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DELLA BIBBIA
DAI TESTI ANTICHI
… …
147
Presentazione
NUOVA VERSIONE DELLA BIBBIA DAI TESTI ANTICHI
L
a Nuova versione della Bibbia dai testi antichi si pone
sulla scia di una Serie inaugurata dall’editore a margine
dei lavori conciliari (la Nuovissima versione della Bib-
bia dai testi originali), il cui primo volume fu pubblicato nel
1967. La nuova Serie ne riprende, almeno in parte, gli obiettivi,
arricchendoli alla luce della ricerca e della sensibilità contem-
poranee.
La traduzione italiana
Quando l’autore ha ritenuto di doversi discostare in modo
significativo dal testo stampato a fronte, sono stati adottati i
seguenti accorgimenti:
– i segni ˹ ˺ indicano che si adotta una lezione differente da
quella riportata in greco, ma presente in altri manoscritti o
versioni, o comunque ritenuta probabile;
– le parentesi tonde indicano l’aggiunta di vocaboli che ap-
paiono necessari in italiano per esplicitare il senso della
frase greca.
Per i nomi propri si è cercato di avere una resa che non si
allontanasse troppo dall’originale ebraico o greco, tenendo però
conto dei casi in cui un certo uso italiano può considerarsi dif-
fuso e abbastanza affermato.
I testi paralleli
Se presenti, vengono indicati nelle note i paralleli al passo
commentato con il simbolo //; i passi che invece hanno vicinanza
di contenuto o di tema, ma non sono classificabili come veri e
propri paralleli, sono indicati come testi affini, con il simbolo .
La traslitterazione
La traslitterazione dei termini ebraici e greci è stata fatta con
criteri adottati in ambito accademico e quindi non con riferi-
mento alla pronuncia del vocabolo, ma all’equivalenza formale
fra caratteri ebraici o greci e caratteri latini.
ANNOTAZIONI 6
L’approfondimento liturgico
Redatto sempre dal medesimo autore (Gaetano Comiati),
rimanda ai testi biblici come proposti nei Lezionari italiani,
quindi nella versione CEI del 2008.
LETTERA AI FILIPPESI
Introduzione, traduzione e commento
a cura di
Francesco Bianchini
Nestle-Aland, Novum Testamentum Graece, 27th Revised Edition, edited by Barbara
Aland, Kurt Aland, Johannes Karavidopoulos, Carlo M. Martini, and Bruce M. Metzger in
cooperation with the Institute for New Testament Textual Research, Münster/Westphalia,
© 1993 Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart. Used by permission.
ISBN 978-88-215-6673-8
INTRODUZIONE
ASPETTI LETTERARI
Praescriptum (1,1-2)
Prologo. Ringraziamento iniziale (1,3-11)
1
Con tale termine si designa l’indirizzo che si trova in genere all’inizio di una lettera
antica; cfr. commento a 1,1-2.
2
Quest’elemento finale nelle lettere antiche serve per autenticare la lettera, scritta nor-
malmente da un segretario; cfr. commento a 4,21-23.
11 INTRODUZIONE
3
Con questo termine gli studiosi indicano le lettere che sono state sicuramente scritte da
Paolo (Romani, Galati, 1 e 2 Corinzi, Filippesi, 1 Tessalonicesi, Filemone). Le altre lettere
che sono tradizionalmente attribuite a Paolo potrebbero essere state scritte da qualche suo
discepolo.
15 INTRODUZIONE
4
Da qui fu coniato anche il detto proverbiale: «Ci vedremo a Filippi», come momento
e luogo per antonomasia della resa dei conti. In effetti, secondo Plutarco, Bruto avrebbe
sentito pronunciare questa frase in una visione notturna, avvenuta immediatamente prima
della battaglia (Vita di Bruto 36,7).
19 INTRODUZIONE
BIBLIOGRAFIA
Commenti
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duction et commentaire, Gabalda, Paris 2005.
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and Commentary, Yale University Press, New Haven (CT) –
London 2008.
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Studi
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Abbozzi in forma epistolare, Dehoniane, Bologna 1999; 22001,
313-379.
25 INTRODUZIONE
Ai Filippesi
FILIPPESI 1,1 28
1,1 Paolo (Pau/loj) – Si tratta di un latinismo designava una funzione amministrativa ci-
(da Paul[l]us), la cui etimologia richiama vile (gestione, amministrazione o ispezione
l’idea di pochezza e di piccolezza. L’Apostolo di beni e persone). Non è possibile sapere
usa questo nome nelle sue lettere, mentre Atti con certezza se nel contesto di Filippesi gli
ci testimonia anche quello ebraico di Saulo. episcopi formano un gruppo distinto dai dia-
Episcopi (evpisko,poij) – La versione siria- coni; in tal caso i primi avrebbero un ruolo
ca della Peshitta riporta il termine «anzia- di sorveglianza e governo nella comunità.
ni», corrispondente al greco presbu,teroi, Diaconi (diako,noij) – Nell’ambito greco
indicando che in Fil 1,1 non è opportuno dia,konoj è colui che serve a tavola. Nelle
pensare a una chiara distinzione tra vescovi lettere paoline si indica con questo termine
e preti, e così anche nel resto del NT (At sia il compito del missionario del Vangelo
20,28; Tt 1,5.7); questa bipartizione è atte- (p. es., 1Cor 3,5; 2Cor 11,23; Ef 6,21), sia
stata soltanto con Ignazio di Antiochia, alla la funzione di gestione dei beni a vantaggio
fine del I secolo. Nel mondo greco evpi,skopoj della comunità e dei bisognosi (1Tm 3,8.12).
PRAESCRIPTUM (1,1-2)
Il termine deriva dal latino prae («prima») e scriptum («scritto») e indica
l’indirizzo presente all’inizio di ogni lettera antica. Seguendo il modello epi-
stolare classico, Paolo comincia sempre le sue lettere con questo elemento. Il
praescriptum è composto, come nel nostro caso, di tre elementi: mittente (su-
perscriptio), destinatario (adscriptio), saluto (salutatio). Nelle lettere paoline ci
sono co-mittenti (eccetto in Romani, Efesini e nelle Pastorali), i destinatari sono
i cristiani di una Chiesa locale (salvo che nelle Pastorali e in Filemone), «grazia»
e «pace» sono sempre presenti nel saluto; di esse si ricorda ogni volta l’origine
divina (con l’eccezione di 1 Tessalonicesi).
Nella iniziale qualifica di «schiavi», Paolo intende sottolineare la piena ap-
partenenza a Cristo di lui e di Timoteo, nonché il loro servizio umile per quel
Signore che, a sua volta, si è fatto schiavo di Dio a vantaggio dell’uomo (2,7).
Tali espressioni sono molto forti, visto che nel mondo greco-romano lo schiavo è
considerato come una creatura subumana. Infatti egli non appartiene a se stesso,
non ha status giuridico, ma è proprietà del padrone. Quest’ultimo può disporre di
lui come crede, considerandolo uno strumento domestico come tanti altri.
29 FILIPPESI 1,2
Se in Fil 1,1 sono da distinguere dagli epi- messaggero (p. es., Rm 5,2.15; 1Cor 15,10).
scopi, essi possiedono il secondo incarico. Pace (eivrh,nh) – Richiama il saluto ebraico
1,2 Grazia (ca,rij) – Con questo vocabolo šālôm, con il quale si augura non semplice-
l’autore riprende, dal punto di vista etimo- mente un’assenza di guerra, ma una pienezza
logico, e trasforma, riguardo al significato, di vita. Inoltre šālôm non rappresenta sola-
l’usuale saluto formulato all’inizio delle mente un saluto, poiché nei profeti antico-
epistole: «salve; sta’ bene» [cai, r e(in)]. testamentari costituisce il dono escatologico
Con questa nuova modalità non si configura di Dio, legato all’avvento del Messia (p. es.,
una relazione duale tra autore e destinata- Is 9,5-6). Così per Paolo la pace implica la
rio, ma una triangolare, grazie alla media- riconciliazione definitiva, universale, realiz-
zione divina. Infatti, nelle lettere paoline zata da Cristo in adempimento delle antiche
«grazia» è un termine chiave per indica- promesse (cfr. Ef 2,14-17).
re l’azione gratuita e salvifica di Dio nei 1 ,1-2 Testi affini: Rm 1,1-7; 2Cor 1,1-2;
confronti degli uomini, di cui l’Apostolo è Col 1,1-2; 1Ts 1,1; 2Ts 1,1-2; Fm 1-3
Timoteo, che è associato a Paolo nel praescriptum della lettera pur non essen-
done coautore, è un suo collaboratore, coinvolto nella fondazione della comunità
di Filippi (At 16,1-15). Da parte sua, l’Apostolo si indirizza a tutti i credenti in
Cristo di Filippi, i quali sono qualificati, secondo una modalità tipicamente pao-
lina, come «santi», in quanto, essendo uniti a Cristo e da lui rinnovati mediante
la fede e il battesimo, appartengono ormai alla sfera di azione di Dio (cfr. 1Cor
6,11). Soltanto dopo l’autore menziona i responsabili della comunità, quasi a
ricordare a quest’ultimi che la loro funzione non li mette al di sopra degli altri,
ma al loro servizio.
Il saluto «grazia e pace», pur derivando probabilmente dalla tradizione liturgica
cristiana, attesta anche la duplice cultura, ebraica e greca, di Paolo. La derivazione
divina del saluto richiama la vera fonte e la portata escatologica di questi beni,
il possesso dei quali può essere stabilmente conseguito solo nel legame con quel
Dio che nel suo Figlio dona a tutti la salvezza definitiva. Quindi con «grazia e
pace» si mostra sin dall’inizio l’essenza del Vangelo, in quanto buona novella
per ogni uomo.
FILIPPESI 1,3 30
πάσῃ δεήσει μου ὑπὲρ πάντων ὑμῶν, μετὰ χαρᾶς τὴν δέησιν
ποιούμενος, 5 ἐπὶ τῇ κοινωνίᾳ ὑμῶν εἰς τὸ εὐαγγέλιον ἀπὸ
τῆς πρώτης ἡμέρας ἄχρι τοῦ νῦν, 6 πεποιθὼς αὐτὸ τοῦτο, ὅτι
ὁ ἐναρξάμενος ἐν ὑμῖν ἔργον ἀγαθὸν ἐπιτελέσει ἄχρι ἡμέρας
Χριστοῦ Ἰησοῦ· 7 Καθώς ἐστιν δίκαιον ἐμοὶ τοῦτο φρονεῖν ὑπὲρ
πάντων ὑμῶν διὰ τὸ ἔχειν με ἐν τῇ καρδίᾳ ὑμᾶς, ἔν τε τοῖς
1,3 Ringrazio (euvcaristw/) – Questo verbo memoria di voi») nel suo insieme vuole in-
e il corrispondente sostantivo euvcaristi,a dicare il pieno ricordo, senza dimenticanza,
(«ringraziamento») sono tipici delle lettere che Paolo ha dei destinatari.
paoline rispetto al resto del NT. In parti- 1,4 Supplica (deh,sei) – Nelle lettere paoline
colare il verbo è utilizzato, specialmente deh,sij indica di solito la preghiera di doman-
ma non esclusivamente, all’inizio della da o di intercessione, ma visto che tale tipo
comunicazione epistolare tra l’Apostolo e di preghiera è presente nei vv. 9-11, è meglio
i suoi. dare al vocabolo in questione un senso gene-
Ogni volta che mi ricordo di voi (evpi. pa,sh| th/| rico di «supplica».
mnei,a| u`mw/n) – Il genitivo u`mw/n («voi») ha si- 1,5 A motivo della vostra partecipazione
gnificato oggettivo, cioè costituisce l’ogget- al Vangelo (evpi. th/| koinwni,a| u`mw/n eivj to.
