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i ovanti
Yves S i m o e n s
Nato nel 1942 a Kinshasa (Congo), insegna sacra
Scrittura a Bruxelles, Parigi e Roma (Pontificio isti
tuto biblico), tenendo corsi, conferenze e seminari.
La sua attività pastorale (ritiri ignaziani e accom
pagnamento spirituale) lo conduce soprattutto in
Belgio, in Francia, nell'Africa centrale e ad Haiti.
ISBN 88-10-20602-9
9788810206027
The Trial Version
L. 140.000
(€ 72,30)
(IVA compresa)
Yves Simoens
Secondo Giovanni
econoo.
lovanm
Uno traduzione
e un'interpretazione
Revisione di
Gian Paolo Carminati
Nihil obstat
D. Dideberg, sj
Bruxelles, 31 ottobre 1996
Imprimatur
É. Goffinet, v.g.
Malines-Bruxelles, 9 novembre 1996
ISBN 88-10-20602-9
SIGLE E ABBREVIAZIONI 5
CEI Conferenza Episcopale Italiana
CERIT Centre d’Etudes et de Recherches Interdisciplinaires en Théologie
CogF Cogitatio Fidei, Paris 1967ss
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GCS Die griechischen christlichen Schriftsteller, Berlin 1897ss
GdT Giornale di Teologia, Brescia 1969ss
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or. ted.: Theologisches Worterbuch zum Neuen Testament, a cura
di G. Kittel, 10 voli., Kohlhammcr, Stuttgart 1933-1979
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6 SECONDO GIOVANNI
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LSJ H.G. Liddell - R. Scott, A Greek-English Lexicon: a new edition
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LV Lumière et vie
Lxx versione greca dei Settanta
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NRT Nouvelle revue théologique, Louvain 1869ss
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ment and related studies, Leiden 1956
NTA Neutestamentliche Abhandlungen, Miinster 1909ss
NTS New Testament Studies, Cambridge 1954ss
OrChrA Orientalia Christiana analecta, Roma 1935
ÒsterrBibSt Òsterreichische Biblische Studien
PBtScB, NT Petite bibliothèque des Sciences bibliques, Nouveau Testament
Pesiq. Pesiqta
PG Patrologiae cursus completus, series graeca et orientalis, a cura di
J.P. Migne, Paris 1857-1886
PL Patrologiae cursus completus, series latina, a cura di J.P. Migne,
Paris 1844-1864
Pseudo-Jon Targum Pseudo-Jonalhan
PUF Presses Universitaires de France
RB Revue biblique, Parisl892ss
RThom Revue thomiste, Bruges 1893ss
RivBib Rivista biblica, Roma 1953ss
RSR Recherches de Science religieuse, Paris 1910ss
RTL Revue théologique de Louvain, Louvain 197Oss
Sales Salesianum, Torino-Roma 1939ss
SBFA Studii biblici Franciscani: analecta, Jerusalem 1962ss
SBFLA Studii biblici Franciscani liber annuus, Jerusalem 195Oss
SBS Stuttgarter Bibelstudien, Stuttgart 1965ss
se Sources chrétiennes, Paris 1941ss
ScEs Science et esprit, Bruges 1968ss
SémBib Sémiotique et Bible
SNTS.MS Society for New Testament Studies Monograph Series /
StAns Studia Anselmiana, Roma 1933ss
StANT Studien zum Alten und Neuen Testament
StBib Studi Biblici
StEv Studia Evangelica
StNT Studien zum Neuen Testament, Giitersloh 1969ss
The Trial Version
Str-B H.L. Strack - P.Billerbeck, Kommentar zum Neuen Testament
aus Talmud und Midrasch, Mtinich 1922-1961
Sukk. Sukka
Talm. Bab. Talmud babilonese
TANZ Texte und Arbeiten zum neutestamentlichen Zeitalter
SIGLE E ABBREVIAZIONI 7
Tg Targum
THist Théologie historique, Paris 1963ss
TM Testo masoretico
TOB Traduction oecouménique de la Bible
TosShab Tosefta. Shabbath
ThPh Theologie und Philosophie, Freiburg Br. 1966ss
TU Texte und Untersuchungen zur Geschichte der altchristlichen Lite-
ratur, Berlin 1882ss
TWNT Theologisches Wòrterbuch zum Neuen Testamenti a cura di G.
Kittel, 10 voli., Stuttgart 1933-1979; tr. it.: Grande lessico del
Nuovo Testamento, 15 voli., Brescia 1963-1988
VD Ver bum Domini. Commentarti de re biblica, Roma 1921ss
Vie Con Vie Consacrée, Bruxelles 1966s
Volg Volgata di san Girolamo
VTB Vocabulaire de Théologie Biblique, a cura di X. Léon-Dufour,
Paris 21970 [ed. it. = DTB]
WMANT Wissenschafdiche Monographien zum Alten und Neuen Testa
menti Neukirchen 196Oss
ZNW Zeitschrift ftir die Neutestamentliche Wissenschaft, Berlin 19OOss
8 SECONDO GIOVANNI
• una
traduzione
Alla purezza formale della lingua francese (e di quella italiana), abbiamo rite
nuto di dover preferire una maggior fedeltà alla lettera. La nostra traduzione si pre
senta come uno strumento di lavoro che intende rimandare costantemente al testo
originale. Il lettore dovrebbe averla sempre sotto gli occhi nel seguire il commento.
Lo scopo che ci siamo proposti è duplice: rimandare al testo originale, ma in
terpretandolo. L’esame deH’originale greco non è sempre il mezzo migliore per rin
novare il nostro sguardo. Cercando di trasporre in francese (e in italiano) la lettera
del testo greco il meno malamente possibile, questa traduzione cerca anche di far
emergere alcune consonanze insospettate. Il lavoro dell’interpretazione consiste
per l’a ppunto nel fare in modo che lo spartito sia rispettato, con la massima fedeltà
alle sue sfumature spesso infinite, ma in modo tale che l’esecuzione sia unica. Non è
possibile fare altrimenti. È il prezzo della novità. E questo ci tranquillizza e ci con
sola delle inevitabili lacune e imperfezioni.
Se dovevamo precisare il nostro progetto di lavoro rispetto ai nostri predeces
sori (si pensi, in campo francofono, a D. Mollat per la Bible de Jérusalem, a M.-E.
Boismard e A. Lamouille per la Synopse de la Bible de Jérusalem, alla Traduction
Oecuménique de la Bible, a E. Delebecque, a suor Jeanne d’Arc o a X. Léon-
Dufour), dobbiamo anche rendere omaggio all’organicità del testo che porta a co
gliere l’unità dell’opera. Incontestabile e incontestata nei suoi limiti canonici, que
sta unità è stata l'oggetto di recenti studi che l’hanno analizzata attraverso il prisma
delle ipotesi relative alla sua progressiva costituzione, tenendo conto della vita
delle comunità nella storia. La legittimità e la validità di questo tipo di approccio
non vengono qui messe in discussione. La concatenazione dei racconti e dei di
scorsi, nella s ua configurazi one definitiva, permette tutt avia di cogliere alcune cor
rispondenze significative, al di là della progressiva elaborazione delle tradizioni,
meglio di quanto non permetta di fare la considerazione dei frammenti. La lingui
stica e la semiologia ci hanno insegnato che un testo è un sistema di significanti e
che il senso si colloca ai confini dei molteplici rapporti di somiglianze e differenze.
Il testo giovanneo si presta a questo tipo di indagine. Il presente approccio
vuole avvalersi il meno possibile di mode lli di qualsiasi genere (diacronico o sincro
nico, storico o narrativo, generativo o retorico) per privilegiare una lettera la cui ap
profondita conoscenza porta a individuare un contenuto di Spirito, un contenuto
teologico. Il testo che viene presentato qui è frutto di uno studio metodico di cui la
guida di lettura fornisce tutte le pezze giustificative. Non vuole essere vincolato a
nessun sistema ideologico o accademico, variando i punti di vista in base agli impe
rativi
The deiVersion
Trial generi letterari incontrati. Si pr opone in tal modo come il frutto di una let
tura del Vangelo realizzata nell’alveo della Tradizione e come un invito a collocarsi
in questa ottica.
L’edizione critica su cui si basa il present e lavoro è quella di K. A land - M.
Black - C.M. Martini - B.M. Metzger - A. Wickgren, The Greek New Testa-
PREFAZIONE 11
ment, United Bible Societies, Stuttgart 31990. L’apparato critico di quest’opera è
stato prezioso per valutare i prò e i cont ro di inevi tabili scelte a livello di traduzione
e di interpretazione.
La traduzione letterale, inedita, di J. Radermakers (Institut Catéchétique Lu
men Vitae, Bruxelles 1983) è stata di aiuto per controllare le scelte e optare per
l’una o per l’altra in caso di incertezza.
Come criterio generale si è assunto quello di adottare sempre la stessa tradu
zione per gli stessi termini, senza esitare a introdurre alcune variazioni in base al
senso, soprattutto per quanto riguarda l’uso delle preposizioni. Le parole o le
espressioni che figurano fra parentesi sono state aggiunte per rendere più compren
sibile il testo nella nostra lingua. Il segno = indica la formulazione più aderente al
testo greco nei casi in cui la traduzione adotta un’espressione più corrente in ita
liano (cf. 1,13). Sempre fra parentesi sono inseriti alcuni rimandi all’AT e al NT. In
rari casi, le parentesi quadre racchiudono alcune parole del testo greco che risul
tano superflue in italiano. I trattini obliqui (/ /) delimitano eventuali letture alterna
tive proposte dalla critica (cf. 1,34).
Libane Pepin, professore emerito deWInstitut d’Études Théologiques di Bru
xelles, dove ha insegnato greco per anni, ha cortesemente accettato di rivedere la
nostra traduzione. Dietro suo suggerimento, la part icella an seguita dal congiuntivo
nelle proposizioni subordinate è stata resa con «eventualmente» per mettere in luce
il senso dell’eventualità. Dal momento che l’aoristo indica l’idea pura e semplice
del verbo, non lo si è evidenziato nel caso dell’imperativo e dell’infinito. Quando si
tratta di un aoristo di anteriorità in una proposizione subordinata, la concordanza
dei tempi ha suggerito di renderlo con il tempo più adatto (piuccheperfetto o futuro
anteriore, a seconda dei casi). Il presente durativo in alcuni casi è stato reso con
«mettersi a» oppure con «stare per», soprattutto quando (al participio, all’impera
tivo e aH’infinito) è in contrasto con un tempo passato (c f. 21,25). Il perfetto con va
lore risultativo è reso a volte con un ausiliare («essere, trovarsi»; cf. 11,12). Quando,
per rendere la forma e il significato di un termine greco, è stato necessario utilizzare
più parole in italiano, queste sono uni te fra loro da trat tini. Quando non è stato pos
sibile trovare due termini italiani distinti per rendere due vocaboli greci diversi, la
differenza è segnalata da un asterisco (ad esempio: logos — parola, rema — parola*,
lalia = parola**). Le operazioni di cui sopra non sono sempre state effettuate in
maniera rigorosa, per non tormentare eccessivamente la forma italiana, già maltrat
tata dalla preferenza che in alcuni casi si è voluto accordare alla concordanza dei
tempi del greco, anche quando l’italiano esigerebbe criteri diversi. La precisione
viene spesso sacrifica ta alla leggibilità del testo. Lo stesso criterio ha guidato la ste
sura dell’interpretazione, rivolta a rendere conto di certe sfumature.
Titoli e sottotitoli sono stati deliberatamente omessi, a favore di una visualiz
zazione del testo che ne fa risaltare il contenuto dispiegato in unità letterarie più o
meno lunghe. L’unico espediente tecnico di cui il lettore deve tener conto è legato
agli accostamenti di parole o di espressioni, accostamenti segnalati da una partico
lare disposizione tipografica del testo e da segnali alfabetici (in caratteri maiuscoli o
minuscoli) collocati in margine al testo stesso, a diversi livelli di percezione. Questi
The Trial sono
mezzi Version
stati utili nella fase euristica del lavoro (scoperta della funzione delle
parole e delle unità letterarie) per cogliere con maggior facilità certi criteri di com
posizione ristretta o più ampia, soprattutto nei capitoli più complessi (cc. 7-8). Il
lettore se ne servirà nella misura in cui questi modesti strumenti potranno essergli
di aiuto, li ignorerà se gli saranno di ostacolo.
12 SECONDO GIOVANNI
Dove l’argomentazione lo richiedeva, in alcune note a piè pagina si è cercato
di chiarire i punti più delicati o più significativi attraverso un rilievo, un’osserva
zione, un richiamo o un breve commento. A tale scopo sono state proposte alcune
riduzioni schematiche del testo, utili per fissare le idee. Di conseguenza la tradu
zione risulta relativamente autonoma rispetto al più voluminoso commento. L’es
senziale è che l’autore e il lettore si pongano, insieme, al servizio dell’unico e solo
Maestro che attraverso la sua parola ci conduce alla Scrittura e attraverso la Scrit
tura ci conduce alla sua relazione col Padre e con gli uomini nello Spirito.
PREFAZIONE 13
VANGELO SECONDO GIOVANNI
Gv 1,1-18 15
14 E il Verbo, carne divenne
e mise-la-tenda in noi,
e noi ammirammo la sua gloria:
gloria come di unigenito da(l) Padre,
pieno (= compiuto) di grazia e di verità.
16 Gv 1,1-18
1,1 In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio,
e Dio era, il Verbo.
Gv 1,1-8 17
1,9 (Il Verbo) era la luce, la vera*,
che illumina ogni uomo, venendo nel mondo,
18 Gv 1,9-14
1,15 Giovanni testimonia a proposito di lui
e ha gridato dicendo:
Costui era, che (io) dissi:
Colui che dietro dime viene,
davanti a me è divenuto
perché (il) primo (nei confronti) di me era.
Gv 1,15-18 19
1,19 E questa è la t estimonianza di Giovanni, quando i giudei di Gerusalemm e in
viarono /a lui/ sacerdoti e leviti affinché gli chiedessero: «Tu, chi sei?».
20 Ed egli confessò, e non negò, e confessò: «Io non sono il Cristo».
21 E gli chiesero: «Che-cos a dunque? Tu sei Elia?». Ed egli disse: «Non sono».
«Tu sei il profeta?». Rispose: «No».
22 Gli dissero dunque: «Chi sei, affinché diamo una risposta a quelli che ci
hanno mandato. Che cosa dici a proposito di te stesso?».
23 Dichiarò: «Io? “Voce di uno che-grida-forte nel deserto: Rendete-diritta la
via del Signore”, come dice Isaia, il profeta» (Is 40,3).
29 L’indomani, guarda Gesù che viene a lui e dice: «Vedi: l’agnello di Dio, colui
che porta-via il peccato del mondo.
30 Costui è (colui) a proposito del quale io dissi: dietro di me viene un uomo*
che è divenuto davanti a me, perché (prima) di me era (il) primo.
31 E-io non lo conoscevo (= sapevo), ma (ciò avviene) affinché sia manifestato
a Israele; a causa di questo io venni, battezzando nell’acqua».
32 E Giovanni testimoniò dicendo: «Ho ammirato lo Spirito che-discendeva
come una colomba dal cielo, e rimase su di lui.
33 E-io non (lo) sapevo, ma colui che-mi-aveva-mandato a battezzare con (= in)
acqua, egli* mi aveva detto: “(Colui) sul quale eventualmente-vedrai lo Spi
rito che-discende e che-rimane su di lui, costui è colui che-battezza in Spirito
Santo”.
34 E-io ho visto e ho testimoniato che costui è il Figlio /FEletto/ di Dio».1
20 Gv 1,19-34
1,35 L’indomani, di nuovo, era stato (là) Giovanni, e due dei suoi discepoli,
36 e avendo-fissato-lo-sguardo-su Gesù che-camminava, disse: «Vedi: l’agnello
di Dio».
37 E i due discepoli lo udirono parlare, e seguirono Gesù.
38 Ora Gesù, essendosi voltato e avendoli visti ( = ammirati) che-(lo)-seguivano,
disse loro: «Che-cosa cercate?». Ora essi gli dissero: «Rabbi - che, interpre
tato, si dice: Maestro -, dove abiti (= rimani)?».
39 Disse loro: «Mettetevi-a-venire e vedrete». Andarono dunque e videro dove
abitava (= rimaneva) e rimasero quel giorno presso di lui; (1’) ora era circa
(la) decima.
40 Andrea, il fratello di Simone, era uno dei due che-avevano-udito da Gio
vanni, e che-l’avevano-seguito.
41 Costui trova dapprima il proprio fratello Simone e gli dice: «Abbiamo trovato
il Messia», che, interpretato, è: Cristo.
42 Lo condusse a Gesù. Avendo-fissato-lo-sguardo-su di lui, Gesù disse: «Tu sei
Simone, il figlio di Giovanni; tu sarai chiamato Képhas», che si interpreta:
Pietro.
43 L’indomani, Gesù volle uscire verso la Galilea e trova Filippo, e gli dice:
«Mettiti-a-seguirmi».
44 Ora Filippo era da Betsaida, dalla città di Andrea e di Pietro.
45 Filippo trova Natanaele, e gli dice: «Colui-che Mosè aveva scritto nella
Legge, e i Profeti, l’abbiamo trovato: Gesù, figlio di Giuseppe, quello da Na
zaret».
46 E Natanaele gli disse: «Da Nazaret, può esser(ci) qualcosa (di) buono?». Gli
disse Filippo: «Mettiti-a-venire e vedi».
47 Gesù vide Natanaele venire a lui e dice di lui: «Vedi: veramente un israelita in
cui non c’è inganno!».
48 Natanaele gli dice: «Da-dove mi conosci?». Gesù rispose e gli disse: «Prima
che Filippo (ti) avesse chiamato*, ti vidi che-eri sotto il fico».2
49 Natanaele gli rispose: «Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei re d’Israele!».
50 Gesù gli rispose e gli disse: «Poiché ti dissi che ti avevo visto sotto il fico, (tu)
credi; vedrai (qualcosa di) più grande di queste-cose».
51 E gli dice: «Amen, amen, vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio sa
lire e discendere sul Figlio dell’uomo» (Gen 28,12; Sap 10,10).
Cf. Dn 13,54 («C onoscenza acuta di ci ò che riguarda una persona e i suoi movimenti»: C.F.D.
Moulc); si veda anche, con Fimmaginc della vite. Mi 4,4 e Zc 3,10.
Gv 1,35-51 21
2,1 E il terzo giorno, uno sposalizio ci fu (= divenne) in Cana della Galilea, e la
madre di Gesù era là.
2 Ora fu chiamato anche, Gesù e i suoi discepoli, allo sposalizio.
4 /E/ Gesù le dice: «Che-cosa (c’è) per me e per te, donna? Non ancora è giunta
la mia ora?».
6 Ora c’erano là delle giare di pietra: sei, secondo la purificazione dei giudei,3
deposte (là), contenenti ciascuna due o tre metrete.
10 e gli dice: «Ogni uomo pone dapprima il vino bello, e quando (ci) si è-
eventualmente-ubriacati, il peggiore; tu hai custodito il vino bello fino al-
presente!».
11 Questo fece Gesù (come) principio dei segni, in Cana della Galilea, e manife
stò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui.
12 Dopo di ciò, discese a Cafàrnào, lui e sua madre e i fratelli e i suoi discepoli, e
rimasero là non molti giorni.
3 La descrizione minuziosa delle giare, la loro funzione e il posto che occupano nel racconto atti
rano l’attenzione per il loro carattere insolito a tutti i livelli: simbolico, rituale e sociale. L’interpreta
zione deve corrispondere all’importanza che viene loro attribuita. Il senso del racconto emerge là dove
meno ce lo aspetteremmo!
22 Gv 2,1-12
2,13 E la Pasqua dei giudei era vicina, e salì a Gerusalemme, Gesù.
14 E trovò nel tempio coloro-che-vendono buoi e pecore e colombe, e i cambia
valute, seduti.
15 E avendo fatto una frusta di cordicelle, li getto-fuori tutti dal tempio, e le pe
core e i buoi, e sparse la moneta dei cambiavalute*, e rovesciò le tavole,
16 e a coloro che-vendevano le colombe disse: «Portate-via queste-cose da-qui:
non mettetevi-a-fare (del)la casa del Padre mio una casa di mercato!».
17 I suoi discepoli si ricordarono che è scritto: «Lo zelo della tua casa mi divo
rerà» (Sai 69,10).
18 Risposero dunque i giudei e gli dissero: «Quale segno ci mostri, (così) che fai
queste-cose?».
19 Gesù rispose e disse loro: «Distruggete (= sciogliete)4 questo santuario e in
tre giorni lo rialzerò».
20 Gli dissero dunque i giudei: «(In) quarantasei anni fu costruito questo santua
rio, e tu lo rialzerai in tre giorni?».
21 Ora egli* diceva (ciò) a proposito del santuario del suo corpo.
22 Quando dunque fu rialzato dai morti,5
i suoi discepoli si ricordarono che diceva (ciò) e credettero alla Scr ittura e alla
parola che Gesù aveva detto.
23 Ora mentre era in Gerusalemme, nella Pasqua, nella festa, molti credettero
nel suo nome, contemplando i [suoi] segni che faceva.
24 Ora egli, Gesù, non si fidava di loro, per-il-fatto-che (li) conosceva tutti,
25 e perché non aveva bisogno che qualcuno testimoniasse a proposito del
l'uomo; egli infatti conosceva ciò-che era nell’uomo.
Gv 2,13-25 23
3,1 Ora c’era un uomo tra i farisei: Nicodemo il suo nome, un capo dei giudei.
2 Costui venne a lui di notte e gli disse: «Rabbi, sappiamo che sei venuto da Dio
(come) ma estro, perche nessuno può fare questi segni che tu fai, se-eventual-
mente Dio non è con lui».
3 Gesù rispose e gli disse: «Amen, amen, ti dico: se-eventualmente uno non fu
generato dall’alto, non può vedere il regno di Dio».
4 Gli dice Nicodemo: «Come può un uomo essere generato, essendo vecchio?
Non può entrare una seconda volta nel ventre di sua madre ed essere gene
rato!».
10 Gesù rispose e gli disse: «Tu sei il maestro d’Israele, e non conosci queste-
cose?
11 Amen, amen, ti dico che (noi) parliamo (di) qucllo-che sappiamo, e testimo
niamo quell o-che abbiam o visto, e (voi) non ricevete la nostra testimonianza.
12 Se vi dico le cose terrestri, e non credete, come crederete se-eventualmente vi
dico le cose celesti?
13 E nessuno è salito al cielo, se non colui che-è-disceso dal cielo: il Figlio*
dell’uomo.
14 E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il
Figlio* dell’uomo
15 affinché ognuno che-crede, in lui abbia una vita eterna.
24 Gv 3,1-15
3,16 Dio infatti amò talmente il mondo
che diede il Figlio unigenito,
affinché ognuno che-crede in lui non si perda
ma abbia una vita eterna,
Gv 3,16-21 25
3,22 Dopo queste-cose, venne, Gesù e i suoi discepoli, nella terra di-Giudea, e là si
tratteneva con loro e battezzava.
23 Ora c'era anche Giovanni che-battezzava, ad Ainòn, vicino a Salìm, perché
c’erano là molte acque, e si presentavano ed erano battezzati.
24 Giovanni infatti non era ancora stato gettato nella prigione.
25 Ci fu (= divenne) dunque una disputa (= ricerca) di-tra i discepoli di Gio
vanni con un giudeo, a proposito di purificazione.
26 E vennero a Giovanni e gli dissero: «Rabbi, colui che era con te al-di-là del
Giordano, a cui tu hai testimoniato, vedi: costui battezza e tutti vengono a
lui».
27 Giovanni rispose e disse: «Un uomo non può ricevere nemmeno una cosa, se-
eventualmente non gli è stata data dal cielo.
28 Voi stessi mi testimoniate che dissi /che/ io non sono il Cristo, ma che sono
stato inviato davanti a lui.
29 Colui che-ha la sposa è lo sposo. Ora l’amic o dello sposo, che-sta (= è-stato)
(là) e che si mette-a-udirlo, gioisce di gioia a causa della voce dello sposo.
Questa gioia dunque, la mia, si-trova-compiuta.
31 Colui che-viene dall’alto, è al-di-sopra di tutti. Colui che-è dalla terra, è dalla
terra, e dalla terra parla. Colui che-viene dal cielo, è al-di-sopra di tutti.
32 Ciò che ha visto e udito, questo testimonia, e nessuno riceve la sua testimo
nianza.
33 Colui che-ricevette la sua testimonianza certificò (= suggellò) che Dio è vero.
34 Colui che Dio inviò, infatti, pronuncia (= parla) le parole* di Dio, infatti non
con misura dà lo Spirito.
35 Il Padre ama il Figlio e ha messo (= dato) tutte-le-cose nella sua mano.
36 Colui che-crede nel Figlio ha una vita eterna.
Ora colui che-diffida del Figlio, non vedrà una vita, ma la collera di Dio ri
mane su di lui».
4,1 Come dunque Gesù seppe (= conobbe) che i farisei avevano udito che Gesù
/il Signore/ fa e battezza più discepoli che Giovanni
2 - tuttavia lui, Gesù, non battezzava, ma i suoi discepoli -,
3a lasciò la Giudea;
26 Gv 3,22-4,3a
4,3b e si allontanò di nuovo verso la Galilea.
4 Ora bisognava che attraversi6 [attraverso] la Samaria.
5 Viene dunque a una città della Samaria, detta Sicàr, vicina alla regione che
Giacobbe diede7 a Giuseppe, suo figlio.
6 Ora c’era là una sorgente8 di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato dal viaggio,
stava-seduto [così] sulla sorgente: (F) ora era circa (la) sesta.
ria.
Gv 4,3b-15 27
4,16 Le dice: «Mettiti-ad-andartene, chiama* il tuo uomo* e vieni qui».
17 La donna rispose e disse: «Non ho uomo*». Gesù le dice: «Dici bene: Non ho
uomo*,
18 perché hai avuto cinque uomini*, e quello che hai adesso non c il tuo uomo*;
(in) questo hai detto (il) vero!».
19 La donna gli dice: «Signore, vedo (= contemplo) che tu sei profeta!
20 I nostri padri su (= in) questa montagna adorarono,9
ma voi dite che
in Gerusalemme è il luogo dove bisogna ado
rare».
21 Gesù le dice: «Credimi, donna, che viene un’ora
in cui (= quando) né su (= in) questa montagna
né in Gerusalemme
adorerete il Padre;
22 voi adorate ciò che non sapete;
noi10 adoriamo ciò che sappiamo,
perché la salvezza viene (= è) dai giudei;
23 ma viene un’ora
e adesso è (qui),
in cui (= quando) i veri* adoratori adoreranno il Padre
in Spirito
e verità;
anche il Padre, infatti, cerca tali (adoratori)
che-l’adorino.
24 Dio (è) Spirito,
e coloro che-l’adorano,
in Spirito
e verità bisogna che adorino».
25 La donna gli dice: «So che viene un Messia,
quello che-è-detto Cristo; quando-eventualmente verrà,
egli* ci comunicherà tutte-le-cose».
26 Gesù le dice: «Io (lo) sono, colui che-(ti)-parla».
tro letterario - e teologico - di Gv 4,3b-45 e, attraverso questa unità, di tutto l’insieme Gv 1,19-6,71.
10 «Noi», un termine diverso dalla formula «Io sono», che dunque compare pe r la prima volta al
v. 26.
28 Gv 4,16-26
4,27 E in quel (momento) (=su ciò) vennero i suoi discepoli, e si stupivano perché
parlava con una donna; nessuno tuttavia disse: «Che-cosa cerchi?», o: «Per
ché parli con lei?».
28 La donna lasciò dunque la sua giara e si allontanò verso la città e dice agli uo
mini:
29 «Suvvia! Vedete un uomo che mi disse tuttc-le-cose che avevo fatto; non è
forse costui il Cristo?».
30 Uscirono11 dalla città e venivano a lui.
39 Molti dei samaritani di quella città credettero in lui a causa della parola della
donna che-testimoniava:
«Mi disse tutte-le-cose che avevo fatto».
40 Come dunque vennero a lui i samaritani, gli chiesero di rimanere presso di
loro, e rimase là due giorni.
41 E molti di più credettero a causa della sua parola.
42 E alla donna dicevano: «Non più a causa della tua parola** noi crediamo, poi
ché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che costui è veramente il Salvatore
del mondo».
43 Ora, dopo i due giorni, uscì di là (dirigendosi) verso la Galilea,
44 perché egli-stesso, Gesù, testimoniò che un profeta non ha onore nella pro
pria patria.
45 Quando dunque venne in Galilea, i galilei lo ricevettero, avendo visto tutte-
le-cose che aveva fatto in Gerusalemme, durante la (= nella) festa, perché
anch’essi vennero alla festa.
11 II verbo «uscire» assum e per la prima volta una funzione strutturante (vv. 30 e 43).
12 «Cibo-mangiare» parallelo a «bere-acqua» in 4,3b-15.
Gv 4,27-45 29
4,46 Venne dunque ancora una volta ( = di-nuovo) alla Cana della Galilea, dove
aveva trasformato (= fatto) l’acqua (in) vino. E c’era un certo ufficiale-regio
il cui figlio era ammalato (= si indeboliva) in Cafàrnào.
47 Costui, avendo udito che Gesù era giunto dalla Giudea nella Galilea, si allon
tanò (per rivolgersi) a lui e chiedeva che discendesse13 e guarisse suo figlio,
perché era sul punto di morire.
48 Gesù dunque disse a lui: «Se-eventualmente non vedete segni e prodigi, sicu
ramente non crederete?».14
50 Gesù gli disse: «Mettiti-a-andare, tuo figli o vive». L’uomo credette alla parola
che Gesù gli aveva detto, e andava.
51 Ora, mentre egli già discendeva, i servi gli vennero-incontro, dicendogli che
suo figlio vive.
52 Si informò dunque da loro dell’ora in cui era stato meglio. Dissero dunque:
«Ieri, all’ora settima, la febbre lo lasciò».
53 II padre dunque (ri)conobbe che (era) /in/ quell’ora in cui Gesù gli aveva
detto: «Tuo figlio vive», e credette, lui e l’intera sua casa*.
54 /Ora/ ancora una volta (= di nuovo),15 (come) secondo segno, Gesù fece que
sto, essendo venuto dalla Giudea nella Galilea.
30 Gv 4,46-54
5,1 Dopo queste-cose, c’era una festa dei giudei, e Gesù salì a Gerusalemme.16
2 Ora c’è in Gerusalemme, presso la Probatica, una piscina, quella che in
ebraico ha-nome Bethesda, che-ha cinque portici.
3 In essi giaceva una moltitudine dei malati (= di coloro che-si-indebolivano),
ciechi, zoppi, paralitici [che-attendevano il movimento dell’acqua,
4 perché un angelo del Signore, in (qualche) momento, discendeva nella piscina
e turbava l’acqua; il primo dunque, che-discendeva-dentro dopo l’agitazione
(= turbamento) dell’acqua diveniva sano, da qualunque malattia fosse af
fetto],
5 Ora c’era là un-certo uomo, che si trovava (=che-aveva) (da) trentotto anni
nella sua malattia (= debolezza).
6 Gesù, avendo visto costui giacere, e avendo saputo (= conosciuto) che lo è
(= ha) già (da) molto tempo, gli dice: «Ti metti-a-voler divenire sano?».
7 II malato (= colui che-si-indcboliva) gli rispose: «Signore, non ho (nessun)
uomo che (= affinché), quando-eventualmente l’acqua è-turbata, mi getti
nella piscina; ora nel (tempo) in cui io vengo, un altro discende prima di me!».
8 Gesù gli dice: «Mettiti-a-rialzarti, porta-via il tuo lettuccio e mettiti-a-cammi-
nare!».
9a E subito l’uomo divenne sano, e portò-via il suo lettuccio, e camminava.
14 Dopo queste-cose, Gesù lo trova nel tempio e gli disse: «Vedi: sei divenuto
sano; non peccare più affinché non ti avvenga (= divenga) qualcosa di peg
gio!».
15 L’uomo si allontanò e comunicò ai giudei che è Gesù che l’aveva guarito (=
fatto sano).
16 E, a causa di questo, i giudei perseguitavano Gesù perché faceva queste-cose
di sabato.
17 Ora Gesù rispose loro: «Il Padre mio fino al-presente opera, e anch’io
opero».
18 A causa di questo, dunque, i giudei (ancor) più cercavano di ucciderlo perché
non solo violava (= scioglieva) il sabato, ma diceva anche Dio suo (= pro
prio) Padre, facendo se-stesso uguale a Dio.17
16 Come in 2,1-12 e in 2,13-25, anche qui si succedono due episodi emblematici dell’attività di
Gv 5,1-18 31
5,19 Gesù dunque rispose e diceva loro: «Amen, amen, vi dico: il Figlio non può
fare nulla da se-stesso se-eventualmente non guarda il Padre che-fa qualcosa,
perché (le cose) che egli* eventualment e-fa, queste-cose anche il Figlio simil
mente (le) fa, a
20 perché il Padre vuol-bene al Figlio e gli mostra tutte-le-cose che (egli-stesso)
fa, e gli mostrerà opere più-grandi di queste, affinché voi vi stupiate; b
21 perché, come il Padre rialza i morti e (li) vivifica, così anche il Figlio vivifica
quelli-che vuole;
22 il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato tutto il giudizio al Figlio,
23 affinché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre; colui che non onora il
Figlio, non onora il Padre che-lo-mandò. c
24 Amen, amen, vi dico che colui che-ode la mia parola e crede a colui che mi
mandò, ha una vita eterna, e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte
alla vita. d
25 Amen, amen, vi dico che viene un’ora, ed è adesso, quando i morti udranno la
voce del Figlio di Dio e coloro che-avranno-udito vivranno. d’
26 Come infa tti il Padre ha una vita i n se-stcsso, così ha dato anche al Figlio di
avere una vita in se-stesso,
27 e gli ha dato potere di fare un giudizio perché è Figlio d’uomo. e5
28 Non stupitevi di questo, perché viene un’ora nella quale tutti coloro (che
sono) nei sepolcri udranno la sua voce e andranno-fuori:
29 coloro che-avranno- fatto le cose-buone, verso una risurrezione di vita; coloro
che-avranno-eseguito le cose-vergognose, verso una risurrezione di giudizio.
b’
30 Io non posso fare nulla da me-stesso; come odo, giudico, e il giudizio, il mio, è
giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che-mi-
mandò.18 a’
32 Gv 5,19-30
5,31 Se-eventualmente io testimonio a proposito di me-stesso,
la mia testimonianza non è vera;
32 (un) altro è colui che-testimonia a proposito di me,
e so che è vera la testimonianza
che (egli) testimonia a proposito di me;
33 voi avete inviato (messaggeri) a Giovanni,
ed egli ha reso testimonianza (= testimoniato) alla verità.
34 Ora io non ricevo la testimonianza da un uomo,
ma dico queste-cosc
affinché voi siate salvati.
35 Egli* era la lampada, quella che-è-accesa e che-risplende; ora voi voleste ral
legrarvi per un’ora nella sua luce.
36 Ora io ho la testimonianza più grande di quella (= che) di Giovanni,
perché le opere che mi ha dato il Padre
affinché le porti-a-compimento,
le opere stesse che faccio, testimoniano a proposito di m e che i l Padre mi ha
inviato.
37 E colui che-mi-mandò, (il) Padre, egli* ha testimoniato a proposito di me;
(voi) né avete mai udito la sua voce,
né avete visto il suo aspetto,
38 e non avete la sua parola che-rimane in voi,
perché colui che egli inviò, (proprio) a lui*,
voi non credete.
39 (Voi) scrutate le Scritture perché voi siete-dell’opinione di avere in esse una
vita eterna, ed esse sono quelle che-testimoniano a proposito di me,
40 ma (voi) non volete venire a me affinché abbiate una vita.
41 Non ricevo gloria dagli uomini,
42 ma vi ho conosciuti,
che non avete in voi-stessi l’amore di Dio.
7 Gli rispose Filippo: «Pani per (= di) duecento denari non bastano per loro,
affinché ciascuno riceva un poco».
8 Gli dice uno dei suoi discepoli, Andrea, il fratello di Simon Pietro:
9 «C’è qui un ragazzino che ha cinque pani d’orzo e due pesciolini, ma che cosa
sono queste-cose per tante (persone)?».
10 Gesù disse: «Fate adagiare gli uomini». Ora c’era molta erba nel luogo; si
adagiarono dunque gli uomini*, in numero di circa cinquemila.
11 Gesù prese dunque i pani e, avendo reso-grazie, (li) distribuì a coloro che-
erano-sdraiati, e similmente (fece) dei pesciolini, quanti (ne) volevano.
12 Ora come furono saziati, dice ai suoi discepoli: «Radunate i pezzi sovrabbon
danti affinché nemmeno qualcosa si perda».
13 Radunarono dunque, e riempirono dodici ceste di pezzi dei cinque pani
d’orzo che sovrabbondarono a coloro che-si-erano-nutriti.
14 Gli uomini dunque, avendo visto ciò che aveva fatto: un segno, dicevano:
«Costui è veramente il profeta, colui che-viene nel mondo!».
15 Gesù dunque, avendo conosciuto che erano-sul-punto-di venire e di
rapirlo affinché (lo) facessero re, partì di nuovo verso la montagna,
lui, solo.
16 Ora, come [dijvenne un’(ora) vespertina, i suoi discepoli discesero verso il mare,
17 ed essendo saliti-in una barca, venivano al-di-là del mare, verso Cafàrnào, e
già era scesa (= divenuta) una tenebra, e Gesù non era ancora venuto a loro.
18 E il mare, soffiando un gran vento, si sollevava.
19 Avendo dunque remato per circa venticinque o trenta stadi, contemplano
Gesù che-cammina sul mare e che-diviene vicino alla barca, ed ebbero-paura.
20 Ora dice loro: «Io sono: non mettetevi-ad-avere-paura!».
21 Volevano dunque prenderlo sulla barca e subito la barca giunse (= divenne)
alla terra verso cui se-ne-andavano.
22 L’indomani la folla, quella che era rimasta (= era-stata) al-di-là del mare,
vide (= videro) che non c’era là un’altra piccola-barca, ma ce n’era (= se
non) una-sola, e che Gesù non era venuto-con i suoi discepoli nella barca, ma
i discepoli
The Trial Version si erano allontanati (da) soli;
23 ma vennero delle barche da Tiberìade, vicino al luogo dove avevano man
giato il pane, avendo il Signore reso-grazie.
24a Quando dunque la folla vide che Gesù non era là, né i suoi discepoli, salirono-
nelle piccole-barche.
34 Gv 6,1-24a
6,24bE vennero a Cafàrnào, cercando Gesù.
25 E trovandolo al-di-là del mare, gli dissero:
«Rabbi, quando sei [divenuto qui?».
19 6,24b-34: prima sezione del discorso, a struttura concentrica . L’affermazione di Gesù a propo
sito del «credere» si colloca al centro, preceduta e seguita da affermazioni che pongono l’accento sulla
vita (w. 27.33), collegata al pane (vv. 26 [dei pani].31 [pane].32-33 [il pane].34 [questo pane]).
Gv 6,24b-34 35
6,35 Gesù disse loro: «Io sono il pane della vita; colui che-viene a me non avrà si
curamente fame e colui che-crede in me non avrà sicuramente sete, mai;
36 ma vi dico: e mi avete visto e non credete.
37 Tutto-ciò che mi dà il Padre, giungerà a me, e colui che-viene a me, sicura
mente non (lo) getterò fuori,
38 perché sono disceso dal cielo, non affinché faccia la volontà, la mia, ma la vo
lontà di colui che-mi-mandò.
39 Ora questo è la volontà di colui che-mi-mandò: che tutto-ciò che mi ha dato,
non (lo) perda da lui, ma lo risusciti nell’ultimo giorno.
40 Questo infatti è la volontà del Padre mio: che ognuno che-contempla il Figlio
e che-crede in lui, abbia una vita eterna, e che io lo risusciti nell’ultimo
giorno».
43 Gesù rispose e disse loro: «Non mormorate gli uni con gli altri.
44 Nessuno può venire a me se-eventualmente il Padre che-mi-mandò non lo at
tiri, e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
45 È scritto nei profeti: “E tutti saranno ammaestrati da Dio” (Is 54,13). Ognuno
che-udì dal Padre e imparò (= fu-discepolo) viene a me.
46 Non che qualcuno abbia visto il Padre, se non colui che-è da Dio: costui ha vi
sto il Padre.
47 Amen, amen, vi dico: colui che-crede ha una vita eterna.
48 Io sono il pane della vita.
49 I vostri padri mangiarono la manna nel deserto e morirono.
50 Questo è il pane che-discende dal cielo, affinché qualcuno ne mangi e non
muoia.
51 Io sono il pane, quello vivo, che-discese dal cielo. Se-eventualmente qualcuno
mangia di questo pane, vivrà per sempre. Ora anche il pane che io darò è la
mia carne per la vita del mondo».20
36 Gv 6,35-51
6,52 I giudei dunque litigavano gli uni con gli altri dicendo:
«Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
dre e sulla loro vita, il che costituisce in definitiva il fondamento del «credere» di cui si parla in 6,l-24a.
Questo centro è simmetricamente inquadrato da affermazioni che mettono l’accento sul «mangiare
(bere)» e sul «vivere (vita)»: cf. vv. 24b-34.
Gv 6,52-59 37
6,60 Molti dunque dei suoi discepoli, avendo udito, dissero: «Questa parola è
dura! Chi può udirla?».
71 Ora parlava di (= diceva del) Giuda di Simone Iscariota, perché costui era-
sul-punto-di mettersi-a-consegnarlo, essendo uno dei Dodici.22
(Mt 16,13-20 e parr.). Il titolo «figlio di Giuseppe», che occupa una posizione centrale nel discorso (v.
42), ricorre un’altra volta soltanto, nel cuore della prima grande unità letteraria del racconto: «il prologo
narrativo» (1,51).
38 Gv 6,60-71
7,1 E dopo queste-cose, Gesù camminava nella Galilea,
perché non voleva camminare nella Giudea, a
poiché i giudei cercavano di ucciderlo.
&
ora il momento, il vostro, è pronto in-ogni-tempo.
7 Il mondo non può odiare voi: c
ora odia me,
perché io testimonio a proposito di esso dB
che le sue opere sono malvage.
8 Salite voi alla festa; c’
io non salgo a questa festa,
perché il mio momento non è ancora stato compiuto». b’
9 Ora, avendo detto queste-cose, a’
egli rimase nella Galilea.
Gv 7,1-13 39
7,14 Ora essendo già nel-mezzo la festa,
Gesù salì al tempio e insegnava.
15 I giudei dunque si stupivano dicendo: a
«Come costui sa le lettere senza aver studiato?».
16 Gesù dunque rispose loro e disse:
«Il mio insegnamento non è mio,
ma di colui che-mi-mandò.
17 Se-eventualmente qualcuno vuole fare la sua volontà, b
conoscerà, a proposito dell’insegnamento,
se è da Dio,
o se io parlo da me-stesso.
18 Colui che parla da se-stesso,
cerca la gloria, la sua (= propria);
ora colui che-cerca la gloria c A
di colui che-l’ha-mandato,
costui è vero
e in lui non c’è ingiustizia.
19 Mosè non vi diede la Legge? b’
E nessuno di voi osserva (= fa) la Legge.
Perché cercate di uccidermi?». a’
40 Gv 7,14-24
7,25 Alcuni dei gerosolimitani dicevano dunque:
«Costui non è colui che cercano di uccidere? a’
26 E vedi: parla pubblicamente,
e non gli dicono nulla.
Conobbero forse veramente, i capi,
che costui è il Cristo?
27 Ma lui, sappiamo da-dove è;
ora il Cristo, quando-eventualmente verrà, (b’)
nessuno conosce da-dove è».
28 Gesù gridò dunque nel tempio,
insegnando e dicendo: (c) A’
(Voi) [anche]-mi conoscete (= sapete) e sapete da-dove sono:
e da me-stesso non sono venuto,
ma è vero* colui che-mi-mandò, b
che voi non conoscete (= sapete);
29 io lo conosco (= so) perché da lui sono,
ed egli* mi inviò».
30 Cercavano dunque di arrestarlo,
e nessuno mise la mano su di lui, a
perché non era ancora venuta la sua ora.
Gv 7,25-30 41
7,31 Ora molti della folla credettero in lui
e dicevano:
«Il Cristo, quando-eventualmente verrà,
farà forse più segni di quelli che fece costui?». a
32 I farisei udirono la folla che-mormorava queste-cose a proposito di lui, e i
sommi sacerdoti e i farisei inviarono delle guardie affinché lo arrestassero.
33 Gesù disse dunque:
«Ancora per un piccolo tempo sono con voi
e me-ne-vado a colui che-mi-mandò.
34 Mi cercherete e non /mi/ troverete; bA
c dove io sono,
voi non potete venire».
35 Dissero dunque fra loro (= a se-stessi) i giudei:
«Dove c-sul-punto-di andare costui,
che noi non lo troveremo?
È forse sul-punto-di andare verso
la diaspora dei greci e di insegnare ai greci? b’
36 Che-cosa è questa parola che disse:
“Mi cercherete e non /mi/ troverete,
e dove io sono, voi non potete venire”?».
42 Gv 7,31-43
7,44 Ora alcuni di loro volevano arrestarlo,
ma nessuno mise le mani su di lui.
45 Le guardie vennero dunque dai sommi sacerdoti
e dai farisei, a
e quelli dissero loro:
«A causa di che-cosa non lo conduceste?». b a
46 Le guardie risposero: a’
«Mai parlò così un uomo».
The Trial24Version
I vv. 31-52 costituiscono la terza e ultima unità letteraria di Gv 7, dando luogo al seguente
schema:
I. LA FESTA DEI GIUDEI E LA FESTA DI GESÙ (1-13)
IL NEL MEZZO DELLA FESTA NEL TEMPIO: LEGITTIMAZIONE DELL’OPERA IN
CLIMA DI ARRESTO (14-30)
III. VERSO L’ULTIMO GIORNO DELLA FESTA. REAZIONI (31-53).
Gv 7,44-53 43
8,1 Ora Gesù andò al monte degli Ulivi.
2 Ora all’aurora si presentò di nuovo al tempio
e tutto il popolo veniva a lui A
e, insediatosi, insegnava loro.
44 Gv 8,1-9
8,10 Ora Gesù, risollevatosi, le disse:
Neanch’io ti condanno.
Mettiti-ad-andare,
Gv 8,10-12 45
8,13 Gli dissero dunque i farisei:
«Tu testimoni a proposito di te-stesso. B’
La tua testimonianza non è vera».
19b Gesù rispose: «(Voi) non conoscete (= sapete) né me, né il Padre mio.
Se conosceste (= sapeste) me, E’
conoscereste (= sapreste) anche il Padre mio».
46 Gv 8,13-20
8,21 Disse loro dunque di nuovo:
«Io me-ne-vado e mi cercherete, a
e morirete nel vostro peccato;
dove io me-ne-vado,
voi non potete venire». ba
22 Dicevano dunque i giudei:
«Forse si ucciderà,
poiché dice:
“Dove io me-ne-vado.
voi non potete venire”?». a’
23 E diceva loro:
«Voi siete dalle cose-del-basso; a
io sono dalle cose-dell’alto; bbA
Voi siete da questo mondo; a’
io non sono da questo mondo; b’
Gv 8,21-30 47
8,31 Diceva dunque Gesù
ai giudei che-si-trovavano-a-credere a lui: a
32 e conoscerete la verità,
c
e la verità vi libererà».
48 Gv 8,31-33
8,34 Gesù rispose loro:
«Amen, amen, vi dico che ognuno che-fa il peccato a
è servo del peccato;
35 ora il servo non rimane b a
nella casa* per sempre;
il figlio rimane per sempre; c
36 se-eventualmente dunque il figlio vi libera, bA
così sarete liberi.
37 So che siete discendenza di Abramo, b’
ma cercate di uccidermi,
perché la parola, la mia, non penetra in voi.
38 Ciò che io ho visto dal Padre, c’ a’
(lo) dico (= parlo);
e voi dunque, ciò che udiste dal Padre, a'
mettetevi-a-farlo».
Gv 8,34-41 a 49
8,41b Gli dissero:
«Noi non fummo generati da prostituzione;
abbiamo un-solo padre: Dio». a
42 Gesù disse loro:
«Se Dio fosse vostro padre, b
mi amereste;
perché io da Dio uscii e sono giunto,
perché non sono venuto da me-stesso, a’
ma egli* mi inviò;
43 a causa di ciò, la parola**, la mia,
(voi) non conoscete; b A’
perché non potete udire
la parola, la mia.
44 Voi siete dal padre, il diavolo, a
e volete compiere (= fare) i desideri del padre vostro;
egli* era omicida dal (= da un)
principio, e nella verità
non è-stato, b
perché non c’è verità in lui;
ogni volta che dice (= parla) la menzogna, a’
parla dalle proprie-cose,
perché è menzognero e il padre della menzogna (= suo).
45 Ora io, poiché dico la verità,
non mi credete:
46 chi di voi mi convince a proposito di peccato?
Se dico la verità, a causa di che-cosa a
voi non mi credete?
47 Colui che-è da Dio, ode le parole* di Dio; b
a causa di ciò voi non udite, a"
perché non siete da Dio».
50 Gv 8,41 b-47
8,48 I giudei risposero e gli dissero:
«Non diciamo bene noi, A
che sei un samaritano
e hai un demonio?».
49 Gesù rispose:
«Io non ho un demonio,
ma onoro il Padre mio e voi mi disonorate.
50 Ora io non cerco la mia gloria:
(c’)è colui che-(la)-cerca e che-(mi)-giudica. B
51 Amen, amen, vi dico:
se-eventualmente qualcuno custodisce la mia parola,
sicuramente non contemplerà la morte per sempre».
54 Gesù rispose:
«Se-eventualmente io glorifico me-stesso,
la mia gloria non è nulla:
è il Padre mio colui che-mi-glorifica,
del (= il) quale voi dite: “È nostro Dio”.
55 E voi non l’avete conosciuto;
ora io lo conosco (= so),
e se-eventualmente dico
che non lo conosco (= so), D
sarei simile a voi, un menzognero;
ma io lo conosco (= so),
e custodisco la sua parola.
56 Abramo, vostro padre, si rallegrò di vedere (= affinché vedesse)
il giorno, il mio: e lo vide e gioì!».
Gv 8,48-59 51
9,1 E passando* vide un uomo cieco dalla (= di) nascita (= generazione)
3 Gesù rispose:
«Né costui peccò, né i suoi genitori, ma (è così)
affinché siano manifestate le opere di Dio in lui.
52 Gv 9,1-7
9,8 I vicini dunque e coloro che-lo-vedevano (= contemplavano) in-precedenza,
poiché era mendicante, dicevano: «Costui non è colui che-era-seduto e che-
mendicava?».
11 Egli* rispose: «L’uomo che-è-dett o Gesù fece del fango e unse i miei
occhi e mi disse: “Vattene alla Sìloe e fatti-il-bagno”. Essendomi
dunque allontanato ed essendomi fatto-il-bagno, vidi (= guardai)».
14 Ora era sabato il (= nel) giorno (in cui) Gesù aveva fatto del fango, e aveva
aperto i suoi occhi.
Gv 9,8-17 53
9,18 Non credettero dunque i giudei a proposito di lui che era cieco e aveva visto
(= guardato), finché (non) chiamarono* i genitori di colui che aveva visto ( =
guardato),
19 e li interrogarono dicendo: «Costui è vostro figlio, che voi dite che fu gene
rato cieco: come dunque adesso vede (= guarda)?».
21 Ora, come adesso veda (= guardi), non (lo) sappiamo, o chi aprì i
suoi occhi, non (lo) sappiamo.
54 Gv 9,18-23
9,24 Chiamarono* dunque una seconda (volta) l’uomo
che era cieco, e gli dissero:
«Da’ gloria a Dio; noi sappiamo
che quest’uomo è peccatore».
25 Egli* dunque rispose: A
«Se è peccatore, non so;
una-sola-cosa so: che essendo cieco,
adesso vedo (= guardo)».
Gv 9,24-34 55
9,35 Gesù udì che l’avevano gettato fuori,
e avendolo trovato (gli) disse: A
«Tu credi nel Figlio dell’uomo?».
39 E Gesù disse: C’
«Io venni in questo mondo per un discernimento,
affinché coloro che non vedono (= guardano)
vedano (=guardino),
e coloro che vedono (= guardano) diventino ciechi».
40 Udirono queste-cose
(alcuni) tra i farisei che-erano con lui, B’
e gli dissero:
«Siamo forse ciechi anche noi?».
56 Gv 9,35-41
10,1 Amen, amen, vi dico:
colui che-non-entra attraverso la porta nel cortile delle pecore, A
ma sale da-un’altra-parte,
quello è un ladro e un brigante.
Gv 10,1-6 57
10,7 Disse dunque di nuovo Gesù:
«Amen, amen, vi dico che
io sono la porta delle pecore;
8 Tutti quanti vennero /prima di me/ sono ladri e briganti,
ma le pecore non li ascoltarono (= udirono).
9 10 sono la porta:
se-eventualmente qualcuno entra attraverso me,
sarà salvato ed entrerà e uscirà
e troverà pascolo.
10 11ladro non viene, se non affinché rubi
e sacrifichi e perda.
Io venni affinché abbiano vita,
e (l’)abbiano abbondante.
16 E ho altre pecore
che non sono di questo cortile;
anche quelle bisogna che io conduca,
e ascolteranno (= udranno) la mia voce,
e diverranno un-solo gregge,
un-solo pastore.
58 Gv 10,7-18
10,19 Di nuovo ci fu (= divenne) uno scisma fra i giudei
a causa di queste parole.
21 Altri dicevano:
«Queste parole* non sono di un indemoniato:
un demonio può forse aprire occhi di ciechi?».
e gli dicevano:
«Fino a quando porti-via la nostra anima?
Se tu sei il Cristo,
dicce(lo) pubblicamente!».
Gv 10,19-24 59
10,25 Gesù rispose loro:
«Ve (lo) dissi e non credete.
Le opere che io faccio nel nome del Padre mio,
queste testimoniano a proposito di me;
26 ma voi non credete,
perché non siete fra le pecore, le mie;
27 le pecore, le mie,
odono la mia voce,
e io le conosco, e mi seguono;
28 e io do loro (la) vita eterna
ed (esse) sicuramente non si pe rderanno
per sempre
e qualcuno non le rapirà dalla mia mano;
29 il Padre mio, ciò che mi ha dato, è più grande di
tutte-le-cose,
e nessuno può rapire dalla mano del Padre:
30 io e il Padre, una-cosa siamo».
31 I giudei presero (= caricarono-su-di-sé) di nuovo delle pietre
affinché lo lapidassero.
60 Gv 10,25-33
1034 Gesù rispose loro:
«Non è scritto nella vostra Legge:
“Io dissi, siete dèi!” (Sai 82,6)?
35 Se disse dèi
coloro ai quali [divenne la Parola di Dio
- e la Scrittura non può essere annullata (= sciolta) -,
36 (a) colui che il Padre santificò e inviò al mondo
voi dite: “(Tu) bestemmi”,
perché dissi: “Sono Figlio di Dio”!
Gv 10,34-39 61
10,40 E si allontanò di nuovo al-di-là del Giordano, verso il luogo dove Giovanni
era in-precedenza a battezzare (= battezzando), e rimase là.
41 E molti vennero a lui e dicevano che Giovanni, da-un-lato,
non aveva fatto nessun segno, (e) dall’altro (che) a
tutto ciò che Giovanni disse a proposito di costui era vero.
42 E molti, là, credettero in lui.
62 Gv 10,40-11,16
11,17 Gesù dunque, essendo venuto, lo trovò
che era (= che-aveva) già (da) quattro giorni nel sepolcro.
19 Ora molti dei giudei erano venuti presso Marta e Maria, affinché le confortas
sero a proposito del fratello.
23 Gesù le dice:
«Risusciterà, tuo fratello!».
25 Gesù le disse:
«Io sono la risurrezione e la vita;
colui che-crede in me,
anche se-eventualmentc muore, vivrà,
26 c ognuno che-vive e che-crede in me,
sicuramente non morirà per sempre;
credi questo?».
27 Gli dice:
«Sì, Signore, io mi-trovo-a-credere
che tu sei il Cristo,
il Figlio di Dio,
colui che-viene nel mondo».
28a E avendo detto queste-cose, si allontanò.
The Trial Version
Gv 11,17-28a 63
ll,28bE chiamò* Maria, sua sorella, di-nascosto,
avendo detto:
fu rialzata in-fretta
e veniva a lui.
31a I giudei dunque, quelli che-erano con lei nella casa*, e che-la-confortavano,
avendo visto Maria che
e uscì,
31b la seguirono,
essendo stati-dell’opinione
64 Gv 11,28b-31b
1132a Maria dunque, come venne dove era Gesù, avendolo visto,
cadde ai suoi piedi dicendogli:
35 Gesù verso-lacrime.
Gv 11,32a-41a 65
ll,41bOra Gesù rivolse (= portò-via) gli occhi in alto e disse:
«Padre, ti rendo-grazie
42 Ora io sapevo a
trovandosi-avvolto
i piedi e le mani con bende, A
e il suo volto, con un sudario
«Scioglietelo
e lasciatelo andarsene». a’
66 Gv 11,41b-46
11.47 I sommi sacerdoti e i farisei radunarono dunque un sinedrio e dicevano:
«Che-cosa facciamo,
e verranno i romani,
Gv 11,47-52 67
11,53 Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo (= che lo uccidano).
54 Gesù dunque non camminava più pubblicamente fra i giudei, ma si allontanò
di là verso la regione vicino al deserto, verso una città detta Efraim, e là si
trattenne con i discepoli.
55 Era vicina la Pasqua dei giudei, e salirono
(in) molti a Gerusalemme dalla regione, prima della Pasqua,
affinché si purifichino.
56 Cercavano dunque Gesù e dicevano gli uni
agli altri, stando (= essendo-stati)
nel tempio: a
«Di che opinione-siete, che non verrà
sicuramente alla festa?».
57 Ora i sommi sacerdoti e i farisei avevano dato un comandamento, che se-
eventualmente qualcuno sapesse (= conoscesse) dov e, lo denunci, in-modo-
che lo arrestino.
12,1 Gesù dunque, sei giorni prima della Pasqua, venne a Betania
dove c’era Lazzaro, che Gesù aveva rialzato dai morti.
2 Là fecero dunque una cena per lui, e Marta serviva.
Ora Lazzaro era uno di coloro che-erano-sdraiati con lui. A’
3 Maria dunque, avendo preso una libbra di mirra di un nardo affidabile, di-
molto-onore,
fece-un'unzionc-sui piedi di Gesù e asciugò i suoi piedi con i suoi capelli.
9 La molta folla dei giudei conobbe dunque che è là, e vennero, non soltanto a
causa di Gesù, ma anche affinché vedano Lazzaro, che (egli) aveva rialzato
dai morti.
68 Gv 11,53-12,11
12.12 L’indomani la molta folla, quella che-era-venuta alla festa, avendo udito che
Gesù viene a Gerusalemme,
13 presero i rami delle palme, a
Gv 12,12-22 69
12,23 Ora Gesù risponde loro, dicendo:
«È venuta l’ora che sia glorificato a
il Figlio dell’uomo;
24 Amen, amen, vi dico:
se-eventualmente il chicco di grano caduto nella terra
non muore, esso rimane solo;
ora se-eventualmente muore,
porta molto frutto;
25 colui che-vuol-bene alla sua anima,
la perde; A
e colui che-odia la sua anima in questo mondo,
per una vita eterna la conserverà;
26 se-eventualmente qualcuno mi serve,
mi segua,
e dove sono io,
là sarà anche il mio servo*;
se-eventualmente qualcuno mi serve,
il Padre lo onorerà.
27 Adesso la mia anima è-stata-turbata, e che dire?
“Padre, salvami da quest’ora?”. a’
Ma a causa di questo venni a quest’ora:
28a Padre, glorifica il tuo nome!».
70 Gv 12,23-29
1230 Gesù rispose e disse:
«Questa voce non è [divenuta a causa di me, a
ma a causa di voi!
31 Adesso c’è un giudizio di questo mondo: b
adesso il capo di questo mondo sarà gettato fuori.
32 E-io, se-eventualmente sono innalzato
dalla terra, attirerò tutti a me». c
33 Ora diceva questo
significando di quale morte d A’
era-sul-punto-di morire.
34 Gli rispose dunque la folla:
«Noi udimmo dalla Legge
che il Cristo rimane per sempre;
e come tu dici che bisogna c’
che sia innalzato il Figlio dell’uomo?
Chi è questo Figlio dell’uomo?».
35 Gesù dunque disse loro:
«Ancora (per) un piccolo tempo la luce è fra voi;
camminate, mentre (= come) avete la luce,
affinché una tenebra non vi afferri; b’
e colui che-cammina nella tenebra
non sa dove se-ne-va.
36 Mentre (= come) avete la luce, mcttctevi-a-crcderc nella luce
affinché diveniate figli della (= di) luce». a
Gesù disse (= parlò) queste-cose, ed essendosi allontanato,
fu nascosto a loro.
Gv 12,30-36 71
12,37 Ora, avendo egli fatto tanti segni davanti a loro,
non credevano in lui, a
38 affinché fosse compiuta la parola che disse Isaia il profeta:
«Signore, chi credette all’udire noi? b
E il braccio del Signore, a chi fu rivelato?» (Is 53,1). A
39 A causa di ciò non potevano credere. c
Perché di nuovo Isaia disse:
40 «Ha accecato i loro occhi e indurito il loro cuore,
affinché non vedano con i loro occhi ò’
e non comprendano con il loro cuore
e non siano convertiti,
e li guarirò» (Is 6,9-10).
41 Isaia disse queste-cose perché aveva visto la sua gloria
e aveva parlato di lui. (a’)
72 Gv 12,37-43
12,44 Ora Gesù gridò e disse:
«Colui che-crede in me, non crede in me,
ma in colui che-mi-mandò, a
45 e colui che-mi-contempla,
contempla colui che-mi-mandò. b
46 Io, luce, sono venuto nel mondo
affinché ognuno che-crede in me c
non rimanga nella tenebra.
47 E se-eventualmente qualcuno
ode le mie parole* e non le conserva. d
io non lo giudicherò, e
perché non venni A’
affinché giudichi il mondo f
ma affinché salvi il mondo.
48 Colui che-mi-respinge
e che-non-riceve le mie parole*, d’
ha colui che-lo-giudica:
la parola che dissi (= parlai), e’
quella lo giudicherà nell’ultimo giorno,
49 perché io non parlai da me-stesso, c’
ma colui che-mi-mandò, il Padre, costui mi ha
dato un comandamento: b’
che-cosa dire e che-cosa parlare.
50 e so che il suo comandamento
è vita eterna. a’
Ciò che dunque io dico (= parlo),
come me (l’)ha detto il Padre, così (lo) dico (= parlo)». a”
Gv 12,44-50 73
13,1 Ora, prima della festa della Pasqua,
Gesù, sapendo che venne la sua ora
affinché passi
da questo mondo al Padre,
avendo amato i suoi propri,
quelli (che sono) nel mondo,
per un adempimento li amò.
2 Ed essendoci (= divenendo) una cena, avendo il diavolo già gettato nel cuore
che Giuda di Simone Iscariota lo consegnasse,
3 sapendo che il Padre gli diede tutte-le-cose nelle mani, e che da Dio uscì, e a
Dio se-ne-va,
4 si rialza dalla cena e (de)pone le vesti, e avendo preso un asciugamano, si
cinse,
5 poi getta acqua nel catino e cominciò a fare-il-bagno ai piedi dei discepoli e
ad asciugar(li) con l’asciugamano di cui si-trovava-cinto.
12 Quando dunque ebbe fatto-il-bagno ai loro piedi /ed/ ebbe preso le sue vesti e
si fu adagiato di nuovo, disse loro: «Comprendete (= conoscete) ciò che vi ho
fatto?
13 Voi mi chiamate* il Maestro e il Signore, e dite bene, perché (lo) sono.
14 Se dunque io feci-il-bagno ai vostri piedi, il Signore e il Maestro, anche voi
dovete mettervi-a-farvi-il-bagno ai piedi gli uni degli altri.
15 Vi diedi infatti un esempio affinché, come io vi feci, anche voi facciate.
16 Amen, amen, vi dico: non c’è servo più grande del suo Signore, né inviato più
grande di colui che-lo-mandò:
17 Se sapete queste-cose, siete beati se-eventualmente le fate.
74 Gv 13,1-17
13,18 Non (lo) dico a proposito di tutti voi;
io so quali elessi,
ma (è) affinché sia compiuta la Scrittura:
“Colui che-assimila il mio pane levò su di me il suo calcagno”
(Sai 41,10).
25 Si tratta a nostro avviso dei versetti centrali di Gv 13 (considerato come unità letteraria), fra la
prima sotto-unità dominata dalla lavanda dei piedi e la terza dominata dal dono del boccone.
Avremmo dunque lo schema seguente:
Agape-Tradimento Tradimento
Sapere di Gesù Aporia dei discepoli
Lavanda dei piedi Dono del boccone
Sapere di Gesù
The Trial Version
Simone/Gesù/il traditore sugli eletti Gesù/Giuda/il traditore
il traditore
Conclusione Conclusione
«Quando dunque...» «Quando dunque...»
Dono dell’esempio Dono dell’agapé
Beatitudine Promessa e rinnegamento
Gv 13,18-20 75
13,21 Avendo detto queste-cose, Gesù fu turbato nello Spirito, e testimoniò e disse:
«Amen, amen, vi dico che uno di voi mi consegnerà».
22 I discepoli guardavano gli uni agli altri, essendo-nell’aporia a proposito di
(colui) del quale (lo) dice.
23 Nel seno di Gesù era-sdraiato uno dei suoi discepoli, (quello) che Gesù
amava.
24 Simon Pietro dunque fa-segno a costui di informarsi (su) chi fosse (colui) a
proposito del quale dice (ciò).
25 Egli* dunque, essendosi adagiato così sul petto di Gesù, gli dice: «Signore: chi
è?».
26a Risponde dunque Gesù: «È quello a cui io intingerò il boccone e gli(elo)
darò».
26b Avendo dunque intinto il boccone, /(lo) prende e/ (lo) dà a Giuda di Simone
Iscariota.
27 E dopo il boccone, allora entrò in lui* il Satana. Gli dice dunque Gesù: «Ciò
che fai, fa(llo) più-in-fretta!».
28 /Ora/ ciò, nessuno di coloro-che-erano-sdraiati (a tavola) capì (= conobbe) in
vista di che cosa gli(elo) aveva detto.
29 Alcuni infatti erano-dell’opinione. poiché Giuda aveva la borsa, che G esù gl i
dice: «Compra le-cose-di-cui a bbiamo bisogno per la festa», o che desse qual
cosa ai poveri.
30 Avendo dunque preso il boccone, egli* uscì subito: ora era notte.
76 Gv 13,21-38
14,1 «Non sia turbato il vostro cuore: credete in Dio e credete in me;26
2 nella casa* del Padre mio ci sono molte dimore; ora, se no, vi avrei detto che
vado a prepararvi un luogo?
3 E se-eventualmcnte vado e vi preparo un luogo, verrò (= vengo) di nuovo e
vi accoglierò presso di me affinché là dove io sono, siate anche voi;
4 e là dove io me-ne-vado, (voi) sapete la via».
5 Gli dice Tommaso: «Signore, non sappiamo dove te-ne-vai: come possiamo
sapere la via?».
6 Gli dice Gesù: «Io sono la via e la verità e la vita: nessuno viene al Padre se
non attraverso me.
7 Se mi aveste conosciuto, conoscereste anche il Padre mio, e a-partire dal-
presente lo conoscete e l’avete visto».
8 Gli dice Filippo: «Signore, mostraci il Padre, e ci basta».
9 Gli dice Gesù:
«(Da) un così lungo tempo sono con voi,
e non mi hai conosciuto, Filippo?
Colui che-ha-visto me, ha visto il Padre.
Come tu dici: mostraci il Padre?
10 Non credi che io (sono) nel Padre e il Padre è in me? Le parole* che io vi dico
non (le) dico (= parlo) da me-stesso: ora il Padre, che-rimane in me, fa le sue
opere.27
11 Credetemi che io (sono) nel Padre e il Padre in me: ora, se no, a causa delle
opere stesse credete.
12 Amen, amen, vi dico: colui che-crede in me, anch’egli* farà le opere che io
faccio, e (ne) farà di più grandi di queste, perché io vado al Padre.
13 E tutto-ciò che eventualmente-domanderete nel mio nome, questo (lo) farò
affinché sia glorificato il Padre nel Figlio.
14 Se-eventualmente mi domanderete qualcosa nel mio nome, io (la) farò.
w. 1-5 vertono sulla «via» e i w. 11-14 sulle «opere», insistendo maggiormente sull’oggetto formale della
fede (in virtù del quale si crede) e sui suoi frutti (in termini di «opere»).
Gv 14,1-14 77
14,15 Se-eventualmente mi amate,
custodirete i comandamenti, i miei,28
16 e io chiederò al Padre e vi darà un altro Paraclito affinché sia per sempre con
voi:
17 lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo contem
pla né lo conosce;
voi lo conoscete,
perché rimane presso di voi ed è in voi;
18 non vi lascerò orfani: vengo a voi.
riceve risposta, perché la risposta è già stata data nei w. 19-20; non si dice che cosa Giuda abbia com
preso!
78 Gv 14,15-24
14,25 Queste-cose vi ho detto (= parlato) rimanendo presso di voi;
26 ora il Paraclito, lo Spirito,30 il Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli*
vi insegnerà tutte-le-cose e vi ricorderà tutte-le-cose che io vi dissi.
27 Pace, vi lascio; pace, la mia. vi do; non come (la) dà il mondo, io ve (la) do;
non sia turbato il vostro cuore e non abbia-paura!31
30 C’è un parallelismo fra i due passi relativi allo Spirito-Paraclito (w. 16-17 e 26).
31 Un altro parallelismo con i w . 1-14 viene i nstaurato dalla ripresa della formula di incoraggia
mento nei w. 1 e 27b.
32 La dominante affettiva è messa chiaramente in luce dall’insistenza sulla «pace» (v. 27) - con
trapposta al «turbamento del cuore» e alla paura (v. 27) -, e poi sulla gioia (v. 28) che qui appare soltanto
in negativo.
33 I vv. 28-29 sintetizzano ciò che è stato detto sulla fede (w. 1-14) e sulFagupè (vv. 15-24) nelle
The Trial Version
sotto-unità precedenti.
34 I w. 30-31 e 25-27 si richiamano da un punto di vista formale e tematico:
- in virtù delle due formule con il verbo lalein nei vv. 25 e 30;
- in virtù dei due imperativi nei vv. 27 e 31;
- in virtù del rapporto: «Voi-Spirito-Padre-Gesù», in contrasto col rapporto: «Gesù-voi-capo del
mondo-Padre».
Gv 14,25-31 79
15,1 Io sono la vite, la vera* (Is 5,l-7p)
e il Padre mio è il vignaiolo (= agricoltore).
2 Ogni tralcio in me che-non-porta frutto,
lo porta-via,
e ogni (tralcio) che-porta frutto,
lo purifica,
affinché porti più frutto;
3 voi già siete puri
a causa della parola che vi ho detto (= parlato);
4 rimanete in me e io in voi;
come il tralcio non può portare frutto
da se-stesso,
se-eventualmente non rimane nella vite,
così neppure voi,
se-eventualmente non rimanete in me.
5a Io sono la vite,
voi i tralci.
80 Gv 15,1-7
15,8 In questo fu glorificato il Padre mio,
che portiate molto frutto
e diveniate miei (= per-me) discepoli;
9 come il Padre mi amò, anch’io vi amai;
rimanete nell’amore, il mio;
10 se-eventualmente custodite i miei comandamenti,
(voi) rimanete nel mio amore,
come io ho custodito i comandamenti del Padre mio
e rimango nel suo amore.
11 Queste-cose vi ho detto (= parlato) affinché35
la gioia, la mia, sia in voi,
e la vostra gioia sia compiuta.36
The Trial
35 Version
Questa formula è conclusiva in 16,33; qui dunque, e poi in 16,1 (parallelo) e in 16,4, ha la fun
zione di introdurre l’ultima parte del discorso (senza bina: 14,25; 16,6.25; nel c. 14, in 15,1-16,3 e in
16,4-33 abbiamo dunque sette occorrenze in cui la formula ha funzione strutturante).
36 Per la traduzione, la principale difficoltà deriva da un sottile gioco grammaticale sui condizio
nali e sui rispettivi tempi. Forse l’intenzione è di impedire che si pens i troppo presto che certe condizioni
poste per un determinato scopo siano soddisfatte.
Gv 15,8-11 81
15,12 Questo è il comandamento, il mio,
affinché vi amiate gli uni gli altri
come (io) vi amai;
13 nessuno ha un amore più grande di questo:
affinché uno ponga la sua anima per i suoi amici.
14 Voi siete miei amici
se-eventualmente fate ciò che io vi comando.
e vi posi
affinché ve-ne-andiate e portiate frutto
e il vostro frutto rimanga,
affinché ciò-che eventualmente-domandiate
al Padre nel mio nome, ve lo dia.
17 Queste-cose vi comando,
affinché vi amiate gli uni gli altri.37
37 S i tratta dei verset ti centrali, delimitati da una netta i nclusione, di questa s econda parte del di
scorso, e quindi dell’insieme costituito dai cc. 13-17.
Viene ripresa l’insistenza sull'agapé-custodia dei comandamenti, già centrale in Gv 14. Prolun
gando lo sviluppo sulla vite, questi versetti orientano lo sguardo in un senso evangelico verso revoca
zione delle persecuzioni.
Abbiamo dunque lo schema seguente:
AMORE RECIPROCO AMORE RECIPROCO
COMANDAMENTO COMANDAMENTO
TITOLO FUNZIONE
(causa) (finalità)
The Trial Version ELEZIONE
Al centro dello sviluppo, viene assicurato un principio di conversione grazie all’accenno all’ele
zione, che fa eco a 13,18 (l’unica altra occorrenza del verbo nei cc. 13-17) e all’elezione dello stesso
Israele (cf. Dt 7,7). Ciò che sta intorno a questo punto focale si colloca sul piano delle implicazioni e
delle verifiche di questa elezione gratuita.
82 Gv 15,12-17
15,18 Se il mondo vi odia,
sappiate (= conoscete) che prima (= primo) di voi ha odiato me.
19 Se eravate dal mondo,
il mondo vorrebbe-bene alla propria-cosa;
ora poiché non siete dal mondo
- ma io vi elessi dal mondo -
a causa di ciò il mondo vi odia.
20 Ricordatevi della parola
che io vi dissi:
“Un servo non è più grande
del suo Signore”!
Se perseguitarono me,
perseguiteranno anche voi;
se custodirono la mia parola,
custodiranno anche la vostra.
21 Ma faranno tutte queste-cose contro
di voi, a causa del mio nome,
perché non conoscono (= sanno) colui che-mi
mando.
Gv 15,18-25 83
15,26 Quando eventualmente-verrà il Paraclito
che io vi manderò dal Padre,
lo Spirito della verità, che dal Padre procede,
egli* testimonierà a proposito di me;
27 ora anche voi testimoniate,
poiché da(l) principio siete con me.
38 15,21 e 16,3 si richiamano a vicenda. Questo sviluppo è parallelo a quello della vite e del «rima
nere». I due passi non sono antitetici. Il primo evoca l'odio-persccuzi one, presentandola nel modo in cui
Gesù l’ha assunta. Denunciare il peccato rivela l’amore più grande.
84 Gv 15,26-16,3
16,4 Ma queste-cose vi ho detto (= parlato) affinché, quando-eventualmente
verrà la loro ora, ve ne ricordiate, perché io ve (lo) dissi; ora non vi dissi que
ste-cose da principio, poiché ero con voi.
5 Ora, adesso me-ne-vado a colui che-mi-mandò e nessuno di voi mi chiede:
“Dove te-ne-vai?”.
6 Ma poiché vi ho detto (= ho parlato) queste-cose, la tristezza ha colmato (=
compiuto) il vostro cuore.
7 Ma io vi dico la verità : è-conveniente per voi che io mi allontani, perché se-
eventualmente non mi allontano, sicuramente il Paraclito non verrà a voi; ora
se-eventualmente vado, lo manderò a voi,
8 ed essendo venuto, egli* convincerà il mondo a proposito di peccato e a pro
posito di giustizia e a proposito di giudizio;
9 a proposito di peccato, da un lato, perché non credono in me;
10 a proposito di giustizia, dall’altro, perché me-ne-vado al Padre e non mi con
template più;
11 a proposito di giudizio, infine, perché il capo di questo mondo si-trova-
giudicato.
17 (Si) dissero dunque, fra i suoi discepoli, gli uni agli altri: «Cos’è questo che ci
dice: un poco e non mi contemplate e di nuovo un poco e mi vedrete, e: “Me-
ne-vado al Padre”?».
18 Dicevano dunque: «Cos’è questo “un poco” /che dice/? Non sappiamo (di)
che-cosa parla!».
19 Gesù capì (= conobbe) che volevano interrogarlo e disse: «A proposito di
questo cercate gli uni con gli altri, perché dissi: un poco e non mi contem
plate, e di nuovo un poco e mi vedrete.
20 Amen, amen, vi dico che voi piangerete e vi lamenterete; ora il mondo gioirà;
voi sarete rattristati, ma la vostra tristezza si trasformerà (= diverrà) in
■• 39
*
gioia.
39 Nella parie finale, il discorso passa all’espressione simbolica de lla trasformazione affettiva pro
messa, dalla tristezza (w. 6 e 20) alla gioia (v. 20). Viene di qui la ridondanza retorica.
Gv 16,4-20 85
16,21 La donna,40 quando-eventualmente partorisce (Mi 4,9-10; 5,1-3; Is 26,17-18;
66,7-9; Gen 1,27; 3,15),
ha tristezza
poiché venne la sua ora;
ora quando-eventualmente genererà il bambino,
non si ricorda più della prova a causa della gioia
poiché fu generato un uomo
nel mondo.
domandate,
e riceverete,
affinché la vostra gioia sia compiuta.42
Può trattarsi della «madre di Gesù», ma nella logica del testo questa «donna» rimanda in primo
luogo ai destinatari del discorso, gli Undici, per rimandare poi ai credenti, tenuto conto di 1,12-13.
41 Nell’insieme dei racconti della passione-risurrezione, questi versetti sono completati dal loro
parallelo testuale: 20,19-23.
The Trial42 Version
La presentazione tipografica mette in evidenza la trasformazione che si opera da un capo all’al
tro della sotto-unità: i due tempi del parto sfociano nell’unico tempo della preghiera di domanda esau
dita. Il simbolismo della partoriente sfocia nella figura dell’orante, come verità teologica di ogni genera
zione antropologica. La trasformazione ha inizio con l’affermazione: «Vi vedrò», e sfocia nell’afferma
zione: «Non mi chi ederete null a». La preghiera è esaudita nell’incontro col Cristo risorto grazie alla sua
iniziativa sovrana.
86 Gv 16,21-24
16,25 Queste-cose vi ho detto (= ho parlato) per enigmi;43 viene un’ora in cui non
più per enigmi vi parlerò, ma pubblicamente vi comunicherò a proposito del
Padre.
26 In quel giorno domanderete nel mio nome, e non vi dico che io chiederò al
Padre a proposito di voi,
27 poiché egli-stesso, il Padre, vi vuol-bene, 44 perché voi mi avete voluto-bene e
avete creduto che io da Dio uscii;
28 uscii dal Padre e sono venuto nel mondo; di nuovo lascio il mondo e vado al
Padre».
29 Dicono i suoi discepoli: «Vedi: adesso parli in-pubblico e non dici più nessun
enigma.
30 Adesso sappiamo che sai tutte-(le)-cose e non hai bisogno che qualcuno ti in
terroghi; in questo crediamo che uscisti da Dio».
31 Rispose loro Gesù: «Al-prcsente credete?
32 Ecco: viene un’ora, ed è venuta, che siate dispersi, ciascuno nelle proprie-
cose,45 e (che) mi lasciate solo; e non sono solo perché il Padre è con me.
33 Queste-cose vi ho detto (= parlato) affinché in me abbiate pace; nel mondo
avete (la) prova, ma abbiate-coraggio: io ho vinto il mondo».
43 L’ultima sotto-unità di Gv 14 sintetizzava quelle che la precedevano nello stesso c apitolo. Que
sta svolge la stessa funzione per Gv 16.4-33. Le unità letterarie collocate all’inizio e alla fine del discorso
rimandano
The l’una all’altra in virtù di una complementarità di dominante simbolica: spaziale da un lato,
Trial Version
temporale dall’altro.
44 Philei: que sto verbo, appl icato al P adre ne i confronti de gli Undici, e poi agli Undici ne i con
fronti del Cristo, esprime un coronamento della fede. È impossibile quindi attribuirgli un significato re
strittivo rispetto al verbo agapaò (cf. 21,15-19).
45 Cf. Gv 1,11; a quel punto, eis ta idia indicava (non in maniera esclusiva) il popolo eletto; qui l’e
spressione si applica in senso negativo agli Undici (si veda anche hoi idioi in 1,11 e in 13,1).
Gv 16,25-33 87
17,1 Gesù disse (= parlò) queste-cose e, avendo levato i suoi occhi al cielo (cf. 11,41),
disse:
«Padre, è venuta l’ora:
glorifica il Figlio tuo affinché il Figlio glorifichi te,
2 come gli desti potere su (= di) ogni carne,
affinché tutto ciò che gli hai dato,
(egli lo) dia loro: vita eterna.
3 Ora questo è l’eterna vita:
che conoscano
te, il solo vero* Dio,
e (colui) che inviasti: Gesù Cristo.
4 Io ti glorificai sulla terra,
avendo portato-a-compimento l’opera
che mi hai dato affinché (io la) faccia;
5 e adesso glorificami tu,
Padre, presso te-stesso,
con la gloria che avevo, prima che il mondo fosse (= dell’essere del mondo),
presso di te.
«conoscere-inviare». Alla fine non si ritrova la «glorificazione», bensì la «gloria» (vv. 5.24). L’«amore» si
trova alla fine ma non all’inizio, dove forse è reso presente dalla «gloria» insita nella relazione Figlio-
Padre. Questa «gloria» e questo «amore» sono chiaramente ricondotti all’origine assoluta: «prima del
l’essere del mondo» (v. 5) e «prima de(lla) fondazione del mondo» (v. 24).
88 Gv 17,1-5.24-260
17,6 Manifestai il tuo nome agli uomini
che mi desti dal mondo;
tuoi (= a te) erano,
e-a-me li desti,
e hanno custodito la tua parola.
Gv 17,6-11 89
17,12 Quando ero con loro,
io li custodivo nel tuo nome che mi hai dato,
e (li) conservavo,
e nessuno di loro si perdette,
se non il Figlio della Perdizione (2Ts 2,3-8),
affinché la Scrittura sia compiuta.
90 Gv 17,12-19
17,20 Ora non chiedo soltanto a proposito di loro, ma anche
a proposito di coloro-che-credono, attraverso la loro parola, in me,
21 affinché tutti siano una-cosa
come tu. Padre, in me
e-io in te,
affinché anch’essi siano /una-cosa/ in noi,
47 I w. 6-11 e 12-19 sono caratterizzati dal medesimo intreccio: 1) richiamo del passato (w. 6.12);
2) attualizzazione («adesso»: vv. 7-8.13-14); 3) preghiera (a/ introdotta: w. 9-lla.l5-16; b/ esplicita, ri
volta con l’imperativo al Padre: w. llb.17-19); i w. 20-23 non fanno che riprendere il terzo punto, svi
luppandolo ulteriormente.
La preghiera sintetizza tutto il discorso che precede, fino a Gv 13 compreso: 17,12 = 13,18-20;
17,13 = 15,11 (e quindi 15,1-11); 17,14a = 15,12-17; 17,14b = 15,18 (e quindi 15,18-16,3); progressiva
mente si possono dunque stabilire alcune equivalenze: 17,1-5 = c. 13; 17,6-11 = c. 14; 17,12-19 = 15,1—
16,3; 17,20-23 = 16,4-33; 17,24-26 = c. 17.
Abbiamo dunque lo schema seguente:
17,1-5 (= c. 13) 17,24-26 (= c. 17)
Glorificazione Agape
Conoscenza- Conoscenza-
invio invio
Glorificazione Agape
17,6-11 (= c. 14) 17,20-23 (= 16,4-33)
Custodia della parola Fede tramite la parola
The Trial Version Dono delle parole* Dono della gloria
Custodia nel nome-Unità Agape-Unità
17,12-19 (= 15,1-16,3)
Custodia nel nome
Dono della parola
Custodia dal Malvagio-Parola-Verità&&
Gv 17,20-23 91
18,1 Avendo detto queste-cose, Gesù uscì con i suoi discepoli al-di-là del torrente
del Cedron dove c’era un giardino in cui entrò, lui e i suoi discepoli.
2 Ora anche Giuda, colui che-lo-consegna, conosceva (= sapeva) il luogo, per
ché spesso Gesù fu radunato là con i suoi discepoli.
3 Giuda dunque, avendo ricevuto la milizia, e delle guardie dai sommi sacerdoti
e (da)i farisei, venne là, con torce, lanterne e armi.
4 Gesù dunque, sapendo tutte le cose che-vengono su di lui, uscì e dice loro:
«Chi cercate?».
5 Gli risposero: «Gesù, il Nazoreo!». Dice loro: «Io sono!». Ora stava (là) an
che Giuda, colui che-lo-consegna, con loro.
6 Come dunque disse loro: «Io sono!», si allontanarono all’indietro e caddero
a-terra.
7 Di nuovo dunque li interrogò: «Chi cercate?». Ora essi dissero: «Gesù, il Na
zoreo!».
8 Gesù rispose: «Vi dissi: Io sono! Se dunque cercate me, lasciate che questi se
ne vadano (= andarsene questi);
9 affinché sia compiuta la parola che (egli) disse: «Coloro che mi hai dato, non
persi nessuno di loro».
10 Simon Pietro dunque, avendo una spada, la tirò (fuori) e colpì il servo del
sommo sacerdote e tagliò il suo lobo-dell’orecchio, il destro; ora il servo
aveva nome Malco.
11 Disse dunque Gesù a Pietro: «Getta la spada nel fodero: il calice che mi ha
dato il Padre, forse non lo berrò?».
12 La milizia dunque e il tribuno (= capo-di-mille) e le guardie dei giudei pre-
sero-con (sé) Gesù e lo legarono.48
13 E (lo) condussero dapprima da Anna: era infatti suocero di Caifa, che era (il)
sommo sacerdote di quell’anno.
14 Ora Caifa era colui che-consigliò ai giudei che è-conveniente che un (solo)
uomo muoia per il popolo.
15 Ora Simon Pietro seguiva Gesù, e un altro discepolo (con lui). Ora quel disce
polo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò-con Gesù nel cortile del
sommo sacerdote.49
The Trial
48 Version
Prima sotto-unità letteraria, chiaramente delimitata dai termini collocati ai due estremi: «mili
zia» e «guardie», con al centro la triplice ripetizione, nel discorso diretto e nel racconto, dell'espressione
«Io sono», accompagnata dalla duplice domanda di Gesù: «Chi ce rcate?» (cf. 1,38; 20,15), e dalla duplice
risposta: «Gesù, il Nazareo».
49 La sotto-unità che si colloca al centro di 18,1-27 mette in evidenza il ruolo del «sommo sacer
dote» (ter) e il motivo della condanna di Gesù, già presentato in 11,50.
92 Gv 18,1-15
18,16 Ora Pietro stava presso la porta, fuori; uscì dunque il discepolo, l’altro, quello
conosciuto dal sommo sacerdote, e parlò (= disse) alla portinaia e introdusse
Pietro.
17 Dice dunque a Pietro la giovane-schiava, la portinaia: «Forse anche tu sei dei
discepoli di quest’uomo?». Egli* dice: «Non (lo) sono».
18 Ora stavano (là) i servi e le guardie che-avevano-fatto un fuoco-di-braci (cf.
21,9) perché era freddo, e si scaldavano. Ora anche Pietro era con loro,
stando (là) e scaldandosi.
25 Ora (c’)era Simon Pietro che-stava (là) e che-si-scaldava. Gli dissero dunque:
«Forse anche tu sei dei suoi discepoli?». Egli* negò e disse: «Non (lo) sono».
26 Dice uno dei servi del sommo sacerdote,50 essendo parente di quello di cui
Pietro tagliò l’orecchio: «Non ti vidi io nel giardino con lui?».
27 Di nuovo dunque Pietro negò,51 e subito un gallo cantò (= chiamò*).
50 Notiamo la continua insistenza sul «sommo sacerdote». Il contrasto con il «sacerdozio» di Gesù
The Trial
non fa cheVersion
risultare più evidente: esso mette in relazione con il Signore che egli è nella sua persona, ri
chiamando nello stesso tempo, attraverso l’espressione «Io sono», l’Esodo (cf. Es 3,14), la creazione (cf.
Gv 1,1, e «il giar dino»: Gv 18,1.26; Gen 2.8) e l’unità del popolo in un contesto di ri surrezione (cf. Ez
37,15-28). La sua «uscita» è libera disposizione di sé «per il popolo» (Gv 18,14; cf. Is 53,8.12).
51 I tre rinnegamenti di Pietro (due espliciti: «Non (lo) sono» e uno evocato dal racconto: «Di
Gv 18,16-27 93
18,28 Conducono dunque Gesù da(lla casa di) Caifa al pretorio; ora era di-mattina-
presto; ed essi non entrarono nel pretorio affinché non fossero contaminati
ma mangiassero la Pasqua.
29 Pilato dunque uscì fuori presso-di loro
e dichiara: «Quale accusa portate contro quest’uomo?».
30 Risposero e gli dissero: «Se costui non fosse (= era)
uno-che-agisce (= fa) male, non te l’avremmo consegnato».
31 Pilato dunque disse loro:
«Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge».
Gli dissero dunque i giudei:
«A noi non è possibile uccidere nessuno»,
32 affinché fosse compiuta la parola di Gesù, che (egli) disse significando di
quale morte era-sul-punto-di morire.
33 Pilato entrò dunque di nuovo nel pretorio52 e chiamò* Gesù e gli disse: a
«Tu sei il re dei giudei?».
34 Rispose Gesù: «Da te-stesso tu dici questo,
o altri te lo dissero a proposito di me?». b
35 Rispose Pilato: «Sono io forse giudeo?
La nazione, la tua, e i sommi sacerdoti
ti consegnarono a me: che-cosa facesti?». c
36 Rispose Gesù: «Il regno, il mio,
non è di questo mondo; se il regno, il mio,
fosse di questo mondo, le guardie,
le mie, avrebbero combattuto, d
affinché (io) non fossi consegnato ai giudei.
In realtà il regno, il mio, non è da-qui».
37 Gli disse dunque Pilato: «Cosi-dunque tu sei re?». c’
Rispose Gesù: «Tu dici che io sono re.
Io per questo sono stato generato b’
e per questo sono venuto nel mondo, affinché renda testimonianza
(= testimoni) alla verità: ognuno che-è dalla verità ode la mia voce».
38a Gli dice Pilato: «Che-cosa è verità?». a’
38b E avendo detto questo, di nuovo uscì presso i giudei e dice loro: «Io non trovo
in lui nessuna causa (di condanna).
39 Ora c’è un’usanza per voi, che (io) vi liberi un (uomo) nella Pasqua. Deside
rate dunque che vi liberi il re dei giudei?».
40 Esclamarono dunque di nuovo, dicendo: «Non questo, ma il Barabba!». Ora
il Barabba era un brigante.
52 L’andirivieni fra l’interno e l’esterno del pretorio mette in risalto l’importanza dei dialoghi fra
Gesù e Pilato al riparo dalle grida della folla.
94 Gv 18,28-40
19.1 Allora dunque Pilato prese (= ricevette) Gesù
e (lo) flagellò,
2 e i soldati, avendo intrecciato una corona di spine,
(la) posero sulla sua testa,
e gli awolsero-intorno una veste di-porpora,
3 e venivano a lui e dicevano: «Gioisci (salve), il re dei giudei!»,
e gli davano schiaffi.
4 E Pilato uscì di nuovo fuori e dice loro: «Vedi: ve lo conduco fuori affinché
conosciate che non trovo in lui nessuna causa (di condanna)».
5 Gesù dunque uscì fuori, portando la corona spinosa e la veste di-porpora e
(Pilato) dice loro: «ECCO L’UOMO!».
13 Pilato dunque, avendo udito queste parole, condusse fuori Gesù e si insediò
su una tribuna, in un luogo detto Litòstroto, ora in ebraico Gabbatà;
14 Ora, era (la) Preparazione della Pasqua, (l’)ora era circa (la) sesta, e dice ai
giudei: «VEDI: IL VOSTRO RE!».
Gv 19,1-16a 95
19,16b Accolsero dunque Gesù;
17 e caricandosi-su-di-sé la croce, uscì verso il luogo detto «del Cranio», che è
detto in ebraico Gòlgota,
18 dove lo crocifissero, e con lui altri due, (uno) di-qui e (uno) di-qui, ora in
mezzo Gesù.
19 Ora scrisse anche un titolo, Pilato, e (lo) pose sulla croce; ora era scritto:
«Gesù, il Nazoreo, il re dei giudei».
20 Questo titolo dunque, molti dei giudei (lo) lessero, poiché era vicino alla
città il luogo dove fu crocifisso Gesù;
ed era scritto in ebraico, in latino (= romano), in greco.
21 1 sommi sacerdoti dei giudei dicevano dunque a Pilato: «Non scrivere: “Il re
dei giudei”, ma che egli* disse: “Sono re dei giudei!”».
22 Rispose Pilato: «Ciò che ho scritto, ho scritto!».53
53 Sembra difficile tagliare il testo prima del v. 22, dal momento che qui si assiste all’esecuzione
della sentenza pronunciata nel corso del processo che precede. Deriva di qui la rigorosa strutturazione
dei versetti seguenti.
Abbiamo dunque questo schema delle tre sotto-unità:
Nel pretorio Pilato uscì fuori Gesù uscì
Pilato uscì fuori «Ecco l’uomo!» al Gòlgota
Gesù malfattore
Nel pretorio Nel pretorio Sulla croce
The Trial Version
Regalità Potere Re
(Pilato) uscì Pilato-Gesù fuori Pilato-giudei
Gesù o Barabba (brigante) «Vedi: il vostro re!» Gesù re
È nel segmento centrale (19,8-11) che si inserisce gran parte del messaggio, con forti reminiscenze
del prologo così come di Gv 13, e con un’anticipazione di Gv 20 (specialmente 19-23).
96 Gv 19,16b-22
19,23 I soldati dunque, quando crocifissero Gesù, presero le sue vesti e fecero quat
tro parti: a ogni soldato, una parte,
«Si spartirono le mie vesti per loro e sul mio vestito gettarono un
dado» (Sai 22,19).
25 dall’altro stavano (là), presso la croce di Gesù, sua madre e la sorella di sua
madre, Maria, quella di Clcofa, e Maria, quella di-Màgdala.
54 Descrizione insolita, interpretata ben presto (san Cipriano, martirizzato nel 258) nel senso di
un simbolo dell’unità della chiesa. Questa unità è garantita dai soldati pagani che, in base a una citazione
della Scri ttura, collaborano al disegno di Dio; non è da escludere una valenza sacerdotale, non necessa
riamente legata alla tunica del sommo sacerdote.
The Trial
55 Version
Intreccio: nella parola rivolta da Gesù-Verbo sulla croce alla donna, ci viene detto che la voca
zione dell’uomo è di essere figlio; nella parola rivolta al discepolo, ci viene detto che la vocazione della
donna è di essere madre. Una reminiscenza del racconto della creazione sembra incontrovertibile.
56 La strutturazione letteraria è chiarissima: i soldati e le «quattro parti» del v. 23 rimandano alle
donne e al discepolo dei w. 25-27, c il tutto è incentrato su una formula che afferma il compimento della
Scrittura e su una citazione esplicita del Salmo 22: soldati-Scrittura-amici.
Gv 19,23-27 97
19,28 Dopo di ciò,
sapendo Gesù che già tutte-(le)-cose sono state adempiute
affinché sia portata-a-compimento la Scrittura,57
dice: «Ho-sete!».
57 La punteggiatura fa dipendere la subor dinata f inale dal verbo che precede e non da quello che
segue. «Ho sete» non è necessariamente né esclusivamente una citazione della Scrittura (Sai 22,16;
69,22). Notiamo inoltre che vengono usati qui due verbi distinti; teleó (al perfetto; la stessa forma si trova
nei vv. 28 e 30; cf. Gb 19,26-27 LXX - syntetelesthè/lesthai) e teleioò, con una sfumatura supplementare di
perfezione. Entrambi hanno la stessa radice di telos (cf. 13,1): la morte di Gesù è pieno adempimento
dell’amore, come compimento della Scrittura.
Lo schema è di nuovo concentrico: adempimento-aceto-adempimento. A livello testuale, la men
zione della Scrittura rimanda a quella dello Spirito.
58 L’insistenza sull’aceto è degna di nota. Il termine ricorre quattro volte nella versione dei Set
tanta: Nm 6,3; Sai 69,22; Pr 25,20; Rt 2,14. L’ultima reminiscenza sarebbe davvero significativa, tanto più
che si riallaccerebbe a Gv 13,26. «Booz disse a Rut: “Vieni, mangia il pane e intingi il boccone
The Trial Version
nell’aceto”». Nei Smottici, Gesù rifiuta uno stupefacente destinato ad attenuare il dolore; qui Gesù
prende l’acet o, c ompiendo quel lo che potrebbe essere un gesto di al leanza che richiama la sua iniziativa
nei confronti di Giuda e che esprime la partecipazione di coloro che gli sono più vicini (le donne e il di
scepolo?) all’adempimento supremo della sua agape.
55 Questa è la risposta del Padre nel suo Figlio alla «consegna-tradimento» dell'uomo-discepolo
98 Gv 19,28-30
19,31 I giudei dunque, poiché era (la) Preparazione,
affinché non rimanessero sulla croce i corpi durante il (= nel) sabato,
perché era grande, il giorno di quel sabato,
chiesero a Pilato
che fossero spezzate le loro gambe
e che fossero portati-via.
“ Nuovo schema concentrico, parallelo a quello della prima sotto-unità (w. 23-27): soldati-
Scrittura-amici.
Gv 19,31-42 99
20,1 Ora il primo (= l’uno) (giorno) della settimana (= dei sabati; delle setti
mane), Maria, quella di-Màgdala, venne di-mattina-presto, essendo(ci) an
cora tenebra, al sepolcro ( monumento; memoriale), e vede ( = guarda) la pie
tra portata-via dal sepolcro.
2 Corre dunque e viene a Simon Pietro e all’altro disc epolo a cui Gesù voleva-
bene, e dice loro: «Portarono-via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove
lo posero!».
3 Uscì dunque Pietro e l’altro discepolo e venivano al sepolcro;
4 ora i due correvano insieme e l’altro discepolo corse-avanti più-in-fretta di
Pietro e venne (per) primo al sepolcro,
5 ed essendosi piegato, vede (= guarda), deposti, i panni; tuttavia non entrò.
6 Viene dunque anche Simon Pietro che-lo-seguiva ed entrò nel sepolcro e con
templa i panni deposti
7 e il sudario che era sulla sua testa, non deposto con i panni, ma a-parte, arro
tolato in un luogo.
8 Allora dunque entrò anche l’altro discepolo che-venne (per) primo al sepol
cro, e vide e credette;
9 infatti non avevano capito (= sapevano) ancora la Scrittura: che bisogna che
egli risusciti dai morti.
10 Si allontanarono dunque di nuovo i discepoli (andando) a casa (= presso di
sé).
11 Ora Maria stava presso il sepolcro, fuori, piangendo. Mentre (= come) dun
que piangeva, si piegò verso il sepolcro,
12 e contempla due angeli61 in bianco, che-stavano-seduti: uno presso la testa e
uno presso i piedi, dove era stato deposto il corpo di Gesù,
13 e quelli le dicono: «Donna, perché piangi?». Dice loro: «Portarono-via il mio
Signore e non so dove lo posero!».
100 Gv 20,1-18
20,19 Essendo dunque un’(ora) vespertina, quel giorno, il primo (= l’uno) della set
timana, ed essendo chiuse le porte (là) dove erano i discepoli, a causa della
paura dei giudei, venne Gesù e stette nel mezzo e disse loro: «Pace a voi!».
20 E avendo detto questo, most rò loro le mani e il costato; gioirono dunque i di
scepoli, avendo visto il Signore.
21 Disse dunque loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha inviato me, an
ch’io mando voi».
22 E avendo detto questo, soffiò e dice loro: «Ricevete (lo) Spirito Santo.
23 Se-eventualmentc ad alcuni rimettete (= lasciate) i peccati, si-trovano-ri-
messi loro; se-eventualmente ad alcuni (li) ritenete, si-trovano-ritenuti».
24 Ora Tommaso, uno dei Dodici, quello che-è-detto Dìdimo, non era con loro
quando venne Gesù.
25 Gli dicevano dunque gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ora egli
disse loro: «Se-eventualmente non vedo nelle sue mani la traccia dei chiodi e
(non) getto la mia mano nel suo costato, sicuramente non crederò».
26 E dopo otto giorni, di nuovo i suoi discepoli erano dentro, e Tommaso (era)
con loro. Viene Gesù, le porte chiuse, e stette nel mezzo e disse: «Pace a
voi!».
27 Poi dice a Tommaso: «Mettiti-a-portare qui il tuo dito e vedi le mie mani, e
mettiti-a-portarc la tua mano e getta(la) nel mio costato e non metterti-a-
divenire incredulo, ma credente».
28 Rispose Tommaso e gli disse: «Il mio Signore e il mio Dio!».
29 Gli dice Gesù: «Perché mi hai visto, hai creduto; beati coloro che non videro e
credettero!».
30 Da un lato, dunque, anche molti altri segni fece Gesù di-fronte ai /suoi/ disce
poli, (segni) che non sono scritti in questo libro;
31 dall’altro, questi si-trovano-scritti affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Fi
glio di Dio, e affinché, credendo, abbiate vita nel suo nome.62
62 Lo schema è il seguente:
vv. 1-10 v. 19 vv. 24-25
Vedere-credere Gesù-disc. Vedere il Signore
Scrittura Non vedere/credere
The Trial Version
w. 11-13 v. 20 vv. 26-29
Fuori Vedere il Signore Dentro
vv. 14-18 w. 21-23 vv. 30-31
Maria M.-Signore Pace Questo libro
Padre-Dio Padre-Spirito Credere
Vedere il Signore Cristo-Figlio di Dio
Gv 20,19-31 101
21,1 Dopo queste-cose, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli, sul mare di Tibe-
rìade. Ora (si) manifestò così.
2 Erano insieme, Simon Pietro e Tommaso che-è-detto Dìdimo e Natanaele,
quello da Cana della Galilea, e i (figli) di Zebedeo, e altri due dei suoi disce
poli.
3 Dice loro Simon Pietro: «Me- ne-vado a pescare». Gli dicono: «Veniamo an
che noi con te». Uscirono e salirono nella barca, e in quella notte non presero
(= arrestarono) nulla.
4 Ora, [divenuta già (la) mattina-presto, Gesù stette sulla riva. Tuttavia i disce
poli non sapevano che è Gesù.
5 Dice loro dunque Gesù: «Bambini, avete forse qualcosa di mangiabile?». Gli
risposero: «No!».
6 Ora disse loro: «Gettate la rete verso le parti destre della barca, e troverete!».
Gettarono dunque (la rete) e non avevano-più-la-forza di tirarla (fuori), a
causa del numero dei pesci.
7 Dice dunque il discepolo, quello che Gesù amava, a Pietro: «È il Signore!».
Simon Pietro dunque, avendo udito che è il Signore, si cinse della sua veste,
perché era nudo, e si gettò nel mare.
8 Ora gli altri discepoli vennero con la piccola-barca, perché non erano lontano
dalla terra, ma a circa duecento cubiti, trascinando la rete dei pesci.
9 Come dunque furono discesi sulla terra, vedono (= guardano) un fuoco-di-
braci situato (= deposto) (là), e dei pesciolini (= del pesciolino) deposti (=
deposto)-sopra, e del pane.
10 Dice loro Gesù: «Portate (qualcosa) dai pesciolini che prendeste (= arresta
ste) adesso».
11 Salì dunque Simon Pietro, e tirò la rete verso la terra, piena di grandi pesci:
centocinquantatré; e (pur) essendo così tanti, la rete non fu divisa.
12a Dice loro Gesù: «Suvvia! Rifocillatevi!».
12b Ora nessuno dei discepoli osava interpellarlo: «Tu, chi sei?», sapendo che è il
Signore.
13 Viene Gesù e prende il pane e (lo) dà loro, e i pesciolini (= il pesciolino) si
milmente.
14 Questa (fu) già (la) terza (volta che) Gesù fu manifestato ai discepoli, rialzato
dai morti.63
“ La varietà dei vocaboli («piccola-barca / barca» (cf. Gv 6), «pesce / pesciolino») preannuncia la
varietà che si riscontra nel brano seguente: «agnellini / pecore», «pascere / essere-pastore», «sapere / co
noscere», «voler-bene / amare». 11 testo si presta a una lettura a due livelli complementari: storico e sim
bolico, letterale e spirituale.
102 Gv 21,1-14
21,15 Quando dunque si rifocillarono, dice Gesù a Simon Pietro: «Simone di Gio
vanni, mi ami più di questi?». Gli dice: «Sì, Signore, tu sai che ti voglio-bene».
Gli dice: «Pasci i miei agnellini».
16 Gli dice di nuovo, una seconda (volta): «Simone di Giovanni, mi ami?». Gli
dice: «Sì, Signore, tu sai che ti voglio-bene». Gli dice: «Sii-pastore delle mie
pecore».
17 Gli dice (per) la terza (volta): «Simone di Giovanni, mi vuoi-bene?». Pietro
fu-rattristato che (per) la terza (volta) gli disse: «Mi vuoi-bene?», e gli dice:
«Signore, tu sai tutto: tu conosci che ti voglio-bene». Gli dice /Gesù/: «Pasci le
mie pecore.
18 Amen, amen, ti dico: quando eri più-giovane, ti mettevi-una-cintura e andavi
(= c amminavi) dove volevi; ora, quando-eventualmente invecchierai, stende
rai le tue mani e un altro ti metterà-una-cintura e ti porterà dove non vuoi».
19 Ora disse questo significando di quale morte glorificherà Dio. E avendo detto
ciò, gli dice: «Seguimi!».
20 Essendosi voltato, Pietro guarda il discepolo che Gesù amava, che seguiva,
colui che durante la (= nella) cena si adagiò sul petto di lui e disse: «Signore,
chi è colui che-ti-consegna?».
