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NUOVA VERSIONE

DELLA BIBBIA
DAI TESTI ANTICHI

… …
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Presentazione
NUOVA VERSIONE DELLA BIBBIA DAI TESTI ANTICHI

L
a Nuova versione della Bibbia dai testi antichi si pone
sulla scia di una Serie inaugurata dall’editore a margine
dei lavori conciliari (la Nuovissima versione della Bib-
bia dai testi originali), il cui primo volume fu pubblicato nel
1967. La nuova Serie ne riprende, almeno in parte, gli obiettivi,
arricchendoli alla luce della ricerca e della sensibilità contem-
poranee.

I volumi vogliono offrire anzitutto la possibilità di leggere


le Scritture in una versione italiana che assicuri la fedeltà alla
lingua originale, senza tuttavia rinunciare a una buona qualità
letteraria. La compresenza di questi due aspetti dovrebbe da un
lato rendere conto dell’andamento del testo e, dall’altro, soddi-
sfare le esigenze del lettore contemporaneo.
L’aspetto più innovativo, che balza subito agli occhi, è la
scelta di pubblicare non solo la versione italiana, ma anche il
testo ebraico, aramaico o greco a fronte. Tale scelta cerca di
venire incontro all’interesse, sempre più diffuso e ampio, per
una conoscenza approfondita delle Scritture che comporta, ne-
cessariamente, anche la possibilità di accostarsi più direttamente
ad esse.
Il commento al testo si svolge su due livelli. Un primo li-
vello, dedicato alle note filologico-testuali-lessicografiche, offre
informazioni e spiegazioni che riguardano le varianti presenti
nei diversi manoscritti antichi, l’uso e il significato dei termini,
i casi in cui sono possibili diverse traduzioni, le ragioni che
spingono a preferirne una e altre questioni analoghe. Un secon-
do livello, dedicato al commento esegetico-teologico, presenta
le unità letterarie nella loro articolazione, evidenziandone gli
aspetti teologici e mettendo in rilievo, là dove pare opportuno,
il nesso tra Antico e Nuovo Testamento, rispettandone lo statuto
dialogico.

Particolare cura è dedicata all’introduzione dei singoli libri,


dove vengono illustrati l’importanza e la posizione dell’opera
nel canone, la struttura e gli aspetti letterari, le linee teologiche
PRESENTAZIONE 4

fondamentali, le questioni inerenti alla composizione e, infine,


la storia della sua trasmissione.

Un approfondimento, posto in appendice, affronta la pre-


senza del libro biblico nel ciclo dell’anno liturgico e nella vita
del popolo di Dio; ciò permette di comprendere il testo non solo
nella sua collocazione “originaria”, ma anche nella dinamica
interpretativa costituita dalla prassi ecclesiale, di cui la celebra-
zione liturgica costituisce l’ambito privilegiato.

I direttori della Serie


Massimo Grilli
Giacomo Perego
Filippo Serafini
Annotazioni di carattere tecnico
NUOVA VERSIONE DELLA BIBBIA DAI TESTI ANTICHI

Il testo in lingua antica


Il testo greco stampato in questo volume è quello della ven-
tisettesima edizione del Novum Testamentum Graece curata da
B. Aland - K. Aland - J. Karavidopoulos - C.M. Martini (1993)
sulla base del lavoro di E. Nestle (la cui prima edizione è del
1898). Le parentesi quadre indicano l’incertezza sulla presenza
o meno della/e parola/e nel testo.

La traduzione italiana
Quando l’autore ha ritenuto di doversi discostare in modo
significativo dal testo stampato a fronte, sono stati adottati i
seguenti accorgimenti:
– i segni ˹ ˺ indicano che si adotta una lezione differente da
quella riportata in greco, ma presente in altri manoscritti o
versioni, o comunque ritenuta probabile;
– le parentesi tonde indicano l’aggiunta di vocaboli che ap-
paiono necessari in italiano per esplicitare il senso della
frase greca.
Per i nomi propri si è cercato di avere una resa che non si
allontanasse troppo dall’originale ebraico o greco, tenendo però
conto dei casi in cui un certo uso italiano può considerarsi dif-
fuso e abbastanza affermato.

I testi paralleli
Se presenti, vengono indicati nelle note i paralleli al passo
commentato con il simbolo //; i passi che invece hanno vicinanza
di contenuto o di tema, ma non sono classificabili come veri e
propri paralleli, sono indicati come testi affini, con il simbolo .

La traslitterazione
La traslitterazione dei termini ebraici e greci è stata fatta con
criteri adottati in ambito accademico e quindi non con riferi-
mento alla pronuncia del vocabolo, ma all’equivalenza formale
fra caratteri ebraici o greci e caratteri latini.
ANNOTAZIONI 6

L’approfondimento liturgico
Redatto sempre dal medesimo autore (Gaetano Comiati),
rimanda ai testi biblici come proposti nei Lezionari italiani,
quindi nella versione CEI del 2008.
LETTERA AI FILIPPESI
Introduzione, traduzione e commento

a cura di
Francesco Bianchini
Nestle-Aland, Novum Testamentum Graece, 27th Revised Edition, edited by Barbara
Aland, Kurt Aland, Johannes Karavidopoulos, Carlo M. Martini, and Bruce M. Metzger in
cooperation with the Institute for New Testament Textual Research, Münster/Westphalia,
© 1993 Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart. Used by permission.

© EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2010


Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano)
www.edizionisanpaolo.it
Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l.
Corso Regina Margherita, 2 - 10153 Torino

ISBN 978-88-215-6673-8
INTRODUZIONE

TITOLO E POSIZIONE NEL CANONE

La lettera indirizzata alla comunità di Filippi è collocata, all’in-


terno dell’epistolario paolino, nel cosiddetto gruppo delle lettere
della prigionia. Se per la sua lunghezza (1629 parole, corrisponden-
ti nelle edizioni a stampa a 104 versetti suddivisi in 4 capitoli), la
lettera ai Filippesi è da annoverare tra quelle minori dell’Apostolo,
tale classificazione non appare adeguata al momento di valutarne
l’importanza. Anzitutto perché uno dei suoi testi, il brano cristolo-
gico di 2,6-11, ha rappresentato nel corso dei secoli, e rappresenta a
tutt’oggi, un punto di riferimento non solo per la teologia, ma anche
per la liturgia e la stessa vita cristiana. In aggiunta, la rilevanza della
lettera emerge dai quei passaggi eminentemente personali come il c.
3, dove Paolo, prigioniero a motivo del Vangelo e con la possibilità
di subire il martirio, mostra ai destinatari e ai successivi lettori, più
che in ogni altro suo scritto, il profondo e misterioso rapporto che
lo lega al suo Signore.
La dimensione personale e relazionale è dunque peculiare della
nostra lettera e contribuisce a mettere in risalto i due poli fondanti
dell’esistenza dell’Apostolo: il rapporto con Cristo e quello con
i cristiani delle sue comunità, prima evangelizzati e poi guidati
nel progresso della loro vita di fede. In particolare, il dialogo tra
l’«io» dell’autore e il «voi» dei destinatari costituisce un filo ros-
so che percorre l’intero scritto, che è il più cordiale tra quelli di
Paolo, esprimendo tutto il suo affetto per i beneamati Filippesi.
L’atmosfera che si respira durante il dettato epistolare è quella della
INTRODUZIONE 10

gioia (si veda il diffuso vocabolario appartenente a questo campo


semantico), che anima la relazione triangolare tra Paolo, Cristo e
i Filippesi. Non siamo però di fronte a una gioia a buon mercato,
ma a quella di un uomo prigioniero e di una comunità afflitta da
difficoltà esterne e interne. Infatti, sia l’Apostolo, sia i cristiani di
Filippi possono vivere secondo questo orientamento solo perché
sono «nel Signore», cioè profondamente radicati nel loro legame
con Cristo.

ASPETTI LETTERARI

Articolazione della lettera


La ricerca della struttura con la quale uno scritto è stato compo-
sto è un primo importante passo per coglierne il contenuto. A tale
scopo, dal punto di vista metodologico, gli studiosi delle lettere
paoline si servono sia di criteri di ordine epistolografico, derivanti
dal confronto con le lettere dell’antichità, sia di elementi retorici,
legati all’oratoria antica (in effetti, i confini tra epistola e discorso
non erano così netti al tempo di Paolo). A questi indici di compo-
sizione si aggiungono, come avviene anche per altri scritti del NT,
criteri letterari e sintattico-grammaticali.
Molti sono i modelli di composizione proposti dagli studiosi,
fondati anche su differenti prospettive metodologiche. Dopo aver
agevolmente individuato la cornice epistolare tipica delle lettere
antiche, costituita all’inizio dal praescriptum1 (1,1-2) e alla fine dal
postscriptum2 (4,21-23), le posizioni divergono. Da parte nostra,
muovendoci in base a un orientamento complessivo, delineiamo il
seguente quadro di riferimento:

Praescriptum (1,1-2)
Prologo. Ringraziamento iniziale (1,3-11)

1
Con tale termine si designa l’indirizzo che si trova in genere all’inizio di una lettera
antica; cfr. commento a 1,1-2.
2
Quest’elemento finale nelle lettere antiche serve per autenticare la lettera, scritta nor-
malmente da un segretario; cfr. commento a 4,21-23.
11 INTRODUZIONE

Notizie autobiografiche (1,12-26)


Esortazione generale a vivere in maniera degna del Vangelo
(1,27-30)
L’esempio di Cristo. Esortazioni basate sull’elogio di Cristo
(2,1-18)
Notizie autobiografiche su Timoteo ed Epafrodito (2,19-30)
L’esempio di Paolo. Esortazioni basate sull’autoelogio di
Paolo (3,1–4,1)
Esortazioni varie e finali (4,2-9)
Epilogo. Ringraziamento con notizie autobiografiche (4,10-20)
Postscriptum (4,21-23)

Lo schema mostra come gli elementi della lettera si ripetano a


partire da 3,1 (versetto che indica uno «scrivere le stesse cose»):
in 1,3–2,30 si trovano un ringraziamento, delle notizie autobiogra-
fiche, delle esortazioni e un esempio; gli stessi elementi vengono
riproposti in 3,1–4,20. Si tratta di una ripetizione legata non sem-
plicemente ai contenuti, ma anche agli strumenti argomentativi e
alla finalità esortativa che sottostà a entrambe le porzioni testuali.
In definitiva, due sono i possibili riferimenti di essa: il ripropor-
si di 3,1–4,20 sulla falsariga di 1,3–2,30 oppure la reiterazione
delle esortazioni prima motivate sull’esempio di Cristo (2,1-18)
e poi su quello di Paolo (3,1–4,1). In ogni caso, dallo studio della
composizione emerge che la lettura è costruita secondo un piano
determinato.
Dall’architettura dello scritto deriva anche la domanda relativa
al genere al quale esso appartiene, in base ai tipi epistolari propri
dell’antichità. Secondo le ipotesi più diffuse, si parla di Filippesi
come di una lettera di amicizia (in ragione dello stretto legame tra
autore e destinatari) o di esortazione (vista la diffusa parenesi),
oppure di consolazione (a causa della funzione di sostegno e cor-
rezione degli ascoltatori). La nostra lettera attinge sicuramente da
tutti e tre i tipi epistolari, così da risultare difficile da classificare in
modo univoco. A partire dalla composizione proposta, possiamo
però evidenziare una preferenza per il genere proprio dell’esorta-
zione, poiché non solo questa è ampiamente presente nel testo ma,
INTRODUZIONE 12

come sarà confermato al momento della nostra analisi esegetica, la


finalità parenetica è il sottofondo che accompagna tutto lo scritto.
Sono diverse le ragioni che hanno indotto Paolo a scrivere questa
lettera ai Filippesi, la quale esplica la sua funzione di base nel ren-
dere possibile il mantenimento dei contatti, rafforzando così i rap-
porti tra l’Apostolo e la comunità da lui fondata. Prima di tutto egli
intende esprimere ai Filippesi il ringraziamento per gli aiuti ricevuti
per mezzo di Epafrodito (4,10-20), che è il latore dell’epistola,
rimandato a Filippi anche per tranquillizzare la comunità riguardo
al suo stato di salute, dopo la malattia che lo ha colpito (2,25-30).
Inoltre l’Apostolo desidera rassicurare i destinatari sul proprio sta-
to d’animo, mentre è in prigionia a causa del Vangelo (1,12-26);
nella speranza di essere liberato, dopo aver inviato Timoteo suo
stretto collaboratore, Paolo progetta una futura visita alla comunità
filippese (2,19-24). Infine l’occasione della lettera si trova anche
nell’intento di rafforzare l’unità e la fedeltà dei cristiani di Filippi
(cfr. 2,1-5), in un momento molto difficile, nel quale essi soffrono
a causa dell’attiva ostilità degli avversari (1,28; 3,2.18-19).

La lettera nel suo contesto culturale


Dal punto di vista letterario è necessario compiere un ultimo pas-
saggio, prendendo in considerazione la nostra epistola all’interno del
contesto culturale proprio del I secolo d.C. Il linguaggio utilizzato
nello scritto è testimone dell’influenza esercitata da questo sfondo
sull’autore stesso. Infatti certi termini della lettera vengono dall’or-
ganizzazione politica, alcuni dalla filosofia contemporanea, mentre
altri derivano dalla retorica greco-romana o dal mondo biblico.
Il vocabolario politico è facilmente reperibile in Filippesi, poi-
ché, anzitutto, si parla del «pretorio» (1,13) e di «quelli della casa
di Cesare» (4,22). In aggiunta è da segnalare anche il riferimento,
in contrapposizione, al culto dell’imperatore, così come avviene
nel contesto sia dell’esempio di Cristo (cfr. 2,9-11) sia di quello di
Paolo (cfr. 3,20-21). Poi, in connessione con la situazione dei bat-
tezzati, la lettera riporta: «comportatevi da cittadini degni del Van-
gelo» (1,27) e «ciò che governa noi è nei cieli» (3,20). Inoltre, in
Filippesi è presente il termine koinōnía (1,5; 2,1; 3,10) che all’epo-
13 INTRODUZIONE

ca, seguendo l’orientamento di Aristotele (Politica, 1252a 1-7),


era utilizzato per designare una comunità politica. Infine la lettera
mostra anche una sottile polemica contro il cursus honorum tipi-
camente romano, nella contestazione del carrierismo e del vanto
da esso derivanti (cfr. cc. 2 e 3).
Agli orecchi di un lettore attento non possono sfuggire i legami
di Filippesi con la filosofia coeva, in particolare con gli stoici e
i moralisti del tempo. Infatti, già dall’inizio, Paolo definisce la
morale, come altri autori a lui contemporanei, a partire dal suo
fine, cioè il bene (Fil 1,6). Ma per compiere il bene è necessario
conoscerlo: la filosofia veniva prospettata come un cammino di
conoscenza allo scopo di discernere ciò che è meglio per gli altri e
per sé. In Filippesi si trova lo stesso orientamento con l’insistenza
sul conoscere (1,9; 3,8.10) e sul discernimento (1,9-10). Inoltre altri
concetti impiegati dall’Apostolo erano ben diffusi presso i moralisti
del tempo: la gioia (1,4.18.25 passim), il progresso (1,12.25), l’im-
pegno e la lotta in vista della perfezione morale (1,27.30; 3,12-14),
l’autárkeia come indipendenza interiore (4,12). Ma è soprattutto il
ricorso all’esempio (e al contro-esempio), con rilevante insistenza
all’interno della lettera (Cristo, Paolo e i suoi collaboratori, gli
avversari), che ci fornisce un sicuro aggancio con la cultura del
I secolo d.C., vista la grande importanza che questo strumento
rivestiva nell’educazione morale del tempo.
Attraverso l’exemplum entriamo pure nell’ambito della retorica
greco-romana, dove esso costituisce uno dei generi letterari più
utilizzati. Dallo studio della lettera emergeranno anche richiami
ben precisi ad altri generi letterari (p. es., quello della periautologia
nel c. 3) e ad alcune particolari tecniche retoriche.
Da ultimo, è importante non tralasciare lo sfondo biblico di Filip-
pesi. Pur non potendo rilevare alcuna citazione esplicita, emergono
alcune allusioni all’AT, tra le quali, se si eccettuano il breve richiamo
a Gb 13,16 [LXX] in 1,19, e la ripresa di Dt 32,5 [LXX] in 2,15, le
più rilevanti sono quelle derivanti da Isaia (cfr. Fil 2,6-11). Più inte-
ressante è evidenziare nello scritto l’utilizzo di un linguaggio sacrifi-
cale anticotestamentario per descrivere la vita cristiana (2,15.17; 3,3;
4,18): l’autore intende affermare che i pagano-cristiani sono al pari
INTRODUZIONE 14

degli ebrei e dei giudeo-cristiani, poiché, pur non essendo circoncisi


e non potendo quindi partecipare al culto del tempio, possono offrire
l’offerta più gradita a Dio, quella della loro stessa vita.

LINEE TEOLOGICHE FONDAMENTALI

Ogni lettera di Paolo ha la sua origine nel rapporto tra l’Apostolo


e la comunità alla quale egli scrive. Non si tratta quindi di un docu-
mento contenente una riflessione generale, quanto di un testo che
intende raggiungere la concreta situazione dei destinatari. Inoltre,
se alcune epistole paoline hanno una parte consistente di natura
argomentativa (vedi, p. es., Romani e Galati), altre, come la nostra,
hanno decisamente un orientamento di carattere più pratico. A par-
tire da queste considerazioni, risulta a prima vista difficile delineare
le tematiche teologiche di Filippesi. Tuttavia è necessario tenere
conto del fatto che Paolo invia le sue lettere affinché siano lette
non solo dai primi destinatari ma anche dalle altre comunità, cosic-
ché nel contingente e particolare di ciascuna di esse possa essere
ritrovato anche il permanente e il generale. Infatti se analizziamo
con attenzione l’epistola scritta alla Chiesa di Filippi emergono
alcune linee di riflessione teologica che possono essere riassunte
in quattro grandi tematiche: il ruolo centrale di Cristo, l’unità e la
comunione nella comunità, la vita cristiana nella somiglianza con
Cristo, la dimensione escatologica.
L’orizzonte cristologico è sicuramente centrale in Filippesi. Un
dato statistico può già dare un’idea di questa rilevanza: nella lette-
ra ci sono ben 21 occorrenze della formula «in Cristo» e dei suoi
equivalenti. Inoltre Gesù Cristo riceve in 3,20, per l’unica volta
nelle lettere protopaoline3, il titolo di «salvatore». Ma è l’impor-
tanza che il brano di 2,6-11 assume nella lettera a indicare il ruolo
centrale di Cristo, volutamente sottolineato dall’autore. Come ve-

3
Con questo termine gli studiosi indicano le lettere che sono state sicuramente scritte da
Paolo (Romani, Galati, 1 e 2 Corinzi, Filippesi, 1 Tessalonicesi, Filemone). Le altre lettere
che sono tradizionalmente attribuite a Paolo potrebbero essere state scritte da qualche suo
discepolo.
15 INTRODUZIONE

dremo nell’analisi del testo, non solo la profonda riflessione teolo-


gica basata sullo schema abbassamento-innalzamento emerge per
il suo grande valore all’interno del dettato epistolare, ma lo stesso
itinerario di Cristo diventa il modello di riferimento per i credenti.
Nel complesso della lettera è da notare con molta attenzione un
processo di cristologizzazione diffusa dei campi teologici. Infatti
troviamo dapprima una cristologizzazione della teologia, cioè alcu-
ne caratteristiche attribuite a Dio sono trasferite a Cristo. Così a lui
è propria la signoria universale ed è dovuta l’adorazione da parte
di tutta la creazione (2,10-11). Poi Cristo trasformerà, coerente-
mente al potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose, i corpi dei
credenti a immagine del suo corpo glorioso, quando verrà alla fine
dei tempi (3,21). Tale momento non è più chiamato dall’Apostolo,
secondo la terminologia anticotestamentaria, «giorno del Signore»,
ma «giorno di Cristo (Gesù)» (1,6.10; 2,16). In questa direzione
si muove la pneumatologia stessa, utilizzando l’insolita formula
«Spirito di Gesù Cristo» (1,19). Anche la morale è cristologizzata,
laddove le motivazioni dell’agire cristiano sono date in relazione
a Cristo: il brano di 2,6-11 fonda il comportamento che si esorta a
seguire in 2,1-5.12-18 ed è chiave di lettura degli esempi di Paolo e
dei suoi collaboratori. Infine la centralità di Cristo e il rapporto con
lui sono alla base della nuova identità dell’Apostolo (1,21; 3,4-14)
e dei credenti (3,20-21), rappresentando anche il vero criterio di
discernimento per giudicare l’agire delle persone (cfr. 3,18).
In una lettera come quella ai Filippesi, nella quale le dimensioni
relazionali sono fortemente accentuate, emerge con chiarezza la
tematica relativa all’unità e alla comunione nella comunità. Infatti,
muovendosi già da un punto di vista terminologico, è da rilevare
che il vocabolo koinōnía («comunione», «partecipazione») pre-
senta tre occorrenze (1,5; 2,1; 3,10) e una per ciascuno i relativi
verbi koinōneîn e synkoinōneîn e l’aggettivo synkoinōnós. Inoltre,
nel complesso della lettera, le parole composte con il prefisso syn-
«con» sono ben sedici, a indicare la tendenza a un essere insieme,
che apre la porta a una profonda trama di relazioni. Si tratta, in
prima istanza, del rapporto che unisce l’evangelizzatore con coloro
che hanno accolto il suo annuncio. Paolo stesso ricorda, più volte,
INTRODUZIONE 16

l’affetto che lo lega alla comunità da lui fondata, affetto ricambiato


fattivamente dai Filippesi (1,4.7.23-26; 4,1.10.15-16). Ma questa
unità di intenti tra l’Apostolo e i suoi non è auto-referenziale, bensì
è a vantaggio dell’annuncio del Vangelo (1,5.7.27; 4,3), a motivo
del quale è anche avvenuto il loro primo incontro. D’altro canto, la
lettera insiste sulla concordia tra i cristiani di Filippi. Così si chiede
ai credenti di assumere uno stesso «sentire» o «pensare» (verbo
phroneîn, 2,2; 3,15; 4,2), che non è altro se non la vera mentalità
cristiana a misura di Cristo (2,5), al fine di evitare le discordie e
le rivalità e vivere nell’amore e nel servizio reciproci (2,1-4; 4,3).
Tale unità è necessaria anche di fronte alle pressioni esterne e in
ordine alla testimonianza del Vangelo (1,27-28; 2,14-16).
Tra tutte le relazioni che il cristiano è chiamato a vivere, la
più importante è quella con il suo Signore. Nella nostra epistola
può essere ritrovata un’altra linea teologica nella proposta di una
vita cristiana nella somiglianza con Cristo. Il testo cristologico
di 2,6-11 costituisce infatti il modello di riferimento per la vita
del credente. Questo itinerario di abbassamento e innalzamento
o, per meglio dire, di morte e risurrezione è la strada da percor-
rere e da riprodurre. Così Paolo ha abbandonato i suoi privilegi
e meriti giudaici per ricevere una nuova esistenza in Cristo, nel-
la continua conformazione alla sua morte, ma con la speranza di
giungere alla risurrezione (3,4-11). Seguendo questa prospettiva,
Paolo e Timoteo sono «schiavi di Cristo» (doûloi Christoû Iēsoû,
1,1) e lo stesso collaboratore ha servito l’Apostolo (edoúleusen,
2,22) nell’imitazione di Cristo che si è fatto «schiavo» (doûlos,
2,7). Anche Epafrodito, rischiando la morte per il Vangelo (2,30),
ha ricalcato l’itinerario del Signore che, in piena obbedienza al
Padre, ha accettato di morire (2,8). Nell’invito a riprodurre questo
«sentire» di Cristo, e quindi a percorrere il suo itinerario, si trova
la principale esortazione rivolta da Paolo ai Filippesi (2,5). L’Apo-
stolo mostra ai destinatari, attraverso la sua esperienza personale,
che si tratta di un cammino di progressiva crescita, segnato dalla
chiamata di Dio e orientato alla meta dell’incontro definitivo con
Cristo (3,12-14).
Proprio il punto di arrivo della condivisione di vita con il Risorto
17 INTRODUZIONE

costituisce il fulcro della dimensione escatologica che anima la


lettera ai Filippesi. Il desiderio profondo di Paolo è di incontrare,
già subito dopo la morte, quel Cristo al quale ha inteso rendere glo-
ria con tutta la sua esistenza (1,19-21), nella speranza di giungere
alla risurrezione finale (3,11.14). In questo orizzonte di attesa egli
coinvolge i cristiani di Filippi, i quali sono chiamati a vigilare su se
stessi in vista del «giorno di Cristo (Gesù)» (1,6.10; 2,16). Allora il
Signore Gesù, con la pienezza della sua signoria universale, trasfi-
gurerà coloro che lo hanno atteso con fede così da renderli partecipi
della sua gloria (3,20-21). Comunque, già da ora, i credenti filippesi
possono sperimentare la vicinanza del Signore (4,5) e gustare, an-
che in mezzo alle sofferenze, la sua gioia, anticipo della salvezza
e della comunione definitive con lui (2,17-18). Perciò, secondo la
lettera, questa gioia non è una passeggera espressione emotiva,
quanto una condizione stabile, indipendente dalle circostanze este-
riori, ma determinata esclusivamente dal legame del cristiano con
Cristo (3,1; 4,4). Per Paolo essa segna la profonda relazione tra lui
e i destinatari (1,4; 2,2.28; 4,1), così come il riconoscimento del
progredire e diffondersi dello stesso Vangelo (1,18.25).

DESTINATARI, AUTORE E DATAZIONE

La città e la comunità cristiana di Filippi


Filippi è situata a nord della Grecia nella regione della Mace-
donia, a una quindicina di chilometri dal mar Egeo, ed è posta su
un pendio che domina una pianura, nel cui sottosuolo si trovano
oro e argento. La città è fondata nel 359/360 a.C. dai Tiasii, greci
provenienti dall’isola di Thasos, come piccolo insediamento colo-
niale con il nome di Crenide («le fonti»). Circa quattro anni dopo
i Tiasii, di fronte alla crescente minaccia rappresentata dai Traci
che abitano nei dintorni, fanno appello al re macedone Filippo II,
padre di Alessandro Magno. Filippo coglie prontamente l’occasione
offertagli, annettendo Crenide alla Macedonia, trasformandola in
una città fortificata e, infine, dandole il nuovo nome di Filippi.
La situazione della città rimane stabile sino al 168 a.C., quando
INTRODUZIONE 18

con la battaglia di Pidna il console Emilio Paolo sconfigge il re Per-


seo, mettendo fine al regno macedone e inaugurando il dominio ro-
mano nella regione. Filippi, appartenente al primo dei quattro distretti
della Macedonia, diviene una stazione della Via Egnatia, la principale
strada di collegamento tra Roma e l’Oriente che in quel tempo, par-
tendo da due diversi punti della sponda orientale del Mar Adriatico
(in corrispondenza con le città di Apollonia e di Durazzo), giungeva
sino a Cipsela sul fiume Evros. La città di Filippi giunge alla ribalta
della storia nel 42 a.C., quando nelle sue vicinanze Ottaviano (il
futuro imperatore Augusto) e Marcantonio vincono Cassio e Bruto
(uccisori di Cesare nel 44 a.C.)4. In seguito alla vittoria, Marcantonio
e Ottaviano insediano a Filippi i veterani del loro esercito così da
trasformarla in una colonia militare romana, mentre, dopo che nel
27 d.C. Ottaviano ha ricevuto il titolo di Augustus, la città assume il
nome di Colonia Julia Augusta Philippensis. Gli abitanti hanno la
cittadinanza romana e Filippi acquista gli stessi diritti delle città d’Ita-
lia (si tratta del famoso jus italicum), cioè risulta essere un territorio
esonerato dalla giurisdizione del governatore locale e direttamente
dipendente dall’imperatore (come una piccola Roma).
Nel I secolo d.C. la popolazione è composta anche da Traci,
Macedoni e Greci, oltre che dagli ex-soldati e dai coloni provenienti
dall’Italia; tra questi solo gli appartenenti alla tribus Voltinia sono
cittadini a pieno titolo. A Filippi la lingua ufficiale è il latino, ma
nel linguaggio parlato il greco è predominante. Dalle testimonianze
archeologiche emerge l’esistenza di un sincretismo religioso con
la venerazione degli dèi greco-romani, insieme al culto ufficiale
dell’imperatore; mentre la presenza ebraica non è attestata. Agli
occhi di Paolo la città, popolata da qualche migliaio di abitanti,
dovette presentarsi come prospera, a causa dei fiorenti commerci, e
segnata da uno spiccato carattere romano all’interno di un ambiente
ellenistico-tracio.
In At 16,11-40 si narra dell’arrivo di Paolo a Filippi, insieme a

4
Da qui fu coniato anche il detto proverbiale: «Ci vedremo a Filippi», come momento
e luogo per antonomasia della resa dei conti. In effetti, secondo Plutarco, Bruto avrebbe
sentito pronunciare questa frase in una visione notturna, avvenuta immediatamente prima
della battaglia (Vita di Bruto 36,7).
19 INTRODUZIONE

Timoteo e Sila. Secondo l’autore degli Atti, l’Apostolo vi si reca


in seguito a una visione, nella certezza che Dio stesso lo voglia
(16,9-10). In giorno di sabato, un gruppo di donne è radunato per
la preghiera presso il fiume, fuori della porta della città: esse so-
no probabilmente proselite. Lidia, commerciante di porpora, si
converte con tutta la sua famiglia all’ascolto della predicazione
di Paolo, e da lì nasce la comunità cristiana. Filippi diventa così
la prima città dell’Europa ad essere evangelizzata dall’Apostolo,
verso il 50, durante il suo secondo viaggio missionario. Inoltre,
se la nostra lettera attesta il desiderio dell’Apostolo (1,26; 2,24)
di visitare nuovamente i Filippesi (cfr. 1Cor 16,5; 2Cor 1,15-16),
secondo At 20,1-2 Paolo ritornerà due volte in Macedonia durante
il suo terzo viaggio missionario nel 57-58 (cfr. 2Cor 2,13; 7,5).
La comunità fondata da Paolo a Filippi doveva essere composta
sostanzialmente da pagano-cristiani, vista l’assenza di Ebrei nella
città e il carattere della lettera stessa, la quale manca di espliciti
riferimenti all’AT e manifesta un’apertura ai valori umanistici della
tradizione ellenistica (4,8). Il fatto che i Filippesi sostengano con
i loro proventi sia l’attività missionaria di Paolo, sia la colletta per
la Chiesa di Gerusalemme, è indizio del buon livello sociale ed
economico di almeno alcuni dei componenti della comunità (cfr.
2Cor 8,1-5; Fil 4,15-16). Infine, la sua situazione interna ed esterna
non doveva essere del tutto pacifica, se Paolo più volte insiste sul
tema dell’unità (2,1-4; 3,15-16; 4,2-3) ed evidenzia la minaccia
costituita da oscuri avversari (1,28; 3,2.18-19).

Autore ed epoca di composizione


Nessuno, se non alcune voci isolate (vedi Baur e la sua scuola,
intorno alla metà del XIX secolo), si è levato per porre in questione
l’autenticità paolina dello scritto. Se dunque riguardo all’autore
non ci sono problemi, molto più complicato è stabilire la datazione
della lettera. Tale questione è poi inscindibilmente legata al luogo di
composizione, che corrisponde a quello di detenzione di Paolo. Tre
sono le ipotesi principali sulle quali verte il dibattito degli studiosi:
Roma, Efeso, Cesarea Marittima.
In favore di Roma esiste una tradizione derivante dai primi se-
INTRODUZIONE 20

coli. Sono tre le ragioni che militano a favore di questa soluzione.


Anzitutto il testo di At 28,30-31 testimonia di due anni di deten-
zione di Paolo a Roma. Poi, nella lettera stessa, in 1,13, si parla
del pretorio, il quale sarebbe il luogo di abitazione della guardia
imperiale; inoltre, in 4,22 Paolo fa riferimento a «quelli della casa
di Cesare», cioè domestici e funzionari, per lo più schiavi e liberti,
a diretto servizio dell’imperatore: entrambe le indicazioni sono
comprensibili all’interno dell’ambiente romano. Così, se Filippesi
è stata scritta a Roma, è databile tra il 61 e il 63. Contro questa
attribuzione vengono però sollevate tre obiezioni. La lettera testi-
monia di più scambi e viaggi tra Paolo e la comunità (cfr. 2,19-30;
4,10-20), fatto poco possibile in ragione della distanza di più di
1300 chilometri tra Roma e Filippi, che allora richiedeva almeno
cinque settimane di viaggio. Inoltre, dal dettato della lettera sembra
che l’Apostolo non abbia più visitato la comunità filippese dopo
la sua fondazione (cfr. 1,26; 2,12; 4,15), mentre al tempo della
prigionia romana sicuramente Paolo si era già di nuovo recato a
Filippi (durante il suo terzo viaggio missionario). Infine, in Romani,
considerata dalla maggioranza degli esegeti come l’ultima lettera
prima di partire per Roma, non c’è menzione di un progetto di
Paolo di ritornare nelle regioni orientali dell’impero, bensì di un
viaggio in Spagna (15,23-24), mentre la nostra epistola evidenzia
la volontà dell’Apostolo di ritornare dai Filippesi (2,24).
In alternativa, è stata proposta Cesarea Marittima come luogo di
composizione di Filippesi. La ragione principale si trova nel testo
di At 23–26, che narra di una prigionia di Paolo in questa città della
durata di due anni. A Cesarea aveva sede il pretorio, elemento che in
questo caso designerebbe la residenza del governatore romano (cfr.
At 23,35), e lì, come a Roma, potevano essere presenti i funzionari
della casa imperiale. In questo caso la lettera sarebbe da datare
tra il 58 e il 60. Ma la distanza tra Cesarea e Filippi (più di 1400
chilometri) è perfino maggiore di quella che c’è tra Roma e Filippi
e quindi si ripropone il problema di come giustificare i frequenti
scambi tra l’Apostolo e la comunità. Inoltre anche per Cesarea
valgono le motivazioni riguardanti le visite di Paolo ai Filippesi.
Infine resta l’ipotesi di Efeso, che si trova a circa 450 chilome-
21 INTRODUZIONE

tri da Filippi (corrispondenti a una settimana di viaggio), così da


rendere plausibile una serie di comunicazioni tra Paolo e i Filip-
pesi. Anche a Efeso è presente il palazzo del governatore romano
e «quelli della casa di Cesare» possono anche qui essere persone
che curano gli interessi dell’imperatore fuori da Roma. Inoltre,
il riferimento ad avversari giudeo-cristiani, presente nel c. 3 del-
la lettera, avvicina Filippesi a Galati e a 2Cor 10–13, testi molto
probabilmente scritti a Efeso. Contro tale designazione si avanza
però un’importante obiezione: non c’è traccia nel NT di una vera
e propria detenzione di Paolo a Efeso. Tuttavia abbiamo due ri-
ferimenti testuali che possono colmare questo vuoto: il brano At
19,21-41 racconta delle rilevanti difficoltà incontrate da Paolo a
Efeso, mentre in 1Cor 15,32 lo stesso Apostolo testimonia di un suo
combattimento con le fiere in questa città. Se la lettera ai Filippesi
è scritta da Efeso la probabile datazione è tra il 55 e il 57.
Oggi la maggior parte degli studiosi propende per l’ipotesi efe-
sina. Da parte nostra, crediamo che la questione del luogo e della
data di composizione della lettera ai Filippesi non sia di importanza
capitale per la sua interpretazione, mentre risulti più utile al mo-
mento di delineare la genesi dell’epistolario di Paolo e, soprattutto,
lo sviluppo del suo pensiero.

TESTO E TRASMISSIONE DEL TESTO

A partire dal XIX secolo, diversi esegeti hanno messo in dubbio


l’integrità originaria della lettera. Alcuni hanno ipotizzato che essa
sia stata composta utilizzando due o tre epistole, successivamente
unite. La posizione relativa alla composizione di due testi è preva-
lente all’inizio del dibattito, ma poi perde terreno a favore della tesi
di una tripartizione. In base alla prima prospettiva, generalmente
si propone di individuare Filippesi A («lettera della prigionia») in
1,1–3,1 più una parte del c. 4 e Filippesi B («lettera polemica»)
nel resto del c. 3 più il resto del c. 4 (vedi, p. es., G. Friedrich, J.
Becker, J.-B. Édart). Seguendo l’altra ipotesi, in linea di massi-
ma si indica Filippesi A («lettera di ringraziamento») in 4,10-20,
INTRODUZIONE 22

con l’eventuale aggiunta dei vv. 21-23, Filippesi B («lettera della


prigionia») in 1,1–3,1 insieme a una parte del c. 4 e Filippesi C
(«lettera polemica») in 3,2-21 con alcuni versetti del c. 4 (vedi, p.
es., J.-F. Collange, W. Schenk, J. Murphy-O’Connor). Invece, negli
ultimi tempi, la maggioranza degli esegeti ritiene che la lettera sia
unitaria, anche se alcuni ipotizzano una o più interruzioni nella sua
stesura. I testi che pongono maggiori problemi sono Fil 3 e 4,10-20.
Riguardo al primo brano si fa notare: l’invito a gioire di 3,1a, che
compare altrove come formula di congedo a conclusione di una lette-
ra; il brusco cambiamento di stile tra 3,1 e 3,2; le circostanze diverse
presupposte dal c. 3 rispetto al resto di Filippesi: non si parla della
prigionia, c’è un diverso atteggiamento nei riguardi degli avversari.
Ma tali questioni non sono insormontabili: in 3,1a Paolo ripropone
semplicemente l’esortazione alla gioia così diffusa nella lettera; tra
3,1 e 3,2 c’è un brusco passaggio finalizzato a catturare l’attenzione
degli ascoltatori all’inizio di un nuovo sviluppo epistolare; non è
necessario che l’Apostolo parli ancora nel c. 3 della sua prigionia e
gli avversari possono essere altri rispetto a quelli del c. 1.
In relazione a 4,10-20 vengono mossi i seguenti rilievi: un rin-
graziamento epistolare come questo è sempre in apertura della let-
tera, non è possibile che Paolo solo alla fine di Filippesi parli del
dono ricevuto dalla comunità. Anche queste obiezioni all’integrità
non sono incontrovertibili: il testo di 4,10-20 non è un vero e pro-
prio ringraziamento (manca il verbo del grazie) e nell’antichità tale
elemento non è sempre all’inizio dell’epistola; Paolo posticipa la
menzione dell’aiuto inviatogli per sottolineare, sottraendosi alla
logica della reciprocità tipicamente greco-romana, la sua indipen-
denza e la gratuità del donare cristiano. Infine contro l’ipotesi della
compilazione, è opportuno notare che le proposte degli autori, a
sostegno di una bipartizione o di una tripartizione di Filippesi, sono
quasi tutte basate su testi interpolati e mescolati (p. es., A. 1,1–3,1;
4,1-7.10-23; B. 3,2-21; 4,8-9; oppure A. 4,10-23; B. 1,1–3,1; 4,2-
7; C. 3,2–4,1.8-9): tali proposte non hanno corrispondenza con la
reale pratica della compilazione nell’antichità.
In positivo l’unità dello scritto può essere affermata dal punto
di vista lessicale e tematico, ricorrendo in tutte le sue parti (anche
23 INTRODUZIONE

nel c. 3 e in 4,10-20) un vocabolario caratteristico: gioia/gioire,


sentire, proclamare e agire per il Vangelo, partecipazione/comu-
nione, commerciare e guadagnare, abbondare, valutare. Un altro
motivo a sostegno della tesi dell’integrità della lettera è il fatto,
come abbiamo visto, che sia possibile tracciare un piano organico
e coerente della sua composizione.
Così, a conclusione dell’analisi, è chiaro che le ragioni addotte
a favore dell’integrità di Filippesi risultano molto più convincenti
rispetto a quelle contrarie (ivi compresa l’ipotesi intermedia dell’in-
terruzione nello scrivere).
Per quanto riguarda la trasmissione del testo non ci sono pro-
blemi di rilievo. Unico elemento degno di nota è che il testimone
più antico, il papiro Chester Beatty II (î46), databile intorno al 200,
pur essendo mutilo (mancano completamente 1,2-4.16.29; 2,13.28;
3,9; 4,1.13), presenta alcune varianti e omissioni rispetto al testo
alessandrino, attestato dai codici Sinaitico (a), Alessandrino (A),
Vaticano (B) e di Efrem riscritto (C).