to del sostantivo mnei,a| («memoria»), al quale euvagge,lion) – Il termine koinwni,a, già utiliz-
si riferisce. L’espressione (che alla lettera si zato da Aristotele per designare una comuni-
potrebbe tradurre: «ogni volta che faccio tà politica, designa diversi tipi di relazione
3
Ringrazio il mio Dio, ogni volta che mi ricordo di voi –
4
pregando sempre con gioia in ogni mia supplica per tutti
voi – 5a motivo della vostra partecipazione al Vangelo dal
primo giorno fino ad ora, 6essendo convinto che Colui che ha
cominciato in voi quest’opera buona la perfezionerà sino al
giorno di Cristo Gesù. 7Del resto è giusto che io pensi così di
tutti voi, perché mi avete nel cuore, dal momento che, tanto
Nelle mie catene – In base alle modalità di alla lettura significa «viscere» e in senso
carcerazione del tempo, si può pensare, che metaforico esprime un profondo sentimento
l’Apostolo sia incatenato a un soldato con d’amore e di compassione. Il sostantivo e il
la possibilità di muoversi, oppure che sia relativo verbo splagcni,zomai sono impie-
costretto a rimanere nella sua cella senza gati nella letteratura intertestamentaria e nel
potersi spostare. NT per designare la misericordia di Dio e di
1,8 Dio... mi è testimone (ma,rtuj... mou o` qeo,j) Gesù (p. es., Testamento di Zabulon 8,2; Mt
– È una formula di giuramento, utilizzata 9,36; Lc 15,20). Nel resto della letteratura
anche altrove da Paolo (cfr. Rm 1,9; 2Cor paolina (2Cor 6,12; 7,15; Fil 2,1; Col 3,12;
1,23; 1Ts 2,5). Fm 7.12.20) il vocabolo appare in contesti
Abbia nostalgia (evpipoqw/) – Lo stesso verbo in cui si esprime l’amore che i credenti in
greco è utilizzato anche in 2,26 e designa Cristo devono vivere tra loro.
l’aspirazione profonda a rivedere chi si ama, 1,9 Carità (avga,ph) – Termine abbastanza
dal quale si è separati a causa della distanza raro nella letteratura greca, è utilizzato dal
(Rm 1,11; 1Ts 3,6; 2Tm 1,4). NT per esprimere l’amore gratuito e di do-
Con affetto viscerale (spla,gcnoij) – Il ter- nazione, tipicamente cristiano, proveniente
mine spla,gcnon (di solito usato al plurale) da Dio stesso e che il credente è chiamato a
9
E per questo prego che la vostra carità abbondi sempre
più in consapevolezza e in ogni discernimento, 10per
distinguere le cose migliori, perché siate puri
1,11 Poiché siete stati ricolmati – Il parti- testimoniata una varietà di lezioni: il codice
cipio perfetto peplhrwme,noi è passivo, pur Claromontano (D) legge «e lode di Cristo»
reggendo l’accusativo karpo,n (plhro,w con (kai. e;painon Cristou/)/ ; i codici di Augia (F)
l’accusativo è una costruzione frequente in e di Börner (G) riportano «e lode di me» (kai.
un contesto finanziario), perché si tratta di un e;painon moi); il secondo papiro di Chester
passivo teologico, usato per evocare l’azione Beatty (î46) ha «di Dio e lode di me» (qeou/ kai.
di Dio. e;painon moi). La lezione scelta è ben suppor-
Il frutto della giustizia (karpo.n dikaiosu,nhj) tata da importanti manoscritti, rappresentativi
– Espressione biblica che indica sia l’impe- di diversi tipi testuali e si fa preferire anche
gno dell’uomo per una vita giusta e saggia, perché può essere ragionevolmente posta
sia la corrispondente ricompensa da parte di all’inizio dello sviluppo successivo che ha
Dio (p. es., Pr 13,2 [LXX]; Am 6,12 [LXX]; dato origine alle diverse varianti. Dal punto di
Gc 3,18). vista interpretativo, le ultime due varianti sono
A gloria e lode di Dio (eivj do,xan kai. e;painon di un certo interesse perché, menzionando una
qeou/) – Dossologia di ispirazione anticotesta- lode di Paolo, considerano l’agire giusto dei
mentaria (cfr., p. es., 2Sam 22,50; 1Cr 16,27; Filippesi come prova visibile del buon lavoro
Sal 35,28). Per la seconda parte della frase è dell’Apostolo e quindi come suo motivo di glo-
dono della sua giustizia e renderli giusti mediante la fede in Cristo. Ecco perché, alla
fine, le loro opere buone andranno proprio «a gloria e lode di Dio». Si deve notare
che questo ultimo versetto allude molto brevemente alla questione della giustizia che
sarà affrontata in 3,6.9 e anticipa il riferimento al dono – legato allo stesso termine
karpós («frutto», «profitto») – ricevuto da Paolo per mano di Epafrodito e per il
quale Dio stesso ricompenserà i cristiani di Filippi (4,17-20).
12
Ora, fratelli, voglio che sappiate che le mie vicende hanno
contribuito piuttosto al progresso del vangelo, 13cosicché in
tutto il pretorio e ovunque è manifesto che io sono in catene
ria nel giorno del giudizio. Tale prospettiva è Le mie vicende (ta. katV evme,) – Alla lettera: «le
presente anche in 2,16. cose che mi riguardano», cfr. 1,27; 2,19-20.
1 ,3-11 Testi affini: Rm 1,8-17; 1Cor 1,4- Progresso (prokoph,n) – Concetto usato dagli
7; 1Ts 1,2-8 stoici per segnalare un personale avanzamento
1,12 Voglio che sappiate (Ginw,skein... u`ma/j nel cammino di acquisizione delle virtù. In ge-
bou,lomai) – Tipica formula di apertura pre- nerale indica sviluppo e prosperità nell’ambito
sente in diverse lettere di epoca ellenistica fisico, economico e sociale; cfr. anche il v. 25.
conservate in Egitto su papiri, ma anche nel 1,13 Pretorio (praitwri,w|) – All’inizio indi-
corpus paulinum (p. es., Rm 1,13; Gal 1,11; cava la tenda del comandante di un accampa-
Col 2,1). mento militare. Poi a Roma passa a designa-
Fratelli (avdelfoi,) – Termine inclusivo, volto re la sede della guardia personale dell’im-
a sottolineare il legame profondo tra i cri- peratore. Fuori della capitale dell’impero,
stiani. Esso mostra la dimensione familiare la parola è invece utilizzata per il palazzo
della Chiesa, nella quale tutti sono alla pari del governatore romano. Secondo quanto
in quanto hanno ricevuto la rigenerazione affermato nell’Introduzione (p. 20), in Fi-
battesimale in Cristo e sono divenuti figli lippesi diamo la preferenza a questa ultima
di Dio. accezione di pretorio.
Il brano non ha precisi paralleli con gli altri dell’epistolario paolino, ma pre-
senta un qualche legame con il testo di Col 1,24–2,5. Esso può essere diviso in
due parti: notizie sulla situazione presente di Paolo (vv. 12-18b); ipotesi e rifles-
sioni sulla situazione futura di Paolo (vv. 18c-26). Nella prima parte prevale il
campo semantico relativo all’annuncio del Vangelo, nella seconda quello relativo
all’opposizione vita/morte.
E ovunque (kai. toi/j loipoi/j pa/sin) – re» (to.n lo,gon tou/ kuri,ou lalei/n). Secondo
L’espressione può avere un riferimento alle la regola di critica testuale per la quale la
persone o ai luoghi. Visto l’antecedente del versione breve è quella più probabile, cre-
«pretorio», è meglio tradurre in base alla diamo che to.n lo,gon lalei/n sia il testo ori-
seconda soluzione e vedere nel testo l’uso ginale, il quale è stato espanso in due diversi
della metonimia, con l’indicazione del luogo modi dagli scribi che intendevano chiarire
invece della gente che vi si trova. l’espressione. A sostegno dell’ipotesi di un
1,14 Divenuti fiduciosi nel Signore (evn kuri,w| intervento successivo nel testo con l’intento
pepoiqo,taj) – Il sintagma richiama il testo di spiegarlo, è da ricordare anche il fatto che
di Fil 2,24, dove troviamo la formulazione il sintagma to.n lo,gon lalei/n nel suo insie-
«sono convinto nel Signore» (pe,poiqa de. evn me non si ritrova nella letteratura paolina.
kuri,w|). Tuttavia esso è ben diffuso in Atti (p. es.,
Annunciare... la Parola (to.n lo,gon lalei/n) 4,29; 8,25; 14,25) a indicare l’annuncio del
– La forma del testo può essere messa in Vangelo. D’altra parte, l’uso assoluto di o`
discussione. Infatti, il codice Sinaitico ()א, lo,goj in riferimento al messaggio cristiano è
il Vaticano (B) e l’Alessandrino (A), insieme testimoniato nelle protopaoline (Gal 6,6; 1Ts
ad altri manoscritti, riportano «annunciare la 1,6). In conclusione, l’espressione di Fil 1,14
parola di Dio» (to.n lo,gon tou/ qeou/ lalei/n) e, è sinonimica di quella di 1Ts 2,2: «annun-
a loro volta, i codici di Augia (F) e di Börner ciare il Vangelo» (lalh/sai to. euvagge,lion).
(G) leggono «annunciare la parola del Signo- 1,15 Invidia e rivalità (fqo,non kai. e;rin) –
per Cristo 14e la maggior parte dei fratelli, divenuti fiduciosi nel
Signore a causa delle mie catene, osano annunciare ancor più la
Parola, senza alcun timore. 15Alcuni, certo, annunciano Cristo per
invidia e rivalità, ma altri lo fanno di buon animo. 16Questi ultimi
agiscono per amore, sapendo che io sono qui per la difesa del
Vangelo; 17gli altri, invece, proclamano Cristo per spirito di rivalità,
In base al contesto successivo, è Paolo co- 1,16 Io sono qui (kei/mai) – Il verbo greco
lui che è fatto oggetto di questi sentimenti proviene dal linguaggio militare nel senso
malevoli. di «essere designato, stabilito». Nel NT as-
Di buon animo (diV euvdoki,an) – Nel NT il sume oltre al significato di «giacere, stare»
termine euvdoki,a denota il favore e la volon- (p. es., Mt 3,10; Gv 20,5; Ap 4,2), quello
tà divine (p. es., Mt 11,26; Lc 2,14; Ef 1,5) di «essere destinato, costituito», a motivo di
oppure la benevolenza umana (Rm 10,1; 2Ts una designazione divina (Lc 2,34; 1Ts 3,3).
1,11). La seconda accezione, in riferimento Questa seconda accezione si confà al testo
al ben volere nei confronti dell’Apostolo, è di Fil 1,16, evocando la volontà di Dio dietro
più adatta al nostro testo e appare coerente la carcerazione di Paolo.
con quanto si dice al v. 16, dove l’«amore» 1,17 Per spirito di rivalità (evx evriqei,aj) –
è verso Paolo. Il termine evriqei,a, che nel contesto assume
Annunciano Cristo (to.n Cristo.n khru,ssousin) significato simile a e;rij («rivalità») pur non
– Il sintagma è tipicamente paolino (cfr. 1Cor derivando da esso, negli scritti paolini si
1,23; 15,12; 2Cor 4,5), ma non esclusivamente riferisce a un modo di agire interessato ed
(At 8,5). In particolare il verbo khru,ssw («an- egoistico (Rm 2,8; 2Cor 12,20; Gal 5,20); in
nunciare»), utilizzato per i proclami ufficiali Fil 2,3 è direttamente contrapposto, insieme
dell’araldo nell’ambito cittadino, indica un con la vanagloria, all’umiltà.
annuncio pubblico e manifesto cosicché tutti, Proclamano Cristo (to.n Cristo.n katagge,l-
senza esclusione, ne conoscano il messaggio. lousin) – Sintagma che nel NT si ritrova so-
lo qui e nel versetto seguente; è sinonimo In Fil 1,17 si tratta di un soffrire nell’ambito
di to.n Cristo.n khru,ssousin («annunciano interiore, mentre in 4,14 ci si riferisce in senso
Cristo»). In particolare il verbo katagge,llw ampio alle pene derivanti dalla prigionia.