21 Avendo visto dunque questo (discepolo), Pietro dice a Gesù: «Signore! Ora
costui, che-cosa?».
22 Gli dice Gesù: «Se-eventualmente voglio che lui rimanga finché (io) venga,
che-cosa per te? Tu seguimi!».
23 Giunse (= uscì) dunque questa parola ai fratelli, che quel discepolo non
muore. Ora Gesù non gli disse che non muore, ma: «Se-eventualmente voglio
che lui rimanga64 finché (io) venga, /che-cosa per te/?».
24 Costui è il discepolo, colui che-testimonia a proposito di queste-cose e colui
che-scrisse queste-cose, e sappiamo che la sua testimonianza è vera.
25 Ora ci sono molte altre-cose che Gesù fece, le quali, se-eventualmente sono
scritte una per una, neppure il mondo stesso, penso, conterrà i libri, quelli
che-stanno-per-essere-scritti.65
64 II fatto di «rimanere» non risparmia il «morire», ma anticipa la prova della morte in virtù del
suo effetto definitivo fin dal presente.
65 I w. 15-19 e 20-25 costituiscono chiaramente le altre due unità testuali del capitolo. Il ritmo te r
nario viene rispettato sino alla fine.
Gv 21,15-25 103
1 una
Imtcrprctaziom
I. Argomento
Si tratta di rendere omaggio alla bellezza e alla coerenza di un’opera che tocca
il lettore nella sua intelligenza e nella sua sensibilità, un’opera che nutre il credente
nei tempi della carestia e del digiuno e che continua a nutrirlo anche nei tempi della
gioia e dell’abbondanza.
I cc. 13-17 del Vangelo di Giovanni sono stati il punto di partenza di tutto il
nostro lavoro. Un’intuizione stava alla base di questa scelta: comprendere più chia
ramente l’organizzazione di questo insieme doveva condurre a una migliore com
prensione degli altri capitoli. Per la sua originalità e la sua forza di evocazione, Gv
13 è uno dei testi più studiati del quarto Vangelo. I primi approcci critici alle tradi
zioni sottostanti hanno rilevato un fenomeno di chiusura, evidente ad esempio in
Gv 14,31. Questo versetto delimita indubbiamente una prima parte del discorso
dell’ultima cena:
«Mettetevi-a-rialzarvi: andiamo via da-qui!».
The Trial Version
II c. 15 si apre senza preamboli, senza parole di transizione:
«Io sono la vite, la vera».
INTRODUZIONE 111
11 seguito del discorso rispecchia una situazione storica di tensione fra la co
munità dei credenti giudeocristiani e la comunità giudaica, lasciando ipotizzare una
sorta di sovrapposizione: ciò che Gesù dice si intreccia con ciò che dicono attra
verso di lui coloro che subiscono la persecuzione per causa sua. Il c. 17, uno dei ver
tici non solo del Vangelo, ma di tutta la Bibbia e della letteratura universale, ri
prende in sintesi il contenuto del discorso di Gv 14-16 e del racconto di Gv 13. Ri
trovare una coerenza del testo al di là delle incertezze della sua ipotetica genesi,
fornire alcuni criteri di intelligibi lità cui sempre s i è attinto ne lla storia della chiesa
e del mondo: è stata questa la motivazione di una prima pubblicazione. La gioire
d’aimer' (La gloria di amare) ha avuto un’accoglienza conforme alla problematica
esegetica del moment o.1 2 Questo primo saggio ha confermato soprattutto una con
vinzione. Nel ca mpo della s acra Scrittura (e pr obabilmente anche negli altri campi)
si possono fare progressi soltanto a condizione di rimanere se stessi mentre ci si in
terroga sul testo e sulle grandi realtà che quest’ultimo affronta: Dio, Gesù, il
mondo, i credenti, l’umanità, la cultura. Bisognava procedere in maniera sistema
tica e progressiva per raggiungere il significato globale del Vangelo.
Il secondo quadro della passione-risurrezione ha sollecitato innanzitutto la ri
cerca. Ritorneremo sull’argomento nella seconda parte del presente volume, indi
cando i collegamenti con Gv 13-17. Si ha tutto l’interesse a mantenere unito ciò che
le monografie e la critica attuale tendono a separare: i cc. 18 e 19, dedicati alla pas
sione e alla morte di Gesù, e i cc. 20-21, dedicati alla risurrezione, congiunti a loro
volta come un tutto inscindibile. Gv 13-21 si presenta chiaramente, in questo caso,
come un dittico in due quadr i. La loro ris pettiva cernier a consiste, da un lato, nell a
duplice ripresa del comandamento nuovo (15,12-17), e dall’altro nell’evento della
morte di Gesù (19,23-42). Questa morte segna la piena realizzazione dell’amore. Il
comandamento dell’amore non viene se non da colui che in primo luogo ha vissuto
l’amore sino alla fine. Il comandamento nuovo dell’amore reciproco viene promul
gato da colui che ama i suoi, nessuno escluso. In quanto «fine» dell’amore, la morte
di Gesù dona la vita. Questa morte segna il ritorno del Figlio al Padre: consegna lo
Spirito. I due insiemi costituiti dai cc. 13-17 e dai cc. 18-21 devono dunque essere
letti come due testi paralleli, che obbediscono a una strutturazione concentrica e ri
mandano l’uno all’altro per interpretarsi a vicenda. Gv 13-17 fornisce l’interpreta
zione della passione, della morte e della risurrezione del Cristo. E viceversa, gli av
venimenti di quella Pasqua che è Gesù che muore per amore rivelano anche il senso
dell’ultima cena. La seconda parte del nostro commento si riassume da sé. Sinte
tizza i risultati del lavoro su Gv 13-17 e su Gv 18-21. La «morte di Gesù» si dif
frange in due sezioni collegate dal loro rispettivo centro letterario e teologico. L'in
sieme che possiamo intitolare «Il Figlio glorificato» (Gv 13-17), centrato sul du
plice richiamo del comandamento dell’amore reciproco (15,12-17), si ricollega a
quello che possiamo intitolare «11 Cristo consegnato» (Gv 18-21), che a sua volta si
incentra sul momento formale della morte del Cristo (19,23-42).
Il prologo occupa un posto a parte. I capitoli che vanno da 1,19 a 6,71 e quelli
che seguono (cc. 7-12) sono articolati con altrettanta cura nella loro redazione defi
nitiva. I punti di riferimento sono indicati dal testo stesso. L’insieme che va da 1,19
INTRODUZIONE 113
Questa è la meta raggiunta, e l’orientamento della ricerca. Le due parti del vo
lume intendono presentare tutto ciò. Una proposta di traduzione accompagna que
sta guida di lettura che offre un’interpretazione.
II. Progetto
1. Dal prologo a Gv 6
del discorso dell’ultima cena: 13,1-30; 13,31-14,31; 15,1-16,33; 17. Per motivi già lungamente commen
tati, sembra preferibile distinguere cinque sotto-parti anche all’interno di questo grande insieme, cosa
The
cheTrial Version
inoltre favorisce l’omogeneità di struttura con le altre parti. Nel suo commento più recente, Ch. L’É-
plattenier, L’Évangile de Jean (La Bible. Porte-Parole), Labor et Fides, Genève 1993, ritorna alla pre
sentazione più abituale di Gv 21, separato dai capitoli precedenti, come epilogo che in chiave conclusiva
si ricollega al prologo.
4 Pontificia commissione biblica, «L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa», in EB 1259-
1560.
2. Dalle controversie di Gv 7-8 alla fine della vita pubblica (Gv 12)
Anche qui, i primi capitoli sembreranno forse i più ardui. In ogni caso, Gv 7 e
8 figurano fra i c apitoli più difficili del quarto Vangelo. Un’informazione sulla pro
blematica dei testi studiati, ai diversi livelli della critica testuale, della lessicologia,
della sintassi, della semantica e della stilistica, è apparsa indispensabile per inqua
drare la s uddivisione del testo, l a proposta di una strutturazione letteraria e l’inter
pretazione nell’ambito della tradizione esegetica, antica e moderna.
The Trial Version
5 I. de la Potterie, La vérité dans saint Jean (AnBib 73-74), Biblical Institute Press, Roma 1977.
6 J. Barr, Semantica del linguaggio bilbico (Studi religiosi), EDB, Bologna 1990, 363.
INTRODUZIONE 115
La sequenza più narrativa del cieco nato, seguita dall’enigma del buon pastore
e dalla sua spiegazione (9,1-10,39), permette di avanzare più speditamente. La pru
denza rimane comunque necessaria per non interpretare qualcosa in un senso che
non è quello indicato dal testo. In questo passo troviamo l’equivalente, in contesto
giudaico e a Gerusalemme, dell’accento posto sull’adorazione al centro della se
zione precedente, in contesto samaritano e a Sichem-Sicàr.
Il racconto del ritorno i n vita di L azzaro c i sembra chiaramente delimitato. Si
colloca infatti fra quella che alcuni considerano come un’anticipazione dell’unzione
di Betania (Gv 11,1-2) e il racconto di questo episodio (Gv 12,1-9). La menzione del
fatto che molti «credono» in Gesù, contenuta in 10,42 e in 12,11, i nduce a estendere
la sequenza da 10,40 a 12,11.
La fine della vita pubblica conclude questa sezione, comprendendo l’ingresso
messianico in Gerusalemme (12,12-22), il «Getsèmani giovanneo» (12,23-36) e la ri
cerca nelle parole di Isaia di un criterio di comprensione dell’incredulità (12,37-50).
Troppi elementi letterari e semantici, di forma e di contenuto, militano a favore di
questa suddivisione tradizionale perché si possa pensare di metterla in discussione.
Si conclude così la prima grande parte del Vangelo, che narra la Vita di Gesù se
condo Giovanni.
Qui non era assolutamente il caso di ripetere un lavoro già fatto. La lettura è
stata aggiornata, tenendo conto della problematica che si è arricchita di contributi
importanti e interessanti. La sostanza dei problemi e dei tentativi di soluzione ri
mane comunque invariata. L’essenziale dei principi applicati in precedenza non ha
dovuto subire modifiche sostanziali. Il compito del lettore dovrebbe essere facili
tato dalla visualizzazione del testo offerta dalla traduzione letterale strutturata.
Sebbene i testi liturgici e i commenti recenti continuino a non valorizzare la
sua unità, l’insieme del testo di Gv 13 nella sua globalità favorisce l’interpretazione
più ricca. La descrizione della lavanda dei piedi (13,1-5) acquista significato in rap
porto al primo intervento, a proposito del traditore, del discepolo che Gesù amava
(13,21-26a). Il dialogo fra Simone e Gesù (13,6-11) riceve luce dal dono de l boccone
che Gesù fa a Giuda, con il gesto e con le parole (13,26b-29). Il dono dell’esempio
(13,12-17) illumina il dono del comandamento nuovo da parte del Figlio dell’uomo
glorificato nella notte in cui si immerge Giuda (13,31-38).
Il fatto che l ’elezione del traditore debba ricevere un trattamento spe ciale de
riva da tale contesto. Oggetto del centro letterario di Gv 13 (vv. 18-20), questa ele
zione sviluppa l’essenza del suo messaggio teologico alla luce della Scrittura. Il Fi
glio è glorificato nell’atto in cui ama «fino all’adempimento» (13,1) colui che non lo
ama. Passa così, e non in altro modo, da questo mondo al Padre. E così dona ai di
scepoli di amarsi come egli ama (13,34-35).
L’unità
The Trial Versiondi una pluralità di possibili tradizioni diverse del discorso d’addio ri
volto da Gesù ai suoi è di nuovo oggetto di una comprensione globale, grazie alla
luce che gettano l’una sull’altra le tre parti che si delineano in base a criteri formali:
Gv 14; Gv 15,1-16,3; Gv 16,4-33. In primo luogo, Gesù si presenta simbolicamente
come la via, la verità e la vita (14,6). Propone se stesso da «amare» nell’osservanza
INTRODUZIONE 117
Gv 17 come «il Figlio della Perdizione» (17,12; cf. 2Ts 2,3). Il Figlio glorificato è il
Cristo consegnato da Satana perché l’amore supremo sia rivelato al posto della su
prema perversione. Questa rivelazione progressiva che si realizza nel corso dell’an
dirivieni fra l’esterno e l’interno del pretorio raggiunge il culmine con la croce. L’e
secuzione della sentenza non può essere separata dal processo che pronuncia il ver
detto. Racconto e dialoghi traggono di qui tutta la loro portata.
Il trittico costituito dalla scena dei soldati e delle donne col discepolo accanto
alla croce (19,23-27), dalla morte di Gesù (19,28-30) e dalla scena del costato tra
fitto e della sepoltura (19,31-42) forma l’unità letteraria seguente. Abbiamo qui il
centro letterario e teologico del racconto della passione, morte e risurrezione di
Gesù secondo Giovanni. Questa ricerca e il suo risultato presuppongono che non ci
si rassegni a studiare Gv 18 e 19 indipendentemente da Gv 20 e 21. Nell’atto del
morire, Gesù dona la vita «consegnando» lo Spirito (19,30). L’amore trova il suo
pieno adempimento (cf. 13,1.34-35; 15,12.17; 17,24-26) in questa morte e per mezzo
di essa. La Scrittura in tal modo viene portata a compimento (19,28).
La morte segna una rottura irreparabile. Ma questa morte trasforma il cosmo
e la storia umana. È con questa viva consapevolezza che Gv 20 trasmette le testimo
nianze sul Risorto a Gerusalemme. Al centro del capitolo, i discepoli gioiscono ve
dendo il Signore (20,19-23). Viene dato qui il suo effettivo contenuto alla trasfor
mazione della tristezza in gioia, già operante nella donna che partorisce (16,21-24).
Una prima conclusione lascia pensare un po’ troppo in fretta che il Vangelo po
trebbe finire con Gv 20,30-31.
Esso continua invece con le tradizioni sul Risorto in Galilea. Gv 6 conteneva il
racconto dei pani e proponeva il discorso sul pane della vita. In quel capitolo, l’eu
caristia veniva spiegata nel suo legame con la risurrezione. Gv 21 lo conferma, con
un ulteriore approfondimento (21,1-14). Se Luca, nel suo racconto, ci fa passare
«dalla cena a Emmaus» (J. Guillet), G iovanni ci fa passare dal lago di Ti berìade al
lago di Tiberìade! Al termine del ministero in Galilea, il corpo vivente di Gesù si
offriva come pane della vita sulla riva del lago di Tiberìade. A coronamento degli
episodi della sua morte e della sua risurrezione, Gesù si manifesta una terza volta
sulla riva del medesimo lago di Tiberìade, offrendo se stesso per nutrire i suoi disce
poli. La confessione di Pietro a Cafàrnào è finalmente completata dalla sua confes
sione di tenerezza nei confronti del Risorto (21,15-19). Essa implica la morte «glori
ficatrice», il mart irio di Pietro. Anche ciò che viene detto a proposito del discepolo
che Gesù amava, «colui che durante la cena si adagiò sul petto di lui» (21,20; cf.
13,23.25), implica la sua morte. «Rimanere finché Gesù venga» non risparmia dal
morire. Il «rimanere» anticipa una vita che non può essere eterna se non a condi
zione che si muoia in un definitivo abbandono d’amore.
Le ultime informazioni di Gv 21 su Pietro e sul discepolo amato da Gesù de
pongono a favore dell'unità dei cc. 13-21. Da un capo all’altro della seconda parte
del Vangelo, questi due pilastri della comunità giovannea appaiono inseparabili.
Essi esprimono simbolicamente l’esercizio dell’autorità nella Chiesa secondo due
poli complementari e indissociabili. Dal significato globale di Gv 13-21 scaturisce il
senso della Morte di Gesù secondo Giovanni.
The Trial Version
1. Alleanza e processo
7 Per una prima informazione e una prima conferma, si veda J.-N. A letti, «Le Prologue de Jean
INTRODUZIONE 119
Gesù illumina, portandoli a compimento, Mosè e i Profeti. Credere in loro, si
gnifica credere in lui.
Il genere «vangelo» - sebbene anche questo termine non venga mai usato -
prevale dunque sullo schema dell’alleanza. Il titolo «prologo storico», troppo ambi
guo, verrà abbandonato per Gv 1,19-2,12. 10 11 II fatto di dare spazio a Gesù in tutta
l’ampiezza e la gratuità de lla sua persona, fin dal prologo, sfuma i contorni dell’e
spressione strutturata dell’alleanza. Questa delucidazione è significativa.11 Nel qua
dro delle controversie di Gv 7-12, ma già nella testimonianza di Giovanni in conte
sto processuale, e a maggior ragione nella comparizione di Gesù davanti alle auto
rità giudaiche e romane (Gv 18-19), l’alleanza passa in secondo piano, a beneficio
del «processo nell’ambito dell’alleanza», genere letterario sovrano della letteratura
profetica. Storicamente, è molto probabile che l'alleanza abbia preso forma c consi
stenza in Israele a partire dalle tensioni fra profeti e re per il mantenimento della
purezza dello jahvismo. Questa problematica si ritrova in san Giovanni. Se l’al
leanza perde rilievo, ciò avviene a favore del processo. Lungi dal cancellare i mo
menti costitutivi dell’alleanza, i l processo di Gesù li fa emergere in un contesto con
flittuale, comune sia al rz7>-«processo» che alla herùh-«allcanza».
Lo stesso genere «vangelo» è qui ricondotto alla sua espressione più semplice.
È ciò che occorre a una vita di Gesù perché mantenga tutto il suo significato il rac
conto degli ultimi avvenimenti della sua passione, della sua morte e della sua risur
rezione (Gv 18-21), interpretati anticipatamente in Gv 13-17. Gv 1-12 è dunque la
vita di Gesù, necessaria per comprendere la morte di Gesù. La sua Pasqua non può
essere confusa con nessun’altra. Gesù non muore come una vittima, più o meno in
nocente, più o meno colpevole, che si aggiunge alla serie delle vittime della giustizia
umana, soggetta all’arbitrio dei poteri politici e religiosi. Il Vangelo è una vita di
Gesù indispensabile per l’interpretazione della sua morte.
Viene di qui il titolo che abbiamo proposto per l’insieme dell’opera, ripren
dendo il titolo del testo greco: Secondo Giovanni. La lettura progressiva conduce a
un’evidenza. Il Vangelo secondo Giovanni vuole in primo luogo rendere testimo
nianza a Gesù in quanto Cristo, Messia atteso all’interno del suo popolo, affinché
noi crediamo (cf. Gv 20,31). Gli insiemi testuali che lo compongono si delineano in
maniera netta quanto vigorosa. Una Vita di Gesù secondo Giovanni va dal prologo
alla fine della vita pubblica. Questa vita trova il suo principio di coerenza innanzi
tutto in se stessa e nella fede che le rende testimonianza, ma anche grazie alla gerar
10 «Prologo narrativo» sarebbe un titolo più adeguato (R. Vignolo, Personaggi del Quarto Van
gelo. Figure della fede in San Giovanni, Glossa, Milano 1994, 47, nota 86). Questo autore distingue un
«prologo poetico» (1,1-18) c un «prologo narrativo», limitato a 1,19-51 (ibidem, 156). La stessa prospet
tiva si ritrova in M. Theobald, «Le Prologue johannique (Jean 1,1-18) e ses “lectures implicites”. Re-
marque sur une question toujours ouverte», in RSR 83(1995), 197. La preferenza di questo autore va alla
The Trial Version
seguente ipotesi: «Il “prologo” 1,1-18 forma, con 1,19-51, un'ampia introduzione a due dimensioni. Il
Corpus Evangelii comincia soltanto con le “Nozze di Cana” (2,1-11)».
11 Queste riflessioni si ricollegano e si i ntrecciano con quelle di J.-N. A letti, «Problèmes de com-
position et de structure dans la Bible. Positions et Propositions», in Naissance de la méthode critique.
Colloque du centenaire de L'École biblique et archéol ogique f ran^aise de J érusalem (Patrimoines Chri-
stianisme), Cerf, Paris 1992, 213-230.
The Trial
12
Version
Nella prospettiva in cui ne parla P. Beauchamp, L’uno e l’altro Testamento. I: Saggio di lettura
(Biblioteca di cultura religiosa 46), Brescia 1985; L’un et l’autre Testamene li: Accomplir les Écritures
(Parole de Dieu), Seuil, Paris 1990.
” Il capitoletto che segue alla nostra introduzione fornisce alcuni punti di riferimento per una vi
sione panoramica del V angelo. D ovrebbe pe rmettere al lettore di orientarsi aH ’intemo del testo giova n
neo e dell’interpretazione da noi proposta.
INTRODUZIONE 121
Punti di riferimento per la lettura
del Vangelo secondo Giovanni
Il Figlio glorificato
(Gv 13-17)
Lntroduzione all’uscita di Gesù (13,1-38)
- Lavanda dei piedi. Gesù-Pietro. Conseguenze (vv. 1-17)
- Elezione del traditore e compimento della Scrittura
Credere in «Io sono»
Implicazioni della ricezione di Gesù (vv. 18-20)
- Tradimento. Dono del boccone. Conseguenze: glorificazione, dono dell’amore
reciproco, rinnegamento (vv. 21-38)
Il luogo della partenza di Gesù e il suo ritorno (14,1-31)
- Incoraggiamento a credere. Vedere Gesù e il Padre. Credere alle opere (vv. 1-14)
- Amare Gesù = custodire i suoi comandamenti / la sua parola / le sue parole
(vv. 15-24)
- Incoraggiamento. Il Padre più grande. Conclusione (vv. 25-31)
Il comandamento di Gesù (15,1-16,3)
- La vite. Gioia (15,1-11)
- Comandamento. Elezione. Comandamento (15,12-17)
- L’odio del mondo (15,18-16,3)
L’ora della partenza. Prima conclusione (16,4-33)
- Tristezza. Paraclito-Spirito. Gioia (vv. 4-20)
- Tristezza e gioia della partoriente e dei discepoli in preghiera, che Gesù verrà a
The Trial Version
vedere (vv. 21-24)
- Il Padre. I discepoli. Uscita di Gesù
Mancata professione di fede
Conclusione (w. 25-33)
Il Cristo consegnato
(Gv 18-21)
Introduzione all’uscita di Gesù (18,1-27)
- Triplice «Io sono». Gesù-Pietro. Conseguenze (vv. 1-12)
- Gesù è condotto legato;
Anna, suocero di Caifa, sommo sacerdote di quell’anno:
«Uno per il popolo»;
Simon Pietro e un altro discepolo seguono Gesù (vv. 13-15)
- Triplice «Non sono» di Pietro, il rinnegato (vv. 16-27)
I luoghi dell’uscita di Gesù (18,28-19,22)
- Prima comparizione davanti a Pilato: la regalità di Gesù non è di questo mondo
(18,28-40)
- Seconda comparizione davanti a Pilato: attributi regali e intronizzazione regale, il
potere di Pilato dall’alto (19,l-16a)
- Uscita di Gesù verso il Gòlgota: «Gesù, il Nazareo, il re dei giudei» (19,16b-22)
L'adempimento (19,23-42)
- Divisione degli abiti. Compimento della Scrittura. Donne e discepolo amato
(w. 23-27)
- Adempimento di tutte le cose. Pieno compimento della Scrittura. Sete.
Aceto
Adempimento. Consegna dello Spirito (vv. 28-30)
- Gambe e costato. Compimento della Scrittura. Giuseppe da Arimatea e Nico-
demo (vv. 31-42)
I giorni in cui Gesù «sta» e «viene».
Prima conclusione (20,1-31)
- Maria di Màgdala. Pietro e il discepolo amato (vv. 1-18)
- Gesù «sta in mezzo» ai discepoli, che gioiscono al vederlo (vv. 19-23)
- Tommaso assente. «Venuta» di Gesù «in mezzo». Professione di fede di Tom
maso, presente. Conclusione (vv. 24-31)
La terza «manifestazione» di Gesù risuscitato dai morti. Seconda conclusione
(21,1-25)
- Il lago di Tiberìade. Pesca. Pasto (vv. 1-14)
- Il dialogo Gesù-Pietro: triplice domanda e triplice risposta (vv. 15-19)
The Trial
- Il Version amato: suo enigma. Conclusione (vv. 20-25).
discepolo
I. Il punto di partenza
«In principio era la Parola». Fin dalla sua affermazione iniziale, il quarto Van
gelo indica un procedimento di lettura. Questa frase può essere letta - perché si
tratta di un testo scritto - e ascoltata - perché la parola evoca anche l’espressione
orale - almeno a due livelli: quello di un contenuto immediato e quello delle m olte
plici reminiscenze del contesto biblico in cui tradizionalmente viene collocata. La
tradizione viva della Chiesa inserisce infatti il Vangelo secondo Giovanni nella se
rie dei suoi scritti normativi: il canone delle Scritture. La delimitazione definitiva
del canone è relativamente recente:1 risale al concilio di Trento ed è stata sancita
nel qua dro delle controversie con i riformatori che volevano un contatto più stretto
con la Scrittura per rinnovare la teol ogia e il funzionamento delle istituzioni. Que
sta preoccupazione indusse a distinguere nel testo giovanneo ciò che sarebbe primi
tivo e ciò che invece sarebbe frutto di riletture successive. Qui ci atterremo al testo
che è stato recepito come canonico, limitandoci a sfumare questo punto di vista
quando ce lo imporranno le esigenze della problematica, dell’interpretazione o di
fatti irrefutabili.
Al primo livello di lettura, così come suonano le parole, ut verba sonant, la
prima frase di questo Vangelo esprime un riferimento prioritario al principio.1 2 Pone
dunque l’ordine del principio, distinto da quello della finalità. Ciò vale per il primo
sintagma: un complemento, secondo la terminologia grammaticale più comune. Il
verbo «era» corregge la nozione di principio come processo indefinito sull’asse tem
porale del prima che precede il dopo. Senza cadere nel discorso ontologico, con
duce tuttavia sul piano dell’essere, cioè di un fondamento che neutralizza le fluttua
zioni e le casualità della st oria a favore dell'instaurazione di una permanenza. Il ter
mine «origine», con il suo significato di realtà unica e inafferrabile che è in azione
sempre e dovunque ma che non è possibile dominare, renderebbe bene in italiano il
carattere della realtà che viene suggerita qui. Il verbo aU’imperfetto, in greco e in
italiano, non deve ingannarci: non rimanda a un passato concluso. Unico tempo
passato che è possibile per questo verbo, il termine greco esprime il senso puntuale
3 Si veda P. Beauchamp, «Le récit biblique et les cultures du monde», in Id., Le récit, la lettre et le
corps (CogF 114), Ceri, Paris 1992; all'interno di questa parte terza del volume si veda in pa rticolare, per
l’argomento che ci interessa qui, il c. IX: «Qu’est-ce que la culture? 2. Les termes de la culture», 210-216.
Gv 1,1 è citato a p. 214.
4 A. Chouraqui propone questa traduzione per l’inizio di Gen 1,1 e come titolo della Genesi, se
condo la consuetudine giudaica di intitolare i libri con le loro prime parole.
5 Si veda I. de la Potterie, «La nozione di “principio” negli scritti giovannei», in Studi di cristolo
gia giovannea (Dabar. Studi biblici e giudaistici), Genova 1986, 217-238. Lo stesso autore contesta la re
miniscenza di Gen 1,1 in Gv 1,1 nel suo articolo sulla struttura del prologo giovanneo: «Struttura lettera
ria del prologo giovanneo», in Studi di cristologia giovannea, 31-57. Più sfumata è la posizione di J.
Moingi, «La réception du Prologue de Jean au 11° siede», in RSR 83(1995), 278: «L’identificazione del-
Ven archéi del prologo con la stessa espressione della Genesi porta a interpretare il v. 3 nel s enso dell’e
vento creatore, c questo si riscontra già in Ireneo. Il prologo tuttavia non si colloca unicamente «al prin
cipio» della creazione per narrare tutto ciò che è avvenuto allora, ma intende affermare che il Logos è il
principio atemporale e permanente di tutto ciò che diviene, di tutto ciò che in ogni momento passa dal
non-essere all'essere; egeneto non indica un’attività di fabbricazione, ma di sostegno nell’essere e di
orientamento del destino di ogni essere». La prospettiva «missionaria» di una inculturazione del prologo
The
non Trial Version
esclude un’integrazione massimale deH’ÀT, che a quell’epoca continua a essere, per la comunità, la
Scrittura normativa che dà al testo il suo Sitz-im-Leben, il suo contesto vitale.
6 «La Bibbia cristiana è un libro scritto che addita una parlante presenza nella storia, la presenza
identificata con il Cristo del Nuovo Testam ento. L’espressione “parola di Dio” si applica sia alla Bibbia
che a questa presenza. (...) Si tratta de l nostro unico vero contatto con il cosiddetto “Gesù storico”, e da
questo punto di vista è del tutto sensato chiamare la Bibbia e la persona di Cristo con lo stesso nome»
N. Frye, Il grande codice. La Bibbia e la letteratura [Einaudi paperbacks e readers 170], Torino 1986,
113.
7 Si tratta della traduzione più comune nella tradizione occidentale. Il termine offre il vantaggio
di essere maschile in francese (e in italiano), il che lascia più facilmente trasparire alcune allusioni impli
cite e anticipate a Gesù Cristo.
' Si pe nsi anche alle espressioni: «Oracolo del Signore» o «Parola del Signore», che costellano gli
interventi profetici.
’ Si veda a questo proposito la trattazione sempre valida di A. Robert e a., «Logos. Nouveau
Testament», in DBSup V, 1957, coll. 479-497.
10 «Io sono, sì: io sono»: una buona si ntesi della questione si trova in J. V ermeylen, Moise. La li-
bération d’Israel et la révélation du Dieu de l’Alliance dans le livre de l’Exode, Pro manuscripto.
C.E.T.E.P., Bruxelles 1988, 55-59.
11 Si veda P. B eauchamp, L’uno e l'altro Testamento. Saggio di lettura (Biblioteca di cultura reli
giosa 46), Brescia 1985,123-155. «Per chi conosce i cinque grandi testi fondamentali, le som iglianze sal
tano agli occhi» (Zumstein, «Le Prologue, seuil», 230).
The Trial Version
2 Per una giustificazione di questa posizione si veda Y. S imoens, «Le Prologue de saint Jean: une
théologic qui est une exégèse», in R. L afontaine e a., L’Écriture, àme de la théologie (Collection I.E.T.
9), Bruxelles 1990, 61-80.
13 «La traduzione pone alcuni problemi, ma il senso è chiaro: il Logos è nell’archè, inaugura e pi
lota il divenire» (A. Jeannière, «“En arkhè én o logos". Note sur des problèmes de traduction», in RSR
83[1995], 247).
14 K. Aland, «Eine Untersuchung zu Joh 1,3-4. Ùber die Bedeutung eines Punktes», in ZNW
59(1968), 174-209.
*’ Si tratta di una lezione ben attestata nella tradizione manoscritta secondo UBSGNT, Stuttgart
1990, che attribuisce all’altra l’indice di probabilità C; l’esitazione è dunque legittima.
16 S.B. M arrow, The Gospel of John. A Reading, Paulist Press, New York 1995,7, adotta questa
lezione,
The Version la Revised Standard Version; su questo punto, la New Revised Standard Version non
Trialseguendo
sembra introdurre innovazioni. Ciò significa che si tratta di una lettura generalmente accettata. V . M an-
nucci, Giovanni, Il vangelo per ogni uomo (Leggere oggi la Bibbia 2.4), Queriniana, Brescia 1995, 54,
pur pronunciandosi a favore dell’altra l ezione, segnala che la versione del la CEI segue la versione latina
della Volgata.
17 E ciò che fa, seguendo M.-E. Boismard, R. Meynet, «Analyse rhétorique du prologue de
Jean», in RB 96(1989), 481-510.
Gv 1,1-5 collega la logica «per noi» del Dio creatore e salvatore in Israele con
il vangelo, la buona notizia di Gesù Cristo. Fin dal primo atto di lettura a due livelli,
ci si trova di fronte a una sintesi del l’Antico T estamento che culmina in Gesù Cri
sto. Quest’ultimo non viene nominato, ma è costantemente presente. Il giudizio, il
verdetto finale è posto come compiuto in virtù della coincidenza con l’origine.
20 P. Beauchamp, «L a création, acte personnel d’un D ieu qui se nomine», in Unité de s chrét iens
The Trial Version
75(1989), 15.
2f Secondo l’accorta osservazione di M. Hooker, «John thè Baptist and thè Johanine Prologue»,
Il v. 9 pone nuovi problemi. Qual è il soggetto del verbo «era» che apre la
frase? Grammaticalmente parlando, è il sostantivo che segue, accompagnato dal
l’articolo: «la luce». Data la posizione enfatica del verbo «era», è difficile sottrarsi
all’impressione di un richiamo delle occorrenze insistenti del medesimo verbo nei
vv. 1-2. Un fenomeno analogo, ma in chiave di contrasto, si riscontrava nei versetti
precedenti su Giovanni. In questo caso, come suggeriscono diversi esegeti, 24 il sog
getto sottinteso sarebbe piuttosto il Verbo stesso. La sua lontananza in una lettura
lineare del testo è compensata da una ma ggiore vicinanza in una lettura strutturale,
su cui torneremo in maniera più dettagliata per fornire la debita giustificazione.
Con qualche titubanza adottiamo questa soluzione, insistendo sulla collocazione
del verbo «era» all’inizio della frase e sul fatto che il Verbo non viene nominato.
A che cosa ricollegare poi la fine della frase: «venendo nel mondo»? La Vol
gata la ricollega a «ogni uomo», ma non si vede bene il senso di una sottolineatura
della venuta - ovvia - di ogni uomo nel mondo. L’unica altra possibilità consiste nel
collegamento con la luce, quella vera. Ciò che viene messo in evidenza è la sua ve
nuta nel mondo, che merita infatti un’attenzione particolare. La distanza dell’e
spressione all’interno della frase fa tuttavia difficoltà. A. Feuillet adotta una solu
zione elegante, che seguiremo anche noi, attribuendo a erchomenon il valore di par
ticipio presente piuttosto che di aggettivo verbale.25 La traduzione proposta viene
in tal modo a essere in sintonia con il senso del brano. D opo il primo passo su Gio
vanni, è normale trovare una specificazione a proposito della venuta del Verbo nel
mondo. Ma il Verbo viene nominato solo velatamente, a favore di una precisazione
che verte soprattutto sulla luce - che egli è. Si dichiara già che si tratta della luce
The Trial
23 Version
Meynet, «Analyse rhétorique», vede nei passi su Giovanni il centro letterario delle unità costi
tuite dai w. 1-11 e 14-18, che delimitano ai due estremi l’unità centrale costituita dai vv. 12-13. L e sue
giustificazioni sono plausibili, ma forse non tengono abbastanza conto della ripresa, da parte del primo
passo su Giovanni, dei versetti precedenti, né del parallelismo fra i vv. 1-3 e 9-10, su cui ritorneremo.
24 R. Bultmann, A. Feuillet, X. Léon-Dufour, M. Girard.
25 A. Feuillet, «Prologue du IV évangile», in DBSup Vili, 1972, col. 633.
Il v. 11 riprende la stessa idea e la stessa realtà, ma dal punto di vista della sto
ria dell’elezione e dell’alleanza. Adottiamo la convenzione di M. Girard per ren
dere il neutro plurale: ta idia, «le sue cose-proprie», anche se il possessivo è
espresso solt anto dall’a rticolo e dal semantem a di proprietà. Il maschile plural e che
segue: hoi idioi diventa così «i suoi propri».27
Il neutro plurale include l'elezione giudaica. È probabile che non sia da esclu
dere neanche il cosmo, così come le nazioni e l’intera umanità che lo popolano.
L’intera umanità è quindi proprietà del Verbo, tenuto conto di tutto ciò che è già
stato detto. Il particolare non si può dire senza chiamare in causa il rapporto intrin
seco con l’universale, ma impone una restrizione, una necessaria limitazione, al
meno in un primo tempo. Chi sono «i suoi propri»? I giudei senza dubbio, come
contenuto concreto, personale, del neutro precedente, ma anche questa volta senza
escludere, per le medesime ragioni, né i pagani, 28 né gli stessi discepoli, che sono an-
ch’essi giudei. Gv 13,1 conferma tale affermazione . In questo unico altro punto del
corpus giovanneo in cui viene utilizzato, il termine indica prioritariamente i Dodici.
Non possono in questo caso essere esclusi tutti gli uomini, o almeno tutti i poten
ziali credenti, a cui si fa riferimento attraverso di loro e che essi rappresentano.
L’affermazione sorprende per il suo carattere globale. I discepoli non avrebbero ac
26 M. Girard, «Analyse structurelle de Jn 1,1-18: l’unité des deux Testaments dans la strutture
bipolaire du prologue de Jean», in ScEs 35(1983), 30, nota 56.
27 Ibidem, 17. L’autore traduce esattamente: «ses propres (choses), ses propres (gens)».
28 Cosa che viene confermata dal racconto della passione.
29 Giovanni, «la madre di Gesù» (2,1; 19,25) e il «discepolo che Gesù amava» (13,23) occupano
un posto speciale.
30 Léon-Dufour, Lettura, I, 159.
31 «Non deve sfuggire che in exousia e nella trasmissione di pot està il r apporto è primariamente
The Trial Version
con Dn 7» (G. Schrenk, «Patèr», in GLNT IX, 1257, nota 313 in fine).
32 La lezione al plurale, adottata qui. è attestata da tutti i manoscritti greci, compresi i più antichi
che contengono il prologo, e cioè i papiri Bodmer II (P 66), scritto fra il 175 e il 225, e Bodmer XV (P
75), scritto intorno al 200 (E. Cothénet - L. Dussaut - P. LeFort - P. Prioent, Gli scritti di san Gio
vanni e l a Lettera agl i Ebrei [Piccola enciclopedia biblica 10], Roma 1985, 151). Una buona sintesi della
questione, destinata a un vasto pubblico, si trova in I. de la Potterie. Maria nel mistero dell'alleanza
(Dabar. Studi biblici e giudistici), Genova 1988, 118-143. Sopprimere il v. 13 in nome della soluzione di
À. von Harnack, che ne fa una glossa a commento del v. 14, è una scelta che impoverisce l’esposizione e
che fa violenza al testo acquisito (Cf. Theobald, «Le Prologue johannique», 196, nota 6).
33 «Riconosciamo che (questa i nterpretazione) è difficile da comprendere, perché il testo parla di
nascita e non di rigenerazione. (...) L’applicazione del versetto al Logos (leggendo il singolare egennèthé)
elimina ogni difficoltà: viene spiegato che il Logos è divenuto carne non nascendo da una relazione car
nale, ma per volontà di Dio» (Moingt, «La réception», 280-281).
34 L’argomento filologico, che viene spesso avanzato (si veda ad esempio D. Mollat, Fase BJ
1973.76), secondo cui «Gv usa il verbo “generare” all’aoristo soltanto a proposito del Cristo», è formal
mente smentito da 3,3.4(60).5.7, dove vengono usati, palesemente a proposito dei credenti («uno»-tis;
«un uomo»-anthrdpos; «voi»-hymas), il congiuntivo aoristo passivo (due volte: w. 3 e 5) e l’infinito aori-
The Trial Version
sto passivo (tre volte: vv. 4 e 7).
35 J. Eisenberg, La femme au temps de la Bible, Stock - L. Pernoud, 1993, 160.
36 De la Potterie, Marie dans le mystère, 132-133, citando P. Hofrichter, rimanda s pecialmente a
Lv 12,4-7.
37 R. Drai, Lettre ouverte au Cardinal Lustiger. Sur l’autre révisionnisme, Alinéa, Aix-en-Pro-
vence 1989, 97.
La scintilla si sprigiona dallo scontro di tre parole, tre selci, accostate nel
modo seguente: «Il Verbo, carne divenne». Colui che tutto contiene si lascia conte
nere dalla precarietà della carne mortale. C olui che è , entra nel divenire di cui egli
stesso è il fondamento. Rimane escluso ogni eccessivo ontologismo. E anche ogni
forma di storicismo.
Ancora una volta, il significato del t ermine «carne» riceve luce dal riferime nto
a una serie di testi della Torah, dei Profeti e dei Sapienti di Israele, richiamati se
condo un procedimento omiletico giudaico che mantiene il suo valore in contesto
cristiano, fornendo una percezione abbastanza approssimativa della ricchezza di
evocazione del testo giovanneo. Alcune citazioni particolarmente rappresentative
permetteranno al lettore di farsene personalmente un’idea:
- Nella Torah, Gen 2,23: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa!».
Non c’è carne che non sia sessuata, anche se bisogna vedere subito profilarsi le specifica
zioni eucaristiche del termine in Gv 6,52-56.
39 Gb 14,1-2, pur senza contenere il termine in questione, si colloca sulla stessa linea delle prece
denti citazioni di Isaia; lo stesso s i può di re di Sai 90,3-6; 103,13-16. Bisogna riconoscere che la maggior
parte delle menzioni della «carne» nel testo greco sono al plurale, ad eccezione, ad esempio, di Gb
34,14-15, un passo rivelatore ai fini del nostro discorso:
«Se (Shaddai) richiamasse il suo spirito (delFuomo) a sé
e a sé ritraesse il suo soffio,
ogni carne morirebbe all’istante
e l’uomo ritornerebbe in polvere».
Si tratta di un’evidente rilettura di Gen 3,19 e 6,3.
* Cf. Sir 24,8: verbatim.
41 «Se la prima (parte principale), w. 1-12, è scritta secondo uno stile di proclamazione in terza
persona (“egli”), la seconda, vv. 14-18, si presenta come una professione di fede che impegna a livello
personale (“noi”)» (Theobald, «Le Prologue johannique», 201). È evidente quello che, per l’autore di
cui s opra, è un criter io fondamentale di suddivisione. Qui si tratta, sec ondo lui, della «cerchia dei tes ti
moni oculari del Logos incarnato (...)»; «quest a cerchia si apr e, al v. 16, alla comunità di tutti i fedeli, che
comprende anche quelli della generazione successiva» (Ivi). Zumstein, «Le Prologue, seuil», 229, non è
molto d’accordo s u questa di stinzione, ma ci tiene a precisare un altro punto a cui la nos tra lettura è sen
sibile: «Questo “noi” rimanda senza dubbio all’autore, ma dobbiamo guardarci dall’escludere i destina
tari del Vangelo. Non si può sostenere, ad esempio, che il “noi” (...) del v. 16 chiami in causa soltanto
The Trial Version
l’autore». Stupisce invece la frase precedente: «Il prologo giovanneo è l’unico testo del Vangelo in cui
compare la prima persona plurale (vv. 14 e 16)». La ritroveremo infatti in 3,11 e in 4,22, in entram bi i casi
sulle labbra di Gesù - ed è questo il punto interessante.
42 Torneremo ancora su questo punto, che tuttavia merita di essere rilevato fin d’ora; da una let
tura aderent e al testo em erge infatti ciò che Bultmann ha voluto mettere in luce percorrendo la via delle
analisi diacroniche, e cioè il legame fra il Gesù della storia e il Cristo della fede.
2Mac 2.4;
«Si diceva nello scritto che il profeta (Geremia), ottenuto un responso, ordinò che lo
seguissero con la tenda e l’arca. Quando giunse presso il monte dove Mosè era salito e
aveva ammirato l’eredità di Dio...» (cf. 3,36: principali citazioni).
La gloria, dal canto suo, esprime la comunica zione che il Dio creatore e salva
tore fa di se stesso. Il termine ritorna nei testi chiave dcll’AT:
Es 24,16-17 per la Torah:
«La gloria del Signore venne a dimorare sul monte Sinai (...). La gloria del Signore ap
pariva agli occhi degli israeliti come fuoco divorante sulla cima della montagna».43
Caratteristica di Dio che si comunica nella creazione e nella storia, questa glo
ria si riallaccia al significato dello Spirito, secondo la sua accezione neotestamenta
ria e giovannea. Gv 16,14 lo esprime in maniera esplicita:
«(Lo Spirito) mi glorificherà perché riceverà dal mio e ve (lo) comunicherà».
43 Cf. nota BJ 1973, ad toc.; Es 34,29ss; 2Cor 3,7-4,6: versione paolina dell a trasfigurazione nel
NT.
44 Gregorio di nissa, Omelie sul Cantico dei cantici (Collana di testi patristici 72), Roma 1988,
355-356.
Le relazioni umane esprimono qui una relazione divina, illustrando ciò che
era stato detto a proposito del «principio» nei w. 1-2. La comunione che c’è in Dio
fonda la comunione all’interno dell’umanità. Il processo di metaforizzazione degli
enunciati conduce ora dal vissuto umano alla relazione Figlio-Padre. Il «come» gio
vanneo tuttavia non si limita a un semplice valore comparativo, significando piutto
sto: «secondo», «conformemente a», «sul fondamento di».46 Il termine monogenès
radicalizza, per il Figlio e a nostro favore, il senso deWegennèthésan, «furono gene
rati», di l,13d.47
In l,14e è possibile attribuire il senso di «compiuto» all’aggettivo plérés, dalla
radice plèroò, da cui viene anche il sostantivo plèròma di l,16a. Traducendo
«pieno» si banalizza il termine. Tutte le parole del v. 14 (Verbo, carne, gloria) ne ri
sultano illuminate, anche se «compiuto» si riferisce soprattutto all’unigenito. I. de
la Potterie vi legge la pienezza della rivelazione nel Cristo, sostenendo il senso del-
V endiadi sia qui nel v. 17: «La grazia della verità», sulla linea della tradizione apoca
littica e sapienziale.48
Il movimento di venuta nel mondo, annunciato dal Verbo in l,9a, trova in tal
modo la sua conclusione nel v. 14. Ha attraversato di nuovo - ma più presto e più
rapidamente: a partire dal v. lOc - un centro di decisione che sollecita la libertà. Lo
attestano le affermazioni e i verbi utilizzati: «Il mondo non lo conobbe» (v. lOc); «I
suoi propri non lo accolsero» (v. llb: ou parelabon)', «Quanti lo ricevettero» (v. 12a:
hosoi de elabon). Al centro di questa unità letteraria come di tutto il prologo, gli ul
timi due verbi fanno eco al centro dell'unità precedente: «la tenebra non afferrò (ou
katelahen)» la luce (v. 5b). Il parallelismo di queste due unità diventa ancora più
evidente. L’analogia delle descrizioni di Giovanni (vv. 6-8) e del Verbo incarnato
(v. 14) lo conferma.
Questo secondo passo rilancia un terzo movimento, una terza unità letteraria
che ci condurrà al termine del pr ologo. Q ui si riparte in qualche m odo «dal basso»
per risalire verso «l’alto», senza per questo dover abbandonare l’universo - l’uni
versale! - concreto dell’incarnazione. Il v. 15 forma con il v. 8b un’inclusione che
45 J.A.T. R obinson, Possiamo fidarci del Nuovo Testamento? (Piccola collana moderna 38), To
Questo esempio illustra bene il senso dell’uso più che mai generalizzato di
questo verbo in tutto il corpus della Scrittura. Si tratta di un verbo di supplica.50
La proclamazione di Giovanni mette chiaramente in luce la differenza fra le
due prospettive, cronologica e logica (ontologica, fino a un certo punto), secondo le
quali il quarto Vangelo presenta costantemente Gesù, e delle quali Giovanni è l’in
dicatore, l’indice. 51 La stessa distinzione serve anche da nuovo principio esplicativo
per i due passi su Giovanni contenuti nel prologo. Il primo colloca il Verbo prima di
Giovanni, e quest’ultimo rappresenta allora il punto culminante della testimo
nianza di Israele. Il secondo introduce Gesù dopo Giovanni: si tratta sempre del
Verbo, ma in questo caso Giovanni è collocato alla base della testimonianza della
Chiesa. Tutta la Scrittura, Antico e Nuovo Testamento, è in definitiva da leggere
secondo la complementarità di questi due assi. Tale complementarità rientra nel
campo dell’apocalittica.52
L’ottica giovannea considera la Legge sotto l’aspetto del dono fatto dal Si
gnore al suo popolo tramite Mosè, in sintonia con l’espressione giudaica utilizzata
per indicare il dono della Torah al Sinai: mathan Torah. Se questa economia del
dono viene eliminata, tutto precipita in un pervertimento dei segni: il seguito del
Vangelo lo farà vedere chiaramente. Il prologo ristabilisce l’economia divina sulle
sue giuste basi. Ci muoviamo all’ interno di una logica di sovrabbondanza, coronata
dalla grazia e dalla verità in Gesù Cristo. Il rapporto non va visto sotto l’aspetto
della successione temporale, e ancor meno della sostituzione. Il meccanismo della
testimonianza di G iovanni al v. 15 non permette queste semplificazioni. I l rapporto
orienta verso una permanenza dei termini collegati, raggiungendo il cuore della re
lazione fra l’Antico e il Nuovo Testamento. Viene in tal modo stabilita la giusta re
lazione del Cristo e della Chiesa con gli uom ini, così come con t utte le religioni e le
culture del mondo.
The Trial Version
53 E. Trocmé, «Jean et les synoptiques. L’exemple de Jean 1.15-34», in The Four Gospels 1992,
Festschr. F. Neirynck, a cura di F. V an S egbroeck e a., t. Ili (BETL 100), University Press - Uitgeverij
Peeters, Leuven 1992, 1936.
Ciò sbarra la strada a ogni possibilità, per l’uomo, di coglie re l’essenza divina.
Il principio non viene messo in discussione, anzi, viene persino richiamato per sot
tolineare la c ontinuità dell’alleanza. lGv 4,12 si spingerà il più lontano possibile in
questa direzione, precisandola ulteriormente:
«Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di
lui è perfetto in noi».
87(1987), 435-441; dello stesso autore, in risposta a I. de la Potterie, si veda anche: «Le mot final du pro
logue johannique. À propos d’un article récent», in RevThom 89(1989), 279-288.
55 Secondo la punteggiatura giustificata e adottata da C.K. Barrett, The Gospel according to St.
John, The Westminster Press, Philadelphia 1978, 160-161.
Grazie alla sua relazione unica col Padre, il Figlio si comunica in noi trasci
nandoci56 con sé. Il duplice significato del verbo finale: exègésato, valorizzato da R.
Robert, segna quella che in linguaggio musicale si dice una «corona». «Fu la guida /
fu la via» invita a rileggere da capo l’insieme del prologo alla luce dell’ultima bat
tuta. Questo «finale» fa anche da transizione al racconto storico che segue.
La mediazione testuale del Vangelo e sprime la circolar ità da Dio a Dio attra
verso il Cristo in noi e a nostro favore. Ci viene offerto così un criterio di spiega
zione dello stile ciclico e litanico del quarto Vangelo. Ma su questo aspetto della
composizione del testo dovremo tornare più diffusamente.
The Trial
56 Version
«Egli trascina» è la traduzione adottata per Gv 1,18 da A. Chouraoui, Un Pacte neuf, Brepols,
1984, 213. «E gli trascinò» rispetta la sfumatura dell’aoristo. Q uesta traduzione offre il vantaggio di com
binare i due significati complementari del verbo exègeomar. «condurre da un luogo a un altro», assumen
dosi la responsabilità della guida (significato abituale di ègeomai), e «far comprendere», in una prospet
tiva spesso messa in evidenza: Gesù, come Figlio, è l’esegesi e l’esegeta del Padre. «Egli trascinò (là)»
cerca di rispettare la complessità del movimento precedente in cui vengono integrati i credenti.
I. Il genere letterario
1 Si veda la tavola sinottica di Pr 8,22-31.12-21; Sir 24,2-29; Gv 1,1-18 e Col 1,15-20, in J. Guillet,
Jésus-Christ dans l'Évangile de Jean (CahÉv 31), Paris 1980,20-21: riguarda lo sfondo di Pr 8 e Sir 24 per
il prologo.
2 Ad esempio Gen l,l-2.4a, ripreso da Sap 1,13-14; 2,23-24; 6,22-9,18.
3 Si veda A.J. Festugière, «A propos des arétalogies d’Isis», in HTR 42(1949), 209-234; É. des
Places, «Hymnes grecs au seuil de l’ère chrétienne», in Bib 38(1957), 113-129, specialmente 120. Un
esempio offerto da Diodoro Siculo:
«Io sono Iside, la regina di ogni paese, quella che è stata educata da Hermes, e le leggi che ho sta
bilito, nessuno (le) può sciogliere.
Io sono la più antica figlia del dio Kronos - il più giovane.
The Trial Version
Io sono la sposa e la sorella del re Osiride.
Io sono la prima ad aver trovato per gli uomini un frutto.
Io sono la madre del re Horus.
Io sono colei che si è levata nella stella del Cane.
Per me, la città di Bubasti è stata costruita.
Salve, salve, Egitto che mi ha nutrita!».
4 È questa l'opinione di P. Beauchamp, ripresa da M. G ilbert, voce «Sagesse de Salomon (ou Li-
vre de la Sagesse)», in DBS XI, 1991, col. 78.
5 La vita si incarica, in una sola giornata, di farci esistere a livelli diversi di esperienza.
6 M.-E. Boismard, Le Prologue de saint Jean (LD 11), Cerf, Paris 1953, 108, 129, 179.
7 Ivi, 106-108.
8 Può essere interessante consultare alcuni dei saggi più rece nti: R.A. C ulpepper, «The Pivot of
John’s Prologue», in NTS 27(1981), 1-31; M. G irard, «Analyse structurelle de Jn 1,1-18: l'unité des deux
Testaments dans la structure bipolaire du Prologue de Jean», in ScEs 35(1983), 5-31 (questo autore ridi
stribuisce i membri del chiasmo); L. Devillers, «Exégèse et Théologie en Jn 1,18», in RevThom
89(1989), 181-217 (questo autore segue Boismard accogliendo alcune proposte di Culpepper).
’ M.-F. Lacan, «Le prologue de saint Jean: ses thèmes, sa structure, son mouvement», LV
33(1957), 91-110; secondo questo autore, il testo comprende due parti principali, ma la seconda è suddi
visa in due tempi:
The Trial
I. Version
A. w. 1-2
B. v. 3
C. vv. 4-5
IL A. w. 6-8
B. w. 9-11
C. w. 12-14
A. V. 15
B. vv. 16-17
C. V. 18
L. Ramaroson, «La structure du prologue de Jean», in ScEs 28(1976), 288, adotta uno schema si
mile. ma con suddivisioni diverse:
I. w. 1-4
II. vv. 5-11
w. 12-18
I. de la P otterie, «Struttura letteraria del prologo giovanneo», in Studi di cristologia giovannea
(Dabar. Studi biblici e giudaistici). Marietti. Genova 1986,31-57 (specialmente 34-35), propende per una
struttura dinamica: vv. 1-5.6-14.15-18. H. Ridderbos, «The Structure and Scope of thè Prologue to thè
Gospel of John», in NT 8(1966), 180-201, si pronuncia più nettamente a favore di tre parti, di cui svi
luppa soprattutto l’interpretazione, senza dare molto spazio alla giustificazione delle proprie opzioni dal
punto di vista letterario: vv. 1-5.6-13.14-18.
10 L’intenzione di operare una sintesi fra analisi diacronica e sincronica anima la ricerca di C.H.
Giblin, «Two complementary literary structures in John 1:1-18», in JBL 104(1985), 87-103. Questo au
tore vede profilarsi il seguente movimento:
X. A. w. 1-2 Y. B’. w. 14-17 (b’. v. 15)
B. w. 3-9 (al centro: b. w. 6-8) A’. v. 18
C. vv. 10-11
C’. vv. 12-13 (aggiunta: c’. v. 13)
lì bello studio di R. Meynet, «Analyse rhétorique du prologue de Jean», in RB 96(1989). 481-510,
offre il vantaggio della sintesi e di una metodologia unificata e rigorosa. Anch’esso distingue tre parti:
vv. 1-11.12-13.14-18. La sua particolarità, in una direzione già intuita da C.H. Giblin, consiste nel collo
care i due passi su Giovanni al centro delle unità letterarie situate agli estremi, il che riduce la parte cen
trale ai vv. 12-13.
11 Non si finirebbe mai di passare in rassegna i vari saggi. M. Choijn, I.e Prologue et la dynamique
de l’Evangile de Jean, Editions ÉMCC, Lyon 1995, è l’ultimo in ordine di data di cui abbiamo potuto
avere conoscenza. La struttura «matrice» è riassunta nello schema seguente (p. 29):
(A) (B) (C) (D) (E)
(1) v. 1 v. 2
(2) w. 3-4 v. 5 vv. 6-8
(3) v. 9 vv. 10-11 v. 12 v. 13
(4) v. 14a-c v. 14de v. 15 w. 16-17 v. 18
La stessa struttura varrebbe per l’insieme del Vangelo e per alcuni brani-chiave come il cicco nato
(9,1-41), la donna adultera (8,3-11) e la vite (15,1-17). Come sempre, questo genere di proposta offre al
cuni elementi pertinenti che vanno presi in considerazione, ma è troppo complicato per essere utile ai
fini dell’interpretazione: il suo effettivo vantaggio non appare molto chiaramente. Un’altra proposta è
avanzata da V. Mannucci, Giovanni, il vangelo per ogni uomo (Leggere oggi la Bibbia 2.4), Queriniana,
Brescia 1995, 42-46 (con la bibliografia più recente). Questo lavoro, che offre il va ntaggio della volgariz
The Trial condotta
zazione. Version a partire da altri scritti più tecnici, ipotizza la seguente suddivisione: 1,1-5; 1,6-13;
1,14-18, soprattutto tenendo conto del parallelismo fra 1,1 e 1,14. Ora dobbiamo decisamente risolverci a
indicare ciò che riprendiamo da questi tentativi, e soprattutto a esprimere il nostro modo di vedere le
cose, con chiarezza e modestia; senza pretendere di possedere la soluzione giusta, presenteremo una so
luzione che tiene conto di altri lavori precedenti, che scaturisce da una conoscenza approfondita del
quarto Vangelo e che si sviluppa secondo una linea interpretativa sempre coerente.
Il secondo quadro riprende il rapporto del Verbo con «ogni uomo» (v. 9), e
quindi necessariamente con la creazione, per giungere al suo «divenire carne» (v.
14), cioè all’incarnazione. Anche questa volta lo fa passando per l’assunzione e il
superamento di una nuova tensione fondamentale, espressa di nuovo grazie al
verbo lambanein, dapprima con l’aggiunta del prefisso para: «Verso le sue cose
proprie venne, e i suoi propri non lo ac colsero (ou parelabori)» (v. 11), poi con la
sola radice verbale: «Quanti lo ricevettero (elabori), diede loro potere di divenire fi
gli di Dio» (v. 12).
Il terzo quadro parte dal secondo passo su Giovanni (v. 15) per gi ungere alle
affermazioni sul rapporto permanente del Verbo (de signato col nome di Gesù Cri
sto) con il Padre e con i credenti (vv. 17-18). Qui si passa per revocazione positiva
del rapporto fra «la sua compiutezza» e «noi tutti», per la terza volta tramite l’im
piego del verbo lambanein. Ci troviamo di fronte a una nuova sollecitazione della
libertà, ma senza conflitto: «Dalla sua compiutezza noi tutti ricevemmo (elabo-
meri)» (v. 16).
Le corrispondenze formali e lessi cali fra i rispettivi estremi dei tre quadri, raf
forzate dalle diverse occorrenze del verbo tonhawein-«ricevere» e dei suoi compo
sti, configurano un legame letterario e semantico di parallelismo fra i tre quadri
stessi.
1,1-8 1,9-14 1,15-18
Il Verbo (Il Verbo) Giovanni
in principio
La tenebra Venuta del Verbo Ricezione
non afferrò Non accoglienza della compiutezza
la luce Ricezione parte di «noi tutti»
Giovanni Incarnazione Gesù Cristo
il Padre
(destinatario)
The Trial Version
12 II lettore sarà avvantaggiato se terrà sotto gli occhi le pagine in questione, per seguire più age
volmente l’argomentazione che svilupperemo a servizio del testo, della Parola di Dio.
a) - Giovanni;
- Giovanni.
b) - Testimoniare a proposito di (+ testimonianza): due volte;
- Testimoniare a proposito di.
c) - egeneto - «divenne»; ouk èn - «non era»;
- èn - «era»; gegonen - «è divenuto».
(Leggero chiasmo)
Per avere una conf erma di questa prima im pressione, non rimane che da tro
vare, al rispettivo centro di queste unità, il punt o d’innesto di un nuovo parallelismo
che sostenga gli altri.
Queste
The Trial precisazioni
Version confermano il modo di vedere di Culpepper, a cui si rim
provera di stabilire, tra i vv. 9-10 e 14, rapporti esclusivamente di contenuto, non
sufficientemente ancorati nella configurazione formale del testo. Quest’ultima, per
la verità, non si riduce a un puro formalismo, e il ricorso al significato è indispensa
bile per da rle un fondamento. Le parole, le espressioni, le frasi e il loro significato
4. Primi risultati
15 Per sottolineare il carattere decisivo di questi versetti dal punto di vista della struttura lettera
ria, si possono citare alcuni autori della tradizione che hanno espresso con rara efficacia l’argomento di
dottrina teologica e spirituale in questione:
«Non è possibile né sapere né descrivere come ciò avvenga. Si può soltanto dire che il Figlio di
Dio ci ottenne e ci meritò di giungere a un grado tanto sublime, come afferma S. Giovanni, di poter es
sere figli di Dio e perciò E gli stesso lo chiese al Padre dicendo: (...) che [essi] per part ecipazione com
The Trial Version
piano in noi la stessa azione che io compio per natura, cioè quella di spirare lo Spirito Santo». San Gio
vanni della Croce (1542-1591) esprimeva già la stessa idea qualche riga più sopra: «L’anima unita e tra
sformata in Dio spira in Dio a Dio la stessa spirazione che Egli, stando in lei, spira in se stesso a lei». O
ancora: «Le anime possiedono per partecipazione gli s tessi be ni che Egli ( il Fi glio) possiede per nat ura.
In forza di ciò esse sono veramente Dio per partecipazione, uguali a Lui e sue compagne» (S. G iovanni
della Croce, Cantico spirituale, str. 38, Spiegazione, in Opere, Roma “'1979, 959-960).
Stessa eco in un autore più antico, Ilario (315-367), tenuto conto di altri passi del Vangelo, il cui
nucleo centrale tuttavia è già contenuto in questi versetti del prologo, e di cui risulta quindi della m as
sima importanza orientare correttamente l'interpretazione:
«Se infatti “il Verbo si è fatto carne” veramente, e veramente noi riceviamo il Verbo incarnato
mediante il ci bo eucaristico, come non crede re che egli dimora naturalmente i n noi? Lui che, per la sua
nascita come uomo, ha preso la natura della nostra carne ormai inseparabile da lui ed ha congiunto la
natura dell a sua carne con la natura divina nel sacramento con cui ci comunica la sua carne? Per questa
via tutti siamo una cosa sola, perché in Cristo c’è il Padre e nello stesso tempo Cristo è in noi» (Ilario,
La Trinità [Classici delle religioni], Torino 1971, 392-397).
Spingendosi più in là di molti altri autori, fra cui Giovanni della Croce, Ilario ricollega subito in
The Trial Version
carnazione ed eucaristia per sottolineare, al di là di una dottrina della grazia per partecipazione, una par
tecipazione di natura alla sua vita che il Figlio ci concede donando se stesso a noi nell’incarnazione e nu
trendoci di sé: continuando la comunicazione di se stesso nell’eucaristia. È questo, a nostro avviso, il
punto nevralgico delle affermazioni del pr ologo. E ra nec essario evocarne la por tata a livel lo i nterpreta
tivo per aiutare il lettore a non perdere la pazienza in un dedalo di analisi il cui interesse è dato soltanto
dal sapore di questo dono!
The Trial
18 Version
M. Girard inserisce un’interruzione fra i vv. 1-2, 3b-4a e 4b-5, per metterli rispettivamente in
rapporto con i vv. 14-18,10-13 e 6-9. Dobbiamo ammettere che non siamo riusciti a seguire bene le ope
razioni che giustificano questa suddivisione.
19 Questi rapporti scompaiono nella suddivisione di C.H. Giblin, che preferisce riconoscere un
ruolo centrale ai due passi su Giovanni. Le argomentazioni avanzate da R. Meynet sono più convincenti.
Ma in tal modo scompaiono i fenomeni di parallelismo fra unità, il che va a sfavore dell’interpretazione.
Il rapporto fra i termini dei vv. 1-3 e 6-7, agli estremi di questa unità, manife
sta già una struttura concentrica e un certo parallelismo:
v. 2 - COSTUI era... ...PRESSO DIO
v. 3 Divennero tutte-le-cose tramite lui
Non divenne
È divenuto
v. 6 Divenne ...DA DIO
v. 7 - COSTUI venne tutti tramite lui
Questi fenomeni congiunti vanno nella direzione evocata dai rapporti fra i
primi tre versetti: Giovanni, sul piano della storia, viene definito per analogia col
Verbo e, al limite, il Verbo viene reciprocamente definito per analogia con Gio
vanni. Dio fa da riferimento ai due, che partecipano del suo essere in proporzioni
radicalmente dissimmetriche.
In questa prospettiva, i rapporti tra i w. 1 e 8 non fanno che assumere maggior
risalto. Gli estremi delle due proposizioni-limite mettono in evidenza da un lato, in
positivo, il Verbo, e dall'altro, in negativo, la luce.
La luce ritorna a tre riprese nei vv. 4-5 (due volte in maniera esplicita, una
terza volta sotto forma di pronome). Allo stesso modo, se Yen autòi di l,4a è tra
dotto con: «in lui (il Verbo)», secondo la lezione da noi adottata, anche il Verbo è
messo in evidenza al centro di questa unità. Abbiamo dunque il seguente schema:
v. 1 Verbo
Verbo
w. 4-5 (Verbo)
Luce
v. 8 Luce
The Trial Version
Luce
Di conseguenza i vv. 4-5, che contengono la frase: «La tenebra non l’afferrò»,
si ricollegano al v. 1, ma anche ai vv. 2 e 3 e al v. 8, che a sua volta conclude i vv. 6-7.
Dopo tutti i contatti verbali già rilevali fra queste due unità, è sufficiente ri
chiamarli in maniera sistematic a, in modo da mettere in risalto il parallelismo delle
loro rispettive disposizioni concentriche:
A B A’
Le tre unità letterarie attestano dunque un movimento simile sia al loro in
terno sia le une rispetto alle altre, vale a dire sull'asse verticale e su quello orizzon
tale. In termini linguisticamente più precisi, si può parlare dei due assi paradig
matico (di sostituzione) c sintagmatico (di successione), secondo il modello: A B
The Trial Version
A’. Gli elementi centrali (B) di ogni unità (vv. 4-5.11-13.16) presentano un paralleli
smo più marcato grazie al rilievo dato ai verbi che esprimono la reazione dei rispet
tivi ambienti in cui sopraggiungc il Verbo-parola: la tenebra, il mondo e la «pro
prietà» del Verbo: «noi».
Il prologo dipinge questo aspetto dell’economia storica del disegno di Dio nei
termini di una parola di Giovanni, di tipo profetico e apocalittico, che combina co
stantemente due prospettive: una prospettiva cronologica, in cui Gesù succede a
Giovanni, e una prospettiva ontologica in cui lo stesso Gesù, come Logos dell’ori
gine, precede radicalmente Giovanni.
Il quarto Vangelo, dunque, non dice esattamente la stessa cosa affermata da
Matteo e dagli Atti. Adotta tuttavia gli stessi criteri, combinandoli fra loro. Quale
sarebbe allora la sua impronta peculiare? Questo inno sul Verbo, letterariamente e
teologicamente parlando, non è incentrato su di lui, ma sull’effetto salvifico del
Verbo incarnato nell’uomo all’interno della storia. Ciò che ha maggior importanza
avviene dunque sia sul piano della reazione dell’uomo alla Parola che si r ivela, sia
sul piano della Parola stessa. La Parola non si rivela che per essere compresa e rice
vuta. Dandoci il suo Figlio, Dio ha di mira noi. Nel Cristo, Dio solidarizza con
l’uomo al punto da renderlo, come scrive Giovanni della Croce, «Dio per partecipa
zione».
Riprendendo il titolo di uno studio di P.-H. Simon,20 potremmo dire che ciò
che interessa di più al quarto Vangelo è «l’uomo sotto processo»! Nel contesto della
Bibbia, si tratta di un «processo nel quadro dell’alleanza». In questo senso, la cate
goria del «giudizio» è quella che meglio permette di tradurre in termini biblici i
«centri di decisione», nel cuore di ciascuno dei tre sviluppi che si succedono ne l pro
logo. Questa prospettiva permette una nuova schematizzazione, forse più globale c
più completa, del movimento d’insieme che abbiamo delineato all’inizio del nostro
tentativo di interpretazione.
21 Pr 8,22-26: «prima della creazi one»; 27-29: «durante la creazione»; 30-31: «ogni giorno; sem
pre». Q uesti momenti del t esto sono tr asformati ma nel lo st esso t empo m antenuti nel quadro di un’eco
nomia di incarnazione.
Questo asse mette in evidenza il tema della Parola. Il prologo parte da essa e
vi ritorna all’inizio dell’unità centrale; il secondo passo su Giovanni gli fa «dire la
Parola». Le sue risonanze sono essenziali e integranti: Dio, luce e mondo, l’uomo
testimone, che grida (!) e parla. Non c’è parola senza queste componenti. È detto,
non spiegato, e meno ancora giustificato: penetrazione di parola nell’universo co
smico e umano, alla stessa stregua dell’accesso di ogni piccolo d’uomo al linguaggio.
Parlare significa mettere in moto questo complesso meccanismo: impegna la tota
lità di Dio e la totalità dell’uomo. È questo il motivo per cui il termine «Verbo»
esprime così bene ciò che l’autore intende dire. In tal modo, come in nessun altro
testo del Nuovo Testamento o della letteratura universale, la Parola viene a essere
celebrata come Parola-testimone di ciò che Dio è, di ciò che è l’uomo, e di colui che
cerca di dire l’uno e l’altro nella verità del suo grido e della sua parola.
5 Cf. Es 24,11.
The Trial Version
6 Es 24,12-18.
7 Nella stessa raccolta di studi in onore di J. Gnilka, E. Ruckstuhl prende posizione a favore del la
storicità della chiamata dei discepoli in Gv 1,35-51, mentre J. Er nst esprime un giudizio negativo in pro
posito, come osserva M. Stowasser, Johannes der Taiifer im Vierten Evangelium (OsterrBibSt 12), Klo-
stemeuburg 1922, 149.
8 Es 20,3-7; Dt 5.7-11.
9 Si veda l’articolo di A. L aurentin, «We'altah-Kai nun. Formule caractéristique des textes juri-
diques et liturgiques (à propos de Jean 17,5)», in Bib 45(1964), 168-197; 413-432. Si deve forse at tendere
Gv 17 per vedere attualizzarsi l’alleanza nella persona del Figlio che si rivolge al Padre ricapitolando
tutto quello che c’è stato nella propria vita e nello stesso tempo tutta l’opera del Padre nella creazione e
The Trial Version
nella storia.
10 R.E. Brown, Giovanni. Commento al vangelo spirituale (Commenti e studi biblici), Assisi
1991, 56.
11 Si veda J. H arvey, Le plaidoyer prophétique contre Israel après la rupture d’alliance (Studia
22), Bruges-Paris-Montréal 1967. Più recente e più dettagliato è lo studio di P. Bovati, Ristabilire la giu
stizia (AnBib 110), Biblical Institute Press, Roma 1986.
Nel presentare questo polo giudeo o giudaico, il quarto Vangelo è molto più prudente di quanto non
venga abitualmente suggerito.
17 Brown, Giovanni, 56.
18 Nm 3,11; lCr 23,6; Ez 44,15 e relative note in BJ 1973.
19 R. Schnackenburo, lì vangelo di Giovanni.I, Brescia 1973, 382.
20 È il verbo della preghiera: Gv 16,23; 17,9; ecc.
21 Brown, Giovanni, 56.
22 Cf. Mt 10,32 e il suo parallelo Le 12,8; Rm 10,9-10; lTm 6,12; lGv 2,23; 4,2-3.15; 2Gv 7; il verbo
The Trial
indica Version
anche la confessione dei peccati in lGv 1,9.
23 Gv 13,38; 18,27.
24 Gv 18,4.6.8.
25 E.D. Freed, «Ego Eimi in John 1:20 and 4:25», in CBQ 41(1979), 288-291, citato da Léon-
Dufour, Lettura, 1,224. C ’è un'eccezione per il cieco guarito in Gv 9.9, dove leggiamo l’espressione nel
senso forte di uno stretto rapporto fra il credente e il Cristo.
3,1 «Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me28 e su
bito entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate; l’angelo dell’alleanza,
che voi sospirate, ecco viene,29 dice il Signore degli eserciti.
2 Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è
come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai.
3 Siederà per fondere e purificare;30 purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e
argento, perché possano offrire al Signore un’oblazione secondo giustizia.
4 Allora l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei
giorni antichi, come negli anni lontani.31
5 Io mi accosterò a voi pe r il giudizio e sarò un testimone pronto contro gli incan
tatori, contro gli adùlteri, contro gl i spergiuri, contro chi froda il salario all’ope
raio, contro gli oppressori della vedova e dell’orfano e contro chi fa torto al fo
restiero. Costoro non mi temono, dice il Signore degli eserciti. (...)
16 Allora parlarono tra di loro i timorati di Dio. Il Signore porse l’orecchio e li
ascoltò: un libro di memorie fu scritto davanti a lui32 per coloro che lo temono e
che onorano il suo nome.
17 Essi diverranno - dice il Signore degli eserciti - mia proprietà 33 nel giorno che
io preparo. Avrò compassione di loro come il padre ha compassione del figlio
che lo serve.
18 Voi allora vi convertirete e vedrete la differenza fra il giusto e l'empio, fra chi
serve Dio e chi non lo serve.34 (...)
26 Stowasser, Johannes der Taiifer im Vierten Evangelium (cf. sopra, nota 7), 79-83, per il titolo
«Cristo» e per molti altri aspetti del testo relativizza abbastanza decisamente l’impatto delle remini
scenze bibliche, sottolineando, forse a ragione, il loro significato dal punto di vista delle comunità batti-
ste e cristiane del tempo.
27 Riportiamo il testo per comodità del lettore. Al cune note richiamano l’attenzione sui punti più
significativi.
28 Cf. Is 40,3, citato in Gv 1,23.
29 Cf. Gv 1,29.
30 Cf. Gv 2,13ss.
me la proprietà tra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e
una nazione santa».
34 Cernita, discernimento: categoria apocalittica del giudizio.
Si cita spesso lEnoc 90,31 e 89,52 per illustrare ci ò che a quel tempo si pen
sava a proposito di Elia.35 Il testo aggiunge poche informazioni, ma è interessante
dal punto di vista del suo genere letterario. È uno scritto di tipo apocalittico che
considera sia la partenza sia il ritorno di Elia nella propria ottica. Contribuisce in tal
modo a confermare la caratterizzazione apocalittica assunta da Elia.
Sir 48,1-11, posteriore a MI 3,23-24 a cui fa riferimento (cf. v. 10), illustra a sua
volta l’integrazione apocalittica della Sapienza. L’apocalittica e la Sapienza, lungi
dall’escludersi o dal confondersi, si completano a vicenda. L'interesse del v. 11 con
siste nell’apertura di un orizzonte di speranza:
«Beati coloro che ti vedranno (Elia)
e che si sono addormentati nell’amore!
Perché anche noi vivremo certamente».36
35 Si veda il testo in: Apocrifi dell’Antico Testamento. I (Classici delle religioni), Torino 1981,
617.629; in totale non viene detto molto di più di ciò che si trova nella Bibbia: «L’assunzione di Elia sem
bra destinata a sottrarlo alla persecuzione, cosa che non viene suggerita dalla Bibbia» (La Bible. Écrits
intertestamentaires [Bibliothèque de la Plèiade 337], Paris 1987, 586, nota 52).
36 A proposito di questo versetto, in BJ 1973 troviamo la nota seguente: «Versetto difficile, dal te
sto incerto. L’autore, dopo aver fatto l’elogio del profeta, afferma che gli altri, coloro che lo vedranno al
momento del suo ritorno, come pure coloro che saranno morti nell’amore (di Dio?), vivranno eterna
The TrialÈ Version
mente. una esplicita affermazione della speranza. Ma l’ebr., disgraziatamente mutilo (“felice chi ti
vede”), allude forse semplicemente a Eliseo che vide la scomparsa di Elia (2Re 2,10.12). Si avrebbe qui
allora una semplice transizione ai versetti successivi».
37 Brown, Giovanni. 62-64.
38 M.J.J. Menken, «The Quotation from Is 40,3 in John 1,23», in Bib 66(1985), 190-205; per la
Il v. 24 comincia col lasciar aleggiare una certa ambiguità. Senza l’articolo, gli
inviati in questione (cf. 1,19) fanno probabilmente parte della stessa ambasceria,
ma la cosa non è chiara; con l’articolo, a volte attestato, è ancora meno evidente. La
difficoltà è data anche dal fatto che «sacerdoti e leviti» appartengono prevalente
mente alla cerchia dei sadducei. Schnackenburg adotta una lettura corretta:
«Non altri inviati, ma alcuni membri della stessa missione , che sono farisei, continuano
ad interrogare Giovanni, domandandogli il significato del suo battesimo».42
The Trial
” SiVersion
veda alla pagina seguente.
40 Stowasser, Johannes der Taiifer, 142.
41 «Gridare-forte», traduzione adottata per distinguere boaó. hapax nel Vangelo giovanneo, da
krazò, «gridare» (1,15; 7,28.37; 12,44).
42 Schnackenburg, Giovanni.!, 389. Non condividiamo affatto, invece, l'interpretazione di que
sto autore per quanto riguarda il rapporto con i giudei!
Gesù solo, in base al contesto più ampio, è collocato nella posizione dello
sposo (Gv 3,29). La sposa, qui, sembra non poter essere che Gerusalemme, rappre
sentata dai membri dell’ambasceria giudaica: sacerdoti, leviti, farisei (specialmente
questi ultimi). Gesù solo è dunque abilitato a porre il gesto che esprime il suo di
ritto di riscatto. L’umiltà di Giovanni, in questa prospettiva, consiste nel non attri
buirsi nulla che non gli sia dato dal cielo (3,27). Egli è l’amico dello sposo. Indi
cando Gesù come lo sposo, nello stesso tem po non si ritiene «degno»51 di un gesto
che appartiene soltanto allo sposo. Giovanni suggerisce il massimo a proposito di
Gesù, mentr e riconosce a se stesso una limitazione invalic abile. Questo simbolismo
ci conduce sulla stessa linea d’onda delle nozze di Cana. Il battesimo, l’immersione
nell’acqua, viene ad assumere un significato nuziale. È il preludio delle nozze:
«Mi sono tolta la veste;
come indossarla ancora?
Mi sono lavata i piedi;
come ancora sporcarli?».52
hannes der Taiifer, 145-147; questo autore conclude che i pareri in proposito restano molto diversificati:
Wadi el-charrar, in Perea, all’altezza di Gèrico, sull’altra riva del Giordano (C.H. Kraeling, 1950); E.
The TrialsiVersion
Trocmé muove decisamente nel la stessa direzione: una regione al l’estremità sud-occident ale della Ba-
tanea (R. Riesner, 1987); parere critico di J. Murphy-O’Connor, «John thè Baptist and Jesus: History
and Hvpothesis», in NTS 36(1990), 359-374.
54 Brown, Giovanni. 59. Sulla linea di un’analoga lettura, si veda S. Voigt, «Topo-geografia e
teologia del Battista nel IV vangelo», in SBFLA 27(1977), 69-101. Per un’ultima messa a punto, si veda:
LJ. Perkins, «Bethany», ABD 1,702-703; R. Riesner, «Bethany beyond thè Jordan», ABD 1,703-705.
1. Il tempo
2. L’agnello di Dio
Si può raccogliere un intero dossier a proposito del titolo conferito a Gesù per
due volte (1,29.36) da Giovanni: «Vedi60 (ide): l’agnello di Dio». Per apprezzarlo
meglio, bisogna esaminarlo in tutta la sua ricchezza,61 cominciando col chiarire il le
game tra agnello e sacrificio.
A. Agnello e sacrificio
59 «Il veniente», come dice il titolo di una monografia consacrata prevalentemente al termine nel-
T Apocalisse, ma anche nella letteratura giovannea: J.F. Toribio C uadrado, «El viniente», Estudio exe-
gético y teològico del verbe erchesthai en la literatura joànica (Monografias de la revista «Mayéutica» 1),
Zaragoza 1993 (per i vv. 1,29-30, cf. p. 303).
The Trial Version
60 Invece di «ecco», per rendere percepibile una nuova occorrenza di un verbo di visione, e in
particolare del verbo della visione di fede: horaò.
61 Una buona sintesi della questione in Léon-Dufour, Lettura, 1,240-245; questo autore continua
a militare a favore di un’interpretazione forse troppo unilateralmente anti-sacrificale; si veda anche:
Stowasser, Johannes der Tailfer, 100-109; Toribio Cuadrado, «El viniente», 301-303.
C. Simbolismo nuziale
Lv 14,12, dove l’agnello è offerto in sacrificio di riparazione per il peccato» (p. 164). A nostro avviso, il
riferimento a Is 53,7 è costante, dal principio alla fine del Vangelo.
64 C.H. Dodd, L’interpretazione del quarto vangelo (Biblioteca teologica 11). Paideia, Brescia
1974, 290-291.
Il termine Israele indica il regno del Nord, dopo lo scisma verificatosi alla
morte di Salomone. Ma è in primo luogo il nome del popolo eletto unificato, nel
suo insieme, attraverso il nome del patriarca Giacobbe-Israele, «l'uomo che vede
Dio», secondo un’etimologia popolare attestata da Filone.65
Questa manifestazione anticipa già quella di Gv 21,1.14: il medesimo verbo
verrà utilizzato per la manifestazione di Gesù risorto sulla riva del lago di Tibe-
rìade. Nel contesto, questo verbo assume anche una colorazione apocalittica. La ve
nuta di Giovanni c il suo battesimo d’acqua non hanno sens o che in funzione della
manifestazione di Gesù a Israele. «Questa è cosciente interpretatio christiana et
christologica».^ Si tratta della precisa relazione, percepita da Giovanni, fra Gesù e
lui, fra il battesimo di Gesù e il suo. Lo Spirito indica il senso che Gesù può dare a
ciò che Giovanni fa ed è. In questa ottica, il testo distingue due tempi:
Questo tempo differenziato partecipa ancora una volta dell’unico evento che
è apocalittico. Esprime una rivelazione il cui autore rimane misterioso, innominato.
Indicato come: «Colui che mi mandò a battezzare, egli mi disse», non può essere
che Dio. Il modo in cui questo atto si diffrange nella lettera del testo lascia persino
indovinare il Dio Trinità: Spirito (l’innominato), Padre e Figlio.
Con queste distinzioni, l’evangelista fa capire fino a che punto Giovanni e
Gesù partecipino a un medesimo evento di rivelazione. La loro persona e la loro
funzione non sono dissociabili, come al limite non sono dissociabili lo Spirito, il Pa
dre e il Figlio. L’economia rispecchia la teologia. La storia è luogo di Dio.
The Trial Version
Giovanni non vede una nuova creazione nel suo incontro con Gesù, ma vede
«Qualcuno». In virtù della menzione dello Spirito e della colomba, ciò che egli vede
risulta in stretto rapporto con la creazione (Gen 1,2; cf. Is 11,1-2).
«La colomba (simbolo del favore divino ritrovato dopo il diluvio), che aveva lasciato
l’arca e non vi era più tornata, ritorna per portare a Gesù la gioia e il compiacimento
del Padre».67
Il simbolo della colomba assume in tal modo una portata sapienziale e apoca
littica.
«L’espressione “mia colomba, perfetta mia’’ indica la sposa di JHWH nella condizione
che deve essere la sua, una volta restaurata l’alleanza, e si riferisce all'attesa del nuovo
esodo annunciato dai profeti».70
67 J. Guillet, Jésus devant sa vie et sa mort (Intelligence de la foi), Aubier Montaigne, Paris
1971, 53.
“ Sai 68,14; 74.19; Os 11,11; Is 60.8; Ct 1.15; 2,14; 4,1; 5.2.12; 6,19, salvo restando il carattere net
tamente antropologico della colomba del Cantico. Inoltre si deve forse ricordare che Giona, Yonah, si
gnifica «colomba».
69 Apocrifi dell’Antico Testamento. II, 309; citato da A. F euillet, «Le symbolisme de la colombe
dans les récits évangéliques du baptéme», in RSR 46(1958), 536. Bisogna tuttavia precisar e con J. Guillet
che «la Chiesa è ancora lungi dal costituirsi, e Gesù ha appena cominciato a presentarsi fra gli uomini e a
definire i suoi rapporti con loro. In compenso, la sua collocazione rispetto al Padre è fin da questo mo
The
mentoTrial Version definita» (Guillet, Jésus devant sa vie, 53. nota 9).
perfettamente
70 Feuillet, «Le symbolisme de la colombe», 535. Per una lettura meno allegorizzante del Can
tico. si veda Y. Simoens, Le Cantique des Cantiques, comme livre de la plénitude. Une lecture anthropolo-
gique et théologique, IET, Bruxelles 1992.
' Dove si ritrova un’assunzione personale del sacrificio in termini esistenziali: «Uno spirito con
trito è sacrificio a Dio. un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi».
Dal punto di vista più specifico del passo giovanneo in cui Giovanni vede di
scendere lo Spirito-colomba, lo stesso autore osserva:
«Vedendo in quel momento lo Spirito discendere su di lui sotto forma di colomba, (il
Battista) ha compreso che Gesù aveva la missione di far apparire “la colomba”, cioè il
nuovo popolo di Dio, animato dallo Spirito divino: di conseguenza ha trovato del tutto
naturale che lo si abbandonasse per andare a Gesù».73
Non si tratta tuttavia né del «nuovo Israele», né del «nuovo popolo di Dio».
Queste espressioni farebbero pensare a una sorta di iato nell’alleanza. La prospet
tiva giovannea è più unificata. Il quarto Vangelo non ci fa assistere alla nascita di un
nuovo Israele né del nuovo popolo di Dio. Tali espressioni non sono né bibliche né
neotestamentarie, anche se costellano la letteratura esegetica, teologica, spirituale
e anche conciliare. Assistiamo invece alla nascita di Israele che vede il suo Dio in
Gesù secondo la testimonianza di Giovanni. Il popolo di Dio che nasce, è il popolo
déU’alleanza nel momento della s ua incandescenza escatologica e messianica. È lo
stesso popolo che all’inizio della nostra pericope è rappresentato dai giudei, dai sa
cerdoti e dai leviti, dai farisei. In virtù della rivelazione che gli viene accordata, Gio
vanni si trova di fronte a colui che dà compimento al suo essere personale e collet
tivo, dando compimento a quello dei suoi interlocutori. Una rivelazione in cui si as
sociano visione e parole esprime l’oggettività e l’assoluta gratuità dell’evento. Que
sta rivelazione è il fondamento della testimonianza de! Battista, che «include», in
senso letterario e interpretativo, Gv 1,19-34. Giovanni rilascia ora la propria depo
sizione: Gesù è «attestato» come Figlio di Dio.74
Il rapporto fra i due battesimi è così stretto da permetterci di pensare, con R.
Schnackenburg e ora anche con M. Stowasser, che siano il frutto di un’interpreta
zione cristiana dell’avvenimento. In questo caso, l’acqua del battesimo cristiano
esprime una memoria costante e attiva, nel sacramento, del rapporto con Giovanni
in quanto figura che ricapitola l’Antico Testamento e annuncia il Nuovo.75
72 Feuillet, «Le symbolisme de la colombe». 538. Bisogna tuttavia utilizzare con prudenza que
sta terminologia del «nuovo Israele», non attcstata nel NT.
73 Feuillet, «Le symbolisme de la colombe», 540. L’osservazione che abbiamo già fatto in prece
denza va ripetuta a proposito dell’espressione «nuovo popolo di Dio». «Il Battista, qui, è ancorato anche
dal lato cristiano; rende pubblico ciò che gli è stato rivelato: “Costui è colui che battezza ne(llo) Spirito
Santo” (1,33). Egli notifica ciò che, per la comunità ba ttista (cf. At 19,1-7) come per la comunità giovan
nea (cf. 3,1-11), rappresentava il bene più grande: la mediazione del pneuma divino» (Stowasser, Johan
nes der Taiifer, 144). Questo autore anticipa il simbolo che verrà applicato a Giovanni in Gv 5,35 per
suggerire la portata della presentazione che quest’ultimo fa di Gesù in 1,33-34: «Egli è davvero come una
lampada che permette un primo orientamento nelle tenebre, aiutando a trovare la via verso la luce
stessa: il Cristo giovanneo» (Ivi, Johannes der Taùfer, 145).
74 «Il Figlio di Dio»: lezione migliore, adottata da un esperto di critica testuale: G. Van Belle,
Les parenthèses dans l’évangile de Jean. Aperfu historique et classification. Texte grec de Jean (Studiorum
Novi Testamenti Auxilia XI), Leuven 1985. 244; «l’Eletto di Dio»: Is 42,1 (LXX), lezione adottata da
M.-E. Boismard, R.E. Brown, R. Schnackenburg, M. Stowasser (lectio difficilior). Nel primo caso si
tratta di un titolo regale (cf. Sai 2,7); nel secondo (hapax giovanneo: Le 23,25; 9,35: eklelegmenos) si
The
trattaTrial
di unVersion
titolo soprattutto profetico, sulla linea di altre reminiscenze del Servo neU’immediato conte
sto, di modo che è possibile dubitare dell’attendibilità di questa lezione. Dal punto di vista dell'interpre
tazione, il carattere trinitario che la lezione «il Figlio di Dio» permette di conferire a 1,32-34 ce la fa pre
ferire a «l’Eletto di Dio».
75 Rimane aperta la questione del rapporto fra il battesimo come lo conosciamo oggi nella Chiesa
e il battesimo che fu praticato all’epoca di Gesù e del Nuovo Testamento nelle comunità cristiane primi-
tive. Un’ottima analisi della questione ci è offerta da S. Légasse, Naissance du baptéme (LD 153), Paris
1993.
1 H.-J. K uhn, Christologie und Wunder. Untersuchungen zu Jn 1,35-51 (BibUnt 18). Regensburg
1988, 206.
2 Kuhn, Christologie und Wunder, 234.
3 «Erweislegenden»: Kuhn, Christologie und Wunder, 224.
«Come Gesù, anche Giovanni Battista fu segno di contraddizione: guida per gli uni,
schermo per gli altri. Da alcuni documenti più tardivi sappiamo che i suoi discepoli co
stituirono una setta che si opponeva apertamente ai cristiani».4
Il passaggio attraverso Giovanni sottolinea che dalla parte del giudaismo c’è
una soglia da varcare per accedere all’essere-discepoli di Gesù.
1. La coordinata temporale
4 A. Jaubert, Letture de l’É vangile de Jean (CahÉv 17), Ceri, Paris 1976, 6.
5 «Il Signore si rivolse a Mosè: “Va’ a riferire al faraone: Dice il Signore, il Dio degli ebrei: Lascia
partire il mio popolo, perché mi possa servire!”. (...) Il Signore fissò la data, dicendo: “Domani il Signore
The Trial questa
compirà Versioncosa nel paese”. Appunto l’indomani, il Signore compì questa cosa: morì tutto il be
stiame degli egiziani, ma del bestiame degli israeliti non morì neppure un capo» (Es 9,1-6).
6 Lv 23,11.15-16.
7 Nm 6,38; 9,42; 21,4.
8 ISam 5,3; 18,10; 20,27; 30,17; 31,8; 2Sam 11,12 - storia di Uria l’hittita -; 2Re 8,15 - ciclo di Eli
seo -; lCr 29,21 - unzione di Davide come re -; Gdt 7,1.
La descrizione dei fatti e dei personaggi, con i loro gesti e le loro parole, è det
tagliata ma sobria. Giovanni è presente.9 È insieme a due discepoli e fissa gli occhi10 11
su Gesù che sta passando. La sua indicazione: «Vedi: l’agnello di Dio»,11 non è una
semplice ripetizione di 1,29. Si tratta di uno schema di rivelazione che verrà utiliz
zato a più riprese sino alla fine del Vangelo. 12 Nel primo caso, la parola di Giovanni
si presentava in se stessa, senza che venissero indicati i destinatari. Qui, essa desi
gna Gesù con gli stessi termini, ma è rivolta ai due discepoli. Essi odono questa pa
rola di rivelazione. La formulazione adottata 13 si ritrova anche altrove.14 Uno dei te
sti più rivelatori permette di fare alcune intelligenti osservazioni:
«Udii un santo parlare e un altro santo dire a quello che parlava» (Dn 8,13).
«Questa presentazione di una rivelazione in un dialogo misterioso, le cui domande
sono quelle stesse che si pone il veggente, si ritrova in Zc 1,8-17».15
3. La sequela di Gesù
Il fatto che i discepoli si mettano a seguire Gesù introduce anche al tema della
Sequela Christi. I suoi sviluppi, non solo nelle tradizioni evangeliche,16 ma in tutta la
tradizione della Chiesa, non hanno bisogno di essere dimostrati.
17 Gv 20,14.16: Maria di Màgdala al sepolcro; 21,20: Pietro e i l discepolo che Gesù amava, a Tibe -
rìade.
18 Questa osservazione induce H.-J. Kuhn a far rientrare 1,38 nella «tradizione di miracolo»
The Trial
(Kuhn Version und Wunder, 82-83).
, Christologie
19 Un altro tipo di allusione a questo testo si trova in Le 9,61-62.
20 R. Bultmann, The Gospel of John, Oxford 1971, 100.
21 Gv 18,4-8: tre volte, con la triplice ripresa di Egò eimi.
22 Gv 20,15.
23 Cf. Gv 1,41.45: «L’abbiamo trovato!»; cf. Pr 16,8; 8,17; Ct 3,1-2; 5,6; Sap. 6,12.14.16; 13,6.
Dal punto di vista della spiegazione alla luce della storia delle tradizioni, è si
gnificativo il testo di Dn 2,26:
«Il re disse a Daniele (...): “Puoi tu davvero rivelarmi il sogno che ho fatto e darmene
la spiegazione?”».25
Ancora una volta, questo tipo di segnale che costella il racconto rientra nel
l’ambito dell’apocalittica. Il racconto stesso assume quindi questo tono.
Per quanto riguarda il contenuto della domanda, possiamo citare un’osserva
zione di Bultmann:26
«È essenziale sapere dove Gesù “vive”, perché là dove Gesù è a casa sua, anche il di
scepolo riceverà la propria dimora (14,2)».
24 Kuhn, Christologie und Wunder, 94, fa notare che il modo i n cui s i di stribuisce questa forma
espressiva permette di effettuare dei raggruppamenti e una classificazione dei capitoli, nonché una clas
sificazione dei generi letterari utilizzati: tradizione di miracoli per Gv 1,38.41.42; 4,5.25; 5,2; 9,7.11;
11,17.54; resoconto della passione e di apparizione: 19,13.17a.l7b; 20,16.24; 21,2. L’espressione è total
mente assente nei cc. 2, 3, 6-8, 10, 12-18.
25 Kuhn, Christologie und Wunder, 94-95.
26
The Trial B Version
ultmann, The Gospel of John, 100.
27 Ibidem.
28 Boismard - Lamouille, Jean, 98.
29 Bisogna forse intendere: «Nessuna distanza che superasse i limiti prescritti».
30 Brown, Giovanni, 98.
31 Cf. Dn 11,40.45; 12,1; Gv 4,6.52-53; 13,1; 19,14.27.
1. Il ruolo di Andrea
Il quarto Vangelo identifica uno solo de i due discepoli di Giovanni che diven
tano discepoli di Gesù: Andrea. I Sinottici sono unanimi nell’indicare nei due fra
telli: Simone - nominato per primo - e Andrea, i primi due uomini chiamati da
Gesù.32 Definito come fratello di Simon Pietro - che si presuppone noto al lettore,
dal momento che non è ancora stato menzionato -, Andrea entra in scena in modo
tale da non lasciarci conoscere il nome del secondo discepolo. Tenuto conto della
somiglianza delle due formulazioni di Gv 1,40 e 13,23, potremmo pensare che si
tratti del discepolo che Gesù amava.
«L’ipotesi è ammissibile, ma non dimostrabile», scrive R. Schnackenburg.33
Se, per ragioni di critica letteraria , non si tiene conto del v. 43, potrebbe trat
tarsi soltanto di Filippo che, al pari di Andrea, «trova» un altro e lo porta da Gesù.34
È l’ipotesi adottata da X. Léon-Dufour.35 Tuttavia, una volta inserito il v. 43 nella
trama di queste scene evangeliche, è difficile che Gesù dica ancora a Filippo: «Se
guimi» (v. 43), dal momento che que st’ultimo si era già messo a seguirlo con An
drea (v. 40). Il suggerimento che emerge dal testo è più semplice. Ci sono diversi
tipi di chiamata. Ogni chiamata di Gesù è unica. Si rivolge a persone diverse e a sto
rie sacre differenti. Alcuni restano nell’ombra, in incognito, pur essendo determi
nanti nella vita della comunità. Il discepolo «senza nome» sembra rientrare in que
sta categoria. I figli di Zebedeo, senza che vengano specificati i loro nomi, 36 sono ci
tati soltanto in Gv 21,2. Un enigma aleggia su questo personaggio senza nome. Una
simile lacuna nel testo non induce forse a pensare che si tratti dell’autore del Van
gelo?
Le indicazioni del v. 40 riprendono quelle del v. 37, offrendo un primo indizio
di inclusione intorno a un centro testuale rappresentato dai w. 38-39:
vv. 35-37 GIOVANNI e i due discepoli
vv. 38-39 GESÙ e i due discepoli
vv. 40-42 ANDREA conduce suo fratello a GESÙ.
Lo scenario è ancora una volta diverso da quello che si riscontra nella ver
sione sinottica. Bisogna attendere l’equivalente giovanneo della confessione di Pie
tro a Cesarea di Filippo (Gv 6,68-69) per veder affermarsi l’ autorità di Pietro. Qui,
al v. 41, Andrea identifica Gesù come il Messia. Lo indica a Simone con questo ti
45 Lettura di C.H. D odd, La tradizione storica del quarto vangelo (Biblioteca teologica 20), Bre
scia 1983, 374, nota 16; lo segue Léon-Dufour, Lettura, 1,268-269.
46 Filippo, uno dei Sette, distinto dai dodici apostoli (At 6,1-6), evangelizza la Samaria secondo
At 8,4-8. Ma non si tratta dello stesso personaggio citato qui.
Il risalto dato al verbo «scrivere» (che in greco è collocato prima del soggetto)
attribuisce dunque a Mosè, autore della Legge, e ai profeti, autori delle profezie,
un’attività di scribi. Tale attività può essere imputata ai Sapienti di Israele, il cui
mestiere consiste per l’appunto nello scrivere. Ed è ugualmente imputabile agli au
tori apocalittici. Lo «scrivere» rientra nelle funzioni di questi Sapienti. L’emblema
dell’apocalittica è infatti il libro, la Scrittura. L’avevamo già visto a proposito di MI
3,16 (Dn 7,10; 12,1). Il libro occupa un posto importante in una ricapitolazione di
tutto il disegno di Dio da parte della Sapienza e del Sapiente:
«Tutto questo (la Sapienza presente all’origine, nella creazione e nella storia dell’ele
zione, a Gerusalemme, nel tempio, nella terra delle promesse) è il libro dell’alleanza
del Dio altissimo,48 la Legge che ci ha imposto Mosè, l’eredità delle assemblee di Gia
cobbe» (Sir 24,22).
La Sapi enza che fa il proprio elogio si condensa nel libro. E il libro è svelato
grazie a una rivelazione del veggente apocalittico. Il titolo attribuito a Gesù
esprime in questo senso una ricchissima interpretazione cristologica:
- della Torah sacerdotale scritta, il cui supporto per lo meno letterario, nel-
l’Antico Testamento e nel nostro testo, è Mosè, legislatore, profeta (cf. Dt
18,18) e iniziatore del sacerdozio aronnitico (Es 4,13-16);
- della profezia messa per iscritto, il cui supporto è costituito questa volta dai
profeti e dai loro discepoli, perché gli uni «parlano» e gli altri «scrivono»;
3. Il figlio di Giuseppe
Anche qui, più che mai, la percezione, pur essendo semplice, non è semplici
stica. Evita accuratamente la banalità. Chiama in causa le molteplici risonanze delle
espressioni.
«Il figlio di Giuseppe rimanda innanzitutto al carpentiere di Nazaret di cui si pensava
che Gesù fosse figlio; ma non potrebbe evocare anche il Patriarca da cui i samaritani
attendevano una restaurazione della monarchia israelitica? Al di là del suo significato
letterale, l’espressione “figlio di Giuseppe” non potrebbe avere un senso più ampio,
come l’espressione “figlio di Davide” che si trova nei Sinottici ma che non è presente
nel testo di Giovanni?».54
Siamo poi sicuri che si tratti di una figura regale? 55 Non bisognerà attribuire a
questo personaggio anche una dimensione sacerdotale'! L’identità del Messia-Unto
include i due poli, del re e del sacerdote. Il Messia è spesso visto come una figura
profetica, tenuto conto dei testi così forti di Isaia. Questa dimensione profetica si
innesta su una figura in un primo tempo regale e sacerdotale. I dati giudaici sono
chiari in proposito:
63 I. de la P otterie, Maria nel mistero dell’ alleanza (Dabar. Studi biblici e giudistici), Genova
1988, 103.108.
Mi 4,4:
«Siederanno ognuno tranquillo sotto la vite e sotto il fico e più nessuno li spaventerà».
Zc 3,10:
«In quel giorno - oracolo del Signore degli eserciti - ogni uomo inviterà il suo vicino
sotto la sua vite e sotto il suo fico».
IMac 14,12:
«Ognuno sedeva sotto la sua vite e sotto il suo fico e nessuno incuteva loro timore».
2. La confessione di Natanaele
La confessione di Natanaele attribuisce a Gesù, più che tre «titoli», tre prero
gative che seguono una progressione:
- «Rabbi»: è il punto di partenza dei primi due discepoli al v. 38; Gesù viene
riconosciuto come maestro di sapienza.
- «Figlio di Dio»: non si tratta solamente di un titolo messianico regale, preso
da Sai 2,7.'58 C’è dell’altro:
«Nella presente situazione, aggiunge lo stesso esegeta, “il Figlio di Dio” vuole
certamente esprimere la vicinanza di Gesù a Dio, i suoi legami con lui, forse addirit
tura la sua origine da lui. (...) Però l’evangelista non intendeva dire che Natanaele
avesse riconosciuto la piena (metafisica) dignità di Figlio di Dio in Gesù; altrimenti
Gesù non annuncerebbe una rivelazione ancora più profonda della sua natura (vv.
50 e 51). I titoli usati da Natanaele sono messianici, ma lasciano aperta ai lettori la
possibilità d’una comprensione più profonda».
- Sulla stessa linea, il «re d’Israele» non indica un semplice personaggio
umano. Dio solo è re di Israele. Natanaele lo intuisce in Gesù. I Salmi ci permet
tono di nuovo di comprendere questa evocazione. «JHWH regna», proclamano in
particolare i Salm i del regno: 47, 93, 96-99. A essi vanno aggiunti i cosiddetti Salmi
regali, composti in onore del re. I Salmi 2 e 110 sono oracoli a favore del re; i Salmi
20,61 e 72 sono preghiere per il re; il Salmo 21 è un’azione di grazie per il re; i Salmi
18, 28,63 e 101 si presentano come preghiere del re; il Salmo 132 è un canto regale
di processione; il Salmo 144 è un inno regale. Ma i l re pe r ec cellenza è sempre ed
esclusivamente Dio:
«O Dio, mio re, voglio esaltarti!» (Sai 145,1).
67 Moule, «A Note on “Under thè fig tree”», 210-211. Questa opinione è ratificata da Dodd, La
tradizione storica, 376, nota 18.
68 Cf. Schnackenburg. Giovanni. I, 439-440.
L’esempio migliore è forse quello che ci viene offerto da Sof 3,15, in perfetta
conformità con 3,11-13 («lingua fraudolenta» in 3,13):
«Re d’Israele è il Signore in mezzo a te».70
3. La risposta di Gesù
73 Questa posizione è contestata da M.-E. Boismard, «Approche du mystère trinitaire par le biais
du IV évangile», in Origine et postérité de l’évangile de Jean (LD 143), Cerf, Paris 1990, 127-142. «Nel-
l’AT, il titolo di “figlio di Dio” non implica una partecipazione dell’uomo (sia esso un re o un uom o giu
sto) alla divinità. Significa soltanto che quell’uomo (il re, il giusto) è stato adottato da Dio, che di conse
The TrialsiVersion
guenza impegna a proteggerlo. (...) Gesù è “figlio di Dio” in quanto “re d’Israele”, nella prospettiva
aperta dall’oracolo di Natan e ripresa nei Salmi 2 e 110 (LXX). Si tratta di una filiazione adottiva, che
implica una protezione efficace da parte di Dio» (pp. 132-133).
74 Schnackenburg, Giovanni, I. 443.
75 M.-E. Boismard, Du baptème à Cana (LD 18), Cerf, Paris 1956, 123-125.
76 Cf. il «re d’Israele»!
questo «passaggio» si colloca al centro della sotto-unità, nei w. 38-39, che presen
tano la nuova relazione così instaurata. Il dialogo e il racconto si sviluppano in
modo che le ripetizioni stesse risultano significative.
Ai due estremi della pericope, le due frasi che Gesù rivolge a Natanaele, rette
da verbi di visione, definiscono i termini di un’inclusione:
Gesù videNatanaele: «Vedi!» (v.47)
(Gesù) dice: «Ti avevo visto...
Vedrai... (v.50)
Vedrete!» (v.51)
The Trial Version
80 L’apostrofe, che nella pericope precedente era collocata al centro, svolge qui una funzione
conclusiva che avvia la conclusione di tutto l’episodio con l’ultima scena tra Gesù e Natanaele.
Più il quarto Vangelo viene letto e riletto da un capo all’altro, e più l’episodio
dello sposalizio a Cana di Galilea assume un particolare rilievo, con il suo racconto e
le sue parole ellittiche. Abbiamo deciso di suddividere la lettura in due tempi, per
non allungare troppo i l capitolo dedicato a questo episodio. La prima tappa, dall’ini
zio fino al dialogo fra Gesù e sua madre, sarà l’oggetto del capitolo V: Sposalizio (Gv
2,1-5). La seconda tappa, dalla descrizi one delle giare fino al termine della pericope,
sarà l’oggetto del capitolo VI: Acqua e vino, una questione di gusto (Gv 2,6-12).