Elenco dei manoscritti citati nel commento


Papiro Chester Beatty II (î46), scritto intorno al 200, conserva-
to in parte alla University of Michigan di Ann Arbor e in parte a
Dublino, nella collezione Chester Beatty (qui si trovano i fogli che
contengono Filippesi).
Papiro di Oxyrhynchus 1009 (î16), III-IV secolo; conservato al
Museo delle Antichità Egizie de Il Cairo.
Codice Sinaitico (a), scoperto nel monastero di S. Caterina sul
Monte Sinai; risale al IV secolo; la maggior parte dei suoi fogli
sono conservati alla British Library di Londra.
Codice Alessandrino (A), del V secolo; conservato alla British
Library di Londra.
Codice Vaticano (B), del IV secolo; conservato alla Biblioteca
Vaticana.
Codice di Efrem riscritto (C), del V secolo, riutilizzato (come
palinsesto) nel XII secolo per trascrivere gli scritti di Efrem il Siro;
conservato alla Bibliothèque Nationale di Parigi.
Codice Claramontano (D), del VI secolo, scritto in greco e latino.
INTRODUZIONE 24

Il nome deriva dalla località in cui fu trovato da Teodoro di Beza,


cioè la città francese Clermont-Ferrand; conservato alla Biblio-
thèque Nationale di Parigi.
Codice di Augia (F), del IX secolo; il nome è quello della località
in cui fu copiato, il monastero dell’isola di Reichenau sul lago di
Costanza, chiamata Augia in latino; attualmente è conservato al
Trinity College di Cambridge.
Codice di Börner (G), del IX secolo; conservato alla Sächsische
Landesbibliothek di Dresda.
Codice di Mosca (K), del IX secolo, proveniente dal monte
Athos e attualmente conservato al Museo Storico di Mosca.

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Commenti
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ΠΡΟΣ ΦΙΛΙΠΠΗΣΙΟΥΣ

Ai Filippesi
FILIPPESI 1,1 28

1 Παῦλος καὶ Τιμόθεος δοῦλοι Χριστοῦ Ἰησοῦ πᾶσιν τοῖς


1 

ἁγίοις ἐν Χριστῷ Ἰησοῦ τοῖς οὖσιν ἐν Φιλίπποις σὺν


ἐπισκόποις καὶ διακόνοις, 2 χάρις ὑμῖν καὶ εἰρήνη ἀπὸ θεοῦ
πατρὸς ἡμῶν καὶ κυρίου Ἰησοῦ Χριστοῦ.

1,1 Paolo (Pau/loj) – Si tratta di un latinismo designava una funzione amministrativa ci-
(da Paul[l]us), la cui etimologia richiama vile (gestione, amministrazione o ispezione
l’idea di pochezza e di piccolezza. L’Apostolo di beni e persone). Non è possibile sapere
usa questo nome nelle sue lettere, mentre Atti con certezza se nel contesto di Filippesi gli
ci testimonia anche quello ebraico di Saulo. episcopi formano un gruppo distinto dai dia-
Episcopi (evpisko,poij) – La versione siria- coni; in tal caso i primi avrebbero un ruolo
ca della Peshitta riporta il termine «anzia- di sorveglianza e governo nella comunità.
ni», corrispondente al greco presbu,teroi, Diaconi (diako,noij) – Nell’ambito greco
indicando che in Fil 1,1 non è opportuno dia,konoj è colui che serve a tavola. Nelle
pensare a una chiara distinzione tra vescovi lettere paoline si indica con questo termine
e preti, e così anche nel resto del NT (At sia il compito del missionario del Vangelo
20,28; Tt 1,5.7); questa bipartizione è atte- (p. es., 1Cor 3,5; 2Cor 11,23; Ef 6,21), sia
stata soltanto con Ignazio di Antiochia, alla la funzione di gestione dei beni a vantaggio
fine del I secolo. Nel mondo greco evpi,skopoj della comunità e dei bisognosi (1Tm 3,8.12).

PRAESCRIPTUM (1,1-2)
Il termine deriva dal latino prae («prima») e scriptum («scritto») e indica
l’indirizzo presente all’inizio di ogni lettera antica. Seguendo il modello epi-
stolare classico, Paolo comincia sempre le sue lettere con questo elemento. Il
praescriptum è composto, come nel nostro caso, di tre elementi: mittente (su-
perscriptio), destinatario (adscriptio), saluto (salutatio). Nelle lettere paoline ci
sono co-mittenti (eccetto in Romani, Efesini e nelle Pastorali), i destinatari sono
i cristiani di una Chiesa locale (salvo che nelle Pastorali e in Filemone), «grazia»
e «pace» sono sempre presenti nel saluto; di esse si ricorda ogni volta l’origine
divina (con l’eccezione di 1 Tessalonicesi).
Nella iniziale qualifica di «schiavi», Paolo intende sottolineare la piena ap-
partenenza a Cristo di lui e di Timoteo, nonché il loro servizio umile per quel
Signore che, a sua volta, si è fatto schiavo di Dio a vantaggio dell’uomo (2,7).
Tali espressioni sono molto forti, visto che nel mondo greco-romano lo schiavo è
considerato come una creatura subumana. Infatti egli non appartiene a se stesso,
non ha status giuridico, ma è proprietà del padrone. Quest’ultimo può disporre di
lui come crede, considerandolo uno strumento domestico come tanti altri.
29 FILIPPESI 1,2

1 Paolo e Timoteo, schiavi di Cristo Gesù, a tutti i santi in


1

Cristo Gesù che sono a Filippi con gli episcopi e i diaconi.


2
A voi grazia e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù
Cristo.

Se in Fil 1,1 sono da distinguere dagli epi- messaggero (p. es., Rm 5,2.15; 1Cor 15,10).
scopi, essi possiedono il secondo incarico. Pace (eivrh,nh) – Richiama il saluto ebraico
1,2 Grazia (ca,rij) – Con questo vocabolo šālôm, con il quale si augura non semplice-
l’autore riprende, dal punto di vista etimo- mente un’assenza di guerra, ma una pienezza
logico, e trasforma, riguardo al significato, di vita. Inoltre šālôm non rappresenta sola-
l’usuale saluto formulato all’inizio delle mente un saluto, poiché nei profeti antico-
epistole: «salve; sta’ bene» [cai, r e(in)]. testamentari costituisce il dono escatologico
Con questa nuova modalità non si configura di Dio, legato all’avvento del Messia (p. es.,
una relazione duale tra autore e destinata- Is 9,5-6). Così per Paolo la pace implica la
rio, ma una triangolare, grazie alla media- riconciliazione definitiva, universale, realiz-
zione divina. Infatti, nelle lettere paoline zata da Cristo in adempimento delle antiche
«grazia» è un termine chiave per indica- promesse (cfr. Ef 2,14-17).
re l’azione gratuita e salvifica di Dio nei  1 ,1-2 Testi affini: Rm 1,1-7; 2Cor 1,1-2;
confronti degli uomini, di cui l’Apostolo è Col 1,1-2; 1Ts 1,1; 2Ts 1,1-2; Fm 1-3

Timoteo, che è associato a Paolo nel praescriptum della lettera pur non essen-
done coautore, è un suo collaboratore, coinvolto nella fondazione della comunità
di Filippi (At 16,1-15). Da parte sua, l’Apostolo si indirizza a tutti i credenti in
Cristo di Filippi, i quali sono qualificati, secondo una modalità tipicamente pao-
lina, come «santi», in quanto, essendo uniti a Cristo e da lui rinnovati mediante
la fede e il battesimo, appartengono ormai alla sfera di azione di Dio (cfr. 1Cor
6,11). Soltanto dopo l’autore menziona i responsabili della comunità, quasi a
ricordare a quest’ultimi che la loro funzione non li mette al di sopra degli altri,
ma al loro servizio.
Il saluto «grazia e pace», pur derivando probabilmente dalla tradizione liturgica
cristiana, attesta anche la duplice cultura, ebraica e greca, di Paolo. La derivazione
divina del saluto richiama la vera fonte e la portata escatologica di questi beni,
il possesso dei quali può essere stabilmente conseguito solo nel legame con quel
Dio che nel suo Figlio dona a tutti la salvezza definitiva. Quindi con «grazia e
pace» si mostra sin dall’inizio l’essenza del Vangelo, in quanto buona novella
per ogni uomo.
FILIPPESI 1,3 30

Εὐχαριστῶ τῷ θεῷ μου ἐπὶ πάσῃ τῇ μνείᾳ ὑμῶν 4 πάντοτε ἐν


3 

πάσῃ δεήσει μου ὑπὲρ πάντων ὑμῶν, μετὰ χαρᾶς τὴν δέησιν
ποιούμενος, 5 ἐπὶ τῇ κοινωνίᾳ ὑμῶν εἰς τὸ εὐαγγέλιον ἀπὸ
τῆς πρώτης ἡμέρας ἄχρι τοῦ νῦν, 6 πεποιθὼς αὐτὸ τοῦτο, ὅτι
ὁ ἐναρξάμενος ἐν ὑμῖν ἔργον ἀγαθὸν ἐπιτελέσει ἄχρι ἡμέρας
Χριστοῦ Ἰησοῦ· 7 Καθώς ἐστιν δίκαιον ἐμοὶ τοῦτο φρονεῖν ὑπὲρ
πάντων ὑμῶν διὰ τὸ ἔχειν με ἐν τῇ καρδίᾳ ὑμᾶς, ἔν τε τοῖς

1,3 Ringrazio (euvcaristw/) – Questo verbo memoria di voi») nel suo insieme vuole in-
e il corrispondente sostantivo euvcaristi,a dicare il pieno ricordo, senza dimenticanza,
(«ringraziamento») sono tipici delle lettere che Paolo ha dei destinatari.
paoline rispetto al resto del NT. In parti- 1,4 Supplica (deh,sei) – Nelle lettere paoline
colare il verbo è utilizzato, specialmente deh,sij indica di solito la preghiera di doman-
ma non esclusivamente, all’inizio della da o di intercessione, ma visto che tale tipo
comunicazione epistolare tra l’Apostolo e di preghiera è presente nei vv. 9-11, è meglio
i suoi. dare al vocabolo in questione un senso gene-
Ogni volta che mi ricordo di voi (evpi. pa,sh| th/| rico di «supplica».
mnei,a| u`mw/n) – Il genitivo u`mw/n («voi») ha si- 1,5 A motivo della vostra partecipazione
gnificato oggettivo, cioè costituisce l’ogget- al Vangelo (evpi. th/| koinwni,a| u`mw/n eivj to.
to del sostantivo mnei,a| («memoria»), al quale euvagge,lion) – Il termine koinwni,a, già utiliz-
si riferisce. L’espressione (che alla lettera si zato da Aristotele per designare una comuni-
potrebbe tradurre: «ogni volta che faccio tà politica, designa diversi tipi di relazione

PROLOGO. RINGRAZIAMENTO INIZIALE (1,3-11)


Le lettere paoline cominciano sempre con un rendimento di grazie a Dio e
con un riferimento costante ai destinatari (unica eccezione è la lettera ai Ga-
lati). In questo modo, Paolo ricorda l’interesse che ha per i suoi, introduce i
temi dell’epistola e opera una captatio benevolentiae, così da conquistarsi la
simpatia e l’attenzione degli ascoltatori. In 1,3-11 prevale il campo semantico
concernente le relazioni, caratterizzate dall’affettività e dalla reciprocità. Inoltre
vengono presentati alcuni concetti poi sviluppati nella lettera: la gioia (v. 4), la
comunione/partecipazione (vv. 5.7), il Vangelo (vv. 5.7), il «sentire» (tradotto al
v. 7: «pensare»), la prospettiva escatologica (vv. 6.10). Rispetto ai ringraziamenti
delle altre lettere, in Filippesi Paolo insiste sulla sincerità della sua sollecitudine
per i destinatari e sull’orientamento escatologico dell’agire del cristiano. Tale
particolare introduzione al corpo epistolare è testimoniata anche da altre missive,
di carattere privato e non, provenienti dall’ambito ellenistico.
Il nostro testo può essere diviso in due parti: azione di grazie (vv. 3-8), pre-
ghiera di intercessione (vv. 9-11). La bipartizione richiama un’attitudine cristiana
fondamentale, poiché la richiesta si appoggia su un riconoscimento dei doni di
Dio che la precede (cfr. Col 3,15-17). Per Paolo tale riconoscimento può avere
un aspetto non semplicemente privato ma anche comunitario e pubblico. Infatti
31 FILIPPESI 1,7

3
Ringrazio il mio Dio, ogni volta che mi ricordo di voi –
4
pregando sempre con gioia in ogni mia supplica per tutti
voi – 5a motivo della vostra partecipazione al Vangelo dal
primo giorno fino ad ora, 6essendo convinto che Colui che ha
cominciato in voi quest’opera buona la perfezionerà sino al
giorno di Cristo Gesù. 7Del resto è giusto che io pensi così di
tutti voi, perché mi avete nel cuore, dal momento che, tanto

(amicizia, partecipazione, comunione). Tutto 3,15.19; 4,2.10); designa la facoltà di giudi-


il sintagma assume il senso attivo, in rife- care e di sentire, ma indica anche la volontà,
rimento al prendere parte dei Filippesi alla l’opinione e le disposizioni interiori.
diffusione del Vangelo (cfr. v. 7). Mi avete nel cuore (to. e;cein me evn th/| kardi,a|
1,6 Ha cominciato (evnarxa,menoj) – Anticipa u`ma/j) – Due sono le possibili traduzioni del
l’espressione di 4,15 «all’inizio dell’annun- greco, in base all’indicazione del soggetto
cio del Vangelo» (evn avrch/| tou/ euvaggeli,ou) e dell’oggetto. Se il soggetto è me e u`ma/j è
relativa all’accoglienza iniziale del Vangelo l’oggetto: «vi ho nel cuore» (questa è so-
da parte dei Filippesi. stanzialmente la scelta del testo CEI). Invece
Opera buona (e;rgon avgaqo,n) – Come in Rm se il soggetto è u`ma/j e me è l’oggetto: «mi
14,20, il richiamo è all’azione di Dio in seno avete nel cuore». La seconda soluzione è
alla comunità cristiana. da preferire, poiché nel versetto a e;cein è
1,7 Io pensi (fronei/n) – Il verbo frone,w è legato il participio o;ntaj, il cui soggetto è
molto importante nella lettera (cfr. 2,2.5; chiaramente u`ma/j.

l’Apostolo, parlando dell’opera di Dio, intende incoraggiare i suoi perché a lui


diano una lode manifesta e così, quando il ringraziamento abbonda, Dio è glori-
ficato (cfr. 2Cor 1,11; 4,15).

1,3-8 Menzione dell’azione di grazie


Nei vv. 3-4 si mostra come, tutte le volte che prega, Paolo si ricordi dei Filip-
pesi e ne faccia occasione di ringraziamento a Dio. La gioia, motivo ricorrente
del dettato epistolare, caratterizza la supplica dell’Apostolo, poiché si lega al
riconoscimento dei doni divini.
Il primo motivo per ringraziare Dio è la collaborazione dei Filippesi, dal mo-
mento della conversione fino al presente, all’annuncio della buona novella di
salvezza (v. 5). In base al contesto della lettera, tale collaborazione è da intendersi
sia di natura spirituale (1,27; 2,15-16; 4,3) che materiale (2,29-30; 4,10-20). La
seconda ragione per ringraziare sta nel fatto che Dio porterà a compimento l’opera
salvifica iniziata nei credenti filippesi dal momento della loro conversione (v. 6).
Il futuro della comunità è visto come continuamente segnato dall’azione divina
sino all’incontro con il Cristo che viene. In questa occasione, Paolo, parlando
del «giorno di Cristo Gesù», opera la cristologizzazione (processo presente nella
lettera anche a proposito di altre realtà) del «giorno del Signore», poiché questa
FILIPPESI 1,8 32

δεσμοῖς μου καὶ ἐν τῇ ἀπολογίᾳ καὶ βεβαιώσει τοῦ εὐαγγελίου


συγκοινωνούς μου τῆς χάριτος πάντας ὑμᾶς ὄντας. 8 μάρτυς γάρ
μου ὁ θεὸς ὡς ἐπιποθῶ πάντας ὑμᾶς ἐν σπλάγχνοις Χριστοῦ
Ἰησοῦ.

Καὶ τοῦτο προσεύχομαι, ἵνα ἡ ἀγάπη ὑμῶν ἔτι μᾶλλον καὶ


9 

μᾶλλον περισσεύῃ ἐν ἐπιγνώσει καὶ πάσῃ αἰσθήσει 10 εἰς τὸ


δοκιμάζειν ὑμᾶς τὰ διαφέροντα, ἵνα ἦτε εἰλικρινεῖς

Nelle mie catene – In base alle modalità di alla lettura significa «viscere» e in senso
carcerazione del tempo, si può pensare, che metaforico esprime un profondo sentimento
l’Apostolo sia incatenato a un soldato con d’amore e di compassione. Il sostantivo e il
la possibilità di muoversi, oppure che sia relativo verbo splagcni,zomai sono impie-
costretto a rimanere nella sua cella senza gati nella letteratura intertestamentaria e nel
potersi spostare. NT per designare la misericordia di Dio e di
1,8 Dio... mi è testimone (ma,rtuj... mou o` qeo,j) Gesù (p. es., Testamento di Zabulon 8,2; Mt
– È una formula di giuramento, utilizzata 9,36; Lc 15,20). Nel resto della letteratura
anche altrove da Paolo (cfr. Rm 1,9; 2Cor paolina (2Cor 6,12; 7,15; Fil 2,1; Col 3,12;
1,23; 1Ts 2,5). Fm 7.12.20) il vocabolo appare in contesti
Abbia nostalgia (evpipoqw/) – Lo stesso verbo in cui si esprime l’amore che i credenti in
greco è utilizzato anche in 2,26 e designa Cristo devono vivere tra loro.
l’aspirazione profonda a rivedere chi si ama, 1,9 Carità (avga,ph) – Termine abbastanza
dal quale si è separati a causa della distanza raro nella letteratura greca, è utilizzato dal
(Rm 1,11; 1Ts 3,6; 2Tm 1,4). NT per esprimere l’amore gratuito e di do-
Con affetto viscerale (spla,gcnoij) – Il ter- nazione, tipicamente cristiano, proveniente
mine spla,gcnon (di solito usato al plurale) da Dio stesso e che il credente è chiamato a

tradizionale espressione anticotestamentaria è sorprendentemente riferita a Cristo,


invece che a Dio (cfr. 2,16). Nel v. 7 l’autore aggiunge una nuova motivazione
alle precedenti, formulando un positivo giudizio di valore sul ringraziamento del
v. 3. Paolo ribadisce l’importanza della partecipazione dei Filippesi alla grazia
derivante dal Vangelo. Tale partecipazione presenta un’ampia gamma di riferi-
menti: la salvezza, l’aiuto materiale, l’annuncio, la persecuzione. In ogni caso è
l’interesse preminente del Vangelo che lega l’Apostolo ai suoi. Infatti, nonostante
sia prigioniero, Paolo non si preoccupa di sé, ma trasforma questa condizione in
strumento per la propagazione del Vangelo.
Paolo conclude l’azione di grazie al v. 8 con un giuramento, mediante il quale
sottolinea la veridicità del suo ringraziamento e dei suoi sentimenti nei confronti
di tutti i destinatari (l’insistenza sul non escludere nessuno preannuncia l’atten-
zione all’unità comunitaria presente nella lettera). Il suo amore per loro è origi-
nato dal rapporto con Cristo, vero fondamento della relazione tra l’Apostolo e i
Filippesi.
33 FILIPPESI 1,10

nelle mie catene quanto nella difesa e nel consolidamento del


Vangelo, siete tutti partecipi della mia grazia. 8Dio, infatti, mi è
testimone di quanto, con affetto viscerale in Cristo Gesù, abbia
nostalgia di tutti voi.

9
E per questo prego che la vostra carità abbondi sempre
più in consapevolezza e in ogni discernimento, 10per
distinguere le cose migliori, perché siate puri

riversare sull’altro (cfr. Rm 8,31-39; 1Cor orientata a un comportamento conseguente.


13). Non essendo specificato il destinatario 1,10 Per distinguere (eivj to. dokima,zein) –
di questo amore, è da intendersi come onni- La costruzione ha valore finale e impiega
comprensivo. dokima,zw, tipico di Paolo e usato per descri-
Abbondi sempre più (ἔτι μᾶλλον καὶ μᾶλλον vere un esame e una valutazione, talvolta
περισσεύῃ) – Esprime una progressione insieme al risultato di questo processo (p.
sia nel tempo che nell’intensità. Il verbo es., 1Cor 16,3; Gal 6,4; 1Ts 2,4). In Fil 1,10
perisseu,w, usato anche in 1,26; 4,12 (2 vol- il verbo indica, opportunamente, proprio la
te) e 4,18, nell’epistolario paolino manifesta conseguenza del discernimento e, quindi, la
l’eccedenza e la pienezza dei doni di Dio, scelta.
nell’ambito della vita cristiana personale e Puri e senza macchia (eiv l ikrinei/ j kai.
comunitaria. avpro,skopoi) – I due aggettivi sono com-
In consapevolezza (evn evpignw,sei) – Il ter- plementari. Il primo (eivlikrinh,j) descrive,
mine greco evpi,gnwsij indica, secondo l’uso dal lato positivo, una qualità interna, legata
paolino (p. es., Rm 1,28; Col 1,9; Fm 6), all’integrità morale; il secondo (avpro,skopoj),
una conoscenza spirituale legata all’indivi- dal lato negativo, un rapporto verso l’esterno
duazione del bene e della volontà di Dio e che non provoca il biasimo altrui.

1,9-11 Menzione della preghiera di intercessione


Questi versetti si riallacciano in particolare al v. 4, dove Paolo ricordava la sua
continua supplica al Signore per i credenti di Filippi. Ora viene esplicitato il con-
tenuto della supplica, che consiste nella crescita qualitativa dell’amore tipico del
cristiano. Se l’Apostolo prega che la carità dei destinatari abbondi in conoscenza
e tatto è perché essi discernano ciò che risulta più importante, in modo che il loro
comportamento li prepari adeguatamente all’incontro finale con Cristo (cfr. 1,6).
Così la purezza e l’irreprensibilità del cristiano dipenderanno dalle scelte di vita
da lui operate. Inoltre, seguendo la prospettiva tipica degli scritti giudaici, ripresa
anche nei vangeli, Paolo sottolinea il legame consequenziale tra l’agire presente
del cristiano e la sua situazione nel contesto escatologico.
Infatti il v. 11 chiude il ringraziamento con la speranza che i cristiani di Filippi
giungano alla parusia ripieni delle opere buone da loro compiute, chiara manifesta-
zione del loro essere giusti. Tali azioni non rappresentano nient’altro che una risposta
al precedente agire di Dio nei confronti dei Filippesi. Egli li ha chiamati per far loro
FILIPPESI 1,11 34

καὶ ἀπρόσκοποι εἰς ἡμέραν Χριστοῦ, 11 πεπληρωμένοι


καρπὸν δικαιοσύνης τὸν διὰ Ἰησοῦ Χριστοῦ εἰς δόξαν καὶ
ἔπαινον θεοῦ.

Γινώσκειν δὲ ὑμᾶς βούλομαι, ἀδελφοί, ὅτι τὰ κατ᾽ ἐμὲ μᾶλλον


12 

εἰς προκοπὴν τοῦ εὐαγγελίου ἐλήλυθεν, 13 ὥστε τοὺς δεσμούς


μου φανεροὺς ἐν Χριστῷ γενέσθαι ἐν ὅλῳ τῷ πραιτωρίῳ

1,11 Poiché siete stati ricolmati – Il parti- testimoniata una varietà di lezioni: il codice
cipio perfetto peplhrwme,noi è passivo, pur Claromontano (D) legge «e lode di Cristo»
reggendo l’accusativo karpo,n (plhro,w con (kai. e;painon Cristou/)/ ; i codici di Augia (F)
l’accusativo è una costruzione frequente in e di Börner (G) riportano «e lode di me» (kai.
un contesto finanziario), perché si tratta di un e;painon moi); il secondo papiro di Chester
passivo teologico, usato per evocare l’azione Beatty (î46) ha «di Dio e lode di me» (qeou/ kai.
di Dio. e;painon moi). La lezione scelta è ben suppor-
Il frutto della giustizia (karpo.n dikaiosu,nhj) tata da importanti manoscritti, rappresentativi
– Espressione biblica che indica sia l’impe- di diversi tipi testuali e si fa preferire anche
gno dell’uomo per una vita giusta e saggia, perché può essere ragionevolmente posta
sia la corrispondente ricompensa da parte di all’inizio dello sviluppo successivo che ha
Dio (p. es., Pr 13,2 [LXX]; Am 6,12 [LXX]; dato origine alle diverse varianti. Dal punto di
Gc 3,18). vista interpretativo, le ultime due varianti sono
A gloria e lode di Dio (eivj do,xan kai. e;painon di un certo interesse perché, menzionando una
qeou/) – Dossologia di ispirazione anticotesta- lode di Paolo, considerano l’agire giusto dei
mentaria (cfr., p. es., 2Sam 22,50; 1Cr 16,27; Filippesi come prova visibile del buon lavoro
Sal 35,28). Per la seconda parte della frase è dell’Apostolo e quindi come suo motivo di glo-

dono della sua giustizia e renderli giusti mediante la fede in Cristo. Ecco perché, alla
fine, le loro opere buone andranno proprio «a gloria e lode di Dio». Si deve notare
che questo ultimo versetto allude molto brevemente alla questione della giustizia che
sarà affrontata in 3,6.9 e anticipa il riferimento al dono – legato allo stesso termine
karpós («frutto», «profitto») – ricevuto da Paolo per mano di Epafrodito e per il
quale Dio stesso ricompenserà i cristiani di Filippi (4,17-20).

NOTIZIE AUTOBIOGRAFICHE (1,12-26)


Con questo brano inizia il corpus della lettera. Come avveniva soprattutto nelle
epistole di amicizia, Paolo informa i destinatari riguardo alla sua situazione per-
sonale. A differenza degli autori classici, l’Apostolo non intende semplicemente
ristabilire i contatti con i suoi, ma mostrare il progresso del Vangelo attraverso ciò
che accade e accadrà. Tuttavia, il testo che dovrebbe parlare di Paolo mettendolo al
centro, visto che egli dà notizie su di sé, tratta invece dell’annuncio del Vangelo e
del bene della comunità. L’«io» di Paolo è completamente decentrato da sé e unito
a Cristo, e questo ricade a vantaggio dei Filippesi e del progresso della loro fede.
35 FILIPPESI 1,13

e senza macchia per il giorno di Cristo; 11poiché siete stati


ricolmati del frutto della giustizia, che si ottiene per mezzo di
Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.

12
Ora, fratelli, voglio che sappiate che le mie vicende hanno
contribuito piuttosto al progresso del vangelo, 13cosicché in
tutto il pretorio e ovunque è manifesto che io sono in catene

ria nel giorno del giudizio. Tale prospettiva è Le mie vicende (ta. katV evme,) – Alla lettera: «le
presente anche in 2,16. cose che mi riguardano», cfr. 1,27; 2,19-20.
 1 ,3-11 Testi affini: Rm 1,8-17; 1Cor 1,4- Progresso (prokoph,n) – Concetto usato dagli
7; 1Ts 1,2-8 stoici per segnalare un personale avanzamento
1,12 Voglio che sappiate (Ginw,skein... u`ma/j nel cammino di acquisizione delle virtù. In ge-
bou,lomai) – Tipica formula di apertura pre- nerale indica sviluppo e prosperità nell’ambito
sente in diverse lettere di epoca ellenistica fisico, economico e sociale; cfr. anche il v. 25.
conservate in Egitto su papiri, ma anche nel 1,13 Pretorio (praitwri,w|) – All’inizio indi-
corpus paulinum (p. es., Rm 1,13; Gal 1,11; cava la tenda del comandante di un accampa-
Col 2,1). mento militare. Poi a Roma passa a designa-
Fratelli (avdelfoi,) – Termine inclusivo, volto re la sede della guardia personale dell’im-
a sottolineare il legame profondo tra i cri- peratore. Fuori della capitale dell’impero,
stiani. Esso mostra la dimensione familiare la parola è invece utilizzata per il palazzo
della Chiesa, nella quale tutti sono alla pari del governatore romano. Secondo quanto
in quanto hanno ricevuto la rigenerazione affermato nell’Introduzione (p. 20), in Fi-
battesimale in Cristo e sono divenuti figli lippesi diamo la preferenza a questa ultima
di Dio. accezione di pretorio.

Il brano non ha precisi paralleli con gli altri dell’epistolario paolino, ma pre-
senta un qualche legame con il testo di Col 1,24–2,5. Esso può essere diviso in
due parti: notizie sulla situazione presente di Paolo (vv. 12-18b); ipotesi e rifles-
sioni sulla situazione futura di Paolo (vv. 18c-26). Nella prima parte prevale il
campo semantico relativo all’annuncio del Vangelo, nella seconda quello relativo
all’opposizione vita/morte.

1,12-18b Notizie sulla situazione presente di Paolo


La sua situazione di prigioniero ha suscitato sicuramente interrogativi ango-
sciosi tra i cristiani, divisi se vedere in essa una smentita o una conferma divina
della missione di Paolo. Per questo egli afferma che la sua condizione è parados-
sale perché l’imprigionamento non impedisce la diffusione del Vangelo; anzi,
lo facilita. Siamo di fronte alla logica paolina della forza nella debolezza (cfr.
2Cor 12,5-10): la forza divina opera proprio nella fragilità del predicatore, in
controtendenza con l’esaltazione, comune al suo tempo, dell’oratore che riesce a
convincere tutti con la sua bravura.
FILIPPESI 1,14 36

καὶ τοῖς λοιποῖς πᾶσιν, 14 καὶ τοὺς πλείονας τῶν ἀδελφῶν ἐν


κυρίῳ πεποιθότας τοῖς δεσμοῖς μου περισσοτέρως τολμᾶν
ἀφόβως τὸν λόγον λαλεῖν. 15 τινὲς μὲν καὶ διὰ φθόνον καὶ
ἔριν, τινὲς δὲ καὶ δι᾽ εὐδοκίαν τὸν Χριστὸν κηρύσσουσιν· 16 οἱ
μὲν ἐξ ἀγάπης, εἰδότες ὅτι εἰς ἀπολογίαν τοῦ εὐαγγελίου
κεῖμαι, 17 οἱ δὲ ἐξ ἐριθείας τὸν Χριστὸν καταγγέλλουσιν, οὐχ

E ovunque (kai. toi/j loipoi/j pa/sin) – re» (to.n lo,gon tou/ kuri,ou lalei/n). Secondo
L’espressione può avere un riferimento alle la regola di critica testuale per la quale la
persone o ai luoghi. Visto l’antecedente del versione breve è quella più probabile, cre-
«pretorio», è meglio tradurre in base alla diamo che to.n lo,gon lalei/n sia il testo ori-
seconda soluzione e vedere nel testo l’uso ginale, il quale è stato espanso in due diversi
della metonimia, con l’indicazione del luogo modi dagli scribi che intendevano chiarire
invece della gente che vi si trova. l’espressione. A sostegno dell’ipotesi di un
1,14 Divenuti fiduciosi nel Signore (evn kuri,w| intervento successivo nel testo con l’intento
pepoiqo,taj) – Il sintagma richiama il testo di spiegarlo, è da ricordare anche il fatto che
di Fil 2,24, dove troviamo la formulazione il sintagma to.n lo,gon lalei/n nel suo insie-
«sono convinto nel Signore» (pe,poiqa de. evn me non si ritrova nella letteratura paolina.
kuri,w|). Tuttavia esso è ben diffuso in Atti (p. es.,
Annunciare... la Parola (to.n lo,gon lalei/n) 4,29; 8,25; 14,25) a indicare l’annuncio del
– La forma del testo può essere messa in Vangelo. D’altra parte, l’uso assoluto di o`
discussione. Infatti, il codice Sinaitico (‫)א‬, lo,goj in riferimento al messaggio cristiano è
il Vaticano (B) e l’Alessandrino (A), insieme testimoniato nelle protopaoline (Gal 6,6; 1Ts
ad altri manoscritti, riportano «annunciare la 1,6). In conclusione, l’espressione di Fil 1,14
parola di Dio» (to.n lo,gon tou/ qeou/ lalei/n) e, è sinonimica di quella di 1Ts 2,2: «annun-
a loro volta, i codici di Augia (F) e di Börner ciare il Vangelo» (lalh/sai to. euvagge,lion).
(G) leggono «annunciare la parola del Signo- 1,15 Invidia e rivalità (fqo,non kai. e;rin) –

Al v. 12 l’Apostolo fa sapere ai destinatari che l’attuale condizione di prigio-


niero risulta, paradossalmente, a vantaggio del Vangelo. I Filippesi conoscono
già la situazione; Paolo si preoccupa di fornirne una sua valutazione. Infatti, il v.
13 mostra una prima ragione per la quale la prigionia dell’Apostolo contribuisce
all’avanzamento del Vangelo. Si tratta del fatto che nel pretorio e negli ambienti
circostanti tutti sono venuti a sapere che Paolo è in prigione, esclusivamente a
motivo di Cristo e del Vangelo che annuncia.
D’altra parte, al v. 14 viene data una seconda prova a favore del progresso
del Vangelo nell’ambito della carcerazione paolina. Se il contesto precedente
era quello pagano, ora è invece quello tipicamente cristiano. La maggioranza dei
cristiani della comunità, residente nel luogo dove l’Apostolo è incarcerato, hanno
acquisito dalla stessa prigionia di Paolo una maggiore convinzione nella fede per
testimoniare senza paura il Vangelo.
Il quadro positivo derivante dalla coraggiosa proclamazione del Vangelo è
37 FILIPPESI 1,17

per Cristo 14e la maggior parte dei fratelli, divenuti fiduciosi nel
Signore a causa delle mie catene, osano annunciare ancor più la
Parola, senza alcun timore. 15Alcuni, certo, annunciano Cristo per
invidia e rivalità, ma altri lo fanno di buon animo. 16Questi ultimi
agiscono per amore, sapendo che io sono qui per la difesa del
Vangelo; 17gli altri, invece, proclamano Cristo per spirito di rivalità,

In base al contesto successivo, è Paolo co- 1,16 Io sono qui (kei/mai) – Il verbo greco
lui che è fatto oggetto di questi sentimenti proviene dal linguaggio militare nel senso
malevoli. di «essere designato, stabilito». Nel NT as-
Di buon animo (diV euvdoki,an) – Nel NT il sume oltre al significato di «giacere, stare»
termine euvdoki,a denota il favore e la volon- (p. es., Mt 3,10; Gv 20,5; Ap 4,2), quello
tà divine (p. es., Mt 11,26; Lc 2,14; Ef 1,5) di «essere destinato, costituito», a motivo di
oppure la benevolenza umana (Rm 10,1; 2Ts una designazione divina (Lc 2,34; 1Ts 3,3).
1,11). La seconda accezione, in riferimento Questa seconda accezione si confà al testo
al ben volere nei confronti dell’Apostolo, è di Fil 1,16, evocando la volontà di Dio dietro
più adatta al nostro testo e appare coerente la carcerazione di Paolo.
con quanto si dice al v. 16, dove l’«amore» 1,17 Per spirito di rivalità (evx evriqei,aj) –
è verso Paolo. Il termine evriqei,a, che nel contesto assume
Annunciano Cristo (to.n Cristo.n khru,ssousin) significato simile a e;rij («rivalità») pur non
– Il sintagma è tipicamente paolino (cfr. 1Cor derivando da esso, negli scritti paolini si
1,23; 15,12; 2Cor 4,5), ma non esclusivamente riferisce a un modo di agire interessato ed
(At 8,5). In particolare il verbo khru,ssw («an- egoistico (Rm 2,8; 2Cor 12,20; Gal 5,20); in
nunciare»), utilizzato per i proclami ufficiali Fil 2,3 è direttamente contrapposto, insieme
dell’araldo nell’ambito cittadino, indica un con la vanagloria, all’umiltà.
annuncio pubblico e manifesto cosicché tutti, Proclamano Cristo (to.n Cristo.n katagge,l-
senza esclusione, ne conoscano il messaggio. lousin) – Sintagma che nel NT si ritrova so-

tuttavia incrinato dall’ambivalenza delle intenzioni degli annunciatori, che sono


stati appena menzionati. In effetti, ai vv. 15-17, l’Apostolo deve riconoscere che
la situazione è confusa: alcuni di questi cristiani annunciano la Parola con buona
disposizione e con amore nei confronti di Paolo, poiché sono convinti che l’Apo-
stolo sia stato imprigionato a causa della sua difesa del Vangelo; mentre altri lo
fanno con invidia e spirito di contesa, per interesse e con intenzioni non pure.
Questi ultimi danno probabilmente un giudizio negativo sulla detenzione di Paolo
(segno che non è un vero predicatore inviato da Dio) e, pur non essendo il loro
messaggio in contrasto con quello dell’Apostolo, cercano di fargli concorrenza
per accrescere il loro prestigio personale all’interno della comunità cristiana.
Secondo una modalità consueta e presente anche nella nostra lettera (cfr. 1,28;
3,2.18-19), Paolo non fornisce un profilo preciso di coloro che si contrappongono
a lui e che possono esercitare una cattiva influenza sulle sue comunità, perché ciò
che conta è la loro immagine negativa di cattivo esempio per gli ascoltatori. Gli
FILIPPESI 1,18 38

ἁγνῶς, οἰόμενοι θλῖψιν ἐγείρειν τοῖς δεσμοῖς μου. 18 Τί γάρ;


πλὴν ὅτι παντὶ τρόπῳ, εἴτε προφάσει εἴτε ἀληθείᾳ, Χριστὸς
καταγγέλλεται, καὶ ἐν τούτῳ χαίρω.

Ἀλλὰ καὶ χαρήσομαι, 19 οἶδα γὰρ ὅτι τοῦτό μοι ἀποβήσεται


18c 

εἰς σωτηρίαν διὰ τῆς ὑμῶν δεήσεως καὶ ἐπιχορηγίας τοῦ


πνεύματος Ἰησοῦ Χριστοῦ 20 κατὰ τὴν ἀποκαραδοκίαν καὶ

lo qui e nel versetto seguente; è sinonimo In Fil 1,17 si tratta di un soffrire nell’ambito
di to.n Cristo.n khru,ssousin («annunciano interiore, mentre in 4,14 ci si riferisce in senso
Cristo»). In particolare il verbo katagge,llw ampio alle pene derivanti dalla prigionia.
(«proclamare») evoca una proclamazione 1,19 Questo (tou/to) – Si riferisce a ta. katV
solenne, quasi sacrale. evme, («le mie vicende») del v. 12 e quindi alla
Dolore (qli/yin) – qli/yij nel NT riveste diver- situazione presente di Paolo.
si significati: la tribolazione in vista del com- Questo sfocerà nella mia salvezza (tou/to, moi
pimento escatologico (p. es., Mt 24,29; Mc avpobh,setai eivj swthri,an) – Ripresa letterale
13,19; At 14,22), la persecuzione e l’impri- di una parte di Gb 13,16 [LXX].
gionamento per la fede (At 11,19; 1Ts 1,6; Ap Salvezza (swthri,a) – Per alcuni si tratta del-
2,10), dolore di ordine fisico (Gv 16,21; 2Cor la liberazione dalla prigione, per altri della
1,8), sofferenza interiore (2Cor 2,4; Gc 1,27). salvezza finale. Il termine è sempre usato da

avversari di 1,15-17 immaginano, a torto, di provocare la gelosia e il dispiacere


dell’Apostolo, incarcerato e impedito di proseguire la missione, aggravando la sua
sofferenza. In realtà, invece che arrecare desolazione, la loro iniziativa ha contri-
buito alla gioia del prigioniero, a motivo del progredire dell’annuncio (v. 18).
Paolo dunque opera un attento discernimento a proposito di questa opera di
evangelizzazione e, alla fine, espone il risultato di tale riflessione al v. 18. Si tratta
di un discernimento paradossale perché l’Apostolo, pur non mancando di finezza
nel giudicare le intenzioni degli evangelizzatori, afferma come Dio compia la
sua opera anche attraverso le menzogne e gli opportunismi degli uomini. Così,
senza negare l’ambiguità della situazione, Paolo ritiene che essenziale non è la
benevolenza nei confronti della sua persona e neppure la caratura morale di questi
annunciatori, ma il progresso del Vangelo.

1,18c-26 Ipotesi e riflessioni sulla situazione futura di Paolo


Da questo momento l’Apostolo non parla più del passato e del presente ma
del suo avvenire. Riguardo alla preferenza tra vita e morte, che il prigioniero si
pone di fronte, la scelta da lui operata è in vista non della beatitudine personale,
ma del bene delle Chiese. Così Paolo giudica tutto in relazione al Vangelo, anche
la sua situazione futura, manifestando il proprio convincimento che essa, in ogni
caso, risulterà a vantaggio dell’annuncio con un positivo esito salvifico; di tutto
39 FILIPPESI 1,20

senza alcuna sincerità, pensando di aggiungere dolore alle mie


catene. 18Ma che importa? Purché in ogni modo, o per pretesto
o nella verità, Cristo sia annunciato; di questo io gioisco.