(«proclamare») evoca una proclamazione 1,19 Questo (tou/to) – Si riferisce a ta. katV
solenne, quasi sacrale. evme, («le mie vicende») del v. 12 e quindi alla
Dolore (qli/yin) – qli/yij nel NT riveste diver- situazione presente di Paolo.
si significati: la tribolazione in vista del com- Questo sfocerà nella mia salvezza (tou/to, moi
pimento escatologico (p. es., Mt 24,29; Mc avpobh,setai eivj swthri,an) – Ripresa letterale
13,19; At 14,22), la persecuzione e l’impri- di una parte di Gb 13,16 [LXX].
gionamento per la fede (At 11,19; 1Ts 1,6; Ap Salvezza (swthri,a) – Per alcuni si tratta del-
2,10), dolore di ordine fisico (Gv 16,21; 2Cor la liberazione dalla prigione, per altri della
1,8), sofferenza interiore (2Cor 2,4; Gc 1,27). salvezza finale. Il termine è sempre usato da
Paolo con una connotazione escatologica (p. come aiuto fornito a Paolo per mezzo dello
es., Rm 10,1; 2Cor 7,10;1Ts 5,8-9) e così ap- Spirito, a motivo del contesto e della pro-
pare anche nelle altre due occorrenze della messa di Gesù riguardo all’assistenza dello
nostra lettera (1,28; 2,12). Inoltre nel contesto Spirito per i credenti, chiamati a rendere te-
di Gb 13,16 swthri,a ha certamente questa stimonianza di fronte ai loro accusatori (Mt
sfumatura. Infine nei versetti seguenti l’Apo- 10,20; Mc 13,11; Lc 12,12).
stolo non esclude una prossima morte fisica, 1,20 Fervida attesa – Il vocabolo avpokaradoki,a
svuotando di senso il rimando a una liberazio- è raro ed è utilizzato nel NT soltanto in Rm
ne dal carcere. In conclusione è da ritenere il 8,19. Esprime l’intensa attesa di un futuro
riferimento alla salvezza escatologica. migliore, segnata però dalle difficili circo-
Assistenza dello Spirito (evpicorhgi,aj tou/ stanze presenti che provocano ansia e sof-
pneu,matoj) – Il genitivo ha valore soggettivo, ferenza.
zialmente la scelta del testo CEI). In base designare una condizione di peccato (Rm
invece a un’altra ipotesi, il testo recita: «Ma 7,5; 8,8-9), ma anche il corpo nel suo aspet-
se devo vivere nella carne [protasi], allora to mortale e debole (p. es., Rm 2,28; 2Cor
questo comporta per me un lavoro fruttuo- 10,3; Gal 4,14). Nel nostro testo è chiara-
so [apodosi]. E che cosa sceglierò? Non lo mente presente la seconda prospettiva, cosic-
so». Nella prima soluzione l’impiego di tou/ ché l’intera costruzione «vivere nella carne»
to («questo») sarebbe inutile e kai, («e») non indica l’esistenza mortale, in ripresa di «sia
avrebbe una funzione chiara (tanto che spes- che io viva» del v. 20.
so non viene tradotto). Invece nella seconda Un lavoro fruttuoso – L’espressione karpo.j
ipotesi i due succitati elementi hanno il loro e;rgou (alla lettera: «frutto del lavoro») è di
ruolo appropriato, in particolare kai, è da in- derivazione anticotestamentaria (cfr., p. es.,
terpretare come introduzione a una domanda Pr 19,22; Is 3,10; Ger 17,10), utilizzata per
improvvisa che esprime perplessità (cfr. Mc descrivere l’impegno missionario dell’Apo-
10,26; Gv 9,36; 2Cor 2,2). stolo, visto nella prospettiva di un futuro
Nella carne (evn sarki,) – Il sintagma può sviluppo.
So (gnwri,zw) – Nel NT il verbo significa gio (p. es., Rm 1,24; Gal 5,16; Col 3,5). Fa
«far conoscere, manifestare» (p. es., Lc 2,15; eccezione il testo di 1Ts 2,17, dove il termine
Gv 15,15; 1Cor 15,1); tuttavia il senso scelto descrive la brama dell’Apostolo di rivedere
è più conforme al nostro contesto, anche se è al più presto la sua comunità. Secondo questa
attestato solo nel greco extrabiblico. accezione positiva, nel nostro testo evpiqumi,a
1,23 Sono stretto (sune,comai) – La forma esprime una profonda aspirazione di Paolo.
passiva del verbo sune,cw, termine che si Partire (avnalu/sai) – Il verbo avnalu,w richiama
legge pure in 2Cor 5,14, esprime l’idea di diverse situazioni: togliere l’ancora o le go-
dipendenza da pressioni; in questo caso mene perché la nave salpi dal porto, arrotolare
Paolo si trova sottomesso a due tendenze una tenda per spostare altrove la propria di-
contrapposte. mora, sciogliersi dai vincoli che impediscono
Desiderio (evpiqumi,an) – Il vocabolo evpiqumi,a l’espressione della propria libertà. In coerenza
è utilizzato nelle lettere paoline secondo con questo ultimo punto di vista, gli autori
un’accezione negativa, significando un’at- greci utilizzano il verbo come un eufemi-
trazione per qualcosa di proibito e di malva- smo per indicare la morte, con la migrazione
dell’anima. Così avviene nel nostro testo. Efrem [C]) lo omettono; in ogni caso il sen-
Essere con Cristo (su.n Cristw/| ei=nai) – Solo so della frase non subisce un cambiamento
qui nel corpus paulinum. sostanziale.
Îga,rÐ – L’edizione critica attesta un’incer- Più necessario (avnagkaio,teron) – Lo stesso
tezza riguardo all’inclusione della congiun- aggettivo avnagkai/on, qui al comparativo,
zione perché alcuni importanti manoscritti, è utilizzato al grado positivo in 2,25, per
come il codice Sinaitico ( )אe una correzio- esprimere l’urgenza di rimandare Epafrodi-
ne nel codice Claromontano (D) lo omet- to a motivo dei Filippesi. Altro interessante
tono; in ogni caso il senso della frase non parallelo è 1Cor 9,16, dove Paolo presenta
subisce un cambiamento sostanziale. Nella il suo ministero di annuncio come un dovere
nostra traduzione lo abbiamo omesso. (avna,gkh) che gli è imposto da Dio.
1,24 Nella ÎevnÐ – L’edizione critica attesta Per voi (diV u`ma/j) – Riferimento prima di
un’incertezza riguardo all’inclusione del- tutto ai Filippesi e poi anche alle altre Chie-
la preposizione, perché alcuni importanti se. Anche il «voi» del versetto seguente ha
codici (Sinaitico []א, Alessandrino [A], di la stessa estensione.
ὑμῖν εἰς τὴν ὑμῶν προκοπὴν καὶ χαρὰν τῆς πίστεως, 26 ἵνα τὸ
καύχημα ὑμῶν περισσεύῃ ἐν Χριστῷ Ἰησοῦ ἐν ἐμοὶ διὰ τῆς ἐμῆς
παρουσίας πάλιν πρὸς ὑμᾶς.
εἴτε ἐλθὼν καὶ ἰδὼν ὑμᾶς εἴτε ἀπὼν ἀκούω τὰ περὶ ὑμῶν, ὅτι
1,25 Il vostro progresso e la gioia della vo- 1,26 Vanto (kau,chma) – Il vocabolo, che sarà
stra fede (th.n u`mw/n prokoph.n kai. cara.n utilizzato anche in 2,16 (mentre in 3,3 ab-
th/j pi,stewj) – I primi due sostantivi non for- biamo il verbo corrispondente kauca,omai),
mano un’endiadi, ma esprimono due diverse indica l’atto di vantarsi, il risultato di questo
finalità. La prima è il «progresso» dei Filip- atto (ciò che è detto) o le sue ragioni. Nel
pesi nella fede, inclusione con il «progresso» nostro testo designa l’esito del vanto at-
del Vangelo del v. 12, e verrà approfondito traverso quanto viene affermato (cfr. 2Cor
nei vv. 27-30. Il secondo scopo è la «gioia» 5,12; 9,13). Questo concetto paolino ha le
che ha come oggetto la «fede» (genitivo og- sue radici nella versione greca della Settanta,
gettivo): la gioia dei Filippesi per il ritorno secondo la quale nel vanto l’uomo manifesta
di Paolo deve avere il suo referente ultimo la fiducia e il fondamento su cui costruisce la
nel contenuto della fede e cioè nel vangelo propria esistenza (cfr. 1Re 2,10 [TM 1Sam
di Cristo da lui annunciato. 2,10]; Sal 48,7 [TM 49,7]; Ger 9,23-24); se
25
Convinto di questo, so che resterò e sarò vicino a tutti voi per
il vostro progresso e la gioia della vostra fede, 26perché il vostro
vanto abbondi in rapporto a Cristo Gesù, a motivo del mio
ritorno tra voi.
tale sicurezza è posta in Dio, il vantarsi del 10,10). In base a questa ultima accezione il
credente si esprime ad alta voce nella lode vocabolo è usato in Fil 1,26; 2,12.
gioiosa per i doni da lui ricevuti (cfr. Sal 1,12-26 Testi affini: Col 1,24–2,5
5,12; 31,11 [TM 32,11]; 149,5). 1,27 Vangelo di Cristo (euvaggeli,ou tou/ Cri-
Ritorno – Il termine parousi,a ha il signi- stou/) – In ragione dei paralleli tra «Vange-
ficato originario di «presenza», ma nel NT lo» e «Cristo» presenti nel brano precedente
assume anche il senso di «venuta, ritorno», (in particolare nei vv. 15-18), è opportuno
come inizio dell’essere presente. Si tratta, vedervi un genitivo epesegetico, cioè che
per lo più, della venuta di Cristo alla fine esplicita con una determinazione particolare
dei tempi (p. es., Mt 24,3; 1Cor 15,23; Gc il sostantivo al quale si riferisce: «il Vangelo
5,7-8). Ma ci sono riferimenti anche all’ar- che è Cristo».
rivo e alla presenza di altri: l’Anticristo (2Ts Comportatevi da cittadini (politeu,esqe) – Il
2,9) o una persona (1Cor 7,6-7; 16,17; 2Cor verbo politeu,omai ha come suo originario
significato quello di «condurre una vita po- posizione sul campo che i soldati devono
litica», in quanto evoca il libero cittadino mantenere di fronte al nemico. Nel NT ha
con i propri diritti e doveri nei confronti il significato base di «stare (in piedi)» (Mc
della città. Nel greco ellenistico il verbo as- 3,31; 11,25; Rm 14,4) e quello metaforico
sume poi il significato generico di «vivere, di «stare saldi» riguardo alla scelta di vita
comportarsi». Paolo sceglie il verbo in ra- cristiana (p. es., 1Cor 16,13; Gal 5,1; 2Ts
gione della condizione dei Filippesi, i quali 2,15). Nel nostro versetto e in 4,1 assume
andavano fieri della loro cittadinanza roma- questa seconda accezione.
na. Nel nostro contesto, dove l’imperativo Un solo Spirito... unanimi (e`ni. pneu,mati( mia/|
esortativo politeu,esqe è successivamente yuch/)| – La prima espressione si riferisce allo
specificato, Paolo domanda ai Filippesi di Spirito Santo, la seconda all’unità tra i cre-
tenere un comportamento comune e col- denti (cfr. At 4,32).
laborativo a vantaggio del Vangelo, come Lottando (sunaqlou/ntej) – Il verbo sunaqle,w,
quello dei cittadini che insieme vivono una presente nel NT solo qui e in 4,3, indica il
mutua e corporativa responsabilità per la combattere uniti. Nella lettera è riferito
città. all’annuncio del Vangelo.
State saldi (sth,kete) – Il verbo sth,kw, de- Fede del Vangelo (pi,stei tou/ euvaggeli,ou)
rivato dal perfetto di i[sthmi, evoca la salda – Si tratta probabilmente di un genitivo og-
Partendo dal v. 27, Paolo esorta in senso generale i Filippesi a comportarsi, tutti
insieme, in maniera conforme al Vangelo: è quello che ora è essenziale fare, la sola
cosa che importa («soltanto»), nell’ambito della loro situazione. Ciò richiede, a
prescindere dalla presenza o assenza dell’Apostolo tra loro, una forte unità interna
della comunità, in dipendenza dall’azione dello Spirito, ma anche una difesa e
una diffusione collettive del Vangelo in cui si crede, nonostante il contesto ostile
nel quale vivono i cristiani di Filippi.