I. Suddivisione
Si può essere incerti su come suddividere il testo: si può infatti proseguire fino
al racconto delle nozze di Cana compreso, oppure fermarsi alla fine della serie di ti
toli conferiti a Gesù, collocando una netta cesura dopo Gv 1,51? In questo secondo
caso, alcuni vedono profilarsi un’ampia inclusione fra i due avvenimenti di Cana: lo
sposalizio e la guarigione del figlio di un ufficiale regio (2,1-12 e 4,46-54). I sosteni
tori della prima ipotesi sono più propensi a vedere l’episodio delle nozze di Cana
come il punto d’arrivo dell’ingresso di Gesù sulla scena della storia e come «princi
pio dei segni», non collocandolo nel novero dei «segni» seguenti. Il dubbio è legit
timo, perché il testo svolge entrambe le funzioni. Ci sono indizi sia di chiusura di
apertura. E ciò dà luogo a risonanze più ricche e più complesse. Se si tiene conto di
ciò che viene detto da Gesù, lo sposalizio di Cana segna un confine tra la vita «na
scosta» e la vita pubblica. L’episodio si presenta come uno sviluppo della costitu
zione della comunità (1,35-51), ma forma anche un dittico con la salita a Gerusa
lemme e l’intervento nel tempio (2,13-25).
Ci sono tuttavia buoni motivi per ricollegare il primo episodio di Cana con i
primi incontri di Giovanni e di Gesù. Ma non sono da escludere dei legami con ciò
che segue. Le pericopi non sono compartimenti stagni, e una suddivisione non col
loca paratie invalicabili.1 2
1
The Trial Una
Version
buona sintesi de lla ques tione ci vi ene offerta da de la P otterie, Maria nel mistero, 183-
189; si veda anche la trattazione più breve di Léon-Dufour, Lettura, I, 215-217.
2 L’episodio in se stesso è stato oggetto di numerosi studi. La monografia di W. Luetgehetmann,
Die Hochzeit von Kana (Joh 2,1-11 ), Zur Ursprung und Deutung einer Wundererzàhlung im Rahmen jo-
hanneischer Redaktionsgeschichte (BibUnt 20), Verlag Friedrich Pustet, Regensburg 1990, offre una
buona sintesi, orientando tuttavia l’analisi in un senso diverso da quello che noi cerchiamo e che vor
remmo avvalorare.
4. Nel medesimo ambito simbolico può rientrare anche l’acqua, di cui si parla
a proposito del battesimo di acqua (1,33).
«Fontana che irrora i giardini, pozzo d’acque vive e ruscelli sgorganti dal Libano»
(Ct 4,15; 5,3.12).4
5 Is 54,1-11 (nuova alleanza); 62,4-5; cf. ISam 2,5; Sai 113,9; Os 1,16-17.
6 A. Serra, Marie à Cana. Marie près de la croix (Lire la Bible 64), Paris 1983, 18-36.
7 Cf. Gv 19,17.
8 2Cr 3,1, che indubbiamente rimanda a Gen 22,2.14 attraverso lCr 21,15ss.
La storia di Giuseppe era già stata richiamata dal titolo «il figlio di Giuseppe».
La si ritrova in una possibile reminiscenza contenuta nelle parole della madre di
Gesù ai servi: «Ciò che eventualmente vi dirà, fate(lo)» (Gv 2,5; Gen 41,55).
4. La teofania del Sinai (Es 19,16) è la citazione recentemente più sfruttata, a ra
gione, dagli esegeti.
«Al terzo giorno, sul far del mattino, vi furono tuoni, lampi, una nube densa sul monte
e un suono fortissimo di tromba: tutto il popolo che era nell’accampamento fu scosso
da tremore».
The Trial
17 Version
Alcune riserve sono già state avanzate più sopra a proposito di questa espressione. Più che un
nuovo Mosè, Gesù è colui che dà compimento alla figura di Mosè (cf. Gv 1,17); Gesù raduna, come egli
solo può fare, i membri del suo popolo, costituito da lui.
18 Pohn, La féte juive, 314, 316.
19 U. S chnblle, Antidoketische Christologie (FRLANT 144), Gottingen 1987, 88. Anche se il li
bro di Tobia usa indifferentemente il plurale e il singolare.
Dal punto di vista delle relazioni parentali, finora Gesù non è stato definito
che come «Figlio unigenito del Padre» (1,14.18), «Figlio di Dio» (1,34.39) e «figlio
di Giuseppe» (1,45; cf. 6,42; uniche occorrenze di questa espressione nel quarto
Vangelo).21 Non si conoscerebbe il nome di sua madre se altre tradizioni non lo in
dicassero. Essa è presente soltanto qui e ai piedi della croce (19.25-27): 22 la sua fun
zione materna viene sottolineata in entrambi i casi. Il fatto che si parli in primo
luogo di lei, e in questi termini, ci fa subito varcare una soglia sul piano del simboli
smo in cui l’episodio si inserisce. Nel contesto delle nozze emerge la relazione ma
dre-figlio e non, come avremmo potuto aspettarci, la relazione sposo-sposa! Tra
mite «la madre di Gesù» e in lei si opera la transizione dal matrimonio, simbolo del
l’alleanza, all'effetto ultimo23 del matrimonio e dell’alleanza: la fecondità materna.
Questa fecondità caratterizza l’alleanza nuova. L’alleanza contrae matrimonio. La
nuova alleanza genera la vita in una maniera sorprendente, soprattutto quando dà
vita a Gesù. È la stessa alleanza. La nuova alleanza presuppone l’antica. La madre
presuppone la sposa. Ma si parla innanzitutto della madre, prima di evocare la
sposa: è un linguaggio cifrato.
«La madre di Gesù» può indubbiamente simboleggiare Sion, la Gerusalemme
dei tempi messianici.24 Bisogna tuttavia osservare che il matrimonio ha già avuto
luogo. Siamo al di là. Il matrimonio che ha luogo a Cana di Galilea, alla presenza
della madre di Gesù e di Gesù in persona, rimanda dunque a una realtà complessa.
Si tratta di simboleggiare nell’alleanza, di tipo nuziale, l’effetto della nuova al
leanza, materna e filiale, nella comunità che ne deriva. Questa fecondità, infatti,
20 Secondo la tradizione, a partire dal IV secolo la si identifica con Kafr Kanna (o Renna), 5 km a
nord-est di Nazaret e 22 km a ovest di Tiberìade. Ma è più probabile che la località autentica sia Khirbet
Qana, 13 km a nord di Nazaret (si veda Itinéraires bibliques, Guide de Terre Sainte, Paris 61978, 262; L .
Grollenberg, Atlas biblique pour tous, Bruxelles 1968,27*.176; Schnackenburg. Giovanni, 1,459). Ori-
gene vede in questo toponimo una reminiscenz a di Pr 8,22 in virtù della radice ebraica qnh: «Il Signore
mi ha acquistato (qanany)» (citato da de la Potterie, Maria nel mistero, 194, nota 42). La lettura di Ori-
gene si colloca nella prospettiva delle reminiscenze bibliche, per noi significativa. Gli approcci archeolo
gici. dal punto di vista metodologico e interpretativo, sono di un altro ordine.
The Trial Versiondue occorrenze si richiamano a vicenda, presentandosi entrambe come centro testuale
21 Queste
delle grandi unità letterarie in cui fanno la loro comparsa: 1,19-2,12; 6,1-71. Ciò costituisce, a nostro av
viso, una ragione fondamentale per mantenere saldamente unito l’insieme che va da 1,19 a 6,71.
22 Cinque occorrenze del termine «madre».
23 Fine primo sul piano dell’intenzione e dell’importanza, secondo sul piano cronologico.
24 Is 54; 60-62.
Il verbo è al singolare, con Gesù, citato per primo, come soggetto al singolare.
Ma già egli è una cosa sola con i suoi discepoli. Già l'uno non sta più senza gli altri.
Il verbo viene usato qui nel senso di un invito a un matrimonio.25 Ma è lo stesso
verbo che era stato impiegato per la trasformazione del nome di Simone in Kèphas:
«Tu sarai chiamato!» (1,42). Dobbiamo vedere qui un «passivo divino»?26 La cosa
non è impossibile né impensabile, ma non bisogna dimenticare che è già stata pro
fessata l’identità divina di Gesù come «Figlio di Dio».27
Per quanto riguarda il vino, la lezione breve è di gran lunga la meglio atte
stata:
«Ed essendo-mancato (il) vino»,
al genitivo assoluto. La lezione lunga del Sinaitico e di alcuni altri codici è, con ogni
probabilità, secondaria:
«Vino non (ne) avevano, perché era-stato-completamente-terminato (sunetelesthe) il
vino dello sposalizio».28
Ecco dunque la prima caratteristica di queste nozze: non c’è vino! Ce n’è stato
prima? È possibile, soprattutto se si tiene conto dell’affermazione del «maestro di
tavola» al v. 10. Ma non è certo, dal momento che la frase del maestro di tavola
suona piuttosto come una battuta o un detto atemporale. In ogni caso, nel mo
mento in cui si svolge la s cena manca per così dire al menu qualcosa di essenziale
perché lo sposalizio sia completo. La funzione della madre di Gesù, che opera sim
bolicamente il passaggio dall’alleanza al suo compimento, consiste nel dire, con la
sua parola, la situazione a Gesù. La sintassi pone chiaramente l’accento sia sulla
mancanza del vino sia sulla parola della madre di Gesù:
Essendo-mancato il VINO, «VINO, non (ne) hanno».
dice la madre
di GESÙ a LUI:
The Trial
25 Version
Cf. Tb 9,5 (S).
26 Se lo sposo è Dio, questa lettura si impone (Léon-Dufour, Lettura. 1,309). Ma tale identifica
zione dello sposo non è molto convincente.
27 In questa ottica, Dio è Padre. E non si sposa il Padre. Nei mistici, il simbolismo non è mai
Nella prima parte della domanda, Gesù sembra prendere le distanze da sua
madre. Per spiegare questa apostrofe si richiamano sempre le diverse occorrenze
dell’espressione: mah-ly walak nell’Antico Testamento. Nel testo ebraico, tuttavia,
nessuna di queste occorrenze mette in rapporto un «io» maschile con un «tu» fem
minile. L’unico esempio con i due pronomi al singolare (Me 5,7) non chiama in
causa un uomo e una donna, ma l’indemoniato geraseno e Gesù. Si tratta dunque di
un fenomeno, di una realtà del tutto specifica.
Per quanto si possa esitare ad affermarlo, la seconda frase è interrogativa.
Esprime quindi contemporaneamente un termine di tempo da rispettare e un cre
scendo verso un compimento. Una logica di soprappiù anima dall’interno la rela
zione uomo-donna, una relazione più che umana, dal momento che Gesù è già stato
investito dei titoli messianici e divini di 1,19-34.35-51.
Gynai significa allora qualcosa di più che «donna!». È l’unico solido indizio
che il testo ci offre sia per identificare Gesù come lo sposo, in base al modo stesso in
cui si rivolge a sua madre, sia per identificare sua madre come la sposa di queste
nozze! La reminiscenza biblica più chiara è quella di Gen 2,23:
29 Gdc 11,12; 2Sam 16,10; 19,23; IRe 17,18; 2Re 3,13; 2Cr 35,21; NT: Me 1,24; 5,27; Mt 8,29.
30 Gesù pone la domanda a sua madre lasciando intendere che in realtà la sua ora è già venuta:
egli lo sa, ne è consapevole; interviene in seguito a un invito implicito. Per la bibliografia e l’analisi della
questione, si veda db la P otterie, Maria nel mistero, 202-206. Il possibile carattere interrogativo della
frase è stato avvalorato da A. Vanhoye, «Interrogation johannique et exégèse de Cana (Jn 2,4)», in Bib
55(1974), 157-167. L 'insistenza sul f atto che l’ora del Cristo non è ancora venuta , in 7,30 e in 8,20, ri
guarda soprattutto il suo rapporto col mondo. Soltanto in 12,23 si dice che l’ora è venuta. Noi ne fac
ciamo il titolo di t utto l’insieme costituito da Gv 7-12: «Chi è il Cri sto che viene a lla sua ora?». Qui, il
verbo usato è hékò: «giungere». Se è «giunta» (hèkó), si potrebbe chiosare, non fa che «cominciare» a
venire (erchomai). Y.-M. Blanchard, Des signes pour croire? Urie lecture de l’évangile de Jean (Lire la
Bible 106), Cerf, Paris 1995, 36, contesta la lettura «interronegativa»: «Equivale ad affermare la totale
presenza dell’ora, nel momento stesso delle nozze. Semplificazione temeraria che dà troppo credito al
l’apparente coincidenza del segno e della gloria (2,11) e, colmando ogni divario tra la manifestazione
realizzata a Cana e la pienezza della rivelazione operata sulla croce, svuota del suo contenuto la nozione
stessa di segno». Questa critica indica diversi scogli da evitare. Nel senso dell’«interronegazione», biso
gna evitare di far dire troppo all’episodio di Cana, mantenendo la tensione con la croce che gli dà il suo
contenuto ultimo. E viceversa, bisogna riconoscere che «il mistero pasquale» viene anticipato a partire
The Trial quel
da Cana: Version
segno non è ambiguo, anche se la fede che suscita riguarda i discepoli e la madre, già con
quistati al progetto di Gesù, e deve ancora essere approfondita. Le altre obiezioni sono già state affron
tate da A. Vanhoye e trovano almeno qualche elemento di risposta nella presente interpretazione. Ciò
sia detto salvo restando il valore dell'ottima introduzione al quarto Vangelo costituita dall’opera di
Blanchard. Sensibile all’ordine della fine', morte e risurrezione del Cristo, questo autore non presta suffi
ciente attenzione all’ordine del principio, caratteristico del Vangelo giovanneo.
Legato a questo testo della creazione, come versetto che rimanda alla nuova
alleanza, viene poi Is 54,5:
«Tuo sposo è il tuo Creatore!».
Non è l’unico caso in cui il vocativo «donna!» compare nel Vangelo. Associato
alla menzione dell’«ora», viene usato per esprimere la trasformazione operata nella
storia e anche nell’essere creato delle persone dalla presenza di Gesù come Figlio di
Dio nel mondo e come Logos incarnato. Ritroveremo le stesse espressioni nel dia
logo fra Gesù e la samaritana:
«Credimi, donna, che viene un’ora in cui né su questa montagna né in Gerusalemme
adorerete il Padre» (Gv 4,21).
Gesù non riserva dunque il titolo di «donna» esclusivamente a sua madre. Ve
dremo che lo userà ancora per rivolgersi a Maria di Màgdala il mattino di Pasqua
(20,15). Rivolta a sua madre, tuttavia, l’espressione è più sorprendente, qui e nell’u
nico altro passo in cui la si ritrova, quello della croce, ancora in collegamento con
l’ora, questa volta veramente venuta (19,26-27). Dal principio dei segni al momento
del compimento della Scrittura e del telos dell’amore, è anticipata - iniziata! - e poi
sopraggiunge l’«ora» i n cui culminano il tempo e la storia. La loro assunzione e la
loro trasformazione da parte del Cristo si esprimono in tal modo attraverso una
percezione delle relazioni umane fondamentali a due livelli: della filiazione di Gesù
rispetto a sua madre sull’asse della temporalità umana, e della nuzialità di questo
«uomo» rispetto a questa «donna» sull’asse dell’anteriorità divina del Verbo. Egli
ha presieduto alla creazione di colei che l ’ha messo al mondo!31 Perché i due assi,
antropologico e teologico, possano incrociarsi senza confondersi, bisogna rispettare
il divieto dell’incesto.32 La trasformazione della relazione umana non può avvenire
che a prezzo dell’assunzione da parte di Dio di tutte le dimensioni create, comprese
31 L’inno Alma Redemptoris Mater esprime meravigliosament e questo paradosso: Tu quae genui
ni, natura mirante, tuum sanctum Genitorem: «Tu hai partorito (...) colui che ti ha generata». L’amore
dell’uomo per la donna assume gi à questi accenti quando raggiunge la sua espressione più ricca di sfu
mature: l’incarnazione realizza il desiderio del cuore umano.
«Questo duplice mistero fra
Le conoscenze trionfanti
Donna mia che senza fine io genero
E dalla quale sono messo al mondo»
(Aragon, Le fou d’Elsa. Poème. NRF. Gallimard, Paris 1963, Cantique des Cantiques, 89).
32
The Trial II passo è fondamentale dal punto di vista del rapporto tra fine e origine. L’unità del disegno
Version
creatore e salvifico si realizza qui: in Gesù, l’uomo esce dalla donna, sua madr e; ma la donna, Èva, esce a
sua volta dall’uomo, Adamo, tanto più che quest’ultimo è collocato in posizione di Verbo creatore. L’ul
tima parola, comunque, sarà detta soltanto quando verrà l’ora della croce. Per questa problematica, che
chiama in causa l’essenza della tipologia, si veda: P. Beauchamp, «Abram et Sarai. La soeur-épouse, ou
l’énigme du couple fondateur», in Cerit, Exégèse et Herméneutique, Comment lire la Bible? (LD 158),
Cerf, Paris 1994, 11-50.
«Sua madre»: essa continua a essere percepita come tale dagli altri, che non
hanno potuto assistere - come ha fatto il lettore! - al dialogo tra Gesù e «la madre
di Gesù». È assai probabile che «i servì»-diakonoi rimandino a una funzione speci
fica all’intemo della comunità dell’alleanza. L’uso del termine nella versione dei
Settanta dell’Antico Testamento non è molto significativo.35 La sua risonanza in
contesto cristiano è invece notevol e.36 Secondo I. de la Potterie, 37 potrebbe trattarsi
dei «veri discepoli di Gesù» (cf. 12,26).
33 T. K arlsen Seim, «Roles of Women in thè Gospel of John», in Aspecis ori thè Johanine Litera-
ture (ConB.NT 18), Uppsala 1987, 62, che cita uno studio di Aage Pilgard, irreperibile.
34 La totalizzazione: «Tutto ciò che vi dirà, fatelo», che troviamo in BJ 1973 e in diversi commenti
spirituali e omiletici, forza il testo originale, che è più sobrio. L’abuso linguistico non può risalire a Gen
41,55, ma forse deriva inconsciamente da una trasposizione di Rt 3,5: «Tutto ciò che mi dici, lo farò», dice
The
RutTrial
a suaVersion
suocera Noemi. Il contesto di alleanza matrimoniale e di una fecondità a un primo livello di re
lazioni è percepibile. Torneremo più avanti su questi paralleli intra-biblici.
35 Cinque volte per gli eunuchi, servi del re in Est 1,10; 2,2; 6,13.5; Pr 10,4; 4Mac 9,17.
36 Mt 20,26; 22,13; 23,11; Me 9,35; 10,43; 2Cor 3,6: «ministri di una nuova alleanza, non della let
38 Riportiamo le ci tazioni per f acilitare il compito del lettore. «Quanto il Si gnore ha detto, noi lo
faremo» (Es 19,8); «Q uanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo» (Es 24,7); «Avvicinati
tu (dice il popolo a Mosè) e ascolta quanto il Signore nostro Dio dirà; ci riferirai quanto il Signore nostro
The
Dio Trial
ti avràVersion
detto e noi lo ascolteremo e lo faremo» (Dt 5,27); «Noi serviremo il Signore nostro Dio e ob
bediremo alla sua voce» (Gs 24,24); «Sì, dobbiamo fare secondo la tua parola» (l’assemblea a Esdra: Esd
10,12); «Faremo come tu dici» (i notabili e i magistrati a Neemia: N e 5,12); «Tutto ciò che mi dici, lo
farò» (Rut a Noemi : Rt 3,5); «Quanto ci comanderai noi faremo» ( il popolo a Simone Maccabeo: IMac
13,9). «Questa interpretazione è stata ripresa da papa Paolo VI nella conclusione della sua esortazione
apostolica Marialis cultus» (n. 57: EV 5/95) (de la Potterie, Maria nel mistero, 208).
Ci sono sei giare: si tratta forse del numero della perfezione, sette, meno uno.1 2 Il
fatto che siano di pietra non le espone all’impurità secondo le regole levitiche.3 La pu
rificazione dei giudei ci conduce nel cuore del rito cultuale, chiamando in causa la ti
pica categoria sacerdotale del puro e dell’impuro. La loro capienza è impressionante:
«Una metreta corrisponde a circa 40 litri; in totale abbiamo dunque da 5 a 7 ettolitri,
dal momento che Gesù ha ordinato di riempire le giare. In Giovanni, la sovrabbon
danza è uno degli aspetti caratteristici del dono di Dio (3,24; 4,14; 6,13s; 10,10b; 13,l)».4
Si fa presto a interpretare le nozze di Cana nel senso del rapporto tra l’antica e
la nuova alleanza. 5 Ma bisogna seguire i meandri del testo per non semplificare nes
1 II lettore potrà fare riferimento alla strutturazione del testo proposta alla fine del presente capi
tolo. Una sua presentazione esplicita non ci è parsa né utile, né necessaria. È preferibile seguire la let
tura interpretativa che si fonda su tale strutturazione.
2 Boismard - Lamouille, Jean, 102.
3 Schnackenburg, Giovanni, 1,466, nota 26; cf. Lv 11,33.
4 D. Mollat, Fase. BJ 1973, nota ad loc.
The Trial Version
5 Testi citati da H. De Lubac, Opera omnia.17: Esegesi medievale.l (Già e non ancora), Jaca Book,
Milano 1986, : «Gesù cambia l’acqua della lettera nel vino dello spirito. Ereditando l’antica legge, l a tra
sforma nella grazia del Vangelo. (...) Con la sua grazia, cambia nel medesimo tempo i cuori di coloro che
sono da lui chiamati alla novità di vita nella novità d’intelligenza, e già trasforma la loro condi zione mor
tale deponendo in essi il germe della risurrezione finale. (...) Nella sostituzione del vino ordinario venuto a
mancare col vino migliore, si vede soprattutto il progresso segnato dalla Nuova Alleanza rispetto
1. Dinamica temporale
all'Antica che essa completa:... Et nova Lex veterem superat gustata saporem. Se invece si guarda più par
ticolarmente al cambiamento miracoloso dell’acqua in vino, si misura ancora meglio tutta la novità del
l’opera di Cristo. (...) Cambiando l’acqua in vino durante il banchetto delle nozze, non è forse Gesù il
Verbo incarnato venuto a convitare l’umanità alle nozze divine, che, con la sua morte e con la sua risur
rezione, cambia la lettera nello spirito, la debolezza nella forza, l’uomo in Dio?» (pp. 373-376). Molti te
sti patristici potrebbero essere citati a sostegno di un’int erpretazione che del resto è in s intonia con l’asse
di quella proposta per il prologo.
The Trial Tutto
Version
6 il quarto Vangelo può essere riletto in questa prospettiva, come viene messo efficace
mente in luce da Luetgehetmann, Die Hochzeit, 198-217.
7 Agostino, Questioni sull’Eptateuco, 2,73 (PL 34,623) in Opera omnia. 11/1: Locuzioni e que
stioni suU’Ettateuco, R oma 1997. 654-655, citato dalla cos tituzione dogmati ca Dei Verbum del concilio
Vaticano II, n. 16: EV 1/897; si veda H. D e L ubac, La Sacra Sc rittura nella tradizione, Brescia 1969, 9,
che riprende Esegesi medievale, 1,363.
2. Il ruolo dell’assaggiatore
3. Quali nozze?
stro di tavola. Costui, avendo “gustato" l’acqua cambiata in vino, si rivolge allo sposo: "Tu hai conser
vato fino ad ora il vino buono” (2,10). (...) Gli uomini sono esortati a “gustare” la “sobria ebbrezza” del
“buon vino conservato sino ad ora”, alla mensa del Verbo incarnato» (D. Moliat, Giovanni, maestro
spirituale (Letture bibliche), Boria, Roma 21980, 105; cf. 88-108: «L’emergere dei sensi spirituali»).
" D e la P otterie, Maria nel m istero, 215; l’autore cita (p. 217) C irillo di A lessandria (Com-
mentarii i n Johannenv, PG 73.227B): «Il Verbo di Dio, dunque, è disceso dal cielo [...], affinché, come
uno sposo, unendosi alla natura umana, la convincesse a ricevere nel suo seno i semi spirituali della sa
pienza. L’umanità è chiamata, come è ovvio, per questo, sposa, mentre il Salvatore è chiamato sposo»
The Trial Version
[Commento al Vangelo di Giovanni.Vol. 1: libri I-IV (Testi patristici 111), Roma 1994,214]. Tutte le pre
cisazioni di questo testo sono importanti. Le sfumature del l’interpretazione che sviluppiamo qui le pre
suppongono.
1_ «Chi ama gli uomini, ama anche la loro gioia», diceva lo starec Zosima. Alioscia se ne ricorda
ascoltando il racconto delle nozze di C ana durante la vegl ia funebre, nella cella dello starec, dove si trova
la sua bara (F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Paoline, Roma 1977, 454).
4. Un significato sacerdotale?
costitutivi della società e delle sue regole in cui si manifesta il potere della parola in quanto tale, o del
Logos, i simboli simbolizzanti sono la fonte della libertà e si impongono alla persona nella sua stessa
auto-posizione; i simboli simbolizzati, invece, sono l'effetto della libertà, il mero prodotto di convenzioni
arbitrarie tra studiosi» (G. Fessard, La dialectique des Exercices Spirituels de saint Ignace, 3: Symbolisme
et historicité [Le Sycomore], Lethielleux - Culture et Vérité, Paris-Namur 1984, 72).
15 Secondo il bel contributo di K. Rahner, «Esistenza sacerdotale», in Saggi sui sacramenti e sulla
Gl 4,18:
«In quel giorno le montagne stilleranno vino nuovo».
Am 9,13-14:
«Ecco, verranno giorni - dice il Signore -, in cui chi ara s’incontrerà con chi miete e chi
pigia l’uva con chi getta il seme; dai monti stillerà il vino nuovo e colerà giù per le col
line. Farò tornare gli esuli del mio popolo Israele, e ricostruiranno le città devastate e
vi abiteranno; pianteranno vigne e ne berranno il vino; coltiveranno giardini e ne man-
geranno il frutto».
Per quanto riguarda gli scritti sapienziali, il banchetto della Sapienza riunisce
e attualizza nel presente i dati della Torah, dei profeti e dell’apocalittica:
Sir 24,17:
«Io (dice la Sapienza, «entità unica e sussistente»: P. Beauchamp) come una vite ho
prodotto germogli graziosi e i miei fiori, frutti di gloria e di ricchezza».
Pr 9,2.4b-5:
«(La Sapienza) ha preparato il vino.
A chi è privo di senno essa dice:
“Venite, mangiate il mio pane,
bevete il vino che io ho preparato”».
I segni vengono menzionati qui per la prima volta nel corso del Vangelo. Ci
fanno entrare nell’universo delle mediazioni introdotte a partire da 1,19, e anche
dal prologo, ma soprattutto grazie a 2,1-11. La funzione principale delle nozze di
Cana consiste proprio in questo: predisporre un tempo e uno spazio di relazioni che
significano la partecipazione di tutti alle nozze di Dio con l’umanità attraverso «la
Parola, carne divenuta», comunicata tramite «l’acqua, vino divenuta».
«E manifestò la sua gloria»: questa frase esprime il medesimo insegnamento,
considerato soprattutto dal punto di vista di Gesù. La coordinata si riallaccia a 1,31:
«E io non lo sapevo, ma (ciò avviene) affinché sia manifestato a Israele; a causa di que
sto io venni, battezzando nell’acqua».
«E i suoi discepoli credettero in lui»: questa frase non fa che affermare sostan
zialmente il medesimo ingresso nel mondo dei segni, ma questa volta soprattutto
dal punto di vista dei discepoli. «Credere in Gesù» significa in questo senso vedere,
22
The Trial D e la Potterie, Maria nel mistero, 195: «Il complemento di epoièsen non è archèn, ma tautèn,
Version
che, per attrazione inversa con il suo predicato archèn, si trova qui al femminile, invece che al neutro
touto».
23 Nel senso di P (Codice sacerdotale).
24 Gen 1,14; cf. il segno di Caino: 4,15; il segno dell’alleanza con Noè (l’arcobaleno): 9,12-13.17; il
segno dell’alleanza con Abramo (la circoncisione): 17,11.
«Giunse dunque questa parola ai fratelli, che quel discepolo non muore».
25 Gv 7,3.5.10.
26 Inclusione in 6.24b.59, per delimitare il discorso.
8 E dice loro:
«Adesso attingete e mettetevi-a-portar(ne) al maestro-di-tavola».
Ora essi (ne) portarono.
10 e gli dice:
«Ogni uomo pone dapprima il vino bello,
e quando (ci) si è-eventualmente-ubriacati, il peggiore;
tu hai custodito il vino bello fino al-presente!».
I. Un problema insolubile
«La purificazione del tempio» non è un titolo che si addice a questo episodio:
nel testo non figurano né il verbo né il sostantivo della radice «purificare». Si tratta
di un «colpo di m ano di G esù».1 La collocazione deH’avvenimento nel quarto Van
gelo pone un problema insolubile rispetto alle tradizioni sinottiche. In base a esse,
Gesù sale a Gerusalemme una sola volta nel corso della sua vita pubblica, in occa
sione della festa di Pasqua che prelude alla sua passione e alla sua morte. Queste
tradizioni collocano la visita di Gesù al tempio dopo l’ingresso messianico in Geru
salemme, e vedono in tale episodio la causa principale che affretta il processo e la
condanna a morte di Gesù da parte delle autorità sia pagane sia giudaiche.
Il quarto Vangelo cita invece tre Pasque: a questo punto del racconto evange
lico (2,13: «E la Pasqua dei giudei era vicina»); prima dell'episodio dei pani e del di
scorso sul pane della vita (6,4: «Ora era vicina la Pasqua, la festa dei giudei»);1 2 dopo
la riunione del sinedrio durante la quale Caifa esprime la ragione principale della
condanna di Gesù: «È meglio che uno solo muoia per il popolo» (11,50), e prima
dell’unzione a Betania (11,55: «Era vicina la Pasqua dei giudei»). Vengono così
evocate tre venute di Gesù a Gerusalemme nel c ontesto di una festa, che due volte
su tre è la Pasqua: «E salì a Gerusalemme, Gesù» (2,13); «Ora essendo già nel-
mezzo la festa (delle Capanne), Gesù salì al tempio» (7,14); «L’indomani la molta
folla, quella che-era-venuta alla festa (di Pasqua), avendo udito che Gesù viene a
Gerusalemme, presero i rami delle palme» (12,12). Il passaggio di Gesù attraverso
il tempio viene collocato già alla prima permanenza di Gesù a Gerusalemme. E ciò
che accelera la morte di Gesù è piuttosto, paradossalmente, il ritorno di Lazzaro
alla vita (11,53): colui che dà la vita ai morti è escluso dalla vita tramite una con
danna a morte!
Il Vangelo di Giovanni è anche l’unico a narrare il ritorno di Lazzaro alla vita
e a farne l’occasione di una riunione del sinedrio che sancisce la morte di Gesù.
Unitamente alla versione giovannea dell’episodio del tempio, questo miracolo di
3 «Annie Jaubert prende le mosse da questa contraddizione fra le due date per formulare la sua
ipotesi sulla data dell’ultima cena (La date de la Cène: Calendrier biblique et liturgie chrétienne, Gabalda,
Paris 1957). Gesù avrebbe mangiato la pasqua secondo l’antico calendario sacerdotale ancora in vigore a
Qumran, alla data indicata da Marco e Matteo, cioè i l m artedì sera, e il suo processo sarebbe durato tre
giorni. Giovanni invece si collocherebbe nell’ottica del calendario ufficiale del tempio. Di qui i l di vario
The Trialalla
relativo Version
data della cena a Betania. (...) Gli scettici hanno sottolineato che una procedura sbrigativa
non era da escludere nel caso urgente di Gesù, soprattutto se la decisione era già stata presa in prece
denza» (Grelot, Les Juifs, 42).
4 Non ci sembra dunque facile affermare: «Sono rari gli studiosi che danno la preferenza alla tra
dizione giovannea» (Léon-Dufour, Lettura, 1,338, nota 6). Si veda S. L égasse, Le procès de Jésus. 1:
L’histoire (LD 156), Paris 1994, 113-120 (c. IV: «Jours et heures»).
1. Delimitazione
et Fils de Dieu. Jean 2,23-3,36 et la doublé christologie johannique (Recherches Nouvelle Serie 27), Bel-
larmin-Cerf, Montréal-Paris 1993.
10 In greco abbiamo ou pisteuein con il dativo, distinto da pisteuein eis con l’accusativo, per sugge
rire che soltanto il credente «crede in Gesù», mentre Gesù «non crede a» coloro che credono in lui a un
primo livello soltanto: non si fida di loro.
3. Dimensione apocalittica
A proposito poi della contrapposizione marci ana tra un tempio «fatto da mani
d’uomo» e un tempio «non fatto da mani d’uomo»,15 lo stesso autore sottolinea
quanto segue:
«(Tale contrapposizione) si colloca esattamente sulla linea del pensiero giudaico del
l’epoca, che oppone al tempio materiale - o alla città, perché le due nozioni sono stret
tamente legat e - del presente o del passato il tempio del futuro, preesistente nel cielo -
spirituale, si potrebbe dire, nel senso in cui san Paolo parla di un corpo spirituale -, e di
cui il primo non è che la grossolana prefigurazione. Le ultime apocalissi giudaiche of-
in Aux sources de la tradition chrétienne. Mélanges M. Goguel (Bibliothèque Théologique 3). Delachaux
& Niestlé, Neuchàtel-Paris 1950,254, nota 3. Si consulterà utilmente anche la lunga nota 45 a 4Esd 10,45
in La Bible. Écrits intertestamentaires (Bibliothèque de la Plèiade 337), Paris 1987, 1445-1446.
15 Me 14,58; cf. At 7,48; 17,24.
Il testo principale che viene cita to in questo senso è un brano dell’Apoca lisse
siriaca di Baruc (2Bar 4,1-8), che vale la pena di riportare per esteso:
«E mi disse il Signore: “Questa città pe r un (certo) te mpo sarà consegnata e il popolo
per un (certo) tempo sarà castigato, ma il mondo non sarà dimenticato. O forse credi
che sia questa la città di cui ho detto: Ti ho tracciata sul palmo delle mie mani? (Is
49,16). Non (è) questo edificio, edificato ora tra di voi, quello che sarà rivelato presso
di me, quello che è pronto qui, fin da prima, da quando ho pensato di fare il paradiso; e
lo avevo mostrato ad Adamo, prima che peccasse, e, quando trasgredì il comanda
mento, ne fu privato, come anche (del) paradiso. E, dopo ciò, lo ho mostrato al mio
servo Abramo, di notte, tra le parti delle vittime, e, ancora, lo ho mostrato anche a
Mosè sul monte Sinai , quando gli ho mostrato il modello della tenda e (di) tutti i suoi
vasi (Es 25,9b). E ora ecco, esso è custodito presso di me, come anche il paradiso”».17
Perché non interviene la polizia del tempio, nel caso specifico i leviti (cf. Gv
1,19)? Si può dare una risposta a questo interrogativo. Non intervengono per paura
di compromettersi di fronte alle diverse fazioni giudaiche. Si poteva comunque
aspettarsi un intervento incisivo da parte di un uomo di Dio. E non si vede perché
Gesù, dopo la presentazione che è stata fatta di lui, non avrebbe dovuto trovare
nella propria realtà filiale e fraterna, divina e umana, la spinta necessaria per com
piere un’azione di fatto liberatrice per tutti.
In questo senso, anche i Profeti affiorano nel gesto simbolico di Gesù. Le sue
parole si ispirano ad accenti che troviamo soprattutto in Geremia:
«Il suo annuncio si esprime in uno schema antiteti co - distruggere-ricostruire - di origine
geremiana (Sir 49,7 riprende lo schema di Ger 1,10:18,7-10; 24,6; 31,28; 42,10; 45,4), con
una differenza importante: mentre secondo la profezia JHWH dovrebbe distruggere e ri
costruire, Gesù parla solamente del suo potere di ricostruire il santuario».28
6. Struttura letteraria
29 Es 20,3-6; Dt 5,7-10.
30 Fase. BJ 1973. nota a Gv 2,16. La fusione delle citazioni di Is 56,7 e di Ger 7,11 è meno evidente
che in Mt 21,13 e par., ma rimane percepibile nel termine «casa». Si tratta di una nuova incidenza della
corrente profetica in questa parola programmatica di Gesù.
«Gerusalemme è costruita
come città salda e compatta.
Là salgono (’alw) insieme le tribù,
le tribù del Signore» (Sai 122,3-4).
Il termine è tecnico. Ancora oggi, ogni giudeo devoto cerca di fare, almeno
una volta nella vita, la sua «salita», la sua ‘alyah, in ‘eres Israel, a Gerusalemme,
simbolo della salita verso il Signore.
31 R. Schnackenburg: «L’espressione “Pasqua dei giudei” vuol dire soltanto che l’evangelista
non partecipa (più) alla Pasqua giudaica» (Giovanni, 1,499-500); R.E. Brown: «Ciò può indicare un’osti
lità verso queste feste, che dovranno essere sostituite da Gesù» (Brown, Giovanni, 148).
32 «Il Vangelo di Giovanni corrisponde a un'epoca in cui il conflitto tra il cristianesimo e i giudei
The Trial Version
attraversa una fase acuta. Importava far vedere che non c’è che una festa cristiana, la Risurrezione del
Cristo, e che le feste giudaiche erano abolite» (J. Daniélou, citato da Boismard - Lamouille, Jean, 41).
33 Schnackenburg, Giovanni, 1,500; Brown, Giovanni, 149.
34 «Beato chi trova i n te la sua forza e decide nel suo cuore le ascensioni», in greco anabaseis (Sai
84[83],6); in Gv 2,13, il verbo è anebé.
35 Di Gerusalemme, circondata da colline.
36 S chnackenburg, Giovanni, 1,503, non riconosce il valore consecutivo di questo hoti, a diffe
Sai 69,10 è introdotto nel ricordo dei discepoli come ciò che lo costituisce. Pre
senti alla scena, essi sono inseparabili da Gesù come egli è inseparabile da loro a
partire da 2,2, anche se non vengono evocati all’inizio di questo episodio. A livello
testuale, il termine «casa»-oikos stabilisce il collegamento con quanto precede.
«Questo salmo unisce due lamenti, di ritmo diverso; ognuno è composto di un la
mento seguito da una preghiera. Il primo (vv. 2-7 e 14-16) sviluppa il tema delle ac
que infernali (Sai 18,5) e quello dei nemici (Sai 35 ecc.). Il secondo (vv. 8-13 e 17s) è
il grido di angoscia del fedele vittima del suo zelo (cf. Sai 22; Is 53,10; Ger 15,15s).
L’insieme si conclude con un finale a mo’ di inno (vv. 31s) dalle prospettive nazio
naliste (cf. Sai 22,28s e 102,14s). Il carattere messianico del salmo spicca dalle c ita
zioni che ne fa il NT».37 38
37 Ignazio di L oyola, Esercizi spirituali, n. 277, in Gli scritti (Classici delle rel igioni 31), Torino
1977, 160.
38 Nota BJ 1973 a Sai 69.
3. Risposta di Gesù
Gesù non si tira indietro. La sua parola tuttavia non sarà un’acconsentire alla
richiesta ma un invito - sapienziale ed enigmatico - a entrare nell’ordine simbolico
del reale, invito espresso con un linguaggio cifrato, dal momento che si tratta dell’e
sistenza pasquale, in chiave di morte e di vita. La vita attraverso la morte non si di
mostra: si sperimenta.
La risposta è chiara, a condizione che si colga il duplice significato dei due
verbi: «sciogliere-distruggcrc» e «rialzare-risuscitare». La frase è tanto pi ù decisiva
in quanto ci fornisce non solo la chiave della pericope, ma anche quella dei paralleli
sinottici contenuti nelle accuse dei falsi testimoni durante la passione e quella delle
parole di Gesù sulla distruzione del tempio.44
L’azione di «sciogliere» 45 o di «distruggere un edificio» 46 non viene attribuita a
Gesù. Di conseguenza è da scartare ogni interpretazione troppo unilaterale che
vada nel senso di una qualsiasi «abrogazione».47
Schnackenburg (p. 505, nota 27), è condizionale (paratassi semitica). Brown, Giovanni, 150, cita tuttavia
R. Bultmann, secondo cui ci troviamo di fronte a qualcosa di più di una semplice condizione. L’impera
tivo è ironico nei profeti: Am 4,4; Is 8,9; significa: «Va ’ in quel luogo, fa’ quella cosa, e vedrai che cosa ti
succederà!».
47 Origene, Commento al vangelo di Giovanni, X, XXIV,138-139, traduzione personale: «Penso
inoltre che (Gesù) ha fat to un s egno profondo, per ciò che è stato detto, in modo che possiamo compren
dere c he queste cose sono divenute un simbolo di ciò che non potrà più essere ancora possibile: che sia
compiuto il culto inerente a quel tempio da sacerdoti secondo i sacrifici sensibili, né che sia osservata la
legge,
The almeno
Trial come i giudei carnali volevano che lo fosse. Una volta infatti che Gesù ebbe gettato fuori i
Version
buoi e le pecore ed ebbe ordinato che le colombe fossero portate via di là, i buoi e le pecore e le colombe
non potrebbero continuare più a lungo a essere sacrificati secondo le usanze dei giudei» [cf. Origene,
Commento al vangelo di Giovanni, (Classici della filosofia). Torino 1968,413-414]. La traduzione di Cé
cile Blanc dice: «Abolizione del culto celebrato nel tempio», e parla di «abrogazione della figura» (Com-
mentaire sur saint Jean [SC 157], Paris 1970, 471; cf. p. 81).
VLInterpretazione
48
Testo citato da BAGD, 485, s.v. 1.
49
Is 60,7.13; Ez 40-44; Ag 2,7-9; Tb 13,16-17; 14,5; Sir 36,10-17; Enoc 90,28-36: Léon-Dufour,
Lettura, 1,356; Schnackenburg, Giovanni, 1,505-506.
50 Agostino, Opera omnia XXIV: Commento al Vangelo e alla prima epistola di san Giovanni
(Grandi opere), Roma 1968, 248-249. R. Lafontaine suggerisce di aggiungere Gv 5,21.26; 10,26.
51 Rimane un dubbio sui quarantasei anni dal punto di vista storico. Sembra che il punto di riferi
mento sia l’inizio dei lavori di restauro del tempio realizzati sotto Erode il Grande nel 20/19 a.C. (diciot
tesimo anno del suo regno secondo Flavio Giuseppe. Ant. 15,380), il che ci porta al 27/28 d.C. (quindice
simo anno dell’imperatore Tiberio, cf. Le 3,1) (S chnackenburg, Giovanni, 1,506-507). Il punto essen
ziale sta nell’estensione dei quarantasei anni in contrasto con la brevità dei tre giorni. L’interpretazione
tramandata da Agostino si basa su un calcolo fantasioso del valore numerico delle lettere greche che
compongono il nome «Adam» (Alpha = 1 + delta = 4 + alpha = 1 + my - tessarakonta, 40: totale 46)
«La carne di Cristo viene da Adamo». Agostino rileva che l’acrostico di Adamo significa l'universo se
condo i quattro punti cardinali:
Anatolé, che significa oriente;
The Trial Version occidente;
Dusis,
Arktos, settentrione;
Mesembria, cioè il Mezzogiorno.
(Trattato X,12; Commento al Vangelo di Giovanni, 248-249; si veda in Oeuvres de saint Augustin
71: Homélies sur L’Évangile de Saint Jean. 1:1-XVI (Bibliothèque augustinienne 71), Pa ris 1969, 916, la
nota complementare 76: Le mystère du nombre 46).
«Figlio, abbi pietà di me che ti ho portato in seno nove mesi, che ti ho allattato per tre
anni, ti ho allevato, ti ho condotto a questa età e ti ho dato il nutrimento. Ti scongiuro,
figlio, contempla il cielo e la terra, osserva quanto vi è in essi e sappi che Dio li ha fatti
non da cose preesistenti; tale è anche l’origine del genere umano. Non temere questo
carnefice ma, mostrandoti degno dei tuoi fratelli, accetta la morte, perché io ti possa
riavere insieme con i tuoi fratelli nel giorno della misericordia».54
Da una concezione del tempio che rischia di cadere nell’inconsistenza del ri
tualismo, si tratta di tornare alle sue origini nella prospettiva della creazione.
Creando, Dio abita la sua creazione come un tempio, nel cui ambito egli si cerca un
luogo più simbolico, destinato alla sua adorazione. In quanto Dio, non potrà mai
accontentarsi di un’opera umana. Non può che cercarsi un luogo a sua immagine, a
sua somiglianza, l’unico luogo che possa ospitarlo, vale a dire, in definitiva, il corpo
umano del suo Figlio! Tutta la traiettoria della rivelazione si trova qui condensata
in poche parole.55 Notiamo il collegamento con la dinamica dell’alleanza:
52 Cf. Os 6,1-2.
The Trial Version
53 Cf. ad esempio Gen 2.22, dove JHWH Dio «costruisce-edifica» una donna per l’uomo.
54 A proposito di questo brano, si veda il contributo di P. G ibert, «2 M 7,28 dans le “mythos” bi-
blique de la création», in La Création dans l’Orient Ancien (LD 127), Paris 1987, 463-476.
55 Si veda in proposito Y . S imoens, «La création selon l’Écriture. C ommencement, milieu et fi n
du de ssein unique de Di eu», in Christus 147(1990) , 290-303, con una serie di testi a sostegno della t esi
che viene presentata: miti e testi dell’Antico e del Nuovo Testamento.
56 Anfibologia a partire da questo testo: beyt come edificio di pietra e come discendenza.
57 2Mac 5,19; 7,9.
1 Più che all’esegesi, a questo punto dobbiamo ricorrere alle scienze del linguaggio per entrare
nella comprensione viva del testo. Fra queste scienze, bisogna includere la psicanalisi, soprattutto
quando è praticata ed elaborata da F. Dolto. L ’articolazione del desiderio, della legge e della parola nel
soggetto è preziosa. «L’enigma “Io-Noi” rimane, di generazione in generazione, mentre io, gli altri.
II. Inquadratura
I farisei non erano più comparsi dopo 1,24, dove si parlava dell’ambasceria in
viata a Giovanni da Gerusalemme. Di quella ambasceria facevano parte alcuni
membri di questa corrente giudaica. L’introduzione del nome del fariseo che ora
entra in scena fa pensare a 1,6:
- «Nicodemo il suo nome»;
- «Un nome per lui: Giovanni».
La solennità della presentazione è rafforzata dal titolo che gli viene attribuito:
«capo», senza articolo, con un complemento: «dei giudei». Qual è l’esatto signifi
cato del termine archònl Si tratta di un sostantivo seguito da un complemento di
determinazione, oppure di un verbo al participio presente con il suo complemento
al genitivo, come vuole questo tipo di verbo? «(Un) capo dei giudei» o «(Uno) che-
comanda sui giudei»? L’ipotesi del sostantivo, associato come apposizione al nome
proprio, è più verosimile. Il nome Nicodemo significa: «Colui che vince nel popolo»
o «popolo vincitore».4 Questo personaggio f igura tra i m embri influenti del gruppo
dei farisei (7,50).
II v. 2 si apre con: «Costui venne». L’espressione riproduce il primo movi
mento attribuito a Giovanni nel prologo, al v. 7: «.Costui venne per una testimo
nianza». Questi particolari fanno di Nicodemo una figura tipica, rappresentativa di
un «momento» del giudaismo, la cui portata è permanente.
Il termine nyx fa la sua prima comparsa nel quarto Vangelo: «Venne di
notte». Generalmente ha un significato simbolico, sulla linea del contrasto tra
«luce» e «tenebra» (cf. 9,4; 11,10; 13,30).
muoiono, e il linguaggio è l'enigma che, separati come siamo gli uni dagli altri, ci unisce al di là... al di
qua... tramite che cosa? In chi? Questo inconoscibile sarebbe forse il Soggetto del verbo Essere?» (F.
Dolto, L’image inconsciente du corps, Seuil, Paris 1984, 373: ultima frase del libro).
2 Pur condividendo in buona parte il metodo e i risultati di P. L étourneao, Jésus, Fils de l’homme
et Fils de Dieu, Montréal-Paris 1993, il nostro approccio se ne allontana per una suddivisione sensibil
mente diversa del testo e per le implicazioni che ne derivano. La nostra analisi cerca di mettere più chia
The TrialinVersion
ramente luce l’esplicitazione del messaggio precedente.
3 Questo legame semantico e sintattico è rilevato da I. de la Potterie, citato da G. G aeta, Il dia
logo con Nicodemo (Studi biblici 26), Brescia 1974, 30, nota 1.
4 R. V ignolo, Personaggi nel Quarto Vangelo. Figure della fede in San Giovanni, Glossa, Milano
1994,103-104. Nicodemo è un personaggio concreto e corporativo, individuale e universale (Ibidem, p.
114).
«L’assenza del luogo viene riempita dalla presenza di Gesù stesso, è lui il “luogo” del
dialogo, nessun’altra rappresentazione materiale deve distrarre».5
«Dio fu con lui», viene detto a proposito del figlio di Agar e di Abramo (in questo caso
si tratta più che altro di un povero di cui Dio si prende cura): Gen 21,20;
«Io sono con te», dice JHWH nel corso di un’a pparizione notturna a Isacco: Gen 26,24;
«Io sono con te», dice JHWH, in sogno, a Giacobbe (cf. 1,51!): Gen 28,15;
«Io sarò con te», dice JHWH a Giacobbe: Gen 31,3;
«Io sarò con te», dice JHWH a Giosuè, figlio di Nun: Dt 31,2b;
«JHWH è con te», dice l’angelo di JHWH a Gedeone: Gdc 6,12.
The Trial Version
Messo in evidenza come soggetto della prima frase, «Dio»7 ritorna soltanto
all’altro estremo del testo. Questo criterio ci aiuta a delimitare l’ultima unità lette
raria.
7 «Per la prima volta nel vangelo, Gesù menziona Dio, e quindi riformula la qualità della sua per
sona e della sua missione in termini “singolari”, ben diversi da quelli generici e stereotipati avanzati da
Nicodemo (...). Lo fa collocandosi però in una prospettiva teologica: Dio è il soggetto che ama, che dà e
che manda (tre aoristi, esprimono l’impegno radicale di Dio per il mondo)! Infine, in 3,18-21: fede, incre
dulità e giudizio» (Vignolo, Personaggi, 113, nota 185).
8 Soluzione e interpretazione preferite a quelle di Schnackenburg, Giovanni, 1,519.543-545.
Questo esegeta propone e sostiene l’ipotesi di un discorso cherigmatico completo, collocando 3,31-36
The
dopoTrial Version
3,1-12 e prima di 3,13-21. Il suo commento versetto per versetto fornisce comunque informazioni
preziose. L’ultima sintesi sui problemi posti da Gv 3 si trova in M. Morgen, Afin que le monde soit sauvé
(LD 154), Paris 1993, parte prima: Le salut révélé. Étude de Jn 3,17. Per la suddivisione, si veda il primo
capitolo: «Du salut au Sauveur. Les versets 16-17 dans la genèse de Jn 3; D: Délimitation des unités tex-
tuelles», 34-37. Questa monografia sulla soteriologia giovannea offre una buona sintesi della questione.
La nostra interpretazione cerca di mettere in luce il non detto dell’argomentazione biblica sottostante.
11 Non entriamo qui nel merito della questione di una lezione originaria senza la menzione del
l’acqua. imputabile alla pratica battesimale posteriore. Il rapporto acqua-Spirito, alla luce di 1,29-34 (so
prattutto v. 33), rimanda, secondo noi, al rapporto Giovanni-Gesù.
La posta in gioco, è una teologia della risurrezione dei corpi che permetta di
viverne per anticipazione nel tempo. Il movimento del prologo era già esplicito a
questo proposito:
«Quanti lo ricevettero, diede loro il potere di divenire figli di Dio,
a coloro che credono nel suo nome, essi che, non da sangui,
né da volontà di carne,
né da volontà d’uomo,
ma da Dio
furono generati.
E ilVersion
The Trial Verbo, carne divenne!» (1,13-14).
La reazione di Gesù, al v. 10, può essere intesa in maniera positiva. Gesù rico
nosce a Nicodemo il suo titolo di «maestro». Riprende quello stesso titolo che i di
scepoli e Nicodemo attribuivano a lui (1,38; 3,2). L’espressione «maestro d’Israele»
va intesa in senso favorevole, perché «Israele» assume sempre un’accezione posi
tiva nel quarto Vangelo.13
Il passaggio al «noi» da parte di Gesù, al v. 11, è stato preso in considerazione
dall’esegesi più recente. Per spiegare questo «noi» sono stati fa tti molteplici tenta
tivi di tipo diacronico o sincronico, in base ai modelli chiamati in causa per la o le
comunità sottostanti. È importante precisare il suo significato nel quadro della no
stra proposta di lettura del quarto Vangelo.
15 Questa prima occorrenza del verbo nel Vangelo merita un’attenzione particolare, come tutto
ciò che sorge «una prima volta», in conformità con il contesto.
definito. I verbi “condannare-salvare” definiscono un’azione più puntuale» (Morgen, Afin que le
monde, 101).
17 I gnazio, Esercizi, n. 230, in Gli scritti, 148.
VII. Alleanza
I. Prime osservazioni
1. Delimitazione
Il capitolo 3 viene abitualmente di viso in due parti: 3,1-21, il dialogo fra Nico-
demo e Gesù, concluso da un monologo di Gesù; 3,22-36, il dialogo tra Giovanni e i
suoi discepoli, concluso a sua volta da un monologo di Giovanni.1 In genere gli ese
geti sono concordi anche nel vedere in 4,2 un’eco e una precisazione di 3,22:1 2
3,22 Dopo queste-cose, venne, Gesù e i suoi discepoli, nella terra di-Giudea, e là
si tratteneva con loro e battezzava.
4,2 - tuttavia lui, Gesù, non battezzava, ma i suoi discepoli -
4,3a segna inoltre la partenza dalla Giudea, dopo la menzione esplicita della
«terra di-Giudea» in 3,22. È difficile non vedere in questo fatto un altro elemento di
inclusione presente nel racconto. All’uno come all’altro estremo del testo, troviamo
una triplice precisazione: sul rapporto tra «Gesù e i suoi discepoli»; sul luogo in cui
si svolge la scena: la Giudea; sull’oggetto della sequenza: il battesimo. Si può dun
que decidere di estendere la pericope da Gv 3,22 a 4,3a.
1 Léon-Dufour, Lettura, 1,380-381. L’autore fa risalire il parallelismo fra le due parti fino a
2.23-25: un racconto, del genere «sommario», introdurrebbe quindi sia l’uno sia l’altro insieme. Per tutte
queste problematiche si veda la monografia di Morgen, Afin que le monde.
2 Per questa posizione, condivisa da molti, si veda ad esempio: Schnackenburg, Giovanni. 1,617.
L’indicazione iniziale: «Dopo queste-cose» non sembra essere che «una con
nessione (connective') vaga, senza vera precisione cronologica».4 Pone tuttavia una
The Trial Version
netta cesura f ra que llo che precede e quel lo che segue. Come nell’introduzione al
L’aforisma con cui Giovanni inizia la sua risposta può essere oggetto di inter
pretazioni diverse in base al significato che si attribuisce a «un uomo». Secondo un
recente studio in proposito,15 si tratta di Gesù. La sentenza proverbiale sembra più
12 Così va inteso questo ek. come osserva Schnackenburg, Giovanni, 1,621, seguendo il diziona
rio di W. Bauer.
13 «Non si può basarsi sulla lettera delle parole attribuite a Giovanni (vv. 27-30) per assegnare
una data alla redazione della pericope: era possibile mettere in scena un giudeo (o dei giudei) fra l’anno
The
30 eTrial
il 70Version
come dopo il 70, insistendo in entrambi i casi sulla testimonianza resa da Giovanni. Per quanto
riguarda il finale (w. 31-36), si tratta di una riflessione dell’evangelista innestata sulle parole di Gio
vanni, come i vv. 16-21 erano innestati sulle parole di Gesù» (Grelot, Les Juifs, 30).
14 Brown, Giovanni, 201.
15 C. P anackel, Idou ho anthròpos (Jnl9,5b).An exegetico-theologicalStudy ofthe Text in thè Light
ofthe Use ofthe Terni anthròpos designating Jesus in thefourth Gospel (AnGreg 251), Roma 1988, 68.
16 Schnackenburg. Giovanni, 1,624: «La “voce dello sposo” che l’amico “ascolta” significa proba
bilmente il grido di giubilo che indicava all’accompagnatore, in attesa davanti alla stanza matrimoniale,
che lo sposo aveva trovato vergine colei che gli era stata condotta in casa».
17 Si veda J. Jeremias, citato da Schnackenburg, Giovanni, 1,624.
«(Di) queste-cose vi ho parlato affinché la gioia, la mia, sia in voi, e la vostra gioia sia
compiuta».
Quest’ultimo versetto del mashal della vite, nella seconda parte del discorso
dell’ultima cena, ci permette di precisare ulteriormente i diversi livelli che vengono
articolati qui:
Giovanni Gesù Discepoli
amico dello sposo sposo amici(-sposi)
gioia compiuta la mia gioia gioia di Gesù sposo
compiuta in essi
Si tratta, nella comunità cristiana, di non fermarsi alla gioia di Giovanni come
amico dello sposo. B isogna arrivare fino a essere partecipi dell’identità sponsale di
Gesù, partecipando di conseguenza alla «sua» gi oia, senza cadere i n un’interpreta
zione moralistica del v. 30, applicato al cristiano o al ministro cristiano.18
La logica interpretativa da seguire è in definitiva indicata dal parallelo molto
forte di Mt 11,11:
«In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista;
tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».
Il seguito del testo si sviluppa nel senso di un’equivalenza giovannea tra «re
gno di Dio» e «vita eterna», come in 3,3.5 («vedere, entrare nel regno di Dio») e in
3,15-16 («avere in lui (la) vita eterna»).
Molti vorrebbero vedere nei vv. 31-36 un discorso indipendente di Giovanni,
attribuibile alla comunità giovannea post-pasquale. Con X. Léon-Dufour, ma in
modo diverso, è opportuno rispettare i l fatto che il discorso continui a essere attri
buito a Giovanni. Indubbiamente, come in 3,(12)16-21, a esprimersi è la comunità
post-pasquale. Ma quest’ultima fa parlare Giovanni così come faceva parlare il
Gesù di prima della Pasqua per far comprendere la coerenza della Pasqua! Ciò che
avviene nella luce del Risorto è pienamente conforme a ciò che Gesù ha detto e
fatto nel corso della sua vita terrena.
Sembra dunque che qui si torni a riferirsi al credente più che a Gesù. Ma in tal
caso l’affermazione sorprende ancora una volta per la sua estensione all’uomo. In
6,27, quando si afferma che «il Padre, Dio, suggellò costui», «costui» è il Figlio
dell’uomo. Qui, a quanto sembra, è il credente ad aver suggellato (stesso verbo,
stesso tempo) che Dio è vero. La frase è messa sulle labbra di Giovanni come testi
mone. In questo caso, egli ha il compito di indicare fin dove arriva la possibile iden
tificazione del credente con il Cristo.
La frase che segue esige lo stesso sforzo di decifrazione.
«Colui che Dio inviò, infatti, paria le parole di Dio» (3,34).
«Ma la collera di Dio rimane su di lui» (3,36b). Abbiamo qui un hapax giovan
neo: si tratta dell'unica menzione della «collera di Dio» nel quarto Vangelo. È un
modo per lasciare che il discorso finale di Giovanni si concluda con una nota di
escatologia in via di realizzazione, in sintonia con l'i nsieme di Gv 3, e nello stesso
tempo, in virtù di questa nota minacciosa, con un invito alla conversione in sintonia
con il tono del suo messaggio secondo i Sinottici.25
Il messaggio di Giovanni appare inoltre come una spiegazione e una risposta
alla domanda che egli stesso pone in Mt 11,3:
«Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?» (par. in Le 7,18-28).
24 Altro legame con le nozze di Cana: là si trattava di due o t re met rete, qui si tratta di un dono
«non con misura» (ouk ek metrou).
25 Mt 3,2; Me 1,4 e soprattutto Le 3,7: «Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire all’ira immi
nente?».
Il Battista è ben distinto dal Verbo. Ma dà già corpo alla Scrittura che culmina
in lui per invitarlo a un «battesimo» in vista di riconoscere in G esù i l suo inaudito
compimento. In questo è compiuta la sua gioia, prima e in vista di lasciare che la
gioia di Gesù si compia nei discepoli (15,11).
Gli ultimi versetti dell’unità precedente collocano l’episodio che segue sotto
il segno del battesimo: quello di Giovanni e quello che è preferibile attribuire ai
discepoli di Gesù piuttosto che a Gesù stesso. L’incontro fra Gesù e la samaritana
si inserisce in questa prospettiva. Si tratterà di una catechesi battesimale. Che cosa
avviene quando Gesù si rivela come il battesimo in atto, come il fondamento di
ogni battesimo e anche di ogni possibile atto sacramentale? Questa è la domanda.
Il racconto e i dialoghi di cui è intessuto danno una risposta completa e ricca di
sfumature.
Il testo si sviluppa in tre stadi, che corrispondono alle tre parti della nostra
analisi.
I. 4,3b-15: Partenza per la Galilea
Inquadratura: il dono di Dio
II. 4,16-26: Messaggio centrale del colloquio
«Adorare il Padre in Spirito e verità»
III. 4,27-45: Implicazioni per la missione
Partenza per la Galilea
L’aspetto formale del testo aiuta a cogliere l’oggetto dell’incontro e del dia
logo di Gesù con la samaritana, con i discepoli e infine con i samaritani.1 Per risalire
dalla Giudea in Galilea, bisogna (4,4) che Gesù attraversi la Samaria. Questa neces
sità si spiega a due livelli, presenti lungo tutto il testo evangelico. Il primo livello,
geografico, rispetta i dati storici, ma non sempre fornisce i dettagli che ci aspette
remmo. Il livello teologico prolunga e dà un contenuto al precedente. Poiché Gesù
opera nel suo corpo la riunificazione dei figli di Dio dispersi (cf. 11,52), «bisogna»
che egli attraversi i territori dissidenti e incontri le persone devianti. L’unificazione
del nord e del sud nella sua persona passa per la regione mediana della Samaria,
considerata come eretica e scismatica. L’universalismo della sua missione lo con
duce presso gli esclusi. Gesù preciserà a questo punto, rivolgendosi ai samaritani
ma avendo di mira tutti, Israele e giudei insieme, lo scopo per cui Dio, suo Padre,
ha creato il mondo e ha eletto il suo popolo. L’indicazione di questa finalità intende
suscitare l'adorazione in Spirito e verità.
1 La prospettiva formale della nostra analisi permette di non perdersi nella m olteplicità dei lavori
recentemente consacrati a questo grande testo. Una buona panoramica sincronica e diacronica in A.
Link, « Was redest du mit ihr?», Eine Studie zur Exegese, Redaktions- und Theologiegeschichte von Joh
4,1-42 (BibUnt 34), Regensburg 1992.
zione e il luogo che viene lasciato (J. Caba, Cristo, Pan de Vida. Teologia eucaristica del IV E vangelio.
Estudio exegético de Jn 6 [Biblioteca de Auctores Cristianos 531], Madrid 1993, 149, nota 7). Ma qui,
come in altri versetti, in particolare con la preposizione eis o pros, e anche allo stato assoluto, esprime
una comunione e un luogo ritrovato.
3 D. Mollat, Fase. BJ 1973, ad hoc.
4 A. Jaubert, Approches de L’Évangile de Jean (Parole de Dieu), Seuil, Paris 1976, 58-60.
5 La dimensione nuziale era sottolineata in Gv 3,29-30.
6 Dal punto di vista semantico, molti termini vanno nel sens o de lle connotazioni del corpo e del
corpo femminile: il pozzo («La donna è un pozzo, [...] un coltello di ferro acuminato, che taglia la gola al
l’uomo», dice l’antico testo accadico cuneiforme, assai noto, dal titolo: «Dialogo pessimistico fra il si
gnore e i l servo», 11. 51-52, in Testi sumerici e accadici [Classici delle religioni], UTET 1977, 506); an-
tléma, ha pax in t utto il NT e assente nel la Bibbia dei Settant a, un termine che potrebbe avere un corri
spondente ad esempio nell’ebraico kelt, usato in senso eufemistico come in ISam 21,6: si veda V ignolo,
Personaggi, 156, nota 244); «frequentarev-sygchraomai («Il senso andrebbe piuttosto ric avato dal sem
plice chraomai che indica un rapporto emozionalmente molto intenso, amicale o aggressivo, spesso rife
rito a relazioni sessuali»; Vignolo, Personaggi, 150, nota 237, con bibliografia); «acqua come posterità -
oltre che implicitamente in Pr 5 - più es plicitamente in Nm 24,7; Is 48,1 (cf. la parafrasi esplicitante del
The Trial Version
l’immagine nelle versioni dei Settanta, nella Peshitta e nel Targum Onqelos)»: Vignolo, Personaggi,
154, nota 143.
7 Schnackenburg, Giovanni, 1,637.
8 In realtà non riceverà nulla da bere, nonostante la sua esplicita richiesta! Vignolo, Personaggi,
135, ritiene tuttavia che la samaritana abbia offerto a Gesù l’acqua che le era stata chiesta, e che Gesù
abbia bevuto. Ma ammette la presenza di un gap nel testo.
Questa donna è alla mercé di Gesù: al ripa ro da ogni volontà di potenza. At
traverso la parola che le viene rivolta come nel corpo che le esprime il proprio biso
gno e nello stesso tempo il proprio dono, non subisce la minima dominazione. Gesù
è l’amore che fa crescere. Egli riconduce la donna alla verità del suo desiderio.
Come tutti noi, anch’essa attendeva la verità che rende liberi (cf. 8,32). Subito il
dialogo si fa più intenso, per arrivare fino allo Spirito e alla verità. Di nuovo si pos
sono individuare tre tempi, tre mediazioni:
- 4,16-20: Primo dialogo a proposito del «marito», che si conclude con il ricono
scimento di Gesù come profeta;
- 4,21-24: Chiarimento da parte di Gesù, al centro di tutta l’unità letteraria e di
tutta la prima sezione del Vangelo: l’essenziale concerne l’adorazione;
- 4,25-26: Secondo dialogo, che comincia con l’evocazione del Messia-Cristo.
confermata da Gesù a proposito di se stesso.
13 Si veda I. de la Potterie, «“Nous adorons, nous, ce que nous connaissons, car le salut vient des
Juifs”. Histoire de l’exégèse et interprétation de Jn 4,22», in Bib 64(1983), 78, che cita la posizione di
Bultmann.
14 De la P otterie, «“N ous adorons...”», 97. Per i giudei che non conoscono Dio, cf. Gv 8,14.19;
15,11 (De la Potterie, «“Nous adorons...”», 97). N ella sua analisi - a carattere diacronico - di 4,22 (im
The Trialalla
putabile Version
redazione R), Link, «Was redest du...?», 189-195, non si dilunga molto sul problema posto
dai pronomi: per il redattore, Tessere-giudeo di Gesù è evidente (p. 194); è un corollario o un’equiva
lenza (Dodd) dell’incarnazione in 1,14 (p. 195).
’5 De la Potterie, «“Nous adorons...”», 97.
16 Ivi.
17 Ivi, 108-109.
Gli stessi criteri di lettura si applicano quindi alla proposizione causale che se
gue: «Perché la s alvezza vi ene (= è) dai giudei». Secondo F. Mussner, il senso sa
rebbe il seguente:
«La salvezza escatologica del mondo è sempre in rapporto con il giudaismo', “è dai giu
dei”».19
3. Escatologia e storia
18 Agostino, Commento al Vangelo, XV,26, pp. 370-371. Origene si muove nella stessa direzione,
distinguendo la lettera e l’anagogia, il discorso e l’aìlegoria. «“Voi”: sul piano della lettera: i samaritani;
sul piano dell’anagogia: gli eterodossi nei confronti delle Scritture; “Noi”: sul piano del discorso retorico:
i giudei; sul piano dell’allegoria: io, il Logos, e coloro che, formati in conformità con me, possiedono la
salvezza a partire dalle parole giudaiche: il mistero ora manifestato, infatti, è stato manifestato dalle
Scritture profetiche e dall’epifania di nostro signore Gesù Cristo» (In Ioann., XIII,XVII,101, traduzione
The Trial Version
dell’autore [cf. Origene, Commento al vangelo, 479]).
19 F. M ussner, Il popolo della promessa. Per il dialogo cristiano-ebraico (Dialogo), Roma 1982,
57. La prima frase è in corsivo nel testo.
29 De la Potterie. «“Nous adorons...”», 91.
21 Ivi, 102. L’autore critica in tal modo, più che F. Mussner, Teodoro di Mopsuestia (350-428
d.C.).
22 «Ogni giudeo è chiamato alla fede nel Dio d’Israele, manifestata in maniera definitiva in Gesù
Cristo, in ragione della sua identità giudaica. Il caso del giudaismo è unico nel suo genere, fuori o dentro
la Chiesa, perché il rispetto delle libertà umane da parte dell’“attrazione del Padre” (Gv 6,44) rimane in
tatto nel giudaismo come altrove» (G relot, Les Juifs, 190, nota 1 in fine). In virtù dello stesso principio,
«la risposta all’“attrazione del Padre” (Gv 6,44) per “venire al Figlio” non può essere che personale (...).
L’evangelista prospetta soltanto il futuro comunitario di coloro che hanno creduto in Gesù, Messia e Fi
glio di Dio: egli è “colui che raduna” “tutti i figli di Dio dispersi”, israeliti o non israeliti» (p. 181). È im
portante riconoscere nei giudei di oggi il «popolo scelto da Dio in virtù de lla prima alleanza» (p. 180). Se
si prende in considerazione il loro riconoscimento di Gesù come Cristo nella Chiesa soltanto attraverso
casi individuali, si restringe singolarmente l’ampiezza della preghiera per l’unità di tutti i credenti se
condo
The GvVersion
Trial 17, e anche il discorso sull’adorazione del Padre in Spirito e verità.
23 De la Potterie, «“Nous adorons...”», 81.101.
24 Si veda P. Beauchamp, «Les catégories en oeuvre dans la rencontre du judaisme et du chri stia-
nisme», in L’Unique etses témoins. Judaisme, christianisme et islam: histoire et théologie d’une rencontre
(Médiasèvres), Paris 1996. 29-46. Questo contributo si sviluppa in tre tempi: A. I fatti nella memoria; B.
La scena attuale; C. L’interpretazione. Quest’ultima è ispirata soprattutto alla Lettera ai Romani, ma il
A dire il vero, la professione di una fede iniziale, espressa nel v. 25, è già molto
esplicita: «So che viene un Messia, quello che-è-detto Cristo». L'attesa messianica
ha già rivestito due figure: quella del Figlio di Davide - gerosolimitano, glorioso - e
quella del Figlio di Giuseppe - samaritano, soffere nte. In entrambi i casi, il Messia è
visto come re e sacerdote in virtù dell’unzione. Questa componente sacerdotale è
messa in risalto dal contesto cultuale della scena.
«Quando-eventualmente verrà, egli ci comunicherà tutte-le-cose». «Tradotto
spesso con “annunciare”, scriveva D. Mollat,25 questo verbo appartiene al linguag
gio dell’apocalittica e significa “rivelare”, “svelare”, “spiegare”: cf. Dn (Teodo-
zione) 2,2.7.9.11.16.24.27; 5,12.15; 9,23; 10,21; 11,2. Cf. anche Gv 16,13-15».
Ritroviamo qui le quattro componenti che nei capitoli che precedono ab
biamo sempre incontrato a proposito del Cristo e quindi dei credenti. Il Cristo ap
pare come il sacerdote della Torah, il re messianico della stirpe di Davide attra
verso la figura idealizzata del Salomone degli scritti sapienziali, il profeta (cf. 4,19 e
la ripresa profetica della figura del Messia in Is 11,1-9) e il rivelatore apocalittico
che comunica se stesso al suo popolo sacerdotale, regale, profetico e apocalittico.
L'intervento di Gesù al v. 26 conferma questa lettura. La formula «Io sono»-
Egd eitni, usata in assoluto, senza complemento, ricorre qui per la prima volta. «“Io
sono” non significa immediatamente: Io sono colui che disse a Mosè: “Io sono colui
che sono” (Es 3,14). Tutto il comportamento di Gesù attesta che egli considera il
Dio di Mosè come suo Padre e non pensa di prendere il suo posto. Tuttavia, par
lando c ome Dio aveva parlato a Mosè, r iprendendo il suo linguaggio e il suo tono,
Gesù necessariamente si identifica con l’“Io” che parlava a Mosè». 26 L’espressione:
«Colui che-(ti)-parla» va nello stesso senso. «Per san Giovanni, il verbo lalein ha un
valore particolare. (...) Si applica alla comunicazione o alla trasmissione di una pa
rola rivelata».21 Questo intervento di Gesù in prima persona singolare, in cui egli,
nel pr oprio «Io», tramite la reminiscenza di Es 3,14 rimanda al Padre stesso, met te
Vangelo di Giovanni non viene lasciato da parte: «Siamo uniti innanzitutto dallo stesso peccato, prima di
essere uniti dallo stesso amore di cui questo peccato è l'inversione rivelatrice» (p. 43). «La croce non è
che un termine, e l’intelligibilità - o le esigenze che si impongono a c hi vuol prendere sul serio l’atto nar
rativo - richiede che si ritorni all’inizio, senza lasciarlo, non più della fine, nell’isolamento. Così fa il
Vangelo di Giovanni, che fa risalire la volontà omicida fino a un padre, mentitore e omicida fin dall’ini
zio. La nostra colpa viene a porsi sul nostro inizio, quando rifiutiamo di aver ricevuto la vita e preten
diamo in modo menzognero di essercela data da soli. Tutto ruota intorno a questo interrogativo: di chi
The Trial
siamo Version
figli, siamo figli di Dio, Dio è padre?» (p. 44). Il Figlio dice il Padre nello Spirito. Questa comu
nione in Dio rende possibile la comunione in «noi», fra gli esseri umani. L'unità dei figli di Dio dispersi
presuppone un’unità di comunione in Dio.
25 Fase. BJ 1973, ad hoc. Per quanto lo riguarda, D. Mollat traduce con «spiegare».
26 Guillet, Jésus Christ. 39.
27 De la Potterie, La vérité, I, 42.
La sorpresa dei discepoli di fronte ai due interlocutori del dialogo è a sua volta
rivelatrice. La loro perplessità anticipa già quella del mattino sul lago di Tiberìade
(21,12).28
«La donna lasciò dunque la sua giara». «La giara» richiama le «sei giare di pie
tra per la purificazione dei giudei» citate in 2,6. Questo particolare sembra espri
mere simbolicamente la situazione della donna stessa. Ormai purificata dalla parola
di Gesù, e dissetata dall’acqua viva che Gesù è nel suo corpo e in tutta la sua per
sona, la donna non ha più bisogno de l suo strumento per a ttingere e si t rova l ibera
per la missione. La parola del v. 29 comunica ciò che Gesù ha portato alla luce di lei
più che la sua scoperta di Gesù; comunica l’interrogativo di cui è portatrice più che
la sua professione di fede. Questa parola basta a condurre i suoi concittadini e cor
religionari dapprima a Gesù (v. 30) e poi alla loro fede in lui (v. 42).
La prima parte dell’insieme parlava di «bere» e di «acqua» (vv. 3b-15)). L’ul
tima sviluppa soprattutto le immagini del «mangiare» e del «cibo/nutrimento» (bró-
sis/bróma: vv. 32.34). La spiegazione che Gesù dà del suo aforisma ellittico a propo
sito del suo cibo introduce l’argomento della sua missione:
«Mio nutrimento è che io faccia la volontà di colui che-mi-mandò e che porti-a-
compimento la sua opera».29
28 II ti laleis, che riprende lo stesso verbo usato in 4,26, secondo Schnackenburg, Giovanni, 1,655-
656 (con una precisazione alla nota 69), va inteso come: «Di che parli con lei?». Non bisognerebbe tutta
The
via Trial Version
escludere del tutto un significato di «rivelazione».
29 II verbo teleioò, dalla cui radice viene il sostantivo teleiòsis, termine tecnico usato nell’Antico
Testamento e nella Lettera agli Ebrei per la consacrazione dei sacerdoti, probabilmente non è privo di
una certa connotazione sacerdotale.
30 Schnackenburg, Giovanni, 1,665, compresa la nota 94.
31 Ivi, 1,662-670.
I. Problematica
Abbiamo deciso di riunire questi due racconti. Una certa omogeneità associa
infatti le prime due guarigioni del Vangelo di Giovanni. Tale omogeneità rischia di
non venire abbastanza alla luce. L’esegesi moderna sottolinea il salto, a prima vista
sorprendente, che ci fa passare senza transizioni dalla Galilea (4,54) a Gerusa
lemme (5,1). In realtà, il contesto precedente ci aveva già abituati a questo genere
di fenomeno, che rientra nell’organizzazione interna del testo. Anche la prima «sa
lita» a Gerusalem me (2,13) si verificava all’improvviso, dopo l’episodio de lle nozze
a Cana di Galilea. Una motivazione pedagogica e gli imperativi della suddivisione
testuale ci avevano indotti a staccare la scena di Cana da quella che si svolge nel
tempio. Ma è possibile studiare questi due testi apparentemente molto diversi in
maniera sinottica per metterne in luce la profonda concordanza, non fosse che dal
punto di vista della dinamica del «credere». La conclusione dei due episodi verte
sul «credere» di coloro che ne sono stati testimoni. Ancora una volta bisogna com
binare diacronia e sincronia per non cadere nella trappola di un approccio troppo
storicizzante. Questo tipo di approccio si preoccupa in modo decisamente eccessivo
di cercare di distinguere ciò che appartiene alla tradizione da ciò che appartiene
alla redazione, nonché di individuare somiglianze e differenze rispetto ai paralleli
sinottici, senza far progredire nella comprensione dei testi.1
Il prologo narrativo ricorda ciò che Gesù ha detto e fatto nel quadro dell’al
leanza. L’evocazione delle stipulazioni a Gerusalemme e in Samaria culmina nell’e
sigenza di «adorare il Padre in Spirito e verità». Segue questa selezione di due gua
rigioni, introdotte soltanto qui, a un punto abbastanza avanzato del racconto della
vita di Gesù. Si è tentati di vede re i n queste guarigioni il riflesso delle benedizioni
nel contesto dell’alleanza. Ma «la benedizione è fecondità divina sulle forze e sulle
risorse terrene. È innalzamento, trasfigurazione. Il miracolo è segno, è rottura».1 2
Qui è guarigione, incondizionata. «È precisamente ciò che manca alle due guari
gioni perché rientrino nel modello dell’alleanza».3 È dunque meglio lasciare da
parte la trama dell’alleanza e considerare il racconto giovanneo nella sua specifi-
1. Inquadratura (4,46-47)
4 Cf. Gen 1,1, dove traduce nel greco dei Settanta l’ebraico bara’.
5 Cf. Gen 1.6: la separazione delle acque dalle acque.
6 P. Beauchamp, L'uno e l’altro Testamento. Saggio di lettura (Biblioteca di cultura religiosa 46),
Brescia 1985, 172.
«Io, dice il Signore a Mosè appena prima delle piaghe d’Egitto, indurirò il cuore del fa
raone e moltiplicherò i miei segni e i miei prodigi nel paese d’Egitto».
«Ha mai tentato un dio di andare a scegliersi una nazione (goy, riferito a Israele!) in
mezzo a un’altra con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso
e grandi terrori, come fece per voi il Signore vostro Dio in Egitto, sotto i vostri occhi?»
(Dt 4.34).
«Voi avete visto quanto il Signore ha fatto sotto i vostri occhi, nel paese d’Egitto, al fa
raone, a tutti i suoi ministri e a tutto il suo paese; le prove grandiose che i tuoi occhi
hanno visto, i segni e i grandi prodigi».
Si noti l'importanza del «vedere», come nella domanda di Gesù in 4,48. L’e
spressione in questione ritorna, in posizione analoga, nel prologo storico di Ne 9,10:
«Hai operato segni e prodigi contro il faraone», viene detto al Signore come intro
duzione alla grande confessione dei peccati che ha luogo dopo il ritorno dall’esilio.
Nel codice deuteronomico, il popolo viene messo in guardia «contro le sedu
zioni dell’idolatria» (sottotitolo della Bible de Jérusalem) nei seguenti termini:
Si Version
The Trial avverte qui un’eco sia del Deuteronomio che di Geremia.
In Isaia, l’espressione compare nel «libro dell’Emmanuele»:
«Ecco, io e i figli che il Signore mi ha dato, dice il profeta, siamo segni e prodigi per
Israele» (Is 8,18).
7 Hatch-Redpath e BJ rimandano a 3,22ss (99ss), cioè al cantico di Azaria nella fornace se
condo i Settanta e Teodozione. L’idea è la stessa, ma il vocabolario non è identico: l’espressione segni
e prodigi non è presente.
8 Una buona trattazione relativa alla punteggiatura e all’interpretazione che ne consegue si trova
The
in VTrial Version
ignolo , Personaggi, 68-69. L’autore opta a ragion veduta per la forma interrogativa: «In 4,48 pos
siamo riconoscere una domanda non retorica, ma reale, con attesa di una risposta positiva: Gesù si
aspetta dal funzionario regale una fede capace di trascendere la richiesta di un segno nei termini da lui
avanzati - come del resto dimostra la pronta accoglienza del comando e della dichiarazione di Gesù
(4,50-51). (...) La parola di Gesù ha un duplice destinatario: attraverso il funzionario regale, in realtà è il
lettore che viene interpellato» (Vignolo. Personaggi, 69. nota 119).
Il potere sulla morte e sulla vita che caratterizza queste due figure profetiche
sta alla base della portata apocalittica già assunta da Elia in MI 3.
La densità del messaggio di Gesù ottiene una reazione non meno significativa.
Si tratta di una reazione di fede: «Credette». Questa volta il soggetto non è «l’uffi
ciale regio», ma «l’uomo»: l’umanità sembra dunque simboleggiata in questo perso
naggio che aderisce al Verbo, alla Parola che Gesù pronuncia. Ciascuno dei termini
è scelto con cura, per fare di questo episodio e di questo momento particolare del
racconto un avvenimento-tipo. L’uomo fa («andò») ciò che il Verbo gli dice in
Gesù: «Mettiti-a-andare!». 11 Il segno ha bisogno della fede. Il segno viene dato non
affinché l’uomo creda, ma perché crede.12
Adesso è «l’uomo» a «discendere» dalla vetta su cui l’ha collocato il Figlio del
l’uomo, il Verbo in Gesù. I suoi servi gli vanno incontro, un po’ come lui si era re
cato da Gesù, per confermargli la Parola: «Tuo figlio vive».
La richiesta di informazione sull’«ora» non è aneddotica: mantiene il racconto
nell’atmosfera apocalittica dell’«ora», di cui si era parlato per la prima volta a Cana
per le nozze (2,4), Se n’è parlato ancora abbondantemente nel cuore dell’incontro
con la samaritana: «Viene (l’)ora ed è adesso» (4,23). Qui l’«ora» coincide con il mi
glioramento della salute del figlio di questo credente-tipo. Il narratore si sofferma
sull’argomento. I servi precisano:
«Ieri, all'ora settima, la febbre lo lasciò».
9 In tal senso, egli sollecita un approfondimento della fede. Questa interpretazione combina
quella della tradizione e quella dell'esegesi recente, tenuto conto della soluzione critica proposta da al
cuni, i quali spie gano l’apparente iato tra la parol a di Gesù e il modo di procedere del suo interlocutore
chiamando in causa un'interpolazione dell’evangelista o della redazione giovannea. Una buona sintesi
della questione, con rimandi alla relativa letteratura, si trova in G. Van B elle, «Jn 4,46 et la foi du ccn-
turion», in ETL 61(1985), 167-169.
10 L’imperativo presente: «Mettiti-a-andare»-poreuou, potrebbe essere un’eco di Gen 12,4
(LXX): «Abramo se ne andò, secondo ciò che gli aveva detto il Signore». «Il funzionario regio - presu
mibilmente un pagano, ma potrebbe trattarsi anche un erodiano (così M. H engel, La questione giovan
The
nea Trial
(StudiVersion
biblici 120), Paideia, Brescia 1998, 298, nota 92) - offre la tipologia caratteristica della fede
più pura, che (come Àbramo), “si mette in cammino” confidando nella parola del Signore» (Vignolo,
Personaggi, 70, nota 123).
11 Basandosi su B.F. Westcott, J. Caba (Cristo, Pan de Vida, 149, nota 7) afferma che il verbo
poreuomai è usato in relazione a una finalità, a una missione da compiere o a uno scopo de perseguire.
12 Come viene messo bene in risalto da Schnelle, Antidoketische Christologie, 105.
2. Inquadratura (5,1-9a)
A. Le coordinate temporali
Il meta tanta, «dopo queste-cose», già utilizzato in 3,22 per collegare il collo
quio fra Gesù e Nicodemo con l’ultimo episodio relativo a Giovanni, è «un vago
congiuntivo senza valore temporale», secondo l’espressione di R.E. Brown. La
menzione enfatica di «una festa dei giudei» attira l’attenzione, soprattutto in as
senza di altre precisazioni. Ci si chiede di che festa si tratti, ma bisogna dire che
questo non interessa all’evangelista! Dopo la festa di Pasqua citata in 2,13, e che ha
luogo in primavera, dopo lo sguardo posato sui «campi bianchi per la mietitura» in
4,35, è legittimo pensare alla successiva festa di pellegrinaggio, dal momento che
Gesù «sale» a Gerusalemme. L’ipotesi più verosimile è che si tratti della festa del
raccolto estivo, la Pentecoste, celebrata cinquanta giorni dopo la Pasqua e chiamata
anche «festa delle settimane» - in ebraico Shavu‘ot (Es 34,22) -, ancora in vigore
nel giudaismo contemporaneo.16 L’inserimento della celebrazione del dono della
Torah al Sinai nel quadro della festa risale alla fine del primo secolo:17 ciò è in sinto
nia con il discorso che segue, dove si parla di nuovo di «dono» (5,21.26) e di Mosè
(5,45-46).18 Questa cronologia presuppone una permanenza molto breve in Gali
lea.19 In seguito, il fatto che «in quel giorno era sabato» appare la cosa più impor
tante (5,9.18).
versione dei capitoli -, può trattarsi della festa del nuovo anno, Rosh Hashanah, il primo di tisri, due set
timane prima della festa delle capanne, in autunno. Ma questa ipotesi si basa su dati troppo incerti del le-
The Trialtriennale
zionario Versiondell’ufficio sinagogale. Secondo Ph. Rollano, «il contesto potrebbe far pe nsare al Ca
podanno, festa della creazione del mondo (5,17)» (Présentation du Nouveau Testament selon Vordre
chronologique et la strutture littéraire des écrits apostoliques, Paris, 1995, 559, nota 2).
17 Questa precisazione, dovuta a J. Radermakers, combina di nuovo diversi livelli di lettura.
18 B rown, Giovanni, 266. Parere sfavorevole di Schnackenburg, Giovanni, 11,166.
” Brown, Giovanni, 266.
20 «Bethesda significa casa di misericordia. I resti di questo serbatoio si possono visitare a Gerusa
lemme» (Rolland, Présentation, 559, nota 3).
The Trial21 Version
M. Zerwick - M. Grosvenor, An Analysis of thè Greek New Testamene Roma 1981. 298.
22 Schnackenburg, Giovanni, 11,167, nota 7.
23 Ivi, 11,167-168. L ’autore riassume le notizie fornite da J. Jeremias, The Rediscovery of Bethe
sda. John 5:2 (New Testament Archaelogy Monograph n. I), Louisville 1966. Si tratta di un’edizione in
glese, accresciuta e migliorata, delForiginale tedesco: Die Wiederentdeckung von Bethesda. Johannes 5,2,
Gottingen 1949.
«Il malato (colui che-si-indeboliva, il debole) gli rispose: «Signore, non ho (nessun)
uomo che (= affinché), quando-eventualmente l’acqua è-turbata, mi getti nella pi
scina; ora nel (tempo) in cui io vengo, un altro discende prima di me!» (v. 7).
L’importanza del sabato prevale su quella della festa non meglio identificata
di cui si parla in 5,1. La nuova situazione dell’interessato viene sottolineata con
forza dal testo: «(l’uomo che era stato) curato» (v. 10); «sano» (v. 11); «colui che-fu-
guarito» (v. 13).
In contrasto con ta le situaz ione, il divieto imposto dal sabato appare irri sorio.
La parola dei giudei si contrappone a quella dello stesso Gesù, ripetuta da colui che
ha beneficiato del suo intervento:
- v. 10: «È sabato,
non ti è permesso portare-via il tuo lettuccio».
- v. 11: «Colui che mi fece sano, egli mi disse:
“Porta-via il tuo lettuccio e mettiti-a-camminare!”».
- v. 12: «Chi è l’uomo
che ti aveva detto: “Porta-via e mettiti-a-camminare!”?».
L’autorità di una parola d’uomo è messa in conflitto con l’autorità di una parola
più normativa, quella di JHWH nel decalogo della Torah. Se «quel giorno» è il sabato
della Pentecoste, il conflitto tocca il centro, non solo della Torah, ma dello stesso de
calogo, dove il precetto relativo al sabato fa passare dal rapporto con Dio ai rapporti
con gli altri (Es 20,8-11; Dt 5,12-15). Il verbo poiein, usato per i due segni di Cana nel
suo significato di creazione, ritorna nel cuore del dibattito, dove esprime l’intervento
trasformante di Gesù che ha reso sano l’uomo. Si può già intuire che Yha fatto tale in
virtù di un potere creatore che non appartiene all’uomo soltanto. In questo senso, il v.
13 non dice soltanto che l’interessato non conosceva «l’uomo» Gesù, ma esprime la
sua ignoranza a proposito della vera identità di Gesù.
«Ora colui che-fu-guarito non sapeva chi è».
Spesso si rimanda a 9,3 per non lasciar pensare che Gesù stabilisca qui un le
game di causa a effetto tra il peccato e la malattia o la sofferenza. Per Gesù, se
condo la visione di Giovanni più che in qualsiasi altra presentazione della sua per
sona nel Nuovo Testamento, l’infermità e persino la morte (cf. 11,15) sono ordinate
alla manifestazione della gloria di Dio e alla fede. Una tale prospettiva ci costringe
a rileggere il testo sotto questa luce. In realtà, Gesù ha incontrato un uomo senza
speranza che non si aspettava niente da lui. Ha suscitato la fede di quell’uomo e
cerca di alimentarla. «Non peccare più» significa non tornare più a una situazione
priva di speranza e di fede, una situazione che non rende gloria né a Dio, né al
l’uomo stesso! Il v. 15 descrive «l’uomo» nella disposizione di cercare di rendere
gloria a Dio tramite Gesù.
«L’uomo si allontanò e comunicò ai giudei che è Gesù che l’aveva fatto sano».
28 Alcune precisazioni vengono fomite da G. V an B elle, The Signs Source in t hè Fourth G ospel.
Historical Survey and Criticai Evaluation ofthe Semeia Hypothesis (BETL 116), Leuven 1994, 385: «Er-
gon non significa soltanto “miracolo” e non è riservato all’attività di Gesù. Il termine sémeia indica gli at
ti rivelatori di Gesù; il termine erga rimanda anche a parole rivelatrici. E più ancora, i sémeia sono limita
The Trial Version
ti all’attività pubblica di Gesù, mentre il termine erga designa anche le oper e del C risto gl orificato (in
nalzato). Inoltre, mentre sèmeion corrisponde sopratt utto a un concetto cristologico che esprime la rive
lazione visiva della doxa di Gesù, rivelazione che provoca fede o incredulità, ergon ha un significato più
ampio. Può indicare l’intera opera rivelatrice di Gesù e si riferisce specialmente alla missione divina di
Gesù».
25 Brown, Giovanni, 276.
I. Verdetto (5,19-30)
Non può trattarsi che dei giudei che hanno udito la testimonianza di Gio
vanni, i suoi discepoli, alcuni dei quali si sono messi a seguire Gesù, indicato da
Giovanni come l’ Agnello. L a menzione dell’ora i nstaura un rapporto pi ù stretto fra
Giovanni e Gesù, al punto che anch’essi sono indissociabili. Ancora una volta,
Gesù è un «noi».
3. La terza testimonianza (v. 36) comincia con una formulazione, se non scorretta,
per lo meno strana e suggestiva:
«Io ho la testimonianza più grande di quella (= che) di Giovanni».
4. Dopo che è stato chiaramente sta bilito che il Padre è in Gesù e che il Figlio è nel
Padre, i vv. 37-38 ritornano sulla testimonianza del Padre (v. 32: «un altro») a pro
posito di Gesù. Tale testimonianza si concentra in Gesù stesso, senza che sia la te
stimonianza di Gesù. È la testimonianza di un altro in lui, ma che fa corpo con lui:
«Io è un altro!».18 Agostino ha colto bene anche questo punto:
Dal punto di vista del rapporto con l’Antico Testamento, R.E. Brown ri
chiama l’attenzione sulle possibili reminiscenze dell’evento del Sinai, nel contesto
della Pentecoste, attraverso le menzioni dell’udire e del vedere:
«(Voi) né avete mai udito la sua voce, né avete visto il suo aspetto» (Gv 5,37).
«Il Signore disse a Mose: “Ecco, io sto per venire verso di te in una densa nube, perché
il popolo senta quando io parlerò con te e credano sempre anche a te”. (...) Nel terzo
giorno il Signore scenderà sul monte Sinai alla vista di tutto il popolo. (...) Al terzo
giorno, sul far del mattino, vi furono tuoni (= voci!)» (Es 19,9.11.16).
«Mosè salì con Aronne, Nadab, Abiu e i settanta anziani di Israele. Essi videro il Dio
d’Israele. (...) Essi videro Dio e tuttavia mangiarono e bevvero» (Es 24,9-10).
quello dell’attestazione (p. 468). «Non è forse perché lo stadio della moralità è stato dissociato dalla
triade etica-moralità-convinzione, quindi ipostatizzato grazie a questa dissociazione, che il fenomeno
della coscienza si è trovato correlativamente impoverito e che la metafora scoprente della voce è stata
nascosta da quella opprimente del tribunale?» (p. 469). L’autore conclude: «Forse il filosofo, in quanto
The Trialdeve
filosofo, Version
confessare che egli non sa e non può dire se questo Altro, fonte dell’ingiunzione, è un altro
che io possa guardare in faccia o che mi possa squadrare, o i miei antenati di cui non c’è punto rappre
sentazione, tanto il mio debito nei loro confronti è costitutivo di me stesso, o Dio - Dio vivente, Dio as
sente - o un posto vuoto. Su questa aporia dell’Altro, si arresta il discorso filosofico» (p. 473).
19 Agostino, Commento al Vangelo. XXIII,2.4, pp. 533.537.
20 Nota BJ 1973 a Es 33,20.
Il primo membro del v. 38 presuppone la nuova alleanza: non più la parola in
cisa sulla pietra, come al Sinai, ma la parola «che-rimane in voi», nel cuore (cf. Ger
31,33; Ez 36,27). Tale parola è resa possibile, a questo punto del racconto evange
lico e del discorso di Gesù, dalla presenza del Figlio, ma è anche resa inefficace dal
l’incredulità di quel «voi» che indica ogni interlocutore non credente.
5. L’ultima testimonianza è quella delle Scritture nella loro estensione canonica
non limitata alla Torah, ma estesa ai Profeti, agli scritti sapienziali e all’apocalittica,
secondo l’incessa nte ricorrere di questi grandi assi lungo il testo, a partire dal pro
logo. Il primo verbo: eraunate, è un termine tecnico; traduce l’ebraico darash, da cui
viene midrash: si tratta della ricerca del senso o dei sensi del testo. La tradizione
giudaica successiva, influenzata da lla nozione dei quattro sensi della Scritt ura nella
tradizione cristiana, e influenzandola a sua volta, intende questa «ricerca» soprat
tutto come ricerca del senso morale, secondo lo schema del pardes?'
M.-E. Boismard ha messo in evidenza, a parti re da un ipotetic o originale ara-
maico, le due opzioni tradizionali per l’interpretazione di questo eraunate: «Cer
cate», all’imperativo: Origene, Tertulliano, Ireneo, Girolamo (Volg.); «Voi cer
cate», all’indicativo, preferito dai moderni come più conforme all’orientamento
dell’argomentazione.21 22 Lo stesso autore cita i Pirqe ’Avot («capitoli» o «detti» dei
padri, un trattato della Mishnah) per illustrare il punto di vista giudaico sulla Torah
come sorgente di vita eterna:23
«Chi ha acquisito le parole della Torah ha acquisito per sé la vita del mondo futuro»
(2,8).
«Grande è la Torah, perché a colui che la pratica dà vita in questo mondo e nel mondo
futuro» (6,7).
Le Scritture aprono dunque la Torah a un’altra «vita eterna»: quella di una risur
rezione dai morti, in conformità con i Profeti (Ez 37) e con l’apocalittica (Dn 12).
«Esse sono quelle che-testimoniano a proposito di me» (Gv 5,39): viene enun
ciato qui il criterio giovanneo di una lettura cristologica e cristiana delle Scritture
nel loro insieme globale e differenziato.
Gv 5,40 sembra quindi esprimere una contraddizione dalla parte del destina
tario e una reazione di disappunto dalla parte del «destinatore»: «(Voi) non volete
venire a me affinché abbiate una vita!». Questa frase riveste un particolare inte
The Trial
21 Version
Questa parola, che significa «paradiso», riprende le iniziali dei «quattro sensi»: «p» per peshat,
il senso ovvio, semplice, letterale; «r» per rèmèz, il senso «indicato», allusivo, tipologico, allegorico; «d»
per derash, il senso «cercato», morale; «s» per sod, il senso «segreto», mistico.
22 M.-E. Boismard, «À propos de Jean 5,39. Essai de critique textuelle», in RB 55(1948), 5-34, ci
tato da Brown, Giovanni, 291.
23 Brown, Giovanni, 291.
L’allusione alla «gloria», con cui si apre il seguito del testo, si potrebbe spie
gare grazie alle precedenti reminiscenze della teofania del Sinai (Es 24,16-17).24 Nel
racconto giova nneo non si era più parlato di gloria dopo la conclusione dell ’episo
dio delle nozze di Cana: «Manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui»
(2,11; cf. 1,14). Il verbo «credere» ritorna con forza nei w. 44.46-47, con la contrap
posizione: «credere / non credere». L’uso della coppia verbale: «ricevere / non rice
vere», nei vv. 41-43, non allontana da questa concentrazione sul «credere», ma la
prepara. A partire dal prologo, si tratta di una maniera di esprimere una modalità e
un effetto del «credere»:
«Verso le sue cose-proprie venne, e i suoi propri non lo accolsero. Ora quanti lo rice
vettero (elabori), diede loro potere di divenire figli di Dio» (1,11-12).
Questo punto centrale del prologo si ripercuote qui nei tre versetti che aprono
l’ultima parte del discorso.
«Non ricevo gloria dagli uomini» (5,41).
«Un altro» richiama per contrasto l’«altro» che testimonia a proposito di Gesù
(5,32). Bisogna cercare di identificarlo? Si possono fare diverse ipotesi:
- Un falso profeta, sulla linea di Ger 29,25-31, o un profeta menzognero del tipo
descritto in Dt 18,20; Ger 14,14s; 23,25; 29,9?
- Un falso profeta, ma che verrebbe «nel nome di Gesù», come si legge in Me
13,6.22?
- Bar-Kokba, istigatore ne l 135 d.C. della seconda ribel lione giudai ca, considerato
dai suoi partigiani come investito di un’autorità messianica?
- L’anticristo umano, di cui si parla in lGv 2,18; 4,3 (Ireneo, Cirillo di Alessandria,
Ammonio, Cirillo di Gerusalemme, Crisostomo, Eusebio di Cesarea, Ambrogio,
Rufino, ecc.)?
- L’anticristo satanico?25
«L’evangelista concepisce l’attività del diavolo come influsso misterioso, e
non parla mai di una sua “venuta”», obietta R. Schnackenburg rispondendo a R.
Bultmann, che vede nell’allusione a «un altro» una traccia della fonte (Quelle) del
l’evangelista, col significato di «diavolo» a entrambi i livelli redazionali. Bisogna co
munque ricordare che in Gv 13,2.27a il diavolo e Satana sono presentati come forze
personificate. Tali forze forniscono un criterio di comprensione dell’incredulità per
eccellenza, della mancanza d’amore emblematica, rappresentata dal tradimento di
Giuda, salvaguardando nello stesso tempo «il mistero dell’iniquità» (2Ts 2,7) del Fi
glio della perdizione (2Ts 2,3). Nel l’esistenza di ogni uomo, secondo il quarto evan
gelista, le trame sataniche, in quanto forze spirituali, passano necessariamente tra
mite alcune persone. Queste sono responsabili, ma solo fino a un certo punto, dei
loro errori. Anch’esse si trovano sotto il potere di «un altro» che le inganna, spesso
sotto l’apparenza del bene.
«Satana si maschera da angelo di luce» (2Cor 11,14).26
25 II ventaglio delle opinioni è tracciato in base a: Brown, Giovanni, 292; Schnackenburg, Gio
vanni, 11,242-243.
26 Si veda il florilegio di testi raccolti sotto il titolo: «Satan. Le mal en personne?», in Christus
168(1995): «Usurpatore. (...) Non mi interessa il grado ontologico dell’essere o del non-essere satanico,
dal momento che nelle coscienze c’è tutto quello che è necessario per fare un potentissimo Satana dif
fuso - ben più efficiente del Satana concentrato in una “personalità” che egli ha perduto per la sua men
zogna e che noi gli at tribuiamo di nuovo nel nost ro immaginari o» (É. Pousset, «La dévoration univer-
selle», 444); «Ammettere la parte maledetta. (...) Il male teme una sola cos a: che io non abbia paura di lui,
non ne fugga la responsabilità, non l’approvi per mezzo di una menzogna» (J.-L. M arion, «Le mystère
d’iniquité», 447); «Alla domanda se il diavolo è una persona, bisognerebbe più correttamente rispondere
The
che Trial Version
è la non-persona [o l’anti-persona: die Un-person, con l’un privativo] di disintegrazione, la rovina
dell’essere-persona; per questo è tipico della sua natura il presentarsi senza volt o; la sua forza peculiare è
quella di non lasciarsi riconoscere. (...) Lo Spirito Santo è quel “Tra” in cui il Padre e il Figlio sono una
cosa sola, come un solo e medesimo Dio; è nella forza di quel “Tra” che il Cristo va i ncontro al “Tra” de
moniaco che dovunque è pronto a intervenire (dazwischen) e ostacola l’unità» (J. R atzinger, «Personne
ou “non-personne”», 450).
L’argomentazione trae la sua forza dal fatto di prendere le mosse dal testo
stesso dell’Esodo:
«Il Signore disse a Mosè: “Ecco, io sto per venire verso di te in una densa nube, perché
il popolo senta quando io parlerò con te e credano sempre anche a te» (Es 19,9).
30 Si veda a questo proposito P. B eauchamp, Le récit, la lettre et le corps (CogF 114), Paris 1992,
con particolare attenzione al c. IV: «Jésus-Christ n’est pas seul. L’accomplissement des Écritures dans la
Croix», 71-105.
1 P . Beauchamp, «Le signe des pains», in LV 209, XLI-4(1992), 55; tutto l’articolo (pp. 55-67)
contribuisce a chiarire la nostra linea di lettura.
«Chi ha attraversato il (= al di là del) mare e l’ha trovata (la Sapienza) e l’ha comprata
a prezzo d’oro puro?».
morti saranno persuasi» (Le 16,31, a conclusione della parabola del ricco cattivo e del povero Lazzaro).
3 Dt 1,1.5; 3,8.20.25; 4.41.46.47.49; 11,30; 30,13; 31,4.
4 Gs 1,15; 2,10; 24,8.
5 In particolare Gs 24,2.3.14.15.
The Trial
6
Version
Si veda Gdc 3,20 per Eud; 4,5 per Debora; 17,10 per il levita invitato da Mica.
7 Si veda E s 11,5 per il primogenito del faraone; ISam 14,2; 22,6 per Sa ul; 2Sam 7,2 per Davide;
IRe 1,17 per Salomone; Ger 17,25; 22,4 per i re che siedono sul trono di Davide.
8 Si veda ISam 1,9 per il sacerdote Eli; 1,22 per lo stesso Samuele.
9 Nuova osservazione dovuta alla meticolosa precisione di J. Guillet.
10 J. Radermakers segnala questa reminiscenza essenziale.
Forse è difficile per Filippo! Non sta calcolando piuttosto l’ammontare della
spesa che sarebbe necessaria? Non si dice, infatti, né che egli dispone di duecento
denari, né che non potrebbe disporre di una cifra più alta. La domanda gli è stata ri
volta in maniera diretta da Gesù, come la sua vocazione. Allora egli aveva misurato
in un batter d’occhio lo spessore delle mediazioni rispettate e attraversate d’un
tratto da Gesù per rivolgersi a lui in maniera così perentoria: «Colui che Mosè
aveva scritto nella Legge, e i Profeti, l’abbiamo trovato: Gesù, figlio di Giuseppe,
quello da Nazaret!» (1,45). Fi lippo è colui che ha il senso delle proporzioni, anc he
paradossali: il più grande nel più piccolo. Ha il senso della Sapienza, che si caratte
rizza proprio in questo modo. Anche qui: «Abbiamo così poco per tanta gente!». Si
tratta di mancanza di realismo e di una anticipata constatazione di fallimento, come
suggerisce l’autore citato sopra? È possibile. In ogni caso, l’orientamento dell’inter
pretazione è corretto. U na lettura più ot timistica, più positiva, dirà: «Così poco per
tanta gente..., ma ci arrive remo, a condizione di rispettare le mediazioni!». Gesù lo
The Trial
11 Version
11 «tentatore» non è mai altro che il serpente (Gen 3,1 ss), che stravolge la parola di Dio (cf. Mt
4,1-11). L’autore della tentazione è il Maligno, di cui Gesù ci invita a chiedere di non essere vittime (Mt
6,13, ultima domanda del Padre nostro). In questo senso, Dio - e Gesù - non «tenta» mai nessuno (cf. Gc
1,13-15 e par.).
12 Beauchamp, «Le signe des pains», 56.
13 Ivi, 57.
La preci sazione è già presente nell’ana logo episodio attribuito al ciclo di Eli
seo in 2Re 4,42:
«Da Baal-Salisa venne un individuo, che offrì primizie all’uomo di Dio, venti pani
d’orzo e farro che aveva nella bisaccia».
Il «miracolo» di Eliseo significa che egli ha ricevuto «due terzi dello spirito» di
Elia (2Re 2,2-9), autore di un «miracolo» dello stesso genere a favore della vedova
di Zarepta. Possiamo dunque stabilire un altro accostamento con l’inizio del rac
conto evangelico: Giovanni non è Elia, il profeta apocalittico; Gesù lo è, in termini
di compimento.