E ne gioirò ancora: 19so che questo sfocerà nella mia


18c

salvezza, grazie alla vostra preghiera e all’assistenza dello


Spirito di Gesù Cristo; 20questa è la mia fervida attesa e

Paolo con una connotazione escatologica (p. come aiuto fornito a Paolo per mezzo dello
es., Rm 10,1; 2Cor 7,10;1Ts 5,8-9) e così ap- Spirito, a motivo del contesto e della pro-
pare anche nelle altre due occorrenze della messa di Gesù riguardo all’assistenza dello
nostra lettera (1,28; 2,12). Inoltre nel contesto Spirito per i credenti, chiamati a rendere te-
di Gb 13,16 swthri,a ha certamente questa stimonianza di fronte ai loro accusatori (Mt
sfumatura. Infine nei versetti seguenti l’Apo- 10,20; Mc 13,11; Lc 12,12).
stolo non esclude una prossima morte fisica, 1,20 Fervida attesa – Il vocabolo avpokaradoki,a
svuotando di senso il rimando a una liberazio- è raro ed è utilizzato nel NT soltanto in Rm
ne dal carcere. In conclusione è da ritenere il 8,19. Esprime l’intensa attesa di un futuro
riferimento alla salvezza escatologica. migliore, segnata però dalle difficili circo-
Assistenza dello Spirito (evpicorhgi,aj tou/ stanze presenti che provocano ansia e sof-
pneu,matoj) – Il genitivo ha valore soggettivo, ferenza.

questo egli continua a rallegrarsi. L’Apostolo scandisce le considerazioni riguardo


all’avvenire in tre momenti: all’inizio esprime la sua speranza nella salvezza e la
sua fiducia di glorificare Cristo (vv. 18c-20), poi si pone l’alternativa tra l’essere
con Cristo e il lavoro apostolico per le Chiese (vv. 21-24), infine è convinto di
rimanere in vita per il progresso dei Filippesi (vv. 25-26).
1,18c-20 Speranza nella salvezza e fiducia nella propria glorificazione di Cristo
Al v. 19 l’Apostolo fa un’allusione (difficilmente colta come tale dai suoi
destinatari) al testo biblico di Gb 13,16 [LXX]: «questo sfocerà nella mia sal-
vezza» per esprimere, in parallelo con il personaggio di Giobbe, la fiducia nella
salvezza finale di Dio, nonostante le presenti difficoltà e sofferenze dovute alla
prigionia. Tale convincimento deriva dal sostegno proveniente dalla preghiera
dei Filippesi, grazie alla quale lo Spirito verrà a guidarlo nella testimonianza
di Cristo e ad assisterlo con la sua protezione. Come in Rm 8,9, il testo utilizza
l’espressione «Spirito di Gesù Cristo», la quale mostra la cristologizzazione della
pneumatologia da parte di Paolo, dal momento che lo Spirito, di solito riferito a
Dio, è ora esclusivamente messo in rapporto con Cristo. In questo modo, però,
si sottolinea bene che lo Spirito è frutto della Pasqua e dono del Risorto ai suoi
discepoli (cfr. Gv 20,22).
Al v. 20 Paolo precisa che l’esito salvifico della propria storia è legato alla
sua attesa e alla sua speranza. L’oggetto di queste è espresso con il linguaggio
FILIPPESI 1,21 40

ἐλπίδα μου, ὅτι ἐν οὐδενὶ αἰσχυνθήσομαι ἀλλ᾽ ἐν πάσῃ


παρρησίᾳ ὡς πάντοτε καὶ νῦν μεγαλυνθήσεται Χριστὸς ἐν τῷ
σώματί μου, εἴτε διὰ ζωῆς εἴτε διὰ θανάτου. 21 Ἐμοὶ γὰρ τὸ ζῆν
Χριστὸς καὶ τὸ ἀποθανεῖν κέρδος. 22 εἰ δὲ τὸ ζῆν ἐν σαρκί,

Franchezza (parrhsi,a)| – Il termine greco è profitto da acquisire con la morte, l’infinito


diffuso nelle lettere paoline (p. es., 2Cor 3,12; sostantivato to. zh/n («il vivere») è utilizzato
Col 2,15; Fm 8) a indicare assenza di paura, si- in riferimento non solo alla vita terrena, ma
curezza e libertà di espressione, anche in pub- anche alla vita di fede, già vita eterna, che
blico. Proprio secondo quest’ultima accezione tuttavia troverà il suo compimento nell’in-
è da comprendersi nel nostro versetto. contro con Cristo (cfr. Rm 8,10; 14,7-8; Gal
Nel mio corpo (evn tw/| sw,mati, mou) – Secon- 2,19-20; Col 3,3-4).
do la prospettiva antropologica semitica, con 1,22 La sintassi e la punteggiatura del ver-
«corpo» l’autore intende tutto l’essere umano. setto costituiscono un problema. Secondo
Tuttavia l’intero sintagma non è semplice- una prima soluzione, che tiene conto anche
mente sinonimo di «in me», ma vuol evocare della punteggiatura usata nell’edizione del
il fatto che attraverso il suo corpo incatenato testo greco, si può leggere: «Ma se vivere
Paolo rende testimonianza a Cristo. nella carne (questo) comporta per me un
1,21 Il vivere è Cristo (to. zh/n Cristo,j) – lavoro fruttuoso [protasi], (e) non so che
Poiché la seconda parte del versetto parla del cosa scegliere [apodosi]» (questa è sostan-

della vergogna e dell’esaltazione mutuato dai Salmi (34,26-27; 39,15-17 [LXX]),


dove la rovina dell’empio e il corrispondente riscatto del giusto vanno a lode di
Dio. Si può citare anche un testo di Qumran, recante una preghiera che l’orante
presenta a Dio per sé e i suoi compagni: «La mia mano colpirà tutti quelli che mi
deridono perché credono che la tua potenza non si possa manifestare in me. Tu
ti manifestasti a me nella tua forza, in luce perfetta, e non copristi di vergogna
la mia faccia» (Inni [1QHa] 12,22-24). L’Apostolo vede così la propria libertà di
parola di fronte ai suoi accusatori, nell’ambito del processo, come l’occasione di
un’esaltazione di Cristo e del Vangelo; un’esaltazione paradossale perché avviene
proprio attraverso la sua condizione di prigioniero, apparentemente sconfitto. In
fondo, Paolo è convinto che in qualsiasi modo si concluderà la sua carcerazione,
egli magnificherà Cristo: se sarà liberato, potrà ancora parlare di lui; se morirà,
la sua sarà una morte a causa del Vangelo.
1,21-24 L’alternativa tra l’essere con Cristo e il lavoro apostolico per le Chiese
I vv. 21-24 vengono a esplicitare quest’ultimo assunto del testo, legato alla
fine della prigionia. Infatti, cominciando con il v. 21, l’Apostolo sottolinea come
tutta la sua vita sia ormai orientata a Cristo e inseparabile da lui. In questo modo,
viene anche anticipato il passaggio di 3,7-12, dove si trova la presentazione
41 FILIPPESI 1,22

la mia speranza: in nulla sarò svergognato ma, in tutta


franchezza, ora come sempre, Cristo sarà esaltato nel mio corpo,
sia che io viva, sia che io muoia. 21Per me infatti il vivere è Cristo
e il morire un guadagno. 22Ma se devo vivere nella carne, allora

zialmente la scelta del testo CEI). In base designare una condizione di peccato (Rm
invece a un’altra ipotesi, il testo recita: «Ma 7,5; 8,8-9), ma anche il corpo nel suo aspet-
se devo vivere nella carne [protasi], allora to mortale e debole (p. es., Rm 2,28; 2Cor
questo comporta per me un lavoro fruttuo- 10,3; Gal 4,14). Nel nostro testo è chiara-
so [apodosi]. E che cosa sceglierò? Non lo mente presente la seconda prospettiva, cosic-
so». Nella prima soluzione l’impiego di tou/ ché l’intera costruzione «vivere nella carne»
to («questo») sarebbe inutile e kai, («e») non indica l’esistenza mortale, in ripresa di «sia
avrebbe una funzione chiara (tanto che spes- che io viva» del v. 20.
so non viene tradotto). Invece nella seconda Un lavoro fruttuoso – L’espressione karpo.j
ipotesi i due succitati elementi hanno il loro e;rgou (alla lettera: «frutto del lavoro») è di
ruolo appropriato, in particolare kai, è da in- derivazione anticotestamentaria (cfr., p. es.,
terpretare come introduzione a una domanda Pr 19,22; Is 3,10; Ger 17,10), utilizzata per
improvvisa che esprime perplessità (cfr. Mc descrivere l’impegno missionario dell’Apo-
10,26; Gv 9,36; 2Cor 2,2). stolo, visto nella prospettiva di un futuro
Nella carne (evn sarki,) – Il sintagma può sviluppo.

dell’itinerario personale di Paolo, modellato su quello del suo Signore. Utiliz-


zando un linguaggio commerciale, ulteriormente sviluppato in 3,7-8, l’Apostolo
afferma che la morte risulta per lui un guadagno, poiché essa gli permette di
accedere all’unione piena con Cristo, scopo della sua vita. A una prima lettura,
l’autore sembra sfruttare un topos tipicamente greco, secondo il quale la morte
è da preferire in quanto liberazione da una vita faticosa e insopportabile, per
protendersi verso un aldilà pensato come del tutto migliore. Platone, p. es., pa-
ragona la morte a un lungo sonno e la considera «un guadagno meraviglioso»
(Apologia 40c-d). Ma se il vocabolario è lo stesso, la motivazione di Paolo per
giudicare la morte un guadagno è ben diversa e dipende esclusivamente dal fatto
che essa è la condizione indispensabile per giungere a una perfetta comunione
con il suo Signore.
Il v. 22 fa da contrappunto al precedente, presentando come ragione per vi-
vere l’impegno dell’Apostolo a favore del Vangelo. In fondo, come riguardo al
morire, anche per il vivere la motivazione è cristologica: Paolo desidera la morte
per conseguire la piena comunione con Cristo, ma vuole la vita per annunciare lo
stesso Cristo. Ecco allora la sua esitazione tra due prospettive entrambe valide.
Questa alternativa è riproposta ai vv. 23-24. La preferenza per la morte che
FILIPPESI 1,23 42

τοῦτό μοι καρπὸς ἔργου, καὶ τί αἱρήσομαι οὐ γνωρίζω.


23
 συνέχομαι δὲ ἐκ τῶν δύο, τὴν ἐπιθυμίαν ἔχων εἰς τὸ ἀναλῦσαι
καὶ σὺν Χριστῷ εἶναι, πολλῷ [γὰρ] μᾶλλον κρεῖσσον· 24 τὸ δὲ
ἐπιμένειν [ἐν] τῇ σαρκὶ ἀναγκαιότερον δι᾽ ὑμᾶς.

So (gnwri,zw) – Nel NT il verbo significa gio (p. es., Rm 1,24; Gal 5,16; Col 3,5). Fa
«far conoscere, manifestare» (p. es., Lc 2,15; eccezione il testo di 1Ts 2,17, dove il termine
Gv 15,15; 1Cor 15,1); tuttavia il senso scelto descrive la brama dell’Apostolo di rivedere
è più conforme al nostro contesto, anche se è al più presto la sua comunità. Secondo questa
attestato solo nel greco extrabiblico. accezione positiva, nel nostro testo evpiqumi,a
1,23 Sono stretto (sune,comai) – La forma esprime una profonda aspirazione di Paolo.
passiva del verbo sune,cw, termine che si Partire (avnalu/sai) – Il verbo avnalu,w richiama
legge pure in 2Cor 5,14, esprime l’idea di diverse situazioni: togliere l’ancora o le go-
dipendenza da pressioni; in questo caso mene perché la nave salpi dal porto, arrotolare
Paolo si trova sottomesso a due tendenze una tenda per spostare altrove la propria di-
contrapposte. mora, sciogliersi dai vincoli che impediscono
Desiderio (evpiqumi,an) – Il vocabolo evpiqumi,a l’espressione della propria libertà. In coerenza
è utilizzato nelle lettere paoline secondo con questo ultimo punto di vista, gli autori
un’accezione negativa, significando un’at- greci utilizzano il verbo come un eufemi-
trazione per qualcosa di proibito e di malva- smo per indicare la morte, con la migrazione

l’Apostolo ribadisce al v. 23 è ancora motivata con la possibilità di una com-


pleta unione con Cristo – e ciò rappresenterebbe il vero bene per Paolo. Si deve
rilevare che il linguaggio del v. 23 richiama un testo di Platone, riguardante il
suicidio: «E più ti farà meraviglia che, se a volte per alcuni è meglio morire
che vivere, anche per costoro, per i quali meglio è la morte, non sia cosa santa
arrecarsi questo beneficio da loro stessi, ma lo debbono aspettare da un altro»
(Fedone 62a). Tuttavia Paolo non vuole darsi la morte, ma manifesta semplice-
mente il suo desiderio di morire, confrontato poi, nel versetto successivo, con
l’aspirazione a restare in vita. L’Apostolo pone il suo ragionamento in rapporto
al processo che lo aspetta e che comporta la possibilità di una condanna a morte.
In maniera chiara i vv. 24-26 ci diranno che Paolo farà di tutto per essere rila-
sciato e continuare il suo lavoro apostolico, escludendo dunque, senza dubbio,
una propensione al suicidio.
Al v. 24 il rimanere in vita a vantaggio dell’apostolato è presentato come alterna-
tiva al morire per conseguire la comunione con Cristo. Richiamando anche quanto
detto al v. 10, il discernimento di Paolo non consiste nella scelta tra bene e male,
ma tra due cose altrettanto positive: tra ciò che è migliore e ciò che è più necessario.
La seconda opzione, come diranno anche i versetti seguenti, è quella che obbliga e
prevale, per il fatto che essa rappresenta il bene degli altri da anteporre al proprio,
rappresentato dall’unione piena con Cristo. Con questa preferenza in ragione dei
bisogni delle Chiese, Paolo dimostra non solo un totale decentramento da sé, ma
anche la fedeltà al suo ministero di apostolo inviato per l’annuncio del Vangelo.
43 FILIPPESI 1,24

questo comporta per me un lavoro fruttuoso. E che cosa sceglierò?


Non lo so. 23Sono stretto tra queste due cose: ho il desiderio di
partire e di essere con Cristo – il che sarebbe di gran lunga
meglio –, 24ma rimanere nella carne è più necessario per voi.

dell’anima. Così avviene nel nostro testo. Efrem [C]) lo omettono; in ogni caso il sen-
Essere con Cristo (su.n Cristw/| ei=nai) – Solo so della frase non subisce un cambiamento
qui nel corpus paulinum. sostanziale.
Îga,rÐ – L’edizione critica attesta un’incer- Più necessario (avnagkaio,teron) – Lo stesso
tezza riguardo all’inclusione della congiun- aggettivo avnagkai/on, qui al comparativo,
zione perché alcuni importanti manoscritti, è utilizzato al grado positivo in 2,25, per
come il codice Sinaitico (‫ )א‬e una correzio- esprimere l’urgenza di rimandare Epafrodi-
ne nel codice Claromontano (D) lo omet- to a motivo dei Filippesi. Altro interessante
tono; in ogni caso il senso della frase non parallelo è 1Cor 9,16, dove Paolo presenta
subisce un cambiamento sostanziale. Nella il suo ministero di annuncio come un dovere
nostra traduzione lo abbiamo omesso. (avna,gkh) che gli è imposto da Dio.
1,24 Nella ÎevnÐ – L’edizione critica attesta Per voi (diV u`ma/j) – Riferimento prima di
un’incertezza riguardo all’inclusione del- tutto ai Filippesi e poi anche alle altre Chie-
la preposizione, perché alcuni importanti se. Anche il «voi» del versetto seguente ha
codici (Sinaitico [‫]א‬, Alessandrino [A], di la stessa estensione.

L’escatologia proposta ai vv. 21-24 è ampiamente discussa dagli studiosi, perché


mostra aspetti non presenti altrove nelle lettere paoline. Infatti, se in testi come 1Cor
15,50-53 e 1Ts 4,15-17 si afferma che l’unione con Cristo del credente si compirà
con la risurrezione della carne alla fine dei tempi, nei nostri versetti Paolo parla
di una comunione con il suo Signore subito dopo la morte, con l’allusione a una
separazione dell’anima dal corpo (cfr. l’uso del verbo analýō al v. 23). Questi ver-
setti smentiscono l’opinione che l’Apostolo credesse soltanto nella risurrezione dei
morti, in quanto giudeo e fariseo, e non nell’immortalità dell’anima, idea tipicamente
greca. In effetti, la stessa tradizione giudaica presenta alcune affermazioni sulla
presenza delle anime dei giusti presso Dio, dopo la loro dipartita da questo mondo
(cfr. Sap 2,23–3,3; 4,7-15; Giuseppe Flavio, La guerra giudaica 3,372). Così l’idea
dell’immortalità dell’anima faceva parte dell’eredità culturale (greca e giudaica)
di Paolo e non costituiva un problema per lui; d’altronde, le motivazioni, addotte a
riguardo dall’Apostolo, non sono le stesse dei Greci. Infatti nella nostra lettera egli
non deduce l’immortalità dell’anima dalla natura immortale della stessa, ma dal fatto
che il credente, unito a Cristo già in questa vita, non potrà essere separato da lui nel
mondo a venire; così per il cristiano questa esistenza anticipa l’unione post mortem
con Cristo. In Filippesi la prospettiva di uno stato intermedio dopo la morte è com-
plementare a quella tipica paolina della risurrezione della carne alla fine dei tempi
(3,11.20-21). Quindi per il credente il legame con Cristo dopo la morte diventa un
preludio alla condivisione della sua gloria nella trasformazione finale alla parusia.
1,25-26 La convinzione di Paolo di rimanere in vita per i Filippesi
FILIPPESI 1,25 44

 καὶ τοῦτο πεποιθὼς οἶδα ὅτι μενῶ καὶ παραμενῶ πᾶσιν


25

ὑμῖν εἰς τὴν ὑμῶν προκοπὴν καὶ χαρὰν τῆς πίστεως, 26 ἵνα τὸ
καύχημα ὑμῶν περισσεύῃ ἐν Χριστῷ Ἰησοῦ ἐν ἐμοὶ διὰ τῆς ἐμῆς
παρουσίας πάλιν πρὸς ὑμᾶς.

 Μόνον ἀξίως τοῦ εὐαγγελίου τοῦ Χριστοῦ πολιτεύεσθε, ἵνα


27

εἴτε ἐλθὼν καὶ ἰδὼν ὑμᾶς εἴτε ἀπὼν ἀκούω τὰ περὶ ὑμῶν, ὅτι

1,25 Il vostro progresso e la gioia della vo- 1,26 Vanto (kau,chma) – Il vocabolo, che sarà
stra fede (th.n u`mw/n prokoph.n kai. cara.n utilizzato anche in 2,16 (mentre in 3,3 ab-
th/j pi,stewj) – I primi due sostantivi non for- biamo il verbo corrispondente kauca,omai),
mano un’endiadi, ma esprimono due diverse indica l’atto di vantarsi, il risultato di questo
finalità. La prima è il «progresso» dei Filip- atto (ciò che è detto) o le sue ragioni. Nel
pesi nella fede, inclusione con il «progresso» nostro testo designa l’esito del vanto at-
del Vangelo del v. 12, e verrà approfondito traverso quanto viene affermato (cfr. 2Cor
nei vv. 27-30. Il secondo scopo è la «gioia» 5,12; 9,13). Questo concetto paolino ha le
che ha come oggetto la «fede» (genitivo og- sue radici nella versione greca della Settanta,
gettivo): la gioia dei Filippesi per il ritorno secondo la quale nel vanto l’uomo manifesta
di Paolo deve avere il suo referente ultimo la fiducia e il fondamento su cui costruisce la
nel contenuto della fede e cioè nel vangelo propria esistenza (cfr. 1Re 2,10 [TM 1Sam
di Cristo da lui annunciato. 2,10]; Sal 48,7 [TM 49,7]; Ger 9,23-24); se

I vv. 25-26 si presentano come la soluzione dell’alternativa evidenziata ai vv.


23-24 e costituiscono una transizione dalla situazione di Paolo, della quale si è
parlato a partire dal v. 12, a quella dei Filippesi, che sarà approfondita ai vv. 27-30.
In particolare, ciò che stupisce dei vv. 25-26 è come lo stato di indeterminatezza tra
vita e morte, così angosciante nei versetti precedenti, sia qui superato in maniera
abbastanza repentina, attraverso la convinzione (non certezza) di Paolo di rimanere
in vita a vantaggio della crescita dei Filippesi. In verità, nei versetti precedenti
l’Apostolo ha drammatizzato un dilemma, da lui già affrontato e superato, a solo
beneficio dei destinatari, affinché essi siano capaci di un vero discernimento nel
già e non ancora in cui vivono.
Come ulteriore conseguenza della sopravvivenza di Paolo, affermata al v. 25,
avverrà che il vanto dei Filippesi (v. 26) a motivo di lui e per la sua venuta, ab-
bondi in relazione a Cristo. Rivedendo l’Apostolo, ormai liberato dal carcere, i
suoi avranno modo di rafforzare la loro fiducia in Cristo e, conseguentemente, di
rendere lode al Signore per quanto operato nei confronti di Paolo, riconoscendo
che tutto ciò ricade proprio a loro beneficio.
45 FILIPPESI 1,27

25
Convinto di questo, so che resterò e sarò vicino a tutti voi per
il vostro progresso e la gioia della vostra fede, 26perché il vostro
vanto abbondi in rapporto a Cristo Gesù, a motivo del mio
ritorno tra voi.

Soltanto, comportatevi da cittadini degni del Vangelo di Cristo,


27

affinché, sia che io venga e vi veda, sia che rimanga lontano,

tale sicurezza è posta in Dio, il vantarsi del 10,10). In base a questa ultima accezione il
credente si esprime ad alta voce nella lode vocabolo è usato in Fil 1,26; 2,12.
gioiosa per i doni da lui ricevuti (cfr. Sal  1,12-26 Testi affini: Col 1,24–2,5
5,12; 31,11 [TM 32,11]; 149,5). 1,27 Vangelo di Cristo (euvaggeli,ou tou/ Cri-
Ritorno – Il termine parousi,a ha il signi- stou/) – In ragione dei paralleli tra «Vange-
ficato originario di «presenza», ma nel NT lo» e «Cristo» presenti nel brano precedente
assume anche il senso di «venuta, ritorno», (in particolare nei vv. 15-18), è opportuno
come inizio dell’essere presente. Si tratta, vedervi un genitivo epesegetico, cioè che
per lo più, della venuta di Cristo alla fine esplicita con una determinazione particolare
dei tempi (p. es., Mt 24,3; 1Cor 15,23; Gc il sostantivo al quale si riferisce: «il Vangelo
5,7-8). Ma ci sono riferimenti anche all’ar- che è Cristo».
rivo e alla presenza di altri: l’Anticristo (2Ts Comportatevi da cittadini (politeu,esqe) – Il
2,9) o una persona (1Cor 7,6-7; 16,17; 2Cor verbo politeu,omai ha come suo originario

ESORTAZIONE GENERALE (1,27-30)


Passando dalla sua situazione a quella dei Filippesi («di voi» traduce in 1,27 il
greco tà perì hymō̂n, alla lettera «le cose che vi riguardano», cfr. 2,19-20), Paolo
presenta per la prima volta un’esortazione. Come gli avvenimenti riguardanti
l’Apostolo (cfr. 1,12) erano letti in ragione del Vangelo, così ora anche quelli che
coinvolgono i suoi. Secondo un punto di vista originale, Paolo intende far prendere
coscienza ai Filippesi che la difesa e il progresso del Vangelo non sono esclusivi
degli apostoli e dei loro collaboratori, ma propri di ogni credente. Il brano di 1,27-
30 è costituito da un’unica proposizione in dipendenza da un imperativo iniziale,
al quale si saldano gli altri verbi in una connessione a cascata. Da una parte,
l’esortazione di 1,27-30 fa seguito alle notizie sulla carcerazione dell’Apostolo,
tirandone le conseguenze pratiche: poiché la situazione dei credenti di Filippi è
uguale alla sua, egli indica loro come comportarsi in un contesto di persecuzione.
Dall’altra, il brano introduce due punti salienti della lettera, cioè l’esortazione a un
“pensare” unitario (2,1-18) e l’invito a seguire l’esempio di Paolo, non lasciandosi
intimidire dagli avversari (3,1–4,1). Il testo di 1,27-30, segnato da un linguaggio
militare (già usato dai filosofi per descrivere la vita morale e religiosa), ha quindi
una funzione di cerniera nello sviluppo epistolare.
FILIPPESI 1,28 46

στήκετε ἐν ἑνὶ πνεύματι, μιᾷ ψυχῇ συναθλοῦντες τῇ πίστει


τοῦ εὐαγγελίου 28 καὶ μὴ πτυρόμενοι ἐν μηδενὶ ὑπὸ τῶν
ἀντικειμένων, ἥτις ἐστὶν αὐτοῖς ἔνδειξις ἀπωλείας, ὑμῶν δὲ
σωτηρίας, καὶ τοῦτο ἀπὸ θεοῦ· 29 ὅτι ὑμῖν ἐχαρίσθη τὸ ὑπὲρ
Χριστοῦ, οὐ μόνον τὸ εἰς αὐτὸν πιστεύειν ἀλλὰ καὶ τὸ ὑπὲρ
αὐτοῦ πάσχειν, 30 τὸν αὐτὸν ἀγῶνα ἔχοντες, οἷον εἴδετε ἐν ἐμοὶ
καὶ νῦν ἀκούετε ἐν ἐμοί.

significato quello di «condurre una vita po- posizione sul campo che i soldati devono
litica», in quanto evoca il libero cittadino mantenere di fronte al nemico. Nel NT ha
con i propri diritti e doveri nei confronti il significato base di «stare (in piedi)» (Mc
della città. Nel greco ellenistico il verbo as- 3,31; 11,25; Rm 14,4) e quello metaforico
sume poi il significato generico di «vivere, di «stare saldi» riguardo alla scelta di vita
comportarsi». Paolo sceglie il verbo in ra- cristiana (p. es., 1Cor 16,13; Gal 5,1; 2Ts
gione della condizione dei Filippesi, i quali 2,15). Nel nostro versetto e in 4,1 assume
andavano fieri della loro cittadinanza roma- questa seconda accezione.
na. Nel nostro contesto, dove l’imperativo Un solo Spirito... unanimi (e`ni. pneu,mati( mia/|
esortativo politeu,esqe è successivamente yuch/)| – La prima espressione si riferisce allo
specificato, Paolo domanda ai Filippesi di Spirito Santo, la seconda all’unità tra i cre-
tenere un comportamento comune e col- denti (cfr. At 4,32).
laborativo a vantaggio del Vangelo, come Lottando (sunaqlou/ntej) – Il verbo sunaqle,w,
quello dei cittadini che insieme vivono una presente nel NT solo qui e in 4,3, indica il
mutua e corporativa responsabilità per la combattere uniti. Nella lettera è riferito
città. all’annuncio del Vangelo.
State saldi (sth,kete) – Il verbo sth,kw, de- Fede del Vangelo (pi,stei tou/ euvaggeli,ou)
rivato dal perfetto di i[sthmi, evoca la salda – Si tratta probabilmente di un genitivo og-

Partendo dal v. 27, Paolo esorta in senso generale i Filippesi a comportarsi, tutti
insieme, in maniera conforme al Vangelo: è quello che ora è essenziale fare, la sola
cosa che importa («soltanto»), nell’ambito della loro situazione. Ciò richiede, a
prescindere dalla presenza o assenza dell’Apostolo tra loro, una forte unità interna
della comunità, in dipendenza dall’azione dello Spirito, ma anche una difesa e
una diffusione collettive del Vangelo in cui si crede, nonostante il contesto ostile
nel quale vivono i cristiani di Filippi.
Al v. 28 è aggiunto che nella loro lotta i destinatari della lettera non devono
temere gli avversari. Dall’insieme del brano si intuisce di essere di fronte a una
persecuzione dei cristiani che provoca sofferenza, la stessa sofferenza subita da
Paolo durante il soggiorno a Filippi e che l’Apostolo sta ancora sperimentando
a causa della sua detenzione. In ragione di questi dati è possibile pensare ai con-
cittadini pagani, i quali, appoggiati forse dall’autorità imperiale, sottopongono a
vessazioni più o meno pesanti i credenti in Cristo di Filippi. L’Apostolo arriva a
formulare una lettura profetica della situazione, affermando che, indipendente-
47 FILIPPESI 1,30

senta dire di voi che state saldi in un solo Spirito, lottando


unanimi per la fede del Vangelo, 28in nulla spaventati dagli
avversari; ciò è per loro segno evidente di perdizione, per voi
di salvezza – e questo viene da Dio. 29Vi è stata infatti concessa
la grazia non solo di credere in Cristo, ma anche di soffrire per
lui, 30affrontando lo stesso combattimento che avete visto in me
e ora sentite che io continuo a sostenere.

gettivo: «vangelo» costituisce l’oggetto del ferirsi alla dimensione fisica e terrena (cfr.
termine «fede» al quale si riferisce. anche 1,19).
1,28 Spaventati (pturo, m enoi) – Il verbo Questo (tou/to) – Rinvia, come h[tij, sia alla
ptu,rw è un hapax biblico (ricorre solo qui). lotta dei credenti per il Vangelo e alla loro
Nella letteratura greca è utilizzato per de- assenza di timore, sia alla perdizione e alla
scrivere la reazione dei cavalli che, essendo salvezza, citate immediatamente prima.
terrorizzati, diventano incontrollabili. 1,29 È stata... concessa la grazia (evcari,sqh)
Ciò (h[tij) – Questo pronome relativo si rife- – Si tratta di un passivo del verbo cari,zomai,
risce probabilmente alla lotta dei credenti per presente anche in 2,9, che evoca la «grazia»
il Vangelo e alla loro assenza di timore. (ca,rij). Nelle lettere paoline tale verbo è spes-
Perdizione – Il vocabolo avpw,leia, che si- so impiegato in connessione con il dono divi-
gnifica «perdizione, distruzione», utilizzato no della salvezza (p. es., Rm 8,23; 1Cor 2,12;
anche in 3,19, ha sempre nelle lettere paoli- Gal 3,18). In questa prospettiva il passivo di
ne un orientamento escatologico (Rm 9,22; 1,29 acquista il valore di un passivo teologico.
2Ts 2,3; 1Tm 6,9). Tale interpretazione ben 1,30 Lo stesso combattimento (to.n auvto.n
si adatta al contesto di 1,28 e a quello di avgw/na) – Il termine avgw,n in origine designa-
3,19, nei quali si parla di «salvezza» e di va il luogo dove si svolgevano le manifesta-
«salvatore», elementi che non possono ri- zioni atletiche, ma successivamente passa a

mente da ciò che gli altri pensano, la costanza e la non intimidazione dei credenti
filippesi nei confronti degli avversari sono un indizio chiaro dell’esito del conflitto:
la rovina eterna dei persecutori e la salvezza definitiva dei cristiani. Ma tenere
questa ferma condotta è possibile solo per dono di Dio, così come da lui dipende
anche il risultato della lotta.
Infatti al v. 29 Paolo precisa che è una «grazia», non soltanto il credere in Cri-
sto ma anche il soffrire per amore suo. L’assunto non costituisce un’esaltazione
del dolore, bensì una sottolineatura del valore della testimonianza coraggiosa
del Cristo al quale si è legati e si crede: un attaccamento e un amore più forti di
tutto, anche della morte. Questo privilegio non è solo appannaggio degli apostoli,
come Paolo più volte ricorda nelle sue lettere (p. es., 2Cor 1,5; Gal 6,17; Col
1,24), ma è proprio di ogni credente in Cristo (2Cor 1,6-7; 1Ts 2,14; 2Ts 1,5).
Dietro tale affermazione dell’Apostolo si può intravedere anche una risposta alle
difficoltà dei Filippesi, i quali, provenendo dalla religiosità pagana, dovevano
trovare l’idea di patire per Dio come radicalmente nuova.
FILIPPESI 2,1 48

2  Εἴ τις οὖν παράκλησις ἐν Χριστῷ, εἴ τι παραμύθιον


1

ἀγάπης, εἴ τις κοινωνία πνεύματος, εἴ τις σπλάγχνα


καὶ οἰκτιρμοί, 2 πληρώσατέ μου τὴν χαρὰν ἵνα τὸ αὐτὸ
φρονῆτε, τὴν αὐτὴν ἀγάπην ἔχοντες, σύμψυχοι,
τὸ ἓν φρονοῦντες, 3 μηδὲν κατ᾽ ἐριθείαν

indicare la competizione stessa. Nell’ambito  1,27-30 Testi affini: 1Cor 15,31-32; Ef


militare il vocabolo descrive la battaglia, sia 6,10-17; 1Tm 6,11-12
nella prospettiva di attacco che di difesa. Il 2,1 Se (evi), – Si tratta di quattro condizioni reali.
contesto del brano fa comprendere che avgw,n Consolazione (para,klhsij) – Il sostantivo
indica il combattimento per il Vangelo, in greco possiede due significati di base: «esor-
consonanza con altri passi paolini (Col 2,1; tazione» o «consolazione». Visto che al v. 1
1Ts 2,2). Questa lotta di Paolo è la stessa che vengono fornite le ragioni per l’esortazione
i Filippesi stanno ingaggiando, sia perché che sarà formulata soltanto al v. 2, è meglio
le circostanze sono analoghe, sia perché la considerare la seconda accezione del vocabo-
motivazione è sempre in relazione a Cristo lo. La consolazione del v. 1 può derivare diret-
e al Vangelo. tamente da Dio oppure dai fratelli nella fede.
Avete visto in me (ei;dete evn evmoi,) – Si tratta Incoraggiamento che proviene dalla carità
delle difficoltà affrontate da Paolo a Filippi (paramu,qion avga,phj) – Il termine paramu,qion
(At 16,11-40; 1Ts 2,2). è un hapax neotestamentario. La «carità» (in
Ora sentite che io continuo a sostenere (nu/n genitivo di origine nel testo greco) può essere
avkou,ete evn evmoi,) – Il riferimento è alla si- sia quella divina sia quella fraterna tra i cristiani.
tuazione di prigionia di Paolo, della quale si Comunione nello Spirito (koinwni,a pneu,matoj)
è parlato nei versetti precedenti. – Nel suo complesso il sintagma richiama

Il brano si conclude al v. 30 con la specificazione che la sofferenza dei Filip-


pesi deriva dal sostenere la stessa lotta per Cristo sostenuta da Paolo, quando
era presso di loro e ora nel suo luogo di prigionia. L’Apostolo propone quindi la
propria esperienza come paradigmatica (vedi la doppia ripetizione di en emoí) per
incoraggiare i Filippesi a vivere il suo stesso itinerario a vantaggio del Vangelo.
In questo modo l’autore innesca anche quel processo mimetico che avrà molta
importanza nell’insegnamento successivamente sviluppato nella lettera.

L’ESEMPIO DI CRISTO.
ESORTAZIONI BASATE SULL’ELOGIO DI CRISTO (2,1-18)
Dopo l’invito generale di 1,27-30, con il c. 2 inizia una prima serie di esorta-
zioni legate alla vita comunitaria dei Filippesi. Anche qui, come avviene sovente
nel suo epistolario, la parenesi di Paolo trova le sue vere ragioni nella motivazione
cristologica: solo guardando a Cristo e alla relazione con lui, il credente scopre le
modalità del suo giusto agire.
Il testo di 2,1-18 si divide chiaramente in tre parti: A. esortazione all’unità e
49 FILIPPESI 2,3

2 Se c’è quindi una consolazione in Cristo, se c’è un


1

incoraggiamento che proviene dalla carità, se c’è una


comunione nello Spirito, se c’è un tenero affetto, 2rendete piena
la mia gioia così da andare d’accordo: possedete la stessa carità,
unanimi; abbiate a mente l’unica cosa; 3non fate niente per

2Cor 13,13: «la comunione dello Spirito hanno un orientamento che può essere sia
Santo». Koinwni,a ha qui il senso passivo di umano sia divino.
«comunione» come dono ricevuto. Il termi- 2,2 Andare d’accordo (to. auvto. fronh/te) –
ne pneu,ma può essere riferito sia allo Spirito Più alla lettera: «possedere uno stesso mo-
Santo, visto il sintagma di 2Cor 13,13, sia allo do di sentire». Il sintagma greco, riproposto
spirito umano, dato che, a differenza di quanto sostanzialmente identico in 4,2, viene chia-
avviene in Fil 1,19; 3,3, pneu,ma non ha nessu- rito e specificato attraverso le quattro frasi
na qualifica. Anche in conseguenza di questa participiali che seguono immediatamente
duplicità di lettura, il genitivo pneu,matoj può nei vv. 2-4, caratterizzate dalla ripetizione
essere oggettivo («comunione nello Spirito») del verbo frone,w e dall’uso del sostantivo
oppure qualitativo («comunione spirituale»). tapeinofrosu,nh («umiltà») a esso legato.
Pur concedendo, in base all’uso paolino, una Unanimi (su,myucoi) – L’aggettivo su,myucoj
preferenza alla prima soluzione (cfr. 1Cor è un hapax biblico, ma richiama l’espressio-
12,13; Gal 3,2) con la relativa designazione ne mia/| yuch/| («unanimi») di 1,27.
divina, non può essere esclusa la seconda, Abbiate a mente l’unica cosa (to. e]n fronou/ntej)
legata alla dimensione ecclesiale. – L’unico intento da perseguire o l’unica re-
Tenero affetto (spla,gcna kai. oivktirmoi,) – gola a cui far riferimento è quella di avere la
I due termini greci formano un’endiadi e stessa mentalità di Cristo (v. 5).

all’umiltà (2,1-5); B. l’elogio di Cristo con valore esemplare (2,6-11); A’. ripresa
dell’esortazione (2,12-18). Così le esortazioni sono motivate a partire dal percorso
di Cristo, ma costituiscono anche l’angolatura, la prospettiva con la quale leggerlo.
Questo secondo orientamento è ben evidenziato nella richiesta che il «sentire» di
Cristo divenga anche il «sentire» dei cristiani (v. 5).