Al v. 28 è aggiunto che nella loro lotta i destinatari della lettera non devono
temere gli avversari. Dall’insieme del brano si intuisce di essere di fronte a una
persecuzione dei cristiani che provoca sofferenza, la stessa sofferenza subita da
Paolo durante il soggiorno a Filippi e che l’Apostolo sta ancora sperimentando
a causa della sua detenzione. In ragione di questi dati è possibile pensare ai con-
cittadini pagani, i quali, appoggiati forse dall’autorità imperiale, sottopongono a
vessazioni più o meno pesanti i credenti in Cristo di Filippi. L’Apostolo arriva a
formulare una lettura profetica della situazione, affermando che, indipendente-
47 FILIPPESI 1,30
gettivo: «vangelo» costituisce l’oggetto del ferirsi alla dimensione fisica e terrena (cfr.
termine «fede» al quale si riferisce. anche 1,19).
1,28 Spaventati (pturo, m enoi) – Il verbo Questo (tou/to) – Rinvia, come h[tij, sia alla
ptu,rw è un hapax biblico (ricorre solo qui). lotta dei credenti per il Vangelo e alla loro
Nella letteratura greca è utilizzato per de- assenza di timore, sia alla perdizione e alla
scrivere la reazione dei cavalli che, essendo salvezza, citate immediatamente prima.
terrorizzati, diventano incontrollabili. 1,29 È stata... concessa la grazia (evcari,sqh)
Ciò (h[tij) – Questo pronome relativo si rife- – Si tratta di un passivo del verbo cari,zomai,
risce probabilmente alla lotta dei credenti per presente anche in 2,9, che evoca la «grazia»
il Vangelo e alla loro assenza di timore. (ca,rij). Nelle lettere paoline tale verbo è spes-
Perdizione – Il vocabolo avpw,leia, che si- so impiegato in connessione con il dono divi-
gnifica «perdizione, distruzione», utilizzato no della salvezza (p. es., Rm 8,23; 1Cor 2,12;
anche in 3,19, ha sempre nelle lettere paoli- Gal 3,18). In questa prospettiva il passivo di
ne un orientamento escatologico (Rm 9,22; 1,29 acquista il valore di un passivo teologico.
2Ts 2,3; 1Tm 6,9). Tale interpretazione ben 1,30 Lo stesso combattimento (to.n auvto.n
si adatta al contesto di 1,28 e a quello di avgw/na) – Il termine avgw,n in origine designa-
3,19, nei quali si parla di «salvezza» e di va il luogo dove si svolgevano le manifesta-
«salvatore», elementi che non possono ri- zioni atletiche, ma successivamente passa a
mente da ciò che gli altri pensano, la costanza e la non intimidazione dei credenti
filippesi nei confronti degli avversari sono un indizio chiaro dell’esito del conflitto:
la rovina eterna dei persecutori e la salvezza definitiva dei cristiani. Ma tenere
questa ferma condotta è possibile solo per dono di Dio, così come da lui dipende
anche il risultato della lotta.
Infatti al v. 29 Paolo precisa che è una «grazia», non soltanto il credere in Cri-
sto ma anche il soffrire per amore suo. L’assunto non costituisce un’esaltazione
del dolore, bensì una sottolineatura del valore della testimonianza coraggiosa
del Cristo al quale si è legati e si crede: un attaccamento e un amore più forti di
tutto, anche della morte. Questo privilegio non è solo appannaggio degli apostoli,
come Paolo più volte ricorda nelle sue lettere (p. es., 2Cor 1,5; Gal 6,17; Col
1,24), ma è proprio di ogni credente in Cristo (2Cor 1,6-7; 1Ts 2,14; 2Ts 1,5).
Dietro tale affermazione dell’Apostolo si può intravedere anche una risposta alle
difficoltà dei Filippesi, i quali, provenendo dalla religiosità pagana, dovevano
trovare l’idea di patire per Dio come radicalmente nuova.
FILIPPESI 2,1 48
L’ESEMPIO DI CRISTO.
ESORTAZIONI BASATE SULL’ELOGIO DI CRISTO (2,1-18)
Dopo l’invito generale di 1,27-30, con il c. 2 inizia una prima serie di esorta-
zioni legate alla vita comunitaria dei Filippesi. Anche qui, come avviene sovente
nel suo epistolario, la parenesi di Paolo trova le sue vere ragioni nella motivazione
cristologica: solo guardando a Cristo e alla relazione con lui, il credente scopre le
modalità del suo giusto agire.
Il testo di 2,1-18 si divide chiaramente in tre parti: A. esortazione all’unità e
49 FILIPPESI 2,3
2Cor 13,13: «la comunione dello Spirito hanno un orientamento che può essere sia
Santo». Koinwni,a ha qui il senso passivo di umano sia divino.
«comunione» come dono ricevuto. Il termi- 2,2 Andare d’accordo (to. auvto. fronh/te) –
ne pneu,ma può essere riferito sia allo Spirito Più alla lettera: «possedere uno stesso mo-
Santo, visto il sintagma di 2Cor 13,13, sia allo do di sentire». Il sintagma greco, riproposto
spirito umano, dato che, a differenza di quanto sostanzialmente identico in 4,2, viene chia-
avviene in Fil 1,19; 3,3, pneu,ma non ha nessu- rito e specificato attraverso le quattro frasi
na qualifica. Anche in conseguenza di questa participiali che seguono immediatamente
duplicità di lettura, il genitivo pneu,matoj può nei vv. 2-4, caratterizzate dalla ripetizione
essere oggettivo («comunione nello Spirito») del verbo frone,w e dall’uso del sostantivo
oppure qualitativo («comunione spirituale»). tapeinofrosu,nh («umiltà») a esso legato.
Pur concedendo, in base all’uso paolino, una Unanimi (su,myucoi) – L’aggettivo su,myucoj
preferenza alla prima soluzione (cfr. 1Cor è un hapax biblico, ma richiama l’espressio-
12,13; Gal 3,2) con la relativa designazione ne mia/| yuch/| («unanimi») di 1,27.
divina, non può essere esclusa la seconda, Abbiate a mente l’unica cosa (to. e]n fronou/ntej)
legata alla dimensione ecclesiale. – L’unico intento da perseguire o l’unica re-
Tenero affetto (spla,gcna kai. oivktirmoi,) – gola a cui far riferimento è quella di avere la
I due termini greci formano un’endiadi e stessa mentalità di Cristo (v. 5).
all’umiltà (2,1-5); B. l’elogio di Cristo con valore esemplare (2,6-11); A’. ripresa
dell’esortazione (2,12-18). Così le esortazioni sono motivate a partire dal percorso
di Cristo, ma costituiscono anche l’angolatura, la prospettiva con la quale leggerlo.
Questo secondo orientamento è ben evidenziato nella richiesta che il «sentire» di
Cristo divenga anche il «sentire» dei cristiani (v. 5).
2,3 Vanagloria (kenodoxi,an) – Il termine tipico della lettera (2,6; 2,25; 3,7.8) e indica
kenodoxi,a è un hapax neotestamentario ed un giudizio e una valutazione fondati che
è presente nella Scrittura soltanto in Sap portano a una corrispondente decisione. An-
14,14. che l’uso di questo verbo lega l’esortazione
Umiltà – Il sostantivo tapeinofrosu,nh, non di 2,1-5 a 2,6-11.
utilizzato nell’AT (dove si trova però l’ag- 2,4 Cercate (skopou/ntej) – Il verbo skope,w,
gettivo corrispondente), è presente nel NT che sarà usato anche in 3,17, denota qui
nel contesto del rapporto con Dio (At 20,19; attenzione e cura, risultando sinonimo di
1Pt 5,5) o, come nel nostro versetto, nell’am- zhte,w («cercare»). Infatti quest’ultimo si ri-
bito delle relazioni comunitarie tra cristiani trova in sintagmi molto simili a quello di Fil
(Ef 4,2; Col 2,18.23; 3,12). Questo termine 2,4; cfr. 1Cor 10,24; 13,5; Fil 2,21.
prepara il verbo corrispondente evtapei,nwsen Anche (kai, ) – L’edizione critica attesta
(«umiliò») di 2,8. un’incertezza riguardo all’inclusione del
Considerate (h`gou,menoi) – Il verbo h`ge,omai è termine, perché alcuni importanti codici
animati dallo Spirito che hanno ricevuto. Infine, come emerge subito dalla
formulazione generale del v. 1, Paolo, mentre si rivolge ai Filippesi, ha di mira
anche tutte le altre comunità, alle quali ricorda valori evangelici essenziali e
sempre validi.
L’esortazione vera e propria comincia al v. 2 con la richiesta, diretta ai Filippesi,
di rendere piena la gioia di Paolo. Anche qui, come in 1,18, la gioia dell’Apostolo
è legata al Vangelo e al suo progresso ma, mentre in precedenza tale progresso de-
rivava dalla presenza di nuovi predicatori, ora dipende dalla crescita spirituale dei
destinatari. Così Paolo chiede ai suoi di avere una stessa fondamentale attitudine
verso gli altri, la quale si può esprimere in maniera multiforme. Si tratta non di
un’omogeneità superficiale che appiattisce le diversità all’interno della comunità
cristiana, ma di una profonda armonia di aspirazioni e di intenti. Questo orien-
tamento si esplicita nell’avere uno stesso spirito di carità nei rapporti reciproci,
nel tener presente una stessa regola di vita, derivante da Cristo, considerando, in
tutta umiltà, l’altro superiore a sé e mirando al suo bene e non al proprio. Nel loro
complesso i vv. 2-4 trovano un adeguato parallelo in Rm 12,16.
Il riferimento all’umiltà dei cristiani, modellata su quella di Cristo (v. 8), dove-
va suonare del tutto nuovo nel contesto greco-romano della città di Filippi. Infatti
per un Greco tale concetto assumeva una connotazione quasi esclusivamente
negativa: una debolezza di atteggiamento o di condizione per la quale si doveva
51 FILIPPESI 2,5
provare solo vergogna. Paolo si riallaccia invece alla concezione biblica secondo
la quale l’umile è colui che affida a Dio la propria vita, senza confidare nelle sue
forze (cfr., p. es., Is 66,2; Sal 34,19; Gdt 9,11). Un altro riferimento può essere
trovato negli scritti di Qumran, dove l’umiltà è ritenuta un elemento portante della
vita comunitaria (p. es., Regola della Comunità [1QS] 2,24). Dunque l’Apostolo
invita i suoi destinatari ad avere rapporti reciproci improntati alla novità di esi-
stenza introdotta e vissuta da Cristo e non in base ai parametri della società nella
quale si trovano.
La frase di transizione del v. 5 si muove ancora nella linea esortativa dei versetti
precedenti, introducendo però, allo stesso tempo, il brano cristologico e il relativo
itinerario di Cristo come il «sentire» (greco phronéō, cfr. v. 2), cioè il modo di
pensare e di agire, al quale i credenti sono chiamati a riferirsi e a conformarsi
nei loro rapporti reciproci. Così, a partire da questo versetto, Cristo è presenta-
to come esempio da imitare. Tale prospettiva interpretativa è confermata, oltre
che dai legami lessicali tra la parenesi dei vv. 1-5 (e dei vv. 12-18) e l’itinerario
cristologico dei vv. 6-11, anche dalla lettura di altri passaggi neotestamentari.
Infatti, se già nei vangeli lo stesso Gesù si proponeva come modello di umiltà e
di servizio (p. es., Mt 11,29; 20,27-28), nelle lettere paoline egli è considerato un
esempio di accoglienza (Rm 15,7), di generosità (2Cor 8,9), di carità (Ef 5,2), di
perdono (Col 3,13).