La variante più significativa rispetto a Elia sono i due pesciolini. Sembra che
abbiano fatto difficoltà al punto da essere totalmente cancellati dal simbolismo sa
cramentale. Si ritrovano al massimo in alcuni mosaici e in alcune raffigurazioni pit
The Trial Version
toriche, per esprimere l’acrostico «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore» (Iésous
«Posizione originale, come è stato notato più volte, rispetto a tutte le versioni dell’isti
tuzione eucaristica, che sono formulate a partire dal rito. Si dice che il pane e il vino
sono il corpo e il sangue del Cristo. Qui avviene esattamente il contrario. La fede è in
vitata a credere che il corpo del Cristo e il sangue del Cristo sono pane e vino. Che lo
sono veramente: “La mia carne è vero cibo, e il mio sangue è vera bevanda” (v. 55).
15 E il significato di anapiptò. Il verbo è usato con insistenza, a due riprese, nel v. 10. Lo si ritrova
in 13,12, quando Gesù si rimette a tavola dopo la lavanda dei piedi. Ma è anche e soprattutto il verbo del
gesto attribuito al discepolo amato da Gesù, che dopo la cena «si sdraia» sul petto di lui (13,25; 21,20).
Nella versione greca dell’Antico Testamento, questo verbo è usato nella maggior parte dei casi per «in
The Trial
dicare Version zione a un banchetto (Tb 2,1; 7,9 [cod. S]; Gdt 12,16; Sir 25,18; 32,2)» (C aba, Cristo,
la partecipa
Pan de Vida, 101).
16 Mt 26,26; Me 14,22; Le 22,19; ICor 11,23.
17 Eucharistèsas: Mt 26,27; Me 14,23; Le 22,19; ICor 11,24. È il verbo dell’«eucaristia».
18 Diedòken; Mt 26,26-27 («diede»); Me 14,22-23 (idem); Le 22,19 («diede»; «il mio corpo dato
per voi»); ICor 11,23 («vi ho trasmesso»; paredóka; «la notte in cui fu consegnato»; paredideto).
I verbi del v. 12: «essere saziati» e «radunare», possono essere visti come remi
niscenze di Es 16,12.16: il dono della manna, il suo effetto sui membri del popolo e
la sua raccolta.21 Anche la Torah è dunque presente. La «manna» offre un criterio
di spiegazione del carattere enigmatico di questi passi sui pani. È infatti un enigma,
un interrogativo: Man hou? «Che cos’è?». Ogni comprensione del dono di Dio in
termini di eucaristia rafforza ulteriormente l’enigma - di genere sapienziale - im
mergendolo nel mistero - apocalittico - della nostra trasformazione in Cristo. Dal
ciclo di Eliseo emerge una dimensione, ugualmente apocalittica, di compimento.
Non: «Gesù ve ne dà di più!». Ma: ciò che l’uomo può fare nel nome dello Spirito di
Dio, ha il suo fondamento nel Figlio di Dio; quest’ulti mo infatti lo realizza in pie
nezza per noi tutti i giorni.
Bisogna tuttavia «radunare i pezzi»,
«perché appaia chiaramente che quel pane non è la manna; era infatti proibito conser
vare quest’ultima, in modo che fosse attesa dal cielo giorno per giorno. Chi la conser
vava, la vedeva imputridire».22 «Conservare il pane, (...) significa non aspettare più dal-
«Gli uomini dunque, avendo visto il segno che aveva fatto (cf. 2,11; 4,54), dicevano:
“Costui è veramente il profeta, colui che-viene nel mondo” (cf. MI 3,1)» (6,14).
23 Ivi, 57. Una reminiscenza del libro di Rut viene a proposito a questo punto per stabilire un col
legamento con i sandali di Giovanni (1,27: cf. Rt 1,11.16; 4,7-8), all’inizio del racconto, e sulla linea di
2Re 4,42-44. «Anche Rut, la straniera moabita divenuta sposa di Booz e quindi entrata nell’albero ge
nealogico del re Davide (Rt 4,18-22). “mangiò a sazietà il grano abbrustolito” offertole da Booz “e ne
miseTrial
The da parte gli avanzi” (Rt 2,14). Ma la tradizione rabbinica amò leggere oltre il testo biblico: “Rut ne
Version
mangiò per i l t empo pres ente, ne mangiò a sazietà per i gior ni del messia e ne mise da parte gli avanzi
per il tempo futuro” (Talm. Bab.[Shabbat] 113ab)» (V. M annucci, Giovanni. Il Vangelo per ogni uomo
[Leggere oggi la Bibbia 2.4], Brescia 1995, 119). Diventa quindi meno sorprendente veder ricomparire
un’importante allusione a questo libretto a proposito del boccone intinto (13,26-27) e a proposito dell’a
ceto (19,29; cf. Rt 2,14).
Il racconto dei pani e del cammino sul mare riprende l’insieme che precede
con una nota eucaristica dominante. Questa viene ora resa esplicita, innanzitutto in
termini di «credere» (prima parte del discorso di Cafàrnào).
La domanda che la gente pone nel v. 25: «Rabbi, quando (potè) sei [divenuto
The Trialintroduce
qui?», Version la risposta di Gesù e il dialogo che segue, fino all’ultimo intervento
dei suoi interlocutori, che si rivolgeranno a lui con un nuovo titolo, sottolineando
ancora una volta la dimensione temporale : «Signore, dacci sempre (pantote) questo
pane!» (v. 34). Il crescendo dal primo al secondo titolo segna un progresso nell’atto
del credere.
3 A partire dal prologo, il lettore non viene mai posto nelle condizioni di scegliere «Mosè o
Gesù», come dice il titolo dell’opera di M.-E. Boismard, Mo'ise ouJésus, Essai de christologie johannique
IBETL 84), Leuven 1988; il testo cerca invece di mettere in luce la logica di compimento che conduce da
Mosè a Gesù, perché lo stesso dono e lo stesso Dio sono all’opera nell’uno come ne ll’altro (1,17; 1,45;
The Trial
5.46). «IlVersion
significante è duplice; Il pane della manna, venuto dal cielo e distribuito da Mosè, e il pane
moltiplicato da Gesù secondo un criterio di abbondanza già sperimentato nel deserto e presentato a
Cana come significativo dei tem pi nuovi. Soltanto nell’articolazione dei due significanti, veterotestamen
tario e neotestamentario, può essere colto il loro comune significato: la persona stessa di Gesù Cristo,
die appare dunque come l’unico significato dei due significanti costituiti dalle due alleanze o testamenti»
(J.-Y. Blanchard, Des signes pour croire? [Lire la Bible 1061, Paris 1995, 72).
Il movimento del testo fa passare dal dono al Donatore. Una rilettura attenta
permette di osservare al rallentatore il modo in cui avviene il capovolgimento di
prospettiva. Un’espressione suscita stupore:
«Procuratevi (= operate) non il cibo, quello che-si-perde, ma il cibo, quello che-
rimane per una vita eterna» (6,27).
Entro i confini tracciati dalla sintassi, il movime nto è completo. Tutto viene da
Dio e tutto r itorna a lui, at traverso la m ediazione di Gesù ricevuta per mezzo de lla
fede e nella fede dei credenti. La fede passa per la nostra libertà, ma procede dalla
libertà di Dio per tornare a essa. Di conseguenza, bisogna dire della nostra fede
ciò che caratterizza l’opera di Gesù stesso: è dono del Padre.6 Il «credere», inne
stato sulla vita stessa di Dio, sorgente di vita in quanto Padre, appare come la con
dizione per ricevere il cibo di vita dato dal Figlio. Ricettacolo di vita , il credente è
quindi a sua volta anche donatore di vita concreta e, in quanto tale, spirit uale. Biso
gna dunque rimanere nel campo del sensibile quanto mantenersi in quello del non
sensibile. Si tratta di entrare nell’orizzonte dell’incamazione, dove il sensibile è spi
rituale. Tutta la Scrittura dice che Dio fa tutto e l’uomo niente, e nello stesso tempo
4 M. Zerwick, Analysis philologica Novi Testamenti graeci, Roma 1966,222; la traduzione inglese
The Trial Version
di quest’opera, riveduta e ampliata (A Grammatical Analysis ofthe Greek New Testament, ed. M. Gro-
svenor, Roma 1981, 304), propone: work for.
5 II participio del verbo apollymi è molto forte: ciò che «nutre» la perdizione, il contrario della
salvezza.
6 Si vede in tal modo come Gv 6 continui e presupponga Gv 5. Cf. l’articolo già ci tato di A. V an-
hoye, «L’oeuvre du Christ, don du Pére (Jn 5,36; 17,4)», in RSR 48(1960), 377-419.
5. Un midrash dell’Esodo
La formula: «Io sono», completata dalla determinazione: «il pane della vita»
(w. 35.48), «il pane che-discese dal cielo... disceso dal cielo» (vv. 41-42), «il pane,
quello vivo» (v. 51), mai così variata e ricorrente in nessun altro capitolo del Van
gelo, dà l’intonazione al discorso dal punto di vista dell’alleanza. La titolatura (si
Con i vv. 6,35ss, le opinioni relative alla strutturazione del discorso e alla sua
interpretazione diventano più discordanti. L’essenziale, per il momento, è salva
guardare l’unità del brano con ci ò che pr ecede e con ciò che segue fino a 6,59. La
sezione centrale, a nostro avviso, è delimitata dai vv. 35 e 51, sulla base di nuove oc
correnze verbali che è opportuno segnalare per giustificare tale opzione.
I vv. 35-40 e 43-51 presentano delle enunciazioni abbastanza omogenee su
Gesù. L’insieme di questi due gruppi di considerazioni è costruito come un’inclu
sione grazie alle espressioni:
6,35 «Io sono il pane della vita...
38 ... sono disceso dal cielo...»
6,48 «Io sono il pane della vita...
50 Questo è il pane che discende dal cielo...
51 Io sono, il pane, quello vivo,
che-discese dal cielo».
L’analisi stilistica, qui, cerca di essere più particolareggiata di quanto non av
venga negli articoli di X. Léon-Dufour e da J.-N. Aletti. 9 Nelle due sezioni, sudddi-
vise in modo diverso (6,35-47 e 6,48-58), il primo continua a vedere due sezioni pa
rallele, composte secondo il modello dei versetti precedenti:
9 X. Léon-Dufour, «Le mystère du Pain de vie (Jean VI)», in RSR 46(1958), 481-523, ripreso in
The Trial Version
Le partage du pain eucharistique selon le Nouveau Testament (Parole de Dieu), Paris 1982, 290ss; J.-N.
Aletti, «Le discours sur le pain de vie. La fonction des citations de l’Ancien Testament», in RSR
62(1974), 169-197.
È quanto accade per la presentazione strutturale dei w. 49-52 e 53-59 (Caba, Cristo, Pan de
Vida, 320 e 346), pres entazione che ci convi nce poco, anche se il lavoro è una miniera di informazioni
erudite.
A quel punto, sulla scia dei lavori di M.-E. Boismard,11 avevamo osservato che
il titolo di «figlio di Giuseppe» risulta indicare una figura messianica sofferente, di
tradizione samaritana. La sua componente sacerdotale è in sintonia con il contesto
immediato e biblico di tale denominazione. Viene ora alla luce il particolare rap
porto del titolo in questione con l’umanità di Gesù. Le reminiscenze teologiche e
bibliche non devono mai occultare la lettura al livello più elementare del significato
delle parole. L’espressione: «Gesù, il figlio di Giuseppe, di cui noi conosciamo il pa
dre e la madre» indica la prima familiarità possibile con una persona di facile ac
cesso. Tale facilità non viene mai soppressa per lasciar intuire la vera identità. Que-
st’ultima passa per una disarmante assenza di mistero, per una naturalezza di rap
porto così sconcertante da far nascere inevitabilmente la domanda: chi è dunque
costui per parlare e agire così?
Tutta la prima parte del Vangelo di Giovanni è rivolta a ravvisare in questo
uomo il Messia, il Figlio di Dio, il re d’Israele, secondo la sua dimensione propria
mente divina (1,49). Questa buona notizia culmina nel discorso sul pane della vita.
L’intervento dei giudei in 6,41-42, riallacciandosi alle «mormorazioni» incredule del
popolo nel deserto (Es 16,2), trascura infatti l’essenziale, considerando nota l’iden
tità infinitamente enigmatica (sapienziale) e misteriosa (apocalittica) di Gesù.
Da questa linea interpretativa discende tutto: l’insistenza, da un estremo al
l’altro del testo, sul «credere» (w. 35.47), sul rapporto del Figlio col Padre (w.
The Trial Version
11 Per quanto riguarda il testo che stiamo analizzando ora, si veda Boismard, Moise ou Jésus, 36-
43.
3. Nuova alleanza
12 A meno che non si tratti delle letture sinagogali stesse, ma questi lezionari sono difficili da rico
struire.
4. Sapienza
La Sapienza, nella Scrittura, in effetti concilia i contrari. Negli inni in cui pre
senta se stessa (Pr 8,22-31; Sir 24; Bar 3,9-4,4), si pone dalla parte di Dio e dalla
parte degli uomini, è presente prima della creazione e nel corso di essa, si colloca
nel cuore del cosmo, di Israele e delle nazioni. Tuttavia, e per questo stesso motivo,
la Sapienza è sempre al di là di tutto.
Una trasformazione sembra essere avvenuta dalla Sapienza di Sir 24 a ciò che
Gesù dice in Gv 6. In Sir 24,20 essa poteva dire:
«Quanti si nutrono di me avranno ancora fame e quanti bevono di me, avranno an
cora sete».
Non si dovrebbe insistere troppo sulla differenza. Il motivo per cui la sete e la
fame sono alimentate dalla Sapienza e placate dal Cristo è il medesimo: l’infinità
positiva che li caratterizza entrambi. Un altro testo della nuova alleanza, in ambito
profetico, può dunque fare da collegamento:
«O voi tutti assetati venite all’acqua!» (Is 55,1).
Un altro passo, tratto questa volta dal Terzo Isaia, completa il precedente:
«Ecco, i miei servi mangeranno e voi avrete fame; ecco, i miei servi berranno e voi
avrete sete» (Is 65,13).
A. Feuillet afferma giustamente: «Il testo di Gv 6,35 è una sorta di sintesi dei
due temi complementari del banchetto escatologico e del banchetto della Sapienza:
l’appagamento totale che esclude la fame e la sete gli dà una colorazione netta
mente escatologica; è tuttavia incontestabile che il parallelo più vicino è rappresen
tato da Sir 24,21».13
The Trial Version
13 A. Feuillet, «Les thèmes bi bliques majeurs du discours sur le pain de vie. Contribution à l’é-
tude des sources de la pensée johannique», in NRT 82(1960), 927.
Due elementi congiunti inducono a fare di questi ve rsetti l’ultima sezione del
discorso, distinta dalle altre due che precedono: la loro organizzazione interna e il
significativo parallelismo che instaurano fra le tre sezioni (w. 24b-34; 35-51; 52-59).
Vediamo di chiarire questi due aspetti della composizi one parziale e della composi
zione d’insieme.
B. I w. 53-56 sono costruiti come uno sviluppo concentrico che verte sul «man-
giare-assimilare»16 e il «bere». Questa strutturazione merita di essere visualizzata ti
pograficamente.
The Trial Version
14 Ivi, 926.
15 Ivi, 920.
16 Trògein significa anche «masticare», «ruminare».
A. L’ultima sezione del discorso inizia con una nuova domanda, analoga a quella
di 6,25:
- «Come può costui darci la sua carne da mangiare?» (6,52).
- «Rabbi, quando sei [divenuto qui?» (6,25).
3. Movimento d’insieme
Il susseguirsi di queste tre parti del discorso non è lineare. L’ultima sezione
trasferisce sul piano simbolico - del simbolismo eucaristico per ciò che riguarda il
pane della vita - quello che nelle prime due sezioni è prevalentemente evocato sul
piano delle stipulazioni (essenzialmente: «credere», al v. 29) e della titolatura legata
al contesto dell’alleanza. Il «titolo» principale: «Il pane della vita», che risuona nel
l’unità centrale costituita dai vv. 35-51, dice già la benedizione per eccellenza.
Neppure l’alleanza è lineare. Si colloca infatti sul piano di un dispiegamento
nella storia di ciò c he, essendo dato a ll’uomo per i niziativa di Dio, non può essere
che completo e definitivo. Il medesimo Padre è all’opera in Mosè, nei padri, in
Gesù e nel credent e che vive della vita di lui, a livelli diversi di esplicitazione e di
compimento.
Questo movimento si delineava già nel prologo. Il Verbo Unigenito, il Figlio
nella sua relazione col Padre, cerca di comunicarsi ai credenti. La duplice tradizione
manoscritta, al singolare e al plurale, sulla generazione «non da sangui, né da volontà
di carne, né da volontà d’uomo, ma da Dio» (1,13), assume tutto il suo significato.
Ciò che si attribuisce al Cristo per natura, vuole essere attribuito per grazia ai cre
The TrialIlVersion
denti. dono è presente, nello splendore della sua pienezza, dall’origine alla fine.
Gv 6 sviluppa le risonanze eucaristiche di questo dono. È dunque il testo prin
cipale che riprende il prologo, al termine della prima grande sezione del Vangelo.
Le battute centrali del discorso fanno eco all’inno inaugurale. Tenuto conto di Gv
1,19 e di Gv 6,24b-59, la relazione del Figlio col Padre passa in primo piano:
Queste precisazioni approfondiscono il legame del Padre, nel Figlio, con i cre
denti. Le spiegazioni associate ai due versetti citati sopra lo dicono chiaramente:
«Questo è la volontà di colui che-mi-mandò: che tutto-ciò che mi ha dato, non (lo)
perda da lui, ma lo risusciti nell’ultimo giorno» (6,39);
«Nessuno può venire a me se-eventualmente il Padre che-mi-mandò non lo attiri, e io
10 risusciterò nell’ultimo giorno» (6,44).
11 prologo non poteva essere così esplicito sul rapporto del Padre con il Figlio,
del Figlio con i credenti, dei credenti con il Padre e il Figlio, in termini di risurre
zione nell'ultimo giorno. Bisognava in particolare che venisse affrontata la que
stione del giudizio perché il messaggio potesse venire alla luce. Questo è ciò che or
mai risulta acquisito, per lo meno al livello di un primo approccio. Ma l’approfondi
mento della realtà del «credere» è lungi dall’essere terminato. La conclusione di Gv
6 (w. 60-71), prima di Gv 7-12, ha ancora qualcosa da insegnarci in proposito. È
dunque venuto il momento di passare a questo brano.
Tutto il problema consiste nel lasciarsi generare alla vita dello Spirito. La
carne assume il suo ruolo di mediazione nella carne e nel sangue del donatore della
vita: Gesù. È opacità e occasione di scandalo al di fuori della vita nello Spirito.
Si è fortemente tent ati di pensare c he l’eva ngelista rifle tta di conseguenza nei
termini di un dualismo morale ed escatologico in cui la carne e le sue opere di incre
dulità sono votate alla condanna. Ma ciò significherebbe ignorare la coerenza del
Vangelo e ridurla a una razionali tà intramondana. E quel che è ancora più grave, si
gnificherebbe insinuare il sospetto che dal testo emerga una predestinazione al
male: Gesù non potrebbe che sanzionarla, nel duplice senso di ratificare e di pu
nire.1 Il testo sembra in effetti dare adito a questa interpretazione, che troverebbe
conferma nel v. 64:
«Gesù infatti sapeva (fin) da principio quali sono quell i che-non-credono e chi (è) colui
che-lo-consegnerà» (6,64).
1 C aba, Cristo, Pan de Vida, 399-402, non va più in là degli autori che cita, non affrontando vera
mente il problema. Gli accenti rimangono piuttosto pesanti nei confronti degli increduli. Dal punto di vi
sta storico, tutti gli esegeti sono unanimi nel veder affiorare la «crisi galilea» nella vita pubblica di Gesù.
Ma Gesù li redarguisce:
«Al-presente credete? Ecco: viene un’ora, ed è venuta, che siate dispersi, ciascuno
nelle proprie-cose, e (che) mi lasciate solo; e non sono solo perché il Padre è con me»
(16,31-32).
Dove sta il punto debole? Nel fatto che i discepoli prendono in qualche modo
le distanze da Gesù. Credere, per Giovanni, è partecipare alla filiazione di Gesù,
alla sua generazione in quanto Figlio, alla sua vita nella carne. Il discorso che pre
cede l’ha ampiamente chiarito. Pur ammettendo l’esattezza della confessione di
Pietro (tanto più che e gli non si fa t rattare subito dopo da «Satana», come a Cesa
rea), dobbiamo riconoscere che anche qui c’è un punto debole. Già qui. Di fronte
alla comunicazione effettiva di sé come dono per eccellenza di vita ai discepoli, le
parole di Pietro risultano indubbiamente ambigue. Si fermano infatti a un’esterio
rità e a una dista nza invalicabile (fino a un certo punto inevitabile) nei confronti di
Gesù. Prenderne atto non dovrebbe attribuire loro un’eccessiva portata.
L’intervento di Pietro comporta senza dubbio alcune varianti rispetto a Gv
16,30. Pietro si affida a Gesù più di quanto non facciano i discepoli che nella notte
dell’ultima cena professano la loro fede. L’affermazione: «Tu sei il Santo di Dio», fa
poggiare su questa santità il fondamento della fede professata. Pietro non ha àn
cora appreso che l’atto stesso del credere non può essere assicurato che da Gesù.
Giovanni, più dei Sinottici, fino al momento della risurrezione smaschera spietata
mente, se così si può dire, l’incredulità dei discepoli. In questo senso, è vicino a
Marco. Ma se abbiamo qui l’anticipazione di una fede ambigua come quella che
viene attribuita ai discepoli in Gv 16,30, abbiamo soprattutto un’anticipazione della
dinamica della confessione di Pietro sulla sponda dello stesso lago di Tiberìade in
Gv 21,15-19.5 «Tu sai!». In quell’occasione, Pietro si affiderà al suo Signore. Ma non
siamo ancora arrivati a quel punto. Alla sottolineatura del «noi» che si esprime in
4 J. Guillet, Gesù nella fede dei primi discepoli (Cammini nello Spirito 16), Milano 1999, 100.
The Trial Version
5 In C aba, Cristo, Pan de Vida, 428, troviamo alcune buone osservazioni sul «senso messianico-
sacerdotale» dell’espressione «il Santo di Dio». «D al momento che Pietro chiama Gesù “il Santo”, si può
concludere (...) che il messianismo di Gesù proviene dalla stirpe sacerdotale che caratterizza il Messia di
Aronne, atteso a Qumran. La confessione di Pietro, sommata ad altri testi in c ui il P adre sant ifica Gesù
(10,36) o in cui Gesù santifica se stesso (17,19). potrebbe rappresentare in qualche modo un leggero indi
zio di una cristologia sacerdotale».
6 Anche l’accostamento dei due nomi propri suggerisce forse una fede incoativa: «Pietro» ritorna
alla sua condizione di «Simone», precedente alla trasformazione del suo nome da parte di Gesù (1,42).
7 E. Kàsemann, Jesu letzter Wille nach Joh 17, Mohr Tiibingen 1971.
8 II diabolos, da diaballein: «gettare di traverso», etimologicamente è «colui che si mette di tra
verso» per ostacolare il disegno di Dio all’opera nel mondo, nella storia e nella vita stessa del Figlio. Se
ne parla di più nel Nuovo Testamento che nell’Antico. Non è un fatto sorprendente, dal momento che il
diabolos rappresenta le forze del male. Queste si scatenano in un contesto apocalittico di giudizio alla
fine dei tempi. Se tale fine sopraggiunge in Gesù Cristo, non si può che assistere a uno scontro senza
pietà fra l’Accusatore (Ap 12,10) e il Difensore-Paraclito delle creature create, amate da Dio, Creatore e
Salvatore di tutti. Cercare di attenuare la violenza della battaglia che in tal modo si scatena per o contro
The Trial Version
la salvezza dell’umanità, relegando la demonologia nel novero degli accessori «mitici» che potrebbero
essere ignorati ai fini della comprensione del messaggio biblico, significa rischiare di non cogliere l’es
senziale.
9 Caba, Cristo, Pan de V ida, 431-437, fornisce anche a questo proposito molte informazioni inte
ressanti, in particolare sul «diavolo», su «Satana» e su Giuda Iscariota, senza tuttavia rinnovare la vi
sione abituale di tali questioni.
10 Questa lettura è coerente con quella che proponiamo per Gv 13 in La gioire d’aimer (AnBib
90), Roma 1981, 81-104; 205-227.
11 Ringrazio R. Lafontaine per questo suggerimento.
I. Alcuni presupposti
1 G. Mlakuzhyil, The Christocentric literary structure of thè fourth Gospel (AnBib 117), Roma
1987, fornisce un’utile sint esi della questione e un buon ventaglio delle possibil ità. Forse manca ancora
del necessario distacco e a volte tratta entità troppo ampie per risultare davvero operativo e sfociare
nell’interpretazione. Noi non lo seguiamo né in molti dei suoi risultati parziali, né nella sua ipotesi glo
bale. Si potrà consultare, nella stessa direzione: G. Korting, Die esoterische Struktur des Johannesevan-
geliums, Teil 1 & 2 (BibUnt 25), Regensburg 1994. Torneremo più avanti su questo lavoro, che offre il
vantaggio di fornire una presentazione strutturata del testo greco. Ancora più recente, e d'ispirazione
«narratologica», è l’opera di V. Mannucci, Giovanni, il Vangelo per ogni uomo (Leggere oggi la Bibbia
2.4), Queriniana, Brescia 1995, 36-39 (con bibliografia). Per quest’ultimo autore, il Vangelo si suddivide
in tre grandi parti: I. Le origini di Gesù (1,1-19); IL II ministero pubblico di Gesù e i viaggi del suo mini
stero (1,19-17,26); all’intemo di questa parte, dopo la prima testimonianza di Giovanni (1,19-34) e i
primi discepoli di Gesù (1,35-42) l’autore distingue: A. Il primo ciclo Galilea/Gerusalemmc (1,43-3,21);
B. Il secondo ciclo Galilea/Gerusalemme (4,1-5,47); C. 11 terzo ciclo Galilea/Gerusalemme (6,1-10,42) e
la terza menzione della testimonianza di Giovanni ( 10,40-42); D. Il quarto e ultimo viaggio di Gesù a
The Trial Version
Gerusalemme (11,1-17,26); III. La morte di Gesù sulla croce, la sua risurrezione e il significato perma
nente della sua missione nel mondo (18,1-21,25), con: A. Gli avvenimenti preparatori (18,1-19,16); B.
La morte di Gesù e il significato perm anente della sua missione (19,17-21,25). La preoccupazione di ar
ticolare Gv 18-21 va presa in considerazione, ma la nostra analisi porta a un’altra suddivisione, che dà
spazio al ruolo particolare del c. 21 e alla funzione del c. 20 rispetto al racconto della passione e della
morte di Gesù.
2 Tutto considerato, si tratta della disposizione assunta da Giovanni fin dall’inizio del racconto
giovanneo.
3 Per maggiori chiarimenti, si potrà fare riferimento a: «L’Autre du désir dans l’oeuvre de Jac
ques Lacan», in D. Vasse, L’Autre du désir et le Dieu de la fai. Lire aujourd’hui Thérèse d'Avila, Paris
1991, 235-245.
4 I criteri di lettura proposti qui concordano con il bel contributo di F. Marty, «La lecture, un
exercice des sens», in P. Bovati - R. Meynet, «Ouvrir les Écritures». Mélanges P. Beauchamp (LD 162).
Paris 1995, 381-399.
5 È la terminologia, allora ereditata da P. Beauchamp, utilizzata nel nostro La gioire d’aimer
(AnBib 90), Roma 1981.
6 In ordine di complessità crescente: il membro, il segmento, il brano, la parte, il passo, la se
The TriallaVersion
quenza, sezione, il libro. Si veda R. Meynet, L’analisi retorica (Biblioteca biblica 8), Brescia 1992,159-
249.
7 Lo studio dei testi giovannei si armonizza meglio con la metodologia e la terminologia flessibile
della stilistica, perché l’aspetto formale del testo del corpus giovanneo deriva innanzitutto da uno stile.
Ottimo aggiornamento e procedure chiare in G. M olinié, La stylistique (Collection Premier Cycle), Pa
ris 1993.
Dono
The Trialdell’acqua
Version viva Adorazione Cibo e mietitura
(43b-15) (4,16-26) (4,27-45)
1. Simbolismo sacramentale
The Trial Version
8 È un modo per affrontare con prudenza e flessibilità la delicata questione della sacramentalità
■el quarto Vangelo. Non bisognerebbe assumere, anacronisticamente, nessuna posizione rigida in que-
ao campo, lasciando al testo la sua forza evocativa semplice e multiforme.
2. Tipologia
«Se voi avevate pensato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un
bene, per compiere quello che oggi si avvera: far vivere un popolo numeroso».
Le liste si allungheranno man mano che si procederà nella lettura del testo.
Alcuni titoli attestano un’ambivalenza (duplice significato per «Messia-Cristo»,
perché si tratta di un personaggio sia regale sia sacerdotale; dubbio per «Santo di
Dio», perché il titolo può avere supporti diversi). La ripartizione tuttavia è chiara.
Dal punto di vista della tipologia lungo l’asse del tempo e della storia, costringe a
prendere in considerazione i poli dell’esistenza individuale e collettiva:
sono s tati oggetto di una nostra comunicazione: Y. Simoens, «Le Projogue de saint Jean: une théologie
qui est une exégèse», in L’Écriture, àme de la théologie (Institut d’Études Théologiques 9), Bruxelles
1990, 61-80.
Bisogna forse dire che il rapporto intrinseco fra il Cristo e le figure dell’Antico
Testamento fornisce anche, ipso facto, la chiave del senso, letterale e spirituale,
della Scrittura nel suo insieme? Questi schemi di lettura, tradizionali e attuali, ri
schiano di apparire formali s e non sono alimentati da un incessante ritorno al testo
canonico, ritorno che il lettore della Bibbia deve realizzare costantemente. È un
compito che una vita intera non basta a esaurire. Non per nulla Gesù si presenta
come il Pane, facendoci da viatico sulla terra per nutrire, quaggiù e per sempre, la
vita eterna. Ciò significa che egli nutre fin d'ora il nostro corpo risorto.
1. L’acqua viva e il cibo che incorniciano il dialogo fra Gesù e la Samaritana ripren
dono, nell’episodio c entrale, l’acqua vi va di Cana I e i pani-pesci della montagna
di Galilea, presso Tiberìade. Si tratta di una buona conferma della suddivisione
da noi proposta.
2. Gv l,19-4,3a costituisce un primo insieme, inquadrato dalle menzioni di Gio
vanni.
3. Gv 4,3b-45 appare come l’unità letteraria centrale, incentrata a sua volta sull’a
dorazione, cioè, in termini di alleanza, sul comandamento principale. L’adora
zione è indissociabile dal luogo di culto che è Gesù stesso, il quale di conse
guenza non può non presentare una dimensione sacerdotale (cf. 2,13-24).
4. Gv 4,46-5,47 sintetizza Gv l,19-4,3a. Il discorso sull’opera del Figlio riprende in
particolare i titoli cristologici dell’inizio, il contesto processuale in cui si colloca
la testimonianza di Giovanni e tutta la problematica dei «segni» introdotta in
precedenza.
5. Gv 6 ricapitola a sua volta il tutto, approfondendolo e sviluppandolo ulterior
mente.
1. Gv 1,19-34 e 6,60-71
Due assi collegano la prima testimonianza di Giovanni alla selezione che si ve
rifica dopo il discorso sul pane della vita.
A. La testimonianza di G iovanni: «Costui è il Figlio /l’Eletto/ di Dio» (1,34), corri
sponde alla professione di fede di Pietro: «Tu sei il Santo di Dio» (6,69).
B. Gli interlocutori che entrano in scena sono, da un lato: i giudei, sacerdoti e leviti;
i farisei e Israele (1,19.24.31); dall’altro: i discepoli; i Dodici; Simon Pietro e
Giuda di Simone Iscariota (6,60.67.68.71).
2. Gv 2,1-12 e 6,1-24a
Due assi collegano ugualmente lo sposalizio a Cana con il racconto dei pani e
il cammino sulle acque:
A. «Il principio dei segni» (2,11) trova un’eco nella «contemplazione dei segni»
(6,2).
B. Il pasto dello sposalizio, con l’acqua e il vino, rimanda al pasto presso il lago di
Tiberìade, con i pani e i pesci.
3. Gv 1,19-34 e 6,1-24a
4. Gv 2,1-12 e 6,60-71
Dallo sposalizio a Cana alla prima selezione dopo il discorso sul pane della
The Trial
vita, Versionconnessioni
si notano non trascurabili.
«Il principio dei segni», fondamento del «credere» dei discepoli (2,11), può ricolle
garsi alla consapevolezza di Gesù in 6,64: «Gesù sapeva (fin) da principio quali
sono quelli che non credono e chi (è) colui che lo consegnerà».
I rispettivi centri letterari delle due unità estreme, e cioè il brano relativo ai
primi discepoli e la parte centrale del discorso sul pane della vita, si corrispondono
a loro volta secondo due assi complementari.
A. I titoli cristologici ricorrono con insistenza in entrambi i casi.
B. Nel cuore di ciascuna delle due sotto-unità compare l’espressione, propria di
Giovanni: «(II) figlio di Giuseppe» (1,45 e 6,42). Ne abbiamo fatto il titolo della
prima sezione del Vangelo.
I segnali contenuti nelle due unità letterarie collocate agli estremi della se
zione forniscono dunque punti di riferimento chiari e abbondanti.
6. Gv 2,13-24 e 4,46-54
7. Gv 3,22-4,3a e 5,19-47
8. Gv 3,1-21 e 5,1-18
9. Gv 1,19-34 e 3,22-4,3a
11 L’ordine dell’enumerazione non riproduce quello di Brown, che procede in senso inverso: R.E.
Brown, La comunità del discepolo prediletto (Orizzonti biblici), Assisi 1982, 24-103.
1 L’opera più recente e più docum entata sull’argomento è quella di G. Mlakuzhyil, The Christo-
centric Literary Structure of thè F ourth Gospel (AnBib 117), R oma 1987. Apprezzamento ponderato di
Michèle Morgen a proposito di questa tesi, pubblicata con la prefazione di A. Vanhoye che ne era il pro
motore: «In un certo qual modo, la “struttura letteraria” così individuata non è né diversa, né più “dina
mica” di molti altri schemi che sono stati proposti per la lettura del Vangelo» (M. M orgen, «L’exégèse
johannique à l’heure actuelle. Quelques orientations», in Variations johanniques, par D. Bouro - C.
Coulot - A. Lion, Paris 1989, 254). La suddivisione proposta da Mlakuzhyil è la seguente:
1.1-2,11 Introduzione
cc. 2-4 Segni e incontri
cc. 5-10 Opere/Segni/Discussioni
cc. 11-12 Segno-climax: la venuta dell'ora
cc. 13-17 Discorso d’addio-l’ora
cc. Trial
The 18-20Version L’ora di Gesù (passione-risurrezione)
c. 21 Appendice
La particolarità di questo schema è data dal rilievo che assume, al centro letterario del Vangelo,
l'episodio di Lazzaro con le sue conseguenze. Per motivi che chiariremo in seguito, non riprenderemo
questa posizione, che tuttavia non è priva di fondamento e di interesse.
2 C.H. Dodd, L’interpretazione del quarto vangelo (Biblioteca teologica 11), Brescia 1974.
3 H. van den B ussche, Giovanni. Commento del Vangelo spirituale (Commenti e studi biblici),
Assisi 21971.
4 Léon-Dufour, Lettura. I.
5 Nella sua attenta rilettura di queste pagine, J. Guillet suggeriva che si parlasse di «r ichiamo sto
rico» invece che di «prologo storico», un’espressione forse ancora troppo segnata dall'aspetto formale
The Trial Version
del modello dell’alleanza. «Richiamo della storia» è una formula più neutra, che permette di evocare so
miglianze e differenze rispetto all’alleanza. Per mantenersi più libero nei confronti della terminologia
consacrata dall’uso, P. Beauchamp ricorreva all’espressione «modulo narrativo» per poter esprimere le
variazioni del modello fondamentale nell’Antico Testamento (L’un et l'autre Testament, t. II. Accomplir
les Écritures [Parole de DieuJ. Paris 1990). Il «richiamo della storia» costituisce la prima parte, più o
meno estesa, del «modulo narrativo».
8 «Era il luogo di un grande c imitero. Quando Erode Antipa c ostruì la s ua città sulla dimora dei
morti, i più devoti all’interno del popolo di Dio evitarono subito ogni contatto prolungato con essa. En
trare nel la casa di qualcuno a Tiber ìade comportava un’immediata i mpurità a causa del rischio del con
The
tattoTrial Version
con una tomba» (B.E. Schein, Sur les routes de Palestine avec l’évangile de Jean, Paris 1983, 98).
9 Nel quadro della nostra ricerca, l’opera di riferimento per la controversia giuridica (rtb) e il giu
dizio (mishpat) nell’AT, con i relativi effetti nel NT, sarà quella di P. Bovati, Ristabilire la giustizia (An-
Bib 110), Roma z1997. Meno recente, ma pratico da consultare e sempre valido è il testo di D. Mollat,
voce «Jugement. Il: Dans le Nouveau Testament», in DBS IV, specialmente 1344ss.l379ss. Si veda an
che il testo conciso e illuminante di J. Guillet, «Processo», in DTB, 990-995.
Questa nuova tappa della vita di Gesù è nota per un certo numero di diffi
coltà. Questo capitolo passerà in rivista gli aspetti controversi. Il seguente rileverà
gli indizi di composizione. L’interpretazione scaturirà dalle correlazioni stabilite fra
le parti di Gv 7.’
Una prima unità (7,1-13) precisa la distinzione fra due tempi: il tempo di Gesù
e il tempo del mondo. Il tempo di Gesù non è il tempo dei suoi fratelli, e neppure il
tempo liturgico delle feste giudaiche. Nel mezzo della festa delle Capanne, Gesù
sale al tempio di Gerusalemme e legittima la sua opera: questo è l’oggetto della se
conda unità (7,14-30). L’ultima unità (7,31-53) è infine dedicata a ciò che ruota in
torno aH'ultimo giorno della festa, dal punto di vista della rivelazione che Gesù fa di
se stesso e delle reazioni suscitate.
11,246-302, che comincia a essere superato ma che offre il vantaggio di segnalare bene i punti oscuri, pro
ponendo soluzioni spesso soddisfacenti. L’autore adotta il seguente ordine dei capitoli e dei versetti: Gv
6; 5; 7,15-24; 7,1-14.25-36.37-52; 7,53-8,11. Noi non lo seguiamo in questi «spostamenti». Si tratta di una
teoria oggi generalmente abbandonata.
2 Es 23,14 (nota BJ).16 (nota TOB); Lv 23,33-44; Dt 16,13-16; Nm 29,12-39; 2Mac 10,6; Zc
14.16-19.
3 Ancora ai nostri giorni, la consuetudine liturgica, a volte molto secolarizzata, vuole che ven
gano piantate piccole tende nelle case e persino negli appart amenti dei giudei, osservanti o meno. Que
ste tende fanno la loro comparsa sui balconi delle abitazioni giudaiche di Gerusalemme e della diaspora,
come pe r esem pio ad Anversa, «la Gerusalemme del nord». «Le “capa nne” di cui si parla (in Dt 16,13-
17) sono probabilmente quelle costruzioni leggere e provvisorie, fatte di frasche, che i contadini erigono
al tempo della vendemmia per ripararsi dal sole o per trascorrere la notte sorvegliando le vigne e i campi
(cf. la capanna per il guardiano: Is 1,8; Gb 27,18; per il soldato: 2Sam 11,11; per Giona: Gn 4,5); queste
capanne non fanno ancora riferimento all’epoca del deserto (R. M artin-Achard, Essai biblique sur les
fétes d’Israél, Genève 1974, 78).
4 La controversia suscitata dall’opera di J. Duquesne intitolata Jésus ha avuto per lo meno un
vantaggio: il chiarimento filologico del termine usato qui e in al tri passi del Nuovo Testamento per «fra
tello» (adelphos, adelphoi). Non si possono che condividere le analisi di F. Refoulé, Les frères et soeur s
de Jésus. Frères ou cousins, Paris 1995, in particolare per quanto riguarda Gv 2,12; 7,3.5.10; 20,17. «Ap
parentemente, nulla ci permette di considerare i “fratelli” menzionati da Giovanni diversamente da veri
fratelli» (p. 46). Come gli altri autori del Nuovo Testamento, se questo evangelista avesse voluto sugge
rire un rapporto di parentela tra cugini, avrebbe usato il termine anepsios, che non gli era sconosciuto.
Che poi Gesù fosse circondato oppure no da «fratelli» e «sorelle» nel senso di altri figli di Giuseppe e di
Maria (opinione di C.K. Barrett e forse di C.H. Dodd), è difficile dirlo, perché mancano informazioni
precise in proposito. Il concepimento verginale di Gesù da parte di Maria e ciò che riguarda la verginità
post partum in quella precisa situazione appartiene a un determinato livello di considerazioni e di realtà;
la verginità perpetua di Maria appartiene a un altro livello, sebbene si debba rispettare l’unità profonda
della persona e delle sue relazioni. La verginità perpetua di Maria può rimanere una «questione aperta»:
non dovrebbe mai gettare ombra sull’eccellenza del matrimonio e della relazione tra Maria e Giuseppe,
con l’espressione della loro tenerezza umana. Una verginità spirituale, intesa nel senso di un’assenza di
The Trialcome
peccato Version
quella che caratterizza i «vergini» di Ap 14,4 (R efoulé, Les frères et soeurs de Jésus, 114),
ci sembra tuttavia ridurre la portata di ciò che si addice alla verginità spirituale di Maria, ben più radicale
nelle sue implicazioni corporee, da un punto di vista antropologico e teologico nello stesso tempo. Lungi
dal risultare svalutata, in questa prospettiva la sessualità è invece celebrata in una maniera unica ed
esclusiva.
5 Dodd, L’interpretazione, 428.
Il seguito del testo lascia t uttavia i ntendere che «la chiamata del Padre» è già
risonata per Gesù. Egli «sale» alla festa, secondo l’espressione tecnica già rilevata
per la salita di Gesù a Gerusalemme in 2,13..La lezione adottata per 2,4 ci fa attri
buire, sulle orme di A. Vanhoye, 7 un senso interrogativo alla risposta di Gesù a sua
madre: «La mia ora non è ancora giunta?». Vale a dire: «Pensi che io non sappia
fino a che punto è giunta la mia ora?». La difficoltà verte dunque più sulla perce
zione del momento di Gesù da parte degli altri. I suoi fratelli fanno parte in qualche
modo del mondo e della sua incredulità. Questa difficoltà acuisce lo sguardo e su
scita il discernimento. È un primo effetto voluto e ottenuto dal testo. Anticipando
ciò che verrà affermato in Gv 9,39, nel centro letterario di Gv 7-12, si lascia inten
dere che Gesù viene per un discernimento (Gv 9,39).
Il discernimento comincia a dover essere compiuto nei confronti del testo
stesso. Il seguente commento, questa volta relativo al v. 8, ne sintetizza altri e per
mette di prendere posizione:
«Dicendo “a questa festa”, si sottintende che Gesù vuole andare a Gerusa
lemme per un'altra festa, cioè la prossima festa di pasqua, la pasqua della sua
morte».8 «In definitiva, continua il medesimo esegeta, l’evangelista presenta Gesù
che agisce secondo la sua sovrana autocoscienza: ai parenti increduli egli deve dire
di no, ma deve compiere di nascosto il viaggio perché là lo attende il popolo inde
ciso sul giudizio da esprimere su di lui, ed egli deve ancora rivelarsi nel dibattito tra
la fede e l’incredulità. Ma la festa che il Padre gli ha fissato come suo kairos non è
questa. È un’altra, nella quale egli si manifesterà in un modo così diverso da come si
attendevano i suoi fratelli; dapprima con un ultimo grande segno, la risurrezione di
Lazzaro, e con un ingresso a effetto in Gerusalemme, per giungere infine all’esalta
zione sulla croce e a una glorificazione, che il Padre gli prepara non in questo
mondo ma nel Suo mondo, non nel senso del “mondo”, ma in opposizione al
“mondo”.
Così ci siamo decisi per una soluzione contraria ad altre che sono state propo
ste per tentare di sciogliere la contraddizione fra 7,8 e 7,10:
La nuova insistenza, nei vv. 19.25.30, sulle intenzioni omicide degli interlocu
tori di Gesù può essere compresa a due livelli. Il verbo «uccidere» può essere
inteso:
The Trial Version
’ GNT3 conferma questa lettura di Schnackenburg, sulla base della tradizione manoscritta. A
ouk viene tuttavia attribuito il coefficiente C.
10 Schnackenburg, Giovanni, 11,267-268.
Viene di qui il legame con i versetti seguenti (w. 20-24), incentrati a loro volta
sull’evocazione di Mosè e della circoncisione16 (v. 22).
13 XXIX,6; A gostino, Commento al vangelo, 655-657. Si vedano anche le note a piè di pagina in
Oeuvres de saint Augustin 72: Homélies sur l’Évangile de Saint Jean, 2.XVII-XXXIII (Bibliothèque au-
The Trial Version
gustinienne 72), Paris 1977, 606-607. Questa interpretazione è adottata da Bultmann e da Wikenhauser.
14 Schnackenburg, Giovanni, 11,251, nota 8 (cf. A gostino, Commento al vangelo, 657); anche
qui, si vedano eventualmente le note in Homélies sur l’Évangile (Bibliothèque augustinienne 72), 608-
609.
15 Schnackenburg, Giovanni, 11,251.
16 Gen 17,10 (nota BJ). 10-13 (nota TOB); Lv 12,3; Riti 4,11.
17 «Nell’ebraico recente, qal significa: leggero; applicato alle leggi, agli obblighi, indica un coman
damento meno importante o più facile da osservare. Sempre nell’ebraico recente, hómèr significa: mate
ria, cosa pesante; e, sul piano giuridico: comandamento pesante, importante, difficile. L’unione dei due
vocaboli indica chiaramente il meccanismo deH’argomentazionc. Spesso si segnala che può assumere
due forme: de minore ad majus, cioè da un genere meno importante a un genere più importante (dagli
uomini a Dio); e viceversa: de majore ad minus» (J. Bonsirven, Exégèse rabbinique et exégèse pauli-
nienne [Bibliothèque de Théologie historique], Paris 1939, 83). Si veda anche: A. George - P. G relot,
Agli inizi dell’era cristiana (Introduzione al Nuovo Testamento 1). Roma 1990,107-108.
The Trial
18 Version
Schnackenburg, Giovanni. 11,254, che ci ta Tos. Shab. 15,16. R. Eliezer (intorno al 90 d.C.,
dunque alla stessa epoca del Vangelo di Giovanni): «Per una delle sue membra egli sopprime il sabato, e
interamente (in pericolo di vita) non dovrebbe sopprimere il sabato?». In Joma, 85 b questa afferma
zione è attribuita a R. Eleazar b. Azaja (intorno al 100).
19 Nella tradizione P del Pentateuco (Priestercodex, «codice sacerdotale»).
20 Si veda: Y. Simoens, «Le Sabbat. Un temps d’arrèt libérateur», in Christus 161(1994), 68-79.
21 Questo aspetto è stato ben individuato, anche se è stato espresso in maniera un po’ complicata,
dall’autore con cui ci c onfrontiamo passo per passo: «Il doppi o significato di krinein = “dare un giudi
zio” e “pronunciare una sentenza” è intenzionale. Dalla dimostrazione data fin qui, [gli interlocutori di
Gesù] debbono imparare prima di tutto a non giudicare l’atto di Gesù secondo le apparenze come un’in
frazione del sabato; ma non debbono neppure ergersi a giudici s u di lui. La terminologia è forense [giudi
zio formulato da un tribunale] (Deut. 16,18; Zach. 7.9; 8,16; Is. 16,5 [possiamo aggiungere Is 1,17; 11,3];
Ier. 21,12; Ez. 44.24; Apoc. 18,20); essi non debbono far altro che pronunciare un giudizio giusto. Ma
questo passo ottiene l’effetto che si propone soltanto se è letto alla luce di 5,30, dove Gesù si attribuisce
la funzione di giudice, e il suo giudizio (krisis) è giusto. Se gli avversari di Gesù giudicano secondo le ap
The Trial Version
parenze (cf. 8,15: kata tèn sarka), la sua parola, che egli pronuncia all’unisono con il Padre, diventerà per
essi giudizio. Questo è un estremo, severo appello a credere a lui e alle sue parole» (Schnackenburg,
Giovanni, 11,255).
22 Nei w. 41-42, cioè al centro dell’ultima unit à di Gv 7, che inizia richiamando i criteri di identifi
cazione del Cristo: v. 31.
23 Dt 26,17-18; 27,9; 28,9; Ger 7,23; 11,4; 30,22; 31,1.33; 32,38; Ez 11,20; 36,28; 37,27; Zc 8,8.
1. Un problema di punteggiatura
Due sono le ipotesi di punteggiatura che sono state formulate sia dai padri
della Chiesa sia dagli esegeti contemporanei; entrambe sono corroborate da paral
leli giovannei.
1) La punteggiatura A
30 Ivi, 431.
31 Ivi, 433. Le referenze marginali della BJ 1973 permettono di rintracciare, a partire dal testo pa
rallelo di Nm 20,11, una serie di altre pericopi affini: Dt 8.14-16 (dove 1’avvenimento è inserito in un pro
logo storico, collegato, come spesso avviene nel Deuteronomio, alla benedizione); Ne 9,15 (dove si ri
scontra lo stesso fenomeno: cibo-manna / roccia-acqua costituiscono ormai una coppia inscindibile che
risulta significativa dopo Gv 6. Ma in questo prologo storico c’è un legame esplicito con il comanda
mento collegato alla promessa precedente. Chi dice alleanza, dice correlazione di termini e di momenti
che si richiamano nell’ambito di una sequenza breve o più ampia); Sai 78,1-16.20; 105,40-41; 114,8; Sap
11,4 (la Sapienza viene a sua volta chiamata i n causa. Essa non è s eparata dall’alleanza [cf. Sir 24,23, che
riprende il simbolismo dell’acqua: w. 25-31]); Is 43,18-21 (da questa corrente della nuova alleanza deriva
la tematica del paradiso, che si ricollega ad altre reminiscenze profetiche: Zc 14,8; Ez 47,11-12); Is 48,21
(dove il simbolismo dell’Esodo è applicato al ritorno dall’esilio); Ab 3,8-10 (dove troviamo un simboli
smo cosmico; il giudizio di Dio stabilisce un legame fra la storia, la sua fine e il suo principio. Ciò che Dio
fa come Salvatore, lo fa anche come Creatore: cf. Sai 74,14-15).
The Trial32 Version
Bienaimé, «L’annonce des fleuves», 444, nota 181. Il testo di Ezechiele 47 sarebbe troppo
lungo da citare e soprattutto da riportare per intero. Ricordiamo che descrive la sorgente che esce dal
tempio. Con riferimento ai vv. 1-12, una nota B J spiega: «Il fiume meraviglioso, da essi descritto, manife
sta la benedizione che reca al paese la rinnovata abitazione di Dio in mezzo al suo popolo. L’immagine
sarà ripresa da Ap 22,1-2». Anche il nostro autore rimanda a questo testo che conclude il Nuovo Testa
mento, e che dà luogo a un’inclusione con Gen 2,9-10, da un'estremo all’altro del Canone biblico. «Il
«Da Gesù sgorgano di nuovo i fiumi scaturiti dalla roccia e, sulla linea del sim
bolismo giudaico, quest’acqua rappresenta la rivelazione messianica. Ma, all’in
terno di questa continuità, viene me sso in evidenza un contrasto: è l’ac qua dispen
sata dal Cristo a possedere la virtù paradisiaca di procurare la vita».34
Il metodo erudito applicato da G. Bienaimé gli ha fatto attraversare lo spes
sore delle tradizioni giudaiche e lo induce a riprendere una terminologia peraltro
già criticata a proposito della «novità» in questione. Accogliendo i suoi risultati, si
può anche pensare che il metodo «canonico» già illustrato li raggiunga spesso con
minor fatica. La forza dei versetti giovannei deriva dal fatto che Gesù pronuncia
quelle parole con un’immediatezza che manifesta la sua specificità. Egli non è né
una «nuova» roccia, né un «nuovo» tempio: è la piena realtà delle figure a cui dà
compimento per noi, i credenti.
Gv 7,39 esprime quest’ultima implicazione, fornendo una precisazione sullo
Spirito. I testi di Gv 13 e 17 relativi ai due tempi della glorificazione lo chiariranno
ulteriormente. Per Gv 13,31-32, il Figlio dell’uomo è glorificato nella notte in cui si
immerge Giuda. Per Gv 17, la glorificazione avviene con la preghiera del Figlio al
Padre. In seguito, il verbo «glorificare» non verrà più utilizzato, se non per il marti
rio di Pietro (21,19). Lo Spirito è legato a questa glorificazione. I cinque grandi testi
sullo Spirito35 si collocheranno dunque nel contesto del discorso dell’ultima cena.
Ma se la glorificazione è legata allo Spir ito, è vero che Gesù è glorificato, e noi in
lui, anche là dove lo Spirito è «consegnato» (Gv 19,30), nell’atto stesso del morire di
Gesù, e là dove è dato da «ricevere» (Gv 20,22-23), la sera del giorno di Pasqua.
Finché lo Spirito non viene comunicato come principio di rigenerazione che faccia
vivere della vita stessa di Dio, non c’è Spirito per il credente. L’affermazione è
netta, brusca. Dice il tutto di Dio nel nulla dell’uomo senza Dio-in-lui, nel senso
della nuova alleanza (Ger 31,31-34). Il tutto del credere viene espresso in contrasto
con il nulla del non credere. La proposizione non è dualistica: traduce due logiche
incompatibili, ma per indicare un cammino di conversione sempre possibile. Questa
presentazione di Gesù come profeta e Cristo, come re e sacerdote, non può che
spingere alla discussione e alla scissione, allo scisma che si verifica nella folla, come
dice il testo, fra quelli che dubitano e quelli che si m ettono a cr edere. O ci si pro
nuncia per il Cristo riconoscendo in lui il mediator e-unto, sia dalla parte di Dio sia
dalla parte degli uomini, oppure gli argomenti più opposti militeranno sempre a suo
sfavore. Quando si pensa di sapere «da dove è » Gesù, come in 7,27, il fatto che non
si possa conoscere la provenienza del Cristo viene invocato contro di lui; quando si
pensa che Gesù venga dal nord, com e in 7,41, l’attesa di una venuta del Cristo dal
sud alimenta l’incredulità nei suoi confronti.
I vv. 44-52 si ricollegano all’iniziativa assunta in 7,32 dai sommi sacerdoti e dai
farisei, decisi a far arrestare Gesù. Le guardie sono accusate di essersi lasciate
«sviare», nel quadro di una sorta di drammatizzazione che non deve ingannare il
lettore. Il v. 49, che definisce come «maledetti» i membri della «folla che non cono
sce la Legge», 36 è molto duro. Ma la figura di Nicodemo, nelle file stesse dei farisei,
delinea una gradazione tra la fede dei credenti che si aprono alla luce e l’incredulità
di coloro che si chiudono ad essa. Nicodemo interviene in nome della Legge37 (Es
23,1; Dt 1,16; 17,4).
II v. 52 chiarisce a posteriori la coordinazione dei w. 37 e 38 nel senso di: «E
berrà, colui che-crede in me!».
«Su questa coordinazione di imperativi, i traduttori moderni in genere non si sba
gliano; traducono infatti: “Scruta e vedrai”.38 (...) Il duplice imperativo di Gv 7,52 ri
produce un uso semitico39».40
36 Si tratta verosimilmente del «popolo della terra» ('am ha’ares) nel senso tecnico che l’espres
sone assume in Esd-Ne, dove indica quella popolazione composita, formata da giudei e pagani mesco
lati fra loro, che non partecipa veramente dell’identità specifica di Israele, caratterizzat a dall’osservanza
della Legge. Questa gente incorre qui nella «maledizione» legata al contesto dell’alleanza (cf. Dt 27,14-
26) (cf. Schnackenburg, Giovanni, 11,299). Dt 27 non è tuttavia così formale. Anche il giudizio comune
mente espresso dalla corrente farisaica dei tempi di Gesù sul «popolo della terra» non sembra così cate
gorico. Si veda la posizione prudente di E.P. Sanders, Gesù e il giudaismo (Dabar. Studi biblici e giudai
ssici), Genova 1992.234-235: «Nessuno dei due passi [scil. Le 18,9-14 e Gv 7,49] può venire considerato
effettivamente indicativo dellle opinioni dei farisei prima del 70 (...). Al massimo questi passi possono
venire presi come espressioni che riflettono una qualche componenete dell’ostilità fra dotti e indotti, a
volte presente nel la letteratura rabbinica. Non è irragionevole pensare che sia prima che dopo il 70 esi
stesse una qualche ostilità fra i dotti e gli scrupolosi (i haverim, scribi e farisei) da una parte e la gente co
mune dall’altra. Ma occorre ricordare che i sentimenti di ostilità e di disprezzo non non si traducono ne
cessariamente, come invece molti vorrebbero, nei farisei e nei haverim, nella convinzione che i meno
dotti e scrupolosi siano esclusi dall’accesso alla salvezza».
37 «Nicodemo ci offre come l’eco di una parola precedente di Gesù, che denunciava l’inosser
vanza della legge da parte dei suoi avversari, nonché la loro incapacità a giudicare secondo giustizia
(7.19-24)» (Vignolo, Personaggi, 116).
38 Fase. BJ 1973: «Studia! Tu vedrai»; TOB 1988: «Cerca bene e vedrai».
39 Come segnalano Zerwick-Grosvenor, A Grammatical Analysis, 310.
40 Bienaimé, «L’annonce des fleuves», 304-305.
The Trial41 Version
Vignolo, Personaggi, 117, nota 187: «Propriamente questa affermazione contraddice a 2Re
14.25 [il profeta Giona è di Gat-Chefer, una località situat a all’altezza del lago di Tiberìade, sulla sponda
occidentale] e a Sukkah 27b (“non c’è tribù d’Israele da cui non sia venuto un profeta”)». Lo stesso au
tore osserva giustamente: «In 7,50-51 Nicodemo resta segnato da un’intima e irrisolta tensione» (p. 118).
A questo punto, Nicodemo è ancora un «discepolo anonimo» di Gesù (p. 119).
42 II termine ebraico viene dalla radice darash, da cui deriva midrash: cf. Gv 5,39.
The Trial
1
Version
Mlakuzhyil, Christocentric Literary Structure, 200-205.
2 Ivi, 203.
3 Le pagine che seguono esaminano il testo versetto per versetto. Sarà quindi opportuno che il
tenore tenga sott’occhio la traduzione strutturata, per non lasciarsi sopraffare dall’aridità delle osserva
zioni!
Questo principio illumina tutto l’inizio di Gv 7, e anche ciò che segue. C’è fe
sta e festa, perché ci sono opere e opere. Le opere buone di Gesù si contrappon
gono alle opere malvagie del mondo. Lo scontro frontale è inevitabile, ma Gesù lo
evita aggirando l’ostacolo. Egli raggiungerà «il mondo» sul suo terreno, ma vi farà
trionfare la sua buona opera soppiantando l’opera malvagia del mondo! La caratte
ristica di Gv 7,1-13 consiste nel precisare ulteriormente l’argomento. La festa di
Gesù sopraggiungerà quando sarà venuto il suo momento, assolutamente unico,
nella trama della festa liturgica, troppo allineato a un momento del mondo, ormai
indifferenziato. Gesù reintroduce il suo tempo nel tempo del mondo, che ha invaso
persino il tempo liturgico, scansione dei momenti della creazione e della storia della
salvezza nel mondo e anche alFinterno del popolo eletto. Perché i suoi interlocutori
abbiano accesso là dove si muove Gesù, la rottura instaurata nei tempi e nei mo
menti si traduce anche in una rottura spaziale sul piano degli spostamenti. Gesù si
«manifesta» in una maniera esclusivamente sua (v. 4: «Manifèstati al mondo»; v. 10:
«Salì, non manifestamente»). Questa maniera anticipa già, nel tempo pre-pasquale,
la terza «manifestazione» di Pasqua (Gv 21,1-14).
Le prime menzioni della «festa» si sono rivelate utili ai fini della compren
sione della prima unità letteraria del testo. Lo saranno anche per il seguito? La «fe
sta» ricompare, in ordine a prima vista più sparso, nei w. 14 e 37. Si potrebbe par
lare di un’inclusione, come fanno molti commentatori, oppure riconoscere l’inizio
di altre due unità. Una decisione in proposito deve tuttavia dipendere da altri feno
meni testuali forse più strutturanti. Le distinzioni introdotte nel tempo e nello spa
zio di Gesù invitano alla prudenza nell’utilizzo delle indicazioni spazio-temporali. È
necessario prestare attenzione ai protagonisti dell’azione e dei dialoghi. Lungi dal-
l’adeguarsi a loro, Gesù cerca di ricondurli a sé.
La menzione dei personaggi secondari, come più sopra i giudei e i fratelli, po
trebbe fornire qualche dato interessante. La loro catalogazione, ottenuta a costo di
introdurre un criterio di classificazione grazie ai verbi utilizzati, dovrebbe metterci
sulle tracce di alcuni elementi significativi. L’esame di questi personaggi, individuali
o collettivi, è interessante. Introduce una complessità ricca di insegnamenti dal
punto di vista di ciò che Gesù dice e fa. Un elenco, sebbene un po’ arido, facilita
unaTrial
The classificazione
Version per gruppi.4
4 La tassonomia, nel campo della linguistica e dell’etnologia, rende più agevole l’interpretazione
dei dati. Lo stesso avviene per i dati del testo giovanneo che stiamo esaminando.
«Coloro che-credettero in lui» sono ugualmente citati in 7,39, nel mezzo della
sotto-unità centrale (7,37-43), e quindi nel mezzo di tutta l’ultima unità (7,31-53):
«Disse questo a proposito dello Spirito
che erano-sul-punto-di ricevere
coloro che-credettero in lui».
Il verbo lambanein era già stato usato al centro de l prologo (1,12), a nche a l
lora in collegamento con il «credere». All’inizio di Gv 7-12, l’ultima unità di Gv 7
introduce un collegamento fondamentale con Gv 1,1-18.
3. Conclusione provvisoria
L’unità centrale (7,14-30) stabilisce una grande inclusione fra i w. 14-15 e 30.
Il racconto di ciò che avviene nel mezzo della festa viene dunque a c ollocarsi al cen
tro del testo. All’insistenza sui due «non ancora» (vv. 6-8 e 39) subentra l’afferma
zione esplicita a proposito dell’«ora» che «non è ancora» venuta (v. 30). Ta le affer
mazione compare in quel punto del nostro testo c he conclude la sua unità centrale .
La costruzione stilistica è elegante. Essa dà a Gv 7 un andamento più regolare di
quanto non sembri in un primo momento.
Questa unit à si svolge nel tempio, altro termine di un’inclusione de l testo (w.
14 e 28). L’intera unità è dunque collocata sotto un triplice segno: della festa e del
l’ora (tempo); del tempio (spazio).
Gli indizi di una possibile suddivisione, anche se a prima vista meno evidenti,
non mancano neppure all’interno di questa unità centrale.
La prima ripetizione significativa che possiamo individuare si trova ai versetti:
- 25: colui che cercano di uccidere
- 30: cercavano dunque di arrestarlo.
Le altre due occorrenze della stessa espressione «cercare di uccidere» permet
tono di precisare:
- il limite inferiore della prima sotto-unità (v. 19);
- il limite superiore della sotto-unità centrale (v. 20).
Viene così alla luce una composizione concentrica di 7,20-24:
The Trial«folla»
- alla Versione
al suo giudizio: «Hai un demonio!» (v. 20),
- risponde l’ultima frase di Gesù sul giudizio giusto (v. 24).
Gli altri membri di questi versetti cent rali si corrispondono a livello di forma e
di contenuto:
MOSÈ la L e g g e
(circoncisione)
SABATO circoncisione
di un uomo
(la L e g g e)
circoncisione SABATO
di un uomo
(la L e g g e)
MOSÈ la L e g g e
(circoncisione)
Si tratta dunque di combinare la Legge di Mosè (il sabato si colloca nel cuore
del de calogo) con il precetto de i padri, primo fra tutti Abramo, il patriarca per ec
cellenza (la circoncisione). E più ancora, si tratta di mostrare che non c’è contraddi
zione fra la Legge, richiamata nella sua complessità, e l’opera che Gesù compie.
Queste corrispondenze, così serrate e così studiate, non lasciano agli altri ver
setti che il ruolo di costituire rispettivamente la prima e la terza sotto-unità di que
sta unità centrale.
La prima sotto-unità (7,14-19) è costruita a sua volta su due corrispondenze
degne di nota:
- Stupore dei giudei (v. 15)
- «Il mio insegnamento (torah)» (vv. 16-17)
- «Parlare / Cercare la gloria» (v. 18)
- La Legge di Mosè (v. 19a)
- Domanda di Gesù (v. 19b)
Già qui, l’argomento principale consiste nel mostrare la compatibilità fra gli
elementi costitutivi di questa serie: l’insegnamento-7bra/i (Legge) di Gesù; fare la
The Trial Version
6 La figura letteraria è messa chiaramente in evidenza da Grelot, Les Juifs, 88. Questo autore
tuttavia fa di 7,19-24 un «passo fuori dal contesto», senza cercare di cogliere una coerenza dell’insieme
del capitolo, e neppure degli altri.
Anche questo capitolo presenta un certo numero di difficoltà che vanno rile
vate man mano che si procede nella lettura. Questo lavoro ci metterà sulle tracce
della composizione e della struttura letteraria. Di qui scaturirà l’interpretazione, te
nuto conto della visione d’insieme del Vangelo.
Due espressioni, all’inizio e alla fine del capitolo, danno luogo a un’inclusione,
delimitando l’unità costituita dal capitolo stesso:
- In 8,2 e 59: la menzione del tempio.
«(Gesù) si presentò al tempio (eis ton hieron)»;
«(Gesù) uscì dal tempio (efc tou hierou)».
- In 8,7 e 59: la minaccia di lapidazione.
«Getti una pietra (baletò lithon)»;
«Presero delle pietre affinché (le) gettassero su di lui
(lithous hina balòsin)».
Le cose si presentano dunque piuttosto male. Dovunque incombe un’ombra
di morte. La Legge, al di fuori del suo compimento, rimane buona, ma può ucci
dere. Destinata a promuovere il meglio, può provocare il peggio. Gesù segnala que
sto pericolo. E dimostra a sue spese che si tratta di un pericolo reale.
1 Lo studio fondamentale rimane quello di J. B ecker, Jesus und die Ehebrecherin. Untersuchun-
gen zur Text- und Uberlieferungsgeschichte von Joh. 7,53-8,11 (BZNW 28) Berlin 1963, ormai ben inte
grato nei commenti.
The Trial Version
2 Nella seconda edizione del 1968, il Greek New Testament di K. Aland e a. [GIVI4] trasferiva il
testo dopo Gv 21; nella terza edizione riveduta del 1985, ristampata nel 1990 [GA7j, lo reinserisce in
vece tra 7,52 e 8,12. Nel 1968, all’esclusione veniva attribuito l’indice A, che segnala un livello di proba
bilità molto alto. Nel 1990, all’inserimento tra 7,52 e 8,12 viene a ttribuito lo stesso indice di probabilità!
Allora bisognava dare credito alla critica, ma in seguito la problematica è cambiata: ora bisogna dare
credito alla coerenza e alla forza della tradizione!
1. Il vocabolario processuale
Ritorna con insistenza, stabilendo un legame con Gv 7 e anche con l’inizio del
racconto. La testimonianza di Giovanni, a partire da 1,19, collocava tutto il Vangelo
sotto il segno di questa dimensione. Una lettura sistematica lo mette in luce.
- «In flagrante delitto»: v. 4.
- La Legge: w. 5.17.
- «Testimoniare» e «testimonianza»: vv. 13.14.17.18.
- «Giudicare» (kritiein) e «giudizio»: vv. 15.16.26.50.
- «Condannare» (kaiakrinein): w. 10.11.
- «Accusare»; v. 6.
- «Arrestare»; v. 20.
- «Cercare» (zéteiri):1 v. 50.
In un contesto del genere, il gesto di «scrivere» per terra, attribuito a Gesù,
non manca di incuriosire. Si è parlato delle uniche righe che Gesù abbia mai
scritto.
3 Secondo R.E. Brown, J. Becker, M.-E. Boismard, J.D.M. Derrett, D. Mollat, D. Munoz León,
R. Schnackenburg.
The Trial4 BVersion
oismard - Lamouille, Jean, 215-216.
5 Ibidem, 217.
6 Fase. BJ 1973, 130.
7 Questo verbo indica un'ispezione giudiziaria, secondo il dizionario di Bauer-Amdt-Gingrich,
citato da F. M anns, La vérité vousfera libres, Étude exégétiquedejean 8,51-59 (SBF Anal 11), Jérusalem
1976, 94.
Il v. 25, nel contesto delle definizioni che vengono date di Gesù, dà luogo a
letture e traduzioni diverse: tén archèn ho ti / hoti kai lalò hymin.
12 Ivi, 512-514. La stessa interpretazione si ritrova in A. L oisy, Le Quatrième Évangile, Paris 1903.
555, citato nell’articolo di cui sopra (p. 514): «Gesù paragona a una duplice testimonianza umana la testi
monianza. non di un uomo e di Dio. ma del Verbo fatto carne e del Padre che lo invia, cioè una duplice
testimonianza divina». In modo analogo si esprime M.-J. Lagrange, L’Évangile selon S. Jean (EBib),
The
ParisTrial Version
1936, 233: «Non sapendo o non volendo sapere di Gesù niente di più di ciò che indica la sua natura
umana, i farisei non possono che giudicare in base alle apparenze (...); ma nel pensiero di Giovanni deve
trattarsi anche di un’allusione alla carne che il Logos ha assunto».
13 Agostino, Commento al vangelo, XXXVIII,11; cf. Oeuvres de saint Augustin 73A: Homélies
sur l'Évangile de saint Jean XXXIV-XLIII, trad. et notes par M.-F. Berrouard (Bibliothèque augusti-
nienne), Paris 1988, 271.
2) Qualora si consideri ho ti, non come il neutro del pronome relativo hostis,
ma come la congiunzione subordinativa causale hotr.
Il v. 32, collocato al centro di tutto il capitolo come polo d’attrazione dei brani
che lo compongono, è stato oggetto di approfonditi studi.
«Conoscerete la verità,
e la verità vi libererà».
«Conoscerete la verità».
Alla fine dello stesso versetto, la frase: «Questo, Abramo non lo fece», deve
essere compresa alla luce di ciò di cui il patriarca è la figura emblematica: la fede
(Gen 15,6; 17,2ss), in contrasto con l’interpretazione giovannea formulata al v. 56:
«Abramo, vostro padre, si rallegrò di vedere21 il giorno, il mio; e lo vide e gioì!».
Nella dinamica della sua fede. Abramo ha creduto nel futuro Messia.22
Soltanto il diavolo, in compenso, è «omicida»: anthrdpoktonos. Hapax del
Vangelo, nel Nuovo Testamento il termine si ritrova soltanto in lGv 3,15.23 Denun
ciare, facendone il nome, l’omicida autore del peccato, ancora una volta significa
fare opera di liberazione e offrire una possibilità di conversione. Significa aprire
alla misericordia in primo luogo i cristiani, dal momento che queste parole sono ri
volte a un gruppo di giudei che credono in Gesù (v. 31). Mitigare il testo vedendo in
esso una tradizione di redazione tardiva, per r ipulire il Vangelo da eve ntuali germi
di antisemitismo, non fa che spostare il problema. Fino a che punto ci si dovrebbe
spingere in questa impresa, che in ultima analisi consiste nel voler distinguere all’in
terno del Vangelo canonico ciò che non può essere normativo per la fede, elabo
rando una sorta di «Canone nel Canone» di Giovanni? Gesù, e Gesù solo, pronun
cia simili frasi. Queste non autorizzano assolutamente i cristiani, né chiunque altro,
a servirsene per condannare o perseguitare i giudei. Tale interpretazione sarebbe
aberrante e rivelerebbe che il testo non è stato compreso in tutta la sua forza di in
vito a credere, nel senso di beneficiare di una filiazione che libera, di fruire della li
bertà stessa del Figlio. Viené seguito sempre il medesimo asse. Il credere permette
di essere generati da Dio, diceva Gv 1,12-13, secondo la lezione a cui abbiamo dato
La fine del capitolo sviluppa il rapporto di Gesù con Abramo nel senso di una
protologia più che di un’escatologia. A partire dal prologo e dal personaggio di
Giovanni, l'asse della storia lascia trasparire quello dell’origine.
«Non hai ancora cinquantanni, e hai visto Abramo?» (v. 57).
24 Questa interpretazione trova conferma nel Libro dei Giubilei (16,20-21), secondo cui Abramo
avrebbe istituito la festa delle Capanne all’annuncio della nascita di Isacco «per esprimere per sette
The Trial
giorni Version
la sua gioia presso l’altare che aveva costruito a Bersabea». Cf. TOB, nota h a Gen 21,6; Fase. BJ
1953, nota b) a 8,56; D. M ollat, Ètudes johanniques (Parole de Dieu), Paris 1979,130-131. Si veda Sac-
chi, Apocrifi dell'Antico Testamento, 1,294-295. L’accenno alla costruzione di un alt are richiama inciden
talmente la chiara funzione sacerdotale di questo patriarca e degli altri «costruttori di altari» (Y. Si-
moens, Une entrée dans l'Écriture Sainte. Mise en oeuvre du Canon des Écritures par les traditions patriar-
cales [Institut d’Études Théologiques], Bruxelles 1991, 10.19.28 e passim).
7. Lapidazione
Il capitolo si conclude con il tentativo di lapidare colui che, all’inizio, aveva ri
sparmiato la lapidazione alla donna. «Ironia giovannea»! Assistiamo a un capovol
gimento di situazione di tipo sapienziale: da un’epressione di saggezza a un’espres
sione di follia. «Presero dunque delle pietre»: per scagliarle. Sembra che gli av
versari di Gesù raccolgano delle pietre destinate ai lavori del tempio, allora so
spesi.26
2. Luce
27 Ivi, 23.
28 Questo messaggio è ripreso dalla formula lunga dell’assoluzione sacramentale nella tradizione
The Trial Version
cattolica, secondo il rituale della penitenza del concilio Vaticano II: «Forse che io ho piacere della morte
del malvagio - dice il Signore Dio - o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva?» (Ez 18,23.32;
33,11; TOB: referenze marginali).
29 II messaggio è ripreso nella corrente sapienziale tramite un Salmo come il 103, citato dalla
TOB, e tramite Sap 11,26, citato dalla BJ: «Tu risparmi tutte le cose, perché tutte son tue, Signore,
amante della vita!».
Con il richiamo da parte di Gesù, in 8,17, della prescrizione dei due testimoni
perché una testimonianza sia valida, siamo ancora al livello di prescrizioni molto
precise della Torah.31
L’indicazione di luogo contenuta nel v. 20, dove si dice che Gesù si trovava nel
Tesoro, rimanda al fabbricato in cui si conservava il tesoro del tempio, non accessibile
al pubblico, ma il cui nome era applicato alla spianata circostante; a meno che non si
tratti del cortile delle donne, dove si trovavano le cassette destinate alle offerte.32
L’espressione dei w. 21.24: «Morir ete nel vostro peccato», si ritrova nelle tre
correnti costituite dalla Torah (Dt 24,16), dai Profeti (Ez 18,18; 33,12-20) e dagli
scritti sapienziali (Pr 16,2; 21,2; 24,9-12), che la utilizzano per esprimere la respon
sabilità personale e inalienabile di ciascuno.33
In una prospettiva analoga, il verbo «conoscere» applicato alla conoscenza
della verità (v. 32) caratterizza l’alleanza (nuova) nella corrente deuteronomica34 e
geremiana,35 ma anche in Osea.36
Il vocabolario della «prostituzione», che compare al v. 41, permette anche di
integrare nel contesto l’episodio dell’adultera. Il termine non è raro nell’Antico Te
stamento,37 ma questa è la sua unica occorrenza nel Vangelo di Giovanni.38 Nello
stesso versetto, la confessi one del Dio unico, dell’unica paternità di Dio, è un corre
lato positivo della negazione della prostituzione.39
La successiva allusione (v. 48) ai samaritani non stupisce in questo contesto e
nel contesto più ampio dei capitoli precedenti (soprattutto Gv 4 con l’episodio della
M Si vedano tutti gli articoli e le monografie specialistiche, ma in particolare M ollat, Études jo-
hmiques, 123-124.
31 Dt 17,6; 19,15; Nm 35,30 (TOB, nota c a Gv 8,17).
32 In questo luogo. Gesù ammira il gesto della vedova in Me 12,41-42 e in Le 21,1-4 (TOB, not a e
a Gv 8,20).
33 Si veda Fase. BJ 1953, nota d a Gv 8,21.
34 Dt 4,6.35.39; 7,9; 8,2-4; 29,4-5; ecc. Si potrebbe allargare il discorso all’opera deuteronomistica
(Dtr), secondo la terminologia utilizzata da M. Noth per indicare i libri che vanno da Giosuè ai Re.
35 Ger 2,8; 22,15-16; 24,7; 31,31-34.
36 Os 2,22; 13,4-5. Cf. Gb 21,14; Pr 2,5; Is 11,2; 58,2 (Manns, La vérité, 68). Nella letteratura sa
The Trial Version
pienziale, la «conoscenza» è quasi sinonimo di «sapienza» (nota BJ 1973 a Os 2,22).
37 Lo si trova nei Profeti e in testi-chiave come il grande insieme di Os 1-3; Ez 16 (precisamente al v.
33. ma tutta la parabola è significativa in proposito); Ger 3,1-3 e paralleli geremiani; Is 57,3-13 (satira em-
Hematica contro l’idolatria, con tutti i rimandi a Lv-Dt, Ger e Ez, indicati in margine nella B J e nella TOB).
38 Delebecque, Évangile de Jean, 168.
39 Es 4,22; Dt 32,6; Is 63,16; 64,8; MI 2,10.
IV. Interpretazione
«La verità», insomma, è in lui, con tutte le risonanze del suo essere filiale e
fraterno, libero e quindi liberante. È anche, e in quanto tale, la verità di Abramo
(vv. 31-33), nel centro focale dell’insieme. Si tratta di «rimanere» 50 in questa verità,
una volta che si è approdati alla fede.51
Per gli interlocutori di Gesù «che credono a lui», Abramo rappresenta il cul
mine della fede, e di conseguenza della paternità nella fede, e quindi anche della fi
liazione che tale paternità genera. Il centro letterario e teologico dell’unità se
guente (i w. 39-41 all’interno dell’insieme costituito dai w. 34-47) fa uscire da que
48 Ivi, 326.328.
49 L’espressione con l’articolo determinativo vi ene dal primo libr o di Enoc (46.2), che ne ha ac
centuato il carattere personale e trascendente (Une initiation à la Bible. Huit fiches pour étudier TAncien
Testamene Paris, hors commerce: Fiche Vili,8: Le Fils de l’homme). Cf. S acchi, Apocrifi dell’Antico Te
stamento, 1,526.
50 Cf. 6,56; 15,4.7.
51 Delebecque, Évangile de Jean, 168-169, fa notare l’uso del perfetto per «coloro che avevano
The Triala Version
creduto lui», al v. 31 (perfetto durativo: possesso stabile della fede), e l’uso dell’aoristo per i molti che
«credettero in lui », a l v. 30 (aor isto puntuale: acquisizione della fede in quel determinato momento). L a
forza del perfetto è tuttavia smorzata da un complemento al dativo: «credere a lui»; il seguito dell’episo
dio farà vedere quanto sia debole questa fede. L’aoristo invece è rafforzato dal complemento retto da eis
+ accusativo, una costruzione che esprime il carattere più dinamico dell’atto di fede che raggiunge il suo
obiettivo.
52 È possibile che qui (v. 44) ci sia anche un’allusione all’assassinio di Abele, che costituisce la
prima comparsa della morte nella storia biblica (cf. lGv 3,8-15) (Fase. BJ 1973, nota g a 8,44).
53 Am 5,18; Is 13,6; Ez 30,3; Gl 1,15 (TOB, nota e a 8,56). Il vocabolario del Giorno di JHWH è
apocalittico.
54 Con queste precisazioni, si può concordare con ciò che scrive in tal senso J. Dupont, Essai sur
la christologie de saint Jean, Bruges 1951, 273, citato da Mollat, Études johanniques, 130, nota 31.
Questa nuova unità letteraria riunisce due capitoli. Cominceremo dunque col
giustificare tale opzione.
A una conferma del «credere» è destinata la guarigione del cieco nato e ciò
che in seguito viene detto a proposito delle sue implicazioni collettive, comunitarie,
ecclesiali. Quell’uomo, guarito da Gesù e messo al ba ndo dalla comunità giudaica,
m realtà viene introdotto nel popolo di Dio, più e meglio dei suoi detrattori, dal Fi
glio dell’uomo - il Signore in persona. Questo ingresso nella comunità della sal
3 Goneis'. un altro termi ne del campo sem antico della «generazione». Sulla dot trina della remu
nerazione individuale, si veda Ger 31,29ss; Ez 18,1-4 (Schnackenburg, Giovanni, 11,407-408).
4 M.-J. Lagrange, Évangile selon Saint Jean (EBib), Paris 1936, 259-260.
5 Gli autori che abbiamo consultato parlano piuttosto di «magia», ma questo termine, in fran
cese come in italiano, è peggiorativo. Per rispetto nei confronti di pratiche esercitate ancora oggi in paesi
in cui si mantiene viva la mentalità non occidentale, noi preferiamo ricorrere a un’espressione più ampia
come «medicina tradizionale» (Schnackenburg, Giovanni, II, 410, che cita in particolare K.H. Reng-
storf, «pélos», in GLNT X,177). Per la problematica evocata si veda: E. de R osny, Les yeux de ma chè-
vre. Sur les pas des maitres de la nuit en pays douala (Cameroun) (Terre humaine), Paris 21981 ; La nuit,
les yeux ouverts, Paris 1996.
6 Ireneo, haer. V, 15,2. Cf. Id., Contro le eresie e gli altri scritti (Già e non ancora), Milano 1981,
440-441.
7 Si veda anche Tommaso d’Aquino, Super Evangelium S. Iohannis Lectura, n. 1310 (Torino-
Roma 1952, 244), che cita Sai 148,5 (Commento al vangelo di san Giovanni/2 [Fonti cristiane per il terzo
millenio 5/2], Roma 1992, 157-158).
8 Lagrange, Évangile selon Saint Jean, 261.
9 Ivi. Il testo sembra fare riferim ento a un gioco di parole: «Shiloach significa “scolo”, “uscita”;
The Trial Version
shaliach significa “inviato”, “missionario”» (J. Radermakers).
10 Lagrange dice «lavare», ma questa è la traduzione di louein.
11 La formula risulta sorprendente sulle labbra del cieco guarito, dal momento che si tratta dell’u
nica volta in cui ricorre nel Vangelo senza avere come soggetto Gesù. Due letture sono possibili. Si può
banalizzare la formula facendone un semplice: «Sono io!». Alcuni la leggono in questo modo anche sulle
labbra di Gesù, spogliandola del significato teologico di un titolo divino. Oppure si può individuare nel
l’appropriazione dell’Egó eimi da parte del cieco il filo conduttore dell’interpretazione. Pur non essendo
il Cristo, il credente parla come lui. Lo «rappresenta» quindi abbastanza dinamicamente da aprirsi la
propria strada di fede e di testimonianza in un mondo ostile, costellato di dubbi e di sospetti. In questa
prospettiva si colloca la nostra interpretazione.
12 Sulla questione, l’ultima sintesi di cui siamo a conoscenza si trova in B. W ander, Trennungs-
prozesse zwischen Friihen Christentum und Judentum im 1. Jh. n. Chr., Datierbare Abfolgen zwischen der
Hinrichtung Jesu und der Zerstorung des Jerusalemer Tempels (TANZ 16), Tiibingen und Basel 1994,
Exkurs: Das Johannesevangelium und die birkat ham-mìnim, 272-275.
The Trial 13 Version
Si veda l’indice dei principali termini ebraici o aramaici in Di Sante, La preghiera
d’Israele, 241.
14 «12. Che non vi sia speranza per gli apostati e il regno dell’orgoglio sradicalo prontamente nei
nostri giorni; ed i nazarei periscano in un istante, e gli eretici siano cancellati dal libro dei vivi e non siano
scritti insieme ai giusti. Benedetto sii tu, JHWH, che pieghi gli orgogliosi» (J. B onsirven, Il giudaismo
palestinese al tempo di Gesù Cristo [La sacra Bibbia. Volumi sussidiari], Torino 1950,92). Questa bene-
L’atteggiamento di G esù esprime ciò che egli vuole fare. Si mette forse in po
sizione di «giudice»? I precedenti interlocutori del cieco guarito «giudicano». «Il
Padre non giudica nessuno, ma ha dato tutto il giudizio al Figlio» (5,22; cf. 5,27.30),
che a sua volta non giudica. L’abbiamo visto anche in 9,3-5: Gesù è «luce del
mondo» in quanto non condanna. In questa scena, egli non esprime un giudizio di
condanna sul cieco, così come non l’aveva espresso sulla donna nell’episodio prece
dente. La sua specifica prerogativa di giudice consiste nel non giudicare. Egli inve
ste del suo «io» la figura di rivelazione del «Figlio dell’uomo». Il «Figlio dell’uomo»
svela il segreto profondo dei cuori. Credendo o non credendo nel Figlio dell’uomo,
l’uomo «è svelato»: si giudica da sé. Krisis e krima, «giudizio» e «discernimento»,13 * 15
vengono accuratamente distinti. Gesù non fa che registrare la posizione che le per
sone assumono nei suoi confronti.
Come dice giustamente C.K. Barrett,16 «questo passo ha uno stretto parallelo
in 12,34ss, dove la domanda relativa all’“innalzamento” del Figlio dell’uomo si fa
più pressante, e Gesù risponde in termini di luce che è nel mondo per poco tempo
affinché gli uomini possano credere; (la domanda) emerge nella citazione di Is 6 a
cui si fa allusione nei w. 39-41».
dizione riguarda in generale alcune correnti dissidenti del giudaismo, in cui non si vede traccia di giudeo
cristiani. A proposito della datazione deU’assemblea di Jabne, si può ritenere con D. Barthélémy che
«verosimilmente abbia avuto luogo tra il 90 e il 105». Cf. D. Barthélémy, «L’état de la B ible juive de-
puis le début de notre ère jusqu’à la deuxième révolte contre Rome (131-135)», in Le Canon de l’Ancien
Testamene par J.-D. K aestli - O. W ermelingbr (MondeB), Genève 1984. 25. K . Berger, Theologiege-
schichte des Urchristentums. Theologie des Neuen Test aments, Tubingen und Basel 1994, 656, segue Io
The Trial
studio di Version
Wander, Trennungsprozesse, ritenendo che le tensioni evocate tra la Sinagoga e la comunità
giudeocristiana risalgano piuttosto agli anni quaranta, cioè ai tempi di Erode Agrippa.
15 È questa la buona traduzione del termine proposta da D. Mollat (BJ). Tale traduzione rimanda
al contesto sapienziale. La venuta di Gesù in questo mondo per un discernimento mantiene il suo valore
anche oggi, a tutte le latitudini.
16 C.K. Barrett, The Gospel according to St John, Philadelphia 1978, 364.
Ez 12,1-2
«Questa parola del Signore mi fu riferita: ‘‘Figlio d’uomo, tu abiti in mezz o a una genìa
di ribelli, che hanno occhi per vedere e non vedono, hanno orecchi per udire e non
odono, perché sono una genìa di ribelli”».
The Trial
20 Version
BAGD, «<if>Àt]»,121: Schnackenburg, Giovanni, 11,467-468.
21 In contrapposizione a quanto affermano A.J. Simonis, Die Hirtendrede im Johannes-evange-
lium. Versuch eine Analyse von Johannes 10,1-18 nach Enlstehung, Hintergrund und Inhalt (AnBib 29),
Roma 1967, 12-127, e I. de la P otterie, «Le bon Pasteur», in Populus Dei, II, Studi in onore del Card
Ottaviani, Roma 1970, 930-934; 938ss.
22 Schnackenburg, Giovanni, 11,473, nota 18.
32 Nm 27,15-18.21. «Queste espressioni designano tutta l’attività del capo (Dt 28,6; ISam 29,6;
2Re 19,27) che si regolerà in base alla risposta dell’oracolo divino, trasmesso dal sacerdote (v. 21; cf.
ISam 14,18.37; 23,2s)» (BJ 1973, nota a Nm 27,17, con riferimento a «uscire ed entrare»). È degno di
The
notaTrial Version
il fatto che qui la coppi a verbale sia rovesciata rispetto a Gv 10,9, dove troviam o la formula «e n
trare e uscire», che forse sottolinea la trasformazione; la coppia verbale tuttavia si presenta già in questo
modo in Dt 28,6. Si ricorderà inoltre che il nome Giosuè è tradotto in greco con /ésous-Gesù! La distin
zione delle funzioni di direzione e di divinazione, che introduce il ruolo del sacerdote, è destinata ad altri
sviluppi nel periodo della monarchia e dopo di essa. Alle citazioni della BJ, aggiungere: Dt 31,2; Ez 46,8-
10.
Tutto avviene, qui, all’interno dell’amore del Padre per il Figlio (v. 17) e della
docilità del Figlio al comandamento del Padre (v. 18). «Questo spogliarsi di se
stesso è nello stesso tempo il frutto del comandamento ricevuto dal Padre e il mo
tivo dell’ amore di cui il Padre lo circonda. Il Padre lo ama perché dà la sua vita, e
poiché lo ama, gli dà questo comandamento».33
Un nuovo «scisma» ha luogo fra i giudei, dopo quello che si era già verificato
tra i farisei (cf. Gv 9,16). La situazione ricorda decisamente quella di Gv 8. In quel
l’occasione, Gesù evocava il diavolo come autore del peccato, allo scopo di liberare
da esso il peccatore. Denunciare l’ autore del peccato, significa salvare il peccatore.
Qui, l’evocazione del «demomo»-daimónion induce l’accusa: «è-pazzo»-mainetai.
Tale affermazione è tuttavia contestata al v. 21: «Queste parole non sono di un in
demoniato!». La condanna è fortemente attenuata da questa spaccatura. La divi
sione, qui, ha un significato positivo. Può aprire una via verso la libertà.
Le coordinate temporali (festa liturgica della Dedicazione, inverno) e spaziali
(Gerusalemme, il tempio, il portico di Salomone) rispecchiano simbolicamente ciò
che viene detto e manifestato da Gesù. Egli è, nel suo corpo, il santuario del tempio
(2,21).
La Dedicazione («le cose-del-rinnovamento») è «la festa che celebra l’anni
versario della purificazione, da parte di Giuda Maccabeo, del tempio che era stato
profanato da Antioco Epifane (IMac 4,36-59; 2Mac 1,1-2,18; 10,1-8). Questa festa,
chiamata Hanukkah (cf. Esd 6,16ss; Dn 3,2), veniva celebrata verso metà dicembre.
Durava otto giorni. Il cerimoniale era modellato su quello della festa delle Capanne
(2Mac 1,9; 10,6); includeva grandi luminarie, da cui il nome di festa delle Luci».34
The Trial Version
33 J. Guillet, Jésus Christ dans l’Évangile de Jean (CahÉv 31) Ceri, Paris 1980, 53.
34 D. M ollat, Fase. BJ 1973, a proposito di Gv 10,22. J. Radermakers precisa: «La hanukkah si
celebra normalmente al solstizio d'inverno (cf. Giuseppe Flavio, Ant. XII, 7,7)».
Questi versetti possono essere unificati grazie alle espressioni ripetute e strut
turanti relative al credere-non credere, fare-non fare le opere (vv. 25-26.37-38), e
grazie al passo centrale, in cui ricompaiono le «opere» e i l verbo «fare», ma con si
gnificati leggermente diversi.
Il v. 29 è stato tradotto nel modo seguente:
«Il Padre mio, ciò che mi ha dato, è più grande di tutte-le-cose».
42 B. Lindars, The Gospel of John (New Century Bible), London 1972, 337-339.
The Trial Version
43 Le reminiscenze del Cantico dei cantici, a partire dalla mirra, dal nardo (Ct 1,12-13; 4,13-14;
5,1.13) e dal profumo (Ct 3,6) sono di aiuto ai fini dell’interpretazione. Il nardo viene menzionato nel-
l’Antico Testamento soltanto in Ct 1,12 e 4,13-14, e nel Nuovo Testamento soltanto nell’episodio del
l’unzione di Betania (Me 14,3; Gv 123)-
44 Magnifiche combinazioni del Cantico e delle s culture della sepoltura in Chaource. «Celui que
mon coeur aime...», Paris 1993.
Il versetto 4, tra il v. 3 che parla del cieco e di Dio, e il v. 5 che parla dell’«io»
di Gesù, introduce una frase in prima persona plurale («noi»). C’è una sola spiega
zione coerente di questo nuovo passaggio dal singolare al plurale, prima del ritorno
alla prima persona si ngolare di colui che sta parlando, Gesù. L’«i o» di Gesù passa al
«noi» della comunità dei discepoli. Ciò che i discepoli dicono al v. 2 non corri
sponde tuttavi a alle disposizioni di Gesù, espresse dalle sue paròle e dai suoi gesti.
Ma questo è precisamente lo scopo che Gesù si prefigge nella sua relazione col
cieco: far passare lui, il cieco, dalla cecità alla capacità di vedere. Tramite questo
cieco e grazie a lui, si tratta anche di far passare i di scepoli da una tenebra molto più
sottile alla luce di Gesù.
In due blocchi di cinque versetti ciascuno (vv. 8-12 e 13-17) vengono presen
tate le reazioni dei vicini e dei farisei. Due sequenze analoghe si delineano in un or
dine diverso. L’insistenza del v. 14 sul sabato esula dalle relazioni fra le due se
quenze. Viene in tal modo messo in risalto ciò che fa problema dalla parte dei fari
sei. Ciò che Gesù fa con il fango, aprendo gli occhi di un cieco in giorno di sabato, è
conforme alla Legge. Al di là dei precetti che trasmettono un’interpretazione rela
tiva, viene colto il senso della Legge. I vv. 13-14 fanno da polo di attrazione e da
perno alle due sequenze adiacenti:
VICINI FARISEI
a) Pareri contrastanti (vv. 8-9ab) a’) Pareri contrastanti (v. li
b) Confessione del cieco: b’) Confessione del cieco:
«Io sono!» (v. 9c) «È profeta!» (v. 17b)
c) Interrogatorio (1) c’) Interrogatorio (1’)
del cieco (v. 10) del cieco (v. 15a)
d) Deposizione (1) d’) Deposizione (1’)
del cieco (v. 11) del cieco (v. 15b)
e) Interrogatorio (2) e) Interrogatorio (2’)
su Gesù (v. 12a) su Gesù (v. 17a)
f) Deposizione (2) f’) Deposizione (2’)
del cieco = confessione del cieco = confessione
d’ignoranza (v. 12b) (v. 17b)
I w.
The Trial 13-14
Version fanno da centro letterario alla sotto-unità: si dimostra che i farisei
sono incapaci di restit uire la vista a uno che «un-tempo (era stato) ci eco». Soltanto
Gesù, in giorno di sabato, con atti (fare del fango) e parole (di Inviato), può «aprire
gli occhi». Il «noi» dei discepoli è scomparso, ma a esso subentra la professione di
fede del cieco guarito che, come prototipo dei credenti, può dire: «Io sono». La sua
1 Tali problemi sono posti con acutezza da alcune correnti etiche contemporanee e dall’enciclica
Veritatis splendor. Questa pagina evangelica è assai illuminante in proposito. Forse non tutto è da ricu
sare nel consequenzialismo: la bontà o la perversità di certi atti è manifestata soltanto dai frutti che pro
ducono.
2 «Credere, quando ciò che è visto è già presente, già visto, pur restando i ncapace di rendere visi
bile ciò di cui si tratta, ossia il Verbo nella sua condizione di Verbo, proprio perché questi è in sé invisi
bile e nessun vedere lo coglierà mai; credere non può che indicare la sostituzione, a un modo di manife
The Trial profondamente
stazione Version inadeguato, di una rivelazione più essenziale e di un altro ordine, ossia del
Verbo stesso, della Vita stessa in quanto si autorivela nel Verbo e nella forma di questo» (M. Henry, Io
sono la verità. Per una filosofia del cristianesimo [Biblioteca di cultura religiosa 16] Bresci a 1997, 109).
Molto, in quest’opera, si muove sulla stessa linea dell’interpretazione che cerchiamo di presentare qui.
Non seguiamo tuttavia questo autore quando adotta un’interpretazione dualistica, troppo rigida, del
Vangelo giovanneo.
I rimanenti spazi testuali sono occupati da altre precisazioni sul modo di collo
carsi nei confronti della «porta»:
v. 9: Se qualcuno entra attraverso me, sarà salvato
ed entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Lo spazio maggiore tuttavia è occupato dalle delucidazioni che riguardano il
«pastore» (v. 15) e correlativamente l e «pecore» (v. 16), per arrivare infine alla sin
tesi verso cui è orientato tutto ciò che precede: «Diverranno un-solo gregge e un-
solo pastore». La giustapposizione degli ultimi due termini manifesta il loro intrin
seco rapporto, secondo la teologia e il simbolismo unitario che si riscontra nel
quarto Vangelo a partire dal prologo. Ci si aspetta dunque di trovare altri comple
menti di informazione, che verranno forniti in particolare nell’ultima sotto-unità
(10,25-39).
Gli ultimi versetti (w. 17-18) abbandonano il registro simbolico precedente
per proseguire con alcune delucidazioni sull’e spressione «porre la propria anima» e
nel senso del simbolismo ancora più dominante, più complessivo: quello del rap
porto Padre-Figlio, anche se il termine Figlio qui non viene utilizzato! Tutto di
scende dunque dall’amore del Padre, chiave di volta dell’edificio simbolico così co
struito. Questa prima sotto-unità letteraria della terza grande fase costituita da Gv
9,1-10,39 presenta un chiaro parallelismo con l’inizio del racconto, cioè con la
prima sotto-unità della prima fase; è am bientata infatti nelle vicinanze del tempio -
The
che Trial Version
è Gesù (2,21) - e nei pressi della piscina (Sìloe-Inviato) che porta il suo nome!
3 Nel greco del NT, e soprattutto in Paolo, parrèsia esprime il «parlare franco» (P. Beauchamp), il
coraggio di annunciare apertamente il mistero della buona notizia (Ef 6,19).
4 La «Legge» (v. 34) va probabilmente intesa in un senso ampio che si avvicina a quello di «Scrit
tura» (v. 35).
Lo stesso lavoro si può compiere per l’esame dei vv. 34-36. Questi approfondi
scono la stessa realtà, ma in funzione della Scrittura e con argomentazioni tratte
da essa.
- la Scrittura
5 Si è potuto parlare di una «magia» del Vangelo giovanneo, a causa del suo stile sinuoso e scon
certante.
1. Il messaggio centrale
Con questo episodio e con le sue implicazioni, arriviamo alla sorgente zampil
lante dell’attività significante di Gesù. L’evangelista definisce un tale agire con il
termine «opere», distinguendolo dai «segni», per suggerire la possibilità che si pro
paghi nelle opere del credente. Da qui infatti Gesù fa risplendere la luce che egli è,
smascherando le false spiegazioni che fanno dell’infermità la conseguenza di un an
tico peccato. Egli compie un gesto che richiama la creazione, servendosi di un fango
che forse sorprende soltanto coloro che non hanno mai verificato la virtù terapeu
tica della terra! Poi prescrive all’altro un fare che lo lava, e il «gener ato cieco» vede.
Ci vede abbastanza da parlare a sua volta. Qui sta la meraviglia: che «vedere» per
metta di «udire» e soprattutto di parlare prendendo posizione, mettendo a rischio
la propria persona al punto di arrivare a dire: «l o sono!». Q uesta è la dinamica del
credere che fa parlare Gesù e fa parlare grazie a Gesù. È una logica di comunione e
di vita: «logica del vivente». Ogni altra parola rischia di essere cavillosa o di trasfor
marsi in un giudizio di condanna che uccide. L’analisi è sufficientemente partico
lare per essere universalizzabile, è abbastanza acuta per poter essere applicata a
ogni situazione di conflitto e di tensione, anche intra-eccelsiale.
In questo episodio centrale del processo a Gerusalemme, si «dice» già molto
del processo e dell’esecuzione di Gesù. Rimane da chiarire ulteriormente, tramite
un’anticipazione della Pasqua, il discorso sulla sua risurrezione. È un buon modo di
considerare il seguito del racconto. La visualizzazione di Gv 9,1-10,39 dovrebbe
aiutarci a ripercorrere questo insieme per entrare nel racconto di Lazzaro.
8 VICINI
9 Pareri contrastanti a
Confessione del cieco guarito: «Io sono!» b
10 Interrogatorio (1) sul cieco guarito c
11 Deposizione del cieco guarito d a
12 Interrogatorio (2) su Gesù e
Deposizione del cieco guarito: f
confessione d’ignoranza («Non so») B
13 FARISEI
14 Insistenza sul sabato
Interrogatorio
15Trial
The Version (1’) sul cieco guarito c’
Deposizione del cieco guarito d’
16 Pareri contrastanti («Fare i segni»): scisma a’ a
17a Interrogatorio (2’) su Gesù e’
17b Confessione del cieco guarito: «È profeta!» b’(f’)
444 CHI È IL CRISTO CHE VIENE ALLA SUA ORA?
3. Reazione dei genitori (9,18-23)
35 Gesù-Cieco guarito a
Interrogatorio da parte di Gesù
36 Cieco guarito b
Domanda
37 Gesù-Cieco guarito c
a Parola di rivelazione
38 b Confessione di fede
Adorazione del cieco guarito
39 a’ Sentenza sapienziale di discernimento
The Trial Version
40 Farisei b’
Domanda
41 Gesù-Farisei a’
Verdetto pronunciato da Gesù
10,1 Ladro-brigante
2 Pastore-pecore
3 Portiere-pecore A’
4 (Pastore)-pecore che sanno la voce
5 Straniero-pecore che non sanno la voce degli stranieri
6 Enigma di Gesù-non comprensione degli ascoltatori
2. Interpretazione
Gli ultimi versetti del c. 10 possono dare adito a dubbi. Si collocano in una po
sizione particolare. Apparentemente difficili da inglobare nel racconto che segue,
gli forniscono un’introduzione che lo inquadra. La cosa stupisce meno se si tiene
presente che i versetti che chiudono l ’insieme (12,9-11) presentano una configura
7 Nell’opera collettiva citata sopra (Genèse etstructure, 116), Marchadour discute la proposta di
C. Rau senza aderire a essa, ne prende in considerazione diverse altre, fra cui quella di C. Sélis, e preferi
The Trialprendere
sce non Versionposizione: «L’episodio di Lazzaro fa parte di un progetto narrativo più ampio. Nell’in
sieme del libro elaborato dall’autore occupa una posizione di cerniera, al punto che è difficile sottrarlo
alla prima parte, ma è altrettanto ingiusto privarne la seconda» (p. 110).
8 Su questo studio e sulle questioni che pone dal punto di vista della suddivisione e dell'interpre
tazione, ci siamo pronunciati in una recensione: NRT 111(1989), 951-952.
’ J. Guillet, Habiter les Écritures. Entretiens avec Ch. Ehlinger, Paris 1993, 265-266.
In questo caso, si tratta del tempio come luogo di Dio. Ancora nell’ebraico
rabbinico e liturgico contemporaneo, «il Luogo», hamaqom, è una perifrasi usata
per evitare di pronunciare il tetragramma.
Il medesimo termine indica poi la zona della piscina Probatica, nei pressi del
tempio, dove è avvenuta la guarigione dell’infermo (5,13). Ritorna infine in 6,10.23,
per evocare la località in cui si svolge l’episodio dei pani. «L’evangelista vuol met
tere in luce anc ora una volta, all e soglie dalla pa ssione, la concordanza fra la mis
sione di Gesù e la testimonianza di Giovanni , nonché la superiorità di Gesù su Gio
vanni, manifestata dai “segni” (v. 41)». 11 A ciò si può aggiungere una precisazione
supplementare. Il luogo di Giovanni diventa il luogo di Gesù. «Rimanendo» nella
Betania di Giovanni, Gesù investe della sua presenza la «sua» Betania:12 il villaggio
di Lazzaro, Maria e Marta (11,1).
Questo genere di precisazioni alimenta l’incertezza sulla suddivisione e sulla
collocazione di questi versetti nella struttura del Vangelo. Alcuni li considerano
una conclusione che rimanda alla prima testimonianza di Giovanni, favorendo in
tal modo la centralità di Gv 11.13 La nostra opzione consiste nel leggerli piuttosto
come un nuovo punto di partenza. L’estrema discrezione nell’uso del termine «se
gno» per parlare del cieco nato era degna di nota. La comparsa del termine a questo
punto (v. 41), nel quadro di una contrapposizione con Giovanni, annuncia la por
tata emblematica di ciò che segue.
Il v. 42: «E molti, là, credettero in lui», è significativo. Più ancora che a Geru
salemme, si crede in Gesù «nel luogo» di Giovanni, in Perea (cioè più a nord, fuori
tesi con la sepoltura di Gesù, apre la prospettiva della sua risurrezione» (pp. 2079-2080). È questo il
senso della scelta di inquadrare il racconto di Lazzaro con quello dell’unzione che era già stata evocata
nel capitolo precedente.
18 E anche di l eu (2Re 9,3) e del pr ofeta di Is 61,1; la traduzione dei LXX di Is 25,6: chrisontai
myron, non lascia a sua volta facilmente pensare che questo testo possa servire qui a evocare l’idea pro
fetica di un banchetto che celebra l’eliminazione della morte, una gioiosa festa del vino in cui Dio asciu
gherebbe le lacrime da ogni volto e in cui il popolo sarebbe unto con olio (Sabbe, «The Anointing of Je
sus», 2058-2059).
19 L’autore citato contesta N. Calduch B enages, «La fragrancia del perfume en Jn 123», in Est-
Bib 48(1990), 243-265, che fa riferimento a 2Cor 2,14-16; Ct 1,12 (a nostro avviso incontestabile), al pro
fumo dell’albero del paradiso secondo lEnoc 24,4-25,6; 32,1-4 (il profumo del paradiso - l’immortalità -
legato al Messia), al profumo della Legge in alcuni testi rabbinici. Critiche analoghe vengono espresse
nei confronti di Michèle Morgen, «Les femmes dans l’évangile de Jean», in Revue de droit canonique
40(1990), 77-96, con speciale riferimento a quanto affermato dall’autrice a p. 85; «Al livello antico della
The Trial Version
tradizione, la m enzione del profumo nel raccont o di B etania (...) traduce l’affetto della donna per Ges ù,
da lei riconosciuto come il Messia. Questo tipo di interpretazione si trova nel Targum del Cantico dei
Cantici: “Il profumo delle opere dei giusti serve a profumare il Messia che viene, alla fine dell’esilio”».