2,1-5 Esortazione all’unità e all’umiltà


In continuità con 1,27-30, questi versetti cominciano con il tema dell’unità
interna, che in 1,27 era considerata la qualità necessaria per resistere ai per-
secutori. D’altra parte, in 2,1-5 si prepara, attraverso gli elementi lessicali
(«umiltà», «considerare», «sentire», greco phronéō), il ricorso all’elogio esem-
plare di Cristo che sta a fondamento dell’esortazione stessa. Le realtà a partire
dalle quali essa è formulata rappresentano gli elementi di base dell’esperienza
cristiana dei Filippesi, vissuta nella relazione con Dio, ma anche nel rapporto
reciproco (v. 1). La parenesi di Paolo non è dunque esteriore, ma interiore,
cosicché la dinamica dell’agire provenga dalla profondità dei singoli credenti,
FILIPPESI 2,4 50

μηδὲ κατὰ κενοδοξίαν ἀλλὰ τῇ ταπεινοφροσύνῃ ἀλλήλους


ἡγούμενοι ὑπερέχοντας ἑαυτῶν, 4 μὴ τὰ ἑαυτῶν ἕκαστος
σκοποῦντες ἀλλὰ [καὶ] τὰ ἑτέρων ἕκαστοι. 5 Τοῦτο φρονεῖτε ἐν
ὑμῖν ὃ καὶ ἐν Χριστῷ Ἰησοῦ,

2,3 Vanagloria (kenodoxi,an) – Il termine tipico della lettera (2,6; 2,25; 3,7.8) e indica
kenodoxi,a è un hapax neotestamentario ed un giudizio e una valutazione fondati che
è presente nella Scrittura soltanto in Sap portano a una corrispondente decisione. An-
14,14. che l’uso di questo verbo lega l’esortazione
Umiltà – Il sostantivo tapeinofrosu,nh, non di 2,1-5 a 2,6-11.
utilizzato nell’AT (dove si trova però l’ag- 2,4 Cercate (skopou/ntej) – Il verbo skope,w,
gettivo corrispondente), è presente nel NT che sarà usato anche in 3,17, denota qui
nel contesto del rapporto con Dio (At 20,19; attenzione e cura, risultando sinonimo di
1Pt 5,5) o, come nel nostro versetto, nell’am- zhte,w («cercare»). Infatti quest’ultimo si ri-
bito delle relazioni comunitarie tra cristiani trova in sintagmi molto simili a quello di Fil
(Ef 4,2; Col 2,18.23; 3,12). Questo termine 2,4; cfr. 1Cor 10,24; 13,5; Fil 2,21.
prepara il verbo corrispondente evtapei,nwsen Anche (kai, ) – L’edizione critica attesta
(«umiliò») di 2,8. un’incertezza riguardo all’inclusione del
Considerate (h`gou,menoi) – Il verbo h`ge,omai è termine, perché alcuni importanti codici

animati dallo Spirito che hanno ricevuto. Infine, come emerge subito dalla
formulazione generale del v. 1, Paolo, mentre si rivolge ai Filippesi, ha di mira
anche tutte le altre comunità, alle quali ricorda valori evangelici essenziali e
sempre validi.
L’esortazione vera e propria comincia al v. 2 con la richiesta, diretta ai Filippesi,
di rendere piena la gioia di Paolo. Anche qui, come in 1,18, la gioia dell’Apostolo
è legata al Vangelo e al suo progresso ma, mentre in precedenza tale progresso de-
rivava dalla presenza di nuovi predicatori, ora dipende dalla crescita spirituale dei
destinatari. Così Paolo chiede ai suoi di avere una stessa fondamentale attitudine
verso gli altri, la quale si può esprimere in maniera multiforme. Si tratta non di
un’omogeneità superficiale che appiattisce le diversità all’interno della comunità
cristiana, ma di una profonda armonia di aspirazioni e di intenti. Questo orien-
tamento si esplicita nell’avere uno stesso spirito di carità nei rapporti reciproci,
nel tener presente una stessa regola di vita, derivante da Cristo, considerando, in
tutta umiltà, l’altro superiore a sé e mirando al suo bene e non al proprio. Nel loro
complesso i vv. 2-4 trovano un adeguato parallelo in Rm 12,16.
Il riferimento all’umiltà dei cristiani, modellata su quella di Cristo (v. 8), dove-
va suonare del tutto nuovo nel contesto greco-romano della città di Filippi. Infatti
per un Greco tale concetto assumeva una connotazione quasi esclusivamente
negativa: una debolezza di atteggiamento o di condizione per la quale si doveva
51 FILIPPESI 2,5

rivalità né per vanagloria, ma, con umiltà, considerate gli altri


superiori a voi stessi; 4non cercate ciascuno i propri interessi,
ma anche quelli degli altri. 5Abbiate tra voi lo stesso sentire che
fu anche in Cristo Gesù,

lo omettono (codice Claromontano [D], di In Cristo Gesù (ev n Cristw/ | VIhsou/ ) –


Augia [F], di Börner [G], di Mosca [K]), ma L’espressione è letta in una prospettiva so-
l’antichità e il diversificato luogo d’origine teriologica ed ecclesiale e cioè in relazione
dei testimoni a favore sono preponderanti. al rapporto presente del credente con Cristo
2,5 Tra voi (evn u`mi/n) – Può essere tradotto nella Chiesa, oppure in un’ottica etico-esem-
«in voi» (questa è la scelta del testo CEI) plare e quindi in riferimento alla vicenda sto-
con il senso interiore, oppure «tra voi», rica di Cristo come modello per i cristiani.
secondo il significato ecclesiale. A motivo Visto il contesto immediato, dove, a partire
del contesto comunitario dei versetti pre- dal pronome relativo o[j del v. 6, si comincia
cedenti e dell’uso paolino di un sintagma la descrizione dell’itinerario del Cristo ter-
simile come evn avllh,loij («l’un l’altro»), reno, è necessario adottare la seconda linea
riferito ai rapporti reciproci tra i cristiani interpretativa.
(Rm 1,12; 15,5), è da preferire il senso  2,1-5.12-18 Testi affini: Rm 15,1-6; 2Tm
ecclesiale. 1,13; 1Pt 2,13–3,7

provare solo vergogna. Paolo si riallaccia invece alla concezione biblica secondo
la quale l’umile è colui che affida a Dio la propria vita, senza confidare nelle sue
forze (cfr., p. es., Is 66,2; Sal 34,19; Gdt 9,11). Un altro riferimento può essere
trovato negli scritti di Qumran, dove l’umiltà è ritenuta un elemento portante della
vita comunitaria (p. es., Regola della Comunità [1QS] 2,24). Dunque l’Apostolo
invita i suoi destinatari ad avere rapporti reciproci improntati alla novità di esi-
stenza introdotta e vissuta da Cristo e non in base ai parametri della società nella
quale si trovano.
La frase di transizione del v. 5 si muove ancora nella linea esortativa dei versetti
precedenti, introducendo però, allo stesso tempo, il brano cristologico e il relativo
itinerario di Cristo come il «sentire» (greco phronéō, cfr. v. 2), cioè il modo di
pensare e di agire, al quale i credenti sono chiamati a riferirsi e a conformarsi
nei loro rapporti reciproci. Così, a partire da questo versetto, Cristo è presenta-
to come esempio da imitare. Tale prospettiva interpretativa è confermata, oltre
che dai legami lessicali tra la parenesi dei vv. 1-5 (e dei vv. 12-18) e l’itinerario
cristologico dei vv. 6-11, anche dalla lettura di altri passaggi neotestamentari.
Infatti, se già nei vangeli lo stesso Gesù si proponeva come modello di umiltà e
di servizio (p. es., Mt 11,29; 20,27-28), nelle lettere paoline egli è considerato un
esempio di accoglienza (Rm 15,7), di generosità (2Cor 8,9), di carità (Ef 5,2), di
perdono (Col 3,13).
FILIPPESI 2,6 52

6
 ὃς ἐν μορφῇ θεοῦ ὑπάρχων οὐχ ἁρπαγμὸν ἡγήσατο τὸ εἶναι
ἴσα θεῷ, 7 ἀλλὰ ἑαυτὸν ἐκένωσεν μορφὴν δούλου λαβών,
ἐν ὁμοιώματι ἀνθρώπων γενόμενος· καὶ σχήματι εὑρεθεὶς
ὡς ἄνθρωπος 8 ἐταπείνωσεν ἑαυτὸν γενόμενος ὑπήκοος

2,6 Condizione – Il senso del vocabolo morfh, siva. Inoltre, nelle lettere paoline, il verbo
è molto discusso e tre sono i significati pro- u`pa,rcw non è mai usato in riferimento a
posti: «natura», «immagine», «condizione». Dio; dunque, il sintagma «pur essendo nella
All’epoca di Paolo, il termine designa la condizione di Dio» è da riferire allo status
forma visibile di un essere o di una cosa. divino del Cristo incarnato e non a quello del
Riguardo agli uomini, il termine, nel greco Cristo preesistente.
biblico e non – l’unica occorrenza nel NT, Considerò un vantaggio (a`rpagmo.n h`gh,sato)
al di fuori di Fil 2,6-7, è in Mc 16,12 – è ap- – Si tratta di una forma idiomatica greca,
plicato alla dimensione fisica, ma anche alla volta a esprimere l’uso di una situazione o
condizione sociale del soggetto. Nel nostro di una condizione a proprio interesse. In par-
contesto, in ragione del chiaro parallelismo ticolare, il sostantivo a`rpagmo,j vuol indicare
dei vv. 6-7 tra morfh, qeou/ («di Dio») e morfh, una realtà posseduta e da conservare.
dou,lou («di schiavo»), è opportuno interpre- Essere uguale a Dio (to. ei=nai i;sa qew/|)
tare il vocabolo come «condizione». – L’espressione indica il possesso e l’eser-
Essendo (u`pa,rcwn) – Questo participio po- cizio della dignità derivante dalla stessa
trebbe avere valore causale o concessivo. condizione divina. In ragione anche dello
Vista la forte opposizione presente nel v. stretto collegamento con la frase prece-
6, che richiama altri enunciati paradossali dente («non considerò un vantaggio»), si
tipicamente paolini (cfr., p. es., 2Cor 8,9), potrebbe vedere nel testo un riferimento
la sfumatura più adeguata è quella conces- più specifico alla signoria sulla creazione,

2,6-11 L’elogio di Cristo con valore esemplare


Questo celebre testo, molto utilizzato dalla tradizione cristiana, pone il let-
tore di fronte a tutto il mistero pasquale, con la morte e risurrezione di Cristo.
Nel passato si era soliti definirlo come inno, considerandolo una composizione
liturgica utilizzata dalle prime comunità cristiane e successivamente inserita da
Paolo nel tessuto della lettera. Questa prospettiva generale è oggi messa in di-
scussione da molti esegeti. Anzitutto, dal punto di vista metrico, il testo di 2,6-11
non ha alcuna corrispondenza con l’innodia semitica o greco-romana; piuttosto
è possibile designarlo come «elogio» in quanto si parla, con finalità laudativa,
dell’origine di Cristo (v. 6), degli atti virtuosi da lui compiuti (vv. 6-8) e della sua
superiorità rispetto a tutta la creazione (vv. 9-11). Inoltre, non abbiamo alcuna
testimonianza per la quale possiamo essere certi che questo brano cristologico
sia stato usato nella liturgia della Chiesa antica prima della composizione della
lettera ai Filippesi. Infine, pur presentando delle peculiarità lessicali e stilistiche,
il brano possiede importanti legami terminologici e tematici, non solo con il
contesto prossimo del c. 2, ma anche, come vedremo, con il resto della lettera e
con altri passaggi paolini. In definitiva conviene leggere 2,6-11 all’interno del
genere elogiativo e considerarlo un testo che, qualora non fosse genuinamente
53 FILIPPESI 2,8

6
il quale, pur essendo nella condizione di Dio, non considerò un
vantaggio essere uguale a Dio, 7ma svuotò se stesso, assumendo la
condizione di schiavo; essendo simile agli uomini e riconosciuto
come uomo nell’aspetto, 8umiliò se stesso, divenendo obbediente

di cui Cristo non approfitta egoisticamente, – Nel sintagma il sostantivo o`moi,wma indica
ma che è a lui donata con la sua esaltazione la corrispondenza, soprattutto a livello vi-
(vv. 10-11). sibile, tra l’originale e la copia. Nel nostro
2,7 Svuotò se stesso (e`auto.n evke,nwsen) – caso il termine e l’intera espressione sotto-
Nel greco biblico il verbo keno,w è usato lineano bene la piena conformità tra Cristo
sempre in senso traslato e metaforico; Fil e gli altri uomini: egli non fu per nulla dif-
2,7 è l’unico passo nel quale è costruito con ferente da loro.
un pronome riflessivo. Il pronome e`auto,j, Riconosciuto come uomo nell’aspetto
collocato in posizione enfatica, intende con- (sch,mati eu`reqei.j w`j a;nqrwpoj) – Il so-
tribuire a mettere in risalto l’aspetto perso- stantivo sch/ma indica la forma esteriore e
nale e libero dello svuotamento di Cristo, riconoscibile di qualcosa o di qualcuno. La
che consiste nell’assumere la condizione congiunzione w`j («come») è usata per intro-
dello schiavo. durre la qualità caratteristica di una persona.
Schiavo (dou,lou) – In Fil 1,1 Paolo e Timo- Così l’intera espressione vuole affermare che
teo sono schiavi di Cristo; nel nostro versetto se Cristo fu come gli altri uomini, egli è an-
il primo è al servizio di Dio, così come fanno che stato riconosciuto come tale a livello del
intravedere l’atteggiamento di obbedienza suo comportamento.
del v. 8 (cfr. Rm 5,19; Eb 5,8) e la corrispon- 2,8 Umiliò se stesso (evtapei,nwsen e`auto,n) –
dente reazione divina del v. 9. L’uso del verbo in connessione con il prono-
Simile agli uomini (evn o`moiw,mati avnqrw,pwn) me riflessivo e`auto,j sottolinea anche qui la

paolino, sia stato creato ad hoc dall’Apostolo a partire da materiale proveniente


dalla tradizione a lui precedente. In ogni caso, come vedremo, 2,6-11 non è un
corpo estraneo nell’epistola, bensì assume un ruolo guida in Filippesi: la menta-
lità e il comportamento delle persone sarà letto e giudicato in base al confronto
con il modello di Cristo qui presentato.
Anche lo sfondo del testo risulta oggetto di un’accesa discussione. Sono so-
stanzialmente tre le proposte: l’ambito biblico, quello giudaico, quello gnostico-
ellenistico. Dall’analisi del brano, emerge come più confacente lo sfondo biblico,
con un richiamo alla figura del Servo del Signore di Is 52,13–53,12 e al passo di
Is 45,23. In particolare il primo riferimento può essere ritrovato nel movimento
di auto-abbassamento di Cristo dei vv. 6-8 e anche nello schema umiliazione-
esaltazione dell’insieme. D’altro canto, l’allusione a Is 45,23 [LXX] è abba-
stanza evidente nei vv. 10-11, allo scopo di mostrare come Dio doni a Cristo la
medesima supremazia e il medesimo primato che lui stesso possiede sul creato
(l’audacia dell’autore arriva ad applicare a Cristo proprio un testo che insiste sul
monoteismo).
Il brano di 2,6-11 è facilmente divisibile in due porzioni testuali a causa del
«perciò» del v. 9 che segna una chiara svolta. La prima parte (vv. 6-8) descrive
FILIPPESI 2,9 54

μέχρι θανάτου, θανάτου δὲ σταυροῦ. 9 διὸ καὶ ὁ θεὸς αὐτὸν


ὑπερύψωσεν καὶ ἐχαρίσατο αὐτῷ τὸ ὄνομα τὸ ὑπὲρ πᾶν ὄνομα,
10
 ἵνα ἐν τῷ ὀνόματι Ἰησοῦ πᾶν γόνυ κάμψῃ ἐπουρανίων καὶ
ἐπιγείων καὶ καταχθονίων 11 καὶ πᾶσα γλῶσσα ἐξομολογήσηται
ὅτι κύριος Ἰησοῦς Χριστὸς εἰς δόξαν θεοῦ πατρός.

libertà dell’auto-abbassamento di Cristo, che descrive un’esaltazione al massimo livello,


si esplicita nell’obbedienza sino alla morte. includendo implicitamente la risurrezione e
Divenendo obbediente fino alla morte, e al- l’ascensione di Cristo.
la morte di croce (geno,menoj u`ph,kooj me,cri Il nome (to. o;noma) – Secondo la tradizione
qana,tou( qana,tou de. staurou/) – L’atteggia- biblica esso indica l’identità profonda della
mento di costante obbedienza contraddistin- persona e, in questo caso, è quello di «Si-
gue tutta la vita di Cristo ed è perfettamente gnore» (v. 11).
coerente con lo stato di schiavo da lui ab- 2,10 Nel nome di Gesù (evn tw/| ovno,mati VIhsou/)
bracciato. Inoltre, in conformità a tale con- – Si tratta di quello che l’uomo Gesù ha
dizione e come acme della sua obbedienza, ricevuto (genitivo possessivo) nel suo in-
la morte avviene per mezzo del supplizio nalzamento. In onore di questo nome, a lui
della croce. donato da Dio, il creato è chiamato a pro-
2,9 Perciò (dio,) – Esprime un’inferenza che strarsi in adorazione. Tale atto, insieme alla
introduce la reazione divina all’abbassamen- successiva confessione, non è collegabile
to di Cristo. Tale innalzamento è dono gra- a una precisa determinazione temporale
tuito di Dio («gli donò»), che nel suo agire (ora? nel corso della storia? alla fine dei
verso gli uomini esalta chi si umilia. tempi?).
Sopraesaltò (u` p eru, y wsen) – Il verbo Si pieghi ogni ginocchio (pa/n go,nu ka,myh|)
u`peruyo,w è un hapax neotestamentario e – Questa espressione indica sottomissione

il cammino di abbassamento di Cristo, sino alla morte in croce. Cristo è il sog-


getto attivo e la sua identità è fluida e in continuo movimento; infatti si delinea
una doppia trasformazione di Cristo: dall’uguaglianza con Dio alla condizione
di schiavo (vv. 6-7a), poi dall’identificazione con l’uomo sino all’umiliazione
di se stesso morendo sulla croce (vv. 7b-8). La seconda parte (vv. 9-11) mostra
l’esaltazione di Cristo, sottolineando la risposta divina al suo agire e mettendo in
campo come soggetti Dio e gli esseri creati. Cristo è oggetto dell’iniziativa divina
e riceve un’identità netta e stabile, nella condivisione della signoria universale
di Dio. Si presenta la reazione divina che esalta Cristo e che gli dona il nome al
di sopra di tutto (v. 9), ma anche quella conseguente del creato nell’adorazione e
nella confessione di Cristo, il Signore (vv. 10-11).
Nell’evidenziare la progressione e il contrasto tra le due parti del testo risie-
de la possibilità di coglierne anche il significato. L’itinerario in due tappe crea
un’antitesi tra la dinamica dell’abbassamento e quella dell’innalzamento, tra lo
status di schiavo e quello di Signore. Alla fine emerge il paradosso sotteso a questo
passaggio: Cristo viene esaltato da Dio, ricevendo la suprema dignità di Signore,
ed è da riconoscere in quanto tale proprio perché non ha voluto trarre vantaggio
55 FILIPPESI 2,11

fino alla morte, e alla morte di croce. 9Perciò Dio lo sopraesaltò


e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, 10perché nel
nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio degli esseri del cielo,
della terra e dei luoghi sotterranei, 11e ogni lingua confessi che
Gesù Cristo è Signore a gloria di Dio Padre.

e adorazione di fronte al divino (p. es., 1Cr sico, una dichiarazione o una confessione
29,20; Rm 11,4; Ef 3,14). L’uso della si- pubblica e manifesta a tutti.
neddoche – figura retorica che esprime una Signore (ku,rioj) – Il termine greco nella
nozione con una parola che normalmente ne Settanta è usato per tradurre il nome divino
denota un’altra, ma avente con la prima un ebraico Yhwh. La formulazione complessi-
certo rapporto – del ginocchio (qui) e del- va di Fil 2,11 richiama i testi di Rm 10,9 e
la lingua (al v. 11), per indicare la reazione 1Cor 12,3.
del creato, sottolinea il ruolo subordinato di A gloria di Dio Padre (eiv j do, x an qeou/
quest’ultimo che riceve un’identità solo in patro,j) – L’espressione è da considerarsi
relazione a Cristo. logicamente legata con ciò che nel testo
Degli esseri del cielo, della terra e dei luo- immediatamente precede («Gesù Cristo è
ghi sotterranei (evpourani,wn kai. evpigei,wn Signore»). Così, da una parte, il trionfo di
kai. katacqoni,wn) – La triade, composta in Cristo sfocia nella glorificazione di Dio,
greco da tre aggettivi sostantivati, designa non essendoci alcuna competizione tra i
tutto il creato senza eccezione, come in Dn due; dall’altra, Cristo Gesù e Dio mani-
3,51-90 [LXX]. In particolare l’aggettivo festano il loro rapporto di paternità e fi-
katacqo,nioj è un hapax biblico. gliolanza.
2,11 Confessi (evxomologh,shtai) – Il verbo  2,6-11 Testi affini: Col 1,15-20; Ef 1,20-
evxomologe,w indica qui, come nel greco clas- 23; 2,14-18; 1Tm 3,16

dal suo status divino, ma ha abbassato se stesso, abbracciando la condizione di uno


schiavo sino alla morte di croce. Tale supplizio era considerato il più infamante
e ignominioso, mai comminato agli uomini liberi; era riservato soprattutto allo
schiavo (non solo quando si ribellava) e talvolta anche al prigioniero di guerra
o al peggiore dei criminali. In questo modo il brano intende ritrarre l’estremo
dell’umiliazione vissuta da Cristo, il quale giunge al gradino più basso della
scala umana.
Il passaggio di Fil 2,6-11 si rivela dunque come un elogio paradossale che
celebra quanto di più lontano potrebbe esserci dall’oggetto della lode umana ed
è, al contrario, pienamente conforme all’agire di Dio che, secondo la tradizione
biblica (cfr., p. es., Gb 22,29; Pr 29,23; Mt 23,12), esalta chi si umilia. Di conse-
guenza la cristologia qui presentata non è esplicitamente salvifica come in altri
scritti paolini; essa invece viene ad assumere un’impronta etica poiché intende
presentare l’itinerario di Cristo come il modello per l’agire dei credenti, soprattutto
nell’ambito dei loro rapporti comunitari. Infatti, nella riproduzione creativa del
cammino del loro Signore, i Filippesi, e i credenti di ogni epoca, trovano la via
maestra della loro esistenza cristiana.
FILIPPESI 2,12 56

 Ὥστε, ἀγαπητοί μου, καθὼς πάντοτε ὑπηκούσατε, μὴ ὡς ἐν τῇ


12

παρουσίᾳ μου μόνον ἀλλὰ νῦν πολλῷ μᾶλλον ἐν τῇ ἀπουσίᾳ μου,


μετὰ φόβου καὶ τρόμου τὴν ἑαυτῶν σωτηρίαν κατεργάζεσθε· 13 θεὸς
γάρ ἐστιν ὁ ἐνεργῶν ἐν ὑμῖν καὶ τὸ θέλειν καὶ τὸ ἐνεργεῖν ὑπὲρ τῆς
εὐδοκίας. 14 Πάντα ποιεῖτε χωρὶς γογγυσμῶν καὶ διαλογισμῶν,

2,12 Diletti (avgaphtoi,) – Aggettivo utilizzato perativo. Nel nostro caso non è dunque da
da Paolo (p. es., Rm 12,19; 1Cor 10,14; Fil collegare all’indicativo u`phkou,sate («avete
4,1) per manifestare il suo profondo affetto ubbidito») che precede, ma all’imperativo
nei confronti dei destinatari. katerga,zesqe («lavorate») che segue. Da
Avete... ubbidito (u`phkou,sate) – Il richiamo notare che il termine avpousi,a («assenza») è
all’obbedienza di Cristo (v. 8) conduce a leg- un hapax biblico.
gere anche quella dei Filippesi in rapporto Con timore e tremore (meta. fo, b ou kai.
a Dio, a partire dalla loro accoglienza del tro,mou) – Si tratta di un binomio, di origine
Vangelo (cfr. 1,5). Ora ubbidire significa per anticotestamentaria (p. es., Es 15,16; Dt 2,25;
loro adoperarsi per la propria salvezza. Is 19,16), generalmente usato per descrive-
Non soltanto in mia presenza, ma mol- re il rispettoso timore dell’uomo di fronte
to di più ora in mia assenza (mh. w`j evn alla presenza e all’azione di Dio. Paolo,
th/| parousi,a| mou mo,non avlla. nu/n pollw/| che vi fa ricorso anche in altre occasioni
ma/llon evn th/| avpousi,a| mou) – La frase no- (1Cor 2,3; 2Cor 7,15; Ef 6,5), qui lo impiega
minale è da collegare con quanto segue, a per esprimere l’attitudine dell’umiltà verso
causa della presenza della negazione mh, che Dio, già presentata al v. 8.
è normalmente utilizzata in presenza di modi Vostra salvezza (e`autw/n swthri,an) – Il pro-
diversi dall’indicativo, tra i quali anche l’im- nome riflessivo e`auto,j, utilizzato nel ver-

2,12-18 Ripresa dell’esortazione


Il passaggio di 2,12-18 si lega a quanto immediatamente precede grazie alla
congiunzione inferenziale ōste («dunque»), posta all’inizio, e al richiamo tra
l’essere obbediente (hypēkoos, v. 8) di Cristo e l’obbedire (hypēkoúsate, v. 12) dei
Filippesi. In 2,12-18 si riprende quindi l’esortazione iniziata in 2,1-5 e motivata
sull’itinerario di Cristo in 2,6-11. I nostri versetti, dal tenore prevalentemente, ma
non esclusivamente, parenetico possono essere suddivisi in due parti: vv. 12-13 e
vv. 14-18. La prima parte presenta un’esortazione a operare per la propria salvezza,
mentre la seconda fornisce un’esortazione a evitare mormorazioni e contestazioni,
seguita da una descrizione della vita credente e dall’invito a gioire.
2,12-13 Esortazione a operare per la propria salvezza
La formulazione di questi versetti suscita a prima vista la difficoltà di una
coerenza tra l’esortazione, rivolta ai Filippesi, a lavorare alla loro salvezza e la
relativa motivazione legata al primato dell’agire di Dio nei credenti. Tuttavia
la contraddizione è solo apparente perché nei vv. 12-13 si descrive una perfetta
sinergia tra l’azione della grazia di Dio (fissata al modo indicativo), che rende
capace di volere e operare il bene, e quella del cristiano che è chiamato (vedi l’uso
dell’imperativo) a rispondere con la sua libertà, decidendo del proprio destino
57 FILIPPESI 2,14

12
Dunque, miei diletti, come avete sempre ubbidito, non
soltanto in mia presenza, ma molto di più ora in mia assenza,
con timore e tremore lavorate alla vostra salvezza. 13 È Dio,
infatti, che opera in voi il volere e l’operare, per il suo
beneplacito. 14Fate tutto senza mormorare né contestare,

setto, indica la componente personale della Dio (Es 16,7-9.12; Nm 17,20.25; Sir 46,7).
salvezza escatologica e della conseguente Nel resto del NT il vocabolo indica il bor-
responsabilità del credente in ordine a essa. bottare a riguardo di altre persone (Gv 7,12;
2,13 Il volere e l’operare (to. qe,lein kai. to. At 6,1; 1Pt 4,9).
evnergei/n) – Espressione cha abbraccia tutto Contestare (dialogismw/n) – Il sostantivo
l’agire umano, dall’inizio nella decisione dialogismo,j nel greco biblico può avere
interiore alla fine nell’attuazione esteriore. un riferimento a Dio o all’uomo e ricopre
Beneplacito – Il termine euv d oki, a denota un’ampia gamma di significati: pensiero,
qui, a differenza di quanto avviene in 1,15, riflessione, divisamento, colloquio, discus-
la benevola e salvifica volontà di Dio, fine sione, contestazione. Anche nell’uso paoli-
ultimo del suo operare nei credenti. no dialogismo,j è messo in rapporto sia con
2,14 Mormorare (goggusmw/n) – Il termi- Dio (Rm 1,21; 1Cor 3,20), sia con gli altri
ne goggusmo, j , («mormorazione»), usato (Rm 14,1; 1Tm 2,8). In Fil 2,14 l’espressio-
nell’epistolario paolino soltanto in Fil 2,14, ne «senza mormorazioni né contestazioni»
è utilizzato dalla Settanta per descrivere (traduzione letterale) costituisce la modalità
l’atteggiamento ribelle del popolo di Israe- con la quale i credenti di Filippi sono chia-
le, durante la sua marcia nel deserto, verso mati a operare in ogni ambito della loro vita
Mosè e Aronne e, attraverso di loro, verso («fate tutto»).

eterno. In definitiva sono due i punti messi in risalto da Paolo: l’unicità dell’ope-
ratore divino, l’unico che può agire efficacemente nell’intimo del credente, e
la rilevante responsabilità di quest’ultimo nell’accogliere la grazia divina e nel
conseguire la salvezza definitiva.
Come già l’esortazione di 1,27-30, i due versetti sono posti in collegamento
con il motivo della presenza / assenza dell’Apostolo in mezzo ai suoi, aspetto che
sottolinea sia l’urgenza dell’invito dei vv. 12-13, sia la giusta indipendenza della
comunità dal suo fondatore.
2,14-18 Esortazione a non essere ribelli e invito alla gioia
Il v. 14 comincia con una nuova esortazione, tipicamente paolina, che intende co-
prire tutti i settori della vita dei credenti filippesi, a partire da un unico atteggiamento
di apertura e di fiducia. Inoltre, come in 1Cor 10,10-11, Paolo mette in campo il popolo
di Israele nel deserto e le sue mormorazioni come contro-esempio per l’atteggiamento
dei destinatari dell’epistola. In effetti, facendo riferimento alla generazione dell’esodo,
segnata dalla diffidenza nei confronti delle sue guide e di Dio stesso, l’Apostolo lascia
intendere ai Filippesi che, al contrario, la sincera fiducia nel Signore deve caratteriz-
zarli. Paolo non chiede ai cristiani, che sono capaci di un vero discernimento (cfr. 1,9-
10), di rinunciare a ogni senso critico, ma di vivere radicalmente la loro scelta di fede
FILIPPESI 2,15 58

 ἵνα γένησθε ἄμεμπτοι καὶ ἀκέραιοι, τέκνα θεοῦ ἄμωμα μέσον


15

γενεᾶς σκολιᾶς καὶ διεστραμμένης, ἐν οἷς φαίνεσθε ὡς


φωστῆρες ἐν κόσμῳ, 16 λόγον ζωῆς ἐπέχοντες, εἰς καύχημα
ἐμοὶ εἰς ἡμέραν Χριστοῦ, ὅτι οὐκ εἰς κενὸν ἔδραμον
οὐδὲ εἰς κενὸν ἐκοπίασα. 17 Ἀλλὰ εἰ καὶ

2,15 Irreprensibili e puri (a;memptoi kai. Figli di Dio immacolati (te,kna qeou/ a;mwma)
avke,raioi) – Nella Settanta il primo aggettivo – L’espressione (l’aggettivo indica l’assenza
denota un’irreprensibilità derivante soprat- di difetti negli animali sacrificali, cfr. Es 29,1
tutto dall’agire giusto del soggetto, in accor- [LXX]) sottolinea la dignità dei cristiani e
do alla volontà di Dio (p. es., Gen 17,1; Gb richiama per contrapposizione «figli condan-
1,1; Sap 10,5). Paolo lo impiega in 1Ts 3,13 nabili» (te,kna mwmhta,) di Dt 32,5 [LXX],
con una chiara connotazione escatologica, riguardante gli Israeliti nel deserto, più volte
che ben si adatta anche al nostro contesto ribelli a Dio.
e che può anche essere presente nell’altra Generazione distorta e perversa (genea/j
occorrenza di Fil 3,6. Il secondo aggettivo skolia/j kai. diestramme,nhj) – Quasi una ri-
indica una purezza derivante da semplicità e presa testuale di una parte di Dt 32,5 [LXX],
integrità etica e spirituale (Est 8,12f [LXX]; dove l’intera espressione designava il popolo
Mt 10,16; Rm 16,19). La novità del nostro di Dio, mentre qui è probabilmente appli-
testo è costituita dal fatto che questi due ag- cata, in conformità al tenore di altri passi
gettivi non sono legati tanto a un agire quan- paolini (Rm 1,28-31; 1Cor 6,9-10; Tt 3,3),
to a un atteggiamento di fiducia in Dio, così all’ambiente pagano di Filippi (cfr. 1,28).
come è descritto al v. 14, immediatamente Risplendete come lampade nel mondo
precedente. (fai,nesqe w`j fwsth/rej evn ko,smw|) – Allusio-

nel pieno affidamento dell’esistenza a Dio. Questo atteggiamento avrà conseguenze


non solo a livello comunitario, creando un’atmosfera di comunione senza discordie,
ma anche nell’ambito della loro testimonianza in mezzo alla società.
Così i vv. 15-16 annunciano la finalità dell’appello del v. 14, prima negati-
vamente in connessione con l’irreprensibilità dei credenti, poi positivamente in
riferimento alla loro filiazione divina e al loro compito di illuminazione, tutte
indicazioni da vivere nel contesto pagano di Filippi. Da parte sua, il v. 16 speci-
fica che i credenti saranno luci nel mondo proprio portando a esso il Vangelo che
dà vita, cosicché tutti possano conoscerlo e accoglierlo. In questo modo nei vv.
15-16 il rapporto Chiesa-mondo viene descritto nella sua complessità e comple-
tezza: infatti, da un lato, i cristiani devono costituire una comunità alternativa in
mezzo alla loro società senza adattarsi alla mentalità corrente; dall’altro, essi sono
chiamati a offrire agli altri uomini, per il vero bene di quest’ultimi, quanto di più
prezioso possiedono cioè la parola che dona la pienezza dell’esistenza. Questa
parola è l’oggetto dell’annuncio di Paolo anche in mezzo ai Filippesi, i quali, con
la loro irreprensibilità e purezza nella fede e nella testimonianza, potranno rendere
fiero ed esultante l’Apostolo di fronte al giudizio finale e all’incontro definitivo
con Cristo (con «giorno di Cristo» si assiste alla cristologizzazione del giorno del
59 FILIPPESI 2,17

15
per essere irreprensibili e puri, figli di Dio immacolati in mezzo
a una generazione distorta e perversa, nella quale risplendete
come lampade nel mondo, 16tenendo alta la parola di vita; questo
è per me un motivo di vanto in vista del giorno di Cristo, perché
non avrò corso invano né faticato invano. 17Ma se anche sono

ne a Dn 12,3, dove si fa riferimento al desti- 1,26 si parlava del vanto dei Filippesi per la
no di vita eterna che spetta a quegli ebrei che nuova venuta di Paolo in mezzo a loro, ora
si mantengono fedeli sino al martirio. Nel invece è posto in rilievo quello dell’Apostolo
nostro testo la prospettiva non è escatolo- a motivo dei suoi in vista della parusia. Que-
gica, ma presente, legata alla testimonianza sto vanto reciproco richiama il testo di 2Cor
che i cristiani sono chiamati a rendere come 1,14 e si radica nella comune confidenza in
portatori di luce in un mondo oscurato dal Cristo, base della vita del credente.
peccato (cfr. Ef 5,8-14). Avrò corso invano né faticato invano (eivj
2,16 Tenendo alta la parola di vita (lo,gon keno.n e;dramon ouvde. eivj keno.n evkopi,asa)
zwh/j evpe,contej) – In greco si tratta di una – Come in 1Cor 9,24-27 e in Gal 2,2 Paolo
frase participiale, esplicativa di quella imme- utilizza l’immagine della corsa per descrive-
diatamente precedente. Il sintagma «la parola re il suo apostolato. Il secondo verbo kopia,w
di vita», usato da Paolo solo qui (cfr. 1Gv esplicita il significato metaforico del primo
1,1), è da leggere secondo un genitivo ogget- ed è usato anche altrove nelle lettere paoli-
tivo e dunque come «la parola che dà la vita». ne per connotare il duro lavoro del ministe-
Questo è per me un motivo di vanto (eivj ro dell’Apostolo (1Cor 4,12; Gal 4,11; Col
kau,chma evmoi,) – Si riferisce a tutto quanto 1,29).
precede, a partire dall’inizio del v. 15. Se in 2,17 Ma se anche (VAlla. eiv kai,) – In questo

Signore come in 1,10), poiché essi dimostreranno inequivocabilmente la fecondità


del suo ministero, segnato da innumerevoli lotte e fatiche.
I vv. 17-18, al termine di tutta la pericope di 2,1-18, fungono come un ritocco e
un’aggiunta a quanto detto, soprattutto a proposito dei Filippesi, nei vv. 14-16. Paolo
ritorna alla propria situazione affermando che il vanto escatologico è già preceduto
dall’attuale gioia tipicamente cristiana che i suoi condividono con lui. La ragione di
questa esultanza è l’associazione dei destinatari all’Apostolo nel servizio del Vangelo,
che comporta l’offerta a Dio di tutta la propria vita. Con grande finezza, Paolo sotto-
linea che l’esistenza cristiana vissuta dai cristiani di Filippi è un vero atto sacrificale,
al quale si aggiunge a completamento, come una semplice libagione, il suo impegno
missionario, vissuto ora da carcerato. Siamo di fronte all’idea del ministero apostolico
presente anche in Rm 15,16: l’apostolo non è che un servitore, un officiante che pre-
senta a Dio l’offerta, santa e a lui gradita, di tutti coloro che hanno creduto in Cristo.
L’invito conclusivo del v. 18 riprende la constatazione, che la precede immediatamen-
te, riguardante la gioia di Paolo e dei Filippesi per il servizio del Vangelo, esortando
quest’ultimi a rallegrarsi, paradossalmente, per la situazione presente dell’Apostolo
che comporta prove e sofferenze, perché in fondo, come già annunciava il brano di
1,12-26, essa risulta a progresso dell’annuncio e del cammino dei credenti.
FILIPPESI 2,18 60

σπένδομαι ἐπὶ τῇ θυσίᾳ καὶ λειτουργίᾳ τῆς πίστεως ὑμῶν,


χαίρω καὶ συγχαίρω πᾶσιν ὑμῖν· 18 τὸ δὲ αὐτὸ καὶ ὑμεῖς χαίρετε
καὶ συγχαίρετέ μοι.

19
 Ἐλπίζω δὲ ἐν κυρίῳ Ἰησοῦ Τιμόθεον ταχέως πέμψαι ὑμῖν,
ἵνα κἀγὼ εὐψυχῶ γνοὺς τὰ περὶ ὑμῶν. 20 οὐδένα γὰρ ἔχω

modo non si introduce una vera opposizio- probabile, al contrario, per l’altra occorrenza
ne con quanto precede, quanto piuttosto una di 2Tm 4,6 – ma soprattutto l’incarcerazione
progressione nel discorso. e poi il ministero futuro di Paolo.
Sono sparso in libagione (spe,ndomai) – Il Il sacrificio e l’offerta della vostra fede (th/|
verbo spe,ndw, alla forma passiva, è usato al- qusi,a| kai. leitourgi,a| th/j pi,stewj u`mw/n)
trove nel NT solo in 2Tm 4,6. Esso designa – qusi,a («sacrificio»), utilizzato anche in
un’offerta di liquido (vino, olio, acqua, etc.) 4,18, designa in Paolo non tanto l’atto di
accanto o sul sacrificio vero e proprio. Tale immolazione, quanto la vittima stessa (p. es.,
pratica è propria sia del culto pagano sia di Rm 12,1; 1Cor 10,18; Ef 5,2). Il vocabolo
quello giudaico, in particolare per quest’ulti- leitourgi,a (qui tradotto con «offerta») indi-
mo la libagione ha la funzione di completare ca ogni sorta di servizio e nel nostro versetto
l’offerta e di renderla accetta a Dio (cfr. Es può formare un’endiadi con il precedente,
29,40-41). Il presente del verbo porta a rite- così da descrivere nel complesso il servizio
nere, coerentemente alla fiducia di Paolo di sacrificale, da intendere in senso metaforico
restare in vita (cfr. 1,25), che qui non sia in come in altri passi antico e neotestamentari
vista il martirio dell’Apostolo – riferimento (p. es., Sal 50,14.23; Rm 12,1; Eb 13,15-

Due importanti aspetti dei vv. 12-18 richiedono un ulteriore sviluppo nella
riflessione. Il primo riguarda le allusioni all’AT presenti nei nostri versetti e, in
particolare, quelle che rimandano alla generazione dell’esodo. Questi richiami
hanno condotto alcuni autori a ritrovare nel testo un uso tipologico della Scrittura
da parte di Paolo che implica la sostituzione di Israele, ribelle a Dio, con la Chiesa,
nuovo popolo eletto. Tale posizione risulta però affrettata e non condivisibile. Infatti
non è possibile sostenere che, se il brano assume delle intere espressioni dall’AT,
allora significa necessariamente che Paolo sviluppi una vera e propria tipologia,
di cui saranno invece maestri i Padri della Chiesa a lui successivi. Inoltre, a parte
il fatto che qui l’Apostolo non fa alcuna affermazione a riguardo del rapporto
Israele-Chiesa, l’uso dei testi anticotestamentari nei vv. 12-18 non è uniforme, ma
variegato. Così, se le allusioni riguardanti le mormorazioni e le ribellioni di Israele
servono da esempio negativo per la comunità cristiana di Filippi, il secondo ricorso
al testo di Dt 32,5 non è più comprensibile in questa chiave perché va a indicare
l’ambiente pagano della città; ancor più la prospettiva muta con il richiamo a Dn
12,3 [LXX] che introduce il modello positivo dei Giudei fedeli sino al martirio.
Il secondo aspetto è legato all’utilizzo del linguaggio sacrificale, già presente
al v. 15 e soprattutto al v. 17, per descrivere l’esistenza cristiana. Se Paolo af-
61 FILIPPESI 2,20

sparso in libagione con il sacrificio e l’offerta della vostra fede,


gioisco e me ne rallegro con tutti voi. 18Di questa stessa cosa,
anche voi gioite e rallegratevene con me.

Ora spero nel Signore Gesù di inviarvi presto Timoteo,


19

perché anch’io sia incoraggiato avendo vostre notizie. 20Non ho

16). Infatti il genitivo «della vostra fede» è 15,24; 1Cor 16,7; 1Tm 3,14; Fm 22). Stavol-
epesegetico e quindi spiega che l’offerta pre- ta l’espressione collegata «nel Signore Ge-
sentata a Dio dai Filippesi consiste in tutta la sù» sottolinea che l’Apostolo ha le proprie
loro esistenza cristiana. aspettative, ma nello stesso tempo si affida
2,18 Di questa stessa cosa (to. de. auvto,) – a Cristo per il loro compimento.
Si tratta di quanto affermato nel versetto Sia incoraggiato – Il verbo euvyucw/ è un ha-
precedente a proposito della libagione di pax biblico ed è tipico, alla forma imperativa,
Paolo, vissuta attraverso il suo ministero e delle iscrizioni tombali ellenistiche, cosicché
quindi attraverso le sue attuali catene per il comunica l’idea di incoraggiamento e di con-
Vangelo. forto. Nel nostro versetto si fa riferimento a
 2,1-5.12-18 Testi affini: Rm 15,1-6; 2Tm un duplice beneficio («anch’io»), per Paolo e
1,13; 1Pt 2,13–3,7 per la comunità filippese, dovuto allo scam-
2,19 Spero nel Signore Gesù (VElpi,zw de. bio di notizie mediato da Timoteo.
evn kuri,w| VIhsou/) – Il verbo compare anche Avendo vostre notizie (gnou.j ta. peri. u`mw/n)
in altri passaggi delle lettere in connessio- – Alla lettera: «conoscendo le cose che vi
ne con i progetti di viaggio di Paolo (Rm riguardano».

ferma che la vita di fede è un sacrificio, ciò comporta che il credente è chiamato
a offrirsi a Dio in maniera completa, senza escludere alcuna sua dimensione.
Inoltre, questo dono di sé non può essere che definitivo, perché quanto è portato
sull’altare in olocausto non viene in alcun modo ripreso. Infine, se l’offerta è ora
legata all’esistenza significa che essa diviene indipendente da un luogo e un tempo
sacro, cosicché per il cristiano è possibile sempre e dovunque far sì che i propri
pensieri e le proprie azioni risultino un atto di culto a Dio.

