la modalità utilizzata è il dialogo; il narratore scompare e
l’informazione passa attraverso la parola stessa. Massimo di informazione e minimo di informatore.
- TELLING (diegesi): si racconta e quindi la modalità usata è la narrazione; sarà il narratore a filtrare tutto quello
che accade e quindi è l’informatore che prevale sull’informazione.

La stilistica ha trattato con grande attenzione la presentazione del discorso, (speech and thought presentation), vale a
dire la modalità con cui la voce narrante riporta le parole scritte, dette o pensate dal narratore stesso o dal personaggio.

Tali modalità sono rese nel testo attraverso la categoria grammaticale del DISCORSO RIPORTATO, che comprende sia il
discorso diretto che indiretto.

Entrambi parlano di enunciazioni altrui, ma il discorso diretto cita parole di altri, quello indiretto lo traduce per mezzo
delle espressioni di chi le riporta.

La categoria generale del discorso riportato copre vari gradi di presenza della voce narrante, dal discorso del narratore
onnisciente al monologo interiore, passando attraverso il discorso indiretto libero nel quale il personaggio parla con la
voce del narratore e le due istanze vengono allora confuse.

La forma più letteraria è il discorso diretto (DDL) e indiretto libero; libero perché privo di sintagma di collegamento tra il
verbo introduttivo e gli enunciati.

Il DDL può essere riconosciuto da diversi fattori, secondo Seymour Chatman:

1- Il personaggio fa riferimento a sé in prima persona


2- Il momento del discorso coincide con il momento della storia (il tempo è al presente)
3- Il linguaggio (stile, scelte lessicali, frasi idiomatiche) è da attribuirsi al personaggio, non al narratore
4- Sono eliminati i commenti sulla storia del personaggio, (tutto ciò che si ode è presente nei suoi pensieri)
5- Non si presume la presenza di altro pubblico oltre a colui che pensa, che non si cura di spiegare le ragioni della
sua scelta

Il DDL è l’espressione linguistica tipica del monologo interiore, mancando infatti gli indicatori espliciti, sintattici e grafici
del rapporto che si instaura tra gli enunciati riportati e il cotesto diegetico.

Nel DIL abbiamo l’incontro tra diegesi e mimesi: la voce del personaggio si sovrappone a quella dell’autore.

Indici di riconoscimento sono:

- L’uso del condizionale non modale (would)


- L’uso di ausiliari modali per esprimere congetture, opinioni, obblighi (must, might, should, ought to, was to)
- L’uso di avverbi modalizzatori (certainly, perhaps, maybe, probably)
- L’uso di avverbi locativi e temporali che si riferiscono a qui e ora in un testo al passato. (here, now, yesterday
anziché the day before, today anziché that day, tomorrow anziché the next day)
- L’uso di verbi dicendi, sentiendi e declarandi se ci riferisce al contesto diegetico, che si trovano nelle immediate
vicinanze di un DIL
- L’uso di espressioni colloquiali e parlate, incompatibili con la voce del narratore

Il DIL si riferisce ad un linguaggio esclusivamente letterario (inizia nella seconda metà del ‘700) Quanto a scavo del
personaggio, non va oltre la narrazione in prima persona, o epistolare o autobiografica, né del narratore onnisciente.
- Il Tempo -

La relazione temporale più interessante dal punto di vista narrativo si gioca sul rapporto tra tempo della storia
(time of the story) e tempo del racconto (time of the plot).

Secondo Genette è possibile osservare tre relazioni fondamentali:


1- Ordine: che lavora sui rapporti tra la sequenza temporale degli eventi e l’ordine (pseudo-temporale) della
loro disposizione nel racconto.
2- Durata: che lavora sui rapporti tra la durata degli eventi nella storia e la lunghezza nel testo ad essi dedicata.
3- Frequenza: lavora sui rapporti tra il numero delle volte in cui un evento appare nella storia e il numero delle
volte in cui tale evento è narrato o menzionato nel testo.

La discrepanza tra l’ordine della storia e l’ordine del racconto è detta ANACRONIA ed è di due tipi.

1- ANALESSI: il racconto posticipa un fatto che nella storia è avvenuto prima (flashback)
2- PROLESSI: evocazione di un evento successivo al momento della storia in cui ci trova (flashforward)

Un’anacronia nel passato o nel futuro può arrivare più o meno lontano dal “momento presente”, momento della
storia in cui il racconto si è interrotto per farle posto.

Questa distanza temporale viene chiamata portata (reach) dell’anacronia; può coprire una durata di storia più o
meno lunga e questa sarà la sua ampiezza (extent).

Considerando l’ampiezza un ‘analessi si dice:

- completa se mira a recuperare la totalità del precedente narrativo,


- parziale, se il ritorno al racconto primo è dato da un salto in avanti o indietro non graduale (e avremo l’ellissi). Un
esempio classico è l’inizio in medias res che è quasi un epilogo anticipato e l’analessi è la parte più importante
narrata.

La durata invece è rappresentata dalla velocità, l’effetto di ritmo che si apprezzerà nel racconto, definendo le
cosiddette ANISOCRONIE.

Non tutti gli eventi sono narrati nello stesso modo, alcuni posso essere esplorati in dettaglio, altri semplicemente
accennati e altri ancora omessi. A seconda del modo dominante la narrazione cambia significativamente.