Sabbe contesta anche la prospettiva simbolica di Boismard e Loisy.
20 Non se ne parlerà più fino a 12,16.23.28 (bis).
21 Ora Maria è la sorella di Marta, mentre in 11,1 Marta era la sorella di Maria!
I vv. 7-10, costruiti sulle parole di Gesù ai discepoli, dei di scepoli a Gesù, e poi
di nuovo di Gesù ai discepoli, forniscono lo sfondo nella vita stessa di Gesù di ciò
che sta per essere ordito nell’episodio di Lazzaro. Agdmen ritornerà sulle labbra di
Tommaso in 11,16, ma soprattutto su quelle di Gesù nella conclusione della prima
parte del discorso dell’ultima cena: Egeiresthe, agómen enteuthen-«Mettetevi-a-
rialzarvi: andiamo via (= conduciamo) da-qui» (14,31). Dodd riconosceva nel ter
mine una sfumatura di «agonia», di lotta, che non è da escludere. Nel viaggio da Be
fania a Betania, si scorge in filigrana il viaggio dal nord al sud, dalla Galilea-Perea,
dove Gesù è stato accolto, a Gerusalemme in Giudea. Qui egli morirà, il suo pro
cesso è già avviato: l’allusione al tentativo di lapidazione lo ricorda. Questo per
quanto riguarda la coordinata spaziale. La dimensione temporale è di nuovo chia
mata in causa tramite l’accenno all’alternanza del giorno e della notte e al numero
delle ore del giorno. La stessa contrapposizione, meno precisa, era presente in 9,4.
Gesù, definito in 8,12 come «luce del mondo», «vede» venire la notte come una per
sona che non avesse in sé la luce. Tutto ciò dà luogo a un effetto di condensazione
degli episodi precedenti, conferendo alla sequenza un carattere sintetico.
Nessuna ambiguità deve più aleggiare sullo stato in cui ormai si trova Lazzaro,
dopo la prima constatazione di Gesù, la reazione dei discepoli, la precisazione del
narratore e un nuovo intervento di Gesù. La morte non va confusa con il sonno,
come lascerebbero supporre certe espressioni di Gesù: «Lazzaro, il nostro amico,
si-trova-addormentato, ma vado affinché lo svegli». La metafora non può ingan
nare. La morte non è dell’ordine di un sonno più o meno profondo. Bisogna tenere
presente la differenza per evitare malintesi.
I w. 12-13 affinano ulteriormente la terminologia. I discepoli alimentano l’e
quivoco utilizzando la coppia: sonno/salvezza, che ne lascia supporre un’altra:
morte/perdizione. Se si tratta soltanto di un sonno (o «dormizione»), c’è ancora
possibilità di salvezza. Ma ciò significa collocare realtà diverse sullo stesso piano.
Un fenomeno fisico, psichico, umano è caratterizzato da un assopimento che sarà
seguito da un altro fenomeno del medesimo ordine, cioè il risveglio, il ritorno allo
stato di veglia. Anche la salvezza è umana, nella misura in cui è destinata a operare
sull'uomo. Ma non viene dall’uomo, non viene dal funzionamento delle sue facoltà,
del suo cervello o del suo corpo. La salvezza è spirituale; è realizzata da Dio, che
solo può far passare dal suo contrario negativo (il peccato, realtà morale, spirituale)
a ciò che fa uscire e libera da esso, cioè per l’appunto la salvezza. Bisogna dunque
ristabilire il giusto rapporto, ma differenziato:
ANTROPOLOGIA
The Trial Version TEOLOGIA
sonno/veglia peccato/perdono
addormentamento/risveglio perdizione/salvezza
morte fisica/vita fisica morte spirituale/vita spirituale
dannazione/risurrezione
Si noti l’analogia del vocabolario del sonno e del risveglio, c onfrontando que
sto passo con i versetti giovannei, che presentano una gamma più diversificata di
termini:
Dn katheudò Gv koimaó/koimèsis apothnéskó
anistèmi exypnizó anistèmi/anastasis
egeiro
Parlando della morte, il redattore (v. 13) e poi Gesù (v. 14) presuppongono
che ci sia chiarezza su tre punti: 1. la morte fisica non è il sonno; 2. la morte fisica
presenta un legame intrinseco con la morte spirituale del peccato; 3. la salvezza non
può derivare che da una risurrezione che segna la vittoria definitiva di Dio sulle
opere di morte compiute dall’uomo.
Tenuto conto dei versetti che aprono l’episodio precedente del cieco nato,
dobbiamo riconoscere che il Vangelo giovanneo mette in discussione il punto 2.
Non è vero che la sofferenza e la malattia siano spiegate unicamente dal peccato.
Non è dunque così evidente nemmeno il fatto che la morte debba essere messa in
rapporto intrinseco con il peccato. La frase de l v. 4 non era ancora del tutto chiara
in proposito, ma forniva già alcuni complementi di informazione:
«Questa malattia non è per una morte,
ma per la gloria di Dio,
affinché il Figlio di Dio sia glorificato
attraverso di essa».
C’è mort e e morte! C’è la morte spirituale lega ta al peccato. C’è la morte fi
sica che può essere tanto più al servizio della gloria di Dio e della glorificazione del
Figlio di Dio quanto più è s vincolata dal peccato, dalla paura e dalla ribellione, con
seguenze e manifestazioni del peccato. La morte del Figlio stesso si colloca su que
sto piano. La morte di Lazzaro sembra già orientata in questo senso. Ma nessuno sa
quali siano le disposizioni di Lazzaro. È uno degli enigmi del testo. Egli è continua-
mente chiamato in causa. Tutti parlano di Lazzaro, ma Lazzaro non dice assoluta-
mente nulla, né prima, né durante, né dopo l’evento che lo riguarda in prima per
sona. Vengono fornite invece molte informazioni sugli atteggiamenti e sui compor
tamenti di chi assiste alla scena, tutti per lo meno venati d’incredulità, l’unico pec
cato secondo Giovanni. Su questo punto il testo si concentra in modo particolare. Si
22
The Trial «Il dimostrativo “questi” indica sia gli scampati alla grande invasione, sia i risorti; il dimostra
Version
tivo “quelli” indica sia le vittime della grande invasione, sia coloro che non risorgeranno, ma resteranno
nella morte. Sebbene Daniele non lo dica esplicitamente, soltanto i giusti si risveglieranno dal sonno
della morte. Il nuovo popolo di Di o sarà cos tituito dagli scampati alla gr ande invasione e da coloro che
risorgeranno; gli altri saranno votati alla “vergogna eterna”» (M.-E. B oismard, Faut-il encore parler de
«résurrectìon»? (Théologies), Paris 1995, 30).
23 II nocciolo della questione ci sembra essere costituito da questo punto più che dalle concezioni
della risurrezione secondo M.-E. Boi smard: greca (immortalità) o giudaica (vita definitiva del corpo in
dissociabile dall’anima).
24 Ciò non vuol dire che sotto questo aspetto lo si debba mettere sullo stesso piano o gli si debba
The Trial Version
attribuire la stessa funzione del discepolo amato da Gesù. Non si può che condividere ciò che H. Thyen
invita a sviluppare in termini di rispetto di un gioco contrastato di figure attraverso questi personaggi.
Ciò non toglie che si debba anche chiarire fino in fondo ciò che tali figure rappresentano, senza cedere al
fascino del referente storico, ma anche senza restare nel vago e nell’indeterminato.
25 Per le diverse interpretazioni di questi versetti, che sono una rilettura sapienziale di Gen 1-3,
zioni sul fenomeno della sopravvivenza (Arcobaleno), Milano 1977. «Può stupire (...) che i moderni non
abbiano considerato la sua esperienza come una delle prime NDE, abbreviazione che indica le persone
che hanno fatto un’esperienza di pre-morte (Near Death Experience. “esperienza di prossimità alla
morte”)» (Marchadour, Lazare, 23).
27 Nell’estate del 1993, ad esempio, si è visto in televisione un uomo uscito da un coma traumatico
dopo sei anni, grazie all’amore assiduo e quotidiano della moglie e dei figli.
Tutto è dunque predisposto per c ondurre alla comprensione di ciò che sta per
essere narrato. Se presterà attenzione alle informazioni disseminate copiosamente
nel testo, il lettore sarà guidato dalla buona porta e dal buon Pastore - non dimenti
chiamo il racconto e i discorsi precedenti - al centro del messaggio. La mediazione
del testo è indispensabile per lasciare che si purifichino le proiezioni e le rappresen
tazioni. Soprattutto in materia di malattia, di morte e di risurrezione, la carica affet
tiva, emozionale, è forte. Rischia di scavalcare il testo evangelico e di distogliere
l’attenzione dal suo aspetto di rivelazione di una novità tanto più nascosta in
quanto già nota. In questo, nella sua struttura, il testo si colloca nell’alveo della tra
dizione sapienziale e apocalittica. Ma la sua funzione curativa è condivisa da tutta la
sacra Scrittura, se non da ogni scritto veramente umano: «anima per l’anima».
In altri termini e con parole velate: «Perché sei rimasto là (10,40.42) tanto a
lungo? Il tuo posto era qui, dove avresti risparmiato solitudine, lacrime e il dramma
della morte». La ragione di questa fiducia di fondo è la consapevolezza di una rela
zione privilegiata del «Signore» con Dio:
«Ma adesso so
che quanto eventualmente-domanderai a Dio,
te (lo) darà, Dio».
29 Os 6,2; ICor 15,4; Le 24,46. Schnackenburg, Giovanni, 11.546, nota 2, cita in questo senso
The Trial
Str-B, Version
II, 544 s.
3(1Fase. BJ 1973, nota e) a 11,17.
31 È uno dei modi preferiti dal quarto Vangelo per parlare di Gesù risorto: «Venne Gesù»: Gv
20,19.24; «Viene Gesù»: 20,26.
32 In casa, seduta per terra in segno dì lutto (Ez 8,14), come si usa ancora oggi nelle famiglie giu
daiche.
eterno. Signore che risusciti i morti, che sei grande nel concedere salvezza... fai risorgere i morti con
The Trial
grande Version
misericordia... Chi ti assomiglia, o re, che fai morire e risorgere... Tu sei fedele nel far risorgere i
morti. Benedetto tu, Signore che risusciti i morti» (Di Sante, La preghiera, 21; cf. 92.94-95). «Immortalità
individuale o risurrezione non è un luogo topico fondamentale della nostra letteratura, ma è probabile
che la maggior parte degli ebrei attendessero la morte come se non fosse una fine, anche se era possibile
che concepissero il futuro in maniera abbastanza vaga» (E.P. S anders, Judaism. Practice and Belief 63
BCE-66 CE, London-Philadelphia 1992, 298).
Per introdurre nella propria vita, Gesù deve dunque eliminare nel credente la
barriera invalicabile della morte; con la propria morte-risurrezione, egli diventa
vita del credente. In altri termini, l’abisso della morte non viene superato che dall’i-
nabitazione del Cristo nel credente; in ciò consiste il «credere in lui».
È questo il senso della seconda proposizione principale e della sua subordi
nata concessiva.35 Alla totalizzazione fa seguito l’universalizzazione. Esaminiamo
dettagliatamente questi fatti:
1) «Ognuno che-vive», «Chiunque vive», «Qualunque persona che vive di questa
vita del credere»; la coordinazione: «E che-crede in me» ha infatti tale signifi
cato;
2) questa prima totalizzazione sfocia in una negazione assoluta quanto la prima
affermazione positiva, da cui del resto deriva: «Sicuramente non morirà per
sempre».
Formulato sotto forma di domanda, l’invito a credere «questo», riferito in de
finitiva a tutto il movimento e alla circolarità che è stata evocata tra il Cristo e il cre
dente, esprime chiaramente la finalità di tutto il processo della rivelazione e della
risurrezione.
La frase culmina nei due participi che articolano le prime due proposizioni e
che si completano, dando luogo a un leggero chiasmo:
Ciò che viene detto dell’«Io» che parla e del credente conduce a una comu
nione nella vita al di là della morte:
36 J. Guillet coglie l'essenziale e lo esprime in poche parole: «Quello che c’è di unico, è il fat to che
il Cristo fa risorgere qui ed ora. Ci si trova di fronte a un evento che non rientra nel quadro della risurre
zione così come la si attendeva, la risurrezione generale con la trasformazione di ogni cosa, la fine del
mondo, insomma. Gesù fa risorgere, e non è la fine del mondo. Questo è assolutamente unico. E la gente
The
non Trial
ne sa Version
nulla e non può vederlo» (G uillet, Habiter les Écritures, 266). Ciò che vale per il «momento»
della risurrezione, così come viene narrata dalle tradizioni del Nuovo Testamento, vale già prima della
Pasqua di Gesù: questo è quanto viene suggerito da Gv 11.
37 Si pensi alla professione di fede della Samaritana o a quella del cieco nato.
38 Mollat, Fase BJ 1973, nota i) a Gv 11,27. Cf 20,31.
39 J.B. Swetnam, «The Meaning of pepisteukótas in John 8,31», in Bib 61(1980), 106-109.
40 J. Calloud - F. G enuyt, L’Évangile de Jean, Centre Thomas-More, C adir, 1987, 104: Marta
«in un certo senso ci cr ede troppo, per ché si l imita a considerare la morte di Lazzaro dal punto di vista
del profitto o della perdita. La morte non è percepita in tutta la sua portata, e di conseguenza non è con
sapevolmente accettata». «All’esagerazione della fede (che nega la morte) si contrapporrebbe l’eccesso
del lutto di Maria (che non è illuminato dalla fede). Questa interessante osservazione trascura il fatto
che al punto di partenza dell’itinerario di Marta c’era il lutto» (Marchadour, Lazare, 121, nota 16).
11 Come Teodoro di Mopsuestia: «Ma ciò diceva pur non avendo ancora una conoscenza per
fetta. Infatti “unti” e “profeti di Dio” sono detti nella Legge gli eletti e i virtuosi. Poiché invero come
uomo più grande di tutti era atteso da loro il Messia, giustamente [Marta] ha detto questo. Che però lo
abbia de tto non con scienza perfetta lo apprendi amo nel la presente circostanza, come abbiamo imparato
dal libro; ciò è chiaro dal fatto che neppure gli apostoli prima della sua [scil. di Cristo] risurrezione lo co
noscevano in maniera appropriata, quantunque anche dopo la sua risurrezione molti dubitassero nei
loro pensieri se davvero era risuscitato, come abbiamo appreso dalla stessa Scrittura» (Commentario al
vangelo di Giovanni [Cultura cristiana antica. Testi], Roma 1991, 196). Cf. M archadour, Lazare, 201,
che cita J.M. V osté, Theodori Mopsuestensi commentarius in Evangelium Johannis (CSCO 115 e 116),
Paris-Louvain 1940, 161.
The Trial42 Version
Non intendiamo parlare di due tempi di lettura, prima e dopo la Pasqua, nel senso in cui ne parla
X. Léon-Dufour. 11 medesimo testo va sempre letto a più livelli: secondo la logica del racconto, ut verbo ja-
cent, ma anche e progressivamente secondo il suo contenuto immediato e più ampio di tutto il Vangelo e del
corpus biblico, in base ai principi di una lettura di tipo «canonico» come quella proposta qui.
43 Contro R. Bultmann, che si pronuncia a favore della terza, e contro V. Pasquetto, secondo cui
la principale e la più importante è la prima.
44 J.F. T oribio C uadrado, Et Viniente, Zaragoza 1993, 315-316, che nel finale cita de la Potte-
rie, Vèr ite, I, 167-168, e F.J. M oloney, «The Johanìne Son of God», in Sales 38(1978), 71-86; quest’ul
timo accentua fortemente l’origine divina e la costante unione d’amore del Figlio con il Padre (p. 80).
«Orizzontalità» e «verticalità» non sembrano i termini più adatti per esprimere la complementarità di
questi titoli. Si tratta piuttosto del rapporto delle diverse tradizioni di Israele fra loro. L’unione del Figlio
con il Padre de ve pur trovare delle mediazioni, non fosse che di linguaggio, per esprimersi: que ste m e
diazioni sono bibliche.
45 J. M oingt, L’homme qui venaitde Dieu (CogF 176), Paris 1993, nella seconda parte del vol ume
(«Le Christ dans l’histoire des hommes») mette bene in luce il movimento della cristologia neotestamen
taria che va dal Risorto all’incarnato. I l capit olo X : «E t le V erbe s’est fait chair», è l’ultimo dell’opera.
Bisogna comunque riconoscere che la scelta di cominciare, sincronicamente, con l’incarnazione, o me
glio con l’effetto dell’incarnazione nei credenti, ha il suo significato. È opportuno valorizzare anche il
The Trial Version
movimento della cristologia e dell’ecclesiologia giovannea.
46 «La risurrezione non ha cambiato ciò che Gesù è» (Guillet, Habiter les Écritures, 267).
47 Ivi, 243.
48 Lathrai, da Zanthanó-«dimenticare», da cui viene il sostantivo Zéthé-«oblio». Hapax giovanneo,
che rientra fra gli indizi di un movimento che caratterizza Gesù a partire da Gv 7: «in segréto - in pub
blico». Né Marta né Gesù hanno dimenticato Maria!
* Dal punto di vista del processo di divisione tra fede e incredulità, nonché della motivazione del
progetto di uccidere Gesù, questa scena ha nei Sinottici l o stesso ruolo dell’episodio di Lazzaro nel Van
gelo di Giovanni (Sabbe, «The Anointing», 2079).
50 Ciò contribuisce a mantenere il ritmo narrativo accelerato che si riscontra dall’inizio del Van
The
gelo Trial Version
a proposito dei giorni e dell’ora, deU’approssimarsi delle feste, del «momento» (7,6); cf. Ap 22,20;
Dn 4,29.31.33; 7,25; 8,14; 9,24.27; 11,24.35; 12,6-9.
51 Questi particolari stilistici non vengono messi in risalto in: Schnackenburg, Giovanni, II, 554;
A.-L. D escamps, «Une lecture historico-critique», in Genèse et strutture, 57, dove si parla di questi ver
setti, né negli altri contributi di questa raccolta interdisciplinare; Kremer, J-azarus, 71-72; Marchadour.
Lazare, né ai fini della traduzione (pp. 29-30), né ai fini del commento (p. 87).
Soltanto dopo tutti questi primi movimenti intorno a Marta e a Maria, «Maria
venne dove era Gesù». Lo raggiunse «dove era». È probabile che questi accenni
spaziali non siano puramente geografici. Maria lo raggiunse là dove era, in quanto
«risurrezione e vita». La precisazione supplementare: «Avendolo visto», con horad,
il verbo della visione di fede, non può essere aneddotica, soprattutto perché è se
guita dal gesto: «Cadde ai suoi piedi». Il verbo non è quello della prostrazione,
come per la Samaritana e per il cieco nato. Nel verbo utilizzato qui si può vedere un
contatto fra Giovanni e Luca, che ricorre all’espressione: «sedersi ai piedi di Gesù»
per definire l’atteggiamento del discepolo, nel caso dell’indemoniato di G èrasa (Le
8,35) e in quello di Maria (Le 10,39). «Il gesto di Maria che cade ai piedi di Gesù è
un’espressione della sua sottomissione (cf. Me 5,33; Le 8,41; 17,16; ecc.) e nello
stesso tempo è una richiesta di aiuto nella sua situazione senza via d’uscita».53 Ma
non si può trascurare il cammino precedente.
La disposizione di Maria è probabilmente identica a quella di Marta in 11,21.
Ma le sue parole si limitano alla prima frase: «Signore, se fossi stato qui, non sa
rebbe morto, mio fratello!». L’unica variante rispetto alle parole di Marta è il ri
lievo dato al pronome possessivo (mou), che in greco è collocato prima del verbo.
Maria si accontenta di questa frase, e ciò è significativo. Vuol dire che per il seguito
si rimette totalmente al «Signore». La reazione di Gesù risulta ugualmente molto
diversa. Nessuna parola come risposta, ma uno sguardo: «La vide piange nte, e pian
genti i giudei che erano venuti con lei». Il verbo klaiò può evocare la lamentazione54
e le lamentazioni rituali delle prefiche.55 Ma è probabile che esprima più semplice-
mente la tristezza del lutto e della compassione. I verbi applicati a Gesù, invece,
sono forti, ed è interessante prenderli in considerazione: «Fremette nello Spirito e
si turbò». Questo turbamento è raro nel quarto Vangelo. Ritornerà soltanto nella
scena che equivale a quella dell'agonia: «Adesso la mia anima è-stata-turbata»
(12.27) , e al momento dell’annuncio del tradimento di Giuda: «Avendo detto que-
ste-cose, Gesù fu turbato nello Spirito» (13,21). Dopo aver preso su di sé questo
turbamento, Gesù può risparmiarlo ai discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore»
(14.1.27) .56
52 Maria di Màgdala non è a questo punto, il mattino di Pasqua. Piange persino in presenza del
gete su di me!».
55 Me 5,38.
56 Sono le uniche altre occorrenze significati ve. Quelle che si trovano in 5,4.7 riguardano l'acqua
Con un segno a carattere profetico, Gesù esercita la sua autorità anche sulle
forze della decomposizione. Fino a questo punto di mostra di essere la risurrezione.
Annuncia così nel suo amico ciò che risplenderà con incomparabile fulgore attra
verso l’incorruttibilità del suo corpo.60
La conclusione del testo giovanneo è ancora lontana. Ma il suo significato è
già chiaro. Gesù è la risurrezione e la vita. È una scoperta per la fede: soprattutto
per Marta e Maria, le credenti. Prima ancora che si verifichi il ritorno in vita di Laz
zaro, l’interpretazione ha messo in luce tutto il contenuto di cui il racconto è porta
tore. Come concludere meglio, se non continuando a seguire passo per passo la nar
razione?
The Trial
SaiVersion
123,1 (canto delle ascensioni) esprime la fiducia nella supplica:
Il gesto dice il rapporto di Gesù con Dio. La prima e l’ultima frase, invertendo
l’ordine del rapporto, esprimono il rapporto del Figlio col Padre e poi quello del
Padre col Figlio. Questo passaggio si realizza tramite la seconda frase, che mette al
primo posto l’ascolto del Padre.3 La frase centrale sulla «conoscenza del Figlio» è
poi ordinata al «credere» della folla, come verrà ripetuto nella preghiera del Figlio
in Gv 17.4
Il grido di Gesù al v. 43 richiama quello di Giovanni in 1,15. L’espressione
completiva: «A gran voce», lo segnala. La stessa espressione è usata in Mt 27,46 e in
Me 15,34 per introdurre l’ultimo grido di Gesù in croce (citazione di Sai 22,2), e per
sottolineare l’istante della morte di Gesù.5 Sulla base di questo parallelismo, pos
siamo pensare che venga suggerita una lotta decisiva.
Nell'Antico Testamento, l’unico testo che utilizza lo stesso verbo e lo stesso
complemento che troviamo in Gv ll,43a è Esd 3,13, a proposito del popolo che alle
grida di gioia per la ripresa del culto frammischia le lamentazioni sull'antico tempio
2 Lo stesso verbo è usato in Gv 6,11. Il rapporto tra eucaristia e risurrezione è una caratteristica
del discorso sul pane della vita (6,39) e della teologia giovannea in generale.
3 Quandocumque Pater implet voluntatem suam, implet voluntatem Filii: «Ogni qualvolta il Padre
The Trial Version
adempie la sua volontà, adempie la volontà del Figlio» (Tommaso d’Aquino, Super Evangelium S. Ioan-
nis Lettura, n. 1553 [Commento al Vangelo di san Giovanni. 2:VII-XII (Fonti cristiane per il terzo mille-
nio 5/2), Roma 1992, 276], citato da Schnackenburg, Giovanni, II, 563, nota 2.
4 Soprattutto Gv 17,21.23; si vedano anche i vv. 3.18.25.
5 Questa espressione caratterizza lo spirito impuro in Me 1,26, nonché l’indemoniato geraseno in
Me 5,7.
6 L’espressione è usata nello stesso senso in Gdt 7,23.29 (l amentazione del popolo); 9,1 (lamenta
zione di Giuditta in preghiera); 14,9 (grido di giubilo).16 (grido d’orrore alla scoperta del cadavere di
Oloferne).
7 Si veda in proposito la nota della BJ a Nm 10,5; questa nota rimanda a diversi passi dei libri sto
rici e dei profeti, nonché a Sai 33,3 (si veda anche la relativa nota della BJ, ricca di citazioni). La tradu
The
zioneTrial Version
scelta è: «acclamazione». Si tratta di un urrà d’azione (ripetuto), con «un senso cultuale e litur
gico», che «esalta JHWH, re di Israele e dei pagani. (...) È gridato nei gi orni di festa, nei sacrifici di rin
graziamento e nelle liturgie processionali» (nota BJ a Sai 33,3).
8 Cf. Ap 10,3; 12,10. La voce dell’Agnello stesso è «come un fragore di grandi acque e come un
rimbombo di forte tuono» (14,2).
9 Mt 19,21; Me 10,21; Le 18,22.
Questi termini devono essere introdotti in una più ampia rete di significanti. Il
primo verbo rispecchia una precisa scelta semantica. «Uscire»-exerc/ioznaZ, in Gio
vanni, è un termine dalle molte accezioni. All’inizio del racconto non sembra indi
care che uno spostamento geografico: «Gesù volle uscire verso la Galilea» (1,43;
4,30.43; 8,9). Ma in 8,42 assume un valore teologico: «Io sono uscito da Dio». In
8,59: «Uscì dal tempio», torna ad avere un senso più banale, anche se ormai carico
del significato precedente. In seguito il verbo esprimerà, ad esempio, l’uscita di
Giuda (13,30-31), l’uscita di Gesù (18,1.4) e l’andirivieni dentro e fuori il pretorio
come movimento progressivo dell’«uscita» di Gesù dal mondo per ritrovare il Pa
dre da cui era «uscito» (16,27-28.30). In poche parole, nell’espressione: «Il morto
uscì», tenuto conto soprattutto del soggetto, il verbo rimanda a qualcosa di diverso
da uno spostamento spaziale. Lazzaro esce da una condizione di morte; esce da una
situazione che non aveva altro sbocco che la morte; esce da un pericolo mortale,
con tutto ciò di cui la morte è portatrice.
I particolari sono forniti in funzione di ciò che si dirà della morte e della risur
rezione del Cristo in Gv 19 e 20.
Nessuno
The Trial Version ha visto Gesù «uscire dal sepolcro»; non si dice mai che Gesù «è
uscito» dal luogo in cui Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo l’avevano deposto; non
10 In 6,37; 9,34-35.
" Si veda E. Delebecque, «Dans le tombeau vide (Jean 20,7-8)», in Bulletin de l'Association
Guillaume Budé (1979), 171-174; A.-M. Dubarle, «Le linceul de Turin dans les publications récentes»,
in EsprVie (1986), 59-64; R. Robert, «Controverse sur les linges du tombeau vide (Jean 20,3-10)», in
Bulletin de l’Association Guillaume Budé (1984), 40-50. Un altro modo di visualizzare lo scenario è il se
guente: «Il soudarion, “sudarium”, è un fazzoletto o un asciugamano abbastanza grande, destinato nor
The Trial Version
malmente ad asciugare il sudore. Posto sul volto di Gesù, questo asciugamano può aver avuto la fun
zione di bendare il mento, come quello che avvolgeva il volto di Lazzaro in 11,44. (...) La fine della frase
è difficile da tradurre in maniera certa. (...) I due apostoli non constatano il minimo disordine. L’asciuga
mano non è stat o portato via, ma è stato tolto dal viso; si trova arrotolato - e forse arrotolat o con cura -
a una certa distanza dalle bende, che sono appoggiate per terra» (E. Delebecque, Evangile de Jean [Ca-
hiers de la Revue Biblique 23], Gabalda, Paris 1987, 209).
morto che si fa avanti è ancora legato, il penitente è ancora colpevole. Ma viene detto ai ministri, per
scioglierlo dai suoi peccati: “Scioglietelo e lasciatelo andare”, vale a dire: colui che avrete legato sulla
terra lo sarà nel cielo».
13 Stessa interpretazione (T ommaso d’Aquino, Expositìon suivie, 85) in Alcuino: «Il Cristo fa ri
sorgere, perché è lui a vivificare dall’interno; a sciogliere sono invece i discepoli, perché coloro che sono
vivificati vengono assolti tramite il ministero dei sacerdoti».
14 Odelain - Séguineau, Dictionnaire des noms, 229-230. A proposito della parabola di Le
The Trial Version
16,19-31, gli autori osservano: «È l’unico personaggio di una parabola - in questo caso il povero - a cui
viene dato un nome; il motivo sta forse nel significato del nome stesso». La medesima osservazione si
può fare a proposito dell’insistenza sul nome di Lazzaro in Gv 11. Ricordiamo che Marta, in ar amaico,
significa: «Padrona» (246) e Maria: «Veggente o Signora» (244). «Maria (me’ir ah) significa “colei che fa
vedere”, da cui: luce (stella del mare: me’ir yam)» (J. Radermakers).
15 «Dire che una cosa è compiuta, significa dire che nulla è perduto» (Guillet, Habiter leu Écritu-
res, 252).
Brown, Giovanni, 570.
17 Unica occorrenza del termine in Gv, e con questo significato anche nel NT (S chnackenburg,
Giovanni, II, 591, nota 4).
18 Brown, Giovanni, 570.
19 L’espressione è tradotta con «il nostro santo luogo» da Brown, Giovanni, 571; questo autore
rimanda giustamente a Dt 12,5 e a tutta la tematica deuteronomica del «luogo scelto da Dio per stabilirvi
e farvi abitare il suo nome». 2Mac 5,19 è interessante non solo perché associa luogo e nazione (Brown,
Giovanni, 571), ma perché stabilisce un ordine di priorità già nell’Antico Testamento: «Il Signore aveva
eletto non già il popolo a causa di quel luogo, ma quel luogo a causa del popolo» (Cf. Ger 7,14 e Me 2,27,
a cui rimanda la nota della BJ 1973 a 2Mac 5,19).
20 Sanders, Gesù e il giudaismo, 371.401.
21 Bisogna comprendere la precisazione sulla carica di Caifa: «sommo sacerdote in quell’anno»;
Caifa ricoperse la carica di sommo sacerdote per diciannove anni. D’altra parte, «una tradizione giu
daica asseriva che il dono della profezia non era mai cessato realmente, ma veni va accordato a qualche
Sommo Sacerdote, come a Giovanni Ircano (135-104 a.C.), secondo Giuseppe F.[lavio] {Bell. 1,68; Ani.
XIII,282s.299)» (Léon-Dufour, Lettura, II, 541, note 85 e 86). L’argomento ritorna in Gv 18,13-14.19.24.
«Caifa è colui che ha profetizzato la morte di Gesù, m a non è colui che conduce l’azione contro di lui .
Giovanni suggerisce che è (storicamente) Anna a tenere in mano la situazione. Si passa in primo luogo
da lui, ed è lui a decidere come proseguire. Questo possibile ruolo di Anna corrisponderebbe a ciò che la
storia sa di questo importante personaggio, a cui la destituzione non ha tolto ogni influenza. Caifa, suo
The TrialèVersion
genero, subordinato a lui in questa faccenda che riveste tanta importanza per le alte sfere giudaiche»
(C. F orster, «Théologie et histoire dans le récit johannique de la Passion à partir de deux exemples: ar-
restation, comparution devant le Grand Prètre et comparution devant Pilate», in Origine et posterità de
l'évangile de Jean, par A. Marchadour [LD 143], Paris 1990, 244-245).
22 Ger 31,10; si vedano i w. 8-11 e il contesto del c. 31, un testo emblematico della «nuova al
leanza», con particolare riferimento al v. 31.
L’espressione ricorrente a partire da 7,4: «in pubblico», ritorna qui per l’ul
tima volta nei cc. 7-12, segno del carattere conclusivo della pericope. Efraim, una
località ai margini del deserto di Giuda su cui ripiega la piccola comunità di Gesù e
dei suoi discepoli, non può non evocare il nord, regione più accogliente, meno
ostile. Né la Giudea né Gerusalemme possono tuttavia essere tacciate di incredu
lità. Anche là, infatti, molti si mettono a credere in Gesù (11,42.45).
Il contesto è abbastanza vicino a quello dell’inizio di Gv 7. Questa volta non si
tratta più della festa delle Capanne, ma della «Pasqua dei giudei»: la terza dopo
quelle citate in 2,13 e in 6,4. Festa di pellegrinaggio, è legata a Gerusalemme, al
tempio e alle norme relative alla purità rituale. 23 Inoltre tutti i fili intessuti a partire
dalla prima venuta di Gesù al tempio di Gerusalemme per la prima Pasqua indu
cono a concentrare in Gesù questi simboli cultuali e festivi. Colui che ha appena ri
condotto un vivente dalla morte non è forse nella sua persona «l’agnello di Dio»
(1,29.36) e nel suo corpo «il santuario» del tempio (2,21)? I maneggi dei suoi av
versari sono descritti come reazione all’entusiasmo della folla.
2. A Betania (12,1-9)
Comincia ora il conto alla rovescia dei giorni di questa Pasqua, che continuerà
fino alla «Preparazione dei giudei»,24 la vigilia della risurrezione di Gesù secondo il
racconto giovanneo.
25 Come in Le 10,38-42.
Lo stesso avverbio viene usato per qualificare una temporalità diversa di Gesù
e dell’esistenza storica, sia pure - imperfettamente - credente. I poveri sono un ele
mento costitutivo dell’esperienza intramondana. Il Povero li illumina di una luce
fugace ma anche definitiva.
The Trial Version
Nel quadro di questa premura nei confronti di ogni vita, come mai il «vivente»
deve essere ucciso? Ciò non è spiegato e non è spiegabile, se non chiamando in
causa l’arbitrio delle libertà non illuminate. Per quale motivo colui che si è rivelato
come l’autore e il garante della vita degli altri deve precedere il suo amico nella
morte, e in una morte violenta? Enigma ancora più insondabile! Il racconto cul
mina nella segnalazione del fatto che «a causa di Lazzaro, molti dei giudei crede
vano in Gesù». Il termine ci riconduce all’inizio (10,40-42). Il racconto è collocato
sotto il segno del «credere di molti».
Questo grande insieme, ancora una volta lungo e complesso, redatto con uno
stile ora lento e sinuoso, ora spezzato, presenta un’unità di movimento e di signifi
cato. Non mancano i segnali che aiutano a cogliere questa unità attraverso il dedalo
di apparenti digressioni. Una sintesi visualizzata schematicamente faciliterà la per
cezione globale, ora che è stata proposta un’interpretazione di tutti i dati raccolti.
DIMORA-LUOGO
Per le esigenze della presentazione, la conclusione della vita pubblica verrà di
visa in due parti. Gv 12,12-36 riguarda gli ultimi avvenimenti a Gerusalemme, men
tre Gv 12,37-50 prelude alla fine del processo. Due capitoli tratteranno separata-
mente questi argomenti.
Sulla suddivisione di Gv 12, i pareri sono discordi. In base alle osservazioni
che abbiamo già fatto, il testo risulta comunque abbastanza chiaramente suddiviso
in tre unità: 12,12-22.23-36.37-50. Ma su questo punto, come sulle suddivisioni delle
unità stesse, sarà ancora necessario prendere posizione. Lo faremo progressiva
mente, continuando a fornire spiegazioni sul testo per comprenderne gli accenti
specifici, la suddivisione e l’articolazione.
La nuova indicazione temporale ottiene subito due effetti. Dice in che momento
della storia narrata ci troviamo e segnala il tempo peculiare di Gesù. La storia del rac
conto viene di nuovo messa in rapporto con il tempo liturgico giudaico. «L’indomani»
presuppone il punto di riferimento fornito in 12,1: «Sei giorni prima della Pasqua». Il
conto alla rovescia era iniziato allora. È passato un giorno: siamo al quinto prima della
«festa». Questo m odo di parlare della Pa squa indic andola come «la festa» alimenta
una certa ambiguità, rafforzata da altri dettagli. In 7,8, sulle labbra di Gesù, e successi
vamente nel racconto di 7,10-11.14, «la festa» era la festa delle Capanne. Gesù, in 7,8,
prendeva le distanze da «questa festa». L’avvenimento che lo riguarda illumina il
tempo e la storia senza ridursi a essi. I rami delle palme fra le mani e il Salmo
118,25-26, che conclude il canto dell’Hallel, fanno parte di una consuetudine attestata
soprattutto per la festa delle Capanne. L’Hallel tuttavia era cantato anche per la festa
della Dedicazione, per la Pasqua e per la Pentecoste.1
Sopprimendo la menzione della Pasqua e dei giudei si attira di nuovo l’atten
zione sul tempo di Gesù dall’interno del tempo liturgico ufficiale. Il tempo che se
paraTrial
The dalla festa precisa il senso di ciò che si compie in Gesù. Egli è «l’agnello»: se
Version
2 In una nota a Gv 12,1, D. Mollat (Fase. BJ. nota e), fa notare che la prescrizione di Es 12,3 sta
bilisce che proprio in questo giorno venga scelto e separato dal gregge l’agnello destinato al sacrificio pa
squale.
3 In base all’uso del verbo negli episodi precedenti, in particolare per la venuta di Gesù in 11,17,
è stato osservato che si tratta di uno dei modi preferiti dal quarto evangelista per parlare del Risorto
(20,19.26).
4 IMac 13,50-51. Simone non viene acclamato soltanto come capo dell’esercito e come guida del
popolo (IMac 3,8-9), ma anche come eminente sommo sacerdote e come stratega (IMac 13,41).
5 Nota e) BJ 1973 a IMac 4,59.
6 Precisazione di J. Radermakers.
The Trial7 Nota
Version
e) BJ 1973 a Sai 118,26.
8 Cf. BJ 1973, nota a Sai 118,27, unitamente ad altre precisazioni di J. Radermakers. Questi riti
sono ancora presenti nella liturgia giudaica, con le grandi differenze dovute alla distruzione del tempio.
9 Mollat, Fase BJ 1973, nota f).
10 A nostro avviso, a questo titolo è immancabilmente associata una dimensione sacerdotale. Ma
la questione è discutibile e di non facile soluzione.
Chi sono i greci di cui il Vangelo cita due volte soltanto la presenza, qui e in
7,35, dove sono evocati alla lontana, nel quadro di un fraintendimento delle parole
di Gesù, tramite la menzione della «diaspora dei greci»?15 Questa espressione ci
mette sulle tracce di ciò che essi rappresentano nel contesto del c. 12. Sono verosi
milmente dei «simpatizzanti», se non dei proseliti, venuti a Gerusalemme per parte
cipare al pellegrinaggio pasquale (At 10,2.22.35; 13,16.26). Il loro desiderio di ado
rare il vero D io (cf. 4,21- 23) li conduce a cercare di incont rare (più esattamente di
vedere) Gesù.16 Per C.H. Dodd, rappresentano il mondo intero (cf. v. 19). Sono
«l’avanguardia dei futuri convertendi a Cristo».17
Il verbo «adorare» e la menzione di questi non-giudei permette di stabilire un
collegamento con l’incontro fra Gesù e la Samaritana. Inoltre,. «Filippo e Andrea
sono gli unici due discepoli che portano un nome greco».18 Diversi elementi fanno
dunque del testo in questione un punto culminante non solo di Gv 7-12, il che è nor
male per un brano conclusivo, ma anche di 1,19-6,71. Forse bisogna parlare persino
del punto d’arrivo di tutta la corrente profetica, escatologica e apocalittica, rappre
sentata da Is 2,1-5: «Al monte del Signore affluiranno tutte le genti», fino al prelu
dio al quarto canto del Servo: «Il Signore ha snudato il suo santo braccio davanti a
tutti i popoli; tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio» (Is
52,10; cf. i vv. 7-12).
Questa salvezza si chiama «Gesù», «Dio-salva». È destinata al suo popolo e
alle nazioni. La mediazione dei discepoli si rivela imprescindibile. Essi vengono dal
popolo dell’alleanza, ma l a loro vocazione è universalistica. Is 2,1-5; 52,7-12 e Gv
12,12-22 hanno in comune il fatto di articolare, ciascuno a suo modo e secondo la
sua prospettiva, Sion,19 Gerusalemme,20 Giacobbe-Giuda-Israele21 e le nazioni.22
15 U. Busse, «Die “Hellenen” Joh 12,20ff. und der sogenannte “Anhang” Joh 21», in The Four
Gospels 1992, III, 2085-2086, propone la seguente lettura: questi greci hanno la funzione di gettare un
ponte fra il passato che costituisce la salvezza e il presente del lettore. È un rapporto che i commentatori
del Vangelo giovanneo avrebbero spesso perso di vista.
16 Cf. TOB, nota d) a Gv 12,20.
17 Dodd, L’interpretazione, 454.
18 Cf. TOB, nota e) a Gv 12,21.
19 Is 2,3; 52,7; Gv 12,15.
The Trial
20 Version
Is 2,1.3; 52,9; Gv 12,12.
21 Is 2,1.3.5; 52,12; Gv 12,13.
22 Is 2,24; 52,10; Gv 12,20 (i greci). Si può notare anche la costante presenza di testimoni
messaggeri: le nazioni (le genti) in Is 2,2-3; il messaggero di buone notizie in Is 52,7; la folla, i di scepoli,
Filippo e Andrea in Gv 12,12-14.17-18.21-22.
L’ora è quella della glorificazione del Figlio dell’uomo. L’una e l’altra soprav
vengono in vista della fede nella luce, che fa diventare figli della luce. Il Figlio è in
funzione dei figli. Il messaggio richiama il cuore del prologo. È tanto più unificato
in quanto il titolo st esso di «Figlio dell ’uomo» ha un senso individuale e collettivo
(Dn 7,14-28). Nel la filiazione alla luce si compie la vocazione e la missione del Fi
glio dell’uomo. Viene data una risposta alla domanda del v. 34: «Chi è questo Figlio
dell'uomo?». Lui e altri! Lui, il Figlio, nei figli.
Il primo intervento di Gesù si conclude nei vv. 27-28a con i tre elementi di
un’inclusione più ristretta con il v. 23: l’«ora»,24 la glorificazione e il rapporto più se
mantico: «Figlio»-«Padre». In questo tempo dell’ora, deve essere precisato il rap
porto tra «Figlio dell’uomo» e «Padre»25 per evitare ogni equivoco sul senso della
glorificazione. Si tratta del giusto rapporto tra il Figlio e il Padre e tra il Padre e il
Figlio. A questo titolo, la glorificazione può essere anticipata in ogni momento ri
spetto alla morte: cosa che avviene tramite parole e atti, qui e «adesso».
La prima formulazione del v. 23 segna una distanza di Gesù rispetto a lla ve
nuta dell’ora. Nel contesto più immediato, si tratta dell’ingresso in Gerusalemme.
Si capisce che Gesù si sottomette a un evento di cui non è padrone. I w. 27-28b
spiegano il perché: questo evento e quest’ora vengono dal Padre. L’ade sione libera
di Gesù si esprime alla fine:
- È venuta l’ora. (12,23a) (passività)
- Venni a quest’ora. (12,27d) (libertà)
La glorificazione è il cuore di questa adesione libera e filiale. Una formula
zione analoga viene in effetti adottata per la glorificazione:
- È venuta l’ora che sia glorificato IL FIGLIO DELL’UOMO (12,23).
- PADRE, glorifica IL TUO NOME (12,28a).
Non bisogna soltanto che il Figlio dell’uomo sia glorificato in maniera passiva
e come suo malgrado. Il Figlio è glorificato dal Padre, ma anche il Padre è al tret
tanto glorificato dal Figlio. La richiest a di glorificazione del nome - di Padre nel Fi
glio, di Figlio nel Padre - lo esprime con chiarezza.
Ciò vuol dire che quest’ora, questa glorificazione e questa relazione filiale e
paterna non riguardano che il Figlio e il Padre? Sì, perché questo è l’essenziale. No,
perché questa relazione include anche tutto il creato per il fatto che esiste. Non
Primo insegnamento che si ricava dai fatti osservati nel mondo vegetale e mi
nerale: il non morire conduce alla sterilità, all’assenza di seme, di frutto; a livello fi
gurato, conduce all'assenza di comunione umana, all’isolamento psichico, alla soli
tudine morale e spirituale. La proposizione reciproca corrisponde a un sed contro
argomentativo.
«Ora se-eventualmente muore,
porta molto frutto».
Ciò significherebbe far entrare nella logica dell’altro, in questo caso di colui
che parla. Ma colui che parla è il Figlio, e la sua logica filiale lo trascina a sua volta
verso l’Altro, il Padre. Bisogna dunque introdurre le tappe necessarie per giungere
allo stesso scopo e allo stesso punto d’arrivo: il Padre per il Figlio. Di qui l’introdu
zione dell’argomento del «seguire» Gesù come Figlio, per poi beneficiare del rove
sciamento di situazione che consiste nell’«essere onorati» (al passivo!) dal Padre
più ancora che nell’«onorarlo» in maniera volontaria, libera, attiva. Il paradosso
consiste nel l’essere in tal modo condotti, attraverso una passività, alla totale libertà
del Figlio nei confronti del Padre, alla beata passività del servo divenuto figlio. Il Fi
glio non vuole la morte per i figli: impara a chiederla attivamente per sé. Non la
The Trial Version
vuole per noi! La vuole come prezzo del nostro abbandono filiale. La vuole come
prezzo della nostra vita eterna, già nel tempo e nello spazio, il cosmo, divenuti gra
zie alla sua morte un universo di filiazione. Il risultato non è una passività inerte o
L'episodio, nella sua brevità, è di nuovo molto denso di contenuto. «La voce
dal cielo corrisponde alla bath qdl (figlia della voce), con cui il tardo giudaismo in
dicava, dopo la cessazione della profezia, un modo della rivelazione di Dio, soprat
tutto negli scritti apocalittici (Dn 4,28; Hen 65,4; Bar Syr 13,1; cf. Ap 10,4.8; 11,12;
14,2.13; 18,4). Solo i Vangeli attribuiscono la voce a Dio stesso, perché non ci pos
sono essere intermediari fra il Padre e Gesù. È menzionata nei racconti del batte
simo (Mt 3,17 e par.) e della trasfigurazione (Mt 17,5 e par.; cf. 2Pt l,17s). Gv
omette questi due racconti, ma l’equivalente della voce dal cielo viene proferito dal
Battista (1,33) e, quanto all’episodio della trasfigurazione, il nostro passo ne è una
trasposizione, se si rileva il legame passione/gloria comune ai due testi: in Me, la tra
sfigurazione è preceduta da un annuncio della passione; in Le, Mosè ed Elia par
lano con Gesù del suo “esodo”, e i discepoli vedono la gloria di Gesù».33
Il carattere apocalittico della scena è ben rimarcato. Dopo la richiesta che
Gesù rivolge al Padre perché glorifichi il suo nome, la voce dal cielo riprende lo
stesso verbo «glorificare» all’aoristo e al futuro, in prima persona singolare, senza
complemento. Viene espressa in tal modo la risposta istantanea del Padre. In rispo
sta al Figlio, il Padre glorifica se stesso glorificando il Figlio.
29 Ivi, 197.
30 Con l’autrice citata, si può pensare che «è difficile essere d’accordo con la traduzione: “Padre,
The Trial
fammi Version
passare sano e salvo attraverso quest’ora”», e con la relativa interpretazione di X. Léon-Dufour,
«“Pére, fais-moi passer sain et sauf à travers cette heure!” (Jn 12,27)», in Neues Testament und Ge-
schichte. Festschr. O. Cullmann, hrsg. H. Baltensweiler - B. Reicke, Zurich-Tiibingen 1972, 156-165.
31 Morgen, Afin que le monde, 194.
32 Ivi, 198.
33 Léon-Dufour, Lettura, II, 589, nota 56.
39 Hapax del Vangelo e anche di tutto il Nuovo Testamento (se si eccettua l’espressione «figli del
tuono», con cui Me 3,17 spiega il nome Boanèrges, e l’Apocalisse di Giovanni), questo termine, che nel
Nuovo Testamento ha una valenza apocalittica, nell’Antico Testamento ha una connotazione teofanica.
mondo e all’espulsione del suo capo si giustappone o si propone l’azione soteriologica di Gesù: “Atti
rerò...”. Ancora una volta si ritrova in Giovanni l’opposizione tra giudizio e salvezza, ma sempre con
questa vittoria certa della Luce sulle tenebre perché il Cristo compie realmente, nella storia degli uo
mini, un percorso di Salvatore del mondo» (235-236). «In altri termini, l’uomo non è abbandonato alle
forze contrapposte del bene e del male; sa che il Cristo ha operato la salvezza del mondo e sa di poter
fare assegnamento su questa convinzione» (235, nota 33 in fine).
La fine di Gv 12,36 segna una cesura fra quanto precede e quanto segue.
«Gesù disse (= parlò) queste-cose, ed essendosi allontanato, fu nascosto a loro».
Prima de lla conclusione dei cc. 7- 12, viene ripresa per l’ultima vol ta la dina
mica del «segreto» e del «pubblico». Gesù ha parlato alle orecchie di tutti, ha agito
davanti agli occhi di tutti. E si è anche messo al riparo dagli sguardi «indiscreti»,
privi di discernimento. «Fu nascosto a loro» (cf. 8,59) esprime questo volontario ri
tiro. Il verbo «parlare» mantiene la sua connotazione apocalittica. Ritornerà an
cora, in 12,49-50, almeno per quattro volte: la prima all’indicativo aoristo, la se
conda al congiuntivo aoristo, le ultime due all’indicativo presente. Nel Vangelo di
Giovanni, le conclusioni sono sempre preparate con cura.
Il v. 37 dà inizio al brano conclusivo. Nel suo primo membro offre una sintesi
non solo di Gv 7,1-12,36, ma dell’insieme del racconto e dei discorsi di 1,19-12,36.
Tutto viene ripreso tramite il termine generico «segni», che rimanda ai gesti più che
alle parole di Gesù. Il testo indica tuttavia l’impossibilità di prendere in considera
zione gli uni senza parlare delle altre. L’intreccio dei gesti e delle parole costituisce
il «segno». Nel caso del cieco nato, il gesto del fango e dell’invio a Sìloe è seguito
dai dialoghi fra il cieco guarito e quelli che lo conoscevano, per culminare infine
nella sua professione di fede e nella sua prosternazione davanti a Gesù. Il segno sin
tetizza questo intreccio di comportamenti e di parole che presuppone, stimola e co
rona il «credere». Il segno per eccellenza si concretizza in Lazzaro, le sue sorelle, i
giudei, il sinedrio, gli alleati e gli avversari. Il loro cammino nella fede fa «risusci
tare» Marta e soprattutto Maria più che lo stesso Lazzaro. Quest’ultimo non dice e
non fa nulla se non su ordine di Gesù, che lo riconduce a una vita che non aveva ve
The Trial Version
ramente lasciato, così da non essere neppure veramente rialzato dai morti. Questo
segno ha scatenato sia le ostilità sia l’adesione di fede. Queste due reazioni opposte
manifestano l’ambiguità del segno. Il segno è segno in quanto può essere compreso
nella fede e per la fede; è segno perché si crede e per credere di più, se è vero che ci
2. Is 53,1
Il compimento della parola profetica di Isaia contenuta nel testo del Servo
sofferente (Is 52,13-53,12) verte su un punto preciso. Non si tratta di un aspetto del
personaggio del Servo. Ciò che trova compimento è una dimensione costitutiva del
«gruppo testimone».3 Il Servo non viene descritto senza questi testimoni. Per co
gliere la portata della scelta di Is 53,1, bisogna ricostruire il par allelismo fra il movi
mento del testo isaiano e quello del Vangelo. Tale parallelismo fa luce su questo
momento della vita di Gesù e del suo rapporto con coloro che lo circondano. Ritro
viamo così un aspetto, sempre presente nel Vangelo, della relazione dell’«io» di
Gesù con il «noi» della comunità.
DESTINATARI: DESTINATARI:
della parola del Servo della parola di Gesù
e della tradizione profetica e della tradizione evangelica
la moltitudine la folla
MANDATARI: MANDATARI:
di questa tradizione di questa tradizione
il gruppo dei testimoni il gruppo dei discepoli
MEDIATORE: MEDIATORE:
del messaggio del messaggio
il Servo il Figlio
3. Is 6,9-10
10 Morgen, Afin que le m onde, 302-306. Per la problematica esegetica relativa a Is 6,9-10, si veda
The
J.-P.Trial Version
Sonnet , «Le motif de l’endurcissement ( Is 6,9-10) et la letture d’“Isaie”», in Bib 73(1992), 208-239.
L’autore non entra nella questione della traduzione e dell’interpretazione strido sensu di questi delicati
versetti.
11 B. D avidson, The Analytical Hebrew and Chaldee Lexicon, London-New York 21850,689, alla
voce rapha’: con il waw iniziale come prefisso = proper name, masculine.
*■ Significato vicino al quello di rapha’el, «Dio guarisce».
Questa volta è più opportuno partire dal centro. Il fatto stesso è rivelatore.
Anche il messaggio centrale non dà adito a dubbi. Verte sul giudizio, ma bisogna
tener conto di un fascio di indizi molteplici e convergenti.
Ciascuno dei due versetti procede in due tempi ben distinti, per non cadere in
un piatto dualismo svincolato dalla realtà, che è complessa come ogni questione
umana, e quindi come ogni questione spirituale.
Il primo tempo presenta la situazione, che non è semplice. Si tratta di pren
dere in considerazione, non il caso di chi accoglie il Cristo e di chi non lo accoglie,
ma il caso, problematizzato soprattutto in Gv 8, di chi ascolta le parole rivelatrici di
Gesù, ma non le «conserva», 17 e di chi respinge Gesù per il fatto stesso che non «ri
ceve»18 le sue parole.
Notiamo incidentalmente l’importanza attribuita alla posizione che si assume
di fronte alle «parole», ai «detti» (rhèmata) di Gesù. Il termine rhèmata («parole*»)
esprime probabilmente un linguaggio più personalizzato, più individuale, più esclu
sivo di Gesù, a differenza del termine logoi («parole»), più carico di reminiscenze
bibliche. La duplice formulazione, positiva e poi negativa, in entrambi i casi, non
deve ingannare. Le due proposizioni coordinate che presentano due situazioni-tipo
hanno un senso negativo anche nella parte positiva. «Chi ode le parole» implica già,
secondo l’esplicazione che segue: «ma non dà loro un seguito, non le lascia pene
trare dentro di sé per lasciarsi trasformare da esse». Questa prima proposizione po
sitiva ha già un senso negativo. Analogamente, e in modo ancora più chiaro, «Chi
mi respinge» è una formula posi tiva con un signifi cato negativo, reso subito espli
cito dal participio che segue, accompagnato dalla negazione.
La netta contrapposizione fra «credente» e «non credente» non è chiamata in
causa a questo punto. Sono invece elencati livelli insufficienti di adesione a Gesù,
sempre in rapporto alla sua parola. Quest’ultima permette ancora oggi di prendere
posizione, perché lo esprime totalmente: è una parola-atto, un dire che è un fare.19
The Trial Version
17 Rispetto al più deuteronomico tèreò,phy lassò esprime probabilmente un impegno più personale.
18 A partire dal prologo, questo verbo è spesso analogo a «credere».
19 J.L. A ustin, Come fare cose con le parole (Filosofia), Genova 1987.
La precisazione del v. 49a è del tutto «naturale» nel contesto di questa argo
mentazione serrata. «Perché io non parlai da me-stesso». Nella sua parola di rivela
zione, Gesù è totale riferimento a un Altro che egli rivela. Per ciò stesso, è porta
tore di una «luce» che dissipa la «tenebra», com e egli solo può essere e fare. Questo
è ciò che lo rende ipso facto «credibile»:
v. 46 Io, luce, sono venuto nel mondo
affinché ognuno che-crede in me
The Trial Version
non rimanga nella tenebra.
20 La Morgen esprime correttamente questa logica di salvezza, citando J. Blank. Cf. Morgen,
Afin que le monde, 310.
L’implicazione, nel primo caso, parte da colui che contempla, dal soggetto
credente. La formulazione chiastica del v. 49a fa partire l’implicazione dal Padre
stesso, come dono del comandamento, cioè della legge dell’essere filiale del Figlio
nel suo rapporto col Padre. Il comandamento di una parola regola l a parola rivela
trice del Figlio in quanto Figlio e in quanto Figlio del Padre. Legge-sorgente, parola
che è legge, essa è espressione filiale del rapporto col Padre, ed è destinata a dive
nire «legge del credente». È questo il senso dei w. 44 e 49b-50.
Leggendo il testo a partire dal fondo, si riesce a vedere l’affinità fra l’inizio e
la fine dei w. 44-50. L’inizio anticipa la fine e la fine illumina l’inizio! Si tratta deci
samente di una regola sovrana di lettura per il Vangelo giovanneo nel suo insieme e
nelle sue parti.
v. 50 E so che il suo comandamento
è vita eterna.
Ciò che dunque io dico (= parlo),
come me (l’)ha detto il Padre,
così (lo) dico (= parlo).
v. 44 Colui che-crede in me,
non crede in me,
ma in colui che-mi-mandò.
The Trial
21 Version
È noto che M. Noth usa questi termini per distinguere ciò che appartiene al Deuteronomio e
ciò che appartiene alla corrente che attraversa Dt-Gs-Sam-Re.
22 II cerchio er meneutico stesso è esposto al rischio di un e rmetismo che ci sembr a agli antipodi
dell’obiettivo del Vangelo giovanneo. Questo Vangelo non è ermetico ma ellittico, perché applica una
logica simbolica che non è concettuale ma corporea, nel senso in cui la Parola è corpo: essa appartiene al
corpo, soprattutto se si è fatta carne.
I. Suddivisione
1. Il c. 7 non pone molti problemi, se non forse per quanto riguarda il valore strut
turante che conviene oppure no attribuire alle indicazioni temporali, e in partico
lare a quelle relative alla «festa» (v. 2: la festa dei giudei; v. 8: la festa e il «mo
mento»; v. 10: la festa e i fratelli; v. 11: la festa e i giudei; v. 14: nel mezzo della festa;
v. 37: l’ultimo giorno, quello grande, della festa). Di fronte a questa serie di espres
sioni, molti sono tentati di suddividere il testo in modo che le ult ime due menzioni
della festa delimitino le ultime due parti del capitolo. In questo caso avremmo:
a/ 7,1-13 Le discussioni a proposito della festa: salirvi o non salirvi?
b/ 7,14-36 Nel mezzo della festa: controversie.
c/ 7,37-53 L’ultimo giorno della festa: reazioni di segno diverso al grido
di Gesù.
Sulla prima unità ci troviamo d’accordo, perché le menzioni della festa of
frono sicuri indizi di composizione e di strutturazione letteraria. Invece un attento
esame dei personaggi e delle azioni che vengono loro attribuite depone a favore di
un’altra suddivisione per il resto del capitolo. Farisei, sommi sacerdoti e guardie in
clini ad arrestare Gesù (w. 32 e 44-45) danno il tono all’ultima unità letteraria, all’i
nizio di ciascuna delle sotto-unità collocate ai due estremi. Il grido di Gesù, l’ultimo
giorno della festa, risuona al centro dell’unità finale piuttosto che al suo inizio. I
moventi dell’arresto richiamano quindi l’attenzione, in conformità con il tono sem
pre più drammatico del proce sso che si sta svolgendo. Si delinea in tal modo un pa
radosso
The dal punto di vista del significato. La festa fa da cornice temporale e spaziale
Trial Version
a ciò che in realtà è contrario a questa atmosfera: l’arresto di un giusto che parla
come nessun uomo ha mai parlato (7,46)! Ciò è conforme all’intreccio di processo e
alleanza. Il processo si inserisce nel quadro di una festa che commemora un mo
mento deU’alleanza.
Si tratta di indicare un tempo di Gesù che non coincide con il tempo del
mondo e neppure con quello della liturgia. Questo tempo della sua glorificazione si
esprime in termini di «già» e di «non ancora», i termini classici del l’escatologia in
via di realizzazione. Si pone allora il problema di sapere se questo tempo di Gesù e
questa sua glorificazione fanno di lui un «deviante» oppure no. Ciò che egli dice e fa
è conforme oppure no alla norma, cioè alla Legge di Mosè (7,20-24)? Secondo la te
matica sviluppata dal Vangelo giovanneo fin dal prologo, questo interrogativo im
plica necessariamente quello riguardante la sua origine: «Da-dove è?» (7,25-30).
Gli abitanti di Gerusalemme pensano di saperlo e ne ricavano una prova contro la
sua messianicità. G esù, dal canto suo, non può che continuare a mettere in discus
sione questo falso sapere, sostituendovi l’enigma del suo rapporto col Padre. La
controversia ha luogo nel tempio, la casa del Padre suo (2,16), nel bel mezzo della
festa delle Capanne, come anticipazione della sua ora «non ancora venuta» (7,30;
cf. 7,6.8.39 e 2,4), riservata alla festa di Pasqua (13,lss).
2. Si può essere incerti sull’organizzazione interna delle unità letterarie di Gv 8. La
scena della donna colta in flagrante delitto di adulterio introduce 1’evocazione della
lapidazione (8,5). Questa punizione minaccia Gesù in 8,59 (ultimo versetto del te
sto). Mantenendo il rapporto fra questi due punti si riesce a cogliere con maggior
chiarezza uno degli obiettivi del capitolo: mostrare l’autorità di Gesù sulla Legge
mentre egli stesso incorre nella pena prevista dalla Legge. Colui che protegge dalla
morte è messo a morte. Gli episodi del cieco nato e di Lazzaro svilupperanno tale
paradosso. Rispettando l’unità di Gv 8 nella sua configurazione canonica, si deli
neano abbastanza chiaramente tre tempi della controversia:
The
a/ Trial8,1-20
Version Giudizio di non-condanna da parte di Gesù.
b/ 8,21-47 Spiegazione del peccato come non-fede omicida - il cui autore
è il diavolo - finché non viene ricevuta la filiazione di Gesù.
a’/ 8,48-59 Giudizio di condanna di Gesù da parte dei giudei.
3 In questa prospettiva è utile ricordare l’interpretazione penitenziale del ritorno in vita di Laz
zaro formulata da Agostino: «“Scioglietelo e lasciatelo andare”. Così come è stato detto agli Apostoli,
The
che Trial
sono Version
i ministri del Signore: “Ciò che scioglierete in terra, sarà sciolto anche in cielo” (Mt 18,18)»
(Trattato XXII,7 in Commento al vangelo di Giovanni, 521). Per quanto ci riguarda, tuttavia, non pen
siamo che Lazzaro sia presentato come un peccatore, né che coloro che intervengono a «sciogliere» Laz
zaro debbano scioglierlo dal peccato. Lazzaro, come amico carissimo di Gesù, non è sottratto né alla sof
ferenza né alla morte: è al servizio della gloria di Dio e della glorificazione del Figlio di Dio. E coloro che
partecipano all'avvenimento, partecipano a questa glorificazione.
4 Queste due citazioni di Isaia danno luogo a un’inclusione con la prima citazione dello stesso
1,19-2,12 7,1-53
Testimonianza di Giovanni Gesù e i suoi fratelli
Discepoli di Giovanni e sequela di
Gesù Nel mezzo della festa
MOSÈ MOSÈ
GESÙ FIGLIO DI GIUSEPPE IL CRISTO, L’ORA
Le nozze di Cana Scisma
2,13-4,3a 8,1-50
Gesù e il suo corpo L’adultera
Nicodemo Verità e libertà
Ultima deposizione di Giovanni Giudizio contro Gesù
4,3b-45 9,1-10,39
Gesù e la Samaritana. Acqua Gesù e il cieco nato
Professione di fede Professione di fede
ADORAZIONE ADORAZIONE
Cibo-mietitura Enigma del Pastore
4,46-5,47 10,40-12,11
Guarigione del figlio dell’ufficiale Lazzaro
Guarigione dell’infermo Marta e Maria
Discorso sul Figlio Risurrezione di Lazzaro
6,1-71 12,12-50
Filippo e Andrea Re
Pani e pesci Filippo e Andrea
Re. Mare Greci
Discorso sul pane della vita
GESÙ, FIGLIO DI GIUSEPPE L’ORA, IL CRISTO
Carne e sangue
Discepoli. Pietro e i Dodici Credere-non credere. Isaia
Il «richiamo della storia» nel contesto dell’alleanza rende ragione dello svi
luppo del racconto e della tra ma dei discorsi in 1,19-6,71. Gesù si rivela, e rivela i
The Trial Version
suoi ascoltatori a se stessi, sullo sfondo dell’alleanza. In Gv 7-12 si configura il
processo nel contesto dell’alleanza. I due quadri della vita pubblica di Gesù se
condo il quarto Vangelo anticipano dunque l’alleanza che viene instaurata in Gv
13-17 e il processo di Gesù (soprattutto davanti alle autorità romane) fino alla sua
I. Organizzazione di Gv 7-12
1. Gv 7,1-13 e 12,37-50
2. Gv 7,31-53 e 12,37-50
3. Gv 7,1-13 e 12,12-22
4. Gv 7,31-53 e 12,12-22
The Trial Version
Anche la fine della prima controversia sul Cristo è in rapporto con l’ingresso
messianico in Gerusalemme.
A. La folla si divide; nel primo c aso, al suo interno si verifica uno scisma (7,43); nel
secondo la folla acclama (12,13), e sono i discepoli a non comprendere (12,16).
5. Gv 7,14-30 e 12,23-36
Le due sotto-unità centrali dei brani collocati ai due estremi vedono confluire,
come in Gv 1,19-6,71 (con il «figlio di Giuseppe»):
A. Il titolo di Cristo (7,26-27), ma contestato; e lo stesso titolo di Cristo (12,34), ma
anche questa volta in modo problematico.
B. L’ora non ancora venuta, in 7,30; l’ora ormai venuta, in 12,23.27.
C. I criteri di appartenenza al popolo di Dio sono sottolineati, da un lato, dal punto
di vista di Israele: la circonci sione e il sabato (Mosè e i padri-patriarchi, compa
tibili per Gesù con la guarigione di un uomo, il che provoca un conflitto con i
«capi»). Dall’altro lato, questi criteri sono considerati in maniera più universali
stica: si tratta di morire per portare frutto, di odiare piuttosto che di amare la
propria anima, di seguire Gesù accogliendo docilmente la testimonianza della
voce dal cielo, adeguandosi all’esclusione del «capo di questo mondo».
L’identità eristica di Gesù risulta problematica. Bisogna necessariamente pas
sare per una morte, come ogni chicco di grano, simbolo di fecondità, per portare
frutto, seguendo Gesù Cristo che dà la vita. Questo vale per tutti, giudei e greci.
1. Gv 7,1-13 e 8,1-20
2. Gv 7,31-53 e 8,48-59
Nei brani collocati agli altri due estremi, si pone il problema di sapere se Gesù
è veramente il profeta (7,40), o se è più grande di Abramo e dei profeti (8,53).
The Trial Version
3. Gv 7,14-30 e 8,21-47
1. Gv 8,1-20 e 10,40-11,16
A. Questa volta il tentativo di lapidare Gesù (8,59) corrisponde alla sua condanna
a morte (11,50-51).
B. Il rapporto morte-eternità, presente in 8,51.53, si ritrova chiaramente nella
morte e nel ritorno in vita di Lazzaro.
3. Gv 8,21-47 e 11,17-41 a
La stessa tensione fra morte e vita ritorna, nel primo brano, a proposito del
peccato e del diavolo, omicida fin dal principio (8,44). La questione della filiazione
è considerata in rapporto all’origine. Nel secondo brano, morte e risurrezione sono
considerate, per Marta e per Maria, in rapporto alla fine, all’ultimo giorno, antici
pato dal Cristo e dalla fede nel Cristo.
Questi due insiemi sono a loro volta fortemente correlati alla sezione centrale:
Gv 9,1-10,39 (il cieco nato e il buon pastore).
L’ultima serata trascorsa da Gesù con i suoi prima di morire assume nel
quarto Vangelo un’ampiezza unica. L’evangelista ordina in maniera specifica le tra
dizioni sulla passione, la morte e la risurrezione del Cristo. La tradizione Matteo-
Marco mette in evidenza il rapporto tra l’unzione a Betania e l’ultima cena, senza
sviluppare le ultime raccomandazioni ai discepoli. Luca invece colloca nel contesto
della cena alcune considerazioni più ampie sull’atteggiamento di servizio assunto
da Gesù per primo, in vista dei comportamenti che dovranno caratterizzare la co
munità (Le 22,24-27). Seguono quindi alcune prospettive sul regno (Le 22,28-30).
L’annuncio del rinnegamento è accompagnato da altre parole rivolte a Pietro, e in
particolare dalla sua «investitura» (Le 22,31-34). Prima del racconto dell’agonia al
monte degli Ulivi, Luca introduce altre parole di Gesù sulla propria fine e sulle im
plicazioni di quest’ultima per i discepoli che partecipano alla cena (Le 22,35-38).
L’impronta giovannea è chiara. Il racconto del quarto Vangelo si disti ngue da
gli altri per il risalto dato alla lavanda dei piedi. Alla cena fa seguire inoltre il lungo
discorso d’addio dei cc. 14—16, concluso dalla preghiera del c. 17. L’organizzazione
testuale di questi capitoli permette di capire meglio il modo in cui questa tradizione
cerca di interpretare la passione, la morte e la risurrezione di Gesù. L’interpreta
zione degli avvenimenti viene fornita prima che essi accadano nella storia. La figura
stilistica della prolessi assume qui una portata mai raggiunta altrove. Non solo ven
gono annunciati la dipartita e il ritorno di Gesù, ma si cerca di far sì che il loro signi
ficato sia comunicato da colui che solo è in grado di farlo. Il Figlio passa da questo
mondo al Padre amando i suoi «per un adempimento» (13,1). Attraverso questo
amore concreto, si tratta di dare la capacità di amare, non solo come Gesù ama, ma
con l’amore stesso con cui il Padre lo ama (17,26). La Pasqua di Gesù costituisce il
passaggio obbligato per imparare l’amore totale di Dio a favore dell’uomo, e del
l’uomo in Dio.
La nostra ricerca sul Vangelo di Giovanni era iniziata da qui.1 Un’intuizione
stava alla base della nostra scelta. In questa sezione soprattutto si concentra il mes
saggio di Giovanni, e quindi la sua comprensione del Cristo e dei credenti. L’uno e
gli altri non sono mai dissociati dagli autori del Nuovo Testamento, e meno che mai
da Giovanni. In questa descrizione delle azioni di Gesù, che in nessun altro brano
evangelico è così minuziosa come in quello della lavanda dei piedi, non ci vengono
forse proposti l’effetto e il frutto della fede dell’evangelista e della sua comunità? E
The Trial Version
il discorso dell’ultima cena, c oronato dalla preghiera del Figlio, non è forse l'espres
INTRODUZIONE 545
sione sia della comunità credente sia dello stesso Gesù? Quest’ultimo ormai non
potrebbe rivolger si ai credenti colloca ndosi al di fuori della loro adesione. Ci sem
bra utopistico voler distinguere ciò che Gesù avrebbe realmente detto e ciò che l’e
vangelista e la sua testimonianza avrebbero trasmesso. Il testo cerca di evitare que
sta dicotomia. Il compito principale non consiste nel dipanare la matassa delle pa
role autentiche di Gesù nello scritto dei credenti, ma nel seguire con perseveranza
racconto, discorso e preghiera in modo da arrivare là dove vogliono condurci: a una
comunione del Cristo con i credenti, e dei credenti col Cristo, tale da renderli una
cosa sola (Gv 17)! Soltanto a questa condizione il racconto che segue ci svelerà il
suo segreto. Riassumerlo in poche pa role dovrebbe aiutare a seguire il dedalo delle
analisi necessarie per leggere Gv 13-17, e poi Gv 18-21, entrando nel processo della
loro comprensione.
L’inizio di Gv 13 e la fine di Gv 17 si richiamano in maniera significativa, se
gno di una solida struttura letteraria. L’unità testuale è indubbia. La sua elabora
zione può essersi compiuta a tappe successive. Il fatto di metterle in luce non va tut
tavia a danno di una sintesi unificata, anzi, è vero piuttosto il contrario. In questa
ottica, è opportuno salvaguardare innanzitutto anche l’unità di Gv 13. Questa
emergerà più chiaramente nella misura in cui si svilupperà lo studio delle sue com
ponenti. Grazie a un gioco di formule, di ripetizioni e di corrispondenze fra parole e
fra espressioni, un primo fatto viene alla luce. L'amore di Gesù per i suoi, tanto pre
sente a partire da Gv 13,1, attraversa lo spessore del tradimento di Giuda e del rin
negamento di Pietro per offrirsi, in 13,34-35, come un dono che il Figlio dell’uomo
ormai glorificato può comunicare ai suoi. È il dono del comandamento nuovo attra
verso il tradimento di uno dei Dodici. Il dono dell’esempio offerto con la lavanda
dei piedi trova qui il suo significato e il suo coronamento.
Se si rispetta l’unità di Gv 13, il seguito del discorso (Gv 14-16) trova i suoi
criteri di organizzazione. La fine di Gv 14 introduce una netta cesura rispetto a
quanto segue, segnando una pausa. Distinto dal c. 13 che lo precede e dai cc. 15-16
che seguono, Gv 14 combina l’esigenza di credere in Dio e in Gesù (14,1-14) con
quella di amare Gesù osservando i suoi comandamenti (14,15-24). Il simbolismo
dominante del capitolo, quello della via (14,6), è spaziale. Pace e persino gioia
(14,27-28) vengono comunicate in mezzo all’inevitabile turbamento causato dal
modo in cui il Figlio realizza la gloria de ll’amore pienamente r ealizzato. Con l ’aiuto
di formule retoriche aperte da: «Queste cose vi ho detto (= parlato)», accompa
gnate (15,11; 16,1.4.33) oppure no (16,6.25) da una proposizione finale introdotta
da «affinché», è possibile distinguere Gv 15,1-16,3 dall’ultima parte del discorso
(Gv 16,4-33). Il simbolismo temporale, quello dell’ora (16,4.21.25), fa seguito a un
simbolismo spaziale in espansione, quello della vite (15,1.5). Questa suddivisione
colloca al centro di Gv 14-16, e anche di Gv 13-17, la duplice formulazione del co-
mandamento nuovo (15,12-17). Il rilievo dato all’amore reciproco permette di in
terpretare correttamente il brano sulla vite (15,1-11) e quello sull’odio del mondo
(15,18-16,3). Questo schema attenua ciò che i due brani potrebbero alimentare a li
vello di concezione dualistica del rapporto fra la comunità giovannea e il mondo.
Gv 16,4-33 conclude quindi il discorso, dapprima con il susseguirsi degli ultimi due
passi sullo Spirito (16,7-11.12-16), poi con il simbolismo della partoriente, a pplicato
The Trial Version
alla comunità che vive il passaggio dall’assenza a una nuova presenza di Gesù
(16,21-24).
Adeguatamente inserit o in questa struttura del testo, il duplice richiamo all’a
more reciproco in Gv 15,12-17 costituisce anche il principale collegamento fra Gv
2 K orting, Die esoterische Struklur. L’aggettivo va inteso etimologicamente (da esó: «dentro») e
filologicamente nel senso della «struttura interna» del testo (p. 51); senza queste precisazioni può gene
rare confusione.
INTRODUZIONE 547
Una struttura letteraria del Vangelo secondo Giovanni
INTRODUZIONE 549
Capitolo I
L’ULTIMA CENA
Prima di leggere Gv 13-17, ricordiamo il posto che questo insieme occupa nel
Vangelo.
L La vita pubblica
Possiamo essere d’accordo con questo autore sulla prima parte del racconto:
18,1-27. Invece la seconda parte (il processo davanti a Pilato) si estende, secondo i
nostri criteri, fino all’esecuzione della sentenza di condanna, comprendendo anche
la c rocifissione. L’iscrizione posta sulla c roce è attribuita a Pilato (19,19) e ratifica
la sua opzione (19,22). Il ruolo di terza parte spetta quindi a 19,23-42, che costitui
sce il centro di Gv 18-21 qualora si tengano uniti questi capitoli.
Gv 20,1-18 appare come la prima parte dei racconti della risurrezione. Maria
di Màgdala è un personaggio di primo piano. La prima venuta di Gesù «nel mezzo»,
la sera del giorno «uno» della s ettimana (20,19-23), occupa a nostro avviso il centro
The Trial
2 Version
Tale suddivisione è adottata con finalità ermeneutiche diverse dalle nostre da F.J. Moloney,
«A Sacramentai Reading of John 13:1-38», in CBQ 53(1991), 237-256, specialmente 242.
3 L’autore utilizza anche altri segni convenzionali, che non riportiamo qui, per segnalare alcuni
parallelismi tra versetti o alcuni versetti conclusivi. I numeri arabi indicano «atti», «insiemi di scene»
(Szenengiinge), «parti», «scene» o «capitoli» riconoscibili in base a segni esterni; i numeri romani indi
cano ciò che è fondato su criteri teologici (Korting, Die esoteriche Struktur, 2.9).
Una prima lettura del testo attira l’attenzione su alcune delle sue difficoltà. È
un buon modo per cominciare a orientarsi. L’interpretazione, basata su una struttu
razione letteraria di Gv 13, sarà oggetto del capitolo seguente.
Iniziando dalla fine, cioè dall’annuncio del tradimento di Giuda e del rinnega
mento di Pietro, non sarà inutile dare uno sguardo alla tradizione della cena in Mat-
teo-Marco. Non intendiamo qui addentrarci in un minuzioso studio comparato, ri
volto a stabilire la dipendenza di una tradizione dall’altra. Si tratta semplicemente
di individuare uno schema letterario comune a questi due Sinottici e a Giovanni per
quanto riguarda la presentazione delle parole e degli avvenimenti. A partire da
questo schema, l’apporto specifico di ciascuna delle due tradizioni viene alla luce
grazie a un gioco di som iglianze e di differenze. S caturisce di qui l’interpretazione
dei fatti.
Secondo una possibile suddivisione di una tradizione comune ai primi due Si
nottici,1 l’annuncio del tradimento di Giuda e del rinnegamento di Pietro incornicia
il racconto dell’istituzione eucaristica. La cena, introdotta dal richiamo degli imme
diati preparativi, costituisce dunque il corrispettivo dell’unzione a Betania. Pos
siamo allora tracciare la seguente riduzione schematica:
Matteo
26,1-5 26,20-25
Complotto contro Gesù Annuncio del tradimento
- Sommi sacerdoti - «Amen, vi dico»
- Essere consegnato - Consegnare
- Reazioni
26,17-19
26,6-13 Preparativi 26,26-29
Unzione a Betania del pasto Eucaristia
- Mirra versata - «Il mio corpo»
The Trial Version
1 Per una giustificazione più completa di questa suddivisione, soprattutto per quanto riguarda
Marco, si veda: Y. Simoens, «L’onction eucharistique et la Cène nuptiale selon Marc 14,1-21», in «Ouvrir
les Écritures». Mélanges P. Beauchamp, par P. Bovati - R. Meynet (LD 162), Paris 1995, 245-266.
2 Ancora una volta, come per le sezioni precedenti, il lettore è invitato a tenere sempre sotto gli
occhi il testo della nostra traduzione letterale e strutturat a, per evitare di scoraggiarsi di fronte a osserva
zioni a volte formali e minuziose. La nostra lettura vuole porsi al servizio della lettera del Vangelo. Sol
tanto a questo prezzo è possibile giungere a un’interpretazione rinnovata.
Il valore condizionale del verbo è poco evidente nel greco, che ha soltanto un
hina con il congiuntivo, normale in casi del genere. Dopo un’introduzione tutta po
sitiva, formulata dal v. 1, il v. 2 opera una distinzione tra il vero autore del tradi
mento e il suo esecutore. Anche se può essere difficile attribuire al diavolo un
«cuore» o un’interiorità, ci troviamo comunque di fronte a una dissociazione del
l’autore del peccato dal peccatore. E questo è fondamentale ai fini dell’interpreta
zione. Non si tratta di cercare di raffigurarsi il diavolo, che non è raffigurabile. Si
può soltanto percepirlo dai suoi effetti nel peccatore; la libertà di quest’ultimo
viene rispettata e salvaguardata, ma una discolpa e quindi una conversione riman
gono in tal modo sempre possibili. Il libro della Sapienza rilegge in questo senso
Gen 1 e 3:
«Dio ha creato l’uomo per l’immortalità;
lo fece a immagine della propria natura.
Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo;
e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono (= che sono /della/ sua parte)»4
(Sap 2,23-24).
Questa le zione era già stata preferita da M.-E. Boismard, sulla base del testi
mone 579, ed era stata seguita da D. Mollat. La versione lunga, più rappresentata e
’ «Per Giovanni, la caduta di Giuda era un enigma più grande del crollo di Gerusalemme e del
rabbinato» (A. Schlatter, Der Evangelist Johannes, Stuttgart 1948, 184, a proposito di Gv 6,70).
Dopo questa prima messa a fuoco del testo, passiamo a quella che abbiamo
individuato come l’ultima unità letteraria dell’i nsieme: 13,21-38, un brano incorni
ciato dall’annuncio del tradimento di Giuda e da quello del rinnegamento di Pietro.
Ai fini di un corretto orientamento dell’interpretazione, è necessario soffermarsi
ancora a definire alcuni elementi.
Già nel v. 21, il primo complemento utilizzato per evocare le disposizioni di
Gesù non è faci le da rendere nella nostra lingua: «Gesù fu sconvolto dallo spirito»
(E. Delebecque); «Gesù si turba in spirito» (Sr Jeanne d’Arc). Si tratta di un dativo
con l’articolo determinativo. Ci sembra di dover tradurre in senso forte: «Gesù fu
turbato nello Spirito e testimoniò». In altri termini, Gesù viene preso da quel singo
lare turbamento che i n precedenza l’ha già caratterizzato in due sol i altri moment i.
Ciò è avvenuto in primo luogo in occasione della morte di Lazzaro, quando Gesù
ha visto Maria e i giudei venirgli incontro piangendo. Il rapporto con quell’episodio
è significativo:
«Fremette nello Spirito e si turbò» (11,33).12
12 Nell’esegesi contemporanea, la menzione del pneuma in questi due passi è interpretata come
concernente lo Spirito Santo nello studio di W. T huesing, Die Erhdhung und Verherrlichung Jesu im Jo-
The Trial Version (NTAbh 21), Miinster Westfalen 1960. 78-82. Si veda inoltre: G. Ferraro,
hannesevangelium
«“Pneuma” in Gv 13,21», in RivB 26(1980), 210-211 (G. Ferraro, Lo Spirito Santo nel Quarto Vangelo
[OrChrAn 246], Roma 1995, 85). Diversa è l’interpretazione dell’esegesi antica e di molti altri commen
tatori moderni, secondo cui si t ratterebbe piuttosto di un’indicazione antropologica sullo spirito di Gesù
e sulle sue disposizioni interiori. Per quanto riguarda la traduzione, possiamo citare: «Il exhala un gron-
dement» (E. Delebecque); «Il frémit en son esprit» (Sr Jeanne d’Arc).
È la stessa espressione che troviamo in G v 13,26 (due vol te) e 30, seguita da
una precisazione che illumina proletticamente ciò che avverrà sulla croce, con il ri
lievo dato dal rac conto giovanneo all’aceto (19,29: versetto centrale di tutto il rac
conto di Gv 18-21!). Ciò che ha inizio qui non si «adempirà» veramente in Gesù che
nell’atto di «prendere» l’aceto. In Giovanni, Gesù ingerisce effettivamente l’aceto.
Secondo l’interpretazione che giustificheremo più avanti, questa bevanda gli viene
offerta dai suoi amici che stanno ai piedi della croce, come e forse più che dai sol
dati, grazie alla spugna avvolta intorno all’issopo. I due gesti si corrispondono. En
trambi inconsueti, si chiariscono a vicenda. Si tratta dunque di non ingannarsi né sul
boccone dato a Giuda, né sull’offerta dell’aceto a Gesù in croce. Un medesimo
«adempimento» dell’amore si sviluppa per fasi successive. La prima è incentrata sul
rapporto fra Gesù e Giuda. In 13,26.30, il gesto di Gesù è descritto con una sorpren
dente solennità.14
Tutti i particolari si concatenano nello stesso senso. Soltanto «dopo il boc
cone, allora entrò in (Giuda) il Satana». Persi no l’attivit à satanica, persino l’entrata
in azione di Satana con la sua irruzione in Giuda è posta sotto il controllo di un
13 «Noi tutti siamo il discepolo che Gesù amava, ma lui solo lo sa» (J. Bodson, colloquio orale).
Ritroviamo qui la tensione fra «tutti» e «uno solo» che avevamo già notato a proposito della lavanda dei
piedi. Là, tutti venivano lavati benché uno solo non fosse puro. Era un modo per impedire l’esclusione di
sé o di un altro dal necessario perdono. Qui, uno solo è amato perché tutti prendano coscienza di questo
The
amoreTrial Version
unico che penetra fin negli abissi del peccato e della disperazione a cui il peccato può condurre. Si
tratta di un altro modo, complementare, di sbarrare l’accesso alla disperazione. Non per nulla il quarto
Vangelo passerà sotto silenzio il suicidio di Giuda.
14 Rt 2,14 assume cosi un’inattesa portata euristica ed ermeneutica, che può essere implici ta e an
che inconsapevole. Questo riferimento non è assolutamente necessario per chiarire il testo giovanneo,
ma favorisce la comprensione rinnovata di alcuni episodi decisivi, offrendo una conferma a posteriori.
rato di campagna, Mondadori, Milano 1949,164). E aggiungeva, rispondendo a una domanda della con
tessa: «Finché siamo in vita , possiamo farci delle illusioni, cre dere che amiamo con le nostre forze, che
amiamo fuori di Dio. Ma somigliamo a dei pazzi che tendono le braccia verso il riflesso della luna nel
l’acqua» (p. 165).
18 L’antropologia generale di R. Girard, senza che si debba concordare con tutte le sue a nalisi, è
abbastanza nota; pertanto, ci si può limitare qui a due citazioni rivolte a chiarire il nostro discorso: «Sol
tanto l’amore perfetto del Cristo può divenire senza violenza la rivelazione perfetta verso la quale, mal
grado tutto, noi tutti avanziamo, seppure attraverso le divisioni e i dissensi previsti, precisamente, dal te
sto evangelico. Perciò tendiamo sempre più a far ricadere su questo testo la responsabilità di queste divi
sioni. Non possiamo più accordarci se non contro di esso, che sta così diventando, in un simbolismo mi
rabilmente rivelatore, il capro espiatorio della nostra umanità. Questa umanità è ora raccolta nella
prima società planetaria proprio per dar e alla luce l a verità di ques to t esto, la verità che essa si ostina a
negare» (R. Girard, Delle cose nascoste fin dalla fondazione del mondo (Saggi), Adelphi, Milano 1983,
343). «Gesù interviene quando i tempi sono maturi; in altri termini, quando la violenza non può più
espellere la violenza, e quando la di visione contro se stessi tocca il punto critico, ossia il punto della vit
The Trial Version
tima espiatoria, che diventa questa volta il punto di non-ritorno perché, anche se questa vittima riporta
apparentemente e per un certo tempo un antico ordine, in realtà lo distrugge per sempre, senza minima
mente espellerlo, facendosi al contrario espellere da esso e rivelando agli uomini il mistero di questa
espulsione, il segreto che Satana non si sarebbe dovuto lasciar sfuggire: su questo segreto infatt i poggia
la dimensione positiva del suo potere, la potenza ordinatrice della vi olenza» (R. G irard. Il capro espia
torio (Saggi 37), Milano 1987, 294).
I. Struttura e significato
1. Citazione esplicita
Nel c. 13 c’è una sola citazione della Scrittura, ma introdotta in maniera so
lenne, con una formula di compime nto. La citazione di Sai 41.10, al v. 18, assume
tutto il suo rilievo. Uno studio troppo tecnico di questo procedimento della cita
zione non è necessario.4 Basterà notare le varianti rispetto al testo dei Settanta:
(LXX) ho esthiòn artous mou emegalynen ep’eme pternismon
(Gv) ho trógón mou ton arton epéren ep’eme tèn pternan autou
Il verbo trògein è preferito al più consueto esthioun. Il motivo di questa scelta
va cercato probabilmente nella preoccupazione di introdurre una reminiscenza eu
caristica. Il testo di Gv 6,54.56.57.58 (dove si trovano le uniche altre occorrenze del
termine in Gv) utilizza infatti trògein per suggerire, nell’ultima parte (la più eucari
stica) del discorso sul pane della vita, il rapporto con la carne (6,54.56), con colui
The Trial Version
4 Si veda E.D. F reed, Old Testament Quotations in thè Gospel of John, Leiden 1965, 89-93.122-
123.
2. Citazioni implicite
5 In mancanza di meglio. Non si confonda il verbo epairò con il verbo tecnico dell’elevazione: hy-
psoò (3,14; cf. Nm 21,4-9; 8,28; 12,32.34: cf. Is 52,13). Il verbo non è usato in altri punti del quarto Van
gelo se non acc ompagnato da «gli occhi» come complemento: 4,35 («Levate gli occhi e ammirate i campi
che sono bi anchi per la mietitura»); 6,5 («Gesù dunque, avendo levato gli occhi e avendo visto che molta
folla viene a lui, dice a Filippo»); 17,1 («Avendo levato gli occhi al cielo, disse»).
6 F.-M. Braun, Jean le Théologien. II: Les grandes traditions d’Israel. L’accord des Écritures selon
le quatrième Évangile (EBib), Paris 1964, 13-14.
The Trial Version
7 Cf. Gen 29,35 per l’etimologia; si veda inoltre, in Gen 49,8-12, la benedizione impartita a Giuda
da Giacobbe in punto di morte, una benedizione la cui portata messiani ca è notevole (si vedano i com
menti e le referenze marginah della BJ e della TOB): «Giuda, te loderanno i tuoi fratelli».
8 Is 42,8; 43,15; 45,6.18: «Io sono il Signore»; 46,9: «Io sono Dio»; 48,17: «Io sono il Si gnore tuo
Dio»; 43,10: «Voi siete (...) il servo che ho eletto affinché conosciate, crediate e comprendiate che io
sono» (LXX).
B. La glorificazione (13,31-32)
’ Uniche occorrenze nel libro dell’Esodo del verbo greco endoxazesthai. A esso subentra doxa-
zesthai in Es 15,1.2.6.11.21 e 34,29.30.35, che a loro volta contengono le uniche occorrenze di questo verbo
nell’Esodo. In generale si ritiene che il vocabolario della gloria vada ascritto alla corrente sacerdotale.
10 Si veda J.L. S ka, Le passage de la mer. Étude de la construction, du style et de la symbolique
d’Ex 14,1-31 (AnBib 109), Roma 21997, che coglie bene il luogo e il momento di questa glorificazione:
The
«LaTrial Version di Dio”, per Pg [Priestercodex-Grund'. il Codice sacerdotale - Scritto fondamentale],
“glorificazione
ha luogo al momento del “miracolo del mare” (Es 14.4.17-18): in seguito, nel medesimo racconto sacer
dotale, la formula che esprime riconoscenza richiama sempre questo avvenimento (...). Dopo Es 14, ogni
volta che appare la “gloria” e che Dio si “fa conoscere”, c’è un riferimento a ciò che è avvenuto in
quell’occasione. La gloria di Dio è quella che egli si è acquistato in quel momento, ed è in quel momento
che egli si è fatto riconoscere per sempre» (98, nota 46).
C. La Pasqua (13,1)
«Per i giudei, il giorno cominciava al tramonto del sole (cf. Gen 1,5.8.13, ecc.).
Siamo dunque alle prime ore del 14 Nisan, la vigilia della Pasqua».11 Nella scia delle
possibili reminiscenze di Es 14, ricordiamo che il racconto della Pasqua si trova in
Es 12, in stretto legame con la decima piaga e con l’uscita dall’Egitto (Es
12,110-14.42). «Messi in relazione storica con questo avvenimento decisivo della
vocazione di Israele, questi riti acquistarono un significato religioso interamente
nuovo: espressero la salvezza apportata al popolo di Dio, come spiegava l’istru
zione che accompagnava la festa (12,26-27; 13,8)».11 12
«La Pasqua, festa nazionale della liberazione e della nascita d’Israele, festa di
famiglia che dà a tutti gli ebrei la possibilità di ritrovare la loro identità nella fede,
scrive J. Guillet, era stata in origine un pasto che celebrava l’avvenimento prima an
cora che si compisse. Passaggio della morte su tutti i focolari d’Egitto, salvo quelli
d’Israele segnati dal sangue dell’agnello, partenza di tutto il popolo, traversata del
mar Rosso; tutto ciò si compì nella stessa notte. Evidentemente una finzione, agli
occhi degli storici, ma una finzione che raggiunge la verità profonda della storia.
Perché l’avvenimento costituisce un tutto: è la nascita di questo popolo, il primoge
nito di Dio. Di questo tutto unico, la festa e il pasto formano il primo anello della
catena: riuniscono i figli d’Israele nella fede ancor prima che essi abbiano visto le
grandi opere di Dio. Attraverso i secoli, a ogni Pasqua, continueranno a riunirsi per
confessare nella fede che Israele continua a far derivare da Dio la sua la sua iden
tità. E come, fin da questa prima cena, la fede era già speranza e attesa, così, attra
verso i secoli, ma n mano che Israele vede crescere contemporaneamente l a sua at
tesa e le sue cadute, la Pasqua diviene una festa messianica, in cui le meraviglie di
Dio nel passato sono il pegno di un futuro infinitamente più bello».13
Gv 13 non si sofferma a precisare e a dimostrare che il pasto di cui si parlerà è
il pasto della festa giudaica, ma fa entrare il lettore nel significato di quella Pasqua
di cui Gesù stesso è l’agnello (cf. Gv 1,29.36; 19,14.36). Ciò che viene quindi costan
temente anticipato non è tanto la Pasqua in se stessa, quanto il suo significato pro
fondo e decisivo: il dono di sé che Gesù fa per amore, rivelando l’Amore e comuni
candolo a coloro che non sono in grado di comprendere fin dove esso arrivi, anche e
soprattutto in quel momento. Ciò conferisce alla cena un carattere apocalittico,
come indica la menzione dell’«ora» fin dal v. 1.
Per quanto riguarda la notte della Pasqua propriamente detta, su cui Gv
13,1.30 insiste con forza, il Targum di Es 12,42 è il testo più significativo in propo
sito.14 Alla «prima notte», quella della creazione (Gen 1), questo «Poema delle
18 Gv 4,6.21.23.52.53.
19 La traduzione che viene proposta qui di seguito ricalca il testo dei Settanta.
20 Si tratta della principale variante della versione dei Settanta rispetto al Testo masoretico e an
che a Teodozione. Mentre questi ultimi testi dicono: «Senza intervento di mano», un’espressione che va
The Trial
intesa, Version
secondo la TOB, alla luce di 2,35.45, come «una presentazione molto s carna del futuro giudizi o di
Dio» (nota g) a Dn 8,25), la versione dei Settanta sembra suggerire l’intervento di una mano, di un atto
umano che affretterà la rovina (apodòsetai), affine alla «consegna» (paradidómi) di cui si parla a pr opo
sito di Giuda.
21 Ska, Le passage, si esprime chiaramente in proposito: «La gloria di D io sarà anche la salvezza
e poi nel Cantico dei tre giovani nella fornace (Dn 3,51.53.55.56). Assume in tal
modo tutto il suo significato.
v. 51 «Allora i tre, come da una sola bocca, si misero a cantare-un-inno e a glorifi
care e a benedire e ad esaltare Dio nella fornace dicendo: (...)
v. 53 “Che tu sia benedetto nel santuario della tua santa gloria,
cantato e colmato-di-gloria nei secoli! (...)
v. 55 Che tu sia benedetto, tu che sondi gli abissi,
tu che siedi sui kerubim,
che tu sia cantato e glorificato nei secoli!
v. 56 Che tu sia benedetto nel firmamento del cielo,
che tu sia cantato e glorificato nei secoli!”».
La prima delle benedizioni citate sopra (v. 53) include alcune reminiscenze
della vocazione di Isaia nel tempio (Is 6,1; cf. Gv 12,41). La tematica è anche crea-
zionale: quando Dio crea, crea un tempio per abitarvi. Ma il santuario (cf. 2,21) e la
gloria (cf. 2,11), nel Vangelo giovanneo, sono vocaboli densi di significato. Nella
scena del tempio, che nel quarto Vangelo apre la vita veramente pubblica di Gesù,
il santuario non è altro che il suo stesso corpo. E la gloria, oltre ad avere un posto di
rilievo nel prologo (1,14) conclude anche «il principio dei segni» a Cana (2,11).
La seconda benedizione di cui sopra (v. 55) rimanda anch’essa al tempio e
specialmente all’altare (Es 25,17-22). Messa in rapporto con il Vangelo di Gio
vanni, ci prepara a comprendere la posizione dei due angeli del mattino di P asqua,
seduti là dove era stato deposto il corpo di Gesù, «uno presso la testa e uno presso i
piedi» (20,12), nella scena in cui Maria di Màgdala, in lacrime, sta presso il sepolcro.
Il verbo della glorificazione non viene usato, perché Gesù è già stato glorificato in
III. L’alleanza
1. La fine dell’amore
2. La Scrittura
Tutti gli elementi dell’alleanza sono stati introdotti una prima volta. Bis repe
rita piacerti. Ma non si farà una semplice ripetizione. Per evitare questo, la Scrittura
costituisce una mediazione efficace. Se essa si compie in colui che parla, avrà tutta
la possibilità di potersi compiere in noi. Che cosa dirà questa Scrittura, se non di
nuovo l’alleanza, sempre più incisiva e più concreta? Elezione a cui bisogna credere
per viverne e far vivere di essa. L’elezione del traditore svolge infatti la funzione di
un «richiamo della storia». L’alleanza, per Dio che prende l’iniziativa, è sempre
consistita nel mantenere l’impegno contro tutte le rinunce dell’eletto. Nel momento
in cui la Scrittura si compie, le cose non possono andare in un altro modo. Anzi,
c'era da aspettarsi che un simile paradosso prendesse maggiormente corpo nella
carne del Verbo al momento della fine. Si tratta precisamente di ciò a cui bisogna
credere nel «presente» deH’avvenimento, carico di tutto ciò che seguirà. Quello che
peraltro viene annunciato, qui e adesso, non è il seguito della passione di Gesù, ma
sono le conseguenze di questo «adesso» nella missione dei discepoli. Con l’autore
volezza del duplice Amen, viene garantita la certezza che nell’accoglienza dell’in
viato si verifica l’accoglienza di colui che invia, essendo egli stesso inviato! All’al
leanza viene promesso questo futuro, che invita a preoccuparsi in primo luogo delle
condizioni dell ’invio e dell’invio stesso. L’alleanza e la sua celebrazione apparte n
gono all’ordine del sovrappiù. E devono continuare ad appartenervi.
3. L'amore glorificato
UnVersion
The Trial altro motivo induce a riprendere per la seconda volta il movimento di que
sta alleanza che arriva a compimento dando compimento alla Scrittura. È il posto
che assume, a partire da Gv 13,23, il discepolo che Gesù amava. Tutto avviene
come se quest’ultimo ci permettesse di considerare la medesima realtà non più
dalla parte di Gesù che cerca di farsi comprendere, ma dalla parte di colui che l’ha
1 Questi termini sono stati propagati dalla linguistica saussuriana (si veda in proposito: Y. Si-
moens, «Linguistique saussurienne et théologie», in RSR 61 [1973], 7-22). La sincronia, dal punto di vista
The Trial Version
dell'approccio letterario dei testi, c erca di rendere conto della loro organicità all’ultim o stadio della loro
redazione, se questa si è estesa per un certo lasso di tempo. In base al principio secondo cui il tutto è
qualcosa di più della somma delle parti, ed è percepito in modo diverso a seconda dell’orizzonte in cui il
lettore si colloca, bisogna aspettarsi una varietà di percezioni e di interpretazioni possibili. L’assenso
verrà raccolto da quella che integra il maggior numero di dati e che si rivela più ricca e più capace di toc
care altri lettori. Sarebbe comunque vano cercare di neutralizzare la soggettività.
- in 16,1:
«Queste-cose vi ho detto (= parlato) affinché
non siate scandalizzati».
- in 15,11:
«Queste-cose vi ho detto (= parlato) affinché
la gioia, la mia, sia in voi,
e la vostra gioia sia compiuta».
- in 16,6:
«Ma poiché vi dissi (= parlai) queste cose,
la tristezza ha colmato (= compiuto) il vostro cuore».
- in 14,25:
«Queste-cose vi ho detto (= parlato)
rimanendo presso di voi».
Questa serie di sette occorrenze, spesso rilevate dagli esegeti, viene da noi uti
The Trial Version
lizzata ai finidi un’organizzazione letteraria e di un’interpretazione del discorso.
Partiamo dal fatto che la prima formula - con hina - ha valore conclusivo in
16,33: conclude tutto il discorso. La formula conserva tale funzione anche negli altri
casi. Ma il posto che queste formule occupano all’interno del discorso è a sua volta
significativo. Cominciamo dal caso più semplice e più evidente. In 15,11, la formula
- in 16,3:
«E faranno queste-cose
perché non conobbero il Padre né me».
Tra le formule che abbiamo elencato, finora sono risultate operative soltanto
quelle con Azna-«affinché». Adesso è venuto il momento di ritornare su quelle che
non contengono la congiunzione finale hina. In numero di tre, queste ultime ci met
tono sulle tracce delle unità letterarie che si delineano all’intemo delle tre parti
principali che abbiamo individuato.
La prima in ordine di apparizione è infatti utilizzata in 14,25. Ha la funzione di
delimitare l’ultima unità di Gv 14. Può dare luogo a un’inclusione con una formula
simile che si trova in 14,30:
The Trial Version
- 14,25:
«Queste-cose vi ho detto (= parlato)
rimanendo presso di voi».
Un'analoga ripartizione ritorna nell’ultima parte del discorso per quanto ri
guarda la sua ultima unità. Questa è introdotta da 16,25, che a sua volta dà luogo a
un’inclusione con 16,33:
- 16,25:
«Queste-cose vi dissi (= parlai) per enigmi;
viene un’ora in cui non più per enigmi
vi parlerò,
ma pubblicamente vi comunicherò a proposito del Padre».
- 16,33:
«Queste-cose vi ho detto (= parlato) affinché
in me abbiate pace;
nel mondo avete (la) prova, ma abbiate-coraggio:
io ho vinto il mondo».
- 16,6:
«Ma poiché vi ho detto (= parlato) queste-cose,
la tristezza ha colmato (= compiuto) il vostro cuore».
Risulta in tal modo delimitata la prima unità di 16,4-33, e cioè 16,4-20. L’ul
tima unità era già stata definita (16,25-33). Gv 16,21-24 occupa il posto dell’unità
centrale. Emerge quindi un parallelismo abbastanza netto fra 16,4-20 e 16,25-33, in
virtù della disposizione delle formule esaminate e di alcuni assi sussidiari che si deli
ncano più chiaramente grazie al confronto delle due unità:
Formula con hina Formula senza hina
Venuta della «loro» ORA Venuta dell’ORA
Tristezza
MONDO Pace-prova
Tristezza-gioia MONDO
Amen, amen
I versetti centrali (w. 21-24), a loro volta conclusi da un’ultima formula aperta
da Amen, amen, riuniscono questi assi:
L’ORA della donna
Tristezza-prova-gioia
il MONDO (ma nel senso positivo del termine)
Amen, amen
- 14,21:
«Colui che-ha i miei comandamenti
e che-li-custodisce, quello è colui che-mi-ama;
ora colui che-mi-ama sarà amato dal Padre mio,
e io lo amerò».
- 14,23:
«Se-eventualmente qualcuno mi ama,
custodirà la mia parola,
e il Padre mio lo amerà».
- 14,24:
«Colui-che non mi ama,
non custodisce le mie parole».
La nostra analisi, che ha voluto essere il più possibile formale e libera da posi
zioni aprioristiche, ha evidenziato per il discorso dell’ultima cena un’organizza
zione letteraria solida e nello stesso tempo significativa.
The Trial Version
1. La prima parte del discorso: Gv 14
Questo capitolo può benissimo essere stato seguito, in una determinata fase
della redazione del testo, dal racconto della passione che si apre in Gv 18.
2 Questo tipo di formulazione è persino ridondante in 14,11: fra i due «credete» che costituiscono
gli estremi di un primo chiasmo, se ne inserisce un altro; letteralmente:
«io nel Padre
e il Padre in me».
3 Secondo la terminologia introdotta da M. Noth (si veda ad esempio Dt 5,10; 7,8 [con riferi
mento a JHWH stesso]; 7,9.12-13; 10.12-13; 11.1.13.22; 19,9; 30,16.
4 Ricordiamo che trova qui il suo fondamento scritturistico la distinzione che in seguito verrà
fatta tra «nature» e «persone».
5 Uno dei grandi testi veterotestamentari implicit amente richiamati da Gv 15.1-11 è senza dubbio
The Trial Version
il «canto della vigna» di Is 5,1-7, un esempio di «cantico», una forma tipica del genere sapienziale, e di
«processo», una forma tipica del genere profetico.
’ Le uniche altre occorrenze in tutto il corpus giovanneo si trovano in 6,70 - già a proposito di
Giuda - e in 15,19, dove il verbo esprime una nota positiva di speranza nel rapporto col mondo, facendo
eco a 15,16.
7 Come vorrebbe E. Kasemann.
Da un punto di vista stilistico e retorico, basta dare uno sguardo al seguito del
testo per notare la ridondanza delle frasi. Il lettore può avere l’impressione di una
sorta di surplace. La frase che dà maggiormente questa sensazione è quella del v.
16, ripresa nei versetti seguenti (w. 17-19):
«Un poco e non mi contemplate più, e di nuovo un poco e mi vedrete».
Gli ultimi due passi sullo Spirito, a differenza degli altri, si susseguono in que
sto contesto (16,7-11.12-16), il che è ugualmente significativo. In questo senso, lo
Spirito costituisce il principio di intelligibilità di un «segnare il passo», che f orse è
voluto per suggerire un «camminare» (v. 13).
Una trovata geniale è il passaggio al simbolismo del corpo femminile per en
trare in una comprensione non speculare ma relazionale di questa realtà spirituale.