NOTIZIE AUTOBIOGRAFICHE SU TIMOTEO ED EPAFRODITO (2,19-30)


Il brano, posto tra l’esempio di Cristo presente in 2,1-18 e quello di Paolo
che emerge da 3,1–4,1, ritorna a dare notizie riguardanti l’Apostolo, il quale
ha intenzione di recarsi appena possibile a visitare la comunità di Filippi. Per il
momento in sua rappresentanza ha deciso di inviare Timoteo, suo collaboratore
e co-mittente della lettera stessa, e ancor prima di lui Epafrodito, rappresentante
della comunità di Filippi al servizio di Paolo prigioniero. In effetti, Epafrodito
diventa il latore dell’epistola cosicché quando i Filippesi ascoltano la dichiarazione
dell’Apostolo, riguardante il suo invio (v. 25), egli si trova già presso di loro, a
differenza di Timoteo rimasto nel luogo della prigionia.
FILIPPESI 2,21 62

ἰσόψυχον, ὅστις γνησίως τὰ περὶ ὑμῶν μεριμνήσει· 21 οἱ πάντες


γὰρ τὰ ἑαυτῶν ζητοῦσιν, οὐ τὰ Ἰησοῦ Χριστοῦ. 22 τὴν δὲ
δοκιμήν αὐτοῦ γινώσκετε, ὅτι ὡς πατρὶ τέκνον σὺν ἐμοὶ
ἐδούλευσεν εἰς τὸ εὐαγγέλιον. 23 τοῦτον μὲν οὖν ἐλπίζω

2,20 Che condivida i miei sentimenti – L’ag- ansietà) o una positiva (attenzione, cura). In
gettivo ivso,yucoj, presente nella Scrittura Fil 2,20 merimna,w è usato in base alla seconda
soltanto in Sal 54,14 (TM 55,14), alla let- accezione e con una specifica prospettiva ec-
tera significa «di animo uguale». Nel nostro clesiale come in 1Cor 12,25, mentre in Fil 4,6
contesto, vista la proposizione relativa se- il significato è negativo. Il tempo futuro del
guente che indica l’attenzione di Timoteo nei verbo indica in anticipo l’assistenza che Timo-
confronti dei Filippesi, l’aggettivo esprime teo darà ai Filippesi una volta giunto da loro.
la perfetta sintonia del collaboratore con 2,21 Tutti (oi` pa, n tej) – Corrisponde a
Paolo, nella condivisione della stesso impe- «nessuno» del versetto precedente, in rife-
gno apostolico. rimento probabilmente a coloro che, trovan-
Si preoccupi (merimnh,sei) – Il verbo merimna,w dosi presso il luogo di detenzione di Paolo,
può avere una connotazione negativa (pena, avrebbero potuto essere inviati a Filippi, ma

Nel suo complesso, il brano di 2,19-30 attinge a più generi letterari: quello della
parusia epistolare (con l’annuncio di una visita), della lettera di raccomandazione,
delle notizie. In ogni caso, ciò che è importante ritenere è che al centro del brano
rimane l’«io» di Paolo: egli parla soprattutto di sé e della sua situazione e nello
stesso tempo introduce presso gli ascoltatori, anche con una modalità elogiativa,
i suoi compagni. Essi più che sostituti di colui che ha fondato la Chiesa filippese,
sono degli intermediari in attesa che l’Apostolo stesso giunga tra i suoi. Come è
mostrato in diversi passi paolini (p. es., Rm 15,29; 2Cor 13,10; 1Ts 3,11), più volte
Paolo prepara la visita di ciascuna comunità attraverso l’invio di collaboratori
recanti un suo scritto, in modo da disporre i destinatari ad accoglierlo e a trarre
massimo profitto dalla sua successiva presenza tra di loro. In conclusione, vista
la prospettiva assunta dal testo, la designazione del brano come “notizie” appare
la più appropriata, tuttavia, oltre alla finalità dell’informazione, il passaggio di
2,19-30 possiede anche quella della raccomandazione, poiché invita la comunità di
Filippi ad accogliere e ad avere grande considerazione di Timoteo ed Epafrodito,
i quali sono presentati come figure esemplari nel servizio del Vangelo.
In base alle due dichiarazioni dell’Apostolo riguardo ai collaboratori, formu-
late rispettivamente al v. 19 e al v. 25, possiamo dividere la pericope in due parti:
l’invio di Timoteo da parte di Paolo (vv. 19-24) e l’invio di Epafrodito (vv. 25-30).

2,19-24 L’invio di Timoteo da parte di Paolo


Dopo aver esortato gli ascoltatori, nel versetto immediatamente precedente,
a gioire con lui, ora Paolo manifesta la sua speranza di inviare Timoteo come
concreto aiuto alla loro gioia (v. 19). E lui stesso si sentirà sollevato ricevendo,
63 FILIPPESI 2,23

nessun altro, infatti, che condivida i miei sentimenti e che si


preoccupi sinceramente delle cose che vi riguardano, 21poiché
tutti cercano i propri interessi e non quelli di Gesù Cristo. 22Ma
voi conoscete il suo comprovato valore: come un figlio con il
padre, insieme a me si è messo al servizio del Vangelo. 23Spero

invece non erano disponibili (cfr. 1,15-17). questo atteggiamento nell’ambito dei rapporti
Cercano i propri interessi e non quelli di Ge- ecclesiali (1Cor 10,24.33; 13,5).
sù Cristo (ta. e`autw/n zhtou/sin( ouv ta. VIhsou/ 2,22 Comprovato valore (dokimh,n) – Il vo-
Cristou/) – Assistiamo a una ripresa in nega- cabolo dokimh, non presenta alcun uso nella
tivo dell’esortazione di 2,4; se ne deduce che Bibbia se non nelle lettere paoline (p. es.,
cercare gli interessi «di Gesù Cristo» in fondo Rm 5,4; 2Cor 2,9; 8,2). Inoltre non è testi-
significa avere a cuore quelli degli altri, in par- moniato nei testi greci precedenti a Paolo. Il
ticolare dei fratelli cristiani. La ricerca del pro- termine denota la buona qualità di qualcosa
prio interesse, svincolato da ogni preoccupa- che è stato messo alla prova.
zione per gli altri, è un tema diffuso nell’anti- Si è messo al servizio (evdou,leusen) – Il verbo
chità, presente nelle fonti sia latine che greche. douleu,w indica il servizio dello schiavo (dou/loj),
Paolo mette in guardia i credenti dall’assumere richiamando la designazione iniziale di Paolo

attraverso il fidato collaboratore (già mandato con un compito simile a Tessalonica


e a Corinto, cfr. 1Cor 4,17; 1Ts 3,2), notizie dell’amata comunità (l’espressione
«le cose che vi riguardano» dei vv. 19-20 è la stessa di 1,27 e corrisponde a «le
mie vicende» di 1,12).
Nei vv. 20-22 vengono fornite le ragioni per l’invio di Timoteo, attraverso un
fine elogio di quest’ultimo. Con la prima motivazione, presentata al v. 20, il colla-
boratore viene raccomandato in quanto Paolo non ha nessun altro, presso il luogo
della sua detenzione, che abbia così sinceramente a cuore le sorti della Chiesa
filippese, in piena coerenza con il ruolo svolto da Timoteo nella fondazione della
comunità (At 16,1-15). In effetti, l’Apostolo non trova alcuno adatto a essere inviato
a Filippi, perché è circondato da persone che pensano ai propri interessi e non a
quelli del Vangelo (v. 21). Complessivamente, siamo di fronte a un vero e proprio
confronto retorico tra Timoteo e gli altri cristiani, segnato da una generalizzazione
enfatica al fine di porre in risalto la singolare posizione del collaboratore. La se-
conda ragione per l’invio di Timoteo è costituita dalla prova da lui fornita, di cui
i Filippesi sono a conoscenza, nel servizio del Vangelo vissuto in stretta relazione
con Paolo (v. 22). Si tratta di un rapporto padre-figlio che esprime l’attaccamento
e l’affetto tra i due, ma che è sperimentato nell’ambito del comune impegno per
l’annuncio. Questa metafora legata ai legami parentali è utilizzata nelle lettere
paoline, oltre che per esprimere la relazione dell’Apostolo con singoli che sono
stati da lui evangelizzati e sono divenuti suoi collaboratori (p. es., 1Cor 4,17; Tt
1,4; Fm 10), anche per descrivere il rapporto di Paolo con intere comunità alle
quali ha portato l’annuncio della fede (1Cor 4,15; Gal 4,19). Nel suo complesso
l’elogio di Timoteo è più di tutto motivato dal fatto che, con la sua esistenza, egli
FILIPPESI 2,24 64

πέμψαι ὡς ἂν ἀφίδω τὰ περὶ ἐμὲ ἐξαυτῆς· 24 πέποιθα δὲ ἐν κυρίῳ


ὅτι καὶ αὐτὸς ταχέως ἐλεύσομαι.

 Ἀναγκαῖον δὲ ἡγησάμην Ἐπαφρόδιτον τὸν ἀδελφὸν καὶ


25

συνεργὸν καὶ συστρατιώτην μου, ὑμῶν δὲ ἀπόστολον καὶ


λειτουργὸν τῆς χρείας μου, πέμψαι πρὸς ὑμᾶς, 26 ἐπειδὴ

e Timoteo (1,1) e, soprattutto, la condizione ma, più ragionevolmente, alla stessa libera-
assunta da Cristo (2,7). Il tempo aoristo del zione e forse anche ai progetti di evange-
verbo ha valore complessivo, in relazione a lizzazione.
tutto l’impegno che il collaboratore ha profu- 2,24 Sono convinto nel Signore (pe,poiqa de.
so mentre era associato all’Apostolo. evn kuri,w|) – L’espressione in parte ricalca
2,23 Avrò visto (avfi,dw) – Il verbo avfora,w quella del v. 19; là, con il verbo evlpi,zw, si
negli scritti canonici è utilizzato soltanto in manifestava un augurio; qui, invece, con
Gio 4,5 per uno sguardo di attesa da lontano, pei,qw, si indica una quasi certezza (cfr. 1,14).
mentre in Eb 12,2 indica un vedere fisso e 2,25 Ho considerato (h`ghsa,mhn) – La forma
attento. La prima accezione si addice bene verbale è un aoristo epistolare nel senso che
al nostro contesto. Paolo si pone dal punto di vista temporale di
La mia situazione (ta. peri. evme,) – Alla lette- chi legge; pensando al momento in cui scrive
ra: «le cose che mi riguardano». L’espressio- avrebbe dovuto usare il presente.
ne richiama ta. katV evme, usata in 1,12 per la Epafrodito – Il nome proprio (ricorre solo
situazione di prigionia di Paolo. Nel nostro qui e in 4,18) deriva da quello della dea
caso non ci si riferisce certo al pericolo di Afrodite e indica un legame stretto con lei
una possibile esecuzione, visto quanto af- e quindi la provenienza della persona così
ferma il versetto immediatamente seguente, chiamata dall’ambiente pagano.

rispecchia il modello di Cristo, assumendo perciò anche un carattere esemplare.


Infatti il comportamento del collaboratore, che ha a cuore le sorti della Chiesa
filippese senza curarsi dei propri interessi, corrisponde alla richiesta esortativa di
2,4 immediatamente legata all’itinerario di Cristo; soprattutto il suo «servizio da
schiavo» (edoúleusen) riproduce la stessa condizione assunta dal suo Signore in 2,7.
Al v. 23 Paolo ribadisce, con parole riprese dal v. 19, la speranza dell’invio di
Timoteo e spiega che il suo collaboratore non potrà partire nell’immediato, ma in
un futuro relativamente prossimo, cioè non appena la sua situazione di prigionia si
sarà risolta. Non è dato di sapere la precisa ragione per la quale l’Apostolo debba
trattenere presso di sé Timoteo: forse perché lo assista nel tempo di detenzione che
gli resta, oppure perché si rechi dai Filippesi con la fresca notizia della liberazione
di Paolo. Probabilmente lo stesso elogio del collaboratore nei versetti precedenti è
finalizzato in parte a giustificare, stando l’impossibilità dell’Apostolo di inviarlo,
la conseguente attesa della comunità: in ragione delle numerose doti di Timoteo
e della sua compartecipazione alla missione paolina, varrà davvero la pena atten-
derlo e accoglierne poi le indicazioni. La prima parte del brano si conclude con
la precisazione che la visita del collaboratore non sostituirà quella dell’Apostolo;
65 FILIPPESI 2,26

quindi di inviarlo non appena avrò visto che piega prenderà la mia
situazione, 24ma sono convinto nel Signore che anch’io verrò presto.

25
Tuttavia ho considerato necessario inviare da voi Epafrodito,
mio fratello, collaboratore e compagno di lotta, vostro
inviato e assistente alle mie necessità, 26dal momento che

Mio fratello, collaboratore e compagno difficoltà e le sofferenze che esso comporta.


di lotta (to.n avdelfo.n kai. sunergo.n kai. Inviato e assistente (av p o, s tolon kai.
sustratiw,thn mou) – Le tre qualifiche, pre- leitourgo,n) – I due qualificativi, che pos-
senti insieme anche in Fm 1-2, sono relative sono anche essere letti come un’endiadi,
al rapporto tra Epafrodito e Paolo. La prima descrivono Epafrodito in rapporto ai Filip-
designa un’affettuosa e profonda relazione pesi. Come in 2Cor 8,23, Paolo utilizza qui
con l’Apostolo. La seconda è rappresenta- il particolare titolo di avpo,stoloj per desi-
ta da sunergo,j, termine tipico delle lettere gnare il delegato di una Chiesa. Il vocabolo
paoline (p. es., Rm 16,3; 1Cor 3,9; 1Ts 3,2) leitourgo,j (cfr. leitourgi,a ai vv. 17.30)
e ripetuto anche nella nostra epistola (4,3), indica un servitore in qualsiasi ambito, ivi
usato per coloro che, in qualsiasi modo, compreso quello cultuale. In questo caso,
hanno lavorato con l’Apostolo a servizio in ragione di quanto si legge in 4,16-18,
del Vangelo. La terza, costituita dal sostan- il servizio è prima di tutto legato all’aiuto
tivo sustratiw,thj (unica altra occorrenza finanziario dei Filippesi, ma, visto quanto
in Fm 2) richiama il linguaggio militare di affermato nelle tre precedenti qualifiche, è
1,27-30, relativo alla lotta per il Vangelo, e da pensare anche a un’assistenza più ampia
indica quindi la cooperazione di Epafrodi- nei confronti del prigioniero e della sua mis-
to con Paolo per l’annuncio, nonostante le sione di evangelizzazione.

semplicemente la precederà (v. 24). La convinzione di fede che Paolo giungerà


presto a Filippi indica non solo il suo vivo affetto per la comunità, ma può far
pensare anche a una situazione difficile della Chiesa filippese alla quale, nell’attesa
di ricevere l’Apostolo, viene promesso l’invio di due fidati e valenti cooperatori.

2,25-30 L’invio di Epafrodito da parte di Paolo


Nella speranza di poter inviare al più presto Timoteo e nella convinzione di
recarsi lui stesso dai Filippesi, per il momento Paolo manda Epafrodito (v. 25). Egli
è latore della lettera che intende servire ad alimentare il rapporto tra l’Apostolo e
la sua comunità. Come già Timoteo, anche Epafrodito è diffusamente elogiato da
Paolo. L’Apostolo intende non solo mettere in rilievo l’utilità della presenza presso
di lui di questo collaboratore, che gli ha recato l’aiuto finanziario dei Filippesi
con il quale sovvenire alle necessità derivanti dalla detenzione (p. es., lo stato
non provvedeva al cibo per il prigioniero), ma anche lodare la stessa comunità
di Filippi che ha scelto di inviargli una tale persona. Da notare al v. 25 e al v. 30
la riproposizione di un linguaggio sacrificale, probabilmente al fine di suggerire
che Epafrodito, proprio servendo Paolo, rende culto a Dio.
FILIPPESI 2,27 66

ἐπιποθῶν ἦν πάντας ὑμᾶς καὶ ἀδημονῶν, διότι ἠκούσατε ὅτι


ἠσθένησεν. 27 καὶ γὰρ ἠσθένησεν παραπλήσιον θανάτῳ· ἀλλὰ ὁ
θεὸς ἠλέησεν αὐτόν, οὐκ αὐτὸν δὲ μόνον ἀλλὰ καὶ ἐμέ, ἵνα μὴ
λύπην ἐπὶ λύπην σχῶ. 28 σπουδαιοτέρως οὖν ἔπεμψα αὐτόν, ἵνα
ἰδόντες αὐτὸν πάλιν χαρῆτε κἀγὼ ἀλυπότερος ὦ. 29 προσδέχεσθε
οὖν αὐτὸν ἐν κυρίῳ μετὰ πάσης χαρᾶς καὶ τοὺς τοιούτους
ἐντίμους ἔχετε, 30 ὅτι διὰ τὸ ἔργον Χριστοῦ μέχρι θανάτου
ἤγγισεν παραβολευσάμενος τῇ ψυχῇ, ἵνα ἀναπληρώσῃ τὸ ὑμῶν
ὑστέρημα τῆς πρός με λειτουργίας.

2,26 Era angosciato (avdhmonw/n) – Il verbo Il dolore che sarebbe stato provocato dalla
avdhmone,w, presente nel resto della Bibbia morte di Epafrodito si sarebbe aggiunto a
soltanto in Mt 26,37 e in Mc 14,33 a propo- quello derivante dalle difficoltà di Paolo pri-
sito della preghiera di Gesù nel Getsemani, gioniero narrate in 1,12-26.
denota inquietudine e turbamento. 2,28 Ho inviato (e;pemya) – La forma verbale
2,27 Dio ha avuto misericordia (o` qeo.j è un aoristo epistolare.
hvle,hsen) – Il riferimento alla misericordia Meno triste (av l upo, t eroj) – L’aggettivo
di Dio per la guarigione da una malattia è a;lupoj, qui usato al grado comparativo, è
unico negli scritti paolini, ma richiama il un hapax biblico.
modello salmico dove, con l’utilizzo dello 2,29 Accoglietelo... nel Signore (prosde,cesqe
stesso verbo evlee,w di Fil 2,27, si descrive ou=n auvto.n evn kuri,w|) – Significa che Epa-
l’azione di Dio a beneficio del malato (p. es., frodito va ricevuto come si conviene a un
Sal 6,3; 9,14; 29,11 [TM 30,11]). fratello in Cristo (cfr. Rm 16,2).
Tristezza su tristezza (lu,phn evpi. lu,phn) – Abbiate stima di uomini simili (tou. j

Nonostante il suo valore e la sua utilità, il collaboratore riparte di nuovo ver-


so Filippi, ancor prima di Timoteo (v. 26). Le ragioni fornite dipendono non
dall’Apostolo, ma dallo stesso Epafrodito che ha un forte desiderio di rivedere i
membri della sua comunità ed è ansioso di rassicurarli riguardo alle sue condizioni
di salute. La preoccupazione di questo collaboratore non è descritta in termini
negativi dal testo, come se essa fosse sintomo di una rilevante fragilità psicologica
(ipotesi avanzata da alcuni esegeti), bensì in maniera positiva a dimostrazione
dell’interesse di costui per la propria Chiesa, così da far supporre un suo ruolo di
responsabilità all’interno della comunità di Filippi. Riguardo al momento e al luo-
go della malattia di Epafrodito nulla viene precisato nel brano, sappiamo soltanto
che i Filippesi ne sono a conoscenza e che lo stesso collaboratore è consapevole
che tale notizia è giunta a Filippi. Al v. 27 l’insistenza di Paolo sulla gravità di
quanto accaduto a Epafrodito, che ha rischiato la morte, non solo vuole giustificare
il ritardo impiegato a rimandarlo a Filippi, quanto soprattutto intende mettere in
risalto l’agire misericordioso di Dio nei confronti del collaboratore e di lui stesso.
Anche in base a ciò che è stato affermato al v. 25, il dolore che sarebbe derivato
dalla sua perdita dipende da due diversi fattori: Paolo avrebbe perduto un caro
compagno e il Vangelo sarebbe stato privato di un valido araldo.
67 FILIPPESI 2,30

desiderava molto rivedere voi tutti ed era angosciato perché


avevate saputo che era malato. 27E infatti è stato malato e davvero
vicino alla morte; ma Dio ha avuto misericordia di lui – non solo
di lui, anche di me, perché non avessi tristezza su tristezza. 28Ve
l’ho quindi inviato con particolare urgenza, così che vedendolo
vi rallegriate ancora e io sia meno triste. 29Accoglietelo quindi nel
Signore con grande gioia e abbiate stima di uomini simili, 30poiché
per l’opera di Cristo ha sfiorato la morte, avendo rischiato la vita,
al fine di supplire alla vostra assenza nel servizio verso di me.
toiou,touj evnti,mouj e;cete) – Formule affini Avendo rischiato (paraboleusa,menoj) – Il
sono utilizzate in altri passaggi delle lettere verbo paraboleu,omai, in origine associato
paoline (1Cor 16,15-18; 1Ts 5,12-13; 1Tm probabilmente al gioco d’azzardo, è molto
5,17) per invitare le comunità a tenere in alta raro nel greco enteriore a Paolo e rappresenta
considerazione coloro che, avendo in esse un un hapax biblico. Il sintagma è da collegare
ruolo di responsabilità, vi si profondono con a quanto precede.
impegno e dedizione. Al fine di supplire alla vostra assenza nel
2,30 L’opera di Cristo (to. e;rgon Cristou/) servizio verso di me – Frase simile a quella
– Il genitivo è di origine nel senso di “opera di 1Cor 16,17. Il servizio (leitourgi,a) non ri-
assegnata o voluta da Cristo”. L’espressio- guarda solo l’aiuto finanziario recato da Epa-
ne nel suo insieme richiama «l’opera del Si- frodito, ma anche il suo valido sostegno nei
gnore» di 1Cor 15,58; 16,10 che indica tut- confronti di Paolo (cfr. v. 25).
to quanto si compie in relazione al Vangelo  2,19-30 Testi affini: 1Cor 4,17; 16,10-18;
(per «opera», cfr. 1,6.22). 1Ts 2,18–3,8

Il v. 28 provvede a un nuovo annuncio dell’invio di Epafrodito, ma questa volta


fornendone le ragioni dal punto di vista dei Filippesi, che gioiranno a rivederlo, e di
Paolo che in tal modo sarà meno triste, perché pur addolorato per la partenza del valen-
te collaboratore sarà consolato all’idea di contribuire alla gioia dei suoi destinatari.
Con un linguaggio tipico delle lettere di raccomandazione, al v. 29 l’Apo-
stolo trae le conseguenze del suo discorso in favore di Epafrodito, chiedendo ai
Filippesi che lo accolgano e lo stimino. In conclusione fornisce le motivazioni
della sua richiesta, le quali consistono nel fatto che il collaboratore ha compiuto
il lavoro a lui affidato dal Signore, non ha avuto timore di mettere a repentaglio
la propria vita e ha così rappresentato i Filippesi nel suo servizio a Paolo (v. 30).
L’attenzione dell’Apostolo non mira tanto a guadagnare la considerazione per il
suo collaboratore da parte dei destinatari, che già lo dovevano stimare, quanto a
sottolineare i motivi fondanti il valore di quest’ultimo.
Come avveniva in precedenza per Timoteo, così anche Epafrodito è elogiato
soprattutto perché nella sua esistenza ripropone il modello cristologico, assu-
mendo quindi caratteristiche esemplari (v. 30). Infatti egli non solo corrisponde,
con la sua opera a vantaggio del Vangelo (vv. 25.30), all’invito a operare così da
conseguire la salvezza (v. 12) ma, come Cristo (v. 8), al fine di compiere la sua
FILIPPESI 3,1 68

3  Τὸ λοιπόν, ἀδελφοί μου, χαίρετε ἐν κυρίῳ. τὰ αὐτὰ γράφειν


1

ὑμῖν ἐμοὶ μὲν οὐκ ὀκνηρόν, ὑμῖν δὲ ἀσφαλές.

2
 Βλέπετε τοὺς κύνας, βλέπετε τοὺς κακοὺς ἐργάτας, βλέπετε
τὴν κατατομήν. 3 ἡμεῖς γάρ ἐσμεν ἡ περιτομή, οἱ πνεύματι

3,1 Del resto (to. loipo,n) – Questo sintagma mentativi e della finalità esortativa.
avverbiale può indicare sia la conclusione Non pesa (ouvk ovknhro,n) – Con questa ti-
sia l’inizio di un testo. Qui non conclude, pica formula epistolare di esitazione (let-
ma apre un nuovo sviluppo epistolare, assu- teralmente: «non è motivo di esitazione»)
mendo la stessa funzione che il solo loipo,n l’autore, commentando il suo stesso scrive-
ha in altri passaggi paolini (p. es., 1Cor 1,16; re, si giustifica per un qualche motivo con il
1Ts 4,1; 2Ts 3,1). destinatario, in questo caso in ragione della
Le stesse cose (ta. auvta,) – Tale espressione ripetizione.
indica che la seconda parte della lettera (cc. 3,2 Guardatevi da (ble,pete) – Di solito nel
3–4) è segnata da una ripetizione di più ele- NT questo imperativo plurale seguito da una
menti della prima (cc. 1–2). Una ripetizione particella significa «guardatevi da» (p. es.,
al livello dei contenuti, degli strumenti argo- Mc 8,15; Gal 5,15; Eb 12,25), altrimenti

missione, dona tutto se stesso sino alla morte (vv. 27.30). In definitiva gli elementi
elogiativi nei confronti dei due collaboratori utilizzano motivazioni contrarie
alla mentalità corrente (preoccuparsi degli altri, servire, donare la propria vita),
assumendo quindi una prospettiva paradossale e cominciando così a mostrare che
cosa significhi avere lo stesso modo di pensare di Cristo (cfr. 2,5). Tale visione sarà
ulteriormente e pienamente sviluppata nel brano seguente di 3,1–4,1, riguardante
il cammino di Paolo, autentica riproduzione di quello di Cristo.

L’ESEMPIO DI PAOLO.
ESORTAZIONI BASATE SULL’AUTOELOGIO DI PAOLO (3,1–4,1)
Con il c. 3 inizia, oltre che la seconda parte della lettera, una seconda serie di
esortazioni, basate ancora su un esempio: quello di Paolo, apostolo e fondatore
della comunità di Filippi. Se il testo di 2,1-18 incentrato sul modello di Cristo
costituiva il primo pilastro della lettera, il brano di 3,1–4,1 rappresenta il secondo
con la riproduzione, da parte dell’Apostolo, dell’itinerario del suo Signore.
Anche la composizione dei due brani mostra alcune somiglianze. Infatti, se si
esclude la transizione di 3,1 e la conclusione di 4,1, il brano di 3,1–4,1 risulta così
diviso: A. esortazione in negativo a guardarsi dagli avversari e relativa giustificazione
(3,2-4a); B. autoelogio di Paolo con valore esemplare (3,4b-16); A’. esortazione in
positivo a imitare Paolo e relative giustificazioni (3,17-21). Come per l’itinerario di
Cristo, anche quello dell’Apostolo costituisce la motivazione delle esortazioni che lo
circondano, le quali a loro volta forniscono la prospettiva di lettura. Dall’altra parte, le
giustificazioni, immediatamente legate alle esortazioni, ampliano l’orizzonte di riferi-
mento del modello dell’Apostolo agli ascoltatori e, attraverso di essi, a tutti i cristiani.
69 FILIPPESI 3,3

3 Del resto, fratelli miei, gioite nel Signore; scrivervi le stesse


1

cose a me non pesa, a voi dà sicurezza.

2
Guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai, guardatevi
dalla mutilazione. 3Infatti la circoncisione siamo noi, che

semplicemente «guardate» (p. es., Mc 4,24; Giuseppe Flavio, Contro Apione 2.85; cfr.
Lc 8,18; 1Cor 10,18). Nel testo di Fil 3,2, Mt 15,26-27; Mc 7,27-28), mentre l’espres-
sebbene non ci sia alcuna particella, la tri- sione «cattivi operai» può riferirsi a missio-
plice ripetizione del verbo, i tre epiteti ingiu- nari cristiani animati da intenti non buoni
riosi e l’antitesi con il v. 3 fanno propendere (cfr., p. es., Mt 9,37; Lc 13,27; 2Cor 11,13);
per l’accezione «guardatevi da». infine con «mutilazione», termine appropria-
Cani... cattivi operai... mutilazione (ku,naj... to per alcune pratiche pagane condannate
tou.j kakou.j evrga,taj... th.n katatomh,n) – I dalla Scrittura (cfr., p. es., Lv 21,5; Is 15,2;
tre epiteti sono ridondanti e designano una Os 7,14), siamo di fronte a un gioco di parole
sola categoria di persone. In particolare il (paronomasia), dal sapore ironico, con il ter-
termine «cani» è un insulto ricorrente nel- mine «circoncisione», che immediatamente
la polemica anti-pagana degli Ebrei (p. es., segue all’inizio del v. 3.

3,1 Transizione
Il primo versetto del c. 3 svolge una funzione di transizione. In particolare,
il v. 1a riprende il tema della gioia e la relativa esortazione, presente in 2,18,
dopo l’interruzione dovuta alle notizie autobiografiche su Timoteo ed Epafrodito
di 2,19-30. Questa volta si tratta di una gioia «nel Signore» e dunque vissuta e
radicata nell’esperienza di comunione con Cristo, nonostante le difficoltà e le
sofferenze che si debbono affrontare. Il v. 1b, invece, introduce un nuovo sviluppo
dello scritto, cioè la seconda parte della lettera, vista come ripetizione della prima
(«scrivervi le stesse cose»). Tale ripetizione rappresenta un mezzo pedagogico
utilizzato dall’Apostolo per il bene dei Filippesi («a voi dà sicurezza») e per questo
non esita a ricorrervi («a me non pesa»).

3,2-4a Esortazione a guardarsi dagli avversari e relativa giustificazione


Con il v. 2 viene introdotta una messa in guardia di Paolo nei confronti dei
Filippesi, affinché non si lascino influenzare da alcuni avversari, i quali sono ad-
ditati con tre epiteti ingiuriosi. Questo linguaggio infamante è parte dell’arsenale
retorico dell’invettiva che consiste in un attacco ad personam, al fine di distruggere
la credibilità dei rivali di fronte agli uditori. In questo versetto e nei vv. 18-19, pur
mancando l’apostrofe diretta dell’avversario, si ritrovano lo scopo proprio di tale
genere letterario e diversi suoi tipici artifici: paragoni infamanti, confronto degli
avversari con persone irreprensibili, giochi di parole, deprezzamento e inversione
di concetti positivi attraverso l’ironia.
Riguardo all’identità degli oppositori è stata formulata una ridda di ipotesi, che
possono essere così raggruppate: ebrei, gnostici, aderenti ai culti pagani, cristiani
FILIPPESI 3,4  70

θεοῦ λατρεύοντες καὶ καυχώμενοι ἐν Χριστῷ Ἰησοῦ καὶ οὐκ


ἐν σαρκὶ πεποιθότες, 4 καίπερ ἐγὼ ἔχων πεποίθησιν καὶ ἐν
σαρκί.
 Εἴ τις δοκεῖ ἄλλος πεποιθέναι ἐν σαρκί, ἐγὼ μᾶλλον· 5 περιτομῇ
4b

ὀκταήμερος, ἐκ γένους Ἰσραήλ, φυλῆς Βενιαμίν, Ἑβραῖος ἐξ


Ἑβραίων, κατὰ νόμον Φαρισαῖος, 6 κατὰ ζῆλος διώκων τὴν
ἐκκλησίαν, κατὰ δικαιοσύνην τὴν ἐν νόμῳ γενόμενος
ἄμεμπτος.
3,3 Ci vantiamo (kaucw,menoi) – Il verbo Nella carne (evn sarki,) – L’espressione è tipi-
kauca,omai richiama il sostantivo corrispon- camente paolina con 15 occorrenze sulle 18
dente kau,chma di 1,26 e 2,16 e la tematica complessive del NT. In particolare in Fil 3,3
del vanto là sviluppata. Nel nostro versetto «carne» potrebbe indicare la circoncisione,
il «vantarsi in Cristo» trova il suo significato poiché in ebraico il termine corrispondente a
proprio in riferimento all’espressione con- «carne» (bāśār) assume anche questo signifi-
trapposta «confidare nella carne». Si tratta cato e sulla circoncisione si insiste sia al v. 3
dunque di porre la propria fiducia in Cristo, che al v. 5. Ma, più opportunamente, il riferi-
affidando a lui la propria vita. mento si amplia poi alla serie dei privilegi e

scismatici, giudeo-cristiani. La soluzione più sicura, in ragione dei termini utilizza-


ti e dei paralleli con altre lettere (cfr. 2Cor 10–13; Galati), è quella di identificarli
come missionari giudeo-cristiani che fanno pressione sui pagano-cristiani filippesi
perché assumano i segni distintivi del giudaismo, in particolare la circoncisione,
come perfezionamento della loro fede.
La motivazione dell’esortazione in negativo (vv. 3-4a) insiste soprattutto sulla
condizione dei credenti in Cristo, in particolare su quella dei pagano-cristiani
come i Filippesi che non hanno la circoncisione fisica – segno identificativo per
il giudaismo nel I secolo e requisito necessario per partecipare alla liturgia del
tempio (cfr. Es 12,44-48; Ez 44,7) – ma ormai possono rendere culto, grazie allo
Spirito ricevuto, attraverso l’offerta della propria vita a Dio (cfr. Rm 12,1; Col
2,11). Allo stesso modo Paolo aveva già parlato in 2,17 della sua possibile morte
per Cristo, utilizzando una terminologia sacrificale. Si mette inoltre in campo
l’alternativa fondamentale che percorre l’intero passo: da una parte, «vantarsi
in Cristo», cioè porre in lui il fondamento della propria esistenza (cfr. vv. 7-14),
dall’altra, «confidare nella carne» e quindi fare affidamento sui propri doni ricevuti
e sui meriti acquisiti (cfr. vv. 5-6).
Nel loro insieme, i vv. 2-4a introducono quindi i protagonisti di tutto il brano:
Paolo, Cristo, i Filippesi e, sullo sfondo, gli oppositori. In tal modo, questi versetti
preparano la periautologia, ovvero l’elogio di sé che Paolo svilupperà a partire dal
v. 4b. Si tratta di un genere letterario greco-romano, spesso malvisto, attraverso
il quale si opera una lode di sé adattando alla prima persona le rubriche (topoi)
tipiche dell’elogio (origini, educazione, atti e virtù, confronto retorico). In base
71 FILIPPESI 3,6

prestiamo un culto per mezzo dello Spirito di Dio e ci vantiamo


in Cristo Gesù e non confidiamo nella carne, 4sebbene io abbia
la possibilità di confidare anche nella carne.
4b
Se qualcuno pensa di confidare nella carne, io più di lui.
5
Circonciso l’ottavo giorno, della stirpe di Israele, della tribù
di Beniamino, Ebreo figlio di Ebrei; quanto alla Legge fariseo,
6
quanto allo zelo persecutore della Chiesa, quanto alla giustizia
che si trova nella Legge irreprensibile.
dei risultati acquisiti da Paolo nei vv. 5-6, di effettuata otto giorni dopo la nascita.
cui la circoncisione è il segno più evidente. 3,6 Zelo (zh/loj) – È un ardore di natura re-
3,4b Qualcuno (tij) – Si tratta di un ipo- ligiosa, per il quale l’ebreo fedele è disposto
tetico rappresentante del gruppo degli av- a mettere a repentaglio la propria vita e a
versari. uccidere gli altri pur di difendere la Legge
3,5 L’ottavo giorno (ovktah,meroj) – L’agget- e il tempio (cfr. Nm 25,6-11; 1Mac 2,54.58;
tivo è un hapax legomenon in tutta la grecità Sal 69,10). Anche in Gal 1,13-14 Paolo ri-
fino a Paolo. I testi legali di Gen 17,12 e Lv corda di aver perseguitato la Chiesa a motivo
12,3 prescrivono che la circoncisione sia del suo zelo.

alle indicazioni degli antichi, l’oratore deve porre ogni attenzione per attenuare
l’effetto spiacevole generato sugli ascoltatori, con il rischio di mancare nel suo
scopo persuasivo. Perciò nell’elogio di sé è importante ricorrere a un procedimento
che può essere considerato un vero e proprio transfert, cioè un trasferimento ad
altri soggetti dello stato di referente primo del discorso. Infatti, se la lode di sé
ha per formula: «Io mi lodo di fronte a un uditorio», tutta l’arte retorica consiste
nel dissociare l’«io» dal «me» o l’oratore dall’uditorio, in modo che sia attenuato
il più possibile l’effetto spiacevole generato da un elogio della propria persona.
Infine, la periautologia può essere accettata se è svolta in risposta alle accuse degli
avversari, che possono anche esercitare una cattiva influenza su quelli della propria
parte, e con un preciso fine etico legato all’imitazione di colui che la pronuncia.
Nel nostro testo, come vedremo, Paolo terrà conto di questo modello letterario e
delle sue regole, facendone però un uso del tutto originale.
Così i vv. 2-4a, presentando gli avversari (come anche i vv. 18-19), utilizzano
la tipica motivazione per ricorrere alla periautologia; inoltre, lodando il gruppo
«noi», preparano il transfert elogiativo dall’autore agli ascoltatori; infine, contrap-
ponendo Paolo agli oppositori e il «confidare nella carne» al «vantarsi in Cristo
Gesù», inseriscono l’elemento retorico del confronto.