FILIPPESI 2,6 52
6
ὃς ἐν μορφῇ θεοῦ ὑπάρχων οὐχ ἁρπαγμὸν ἡγήσατο τὸ εἶναι
ἴσα θεῷ, 7 ἀλλὰ ἑαυτὸν ἐκένωσεν μορφὴν δούλου λαβών,
ἐν ὁμοιώματι ἀνθρώπων γενόμενος· καὶ σχήματι εὑρεθεὶς
ὡς ἄνθρωπος 8 ἐταπείνωσεν ἑαυτὸν γενόμενος ὑπήκοος
2,6 Condizione – Il senso del vocabolo morfh, siva. Inoltre, nelle lettere paoline, il verbo
è molto discusso e tre sono i significati pro- u`pa,rcw non è mai usato in riferimento a
posti: «natura», «immagine», «condizione». Dio; dunque, il sintagma «pur essendo nella
All’epoca di Paolo, il termine designa la condizione di Dio» è da riferire allo status
forma visibile di un essere o di una cosa. divino del Cristo incarnato e non a quello del
Riguardo agli uomini, il termine, nel greco Cristo preesistente.
biblico e non – l’unica occorrenza nel NT, Considerò un vantaggio (a`rpagmo.n h`gh,sato)
al di fuori di Fil 2,6-7, è in Mc 16,12 – è ap- – Si tratta di una forma idiomatica greca,
plicato alla dimensione fisica, ma anche alla volta a esprimere l’uso di una situazione o
condizione sociale del soggetto. Nel nostro di una condizione a proprio interesse. In par-
contesto, in ragione del chiaro parallelismo ticolare, il sostantivo a`rpagmo,j vuol indicare
dei vv. 6-7 tra morfh, qeou/ («di Dio») e morfh, una realtà posseduta e da conservare.
dou,lou («di schiavo»), è opportuno interpre- Essere uguale a Dio (to. ei=nai i;sa qew/|)
tare il vocabolo come «condizione». – L’espressione indica il possesso e l’eser-
Essendo (u`pa,rcwn) – Questo participio po- cizio della dignità derivante dalla stessa
trebbe avere valore causale o concessivo. condizione divina. In ragione anche dello
Vista la forte opposizione presente nel v. stretto collegamento con la frase prece-
6, che richiama altri enunciati paradossali dente («non considerò un vantaggio»), si
tipicamente paolini (cfr., p. es., 2Cor 8,9), potrebbe vedere nel testo un riferimento
la sfumatura più adeguata è quella conces- più specifico alla signoria sulla creazione,
6
il quale, pur essendo nella condizione di Dio, non considerò un
vantaggio essere uguale a Dio, 7ma svuotò se stesso, assumendo la
condizione di schiavo; essendo simile agli uomini e riconosciuto
come uomo nell’aspetto, 8umiliò se stesso, divenendo obbediente
di cui Cristo non approfitta egoisticamente, – Nel sintagma il sostantivo o`moi,wma indica
ma che è a lui donata con la sua esaltazione la corrispondenza, soprattutto a livello vi-
(vv. 10-11). sibile, tra l’originale e la copia. Nel nostro
2,7 Svuotò se stesso (e`auto.n evke,nwsen) – caso il termine e l’intera espressione sotto-
Nel greco biblico il verbo keno,w è usato lineano bene la piena conformità tra Cristo
sempre in senso traslato e metaforico; Fil e gli altri uomini: egli non fu per nulla dif-
2,7 è l’unico passo nel quale è costruito con ferente da loro.
un pronome riflessivo. Il pronome e`auto,j, Riconosciuto come uomo nell’aspetto
collocato in posizione enfatica, intende con- (sch,mati eu`reqei.j w`j a;nqrwpoj) – Il so-
tribuire a mettere in risalto l’aspetto perso- stantivo sch/ma indica la forma esteriore e
nale e libero dello svuotamento di Cristo, riconoscibile di qualcosa o di qualcuno. La
che consiste nell’assumere la condizione congiunzione w`j («come») è usata per intro-
dello schiavo. durre la qualità caratteristica di una persona.
Schiavo (dou,lou) – In Fil 1,1 Paolo e Timo- Così l’intera espressione vuole affermare che
teo sono schiavi di Cristo; nel nostro versetto se Cristo fu come gli altri uomini, egli è an-
il primo è al servizio di Dio, così come fanno che stato riconosciuto come tale a livello del
intravedere l’atteggiamento di obbedienza suo comportamento.
del v. 8 (cfr. Rm 5,19; Eb 5,8) e la corrispon- 2,8 Umiliò se stesso (evtapei,nwsen e`auto,n) –
dente reazione divina del v. 9. L’uso del verbo in connessione con il prono-
Simile agli uomini (evn o`moiw,mati avnqrw,pwn) me riflessivo e`auto,j sottolinea anche qui la
e adorazione di fronte al divino (p. es., 1Cr sico, una dichiarazione o una confessione
29,20; Rm 11,4; Ef 3,14). L’uso della si- pubblica e manifesta a tutti.
neddoche – figura retorica che esprime una Signore (ku,rioj) – Il termine greco nella
nozione con una parola che normalmente ne Settanta è usato per tradurre il nome divino
denota un’altra, ma avente con la prima un ebraico Yhwh. La formulazione complessi-
certo rapporto – del ginocchio (qui) e del- va di Fil 2,11 richiama i testi di Rm 10,9 e
la lingua (al v. 11), per indicare la reazione 1Cor 12,3.
del creato, sottolinea il ruolo subordinato di A gloria di Dio Padre (eiv j do, x an qeou/
quest’ultimo che riceve un’identità solo in patro,j) – L’espressione è da considerarsi
relazione a Cristo. logicamente legata con ciò che nel testo
Degli esseri del cielo, della terra e dei luo- immediatamente precede («Gesù Cristo è
ghi sotterranei (evpourani,wn kai. evpigei,wn Signore»). Così, da una parte, il trionfo di
kai. katacqoni,wn) – La triade, composta in Cristo sfocia nella glorificazione di Dio,
greco da tre aggettivi sostantivati, designa non essendoci alcuna competizione tra i
tutto il creato senza eccezione, come in Dn due; dall’altra, Cristo Gesù e Dio mani-
3,51-90 [LXX]. In particolare l’aggettivo festano il loro rapporto di paternità e fi-
katacqo,nioj è un hapax biblico. gliolanza.
2,11 Confessi (evxomologh,shtai) – Il verbo 2,6-11 Testi affini: Col 1,15-20; Ef 1,20-
evxomologe,w indica qui, come nel greco clas- 23; 2,14-18; 1Tm 3,16
2,12 Diletti (avgaphtoi,) – Aggettivo utilizzato perativo. Nel nostro caso non è dunque da
da Paolo (p. es., Rm 12,19; 1Cor 10,14; Fil collegare all’indicativo u`phkou,sate («avete
4,1) per manifestare il suo profondo affetto ubbidito») che precede, ma all’imperativo
nei confronti dei destinatari. katerga,zesqe («lavorate») che segue. Da
Avete... ubbidito (u`phkou,sate) – Il richiamo notare che il termine avpousi,a («assenza») è
all’obbedienza di Cristo (v. 8) conduce a leg- un hapax biblico.
gere anche quella dei Filippesi in rapporto Con timore e tremore (meta. fo, b ou kai.
a Dio, a partire dalla loro accoglienza del tro,mou) – Si tratta di un binomio, di origine
Vangelo (cfr. 1,5). Ora ubbidire significa per anticotestamentaria (p. es., Es 15,16; Dt 2,25;
loro adoperarsi per la propria salvezza. Is 19,16), generalmente usato per descrive-
Non soltanto in mia presenza, ma mol- re il rispettoso timore dell’uomo di fronte
to di più ora in mia assenza (mh. w`j evn alla presenza e all’azione di Dio. Paolo,
th/| parousi,a| mou mo,non avlla. nu/n pollw/| che vi fa ricorso anche in altre occasioni
ma/llon evn th/| avpousi,a| mou) – La frase no- (1Cor 2,3; 2Cor 7,15; Ef 6,5), qui lo impiega
minale è da collegare con quanto segue, a per esprimere l’attitudine dell’umiltà verso
causa della presenza della negazione mh, che Dio, già presentata al v. 8.
è normalmente utilizzata in presenza di modi Vostra salvezza (e`autw/n swthri,an) – Il pro-
diversi dall’indicativo, tra i quali anche l’im- nome riflessivo e`auto,j, utilizzato nel ver-
12
Dunque, miei diletti, come avete sempre ubbidito, non
soltanto in mia presenza, ma molto di più ora in mia assenza,
con timore e tremore lavorate alla vostra salvezza. 13 È Dio,
infatti, che opera in voi il volere e l’operare, per il suo
beneplacito. 14Fate tutto senza mormorare né contestare,
setto, indica la componente personale della Dio (Es 16,7-9.12; Nm 17,20.25; Sir 46,7).
salvezza escatologica e della conseguente Nel resto del NT il vocabolo indica il bor-
responsabilità del credente in ordine a essa. bottare a riguardo di altre persone (Gv 7,12;
2,13 Il volere e l’operare (to. qe,lein kai. to. At 6,1; 1Pt 4,9).
evnergei/n) – Espressione cha abbraccia tutto Contestare (dialogismw/n) – Il sostantivo
l’agire umano, dall’inizio nella decisione dialogismo,j nel greco biblico può avere
interiore alla fine nell’attuazione esteriore. un riferimento a Dio o all’uomo e ricopre
Beneplacito – Il termine euv d oki, a denota un’ampia gamma di significati: pensiero,
qui, a differenza di quanto avviene in 1,15, riflessione, divisamento, colloquio, discus-
la benevola e salvifica volontà di Dio, fine sione, contestazione. Anche nell’uso paoli-
ultimo del suo operare nei credenti. no dialogismo,j è messo in rapporto sia con
2,14 Mormorare (goggusmw/n) – Il termi- Dio (Rm 1,21; 1Cor 3,20), sia con gli altri
ne goggusmo, j , («mormorazione»), usato (Rm 14,1; 1Tm 2,8). In Fil 2,14 l’espressio-
nell’epistolario paolino soltanto in Fil 2,14, ne «senza mormorazioni né contestazioni»
è utilizzato dalla Settanta per descrivere (traduzione letterale) costituisce la modalità
l’atteggiamento ribelle del popolo di Israe- con la quale i credenti di Filippi sono chia-
le, durante la sua marcia nel deserto, verso mati a operare in ogni ambito della loro vita
Mosè e Aronne e, attraverso di loro, verso («fate tutto»).
eterno. In definitiva sono due i punti messi in risalto da Paolo: l’unicità dell’ope-
ratore divino, l’unico che può agire efficacemente nell’intimo del credente, e
la rilevante responsabilità di quest’ultimo nell’accogliere la grazia divina e nel
conseguire la salvezza definitiva.
Come già l’esortazione di 1,27-30, i due versetti sono posti in collegamento
con il motivo della presenza / assenza dell’Apostolo in mezzo ai suoi, aspetto che
sottolinea sia l’urgenza dell’invito dei vv. 12-13, sia la giusta indipendenza della
comunità dal suo fondatore.