In tal modo, il testo reca in sé la propria norma ermeneutica. Soltanto attraverso il
corpo femminile si potrà capire in che cosa consiste la trasformazione della «tri
stezza» in «gioia» grazie al «camminare» reso possibile dallo Spirito. 9 Questo corpo
è il luogo per eccellenza, originario e universale , il più semplice e il più complesso, il
più acce ssibile e il più enigmatic o, della compatibilità di tristezz a e gioia. La realtà
femminile spiega questa conciliazione dei contrari in termini di parto. I dolori e la
gioia del parto fanno subito comprendere che cosa succederà quando colui che
parla in prima persona singolare («io») «vedrà» gli interlocutori a cui si rivolge in
seconda persona plurale («voi»). La gioia promessa si realizzerà grazie all’espe
rienza dell’essere esauditi nella preghiera. Secondo l’organizzazione da noi propo
sta per l’insieme del quarto Vangelo, questa venuta di Gesù rimanda alla sua prima
«venuta» «nel mezzo», la sera del giorno di Pasqua (20,19-23; cf. soprattutto il v.
20). Ma bisogna rispettare il suo carattere enigmatico entro i limiti di quest’ultima
parte del discorso e del suo centro simbolico per coglierne tutta la coerenza lettera
ria e teologica.
Questa coerenza risulta ancora più profonda quando il testo viene letto nella
sua totalità sincronica, tenendo conto in particolare della concatenazione delle
parti e dei loro rispettivi centri. Lo schema seguente cerca, nei limiti del possibile, di
mettere in luce tutto ciò.
8 II terzo passo sul Paraclito, in 15,26-27, mette a sua volta in evidenza la dinamica propriamente
spirituale della testimonianza dei discepoli. Se il «come» è possibile, lo è grazie allo Spirito. La dimen
sione
The trinitaria
Trial del rapporto di Gesù con i credenti nel la Chiesa è quindi ugualmente ineluttabile. Poiché
Version
ama il Padre, il Figlio ama i suoi di un amore totale, dando loro la facoltà di amare come egli ama, in
mezzo ai peggior i confl itti. Questo amore e questo dono presuppongono e rivelano lo Spir ito. Ecclesio
logia e cristologia si intrecciano nella teologia trinitaria (cf. soprattutto 15,26).
’ La «via» che Gesù, in 14,6, afferma di essere, in 16,3 diventa il «camminare» che lo Spirito farà
fare ai discepoli. Si noti la coerenza del simbolismo da un estremo all’altro del discorso.
Procederemo nel modo più semplice, seguendo il testo passo per passo in base
all’interpretazione che abbiamo proposto per Gv 13 e all’organizzazione che ab
biamo individuato per il discorso nel s uo insieme. I punti controversi verranno se
gnalati man mano che si presenteranno. Si valutano meglio, infatti, se inseriti nel
contesto di una dinamica unitaria. La prima unità (14,1-14) è collocata sotto il se
gno del credere, con risonanze che risultano sorprendenti anche a un lettore che co
nosce bene il Vangelo. L’unità centrale (14,15-24) orchestra il rapporto fra amare
Gesù e osservare i comandamenti, sulla Enea dei passi che riguardano il credere.
L’ultima unità (14,25-31) sintetizza infine il movimento precedente, articolando
amore e fede. 11 secondo passo sullo Spirito, il Santo, in 14,26, interviene a comple
tare il primo sul Paraclito, lo Spirito della verità (14,16-18). La pace (14,27) e la
gioia (14,28), che costituiscono l’effetto, a livello affettivo, del credere e dell’amare,
suggellano questo momento di sintesi.
1 M. Jousse, «Il formulismo. Le formule targumiche del Pater», in L’antropologia del gesto (Col
lana di antropologia 3), Ciniscllo Balsamo 1979,329-389; «Formulisme et anthropologie du langage», in
L'anthropologie du geste, III, Paris 1978, 147-197.
2 J. B eutler mette in evidenza soprattutto il Salmo 42-43: Habt Keine Angst. Die erste johannei-
The
scheTrial Version (Joh 14) (SBS 116), Stuttgart 1984. Alcune reminiscenze più esplicite fanno meglio
Abschiedsrede
apparire l’affinità di Gv 14 con il discorso d’addio di Mosè nel Deuteronomio e con la letteratura profe
tica. Pur non potendo accettare senza riserve l’ipotesi dell’autore citato, che vede nei vv. 1-14 un midrash
del Salmo 42-43. non possiamo che condividere in pieno la sua suddivisione di Gv 14: vv. 1-14: l’annuncio
della partenza di Gesù come midrash del Salmo; vv. 15-24: la triplice promessa della venuta di Gesù alla
luce della teologia veterotestamentaria dell’alleanza; vv. 25-31: i doni escatologici di Gesù.
Tutti questi passi sono deuteronomistici, osserva con ragione J. Ashton.4 Ci ri
mandano a un preciso contesto storico e cultuale: quello della morte di Mosè e della
successione di Giosuè. Altre due situazioni analoghe sono paragonabili a questa e
devono essere evocate: la morte di Davide con la successione di Salomone (IRe
2,1-9),5 e la successione di Eliseo a Elia (IRe 19). Il passaggio dei poteri da Mosè a
Giosuè è descritto in Dt 31,14-15.23 e in Gs 1,1-9, nella forma di un oracolo di sal
vezza il cui Sitz-im-Leben sembra essere da cercare nel culto.
«La tenda del convegno è ciò che il suo nome suggerisce: a differenza del
l’arca, è il simbolo non della presenza costante di Dio, ma dei suoi interventi occa
sionali nelle faccende del popolo. Ma si tratta di un tipo particolare di oracolo di
salvezza. La promessa conclusiva è caratteristica di questa forma di oracolo; l’esor
tazione a “essere forte” e l’uso tecnico del verbo del mandato (piel di swh) mo
strano che l’oracolo di salvezza e il mandato (originariamente forme indipendenti)
sono stati combinati fra loro. (...) Il passaggio, a sua volta, si presta chiaramente a
essere configurato come un testamento».6 7
L’espressione: «Non temere! Non t emete!», soprattutto con il verbo phobeist-
hai, è attestata anche dalla letteratura profetica, in particolare in Isaia:
«Non temere e il tuo cuore non si abbatta per quei due avanzi di tizzoni fumosi!»
(Is 7,4).’
The Trial Version in questo modo i due verbi spesso accostati: phobeisthai e deilian.
3 Traduciamo
4 J. Ashton, Understanding thè Fourth Gospel, Oxford 21993, 456, nota 26.
5 Ivi, 448.470.
6 Ivi, 454.
7 Cf. Is 8,12; 10,24; 35,4; 37,6; 40,9; 41,10.13-14; 43,1.5; 44,2; 51,7; 54,4.14.
8 «Soltanto l’amore è degno di fede» (H. Urs von Balthasar).
9 Gv 2,16; cf. Sai 69,10. La tesi di J. McCaffrey, The House with Many Rooms. The Tempie
Theme ofJn. 14,2-3 (AnBib 114), Roma 1988, mette in risalto questo simbolismo del tempio. Per quanto
ci riguarda, tuttavia, non adottiamo acriticamente le sue riflessioni sul «nuovo tempio»: l’espressione
può dare adito a equivoci, come abbiamo segnalato nella nostra analisi di Gv 2,13-25. Stranamente, J.
Ashton prende le distanze da questa tesi (Understanding, 461, nota 35), ammettendo che il simbolismo
del t empio è presente nel nostro test o e seguendo E.C. Hoskyns in questa direzi one (pp. 465-466; 473).
Egli sembra criticare il carattere troppo realistico del rapporto con il tempio secondo McCaffrey.
10 Nel seguito del Vangelo: il «luogo» di 5,13 rimanda a un posto vicino alla piscina probatica:
siamo sempre nel contesto del tempio; 6,10.23 evoca il luogo in cui si svolge l’episodio dei pani; 10,40, il
luogo in cui Giovanni in un primo tempo battezzava; 11,6, il luogo dove Gesù si trattiene prima di recarsi
The Trial Version
da Lazzaro; 11,30, il luogo dove Ma rta gli va incontr o. In questi versetti, il significato di «tempio» risulta
attenuato, anche se è probabile che non vada totalmente escluso a livello implicito. Tale significato rie
merge invece con forza nell’ultimo testo in cui il termine si ripresenta prima di 14,2, sulle labbra dei
sommi sacerdoti e dei farisei: «Se lo lasciamo così, tutti crederanno in lui, e verranno i romani, e porte-
ranno-via e il nostro luogo e la nostra nazione» (11,48). Il termine, qui, è praticamente sinonimo di «po
polo», perché «il tempio» è simbolo della presenza di Dio in mezzo al suo popolo.
11 II versetto collega esplicitamente la via con la vita (cf. Gv 14,6). Cf. Dt 6,7; 8,2 - in senso più
geografico 9,12.16 (allontanarsi dalla via); 10,12; 11,22 (le sue vie); 11,28; 13,6; 14,24 (correlazione tra
la «via» e il «luogo»). Il term ine viene spesso usato per indicare la Legge nei Salmi e nei Proverbi: cf. «le
due vie» del Salm o 1 e di Pr 4,18-19; Sai 119,lss; Pr 16,17. Per il rapporto tra «via» e «Sapienza», si veda
Pr 8,22; Bar 3,23; tra «via» e «verità»: Sap 5,6. La radice verbale utilizzata in Dt 5,33 per «seguire la via»
(liala/c) si ritrova nel termine halakah, che indica l’interpretazione normativa della Legge per il giudai
smo.
The Trial12 Version
In realtà, 7,34.36 non è identico a 13,33:
«Dove io sono, voi non potete venire» (7,34.36).
Di ciò si dimostra consapevole Ashton, che fa riferimento a questi versetti soltanto ai fini della
comprensione del verbo hypagò: «Il suo viaggio ha una meta: Gesù va verso colui che l’ha inviato» (Un-
derstanding, 449).
13 Come fa Mollat, Fase. BJ 1973: «Per i giudei, la separazione da Gesù sarà definitiva (8.21);
Il luogo verso cui è diretto Gesù, menzionato per tre volte - o quattro, com
prendendo 7,33-34.36 -, è chiarito dai due tempi della glorificazione, in 13,31-32 e
nel c. 17. «Là dove io me-ne-vado, (voi) sapete la via», perc he avete visto la via che
ho seguito fino ad oggi. Conforme alla Legge e alla Sapienza della vita, è la via del-
FAmore glorificato! Il problema non è quello di considerare il «luogo» a due livelli,
ad esempio pre e/o post-pasquale, tenendo conto di ciò che deve ancora avvenire
ed essere narrato. I dati forniti fin qui permettono di leggere il testo a due livelli di
glorificazione. A un primo livello, Gesù è già stato glorificato nella notte in cui si è
immerso Giuda. I discepoli sono stati testimoni di quell’amore che, raggiungendo la
sua piena manifestazione a favore del traditore, permette a Gesù di presentarsi
come il Figlio dell’uomo già glorificato. A questo titolo, la sua via è già svelata e ri
conoscibile attraverso l’esempio che egli dà. Ma altre informazioni devono ancora
venire dalla preghiera glorificatrice. Nell’atto di quella preghiera di totale abban
dono al Padre, il Figlio conosce un secondo momento di glorificazione, a sua volta
percepibile come una via che prosegue. Questa seconda tappa della glorificazione
rimanda senza dubbio alla passione-risurrezione che segue, e da cui è indissociabile,
ma l'anticipa in un modo così reale che in seguito il racconto non conterrà più il vo
cabolario di una glorificazione già avvenuta. In questa prospettiva, quella via che
Gesù è, dopo essersi rivelata nel suo amore di predilezione per colui che lo tradisce,
si rivela nella preghiera totalmente filiale che egli rivolge al Padre. L’uno e l’altra,
l’amore glorificato e la preghiera glorificatrice, tracciano una via che i discepoli
sono in grado di conoscere e di sperimentare.
Si delinea in tal modo un’ottica s acerdotale. Le trasformazioni del sacerdozio
giudaico sono operate da Gesù in quanto Figlio dell’uomo glorificato. In queste
condizioni, il simbolismo della «via» appare particolarmente adatto a veicolare una
glorificazione in due tempi nonché la que stione de lla mediazione svolta dal sacer
dozio. Gesù come via fa da supporto all’ordine delle mediazioni fra Dio c l’uomo
nell’Antico Testamento e nelle religioni, un ordine garantito per l’appunto dall’isti
tuzione sacerdotale.
Senza ratificare la sua suddivisione del testo e il suo modo di considerare l’in
troduzione del v. 6, non si può che essere d’accordo con I. de la Potterie * 14 su diversi
punti della sua argomentazione relativa a Gv 14,6. La verità trova il suo sfondo ve
per i discepoli sarà temporanea, perché Gesù tornerà a cerca re i suoi ed essi lo raggiungeranno nella glo
ria (14,2-3)».
14 I. db la Potterie, «“Je suis la voie, la vérité et la vie” (Joh 14:6)», in NRT 88(1966), 917-926, ri
preso in La vérité, I, 249-253.
La fine del v. 10: «Il Padre, che-rimane in me, fa le sue opere», esprime inoltre
- seconda osservazione - il fondamento del credere, facendo eco all’affermazione
centrale della prima unità letteraria del discorso sul pane della vita (6,29):
«Questa è l’opera di Dio, che (voi) crediate in colui che egli inviò».
L’enigma degli ultimi versetti (14,11-14) di questa prima unità letteraria (14,1-
14) è messo in risalto dalla formula solenne: «Amen, amen, vi dico», che sottolinea
il loro carattere conclusivo. Innanzitutto viene ricordato ancora una volta l’ordine
della fede, tramite la costruzione caratteristica (cf. 14,1) del v. 11:
«CREDETEMI che io (sono) nel PADRE
e IL PADRE in me:
se no a causa delle opere stesse CREDETE».
Un primo chiasmo è delineato dal rapporto fra «io» e «il Padre». Questo rap
porto è definito con il termine che permette di manifestare la loro unità. Il tutto è
compreso fra le due occorrenze dell’imperativo: «Credete».
Questa struttura dell’atto del credere permette di attribuire ai credenti opere
più grandi di quelle del Figlio, perché quest’ultimo va al Padre. Spiegare questo
fatto con l’espansione dei credenti nel tempo e nello spazio in contesto di risurre
zione, un’espansione impossibile per il Gesù terreno,20 non basta a giustificare la
forza di tali affermazioni. Un altro punto del capitolo ricorre al medesimo compara
tivo «più grande». Si tratta del v. 28:
«Se mi amaste, avreste gioito (del fatto) che vado al Padre, perché il Padre è più
grande di me».
18 H. Urs von Balthasar, La fai du Christ. Cinq approches christologiques, (Foi vivante 76), Pa
The Trial Version
ris 1968.
19 J. Guillet, La fede di Gesù Cristo (Già e non ancora. Pocket), Milano 1982.
20 Ashton, Understanding, 470: «Più grandi, si può supporre, in quanto non sono ostacolate,
come avveniva per Gesù nel corso della sua vita terrena, da vincoli di spazio e di tempo». In nota, l’au
tore cita Bultmann, osservando che quest’ultimo rileva l’affrancamento da limiti temporali ma nega la
pertinenza della grande espansione geografica del cristianesimo primitivo.
Lina prima particolarità del v. 15 salta subito agli occhi. Si tratta del risalto
dato all’aggettivo possessivo nell’espressione: «i comandamenti, i miei». A che cosa
si allude? Nel contesto è stato formulato un solo comandamento, in 13,34-35. Il co-
mandamento nuovo ricapitola e condensa tutti gli altri comandamenti possibili. Il
ritorno
The del plurale sembra invitare qui a prendere in considerazione la pluralità
Trial Version
delle miswoth, caratteristica del la pietà giudaica e dei codici legislativi, con partico
lare riferimento al codice deuteronomico, dal momento che il Deuteronomio si
profila sullo sfondo del brano. Questa pluralità viene fatta propria da Gesù in
quanto Figlio dell’uomo glorificato nel primo tempo della sua glorificazione (13,31 -
21 Uniche occorrenze, oltre a quella di Gv 14.16: 14,26; 15,26; 16,7; lGv 2,1.
The Trial
22 Version
L’unica occorrenza veterotestamentaria del termine, al plurale, con il significato di «consola
tori», si trova in Gb 16,2 secondo Simmaco e Teodozione. La versione dei Settanta ha: paraklétores.
23 Per Cirillo di Alessandria, come già per Teodoro di Mopsuestia, nel suo modo di parlare Gesù
lascia emergere la dualità delle sue nature: la natura umana attraverso cui prega il Padre di dargli il Para
clito; la natura divina in virtù della quale egli è , insieme al Padre, donatore dello Spirito. Lo stesso ragio
namento vale per Gv 14,26 (Ferraro, Lo Spirito Santo, 100-102.107-109).
25 Hapax giovanneo, questo verbo è chiarito dal verbo phanèroun, utilizzato in Gv 21,l(bis).14.
27 «Sono gli unici due testi del Nuovo Testamento in cui il verbo “insegna re” ha come soggetto lo
Spirito Santo. Sono gli unici due testi di Le e di Gv in cui il verbo “insegnare” è costruito con un doppio
accusativo, una costruzione classica che si trova anche in A t 21,21» (B oismard - L amouille, L’évangile
de Jean, 360).
28 «Nella rivel azione di queste cose che, in modo ineffabile è data a noi per mezzo dello Spirito,
contempliamo la sublimità dell’incarnazione e la potenza del mistero nascosto. Il suo Spirito poi, dimo
rando nei santi, riempie la presenza e la potenza del Cristo e insegna tutte le cose che egli ha detto...»
The Trial Version
(Cirillo di A lessandria, Commentarli in Johannem X, in PG 74.301D-304A; ed. Pusey, II, 507-508
[Commento al vangelo, 111,162], citato da Ferraro, Lo Spirito Santo, 109).
29 Is 57,19; 60,17; 66,12; cf. Gv 20,19.21.
30 Per quanto riguarda il complesso movimento sviluppato a tale proposito, si veda Simoens, La
gioire d’aimer, 227-231. Non bisogna abusare, in questo contesto, della terminologia del «cielo» (cf. Ash-
ton, Understanding, 452.461.465).
Il passaggio dal prologo (1,1-18) al seguito del racconto (l,19ss) introduce una
prima frattura, segnalata da un cambiamento di stile: all’inno dell’inizio del capitolo
subentra lo stile narrativo con cui viene descritto l’ingresso di Giovanni sulla scena
della storia. Questo fatto, che molte volte passa inosservato, attira l’attenzione su
certe variazioni di livello nella redazione e nella lettura del testo.
Una transizione viene predisposta fra la conclusione delle nozze di Cana
(2,12) e la prima salita a Gerusalemme. Ma non si trat ta di una cosa ovvia. Nel Van
gelo di Giovanni, la vita pubblica di Gesù comincia qui, mentre nei Sinottici si con
clude con questo avvenimento, che affretta la condanna di Gesù.
L’incontro fra Nicodemo e Gesù si distacca dall’episodio della purificazione
del tempio, introducendo un genere composito in cui si mescolano dialoghi e mono
loghi. Questo universo formale obbedisce a norme proprie, affini ma diverse ri
spetto a quelle delle altre tradizioni evangeliche.
Man mano che si procede, tutto può sorprendere in questo senso. Giovanni
Battista assume un ruolo particolare, scomparendo abbastanza presto dal racconto,
con il suo discorso conclusivo che non trova un equivalente nelle altre tradizioni
(3,23-36). L’episodio della Samaritana, con la funzione che gli viene assegnata, po
trebbe a sua volta essere considerato come una rottura nella catena narrativa, dal
momento che implica una sosta in una regione che Gesù, secondo le altre testimo
nianze, frequenta ben poco.
The Trial Version
La guarigione dell ’infermo presso la piscina probatica (5,1-18), inserita dopo il
secondo segno a Cana (4,46-54) e introdotta da: «Dopo queste-cose», appare a molti
come un’imperizia redazionale. Il discorso sull’opera del Figlio (5,19-47) interrompe
la trama narrativa e può non avere una funzione nello schema del racconto.
Gesù continua il suo discorso dopo Gv 14. Il testo canonico non attesta nes
suna variante su questo punto. Che cosa significa l’irruzione di: «Io sono la vite...
Voi siete i tralci», dopo l’invito di Gesù ad andare via? Diversi punti salienti meri
tano di essere ricordati. Colui che parlava in Gv 14 già suscitava stupore, perché la
sua parola scaturiva dalla sua glorificazione. Una continuità nella rottura era già as
sicurata da questa modalità di parola, che esprimeva una presenza nell’assenza: la
presenza del Verbo nel Figlio dell’uomo glorificato.
Il deciso ritorno della formula: «Io sono», dopo revocazione della partenza in
Gv 14,31, allude già a una realtà che appartiene all’ ordine della risurrezione. Colui
che parla non smette di partire. Ma non smette nemmeno di ritornare. Questo com
plesso movimento esprime anche il gioco del Verbo nelle nostre vite, oggi.
È di nuovo possibile identificare tre unità letterarie, distinte sul piano for
male. La maggior parte degli esegeti continua a individuare due brani antitetici,
uno sulla vite (15,1-17) e l’altro sul mondo (15,18-16,4a). In questo modo si corre
realmente il rischio di una lettura dualistica.4 La formula retorica: tauta lelalèka hy-
min hma-«Queste-cose vi ho detto (= parlato) affinché», risulta qui di grande aiuto.
Il suo impiego in 15,11 permette di delimitare la prima unità letteraria riguardante
la vite e le sue implicazioni. Si ritornerà ancora sul simbolismo della vit e, e in parti
colare del «frutto» che è il suo grande obiettivo, fino al v. 16. Una s uddivisione non
equivale necessariamente a una paratia stagna. Il fatto che si parli del «frutto» della
vite fino al v. 16 non esclude la chiara presenza di una pausa, determinata da una
prima conclusione che si delinea in 15,11.
La stessa formula retorica con valore conclusivo ritorna in 16,1. Questa volta
si tratta della conclusione del brano introdotto dalla prima occorrenza del verbo
mz.vezn-«odiare» (il contrario di agzzpzm-«amare») in 15,18. Gv 15,12-17 costituisce
dunque l’unità di mezzo, consacrata alla duplice ripresa del comandamento nuovo
(cf. 13,34-35: 15,12 e 17).5 Si tratta del passaggio obbligato per arrivare a ciò che
viene detto subito dopo a proposito dell’odio del mondo, a cui si guarda attraverso
il prisma dell’amore reciproco. Eventuali accenti dualistici ne risultano fortemente
smorzati.
4 Nella ricerca attuale, sembra che si stia attenuando la tendenza a vedere nella t eologia giovan
nea un dualismo improntato alla gnosi. Lo studio di M. Hengel opera un riequilibrio tra influsso giu
daico ed ellenistico suirinsieme del Nuovo Testamento: Judaism and Hellenism. Studies in their Encoun-
ter in Palestine during thè Early Hellenistic Period, SCM Press Ltd, London 21991 (trad. ingl. di J. Bow-
den della seconda edizione tedesca, riveduta e accresciuta, del 1974). Questo autore mette in luce la
«terribile semplificazione», ampiamente diffusa, del problema del rapporto fra mentalità giudaica e
The Trial Version
mentalità ellenistica nel contesto biblico. Ma soltanto l’attenzione al testo evangelico impedisce di
proiettare su di esso certi schemi di pensiero dualistici. Non si può attendere dall’ellenismo una corre
zione della gnosi mandea, valorizzata da R. Bultmann e dalla sua scuola.
5 Questo non comporta nessuna «restrizione» della figura letteraria del parallelismo (si veda il
velato rimprovero che a tale proposito ci viene rivolto da G. Korting, Die esoterische Struktur). Il paral
lelismo si completa e si rafforza tramite altre figure letterarie da cui risulta precisato e calibrato.
Tutto consiste nel «rimanere» in Gesù-vite, rimanendo nel suo amore come
lui rimane nell’amore del Padre.
Anche i versetti collocati ai due estremi della sotto-unità (vv. 8 e 11) si richia
mano a vicenda:
v. 8
- Pincipale: complemento + verbo
- Subordinata con bina: complemento + verbo
- Espansione: congiunzione coordinativa «e»
v. 11
- Principale: complemento + verbo
- Subordinata con bina:6 complemento + verbo + complemento
- Espansione: congiunzione coordinativa «e»
Ciò che abbiamo detto sopra può essere ripetuto per l’unità centrale. Que
st’ultima ha come principale caratteristica quella di offrire una rilettura di Gv 13. Il
rapporto di Gesù con i suoi viene ripreso sul piano della storia dei rapporti fra il po
The Trial Version
0 Dal punto di vista del significato, questo hina ha senza dubbio un va lore diverso da quello as
sunto dalla stessa congiunzione nel v. 8: là era espletiva, qui è finale; ma l’affinità formale dei due enun
ciati è palese.
sima valutazione sulle cause della sua m orte ritornerà in At 3,17; 13,27; ICor 2,8. Il diacono St efano pre
gherà con lo stesso spirto (At 7,60), seguendo l’esempio lasciato dal maestro a tutti i discepoli (lPt 2,23;
cf. Mt 18,21-22)».
Gesù ritorna dunque, in 15,22-25, su ciò che costituisce l’essenza del peccato.
Nessuno è condannato, ma ogni coscienza è messa a nudo davanti a Dio, davanti al
Cristo e davanti a se stessa. L’argomentazione si sviluppa in quattro fasi che ven
gono ripercorse per due volte sotto forma di spiegazione progressiva.
Nelle due sequenze, il punto di partenza è una condizionale del tipo della
realtà, c he nel primo caso (v. 22) verte sull a venuta e sulla parola di rivelazione di
Gesù, e nel secondo (w. 24-25) sulle sue opere assolutamente uniche. Se queste
due condizioni non si fossero realizzate, «peccato non (ne) avrebbero». Questa pro
posizione ritorna, negli stessi identici termini, per due volte. Il peccato viene deli
neato con riferimento alla parola e alle opere di Gesù in quanto Figlio. Tuttavia
non viene ancora formalmente definito né come incredulità, né come assenza di
amore. Il terzo tempo della r iflessione è introdotto ogni volta da «Ora adesso», nel
senso di: «In realtà», dopo una condizionale del tipo deU’irrealtà. Si tratta dell’esi
genza di attualizzazione dell’alleanza. Questa volta ci troviamo di fronte alla desi
gnazione e splicita del peccato come «odio» nei confronti di Gesù e del Padre, reso
ancora più grave dal fatto di aver «visto» le opere. Si può sostenere di non aver
udito, ma non si può negare di aver visto. Questa definizione del peccato in termini
di odio nei confronti del Figlio e del Padre, del Padre nel Figlio, è esattamente il
contrario dell’amore del Padre per il Figlio e del Figlio per noi. Ma ciò che è mag
giormente degno di nota è il fatto che questa severa definizione non va assoluta-
mente nella direzione di una logica di rivincita. Questa e sigerebbe uno sviluppo an
titetico del tipo: «Colui che mi odia, lo odierò, e il Padre mio lo odierà».
Al culmine della rivelazione del peccato corrisponde il culmine della miseri
cordia, con l’offerta di una conversione sempre possibile. Il peccato, rivelazione
della distruzione di sé tramite la distruzione dell’altro e di Dio nell’altro, è accom
pagnato da una separazione da ciò che in tal modo è manifestato come opera di
morte. Il peccato in quanto odio distrugge. Questa distruzione si rivela senza fonda
mento. La Legge, intesa come «insegnamento»-7bra/i, riassunta in termini sapien
ziali tramite una citazione dei Salmi, è chiamata in causa come testimone di questa
rivelazione del male sullo sfondo di una sovrana bontà:
Sai 35(34),19
«Non esultino su di me
i nemici bugiardi,
non strizzi l’occhio
chi mi odia senza motivo (= gratuitamente)».
Sai 69(68),5
«Più numerosi dei capelli del mio capo
The Trial Version
sono coloro che mi odiano senza ragione (= gratuitamente)».
L’abisso della gratuità nel male è imm erso ne ll’abisso ancora più i nsondabile
della gratuità nella bontà creatrice e salvatrice. Questa interpretazione scaturisce
rigorosamente dal testo.
Il terzo passo sul Paraclito si inserisce a questo punto, con nuove e importanti
delucidazioni. Della sua «venuta» non si era ancora parlato. Questa volta si parte di
qui: «Quando verrà il Paraclito». In 14,26 si diceva che sarebbe stato mandato dal
Padre nel nome di Gesù, il Figlio. Qui si dice che il Figlio lo manderà da presso il
Padre, il che indica una complementarità nell’invio. All’espressione: «Lo Spirito
della verità», viene aggiunta una nuova precisazione: «che dal Padre procede (efc-
poreuetai)», formula che sarà ripresa dal concilio di Nicea. 8 Nel contesto, la novità
principale riguarda il suo ruolo di testimonianza, che permette anche la testimo
nianza dei discepoli.9 In questa evocazione dei rapporti conflittuali fra la vite e il
8 «Il Filioque della tradizione latina, se situato in un corretto contesto, non deve condurre a una
subordinazione dello Spirito Santo nella Trinità. Anche se la dottrina cattolica afferma che lo Spirito
Santo procede dal Padre e dal Figlio nella comunicazione della loro divinità consustanziale, essa ricono
sce tuttavia la realtà della relazione originale che lo Spirito Santo intrattiene con il Padre in quanto per
sona, relazione che i Padri greci esprimono con il termine ekporeusis. (Nota 5: “Le due relazioni del Fi
glio al Padre e dello Spirito Santo al Padre ci obbli gano a porre nel Padre due relazioni, riferendo l’una
al Figlio e l’altra allo Spirito Santo [S. Tommaso d’Aquino, Stimma theologica, la, q. 32, a. 2, c]”)» (Pon
tificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Chiarificazione La processione dello Spi
rito Santo, EV 14/2986).
’ All’indicativo presente: «Voi siete miei testimoni» (A. Loisy, Le quatrième Évangile, Paris
1903, 769); «Voi siete testimoni» (M.-J. L agrange, Évangile selon Saint Jean [EBib], Paris ’1936, 413);
«EdTrial
The anche voi rendete testimonianza» («End auch ihr legt Zeugnis ab»: Schnackenburg, Das Johanne-
Version
sevangelium, 111,134) [L’edizione italiana traduce erroneamente al futuro: S chnackenburg, Giovanni,
III.192. V<//?[. Molti altri adottano il futuro, forse influenzati dalla Volgata, senza che ciò abbia un fon
damento nel testo criticamente non controverso (C.K. Barrett; M.-E. Boismard - A. Lamouille; L.
Bouyer; R.E. Brown; R. Bultmann; E. Delebecque; Sr Jeanne d’Arc; X. Léon-Dufour: A. Marchadour;
TOB; H. van den Bussche). La testimonianza dei discepoli, al presente, sembra legata all’altro verbo che
segue, anch’esso al presente: «Poiché da(l) principio siete con me».
La maggior parte degli esegeti prolunga la parte precedente del discorso fino
a 16,4a. Per quanto ci riguarda, nella nuova occorrenza della formula: «Queste-
cose vi ho detto (= parlato) affinché...», preferiamo riconoscere l’indizio di una
conclusione di tutto il discorso. Il contesto rimane quello delle persecuzioni, prin
cipale oggetto delle considerazioni precedenti sull’«odio del mondo» (15,18-16,3).
Ma l’«ora», di cui si parla a partire da 16,2, nonché dalle nozze di Cana (2,4), ri
ceve adesso un trattamento esauriente. Con l’aggettivo possessivo: «La loro ora»
(16,4), domina la prima unità (16,4-20). Apre quindi l’unità centrale (16,21-24),
collocandola sotto il segno dell’«ora della donna»: «la sua ora» (16,21). Viene in
fine evocata in modo assoluto, senza articolo: «(un’)ora», all’inizio (16,25) dell’ul
tima unità (16,25-33) di quest’ultima parte, e anche dell’intero discorso. Ancora
una volta, vogliamo offrire una lettura del testo nella sua configurazione defini
tiva. Gli elementi letterari e il messaggio verranno messi in luce man mano che si
procederà nella lettura.
I primi versetti sono colmi di reminiscenze esplicite e implicite delle parti pre
cedenti del discorso, il che conferma il carattere conclusivo di quest’ultima parte.
Si parla di nuovo dell’«ora del mondo»: «la loro ora», quella dei persecutori
che pretenderebbero di salvare l’onore del loro Dio! Il peccato è sempre ispirato
dall’apparenza del bene. Quando passa per l’uccisione dell’altro, il frutto giudica
l’atto, qualunque sia la professione di fede a cui ci si appella. Quest’ora dovrebbe
essere l’ora del ricordo: di Gesù e della sua parola.
«Ricordatevi,1 perché ve l’ho detto!» (cf. 16,4).
Gv 15,27 sottolinea il rapporto dei discepoli con Gesù; Gv 16,4b sottolinea ne
gli stessi termini, ma invertiti, il rapporto di Gesù con i discepoli. La prospettiva
della partenza ne risulta accentuata. Gesù dice alla fine quello che non ha detto in
principio; al momento della partenza dice quello che non ha detto quando er a pre
sente. Soprattutto qui e ora si suggellerà la «presenza nell’assenza».
Il v. 16,5 è uno dei più decisivi a favore dell’ipotesi di un doppione del di
scorso. Già in 13,33 Gesù stesso, in quanto Figlio dell’uomo glorificato, aveva detto:
«Là-dove io me-ne-vado, voi non potete venire», provocando la domanda di Pietro:
«Signore, dove t e-ne-vai?». Successivamente, in 14,4, Gesù non esitava a riprendere
l’argomento: «Là-dove io me-ne-vado, (voi) sapete la via». Non c’è nessuna con
traddizione fra questi dati e l’apertura dell’ultima parte del discorso:
«Ora, adesso me-ne-vado a colui che-mi-mandò e nessuno di voi mi chiede: “Dove te-
ne-vai?”» (16,5).
2 Questo aforisma è utilizzato da J. Lacan per esprimere il rapporto intrinseco tra verità e parola
nel soggetto: si veda J. Lacan, «La chose freudienne», in Écrits, Paris 1966, 409, citato da P. Beauchamp
- D. Vasse, La violence dans la Bible (CahÉv 76), Paris 1991, 30.
Gesù stesso, che parla esprimendosi in prima persona, è il Paraclito che deve
andarsene perché l’altro venga, come un «altro lui stesso» (cf. 14,16):
«Non vi lascerò orfani: vengo a voi» (14,18).
3 Traducendo elegchein con «condannare», bisogna fare attenzione a non demonizzare lo Spirito!
L’effetto del Paraclito sul mondo nel senso di una condanna deve passare per l’interpretaziohe del v. 11.
Per una buona trattazione dell’argomento si veda B. L indars, «Dikaiosuné in Jn 16.8 and 10», in Essays
on John, ed. C.M. T uckett, Leuven 1992, 21-31, originariamente in Festschr. B. Rigaux, 1970, 275-285.
Ci sono tre traduzioni e interpretazioni possibili: «Esporrà il mondo al verdetto di colpevolezza»;
«esporrà il mondo al verdetto di innocenza»; «esporrà il mondo al verdetto in un senso o nell’altro».
«Farà questo, scrive l’autore citato, “perché il capo di questo mondo è giudicato” - già giudicato (kekri-
tai) nell’evento decisivo della partenza di Gesù (v. 10). Non c’è una via di mezzo. “Quando viene” il Pa
raclito (v. 8, cioè nella futura missione dei discepoli), il suo effetto sul mondo sarà decisivo, precisamente
perché l’azione decisiva è già stata intrapresa» (p. 27).
4 Secondo M.-F. Berrouard. seguito da I. de la Potterie, l’azione del Paraclito non si esercita di
rettamente sul mondo, m a sui discepoli (si veda: La vérité, 1,406). La testimonianza contro il mondo si
svilupperebbe in loro. Questa interpretazione non ci sembra rendere ragione della complessità del movi
The Trial
mento. È Version
difficile escludere la possibilità che lo Spirito agisca in maniera diretta sul mondo; è infatti ciò
che lascia sussistere una speranza per il mondo, anche indipendentemente dai discepoli. È necessario ri
cordare che questi ultimi non sono al riparo dal «mondo»? «“Il peccato", in questo passo, significa l’in
credulità che Gesù incontra in mezzo ai “suoi”» (Giovanni P aolo II, Dominum et vivificantem. Lettera
enciclica del 18 maggio 1986, n. 27; EV10/514). I paragrafi 27-29 del documento pontificio sono dedicati
a una lettura interpretativa e attualizzante di Gv 16,7-11.
La frase iniziale del v. 12 non evoca un fardello troppo pesante da portare. Ciò
sarebbe in contrasto con il messaggio globale di Gesù.7 Soltanto lo Spirito dà a c ia
scuno la capacità di prendere su di sé ciò che Gesù gli riserva della sua parola ogni
volta personale. 8 Il verbo applicato allo Spirito della verità è hodègein, che contiene
5 J. Vanier, fondatore dell’Arca, suggeriva di tradurre «Paraclito» (da parakaleiri) con: «Colui
che risponde al grido», i n pa rticolare a quello della persona handicappata. S i tratta di un’interpre tazione
fondata, che permette di ipotizzare un’operazione diretta dello Spirito-Paraclito sul mondo. Eppure:
«Hamartia e dikaiosynè sono gli esatti opposti, le possibilità rispettivamente negativa e positiva» (Lin-
dars, «Dikaiosune», 27).
6 Cirillo di Alessandria stabilisce un legame tra Gv 16,10 e il caso di Tommaso in 20,25.29: «Sono
pertanto giustamente giustificati coloro che hanno creduto senza averlo visto» (Commentarti in Iohan-
nem X; PG 74,436 CD - 437 A [Commento al vangelo, 111,268]). «La giustizia è interpretata dall’esegeta
non c ome qua lità del C risto, ma come qualità dei cr edenti, derivante in essi dal la fede. La giustizia è la
giustizia che proviene dal credere in Cristo» (F erraro, Lo Spirito Santo, 137). «(P. Lyonnet) ci teneva a
contrapporre la giustizia di Dio e la collera di Dio; la giustizia, per lui, è la fedeltà di Dio. Personalmente
ero d’accordo con questo rifiuto di una nozione negativa, o addirittura punitiva, della giustizia. Ma iden
tificare giustizia e fedeltà significava fondere le due cose invece di far luce su ciascuno di questi due temi
biblici, entrambi di fondamentale importanza in tutta la Bibbia. Non ho trovato da nessuna parte quello
che mi sembra un elemento centrale, e cioè che la giustizia è sempre un dono. Non è mai uno scambio. È
un dono che normalmente suscita l’azione di grazie. E l’azione di grazie non è mai uno scambio, ma è un
riconoscimento. Il dono della giustizia è il dono che raggiunge la persona stessa. Significa dare a una per
sona ciò di cui ha bisogno, ci ò che la Bibbia chiama il suo diritto. Il diritto di una persona non è il diritto
di fare, di imporre, di esigere; il diritto di una persona è la sua attesa più profonda, la sua esigenza di esi
stere e di essere. Il diritto di Dio non è assolutamente quello di imporre il proprio potere, ma è quello di
essere semplicemente riconosciuto per ciò che egli è. (...) Quando dico: “Dio è giusto”, dico: “Dio mi fa
giustizia”. Cioè: Dio mi vede come sono e mi dà esattamente ciò di cui ho più profondamente bisogno,
ciò che sono. (...) Parlare di giustizia di Dio nei confronti dell’uomo non s ignifica soltanto definire la giu
sta collocazione dell’uomo, ma significa dire esattamente ciò che egli è» (J. Guillet, Habiter les Écritu-
res. Entretiens avec Ch. Ehlinger, Paris 1993,245-247. Si veda già: J. G uillet, «Grazia, giustizia e verità:
1. Il lessico fonda mentale; 2. L’evoluzione de l lessico», in Temi biblici, 33-127, e in par ticolare, a propo
sito di Isaia. 88-92). Non si può confondere questa linea interpretativa con quella di A.-L. D escamps, Les
Justes et la Justice dans les évangiles et le christianisme primitif hormis la doctrine proprement paulinienne
(Publications universitaires de Louvain), Gembloux 1950,16: «L’atteggiamento di Dio verso il suo po
polo si può riassumere nelle parole grazia e fedeltà; il vocabolario della giustizia trova posto accanto ad
The
altri Trial Version Questa posizione si riallaccia a quella di S. Lyonnet, rispetto alla quale J. Guillet ha
per definirlo».
preso le distanze con le sfumature riassunte sopra.
7 Cf. Mt 11,28-30.
8 «Le “molte cose” che Gesù avrebbe ancora da dire ai suoi discepoli - ma che saranno dette loro
dallo Spirito - sono dunque la piena intelligenza che lo Spirito darà del Cristo e della sua opera, sino alla
fine dei tempi» (de la Potterie, La vérité, 430-431).
9 Si tratta di un punto criticamente controverso: si veda de la Potterie, La vérité, 431, nota 287.
Questo autore opta per eis con l’accusativo, senza rilevare l’affinità fra Vhodos di 14,5-6 e Vhodégein di
16,13. Ma l’interpretazione è corretta: «È di questa verità di Gesù che lo Spirito darà la piena intelli
genza» (p. 438).
10 «Il verbo anaggellei informa pa lesemente tutto il passo. È dunque in definitiva questo anaggel-
lei a costituire l a spiegazione principale fornita dall’evangelista per la formula: “Vi introdurrà nella ve
rità tutta intera”» ( de la P otterie, La vérité, 441). Il significato che il verbo assume nella Bibbia greca:
«svelare il senso nascosto di una visione, di un mis tero», si ritrova nel quarto Vangelo. «Nella prima fase
si colloca la rivelazione definitiva propriamente detta, l’opera del Cristo considerato come Rivelatore:
nei nostri testi è indicata di solito con il verbo lalein; questa rivelazione del Cristo è già Valétheia. Ma in
seguito verrà il tempo dell’interpretazione, il tempo in cui verrà spiegata la rivelazi one di Gesù: sarà l’e
poca AelVanaggellein dello Spirito, e proseguirà per tutta la durata dei tempi escatologici , eis ton aiòna
(14,16)» ( de la P otterie, La vérité. 448-449). La traduzione «comunicare», preferi ta a «rivelare», cerca
di esprimere l’appropriazione da parte dei discepoli delle «cose» dello Spirito. Le uniche altre occor
The
renzeTrial Version
del verbo nel Vangelo sono in 4,25; 5,15.
11 Questa strutturazione riprende quella proposta da de la Potterie, La vérité, 439.
12 Origene, nel Contro Celso e nel commento alla Lettera ai Romani, mette in rapporto questo ver
setto con la visione di Pietro a Giaffa (At 10,13-15). Si tratta del senso spirituale delle prescrizioni della
Legge e della Parola di Dio. «Il termine più alto e più arduo della guida nella verità totale da parte dello Spi
rito è il mistero della Trinità, in cui entra lo Spirito stesso» (Ferraro, Lo Spirito Santo, 118-119).
Sembra per lo meno possibile identificare questa gloria con lo Spirito, alla
luce di 16,14 e di 13,31-32. E viceversa, dove c’è glorificazione c’è lo Spirito (cf.
7,39), secondo la lettura che abbiamo privilegiato a partire dal primo passo sullo
Spirito in 14.16-17.16
L’ultimo membro del parallelismo (v. 15), una volta che sono state identificate
e rimosse le difficoltà dei versetti precedenti, pone meno problemi. Anticipa ciò che
nella preghiera del Figlio verrà detto più diffusamente, a proposito dei discepoli, ri
prendendo e sviluppando le parole rivolte dal padre misericordioso al figlio mag
giore in Le 15,31:
«Sono tuoi, e le cose-mie. tutte, sono tue, e le tue, mie, e sono stato glorificato in loro »
(Gv 17,9-10).
L’unità precedente si apriva con «la loro ora» - l’ora dei perse cutori. Questa si
apre con «l’ora della donna», che fornisce un riferimento antropologico per far
comprendere la trasformazione della tristezza in gioia, i due tempi: «un poco... e di
nuovo un poco», e quindi anche la logica secondo cui si realizza la comunicazione
dello Spirito, del Figlio e del Padre al credente. L’altro principio spirituale che in tal
modo viene messo in primo piano, è che l’ora della fine è spiegata dall’ora del prin
cipio nella nascita, dal seno materno, di ogni piccolo d’uomo. La dimensione ma
18 Nel senso che è sproporzionata rispetto a una partenza di cui Gesù, dalla fine di Gv 14, conti
nua a sottolineare l’aspetto positivo: il ritorno al Padre che permette l’invio dello Spirito.
19 Nell’organizzazione del testo evangelico da noi proposta, 20,19-23 è parallelo a 16,21-24.
20 Indovinelli; proverbi; detti sapienziali parabolici o simbolici; il quarto Vangelo non ricorre né
alla terminologia, né al genere letterario delle «parabole».
L’intervento dei discepoli nei w. 29-30 delimita questa prima ripresa del di
scorso. Ma ci troviamo di fronte a una nuova incomprensione, di cui è opportuno
precisare i contorni. C’è innanzitutto una confusione nei «tempi» verbali che ven
gono impiegati. Gesù aveva detto, al futuro:
«Non più per enigmi vi parlerò, ma pubblicamente vi comunicherò a proposito del Pa
dre» (v. 25).
«Al-presente credete?
Ecco: viene un’ora, ed è venuta,
che siate dispersi, ciascuno nelle proprie-cose,
e (che) mi lasciate solo;
e non sono solo perché il Padre è con me».
Non si tratta assolutamente, nel corso della nostra lettura, di collocarci sul
piano di una psicologizzazione o di una spiritualizzazione eccessiva. Quelle che ci
interessano sono le implicazioni teologiche del linguaggio utilizzato, che si può ap
plicare a ogni vita di fede. Impressiona, qui, il rimprovero: induce ad approfondirne
le ragioni. La fede non è dove i discepoli la pongono, in funzione di tutto il contesto.
Si ritorna così all’«ora». Di nuovo, sul versante dei discepoli, si tratta dell’ora della
dispersione. «Sarete dispersi»!22 Il verbo è forte: esprime la diaspora giudaica, cioè
The Trial Version
22 L’unica altra occorrenza del verbo sfcorpizebi-«disperdere», nel corpus giovanneo, si trova il
Gv 10,12: «Il lupo rapisce e disperde» le pecore. Il senso è negativo. La differenza fra skorpizein e dia-
speirein, che potrebbe delineare due significati distinti, non sembra che debba essere presa in considera
zione.
Si va delineando un certo consenso sul fatto che i primi cinque versetti costitui
scano l’introduzione della preghiera.1 Tre indizi formali avvalorano questa ipotesi:
1) l’indirizzo al «Padre» nei w. 1 e 5;
2) l’imperativo del verbo «glorificare», con l'utilizzo del medesimo verbo nel v. 1 e
con la sua specificazione tramite il sostantivo «gloria» nel v. 5;
3) l’insistenza sulla coordinata temporale: l’«ora» nel v. 1, «adesso» nel v. 5.
Senza tener conto dell’ordine delle parole, si delinea dunque lo schema se-
guente:
PADRE è venuta glorifica il Figlio tuo
l’ora affinché il Figlio
glorifichi te
PADRE e adesso glorificami tu
con la gloria...
La sequenza delle componenti delle frasi, e in particolare dei due vocativi e
dei due verbi all’imperativo, dà luogo a un chiasmo:
PADRE, glorifica il Figlio tuo
glorificami, PADRE.
1 Abbiamo gi à presentato un esame approfondito dei dat i nel nostro studio precedente: Simoens,
La gioire d’aimer, 63-70.174-199. Nessuna delle recenti monografie su Gv 17 adotta la medesima strut
tura letterar ia, perché gli autori applicano criteri metodologici differenti e perché la loro preoccupazione
principale non verte su questo punto. Si veda: G. F erraro, L'«ora» di Cristo nel quarto vangelo (Aloi-
siana. Scritti pubblicati sotto la direzione della Pontificia facoltà teologica dell’Italia meridionale, se
zione «S. Luigi» - Napoli), Roma 1974; H. Ritt, Dos Gebet zum Vater, Zur Interpretation von Joh 17
The
(FzBTrial
36), Version
Wiirzburg 1979; G. S egalla, La preghiera di Gesù al Padre (Giov. 17). Un addio missionario
(StBib 63), Brescia 1983. I lavori di G. Mlakuzhyil, The Christocentric Literary Structure of thè Fourth
Gospel (AnBib 117), Roma 1987, e di G. Korting, Die esoterische Struktur des Johannesevangeliums
(BibUnt 25), Regensburg 1994, già citati, non entrano nel merito di una discussione approfondita sulla
struttura letteraria di Gv 17, ma si limitano a prospettive abbastanza globali che in parte coincidono e in
parte si differenziano dalle nostre.
2 «E che, secondo il potere che gli hai dato su ogni carne...» (Fase. BJ 1973). «E che» è forse di
troppo. La preposizione coordinativa e la congiunzione completiva introducono l’idea che si passi a
qualcosa di diverso dalla glorificazione, mentre il kathòs non fa che spiegare la glorificazione indican
done il fondamento: «Sul fondamento del fatto che gli hai dato potere su ogni carne».
3 «Secondo il potere che gli hai dato su ogni carne» (E. D elebecque. Évangile de Jean [Cahiers
de la Revue Bibliquc 23], Paris 1987,125). Questa traduzione presenta di nuovo l’inconveniente di colle
gare il «come»-«secondo» al «potere», mentre, sulla linea del versetto precedente che include le due oc
correnze del verbo «glorificare», la congiunzione è collegata al verbo «dare».
4 Cf. 13,3: il Padre ha dato tutte le cose nelle mani di Gesù; 13,5: l’esempio; 13,26: il boccone in
tinto;Trial
The 13,29: qualcosa ai poveri; 13,34: il comandamento nuovo.
Version
5 17,2(bù).4.6(bis).7(bù).8(bù).9.11.12.14.22.24(i>ù).
6 Ricordiamo che in precedenza il «potere» fa la sua comparsa al centro del prologo, in 1,12, a
proposito del «potere di divenire figli di Dio»; in 5,27, a proposito del potere dato dal Padre al Figlio di
«fare un giudizio»; e infine in 10,18 (che chiarisce anticipatamente 19,10), nella spiegazione dell’enigma
del pastore: «Ho potere di porla (la mia anima), e ho potere di riceverla di nuovo».
Oltre all’«ora» (13,1), alle occorrenze già segnalate del verbo «dare» e a
quelle del verbo «glorificare» (13,31-32), il verbo «portare-a-compimento» ri
chiama il telos dell’amore di cui si parla in 13,1. L’inizio di Gv 17 rimanda palese
mente all’inizio e alla fine di Gv 13. La richiesta della glorificazione del Figlio per
opera del Padre viene formulata «sulla terra»: per tale motivo prelude al richiamo
del «potere su ogni carne» (v. 2). Il secondo tempo della glorificazione, come del re
sto anche il primo, non rimanda a un futuro collocato «al di là» della Parola e dei
credenti. Ritorna piuttosto sul passato e, attraverso il passato, all’inizio assoluto, al
l’origine permanente «presso il Padre», dove la gloria del Figlio è acquisita da sem
pre. Gv 13,1, attraverso Gv 17,4, rimanda anche a Gv 19,28, dove il verbo teleioò ri
torna per l’ultima volta, evocando il compimento della Scrittura nel momento in cui
tutto è adempiuto nella morte di Gesù. Gv 17,4 combina in tal modo il momento in
cui l’amore comincia a giungere a compimento e quello in cui viene portato vera
mente a compimento con la morte sulla croce.
Prima di proseguire, vale la pena di rilevare gli elementi più strutturanti dei
primi cinque versetti; tali elementi sono disposti in maniera concentrica:
7 II «mono-teismo».
Il limite superiore di questa conclusione è dato dai vv. 20-23, consacrati alla ri
chiesta dell’unità. Questi versetti sono talmente caratteristici da costituire una
sotto-unità distinta dalle altre. I vv. 24-26 offrono quindi un finale chiaramente deli
mitato. Questa loro funzione è ulteriormente confermata da una disposizione ana
loga a quella dei versetti introduttivi.
Un primo indizio in questo senso è il ritorno del vocativo: «Padre», identico a
quello che si trova nei vv. 1 e 5. Un altro vocativo dello stesso genere, al v. 11, è leg
germente diverso. Con l’aggettivo: «Padre santo», esprime un appello immediato al
Padre, seguito dall’imperativo: «Custodiscili». Una formulazione analoga, a livello
di forma e di significato, ritorna al v. 17: «Santificali». In seguito, queste espressioni
ci aiuteranno a vedere come è elaborato il corpo della preghiera fra 17,1-5 e 17,24-
26. Hanno infatti la funzione di rilanciare la preghiera fra questi due estremi di Gv
17 e prima dello sviluppo della preghiera per l’unità nei vv. 20-23, che contengono
un altro vocativo: «Padre», nel v. 21.
Il neutro che introduce la prima proposizione relativa: «Ciò che mi hai dato»,
in posizione prolettica, è chiarito dal maschile plurale del soggetto della proposi
zione completiva che segue.9 «Essi», «anch’essi» sono presi qui maggiormente in
considerazione, il che è normale dopo la preghiera per l’unità. I discepoli entrano
contenuti nel discorso precedente, è possibile indovinarlo in queste categorie portatrici della «gloria».
’ «Come sopra nel v. 2, il neutro ho rappresenta un gruppo di persone; è ripreso dal kakeinoi che
segue nel v. 6: “quelli”, “gli uomini che...”» (Delebecque, Evangile de Jean, 198). La spiegazione ci sem
bra valere per i l v. 24, ma la traduzione e l’interpretazione del v. 2 ci sembrano un po’ forzate: «... Affin
ché la totalità di ciò di cui ha ricevuto da te il dono»; qui: «Ciò di cui mi hai fatto dono».
Per quanto riguarda la suddivisione dei versetti che occupano lo spazio te
stuale compreso fra l’introduzione e la conclusione della preghiera, i pareri non
sono concordi. Il nostro approccio è caratterizzato dall’applicazione congiunta di
tre criteri.
11 Tali reminiscenze sono dell’ordine di un «richiamo della storia», che qui si inserisce in una se
quenza temporale: «Prima»; «Adesso»; «Poi». Si tratta di una sorta di sintesi di ogni impegno, di ogni
contratto e in definitiva di ogni relazione.
4. Verifica
A. Preghiera e discorso
Dal punto di vista, questa volta, del rapporto più globale tra l’inizio del nostro
insieme e la sua fine (tra Gv 13 e Gv 17), nella sotto-unità centrale di Gv 17, cioè
nei w. 12-19, e in particolare nel v. 12, ritroviamo la preoccupazione caratteristica
del quarto Vangelo di riservare una trattazione speciale e approfondita alla que
stione di Giuda. Ritorneremo sull’argomento neirinterpretazione di Gv 17. Segna
liamo per ora che l’unico altro punto del testo di Gv 13-17 (lasciando da parte
13,18) in cui si parla del compimento della Scrittura è Gv 17,12, questa volta con ri
ferimento al «Figlio della P erdizione».12 Da un estremo all’altro, Gv 13 e Gv 17 si
corrispondono nei rispettivi passi centrali, grazie alla presenza della stessa proble
matica (tradimento e perdizione) e al medesimo ricorso alla Scrittura.13
12 Abbiamo utilizzato le maiuscole per indicare che si tratta dell’autore del peccato (cf. 2Ts 2,3-8;
si veda più avanti per maggiori giustificazioni).
13 Gv 15,25 contiene una formulazione più complessa: «Affinché sia compiuta la parola, quella
scritta nella loro Legge: “Mi odiarono senza motivo (= gratuitamente)”».
L’organizzazione letteraria della preghiera ha già mostrato che i vv. 20-23 non
continuano in maniera lineare il movimento delle parti precedenti. Questi versetti
riprendono la conclusione di 17,6-11 per sviluppare l’introduzione alla preghiera,
ma soprattutto la preghiera in quanto tale, rivolta direttamente al Padre (entrambe
già presenti nei vv. 9-lla.llb e nei vv. 15-16.17-19).
È una costante del testo a partire da Gv 13. L’ultima sotto-unità di Gv 13, consa
crata al duplice annuncio del tradimento e del rinnegamento, introdotto in entrambi i
casi dalla formula aperta da Amen, amen (13,21.38), appare come una ripresa sinte
tica e un approfondimento di ciò che precede. Anal ogamente l’ultima parte de l di
scorso (16,4-33), incentrata sul simbolismo della partoriente, si presenta come una
sintesi, in chiave di attualizzazione, del c. 14 e di 15,1-16,3. Rimarremmo sorpresi se
non riscontrassimo che la terza parte del corpo della preghiera corrisponde agli stessi
criteri letterari e teologici, come infatti avviene. Il procedimento, qui, è particolar
mente suggestivo, poiché si tratta per l’appunto della preghiera per l’unità.
È il modo migliore per intraprendere il lavoro interpretativo propriamente
detto, che a questo punto può fare assegnamento sui dati oggettivi e formalizzabili
del t esto. Questa «forma» controlla e nello stesso t empo libera l'interpretazione at
tualizzante.
Una volta stabilita la suddivisione di Gv 17, risulta più agevole procedere al
l’interpretazione del testo. La svilupperemo in tre fasi successive. In primo luogo
vorremmo dare credito alla versione giovannea del Padre nostro. Nel Vangelo di
Giovanni, Gesù insegna a pregare soltanto qui, facendo entrare i discepoli nella sua
preghiera. Questa lunga preghiera può essere letta come una rielaborazione del
modo in cui Gesù insegna a pregare ai discepoli nei Vangeli di Matteo (6,7-15, spe
cialmente 9b-13) e di Luca (ll,2b-4). In una seconda fase ritorneremo sugli accenti
peculiari della preghiera giovannea: glorificazione, garanzia della fede dei discepoli
fornita al Padre da l Figlio, compimento della Scrittura per quanto riguarda il Figlio
della Perdizione e il Malvagio. Nel quadro del rapporto con la Scrittura, andrà
preso di nuovo in considerazione il modello dell’alleanza. La rilettura dell’alleanza
da parte di Gv 17 sarà dunque l’ oggetto della terza fase del processo di interpreta
zione. Il contenuto della preghiera glorificatrice del Figlio giustifica la definizione
tradizionale di «preghiera sacerdotale». 1 Il Figlio, indenne da ogni peccato, realizza
la mediazione perfetta fra cielo e terra, fra il Padre e tutti gli uomini, introducendo
questi ultimi nella propria filiazione.
2 Abbiamo già rilevato nel capitolo precedente le occorrenze particolarmente frequenti di questo
verbo, utilizzato in alcuni casi per due volte nello stesso versetto (vv. 2.6.7.8.22).
The Trial Version
3 Tema della preghiera ebraica, legato alla suprema professione di fede del martirio, come nel
caso di Rabbi Aqiba. ma presente anche in tutte le persecuzioni anti-ebraiche della storia.
4 Nel quarto Vangelo si parla della basìleia tou Theou soltanto in 3,3.5, nel colloquio fra Gesù e
Nicodemo. Se ne parla in correlazione con la «generazione dall’alto» (3,5-8), per arrivare poco dopo alla
«vita eterna» (3,15).
5 Brown, Giovanni, 909.
1. La glorificazione
Si tratta di un primo aspetto, dominante, cui viene dato troppo poco risalto.
Con la preghiera del Figlio, entriamo nel secondo momento della glorificazione,
dopo Gv 13,30-31. In altri termini, Gesù è glorificato «adesso» (v. 5), nell’atto stesso
della sua preghiera. Tenuto conto della struttura d’insieme del Vangelo, questa glo
rificazione troverà conferma nella passione, morte e risurrezione. Ma non è questo
il punto su cui insiste Gv 17. Gli avvenimenti della Pasqua del Figlio riveleranno,
con una sovrabbondanza inaudita, ciò che Gesù ha già vissuto prima della sua
morte, nella notte in cui fu consegnato. Fin da quel momento egli si affida al Padre,
affinché gli eventi della sua Pasqua manifestino fino a che punto egli fosse già glori
ficato. Le implicazioni della sua morte fanno comprendere una glorificazione già
acquisita nella sua preghiera. In essa, il Figlio dice che questa glorificazione pro
cede dalla gloria che egli aveva presso il Padre prima che il mondo fosse (17,5.24). Il
movimento del quarto Vangelo è incessantemente di anticipazione, di prolessi: col
loca «prima» ciò che avviene «dopo».
Ci troviamo di fronte a un insegnamento che ci tocca nel vivo del nostro es
sere cristiani. 6 La nostra preghiera nel Figlio è il luogo della nostra glorificazione in
lui. Anche noi non dobbiamo attender e la nostra morte - che sarà quella che il Pa
dre vorrà - per vivere della nostra glorificazione grazie alla gloria del Figlio. Per en
trare nell’ottica di questa preghiera, notiamo che in essa Gesù cerca, prima della
6 Giovanni della Croce appl ica all’«anima» le parole pronunciate da Gesù i n Gv 17,10: «Fra l’a
nima e Dio esiste attualmente un amore reciproco, in conformità con l’unione matrimoniale, in cui nella
donazione volontaria dell’uno all'altra, possedendoli separatamente, possiedono insieme i beni comuni,
cioè la divina essenza» (S. Giovanni della Croce, Fiamma viva d’amore B, str. 3,79, in Opere, 819).
Gesù può permettersi di riprendere i suoi discepoli, alla fine di Gv 13-16, per
ché paga di persona e perché tutto, in lui, continua a essere motivato da un amore
che va fino in fondo. Gh accenti esultanti di 17,6-11, collocati a quel punto, non
fanno che risultare più sconvolgenti. Ciò che viene detto, infatti, non è per nulla evi
dente. Affermare che riguarderebbe soltanto i credenti del tempo successivo alla
Pasqua equivale a mettere nell’ombra due linee fondamentali del testo. Da un lato,
dopo la Pasqua non cambierà nulla se non sul piano di una necessaria sovrabbon
danza di amore gratuito per superare l’incredulità. Non possiamo certo pensare di
essere migliori dei primi discepoli! Dall’altro, per quanto lo riguarda, già prima
della Pasqua Gesù ha rivelato l’amore al punto da risultarne glorificato nella notte
in cui si immerge Giuda. Di conseguenza, sia prima sia dopo la Pasqua, il Figlio ci
viene presentato come l’unico che può assicurare e garantire presso il Padre, grazie
alla sua preghiera di Figlio, la fede dei Suoi discepoli «che credono», ma che in defi
nitiva credono così poco! Egli tuttavia li presenta al Padre come «credenti», e ciò è
sufficiente.8
7 «Il Signore ave va detto: “Glorifica il Fi glio tuo”. N on soltanto di nome egl i ha testimoniato di
essere Figlio, ma in senso proprio, come dice il termine tuo. Noi siamo molti figli di Dio, ma questo Fi
glio non è come noi. Egli è propriamente e veramente Figlio, per origine e non per adozione, secondo
verità e non per denominazione, per nas cita e non per creazione. (...) Ecco in che cosa il Figlio glorifi
cherà il Padre: facendoci acquistare la conoscenza. Tale era, d’altronde, la gloria: il Figlio aveva ricevuto
dal Padre il potere su ogni carne; divenuto egli stesso carne, avrebbe donato eternità di vita a esseri ca
duchi, corporei e soggetti alla morte (...). Non viene dunque aggiunta gloria a Dio. Non ce n’era che l’a
vesse abbandonato per tornare ad aggiungersi in seguito. Ma per mezzo del Figlio egli è glorificato fra
noi. uomini rozzi, disertori, miserabili, morti senza speranza, esseri notturni senza legge. Egli è glorifi
cato nel fatto che il Figlio ha ricevuto da lui il potere s u ogni carne per dare a questa carne la vita eterna.
Queste sono le opere del Figlio che glorificano il Padre. Così, poiché ha tutto ricevuto, il Figlio è stato
glorificato dal Padre: e viceversa il Padre è glorificato, poiché tutto si compie tramite il Figlio. E la gloria
ricevuta è in tal modo restituita: la gloria che c’è nel Figlio è interamente gloria del Padre, poiché il Fi
glio ha ricevuto tutto dal Padre. E l’onore di colui che serve è un onore per colui che invia, così come l’o
nore di colui che genera è un onore per colui che nasce» (I lario, De Trinitate, III, 11.13; PL 10,82.83 [cf.
La Trinità, 158.160-161], seguendo la traduzione inedita di M. Corbin, realizzata per un seminario tenuto
all’Institut Catholique di Parigi). La citazione non ha lo scopo di gi ustificare la glorificazione nei termini
in cui viene interpretata qui, ma cerca di richiamare l’asse di una lettura, adottato fin dal prologo.
8 «Ecco la somma dell’economia: ormai il Figlio nella sua interezza, cioè l’uomo e Dio, per conces
The Trial
sione Version
della volontà paterna, sarebbe integrato nell’unità della natura paterna, e colui che già dimorava
nella potenza della natura, dimorerebbe anche nel suo genere. Tale, infatti, doveva essere l’acquisizione
dell’uomo: essere Dio. Ma l’uomo assunto non poteva assolutamente essere incluso nell’unità se l’unità
con Dio non lo conduceva all’unità con colui che è Dio pernatura» (Ilarto, De Trinitate, IX, 38; PL 10,310
[cf. La Trinità, 475-476], secondo la traduzione di M. Corbin). Il modo in cui il Figlio presenta i discepoli al
Padre anticipa nella preghiera gli effetti dell’incarnazione così come della morte-risurrezione.
L’amore del Padre è il fondamento ultimo dell’amore dei discepoli per Gesù e
fra loro, poiché i discepoli concretizzano il dono del Padre al Figlio. La loro unità
non può procedere che dallo stesso movimento di comunicazione di sè da colui che
genera a colui che è generato. Il Padre ama il Figlio, e tutti i suoi figli in lui, con il
suo amore di Padre. I suoi figli a loro volta non possono che amare con l’amore del
Figlio in loro: è l’amore del Padre. Il seguito e la fine della preghiera ritornano su
questo dono perché venga esteso all’intero genere umano grazie al Figlio e grazie a
tutti gli uomini e a tutte le donne che vivono di lui.
Dobbiamo ora dare spazio ad altre tematiche su cui insiste la preghiera gio
vannea.
«Non conservare», qui, equivale a «non ascoltare», completato da: «le mie pa
role (rhèmata)». L’immediato contesto illumina il passo precedente, facendo ve
dere come il contrario della perdizione sia effettivamente la salvezza; l’una e l’altra
sono collegate al giudizio, a sua volta presentato come antitetico alla salvezza nella
contrapposizione: «non giudicare il mondo ma salvare il mondo». Il v. 48 stabilisce
altre interessanti equivalenze: «Non conservare... le parole» di Gesù significa non
«riceverle», nel senso di non «credere». Significa dunque respingere Gesù stesso, la
Parola che egli è.
Se torniamo adesso al versetto 17,12, dobbiamo notare il susseguirsi di tre
proposizioni principali di segno positivo, anche se la formulazione dell ’ultima è ne
gativa; sembra che si voglia sottolineare il ruolo salvifico di Gesù:
10 A nostro avviso, questi versetti (12,47-48) costituiscono veramente il centro letterario di 12,44-
50. Ciò non risulta abbastanza chiarament e, ci sembra, dall’analisi di M orgen, Afin que le monde, 325-
330.Trial
The Il commento
Version invece coglie nel segno: «La parola di Ges ù sull a sua mi ssione di s alvezza si colloca
esattamente al ce ntro del tema del giudizio; nel lo stato attuale del passo, questa parola spiega (gar): “Io
non giudico”. Come fa rilevare l’introduzione del v. 44 (“proclamò”), alla fine del suo ministero terreno,
prima di scomparire dalla scena del mondo e prima della sua passione, Gesù proclama (ekraxen) una sin
tesi del vangelo: è venuto a portare la buona notizia della salvezza. Questa buona notizia include inelut
tabilmente il giudizio e la salvezza» (p. 342).
Nella serie delle apposizioni, «i l Figlio della Perdizione» è una variante di co
lui che, secondo la Scrittura, è l’autore stesso del peccato. Nel contesto di Gv 13, è
una variante di colui che appariva ben presto come principio di intelligibilità del
tradimento: il diavolo (13,2) e Satana (13,27), che nel discorso è designato anche
come «il capo del mondo» (14,30) o semplicemente come «il mondo» (16,33). È lui,
in quanto autore del peccato, a essere definitivamente perduto. Ciò non vuol dire
che non continui a operare: 17,15 lo suggerisce con chiarezza: «Non chiedo che li
porti-via dal mondo ma che li custodisca dal Malvagio». «Il Malvagio» è un’altra va
riante dei titoli evocati sopra.
«Il Figlio della Perdizione» è senza dubbio indissociabile da Giuda. Come
ogni essere spirituale, può essere ravvisato solo attraverso i suoi effetti, e i suoi ef
fetti si m anifestano nella colpa e nel peccato personale. Ma non si confonde con il
peccatore. Per quanto sia difficile spiegare questa perdizione, poiché si tratta del
«mistero dell’iniquità» (2Ts 2,7), un mistero che va rispettato se non si vuol cadere
nella gnosi, bisogna comunque sostenere, come fa la Scrittura, giustamente invo
cata
The a testimone,
Trial Version che ci troviamo di fronte a una creatura. Proprio in quanto tale,
egli rimane oggetto di amore. Non è forse «il Figlio» della perdizione? L’abisso del
l’iniquità contiene un’ultima briciola di luce filiale! Ma questo abisso è radical
mente secondo. L’iniquità rimane insomma ancora e sempre asservita ai fini dell’a
more primo e ultimo, che si rivela qui nel suo pieno adempimento (13,1; 17,26).
III. L’alleanza
1. L’Uno
Sarà sempre possibile discutere sul carattere più antico o più recente dell’al
leanza nella teologia di Israele. Si potrà contestarne l’influsso sul Nuovo Testa
mento e in particolare sul Vangelo di Giovanni, che non usa il termine alleanza
(diathèké) in quanto tale. Ma il senso del Dio unico, e dell’amore (a tonalità giuri
dica) che gli corrisponde, fiorisce nel Deuteronomio. Almeno su questo fatto è dif
ficile non essere concordi.
L’argomento dell’unità, come soltanto Gesù, che prega qui, lo può sviluppare
nel proprio atto cristico, milita a favore della caratterizzazione sacerdotale di questa
preghiera. In quanto tale, viene formulato esplicitamente in 17,20-23, al punto da ren
dere ridondante la lettera stessa del testo. Questa formulazione non manca di far pen
11 «Se le minacce di giudizio e le immagini spaventose delle pene comminate ai peccatori, che tro
viamo nella Scrittura e nella Tradizione, hanno un senso, sicuramente hanno per prima cosa il senso di
mettermi davanti agli occhi la grave responsabilità, che si accompagna alla mia libertà. Ma la Scrittura e
The Trial Version
la Tradizione mi costringono pure a ritenere, in forza di queste minacce di giudizio, che anche solo un al
tro, oltre a me stesso, è caduto nell’inferno o vi è destinato? A me pare che, proprio al contrario (per
quanto s olo nel la pros pettiva della ragi on pratico-esigente, e non anche quella di teorico-conoscitiva), s i
possa anzitutto sostenere la tesi seguente: chi pensa che, oltre a se stesso, anche solo un altro possa an
dare eternamente perduto, non può più amare senza riserve...» (H. Urs von B althasar, Breve discorso
dall’inferno (Meditazioni 73), Brescia 1988, 57-58.
Passiamo alla seconda parte della preghiera per l’unità. Gli stessi termini ven
gono ora adottati per sottolineare la finalità missionaria. La conciliazione non viene
più espressa nella dire zione: «Tutti - Uno». L’accento è posto sull’«Uno» e sui verbi
The Trial Version
utilizzati: di nuovo «essere», ma ora soprattutto, come nel v. 4: «portare-a-compi-
mcrtto»-teleioó. Se gli estremi della preghiera risultano modificati in questo modo, bi
sogna aspettarsi una modificazione importante anche nei termini mediani. Ed è preci
samente ciò che avviene. Il «noi», che sopraggiungeva soltanto alla fine dell’inten
2. Il mondo
Questa concentrazione «in uno» potrebbe far perdere di vista tutto ciò che
non vi è incluso. Ciò potrebbe avvenire per quanto riguarda il «mondo», tanto più
che quest’ultimo ha due significati: uno positivo, come mondo creato da Dio nella
Parola, e uno negativo, come luogo e persino principio del rifiuto della luce. Sa
rebbe possibile leggere soltanto il significato positivo nelle due proposizioni finali -
di scopo - dei w. 21b e 23b. Come potrebbe «credere» il mondo «incredulo»? È
senza dubbio il momento di applicare al «mondo» i principi ermeneutici individuati
e utiliz zati per interpretare i n tutte le s ue sfumature Gv 17,12. Il mondo, anche in
credulo, lungi dall’essere votato per sempre alle tenebre della mancanza di fede e
della mancanza di amore, è oggetto qui di una riflessione approfondita, rivolta a of
frirgli sempre un’occasione di conversione. La speranza rimane aperta, anche e so
prattutto per il mondo.
E degno di nota, a questo proposito, che il mondo venga presentato per due
volte come il destinatario della preghiera per l’unità. Accostando in parallelo le due
sequenze, vediamo le implicazioni di questa duplice destinazione. I primi due mem
bri della proposizione sono molto simili in entrambi i casi, a eccezione di un leggero
chiasmo: «soggetto + verbo» nel primo caso, «verbo + soggetto» nel secondo. La
grande differenza, portatrice del messaggio principale da percepire, sopraggiunge
nell’ultimo membro del versetto, che conclude tutta la preghiera dei vv. 20-23. Esso
merita dunque tutta l’attenzione richiesta da un punto culminante del testo.
The Trial Version
affinché(hina) il mondo CREDA
che tu mi inviasti;
affinché (hina) CONOSCA, il mondo,
che tu mi inviasti
E LI AMASTI COME AMASTI ME.
3. La gloria
I due momenti della preghiera per l’unità, che spiegano il carattere ridon
dante del testo, sono incentrati sul v. 22a:
«E-io, la gloria che mi hai dato, (l’)ho data loro».
È possibile essere incerti sulla strutt urazione del testo, pe rché questo membro
del versetto è simile alla conclusione dell’insieme, su cui ci siamo appena soffermati:
«EVersion
The Trial li amasti come amasti me».
12 In Is 60-62, al centro del Terzo Isaia, la gloria del Signore viene data in retaggio a Gerusa
The Triala un
lemme, Version
popolo di giusti (60,21) e di sacerdoti (61.6; cf. Es 19,6). La prospetti va è sempre la stessa; si
tratta di esprimere la comunicazione tra cielo e terra, tra Dio e il popolo, tra Dio e le nazioni (62,2).
13 «(L’anima) ama Dio non per sé, ma per Lui stesso, il che è una qualità inestimabile, poiché
ama pe r mezzo dello Spirito Santo, come si amano il Padre e il Figlio, secondo quanto legge in s. Gio
vanni: L’amore con cui mi hai amato sia in loro, ed io in loro (Gv 17,26)» (Giovanni della Croce,
Fiamma viva d'amore B, str. 3, 82, in Opere, 820).
1 Questa conclusione riprende nelle linee essenziali alcune prospettive già sviluppate in S imoens,
La gioire d’aimer. Il fatto di ritornare sulle diverse istanze della glorificazione dovrebbe permettere di
cogliere con maggior chiarezza alcune implicazioni di quella lettura.
1. Glorificazione e Spirito
2. Glorificazione e «ora»
3. Glorificazione e apocalittica
Che cosa dice dell’ora e della glorificazione il libro più rappresentativo dell’a
pocalittica veterotestamentaria, cioè il libro di Daniele? Gesù prende di qui il titolo
che applica volentieri a se stesso parlando in terza persona singolare: il Figlio
dell’uomo. In sostanza, questo libro afferma che la fine si realizza con un giudizio
definitivo di Dio sugli empi e sui giusti, un giudizio di cui Dio solo possiede il se
greto, ma che si manifesta sul piano storico tramite gli effetti che produce nel po
polo di Dio e nelle nazioni. Al di là della storia e delle sue contingenze, ma come
stella polare della storia, la fine si manifesta tramite una risurrezione di obbrobrio e
The
unaTrial Version
risurrezione di vita eterna.3 In tale contesto, la glorificazione di Dio è attesta
La glorificazione degli uomini è legata, questa volta soprattutto nei libri dei
Martiri di Israele, alla prova del martirio liberamente affrontata.4
Su questa linea, il rapporto biblico più significativo tra glorificazione e agape
si riscontra in Is 43,4 (LXX):
«Sei stato glorificato e ti amo!», dice il Signore («Io sono»: Is 43,3) al suo popolo.
Ma la figura del Servo è quel la che meglio illumina ciò che viene detto di Gesù
nel quarto Vangelo:
«Mi ha detto: “Mio servo tu sei, Israele, nel quale mi glorificherò”» (Is 49,3).
Colui che tiene il lungo discorso di Gv 14-16, dato l’influsso del Deuterono
mio su Gv 14 e sul seguito, è, in Gesù, Mosè, legislatore e prof eta (Dt 18,18). È an
che il Re, «figlio di Dio» in Israele, dati gli stretti rapporti fra questo testo giovan
neo e Sap 6-9 (discorso di Salomone, seguito dalla preghiera per chiedere la sa
pienza).
gli; 5,63, a proposito di Giuda Maccabeo e dei suoi fratelli, appartenenti a una classe sacerdotale (cf.
IMac 2,1, e la relativa nota nella BJ 1973).
5 Egli riassume l a vocazione del Servo. L a caratteristica specifica del Sec ondo Isaia consist e nel
far passare il messaggio profetico nell’esistenza individuale e collettiva come Sapienza di vita.
The Trial
6 Version
A. George, «L’heure de Jean XVII». in RB 61(1954), 396.
7
GV 17,5.24.
S
Agostino, De civitate Dei, X,6; Opera omnia 5/1-3: La città di Dio (Grandi opere), Roma 1978.
695-697.
9
Guillet, La fede di Gesù, 72.
10
Ivi, 75.
5. Il Paraclito e i discepoli
e il figlio di Adamo:
«L'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore l’hai coronato: gli hai dato po
tere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi» (Sai 8,6-7).
Alla luce della lavanda dei piedi, si intuisce fin dove si spinge il progetto crea
tore di Dio Padre per i suoi figli: fino a comunicare la sua gloria, tramite il suo Fi
glio glorificato, ai credenti, che in tal modo vengono introdotti nella stessa vita di
vina.
L’altro motivo di sorpresa di fronte a Gv 17,10 viene dalla collocazione di
questo versetto nel contesto di un discorso che si è concluso con accenti molto se
veri nei confronti dei discepoli:
«Al-presente credete? Ecco: viene un’ora, ed è venuta, che siate dispersi, ciascuno
nelle proprie-cose, e (che) mi lasciate solo; e non sono solo perché il Padre è con me»
(16,31-32).
ALLEANZA GIOVANNI
14 J. Guillet, con la lettura critica di queste pagine, ha contribuito non poco a facilitare una simile
presa di coscienza.
15 Sulle questioni teologiche poste da questa prospettiva di alleanza per quanto riguarda il rap
porto fra l’Antico e il Nuovo Testamento nel quadro del dialogo fra ebrei e cristiani, si veda N. Lohfink,
«Der Begriff “Bund” in der biblischen Theologie», in TP 66(1991), 161-176; L’alleanza mai revocata
(GdT 201), Brescia 1991; R. Rendtorff, «Ein gemeinsamer "Bund” ftir Juden und Christen? Auf der
Suche nach einer neuen Bestimmung der christlichen Identitàt», in Klsr 9(1994), 3-8; F. Cruesemann,
«“Ihnen gehoren... die B undeschltlsse” (Ròm 9.4). Die altestamentliche Bundestheologie und der chr ist-
lich-judische Dialog», in Klsr 9(1994), 21-38; E. Zenger, «Juden und Christen doch nicht im gemeinsa-
men Gottesbund? Antwort an Frank Criisemann», in Klsr 9(1994), 39-52. Il punto fondamentale ri
guarda i l r uolo dell’Antico Testamento nella storia, e in part icolare nella relazione tra cristi ani ed ebrei.
La posizione di A. Vanhoye, «Salut universcl par le Christ et validité de l’Ancienne Alliance», in NRT
116(1994), 815-835, è stata cont estata da E. M ain, «Ancienne et Nouvel le Alliances dans le dessein de
Dieu. À propos d’un article récent», in NP/’l 18(1996), 34-58, a cui A. Vanhoye ha risposto con una ret
tifica (NRT 118(1996], 66). Il Vangelo di Giovanni non sembra essere chiamato in causa in queste consi
derazioni. In esso, per la verità, non si parla di salvezza attraverso la Legge o attraverso la fede, come av
viene negli scritti di Paolo. Dal punto di vista dell’alleanza, al cui centro si colloca l a Legge, la terminolo
The
gia eTrial Version possono non essere riscontrabili in maniera trasparente. Le componenti principali del
il «modello»
l’alleanza hanno tuttavia un loro spazio: elezione, comandamento(i), implicazioni positive (vittoria sul
mondo e sul peccato; dono dello Spirito) e negative (persecuzioni violente). Ciò non vuol dire che siamo
salvati dall’alleanza! Siamo salvati dal Cristo. Ma egli investe del proprio contenuto tutte queste compo
nenti.
1. Gv 13,1-17 e 17,24-26
Un’ampia inclusione ricollega 13,1 e 17,26. «Avendo amato i suoi propri (...)
nel mondo, per un adempimento (Gesù) li amò»; la duplice occorrenza del verbo
agapan, usato per definire l’amore di Gesù per i suoi, rimanda a: «Affinché l’amore
con cui mi amasti sia in loro e io in l oro», ci oè al l’agapé-amore che i l Padre nutre
per il Figlio a favore dei discepoli. Alcuni contesteranno questo rapporto di inclu
sione in nome della differenza fra l’amore di Gesù per i suoi e l’amore del Padre per
Gesù. Tuttavia la duplice occorrenza del verbo agapan all’inizio e la presenza del
sostantivo agape e di nuovo del verbo agapan alla fine forniscono un supporto
molto saldo, anche se è vero che da un capo all’altro del testo il significato dell’a
gape si è arricchito.
Per completare l’inclusione estendendo il rapporto alle due unità letterarie
costituite da 13,1-17 e da 17,24-26, bisogna rilevare anche l’i nsistenza sul «sapere» e
sul «conoscere» nel c. 13: «Sapendo» (13,1.3); «Tu al-presente non lo sai» (13,7);
«Sapeva chi lo consegnava» (13,11); «Se sapete queste-cose» (13,17); «Tu conosce
rai dopo queste-cose» (13,7); «Conoscete ciò che vi ho fatto?» (13,12). Nel c. 17 ri
troviamo la stessa insistenza sul «conoscere» nel v. 25: «Padre giusto, e il mondo
non ti conobbe; io ti conobbi, e costoro conobbero». Sarebbe possibile aggiungere
anche il ricorso a un verbo della stessa radice di ginóskein, il verbo gnórizein: «Feci-
conoscere loro il tuo nome, e (lo) farò-conoscere (loro)» (17,26a). In entrambi i
passi si ritrova inoltre una certa insistenza sull’«invio»: «Non c’è inviato più grande
di colui che-lo-mandò» (13,16); «Tu mi inviasti» (17,25).
La prima sotto-unità (Gv 13,1-17) e l’ultima (17,24-26) si richiamano dunque a
vicenda per mezzo del trinomio: «amare-amore»; «sapere/conoscere»; «inviare».
Gli indizi sono certi e abbastanza numerosi da garantire la delimitazione di questo
insieme letterario e teologico assai unitario.
2. Gv 13,21-38 e 17,1-5
3. Gv 13,21-38 e 17,24-26
La «conoscenza» ritorna anche qui, per le stesse ragioni già rilevate. Da ciò
derivano legami più saldi fra queste sotto-unità.
4. Gv 13,1-17 e 17,1-5
L’inizio di ciascuno dei due capitoli è collocato sotto il segno dell’«ora» (13,1 e
17,1).
È degno di nota anche il risalto c he da entrambe le parti assume il «mondo».
Da un lato, Gesù passa «da questo mondo al Padre», «avendo amato i suoi propri
nel mondo» (13,1). Dall’altro, la glori a del Figlio è la stessa che egli aveva presso il
Padre «prima che il mondo fosse» (17,5).
Abbiamo già osservato, in queste due sotto-unità, le menzioni del «sapere» e
della «conoscenza».
Non rimane quindi che da completare questi r apporti con quelli che necessa
riamente intercorrono fra:
Gv 13,1-17 e 13,21-38;
Gv 17,1-5 e 17,24-26.
Questi due capitoli presentano dunque un sicuro parallelismo, anche se biso
gna tener conto della diversità di forma letteraria (racconto e preghiera). Il paralle
lismo risulta da un gioco di ampie inclusioni che ricollegano i rispettivi estremi,
nonché da un certo numero di rapporti interni alle loro sotto-unità estreme.
5. Gv 13,18-20 e 17,12-19
The
6. Trial
GvVersion
13,18-20 e 15,12-17
Gli unici punti in cui si parla di elezione sono il centro di Gv 13, dove si al lude
all’elezione del traditore (13,18), e il centro di tutto il discorso, dove Gesù dice:
7. Gv 17,12-19 e 15,1-16,3
Gv 14 Gv 15,1-16,3 Gv 16,4-33
VIA VITE PARTORIENTE
Spazio orientato Espansione Fecondità
Anche i cinque passi sullo Spirito (14,16-18; 14,26; 15,26-27; 16,7-11.12-15)
aiutano a rilevare la dinamica dell’insieme.
10. Gv 17,6-11 e Gv 14
Il quarto Vangelo può essere letto come una continua anticipazione, dap
prima del processo e della condanna di Gesù (Gv 18,1-19,22), poi della fine di tutto
in termini di compimento e anche di adempimento della Scrittura (Gv 19,23-42,
specialmente vv. 28-30), e infine di ciò che fa seguito a questa morte nei racconti
della risurrezione. Questo si può dire di tutti i Vangeli. Per quanto riguarda l’in
sieme del Nuovo Testamento, l’esegesi antica e recente ha collocato al centro del
messaggio la morte e la risurrezione del Cristo. Ma tale criterio di lettura risulta più
che mai valido per il Vangelo di Giovanni. La morte e la risurrezione di Gesù influi
scono sul prologo e su tutto il racconto evangelico, dall’inizio alla fine. È significa
tiva in proposito l’importanza attribuita alle tre feste di Pasqua (Gv 2,13; 6,4; 11,55)
nel racconto della vita di Gesù. Il prologo colloca tutto sotto il segno del «principio»
(Gv 1,1): ciò che si rivela alla fine è all’opera fin dall’inizio.
Dopo aver seguito il racconto di Gv 1,19-6,71: Chi è Gesù, il figlio di Giu
seppe?, e successivamente di Gv 7-12: Chi è il Cristo che viene alla sua ora?, che for
mavano un primo dittico, consacrato alla Vita di Gesù (Gv 1-12), si t ratta a questo
punto di affrontare la parte dedicata al Cristo consegnato (Gv 18-21). Con i capitoli
precedenti, che hanno parlato del Figlio glorificato (Gv 13-17), questi capitoli for
mano un secondo dittico, c onsacrato alla Morte di Gesù (Gv 13-21). Un medesimo
criterio di lettura unitaria del testo canonico continua a guidarci anche ora. I quat
tro capitoli di Gv 18-21 verranno studiati come un’unità inscindibile. Avremo
modo in seguito di spiegare più dettagliatamente i motivi di questa scelta.
Il lettore tuttavia ha diritto fin d’ora a una sommaria giustificazione. La morte
e la risurrezione del Cristo costituiscono i due aspetti complementari, tenebroso e
luminoso, della medesima realtà. La vita è più forte del peccato e della morte, per
ché viene da Dio e ritorna a Dio. Questa complementarità si traduce nel testo. La
lettura non può fermarsi, neppure per ragioni metodologiche, alla morte di Gesù
(Gv 19,30) o alla sua sepoltura (Gv 19,38-42).1 Gli avvenimenti, nel Vangelo di Gio
vanni, continuano ad avere nuovi sviluppi. Alla morte già sopravvenuta fa seguito il
colpo di lancia. Attraverso quel gesto e attraverso i suoi effetti, il credente può in
1 Due studi monumentali dedicati alla passione e alla morte di Gesù rafforzano ulteriormente la
The Trial aVersion
tendenza separare G v 18-19 da Gv 20-21: R.E. B rown, The Death ofthe Mes siah. From Gethsemane to
thè Grave. A Commentary on thè Passion Narratives in thè Four Gospels. I-II (The Anchor Bible Refe-
rence Library), London 1994; S. L égasse, Le Procès de Jésus. I: L'histoire (LD 156), Paris 1994; Le Pro-
cès de Jésus. II: La Passion dans les Quatte Évangiles (LD Commentaires 3), Paris 1995. Pur costituendo
una miniera di notizie e di informazioni, queste opere propongono una suddivisione del testo che noi
non adottiamo.
dopo, Torino 1980. Non bisogna ovviamente dedurne che l’Apocalisse non parli del ritorno del Cristo.
4 J.P. Heil, Blood and Water. The Death and Resurrection of Jesus in John 18-21 (CBQ, Mono-
graph Series 27), Washington 1995, ha il merito di favorire l’unità di questi capitoli grazie a un approccio
The Trial Version
narrativo. L’autore mette inoltre in risalto la dimensione sacerdotale del Cristo nel Vangelo di Giovanni,
un elemento al quale anche noi diamo importanza. La suddivisione proposta è la seguente: 18,1-27;
18,28-19,11; 19,12-42; c. 20; c. 21. Vengono dunque individuate cinque sezioni, il che coincide con la no
stra prospettiva. Esprimiamo invece le nostre riserve sul modo in cui viene realizzata la suddivisione, sia
in gener ale s ia nei particolari, nonché su un certo divario tra la r affinatezza narrativa e l’interpretazione
che se ne ricava.
I. Introduzione
nella Scrittura, nell’eucaristia e nella Chiesa. Ciascuna di esse, come in questo caso la Scrittura, ri
chiama le altre.
1. Il versetto 1,5
2. I versetti 1,11-12
Al centro del prologo, la stessa realtà viene presentata in maniera più st orica.
Questi versetti forniscono un’altra chiave di lettura, della passione in particolare.
Alcune espressioni ritorneranno al momento della morte del Cristo.
The Trial Version
2 Per una buona sintesi della questione si veda S.A. Panimolle, L'evangelista Giovanni. Pensiero
e opera letteraria del quarto vangelo, Roma 1985, 349-362.
3. Il versetto 1,16
3 Dodd, L’interpretazione.
4 L. Walter, L’incroyance des croyants selon saint Jean (Lire la Bible 43), Paris 1967.
1. Gv 3,14-15
2. Gv 8,28
3. Gv 12,32.34
1. Gv 7,39
concordiamo con l’autore. Il significato di cui sopra è attes tato nel quarto Vangelo per il verbo katakri-
nein, che è presente nella sola pericope della donna adultera, e anche qui non è usato in pos itivo, ma è
accompagnato dalla negazione: «Nessuno ti condannò? Neanch’io ti condanno» (8,10-11).
v Cf. Es 10,2; Ez 6,7.10.13; 7,4.9.27; 11,10; 12,16.20.
Tutte queste occorrenze del verbo «glorificare» nella prima parte de l Vangelo
hanno soprattutto la funzione di anticipare ogni volta ciò che deve compiersi attra
verso la morte e la risurrezione del Cristo. Tuttavia, a eccezione forse di 12,16, non
è mai esclusa una glorificazione prima della Pasqua, come risulta dagli altri impie
ghi del termine nella seconda parte del Vangelo.
12 R. B ultmann, The Gospel of John, Oxford 1971, ad toc. (trad. dell’edizione tedesca del 1964,
con il Supplemento del 1966).
13 Cf. Gv 13,2.27. Si veda Simoens, La gioire d'aimer, 205-210; Gv 17,12, Zvz, 242.
14 lGv 4,8.16.
15 Corsini, Apocalisse, 457.
16 Guillet, Fra Gesù e la Chiesa, 146-147.
1. Lettura
8 Exelthéi'.
9 2Sam 15,23.
10 2Sam 15.12.
11 In Gen 2,3b-25 e in Gen 3 si trova un termine greco diverso: paradeisos (traduzione dell’e
braico gan). Troviamo invece kèpos, come qui, in Sir 24,29, con riferimento alla Sapienza che innaffia il
suo giardino, l’Eden storicizzato in terra d'Israele. Lo stesso termine ritorna frequentemente nel Cantico
dei cantici: 4,12.15.16; 5,1; 6,1.10; 8,13. Il carattere sapienziale è abbastanza netto.
12 Cirillo, Commentarti in Johannem, XI, PG 74,579-580 [cf. Commento al vangelo, 111,383]; tra
duzione francese dell’autore sulla base del testo greco (IV secolo). «E ciò [accadeva] a proposito, perché
là egli prese a soddisfare per il peccato del primo uomo commesso in un giardino. Infatti, paradiso signi
fica Trial
The appunto giardino. E d’altra parte mediante la Passione egli doveva introdurci per ia corona finale
Version
nel giardino del Paradiso. Vedi Le 23,43: “Oggi sarai con me nel paradiso”» (T ommaso d’Aquino, Super
Evangelium S. Ioannis Lectura, n. 2275; Commento al vangelo, 111,292). «In un bel giardino il secondo
Adamo volle essere trovato obbediente, perché in un giardino, cioè ne l paradiso - che significa giardino
- il primo Adamo fu trovato disobbediente, anzi, circuito dal serpente» (Ruperto di D eutz, Commenta
rio in evangelium Sancti Ioannis [CChr IX], par R. Haacke, Turnhout 1969, 713).
Torah
13 Topos, al v. 2: cf. 4,20; 11,48; 14,2-3. Lo sfondo di un testo come Sir 24 accentua questo simboli
smo.
14 Cf. la nota b) della TOB a Gv 18,3.
15 Cf. Gv 13,31-32; 14,31; 16,11.
16 «Se Gesù non ha saputo che era Dio, non era Dio» (M. Blondel, citato da J. Mouroux e da de
la Potterie, La passione di Gesù, 27).
The Trial Version
17 La coppia verbale «cercare-trovarc» può avere una connotazione sapienziale: cf. Pr 8,17; Sap
6,12; Sir 6,27; ecc. Gv 20,1-18 contiene alcune allusioni abbastanza evidenti a Ct 3,1-4, dove l’amata
«cerca» e «trova» «l’amato del suo cuore». La dimensione sapienziale della scena risulta in tal modo con
fermata e accentuata.
18 M. S abbe, «The Arrest of Jesus in Jn 18,1-11», in L’évangile de Jean (BETL XLIV), Leuven-
Gcmbloux 1977, 217.
Profeti
Scritti sapienziali
Come ha ben osservato Dodd,20 anche i Salmi sono qui implicitamente evo
cati: Sai 35,4 (e le grandi lamentazioni imprecatone: Sai 22; 55, spec. v. 10; 59; 69;
70; 109); Sai 27,2.21
In Gesù c’è una manifestazione tale della luce, che coloro che lo circondano
cadono a terra. Gesù non è arrestato dai soldati. È lui che li arresta.
«E (...) la reazione umana di fronte all’epifania divina, come nel racconto
della trasfigurazione e in quello delle apparizioni del Cristo risorto. A mio avviso
bisognerebbe chiedersi se qui si fa riferimento soltanto ai nemici del Cristo. L’e
spressione: apelthon eìs ta opisó [si allontanarono all’indietro], può richiamare l’in
credulità (dei discepoli) a cui si allude in 6,66. Il soggetto del verbo apelthon del v. 6
non può essere facilmente definito, ma a mio avviso non può essere limitato ai ne
mici di Gesù. 22 In questo momento di glorificazi one, aH’approssimarsi del suo arre
sto, la sfida della fede viene lanciata al mondo intero23».24
La triplice rivelazione è accompagnata da una triplice reazione o precisazione,
sul versante di coloro che partecipano alla scena, il che può servire a cogliere il
senso di ciascuno dei tre Egó eimi:
1° «Io sono»: Stava (là ) anche Giuda, colui che-lo-consegna, con loro (dimensione de l
perdono dei peccati).25
2° «Io sono»: Si allontanarono all’indietro e caddero a-terra (dimensione della santità
che si comunica).
3° «Io sono»: «Lascia te che questi se ne vadano» (dimensione de ll’unicità del media
tore rispetto all’universalità di coloro che vengono liberati).
geschichtliche und theologische Untersuchung zu Joh [18,1-19,30] (SANT). Miinchen 1972, 34.41-43.
22
The Trial In nota si legge: «C.K. Barrett, p. 434, afferma già che il movimento di arretramento e di pro
Version
strazione non può dare un’impressione di violenza».
23 Collochiamo in nota l’invito dell’autore a confrontare ad esempio 12,28.31ss.35ss.
24 Sabbe, «The Arrest», 218-219.
25 II trattamento riservato a «colui che-lo-consegna» in Gv 13 e 17 ha fatto di Giuda colui al quale
Gesù perdona maggiormente.
2. Indizi di composizione
3. Verso l’interpretazione
30 Cf. Gv 4,32.34.
31 Mollat, Fase. BJ 1973, ad loc. Il simbolo è profondamente radicato nelle tradizioni biblic he: Is
51,17.22-23; Ger 25,15-28; 49,12; 51,7; LXX Lam 2,13; 4,21; Ab 2,16; Ez 23,31-34; Sai 75,9. Per esprimere
The Trial Version
la collera è utilizzato anche nel settenario delle coppe di Ap 15,1-22,5; può indicare inoltre il destino: Sai
11,6; 16,5; 23,15; 116,13.
32 Cf. v. 9; Gv 17,2(ter).4.6.7.8.9.11.12.14.22.24: il rapporto del Padre col Figlio e del Figlio con i
discepoli è espresso attraverso una serie di forme diverse del verbo «dare».
33 Brown. The Death, I; Légasse, Le Procès. II.
1. Lettura
Alla relazione immediata di Gesù con il Padre, evocata per due volte nei vv. 9
e 11, succede la descrizione di un legame umano di parentela molto meno forte, e
che rischia di inficiare l a santità della massima funzione religiosa nell’ ambito delle
istituzioni giudaiche. L’udienza presso Anna è menzionata soltanto nel Vangelo di
Giovanni. La sua fonte sacerdotale è plausibile da un punto di vista storico.35
Il v. 14 costituisce un tipico esempio di intervento stilistico del redattore, in
tervento che ha una funzione specifica da un punto di vista sincronico. Il richiamo
del motivo ufficiale di condanna, invocato da Caifa durante una seduta del sinedrio
(11,49-51), getta una viva luce sulle due scene. Il «sacerdozio» di Gesù non fa che
acquistare maggiore risalto. Gesù realizza la funzione che dovrebbe essere svolta
da coloro che infieriscono contro di lui: instaurare il vero rapporto con Dio fon
dando l’unità degli uomini. Il motivo fittizio della condanna sul piano della storia
contingente è il motivo reale della morte di Gesù sul piano della storia della sal
vezza. Gesù, in quanto Figlio, incarna quell’«uno solo» che muore per il popolo. Si
rivela come l’unico in grado di farlo. Il suo sacrificio è dono del Padre e libera of
ferta che Gesù fa di se stesso a favore degli uomini.
Caifa esercita, senza saperlo, l a funzione pr ofetica attribuita alla sua carica di
sommo sacerdote, nel momento in cui la profezia si è spenta in Israele.36 Ciò va a
vantaggio dell’esercizio efficace, da parte di Gesù, della sua triplice funzione profe
tica, regale e sacerdotale, già presupposta dall’identità del Servo sofferente di Is
52,13-53,12, richiamato implicitamente dall’espressione: «morire per il popolo». Il
testo di Isaia dice infatti:
«Il Signore l'ha consegnato per i nostri peccati» (LXX 53,6);
«Ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra i criminali, ed egli por
tava i peccati di molti e si è consegnato a causa dei nostri peccati» (LXX 53,12).
Il Servo è pastore delle pecore disperse (53,6). Nel cuore del testo r itroviamo
il tema, caro ai grandi profeti dell’esilio, dell’unità di un popolo diviso.37
2. Indizi di composizione
3. Verso l’interpretazione
1. Lettura
38 J. Colson, L’énigme du disciple que Jésus aimait (THist 10), Paris 1969, 97.
2. Indizi di composizione
Questi versetti sono organizzati con cura, il che mette maggiormente in risalto il
senso della scena. Notiamo di sfuggita la menzione insistente del sommo sacerdote.
18, 16 - Pietro-l’altro discepolo conosciuto dal sommo sacerdote-ìa portinaia
17 - Domanda della portinaia. Primo rinnegamento
18 - Servi e guardie stavano (là) e si scaldavano
Anche Pietro stava (là) e si scaldava
3. Verso l’interpretazione
45 Gv 13,34-35; 15,12.17.
46 Sabbe, «The Arrest», 227-228.
V. Interpretazione. Conclusione
LA TRIPLICE IL TRIPLICE
RIVELAZIONE (w. 1-12) RINNEGAMENTO (w. 16-17)
Gesù uscì. Pietro fuori.
Giardino Il discepolo uscì.
«Non sono»
Guardie dei Servi-
sommi sacerdoti guardie
(vv. 1-3) (vv. 16-18)
Interrogatorio IL PREZZO Interrogatorio
da parte di Gesù DELL’UNITÀ di Gesù
«Io sono» (w. 13-15) «Pubblicamente -
(3 volte) Da Anna non in segreto»
Prosternazione «Uno-solo per Schiaffo
(vv. 4-9) il popolo» (w. 19-24)
Servo del «Non sono»
sommo sacerdote Servo del
Pietro-Gesù sommo sacerdote
(w. 10-12) Giardino
Di nuovo
The Trial Version Pietro negò
(vv. 25-27)
49 Ben riassunta in de la Potterie, La passione di Gesù, 35.70. Prendiamo di qui lo schema ripor
tato sopra. Brown, The Death, 1,758, e Léoasse, Le Procès, 11,492-493, convalidano tale proposta.
50 Nell’attuale dibattito, ci sentiamo vicini alla posizione adottata da Maria Luisa Rigato, «Conver
genze e divergenze con Claude Tresmontant sull’autore del quarto vangelo», in RivB 44/2(1996), 193-204.
L’anonimo discepolo è l’autore del quarto Vangelo. Sec ondo la testimonianza di Policrate, citato da Euse
The Trial
bio, «fu Version
generato sacerdote, portò ilpetalon [il che vuol dire che fu sommo sacerdote levitico], fu testimone
[martys-«martire»?] e maestro, si addormentò a Efeso». È apostolo, ma non può essere identificato con uno
dei Dodici, né con Giovanni, figlio di Zebedeo. Secondo Ireneo, sempre citato da Eusebio, morì sotto
Traiano (98-117), in età avanzata (molto probabilmente a 85 anni). Come morì? Arso da un liquido bol
lente, secondo Tertulliano. Ma su questo punto rimane difficile far luce. Si veda anche, della stessa esegeta:
«L’“Apostolo ed evangelista Giovanni”, “Sacerdote” levitico», in RivB 38/1(1990), 451-483.
I. Lettura
Le indicazioni precise o vaghe sui personaggi, sui luoghi e sui tempi si accu
mulano. L’autore vuole attirare l’attenzione; cerca di comunicare qualcosa.
La prima frase dice letteralmente: «Conducono dunque Gesù da (apo) Caifa
al pretorio». Il soggetto del verbo, indefinito, riprende forse il soggetto che lo stesso
verbo, aH’aoristo, aveva in 18,13: «(Lo) condussero dapprima da Anna». A quel
punto si trattava della milizia, del suo capo e delle guardie dei giudei. Il «dunque»-
oun può segnare un asindeto, una rottura della coerenza sintattica. 1 Non esprime un
legame consecutivo, ma storico. Il pretorio è la residenza del procuratore romano,
che rappresenta l’autorità imperiale di Roma. La localizzazione è controversa. Può
trattarsi del palazzo di Erode, nella zona occidentale della città (ipotesi più proba
bile), oppure della fortezza Antonia, a nord del tempio.1 2
Il tragitto compiuto da Gesù lo conduce dunque dalla città al monte degli
Ulivi. Di là, egli riparte alla volta della casa di Anna, ripercorrendo la stessa strada
in senso inverso, perché la casa di Anna si t rova ne lla zona oc cidentale della città,
nei pressi del cenacolo, un po’ più a sud del palazzo di Caifa.3 Dalla casa di Anna,
Gesù viene condotto al palazzo di Caifa e poi al palazzo di Erode. Si ridiscende dal
monte Sion, in direzione nord.
«Ora era di-mattina-presto». E la prima indicazione temporale solenne dopo
quella di 13,30, al momento dell’uscita di Giuda: «Ora era notte». La valenza sim
bolica è verosimile, con un’anticipazione di 20,1, dove si col loca l’unica altra occor
renza di questo avverbio nel Vangelo di Giovanni. La luce della risurrezione co
mincia già a trapelare.
I protagonisti sono messi in evidenza per mezzo del pronome personale che
apre la proposizione coordinata. Si intuisce che sono giudei da ciò che viene detto
subito dopo. La precauzione di non entrare nel pretorio è dettata da una preoccu
pazione rituale.
«È difficile a credersi che gli avvenimenti del venerdì santo, e prima di tutto il processo
e l’esecuzione, abbiano avuto luogo il primo giorno della festa di Pasqua. (...) La esecu
zione sola non sarebbe sospetta; la legge giudaica prevede esecuzioni anche in giorno
festivo, (...) e oltre a tutto Gesù fu crocifisso da soldati romani. Ma che il Sinedrio po
tesse celebrare un processo, per di più per un’imputazione capitale, è tesi che manca di
qualsiasi documanto d’appoggio».6
Viene poi la descrizione del primo movimento di Pilato: «Pilato dunque uscì
fuori presso-di loro». Le indicazioni sono più precise di quelle fomite in 18,1.4 a
proposito dell’uscita di Gesù. Ci troviamo di fronte a due generi diversi di uscita.
Qui ha inizio l’andirivieni fuori e dentro il pretorio,7 che fa da supporto letterario
alla composizione del racconto che abbiamo evocato in precedenza. Notiamo che il
testo non dice: «uscì fuori dal pretorio», ma «uscì fuori (ex<5)», una formula che si ri
trova soltanto in 19,4 (discreto indizio di parallelismo).
Pilato, procuratore romano della Giudea dal 26 al 36, era mal disposto nei
confronti del popolo giudaico. La sua domanda ottiene due effetti. Il vocabolario
che utilizza: «Quale accusa...?» è giuridico (/categoria). La stessa terminologia ri
torna al v. 38b: (aitia: causa [di condanna]). Questa attrazione semantica permette
di individuar e un fenomeno di composizione letteraria. I due interventi orali di Pi
lato sono accompagnati dalla menzione di due movimenti identici: «Uscì presso-di
loro» (v. 29); «Uscì presso i giudei» (v. 38b).