3,4b-16 Autoelogio di Paolo con valore esemplare


Cominciando dal v. 4b, nei versetti centrali è posto in risalto l’«io» di Paolo.
Siamo di fronte all’elogio di sé vero e proprio (vv. 4b-14), seguito da una sua
conclusione esortativa segnata dall’uso del «noi» (vv. 15-16). In particolare i vv.
FILIPPESI 3,7 72

7
 [Ἀλλὰ] ἅτινα ἦν μοι κέρδη, ταῦτα ἥγημαι διὰ τὸν Χριστὸν
ζημίαν. 8 ἀλλὰ μενοῦνγε καὶ ἡγοῦμαι πάντα ζημίαν εἶναι
διὰ τὸ ὑπερέχον τῆς γνώσεως Χριστοῦ Ἰησοῦ τοῦ κυρίου μου,
δι᾽ ὃν τὰ πάντα ἐζημιώθην, καὶ ἡγοῦμαι σκύβαλα,
ἵνα Χριστὸν κερδήσω

3,7 [Ma] ([avlla,]) – L’edizione critica atte- bile. L’aggiunta potrebbe essere spiegata con
sta un’incertezza riguardo al termine, poiché la volontà di enfatizzare la contrapposizione
importanti testimoni lo omettono. Noi pro- del v. 7 con quanto precede, riproponendo lo
penderemmo a non includere nel testo avlla,, stesso avlla, presente al v. 8.
poiché la testimonianza a favore della sua Guadagni... perdita (ke, r dh... zhmi, a n) –
emendazione è, anche se non di molto, di Questo linguaggio è tipicamente finan-
valore superiore; inoltre la lectio senza avlla, ziario e richiama le metafore usate nella
risulta quella più difficile e quindi, secondo lettera a proposito del rapporto Paolo-Fi-
le regole della critica testuale, la più proba- lippesi (4,14-19). Il riferimento è alle ca-

4b-14 possono essere ulteriormente suddivisi in tre parti, costituenti tre diverse
tappe dal punto di vista sia contenutistico che cronologico: vanto giudaico (vv. 4b-
6), vanto rovesciato in Cristo (vv. 7-11), vanto cristiano attenuato (vv. 12-14).
3,4b-6 Vanto giudaico
Al v. 4b si enuncia, a confronto con un rappresentante del gruppo degli avversari,
la superiorità di Paolo per quanto riguarda il «confidare nella carne». Le ragioni
dell’affermazione vengono fornite nei vv. 5-6, attraverso sette elementi, i quali pos-
sono essere divisi in due categorie: i doni ricevuti (primi quattro) e i meriti acquisiti
(gli altri tre). I doni sono legati alla rubrica encomiastica delle origini: Paolo è stato
circonciso l’ottavo giorno come un autentico giudeo, appartiene al popolo di Israele,
proviene da una tribù prestigiosa e i suoi genitori sono entrambi ebrei. Dall’altra
parte, i meriti acquisiti sono legati ai topoi dell’educazione, degli atti e delle virtù:
l’Apostolo è stato educato all’interno della corrente farisea, la più rigorosa in quanto
alla pratica della Legge mosaica; a motivo del suo zelo per essa ha perseguitato la
Chiesa e, secondo la giustizia propria di chi osserva le prescrizioni della Legge, è
divenuto irreprensibile. Si tratta del concetto biblico ordinario di giustizia, legata al
bene che uno deve compiere osservando la Legge rivelata da Dio a Mosè. In base a
ciò si è riconosciuti giusti e, quindi, destinatari della salvezza divina. In aggiunta è
da rilevare, per quanto riguarda i farisei, che essi costituivano un gruppo religioso,
prevalentemente laico, i cui componenti si distinguevano per la stretta fedeltà alla
Legge scritta (Pentateuco) e orale (tradizioni dei padri). Paolo è l’unico, se si eccettua
Giuseppe Flavio, a dichiarare di essere appartenuto a tale movimento.
Nel loro complesso, questi tratti dell’autoelogio paolino sono presentati in
un’accumulazione segnata da un climax ascendente e vanno a costituire un profilo
ebraico impeccabile. Tali elementi indicano altresì che, se in seguito Paolo ha
scelto Cristo, non lo ha fatto per compensare un suo fallimento nel giudaismo, ma
73 FILIPPESI 3,8

7
[Ma] queste cose, che erano per me guadagni, le ho considerate,
a motivo di Cristo, una perdita. 8Anzi, considero che tutto sia
una perdita a motivo del bene sublime della conoscenza di Gesù
Cristo, il mio Signore: per lui ho lasciato perdere tutte le cose,
considerandole spazzatura, per guadagnare Cristo

ratteristiche elencate nei vv. 5-6, che sono conoscenza di Gesù Cristo». Il sostantivo
in sé vantaggi e motivi di vanto, ma, dopo gnw/sij è utilizzato in relazione alla cono-
l’incontro con Cristo, vengono considerate scenza di Cristo soltanto qui e in 2Pt 3,18.
da Paolo come realtà di nessun valore. D’altra parte, l’aspetto del conoscere, che
3,8 Bene sublime della conoscenza di Gesù ricorre anche al v. 10 e indica un rapporto
Cristo (to. u`pere,con th/j gnw,sewj Cristou/ di comunione e appartenenza a Cristo da
VIhsou/) – Il genitivo «della conoscenza» è parte dell’Apostolo, assume importanza
epesegetico; quindi, spiega il sostantivo al centrale nei vv. 7-11 e in tutto il testo di
quale si riferisce: «bene sublime che è la 3,1–4,1.

soltanto a motivo di un inaspettato intervento di Dio, il solo capace di sconvolgere


la sua ferma e convinta personalità.
3,7-11 Vanto rovesciato in Cristo
I vv. 7-8 enunciano un rivolgimento totale del vanto giudaico precedente.
Servendosi di una retorica dell’eccesso, Paolo afferma di essere giunto a consi-
derare quegli eccellenti doni e meriti acquisiti («guadagni») «una perdita», anzi
«spazzatura». Per lui tutto ha ormai perso valore. Dal punto di vista retorico,
assistiamo a un’accumulazione climatica discendente, in piena contrapposizione
con quella ascendente dei versetti che precedono. La ragione di tale rivalutazione
e mutamento è unicamente Cristo, l’incontro e la conoscenza del Risorto, divenuto
per Paolo «il mio Signore».
Questo conoscere è da comprendersi essenzialmente sullo sfondo di tutta la
tradizione biblico-giudaica, dove viene utilizzato per l’amore e i legami più pro-
fondi. In particolare riguarda il rapporto con Dio, vissuto sia da tutto il popolo
(Am 3,2) sia dai singoli (1Sam 3,7); con accenti simili, si tratta del conoscere
Dio anche nella letteratura extra-biblica (Oracoli Sibillini 3,693), inclusi i testi di
Qumran (Regola della Comunità [1QS] 1,12; 4,22). Dobbiamo però anche notare
che l’insistenza sul conoscere il bene (per poterlo attuare) era proprio della filosofia
coeva, in particolare di quella stoica (p. es., Cicerone, Il bene e il male, 3,21).
A loro volta, i vv. 9-11 mostrano ciò che deriva dal radicale cambiamento
avvenuto grazie all’incontro con Cristo, quello che è ora importante per Paolo.
Anzitutto, una prima conseguenza consiste nell’essere unito a Cristo, con una
condizione di giustizia di fronte a Dio basata non sull’osservanza della Legge
(cfr. v. 6) ma sulla fede (v. 9). Incontrando il suo Signore, Paolo ha abbandonato
il primo principio per abbracciare il secondo così da possedere la propria giustizia
cristiana. Alcuni esegeti (p. es., Sanders, Dunn) affermano che in questo versetto
FILIPPESI 3,9 74

9
 καὶ εὑρεθῶ ἐν αὐτῷ, μὴ ἔχων ἐμὴν δικαιοσύνην τὴν ἐκ νόμου
ἀλλὰ τὴν διὰ πίστεως Χριστοῦ, τὴν ἐκ θεοῦ δικαιοσύνην ἐπὶ τῇ
πίστει, 10 τοῦ γνῶναι αὐτὸν καὶ τὴν δύναμιν τῆς ἀναστάσεως
αὐτοῦ καὶ [τὴν] κοινωνίαν [τῶν] παθημάτων αὐτοῦ,
συμμορφιζόμενος τῷ θανάτῳ αὐτοῦ, 11 εἴ πως καταντήσω εἰς
τὴν ἐξανάστασιν τὴν ἐκ νεκρῶν.
3,9 Ed essere trovato in lui (kai. eu`reqw/ evn da Dio e si basa sulla fede». Dalla struttura
auvtw/|) – Questo sintagma, attraverso kai, grammaticale risulta quindi che «Legge» e
con valore epesegetico, chiarisce e spiega il «fede» sono due principi contrari e alternativi
precedente «per guadagnare Cristo»: non è sui quali basare la propria giustizia.
Paolo a guadagnare Cristo, ma è Cristo che Mediante la fede in Cristo (dia. pi,stewj
lo fa trovare in lui, indicando una profon- Cristou/) – Il genitivo Cristou/ ha valore
da intimità e unione tra l’Apostolo e il suo oggettivo e non soggettivo («la fedeltà di
Signore. Cristo»), visto che nei vv. 7-11 Cristo non
Mia giustizia (evmh.n dikaiosu,nhn) – L’espres- è soggetto attivo, ma piuttosto oggetto della
sione ha valore predicativo; perciò la contrap- conoscenza di Paolo.
posizione nel versetto non è, come diverse 3,10 Così da conoscere lui (tou/ gnw/nai
traduzioni mostrano, tra «mia giustizia» e auvto,n) – La frase ha valore consecutivo
quella «che viene da Dio», ma tra «quella che non esprimendo una nuova finalità, ma un
viene dalla Legge» e quella «che viene me- altro aspetto, dopo quello della giustizia, del
diante la fede in Cristo: la giustizia che viene «guadagnare Cristo ed essere trovato in lui».

sono presentate due diverse giustizie e quindi due diverse vie di salvezza che
Paolo riterrebbe coesistenti: la prima è quella dell’Ebreo che osserva la Legge
e la seconda quella del cristiano grazie alla fede in Cristo. Ma il parallelismo
presente nel versetto contraddice questa interpretazione. In effetti, in base alla
composizione testuale, la sola giustizia «che viene da Dio» è «quella che viene
mediante la fede in Cristo» e quindi la sola salvifica.
Il secondo effetto, conseguente all’incontro con Cristo da parte di Paolo, è
l’esperienza attuale della conoscenza e cioè un rapporto quotidiano di comunione
con il suo Signore. Ciò comporta il divenire somigliante a Lui percorrendo lo
stesso suo itinerario, quello che conduce a sperimentare la potenza della risurre-
zione anche in mezzo alle sofferenze (v. 10). Se al v. 8 si trattava del fatto di avere
conosciuto Cristo, ora in primo piano sta la dinamica conoscitiva di Cristo che
Paolo vive giorno per giorno riproducendo, sostenuto dall’azione di Dio, il suo
stesso itinerario di morte e di risurrezione (cfr. 2,6-11). Nel testo del v. 10 assi-
stiamo a un’inversione dell’ordine usuale con la precedenza dell’elemento della
risurrezione di Cristo rispetto alle sue sofferenze. Tale procedimento, chiamato
in termini retorici hysteron-proteron, è finalizzato a evidenziare che Paolo, come
ogni credente, fa prima di tutto esperienza del Signore con tutta la sua forza di
Risorto (cfr. v. 8); poi può e deve vivere con lui anche la tribolazione derivante
dalla propria scelta di fede. Per quanto riguarda lo sfondo di questo versetto, è da
75 FILIPPESI 3,11

9
ed essere trovato in lui, non avendo come mia giustizia quella
che viene dalla Legge, ma quella che viene mediante la fede in
Cristo: la giustizia che viene da Dio e si basa sulla fede; 10così
da conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione
alle sue sofferenze, reso conforme alla sua morte, 11se in qualche
modo raggiungerò la risurrezione dai morti.

Reso conforme (summorfizo,menoj) – Il verbo 3,11 Se in qualche modo (ei; pwj) – L’espres-
summorfi,zw appare qui per la prima volta nella sione introduce una frase ipotetica di aspet-
lingua greca ed è un hapax legomenon nel NT. tazione, la quale non esprime un dubbio, ma
Richiama il sostantivo morfh, utilizzato due un’attesa (cfr. At 27,12; Rm 1,10; 11,14); nel
volte in 2,6-7, prima riguardo alla condizione nostro caso è quella della risurrezione.
divina e poi a quella di schiavo di Cristo. La risurrezione dai morti (eiv j th. n
[th,n]... [tw/n] – L’edizione critica attesta evxana,stasin th.n evk nekrw/n) – Il termine
un’incertezza riguardo ai due articoli, per- evxana,stasij («risurrezione») è un hapax le-
ché, in entrambi i casi, importanti testimoni gomenon neotestamentario. Il sintagma nel
li omettono. Comunque, la loro inclusione o suo insieme si riferisce, in contrasto con la
meno non modifica sostanzialmente il senso precedente menzione della risurrezione di
del testo. Cristo (per la quale si utilizzava avna,stasij)
Comunione – Il termine koinwni,a, già uti- la cui potenza è già disponibile, alla risurre-
lizzato in 1,5 e 2,1, ha significato attivo, zione finale di tutti gli uomini che è appunto
indicando un prendere parte. dai morti.

rilevare che il motivo della comunione nelle sofferenze è presente nella grecità
in merito al condividere i dolori e il morire dell’amico, segno di un vero legame
con lui (p. es., Eschilo, Coefore 976-979). D’altro canto, il legame tra giustizia e
conoscenza, così come si sviluppa nei vv. 9-10, si trova nella letteratura giudai-
ca, dove queste due realtà rappresentano degli attributi di Dio dei quali anche il
credente beneficia grazie al rapporto con Lui (Inni [1QHa] 19,7-8; Regola della
Comunità [1QS] 10,11-12). In ragione di quest’ultimo rilievo anche in 3,7-11 si
può intravedere quel processo di cristologizzazione della teologia più chiaramente
attestato in altri passaggi della lettera (p. es., 1,6; 2,10-11).
Come ultima conseguenza dell’incontro con il Risorto, in Paolo è germogliata
la speranza, che non dipende dalla sua volontà ma da quella di Dio, di giungere
alla risurrezione finale e quindi alla vita piena (v. 11).
Nell’insieme dei vv. 7-11, Paolo attua un transfert ben più radicale di quello
consigliato dagli autori riguardo alla periautologia; il suo vanto è completamente
trasferito in Cristo ed è motivato non sui suoi successi, ma su ciò che ha perduto
e sull’opera in lui compiuta dal Signore: il suo è dunque diventato un autoelogio
paradossale. Si tratta di un paradosso pienamente conforme alla retorica di Paolo,
la quale, basata sulla folle parola della croce (1Cor 1,18-25), sconvolge i canoni
e le convenzioni mostrando le inimmaginabili vie di Dio e la dismisura del suo
amore per l’uomo.
FILIPPESI 3,12 76

12
 Οὐχ ὅτι ἤδη ἔλαβον ἢ ἤδη τετελείωμαι, διώκω δὲ εἰ καὶ
καταλάβω, ἐφ᾽ ᾧ καὶ κατελήμφθην ὑπὸ Χριστοῦ [Ἰησοῦ].
13
 ἀδελφοί, ἐγὼ ἐμαυτὸν οὐ λογίζομαι κατειληφέναι· ἓν δέ, τὰ
μὲν ὀπίσω ἐπιλανθανόμενος τοῖς δὲ ἔμπροσθεν ἐπεκτεινόμενος,
14
 κατὰ σκοπὸν διώκω εἰς τὸ βραβεῖον τῆς ἄνω κλήσεως τοῦ
θεοῦ ἐν Χριστῷ Ἰησοῦ.

3,12 Tutto questo – Nel testo greco c’è un’ellis- ottenuto») che precede, fornendo un suo ap-
si dell’oggetto nei vv. 12-13 per mettere in evi- profondimento. Infatti, il cambio dall’aoristo
denza il processo, ancora in divenire, espresso al perfetto e il significato stesso di teleio,w
dai verbi. Se l’oggetto si deve esplicitare, esso indicano il passaggio dal procedere della vita
consiste, in ragione del contesto dei vv. 8-11, cristiana alla condizione finale che ne risulta.
nella piena conoscenza e comunione con Cri- Per poterlo afferrare, poiché anch’io sono
sto; abbiamo scelto pertanto di rendere l’og- stato afferrato da Cristo (eiv kai. katala,bw(
getto mancante in greco con «tutto questo». evfV w-| kai. katelh,mfqhn u`po. Cristou/) – La
Abbia ottenuto (e;labon) – Il verbo è all’ao- prima frase è una nuova ipotetica di aspetta-
risto con valore globale per indicare l’insie- zione con ei; pwj come al v. 11 (alla lettera:
me del cammino di fede finora compiuto da «se mai lo afferri»). Nella seconda frase la
Paolo. Alcuni manoscritti inseriscono dopo ripetizione dello stesso verbo katalamba,nw
questo verbo h' h;dh dedikai,wmai («o già sia («afferrare») nella forma passiva è un espe-
stato giustificato»). Si tratta di un’aggiunta al diente retorico volto a sottolineare la pre-
testo originale al fine di individuare nella giu- minenza dell’azione di Cristo sul cammino
stificazione l’oggetto del verbo «ottenere». di Paolo.
Sia... stato reso perfetto (tetelei,wmai) – Il ver- [VIhsou/] – L’edizione critica attesta un’incer-
bo teleio,w al perfetto ha qui la sua unica occor- tezza riguardo al termine, perché importanti
renza nel corpus paulinum, dove però è usato testimoni lo omettono. Comunque la sua
il sinonimo tele,w. La congiunzione h; («o») lo inclusione o meno non modifica sostanzial-
pone in relazione con l’aoristo e;labon («abbia mente il senso del testo.

3,12-14 Vanto cristiano attenuato


Ora, se i vv. 7-11 potrebbero far supporre una compiutezza nell’esistenza e nel
vanto «in Cristo» dell’Apostolo, ecco che l’enunciato dei vv. 12-13b pone una
necessaria precisazione per evitare incomprensioni (in termini retorici si tratta di
una duplice correctio): Paolo non è ancora un perfetto nella vita cristiana; pur
cercando di conseguire la meta del proprio itinerario non l’ha ancora raggiunta.
Insieme alla coscienza della propria imperfezione che lo avvicina agli ascoltatori
(vedi anche l’appellativo «fratelli» al v. 13a), egli è però consapevole di essere
stato afferrato da Cristo, e che quindi la sua vita ormai appartiene a lui.
I vv. 13c-14 illustrano l’affermazione dei vv. 12-13b, e quindi l’atteggiamento
dell’Apostolo, attraverso una metafora agonistica, molto utilizzata anche nell’inse-
gnamento filosofico-morale del tempo in relazione alla lotta per le virtù e i valori
morali (p. es., Seneca, Lettere a Lucilio 78,16; Filone, Vita di Mosè 1,48). Paolo si
descrive come un corridore che non guarda il percorso fatto (fuor di metafora: tutto
77 FILIPPESI 3,14

12
Non che tutto questo lo abbia già ottenuto o sia già stato reso
perfetto, ma proseguo per poterlo afferrare, poiché anch’io
sono stato afferrato da Cristo [Gesù]. 13Fratelli, io non ritengo
di averlo afferrato, ma considero una sola cosa: dimenticando
ciò che sta dietro e protendendomi verso ciò che sta di fronte,
14
corro verso la meta, in vista del premio della chiamata,
proveniente dall’alto, che Dio rivolge in Cristo Gesù.
3,13 Ritengo (logi,zomai) – Questo verbo al suo cammino di discepolo di Cristo.
ha nella lingua greca e nel NT due accezio- Una sola cosa (e[n) – L’espressione vuole in-
ni di base: la prima, legata al vocabolario dicare ciò che più conta rispetto al proprio
commerciale, di «contare, calcolare»; la cammino; tutto questo sarà chiarito attraver-
seconda, in relazione ai processi mentali, so la metafora agonistica dei vv. 13c-14.
di «riflettere, considerare, ritenere». Nelle Dimenticando... p ro t e n d e n d o m i
occorrenze paoline il verbo riveste entrambi (evpilanqano,menoj... evpekteino,menoj) – I due
i significati: il primo si ha, p. es., in 1Cor participi con valore modale del v. 13c dipen-
13,5; 2Cor 12,6; Gal 3,6; il secondo, p. es., dono dalla proposizione principale del v. 14.
in Rm 2,3; 1Cor 13,11; 2Cor 10,11. Nel no- In particolare il verbo evpektei,nw è un hapax
stro contesto propendiamo decisamente per legomenon biblico.
la seconda accezione (così anche in 4,8). Si 3,14 Meta – Il termine skopo,j è hapax le-
deve notare la presenza nel brano di verbi gomenon neotestamentario; viene usato per
appartenenti allo stesso campo semantico: indicare il punto di arrivo della corsa.
doke,w («pensare») al v. 4b, che esprime una Premio della chiamata (brabei/ o n th/ j ...
valutazione in riferimento ai meriti e ai pri- klh,sewj) – Il termine brabei/on indica il
vilegi giudaici, e h`ge,omai («considerare») dei premio ricevuto all’interno di una competi-
vv. 7-8 (tre volte) per la rivalutazione di essi zione. Il genitivo è soggettivo e il premio è
a motivo di Cristo. Nel v. 13a si pone così quello annunciato e promesso dalla chiama-
una terza ulteriore considerazione, dopo le ta, ed esprime complessivamente l’approdo
due dei vv. 4b.7-8, riguardo all’Apostolo e escatologico della salvezza.

quanto già vissuto), ma è completamente proteso in avanti verso il traguardo per


giungere al premio, che nel suo caso è quello «della chiamata, proveniente dall’alto,
che Dio rivolge in Cristo Gesù», cioè la salvezza nella piena e definitiva comunione
con il Signore. Paolo usa anche in altri contesti questo linguaggio agonistico, in
particolare il testo di 1Cor 9,24-27 presenta molte somiglianze con il nostro. Tuttavia
nel brano della lettera indirizzata alla comunità di Corinto il riferimento non è tanto
al personale cammino di fede dell’Apostolo, quanto al suo ministero di annuncio.
I vv. 12-14 sono così caratterizzati da un’attenuazione del vanto cristiano di
Paolo, presentato con tutta la sua forza ai vv. 7-11 (l’affermazione di una propria
imperfezione è uno degli espedienti consigliati per rendere più accetta la periau-
tologia). Servendosi di una retorica più dimessa e meno incline all’amplificazione,
l’Apostolo afferma, trascinando anche i destinatari nel suo impegno, di essere
semplicemente in cammino, seppur un tratto di strada lo abbia già percorso grazie
alla presa esercitata su di lui da Cristo.
FILIPPESI 3,15 78

 Ὅσοι οὖν τέλειοι, τοῦτο φρονῶμεν· καὶ εἴ τι ἑτέρως φρονεῖτε,


15

καὶ τοῦτο ὁ θεὸς ὑμῖν ἀποκαλύψει· 16 πλὴν εἰς ὃ ἐφθάσαμεν,


τῷ αὐτῷ στοιχεῖν.
 Συμμιμηταί μου γίνεσθε, ἀδελφοί, καὶ σκοπεῖτε τοὺς
17

οὕτω περιπατοῦντας καθὼς ἔχετε τύπον ἡμᾶς.


3,15 Noi dunque che siamo maturi ({Osoi ou=n riveste un ruolo importante a partire da 1,7.
te,leioi) – Il riferimento è a tutti i credenti. Se in qualcosa pensate diversamente (ei; ti
L’aggettivo te,leioj significa di per sé «perfet- e`te,rwj fronei/te) – Si riferisce a divergenze
to» ma, come in altre occorrenze neotestamen- su questioni di poca importanza che potreb-
tarie (1Cor 2,6; 14,20; Ef 4,13; Eb 5,14), qui bero sorgere tra Paolo e i Filippesi.
denota una maturità di fede. Inoltre, in questo 3,16 Dal punto in cui siamo giunti (eivj o]
versetto, con il plurale te,leioi si ripete la stessa evfqa,samen) – Il riferimento è al livello di ma-
radice di tetelei,wmai («sia stato reso perfetto») turità cristiana raggiunta sia da Paolo che
del v. 12, ma con un senso differente (figura dai destinatari.
dell’antanaclasi), per sottolineare come la vera Avanziamo sulla stessa linea – In ragione
perfezione e maturità cristiana si trovino nel del contesto, l’infinito presente stoicei/n
riconoscimento della propria imperfezione. acquista valore di congiuntivo esortativo. Il
Così pensiamo (tou/ t o fronw/ m en) – verbo stoice,w originariamente fa parte del
L’espressione ha valore analettico e rimanda lessico militare legato alla marcia e succes-
all’esempio di Paolo mostrato nei versetti sivamente assume l’idea di conformazione
precedenti. Al v. 15 per due volte si usa il e di sequela, in riferimento a una realtà o
verbo frone,w («pensare») che nella lettera a una persona. Nel versetto è direttamente

3,15-16 Conclusione esortativa


La conclusione esortativa dei vv. 15-16 provvede a un pieno coinvolgimento degli
ascoltatori all’interno dell’itinerario paolino, attraverso il passaggio dall’«io» al «noi».
Così al v. 15 Paolo si rivolge ai cristiani filippesi ritenendoli maturi nella fede e perciò
chiamati ad assumere la mentalità appena mostrata nell’itinerario dell’Apostolo. Se
questa è la prospettiva essenziale di cui tener conto, per il resto è lasciato esclusivamente
a Dio il compito di illuminare gli ascoltatori attraverso un suo rivelarsi, nel caso di diver-
genze con Paolo su questioni minori. In definitiva, secondo quanto recita il v. 16, per i
Filippesi come per il loro evangelizzatore si tratta di mantenere il livello di vita cristiana
raggiunto e di procedere avanti uniti e compatti. Siamo di fronte a una conclusione in
piena consonanza con l’invito a progredire nell’itinerario di fede, già indirettamente
rivolto nei vv. 12-14. Nell’insieme dei vv. 15-16 è da rintracciare il transfert, tipico della
periautologia e già accennato al v. 3, tra autore e destinatari, laddove entrambi sono
elogiati come «maturi-perfetti», seppure tale condizione consiste paradossalmente,
come chiarito al v. 12, nella consapevolezza della propria imperfezione di vita cristiana.
Questa conclusione esortativa porta dunque in primo piano il richiamo agli ascoltatori
in parte già coinvolti al v. 13a, perché leggano nell’itinerario dell’Apostolo presentato
nei vv. 4b-14, la dinamica della loro esistenza cristiana. In piena coerenza con tale
finalità, al successivo v. 17 essi sono invitati a imitare lo stesso Paolo.
79 FILIPPESI 3,17

Noi dunque che siamo maturi, così pensiamo! E se in qualcosa


15

pensate diversamente, anche su questo Dio vi illuminerà. 16In ogni


caso, dal punto in cui siamo giunti, avanziamo sulla stessa linea.
Siate tutti insieme miei imitatori, fratelli, e osservate coloro
17

che si comportano secondo il modello che avete in noi.


collegato a tw/| auvtw/| cioè «sulla stessa cosa», Apostolo (1Cor 4,16). Come nell’ultimo ca-
espressione ellittica che noi abbiamo speci- so, in Fil 3,17 il riferimento di summimhth,j è
ficato nella traduzione con «sulla stessa li- all’emulazione da parte dei Filippesi di Paolo
nea». La lezione τῷ αὐτῷ στοιχεῖν è amplia- stesso. Inoltre nel prefisso sun- del vocabolo è
ta in alcuni manoscritti, al fine di spiegarla. da vedere un’implicita chiamata all’unità per i
Una delle varianti più attestate recita: «sulla Filippesi, invitati a stringersi nella concordia
stessa regola: pensare lo stesso». per imitare l’Apostolo.
 3,4b-16 Testi affini: 2Cor 11,1–12,18; Gal Si comportano (peripatou/ntaj) – Il verbo
1,11–2,21 peripate,w, utilizzato qui e nel v. 18, origina-
3,17 Tutti insieme imitatori (summimhtai,) – Il riamente significa «andare in giro», «cammi-
vocabolo summimhth,j (alla lettera: «coimitato- nare», ma nella Settanta viene ad assumere
re») è hapax legomenon in tutta la letteratura anche l’accezione di «vivere», «comportar-
greca precedente. La forma semplice mimhth,j si», sia in senso positivo che negativo. Que-
è usata nelle lettere paoline per l’imitazione sto secondo uso del verbo, e dei vocaboli del
di altre comunità (1Ts 2,14), di Dio (Ef 5,1), suo gruppo, è basato sul significato religioso
di Cristo e di Paolo, insieme con i suoi col- e morale del verbo ebraico hālak.
laboratori (1Cor 11,1; 1Ts 1,6), e del solo Modello che avete in noi (e;cete tu,pon h`ma/j)

In 3,4b-16 è descritta la dinamica della vita cristiana di Paolo, segnata dall’incon-


tro e dalla conoscenza con la persona di Cristo. L’itinerario dell’Apostolo riproduce
proprio quello del suo Signore, poiché avendo assunto lo stesso atteggiamento e
la stessa mentalità legate all’umiltà, segue un itinerario di morte e risurrezione, di
spogliamento e innalzamento. Così per Paolo l’avvenimento salvifico paradossale
(quello della croce) determina anche la sua situazione e quella di ogni credente come
paradossali. Tuttavia il percorso dell’Apostolo non è una copia pedissequa di quello
di Cristo, poiché è segnato dall’imperfezione e dall’incompiutezza (3,12-14), anche
se, proprio grazie a questi limiti, può proporsi all’imitazione degli ascoltatori, i quali
sono invitati a seguire l’impegno del loro evangelizzatore verso la perfezione cristia-
na. L’esempio di Paolo in questo brano costituisce dunque una ripresa originale di
quello di Cristo in 2,6-11 e intende fornire ai suoi destinatari un’indicazione concreta
e visibile di vita «in Cristo», espressione della vera mentalità cristiana (cfr. 2,5).

3,17-21 Esortazione a imitare Paolo e relative giustificazioni


Con questi versetti si ritorna alla parenesi interrotta, a partire dal v. 4b, dall’in-
troduzione dell’esempio di Paolo. In contrapposizione con l’invito precedente dei
vv. 2-4a a fuggire i cattivi modelli, ora si chiede di imitare il buon esempio. La
composizione dei vv. 17-21 risulta così articolata: un’esortazione (v. 17) e le sue
FILIPPESI 3,18 80

 πολλοὶ γὰρ περιπατοῦσιν οὓς πολλάκις ἔλεγον ὑμῖν,


18

νῦν δὲ καὶ κλαίων λέγω, τοὺς ἐχθροὺς τοῦ σταυροῦ τοῦ


Χριστοῦ, 19 ὧν τὸ τέλος ἀπώλεια, ὧν ὁ θεὸς ἡ κοιλία
καὶ ἡ δόξα ἐν τῇ αἰσχύνῃ αὐτῶν, οἱ τὰ ἐπίγεια φρονοῦντες.

– Con il doppio accusativo, come nel nostro 3,18 Nemici (tou.j evcqrou,j) – Prima di que-
versetto, il verbo e;cw si trova legato all’idea ste parole, il papiro Chester Beatty II (î46)
di «avere per», «ritenere come». Dei due riporta «guardatevi da» (ble,pete), lo stesso
accusativi uno funge da oggetto diretto (nel vocabolo è usato nel v. 2. Avendo solo questo
caso, h`ma/j, «noi»), mentre l’altro è il suo pre- testimone a favore, la lezione non può essere
dicato (qui, tu,pon, «modello») che modifica originaria; tuttavia è di un certo interesse,
il senso del verbo. Si tratta del paradigma perché ci mostra un’antica interpretazione
costituito da Paolo e dai suoi collaboratori del testo che probabilmente intende spiegare
nell’apostolato. che nei vv. 18-19 non siamo di fronte a un

due giustificazioni (vv. 18-19 e 20-21). In particolare, al v. 17 si opera un passag-


gio dal precedente «noi» al «voi», attraverso un’esortazione in positivo, rivolta ai
destinatari, a imitare tutti insieme l’Apostolo. Per agevolare questo processo, si
esortano i Filippesi a osservare coloro che già si comportano secondo il modello
costituito da Paolo e dai suoi stretti collaboratori.
Al fine di comprendere questo appello è necessario, liberandosi dalla negativa
idea moderna di copia, risalire al concetto di imitazione proprio dell’antichità. Se-
condo i classici questa nozione non indica una mera riproduzione dell’originale,
bensì un processo nel quale si porta a espressione, in base alle proprie capacità, le
caratteristiche essenziali di ciò che si imita. Per esempio, l’imitazione della natura
da parte dell’artista non va compresa come un copiare la realtà quanto invece l’espri-
mere un aspetto o un’idea derivante da essa. Inoltre, al tempo di Paolo, l’imitazione
dei modelli era il cardine dell’educazione greco-romana e anche di quella giudaica.
In particolare, il maestro costituiva un esempio vivente per i discepoli, chiamati ad
appropriarsi dell’ideale da lui espresso e ad applicarlo al loro comportamento (p.
es., Isocrate, Contro i Sofisti 16-18; Seneca, Lettere a Lucilio 6,3-5).
Di conseguenza, ai Filippesi non è richiesto di “mimare” l’Apostolo, quanto
di riprodurre in maniera creativa, secondo le caratteristiche di ognuno, l’itine-
rario credente del loro modello, mettendo tutto in secondo piano di fronte alla
conoscenza e alla relazione con Cristo. Nel versetto si evidenzia dunque lo scopo
dell’intero brano di Fil 3,1–4,1 e il superiore fine etico, giustificativo della periau-
tología paolina: Paolo ha mostrato il suo esempio affinché i cristiani di Filippi
(e non solo) lo imitino.
Nonostante questa conclusione, l’appello all’imitazione di colui che parla di
81 FILIPPESI 3,19

18
Molti infatti – di loro più volte vi parlavo e ora, piangendo,
ve ne parlo – si comportano come nemici della croce di
Cristo. 19Il loro destino è la perdizione, il loro dio è il ventre
e la loro gloria è in ciò che torna a loro disonore; essi sono
coloro che pensano (solo) alle cose terrene.

nuovo gruppo di oppositori rispetto a quello e tale si rivelerà al momento del giudizio di
del v. 2. Dio (cfr., p. es., Is 45,24; Dn 12,2; Na 3,5).
3,19 Il loro dio è il ventre (w-n o` qeo.j h` Coloro che pensano (solo) alle cose terrene
koili,a) – Significa essere presi da smodati (oi` ta. evpi,geia fronou/ntej) – Come al v.
desideri di mangiare e di fare sesso. 15, il verbo frone,w è usato per indicare una
La loro gloria è in ciò che torna a loro diso- contrapposizione con quanto presentato in
nore (h` do,xa evn th/| aivscu,nh| auvtw/n) – Tutto tale versetto e delineare un modo di pensare
quanto costituisce gloria per gli avversari do- completamente chiuso alla sfera spirituale e
vrebbe invece essere considerato vergogna, trascendente.

Fil 3,17 (come anche in 1Cor 4,16; 11,1) potrebbe ancora risultare una dimostra-
zione di arrogante superiorità, dato che esso rappresenta un caso unico in tutto il
pensiero antico. In effetti, tale esortazione è comprensibile e accettabile solo in
considerazione della singolare coscienza che l’Apostolo ha della nuova identità
ricevuta. Nel confronto con il passato egli vede la propria esistenza radicalmente
trasformata ed espropriata per «vivere Cristo» (cfr. 1,21), così da poter parlare di
sé come di un-altro-da-sé e proporsi come modello per gli altri in quanto immagine
concreta del Signore stesso.
La prima motivazione a sostegno dell’appello all’imitazione di Paolo (vv. 18-
19) è costituita, in negativo, dall’incombere del cattivo esempio degli avversari.
Come già al v. 2, al v. 18 essi vengono denigrati dall’autore affinché gli ascolta-
tori – più volte avvisati dall’Apostolo e ora supplicati in lacrime (uso di pathos
retorico per indicare un’urgenza) – non ne subiscano l’influenza. Gli oppositori
sono descritti come coloro che hanno un comportamento completamente difforme
dalla croce di Cristo (cfr. 1Cor 1,18-25). Di conseguenza, al v. 19 Paolo afferma
che la loro fine è segnata nella perdizione, il loro signore è il ventre e ciò di cui si
gloriano si risolve in vergogna. Essi infatti possiedono una mentalità puramente
terrena e non quella propria dei cristiani, avente come punto di riferimento il
Cristo stesso (cfr. 2,5).
Si discute se nei vv. 18-19 sia presente o meno un secondo gruppo di avversari,
rispetto a quello del v. 2. Probabilmente nei vv. 18-19 l’Apostolo, pur non facendo
riferimento ad altri concreti oppositori, intende allargare il discorso, parlando di
tutti coloro che conducono un’esistenza in contraddizione con il Vangelo della
croce di Cristo e che potrebbero influenzare i destinatari in diverso modo.
FILIPPESI 3,20 82

 ἡμῶν γὰρ τὸ πολίτευμα ἐν οὐρανοῖς ὑπάρχει, ἐξ οὗ καὶ σωτῆρα


20

ἀπεκδεχόμεθα κύριον Ἰησοῦν Χριστόν, 21 ὃς μετασχηματίσει τὸ


σῶμα τῆς ταπεινώσεως ἡμῶν σύμμορφον τῷ σώματι τῆς δόξης
αὐτοῦ κατὰ τὴν ἐνέργειαν τοῦ δύνασθαι αὐτὸν καὶ ὑποτάξαι
αὐτῷ τὰ πάντα.

3,20 Ciò che governa (poli,teuma) – Il vo- Attendiamo ardentemente – Il verbo


cabolo, hapax legomenon neotestamentario, av p ekde, c omai, forma intensiva del verbo
denota il risultato o la dinamica dell’azio- evkde,comai («attendere»), esprime quasi sem-
ne espressa dal verbo politeu,omai usato in pre nel NT un’attesa ardente della salvezza
1,27, e quindi possiede il senso basilare di da parte dei cristiani (p. es., Rm 8,19; 1Cor
«attività politica». Sono cinque le proposte 1,7; Eb 9,28).
riguardo al significato del termine in 3,20: Come salvatore il Signore Gesù Cristo
«cittadinanza» (questa è la scelta del testo (swth/ra... ku,rion VIhsou/n Cristo,n) – Dei
CEI), «colonia», «patria», «stato», «costi- due accusativi, il primo (swth/ra) ha valo-
tuzione». L’ultima accezione è la più te- re predicativo, mentre il secondo (ku,rion
stimoniata nel periodo ellenistico, così da VIhsou/n Cristo,n) è l’oggetto diretto. L’uso
indicare nel nostro contesto il modello e la del vocabolo swth,r nella Settanta è prin-
forza che governa la vita terrena dei credenti; cipalmente in riferimento a Dio, il quale
tale realtà si trova nei cieli e, quindi, come salva il suo popolo (p. es., 1Re 10,19 [TM
lascia intravedere la fine del versetto, è posta 1Sam 10,19]; Sap 16,7; Is 45,15). Invece in
in diretto collegamento con lo stesso Cristo. Fil 3,20 è collegato a Cristo, come in altre

La seconda motivazione dell’appello all’imitazione di Paolo è espressa in senso


positivo e dipende dalla condizione dei Filippesi e di Paolo (e di tutti i cristiani),
posti a confronto retorico con il gruppo precedente. Essi, mentre trascorrono la
vita terrena, sono governati dal loro Signore celeste di cui sono in fervida attesa
come salvatore (v. 20). Egli arriverà un giorno a trasfigurare i poveri corpi dei
credenti, segnati dalla debolezza e dalla morte, per renderli conformi al suo corpo
glorioso tramite l’energia con la quale il Risorto esercita il suo dominio universale
(v. 21).
Il linguaggio insolito e particolarmente elevato ha posto in questione l’origine
paolina dei vv. 20-21 e portato a ipotizzare la presenza di un inno o di un frammen-
to di esso. Tuttavia le ragioni addotte non sono convincenti: è soltanto plausibile
ipotizzare l’utilizzo da parte dell’autore di materiale tradizionale al fine di com-
porre un testo in prosa di stile elevato come adeguato climax di tutto il brano. Più
interessante è notare nei vv. 20-21 un possibile riferimento, in contrapposizione, al
culto dell’imperatore, il quale, secondo il dettato di alcune antiche testimonianze,
poteva assumere la qualifica di «salvatore» oppure quella di «signore» e a lui era
attribuito un potere illimitato di sottomissione di tutti. Secondo la Scrittura, tali
83 FILIPPESI 3,21

20
Ciò che governa noi, in effetti, è nei cieli, da dove attendiamo
ardentemente come salvatore il Signore Gesù Cristo, 21il quale
trasfigurerà il nostro misero corpo rendendolo conforme al
suo glorioso corpo, grazie alla forza con cui egli può anche
sottomettere a sé tutte le cose.

occorrenze neotestamentarie (p. es., Lc 2,11; nome al quale ineriscono. La contrapposizio-


Ef 5,23; Tt 1,4). ne tra le due forme di corpi richiama quella
3,21 Trasfigurerà (metaschmati,sei) – Nel di 1Cor 15,42-44, testo nel quale si parla
contesto il verbo metaschmati,zw, utilizzato di «corpo naturale» e «corpo spirituale»: il
nel NT soltanto nel corpus paulinum, indi- primo è rivestito di fragilità ed esposto alla
ca, grazie anche al legame con l’aggettivo morte, a causa del peccato, mentre il secon-
neutro su,mmorfon («conforme»), non una do, a seguito della risurrezione, ha la stessa
trasformazione nell’apparenza ma nella tota- sorte gloriosa di quello del Risorto.
lità della persona, prevista per la risurrezione Sottomettere (u`pota,xai) – L’uso del verbo
finale. Da notare il richiamo al sostantivo u`pota,ssw (all’infinito aoristo) richiama Sal
sch/ma di 2,7, messo in relazione all’umanità 8,7 [LXX] e la sua applicazione nel NT alla
di Cristo. signoria universale del Cristo risorto (1Cor
Il nostro misero corpo... glorioso corpo (to. 15,27-28; Ef 1,22; Eb 2,8). Ma nei passi cita-
sw/ma th/j tapeinw,sewj h`mw/n… th/j do,xhj ti tale sottomissione è compiuta dal Padre in
auvtou/) – I genitivi del testo greco sono tipi- favore del Figlio, mentre in Fil 3,21 è Cristo
camente ebraici ed esprimono una qualità del stesso che da solo la opera.

prerogative appartengono esclusivamente a Dio. Così troviamo di nuovo quel


processo di cristologizzazione della teologia presente anche in altre occasioni
all’interno del testo della lettera.
In conclusione dobbiamo rilevare che il procedimento di transfert periautolo-
gico dall’autore all’uditorio, cominciato nei vv. 15-16, è compiuto nei vv. 20-21
con un elogio del gruppo «noi» e della sua identità. Ma, a sua volta, tale vanto
degli ascoltatori è sottoposto a un altro transfert in relazione a Cristo. Il percorso
tracciato da Fil 3,1–4,1 trova allora il suo punto di arrivo in questi ultimi versetti:
il vanto di sé di Paolo, trasformato in elogio di Cristo, diventa anche quello dei
Filippesi e in senso più ampio di tutti i credenti; come tale si rivelerà definitiva-
mente con il ritorno del Signore, dominatore della storia e dell’universo. I diversi
legami lessicali e tematici tra 3,20-21 e 2,6-11 confermano che i cristiani, filippesi
e non, sono chiamati, seguendo il concreto esempio di Paolo, a riprodurre lo stesso
itinerario di umiliazione di Cristo per divenire a lui somiglianti e partecipare alla
sua gloria. Ecco dunque in questa cristologizzazione dell’agire cristiano l’appro-
priato esito della periautologia dei vv. 4b-14, già introdotta con il «vantarsi in
Cristo Gesù» del v. 3.
FILIPPESI 4,1 84

4  Ὥστε, ἀδελφοί μου ἀγαπητοὶ καὶ ἐπιπόθητοι, χαρὰ καὶ


1

στέφανός μου, οὕτως στήκετε ἐν κυρίῳ, ἀγαπητοί.