2,14-18 Esortazione a non essere ribelli e invito alla gioia
Il v. 14 comincia con una nuova esortazione, tipicamente paolina, che intende co-
prire tutti i settori della vita dei credenti filippesi, a partire da un unico atteggiamento
di apertura e di fiducia. Inoltre, come in 1Cor 10,10-11, Paolo mette in campo il popolo
di Israele nel deserto e le sue mormorazioni come contro-esempio per l’atteggiamento
dei destinatari dell’epistola. In effetti, facendo riferimento alla generazione dell’esodo,
segnata dalla diffidenza nei confronti delle sue guide e di Dio stesso, l’Apostolo lascia
intendere ai Filippesi che, al contrario, la sincera fiducia nel Signore deve caratteriz-
zarli. Paolo non chiede ai cristiani, che sono capaci di un vero discernimento (cfr. 1,9-
10), di rinunciare a ogni senso critico, ma di vivere radicalmente la loro scelta di fede
FILIPPESI 2,15 58
2,15 Irreprensibili e puri (a;memptoi kai. Figli di Dio immacolati (te,kna qeou/ a;mwma)
avke,raioi) – Nella Settanta il primo aggettivo – L’espressione (l’aggettivo indica l’assenza
denota un’irreprensibilità derivante soprat- di difetti negli animali sacrificali, cfr. Es 29,1
tutto dall’agire giusto del soggetto, in accor- [LXX]) sottolinea la dignità dei cristiani e
do alla volontà di Dio (p. es., Gen 17,1; Gb richiama per contrapposizione «figli condan-
1,1; Sap 10,5). Paolo lo impiega in 1Ts 3,13 nabili» (te,kna mwmhta,) di Dt 32,5 [LXX],
con una chiara connotazione escatologica, riguardante gli Israeliti nel deserto, più volte
che ben si adatta anche al nostro contesto ribelli a Dio.
e che può anche essere presente nell’altra Generazione distorta e perversa (genea/j
occorrenza di Fil 3,6. Il secondo aggettivo skolia/j kai. diestramme,nhj) – Quasi una ri-
indica una purezza derivante da semplicità e presa testuale di una parte di Dt 32,5 [LXX],
integrità etica e spirituale (Est 8,12f [LXX]; dove l’intera espressione designava il popolo
Mt 10,16; Rm 16,19). La novità del nostro di Dio, mentre qui è probabilmente appli-
testo è costituita dal fatto che questi due ag- cata, in conformità al tenore di altri passi
gettivi non sono legati tanto a un agire quan- paolini (Rm 1,28-31; 1Cor 6,9-10; Tt 3,3),
to a un atteggiamento di fiducia in Dio, così all’ambiente pagano di Filippi (cfr. 1,28).
come è descritto al v. 14, immediatamente Risplendete come lampade nel mondo
precedente. (fai,nesqe w`j fwsth/rej evn ko,smw|) – Allusio-
15
per essere irreprensibili e puri, figli di Dio immacolati in mezzo
a una generazione distorta e perversa, nella quale risplendete
come lampade nel mondo, 16tenendo alta la parola di vita; questo
è per me un motivo di vanto in vista del giorno di Cristo, perché
non avrò corso invano né faticato invano. 17Ma se anche sono
ne a Dn 12,3, dove si fa riferimento al desti- 1,26 si parlava del vanto dei Filippesi per la
no di vita eterna che spetta a quegli ebrei che nuova venuta di Paolo in mezzo a loro, ora
si mantengono fedeli sino al martirio. Nel invece è posto in rilievo quello dell’Apostolo
nostro testo la prospettiva non è escatolo- a motivo dei suoi in vista della parusia. Que-
gica, ma presente, legata alla testimonianza sto vanto reciproco richiama il testo di 2Cor
che i cristiani sono chiamati a rendere come 1,14 e si radica nella comune confidenza in
portatori di luce in un mondo oscurato dal Cristo, base della vita del credente.
peccato (cfr. Ef 5,8-14). Avrò corso invano né faticato invano (eivj
2,16 Tenendo alta la parola di vita (lo,gon keno.n e;dramon ouvde. eivj keno.n evkopi,asa)
zwh/j evpe,contej) – In greco si tratta di una – Come in 1Cor 9,24-27 e in Gal 2,2 Paolo
frase participiale, esplicativa di quella imme- utilizza l’immagine della corsa per descrive-
diatamente precedente. Il sintagma «la parola re il suo apostolato. Il secondo verbo kopia,w
di vita», usato da Paolo solo qui (cfr. 1Gv esplicita il significato metaforico del primo
1,1), è da leggere secondo un genitivo ogget- ed è usato anche altrove nelle lettere paoli-
tivo e dunque come «la parola che dà la vita». ne per connotare il duro lavoro del ministe-
Questo è per me un motivo di vanto (eivj ro dell’Apostolo (1Cor 4,12; Gal 4,11; Col
kau,chma evmoi,) – Si riferisce a tutto quanto 1,29).
precede, a partire dall’inizio del v. 15. Se in 2,17 Ma se anche (VAlla. eiv kai,) – In questo
19
Ἐλπίζω δὲ ἐν κυρίῳ Ἰησοῦ Τιμόθεον ταχέως πέμψαι ὑμῖν,
ἵνα κἀγὼ εὐψυχῶ γνοὺς τὰ περὶ ὑμῶν. 20 οὐδένα γὰρ ἔχω
modo non si introduce una vera opposizio- probabile, al contrario, per l’altra occorrenza
ne con quanto precede, quanto piuttosto una di 2Tm 4,6 – ma soprattutto l’incarcerazione
progressione nel discorso. e poi il ministero futuro di Paolo.
Sono sparso in libagione (spe,ndomai) – Il Il sacrificio e l’offerta della vostra fede (th/|
verbo spe,ndw, alla forma passiva, è usato al- qusi,a| kai. leitourgi,a| th/j pi,stewj u`mw/n)
trove nel NT solo in 2Tm 4,6. Esso designa – qusi,a («sacrificio»), utilizzato anche in
un’offerta di liquido (vino, olio, acqua, etc.) 4,18, designa in Paolo non tanto l’atto di
accanto o sul sacrificio vero e proprio. Tale immolazione, quanto la vittima stessa (p. es.,
pratica è propria sia del culto pagano sia di Rm 12,1; 1Cor 10,18; Ef 5,2). Il vocabolo
quello giudaico, in particolare per quest’ulti- leitourgi,a (qui tradotto con «offerta») indi-
mo la libagione ha la funzione di completare ca ogni sorta di servizio e nel nostro versetto
l’offerta e di renderla accetta a Dio (cfr. Es può formare un’endiadi con il precedente,
29,40-41). Il presente del verbo porta a rite- così da descrivere nel complesso il servizio
nere, coerentemente alla fiducia di Paolo di sacrificale, da intendere in senso metaforico
restare in vita (cfr. 1,25), che qui non sia in come in altri passi antico e neotestamentari
vista il martirio dell’Apostolo – riferimento (p. es., Sal 50,14.23; Rm 12,1; Eb 13,15-
Due importanti aspetti dei vv. 12-18 richiedono un ulteriore sviluppo nella
riflessione. Il primo riguarda le allusioni all’AT presenti nei nostri versetti e, in
particolare, quelle che rimandano alla generazione dell’esodo. Questi richiami
hanno condotto alcuni autori a ritrovare nel testo un uso tipologico della Scrittura
da parte di Paolo che implica la sostituzione di Israele, ribelle a Dio, con la Chiesa,
nuovo popolo eletto. Tale posizione risulta però affrettata e non condivisibile. Infatti
non è possibile sostenere che, se il brano assume delle intere espressioni dall’AT,
allora significa necessariamente che Paolo sviluppi una vera e propria tipologia,
di cui saranno invece maestri i Padri della Chiesa a lui successivi. Inoltre, a parte
il fatto che qui l’Apostolo non fa alcuna affermazione a riguardo del rapporto
Israele-Chiesa, l’uso dei testi anticotestamentari nei vv. 12-18 non è uniforme, ma
variegato. Così, se le allusioni riguardanti le mormorazioni e le ribellioni di Israele
servono da esempio negativo per la comunità cristiana di Filippi, il secondo ricorso
al testo di Dt 32,5 non è più comprensibile in questa chiave perché va a indicare
l’ambiente pagano della città; ancor più la prospettiva muta con il richiamo a Dn
12,3 [LXX] che introduce il modello positivo dei Giudei fedeli sino al martirio.
Il secondo aspetto è legato all’utilizzo del linguaggio sacrificale, già presente
al v. 15 e soprattutto al v. 17, per descrivere l’esistenza cristiana. Se Paolo af-
61 FILIPPESI 2,20
16). Infatti il genitivo «della vostra fede» è 15,24; 1Cor 16,7; 1Tm 3,14; Fm 22). Stavol-
epesegetico e quindi spiega che l’offerta pre- ta l’espressione collegata «nel Signore Ge-
sentata a Dio dai Filippesi consiste in tutta la sù» sottolinea che l’Apostolo ha le proprie
loro esistenza cristiana. aspettative, ma nello stesso tempo si affida
2,18 Di questa stessa cosa (to. de. auvto,) – a Cristo per il loro compimento.
Si tratta di quanto affermato nel versetto Sia incoraggiato – Il verbo euvyucw/ è un ha-
precedente a proposito della libagione di pax biblico ed è tipico, alla forma imperativa,
Paolo, vissuta attraverso il suo ministero e delle iscrizioni tombali ellenistiche, cosicché
quindi attraverso le sue attuali catene per il comunica l’idea di incoraggiamento e di con-
Vangelo. forto. Nel nostro versetto si fa riferimento a
2,1-5.12-18 Testi affini: Rm 15,1-6; 2Tm un duplice beneficio («anch’io»), per Paolo e
1,13; 1Pt 2,13–3,7 per la comunità filippese, dovuto allo scam-
2,19 Spero nel Signore Gesù (VElpi,zw de. bio di notizie mediato da Timoteo.
evn kuri,w| VIhsou/) – Il verbo compare anche Avendo vostre notizie (gnou.j ta. peri. u`mw/n)
in altri passaggi delle lettere in connessio- – Alla lettera: «conoscendo le cose che vi
ne con i progetti di viaggio di Paolo (Rm riguardano».
ferma che la vita di fede è un sacrificio, ciò comporta che il credente è chiamato
a offrirsi a Dio in maniera completa, senza escludere alcuna sua dimensione.
Inoltre, questo dono di sé non può essere che definitivo, perché quanto è portato
sull’altare in olocausto non viene in alcun modo ripreso. Infine, se l’offerta è ora
legata all’esistenza significa che essa diviene indipendente da un luogo e un tempo
sacro, cosicché per il cristiano è possibile sempre e dovunque far sì che i propri
pensieri e le proprie azioni risultino un atto di culto a Dio.
2,20 Che condivida i miei sentimenti – L’ag- ansietà) o una positiva (attenzione, cura). In
gettivo ivso,yucoj, presente nella Scrittura Fil 2,20 merimna,w è usato in base alla seconda
soltanto in Sal 54,14 (TM 55,14), alla let- accezione e con una specifica prospettiva ec-
tera significa «di animo uguale». Nel nostro clesiale come in 1Cor 12,25, mentre in Fil 4,6
contesto, vista la proposizione relativa se- il significato è negativo. Il tempo futuro del
guente che indica l’attenzione di Timoteo nei verbo indica in anticipo l’assistenza che Timo-
confronti dei Filippesi, l’aggettivo esprime teo darà ai Filippesi una volta giunto da loro.
la perfetta sintonia del collaboratore con 2,21 Tutti (oi` pa, n tej) – Corrisponde a
Paolo, nella condivisione della stesso impe- «nessuno» del versetto precedente, in rife-
gno apostolico. rimento probabilmente a coloro che, trovan-
Si preoccupi (merimnh,sei) – Il verbo merimna,w dosi presso il luogo di detenzione di Paolo,
può avere una connotazione negativa (pena, avrebbero potuto essere inviati a Filippi, ma
Nel suo complesso, il brano di 2,19-30 attinge a più generi letterari: quello della
parusia epistolare (con l’annuncio di una visita), della lettera di raccomandazione,
delle notizie. In ogni caso, ciò che è importante ritenere è che al centro del brano
rimane l’«io» di Paolo: egli parla soprattutto di sé e della sua situazione e nello
stesso tempo introduce presso gli ascoltatori, anche con una modalità elogiativa,
i suoi compagni. Essi più che sostituti di colui che ha fondato la Chiesa filippese,
sono degli intermediari in attesa che l’Apostolo stesso giunga tra i suoi. Come è
mostrato in diversi passi paolini (p. es., Rm 15,29; 2Cor 13,10; 1Ts 3,11), più volte
Paolo prepara la visita di ciascuna comunità attraverso l’invio di collaboratori
recanti un suo scritto, in modo da disporre i destinatari ad accoglierlo e a trarre
massimo profitto dalla sua successiva presenza tra di loro. In conclusione, vista
la prospettiva assunta dal testo, la designazione del brano come “notizie” appare
la più appropriata, tuttavia, oltre alla finalità dell’informazione, il passaggio di
2,19-30 possiede anche quella della raccomandazione, poiché invita la comunità di
Filippi ad accogliere e ad avere grande considerazione di Timoteo ed Epafrodito,
i quali sono presentati come figure esemplari nel servizio del Vangelo.