I due procedimenti giudiziari, uno giudaico e l’altro romano, non permettono
facilmente di distinguere un «processo giudaico» da un «processo romano». Uno
dei problemi fondamentali del processo a Gesù consiste in questa confusione dei
poteri e delle procedure: si arriva al punto di non sapere più chi fa una cosa o l’altra,
il che è contrario al diritto.8
L’accusa formulata nel v. 30 definisce Gesù come «uno-che-agisce (= fa)
male»-A:aZcÓ5 poiòn. L'avverbio «male» era stato usato da Gesù in 18,23: «Se parlai
male (kakòs elalésa), testimonia (termine giuridico) a proposito del male». L’accusa
Gli uomini giudicano se stessi. Il Padre nel suo Figlio opera un giudizio di con
danna, ma in vista della salvezza, dall’interno di questa trama umana e storica di
cose e di persone. Gli uomini si condannano condannando a morte Gesù in maniera
La scena è delimitata dal dialogo fra Pilato e Gesù, inquadrato dalle due do
mande di Pilato che determinano un’inclusione:
- v. 33b: «Tu sei il re dei giudei?»
- v. 38a: «Che-cosa è verità?»
Sulle labbra di Pilato (v. 35) ritroviamo inoltre l’uso, probabilmente delibe
rato da parte del narratore, di uno dei termini della coppia: er/moó-«nazione» e
/aos-«popolo». Il primo ha un'accezione prevalentemente politica, mentre il se
condo ha un’accezione prevalentemente religiosa e viene utilizzato per indicare il
«popolo eletto». In tutte queste dispute, viene messa singolarmente in rilievo l’im
possibilità di distinguere, in Israele, la dimensione politica da quella religiosa. La
questione continua ad essere delicata anche ai nostri giorni. E non c’è bisogno di
aggiungere che lo è altrettanto per la Chiesa cristiana. Il criterio di una dissocia
zione è fornito dalla morte-risurrezione di Gesù.
Ritorna il verbo «consegnare», applicato questa volta ai sommi sacerdoti. La
domanda: «Che-cosa facesti?», dopo: «Sono io forse giudeo?», esprime un rifiuto
categorico di rispondere alla domanda di Gesù. Questo susseguirsi di domande
senza risposta dà risalto alla deposizione di Gesù.
Questa si colloca al centro della sotto-unità. Tutte le parole sono significative.
Un’espressione ricorrente: einai ek-«essere da», richiede innanzitutto un chiari
mento. In un senso neutro, evoca la provenienza da un luogo d’origine: «Filippo era
da Betsaida»;18 indica in questo caso l’appartenenza di una persona o di una cosa:
«E inviati, erano stati dai farisei».19 Può esprimere inoltre l’essere profondo di ciò
che in tal modo viene designato: «dalla terra» (3,31); «dalle cose-del-basso», «da
questo mondo» (8,23); «dal padre, il diavolo» (8,44); «da Dio» (8,47; lGv 4,6). L’e
spressione può essere accompagnata da alcune specificazioni: «Chi non pratica la
giustizia non è da Dio» (lGv 3,10); «Ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è
venuto nella carne, è da Dio» (lGv 4,2); «Voi siete da Dio, figlioli, e avete vinto
questi falsi profeti» (lGv 4,4). Quando viene applicata alla regalità di Gesù, il suo
significato è chiaro:
«La regalità di Gesù non ha la sua origine, non ha la sua legittimazione in questo
mondo. La sua essenza è diversa dal mondo e si distingue da ogni istituzione di potere
mondano».20
«(Gesù) non dice che questo mondo non è la sfera della sua autorità, ma che la sua au
torità non è di origine umana».21
In altri termini: «Non è il cosmo il suo principio; allora esso [il regno di Gesù]
non è per sua essenza legato al mondo. Se il suo regno non è di questo mondo, pure
esso è in questo mondo. (...) Per il fatto che il regno di Gesù non è di questo mondo,
esso si trova a essere essenzialmente superiore al mondo, così come l’inviato di
vino».22
A tale proposito, H. Schlier cita alcuni elementi interessanti della documenta
zione relativa all’argomento.23
- La deposizione di Giuda e del fratello di Gesù davanti a Domiziano, riportata da
Eusebio di Cesarea (263-340 d.C.),24 è significativa: «Interrogati su Cristo e il suo
regno, sulla sua natura e il luogo e il tempo in cui si sarebbe manifestato, rispo
sero che il suo regno non era di questo mondo, né di questa terra, ma celeste e
angelico, che si sarebbe compiuto soltanto alla fine dei secoli, quando Cristo sa
rebbe venuto nella gloria a giudicare i vivi e i morti».
- Nella versione B degli Acta Pilati apocrifi si legge:25 «Il mio regno non è in questo
mondo».
- Agostino (354-430) osserva:26 «Non dice: “Ora il mio regno non si trova quag
giù”, ma dice: “Il mio regno non è di quaggiù”. Il suo regno è quaggiù fino alla
fine dei secoli (...). Tuttavia, esso non è di quaggiù, perché è peregrinante nel
mondo».
Richiamando il testo degli Atti di Pilato che è stato citato sopra, I. de l a Potte-
rie ne deduce alcune interessanti implicazioni: «Questo è il dualismo gnostico, una
condanna totale del mondo di quaggiù e una fuga dalla realtà! Tommaso d'Aquino
segnala che ai suoi tempi (XII-XIII secolo) i manichei interpretavano ancora la ci
tazione in questo modo. Ma essa significa in realtà che il regno del Cristo non si
fonda sui poteri del mondo e non si ispira in alcun modo a tali poteri. È una sovra
nità in questo mondo, ma si realizza in un modo diverso rispetto al potere terreno e
trae ispirazione da un’altra fonte. La maniera in cui ciò deve attuarsi è spiegata da
Gesù nella seconda parte, positiva, della sua risposta a Pilato».27
The
vresTrial
I-IV, Version
par G. B ardy (SC 31), Paris 1952,123-124 [Storia ecclesiastica (Classici di storia 11), Milano
1979, 184].
25 C. Tischendorf, Evangelia Apocrypha, Leipzig 21876, 294.
26 Agostino, In Iohannem, 115,2 [Commento al vangelo, 1521-1523]. Si veda: Oeuvres complètes,
t. X: Traités sur l’évangile de S. Jean, Vivès, Paris 1869, 397-398 e 399.
27 De la Potterie, La passione di Gesù, 99.
Non considerando più che gli uomini si corre tuttavia inevitabilmente il rischio
di smarrire la visione biblica del mondo, propriamente te ologica e spirituale: i primi
soggetti che intervengono nell’umanità e nel mondo sono Dio e alcuni esseri spiri
tuali, i quali non sono comprensibili né intelligibili per noi se non attraverso i loro
effetti nella creazione e nella storia.
Con il v. 37, emerge il tema del rapporto con la verità. Con ciò si apre necessa
riamente un nuovo campo di ricerca nell’ambito della problematica giovannea. I.
de la Potterie ha fatto bene a insistere sulla differenza fra la concezione giovannea
della verità e una concezione platonica come quella adottata da certi padri della
Chiesa e anche da s. Tommaso.32 Nell ’ottica di questi ultimi, sem plificando mol to,
Dio è la verità ultima, il fondamento della realtà e della verità storica.
«Secondo tale prospettiva, la “verità” è un principio ontol ogico. Ens et verum conver-
tuntur, dice la filosofia. L’“ente” e il “vero” sono la stessa cosa: il “vero” è il reale co
nosciuto quale esso è».33
28 Gv 13,2: diabolos, il contrario di symbolon, cioè i l fautore della divisione, colui che è contrario
alla comunione fra gli uomini, «simbolo» della comunione con Dio.
29 Cf. Ap 12,9: il seduttore del mondo intero (Gen 3,1-5), l’accusatore dei nostri fratelli, colui che
li accusava davanti al nostro Dio, giorno e notte (Gb 1,9-11; 2,4-5; Zc 3,1-2), il «denigratore» (A. V an-
hoye, Situation da Christ. Épttre aux Hébreux 1 et 2 [LD 58], Paris 1969,351). Un’altra traduzione propo
sta da questo autore è: «il maldicente».
30 J. Blank, Krisis, Fribourg-en-Br. 1964, 190. citato da Dauer, Die Passionsgeschichte, 256.
«La Chiesa nasce là dove alcuni discepoli si raggruppano con fede intorno a Cristo.
Non si tratta dunque di sapere dove vanno le pecore: (esse non vanno) da nessuna
parte. Basta che siano riunite intorno al “pastore”, guardino verso di lui e ascoltino la
sua voce».43
50 Es 20,13.16; Dt 5,17-20.
51 Bisogna fare molta attenzione a non lasciare che in un modo o in un altro questi fermenti di an
tisemitismo si insinuino nella lettura non solo del Vangelo di Giovanni, ma di tutto il Nuovo Testa
mento. L’influsso di M. Heidegger su R. Bultmann deve indurre alla vigilanza, tenuto conto della posi
zione del filosofo di Friburgo nei confronti del nazismo. La severità e l’indignazione di E. Lévinas sono
comprensibili: «L’ontologia heideggeriana subordina il rapporto con l’Altro alla relazione con quel Neu
tro che è l’Essere, e con ciò continua a esaltare la volontà di potenza, la legittimità e la buona coscienza
della quale possono essere scosse e turbate solo da Altri. Proprio mentre Heidegger rivela l’oblio del-
l’Essere, oscurato dalle diverse realtà che esso illumina, oblio di cui sarebbe colpevole la filosofia che
prende origine da Socrate, mentre deplora l’orientamento dell'intelligenza verso la tecnica, mantiene un
sistema di potenza più inumano del macchinismo e che forse non ha la sua stessa origine. (Non è sicuro
che il nazionalsocialismo derivi dalla reificazione meccanicistica degli uomini e che non si fondi, invece,
su un radicamento contadino e su un’adorazione feudale da parte degli uomini asserviti per i padroni e i
signori che li comandano). Si tratta di un’esistenza che coglie se stessa come naturale, per la quale il suo
posto al sole, il suo suolo, il suo luogo orientano ogni significato. Si tratta di un esistere pagano. L’essere
lo nomina costruttore o coltivatore, nel quadro di un paesaggio familiare, in una terra materna. Ano
nimo, Neutro, lo consacra eticamente indifferente e come libertà eroica, estranea a ogni colpevolezza ri
spetto ad Altri.(...) Con Heidegger, l’ateismo diventa paganesimo e i testi dei presocratici sono delle an
tiscritture. Heidegger mostra in quale ebbrezza sia immersa la l ucida s obrietà dei f ilosofi» ( E. L évinas,
«La filosofia e l’idea di infinito», in Scoprire l'esistenza con Husserl e Heidegger, Milano 1998,195-196).
«Sono convinto che l’opera successiva di Heidegger (...) resta valida per Sein und Zeit. (...) Non dico
questo
The a causa
Trial degli impegni politici di Heidegger, a ssunti alcuni anni dopo Sein und Zei t [pubblicato nel
Version
1927], benché io non abbia mai dimenticato quegl i impegni e Heidegger per me non sia mai scagionato
della sua partecipazione al nazional-socialismo» (E. Lévinas, Etica e Infinito. Dialoghi con Philippe
Nemo [Idee 66], Città Nuova. Roma 1984, 62). D ello stesso autore, si veda anche: Difficile libertà. Saggi
sul giudaismo (Scritti scelti) (Anthropos), Brescia 1986, e Altrimenti che essere o al di là dell’essenza (Di
fronte e attraverso. Generali), Milano 21991.
I. Lettura
1 Si veda S. Légasse, «Jesus roi et la politique di IV' évangile», in Origine et postérité de l’évangile
de Jean, par A. Marchadour (LD 143), Paris 1990,146-147. La nota 3 cita il primo autore che ha richia
mato l’attenzione su questa strutturazione e gli esegeti che non la ratificano.
2 Hapax giovanneo, normalmente con significato attivo e non causativo.
The Trial Version
3 Si noti che il parelabon che compare in negativo in 1,11 («non accolsero») si ritrova in 19,16b
per dire che gli esecutori della crocifissione «accolsero» Gesù!
4 Per S. Legasse («Jésus roi», 147), «(il) comportamento (di Pilato) nei confronti dell’accusato
non ha altro scopo se non quello di umiliare i giudei senza fare nulla che possa realmente bloccare la loro
azione giudiziaria».
Le «parole» sono «oltraggi». Gli «oltraggi» cul minano nella richiesta di croci
figgere Gesù, che Pilato, esasperato, accoglie.
5
The TrialJ.Version
Blank, citato da Dauer, Die Passionsgeschichte, 263, e da Mollat, Fase. BJ 1973, ad toc.
6 Cf. Gv 13,4.12, nel contesto della lavanda dei piedi; il termine ritorna, al plurale (ta himatia), in
19,23. Sono le uniche occorrenze nel quarto Vangelo.
7 De la P otterie, La passione di G esù, 87-88. Motivo in più per non interrompere in 19,16a il
processo davanti a Pilato.
8 «Coups» (percosse): TOB, BJ; «soufflets» (ceffoni): I. de la Potterie.
Libri storici
«(Davide) tolse dalla testa di Milcom la corona, che pesava un talento d'oro e conte
neva una pietra preziosa; essa fu posta sulla testa di Davide» (2Sam 12,30; lCr 20,2).
Ritroviamo qui gli stessi dettagli citati a proposito di Gesù nel Vangelo di
The Trial Version
Giovanni, anche
se in senso per così dire inverso. L’incoronazione riabilita Mardo
«La scellerata trama di Amàn contro i giudei fu fatta ricadere sul capo di lui» (Est
9,25).
«(Dio) mi ha spogliato della mia gloria e mi ha tolto dal capo la corona» (Gb 19,9).
escatologico che l’ha fatto applicare al Cristo re (Nota BJ 1973 a Sai 21).
Gli accenti diventano minacciosi nelle invettive che il profeta lancia contro
Samaria:
«Guai alla corona superba degli ubriachi di Èfraim (...). Dai piedi verrà calpestata la
corona degli ubriachi di Èfraim. (...) In quel giorno sarà il Signore degli eserciti una co
rona di gloria, uno splendido diadema per il resto del suo popolo» (Is 28,1.3.5).
The Trial Version
Gli idoli sono rivestiti in quel modo da uomini idolatri. Gesù invece, rivestito
di porpora e di spine, si muove con sovrana libertà.
SVILUPPI
La seguente descrizione tratta dal Cantico dei cantici (3,9-11) può concludere
il nostro percorso attraverso TAntico Testamento alla ricerca del vocabolario della
corona e dell’incoronazione:
«Un baldacchino s’è fatto il re Salomone,
con legno del Libano.
Le sue colonne le ha fatte d’argento,
d’oro la sua spalliera;
il suo seggio di porpora,
il centro è un ricamo d’amore
delle fanciulle di Gerusalemme.
Uscite, figlie di Sion,
guardate il re Salomone
con la corona che gli pose sua madre,
nel giorno delle sue nozze,
nel giorno della gioia del suo cuore».
The Trial
18 Version
Bar 6,10-11.57.70-71. Con questo testo ritorniamo in un ambito prevalentemente sapienziale,
anche se Baruc si colloca a cavallo tra il genere profetico e il genere sapienziale.
19 Si tratta dell’altare dei profumi.
20 Uno splendido commento di questi versetti ci viene offerto da Beauchamp, Accomplir les Écri-
tures, 159-195 (specialmente 175-176). Si veda anche Simoens, Le Cantique des Cantiques, specialmente:
VI. «Le quatrième chant: Ct 3,6-11» (67-73).
Questo passo introduce due descrizioni del giusto sofferente, sulla linea di una
rilettura di Is 52,13-53,12 (Sap 2,10-20; 5,1-12). Insieme ad altri passi del libro di
Giobbe, tale contesto rende plausibile l’identifi cazione che Giovanni opera in Gesù
fra questo «uomo» e «il Figlio dell’uomo glorificato» nella sua stessa umiliazione,
Quest’ultimo titolo è regale prima di essere «divino». Gesù ha fatto tutto ciò
che era possibile per non incorrere in questa accusa (cf. 6,15). L’argomento è stato
discusso in 10,32-39, un passo vicino alla nostra pericope sul piano della forma
come su quello del contenuto.
«Il ragionamento di Gesù (...) si fonda su quell’intuizione della Scrittura (Sai 82,6) che
vedeva, in ogni uomo che esercita una funzione in nome di Dio, una presenza di Dio
stesso e l’abbozzo di una presenza più perfetta. Gesù fa vedere nella formula del
Salmo l’annuncio velato di questa presenza, ora realizzata nella sua persona».24
24 Mollat, Fase. BJ 1973, commento a Gv 10,36. Noi vi leggiamo una riabilitazione del linguag
gio scritto e parlato: della Scrittura, di Dio stesso e di Gesù in quanto Verbo.
25 Légasse, «Jésus roi», 150, nota 8.
26 Gb 28,12.20. Questo ritornello scandisce il poema della Sapienza che non è possibile trovare se
non a costo di una conversione che porti a considerare il cosmo dal punto di vista del Creatore.
27 Cf. 3,3.7.31; 19,23, per anóthen. Per un’analisi esaustiva di Gv 19,Ha, si veda A. Urban, El Ori-
gen divino del Poder, Estudio filològico e historia de la int erpretación de Jn 19,lla (Estudios de filologia
neotestamentaria 2), Cordoba 1989; nostra recensione in NRT 113(1991), 109-110, dove proponevamo
già le considerazioni riprese qui.
28 Schlier, «Gesù e Pilato», 110, nota 27.
coloro che stanno in alto. L’inferiore è meritevole di pietà, ma i potenti saranno esaminati con rigore».
«Non deve sfuggire che in exousia e nella trasmissione di potestà il rapporto è innanzitutto con Dn 7»
(G. Schrenk, «Pater», in GLNT IX.1258, nota 313 in fine).
L’autore non esclude né Giuda né Satana, e neppure Caifa, il che non coincide
con l’interpretazione di A. Dauer. Associa Caifa e i giudei come rappresentanti del
l’incredulità che ha come ispiratore Satana.
L’argomento del singolare collettivo non esclude la designazione di singole
persone concrete; lo stesso si può dire per l ’ipotesi di una formulazione a carattere
gnomico. I casi simili in passi paralleli non sono probanti. 37 Il soggetto vi è chiara
mente espresso, anche se una generalizzazione è senza dubbio possibile: ris, o «colui
che crede, o non crede»;38 si tratta di una formulazione generale che non permette
nessuna condanna personale: «colui che-fa la verità» (3,21); «colui chc-ricevette la
sua testimonianza» (3,33); «colui che-crede; colui che-diffida» (3,36); «colui che-
berrà dell’acqua» (4,14); «colui che-ode la mia parola» (5,24).
L’uso del verbo «consegnare» è molto più circostanziato e richiede anche
maggior rigore e maggior precisione nell’individuazi one del suo soggetto, perché si
tratta di una frase decisamente cruciale ai fini dell’interpretazione dell’insieme e
dei particolari della passione secondo Giovanni. Il punto essenziale consiste nell’e-
vitare di addossare a «singole persone concrete» il peso di un simile verdetto. 39 Evo
cando i giudei e i loro capi non si evita il problema e non si dà una risposta. Si tratta
di persone concrete! A meno che non si cada in una simbolizzazione disincarnata
facendone dei «tipi». Non siamo molto propensi ad accettare questa prospettiva,
perché non corrisponde al realismo simbolico del quarto Vangelo. Non rimane che
da chiamare in causa Satana all’opera in Giuda. La responsabilità di Giuda nella
sua libertà non ne risulta affatto minimizzata. Questa prospettiva salvaguarda nello
stesso tem po la realtà di una manipolazione dell’uomo da parte di una forza che lo
oppure mette semplicemente in scena il rischio che Pilato avrebbe corso se non avesse ceduto alla loro
richiesta (Brown). Non è necessario ritenere che si tratti di un dialogo storico» (F orster, «Théologie et
histoire», 253).
«La frase comporta due verbi che indicano un movimento di Pilato: egagen, lo fece
uscire, ed ekathisen, seguito dal complemento eis topon legomenon Lithostroton.
“verso un luogo chiamato Litòstroto”. Non si va a sedersi verso un luogo: ciò non ha
senso. Ma la cosa pare normale, se si considera il complemento come il punto d’arrivo
di due movimenti: Pilato fa uscire Gesù verso un luogo chiamato Litòstroto e lì lo fa se
dere sul bèma, la tribuna. Si presuppone in tal caso che la stessa persona. Pilato, sia il
soggetto di due verbi attivi con significato transitivo».44
Questi due momenti non sono separabili in maniera così netta. Tenuto conto
della prolessi, una delle principali figure letterarie del quarto Vangelo, gli av
venimenti - soprattutto quelli della morte-risurrezione di Gesù - sono continua-
mente anticipati nel racconto e nei discorsi. Fin dall’«ora sesta» - e persino dal-
l’«ora» di Cana, e a maggior ragione da Gv 13,1 e 17,1 - si realizza la salvezza del
mondo tramite l’offerta sacrificale di sé compiuta dal Cristo come Agnello che t o
glie il peccato del mondo (1,29). Gesù non condanna né il mondo, né i giudei. Nel
l'amore, si offre al Padre che lo accoglie. E altrettanto si offre, con lo stesso amore,
ai suoi fratelli e sorelle umani che, nella loro comune cecità dovuta ai raggiri del
Nemico, non lo riconoscono. Gli uomini giudicano se stessi in questa cieca igno
ranza da cui vanno evidentemente e urgentemente liberati. Una logica di salvezza si
46 «Il verbo kathizein è usato nel suo senso intransitivo, consueto nel Nuovo Testamento, come in
Atti 12,21 [correggere l’originale: 17,21]; 25,6; 25,17 (e cf. 25,10). Si veda l’acuto articolo di R. Robert,
“Pilate a-t-il fait de Jesus un juge?”, in RevThom 1983, 275-287» (E. Delebecoue, Évangile de Jean.
Texte traduit et annoté [Cahiers de l a Revue Biblique 23], Paris 1987,204, nota 13, da leggere per i ntero).
The Trial traduce:
L’autore Version«Pilato (...) fece condurre Gesù al di fuori e andò a sedere in un luogo chiamato Litho-
stròthos» (p. 133).
47 Potterie, La passione di Gesù. 95.
48 Concedo.
49 Nego ut sic.
50 I. de la Potterie, «Jésus roi et juge d’après Jn 19.13», in Bib 41(1960), 244-245.
5. L’epilogo: i w. 16b-22
«Giovanni vuol dire che i giudei si assumono la responsabilità e che, a partire da que
sto momento, rispondono essi del corso degli eventi».54
In realtà, Gesù solo continua a dirigere tutto. I particolari che seguono lo di
mostrano abbondantemente, come del resto segnala lo stesso I. de la Potterie:
«“Uscì dalla città”.56 È molto facile capire che cosa significano queste parole: anche
qui, è Gesù che prende l’iniziativa, egli stesso agisce, dirige Favvenimento. Libero e
consapevole, affronta il compimento della sua passione».57
« Cristo porta la croce “per sé stesso” in quanto strumento privi legiato della sua opera
di salvezza, segno del suo trionfo e della sua sovranità».59
Gli accenti di Giovanni sono belli perché sono veri. In tono minore, discreti e
sobri, rendono meglio la gravità e insieme la maestà della scena.
In che modo questa breve pericope entra in rapporto con le altre due, più am
pie, che la precedono: 19,l-16a e 18,28-40? Indicazioni preziose vengono fornite da
I. de la Potterie dal punto di vista di un parallelismo fra 19,13-16a e 19,16b-22.61 A
questi due brani è possibile accostare, con varianti significative, anche 19,1-7, otte
nendo lo schema seguente:
60 In ebraico, non in aramaico, la sola reminiscenza di Nazaret avrebbe dovuto dare luogo a: Na
The
zari;Trial Version
Nazorai fa affiorare la radice na«ar-«custodire. osservare la Legge, i comandamenti, la parola».
«NAZORAI-OS è un nome teologicamente rilevante per descrivere questa attitudine di Gesù, che per
amore compie la volontà del Padre fino in fondo» (Maria Luisa Rigato, «Il titolo della croce: “Gesù il
Nazoreo il re dei Giudei” [Gv 19,19]; perché Nazoreo e non Nazareno!», in Atti del IVsimposio di Efeso
su Giovanni Apostolo, a cura di L. Padovese, Roma 1994, 41-74; per la frase citata, p. 68).
“ De la Potterie, La passione di Gesù, 102-103.
I. Introduzione
Intorno a Gesù, i personaggi principali del processo erano Pilato, come rap
presentante dell’autorità romana, e i sommi sacerdoti giudaici, menzionati con insi
stenza in 19,6.15.21. Altri personaggi svolgevano un ruolo secondario: i soldati in
19,1, per i romani, e le guardie che accompagnavano i sommi sa cerdoti in 19,6. Ma i
responsabili romani e giudaici rimangono alla ribalta fino alla scena del Gòlgota in
clusa. Per tale motivo, il testo non viene interrotto prima di 19,22.
Vediamo ora avvenire il contrario per quanto riguarda le ultime scene dell’e
secuzione e le ultime battute del racconto che la riferisce. Si tratta degli ultimi mo
menti della vita terrena di Gesù. Sul versante dei romani, e quindi dei pagani, in
primo piano accanto a Gesù ci sono sempre i soldati. Sul versante giudaico, entrano
in scena la madre di Gesù, le altre donne, il discepolo che Gesù amava, Giuseppe di
Arimatea e Nicodemo. Queste persone che circondano Gesù, legate a lui più o
meno strettamente, sono suoi alleati. Pilato ricompare in 19,31 e in 19,38, con riferi
mento alla deposizione dalla croce, mentre non si parla più dei sommi sacerdoti. La
menzione dei giudei in 19,38.40.42 dà invece luogo a un’inclusione con la loro men
zione in 19,31 a proposito della Preparazione. Questa distribuzione dei personaggi
permette di raggruppare i momenti che si susseguono da 19,23 a 19,42, come viene
messo in luce dallo schema seguente:
19,23-27 19,28-30 19,31-42
SOLDATI (PAGANI) Tutto è stato adempiuto SOLDATI (PAGANI)
Scrittura (teleó) Scrittura Scrittura
Compiuta Portata-a-compimento Compiuta
(teleioó)
DISCEPOLI (GIUDEI) «È stato adempiuto» DISCEPOLI (GIUDEI)
(teleó)
Giovanni normalmente non si sofferma sul rapporto fra pagani e giudei. Per
lui come per Matteo, l’essenziale si gioca all’interno del popolo eletto. Qui egli di
stingue il «popolo» nella sua dimensione religiosa e l a «nazione» a un livello più so
ciologico. «Israele» (131) e «i giudei» (1,19) rimandano ad altri due livelli di perce
The Trial ilVersion
zione: nord (la Galilea) e il sud (la Giudea). Sul piano della fede, Gesù è «rice
vuto» meglio al nord che al sud. Ma il sottile gioco delle relazioni non permette di
fermarsi a questa generalizzazione. I suoi «fratelli» non credono in lui (7,5), mentre
a Gerusalemme molti si mettono a credere in lui (12,11). I l rapporto fra quelli che
II. Lettura
1. Prime osservazioni
Il racconto si apre con un primo piano, uno zoom sui soldati. Questi sono pre
sentati come gli esecutori della crocifissione. Il supplizio è romano, messo in atto da
romani, da pagani, secondo il desiderio espresso dai giudei e dalle loro autorità
nella scena precedente. Ma l’avvenimento è ulteriormente approfondito in se
stesso, innanzitutto da un punto di vista pagano. I gesti sono descritti in maniera
dettagliata, come avviene già nei Sinottici. Questi ultimi distinguono essenzial
mente il fatto di dividersi le vesti di Gesù e quello di tirarle a sorte.1
Queste procedure sono legali. Non si discostano dalla legge .1 2 Giovanni si sof
ferma maggiormente sui particolari relativi al vestiario.
«Per antica usanza, a i carnefici spettava quanto veniva lasciato dal giustiz iato. I quat
tro soldati si spartirono dunque le vesti di Gesù. Queste potevano consistere di soprav
veste e di sottoveste, cintura, sandali e forse una fascia frontale. La sottoveste, il chi
tone simile a una camicia, forse opera della madre di Gesù, era tessuta in un sol pezzo
e senza cuciture». In nota, l’autore aggiunge: «Isidoro di Pelusio informa che simili ve
sti senza cuciture erano specialità di Galilea (Ep. 1,74)». Per questo «i soldati non la ta
gliarono in quattro ma la tirarono a sorte (Me 15,24; Gv 19,23s)».3
Questi primi dati lasciano subito indovinare numerosi significati, che determi
nano la complessità, ma anche e soprattutto la ricchezza di queste descrizioni. In
ogni caso, gli indumenti de l giustiziat o costituiscono un magro bottino da dividere,
e la descrizione dettagliata della tunica suscita un certo stupore. Il punto più impor
tante, per il momento, è l’applicazione della legge romana.
In una nota a Mt 27,35, la TOB segnala inoltre:
«Alcuni mss aggiungono: affinché si adempisse la parola del profeta: Si sono divisi le
mie vesti ed hanno gettato la sorte sulla mia tunica (Sai 22.19). Quest’aggiunta è proba
bilmente ispirata a Gv 19,24».
The Trial Version
4 Gv 10,17: a eccezione dell’avverbio: palin-«di nuovo», sono esattamente le stesse parole che si
ritrovano nell’episodio della lavanda dei piedi.
5 Cf. Sai 16,5 e la nota della BJ 1973 a Sai 16,6.
2. La tunica
Anche il seguito del versetto non manca di sorprendere, dal duplice punto di
vista semantico e sintattico. La tunica viene introdotta con una rottura della costru
zione gramm aticale. L’«e » è inatteso e prolunga una frase che sembrava terminata.
La tunica sorprende anche in se stessa. Fin qui non era mai stata menzionata. Per il
«manto di porpora»,6 Giovanni aveva preferito un termine più neutro, che avevamo
già incontrato al plurale: «veste»-himation. Non è di questo che si tratta: l’autore vi
avrebbe insistito maggiormente.
A. Tendenze dell’interpretazione
Per quanto riguarda la tunica, due tendenze si delineano sul piano dell’inter
pretazione. Essa evocherebbe sia la tunica del sommo sacerdote, sia l’unità della
Chiesa.7 Vale la pena di seguire la trattazione dell’argomento proposta da I. de la
Potterie.
a) Evocazione del sommo sacerdote
«A proposito del chitón del sommo sacerdote, lo storico giudaico (Flavio Giuseppe,
Ant., Ili, 7,4, paragrafo 161) scrive: “Non si compone di due pezzi cuciti sulle spalle e
lungo i fianchi; è un pezzo unico, di un solo taglio di tessuto (pharsos d’hen epimékes
hyphasmenon)...”. (...) Niente indica che Giovanni abbia pensato a questo parallelismo
e abbia visto in esso il fondamento del simbolismo sacerdotale della tunica di Gesù.
Notiamo innanzitutto che l’aggettivo araphos usato dall’evangelista non si trova in Fla
vio Giuseppe. È un hapax biblico. Il suo uso, d’altronde, è estremamente raro anche al
di fuori della Bibbia. (...) Analizzando bene i testi, si constata che in Gv 19,23 si tratta
della tunica (l’indumento che si porta sotto l’abito) di Gesù, mentre la veste del sommo
sacerdote descritta da Giuseppe è il manto dell’efod, fatto di stoffa viola».8
’ Si veda M. Aubineau, «La tunique sans couture du Christ. Exégèse patristique de Jn 19,23-24»,
in Kyriakon. Festschr. J. Quasten, hrsg. P. G ranfield - J.-A. J ungmann, I. Aschendorf, Miinster 1970,
100-127.
10 De la Potterie, La passione di Gesù, 115.
11 De la Potterie, «La tunique sans couture», 266-269.
12 Gv 1,19, immediatamente dopo il prologo.
13 Si veda più avanti la citazione e la discussione dei testi.
14 Si veda A- V anhoye, Sacerdoti antichi e nuovo sacerdote secondo il Nuovo Testamento (Saggi
di teologia 28), Leumann 1985,45.48: «Giovanni attesta lo stesso legame (fra il santuario e il mistero di
Gesù) citando una parola di G esù sul sant uario: “Distruggete questo sa ntuario e in tre giorni lo farò ri
sorgere” (Gv 2,19), e precisando che quella parola riguardava “il santuario del suo corpo” (2,21). Nel se
guito del quarto Vangelo, il tema del nuovo tempio e del nuovo culto ritorna più di una volta, sotto
The Trialpiù
aspetti Version
vari (Gv 4,20-24; 7,37-39; 11,48; 14,1-3; 17,24). Tutto ciò si accorda perfettamente con la tradi
zione del messianismo regale: la missione principale del Figlio di Davide era di costruire la casa di Dio
(2Sam 7,13; IRe 5,19; 8,13.19; lCr 17,13, ecc.; Sap 9,8)». A proposito di Gv 19,23, cf. p. 217, nota 8. L’au
tore cita I. de la Potterie, comment ando la sua affermazione: «Sembra (...) poco probabile che Giovanni
abbia voluto rappresentare il Figlio dell’uomo come un sacerdote». Non si può che ratificare questa po
sizione, se il sacerdote è considerato soltanto dall’interno della funzione e dell’istituzione sacerdotale
giudaica così come venivano esercitate a quel tempo. Ciò tuttavia non esclude l’esercizio di una mediazione
The Trial Version
sacerdotale differente. Il Figlio è sacerdote in modo diverso dai sacerdoti giudaici, riallacciandosi e dando
compimento alla dimensione sacerdotale dei sacerdoti e del popolo nel quadro dell’elezione di Israele.
L’atto del Cristo è considerato in Giovanni a partire dall’origine assoluta del Verbo, prima della creazione.
E si attesta anche nella morte: il Figlio ritorna presso il Padre (Gv 17,5.24).
15 Cf. 11,51-52, richiamato in 18,4, al ce ntro di quello che nella nostra suddivisione del testo è il
Dopo l’episodio del vitello d’oro, si parla delle tuniche del sacerdozio per
Aronne e i suoi figli (LXX Es 35,19; 36,34; 40,14).
e) L’offerta dell’olocausto
«Il sacerdote, indossata la tunica di lino e vestiti i calzoni di lino, toglierà la cenere. (...)
Poi, spogliatosi delle vesti e indossatene altre, porterà la cenere fuori del campo. (...)
Non si cuocerà con lievit o [quel che rimarrà dell’oblazione]; è la parte (meris) c he ho
loro assegnata delle offerte a me bruciate con il fuoco. È cosa santissima come il sacri
ficio espiatorio. Ogni maschio tra i figli di Aronne potrà mangiarne. (...)Tutto ciò che
verrà a contatto con queste cose sarà sacro» (Lv 6,3-4.10-11).
The Trial
f) L’ Version
investitura dei sacerdoti
«Mosè fece accostare Aronne. (...) Rivestì Aronne della tunica. (...) Poi Mosè fece av
vicinare i figli di Aronne e li vestì di tuniche» (Lv 8,6-7.13; cf. anche, a proposito della
rimozione dei cadaveri: Lv 10,5).
Questa serie di testi potrebbe essere arricchita con altri passi di diversa prove
nienza, che pot rebbero ampliare la raccolta. Riportiamo a titolo di esempio una ci
tazione tratta dal libro di Esdra:
«Secondo le loro forze, (un certo numero di capifamiglia) diedero al tesoro della fab
brica: oro: dramme sessantunmila; argento: mine cinquemila; tuniche da sacerdoti:
cento» (Esd 2,69).
Oltre che nei testi legislativi, il simbolismo della tunica ricorre negli scritti sa
pienziali e profetici. Richiamiamo al cuni esempi significativi. Per cogliere la loro at
tinenza con il testo giovanneo, sarebbe necessario lo stesso lavoro ermeneutico di
cui abbiamo parlato a proposito delle citazioni della Genesi.
h) Estensione all’ambito sapienziale e profetico
«A gran forza egli mi afferra per la veste,
mi stringe per l’accollatura della mia tunica» (Gb 30,18).
«Mi son tolta la tunica;
come indossarla ancora?
Mi sono lavata i piedi;
come ancora sporcarli?» (Ct 5,3).
«Io gioisco pienamente nel Signore,
la mia anima esulta nel mio Dio,
perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza,
mi ha avvolto con la tunica della giustizia,
come uno sposo che si cinge il diadema
e come una sposa che si adorna di gioielli.
Poiché come la terra produce la vegetazione
e come un giardino fa germogliare i semi,
così il Signore Dio farà germogliare la giustizia
e la lode davanti a tutti i popoli» (Is 61,10-11).
dove si riscontra l’unico impiego di schizó in senso metaforico; cf. I. de la P otterie, «La tunique “non
divisée” de Jésus, symbole de l’unité messianique», in The New Testament Age. Essays in Honor of Bo
Reicke, ed. W.C. Weinrich, Macon GA 1984, 131.
A) «ERA SENZA-CUCITURA»-ARAfflO5.
In tutto il resto del quarto Vangelo, l’avverbio anóthen ha una portata spiri
tuale: «nascere dall’alto / di nuovo» (Gv 3,3.7); «colui che-viene dall’alto, è al-di-
sopra di tutti» (3,31); «non avresti nessun potere contro di me, se non si-trovasse-
dato a te dall’alto» (19,11). Di conseguenza, secondo noi, questa tunica esprime
qualcosa che riguarda l’origine di Gesù. Richiama la sua incarnazione, il suo corpo
intessuto dall’alto nel corpo di sua madre. Non per nulla, nel testo strutturato, i par
ticolari relativi alla tunica trovano corrispondenza nel v. 26, dove vengono ridefiniti
i rapporti: Gesù - sua madre - la madre - il figlio.
c) «Tessvta»-hyphantos.
Il termine ricorre undici volte nell’Esodo per i l velo del tempio o per l e vesti
del sommo sacerdote.20 Il ve rbo hyphainò è collegato anche a un lavoro di ri camo,
che può riguardare le vesti dei sacerdoti e in particolar modo il velo del santuario
(Es 35,35; 37,21 [38,23]; 2Cr 3,14). Forse abbiamo qui, in negativo, l’equivalente
giovanneo delle conseguenze della morte del Cristo sul tempio.21 Nel quarto Van
gelo il velo non si squarcia, le rocce non si spezzano e neppure la tunica di Gesù
17 A proposito della teleiòsis e del verbo teleioun, si veda Vanhoye, Sacerdoti antichi,
31SS.171-174.
18 De la Potterie, «La tunique sans couture», 261. Il medesimo stretto rapporto fra «ossa» e «ve
sti» si trova già in Sai 22,18, immediatamente prima del v. 19 citato in Gv 19,24.
19 M. Z erwick, Analysis philologica Novi Testamenti Graeci, Roma 31966, ad loc., 248; ek tón a.
The
fromTrial Version
thè top: M. Zerwick - M. Grosvernor, A Grammatica/ Analysis of thè Greek New Testament,
Roma “1993, 342.
20 Dauer, Die Passionsgeschichte. 184, nota 131.
21 Cf. Mt 27,51: «Il velo del tem pio si squarciò in due da cima a fondo»; «le rocce si spezzarono»;
Me 15,38: «Il velo del tempio si squarciò in due, dall’alto in basso»; Le 23,45: «Il velo del tempio si squar
ciò nel mezzo».
La stessa tematica ritorna nel Vangelo di Giovanni. I soldati prendono ciò che
appartiene a Gesù senza dividerlo. A questa condizione, Gesù, simboleggiato dalla
tunica, potrà essere operante dal punto di vista dell’unità dei figli di Dio dispersi,
rappresentati nell’immediato contesto dai soldati stessi. Ciò non manca di sorpren
dere: anch’essi dunque fanno parte del popolo di Dio radunato da Gesù.
Bisogna piuttosto dire l’inverso. Il Salmo non è cambiato, nel greco, dal punto
di vista del meccanismo del compimento. L’avvenimento si colloca indubbiamente
al primo posto, ma il testo autentico del Salmo, in greco, permette di leggerlo in un
modo nuovo, cioè nel senso di ciò che gli uomini dicono e fanno in una maniera in
consapevolmente profetica, che si chiarisce alla luce della Parola di Dio. «Era
scritto!».
La conclusione del versetto va in questa direzione. Facendo ciò che fanno, i
soldati realizzano un progetto di Dio all’opera nel Cristo e in loro stessi, attestato
dalla Sc rittura. Questo progetto supera gli uomini, ma quest i vi contribuiscono po
strada. Dal momento che kléron indica anche l’oggetto utilizzato per effettuare il sorteggio, e cioè un
dado, dietro suggerimento di Liliane Pépin abbiamo preferito tradurre: «gettarono un dado».
25 De la Potterie, «La tunique “non divisée”», 131.
4. Le donne
26 Bisognerebbe forse ricorrere qui alla dimensione propriamente apocalittica, poiché c ’è compi
The Trial Version
mento.
27
Dauer, Die Passionsgeschichte, 193.
28
Come in Sai 38,12.
29 Luca non fa nessun nome in 23,49, ma cita Maria di Màgdala al primo posto nella lista di 8,1-3.
30 In tre versetti, il termine ricorre cinque volte in maniera esplicita e una volta in maniera impli
cita («Za prese»).
31 Per l a presenza de lle quattro donne, si veda: Brown, Giovanni, 1123-1124; Dauer, Die Pas-
sionsgeschichte, 195-196. B isogna r iconoscere che il quarto Vangelo non dice nulla sull’identit à pecca
The Trial Version
trice di Maria di Màgdala, che forse rappresenta soltant o, in positivo, colei che ama, l’amante nel senso
più nobile del termine.
32 M. de G oedt, «Un schème de révélation dans le Quatrième É vangile», in NTS 8(1961-1962),
142-150.
33 Questa sintesi è tratta da de la Potterie, La passione di Gesù, 122.
Essa non può ricuperare la propria identità di donna, sposa e madre se non a
condizione di essere perdonata a un punto tale da trovarsi non solo «ricreata», ma
creata veramente. In ciò consiste la nuova alleanza. Il peccato ha prodotto devasta
zioni tali che, pur senza aver colpito la radice dell’essere creato, che rimane buono,
ha comunque corrotto ogni cosa. Il perdono deve quindi raggiungere tutto l’essere
peccatore perché sia di nuovo possibile la vita, la vita divina donata per grazia. In
questa prospettiva di una teologia dell’alleanza, la Sion degli ultimi tempi non può
essere che l’Èva portata a compimento. Per questo bisogna che la creatura sia spo
sata dal Creatore. E il prodigio avviene:
«Tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciti è il suo nome; tuo redentore è il
Santo di Israele, è chiamato Dio di tutta la terra» (Is 54,5).
34 LXX Is 60,4-5. Contatti letterari con la formula di rivelazione del Vangelo sono rilevati da de
The
la PTrial Version
otterie, La passione di Gesù, 124-125.
35 Is 66,8. Gv 16,21 aveva già fatto ricorso a questo simbolismo.
36 LXX Sai 87(86),5-7. Il termine «m adre» è stato aggiunto dai Settanta: de la Potterie, La pas
sione di Gesù, 125.
37 Is 54,4; cf. Gen 2,25; 3,7.10-11; Sir 24,22.
I. Introduzione
Notiamo che innanzitutto viene stabilito un legame con quanto precede im
mediatamente: «dopo di ciò», al singolare, cioè dopo l’episodio in cui intervengono
la madre, il discepolo, le donne e i soldati. Più presente alla memoria, e più vicino a
The Trial Version
1 «La prolessi introduce una discordanza nel flusso lineare del tempo. Essa consiste nell’antici-
pare un avvenimento, nell’annunciarlo in un momento in cui non ha ancora un suo posto nello svolgi
mento della narrazione. La prolessi evangelica classica è l’annuncio della passione. Da un punto di vista
ermeneutico, la prolessi presenta un evidente interesse. Svela infatti quali degli avvenimenti futuri sono
Per molti commentatori, l’essenziale si colloca nella parola: «Ho-sete», che se
gue.8 In realtà, nell’economia del racconto, l’adempimento di tutto e anche il com
pimento della Scrittura sopravvengono prima. Le due completive inserite l’una nel
l’altra e introdotte da: «sapendo», danno un contenuto a ciò che Gesù «sa», defi
nendo già il senso della sua sete.
di decisiva importanza per la comprensione del racconto» (J. Zumstein, «L’interprétation johannique de
la mort du Christ», in The Four Gospels 1992, 111,2121).
2 Soltanto E. H irsch, Dos viene Evangelium in seiner urspriinglichen Gestalt verdeutscht und er-
klàrt, Tiibingen 1936, 431, citato da Dauer, Die Passionsgeschichte, 317. nota 24, sembra proporre una
lettura positiva di questa offerta dell’aceto, limitandola alle sole donne e attribuendola a un «amore
della fede, silenzioso ma eloquente, senza possibilità di dare aiuto ma caritatevole». Dauer non condi
vide questa interpretazione. «Non si può pensare di attribuire il gesto al gruppo delle donne e del disce
polo amato da Gesù», conferma L égasse, Le Procès, 11,556, nota 130. Per quanto ci riguarda, riteniamo
che si debba essere meno categorici, come Brown, The Death, 11,1074-1075.
3 Cioè dopo due giorni.
4 Cf. 2,1-11.12.
5 Dauer, Die Passionsgeschichte, 202.
6 Ivi, 201.
7 D. M arzotto, «Struttura letteraria e teologia di Gv 19,23-42», in La Sapienza della Croce oggi.
I: La Sapienza della Croce nella rivelazione e nell'ecumenismo, Leumann, Torino 1976,165. Si tratta del
l’unico autore, per quanto ne sappiamo, che adotti una strutturazione di Gv 19,23-42 su cui concordiamo
pienamente; non condividiamo invece la strutturazione da lui proposta per Gv 18,28-19,22. Vignolo,
Personaggi, 120, adotta la suddivisione 19,23-42 senza fornire spiegazioni su ciò che precede. Delle due
scene fra le quali si inserisce la morte di Gesù (19,28-30), questo autore fa un dittico costituito da quadri
The Trial iVersion
paralleli: soldati e le donne con il di scepolo che Gesù amava (19.23-24: A; 19,25-27: B) rimandano ai
giudei-soldati-Pilato, da un lato, e a Giuseppc-Pilato-Nicodcmo dall’altro (19,31-37: A’; 19,38-42: B’).
Ciò significa non tener conto del ruolo centrale del compimento della Scri ttura ai due estremi di 19,28-30
e nel v. 28.
8 «.Eidos ktl. spiega il motivo per cui Gesù dice: “H o sete”» (Dauer, Die Passionsgeschichte, 201;
in nota, l’autore cita i sostenitori di questa interpretazione).
Ciò che è iniziato presso la croce, deve completarsi grazie alla «consegna dello
Spirito». Gi à esaudita, la preghiera di Gesù riceverà un sovrappiù di adempimento.
La sfumatura è legata all’interpretazione ecclesiale dell’espressione: «La prese
nelle proprie-cose» (19,27). Il discepolo crede prendendo Maria come madre e dan
dola come madre alla comunità dei c redenti. L a medesima sfumatura di significato
emerge dal parallelismo strutturale fra i cc. 13-17 e 18-21:
13, 1 Amore di Gesù per i suoi 18, 1-27 Uscita di Gesù
34-35 Amore reciproco
15, 12-17 Amore reciproco 19, 28-30 Adempimento
17, 26 Amore del Padre per il Figlio 21 Manifestazione
nei discepoli presso il lago di Tiberìade
L’amore reciproco fornisce la chiave del giusto atteggiamento nel conflitto fra
«la vite» e «il mondo» (15,1-16,3). 11 Di conseguenza, nell’espressione: «Tutte-(le)-
cose sono state adempiute», «tutte-(le)-cose» include le componenti dell’«ora»
E non si trova in nessun altro punto della Scrittura. Tale presenza non è indi
spensabile perché la proposizione finale in questione, relativa alla Scrittura, possa
ugualmente introdurre la parola di Gesù, e neppure perché questa parola possa in
cludere un rimando implicito alla Scrittura. Tenuto conto tuttavia del gioco seman
tico abbastanza evidente sui due verbi che compaiono in seguito: «Tutte-(le)-cose
sono state adempiute» (tetelestai da teleò), e «Affinché sia portata-a-compimento
(teleiòthè da teleioó) la Scrittura», sembra preferibile sottolineare il rapporto fra le
due proposizioni completive.
The Trial
12 Version
Si veda G. B amfylde, «John XIX,28. A case for a different translation», in NT 11(1969), 247-
260; I. oh la Poi terie, «La sete di Gesù morente e l’interpre tazione giovannea della sua morte in croce»,
in La Sapienza della Croce oggi, 1,33-49 (spec. 37). Lettura contestata da Légasse, Le Procès, 11,553.
13 Ad esempio il Greek New Testament.
14 Mollat, Fase. BJ 1973, ad loc.
15 Nella nota 58 si legge: «San Luca si serve per tre volte di telein per parlare del compimento
della Scrittura (Le 18,31; 22,37; At 13,29); in tutti e tre i casi, si tratta della passione».
16 Non riteniamo tuttavia che si debba giocare sul binomio «irreale-reale»: la Scrittura non è sem
plicemente un «vuoto» da «riempire». È già innestata sulla realtà. La «figura» ha già un contenuto reale.
P. Beauchamp ha costantemente sottolineato questo aspetto del rapporto fra l’Antico e il Nuovo Testa
mento; anche il documento della P ontificia commissione biblica. L'interpretazione della Bibbia nella
chiesa, insiste sul contenuto specifico dell’Antico Testamento: cf. EB 1402-1422 (rapporto fra senso spi
rituale e senso letterale); EB 1433-1439 (rapporto fra Antico e Nuovo Testamento); EB 1497: «L’Antico
Testamento contiene già i principi e i valori che impongono un agire pienamente conforme alla dignità
The
dellaTrial Version
persona umana, creata “a immagine di Dio” (Gen 1,27)».
17 A. Vanhoye, «L’oeuvre du Christ, don du Pére (Jn 5,36 et 17,4)», in RSR 48(1960), 411-412.
18 Si vedano i rimandi di pagina alla voce Teleiòsis in Vanhoye, Sacerdoti antichi, 251.
” Ricordiamo che la la Scrittura (l’intera Bibbia) viene consegnata, secondo il rituale cattolico
dell’ordinazione, ai lettori e agli accoliti, poi ai diaconi e infine ai sacerdoti nel momento in cui accedono
agli ordini. La rispettiva mediazione dei ministri e della Scrittura trova il suo significato solo grazie al-
l’«atto del Cristo» sulla croce, per usare un’espressione cara a H. de L ubac (La Sacra Scrittura, c. 11,2:
101-109).
The Trial
2° DVersion
e la Potterie, La passione di Gesù, 137.
21 Agostino, In Ioannem tractatus CXIX.4; Oeuvres complètes, X, 1869,415 (con una nostra pic
cola rielaborazione della traduzione francese) [cf. Commento al vangelo, 1559].
22 Alberto M agno Opera omnia, XXIV, 661; B ernardo, Sancti Bernardi Opera, VI, 2, Roma
In base alla struttura che abbiamo proposto per il racconto della passione,
della morte e della risurrezione di Gesù, riunite secondo Giovanni, questo versetto
occupa veramente un posto centrale. Il fatto e la sua osservazione suscitano stu
pore. La descrizione del gesto e dei particolari che lo accompagnano ha dunque una
portata insospettata? L’inquadratura fornita dalle due menzioni dell’adempimento
(w. 28 e 30), sottolineato dal compimento della Scrittura, lasciava intuire il punto
culminante della vita di Gesù nella sua morte. In tal modo, questa morte è ingresso
nella vita. La passione, la morte e la risurrezione devono essere mantenute unite
perché la m orte costituisce l’atto del passaggio dalla vita filia le quaggiù alla vita del
Figlio presso il Padre da cui il Figlio viene. Per tale motivo, questo atto «consegna
lo Spirito». La prospettiva è coerente, sia dal punto di vista antropologico sia dal
punto di vista teologico.
Il testo approfondisce questa realtà umana e spirituale ricorrendo ai partico
lari insoliti del vaso, dell’aceto, della spugna, dell’issopo, e anche della bocca di
Gesù. Bisogna osservarli con molta attenzione. Le reminiscenze bibliche e giudai
che ci aiuteranno a farlo.
1. «Un vaso»
«Che ciascuno sappia usare con santità e rispetto del vaso (la sposa) che gli appar
tiene» (lTs 4,4).
Lo stesso simbolo può essere utilizzato per indicare il corpo umano, indipen
dentemente dal sesso:
«In una casa grande non vi sono soltanto vasi d'oro e d’argento, ma anche di legno e di
coccio (...). Chi si manterrà puro astenendosi da tali cose, sarà un vaso nobile, santifi
cato, utile al padrone, pronto per ogni opera buona» (2Tm 2,20-21).
28 Questo passo viene richiamato, con Lv 14,4-7, da Brown, The Death, 11,1075, a proposito
dell’issopo.
29 Rt 2,9, vicino a un altro versetto che prenderemo in considerazione più avanti; Sir 27,5 (i vasi
The
del Trial Version
vasaio); 38,28 (il modello del fabbro); 43,2: il sole, «oggetto meraviglioso dell’opera dell’Altissimo»;
50,9: il sommo sacerdote Simone paragonato a un vaso d’oro massiccio. L’uso del termine per gli oggetti
del tempio di Dio si ritrova in Dn 1,2 (LXX).
At 10,11.16; 11,5.
31 Rm 9,21-23; 2Cor 4,7.
32 Is 29,16; 45,9; 64,7; Ger 18,6; Sap 15,7: referenze marginali della BJ a Rm 9,20-24.
33 Cf. Ap 18,12 (lamentazione su Babilonia), che evoca oggetti preziosi d’avorio e di legno.
34 «In 19,29, nulla suggerisce la beffa; i soldati sembrano rispondere spontaneamente a una richie
sta di qualcosa da bere da parte di Gesù» (Brown, The Death, 11,1075).
2. L’aceto
Si può osservare in primo luogo che il quarto Vangelo, preoccupato come nes
sun altro di mettere in luce il compimento e l’adempimento della Scrittura a propo
sito di ciò che sta accadendo, qui non introduce nessuna citazione dell’Antico Te
stamento rivolta a condizionare lo sguardo del lettore.
Alla luce del Salmo 69, l’aceto è un elemento di segno negativo. Ma la situa
zione non è necessariamente di questo tenore. Il termine, che traduce l’ebraico ha-
mets, è raro nell’Antico Testamento greco. Ricorre quattro volte soltanto.
The Trial Version
37 «In sé, l’offerta dell’oxos a Gesù non ha nulla di ostile, perché il vino di aceto è implic itamente
The Trial Version
una bevanda desiderabile in Nm 6,3 e in Rt 2,14» (Brown, The Death, 11,1063). L’autore non sviluppa ul
teriormente l’analisi né la riflessione su questi dati.
38 Nota BJ a Rt 2,14: «Si tratta di una mistura di acqua, di aceto di vino e di una bevanda fermen
tata, cosa che la rende proibita come bibita ai nazir (cf. Nm 6,3)».
39 Blinzler, Il processo, 338; Der Prozess Jesu. Vierte, erneut revidierte Auflage, Regensburg
1969, 369-370, nota 50.
Anche se il gesto è compiuto dai soldati, non si può adottare questa lettura ne
gativa. Due note della BJ e della TOB a proposito di Mt 27,48 sono chiarificatrici in
proposito.
«Aceto: bevanda acidula di cui facevano uso i soldati romani. Forse il gesto fu di com
passione (cf. Gv 19,28s); i Sinottici lo hanno considerato come malevolo (Le 23,36) e lo
hanno descritto in termini che evocano Sai 69,22» (BJ).
«Aceto. Una bevanda forte usata dai soldati romani. L’allusione al Sai 69,22 attribuisce
al gesto un carattere inumano che probabilmente non aveva (cf. Gv 19,28-30)» (TOB).
Tutte queste interpretazioni danno per scontato che gli autori del gesto siano
unicamente i soldati. È verosimile. Ma perché mettere in evidenza il fatto, se è così
normale? Le reminiscenze di Rt 2,14 permettono per lo meno di non escludere a
priori gli altri personaggi della scena, cioè le donne e il discepolo, e specialmente la
madre. L’interesse del libro di Rut sta nell’unione di due gesti che Giovanni sembra
essersi preoccupato di distinguere: il fatto di intingere il boccone (nel testo greco di
Rut troviamo esattamente gli stessi termini utilizzati per due volte in G v 13,26, nel
momento in cui Gesù intinge il boccone per darlo a Giuda) e il fatto di usare l’aceto
come bevanda (Gv 19,29). Le due espressioni ricorrono separatamente in Gv 13,26
e in Gv 19,29, ma in modo tale da rimandare l’una all’alt ra al di là del discorso del
l’ultima cena, della preghiera di Gv 17 e dell’inizio del racconto della passione. È il
caso di ricordare a questo punto che, in Rt 2,14, l’iniziat iva di Booz che invita Rut a
«intingere il boccone nell’aceto» si colloca già nel contesto di un pasto di alleanza,
l’alleanza che sarà suggellata con il matrimonio fra l’antenato di Davide e la Moa
bita.41 Si tratta in effetti di un gesto di alleanza. Bisogna ricordarsene quando si
legge il testo di Giovanni.
Gesù ha preso l’iniziativa di intingere il boccone per Giuda in segno di predi
lezione. Al momento della sua morte, quando egli non è più in grado di fare nulla
da sé, a quel gesto subentra quello che altri compiono nei suoi confronti. In tale
prospettiva, il gesto assume tutto un altro significato. Lungi dall’essere un gesto di
derisione o di sprezzante incomprensione, l’offerta dell’aceto, nella logica narrativa
e simbolica del testo, permette in qualche modo a Gesù di portare fino in fondo il
dono di sé, di giungere all’«adempimento» dell’amore. È un gesto di amore che
rende possibile una sovrabbondanza di amore. Gli permetterà di dire: «È stato
adempiuto!». Dopo queste parole, egli consegnerà lo Spirito, come risposta defini
tiva al tradimento. Il medesimo verbo paradidómi indica infatti il «tradimento» di
Giuda e la «consegna» dello Spirito da parte di Gesù. Narrando quel gesto, il rac
conto evangelico conduce a una trasformazione dello sguardo sulle persone e sugli
avvenimenti nel momento in cui la morte in croce deve lasciar filtrare i l suo vero si
La lettura che viene fatta da Rabbi Jonathan nel Midrash a Rut 2,14 (Rut
Rabbahf3 aiuta a comprendere e favorisce questa interpretazione di Gv 19,29.
Questo maestro giudaico propone non meno di sei interpretazioni del versetto, se
condo le prospettive che elenchiamo qui di seguito:
«1. Si può applicarlo a Davide:
1/ Avvicinati', accesso alla condizione regale;
2/ Mangia di questo pane', il pane della regalità;
3/ Intingi il tuo boccone nell’aceto: riferimento alle sue sofferenze;
4/ Essa sedette accanto ai mietitori: il trono gli fu tolto per un certo tempo;
5/ Essi le fecero un mucchio di grano abbrustolito: fu posto di nuovo sul trono;
6/ Essa mangiò a sazietà e ne avanzò: significa che egli avrebbe mangiato in
questo mondo e, all’avvento del tempo messianico, nel mondo futuro.
2. A Salomone (stesso scenario).
3. Ezechia (idem).
4. Manasse (idem, con alcune varianti).
5. Al Messia:
1/ Idem;
2/ Idem;
3/ Idem, come è detto: Fu ferito a causa delle nostre trasgressioni (Is 53,5);
4/ Idem, rimando a Zc 14,2;
5/ Rimando a Is 11,4.
Rabbi Berekiah dice, in nome di Rabbi Levi, che il futuro redentore assomi
glierà al primo redentore (Mosè). Come il primo redentore rivelò se stesso e poi fu
nascosto loro. Per quanto tempo rimase nascosto? Per tre mesi, come è detto: E in
contrarono Mosè ed Aronne (Es 5,20), così il futuro redentore sarà rivelato loro e
poi sarà nascosto loro. E per quanto tempo sarà nascosto? Rabbi Tanhuma, in
nome dei Rabbi, diceva: Quarantacinque giorni, come è detto: Dn 12,11-12. Che
cosa sono questi giorni in più? Rabbi Isaac ben Zakarta diceva, in nome di Rabbi
Jonah: Sono i quarantacinque giorni durante i quali Israele coglierà l’atreplice e lo
42 Su questa linea di lettura e di interpretazione, è impossibile non dire che essi ricoprono il ruolo
assegnato al sacerdozio comune dei fedeli nella comunità dei battezzati. Senza mettere nell’ombra il sa
cerdozio unico del Cr isto, questo sacerdozio comune l ascia ape rta la questione di un sacerdozio presbi
terale nella medesima comunità, destinato ad attivare la mediazione unica del Cristo nel suo amore su
premo, in modo tale che sia esercitata la funzione sacerdotale del popolo di Dio in quanto tale. Questo
The Trial Version
sacerdozio comune si comprende meglio se fra i personaggi della scena si includono coloro che stanno
dalla parte di Gesù: le donne e il discepolo, che sono i protagonisti della scena precedente e che incar
nano la quintessenza della Chiesa.
43 Rabbi Jonathan sembra appartenere alla quinta generazione dei Tannaim, che si può collocare
al più presto all’inizio del III secolo: si veda H.L. S track, Introduction to thè Talmud and Midrash, 1931,
ristampa: New York 1969,119 [G. Stemberger, Introduzione al Talmud e al Midrash, Roma 1995,118].
Un’altra spiegazione del rilievo che l’aceto assume in Gv 19,29 è fornita dal
l’impiego del termine nel contesto di un rito assai specifico del seder41 giudaico della
festa di Pasqua.
1. Lo hamets (1) - in greco oxos - evoca il fermento o il lievito. A volte è l’equiva
lente di se’or (2). Si tratta di ciò che deve scomparire totalmente dalla casa la vi
gilia della festa: viene bruciato al mattino, prima delle undici.48
2. Lo homets, che evoca l’aceto, è per lo più tradotto con oxos. Sostituito spesso
dall’acqua salata (mei maiali) che simboleggia le lacrime, questo aceto viene
usato per intingere il karpas (dal greco fcarpos-«frutto [della terra]», sedano,
prezzemolo o ravanello) dopo Pultima abluzione, seguita da una benedizione
prima del pasto: «Che tu sia lodato, Signore Dio’ nostro, sovrano dell’universo,
che crei i l frutto della t erra», terzo punt o del pr ogramma pre visto per il seder di
Pasqua. Si tratta di un’allusione alle prove sopportate in Egitto. L’argomento
viene ripreso nella terza domanda del bambino («Questa sera intingiamo due
volte...»), ma il termine non è presente nella haggadah-, è soltanto un succedaneo
e fa parte del maror. Quest’ultimo rito è quello delle erbe amare che si intingono
nello haroset, un miscuglio di mele, noci, mandorle e datteri tritati, che insieme
evocano l’amarezza delle prove subite in Egitto, quando si era costretti a co
struire per l’oppressore. Il «frutto» intinto nell’«aceto» sembra evocare piuttosto
l’opera della creazione, compiuta dal Signore che crea e fa crescere.49
44 In nota si legge: Questo versetto è applicato al periodo che precede immediatamente l’età mes
sianica, nel quale il credente, a causa della grande scarsità di cibo, mangerà l’atreplice. La nota della BJ a
Gb 24,24 spiega: «Alla lettera “pianta salata”, una pianta verde e commestibile che si trova sulle sponde
del mar Morto».
45 Di nuovo in nota si legge: Tutto ciò che è destinato ad avvenire nella redenzione futura è già
avvenuto nella prima.
46 Midrash Rabbah. Ruth, London - New York 31983, 61-67.
Noi risponderemmo: non solo il racconto dei pani, ma anche quello della
morte del Cristo secondo Giovanni, in conformità con ciò che implicitamente viene
suggerito dal testo e dalle sue consonanze veterotestamentarie. La tradizione gio
vannea, attraverso queste possibili reminiscenze, sottolinea il rapporto intrinseco,
nel Cristo e nei suoi compagni - la Chiesa -, tra la Pasqua e la Pentecoste. Questo
aspetto non è esclusivamente cristiano. Lo sfondo delle feste giudaiche lo mette in
luce. Morendo, Gesù dà compimento all’alleanza dell’uscita dall’Egitto che culmina
al Sinai, dove viene data la Legge, celebrata a Shavuot, la festa delle settimane, la
Pentecoste, cinquanta giorni dopo la Pasqua. E lo fa consegnando lo Spirito.
3. L’issopo
1994,119-128; e R. Nerson, La Haggadah commentée, Paris 1966,4-5 [cf. Haggadah di Pesach, La Giun
tina, Firenze, 31993], Informazioni fornite e verificate da suor Marie-Lue del monastero benedettino di
Ermeton-sur-Biert e da suor Marie-Hélène Foumier delle Suore di Sion.
50 E. Munk, Le monde des prières, Paris 1970, 327-328.
The Trial Version
51 Dt Sante, La preghiera d’Israele, 202.
52 TOB, nota i) a Gv 19,29. Questa correzione del greco non sembra criticamente plausibile. È
tuttavia l’opzione di Légasse, Le Procès, 11,555-556, non accolta da B rown, The Death, 11,1076-1077;
questo autore ammette le reminiscenze dell’Esodo e della Lettera agli Ebrei, tenuto conto di Gv 1,29;
19,33.36.
Il termine skeuos, utilizzato nel versetto che stiamo esaminando (Gv 19,29)
per indicare un vaso, ricorre in Eb 9,21, al plurale, con riferimento a Es 24,6-8:
«Alla stessa maniera asperse con il sangue anche la Tenda e tutti gli arredi (skeue) del
culto».
A differenza di ciò che si legge in Mt 27,34, dove Gesù rifiuta la bevanda stu
pefacente (vino mescolato con fiele) che gli viene offerta per attenuare la soffe
renza, e in Mt 27,48, dove non si dice che Gesù beva l’aceto,56 il testo giovanneo
precisa in maniera esplicita che Gesù «prese l’aceto». Il valore positivo del gesto
compiuto da coloro che partecipano alla scena ne risulta sottolinea to. Si tratta per
sino, in base al movimento della frase che esprime la logica dell’adempimento, di
ciò che permette a Gesù di giungere alla piena realizzazione dell’amore e di dire:
«È stato adempiuto!».57 Un conto è infatti, per i testimoni, leggere tutto dall’interno
del loro atto di f ede a lla luce della Scrittura, e un conto è raccogliere questo inse
gnamento dalle labbra di Gesù morente. Un conto è seguire, con lo sguardo dell’a
more, gli ultimi dettagli di una vita che si conclude con la morte dell’Amato, e un
conto è cercare di cogliere le sue ultime parole. Queste illuminano tutto, così come
la fine illumina e rivela l’origine. Hanno valore di estremo testamento.
L’ultima frase del Verbo consiste in una sola parola: Tetelestai-«È-stato-
adempiuto». Questo è l’ultimo verbo del Verbo, senza altro «soggetto» se non colui
che lo proferisce: egli stesso. Questa vita, questa morte: questa persona, le sue rela
zioni e il suo mondo, tutto ciò di cui ci parla il Vangelo secondo Giovanni si con
densa in questa Parola che suggella l’amore per sempre.
La descrizione seguente inverte l’ordine della sequenza usuale. Coloro che as
sistono i mor enti lo sanno bene: l’ultimo r espiro viene prima dell’inclinazione defi
nitiva del capo. Qui invece, a proposito di Gesù, ci viene suggerito che, anche e so
prattutto in questo momento, nessuno gli toglie la vita, ma è lui stesso a donarla.58
«Sono molti gli autori che ammettono l'ambivalenza dell’espressione. Essa può signifi
care nello stesso tempo “re se lo spirito” e “trasm ise (diede ) lo Spirito”».59 «È un dato
di fatto che l’espressione “dare lo spirito”, nel senso di morire, non s’incontra nell’anti
chità: né in greco paradidonai to pneuma, né in latino: tradere spiritum. (...) In primo
luogo, le parole “diede lo spirito” dicono che l’ultimo sospiro di Gesù è proprio la sua
morte. Ma, come la parola ebraica ruah, così la parola greca pneuma e quella latina
spiritus possono avere quattro significati: vento, alito, aria, spirito (cf. 3,1-24). (...) In
56 Paralleli in Me 15,23: «Non ne prese»; 15,36; Le 23,36 (dove troviamo un solo tempo di questo
movimento, senza l’indicazione di una reazione da parte di Gesù).
57 Perfetto passivo del verbo teleò, già usato in 19,28 con «tutte-(le)-cose» come soggetto, distinto
da teleioó, pres ente ne l medesimo versetto con la Scri ttura come soggetto. I due verbi segnano il punto
The Trialdell’amore
d’arrivo Version eis telos menzionato in 13,1.
58 Gv 10,18. In nota, D. Mollat scriveva: «Il quarto Vangelo insiste nello stesso tempo sulla libertà
assoluta del Cristo nella sua morte (13,1-3; 14,30; 18,4; 19.30) e sulla sua assoluta sottomissione nei con
fronti del Padre (5,19.30; 8,28; 14,30; ecc.)».
59 A. Serra, Marie à Caria, 118, che cita in particolare C.K. Barrett, The Gospel According to St.
Nel contesto di Gv 18-19, e anche nel contesto più ampio di Gv 13-19, il verbo
«consegnare»-paradidonai non può non richiamare, per illuminarle in maniera defi
nitiva, le sue diverse occorrenze a proposito del tradimento di Giuda e della conse
gna di Gesù.61 All’«antidono»62 del tradimento corrispondeva il dono del boccone.
A t utte le m anovre di cui è stato vi ttima e che sfociano nel suo morire sulla croce,
prendendo su di sé ogni malevolenza e ogni possibile segno di benevolenza umana,
Gesù ora risponde con il dono per eccellenza del suo Spirito: la sua vita, il suo
amore che l o lega al Padre così come agli esseri uma ni suoi fratelli e sorelle. Nel
l'Antico Testamento, come abbiamo visto, lo Spirito ha soltanto, in questo senso,
una connotazione profetica. Il seguito del racconto, in Gv 20,19-23, lo mostrerà con
maggior chiarezza. Gesù «soffierà» sui discepoli, con un soffio creatore63 Lo Spirito
che viene dato fin da questo momento coincide con lo Spirito che aleggiava sulle ac
que.64 È lo Spirito del Verbo tramite il quale tutto è stato fatto (Gv 1,3). Durante la
Pasqua giudaica, nel momento in cui Dio è celebrato per aver salvato il suo popolo,
viene anche benedetto per i frutti della terra. Il Salvatore è il Creatore del mondo e
di tutto c iò che e sso contiene. Al momento della sua morte, viene effuso lo Spirito
del Signore, per mezzo del quale tutto fu creato. Egli rinnova la faccia della terra
(Sai 104,30).
I. Introduzione
Ci sono pochi studi sugli ultimi versetti di Gv 19, dedicati alla sepoltura. Il rac
conto relativo al costato trafitto, l’attenzione prestata al testimone e alla sua testi
monianza, la nuova formula di compimento e le citazioni della Scrittura (19,34-37)
rischiano infatti di lasciare al commentatore poche energie per la fine del capitolo.
Questo insieme costituisce tuttavia un tutto unico, parallelo a 19,23-27. La struttura
letteraria proposta è stata poco giustificata. La visualizzazione tipografica del testo
nella traduzione letterale parla da sé. È sufficiente qui rilevare alcuni indizi che im-
pongono una visione unitaria delle diverse scene.
1. La Preparazione (dei giudei) dà luogo a un’inclusione fra i vv. 31 e 42.
2. Nei vv. 31-34, come nei vv. 38-42, si ritrovano gli elementi di una medesima
trama: si tratta del rapporto tra una richiesta e la relativa autorizzazione.
v. 31 Richiesta: v. 38a Richiesta:
portare via i corpi portare via il corpo
(Autorizzazione implicita) v. 38b Autorizzazione
vv. 32-33a Venuta dei soldati w. 38c-39 Venuta di Giuseppe
e di Nicodemo
Loro FUNZIONE Loro FUNZIONE
nei confronti di Gesù nei confronti di Gesù
- «spezzare», «trafiggere» - «prendere», «legare»
(semantema di divisione); (semantema di unità);
- «uscire» - «seppellire»
(apertura: («sepolcro»:
semantema di esteriorità) semantema di interiorità)
La «trasformazione del racconto» non è veramente attuata che alla fine del
capitolo. Tutto avviene come se F«apertura» del costato da parte di uno soldati non
trovasse una «chiusura» che grazie alla sollecitudine dei discepoli per il corpo del
loro maestro. Non si tratta però, come si potrebbe pensare secondo certi schemi
strutturalisti di contrapposizione binaria, di un rapporto «oppositori»/«collabora-
The Trial
tori», Version
avversari/compagni. Come nei vv. 23-27, agisce qui una logica non di contrap
posizione, ma di compimento per integrazione. Il gesto del soldato e lo sguardo
della fede sul trafitto rilanciano il racconto. L’acqua e il sangue sono stati sparsi,
tramite i soldati, da Gesù stesso. La comunità deve ora, in senso reale e simbolico,
1 L’ultima parola di Gv 19,42, e quindi di tutto il racconto dei cc. 18-19, è: «Gesù»!
2 «L’incredibile quantità di unguenti e di aromi portati per imbalsamare il corpo di Gesù (...)
deve in particolar modo suscitare l’impressione di esequie regali, di un cl ima di splendore» (de la Potte-
rie, La passione di Gesù, 179). A sostegno della sua affermazione, l’autore cita D. Mollat: «Il profumo
sembra dunque essere stato per Giovanni uno dei mezzi per esprimere la gloria di Gesù... la vittoria di
Gesù sulla morte» (Giovanni maestro, 107). Si veda anche, in Fase. BJ 1973, nella nota a Gv 19,39, a pro
The Trial
posito Version
della «mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre»: «32 kg. e 700»!
3 Si veda B rown, La comunità, 83, nota 128: «Sono in disaccordo con quelli che considerano Ni
codemo come un cripto-cristiano, una tendenza presente nell’articolo, per altri versi interessante, di M.
de Jonge, «Nicodemus and Jesus», in BJRL 53(1971), 337-359, ristampato in Jesus (nota 24), 29-47, sem
pre dello stesso autore». Secondo Brown, Nicodemo si compromette troppo pubblicamente per poter es
sere ancora definito un «critpocristiano». Noi utilizziamo questa terminologia soltanto per comodità.
II. L’evento
Dopo l’entrare e l’uscire di Pilato dal pretorio, questa uscita di Gesù, che
porta la croce come l’insegna della sua regalità, segna la conclusione del dramma.
Lo stesso verbo era stato usato con insistenza a proposito del primo giardino:
8 Un manoscritto greco, il 579, che in c aso di ballottaggio potrebbe pr evalere s ul Si naitico e sul
Vaticano, secondo quanto afferma Lagrange, citato da M.-E. B oismard; un manoscritto della Vetus La
tina, il Palatino; la versione bohairica; molti manoscritti della sahidica; fra i Padri greci: Apollinare di
Gerapoli, Taziano, Eusebio di Cesarea, Epifanio, Crisostomo, Teodoreto; fra i Padri latini: Tertulliano,
Ambrogio, Girolamo, Rufino e Avito di Vienne; molti manoscritti del gruppo alessandrino, che dopo Mt
27,49 aggiungono un testo quasi letteralmente ricalcato su Gv 19,34; il passo parallelo di lGv 5,6 a pro
posito dei tre che rendono testimonianza: lo Spirito, l’acqua (prima!) e il sangue (dopo!).
’ M.-E. Boismard, «Problèmes de critique textuclle concemant le quatrième évangile», in RB
60(1953), 348-350. In L'évangile de Jean, Paris 1977, 444, questo autore non discute più la questi one e
adotta l’ordine più abituale.
w Brown, Giovanni, 1181-1184.
11 Triplice significato del flusso di sangue e di acqua secondo Origene: l’aspetto miracoloso dell’e
The Trial
vento; Version
il suo carattere ecclesiologico: la Chiesa è derivata da quel flusso; il suo orientamento pneumato-
logico: anche se il termine pneuma non compare, la presenza dello Spirito appare chiara alla luce di altri
passi dell’Antico e del Nuovo Testamento che lo menzionano. Giovanni Crisostomo fornisce un’inter
pretazione eucaristica del sangue e un’interpretazione battesimale dell’acqua: i due sacramenti costitui
scono la sorgente da cui nasce la Chiesa. Teodoro di Mopsuestia e Cirillo di Alessandria confermano
questa interpretazione, che diventa una costante della tradizione (Fbrraro, Lo Spirito Santo, 147-150).
Il verbo esprime l’«esodo» di Gesù dal Padre.12 Con questo significato apre
l’insieme costituito dai cc. 13-17:
«Sapendo che il Padre gli diede tutte-le-cose nelle mani, e che da Dio uscì, e a Dio se-
ne-va...».13
Le uniche altre due occorrenze - al singolare - del termine haima nel Vangelo
di Giovanni sono concentrate in 6,53-56, cioè alla fine del discorso sul pane della
vita, nella sua parte più eucaristica.17 Là si trattava di «bere il sangue». In 19,34 è
dunque molto forte la connotazione eucaristica.
In questa prospettiva, il verbo al singolare attira l’attenzione, dal momento
che il soggetto è duplice: «sangue e acqua». Con riferimento agli impieghi citati so
pra, ci si aspetterebbe di trovare il plurale. Il sangue è effettivamente versato. Ma
l’evangelista usa il singolare. Questo sangue è liberamente offerto. È un tutt’uno
con l’acqua. La struttura d’insieme aiuta a comprendere bene la portata del testo e
dell’evento.
Se Gv 15,12-17, con la seconda e la terza menzione dell’agape, definita in pre
cedenza come il «comandamento nuovo» (13,34-35), corrisponde a 19,28-30 (o an
che, allargando la visuale, a 19,23-42), nel contesto del parallelismo fra Gv 13-17 e
Gv 18-21, allora questo «sangue» è indubbiamente il sangue della nuova alleanza
che troviamo in Le 22,20. Anche se non si accetta la struttura di cui sopra, l’accosta
mento rimane significativo. Anzi, per rispettare i collegamenti con i Sinottici e con
l’Esodo (24,8), 18 come del resto per seguire il movimento della stessa frase giovan
nea, bisogna dire che questo sangue è il sangue dell’al leanza. L’acqua, in tal caso, è
l’acqua della nuova alleanza (Ez 36,27). 19 Allora: sangue e acqua, o acqua e sangue?
Non ha importanza, purché sgorghi da dove non ci si aspettava più che sgorgasse!20
Eucaristia prima e battesimo poi, o viceversa? Entrambe le ipotesi sono soste
nibili, a seconda dell’ottica in cui ci si colloca: quella dell’economia della salvezza o
quella dell’accesso alla comunità di coloro che sono santificati. Nella prassi co
mune, il battesimo precede l’eucaristia. L’Oriente ha comunque mantenuto vivo il
rapporto fra i due sacramenti, dando la comunione ai bambini piccoli. L’essenziale
è che acqua e sangue non possono essere dissociati dal punto di vista della pratica
sacramentale. Sono il cuore della fede cristiana perché, secondo Giovanni, sono il
cuore del Cristo.21
paiono le viscere di misericordia del nostro Dio, per cui ci visitò dall’alto un sole che sorge (Le 1,78). Che
cosa appare attraverso le piaghe, se non le viscere? In che cosa poteva risplendere più chiaro che Tu, o
Signore, sei soave e mite e di grande misericordia (Sai 85,5) che nelle tue piaghe? Nessuno infatti ha una
compassione più grande di colui che dà la sua vita per gli schiavi e i condannati. Il mio merito, pertanto, è
la misericordia del Signore. Non sono privo di meriti fino a che egli non lo è di misericordia» (Sermons
sur le Cantique des Cantiques, 61,4-5. in Invités aux noces, Paris 1979, 124-125 [Sermoni sul Cantico dei
cantici (Tradizione e vita), Roma 21986, 11,166-167]).
22 Un altro grande commento che legge l’episodio in chiave di amore misericordioso si trova in
Caterina
The da S iena, Il libro (Patristica), Alba 1969,242: «Deh! dolce e immaculato Agnello, tu eri morto
Trial Version
quando el costato ti fu aperto, perché volesti essere percosso e partito el cuore? - Ed egli rispose, se ben
ti ricorda: (...) Il desiderio mio verso l’umana generazione era infinito, e l'operazione attuale di sostenere
pena e tormenti era finita: e per la cosa finita non potevo mos trare tanto amore quant o più amavo, poi
ché l’amore mio era infinito. E però volsi che vedeste il secreto del cuore, mostrandovelo aperto, acciò
che vedeste che più amavo che mostrare non vi potevo per la pena finita» (citato da A. Lefèvre, «La
blessure du cóté», in Le coeur [Études carmélitaines], Paris 1950, 109).
Tre testi si i ntrecciano in sovr impressione. Due a ppartengono a lla Torah e ri
guardano alcune prescrizioni alimentari relative all’agnello pasquale; si tratta di
due passi che probabilmente figuravano nel lezionario liturgico della Pasqua giu
daica per il secondo e il terzo anno di un ciclo di tre anni.23
«In una sola casa si mangerà (la vittima pasquale): non ne porterai la carne fuori di
casa; non ne spezzerete alcun osso» (Es 12,46).
«Non ne serberanno alcun resto fino al mattino
e non ne spezzeranno alcun osso.
La celebreranno secondo tutte le leggi della Pasqua» (Nm 9,12).
La versione greca fornisce la chiave del cambiamento della voce del verbo nel
versetto di Giovanni:
«Uno di loro non sarà spezzato» (Sai 33,21b LXX).
Già nel salmo, l’«osso» viene messo in risalto più di qualsiasi intervento di un
soggetto esterno. Assumendo la prescrizione relativa all’agnello pasquale, si ha di
mira l’i ntegrità del soggetto umano in questione. In altri termini, l’agnello è diven
tato un soggetto personale: il giusto protetto dal Signore. Questa protezione passa
per la salvaguardia di tutte le sue ossa! Alcune indicazioni sacrificali, che nella To
rah e nella legislazione liturgica riguardano un animale, vengono riferite alla per
sona umana. Dio stesso protegge il 6uo fedele e gli risparmia ciò che la Legge im
pone di risparmiare all’animale. Già il Servo sofferente di Isaia personalizza «l’a
gnello» che si lascia condurre al macello (Is 53,7). Tale simbolismo pervade e ricol
lega questo versetto della passione e della morte di Gesù a tutti gli altri versetti che,
B. La seconda citazione
tura ebraica; cf. Menken, «The Old Testament Quotation», 2108, che cita W. Bacher e A. Schlatter.
Si conclude poi con 1’evocazione del giorno del Signore, giorno di giudizio e di
vagliatura:
«In quel giorno vi sarà per la casa di Davide e per gli abitanti di Gerusalemme una sor
gente zampillante per lavare il peccato e l’impurità» (Zc 13,1).
Questa sorgente scaturisce qui da quel tempio30 che è ora il corpo di Gesù (Gv
2,21), in conformità con ciò che Gesù stesso aveva proclamato nel grande giorno di
Sukkot, festa delle capanne e festa dell’acqua (Gv 7,38).31
Chi «vedrà»? Il medesimo verbo è usato nel v. 33b per i soldati e nel v. 35 per
il testimone. «Vedranno» rimanda dunque a tutti coloro, giudei e pagani, che cre
dono e che crederanno; a questo titolo, essi fanno parte della comunità messianica.
I membri di tale comunità avranno accesso alla visione apocalittica, alla visione ri
velatrice che ha aperto gli occhi dei primi testimoni a partire da Giovanni, secondo i
dati dell’inizio del Vangelo. 32 Quest’ottica si delinea chiaramente, in seguito, con la
presenza di Giuseppe di Arimatea e di Nicodemo. Coloro che per diritto riman
gono i più preparati a una si mile visione di fede sono i m embri dei clan di Israele,
come ricorda il testo di Zaccaria. La prospettiva è dunque quella di un’escatologia
già realizzata e ancora da venire, inaugurata da colui che è stato trafitto e da coloro
che «vedono». «Vedranno in colui che trafissero» implica una confessione. Il dono
di vedere colui che è trafitto si verifica nell’atto stesso di trafiggerlo. Vedere signi
fica dunque riconoscersi complici dell’atto che mette a morte colui che dà la vita!33
II principale artefice di questa morte è il peccat o. E l’autore del peccat o non siamo
noi; ma siamo le sue vittime. Siamo tutti colpevoli. Siamo anche tutti graziati, se
consentiamo a esserlo. Quelli che vedono sono gli stessi che non hanno visto. L’in
segnamento richiama il centro del prologo. Coloro che non hanno accolto la Pa
rola-Luce, l’hanno ricevuta per grazia (Gv 1,11-12.16). Per comprenderlo, bisogna
entrare nell’universo del Risorto.
Il quarto Vangelo si sofferma sul momento cruciale del colpo di lancia. Que
sta fine sembra interminabile. Si direbbe che non finisca mai di finire! È importante
insistere su questo punto. Malgrado tutte le precauzioni legali e rituali, e anche a
causa di esse, c’è stato spargimento di sangue. E per un semita, per la Scrittura, e
quindi per Giovanni, il sangue è la vita (Lv 17,11). Lo è anche per la legislazione
deuteronomistica (fondamento essenziale della halakah di Israele), che trova
un’eco nella necessità di portar via il corpo la sera della Preparazione (Dt 21,22-23).
C’è stato un crimine. Ma il criminale non è quello che si pensa! Il suo sangue - al
singolare! - non è vendicatore: è eucaristico. Il processo davanti a Pilato lo dimo
stra in maniera evidente, come tutto il Vangelo: l’accusato è stato condannato in
base a una testimonianza falsa, contro un comandamento del decalogo (Es 20,16;
Dt 5,20). E un altro articolo del decalogo è stato violato: «Non uccidere» (Es 20,13;
Dt 5,17). L'accusa di bestemmia formulata contro Gesù si è «ironicamente»34 tra
sformata in un crimine .in cui rutti sono implicati. L’uom o ha toccato il fondo. Ma
qui ha incontrato la realtà profonda di Dio. Questo sangue sparso, questo sangue
che dovrebbe gridare vendetta al cielo finché non sarà ricoperto,35 per Giovanni
trasforma la violenza in pacificazione, il crimine dell’assassino in offerta oblativa di
sé da parte della vittima. Il dono dello Spirito rispondeva al tradimento. Il sangue è
accompagnato dall’acqua. Il primo testimone a carico: l’Agnello ingiustamente
sgozzato, diventa il primo testimone a discarico (lGv 5,6; Dt 19,15ss). Copre i nostri
crimini, come il Figlio nella sua preghiera copriva l’incredulità dei suoi. Dalla ferita
incancellabile sgorgano il rimedio e la guarigione. Il crimine non è seguito dalla ma
ledizione né dalla vendetta, ma dal perdono al di là di ogni speranza per chi vuol
«credere». L’ostacolo diventa mediazione suprema. Nella sua stessa condizione di
abbandono, il Figlio riceve se stesso dal Padre per donarsi amando eis telos, «per un
adempimento». In tal modo dà compimento alla Scrittura e quindi alla Legge, la
Torah, formulata e data per insegnare ad amare.
Sulla stessa linea si colloca l’eucaristia: l’amore e la misericordia al posto del
l’odio, sia pure mitigato dalla legge del taglione. Il sangue dell’Agnello senza mac
chia si offre per essere bevuto, affinché si donino le nostre vite. Una goccia di fede è
sufficiente, mescolata al sangue dell’alleanza e all’acqua della nuova alleanza. Il sa
crificio che rende santi, il Figlio di Dio lo offre per noi offrendo la propria vita nella
propria morte. In questa morte, viene al mondo l’amore. L’amore è nato.
34 Nel senso che questo termine assume nella letteratura esegetica su Giovanni: un capovolgi
mento di situazione di stampo sapienziale.
35 Dt 21,8: si vedano le ottime note della BJ 1973.
I. Concatenazione
Gli avveni menti che precedono e seguono la morte del Cristo i n Gv 19,23-42
segnano il compimento della Scrittura (19,24.36-37) e anche il suo pieno adempi
mento (19,28). La passione e la morte di Gesù non segnano un termine, ma un pas
saggio. Esprimono una fine-compimento. Conducono a una pienezza che il mo
mento della morte non può esaurire. La Scrittura assume qui una portata decisiva.
La lettera del testo giovanneo illustra il principio fondamentale secondo cui la pas
sione, la morte e la risurrezione di Gesù, e per Giovanni soprattutto la morte, rive
lano il senso dell’Antico Testamento. L’Antico Testamento è incomprensibile
senza il Cristo, ma il Cristo risulta indecifrabile senza l’Antico Testamento.
Gv 19,23-42, al centro di Gv 18-21, fa dunque da transizione ai successivi rac
conti della risurrezione. Un atteso complemento di informazione viene infatti for
nito, tenuto conto del modo in cui Gesù è morto. La risurrezione manifesta il signi
ficato che questa morte assume nella fede. «L’elaborazione del negativo» si trova
superata da una sovrabbondanza che scaturisce da una vita donata nel luogo della
morte.
Per introdurre al mistero del Risorto, il testo del quarto Vangelo adotta mol
teplici precauzioni. Viene approntata una rampa d’accesso a questa realtà. Una
profusione di particolari sul tempo e sullo spazio suggerisce l’essenziale.
La passione e la morte del Cristo lasciavano già intuire la risurrezione. La li
bertà regale di Gesù, lungi dal metterlo al di sopra delle contingenze storiche, mani
festa la sua autorità sulle persone e sugli avvenimenti. Le formule di compimento
riferite alle parole di Gesù (18,9.32) e alla Scrittura svolgono la stessa funzione.
Gesù precorre e anticipa la propria morte. Accettandola, già la oltrepassa. L’uscita
da questo mondo verso il Padre, nel corso del processo e al momento della morte,
viene attuata da Gesù già glorificato. Egli porta fino in fondo l’amore per i suoi
(13,1.31-32.34-35; 19,28- 30). La sua risurrezione tuttavia at testa la sua passione. I l
Risorto rimane il Crocifisso, segnato dalle stigmate delle sue sofferenze e della sua
morte. Il mistero pasquale apre l’intera Bibbia. Il Nuovo Testamento «fa lievitare»
l’Antico. L’Antico colma il Nuovo con un vigore reso ancora più intenso dal suo
stesso
The Trialcarattere
Version velato.
1. Calendario giudaico
2. Calendario cristiano
1 Cf. Gv 1931: il testo non parla già più della «Pasqua» in quanto tale, ma dice: «la Preparazione
dei giudei» (19,42), perché la «nostra» Pasqua è il Cristo (cf. ICor 5,7).
The Trial Version
2 Cf. Os 6,2: nella Liturgia delle ore, lettura dell’ufficio del mattino del sabato santo.
3 Alcune osservazioni sono già state fatte in questo senso, con possibili sviluppi esistenziali, in Y.
Simoens, «Hommes et femmes, amis dans la lumière de Pàques», in VieCons 53(1981), 131-141. Nel 1997,
siamo nell’anno 5757 del calendario giudaico, che opera una distinzione fra le proprie date e quelle del
ibera volgare», con o senza una connotazione peggiorativa, a seconda dei casi e soprattutto delle per
sone che ne parlano.
3. Creazione
Il rapporto fra creazione e salvezza pone il problema del rapporto fra sabato
giudaico e domenica cristiana, dai primi secoli fino ai nostri giorni.5
4 Si veda Clemente di Alessandria (145-215 circa), secondo cui «il settimo giorno, eliminando i
mali, prepara il giorno primordiale, il nostro vero r iposo». Que sto primo giorno della creazione è inter
The Trial Version
pretato allegoricamente come «la Parola che illumina le cose nascoste», poiché in questo giorno «colui
che è la luce fu generato prima di tutti» (Stromates 6,16 [§ 138.1; 145.6]; cf. Gli slromati. Note di vera filo
sofia [Letture cristiane delle origini. Testi 20], Cinisello Balsamo 1985, 754.760). Citato da S. Bacchioc-
chi, Du sabbat au Dimanche. Une recherche historique sur les origines du Dimanche chr étien (BVC), Le-
thielleux, Paris 1984, 227.
5 Buona trattazione dell’argomento in Bacchiocchi, Du sabbat au Dimanche, 224-228.
l’ottavo (giorno); (si ottiene) così un’ogdoade, il che è più del sabato, anche il primo della settimana».
Giustino, Dialogo (scritto intorno al 160), § 41.4: «Infatti il primo giorno dopo il sabato, che rimane il
primo di tutti i giorni, è chiamato l’ottavo, in base al numero di tutti i giorni del ciclo» (cf. Dialogo con
Trifone, 175-176). Citazioni riprese da Bacchiocchi, Du sabbat au Dimanche, 228, nota 25.
1. Maria di Màgdala
Maria di Màgdala non viene definita in questo m odo nel Vangelo di Giovanni.
In nessun punto viene detto che sia o che sia stata peccatrice. Me 16,9 13 lo presup
pone. Conosciuta all’interno della comunità, era stata oggetto di particolari pre
mure da parte di Gesù. La sua identità di persona che è stata «oggetto di misericor
dia» l’aveva preparata meglio di chiunque altro a stare «presso la croce», per meglio
accogliere ora la rivelazione del Risorto.
11 A. Quacquarelli, L’ogdoade cristiana e i suoi riflessi nella liturgia e nei monumenti, 1973, 45,
The Trial
citato da BVersion
acchiocchi, Du sabbat au Dimanche, 229, nota 27.
12 Bacchiocchi, Du sabbat au Dimanche. 228-229.
13 I nostri criteri di lettura ci portano a sottolineare la nón-contraddizione fra le diverse tradizioni
neotestamentarie su Gesù e sui credenti, pur riconoscendo la fondatezza di una diversità di interpreta
zioni teologiche complementari.
«Venne (...) al sepolcro e guarda la pietra portata via dal sepolcro» (20,lb).
La seconda parte della frase insiste sui dati spaziali, con riferimento al sepol
cro. L’ etimologia è interessante. Mnémeion è il sostantivo di mimnèskò-«ricordarsì
di. ricordare». Viene dunque sottolineato il carattere di «memoriale» del sepolcro,
tanto più che il termine greco più corrente per indicare una tomba è taphos. La vi
sita a un sepolcro implica il ricordo e chiama in causa lo scomparso.
Il verbo « guardare »-Wepem introduce una serie di verbi di visione che espri
mono l’approfondirsi della fede:
1. è/epetn-«guardare»; v. 1: Maria di Màgdala,
v. 5: il discepolo amato da Gesù;
2. t/ieórezn-«contemplare»; v. 6: Pietro,
vv. 12.14: Maria di Màgdala;
3. Aoran-«vedere»; v. 8: il discepolo amato da Gesù,
v. 18: Maria di Màgdala.14
«La genesi della fede pasquale»,15 nel contesto di Gv 20, riguarda in partico
lare Maria di Màgdala al sepolcro, in compagnia dei discepoli. Tutti i verbi di vi
sione hanno almeno una volta come soggetto Maria di Màgdala; Pietro e il disce
polo amato da Gesù si dividono le altre occorrenze. Pietro, qui, non ha accesso al
«vedere» della fede.
14 Senza attribuire molta importanza alla diversità di questi verbi, D. Mollat aveva già richia
The Trial
mato Versionsul risveglio dei sensi spirituali {Giovanni maestro, 88-108; sul «vede re», 89-97). Dello
l’attenzione
stesso autore si veda: «La foi pascale selon le chapitre 20 del l’Évangile de saint Jean (Essai de théologie
biblique)», in Resurrexit. Actes du Symposium International sur la Résurrection de Jésus - Rome 1970,
Città del Vaticano 1974, 316-332; ripreso in Études johanniques (Parole de Dieu), Paris 1979, 148-164.
15 Secondo il titolo di un articolo di I. de la P otterie, «Genesi della fede pasquale secondo Gv
20», in Studi di cristologia giovannea, 191-214.
16 La pietra che occulta il sepolcro di Lazzaro «è portata via» da alcuni dei presenti per ordine di
Gesù. Qui il participio passato: «portata-via», esprime l’enigma dell’autore di questa azione.
17 Acuta osservazione di R. Lafontaine: «L’espressione “memoriale aperto” è ricca di significato.
Ma non sostituisce la precisione dell’espressione tradizionale: il “sepolcro vuoto”... del corpo di Gesù.
Questo vuoto è significativo perché, per i testimoni ncotestamentari, non potevano coesistere due corpi,
ovvero un cadavere del Gesù storico e il Corpo del Risorto».
18 Malgrado le osservazioni di F. Blanquart. «Nel nostro contesto, il verbo non può avere il
senso di una convers ione spirituale come nel testo di Is aia citato da Giovanni (Is 6,10; cf. Gv 12,40), per
ché non c’è conversione. (...) Il movimento di Maria consiste nell’allontanarsi da un sepolcro che non le
The Triall aVersion
ha dato risposta che lei attendeva, per volgersi verso il passato, verso il giardino. (...) Q ui [al v. 16b], a
causa del vocabolario impiegato, riteniamo che Maria segua sempre la stessa strada, quella che la ricon
duce al la croce, ma i luoghi sono stati ta ciuti a vantaggio dell 'identificazione, poi ché si tratta di rispon
dere a colei che non sa che Gesù è davanti a lei» {Le premier jour [LD 146], Paris 1991, 59-60.69).
19 Significato di haptomai (Gv 20,17) in lGv 5,18.
20 Aggellousa: 20,18.
4. I panni e il sudario
Come abbiamo visto per la pietra, anche nel caso dei panni ci troviamo di
fronte a particolari ana loghi e tuttavia contrastanti rispetto a quelli riferiti a propo
sito di Lazzaro. La diversa distribuzione di alcuni elementi descrittivi e narrativi,
comuni ai due racconti, dà luogo a un significato differente.
Cominciamo da Gv 11, dove troviamo innanzitutto il sepolcro (ll,38a) e la
pietra (ll,38b); «Portate-via la pietra!» (11,39), ordina Gesù; l’ordine viene ese
guito (11,41); compaiono infine le bende (keiriai) e il sudario (11,44).
Nel racconto di Gv 20,6-7 non ci sono bende ma «panni»-othonia. Le ricerche
sul sudario di Torino permettono di immaginare lo spettacolo contemplato da P ie
The Trial
21 Version
Cf. Gv 21,15-19.
22
«Pietro non e ra accanto al C rocifisso. L’aveva persino rinnegato rifiutando di essere conside
rato come discepolo di Gesù (18,25)» (Blanquart, Le premier jour, 32). Rigirare il coltello nella piaga
non è tuttavia nello stile del quarto Vangelo. Il rapporto personale del discepolo amato da Gesù con
quest’ultimo e la penetrazione del suo sguardo di fede lo distinguono da Pietro.
23 Si veda H.-M. Féret, Mort et résurrection du Christ d’après les Évangiles et d’après le linceul de
Turiti, Paris 1980,117-127. Questo rimando non implica nessun giudizio sul sudario di Torino e sulle ri
cerche condotte su di esso.
24 Per A. Gangemi, «si tratta ancora del corpo di Gesù, non del corpo morto che bende e sudario
avvolgevano, ma del corpo vivente che bende e sudario manifestano: l’unità ecclesiale, costituita dai di
scepoli e dal loro capo. Questa unità ecclesiale di cui è il fondamento, Pietro la contempla dopo essere
entrato. In questa unità ecclesiale, il discepolo, in quanto discepolo, deve entrare» (/ racconti post
pasquali nel Vangelo di San Giovanni, I. Gesù si manifesta a Maria Maddalena [Documenti e studi di Sy-
naxis 2], Acireale 1989,148). In questo modo si passa forse troppo in fretta al piano dell’interpretazione,
senza giustificare sufficientemente le tappe che permettono di giungervi.
25 Si veda X. L éon-Dufour, Risurrezione di Gesù e messaggio pasquale (Parola di Dio. Seconda
serie 7), Cinisello Balsamo 1987. Per una rilettura di queste discussioni, si veda P. Grelot, Combats
pour la Bible en Église (L’histoire à vif), Paris 1994, 224-226. Il punto essenziale riguarda un’antropolo
gia e una teologia del corpo: «La morte non ha separato la divinità del Cristo né dal suo corpo, né dalla
sua anima» (T ommaso, Stimma Theologiae, III, q. 53, art. 4; si veda q. 50, art. 2; cf. La somma teologica,
XXVI,226)». E l’autore commenta: «Il Verbo fatto carne ha assunto la natura umana fino a farsi carico
dell’esperienza del corpo divenuto “cadavere”: altrimenti, l’apparenza della morte non sarebbe che uno
stratagemma» (pp. 225-226). Un altro aspetto che ha potuto fare difficoltà viene segnalato un po’ più
avanti: «L’accesso alla visione e alla fede è avvenuto congiuntamente, in virtù di una grazia straordinaria
che fondò la fede cristiana di tutti i tempi fondando quella degli apostoli» (p. 226). L o stesso autore, in
un altro volume (Les Juifs dans l’Évangile selon Jean, Gabalda, Paris 1995, 160, nota 106), afferma:
«Mentre alcuni “miracol i” di Dio sono segni che conducono alla fede, altri sono “oggetto di fede, come il
parto verginale e la risurrezione del Signore, e anche il sacramento dell’altare” (Illa, q. 29, art. 1. ad 2; cf.
La somma t eologica, XXV.96). Quanto alle manifestazioni del Cristo ai suoi testimoni, Tommaso spiega:
“Se gli apostoli hanno potuto essere testimoni della risurrezione del Cristo etiam de visu, ciò dipende dal
fatto che hanno visto il Cristo vivo, dopo la sua risurrezione, oculata fide” (Illa, q. 55, art. 2, ad 1; cf. La
somma teologica, XXVI,254). In effetti, la risurrezione in quanto tale “trascendeva la conoscenza co
mune, sia per quanto riguarda il suo terminus a quo (la risalita dagli inferi, che rappresenta simbolica-
mente lo stato di morte), sia per quanto riguarda il suo terminus ad quem (cioè la vita gloriosa)” (ad 2; cf.
La somma teologica, XXVI,254). Non si può dunque far rientrare la “visione” del Cristo risorto nell’or
dine delle conoscenze empiriche, perché in tal modo si rischia di negare l’aspetto soprannaturale di que
sta esperienza: “Il Signore operò negli occhi del loro corpo ciò che si operava in loro con gli occhi del
loro cuore” (san Gregorio Magno [Homiliarum XL in euangeli a libri duo, 11,23,1; cf. Opere. 2: Omelie
sui vangeli (Grandi opere), Roma 1994,295]). Non stupisce dunque che gli uomini che non sono disposti
a credere nel Cristo guardino alla sua risurrezione come a una costruzione immaginaria di coloro che ne
fecero l’annuncio».
26
The Trial M.-E. B oismard, Faut-il encore parler de «résurrection»? Les données scripturaires (Théolo-
Version
gies), Paris 1995, rilancia la discussione, dando molto credito al contributo di P. M asset, «Immortalité de
l’àme, résurrection des corps. Approches philosophiques», in NRT 105(1983), 321-344. Quest’ultimo au
tore rende conto dell’opera di M.-E. Boismard in NRT 118(1996), 258-265. Si può essere d’accordo s ul
rifiuto di una rappresentazione del corpo glor ioso nel senso del ritorno in vita di un cadaver e. È oppor
tuno specificare che si tratta del corpo risorto del Cristo. Il quarto Vangelo procede per eliminazione.
La Scrittura appare così «in negativo»: non la «sapevano». Ma anche «in posi
tivo»: si tratta dell’unica affermazione positiva, fino a questo punto, a proposito del
Risorto.
5. La Scrittura
27 «San Tommaso osserva giustamente che (i suoi) hanno visto (il Cristo) oculata fide (Illa, q. 55,
art. 2, ad 1). (...) San Tommaso evoca proprio “gli occhi della fede”» (Grelot, Combats, 226).
28 H. de Lubac, Storia e Spirito. La comprensione della Scrittura secondo Origene (Parola di Dio),
Roma 1971, 499-554.
29 Qui come in Gv 2,22, non ci sembra che «la Scrittura» rimandi a un testo particolare, come ad
esempio Os 6,2, chiamato in causa nell’interpretazione proposta da molti commentatori. Le monografie
più recenti sono concordi su questo punto. Cf.: Gangemi, I racconti post-pasquali, 149 («La Scrittura a
cui si fa allusione non è un singolo testo, ma tutta quanta la Scrittura nella sua globalità»); B lanouart,
Le premier jour, 43. Ciò merita tuttavia qualche spiegazione.
30 Est 4,8-6,18; 7,12-26.
31 Dn 2,4b-7,28.
32 Le edizioni protestanti che si attengono per l’Antico Testamento alla Bibbia ebraica - quella
The Trial Version
dei giudei di Palestina - di solito non includono dunque i libri e i frammenti che seguono (apocrifi per la
tradizione protestante, deuterocanonici per la tr adizione cattolica) : Tobia, Giuditta, 1 e 2 Maccabei , Ba-
ruc, Sapienza, Ecclesiastico o Siracide, Ester (Volgata latina: 10,4-16,24), Daniele 3,24-90; 13 e 14. Que
ste precisazioni non fanno che riprodurre quanto viene indicato nell’inserto della Bibbia di Gerusa
lemme. Si tratta di dati ben noti. Li richiamiamo qui per dare un’idea del complesso di scritti evocati da
questa menzione della «Scrittura», e del mondo - o dei mondi - che essi rappresentano.
L’uomo guarda i panni là dove la donna contempla già il corpo, tramite la me
diazione degli angeli. Abbiamo qui un’altra conferma, in contesto di risurrezione,
dello stretto rapporto, che avevamo già notato nei racconti della passione, tra abiti
e corpo. Gli angeli significano che il Dio tre volte santo, il Dio unico di Israele non
si disinteressa del mondo che ha creato, della storia e del popolo che è in cammino.
Dio, che trascende il mondo e la storia, è più presente di chiunque altro al mondo e
alla storia. Gli angeli esprimono questa percezione di fede della realtà.35
33 Già al momento della morte del Cristo: «Affinché sia portata a compimento la Scrittura»
The Trial Version
(19,28).
34
Si veda Blanquart, Le premier jour, 43-44.
35 «Prestissimo, fin dal primo documento del Pentateuco, JHWH interviene nel bel mezzo della
storia d’Israele e della sua alleanza tramite un suo messaggero, un essere soprannaturale, divenuto “An
gelo” per noi attraverso la Bibbia greca. (...) Quando JHWH tocca terra, egli si sdoppia: tale forma scissa
dipende dalla sua presenza nella storia. D’altra parte, se egli si sdoppia, tutti i suoi doppi sono uno solo,
ci tendono a e sserlo» (Beauchamp, L’uno e l’altro Testamento, 133-134; si veda nell’indice: mediazione,
angelo).