Sono stati messi a punto quattro principali movimenti narrativi:

1- DESCRIZIONE: TR=n TS=0


2- DIALOGO: TR=TS
3- SOMMARIO: TR<TS
4- ELLISSI TR=0 TS=n

1- Nella descrizione il tempo del racconto si estende infinitamente a fronte di un arresto dello sviluppo degli
eventi; il narratore ferma la storia e si concede una pausa descrittiva;
2- Il dialogo è il trionfo dell’anisocronia, parola e storia coincidono.
3- Con il sommario il lettore viene informato in poche righe di eventi che invece si sviluppano in lunghi periodi di
tempo, quindi tempo del discorso inferiore agli eventi.
4- L’ellissi capovolge la condizione della pausa descrittiva azzerando o riducendo il tempo del racconto; la parola
non c’è più e gli eventi vanno avanti.

La frequenza infine si concentra sulla ripetizione, eliminando la peculiarità del singolo evento per evidenziare i
tratti in comune in eventi simili.

- Si parla di relazione singolativa quando viene narrato una volta ciò che è accaduto una volta;
- La relazione sarà ripetitiva quando viene narrato n volte un evento accaduto una sola volta e
- iterativa la relazione in cui viene narrato una volta ciò che è accaduto n volte.
Un ruolo importante ha anche il tempus, l’analisi cioè del tempo del verbo all’interno del testo narrativo il cui
maggiore esponente è Harald Weinrich; egli individua i segni ostinati del testo, segni ricorrenti che hanno
capacità di determinazione nei confronti dei segni vicini e più nello specifico la dominanza di certi tempi.

3 sono gli aspetti da considerare:

1- ATTEGGIAMENTO: indaga i rapporti tra tempo testuale e tempo reale (tra tempi narrativi e commentativi)
2- PROSPETTIVA: indaga i rapporti tra tempo della storia e tempo del racconto
3- MESSA IN RILIEVO: relazione tra primo piano e sfondo del racconto

Le 3 funzioni si intersecano ma va ricordato che l’atteggiamento è ciò che regola in che modo il parlante e
l’ascoltatore si dispongono all’informazione.

Le 2 categorie fondamentali che costruiscono il senso del racconto sono:

1- TEMPI COMMENTATIVI: presente/passato prossimo e futuro


2- TEMPI NARRATIVI: imperfetto/passato remoto/trap. Prossimo e remoto/condizionale presente e passato

La valorizzazione del tempo del verbo determina effetti stilistici che incidono sul significato e che fanno parte
delle dinamiche dello storytelling, da quelle più narrative nelle quali si attivano strategie di accaparramento del
destinatario a quelle che servono a universalizzare la narrazione.
-Il Punto di vista-

Il punto di vista indica la prospettiva adottata per narrare un evento, è l’angolatura attraverso la quale viene osservato e
compreso ciò che accade.

FOCALIZZAZIONE, in termine stilistici, sostituisce il punto di vista; spesso il narratore è anche focalizzatore: mentre
udiamo la sua voce, vediamo l’azione attraverso i suoi occhi, ma ci sono narrazioni in cui la voce narrante affida ad altri la
propria visione e di questi riferisce lo sguardo.

Genette distingue tra focalizzazione:

- ZERO: il narratore sa più del personaggio e sa di tutto il mondo, onnisciente.


- INTERNA: viene adottato il punto di vista di un personaggio;
- ESTERNA: il narratore sa meno del personaggio, non ne presenta pensieri e percezioni. (narrazione oggettiva)

La manipolazione del punto di vista come tecnica narrativa è stata oggetto di studi da parte di Paul Simpson che
distingue:

1- Narrazioni di tipo A, con narratore di prima persona


2- Narrazioni di tipo B, con narratore di terza persona

Simpson elabora poi una modal grammar e classifica diversi tipi e gradi del punto di vista a seconda dei tempi e verbi
modali usati.

Precisi indicatori linguistici vengono presi in considerazione:

- La deissi, elementi che ancorano il narratore e/o il personaggio a un particolare spazio e tempo (avverbi come
qui, ora, lì, in quel momento)
- Le espressioni locative
- I verba sentiendi, che servono a canalizzare pensieri e sentimenti del narratore e/o personaggio
- Le forme modali

Questi elementi concorrono a definire 3 categorie principali di punto di vista:

1- SPAZIO-TEMPORALE: percezione degli eventi e dei personaggi che il lettore ricava dai deittici in genere
2- PSICOLOGICO: si realizza quando gli eventi narrati sono mediati dalla coscienza del personaggio; la presentazione
del discorso è una delle forme stilistiche che collega l’angolo di visione spazio-temporale con quello psicologico
3- IDEOLOGICO: insieme dei valori e delle condizioni culturali che vengono comunicati e si esprime una visione del
mondo di cui un individuo è portavoce, spesso come rappresentante di una comunità.

L’indagine sul punto di vista si incrocia con il concetto di mind-style, termine coniato da Roger Fowler, per descrivere la
presentazione della mente di un personaggio attraverso specifiche caratteristiche come la scelta del vocabolario, della
grammatica o di altri tratti che definiscono l’idioletto del personaggio che ampliano la prospettiva utilizzata per narrare.

La struttura del romanzo di Mark Haddon “The Curious Incident of the Dog in the Night-Time” ad es. mostra il tentativo
di riprodurre il funzionamento mentale e l’espressione linguistica di un personaggio; Christopher Boon che il lettore
capisce essere affetto da sindrome di Asperger man mano che la prosa va avanti.

- L’utilizzo di sole proposizioni principali e brevi


- La ripetitività lessicale
- L’incapacità di comprendere le metafore
- Le annotazioni eccentriche rispetto al discorso

Sono tutti elementi stilistici che segnalano una forma mentale diversa dalla norma, senza che la patologia venga mai
menzionata nel testo.

Il mind-style del personaggio, che amplia il punto di vista, è infatti parte integrante della strategia stilistica del testo e
dunque elemento essenziale per l’interpretazione della storia.

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