In base alle due dichiarazioni dell’Apostolo riguardo ai collaboratori, formu-
late rispettivamente al v. 19 e al v. 25, possiamo dividere la pericope in due parti:
l’invio di Timoteo da parte di Paolo (vv. 19-24) e l’invio di Epafrodito (vv. 25-30).
invece non erano disponibili (cfr. 1,15-17). questo atteggiamento nell’ambito dei rapporti
Cercano i propri interessi e non quelli di Ge- ecclesiali (1Cor 10,24.33; 13,5).
sù Cristo (ta. e`autw/n zhtou/sin( ouv ta. VIhsou/ 2,22 Comprovato valore (dokimh,n) – Il vo-
Cristou/) – Assistiamo a una ripresa in nega- cabolo dokimh, non presenta alcun uso nella
tivo dell’esortazione di 2,4; se ne deduce che Bibbia se non nelle lettere paoline (p. es.,
cercare gli interessi «di Gesù Cristo» in fondo Rm 5,4; 2Cor 2,9; 8,2). Inoltre non è testi-
significa avere a cuore quelli degli altri, in par- moniato nei testi greci precedenti a Paolo. Il
ticolare dei fratelli cristiani. La ricerca del pro- termine denota la buona qualità di qualcosa
prio interesse, svincolato da ogni preoccupa- che è stato messo alla prova.
zione per gli altri, è un tema diffuso nell’anti- Si è messo al servizio (evdou,leusen) – Il verbo
chità, presente nelle fonti sia latine che greche. douleu,w indica il servizio dello schiavo (dou/loj),
Paolo mette in guardia i credenti dall’assumere richiamando la designazione iniziale di Paolo
e Timoteo (1,1) e, soprattutto, la condizione ma, più ragionevolmente, alla stessa libera-
assunta da Cristo (2,7). Il tempo aoristo del zione e forse anche ai progetti di evange-
verbo ha valore complessivo, in relazione a lizzazione.
tutto l’impegno che il collaboratore ha profu- 2,24 Sono convinto nel Signore (pe,poiqa de.
so mentre era associato all’Apostolo. evn kuri,w|) – L’espressione in parte ricalca
2,23 Avrò visto (avfi,dw) – Il verbo avfora,w quella del v. 19; là, con il verbo evlpi,zw, si
negli scritti canonici è utilizzato soltanto in manifestava un augurio; qui, invece, con
Gio 4,5 per uno sguardo di attesa da lontano, pei,qw, si indica una quasi certezza (cfr. 1,14).
mentre in Eb 12,2 indica un vedere fisso e 2,25 Ho considerato (h`ghsa,mhn) – La forma
attento. La prima accezione si addice bene verbale è un aoristo epistolare nel senso che
al nostro contesto. Paolo si pone dal punto di vista temporale di
La mia situazione (ta. peri. evme,) – Alla lette- chi legge; pensando al momento in cui scrive
ra: «le cose che mi riguardano». L’espressio- avrebbe dovuto usare il presente.
ne richiama ta. katV evme, usata in 1,12 per la Epafrodito – Il nome proprio (ricorre solo
situazione di prigionia di Paolo. Nel nostro qui e in 4,18) deriva da quello della dea
caso non ci si riferisce certo al pericolo di Afrodite e indica un legame stretto con lei
una possibile esecuzione, visto quanto af- e quindi la provenienza della persona così
ferma il versetto immediatamente seguente, chiamata dall’ambiente pagano.
quindi di inviarlo non appena avrò visto che piega prenderà la mia
situazione, 24ma sono convinto nel Signore che anch’io verrò presto.
25
Tuttavia ho considerato necessario inviare da voi Epafrodito,
mio fratello, collaboratore e compagno di lotta, vostro
inviato e assistente alle mie necessità, 26dal momento che
2,26 Era angosciato (avdhmonw/n) – Il verbo Il dolore che sarebbe stato provocato dalla
avdhmone,w, presente nel resto della Bibbia morte di Epafrodito si sarebbe aggiunto a
soltanto in Mt 26,37 e in Mc 14,33 a propo- quello derivante dalle difficoltà di Paolo pri-
sito della preghiera di Gesù nel Getsemani, gioniero narrate in 1,12-26.
denota inquietudine e turbamento. 2,28 Ho inviato (e;pemya) – La forma verbale
2,27 Dio ha avuto misericordia (o` qeo.j è un aoristo epistolare.
hvle,hsen) – Il riferimento alla misericordia Meno triste (av l upo, t eroj) – L’aggettivo
di Dio per la guarigione da una malattia è a;lupoj, qui usato al grado comparativo, è
unico negli scritti paolini, ma richiama il un hapax biblico.
modello salmico dove, con l’utilizzo dello 2,29 Accoglietelo... nel Signore (prosde,cesqe
stesso verbo evlee,w di Fil 2,27, si descrive ou=n auvto.n evn kuri,w|) – Significa che Epa-
l’azione di Dio a beneficio del malato (p. es., frodito va ricevuto come si conviene a un
Sal 6,3; 9,14; 29,11 [TM 30,11]). fratello in Cristo (cfr. Rm 16,2).
Tristezza su tristezza (lu,phn evpi. lu,phn) – Abbiate stima di uomini simili (tou. j
2
Βλέπετε τοὺς κύνας, βλέπετε τοὺς κακοὺς ἐργάτας, βλέπετε
τὴν κατατομήν. 3 ἡμεῖς γάρ ἐσμεν ἡ περιτομή, οἱ πνεύματι
3,1 Del resto (to. loipo,n) – Questo sintagma mentativi e della finalità esortativa.
avverbiale può indicare sia la conclusione Non pesa (ouvk ovknhro,n) – Con questa ti-
sia l’inizio di un testo. Qui non conclude, pica formula epistolare di esitazione (let-
ma apre un nuovo sviluppo epistolare, assu- teralmente: «non è motivo di esitazione»)
mendo la stessa funzione che il solo loipo,n l’autore, commentando il suo stesso scrive-
ha in altri passaggi paolini (p. es., 1Cor 1,16; re, si giustifica per un qualche motivo con il
1Ts 4,1; 2Ts 3,1). destinatario, in questo caso in ragione della
Le stesse cose (ta. auvta,) – Tale espressione ripetizione.
indica che la seconda parte della lettera (cc. 3,2 Guardatevi da (ble,pete) – Di solito nel
3–4) è segnata da una ripetizione di più ele- NT questo imperativo plurale seguito da una
menti della prima (cc. 1–2). Una ripetizione particella significa «guardatevi da» (p. es.,
al livello dei contenuti, degli strumenti argo- Mc 8,15; Gal 5,15; Eb 12,25), altrimenti
missione, dona tutto se stesso sino alla morte (vv. 27.30). In definitiva gli elementi
elogiativi nei confronti dei due collaboratori utilizzano motivazioni contrarie
alla mentalità corrente (preoccuparsi degli altri, servire, donare la propria vita),
assumendo quindi una prospettiva paradossale e cominciando così a mostrare che
cosa significhi avere lo stesso modo di pensare di Cristo (cfr. 2,5). Tale visione sarà
ulteriormente e pienamente sviluppata nel brano seguente di 3,1–4,1, riguardante
il cammino di Paolo, autentica riproduzione di quello di Cristo.
L’ESEMPIO DI PAOLO.
ESORTAZIONI BASATE SULL’AUTOELOGIO DI PAOLO (3,1–4,1)
Con il c. 3 inizia, oltre che la seconda parte della lettera, una seconda serie di
esortazioni, basate ancora su un esempio: quello di Paolo, apostolo e fondatore
della comunità di Filippi. Se il testo di 2,1-18 incentrato sul modello di Cristo
costituiva il primo pilastro della lettera, il brano di 3,1–4,1 rappresenta il secondo
con la riproduzione, da parte dell’Apostolo, dell’itinerario del suo Signore.
Anche la composizione dei due brani mostra alcune somiglianze. Infatti, se si
esclude la transizione di 3,1 e la conclusione di 4,1, il brano di 3,1–4,1 risulta così
diviso: A. esortazione in negativo a guardarsi dagli avversari e relativa giustificazione
(3,2-4a); B. autoelogio di Paolo con valore esemplare (3,4b-16); A’. esortazione in
positivo a imitare Paolo e relative giustificazioni (3,17-21). Come per l’itinerario di
Cristo, anche quello dell’Apostolo costituisce la motivazione delle esortazioni che lo
circondano, le quali a loro volta forniscono la prospettiva di lettura. Dall’altra parte, le
giustificazioni, immediatamente legate alle esortazioni, ampliano l’orizzonte di riferi-
mento del modello dell’Apostolo agli ascoltatori e, attraverso di essi, a tutti i cristiani.
69 FILIPPESI 3,3
2
Guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai, guardatevi
dalla mutilazione. 3Infatti la circoncisione siamo noi, che
semplicemente «guardate» (p. es., Mc 4,24; Giuseppe Flavio, Contro Apione 2.85; cfr.
Lc 8,18; 1Cor 10,18). Nel testo di Fil 3,2, Mt 15,26-27; Mc 7,27-28), mentre l’espres-
sebbene non ci sia alcuna particella, la tri- sione «cattivi operai» può riferirsi a missio-
plice ripetizione del verbo, i tre epiteti ingiu- nari cristiani animati da intenti non buoni
riosi e l’antitesi con il v. 3 fanno propendere (cfr., p. es., Mt 9,37; Lc 13,27; 2Cor 11,13);
per l’accezione «guardatevi da». infine con «mutilazione», termine appropria-
Cani... cattivi operai... mutilazione (ku,naj... to per alcune pratiche pagane condannate
tou.j kakou.j evrga,taj... th.n katatomh,n) – I dalla Scrittura (cfr., p. es., Lv 21,5; Is 15,2;
tre epiteti sono ridondanti e designano una Os 7,14), siamo di fronte a un gioco di parole
sola categoria di persone. In particolare il (paronomasia), dal sapore ironico, con il ter-
termine «cani» è un insulto ricorrente nel- mine «circoncisione», che immediatamente
la polemica anti-pagana degli Ebrei (p. es., segue all’inizio del v. 3.
3,1 Transizione
Il primo versetto del c. 3 svolge una funzione di transizione. In particolare,
il v. 1a riprende il tema della gioia e la relativa esortazione, presente in 2,18,
dopo l’interruzione dovuta alle notizie autobiografiche su Timoteo ed Epafrodito
di 2,19-30. Questa volta si tratta di una gioia «nel Signore» e dunque vissuta e
radicata nell’esperienza di comunione con Cristo, nonostante le difficoltà e le
sofferenze che si debbono affrontare. Il v. 1b, invece, introduce un nuovo sviluppo
dello scritto, cioè la seconda parte della lettera, vista come ripetizione della prima
(«scrivervi le stesse cose»). Tale ripetizione rappresenta un mezzo pedagogico
utilizzato dall’Apostolo per il bene dei Filippesi («a voi dà sicurezza») e per questo
non esita a ricorrervi («a me non pesa»).
alle indicazioni degli antichi, l’oratore deve porre ogni attenzione per attenuare
l’effetto spiacevole generato sugli ascoltatori, con il rischio di mancare nel suo
scopo persuasivo. Perciò nell’elogio di sé è importante ricorrere a un procedimento
che può essere considerato un vero e proprio transfert, cioè un trasferimento ad
altri soggetti dello stato di referente primo del discorso. Infatti, se la lode di sé
ha per formula: «Io mi lodo di fronte a un uditorio», tutta l’arte retorica consiste
nel dissociare l’«io» dal «me» o l’oratore dall’uditorio, in modo che sia attenuato
il più possibile l’effetto spiacevole generato da un elogio della propria persona.
Infine, la periautologia può essere accettata se è svolta in risposta alle accuse degli
avversari, che possono anche esercitare una cattiva influenza su quelli della propria
parte, e con un preciso fine etico legato all’imitazione di colui che la pronuncia.
Nel nostro testo, come vedremo, Paolo terrà conto di questo modello letterario e
delle sue regole, facendone però un uso del tutto originale.