36 Si veda la nota della BJ 1973 a Es 25,17. «La contemplazione dell’icone inizia al suo simboli
smo. che è di una rara profondità. Al tempo di Mosè, l’Arca dell’alleanza (...) era ricoperta da una tavola
d’oro massiccio che si chiamava Kappòret, tradotto con propiziatorio. Questo termine significa “ciò che
opera l’espiazione” (Es 25,21; 37,6). Secondo il rituale, il kappòret era interpretato come il luogo dove
Dio entrava in comunione col suo popolo per perdonarlo. “E lì che io ti incontrerò”, “È da lì che io ti
parlerò”: donde il nome di “Tenda dell’incontro”. Seguendo gli ordini di Dio, Mosè fece collocare “un
cherubino a ciascuna delle due estremità. I cherubini avevano le ali spiegate verso l’alto e proteggevano
il luogo”. L’iconografo ha riprodotto esattamente il propiziatorio e ha dato così la chiave della corri
spondenza. Il kappòret e la “Tenda dell’incontro” erano figure simboliche; pre-figure, profetizzavano
l'incontro dei due Adami e il luogo dove si è compiuto il mistero della salvezza. La sua potenza ha fatto
del luogo soltanto una testimonianza così forte che Giovanni “vide e credette”...» (P. Evdokimov, La
teologia della bellezza. L’arte dell’icona [Biblioteca di cultura religiosa. Seconda serie 122], Roma 1970,
371-372). Senza necessariamente condivider e tutte queste affermazioni, se ne riconoscerà la validità, ri
levando l’acutezza di penetr azione che deriva da una conoscenza delle icone capace di gustarne il signifi
cato profondo.
37 Secondo i termini del V prefazio pasquale.
38 «Alla fine (del Vangelo di Giovanni), la visione che Maddalena ha dei due angeli, uno alla te
The
sta eTrial Version
l’altro ai piedi del sepolcro vuoto dove Gesù ha riposato, per ogni pio israelita richiama alla mente
il propiziatorio, la copertura dell’arca dove, tra i due cherubini in adorazione, la Shekinah del Dio d’I
sraele si è sempre manifestata. Ed è ancora quel che conferma la prima lettera dello stesso Giovanni
quando dice che Gesù, per la sua morte e risurrezione, è divenuto la propiziazione per i nostri peccati
(Gv 1,14; 20,12; lGv 2,2; cf. Rm 3,25)» (L. Bouyer, Gnosis. La conoscenza di Dio nella Scrittura [Studi
giuridici 39], Città del Vaticano 1991, 40).
Le parole che Maria rivolge ai discepoli, agli angeli e a Gesù risuonano come
un’eco del dialogo fra l’amata e i suoi interlocutori, difficilmente identificabili:
«Dimmi, o amore dell’anima mia,
dove vai a pascolare il gregge,
dove lo fai riposare al meriggio,
perché io non sia come vagabonda
dietro i greggi dei tuoi compagni».
«Se non lo sai, o bellissima tra le donne,
segui le orme del gregge
e mena a pascolare le tue caprette
presso le dimore dei pastori» (Ct 1,7-8).
Grazie a i nomi, riemerge la titol atura caratter istica de ll’alleanza, c on una tra
sformazione immediata della relazione Maestro-serva nella relazione Fratello-(so-
rella)/fratelli, perché figli, nel Figlio, del medesimo Padre. L’alleanza trova in tal
modo il suo compimento nella nuova alleanza. La salita del Figlio al Padre per
mette questa relazione immediata con Dio, caratterizzata dall’immediatezza stessa
del rapporto del Figlio con il Padre.
Anche qui - qui più che mai - tutti i particolari sono significativi. Non appena
«Maria» viene chiamata per nome, non appena viene riconosciuto il «Rabbunì», la
parola del Maestro vivente ristabilisce l’economia del tempo che egli orienta: «Non
Il senso è chiaro: «Il Maligno non ha presa su di lui» (traduzione della Bible de
Jérusalem 1973); non può colpirlo; non ha la capacità di fargli del male. Il testo
evangelico può dunque essere chiosato nel modo seguente: «Non farti del male per
me!».
Questi paralleli arricchiscono la spiegazione. «Non sono ancora salito al Pa
dre». Considerata dalla parte di Gesù, la frase evoca i mezzi di cui il Figlio dispone
per mettere i discepoli di fronte all’evidenza della sua vita più forte della morte e
del peccato. Si può pensare al periodo delle apparizioni prima dell’ascensione, an
che se tali disposizioni sono prevalentem ente lucane. Gv 20,19-29 ci fa entrare a sua
volta in quest’ottica, in un modo tipicamente giovanneo. Considerata dalla parte di
Maria, l’affermazione introduce una dilazione: «Non ancora, ma più tardi, quando
la salita del Figlio al Padre sarà compiuta». C’è un porre a distanza, ma in vista di
una comunione piena che paradossalmente sarà resa possibile dalla totale scom
parsa agli occhi di carne. È quanto si era già verificato per la relazione di Gesù con
sua madre fin da Cana, con parole analoghe e persino identiche:
«Che-cosa (c’è) per me e per te, donna?
Non ancora è giunta la mia ora?» (2,4).
41 Una lunga nota (479) viene dedicata all’argomento da Ganoemi, I racconti post-pasquali, 227-
232. Questo autore stenta a decidersi a tradurre: «Smetti di toccarmi», perché, come egli stesso ricono
sce, «in precedenza non viene detto nulla che possa minimamente suggerire che Maddalena abbia toc
cato Gesù» (p. 232). Blanquart, Le premier jour, 71, opta per: «Non afferrarmi»; «Il verbo “afferrare” è
più consono alla sua ricerca, che è la ricerca di un luogo ma anche di un’identità». Il semantema del tatto
o del toccare sembra incontrovertibile nel significato del verbo haptomai. Nella forma media, tuttavia, lo
riteniamo appl icato innanzitutt o a Maria di Màgdala st essa, tenuto conto di ciò che abbiamo appreso dal
The TrialciVersion
contesto rca le sue dispos izioni a proposito di Gesù e in particolare del suo corpo. Di qui l’interpreta
zione: «Non darti pena; non tormentarti; non affliggerti; non “colpirti”, non “percuoterti” per me».
42 Blanquart, Le premier jour, ad loc.
43 J. Guillet richiama l’attenzione su questo punto (conversazione dell’ll maggio 1995). Noi con
tinuiamo a leggere la frase dell’episodio di Cana sull’ora in modo che la si intenda come già «giunta» in
quel luogo e per quel gruppo di persone ben preciso. Soltanto più tardi l’ora sarà «venuta» per tutti.
Nella nostra suddivisione del testo, Gv 20,1-18 costituisce una prima unità let
teraria. L’omogeneità di tempo e di luogo è data da Maria di Màgdala. I versetti
successivi (20,19-23) costituiscono a loro volta un’unità letteraria. Tutti i particolari
sono significativi. Dal punto di vista della forma come da quello del contenuto, si
tratta del centro del capitolo. Tutto ciò che riguarda Tommaso (20,24-29), e la
prima conclusione che segue, formano quindi una terza e ultima unità. L’analogia
con la prima venuta di G esù è palese. Il pe rsonaggio di Tom maso, in primo piano,
corrisponde a quello di Maria di Màgdala, in primo piano in 20,1-18.
A differenza di I. de la Potterie,1 noi non siamo d’accordo sulla «struttura
chiastica» proposta da D. Mollat.1 2 La sua rilevazione di uno sviluppo nel rapporto
fra vedere e credere è valida. Si tratta di uno degli elementi di strutturazione rico
noscibili nel testo. Bisogna tenerne conto, ma la struttura non si può ridurre a esso.
Richiamiamo questa proposta:
Primo episodio: Quarto episodio:
il sepolcro vuoto l’apparizione in presenza
di Tommaso
A (v. 8) A’ (v. 29)
1. Inclusioni
1/ La Scrittura (v. 9); i segni non scritti in questo libro e (i segni) scritti (vv. 30-31).
Sottolineati nello schema presentato più avanti, questi dati scompaiono se
nella struttura non viene inserita la conclusione. La valorizzazione della Scrittura
scritto è importante nel processo del «credere» descritto qui; il rilievo che l e viene
dato è analogo a quello che la Scrittura assume nell’episodio della croce. Tramite la
Scrittura, croce e risurrezione vengono a costituire le due facce del medesimo
evento.
2/ «Ho visto il Signore» (v. 18); «Abbiamo visto il Signore» (v. 25).
Se i w. 24-25 vengono uniti ai vv. 19-23, scompare anche questa corrispon
denza, che valorizza il vedere in quanto tale, non solo nel suo rapporto col credere.
Questo gioco di inclusioni rafforza la struttura chiastica, associandovi una
struttura parallela che ora bisogna mettere in luce.
2. Parallelismi
1/ «Vide e credette» (v. 8); «Se non vedo, non crederò» (v. 25).
3 C’è esitazione a tale proposito anche nei lavori più r ecenti. P.J. Judge, «A note on Jn 20,29», in
The
TheTrial
FourVersion
Gospels 1992,111,2191, avvalora il legame fra 20,30-31 e 20,24-29 sottolineando che la storia di
Tommaso fa parte dei «segni» che sono stati riferiti. Nello stesso volume, J. Kremer afferma invece che
«l’osservazione generale conclusiva sul significato dei “segni” (sèmeia) di Gesù (Gv 20,30s) non appar
tiene più alla nostra unità testuale» («“Nimm deine Hand und lege sie in meine Seitel”. Exegetische,
hermeneutische und bibeltheologische Ùberlegungen zu Joh 20,24-29», in The Four Gospels 1992,
111,2155).
3/ «Il Padre mio e Padre vostro, mio Dio e Dio vostro» (v. 17) presuppone che
«Gesù (sia) il Cristo, il Figlio di Dio» (v. 31), unico mediatore fra Dio e gli uomini.
In tale contesto, la beatitudine del v. 29 rischia, è vero, di non risaltare abba
stanza: tocca a noi tenerne conto con sufficiente attenzione. Assumono maggior ri
salto, invece, tutti gli elementi che abbiamo rilevato per giustificare questa struttu
razione. La sua principale caratteristica è quella di attribuire tutta la loro impor
tanza, nella rivelazione del Risorto, ai due poli antropologici complementari, fem
minile e maschile. Il Risorto è colui che fa risorgere! Dimostra di essere il Risorto
facendo risorgere la donna Maria e l’uomo Tommaso. Lo schema seguente visua
lizza il movimento:
Il memoriale aperto I disc. e Tommaso
A (w. 1-10) A” (vv. 24-25)
Maria di Màgdala e il Signore «Abbiamo visto il Signore»
Vide e credette «Se non vedo...,
Non sapevano ancora non crederò».
LA SCRITTURA
Maria e gli angeli Tommaso e Gesù
Fuori Dentro
B (w. 11-13) B’ (w. 26-29)
Testa-piedi-corpo di Gesù «Il tuo dito - le mie mani
la tua mano - il mio costato».
«Il mio Signore» «Mio Signore e mio Dio».
«Perché mi hai visto, hai creduto;
beati coloro che non videro
e credettero».
Maria e Gesù / segni e il libro
A’ (vv. 14-18) A’” (vv. 30-31)
Maria e il Signore Segni NON SCRITTI in questo libro; segni
SCRITTI.
Padre-Dio Credere in Gesù, il Cristo,
il Figlio di Dio.
«Ho visto il Signore» Avere vita nel suo nome.
Nel Vangelo di Giovanni, Gesù non «appare» mai. I verbi evitano le rappre
sentazioni del Risorto. Secondo l’insegnamento costante dell’intera Bibbia, la rap
presentazione espone alla tentazione di impadronirsi di «appar«Dio - non fosse che
con lo sguardo! Giovanni premunisce contro l’idolatria. La medesima preoccupa
zione anti-idolatrica valorizza al massimo l’effetto del Risorto sui corpi dei messag
geri. La persona individuale e com unitaria come luogo per eccellenza della rivela
zione del Vivente non comporta nessun rischio. La rappresentazione passerà inol
tre prevalentemente attraverso lo scritto. Il racconto degli avvenimenti permette di
controllare la scelta dei vocaboli. Lo stile deve evocare a sufficienza ma non troppo,
senza opacità ma neppure senza illusoria trasparenza.
Il verbo «venire», che abbiamo già rilevato a proposito di Maria di Màgdala e
dei due discepoli al sepolcro, nel corso del capitolo si ripete con un ritmo accelerato
(vv. 1.2.3.4.6.8.18). Rimanda alla risurrezione quando ha Gesù come soggetto (cf.
già 14,3.18.28). Qui come nel v. 26, è accompagnato dall’espressione: «Stette nel
mezzo», senza nessun’altra specificazione (ad esempio: «In mezzo a loro).4 L’e
spressione è assoluta e può evocare il Cristo risorto come centro del mondo e della
storia. Implicitamente fornisce una nuova indicazione, in negativo, su ciò che il Ri
sorto non è. Non è un «attraversa-muri» [fr.: «passe-muraille»] (G. Martelet). Svin
colato dalle contingenze spaziali e temporali, viene a invadere e a visitare il tempo e
lo spazio, dando loro una carica di eternità.
La parola accompagna l’atto: «Pace a voi!». Alla luce del libro di Isaia, il ti
more si ricollega all’incredulità come la pace si ricollega alla fede. Il discernimento
degli spiriti trova qui una delle sue sorgenti. Il Cristo risorto trasforma in consola
zione una situazione che confina con la desolazione.5 È il «mezzo» di ogni possibile
La pace biblica presuppone un giusto rapporto dell’uomo con Dio, con gli al
tri e con se stesso. Il verbo leshallem esprime la medesim a dinamica di compiment o,
in particolare nei termini di un saldo dei debiti:
«Ecco, tutto questo sta scritto davanti a me:
io non tacerò finché non avrò ripagato
le vostre iniquità e le iniquità dei vostri padri» (Is 65,6-7).’
III. Un gesto
A livello testuale, si realizza qui ciò che era stato annunciato nel versetto che
corrisponde a questo nella strutturazione generale di Gv 13-21 da noi proposta, su
cui torneremo più avanti:
«Di nuovo vi vedrò, e gioirà il vostro cuore, e la vostra gioia, nessuno ve (la) porta-via»
(Gv 16,22).
Il verbo «veder e»-ho rari, tipico della visione di fede, si applica ora ai discepoli
per iniziativa del «Signore».
The Trial Version
8 La pace, per Teresa d’Avila, è il bacio dello sposo alla sposa del Cantico dei cantici. Così essa
interpreta Ct 1,1: «Mi baci con i baci della sua bocca». «Se il bacio è segno di pace e di amicizia, perché le
anime non vi dovrebbero chiedere questa grazia? (...) (Quell a) pace santa che induce l’anima a metter si
in guerra con tutti i seguaci del mondo, pur rimanendo tranquilla e piena di sicurezza» (Pensieri sull’a
more di Dio, 1,12; 3,1, in Opere complete, Roma 1963, 982.1000). Si veda anche B. Arminjon, La Cantate
de l’Amour. Lecture suivie du Cantique des Cantiques (Collection Christus 56), Paris 1983, 50-55.
9 A titolo informativo, si veda J. Seynaeve, «Les verbes apostellò e pempò dans le vocabulaire
théologique de saint Jean», in L'Évangile de Jean. Sources, Rédaction, Théologie, par M. de Jonoe,
Gembloux-Leuven 1977, 385-389; in un senso diverso, sottolineando l’aspetto interiore e trascendente
The Trial Version
dell'invio per pempò e la r ealizzazione storica dell’invio per l’altro verbo, si esprime J. R adermakers,
«Mission et apostolat dans l’Évangile de Jean», in Studia Evangelica. II: Congrès d’Oxford 1961, Berlin
1964,100-121; questa prospettiva è ratificata da P. Létourneau, Jésus, Fils de l’homme et Fils de Dieu: Jn
2,23-3,36 et la doublé christologie johannique (Recherches; nouvelle serie 27), Montréal-Paris 1992,234.
10 Secondo l’asse giustamente privilegiato da de la Potterie, «Genesi della fede pasquale», pas
sim.
La conformità di questo versetto del libro della Sapienza con il testo della Ge
nesi indica la ripresa di una medesima tradizione, richiamata questa volta allo
scopo di mettere in luce la disobbedienza della creatura.
Lo stesso insegnamento è ripreso in maniera significativa in Ez 37,7-10:
«Mentre io profetizzavo, sentii un rumore e vidi un movimento fra le ossa, che si a cco
stavano l’uno all’altro, ciascuno al suo corrispondente. Guardai ed ecco sopra di esse i
nervi, la carne cresceva e la pelle le ricopriva, ma non c’era Spirito11 12 in loro. Egli (lo
Spirito del Signore) aggiunse: “Profetizza allo Spirito, profetizza, Figlio dell’uomo, e
annunzia allo Spirito: Dice il Signore Dio: Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su
questi morti, perché rivivano”. Io profetizzai come mi aveva comandato e lo Spirito
entrò in essi e ritornarono in vita e si alzarono in piedi; erano un esercito grande, ster
minato».
11 Pneuma in greco.
12 È difficile scegliere fra la «s» minuscola e la «S» maiuscola per le diverse occorrenze del ter
mine.
The Trial Version
13 Per quanto riguarda i «profeti anteriori», è interessante ricordare anche IRe 17,21, nel conte
sto della risurrezione del figlio della vedova di Zarepta per opera di Elia: «(Elia) soffiò t re volte sul bam
bino e invocò il Signore». Si veda Mannucci, Giovanni, 211, nota 13.
14 Si veda retrospettivamente Gv 16,7-11.12-16. L’immediatezza del rapporto dei discepoli col Pa
dre, grazie al la mediazione realizzata dal Figlio per mezzo dello Spirito - che non è più nominato - è sot
tolineata anche in 16,26-28.
Alla missione vista dalla parte di Gesù (v. 21) corrisponde la missione vista
dalla parte dei discepoli.
«La parola di Gesù sul potere di rimettere i peccati accompagna il gesto con cui egli
mostrava le piaghe della passione. L’obiettivo sembra essere quello di lasciar inten
dere ai discepoli che il loro ministero di perdono sarà l’attualizzazione del sacrificio del
Cristo e della sua portata soteriologica, perché Gesù, il buon Pastore, “dà la vita per le
sue pecore” (cf. 10,15)».16
Il concilio di Trento si basa su questo passo per sostenere l’istituzione del sa
cramento della riconciliazione:
«Per quelli che cadono in peccato dopo i l battesimo, Gesù Cristo ha istituito il sacra
mento della penite nza, quando disse: Ricevete lo Spir ito Santo; a chi rimetterete i pec
cati, saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi (Gv 20,22-23)».17
Una cosa sembra certa in questo contesto: la comunità giovannea conosce già
una pratica del perdono dei peccati.
«Concludere che si tratta di un puro artificio, di invenzioni più o meno felici per far ri
salire fino al Risorto le situazioni della Chiesa sarebbe un travisamento radicale. Qui
non c’è ombra di confusione, voluta o inconsapevole; c’è, al contrario, una visione per
fettamente lucida: la situazione di questi testi è unica, senza precedenti e senza futuro;
è quella deH’origine. Si tratta certamente di gesti della Chiesa e non siamo più al
tempo di Gesù: è il tempo dei discepoli in missione, delle conversioni e dei rifiuti, delle
persone da accogliere o da rifiutare. Ma tutti questi gesti, che non possono fare a meno
di mani d’uomo, tutta questa esistenza vissuta in mezzo agli uomini per costruire rea
lizzazioni visibili, non ha la persona di Gesù risorto soltanto come origine e come
15 Mou at, «La foi pascale», in Resurraxit, 326. Questo paragrafo è stranamente scomparso,
senza giustificazioni, in Études johanniques, 177.
16 La foi catholique, par G. D umeige, Orante. Paris 1961, Décret sur la justification, c. 14, 349 [cf.
Denz. 1542-1543].
17 «La differenza fra le interpretazioni di questo versetto non verte tanto sulla natura del potere
accordato
The ai discepoli dalle parole di G esù (Cf. Mt 16,19; 18,18) quanto sull’individuazione di coloro che
Trial Version
lo esercitano. Le tradizioni cattolica e ortodossa pensano che si tratti dei membri dell’ordine sacerdotale
(così il concilio di Trento, sess. VI, c. 14; sess. XIV, cc. 5-6, can. 10). La tradizione pr otestante pensa che
si tratti di “colui che è veramente l’organo dello Spirito (v. 21)” (F. Godet)» (Nota TOB, ed. 1972, ad
loc.). L’interpretazione da noi proposta non esclude quest’ultimo senso, ma tutto il problema sta nell’in-
tendersi su che cosa significhi esattamente «essere organo dello Spirito».
Quegli esseri nuovi che i discepoli sono divenuti, grazie al dono effettivo dello
Spirito, partecipano al discernimento stesso del Cr isto (cf. 9,39). L’allusione espli
cita alla morte in croce tramite la menzione delle mani e del costato invita a eserci
tare tale discernimento nel senso della salvezza (cf. 3,17) e della misericordia. Ago
stino propone la seguente spiegazione:
«La carità della Chiesa, che lo Spirito Santo riversa nei nostri cuori (Rm 5,5),
rimette i peccati di coloro che divengono partecipi di questa divina carità, ma li ri
tiene a coloro che non vi hanno parte alcuna».19
Ancor più di lui su questo punto insiste Tommaso d’Aquino, che sviluppa ul
teriormente l’argomentazione:
«2541. - In terzo luogo viene indicato il frutto di quella donazione: “A chi ri
metterete i peccati saranno rimessi”. Ora, la remissione dei peccat i è un effetto che
ben si addice allo Spirito Santo; poiché egli è carità, e per mezzo di lui ci viene data
la carità. Vedi Rm 5,5: “La carità di Dio è st ata riversata nei nostri cuori, per mezzo
dello Spirito Santo che ci è stato dato”. Ebbene, la remissione dei peccati non viene
prodotta che dalla carità; poiché “la carità ricopre tutte le colpe” (Pr 10,12). E in
lPt 4,8 si legge: “La carità copre una moltitudine di peccati”.
2542. - A questo punto nascono dei problemi. Primo, a proposito dell’affer
mazione: “A chi rimetterete i pec cati saranno rimessi...”; perché i peccati li rimette
Dio soltanto. In proposito alcuni rispondono che la colpa la rimette Dio soltanto;
ma il sacerdote si limita ad assolvere dal reato della pena, e a denunziare che il pe
nitente è assolto dalla macchia della colpa.
Ma questo non è vero; poiché il sacramento della penitenza, essendo un sacra
mento della nuova legge, conferisce la grazia, come la conferisce il battesimo. Ma
nel battesimo il sacerdote battezza quale strumento, e tuttavia conferisce la grazia;
perciò allo stesso modo nel sacramento della penitenza egli assolve in modo sacra
mentale e ministeriale sia dalla pena, sia da lla colpa, in quanto conferisce il sacra
mento nel quale sono rimessi i peccati.
L’affermazione che Dio solo rimette i peccati è vera nel senso che lui solo può
farlo d’autorità propria. Ma in tal senso Dio solo battezza; il sacerdote però bat
tezza come ministro, secondo le spiegazioni date.
2543. - In secondo luogo, a proposito di tutta la frase nel suo contèsto (“Rice
vete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati...”), sembra che si debba conclu
dere: dunque chi non ha lo Spirito Santo non può rimettere i peccati.
A ciò si risponde che se la remissione dei peccati fosse un’opera personale del
sacerdote, ossia se egli lo facesse per virtù propria, non potrebbe certo santificare,
senza essere santo. Ma la remissione dei peccati è opera propria di Dio, il quale ri
mette i peccati per virtù e autorità propria; ma è opera del sacerdote solo quale
The Trial Version
L’indicazione che Tom maso è «uno dei Dodici» non permette di stabilire se i
discepoli di cui si parla qui si limitano ai Dodici - che ora sono rimasti in undici! Il
fatto che non venga utilizzato il termine «apostoli» ci lascia nell’incertezza. Ma l’as
senza di uno dei Dodici nel momento della prima venuta di Gesù, dopo la defezione
di Giuda, sembra essere determinante per il narratore. Tommaso svolge un ruolo
particolare nel racconto giovanneo.22 Discepolo in posizione precaria, acquista un
valore emblematico. In tal senso è forse il «gemello» di tutti noi! È dunque impor
tante precisare l’esatta portata di questa precarietà.
«L’incredulità, in questo caso, non verte sulla realtà di un’apparizione di cui Tommaso
sarebbe stato il testimone scettico, ma (...) riguarda la veracità della testimonianza dei
discepoli che affermano di aver visto il Signore».23
A maggior ragione quando si tratta, per «uno dei Dodici», di vedere Gesù ri
sorto!
Ma anche un altro aspetto viene messo in luce dall’insistenza sulle mani e sul
costato.
«Tommaso non mette in dubbio la relazione da parte dei suoi fratelli del fatto che
hanno visto il Signore, ma secondo lui la loro visione non esclude ogni possibilità di
equivoco; egli crederà se il Risorto è chiaramente identificabile con Gesù crocifisso.
Nell’ottica di Kohler, dando forma drammatica al tema del dubbio nella caratterizza
zione di Tommaso, l’evangelista vuole segnalare il pericolo che la fede si fissi troppo
rapidamente sul Risorto, sostituendo all’impotenza del Crocifisso l'onnipotenza del
glorioso Vincitore della morte».26
26 Judge, «A Note on Jn 20,29», 2188, che cita H. K ohler, Kreuz und Menschwerdung im Johan-
nesevangelium (ATANT 72), Zurich 1987, 175-176.
22 «Tommaso ha realmente toccato le piaghe del Risorto e messo la mano nella piaga del suo co
stato? Per secoli, si è risposto quasi unanimement e in maniera pos itiva a questa domanda del let tore del
Vangelo giovanneo. (...) Quasi tutti gli esegeti contemporanei concordano invece sul fatto che il testo
non dice nulla in proposito e non avalla le conclusioni tradizionali. A fondamento di ciò, essi rimandano
alle caratteristiche peculiari del Vangelo della risurrezione e alla concezione della fede nel Vangelo di
Giovanni».
The È questo l’argomento principale del ricco contributo di J. Kremer, «“Nimm deine Hand und
Trial Version
lege sie in meine Seite!”. Exegetische, hermeneutische und bibeltheologische Uberlegungen zu Joh
20,24-29», in The Four Gospels 1992, 111,2153-2181 (per il passo citato, cf. 111,2153).
28 Ringrazio R. Lafontaine per le precisazioni che fornisce in tal senso.
29 A. Jaubert, «La Résurrection. Réflexions préliminaires», in FoiVie 69(1970)1, 5, citato da
Mollat, «La foi pascale», in Études johanniques, 178-179.
Nessuna di queste citazioni appare tuttavia decisiva, tanto più che il titolo di
«Signore» utilizzato nella versione dei Settanta, secondo Schnackenburg, non viene
ripreso direttamente per il Signore risorto.31
Per quanto riguarda le parole pronunciate da Gesù, la prima parte del v. 29 è
attestata con due punteggiature diverse che rendono la frase interrogativa oppure
affermativa. Con gli autori degli studi più recenti sul versetto, adottiamo la seconda
lezione. «In questa dichiarazione solenne e suggestiva, Gesù non pone domande ma
dichiara la verità» (C.K. Barrett).
«Gesù accetta la validità della percezione, da parte di Tommaso, di quello che è suc
cesso: “Hai creduto!”».32
La beatitudine di coloro che hanno creduto senza aver visto trova nello stesso
tempo il proprio fondamento. Sulla base di quell’esperienza apostolica, è tracciata
la via per un’esperienza del medesimo ordine, in cui si realizzerà la beatitudine di
un andare dal credere al credere attraverso il credere. Non c’è nulla di astratto o di
concettuale in questa fede, che è rapporto vivo con il Vivente, in comunione con lui
e, in lui, con gli altri.
La fede di cui si parla qui non è infatti pura forma senza un contenuto sensi
bile, né per quanto riguarda il credente, né per quanto riguarda Gesù.
«Questa beatitudine non critica né relativizza la visione di Tommaso, esprimendo piut
tosto ciò che ha cominciato ad avvenire nelle prime generazioni di cristiani. La visione
diretta era limitata al passato, ma ha un significato nel cherigma della comunità gio
Il problema di Gv 21
1. Un vocabolario insolito
A. v. 2: i figli di Zebedeo;
v. 3: syn + dativo (unico altro caso: 18,1; altrove: meta: 40 volte);
v. 4: pròia (Gv: pròi)\
v. 6: ischyein apo: «essere capaci di» (hapax):
v. 10: apo (Gv: ex o ek)‘.
v. 20: epistrephein (giovanneo):
B. Subito però sorge un’obiezione: queste novità sono controbilanciate da un nu
mero più considerevole di caratteristiche giovannee.
v. 1: il mare di Tiberìade (cf. 6,1.23);
v. 2: i nomi propri di:
Simon Pietro (cf. 1,40-42; 6,8.68; 13,6.9.24.36; 18,10.15.25; 20,2.6);
Tommaso il Dìdimo (cf. 11,16; 14,5 - senza Dìdimo -; 20,24.26-28
- senza Dìdimo -);
Natanaele da Cana (cf. 1,45-51);
w. 9.10.13: opsarion (cf. 6,9.11);
v. 7: il rapporto tra il discepolo che Gesù amava e Pietro (cf. 13,23-24;
18,15-16 [l’altro discepolo, conosciuto dal sommo sacerdote];
20,2-4.6.8);
v. 9: il fuoco-di-braci (18,18);
v. 12: esitazione a chiedere (4,27);
The Trial Version
1 Si veda Brown, Giovanni, 1361-1367. Ultima sintesi della questione, con un’apertura ad altre
possibili letture grazie all’intertestualità e alla narratologia, in W.S. V orstbr, «The Growth and Making
of John 21», in The Four Gospels 1992, 111,2207-2221.
A. Le evidenti reminiscenze dei cc. 1-6, per qua nto riguarda la prima sezione del
Vangelo, e poi dei cc. 13 e 18 per quanto riguarda la seconda parte, mostrano
che Gv 21 costituisce uno dei brani principali del quarto Vangelo come insieme
letterario compiuto.
B. Gv 21 corona il racconto delle rivelazioni avvenute all’inizio della vita pubblica
di Gesù. A questo titolo, dà luogo a un’ampia inclusione da un estremo all’al
tro del testo definitivo.
C. Presenta un netto parallelismo con Gv 6, che conclude 1,19-6,71 come Gv 21
conclude Gv 18-21.
D. Illustra ancora una volta, e in maniera degna di nota, il rapporto che nel Van
gelo canonico intercorre fra i racconti - e quindi le realtà - della passione e
della risurrezione.
E. A questo titolo, serve anche:
- da inclusione rispetto a Gv 13;
- da parallelo rispetto a Gv 17, che appare già come una «seconda conclu
The Trialsione»
Versiondi Gv 13-17 dopo il finale del discorso (Gv 16,4-33).
2 Per uno studio esaustivo di questo procedimento stilistico si veda V an Belle, Les parenthèses.
Questo e altri legami letterari mostrano uno stretto rapporto fra Luca e Gio
vanni. M.-E. Boismard ne deduce che Luca (Vangelo e Atti), come anche Paolo e
alcuni testi di Qumran, influenzò la redazione di Gv II-B (terza e penultima tappa
della genesi del testo secondo la sua ipotesi).3
Senza entrare nel merito di questo dibattito sulla redazione del quarto Van
gelo, bisogna comunque prendere in considerazione la notevole differenza fra i due
racconti della pesca in Le e in Gv.
A. In Luca, il racconto si colloca nel contesto della vocaz ione dei discepoli, all’ini
zio della vita pubblica di Gesù.
B. In Giovanni si colloca nel contesto della risurrezione. Non è tuttavia privo di
importanza dal punto di vista della vocaz ione dei discepoli. I primi racconti di
questo tenore sono infatti chiamati in causa grazie ai nomi che vengono men
zionati (cf. 1,40-51). Giovanni sottolinea in particolar modo il fatto che la rete
non si spezza nonostante i centocinquantatré pesci di cui è ricolma (v. 11).
Viene qui simboleggiato l’argomento dell’unità del popolo, come nel caso della
tunica non divisa di Gv 19,24, un’altra reminiscenza fondamentale della pas
sione giovannea.
Gli avvenimenti sono stati uno o due? C’è stata una sola pesca, che ha trovato
eco in due tradizioni notevolmente diverse, o ce ne sono state due, una prima e l’al
tra dopo la risurrezione? L’ipotesi di un solo avvenimento sembra più probabile. Si
rivela in tal modo, sul piano della redazione dei Vangeli, la sovrana libertà della tra
dizione, all’interno della Chiesa, quando si tratta di sapere e di narrare ciò che è av
venuto prima o dopo la Pasqua. Se avessero voluto segnalare l’esistenza di due epi
sodi di pesca miracolosa, uno prima della risurrezione e l’altro dopo, gli autori (o a l
meno uno di loro) non si sarebbero forse preoccupati di evidenziarlo nel racconto,
come vediamo avvenire per i pasti? Luca mostra e suggerisce il rapporto che c’è fra
l’ultima cena e Emmaus. Giovanni fa lo stesso a proposito del racconto dei pani e
del pasto sulla riva del lago di Tiberìade.
Gli esegeti si trovano in difficolt à quando cercano di precisare il momento in
cui l’episodio si è verificato e l’ordine delle tradizioni. Il racconto di Luca sembra
primitivo. Quello di Giovanni dà l’impressione di presupporlo e di amplificarlo. Ma
non ci sono certezze, e le prove sono difficili da approntare. Sia che Giovanni abbia
utilizzato il testo di Luca per farne un racconto di apparizione del Cristo risorto,4 sia
che Luca abbia utilizzato il testo di Giovanni per rendere più verosimile l’evento
prima della Pasqua, si tratta comunque di un atto di audacia nella fede. E l’insegna
mento fondamentale che ne possiamo trarre. 5 Per gli evangelisti, vita pubblica e ri
surrezione rappresentano i due aspetti indissociabili di un medesimo mistero.
Questi discepoli si ritrovano dunque nel contesto del primo incontro con Gesù
più ancora che sul luogo delle loro attività di un tempo. Natanaele, del resto, è per
cepito più come «dono di Dio» che come pescatore.
6 Nei w. 1.4(Ws).5.7.10.12.13.14.
7 Cf. Gv 21,7(tir).12.
8 Gv 6,16.17; 21,3.
The Trial’ Si
Version
veda più oltre.
10 B oismard - Lamouille, L’Évangile de Jean, 478.
11 Ivi, 477; cf. 61.
12 Kuhn, Christologie und Wunder, 206.224.234, preferisce parlare a tale proposito di un «rac
conto di presentazione di un miracolo» piuttosto che di un «racconto di vocazione».
13 Boismard - Lamouille, L’Évangile de Jean, 478.
A proposito degli «altri due discepoli» non viene detto nulla. L’effetto così ot
tenuto consiste nel concludere qui e soltanto qui la vocazione dei discepoli.15 La
cosa è chiara per quanto riguarda Pietro. L’inizio della vita pubblica di Gesù è por
tato a compimento dalla risurrezione. Una cosa è mettersi alla sequela di Gesù nel
corso della sua vi ta terrena, e un’altra è venire confermati dal Risorto attraverso lo
smarrimento del peccato, al di là degli eventi della passione e della morte di colui
alla cui sequela ci si era posti. Sia dalla parte di colui che chiama sia da quella di co
loro che sono chiamati, prima e dopo il mistero pa squale si configura la medesima
relazione. Questa percezione è in sintonia con l’esperienza del credente nella
Chiesa di tutti i tempi. Gv 21 non viene in tal modo sentito come un'aggiunta estra
nea al progetto iniziale del racconto evangelico.
Il ruolo di Pietro è quello del leader, del capo. L'iniziativa della pesca e la de
cisione degli altri di accompagnarlo contrastano con l’ordine che in seguito gli verrà
impartito da Gesù. Il fallimento dell’impresa viene messo in evidenza.16 Il verbo uti
lizzato per esprimere l’insuccesso: «Non arrestarono nulla», richiama l’«arresto» in
fruttuoso di Gesù da parte delle autorità competenti.17 Non ci si impadronisce di
Gesù. È lui che dispone di tutto. Questo insegnamento attraversa la vita pubblica e
la passione, emergendo in particolare al momento della teofania, nella notte del-
l’«uscita» di Gesù.
La scena inaugurale si conclude con alcune indicazioni simboliche a proposito
del Risorto, a cui viene applicato di nuovo il verbo «stare». Come Maria di Màgdala
in 20,2.13.14, i discepoli «non sapevano che è Gesù» (cf. anche Le 24,16). Come per
i primi avvenimenti che circondano la risurrezione, tutto comincia con un «non sa
pere». Gesù opererà la trasformazione. Ciò caratterizza il suo intervento di Risorto:
egli è di nuovo colui che fa risorgere!
14 Ivi, 93. Per la verità, ci sembra che sia soprattutto Gesù a essere presentato come colui «che
vede», con una visione di tipo apocalittico. Egli «vede» chi e che cosa è esattamente Natanaele. come
suggerisce Moule, «A Note on “Under thè Fig tree”», 210-211. Questo esegeta rimanda a Dn 13,54.
The Trial15 Version
La missione può essere già stata affidata in 20,19-23. La vocazione è confermata soltanto nel c. 21.
16 «Il Signore trasformerà la notte del loro insuccesso, di modo che proprio dal loro fallimento
scaturirà la pienezza della grazia» (A. von Speyr, Jean, naissance de l’Église. Il: Méditations sur le chapi-
tre 21 de l’Évangile selon saint Jean. Paris-Namur 1985 [or. ted. 1949], 30).
17 Gv 7,30.32.44; 8,20; 10,39; 11,57.
Il v. 12b ritorna sul tema del riconoscimento, che caratterizza questo racconto
di apparizi one. Viene mantenuto un certo rise rbo nell’ espressione di ciò che pure è
divenuto una certezza. Il mistero rimane, e viene rispettato.
Con il v. 13, il pasto descritto qui richiama 6,11:
«Gesù prese dunque i pani e, avendo reso-grazie (eucharistèsas), (li) distribuì (diedò-
ken) a coloro-che-erano-sdraiati, e similmente (fece) dei pesciolini, quanti (ne) vole
vano».
La conclusione del racconto, al v. 14, si colloca più chiaramente che mai nella
luce del Risorto:
The Trial Version
26 Cf. Sai 110,1; At 2,32-36; Rm 1,4; Fil 2,11 (Boismard - Lamouille, L’Évangile de Jean, 485).
27 La preoccupazione tipica di Giovanni nel discorso sul pane della vita si traduce in un’inver
sione dell’ordine che troviamo nei Sinottici: non è il pane a essere il corpo di Gesù, ma è questo corpo a
essere cibo. In Gv 6 si tratta in primo luogo del corpo di Gesù vivente, che parla e si comunica a chi
crede. Chi lo riceve vivrà per sempre. Gesù lo risusciterà nell’ultimo giorno. In Gv 21, Gesù risorto si of
fre come vi ta eterna, disponibile fin d’ora. La sua risurrezione fornisce la chiave sia del racconto dei pani
del discorso sul pane della vita. Rende attuali la vita eterna e la risurrezione nell’ultimo giorno.
28 J. G uitton, Il problema di Gesù (Le idee e la vita 16), Torino 1964, 193, citato in un inedito di
S. Lyonnet, Noie sur la notion de corps glorieux et l’exégèse des récits des apparitions, p. 3. «Si può (...)
“parlare ancora di ri surrezione”, e persino non si hanno molte possibi lità di parlare in altro modo. Seb
bene imperfetto, il termine è stato talmente arricchito nel corso dei secoli dalla riflessione teologica e
dall’arte (pittura e musica soprattutto), che risulta essere ancora il più adeguato. Bisogna semplicemente
spiegarlo. L’immaginazione può nuocere al pensiero, ma può anche aiutarlo e arricchirlo. (...) Nono
stante il notevole progresso che il pensiero cont emporaneo ha compiuto sul problema capitale del l’unità
del soggetto
The umano, non possiamo che balbettare. Non conosciamo il tutto di nulla, come dice Pascal.
Trial Version
Né dell’anima, né del corpo. Non sappiamo che cos’è l’uomo e non sappiamo che cos’è Dio. L’ultim a pa
rola di ogni cosa appartiene a colui che solo è il Primo e l’Ultimo» (P. M asset, «Faut-il encore parler de
“résurrection”? À propos d’un livrc récent», in NRT 118(1996], 260.263).
29 II simbolismo pa olino indica Gesù come il capo e la Chiesa come il corpo (ICor 12,12ss; Col
1,18; Ef 2,22-23; 5,23ss).
L’essenziale consiste in questo «stare» di Gesù sulla riva del lago di Tiberìade,
al di là della tenebra del peccato e della morte. Ma a questo polo, che egli garanti
sce con piena fedeltà e stabilità, non corrisponde ancora, dalla parte dei discepoli,
che un non-sapere:
«I discepoli non sapevano che è Gesù».
Vengono fornite tre nuove informazioni: il ruolo di Simon Pietro nel gesto di
trascinare a terra la rete; il numero esatto dei pesci per significare la pienezza del
dono gratuito e la collaborazione necessaria perché tale dono possa essere accolto;
la salvaguardia dell’unità di quel considerevole numero di pesci grazie al fatto che
la rete non «si divise». Sussidiariamente - ma bisogna entrare nel simbolismo per
comprenderlo - questa unità non può essere che quella del popolo di Dio.31 Deriva
dall’attività congiunta di Gesù, il Signore risorto, e della vocazione-missione dei
suoi discepoli in contesto di risurrezione.
I due a ssi si congiungono alla fine. Il riconoscim ento di Gesù come Signore da
parte dei discepoli lascia sussistere un interrogativo. Bisogna «credere» anche nel
«sapere» (21,12b). La domanda che brucia le labbra senza che si osi formularla,
nella certezza tuttavia che «è il Signore», esprime meravigliosamente il chiaroscuro
della fede. Ciò che il Risorto dice, fa e mostra è sufficiente a eliminare ogni possi
bile dubbio. Ma l’evidenza non è mai vincolante. Gesù suscita sempre l’interroga
tivo che egli è.
31 «Il nuovo popolo di Dio, di cui Pietro diventa il capo visibile al posto di Gesù (21,15-19), gene
rato dalla predicazione apostolica, ha le sue radici nella risurrezione del Cristo» (Boismard - La-
mouille, L ’Évangile de Jean, 485). A nostro avviso, il popolo di Dio in quanto tale - «il nuovo popolo di
Dio» non è un’espressione del Nuovo Testamento - viene ora partorito e generato grazie a Gesù risorto.
È il senso del p«ùù'a-«bambini» con cui Gesù si rivolge ai discepoli in 21,5. Questo popolo è invitato da
Gesù al pasto eucaristico di cui Gesù stesso è l’autore e il donatore: il pasto dell’alleanza (Torah), mes
sianico (Profeti) e sapienziale (Pr 9), nel quadro della nuova alleanza, in chiave di risurrezione (apocalit
tica). Gesù si fa riconoscere in questo invito e nella vocazione-missione che esso implica, limitata all’ob
bedienza alle parole del Risorto. Nessun’altra predicazione apostolica oltre a questa convivialità esisten
ziale con il Vivente viene evocata, se non forse nella s crittura, la messa per iscri tto della tradizione che la
trasmette con tanta delicatezza di espressione. Osservazioni pertinenti e interessanti in questo senso si
trovano in J. Z umstein, «La rédaction fi nale de l’évangile selon Jean (à l’excmple du chapitre 21)», in La
communauté johannique et son histoire. La trajectoire de l’évangile de Jean aux deux premiers siècles
(MondeB), Genève 1990, 207-230. L a conclusione riassume bene l’essenziale: tenuto conto di un cam
biamento di situazione, dopo la morte di Pietro e del discepolo che Gesù amava, il c. 21 ha lo scopo di di
mostrare la legittimità della teologia sviluppata dal Vangelo. «Dichiarando che il discepolo amato da
The
GesùTrial Version
è l’autore del Vangelo, la scuola giovannea mira a presentare questo Vangelo come l’espressione
più autentica della tradizione di Gesù» (p. 229). «Il rapporto fra Pietro e il discepolo amato da Gesù fa
(...) emergere nello stesso tempo la specificità e l’universalità del quarto Vangelo» (p. 230). «Il movi
mento interpretativo che viene alla luce nel c. 21 non si interroga più sulla pertinenza del messaggio, ma
sulle condizioni necessarie per garantire la sua trasmissione e la sua ricezione. La scuola giovannea fa del
Vangelo una Scrittura. Avvia così, al suo livello, il processo che conduce al canone» (p. 230).
«La terza manifestazione di Gesù, rialzato dai morti», e il pasto a cui egli in
vita i suoi discepoli sono seguiti da una scena tipicamente giovannea. Il problema
principale che si pone a proposito di questo dialogo fra Gesù e Pietro riguarda il vo
cabolario impiegato. Dalla sua interpretazione dipende il senso delle domande e
delle risposte. Le variazioni fra: agapan-philein, «amare-voler bene»; boskein-
poimainein, «pascere-essere pastore»; amia-probata, «agnellini-pecore»; oida-gi-
nòskein, «sapere-conoscere», hanno un peso oppure no dal punto di vista del signi
ficato? I . de la Potterie si è pronunciato a favore di una differenza significativa per
quanto riguarda l’ultima coppia verbale.1 Per la prima coppia, implicitamente per la
seconda a giudicare dalla sua traduzione, e per la coppia di sostantivi «agnellini-
pecore», il parere di D. Mollat è rappresentativo dell’opinione più comune:
«L’“amare” è espresso nel testo con due verbi diversi, che corrispondono rispettiva
mente ad amare e a nutrire amicizia o voler bene. Non è certo tuttavia che l’alternarsi
dei due termini sia qualcosa di più di una semplice questione di stile, così come l’alter
narsi dei sostantivi “agnelli”-“pecore”».1 2
I. L’interpretazione di C. Spicq
1 I. de la P otterie, «Oida e ginóskò. I due modi del “conoscere” nel quarto vangelo», in Studi di
cristologia giovannea (Dabar. Studi biblici e giudaistici), Genova 1986, 82-109. I due sensi distinti sono
The
già Trial Version
presenti nel greco classico, dove i due verbi si riferiscono rispettivamente alla conoscenza intuitiva e
alla conoscenza acquisita.
2 Fase. BJ 1973, ad loc.
3 C. S picq, Agapè dans le Nouveau Testament. Ili: Analyse des textes, (EBib), Paris 1959, 219-245
(c. VII: Philein, phi los et agapan dans les écri ts johanniques); per quanto riguarda il testo in questione,
soprattutto 230-237.
The Trial
4
Version
Tale interpretazione è ancora ripresa da B. A rminjon, Nous voudrions voir Jesus. II: Jean 12-21
(Collection Christus 85. Essais), Paris 1996, 183-184.
5 «È improbabile che la domanda: “Mi ami ?”, ripetut a per tre volte in Gv 21,16-17, sia un’allu
sione al triplice rinnegamento di Gesù da parte di Pietro durante il processo» (V orster, «The Growth»,
2213, che cita anche B. Lindars).
Il rapporto fra agapan e philein può essere visto in modo del tutto differente.
Philein indica un modo di amare diverso da quello espresso da agapan. Non ci sa
rebbe in un primo momento una caduta di tensione, ma piuttosto un crescendo con
tinuo da parte di Gesù. Con la sua risposta, Pietro pretende di collocarsi fin dall’ini
zio al vertice dell’amore. Sarebbe indubbiamente nel suo stile! Gesù non contesta
la pretesa di Pietro e la conferma, mostrandone le implicazioni ultime. Pietro si sa
rebbe quindi rattristato al pensiero che Gesù dubitasse della sua pretesa di amarlo
al massimo della sua capacità di amare. Riprendiamo il testo in questa prospettiva,
mettendo in luce il movimento che lo anima:
1. - Simone di Giovanni, mi ami più di questi?
- Sì, Signore, tu sai che ti voglio-bene
(risposta affermativa: sì, ti amo più di questi. Si tratta, in senso forte, di un «rilancio».
Non solo ti amo, ma ben di più, oso affermare che ti voglio-bene!).
2. - Simone di Giovanni, mi ami?
- Sì, Signore, tu sai (che ti amo, e più ancora): ti voglio-bene.
3. - Simone di Giovanni, mi vuoi-bene?
(Misuri la portata delle tue affermazioni?).
- Signore, tu sai tutto: tu conosci che ti voglio-bene.
bilità (leadership) di Pietro sulla Chiesa secondo Mt 16,17-19» (Vorster, «The Growth», 2212). Per
quanto riguarda la critica dell’ipotesi secondo cui il tempo post-pasquale sarebbe il momento in cui è
stata elaborata la tradizione matteana, si veda G. C laudel, La confession de Pierre. Trajectoire d'une pé-
ricope évangélique (EBib), Paris 1988, 132 ecc.
Le occorrenze del verbo nel quarto Vangelo sono tredici, di cui cinque in Gv
21,15-17. Ne dobbiamo dunque verificare soltanto altre otto, il che facilita il nostro
lavoro. I dizionari specializzati non ci aiutano molto a precisare il senso di philein
nell’ottica evocata sopra. Rileviamone sistematicamente le occorrenze, prestando
attenzione soprattutto ai soggetti e ai complementi del verbo, così come al perso
naggio che sta parlando.
7 Ciò che fonda il primato di Pietro e l’autorità di Paolo nella Chiesa di Roma è il fatto che en
The Trial
trambi Version
hanno versato il proprio sangue per il loro Signore, e quindi per la loro fede (cf. G iovanni P aolo
li, Ut unum sint. Lettera enciclica del 25 maggio 1995, in EV14/2667-2884, specialmente ai nn. 90.92 [EV
14/2856-2857; 2860-2861]).
8 In particolare con l’eucaristia, chiamata in causa dal pasto che precede, in quanto Pietro è rive
stito di quella che il Vaticano II chiama la pienezza del sacerdozio ministeriale, collegialmente condiviso
con i vescovi.
- 11,3: le sorelle:
«Signore, (colui) al-quale vuoi-bene è-malato!»
(Gesù: soggetto; Lazzaro: oggetto).
- 11,36: i giudei:
«Vedete come gli voleva-benel»
(Gesù: soggetto; Lazzaro: oggetto).
- 12,25: Gesù:
«Chi vuol bene alla sua anima, la perde».
- 15,19: Gesù:
«Il mondo vorrebbe-bene alla propria cosa».
- 16,27: Gesù:
«Poiché egli-stesso, il Padre, vi vuol-bene
(il Padre: soggetto; i discepoli: oggetto),
perché voi mi avete voluto-bene»
(i discepoli: soggetto; Gesù: oggetto).
- 20,2: l’evangelista:
«L’altro discepolo a cui Gesù voleva-bene»
(Gesù: soggetto; l’altro discepolo: oggetto).
Per due volte, in 12,25 e in 15,19, il verbo viene usato in senso nettamente peg
giorativo. In questi due soli casi, soggetto e oggetto coincidono, nella misura in cui
all’oggetto viene attribuito il pronom e possessivo della stessa persona del soggetto;
utilizzato in questo modo, il verbo assume un senso quasi riflessivo. Quando lo si
nutre per se stessi, questo amore è deleterio. Ma ciò non fa che sottolineare la forza
del verbo: corruptio optimi pessima'. Nel caso di 15,19, C. Spicq afferma:
«Philein esprime l’attaccamento egoistico (philautia), la passione nel senso più gene
rale del termine, caratterizzata per sua natura dal fatto di non poter amare c he ciò che
le assomiglia o le appartiene».
è interess ante ai fini del nostro discorso. C. Spicq forza i dati, per conciliarli con il
suo modo di interpretare la differenza fra i due verbi, quando scrive (a proposito
del testo di 5,20 citato più sopra):
«L’amore di Dio, qui, è un amore di intimità; esso esprime la fiducia e le confidenze
del Padre nei confronti del Figlio incarnato, che il Padre tratta come un amico. Gli dice
tutto ciò che fa. È esattamente lo stesso significato del termine philos in 15,13-15 (...):
non un amore religioso e ponderato da superiore a inferiore, ma uno spontaneo ab
bandono fra due esseri uniti da un affetto reciproco che li mette allo stesso livello; phi
lein esprime perfettamente questa sfumatura di significato. (Nota 2: Mentre agapan si
usa soprattutto per un amore che discende da Dio al Cristo e agli uomini, o che sale da
costoro a Dio, philein colloca chi ama e chi è amato su un piano di uguaglianza, livel
lando le sproporzioni. Tutta la pericope [5,19-23] insiste su questa uguaglianza di giudi
zio e di azione fra il Cristo e il Padre suo). [Questa sfumatura è] ben sottolineata dall’e
satta simmetria, da un lato, di blepei-deiknysin: il mostrare del Padre corrisponde al
guardare del Figlio, e dall’altro di ouden-panta: Gesù non fa nulla che non abbia visto
fare al Padre, e il Padre manifesta assolutamente tutto al Figlio. Non si può immagi
nare uno sc ambio più completo, un’ intimità più assoluta, frutto di una costant e unione
di pensiero e di cuore (philei al presente)».11
10 È ciò che ha fatto supporre che quel discepolo potesse essere Lazzaro. Si veda Colson, L’é-
«Forse non ci sono distinzioni da fare tra boskein e poimainein, dal momento che en
trambi i verbi - utilizzati indifferentemente dalla versione dei Settanta per tradurre l’e
braico ra'ah - significano “ far pascol are, condurre al pascol o”; tutta via il primo signi
13 Alla luce di Gv 16,27, non ci sembra possibile ricondurre la differenza tra agapan e philein,
come fanno alcuni, al fatto che il primo includerebbe la morte e il secondo no. Senza dubbio «nessuno ha
un amore (agape) più grande di questo: che uno ponga la sua anima per i suoi amici (philoi)» (Gv 15,13).
Ma il seguito del testo (15,14-15) mostra chiaramente che gli amici non rimangono indietro in fatto di
agape. C iò rende più inci siva la nostra interpr etazione, che propone per l’appunto di consi derare il rap
The Trial
porto Version
di philia, di affetto, come la traduzione concreta, interpersonale, dell’agape. A nostro avviso, sia
l’una sia l’altra implicano «l’amore anche a costo della vita»: l’amore per la vita e per la morte.
14 «L'amore basta a se stesso: quando sopraggiunge, attira a sé e assorbe tutte le altre passioni.
Ama perché ama, e non sa nulla di più» (Bernard, Sermons sur le Cantique des Cantiques, 83,3, in Oeu-
vres mystiques, Paris 1953, 848 [cf. Sermoni sul Cantico, 11,392]).
15 II lettore ignaziano stabilirà un collegamento con la Contemplazione per ottenere l’amore.
Come nel caso della coppia precedente, il primo termine è meno frequente
del s econdo. Bi sogna tuttavia aggiungere le occorrenze di arnos, che pure significa
«agnellino».24
La distinzione fra i due termini è chiara, soprattutto alla luce di Sai
114(113A),4:
C. Spicq osserva:
«Nel Nuovo Testamento, Giovanni è l’unico a utilizzare (29 volte nell’Apocalisse, una
sola volta nel Vangelo) il termine arnion, lett. “giovane agnello”».25 26
Questa tradizione tuttavia ha colto bene la presenza di una sfumat ura di signi
ficato; è opportuno rispettarla, pur elaborando un’interpretazione più corretta. La
sequenza è rivelatrice:
- Nutrì i miei agnelli;
- Sii-pastore delle mie pecore;
- Nutrì le mie pecore.
Questo racconto implica una strutturazione già molto netta della comunità.
Rende omaggio al primato istituzionale e spirituale conferito a Pietro perché pre
sieda all’unità e alla carità, un primato oggi unanimemente riconosciuto dall’esegesi
neotestamentaria interconfessionale. 39 E più ancora conclude, con quella che in lin
guaggio musicale si chiamerebbe una «corona», tre linee melodiche del racconto
evangelico. La più lontana riguarda i discepoli (1,35-51). La seconda, molto vicina,
concerne i segni che hanno avuto inizio a Cana di Galilea (2,11). La terza sottolinea
la glorificazione da 7,39 a 17,1.4.5.10, passando per l’ora della glorificazione in
12,23.28 e per l’«adesso» in cui il Figlio dell’uomo è glorificato, nella notte in cui si
immerge Giuda (13,31-32).
L’identificazione tra il discepolo e il Maestro può essere completa. La stessa
glorificazione li riguarda entrambi. La rivelazione della gloria si spinge fin qui. L’u
nità del Signore e dei suoi arriva fino a questo punto. I «segni» mirano a «signifi
care» (cf. 21,19) questa realtà. La glorificazione del cristiano è spiegata dal fatto che
il Cristo è veramente vincitore del peccato e della morte. La «sequela del Cristo» è
possibile oggi nella chiesa per la stessa ragione. Gesù, il Cristo, è vivo! È questo il
principio per eccellenza dell’attualizzazione del vangelo nella comunità dei credenti
e nel mondo.
cognitiva fatta in collaborazione da studiosi protestanti e cattolici (Bibbia e rinnovamento), Roma 1988.
A proposito dell’argomento in questione, si veda soprattutto il c. Vili: «Pietro nel vangelo di Giovanni»,
151-171. Buona la nota b) della TOB a Gv 21,15. Le difficoltà ecumeniche sono legate all’esercizi o del
l’autorità e al modo di intenderla.
Al termine della lettura dei cc. 18-21 del Vangelo di Giovanni, bisogna ritor
nare sulla conclusione del c . 20. È un buon modo per a rrivare a comprendere l'ul
tima sequenza di Gv 21: i versetti enigmatici ma decisivi sul discepolo che Gesù
amava, il rapporto fra la sua vocazione e quella di Pietro, e infine, con revocazione
della morte dello stesso disce polo, gli sviluppi di ciò che fece Gesù, impossibili da
mettere per iscritto. Questa scena finale è ricollegata a quella del pasto che apre
l’insieme dedicato dal quarto Vangelo alla passione-risurrezione.
Questa indicazione determina anche le ul time tappe del nostro itinerario. Una
prima panoramica riguarderà il testo di G v 18-21. Una s econda panoramica fornir à
una sintesi di Gv 13-21. Cogliendo la composizione d’insieme del Vangelo, è possi
bile penetrare meglio nel mistero del Cristo e della Chiesa.
L’avevamo già segnalato nel prim o capitolo di questo nostro lavoro: il termine
«segno», caro a Giovanni, ritorna con forza nel contesto della risurrezione. È dun
que difficile riservare il titolo di «libro dei segni» a Gv 1,19-12,50, come fa C.H.
Dodd, presentando i cc. 13-21 come il «libro della gloria». I segni si spingono fino al
c. 20, cioè nel contesto della gloria.4 Questa gloria illumina i segni per ché si manife
sta nella storia e nel mondo. A tale proposito bisogna tuttavia fare un’osservazione
importante.
Ciò che avviene in Gv 20 non si concilia molto con l’idea di segno che si po
teva essersi fatti in precedenza.5 Il termine scompare nel racconto della passione-
risurrezione e riappare soltanto in Gv 20,30. Tutto ciò che si svolge dal c. 13 al c. 20
offre la chiave per comprendere i «segni» precedenti. Gli eventi della passione,
della morte e della risurrezione costituiscono la realtà che dà a quei segni il loro si
gnificato. Questo è uno dei motivi che inducono a mantenere uniti i capitoli dedi
cati alla passione e quelli dedicati alla risurrezione. Nel racconto della passione e
della morte, già affiora la risurrezione. E viceversa, nei racconti della risurrezione si
intravedono ancora la passione e la morte. Il «segno» giovanneo è dunque la testi
monianza, in Gesù (Gv 13-20) e in altri al di fuor i di lui (Gv 1,19-12,50), de l m i
stero pasquale della vita attraverso la morte e della morte da cui scaturisce il dono
della vita. La parabola del chicco di grano dice esattamente questo:
«Se-eventualmente il chicco di grano caduto nella terra non muore, esso rimane solo;
ora se-eventualmente muore, porta molto frutto» (Gv 12,24).
4 G. Van Belle ci aiuta a individuare i possibili significati dei «segni» in 20,30-31:1. Senso «esclu
sivo», con principale riferimento alle apparizioni del c. 20; 2. Senso che «include» i miracoli e le appari
zioni del Risorto; 3. Senso di «segni miracolosi con cui Gesù ha di mostrato di essere il Messia, il Fi glio di
Dio» (20,31; cf. 12,37), ma allargato ai contenuti delFintero Vangelo (The Signs Source, 398-404). Que
sto autore si pronuncia a favore di quel senso che ac credita il termine come chiave di lettura dell’insieme
del Vangelo, senza che tuttavia possa indicare la conclusione di una ‘fonte dei segni'. Il presente com
mento spiega il modo in cui noi intendiamo l’espressione.
5 Riprendiamone le menzioni principali. Le nozze di Cana segnano «il principio dei segni» (2,11).
The Trial Version
A proposito degli epis odi di Cana e del tem pio si dice: «Mol ti credettero nel suo nome, contemplando i
segni che faceva» (2,23). La guarigione, a Cana, del figlio di un centurione è il «secondo segno» (4,54). «I
segni che faceva sui malati» (6,2) rimandano alla guarigione dell’infermo a Bethesda. «Il segno che
aveva fatto» (6,14) è quello dei pani. Di fronte alla guarigione del cieco nato, alcuni farisei dicono:
«Come può un uomo peccatore fare tali segni?» (9,16). In seguito al ritorno in vita di Lazzaro, i sommi
sacerdoti e i farisei dicono: «Quest’uomo fa molti segni» (11,47).
6 «Gesù ha scritto solo sulla sabbia e ha stampato la sua parola solo neH’aria; il suo insegnamento
vivente arriva agli spiriti mutevoli e indecisi che lo ascoltano» (M. Blondel, Storia e dogma. Le lacune fi
losofiche dell’esegesi moderna [GdT 214], Brescia 1992, 119; cf. anche 75-76).
7 «L’apocalisse è il genere più atto a sconcertare la scuola socioletteraria. Se ogni genere deve na
scere da una funzione sociale particolare (Sitz im Leben) presa come cornice della sua enunciazione
orale o istituita, l’apocalisse sfugge a questa legge, in quanto è un genere inseparabile dal libro e, anzi,
The
nonTrial
ha unVersion
luogo stabile fuori di esso. Il libro si sostituisce alla funzione sociale. Questo mezzo di comuni
cazione si adatta a una società la quale, per il fatto che perde il suo avvenire, vede i suoi diversi ruoli di
ventare confusi. Lo scritto attraversa allora molti muri, è voluto per la sua facilità di circolazione e per il
sostituto che procura ai silenzi della parola, soffocata a viva forza o spentasi spontaneamente. Il libro è
un prodotto del silenzio» (Beauchamp, L'uno e l'altro Testamento. Saggio di lettura, c. V: «L’Apocalit
tica», 232).
Questo atto del credere, già nell’Antico Testamento e a maggior ragione nel
Nuovo, è ben lontano dall’essere una pura «forma». L’atto e il contenuto vengono
subito congiunti.
8 Si veda il prologo del Siracide (specialmente 33); Tb 12,20; Gb 19,23; e l’epilogo del Qoèlet
The
(QoTrial Version
12,12). Il rapporto tra genere sapienziale e apocalittica è già accuratamente articolato nell’Antico
Testamento. Daniele, il veggente, è un sapiente (Dn 5,14).
’ Dt 17,18; 24,1.3; 28,58.61; 29,20.21.26; 30,10; 31,9.24.26.
10 Gs 1,8; 8,31.34; 10,13; 18,9; 23,6; 24,26.
" Ne 7,5; 8,1.3.5.8.18; 9,3.
12 Cf. anche Es 17,14.
In tal modo tutto risulta incentrato nel nome di Gesù: tutto il «credere» e tutta
la vita dei discepoli uniti a Gesù. Essi hanno il compito di confessarlo come Cristo e
Figlio di Dio, mentre egli non ha mai designato se stesso se non come Figlio
dell’uomo. La prima conclusione ci lascia su questo punto culminante.
Dopo ciò che il dialogo precedente fra Gesù e Pietro ci ha fatto sapere a pro
posito della chiamata di quest’ultimo al martirio, la conclusione del c. 21 si sofferma
sulla vocazione del discepolo che Gesù amava (vv. 20-23). Questa seconda conclu
sione si ricollega alla prima. Gv 20,30-31 stabiliva soprattutto un rapporto fra i segni
di Gesù e lo scritto. Gv 21,24-25, un testo ancora più ecclesiale, insiste sul rapporto
fra ciò che Gesù ha fatto e la testimonianza a tale proposito. Ma prima di arrivare
qui, è importante comprendere la portata dei versetti consacrati al discepolo che
Gesù amava.
13 «I manoscritti sono incerti fra il congiuntivo aoristo pisteusète, “perché arriviate a credere”, e il
presente pisteuète, “perché continuiate a credere”» (E. Delebecque, «La mission de Pierre et celle de
Jean: note philologique sur Jean 21», in Bib 67[1986], 335). GNT3 opta per l’aoristo (coefficiente alfabe
The
ticoTrial
C) conVersion
il sigma tra parentesi per sottolineare il carattere problematico della scelta. Dopo un’analisi
di critica testuale molto minuziosa, G.D. F ee, «On thè Text and Meaning of John 20,30-31», in The Four
Gospels 1992,111,2198, propone di adottare più decisamente il coefficiente B. Il significato che ne scatu
risce, è che il Vangelo è stato prodotto all interno e a causa di una comunità di credenti (p. 2205). Per
quanto ci riguarda, concordiamo con questo studio e con le sue conclusioni.
14 Fase. BJ 1973, a proposito di 20,31.
Gv 21,20 richiama il racconto dell’ultima cena (Gv 13,21-25), il che rende pos
sibile un collegamento con il prologo.
Anche l’esegesi di Origene merita di essere ricordata:
«Se Giovanni era sdraiato nel seno di Gesù anche in senso simbolico (era degno di un
simile segno di onore perché era stato giudicato degno di un amore speciale da parte
del Maestro), penso che questo simbolo significhi che Giovanni, sdraiato accanto al
Logos e riposando nelle cose più segrete, era sdraiato nel seno del Logos come il Lo
gos stesso è nel seno del Padre, in base a ciò che sta scritto: “Nessuno ha mai visto Dio;
il Figlio unigenito che è rivolto verso il seno del Padre, lui l’ha fatto conoscere”».16
17 Cf. A. Vaccari, «Un preteso scritto perduto di Papias», in Bib 20(1939), 413-414.
The Trial Diverso
Versionda kolpos—«seno» (Gv 1,18; 13,23: uniche occorrenze nel corpus giovanneo).
18
19 «Qui vixit cum Epistèthio» (colui che visse con colui che si era adagiato sul petto del Signore) è
diventato: «Qui dixit in Epistèthio» (colui che disse in colui che si era adagiato sul petto del Signore). Ri
ferimenti patristici a questo uso del titolo dato a Giovanni sono segnalati in: Westcott, The Gospel ac
cordine toJohn, London 1881,194; Lampe, Lexicon, s.v.; de la Potterie, «Le témoin qui demeure», 352.
70 Delebecque, «La mission de Pierre», 340.
La ricerca storico-critica sull’autenticità dei testi e sul loro autore non deve f ar
perdere di vista un altro insegnamento di questi versetti. L’amicizia di Gesù non
aveva risparmiato a Lazzaro né la malattia, né una certa esperienza di morte (cf.
11,4). In modo analogo, «rimanere finché Gesù venga» (cf. Ap 22,20), rimanere
fino al ritorno del Signore non significa essere risparmiati dalla morte. Abbiamo
qui un altro insegnamento, un’ultima informazione sul Risort o che è colui che fa ri
sorgere. Egli non elimina la prova della morte, perché a sua volta è passato attra
verso la morte. Ma la illumina e la trasfigura pacificandola, perché si tratta di una
morte in lui e con lui. Bisogna poter dissociare il «rimanere finché Gesù venga», il
«rimanere», dal «morire». C’è compatibilità e non contraddizione fra le due cose,
che si illuminano a vicenda. L’insegnamento è di nuovo di tipo etico. Riguarda il
comportamento e chiama in causa ogni discepolo che segue Gesù. Il verbo che
aveva punteggiato le prime descrizioni di Gesù risorto ritorna ora a due riprese, con
lo stesso significato, per indicare la «venuta» di Gesù alla fine dei tempi. Questa
non viene evocata che velatamente: «Finché io venga!». Il Risorto «viene» inces
santemente fino all’ora del suo ritorno.
2. Composizione e significato
21 E. D elebecoue: «Est-ce ton affaire?» (Sono forse fatti tuoi?); TOB: «Que t’importe?» (Che te
n’importa?). Non si può non pensare all’episodio di Cana: Gv 2,4. L’ultima domanda (Gv 21,23) è messa
The Trial Version
fra parentesi dal GNT3, come oggetto di discussione a livello di critica testuale.
22 Delebecoue, «La mission de Pierre». 340-341. Secondo M.-E. B oismard, Le martyre de Jean
l’Apòtre (Cahiers de la Revue Biblique 35), Paris 1996, l’apostolo Giovanni è morto con Giacomo nel
43-44; Giovanni il Presbitero, che è morto in età avanzata a Efeso e che si colloca all’origine della tradi
zione giovannea, deve essere distinto dall’apostolo, che non può essere l’autore del quarto Vangelo.
3 De la Potterie, «Le témoin qui demeure», 349.
Questi versetti sono a loro volta paralleli alla prima conclusione contenuta in
Gv 20,30-31, con cui danno luogo anche a un chiasmo. A tale proposito, l’argomen-
fazione di I. de la Potterie risulta di nuovo illuminante.24
A (20,30) Da un lato, dunque, anche
non scritto molti altri segni
fece Gesù di fronte ai discepoli,
CHE NON SONO SCRITTI in questo LIBRO.
(20,31) Ora questi SONO STATI SCRITTI
B affinché crediate
scritto che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio,
e affinché, credendo, abbiate vita nel suo nome.
(21,24) Costui è il discepolo che testimonia
B' a proposito di queste-cose
scritto e che HA SCRITTO queste-cose,
e sappiamo che la sua testimonianza è vera.
A’ (21,25) Ora ci sono molte altre cose
non scritto che Gesù fece.
le quali, se-eventualmente SONO SCRITTE una per una, nep
pure il mondo stesso, penso, conterrà i LIBRI, QUELLI CHE-
STANNO-PER-ESSERE-SCRITTI.
Il verbo chórèsein, in 21,25, potrebbe essere tradotto con «comprendere», il
che presenterebbe il vantaggio di rendere l’anfibologia presente anche nel greco:
«capire» e «contenere».25 Si tratta di esprimere la quantità numerica delle «cose»
fatte da Gesù e di evocare la loro registrazione per iscritto. In primo piano figura la
sovrabbondanza del dono: è una costante del quarto Vangelo, in particolare dopo
«il principio dei segni» a Cana. In questa prospettiva, le due conclusioni si poten
ziano e si completano a vicenda.
24 Ivi, 347.
25 Ivi, 357.
I. Problematica
Certe abitudini che si sono prese nel fare l’esegesi dei capitoli del quarto Van
gelo dedicati alla passione, alla morte e alla risurrezione di Gesù condizionano ora
lo sguardo, la coscienza e la preghiera stessa. Bisogna essere vigili. La consapevo
lezza di questi riflessi acquisiti permette di non lasciarsi condizionare da essi. La ri
lettura che ora presenteremo ritorna sulla suddivisione da noi proposta per giustifi
carla ulteriormente. Da tale suddivisione dipende l’interpretazione.
La separazione dei cc. 18-19 dal c. 20 viene effettuata in base a criteri letterari
spiegabili ma contestabili. Alimentano infatti uno iato fra una «teologia della
croce» e una «teologia della gloria», qualunque sia la sua ispirazione. La concentra
zione quasi esclusiva sulla croce si contrappone così a un’eccessiva valorizzazione
della risurrezione. Un eccesso provoca l’altro, ma nessuno dei due è preferibile
all’altro. Ciò che è significativo è il rapporto fra croce e gloria. Il Vangelo di Gio
vanni lo mette in luce meglio di qualsiasi altro scritto del Nuovo Testamento. Si
tratta di un equilibrio da ritrovare. È in gioco la qualità dell’evangelizzazione.
La monografia di F. Blanquart su Gv 20 1 segna una tappa nella ricongiunzione
di questi capitoli, così come nell’accertamento dei rapporti di Gv 20 con l’insieme
dei capitoli che lo precedono. Un presupposto ostacola tuttavia questo lavoro. Gv
21 sarebbe da considerare come un capitolo a parte, tenuto conto dei sospetti di
inautenticità che pesano sulla sua redazione. Gv 20 costituirebbe in questo caso la
conclusione del Vangelo1 2 e del dramma della passione. Gv 21 farebbe da epilogo.
Come secondo elemento di un’ampia inclusione, rimanderebbe al prologo, da un
estremo all’altro del quarto Vangelo. Questo non viene detto nello studio citato so
pra, ma si tratta di una conseguenza implicita, in cui trovano conferma parecchie
proposte di strutturazione dell’insieme del testo.3
È opportuno tuttavia includere Gv 21 nei capitoli sulla passione, la morte e la
risurrezione del Cristo secondo Giovanni. La giustificazione di questa proposta
emerge soltanto dalla visualizzazione dell’insieme del Vangelo, presentata all’inizio
di ciascuna delle due parti in cui si suddivide il nostro commento. I n questa prospet
5 La vita si manifesta nel luogo della morte: Tiberìade è costruita su un antico cimitero giudaico!
6 Légasse («Jésus roi», 147) la fa risalire a R.H. S trachan, The Fourth Gospel. Its Significance
and Environment, London 31946, 310-318. S. Légasse indica anche gli esegeti che recentemente hanno
preso le distanze nei suoi confronti.
7 C. Reynier, L’Évangile selon Saint Jean (Médiasèvres), Paris 1991,27. De la Potterie, La Pas
sione di Gesù, 70, propone lo schema più classico:
a. (fuori) Pilato e i giudei,
primo colloquio (18,28-32);
b. (all’interno) Pilato e Gesù,
la regalità di Gesù (18,33-38);
c. (fuori) Pilato e i giudei,
Barabba (18,38-40);
d. (?) L’INCORONAZIONE (19,1-3),
c’. (fuori) Pilato e i giudei,
«Ecce homo» (19,4-7);
b’. (all’interno) Pilato e Gesù,
il potere di Pilato (19,8-12);
a’, (fuori) Pilato e i giudei,
«Ecco il vostro re» (19,13-16).
C.M. Martini, Il vangelo secondo Giovanni nell'esperienza degli esercizi spirituali (Letture bibli
The Trial Version
che), B oria, Roma 1980,143, mette in luce la distribuzione chi astica delle sette scene attr ibuendo a cia
scuna un coefficiente numerico, il che dà luogo allo schema seguente:
1-7
2-6
3-5
4
L’esame di questi versetti permette di rilevare ciò che emerge soltanto alla
luce di tutto Gv 18-21: la morte di Gesù, il modo in cui Gesù muore, sono fonte di
vita. Gesù muore, ma dal modo i n cui muore scaturis ce la vita.8 Egli genera i cre
denti alla sua vita con le ultime parole che rivolge alla madre e al discepolo, con la
«consegna dello Spirito» e grazie a ciò che «esce» dal suo costato: sangue e acqua.
Il «giardino», menzionato per due volte e poi citato di nuovo in 19,41, non chiude
su se stessi i cc. 18-19,9 ma per lo meno li apre a ciò che verrà detto del «giardi
niere» in 20,15.
Derivano di qui due dati fondamentali per l’interpretazione del ruolo strate
gico di questa sequenza. Il primo consiste nella sottolineatura del rapporto con
l’Antico Testamento; il secondo riguarda la portata sociale della morte dell’Unico.
1. La Scrittura
8 Gesù risuscita nel modo in cui muore. Questa è la nostra interpretazione. La formulazione è
troppo ostica? Se la morte coincide con il giudizio definitivo, se questo giudizio del Padre sul Figlio non
è un giudizio di salvezza, poiché nel Figlio non c’è nessuna traccia di pe ccato e nessuna connivenza con il
male, se il Padre e il Figlio sono una cosa sola, come potrebbe il Figlio non essere in se stesso i l Vivente
nell’atto stesso in cui muore così come muore? In rapporto a noi e per ricondurre alla Vita tutti coloro
che giacciono nella morte, ha bisogno di tempo. Rispetta infatti la nostra condizione di uomini e di pec
catori. Ma lui risuscita nella sua morte! Se il quarto Vangelo invita alla prudenza nella presentazione del
«segno» di Lazzaro perché non ci si inganni sulla sua esatta portata, allo stesso modo, nel racconto della
morte di Gesù, moltiplica gli indizi a favore di una morte che dà vita, di una morte che è vita. Se la so
brietà era estrema quando si trattava di parlare dei dolori del Cristo (nella sua gloria umiliata non c’è
The Trial
traccia di Version
dolorismo), lo stesso pudore risulta opportuno quando la contemplazione si sofferma sul Cro
cifisso. La teologia del venerdì santo e del sabato santo si sviluppa nel discorso dell’ultima cena soprat
tutto dal punto di vista delle sue implicazioni per la vita di fede, personale ed ecclesiale. Anche qui, il
quarto Vangelo richiama a quel rigore che è di norma quando si parla di Dio e ci si accosta al mistero: sa
pere ad sobrietatem\
9 Svolge un ruolo di parola-aggancio più che di elemento di un’inclusione.
2. Sviluppo ecclesiologico
Anche qui vengono proposte suddivisioni diverse. Una delle ultime in ordine
di tempo, quella di F. Blanquart,14 distingue due parti e quattro scene, ciascuna
delle quali comprende a sua volta un preludio e la scena propriamente detta.
Prima parte: La rimozione dell’ignoranza (20,1-18)
I. La scoperta dei segni del corpo morto (20,1-10)
- Il preludio (vv. 1-3): Fuori dal sepolcro;
- La scena (vv. 4-10): All’interno del sepolcro.
IL La rivelazione dei segni del corpo vivo (20,1-18)
- Il preludio (vv. 11-13): Dialogo fra i due angeli e Maria;
- La scena (vv. 14-18): Dialogo fra Gesù e Maria.
Seconda parte: La conoscenza del Risorto (20,19-29)
I. La manifestazione dei segni del corpo vivo (20,19-23)
- [Il preludio] (vv. 19-20): Gesù si mostrò ai discepoli;
- [La scena]15 (vv. 21-23): Gesù alitò lo Spirito Santo sui discepoli.
II. La fede nella testimonianza relativa ai segni del corpo vivo (20,24-29)
- Il preludio (vv. 24-25): Tommaso non era con loro;
- La scena (vv. 26-29): Tommaso era con loro.
- Il motivo della testimonianza relativa ai segni compiuti da Gesù: il consegui
mento della vita eterna (20,30-31).
Questi due ultimi versetti forniscono una conclusione al capitolo e a tutto il
Vangelo.
Lo stesso Blanquart lo riconosce: un certo numero di indizi, sul piano del vo
cabolario e di un’ipotetica ricostruzione del processo redazionale,16 militano a fa
vore di una relativa unità dei w. 1-18. Il personaggio onnipresente di Maria di Màg-
a) colui che trafissero». Neppure in questo caso Gesù cerca di sua iniziativa di attirare gli s guardi. Gli oc
chi si fissano sulla croce dove è stato innalzato il Figlio perché quest’ultimo è stato consegnato nelle
mani dei peccatori e, attraverso di loro, dell’autore del peccato. Questa oggettività della croce si com
bina con la testimonianza di colui che ha visto e con la fede che egli desidera suscitare (19,35). Questa te
stimonianza è già il frutto della fede del testimone. Come nuovo effetto della sua fede, egli mette per
The Trial
iscritto la Version
sua relazione, fondandosi sulla Scrittura.
20 II contesto apocalittico di questa scena è messo in luce dalla Vita greca di Adamo ed Èva, § 42
(D.A. Bertrand (ed.), La vie grecque d’Adam et Ève. Introduction, texte, traduction et notes (Recher-
ches intertestamentaires 11), Paris 1987, 105 [Apocrifi dell’Antico Testamento, 11,444-445, nota 42]) (la
sottolineatura è nostra): «Quanto ad Èva, trascorsi sei giorni, morì anche lei. Mentr’era ancora in vita,
aveva pi anto amarament e per il trapasso di Adamo; ché non sapeva dov’era stato deposto» (il testo può
essere fatto risalire a un periodo compreso fra il 180 a.C. - Siracide e libro dei Giubilei - e il 50 d.C. - in
flusso sul corpus paolino; cf. Bertrand, La vie grecque, 29-30). La disposizione affettiva di Maria di
Màgdala è sottolineata con insistenza, per tre volte, dal testo di Giovanni (w. 2.13.15).
21 Blanquart, Le premier jour, 43, evoca questo testo soprattutto per la menzione della Scritt ura
in 2,22, analoga a quella di 20,9: anche questo collegamento ha senso, tanto più che l’autore, a differenza
di molti altri commentatori , opta per una comprensione globale della Scrittura in entrambi i passi, senza
riferimento a un testo preciso.
22 «Il Cantico è il corrispettivo, al termine della storia, della situazione originaria. Deve essere
letto letteralmente, ma come un testo escatologico: allo sbocco finale di una storia di peccato e di grazia,
questo libro descrive - nel linguaggio dell’uomo - il punto d’arrivo in cui l’amore sfigurato acquista la
The Trial Version
perfezione, la semplicità e la trasparenza a cui er a inizialmente destinato» (P. Beauchamp, Lectures du
Cantique des Cantiques. De l’énigme du sens auxfigures du lecteur [AnBib 121], Roma 1989, 23). «La via
dell’albero della vita era stata vietata, ma il suo tracciato rimane. Adamo ed Èva, a forza di perdere que
sto albero lungo la via, l’avrebbero ritrovato - passando per dove?» (Beauchamp, Accomplir les Écritu-
24 Blanquart, Le premier jour, 124, richiama l’attenzione su questo hapax giovanneo, accompa
gnato da altri tre: «la traccia (typos) dei chiodi» (v. 25), «incredulo» (apistos) e «credente» (pistos) (v.
27). Tutti e quattro servono alla rivelazione del corpo del Risorto. «Chiedendo di scorgere le tracce della
passione nel corpo di Gesù, Tommaso continua a considerare quel corpo come mortale e lo assoggetta ai
propri criteri» (Blanquart, Le premier jour, 130). Il rapporto tra «fuori» (20,11) e «dentro» (20,26) è
messo in risalto nei rispettivi centri letterari di ciascuna sotto-unità, il che rafforza ulteriormente la por
tata emblematica dei personaggi e delle scene.
The Trial
25 Version
Blanquart, Le premier jour, 144.
26 Si veda in proposito M. C ollin - P. Lenhardt, Évangile et Tradition d’Israel (CahÉv 73), Paris
1990.
27 A questo proposito, è difficile essere d’accordo con M.-E. Boismard quando esprime l’opi
nione che il titolo di «figlio di Dio» non avrebbe in Giovanni nessuna valenza trascendente («Approche
du mystère», 129).
28 II lettore potrà fare riferimento alla visualizzazione del testo per verificare la pertinenza di
queste osservazioni.
1. Gv 18,1-12 e 21,20-25
2. Gv 18,16-27 e 21,1-14
3. Gv 18,16-27 e 21,20-25
Un parallelismo si delinea anche fra queste ultime sotto-unità delle due grandi
unità letterarie che delimitano lo spazio testuale.
A. Pietro e il discepolo di cui in 18,16 non si fa il nome rimandano al nuovo rap
porto fra Pietro e «il discepolo che Gesù amava» in 21,20-25.
B. L’incomprensione della guardia che schiaffeggia Gesù si ritrova, in modo di
verso ma con analoga insistenza, nell’incomprensione dei «fratelli» (21,23).
4. Gv 18,1-12 e 21,1-14
Le sotto-unità centrali si rivelano a loro volta parallele. Anche qui non man
cano i legami verbali.
A. In 18,15, Simon Pietro e il discepolo «seguono» (verbo al singolare). In 21,9,
Pietro si sente dire da Gesù, per la prima volta esplicitamente: «Seguimi».
B. Il richiamo in 18,14 della motivazione principale della morte di Gesù: «Uno
(solo) per il popolo», trova un corrispettivo in 21,18-19 nella promessa fatta a
Pietro di «glorificare Dio».
6. Gv 18,13-15 e 19,28-30
7. Gv 21,15-19 e 19,28-30
Lo stesso va detto a proposito del rapporto fra il centro dell’ultima unità (Gv
21) e il medesimo centro letterario di tutto il racconto. La morte di Gesù rimanda
all’annuncio della morte di Pietro.
8. Gv 20,19-23 e 19,28-30
9. Gv 19,1-16a e 19,28-30
Il centro della seconda unità rimanda dunque a sua volta al centro focale del
racconto. L’insistenza sul potere dato dall’alto, nelle parole rivolte da Gesù a Pilato
(19,8-11); la concomitante insistenza sulla designazione del vero colpevole di tutto
questo male: «Colui che mi consegnò a te ha un peccato più grande»; il fatto che Pi
lato «lo cons egnò loro affinché sia crocifisso», si ritrovano condensati nel finale di
19,30: «Avendo chinato la testa, consegnò lo Spirito».
Il punto più notevole e più nuovo delle analisi, nello sviluppo della problema
tica è della tradizione esegetica su que sti capitoli, può es sere delineato nel modo se
guente. I versetti sulla morte del Cristo (19,23-42) fanno da raccordo fra il processo
e la risurrezione. È un dato evidente, imposto dall a fede e dal testo. Ed è ciò che me
rita di essere sottolineato: la morte del Cristo, secondo Giovanni, segna nello stesso
tempo
The TrialilVersion
punto d’a rrivo della sua vita e, con le modalità che la caratterizzano, il pas
saggio obbligato alla risurrezione. Gesù risorge morendo; consegna lo Spirito. Ma,
risorgendo, rimane il Crocifisso: mostra le mani e il costato! Non si potrebbe espri
mere meglio e con maggior concisione fino a che punto la morte è entrata nella vita,
ma nello stesso tempo che la vita rimane per sempre segnata dalla morte.
Il rapporto di Gesù con il discepolo che egli amava e il legame di questo disce
polo con Pietro (13,23-25; 21,21-23) rafforzano l’unità fra questi due poli. I capitoli
in questione sono scritti per illuminarsi a vicenda. Il senso ultimo della cena si svela
alla luce di ciò che il Risorto dice e fa in occasione di quel singolare pasto sulla riva
del lago di Tiberìade.
Gv 13 si chiarisce mantenendo la sua parte di enigma grazie alla Sapienza che
a parole e con i gesti si incarna in esso. La lavanda dei piedi, il dono del boccone a
Giuda, l’uscita di Giuda, la notte, la glorificazione del Figlio dell’uomo, il dono del
comandamento nuovo, i dialoghi che accompagnano questi gesti e che descrivono il
destino di Pietro legato al discepolo che Gesù amava sono altrettante componenti
dell’eucaristia secondo Giovanni, sono altrettanti effetti eucaristici di Gesù nell’esi
stenza dei discepoli. «Il Figlio glorificato» (Gv 13-17) c i presenta questa antropolo
gia teologica a partire dal racconto dell’ultima cena. L’enigma della vite in conflitto
con il mondo ne indica il carattere drammatico ne lle sue dimensioni sociali, storiche
e religiose. Il tradimento non ostacola il dono di Dio nel suo Cristo. Gesù rinnegato
lascia che Pietro vada fino al culmine della sua tenerezza (Gv 21). Le miserie, le de
bolezze peccaminose, le nostre incoscienze più o meno colpevoli delimitano il
campo in cui l’Amore si consegna per primo eis telos, «per un adempimento»; corpo
e beni, carne e Spirito. Questo c ampo de ll’Amore si offre come un’istanza perma
nente di conversione. Nessuno potrà mai più di sperare di nessuno, a cominciare da
se stesso. L’economia sacramentale nella Chiesa non potrebbe trovare un fonda
mento scritturistico più adeguato. Eucaristia, amore misericordioso e perdono si in
trecciano fino a costituire un’unica realtà.
L’alleanza, lungi dall’essere messa i n pericolo dalla rottura dell’alleanza, lungi
dall’essere distrutta dall’infedeltà dell’alleato, paradossalmente giunge a compi
mento in questa prova: «grazie» a essa . Una logica spirituale, di ispirazione scritturi-
stica, conduce da questa comprensi one dell’euc aristia a una struttura permanente di
riconciliazione nel sacramento della penitenza. Questa logica traduce in termini cri
stiani l’articolazione dei momenti dell’alleanza. Nella misura in cui si approfondisce
nella storia, l’alleanza fa leva su una preoccupazione di purificazione o su una richie
sta di perdono. I testi che descrivono il pasto come luogo o rito di ratifica nell’ambito
dell’alleanza assicurano questa costante della Torah, dei Profeti e dei Sapienti di
Israele. Al Sinai, in Es 24,11, il pasto conclude l’e vento, lungamente preparato dalla
docilità alla raccomandazione che il Signore aveva fatto a Mosè di «santificarsi oggi e
domani» (Es 19,10). Per quanto riguarda i Profeti, il pasto escatologico o apocalit
The
tico,Trial
in IsVersion
25,6-8, è accompagnato da un’esplicita promessa di misericordia:
«(Il Signore degli eserciti) eliminerà la morte per sempre; il Signore Dio asciugherà le
lacrime su ogni volto; la condizione disonorevole del suo popolo farà scomparire da
tutto il paese, poiché il Signore ha parlato» (Is 25,8).
I «nodi» del testo sint etizzano il messaggio. La duplice ripresa del comanda
mento nuovo dell’amore reciproco tra la vite e il mondo (15,12-17 al centro di 15,1-
16,3) è annunciata dal lungo periodo di Gv 13,1:
«Avendo amato i suoi propri, quelli (che sono) nel mondo, per un adempimento li
amò».
«Di nuovo vi vedrò, e gioirà il vostro cuore, e la vostra gioia, nessuno ve (la) porta-via»
(16,22),
e l’indicazione dell’evangelista:
La prima sequenza del discorso dell’ultima cena (Gv 14) e il processo davanti
a Pilato ( 18,28-19,22) possono rientrare in questo gioco di parallelismi? I l model lo
dell’alleanza, presente in Gv 14, non ha punti di contatto con il processo davanti
alle autorità pagane. Ma questa distorsione non è forse significativa? Il Vangelo
l’ha costantemente ricordato: il processo di Gesù si svolge nell’alleanza. La vittoria
di Gesù sul capo di questo mondo, affermata in 14,30, illumina il processo manipo
lato nelle sue molle segrete, sebbene visibili, dall’autore del peccato. Egli solo è ca
pace di seminare tanta incredulità e tanta malafede nel profondo delle intenzioni e
dei cuori.
Dalla cena nella notte della passione al pasto del mattino sulla riva del lago di
Tiberìade, le mediazioni testuali rispettano le implicazioni per Gesù e per ciascuno.
Dall’ultima cena al lago, l’eucaristia è vissuta come sacramento della Pasqua in
Gesù per essere celebrata da tutti. L’eucaristia quotidiana trova qui la sua fonda
tezza e la sua genuinità. Ciò che è al principio, colui c he è l’Origine raggiunge la sua
Fine nell’Amore pienamente realizzato. Quale inse gnamento per far vivere l ’amore
nella quotidianità!
The Trial Version
In 20,23 non verrà utilizzato lo stesso verbo per esprimere il potere che i disce
poli esercitano sul peccato grazie al Risorto. A tale proposito si parla di «lasciare»-
aphiémi i peccati. Viene ripreso tuttavia lo stesso campo semantico del perdono.
L’«agnello» ricorre nel quarto canto del Servo (Is 53,7), citato in Gv 12,38 (Is 53,1)
e proposto come rilettura del profeta chiamato dal Signore nel tempio (Is 6,10; Gv
12,40). Il greco della versione dei Settanta riunisce in Is 53,7 i due termini probaton-
«pecora» e am/tos-«agnello»:
«Era come agnello condotto al macello,
come pecora muta di fronte ai suoi tosatori».
2 Targum di Gen 22,8: «Sei tu l’agnello dell’olocausto», dice Abramo a suo figlio (L. Lf. D f.aut,
Targum du Pentateuque. 1: Genèse [SC 245], Paris 1978, 216).
3 Cf. ad es. Sai 34,22.
The Trial Version
4 Sap 2,10-20; 3,1-12.
5 Gv 19,14: l’ora dell’immolazione degli agnelli per la Pasqua; 19,36: le ossa non spezzate di Gesù.
6 Dodd, L'interpretatione, 291-292.
7 Cf. Gv 1,1 e, nel contesto di questa rilettura di Gv 1,19-12,50: «Isaia aveva visto la sua gloria e
aveva parlato di lui» (12,41).
7. Prima sintesi
La nostra analisi si è limitata fin qui a riprendere in chiave unitaria le due parti
del Vangelo. Ora è venuto il momento di abbracciare con il medesimo sguardo sin
tetico l’insieme del testo.
Ciò che abbiamo suggerito più sopra, indicando il delinearsi del «banchetto
delle nozze dell’agnello», è basato innanzitutto sui legami molto netti che si riscon
trano fra la prima e l’ultima sequenza. La prima testimonianza di Giovanni, i primi
discepoli e lo sposalizio a Cana (1,19-2,12) trovano infatti la loro conclusione nella
terza manifestazione sulla riva del lago di Tiberìade (dove rientrano in scena alcuni
dei primi discepoli), nel dialogo fra Gesù risorto e Pietro (dove si delineano la voca
The Trial Version
8 Cana!
9 La croce: cf. Ap 3,20.
Con la stessa evidenza, Gv 6 (il primo evento dei pani sulla riva del lago di Ti-
berìade, il discorso sul pane della vita e le sue conseguenze a livello di divisione
nelle file dei discepoli) risulta illuminato, ripreso e trasformato nel contesto della
pesca che avviene nel medesimo luogo dopo la risurrezione. Il ritorno di alcuni de
gli stessi discepoli,10 l’identico luogo, la preoccupazione di combinare eucaristia e ri
surrezione sono altrettanti elementi che, c onvalidando di nuovo la struttura letter a
ria proposta, permettono di precisare alcune linee fondamentali dell'antropologia,
della teologia e della spiritualità giovannea.
10 II fatto che Andrea e Filippo non siano più nominati in 21,2 incur iosisce e nello stesso tempo si
concilia con le trasformazioni intervenute nell’economia del racconto e delle relazioni.
Questo primo discorso appare quindi come un commento anticipato dei rac
conti pasquali. Queste osservazioni sono sufficienti a evocare legami che potreb
bero essere oggetto di analisi più approfondite.
Queste due sezioni sono in rapporto fra loro innanzitutto per il loro tenore
dominante. Alcuni discorsi si susseguono, più polemici da un lato, più pacificanti
dall’altro. Gli uni e gli altri anticipano gli eventi della fine. Il processo si svolge a pa
role a Gerusalemme prima di concludersi nel pretorio. L’alleanza si conclude nel
l’ultima cena. Verrà suggellata sulla croce e nel Risorto.
Per cominciare da ciò che è più evidente e terminare con i margini di incer
tezza, bisogna rilevare la forte insistenza sulla glorificazione nelle due sequenze
conclusive (12,23-28a.28b-29; 17,1-5.24-26). La conclusione della vita pubblica si in
centra sulla voce dal cielo e su ciò che essa dice in 12,28b:
«E glorificai e di nuovo glorificherò».
Le implicazioni ecclesiali del cieco nato che, dopo essere stato guarito, rende
testimonianza nel suo a mbiente giudaico, in un contesto di conflittualità con la sina
goga (9,1-10,39), sono sviluppate nel mashal sulla vite e sulla tensione che caratte
Tutto trova dunque anc ora una volta il suo posto. Le due sequenze iniziali, in
questo caso, si richiamano per via di somiglianze e differenze. In Gv 7 non è ancora
venuta «l’ora» di mettere le mani su Gesù (7,30): questa dimensione temporale è
già stata ricordata più sopra. In 13,1, «l’ora» è venuta. I fratelli, che non erano in
sintonia con il «momento» di Gesù, hanno lasciato il posto ai discepoli. Non si può
dire che questi presentino disposizioni migliori, a eccezione del discepolo che Gesù
amava, descritto per la prima volta fra il traditore, Giuda, e il rinnegato, Pietro. Il
raffronto dei due capitoli permette inoltre di valorizzare l’argomento del la Scrittura
(7,38; 13,18), l’opposizione radicale del demonio (7,20) e del diavolo-Satana
(13,2.27), l’i gnoranza degli abitanti di Gerusal emme (7,28-29) riguardo a colui che
ha inviato-mandato Gesù, e quella dei discepoli, primo fra tutti Pietro (13,7), ri
guardo all’esatta portata dei gesti di Gesù. Gv 13,20 delinea a sua volta, con accenti
tipicamente giovannei, il rapporto di chi riceve l’inviato di Gesù con Gesù stesso e
con il Padre che l’ha mandato.
Pertanto «il capo del mondo non ha nulla» in Gesù (14,30). In un caso, biso
gna denunciare una paternità di morte, mettendo in luce i suoi effetti perversi, per
aprire alla vita; nell’altro, il Padre e il Figlio concedono al credente di avere accesso
a opere sempre più grandi. In quest’ultimo contesto, così positivo, ritorna precisa-
mente colui del quale si pa rla nel c . 8: l’autore, il padre del peccato. Bisogna mo
strarne ormai l’inefficacia, poiché l’Amore è vittorioso. Da e ntrambe le parti, l’ar
gomento della Legge assume una grande ampiezza. Il processo è intentato in nome
della Legge. L’alleanza permette di portarla a compimento nell’amore per Gesù e
nella custodia dei suoi comandamenti.
Le Lettere di Giovanni svilupperanno le implicazioni parenetiche del Van
gelo. L'Apocalisse descriverà le prove che attendono la sposa se quest’ultima vive
secondo lo Spirito dello Sposo. Essa tuttavia non ha nulla da temere. Lo Sposo è il
Verbo dell’origine, che opera attraverso le vicissitudini del mondo e della storia. La
tradizione giovannea è tradizione della Scrittura e tradizione di una scrittura, speci
fica e riconoscibile per il suo stile come per il suo contenuto: la scrittura giovannea.
È opportuno sintetizzare anche questa acquisizione del nostro lavoro.
Questo testo possiede il suo stile. Non lo analizziamo qui a livello di sintagmi
ristretti: la ricerca in questo senso ha già manifestato la sua fecondità.11
La frase è inventariata secondo la sua sintassi. Gv 1,1-2 dà già il tono: sarà uno
stile ripetitivo e litanico.
«In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio,
e Dio era, il Verbo,
Costui era in principio
presso Dio».
11 1 lavori di M.-E. Boismard, F. Neirynck ed E. Ruckstuhl, per non ci tare che questi, rilevano con
accentuazioni diverse le caratteristiche dello stile giovanneo.
Chi legge assiduamente il quarto Vangelo assimila questo dato: la vita nel Cri
sto, la vita del Verbo nel credente, sensibilizza agli effetti del mistero in noi. Speri
mentando l’incarnazione e la morte-risurrezione del Verbo si arriva a percepirle e a
comprenderle, nei limiti del possibile, in se stesse. L’anticipazione del senso degli
avvenimenti, l’assimilazione del senso da parte del credente, decisive quanto l a sto
ria stessa, dipendono da un’acuta sensibilità per l’origine, che illumina costante-
mente la fine di tutto nell’umanità e nel mondo.
Già nel prologo, l’effetto dell’incarnazione sui credenti (1,11-13) prevale, nel
l’enunciazione, sull’incarnazione stessa (1,14). Questo modo di procedere non viene
mai meno. Il cieco guarito riprende le parole («Io, sono!»: Gv 9,9) del suo benefat
tore e salvatore; mette in una situazione nuova i suoi genitori e alcuni giudei di Geru
salemme, prima di professare la propria fede in Gesù e di adorarlo. I verbi della ri
surrezione (11,29-31) sono applicati più a Maria che a Lazzaro. Il ritorno in vita di
Lazzaro traccia innanzitutto un cammino di fede alla sorella di lui, che è la prima a
«risuscitare». La lavanda dei piedi è perdono generosamente dispensato ai discepoli
prima della disfatta della passione e della morte. Il boccone esprime la predilezione
riservata a Giuda prima che effettui il suo tradimento. La glorificazione del Figlio
dell’uomo ha luogo nella notte in cui si immerge il discepolo e nel corso dell’ultima
preghiera del Figlio, prima della morte e della risurrezione. Tutto è compiuto per il
The Trial la
Figlio, Version
madre e il discepolo amato da Gesù, prima ancora che Gesù esali l’ultimo
respiro. Lo Spirito è consegnato prima che il costato venga trafitto. Gesù si dimostra
risorto facendo «risorgere» Maria di Màgdala nel suo cammino di visione progres
siva nella fede (20,1-18). Pietro beneficia della manifestazione del suo Signore ri
sorto (21,1-14) prima di essere chiamato a seguirlo (21,15-19).
12 «Quello che di volta in volta è compreso è sempre maggiore di quello che è stato compreso
prima, e ciononostante non delimita per suo mezzo l’oggetto della ricerca, ma il limite di quello che è
stato trovato costituisce l’inizio della scoperta di realtà ancora più elevate per coloro che compiono la sa
lita. E colui che sale non si ferma mai, perché riprende da un inizio dopo l’altro e l'inizio delle realtà che
si fanno sempre più grandi non si conclude mai» (Gregorio di Nissa, In C anticum hom iliae, Vili; PG
44,941A-C
The [Omelie s ul Cantico, 201], a proposito di Ct 4,8; testo masoretico: mèro’sh ’amànàh', LXX:
Trial Version
ap’archéspisteòs', Volgata: de capite Amano', «dalle cime» o «dal c ulmine dell’Amana». Il testo è dunque
compreso a partire dal greco, nel senso di «principio della fede»; è applicato al «cuore puro che vede
Dio», cioè allo spirituale nella sua comprensione del mistero di Dio. Citato a proposito delVepectasis da
J. Daniélou, Platonisme et théologie mystique. Dottrine spirituelle de Saint Grégoire de Nysse (Théologie
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Triplice rivelazione Regno e Soldati Maria di M.- Sulla riva del lago
verità Scrittura Pietro-discepolo Pasto
Motivo della «L’uomo» Donna-discepolo amato Gesù-Pietro
morte-unità Potere Adempimento Discepoli e Pastore-pecore
Triplice rinnegamento «Il re» Morte-Spirito Gesù Gesù-Pietro-discepolo
crocifisso Soldati Tommaso amato
Scrittura la conclusione 2a conclusione
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duzione o equivalente edizione in lingua italiana. Nelle note a piè pagina, nel corso dell’opera,
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italiano della citazione è da attribuire al traduttore ed è mantenuto il riferimento all’edizione
citata nell’originale francese. Eventuali rilevanti differenze tra l’edizione italiana e l’edizione
citata nell’originale saranno segnalate da una Nota del Redattore.
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H.L. Strack e G. Stemberger, nelFVIII edizione sotto il nome del solo G.
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UNA TRADUZIONE
Prefazione » 11
Vangelo secondo Giovanni » 15
UNA INTERPRETAZIONE
parte Prima
VITA DI GESÙ
SECONDO GIOVANNI
1
SEZIONE
Chi è Gesù,
il figlio di Giuseppe? Gv 1-6
INTRODUZIONE 111
I. Argomento ........................................................................................... » 111
II. Progetto » 114
III. Obiettivo: l’interpretazione (ermeneutica) » 119
Punti di riferimento per la lettura del Vangelo secondo Giovanni .. » 122
Capitolo I - IL PROLOGO
Primo percorso » 125
I. Trial Version
The Il punto di partenza » 125
II. L’essere e il divenire » 128
III. Il primo passo su Giovanni » 130
IV. L’evento centrale » 131
V. Il secondo passo su Giovanni » 138
923
Capitolo II - IL PROLOGO
Organizzazione letteraria » 143
I. Il genere letterario » 143
IL La struttura letteraria » 145
III. Organizzazione del testo » 147
IV. Verso l’interpretazione » 158
924
Capitolo Vili - LA GENERAZIONE DALL’ALTO » 247
I. Collocazione dell’avvenimento nel contesto » 247
II. Inquadratura » 248
III. Prima parola di Gesù e reazione di Nicodemo (3,3-4) » 252
IV. Secondo intervento di Gesù e domanda di Nicodemo (3,5-9) » 252
V. Risposta di Gesù e suoi sviluppi (3,10-15) » 254
VI. Implicazioni cherigmatiche e parenetiche (3,16-21) » 256
VII. Alleanza » 258
925
Capitolo XVI - RILETTURA DI GV 1-6 » 345
I. Alcuni presupposti » 345
IL L’operazione preliminare: la suddivisione del testo » 347
III. Simbolismo sacramentale e tipologia » 348
2
SEZIONE
Chi è il Cristo che viene alla sua ora? Gv 7-12
926
Capitolo V - DALL’INTERROGATORIO DEL CIECO NATO
ALLA REQUISITORIA DEL BUON PASTORE » 429
I. Prima fase del processo fra luce e tenebre (9,1-23) » 429
II. Seconda fase: rovesciamento della situazione (9,24-10,6) » 432
III. Terza fase: legittimazione della posizione
assunta da Gesù (10,7-39) » 436
IV. Ricapitolazione e apertura » 442
Capitolo Vm - A GERUSALEMME:
GLORIFICAZIONE DEL FIGLIO DELL’UOMO » 489
I. Gli avvenimenti a Gerusalemme (12,12-22) » 489
II. Glorificazione e giudizio (12,23-36) » 493
Capitolo IX - LA CONCLUSIONE
DEL PROCESSO ANTICIPATO » 507
I. Abbondanza di segni e incredulità spiegata da Isaia (12,37-41) » 507
II. La reazione dei presenti: una fede non professata (12,42-43) » 515
III. Il grido di Gesù durante il processo a Gerusalemme (12,44-50) » 516
927
parte Seconda
MORTE DI GESÙ SECONDO GIOVANNI
1
SEZIONE
Il Figlio glorificato Gvl3-17
INTRODUZIONE » 545
Una struttura letteraria del Vangelo secondo Giovanni » 548
928
IV. La vite e il «rimanere» (15,1-11) ........................................ ............ » 611
V. Amore reciproco ed elezione (15,12-17) ............................ ............ » 612
VI. Odio del mondo e ignoranza (15,18-21) ............................ ............ » 615
VII. La rivelazione del peccato (15,22-25) ................................ ............ » 618
Vili. Lo Spirito della testimonianza (15,26-16,3) ...................... ............ » 619
IX. Apertura ............................................................................. ............ » 621
929
2
SEZIONE
Il Cristo consegnato Gv 18-21
930
Capitolo Vili - MARIA DI MÀGDALA, PIETRO E
IL DISCEPOLO CHE GESÙ AMAVA AL SEPOLCRO » 789
I. Concatenazione » 789
IL Prime precisazioni temporali » 790
III. Indicazioni spaziali » 793
IV. Maria e gli angeli (20,11-13) » 799
V. Presenza e parola di Gesù: l’annuncio a Maria (20,14-18) » 801
VI. Conclusione: l’alleanza » 802
931
Capitolo XIII - RILETTURA DI GV 18-21 » 861
I. Problematica » 861
II. Introduzione all’uscita di Gesù (18,1-27) » 864
III. I luoghi dell’uscita di Gesù (18,28-19,22) » 865
IV. L’adempimento (19,23-42) » 866
V. 1 giorni in cui Gesù «sta» e «viene». Prima conclusione (20,1-31) » 868
VI. La terza «manifestazione» di Gesù risuscitato dai morti.
Seconda conclusione (21,1-25) » 871
VII. Conclusione: alleanza e processo » 872
BIBLIOGRAFIA » 895
932