2
 Εὐοδίαν παρακαλῶ καὶ Συντύχην παρακαλῶ τὸ αὐτὸ φρονεῖν
ἐν κυρίῳ. 3 ναὶ ἐρωτῶ καὶ σέ, γνήσιε σύζυγε, συλλαμβάνου

4,1 Desiderati (ev p ipo, q htoi) – L’aggetti- tivi, pur contenendo anche una sfumatura
vo evpipo,qhtoj è, con ogni probabilità, un escatologica, descrivono prima di tutto
neologismo creato da Paolo per esprimere quello che i Filippesi sono già al presente
il desiderio di essere con i destinatari, in per Paolo.
ragione del corrispondente verbo evpipoqe,w State saldi così nel Signore (ou[twj sth,kete
che significa «desiderare, sentire la man- evn kuri,w|) – Come in 1,27, è utilizzato l’im-
canza». perativo sth,kete in quanto esprime l’orienta-
Gioia e corona (cara. kai. ste,fanoj) – Cop- mento a vivere con fermezza, in unione con
pia già utilizzata in 1Ts 2,19 riguardo ai il Signore, le indicazioni donate nel brano.
destinatari della lettera. La corona costitui-  3,17–4,1 Testi affini: Gal 5,7-12; 6,11-
va il premio e il segno d’onore dell’atleta 13;1Cor 4,16;11,1; 1Ts 1,6; 2Ts 3,9; 1Tm
vincitore (cfr. 1Cor 9,25). Questi sostan- 6,3-5

4,1 Conclusione
In corrispondenza con la transizione di 3,1, in 4,1 si trova la conclusione del
brano con un appello, dal tono molto affettuoso, affinché i cristiani di Filippi ri-
mangano saldi e fedeli a Cristo, nel modo appena mostrato nell’esempio paolino
(«così»). L’accumulazione di cinque epiteti affettivi («amati e desiderati», «gioia
e corona mia», «amati»), insieme all’apostrofe iniziale «fratelli miei», è unica
nell’epistolario paolino e intende suscitare negli ascoltatori un pathos positivo
affinché accolgano le indicazioni dell’Apostolo. Inoltre è da segnalare la ripresa
del motivo della gioia, ampiamente diffuso nella lettera e di nuovo introdotto in
3,1, cosicché esso diviene il sottofondo di tutta la pericope e della vita cristiana
proposta ai Filippesi. Complessivamente, il testo di 4,1 non costituisce un’esor-
tazione a sé stante, quanto invece un richiamo sintetico e finale delle esortazioni
precedenti, di quella a guardarsi dagli avversari (3,2) e di quella a imitare Paolo
(3,17).

ESORTAZIONI VARIE E FINALI (4,2-9)


Dopo le due principali serie di esortazioni basate, rispettivamente, sull’esempio
di Cristo (2,1-18) e su quello di Paolo (3,1–4,1), Paolo ne aggiunge un ultimo
gruppo in 4,2-9. Queste esortazioni sono di carattere diverso e giustapposte le
une alle altre per un procedimento di accumulazione, senza estese motivazioni a
esse correlate, come avveniva invece per le precedenti dei cc. 2–3. Le frasi pa-
renetiche, nella loro brevità, coprono gli svariati settori della vita credente e non
sono separate dalle richieste già formulate nel resto della lettera. Infatti, in 4,2
l’esigenza di unità tra Evodia e Sintiche richiama 2,2, mentre in 4,3 la domanda
85 FILIPPESI 4,3

4 Dunque, fratelli miei, amati e desiderati, gioia e corona mia,


1

state saldi così nel Signore, amati.

2
Esorto Evodia ed esorto anche Sintiche a essere in pieno
accordo nel Signore. 3Sì, prego anche te, fedele compagno,

4,2 Evodia... Sintiche (Euvodi,a... Suntu,ch) de alle due donne di essere tra loro unite.
– Nomi greci, diffusi nel I-II secolo e attri- 4,3 Fedele compagno (gnh,sie su,zuge) – Il
buibili sia all’uomo che alla donna. Nel no- sostantivo su,zugoj dal punto di vista eti-
stro testo i pronomi femminili, a loro riferiti mologico significa «sotto lo stesso giogo».
in 4,3, ci assicurano che si tratta di due don- Alcuni autori ipotizzano che si tratti di un
ne. I due nomi significano, rispettivamente, nome proprio, ma tale uso non è attestato
«buon cammino» e «incontro». al tempo di Paolo; quindi è meglio con-
Essere in pieno accordo nel Signore (to. siderare il termine nel senso di «compa-
auvto. fronei/n evn kuri,w|) – L’espressione gno», in riferimento a un collaboratore
rimanda chiaramente a 2,2, ma questa volta dell’Apostolo coinvolto nella vita della
si aggiunge «nel Signore». Così in base al- Chiesa di Filippi e quindi ben conosciuto
la comune appartenenza al Signore, si chie- dalla comunità.

di aiuto fraterno riecheggia 2,4; in 4,4 l’invito alla gioia rimanda a 2,18 e 3,1;
infine, in 4,9 l’imitazione di Paolo si lega chiaramente a 3,17.
Gli imperativi presentati dall’Apostolo in 4,2-9 non hanno, in linea generale,
un contenuto preciso, lasciando ai cristiani il compito di vedere come metterli in
pratica nel loro contesto. Ciò è tipico della parenesi di Paolo, che ricorda ai suoi
i valori senza imporre alcun atteggiamento, ma affidando al discernimento dei
credenti, sotto la guida interiore dello Spirito, la concretizzazione di essi. Se alcune
volte nelle sue lettere l’Apostolo dona indicazioni specifiche, lo fa perché ritiene
che in quel frangente e in tale questione i destinatari manchino di discernimento. In
fondo per Paolo più i credenti sono guidati dalla loro relazione con Cristo e dalla
mozione dello Spirito e meno hanno bisogno di ricevere delle regole operative.
Il testo di 4,2-9 è composto da tre parti: esortazione alla concordia tra Evodia e
Sintiche (2-3), appello alla gioia e alla fiducia nel Signore (4-7), invito a pensare
e agire da cristiani sull’esempio di Paolo (8-9).

4,2-3 Esortazione alla concordia tra Evodia e Sintiche


Nella prima esortazione, in maniera un po’ sorprendente, Paolo fa i nomi delle
persone alle quali rivolge tale invito. L’Apostolo esorta due donne a ritrovare
un’armonia tra di loro, senza però specificare i contorni del probabile dissidio e
senza, tantomeno, prendere parte per l’una o per l’altra. Probabilmente giocando
sul significato dei nomi di Evodia e Sintiche – che non possono però essere inopi-
natamente considerati, come hanno fatto alcuni studiosi, del tutto fittizi o allegori-
ci –, l’Apostolo chiede a loro di diventare un aiuto al cammino e all’incontro l’una
dell’altra e di tutti i credenti, divenendo dunque dei fattori di unità.
FILIPPESI 4,4 86

αὐταῖς, αἵτινες ἐν τῷ εὐαγγελίῳ συνήθλησάν μοι μετὰ καὶ


Κλήμεντος καὶ τῶν λοιπῶν συνεργῶν μου, ὧν τὰ ὀνόματα ἐν
βίβλῳ ζωῆς.

4
 Χαίρετε ἐν κυρίῳ πάντοτε· πάλιν ἐρῶ, χαίρετε. 5 τὸ ἐπιεικὲς
ὑμῶν γνωσθήτω πᾶσιν ἀνθρώποις. ὁ κύριος ἐγγύς. 6 μηδὲν

Hanno lottato (sunh, q lhsan) – Il verbo ovno,mata evn bi,blw| zwh/j) – Il «libro della vi-
sunaqle,w, proprio del linguaggio militare, ri- ta» potrebbe riferirsi al fatto che i Filippesi,
correva già in 1,27 e, insieme agli altri termi- essendo cittadini romani, avevano ricevuto
ni presenti nel versetto composti con il prefis- l’iscrizione nel libro (registro) dei cittadini
so sun- [su,zuge («compagno»); sulla,mbanou romani della colonia (cfr. Svetonio, Caligola
(«aiuta»)], intende sottolineare la finalità dei 8,2). Il riferimento più sicuro è però quello
vv. 2-3, cioè l’esortazione all’unità. proveniente dallo sfondo biblico e apocalit-
Clemente (Klh,mentoj) – Questo personag- tico (p. es., Sal 69,29; Ap 3,5; 1 Enok 47,3;
gio, il cui nome rivela un’origine latina non 4QParole dei Luminaria [4QDibHama] 6,14),
è menzionato in nessun testo del NT. Proba- dove il fatto di venire scritti in questo libro
bilmente è un cristiano di Filippi noto alla significa essere destinati alla vita eterna.
comunità e perciò Paolo non ha bisogno di 4,4 Sempre (pa,ntote) – Nel contesto signifi-
presentarlo. ca «in ogni circostanza», quindi anche nelle
I cui nomi sono nel libro della vita (w-n ta. difficoltà (cfr. 1Ts 5,16).

Secondo certi esponenti dell’esegesi femminista (e non solo) il richiamo a


queste due donne è lo scopo ultimo di tutta la lettera: Paolo insisterebbe in Filip-
pesi sull’unità comunitaria e sulla sua autorità, presentando il proprio esempio
come specchio di quello di Cristo, al fine di limitare il ruolo di Evodia e Sintiche
all’interno della loro Chiesa. Questa posizione non appare però giustificata per
due ragioni. In prima istanza, se il richiamo alle due donne rappresentasse la
finalità dell’epistola, non ci sarebbero solo due versetti a riguardo. In secondo
luogo, nella lettera, Paolo non insiste sulla sua autorità, ma intesse con i suoi
una relazione sostanzialmente paritaria e di amicizia, in ragione della comune
appartenenza al Signore; inoltre, presenta il suo esempio, modellato su quello di
Cristo, per mostrare non la sua forza ma la sua esistenza cristiana, segnata dalla
riproduzione dell’itinerario di quel Signore che si è spogliato del proprio status
divino per divenire schiavo di tutti.
In ogni caso, al v. 3 Paolo invita con una certa urgenza una terza persona, un
collaboratore anonimo, a intervenire per dirimere il dissidio tra Evodia e Sintiche.
L’importante ragione per ritrovare la concordia è che le due donne si sono adoperate,
insieme a Clemente e agli altri collaboratori di Paolo, per il Vangelo. Probabilmente,
in ragione di quanto riporta il racconto di At 16,11-40, che ci attesta come delle don-
ne ebbero un ruolo di primo piano nella fondazione della Chiesa di Filippi, Evodia
e Sintiche ricoprivano un posto di rilievo, forse già dall’inizio, in questa comunità;
quindi, dalla loro armonia dipendeva in buona parte la stessa unità di tale Chiesa.
87 FILIPPESI 4,6

di aiutarle. Esse hanno lottato con me per la causa del Vangelo,


insieme a Clemente e agli altri miei collaboratori, i cui nomi
sono nel libro della vita.

4
Gioite nel Signore, sempre; lo ripeterò: gioite. 5La vostra affabilità
sia conosciuta da tutti gli uomini. Il Signore è vicino. 6Non siate
4,5 Affabilità – L’aggettivo evpieikh,j (nel 119,151; 145,18), sia in senso temporale,
nostro versetto usato al neutro e sostantiva- riferendosi alla prossimità del «giorno del
to così da corrispondere al nome evpiei,keia) Signore» (cfr., p. es., Is 13,6; Gl 1,15; Sof
compare nella Settanta (Est 3,13b; 8,12i; Sal 1,7.14). È da collegare logicamente al ver-
85,5 [TM 86,5]; Salmi di Salomone 5,12), setto seguente e alle richieste in esso con-
nel NT (1Tm 3,3; Tt 3,2; Gc 3,17; 1Pt 2,18) tenute.
e nei filosofi e moralisti contemporanei a 4,6 Non siate in ansia per nulla (mhde. n
Paolo per denotare bontà, benevolenza e merimna/te) – Nel lessico utilizzato c’è un ri-
mansuetudine, in opposizione alla violenza chiamo soprattutto alle parole di Gesù di Mt
e all’intolleranza. 6,25 e poi anche a quelle dello stesso Paolo
Il Signore è vicino (o` ku,rioj evggu,j) – La in 1Cor 7,32-34. Un riferimento specifico
frase può essere compresa sia in senso di questo invito potrebbe essere l’ostilità
spaziale, indicando che Dio è a fianco di nei confronti dei cristiani di Filippi di cui si
chi pone in lui la sua speranza (Sal 34,19; parla in 1,27-30.

4,4-7 Appello alla gioia e alla fiducia nel Signore


Dopo essersi rivolto a particolari persone, con ruoli di responsabilità all’in-
terno della Chiesa filippese, ora Paolo indirizza le sue esortazioni a tutti i mem-
bri di tale comunità senza eccezione, proponendo loro un modo di vivere da
cristiani nel mondo. In questi versetti l’uso dell’asindeto tende a mettere in
rilievo ciascuna delle indicazioni dell’Apostolo. Anzitutto egli comincia, al v.
4, con il reiterare l’esortazione alla gioia così diffusa nella lettera (in particolare
riprende la stessa formulazione di 3,1). Come si è già accennato (cfr. commento
a 3,1), la ripetizione fa parte di una modalità esortativa, attuata a beneficio degli
ascoltatori.
Con una seconda esortazione al v. 5, Paolo invita i Filippesi a mostrare un’aper-
tura cordiale e dialogante verso tutti gli uomini. Interessante è notare che, in linea
generale, quando egli parla delle relazioni tra cristiani, domanda loro di amarsi
(verbo agapáō: Rm 13,8-9; Gal 5,14; 1Ts 4,9), mentre usa altri termini per de-
scrivere il rapporto con gli altri (cfr. Rm 12,17-21; Gal 6,10; Col 4,5-6; 1Ts 5,15).
Questo rilievo indica che quanti sono uniti dalla comune appartenenza a Cristo e
formano la Chiesa sono chiamati a vivere dei rapporti peculiari e profondissimi,
segnati dallo stesso amore con il quale il loro Signore li ama.
Dopo tale esortazione l’Apostolo conclude il v. 5, affermando che il Signore è
accanto al credente nel quotidiano ed è prossimo il momento del suo ritorno. Se
Dio è vicino a quelli che in lui confidano, allora Paolo può domandare ai credenti
FILIPPESI 4,7 88

μεριμνᾶτε, ἀλλ᾽ ἐν παντὶ τῇ προσευχῇ καὶ τῇ δεήσει μετὰ


εὐχαριστίας τὰ αἰτήματα ὑμῶν γνωριζέσθω πρὸς τὸν θεόν.
7
 καὶ ἡ εἰρήνη τοῦ θεοῦ ἡ ὑπερέχουσα πάντα νοῦν φρουρήσει
τὰς καρδίας ὑμῶν καὶ τὰ νοήματα ὑμῶν ἐν Χριστῷ Ἰησοῦ.

8
 Τὸ λοιπόν, ἀδελφοί, ὅσα ἐστὶν ἀληθῆ, ὅσα σεμνά, ὅσα δίκαια,
ὅσα ἁγνά, ὅσα προσφιλῆ, ὅσα εὔφημα, εἴ τις ἀρετὴ καὶ εἴ τις

Mediante la preghiera e la supplica (th/| termini riguardanti la preghiera, presente


proseuch/| kai. th/| deh,sei) – I due sostantivi nel versetto, rimanda al testo di 1Tm 2,1.
sono sinonimi (tanto da poterli leggere co- 4,7 E (kai,) – La congiunzione ha una sfu-
me un’endiadi: «la preghiera di supplica») e matura consecutiva, facendo sì che il v. 7 sia
designano la preghiera di domanda o di in- la conclusione della seconda parte del v. 6.
tercessione. Nel NT appaiono insieme anche La pace di Dio (h` eivrh,nh tou/ qeou/ ) –
in Ef 6,18; 1Tm 2,1; 5,5. Nel versetto, uniti L’espressione non ha paralleli nel NT e può
al termine euvcaristi,a («ringraziamento»), essere letta secondo un genitivo sia posses-
indicano due dimensioni fondamentali della sivo («la pace che Dio possiede»), sia d’ori-
preghiera cristiana: la domanda e il grazie gine («la pace che viene da Dio»).
rivolti a Dio (cfr. 1,3-11). Che supera ogni intendimento (h` u`pere,cousa
Le richieste (ta. aivth,mata) – A differenza dei pa,nta nou/n) – La pace di Dio è fuori della
tre vocaboli precedenti, non siamo di fronte capacità di comprensione umana, nel senso
all’indicazione di una forma di preghiera, ma che è ben più efficace di ciò che si possa
a quella del suo contenuto, trattandosi delle immaginare (cfr. Ef 3,20).
diverse intenzioni formulate (cfr. Lc 23,24; Custodirà (frourh,sei) – Il verbo froure,w,
1Gv 5,15). Nel complesso, l’accumulo di al futuro per indicare una promessa sicura,

di non lasciarsi vincere dall’ansia derivante dalle inquietudini della vita, ma di


rimettersi totalmente al Signore. Allo stesso modo, se la venuta di Cristo è vicina,
è necessario non farsi completamente assorbire dalle preoccupazioni materiali,
bensì ricercare soprattutto la preghiera e il rapporto con Dio. Entrambe le pro-
spettive sono presenti al v. 6, nel quale l’Apostolo non chiede ai Filippesi di fare
come se la loro esistenza fosse scevra di difficoltà e quindi di fuggire in un oblio
scisso dalla realtà, ma di vivere e lottare con la piena fiducia nella prossimità
del Signore. In definitiva, la preghiera proposta da Paolo comporta un rimettere
nelle mani di Dio tutti gli avvenimenti e i momenti della propria vicenda umana,
attraverso delle concrete richieste, che però non possono mai essere separate dal
ringraziamento. Infatti, il cristiano è chiamato a esporre le proprie domande a Dio,
a partire dalla consapevolezza dei doni da lui ricevuti e nello stesso tempo, come
avviene nei Salmi (p. es., 28,7; 79,13; 86,12), la richiesta è da presentare al fine
di rendere grazie a Dio che libera e salva.
Al v. 7, in risposta all’atteggiamento di confidenza in Dio che nasce dalla
preghiera così vissuta, viene promesso il dono della pace divina. In essa sono an-
89 FILIPPESI 4,8

in ansia per nulla, ma in ogni occasione, mediante la preghiera e


la supplica unite al rendimento di grazie, fate conoscere a Dio le
vostre richieste. 7E la pace di Dio, che supera ogni intendimento,
custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù.

8
Del resto, fratelli, tutto ciò che è vero, tutto ciò che è nobile,
tutto ciò che è giusto, tutto ciò che è puro, tutto ciò che è
amabile, tutto ciò che è onorabile, qualsiasi cosa sia virtuosa e
è proprio del linguaggio militare e indica la la persona, mentre i pensieri alla facoltà ra-
difesa assicurata da una guarnigione (2Cor zionale.
11,32; Giuseppe Flavio, Guerra giudaica 4,8 Amabile (prosfilh/ ) – L’aggettivo
1,141 passim); nel NT è usato, come nel prosfilh,j qui utilizzato è un hapax lego-
nostro versetto, anche in senso metaforico menon neotestamentario, ma si trova nella
(Gal 3,23; 1Pt 1,5). Settanta (Est 5,1b; Sir 4,7; 20,13). Esso in-
Pensieri (noh, m ata) – Il codice di Augia dica qualcosa che suscita l’ammirazione e
(F) e quello di Börner (G) leggono «cor- la simpatia.
pi» (sw,mata), probabilmente perché con- Onorabile (eu;fhma) – L’aggettivo eu;fhmoj,
siderano ridondante l’uso di «pensieri» un hapax legomenon biblico, segnala ciò che
dopo «cuori» (kardi,aj). Mentre la versio- è stimato e ben reputato.
ne «pensieri e i corpi» (noh,mata kai. ta. Qualsiasi cosa sia virtuosa (avreth,) – Il so-
sw, m ata), che sembra riportare il papiro stantivo greco (alla lettera: «virtù») è un
di Oxyrhynchus 1009 (î16), è una confla- hapax legomenon paolino, ma viene usato
zione delle precedenti. Nella lezione pre- nel NT (1Pt 2,9; 2Pt 1,3.5) e ha molte oc-
ferita dal testo critico, i cuori si riferiscono correnze nella Settanta. Indica l’eccellenza
alla dimensione volitiva ed emozionale del- morale di una persona.

ticipati i beni della salvezza che superano ogni progetto e attesa umana, preparati
da Dio per coloro che in lui credono e sono uniti a Cristo (cfr. 1Cor 2,9). Inoltre,
con un probabile riferimento alla situazione della colonia romana di Filippi, Paolo
afferma che tale pace, e non la pax romana dell’imperatore, proteggerà e garantirà
i credenti filippesi avvolgendo completamente la loro interiorità, laddove nascono
i sentimenti, le intenzioni e i pensieri.

4,8-9 Invito a pensare e agire da cristiani sull’esempio di Paolo


Con il v. 8 Paolo ritorna a esortare i suoi invitandoli a continuare a tenere
a mente tutto quanto è buono in se stesso e benefico per gli altri. L’Apostolo
infatti presenta una serie di indicazioni concernenti i valori etici, derivanti dalla
tradizione filosofica e morale ellenistica. L’elenco di sei aggettivi e due sostantivi
rimanda allo stoicismo, ma Paolo, più che collegarsi a una corrente filosofica,
intende ricordare ai Filippesi gli aspetti migliori del mondo nel quale vivono. I
destinatari sono chiamati a non smettere di considerare questi valori come punti
di riferimento utili per le loro personali decisioni. Così la parenesi paolina non
FILIPPESI 4,9 90

ἔπαινος, ταῦτα λογίζεσθε· 9 ἃ καὶ ἐμάθετε καὶ παρελάβετε καὶ


ἠκούσατε καὶ εἴδετε ἐν ἐμοί, ταῦτα πράσσετε· καὶ ὁ θεὸς τῆς
εἰρήνης ἔσται μεθ᾽ ὑμῶν.

 Ἐχάρην δὲ ἐν κυρίῳ μεγάλως ὅτι ἤδη ποτὲ ἀνεθάλετε


10

τὸ ὑπὲρ ἐμοῦ φρονεῖν, ἐφ᾽ ᾧ καὶ ἐφρονεῖτε,

Degna di lode (e;painoj) – La «lode» (così evpisth,mhj). Si tratta di un’aggiunta tardiva


si potrebbe tradurre più letteralmente) nel- inserita forse per interpretare tutta la lista
le lettere paoline ha come destinatario Dio precedente nella prospettiva del pensare.
(Ef 1,6.12.14; Fil 1,11) o l’uomo (Rm 2,29; 4,9 Avete ricevuto (parela,bete) – Il verbo
13,3; 1Cor 4,5; 2Cor 8,18); nel nostro caso, paralamba,nw è un termine tecnico, di deri-
visto il parallelismo con avreth,, è opportuno vazione biblico-giudaica, atto a designare il
scegliere la seconda possibilità. Dopo questa processo della tradizione; in particolare qui si
parola i codici Claromontano (D), di Augia fa riferimento alle disposizioni pratiche tra-
(F) e di Börner (G) riportano evpisth,mhj, così smesse da Paolo (cfr. 1Ts 4,1; 2Ts 3,6).
da leggere «lode della conoscenza» (e;painoj Avete ascoltato e visto in me (hvkou,sate kai.

solo non impone dei contenuti precisi agli ascoltatori, affidandosi al loro discer-
nimento cristiano, ma arriva a ricordare loro determinati valori, solo dopo avere
insistito sulla attitudine profonda dei credenti (cfr. vv. 4-7), in modo che il loro
agire morale sia animato dall’interno.
Il v. 8 si pone sul piano della valutazione e del discernimento, mentre il v. 9 su
quello dell’agire e del dover fare. In ogni caso i due versetti sono consequenziali
e non in contrasto tra loro come alcuni pensano, sottolineando l’inconciliabilità
dei valori pagani con la prospettiva cristiana. Quindi, secondo Paolo, ciò che è
eccellente e degno di lode, presente nel mondo circostante, i Filippesi lo hanno
già appreso dal suo insegnamento e dal suo esempio di vita.
I destinatari, essendosi appropriati di questi valori, sono ora invitati a continuare a
metterli in pratica nel loro agire. Così sperimenteranno la presenza di Dio, che dona
la pace, in mezzo a loro. L’Apostolo, concludendo tutte le esortazioni della lettera,
si presenta nuovamente ai Filippesi come un modello da imitare (cfr. 1,30; 3,17). In
base a quello che secondo gli antichi doveva essere il maestro ideale nei confronti
dei discepoli, Paolo è un punto di riferimento per i suoi grazie alla piena coerenza
tra ciò che insegna e ciò che vive. I cristiani di Filippi hanno quindi tutti gli aiuti per
sapere come comportarsi ascoltando e guardando vivere l’Apostolo.

EPILOGO.
RINGRAZIAMENTO CON NOTIZIE AUTOBIOGRAFICHE (4,10-20)
Il testo di 4,10-20 richiama, dal punto di vista lessicale e tematico, il ringrazia-
mento iniziale di 1,3-11, prologo che precedeva il corpus della lettera. Così il nostro
brano può ben costituire l’epilogo dell’epistola dopo che il corpus si è ormai con-
cluso. I legami lessicali con 1,3-11 sono numerosi: «il mio Dio» (1,3; 4,19); «gioia»
91 FILIPPESI 4,10

degna di lode, tutto ciò continui a destare la vostra attenzione. 9Ciò


che avete imparato e ricevuto e ascoltato e visto in me, tutto ciò
continuate a metterlo in pratica e il Dio della pace sarà con voi.

10
Inoltre, ho gioito grandemente nel Signore perché ora,
finalmente, avete fatto rifiorire i vostri sentimenti per me:
ei;dete evn evmoi,) – Richiama il passo molto si- turo «sarà» (e;stai), fa parte di una promessa.
mile di 1,30: ei;dete evn evmoi. kai. nu/n avkou,ete  4,2-9 Testi affini: Rm 12,9-21; 1Ts 5,14-
evn evmoi, (alla lettera: «avete visto in me e ora 22
ascoltate in me») e la stessa finalità imitativa 4,10 Grandemente (mega,lwj) – L’avverbio è
dell’esempio di Paolo che i due passi hanno un hapax legomenon neotestamentario.
in comune con 3,17. Avete fatto rifiorire (avneqa,lete) – Il verbo
Il Dio della pace (o` qeo.j th/j eivrh,nhj) – Il avnaqa,llw, hapax legomenon neotestamenta-
sintagma è utilizzato da Paolo come un augu- rio, suggerisce l’immagine della ripresa della
rio (p. es., Rm 15,33; 2Cor 13,11; 1Ts 5,23), vita legata alla fioritura della campagna dopo
ma nel nostro contesto, in dipendenza dal fu- l’inverno (cfr. Sir 50,10).

(1,4) e «ho gioito» (4,10); «vostra partecipazione» (tē̂[i] koinōnía[i] hymō̂n, 1,5)
e «condivise» (ekoinōˊnēsen, 4,15); «Vangelo» (1,5; 4,15); «ha cominciato» (enar-
xámenos, 1,6) e «all’inizio» (en archē̂[i], 4,15); «partecipi» (synkoinōnoús, 1,7) e
«prendere parte» (synkoinōnēˊsantes, 4,14); «pensi» (phroneîn, 1,7) e «sentimenti»
(phroneîn, 4,10); «ricolmati» (1,11) e «ricolmerà» (4,19); «frutto» (karpón, 1,11),
«profitto» (karpón, 4,17); «gloria» (1,11; 4,19). Dal punto di vista tematico ciò che
nel primo testo è soltanto evocato, ossia la partecipazione anche finanziaria alla
missione di annuncio di Paolo, ora in 4,10-20 è chiaramente spiegato, riferendosi
al dono dei Filippesi ricevuto per mano di Epafrodito.
Sin dall’inizio del nostro brano si è sorpresi dal fatto che l’Apostolo non rin-
grazi esplicitamente la comunità di Filippi per l’aiuto ricevuto, ma parli più che
dei sussidi della sua capacità di adattamento e di autosufficienza, fornendo notizie
riguardanti se stesso. L’atteggiamento di Paolo è innanzi tutto da comprendersi
sullo sfondo della cultura greco-romana, secondo la quale attraverso un dono
fatto e ricevuto si contrae un obbligo sociale basato sul principio della reciprocità,
tipico anche delle relazioni amicali. Egli intende sottrarsi a un rapporto siffatto
con i suoi e, nello stesso tempo, renderli consapevoli della gratuità caratteristica
del donare cristiano.
La pericope è da dividere in tre unità tematiche che presentano: la gioia di Paolo
per il dono (10-13), il vero valore del dono dei Filippesi (14-17), la ricompensa
di Dio (18-20).

4,10-13 Gioia di Paolo per il dono e suo stile di vita


Al v. 10 l’Apostolo manifesta la sua gioia, ancora una volta radicata nel
rapporto con il Signore, perché ha fatto una rinnovata esperienza dell’amici-
FILIPPESI 4,11 92

ἠκαιρεῖσθε δέ. 11 οὐχ ὅτι καθ᾽ ὑστέρησιν λέγω, ἐγὼ γὰρ ἔμαθον
ἐν οἷς εἰμι αὐτάρκης εἶναι. 12 οἶδα καὶ ταπεινοῦσθαι, οἶδα καὶ
περισσεύειν· ἐν παντὶ καὶ ἐν πᾶσιν μεμύημαι, καὶ χορτάζεσθαι
καὶ πεινᾶν καὶ περισσεύειν καὶ ὑστερεῖσθαι· 13 πάντα ἰσχύω ἐν
τῷ ἐνδυναμοῦντί με.

Vi mancava l’opportunità (hvkairei/sqe) – Il hapax legomenon del NT, mentre è usato nella
verbo avkaire,w, qui usato alla forma media, Settanta (4 Maccabei 9,9; Pr 30,8; Sir 5,1) per
è un hapax legomenon in tutta la Bibbia ed è connotare indipendenza, l’avere a sufficienza
molto raro nella lingua greca prima di Paolo. per vivere, l’essere soddisfatti di ciò che si ha.
4,11 Per bisogno (kaqV u`ste,rhsin) – Il so- 4,12 Vivere nella privazione – Il verbo
stantivo u`ste,rhsij è presente altrove nella tapeino,w (tradotto: «umiliò») era stato già
Bibbia soltanto in Mc 12,44; esso designa impiegato a proposito di Cristo in 2,8. Nel
la condizione di chi è nell’indigenza a causa nostro versetto è da collegare a una situazio-
della mancanza dei beni necessari. ne di povertà economica e all’umiliazione
Autosufficiente (auvta,rkhj) – L’aggettivo è un che ne consegue.

zia e della vicinanza dei Filippesi. Egli non si ferma al dono stesso, che non
menziona, bensì a ciò che questo esprime dell’atteggiamento della comunità
nei suoi confronti. Si tratta di un «sentire» (phronéō) che non consiste solo
nell’affetto, ma che dipende dallo stesso «sentire» di Cristo che i Filippesi
sono chiamati a riprodurre nelle loro vite (cfr. 2,5). Inoltre, dalle parole uti-
lizzate dall’Apostolo, si desume che per un certo tempo i cristiani di Filippi
non gli hanno fatto pervenire i loro aiuti. Tuttavia Paolo, tenendo unicamente
a sottolineare che non ha mai dubitato dei sentimenti dei destinatari ai quali
mancava l’occasione per palesarli, non chiarisce le circostanze che avrebbero
impedito l’invio di tali aiuti. Unico indizio potrebbe essere quello presente nel
testo di 2Cor 8,1-3, dove si narra della grande prova subita dalle Chiese della
Macedonia e della loro conseguente profonda povertà, situazione che non ha
comunque impedito la loro attiva partecipazione alla colletta in favore della
Chiesa di Gerusalemme.
Sebbene Paolo apprezzi l’aiuto dei Filippesi, nei vv. 11-13 interviene per
impedire che la sua reazione sia mal compresa dai suoi ascoltatori (in termini
retorici si tratta di una correctio). Così nel v. 11 chiarisce che la sua gioia non
è dovuta alla soddisfazione di un bisogno materiale, perché ha appreso a essere
indipendente in qualsiasi circostanza si trovi. L’Apostolo, parlando della sua
autosufficienza, utilizza un termine e un concetto tipicamente stoici: secondo
questa corrente filosofica, l’autárkeia costituisce la virtù per eccellenza del
saggio che, svincolato da tutto e da tutti, è giunto a contare solo su se stesso,
93 FILIPPESI 4,13

li avevate infatti anche prima, ma vi mancava l’opportunità.


11
Non lo dico per bisogno: io, infatti, ho imparato ad essere
autosufficiente in ogni situazione. 12So vivere nella privazione,
so avere in abbondanza; in ogni situazione e in tutte le maniere
sono stato iniziato a essere sazio e ad avere fame, ad avere in
abbondanza e a vivere nel bisogno. 13Tutto posso in colui che
mi dà forza.

Sono stato iniziato (memu,hmai) – Il verbo giunto la parola Cristw/|. In ogni caso, visto
mue,w è un termine tecnico utilizzato per che la preposizione evn nella nostra lettera è
l’iniziazione degli adepti dei culti misterici. sempre legata a ku,rioj o Cristo,j, la lettu-
La forma passiva, qui utilizzata, e la conno- ra in chiave cristologica dell’espressione è
tazione religiosa del vocabolo concorrono molto attendibile. Il verbo evndunamo,w («da-
nel segnalare l’azione di Dio. re forza») si lega all’azione del Risorto nei
4,13 In colui che mi dà forza (evn tw/| evnduna- confronti dei credenti (Ef 6,10; 1Tm 1,12;
mou/nti, me) – Alcuni copisti hanno sentito il 2Tm 4,17), agire designato con il sostantivo
bisogno di esplicitare l’espressione riferen- du,namij («potenza») in 3,10 e con il verbo
dola a Cristo e per questo alla fine hanno ag- du,namai («potere») in 3,21.

accettando ogni condizione di vita e giungendo quindi alla vera libertà (cfr. Se-
neca, La vita beata 6,2). Paolo, come appare dal contesto del brano, si distanzia
evidentemente dalla visione stoica dal momento che la sua indipendenza dalle
circostanze esterne è tutta basata sulla sua dipendenza da Dio. Tuttavia qui
viene ribadita la prospettiva positiva dei vv. 8-9 riguardo ai valori filosofici e
morali del tempo: così l’Apostolo senza rigettarli li motiva a partire dalla sua
esperienza «in Cristo».
Il v. 12 è un’amplificazione e un’esplicitazione del v. 11, intendendo spiegare
che cosa significhi per Paolo essere indipendente. A partire dalla propria esperien-
za, egli sa come vivere sia nelle situazioni di indigenza sia in quelle di abbondanza.
In effetti, riprendendo e sviluppando la sua affermazione, l’Apostolo sostiene che
Dio stesso gli ha insegnato ad adattarsi a tutte le condizioni opposte ed estreme e
a trarre giovamento da ciascuna.
In fondo, come mostra conclusivamente il v. 13, Paolo riceve dal suo Signore la
forza per affrontare ogni situazione senza esserne condizionato, ma, al contrario,
rimanendone indipendente. Questa interpretazione cristologica della sua vita, con
le diverse vicende che la contraddistinguono, è da collegare ad altri passi delle
lettere dove i missionari del Vangelo sono esposti a sofferenze e privazioni (1Cor
4,9-13; 2Cor 6,4-10; 11,23-29), ma proprio nella loro debolezza si manifesta tutta
la potenza di Dio per mezzo di Cristo e della sua risurrezione (2Cor 4,7-11; 12,9-
10). L’autosufficienza di Paolo sta dunque nella sua dipendenza esclusiva da Dio
mediante la sua comunione con il Risorto.
FILIPPESI 4,14 94

14
 πλὴν καλῶς ἐποιήσατε συγκοινωνήσαντές μου τῇ θλίψει.
15
 οἴδατε δὲ καὶ ὑμεῖς, Φιλιππήσιοι, ὅτι ἐν ἀρχῇ τοῦ εὐαγγελίου,
ὅτε ἐξῆλθον ἀπὸ Μακεδονίας, οὐδεμία μοι ἐκκλησία
ἐκοινώνησεν εἰς λόγον δόσεως καὶ λήμψεως εἰ μὴ ὑμεῖς μόνοι,
16
 ὅτι καὶ ἐν Θεσσαλονίκῃ καὶ ἅπαξ καὶ δὶς εἰς τὴν χρείαν μοι
ἐπέμψατε. 17 οὐχ ὅτι ἐπιζητῶ τὸ δόμα, ἀλλὰ ἐπιζητῶ τὸν καρπὸν
τὸν πλεονάζοντα εἰς λόγον ὑμῶν.

4,14 Prendere parte alla mia tribolazione 4,15 Filippesi (Filipph,sioi) – Il termine
(sugkoinwnh,sante,j mou th/| qli,yei) – Il deriva dal latino Philippenses. Viene usata
verbo sugkoinwne,w è usato altrove nella questa forma invece dell’usuale Filippei/j
Bibbia solo in Ef 5,11 e Ap 18,4 per in- o Filipphnoi,,, probabilmente per mettere
dicare una partecipazione a qualcosa con in rilievo la cittadinanza romana dei desti-
qualcuno. In precedenza, nel testo di Fil natari.
1,3-11, erano state impiegate due espres- All’inizio dell’annuncio del Vangelo (ev n
sioni simili: evpi. th/| koinwni,a| u`mw/n eivj to. avrch/| tou/ euvaggeli,ou) – Si parla dal punto
euvagge,lion («a motivo della vostra parteci- di vista dei Filippesi, riferendosi a quando
pazione al Vangelo») in 1,5 e sugkoinwnou,j essi accolsero per la prima volta il Vangelo.
mou th/j ca,ritoj («partecipi della mia gra- Condivise (evkoinw,nhsen) – Il verbo koinwne,w
zia») in 1,7. Questi richiami denotano che denota una partecipazione finanziaria come
la vicinanza dei Filippesi alla situazione di in Rm 12,13 e Gal 6,6.
sofferenza di Paolo prigioniero è un segno Un conto di dare e avere (lo,gon do,sewj kai.
della loro partecipazione all’annuncio del lh,myewj) – Espressioni proprie del linguag-
Vangelo. gio commerciale, che evocano un registro

4,14-17 Il vero valore del dono dei Filippesi


Dopo aver chiarito il proprio stile di vita, nel v. 14 Paolo può esprimere la sua
riconoscenza nei confronti dei Filippesi per il dono a lui inviato. Esso è giunto
davvero nel momento giusto, nel bel mezzo della difficoltà e manifesta la concreta
partecipazione dei destinatari all’annuncio del Vangelo. Così da una parte, l’Apo-
stolo chiarisce che non è ingrato verso i suoi e, dall’altra, comincia a indicare il
vero valore del loro gesto di donazione.
Infatti, a partire dal v. 15, l’Apostolo rievoca la storia dei suoi rapporti con i Fi-
lippesi, gli unici che, a differenza di altre Chiese, lo hanno sostenuto sin dal primo
momento dopo la loro evangelizzazione, allorquando Paolo lasciò la Macedonia
per recarsi prima ad Atene e poi a Corinto (cfr. At 16,40–18,17). Tale dato non solo
è confermato all’inizio della lettera, dove Paolo ringrazia per la partecipazione dei
destinatari all’annuncio del Vangelo (1,3-5), ma anche dal testo di 2Cor 11,8-9,
secondo il quale i fratelli macedoni hanno supplito alle necessità dell’Apostolo
durante la sua permanenza a Corinto, e probabilmente dal breve riferimento di At
18,5 al fatto che Sila e Timoteo, giunti a Corinto dalla Macedonia, permisero a
Paolo di lasciare il lavoro e dedicarsi completamente all’evangelizzazione. Com-
95 FILIPPESI 4,17

14
Tuttavia avete fatto bene a prendere parte alla mia
tribolazione. 15Del resto sapete anche voi, Filippesi, che
all’inizio dell’annuncio del Vangelo, quando partii dalla
Macedonia, nessuna Chiesa condivise con me un conto di dare
e avere se non voi soli, 16poiché anche in Tessalonica più di una
volta mi avete inviato ciò di cui avevo bisogno. 17Non cerco il
dono, cerco piuttosto il profitto che si accresce sul vostro conto.

del dare e avere (cfr. Sir 42,3.7; Tucidide, (Mt 7,11; Lc 11,13; Ef 4,8) e nella lingua
Storie 3,46,4). Ma tutto ciò viene usato greca è usato per indicare un’ampia gamma
anche per descrivere la reciprocità nelle re- di doni e di servizi, soprattutto in un contesto
lazioni, soprattutto quelle amicali (cfr. Sir di amicizia.
41,21; Epitteto, Discorsi 2,9,12). Nel testo Profitto (karpo,n) – Il termine karpo,j era
il sintagma si riferisce sia all’aiuto dei Fi- stato già utilizzato, con valenze diverse,
lippesi, sia a quanto hanno ricevuto dal loro in 1,11.22. In 4,17, in collegamento con
evangelizzatore. l’espressione «sul vostro conto» (eivj lo,gon
4,16 Più di una volta (kai. a[pax kai. di,j) u`mw/n), assume un significato commerciale,
– Formula idiomatica (alla lettera: «e una legato al guadagno acquisito in una transa-
volta e due volte»), utilizzata anche in 1Ts zione. Si tratta di un profitto per l’oggi, visto
2,18, che indica l’insistenza e la continuità il participio presente pleona,zonta («che si
dei Filippesi nel sovvenire alle necessità di accresce») al quale karpo,n si riferisce nel
Paolo. contesto. Ma in ragione dell’uso di karpo,j
4,17 Dono (do,ma) – Il vocabolo presenta in 1,11.22 non è da escludere una sfumatura
solo tre altre occorrenze neotestamentarie escatologica.

pletando al v. 16 la storia dei suoi rapporti con i destinatari, l’Apostolo ricorda che
anche quando era a Tessalonica – e quindi ancora in Macedonia – essi lo hanno
continuamente aiutato (cosa di cui non si fa alcuna menzione né nel testo degli
Atti, né nella corrispondenza tessalonicese).
Nel complesso, questi versetti non sono delle “notizie”, visto che i Filippesi
conoscono già i fatti narrati, ma si configurano come una “ripetizione”, volta a
sottolineare la continua generosità dei destinatari nei confronti dell’Apostolo.
Inoltre il linguaggio commerciale utilizzato nel testo evoca il fatto che l’aiuto
ricevuto dall’Apostolo è di natura economica, ma indica, anche attraverso un uso
metaforico dei termini, il rapporto di amicizia tra Paolo e i Filippesi che non è
basato semplicemente su una relazione di reciprocità ma sulla comune parteci-
pazione nel e per il Vangelo.
Il v. 17 è volto a prevenire un malinteso derivante dai versetti immediata-
mente precedenti (in termini retorici si tratta di un’altra correctio): esaltando
la costante e unica generosità dei Filippesi, Paolo non intende ingraziarseli per
ottenere altri aiuti. Anzi, l’Apostolo afferma che accettando il loro dono egli cerca
di incrementare il loro cammino di fede. Con il nuovo utilizzo di una metafora
FILIPPESI 4,18 96

 ἀπέχω δὲ πάντα καὶ περισσεύω· πεπλήρωμαι δεξάμενος παρὰ


18

Ἐπαφροδίτου τὰ παρ᾽ ὑμῶν, ὀσμὴν εὐωδίας, θυσίαν δεκτήν,


εὐάρεστον τῷ θεῷ. 19 ὁ δὲ θεός μου πληρώσει πᾶσαν χρείαν
ὑμῶν κατὰ τὸ πλοῦτος αὐτοῦ ἐν δόξῃ ἐν Χριστῷ Ἰησοῦ. 20 τῷ δὲ
θεῷ καὶ πατρὶ ἡμῶν ἡ δόξα εἰς τοὺς αἰῶνας τῶν αἰώνων, ἀμήν.

4,18 Ho tutto (avpe,cw pa,nta) – Nel linguag- Sacrificio accetto (qusi,an dekth,n) – Questa
gio commerciale l’espressione equivale a coppia è presente nella Settanta (p. es., Lv
una quietanza, ma è usata anche nel con- 19,5; Sir 35,6; Is 56,7) per indicare un’offer-
testo della filosofia stoica per affermare la ta appropriata a Dio e quindi, come specifica
propria autosufficienza (Epitteto, Discorsi, nel nostro versetto euva,reston («gradito»), di
3,24,17). cui lui si compiace. Da notare che nel NT,
Profumo soave (ovsmh.n euvwdi,aj) – Il sintag- come già in Sap 4,10; 9,10, l’aggettivo
ma è utilizzato una cinquantina di volte nella euva,restoj descrive soprattutto la condotta
Settanta e indica l’aroma che sale dall’offer- che Dio desidera dal credente (p. es., Rm
ta sacrificale bruciata al cospetto di Dio. La 14,18; Col 3,20; Eb 13,21).
sola altra occorrenza del NT è in Ef 5,2, in 4,19 Ricolmerà (plhrw,sei) –. Alcuni testi-
connessione con l’autodonazione per amore moni occidentali e altri manoscritti leggono
di Gesù. «ricolmi» (plhrw,sai), ma questa lezione

finanziaria, Paolo mostra paradossalmente che ciò che i Filippesi pensano di fare
per suo vantaggio in realtà lo fanno per il loro. Infatti, l’assistenza dei destinatari
nei confronti del prigioniero a causa del Vangelo contribuisce a una presente e
costante crescita spirituale, in vista anche del compimento escatologico. Tale
ragionamento indica che i rapporti tra l’autore e gli ascoltatori sono veramente
buoni, perché, facendo leva su queste parole, chi volesse fare la parte del conte-
statore potrebbero accusare Paolo di accampare false ragioni di ordine spirituale
per approfittare dei Filippesi.
Il fatto che i cristiani di Filippi abbiano più volte inviato all’Apostolo i loro
aiuti sembra in aperta contraddizione con la normale prassi paolina di indipen-
denza economica dalle sue comunità. Nella corrispondenza con i Corinzi, Paolo
sostiene, a fronte delle critiche rivoltegli, che per lui, a differenza degli altri
missionari cristiani, è una scelta di fondo non accettare alcuna rimunerazione
(1Cor 9,1-27; 2Cor 11,7-10; 12,13-18). La stessa linea è poi da lui adottata anche
a Tessalonica, dove l’Apostolo ha provveduto alle sue necessità con il lavoro
personale (1Ts 2,9). Perché dunque c’è stata un’eccezione a Filippi? Anzitutto il
contesto doveva essere sicuramente diverso da quello di Corinto e di Tessalonica.
Infatti, in questi due casi c’era sia il serio pericolo di riprodurre nel rapporto tra
l’Apostolo e la sua comunità una logica relazionale di patrono-cliente, tipica della
mentalità greco-romana, sia la necessità da parte di Paolo di distinguersi da altri
missionari cristiani e predicatori itineranti, talvolta a lui ostili, che, bisognosi di
un sostegno economico, non raramente diventavano abili sfruttatori del buon
97 FILIPPESI 4,20

18
Ora ho tutto e ho in abbondanza. Sono stato ricolmato, avendo
ricevuto da Epafrodito i vostri doni: profumo soave, sacrificio
accetto e gradito a Dio. 19E il mio Dio ricolmerà ogni vostro
bisogno, secondo la sua ricchezza gloriosa per mezzo di Cristo
Gesù. 20Al nostro Dio e Padre la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

non può essere quella originale perché l’altra è sia al presente sia ai tempi escatologici).
ha un’attestazione di gran lunga superiore, 4,20 Nei secoli dei secoli (eivj tou.j aivw/
soprattutto per qualità. Così nel versetto il naj tw/n aiv w,nwn) – Formula di eternità
verbo introduce una promessa e non una propria del NT (p. es., Eb 13,21; 1Pt 4,11;
preghiera di domanda. Ap 1,6); in questa forma è presente soltanto
La sua ricchezza (to. plou/toj auvtou/) – Il due volte nella Settanta (4 Maccabei 18,24;
concetto è legato all’agire salvifico di Dio a Sal 83,5 [TM 84,5]).
favore degli uomini (p. es., Rm 2,4; Ef 1,18; Amen (avmh,n) – Termine ebraico e aramaico
Col 1,27). che suggerisce l’idea di realtà e di fermezza;
Gloriosa per mezzo di Cristo Gesù (ev n esprime l’assenso ed è usato, come nel no-
do,xh| evn Cristw/| VIhsou/) – Dio agisce nei stro versetto, a conferma di una dossologia
confronti dell’umanità e manifesta la sua da parte dell’assemblea.
gloria per mezzo di Cristo (il riferimento  4,10-20 Testi affini: 2Cor 8,1-5; 9,7-15

cuore degli ascoltatori. Invece, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, il
rapporto tra l’Apostolo e i destinatari filippesi è sicuramente positivo e scevro da
possibili malintesi, così l’accettazione del loro aiuto economico non crea problemi
particolari. In ogni caso il contributo dei Filippesi non rientra nello schema di una
rimunerazione o del rapporto patrono-cliente, ma rappresenta, anche nella sua
continuità, una libera e spontanea partecipazione al ministero di annuncio di Paolo.

4,18-20 La ricompensa di Dio


Avendo prevenuto eventuali malintesi, al v. 18 Paolo può tranquillamente affer-
mare che gli aiuti dei Filippesi hanno soddisfatto tutti i suoi bisogni. Per la prima
e unica volta nel brano, l’Apostolo menziona in maniera esplicita i loro doni, ma
nello stesso tempo ribadisce che, possedendo tutto ciò che gli serve e ancor più,
è indipendente e non è in cerca di alcun altro sussidio da parte dei destinatari.
A questo punto il linguaggio e la metafora commerciali si intrecciano con quelli
cultuali. Come avveniva in altri luoghi della lettera (2,15.17.25.30; 3,3) la ter-
minologia sacrificale anticotestamentaria è applicata all’esistenza cristiana. Tale
fatto indica prima di tutto la qualità dei doni dei Filippesi: come si offrono a Dio i
prodotti più eccellenti, così essi hanno portato a Paolo ciò che avevano di meglio.
Inoltre Eb 13,16 usa un vocabolario che richiama il nostro brano, indicando come
la beneficenza e la condivisione dei beni siano i sacrifici di cui Dio si compiace e
ricollegandosi così alla tradizione profetica (p. es., Is 58,1-8; Mi 6,6-8; Sir 35,1-3).
In particolare questo linguaggio richiama quanto è stato detto in 2,25-30 a propo-
FILIPPESI 4,21 98

 Ἀσπάσασθε πάντα ἅγιον ἐν Χριστῷ Ἰησοῦ. ἀσπάζονται ὑμᾶς οἱ


21

σὺν ἐμοὶ ἀδελφοί. 22 ἀσπάζονται ὑμᾶς πάντες οἱ ἅγιοι, μάλιστα


δὲ οἱ ἐκ τῆς Καίσαρος οἰκίας. 23 Ἡ χάρις τοῦ κυρίου Ἰησοῦ
Χριστοῦ μετὰ τοῦ πνεύματος ὑμῶν.

4,21 Salutate (VAspa, s asqe) – Il verbo Kai,saroj oivki,aj) – L’espressione greca riprende
avspa,zomai è tipico dei saluti presenti alla fine quella latina familia Caesaris, presente in iscri-
delle lettere del NT, a differenza di quanto zioni e testi letterari. Non si tratta dei membri
avviene nei postscripta classici. Come in Rm della famiglia dell’imperatore, bensì di schiavi
16 e in 1Ts 5,26, si utilizza l’imperativo di o liberti a servizio nel palazzo dell’imperatore
seconda plurale di avspa,zomai senza specifi- o nell’amministrazione imperiale (compresa la
care il riferimento del «voi». gestione del suo patrimonio), che potevano ri-
4,22 Quelli della casa di Cesare (oi` evk th/j siedere a Roma e nelle varie province.

sito del servizio, visto come atto di culto a Dio, compiuto nei confronti di Paolo
da Epafrodito, rappresentante della comunità. In altre parole, i Filippesi hanno
pensato di donare a Paolo, ma in effetti hanno donato a Dio stesso.
Per questo al v. 19 l’Apostolo annuncia, ancora con un linguaggio commerciale
e attraverso una dichiarazione profetica rivolta al futuro come quelle dei vv. 7.9,
che sarà Dio a ricompensare i destinatari per la loro generosità nei confronti del
prigioniero a causa del Vangelo. Infatti i Filippesi hanno provveduto («sono stato
ricolmato», v. 18) alle necessità («ciò di cui avevo bisogno», v. 16) di Paolo e
allora spetta a Dio colmare («ricolmerà», v. 19) le loro esigenze («ogni vostro
bisogno», v. 19). Dio interverrà, al presente e nel futuro prossimo ed escatologico,
come sempre fa nel suo operare salvifico, cioè ben aldilà dei desideri dei cristiani
di Filippi colmando ogni loro bisogno e non solo quelli di natura materiale. Tro-
viamo quindi una corrispondenza con l’inizio della lettera e in particolare con 1,9-
11, dove l’Apostolo dice di aver pregato affinché i Filippesi siano riempiti delle
benedizioni divine (in ordine a una crescita nell’amore), visto che ora, sicuro della
generosità di Dio, egli sostanzialmente dichiara che esse di certo si realizzeranno.
In questo contesto, da una parte, Paolo richiama l’eredità biblica che afferma
come Dio ridoni con generosità quello che è stato dato in aiuto ai poveri (cfr., p.
es., Dt 15,9-10; Tb 4,8-11 [secondo il codice Vaticano]; 2Cor 9,8-10); dall’altra,
si distacca dal principio della reciprocità del mondo greco-romano, trasferendo
al suo Dio l’onere di ricompensare la prodigalità dei Filippesi.
La pericope si chiude al v. 20 con una dossologia che consta dei tre tipici
elementi: colui al quale è diretta, il contenuto della lode, un sintagma temporale
(cfr., p. es., Rm 16,25-27; Gal 1,5; Ef 3,20-21). Non si tratta soltanto della giusta
celebrazione della generosità di Dio nei confronti dei Filippesi, di cui si è appena
parlato nel versetto precedente, ma dell’appropriata chiusura della lettera appena
prima del postscriptum. Infatti le esortazioni dell’epistola, in particolare quelle di
3,1–4,1, invitavano i destinatari a fare della propria vita, seguendo l’esempio di
99 FILIPPESI 4,23

Salutate ogni santo in Cristo Gesù. Vi salutano i fratelli che


21

sono con me; 22vi salutano tutti i santi e particolarmente quelli


della casa di Cesare. 23La grazia del Signore Gesù Cristo sia col
vostro spirito.

4,23 Col vostro spirito (meta. tou/ pneu,matoj allo Spirito Santo. In diversi e importanti
u`mw/n) – La variante «con tutti voi» sostitui- manoscritti il v. 23 termina con amen (avmh,n),
sce tou/ pneu,matoj con pa,ntwn, ma non è ma probabilmente si tratta di un’aggiunta in
considerata originale perché la sua attesta- accordo con la pratica liturgica e in ripresa
zione è di valore notevolmente minore ri- dello stesso vocabolo del v. 20.
spetto all’altra. Come nei postscripta di Gal  4,21-23 Testi affini: Rm 16,1-24; 1Cor
6,18; Fm 25; 2Tm 4,22, Paolo si riferisce 16,19-24; 2Cor 13,11-13; Gal 6,11-18;
allo spirito di ciascuno dei credenti e non 1Ts 5,25-28; Fm 21-25

Paolo, una lode del Signore che, in quanto tale, è resa manifesta nella dossologia.
Infine l’«amen», proprio della risposta assembleare, ci ricorda come le lettere
paoline siano destinate alla pubblica lettura di fronte a tutta la comunità.
Al termine di 4,10-20 è possibile comprendere meglio quanto già accennato
in precedenza riguardo all’atteggiamento dell’Apostolo nei confronti dei sussidi
ricevuti dai Filippesi. Egli non intende minimizzare il loro dono; desidera piuttosto
che non vengano fraintese le motivazioni della sua reazione a esso. In effetti, Paolo
desidera che i suoi vedano la loro generosità come un puro frutto del Vangelo e
come un vero atto di culto a Dio. Concludendosi il dettato epistolare con alcune
riflessioni sugli aiuti dei Filippesi, questi manterranno particolarmente a mente
l’elogio che l’Apostolo ha fatto della loro generosità e vi vedranno un ultimo
segno di amicizia e di sostegno per rimanere fedeli al Vangelo che essi hanno
ricevuto proprio da lui.

POSTSCRIPTUM (4,21-23)
Paolo segue le regole dell’epistolografia antica e, avendo aperto in 1,1-2 con
il praescriptum, chiude in 4,21-23 con il postscriptum. Nell’antichità quest’ul-
timo elemento non ha la funzione di aggiungere quanto è stato dimenticato nel
corpus della lettera, secondo quello che avviene per noi oggi. In epoca classica il
postscriptum riveste valore giuridico di autenticazione della lettera, scritta nor-
malmente da un segretario. Così accade, con ogni probabilità, anche nelle lettere
paoline, poiché alcune volte, alla fine delle medesime, l’Apostolo segnala il suo
intervento autografo (cfr. 1Cor 16,21; Gal 6,11; Col 4,18; 2Ts 3,17; Fm 19). Di
regola nell’epistolario antico si termina brevemente con un arrivederci e con un
augurio di buona salute, sintetizzati in un’unica espressione come «sta’/state
bene», alla quale si può aggiungere «buona fortuna», oppure «prego che tu stia
bene». Nell’epistolario paolino il postscriptum è notevolmente più ampio e include
altri elementi, tra i quali i più frequenti sono i saluti, con mittenti e destinatari
FILIPPESI  100

di essi, e la benedizione finale con la costante menzione della «grazia». L’im-


portanza del postscriptum può essere individuata nel fatto che esso contribuisce
a mettere le Chiese in contatto le une con le altre e quindi a farle crescere nella
comunione, basata sul medesimo dono di grazia ricevuto da Dio. Inoltre questo
elemento epistolare assume spesso la funzione di ricapitolare i temi trattati nella
lettera (cfr. Gal 6,11-18; 1Ts 5,23-24; 1Tm 6,20-21; Fm 21-22). Così l’Apostolo
dà prova, anche per il postscriptum, di autonomia e originalità rispetto ai modelli
letterari di riferimento.
Nella sua laconicità, da una parte il postscriptum di Filippesi ripropone gli
elementi-base dei saluti (vv. 21-22) e della benedizione (v. 23); dall’altra, non
menziona, contrariamente al solito, nessuno dei nomi dei destinatari. Gli esegeti
si sono domandati il perché di tale omissione nei riguardi di una comunità con
la quale l’Apostolo mostra di avere un rapporto più che buono. In base al dettato
epistolare, le spiegazioni più plausibili appaiono due: Paolo, non mettendo nessuno
alla ribalta, potrebbe sottolineare l’invito all’umiltà sull’esempio di Cristo (2,1-5);
oppure l’Apostolo invierebbe i saluti a tutti indistintamente per non dare adito a
gelosie e contrasti tra i Filippesi (cfr. 4,2-3).
Il saluto richiama al v. 21, con la menzione dei «santi in Cristo», l’inizio del
praescriptum (1,1), ma diventa più personale passando da «tutti» a «ciascuno»
dei componenti della comunità filippense. Probabilmente, senza incaricare alcuno
in particolare, Paolo invita i Filippesi a trasmettere tra di loro il suo affettuoso
ricordo. Inoltre egli intende metterli in contatto anzitutto, attraverso l’invio dei
saluti, con coloro che gli sono vicino e collaborano con lui, tra i quali spicca
Timoteo (cfr. 1,1; 2,20-21).
Allargando ulteriormente il riferimento dei mittenti, al v. 22 l’Apostolo men-
ziona il saluto di tutti i cristiani abitanti nella località dove è detenuto (cfr. 1,12-
17), con particolare attenzione a quanti lavorano nell’amministrazione imperiale.
Questa sottolineatura intende costituire un incoraggiamento per i destinatari della
lettera. Infatti se, in base all’esperienza di Paolo, anche nell’ambiente general-
mente ostile della struttura amministrativa imperiale c’è la presenza di credenti
in Cristo, allora pure i Filippesi, nel difficile contesto della loro colonia romana,
potranno trovare la strada per vivere e annunciare il Vangelo.
Secondo il suo stile, al v. 23 l’Apostolo termina la lettera con una benedizione
che si incentra sulla «grazia» – elemento che ricorre sempre anche in apertura (cfr.
1,2) – perché è quanto di meglio i credenti possano augurarsi tra di loro. La fonte
permanente del dono si trova nello stesso Signore Gesù al quale essi sono uniti.
Così con il postscriptum si chiude la lettera inviata da Paolo ai cristiani di
Filippi. In esso l’Apostolo evidenzia che l’orizzonte del loro dialogo epistolare
è stata la comune fede in Cristo (menzionato due volte in tre versetti) e che la
comunione con lui è alla base del vincolo di solidarietà tra tutti i credenti. Per
questo è spontaneo e sincero il desiderio di scambiarsi i saluti tra i cristiani, anche
se essi non si sono ancora conosciuti.
LA LETTERA AI FILIPPESI
NELL’ODIERNA LITURGIA

di Gaetano Comiati

Una perla preziosa per la preghiera della Chiesa

Da tempo immemorabile, la lettera ai Filippesi è presente nella


liturgia soprattutto in virtù del celeberrimo testo cristologico del
capitolo secondo (2,6-11), testimone venerando del prezioso pa-
trimonio poetico e celebrativo della prima comunità cristiana. Ab-
biamo una significativa presenza di questo scritto all’interno della
Messa nella proclamazione della Liturgia della Parola e come fonte
ispiratrice dell’eucologia ma anche nella preghiera quotidiana della
Liturgia delle Ore, sotto forma di cantico, lettura breve o respon-
sorio. Ricco di riferimenti battesimali, probabilmente utilizzato fin
dall’epoca apostolica come professione di fede comunitaria in vista
della celebrazione dell’Eucarestia, questo componimento tanto effi-
cace per una catechesi sul vivere cristiano e sullo stile comunitario,
si colloca oggi perfettamente nella logica rituale della Settimana
Santa. Durante la Messa della domenica delle Palme – la grande
“porta celebrativa” che conclude il tempo quaresimale e immette
nell’affascinante complesso rituale del Triduo Santo –, preceduto
dal Canto del Servo Sofferente (Is 50,4-7), il brano paolino si in-
nesta nel centro della Liturgia della Parola, con tutta la sua densa
e sobria bellezza. È proprio la pericope di Fil 2,6-11 a diventare la
pagina della seconda lettura, capace di assumere in modo straor-
dinario il mistero di sofferenza annunciato dal profeta, di appro-
fondirlo e radicarlo cristologicamente, per orientarne la dramma-
tica luce redentiva verso la Lectio Evangelii. Il versetto previsto
per l’acclamazione al Vangelo ne riprende infatti la parte centrale
FILIPPESI NELLA LITURGIA 102

(vv. 8-9), indicando così la chiave ermeneutica per comprendere il


mistero della passione del Signore, di lì a breve proclamato secondo
la triplice scansione dei Lezionari domenicali (A-B-C). Oltre alla
testimonianza della Liturgia della Parola, ampliando lo sguardo al-
la varietà eucologica di questa ricca domenica, ci accorgiamo che
l’impostazione teologica ed ecclesiale della lettera ai Filippesi con-
divide perfettamente tutta la dinamica rituale della domenica delle
Palme. Due elementi ci spingono a questo parallelismo: l’esortazio-
ne proposta per la «Commemorazione dell’ingresso del Signore in
Gerusalemme» (durante la quale si compie la benedizione dei rami
d’ulivo) e la Colletta della Messa. Nel primo caso, le parole del sa-
cerdote indicano chiaramente il senso e l’obiettivo delle preghiere e
azioni che l’assemblea compirà: accompagnare il Salvatore nel suo
ingresso nella città santa e ottenere per i fedeli convenuti «la grazia
di seguirlo fino alla croce, per essere partecipi della sua risurrezio-
ne». Con tali parole, il mistero di umiliazione-esaltazione di Cristo,
similmente al procedimento di Paolo, non è contemplato da un punto
di vista puramente teologico, ma diviene il cardine imprescindibile
di una vita dedicata alla sequela del Signore e orientata verso la
«nostra cittadinanza» che «è nei cieli» (Fil 3,20). La Parola annun-
ziata, i gesti compiuti, il rito nella sua complessità, indicano alla
Chiesa la via della salvezza: condividere la salita verso il Calvario
di Cristo e accettare la logica redentiva della croce. In questa linea
si muove pure la Colletta prevista per la Messa: «Dio onnipotente ed
eterno, che hai dato come modello agli uomini il Cristo tuo Figlio,
nostro Salvatore, fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce,
fa’ che abbiamo sempre presente il grande insegnamento della sua
passione, per partecipare alla gloria della sua risurrezione». Il Cri-
sto è riconosciuto come il «modello» offerto dal Padre all’umanità
tutta, e la sostanza del suo insegnamento è l’esperienza che lo portò
ad accettare l’umiliazione della morte di croce, con una citazione
quasi letterale di Fil 2,8. Il fortissimo accento esistenziale di questa
preghiera (conformemente all’idea di imitatio Christi) è analogo
al testo paolino stesso, che introduce il brano con l’esortazione:
«Abbiate tra di voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù» (2,5). Nella
seconda edizione italiana del Messale Romano (1983), troviamo
103 FILIPPESI NELLA LITURGIA

un interessante Prefazio di nuova composizione, detto «Della SS.


Eucarestia III», sottotitolato «L’Eucarestia viatico verso la Pasqua
eterna». La prima parte dell’embolismo recita: «Tu hai voluto che
il tuo Figlio, obbediente fino alla morte di croce, ci precedesse sulla
via del ritorno a te, termine ultimo di ogni umana attesa». Torna
quindi, a fondamento della dimensione anamnetica di questo testo
eucologico, la citazione di Fil 2,8, seguita poi da un chiaro riferi-
mento escatologico, coerentemente con l’impostazione teologica
di Paolo (Fil 3,20-21). Questo preziosissimo testo, poi, trova largo
impiego nella Liturgia delle Ore, posto stabilmente come Cantico
durante i Primi Vespri di tutte e quattro le domeniche. È straordinario
vedere come la liturgia riesca a unire, grazie a questo componimento,
l’imminente compiersi delle fatiche diurne con la consapevolezza di
essere comunque già entrati nel nuovo giorno, quello del Signore.
La dinamica discendente e ascendente di Fil 2,6-11, il suo carattere
di memoria e anticipazione, si accordano perfettamente al volgere
crepuscolare del sabato verso la luminescenza del “primo giorno
della settimana”, unendo la Chiesa al mistero del Cristo che si ina-
bissa nelle tenebre della morte per risalirvi nella gloria della risur-
rezione. Così avviene pure ai Primi Vespri del Natale del Signore,
dove il brano della lettera ai Filippesi, pregato ancora come Canti-
co, risulta particolarmente adatto per penetrarne il mistero. In virtù
dei vv. 7 e 8 la Solennità rivela il fondante connotato pasquale: la
kenosi-spogliazione avvenuta nella morte-risurrezione rende possi-
bile la kenosi-spogliazione della nascita-incarnazione. La preghiera
conclusiva dell’Ufficio delle Letture esprime con grande efficacia
l’unitarietà di questi aspetti: «O Dio, che in modo mirabile ci hai
creati a tua immagine, e in modo più ammirabile ci hai rinnovati e
redenti, fa’ che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio,
che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana».

La lettera ai Filippesi nel Lezionario domenicale

Scorriamo ora, con uno sguardo più ampio, l’intero ciclo delle
domeniche del tempus per annum. Ci accorgiamo che a offrir-
FILIPPESI NELLA LITURGIA 104

ci una lettura semicontinua della lettera è il ciclo A, prevedendo


ben quattro domeniche scandite dall’ascolto dello scritto paolino,
ossia la XXV (Fil 1,20c-24.27a), la XXVI (Fil 2,1-11 versione
lunga, 2,1-5 versione breve), la XXVII (Fil 4,6-9) e la XXXVIII
(Fil 4,12-14.19-20). La scelta delle pericopi è quanto mai signi-
ficativa. L’ardente confessione dell’Apostolo «per me il vivere è
Cristo e il morire un guadagno» apre la serie di letture mettendo
in risalto il temperamento appassionato di Paolo, testimone di un
amore vivissimo per la comunità di Filippi nella quale, dice, «con-
tinuerò a rimanere per il progresso e la gioia della vostra fede».
L’Ordo Lectionum Missae (l’ordinamento che stabilisce i criteri
teologico-celebrativi e i passi scritturistici che compongono i di-
versi Lezionari) offre in queste domeniche una scelta di testi con
preziosi riferimenti alla vita della Chiesa, facendo emergere tutta la
forza della parenesi paolina. Considerando infatti la versione breve
della seconda lettura proposta per la XXVI domenica del tempo
ordinario, che omette proprio il ben conosciuto inno cristologico e
non l’esortazione che lo precede, possiamo intendere quale ottica
si privilegi nel piano globale delle pericopi proposte: un linguaggio
familiare e affettuoso, grato e commosso, coraggioso ed esigente,
che mira direttamente a provocare una risposta di fede toccando il
cuore dei credenti. Nella supplica che Paolo rivolge ai Filippesi egli
lega a “doppio filo” l’esito felice del proprio apostolato con l’esito
felice della loro vita comunitaria: «Rendete piena la mia gioia con
un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e
concordi». Nella XXVII il tenore non cambia. Paolo si presenta
ai suoi nell’eloquenza di una vita spesa per il Vangelo, ponendosi
a garanzia e sigillo dell’autentica tradizione ecclesiale: «Le cose
che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele
in pratica. E il Dio della pace sarà con voi!». Conclude questo
breve ma intenso percorso all’interno della lettera ai Filippesi la
domenica immediatamente seguente, con l’alta e incisiva afferma-
zione: «Tutto posso in colui che mi dà la forza». Paolo guarda alle
fatiche che come atleta Christi ha dovuto affrontare per l’annuncio
del Vangelo, trasformando il gemito di sofferenza in gratitudine e
benedizione. Sulla comunità di Filippi, che ha condiviso le tribola-
105 FILIPPESI NELLA LITURGIA

zioni dell’Apostolo, scende così la solenne e affettuosa promessa:


«Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la
sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù».

Tempo di Avvento e Quaresima: tra attesa e trasfigurazione

La lettera ai Filippesi è poi variamente presente nell’anno C,


non più nelle domeniche del tempo ordinario, ma con due brani
posti in Avvento e due brani posti in Quaresima. La seconda do-
menica di Avvento prevede la proclamazione di Fil 1,4-6.8-11,
versetti immediatamente successivi all’incipit dello scritto. Nel
contesto di questo particolare tempo liturgico, le espressioni «gior-
no di Cristo Gesù» e «giorno di Cristo» utilizzate nel breve arco
di poche righe, pongono l’attenzione della comunità verso quel
compimento escatologico che esige fin d’ora una condotta di vita
conforme al Vangelo. Il Prefazio dell’Avvento I/a recepisce questa
prospettiva e nella ricchezza di riferimenti biblici bene si accorda
al testo paolino: «È veramente giusto renderti grazie e innalzare
a te l’inno di benedizione e di lode, Padre onnipotente, principio
e fine di tutte le cose. Tu ci hai nascosto il giorno e l’ora in cui il
Cristo tuo Figlio, Signore e giudice della storia, apparirà sulle nubi
del cielo (…). Ora egli viene incontro a noi in ogni uomo e in ogni
tempo, perché lo accogliamo nella fede e testimoniamo nell’amore
la beata speranza del suo regno». L’Avvento, come tempo di gio-
iosa attesa del Natale, orienta la comunità verso il compiersi della
salvezza alla fine dei tempi, quando le promesse messianiche sa-
ranno compiute in modo definitivo. Osserviamo a questo proposito,
discostandoci per un istante dai testi del Lezionario domenicale,
come per i primi tre venerdì di Avvento l’antifona alla comunione
scelga proprio dalla lettera ai Filippesi alcuni versetti che in questo
contesto rivelano magnificamente il destino dell’umanità al ritorno
del Signore, giorno nel quale «egli trasfigurerà il nostro misero
corpo per conformarlo al suo corpo glorioso» (Fil 3,20-21). Nella
terza domenica di Avvento abbiamo un’ulteriore prova di quanto
sia importante prendere in esame il cantus previsto dal Messale per
FILIPPESI NELLA LITURGIA 106

entrare nel significato della celebrazione. Lo squillante imperativo


paolino custodito nell’antifona d’ingresso della Messa, che non va-
ria secondo i cicli del Lezionario, dice infatti: Gaudete in Domino
semper. Iterum dico: Gaudete, Dominus prope est (Fil 4,4.5). Per
tale ragione questa domenica viene chiamata Gaudete: la Chiesa dà
voce alle parole di Paolo proprio nell’approssimarsi della natività
del Signore, per rinvigorire l’attesa della sua venuta e spingere
l’assemblea cristiana a celebrare con gioiosa gratitudine Colui che
chiede di essere accolto quotidianamente, non solo nella parusia
finale. Le vesti mitigano il viola notturno della veglia sfumando
verso il rosa dell’alba ormai imminente: «Il Signore è vicino!» (Fil
4,5b). Tornando al Lezionario domenicale e festivo, l’anno C, del
quale ci stiamo occupando, non lascia alla sola antifona il gioioso
invito e indica per questa terza domenica l’intera pericope da cui
il canto iniziale è tratto (Fil 4,4-7). Viene offerta così una singolare
unità tematica tra la prima e seconda lettura, che fa delle parole di
Paolo l’ideale risposta all’invito del profeta Sofonia, ascoltato qual-
che istante prima: «Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia Israele,
esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme» (Sof
3,14). Emergono quindi le caratteristiche proprie dell’attendere
ecclesiale, efficacemente interpretato dal lessico paolino: gioia,
amabilità, serenità, preghiera fiduciosa, lode, pace, affidamento.
Voltiamo quindi le pagine fino ad arrivare all’importantissimo tem-
po di Quaresima. Nella seconda domenica vengono proclamati i
vv. 3,17–4,1 proposti anche in forma breve (3,20–4,1). Il grande
mistero celebrato riguarda la trasfigurazione di Gesù, anticipo di
quella gloria della risurrezione che sarà raggiunta attraverso lo
scandalo della morte in croce. Grazie allo scritto paolino la Chiesa
riesce a cogliere nella vicenda del Signore la propria stessa vocazio-
ne, il senso profondo della sequela: «Fratelli, la nostra cittadinanza
è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo,
il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo
corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé
tutte le cose» (Fil 3,20). La Colletta del Messale italiano, che vede
il sacerdote rivolgersi al Padre perché rinsaldi la «fede nel mistero
della croce», riprende poi con vigore l’avvertimento di Paolo che
107 FILIPPESI NELLA LITURGIA

invita a guardarsi da coloro che «si comportano da nemici della


croce di Cristo» (Fil 3,18), sottolineando ulteriormente l’inscindibi-
le unità tra il mistero della passione e il mistero della risurrezione.
La quinta domenica di Quaresima indica in Fil 3,8-14 il testo della
seconda lettura, vera professione di fede e testimonianza ardente-
mente amorosa di Paolo che afferma non senza commozione «sono
stato conquistato da Cristo Gesù». Questa logica di sovrabbondan-
za e di gratitudine infrange il monolitico calcolare di ogni legge
(religiosa anche) e rinnova il concetto di giustizia come adesione
e conformazione al dono di Dio; in essa ci è offerta la chiave er-
meneutica per intendere la drammatica polemica che opporrà Gesù
agli scribi e i farisei, riguardo alla vicenda della donna adultera
condannata in nome della legge di Mosè.

L’itinerario feriale in compagnia della lettera ai Filippesi

Ci si potrebbe chiedere se, nell’arco dei vari cicli liturgici, sia


possibile ascoltare nella loro completezza le varie pagine della let-
tera ai Filippesi. La risposta è affermativa: nelle letture feriali della
Messa, Anno II, alla Chiesa è offerta la lettura semicontinua della
lettera. La missiva, pervasa di vivo calore e di fresca spontaneità,
accompagna i fedeli a partire dal venerdì della XXX settimana,
continuando, esclusa ovviamente la domenica, fino al sabato della
XXXI settimana. Se non fosse per la vistosa omissione di Fil 2,19-30
– ove l’apostolo Paolo spiega il senso della missione di Epafrodito e
Timoteo –, potremmo dire che questi otto giorni coprono la totalità
dello scritto neotestamentario. Per la prima volta, grazie all’Ordo
Lectionum Missae del 1981, nella Liturgia della Parola si ha una
così ricca e continuativa presenza di pericopi tratte dalla lettera
ai Filippesi, proclamate all’interno del medesimo contesto rituale
(Messa feriale) e nel medesimo tempo liturgico (per annum). Gli
antichi Lezionari del VII e VIII secolo, fino poi al Messale plenario
di Pio V (1570), prevedevano infatti un numero limitato di letture
(non più di cinque), distribuite variamente ora nella domenica, ora
nella feria, ora in una festa. L’attuale abbondanza di riferimenti
FILIPPESI NELLA LITURGIA 108

consente all’assemblea liturgica di seguire la singolare vicenda di


Paolo, la speciale dedizione che lo lega alla comunità di Filippi,
ricreando con completezza la varietà di quel quadro ove si colloca,
come perla di inestimabile valore, il celeberrimo testo del capitolo
secondo (2,6-11), già ascoltato nell’intensa liturgia della Settimana
Santa.

Un testo ideale per il cammino di santità

Rimane ancora una grande varietà di Lezionari, che riguardano


il Proprio dei santi con i vari communia, le Messe rituali, le Messe
per necessità varie, quelle votive o per i defunti. In essi la lettera ai
Filippesi compare con un numero notevole di attestazioni, che qui
faticheremmo a presentare in modo unitario. Per il suo grandissimo
fascino, per il calore umano e la tensione spirituale che esprime,
segnaliamo in modo particolare la pericope 3,8-14 («Ritengo che
tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di
Cristo Gesù, mio Signore»), presente in tutte le raccolte sopra citate
(tranne che nelle Messe per i defunti). Evidentemente essa si presta,
nella varietà dei contesti celebrativi, a mettere in rilievo la totaliz-
zante relazione con Cristo nell’esistenza cristiana. Nel Proprio dei
santi, in particolar modo, questo brano viene proclamato tanto per
la memoria di san Casimiro (4 marzo), quanto per san Francesco
da Paola (2 aprile), san Romualdo (19 giugno), santa Chiara (11
agosto) e san Brunone (6 ottobre). Quale modo più vivido e incisivo
per esprimere l’essenza della santità? Rimanendo nel Proprio dei
santi abbiamo un’ altra importante presenza dell’epistola nella festa
dell’Esaltazione della Santa Croce, precisamente il 14 settembre.
Come seconda lettura è infatti previsto il testo di Fil 2,6-11, già in-
contrato nella celebrazione della Settimana Santa, capace di narrare
il mistero dell’umiliazione e dell’esaltazione del Cristo come un
unico movimento di salvezza. Secondo la medesima logica ritro-
viamo il passo sia nella Messa votiva della Santa Croce che nella
Messa votiva del Santissimo Nome di Gesù, che pure nell’orazione
dopo la comunione contiene un esplicito riferimento a Fil 2,10:
109 FILIPPESI NELLA LITURGIA

«Padre misericordioso, (…), donaci (…) di adorare (…) il Signore


Gesù, nel cui nome hai voluto che ogni ginocchio si pieghi…».

La vita fraterna come benedizione

Al termine del nostro percorso osserviamo come la lettera ai


Filippesi riveli un carattere spiccatamente eucologico, poiché ogni
pagina è intrisa di invocazione e gratitudine verso il Signore, fon-
damento di ogni preghiera cristianamente intesa. Lo scritto paolino
si attesta quindi come un prezioso compagno di viaggio per la vita
del credente, intesa come instancabile cammino verso Dio insieme
ai fratelli. Nella meditazione, nella preghiera, nella vita comuni-
taria, la verità della fede e la verità dell’uomo chiedono di essere
amate assieme: il fascino dell’epistola fin qui analizzata sta proprio
nel non saper mai dire “Cristo” senza dire contemporaneamente
“Chiesa”, secondo una dinamica di mistica inclusione, dove la testi-
monianza in prima persona dell’Apostolo e l’invito alla comunione
fraterna rivelano tutta la loro pertinenza teologale. Ci affidiamo,
per la chiusura, alla bellissima benedizione solenne che il Messale
indica con la dicitura «Nel tempo ordinario II». Essa è tratta di-
rettamente da Fil 4,7 e dispiega sull’assemblea tutta la dolcezza e
tutto l’ardore profusi nei capitoli che compongono l’epistola. La
«sublimità della conoscenza di Cristo» non è più la straordinaria
vicenda personale del solo Apostolo ma l’orizzonte di vita della
comunità cristiana. Il sacerdote quindi, tenendo le mani stese sul
popolo, dice: «La pace di Dio, che sorpassa ogni sentimento, cu-
stodisca il vostro spirito nella conoscenza dell’amore di Dio e del
suo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo. Amen».
INDICE

Presentazione pag. 3

Annotazioni di carattere tecnico » 5

Introduzione » 9
Titolo e posizione nel canone » 9
Aspetti letterari » 10
Articolazione della lettera » 10
La lettera nel suo contesto culturale » 12
Linee teologiche fondamentali » 14
Destinatari, autore e datazione » 17
La città e la comunità cristiana di Filippi » 17
Autore ed epoca di composizione » 19
Testo e trasmissione del testo » 21
Bibliografia » 24
Commenti » 24
Studi » 24

Ai Filippesi » 27

La lettera ai Filippesi nell’odierna liturgia » 101


Una perla preziosa per la preghiera della Chiesa » 101
La lettera ai Filippesi nel Lezionario domenicale » 103
Tempo di Avvento e Quaresima: tra attesa e trasfigurazione » 105
L’itinerario feriale in compagnia della lettera ai Filippesi » 107
Un testo ideale per il cammino di santità » 108
La vita fraterna come benedizione » 109
Stampa:
Società San Paolo, Alba (Cuneo)
Printed in Italy

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