Così i vv. 2-4a, presentando gli avversari (come anche i vv. 18-19), utilizzano
la tipica motivazione per ricorrere alla periautologia; inoltre, lodando il gruppo
«noi», preparano il transfert elogiativo dall’autore agli ascoltatori; infine, contrap-
ponendo Paolo agli oppositori e il «confidare nella carne» al «vantarsi in Cristo
Gesù», inseriscono l’elemento retorico del confronto.
7
[Ἀλλὰ] ἅτινα ἦν μοι κέρδη, ταῦτα ἥγημαι διὰ τὸν Χριστὸν
ζημίαν. 8 ἀλλὰ μενοῦνγε καὶ ἡγοῦμαι πάντα ζημίαν εἶναι
διὰ τὸ ὑπερέχον τῆς γνώσεως Χριστοῦ Ἰησοῦ τοῦ κυρίου μου,
δι᾽ ὃν τὰ πάντα ἐζημιώθην, καὶ ἡγοῦμαι σκύβαλα,
ἵνα Χριστὸν κερδήσω
3,7 [Ma] ([avlla,]) – L’edizione critica atte- bile. L’aggiunta potrebbe essere spiegata con
sta un’incertezza riguardo al termine, poiché la volontà di enfatizzare la contrapposizione
importanti testimoni lo omettono. Noi pro- del v. 7 con quanto precede, riproponendo lo
penderemmo a non includere nel testo avlla,, stesso avlla, presente al v. 8.
poiché la testimonianza a favore della sua Guadagni... perdita (ke, r dh... zhmi, a n) –
emendazione è, anche se non di molto, di Questo linguaggio è tipicamente finan-
valore superiore; inoltre la lectio senza avlla, ziario e richiama le metafore usate nella
risulta quella più difficile e quindi, secondo lettera a proposito del rapporto Paolo-Fi-
le regole della critica testuale, la più proba- lippesi (4,14-19). Il riferimento è alle ca-
4b-14 possono essere ulteriormente suddivisi in tre parti, costituenti tre diverse
tappe dal punto di vista sia contenutistico che cronologico: vanto giudaico (vv. 4b-
6), vanto rovesciato in Cristo (vv. 7-11), vanto cristiano attenuato (vv. 12-14).
3,4b-6 Vanto giudaico
Al v. 4b si enuncia, a confronto con un rappresentante del gruppo degli avversari,
la superiorità di Paolo per quanto riguarda il «confidare nella carne». Le ragioni
dell’affermazione vengono fornite nei vv. 5-6, attraverso sette elementi, i quali pos-
sono essere divisi in due categorie: i doni ricevuti (primi quattro) e i meriti acquisiti
(gli altri tre). I doni sono legati alla rubrica encomiastica delle origini: Paolo è stato
circonciso l’ottavo giorno come un autentico giudeo, appartiene al popolo di Israele,
proviene da una tribù prestigiosa e i suoi genitori sono entrambi ebrei. Dall’altra
parte, i meriti acquisiti sono legati ai topoi dell’educazione, degli atti e delle virtù:
l’Apostolo è stato educato all’interno della corrente farisea, la più rigorosa in quanto
alla pratica della Legge mosaica; a motivo del suo zelo per essa ha perseguitato la
Chiesa e, secondo la giustizia propria di chi osserva le prescrizioni della Legge, è
divenuto irreprensibile. Si tratta del concetto biblico ordinario di giustizia, legata al
bene che uno deve compiere osservando la Legge rivelata da Dio a Mosè. In base a
ciò si è riconosciuti giusti e, quindi, destinatari della salvezza divina. In aggiunta è
da rilevare, per quanto riguarda i farisei, che essi costituivano un gruppo religioso,
prevalentemente laico, i cui componenti si distinguevano per la stretta fedeltà alla
Legge scritta (Pentateuco) e orale (tradizioni dei padri). Paolo è l’unico, se si eccettua
Giuseppe Flavio, a dichiarare di essere appartenuto a tale movimento.
Nel loro complesso, questi tratti dell’autoelogio paolino sono presentati in
un’accumulazione segnata da un climax ascendente e vanno a costituire un profilo
ebraico impeccabile. Tali elementi indicano altresì che, se in seguito Paolo ha
scelto Cristo, non lo ha fatto per compensare un suo fallimento nel giudaismo, ma
73 FILIPPESI 3,8
7
[Ma] queste cose, che erano per me guadagni, le ho considerate,
a motivo di Cristo, una perdita. 8Anzi, considero che tutto sia
una perdita a motivo del bene sublime della conoscenza di Gesù
Cristo, il mio Signore: per lui ho lasciato perdere tutte le cose,
considerandole spazzatura, per guadagnare Cristo
ratteristiche elencate nei vv. 5-6, che sono conoscenza di Gesù Cristo». Il sostantivo
in sé vantaggi e motivi di vanto, ma, dopo gnw/sij è utilizzato in relazione alla cono-
l’incontro con Cristo, vengono considerate scenza di Cristo soltanto qui e in 2Pt 3,18.
da Paolo come realtà di nessun valore. D’altra parte, l’aspetto del conoscere, che
3,8 Bene sublime della conoscenza di Gesù ricorre anche al v. 10 e indica un rapporto
Cristo (to. u`pere,con th/j gnw,sewj Cristou/ di comunione e appartenenza a Cristo da
VIhsou/) – Il genitivo «della conoscenza» è parte dell’Apostolo, assume importanza
epesegetico; quindi, spiega il sostantivo al centrale nei vv. 7-11 e in tutto il testo di
quale si riferisce: «bene sublime che è la 3,1–4,1.
9
καὶ εὑρεθῶ ἐν αὐτῷ, μὴ ἔχων ἐμὴν δικαιοσύνην τὴν ἐκ νόμου
ἀλλὰ τὴν διὰ πίστεως Χριστοῦ, τὴν ἐκ θεοῦ δικαιοσύνην ἐπὶ τῇ
πίστει, 10 τοῦ γνῶναι αὐτὸν καὶ τὴν δύναμιν τῆς ἀναστάσεως
αὐτοῦ καὶ [τὴν] κοινωνίαν [τῶν] παθημάτων αὐτοῦ,
συμμορφιζόμενος τῷ θανάτῳ αὐτοῦ, 11 εἴ πως καταντήσω εἰς
τὴν ἐξανάστασιν τὴν ἐκ νεκρῶν.
3,9 Ed essere trovato in lui (kai. eu`reqw/ evn da Dio e si basa sulla fede». Dalla struttura
auvtw/|) – Questo sintagma, attraverso kai, grammaticale risulta quindi che «Legge» e
con valore epesegetico, chiarisce e spiega il «fede» sono due principi contrari e alternativi
precedente «per guadagnare Cristo»: non è sui quali basare la propria giustizia.
Paolo a guadagnare Cristo, ma è Cristo che Mediante la fede in Cristo (dia. pi,stewj
lo fa trovare in lui, indicando una profon- Cristou/) – Il genitivo Cristou/ ha valore
da intimità e unione tra l’Apostolo e il suo oggettivo e non soggettivo («la fedeltà di
Signore. Cristo»), visto che nei vv. 7-11 Cristo non
Mia giustizia (evmh.n dikaiosu,nhn) – L’espres- è soggetto attivo, ma piuttosto oggetto della
sione ha valore predicativo; perciò la contrap- conoscenza di Paolo.
posizione nel versetto non è, come diverse 3,10 Così da conoscere lui (tou/ gnw/nai
traduzioni mostrano, tra «mia giustizia» e auvto,n) – La frase ha valore consecutivo
quella «che viene da Dio», ma tra «quella che non esprimendo una nuova finalità, ma un
viene dalla Legge» e quella «che viene me- altro aspetto, dopo quello della giustizia, del
diante la fede in Cristo: la giustizia che viene «guadagnare Cristo ed essere trovato in lui».
sono presentate due diverse giustizie e quindi due diverse vie di salvezza che
Paolo riterrebbe coesistenti: la prima è quella dell’Ebreo che osserva la Legge
e la seconda quella del cristiano grazie alla fede in Cristo. Ma il parallelismo
presente nel versetto contraddice questa interpretazione. In effetti, in base alla
composizione testuale, la sola giustizia «che viene da Dio» è «quella che viene
mediante la fede in Cristo» e quindi la sola salvifica.
Il secondo effetto, conseguente all’incontro con Cristo da parte di Paolo, è
l’esperienza attuale della conoscenza e cioè un rapporto quotidiano di comunione
con il suo Signore. Ciò comporta il divenire somigliante a Lui percorrendo lo
stesso suo itinerario, quello che conduce a sperimentare la potenza della risurre-
zione anche in mezzo alle sofferenze (v. 10). Se al v. 8 si trattava del fatto di avere
conosciuto Cristo, ora in primo piano sta la dinamica conoscitiva di Cristo che
Paolo vive giorno per giorno riproducendo, sostenuto dall’azione di Dio, il suo
stesso itinerario di morte e di risurrezione (cfr. 2,6-11). Nel testo del v. 10 assi-
stiamo a un’inversione dell’ordine usuale con la precedenza dell’elemento della
risurrezione di Cristo rispetto alle sue sofferenze. Tale procedimento, chiamato
in termini retorici hysteron-proteron, è finalizzato a evidenziare che Paolo, come
ogni credente, fa prima di tutto esperienza del Signore con tutta la sua forza di
Risorto (cfr. v. 8); poi può e deve vivere con lui anche la tribolazione derivante
dalla propria scelta di fede. Per quanto riguarda lo sfondo di questo versetto, è da
75 FILIPPESI 3,11
9
ed essere trovato in lui, non avendo come mia giustizia quella
che viene dalla Legge, ma quella che viene mediante la fede in
Cristo: la giustizia che viene da Dio e si basa sulla fede; 10così
da conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione
alle sue sofferenze, reso conforme alla sua morte, 11se in qualche
modo raggiungerò la risurrezione dai morti.
Reso conforme (summorfizo,menoj) – Il verbo 3,11 Se in qualche modo (ei; pwj) – L’espres-
summorfi,zw appare qui per la prima volta nella sione introduce una frase ipotetica di aspet-
lingua greca ed è un hapax legomenon nel NT. tazione, la quale non esprime un dubbio, ma
Richiama il sostantivo morfh, utilizzato due un’attesa (cfr. At 27,12; Rm 1,10; 11,14); nel
volte in 2,6-7, prima riguardo alla condizione nostro caso è quella della risurrezione.
divina e poi a quella di schiavo di Cristo. La risurrezione dai morti (eiv j th. n
[th,n]... [tw/n] – L’edizione critica attesta evxana,stasin th.n evk nekrw/n) – Il termine
un’incertezza riguardo ai due articoli, per- evxana,stasij («risurrezione») è un hapax le-
ché, in entrambi i casi, importanti testimoni gomenon neotestamentario. Il sintagma nel
li omettono. Comunque, la loro inclusione o suo insieme si riferisce, in contrasto con la
meno non modifica sostanzialmente il senso precedente menzione della risurrezione di
del testo. Cristo (per la quale si utilizzava avna,stasij)
Comunione – Il termine koinwni,a, già uti- la cui potenza è già disponibile, alla risurre-
lizzato in 1,5 e 2,1, ha significato attivo, zione finale di tutti gli uomini che è appunto
indicando un prendere parte. dai morti.
rilevare che il motivo della comunione nelle sofferenze è presente nella grecità
in merito al condividere i dolori e il morire dell’amico, segno di un vero legame
con lui (p. es., Eschilo, Coefore 976-979). D’altro canto, il legame tra giustizia e
conoscenza, così come si sviluppa nei vv. 9-10, si trova nella letteratura giudai-
ca, dove queste due realtà rappresentano degli attributi di Dio dei quali anche il
credente beneficia grazie al rapporto con Lui (Inni [1QHa] 19,7-8; Regola della
Comunità [1QS] 10,11-12). In ragione di quest’ultimo rilievo anche in 3,7-11 si
può intravedere quel processo di cristologizzazione della teologia più chiaramente
attestato in altri passaggi della lettera (p. es., 1,6; 2,10-11).
Come ultima conseguenza dell’incontro con il Risorto, in Paolo è germogliata
la speranza, che non dipende dalla sua volontà ma da quella di Dio, di giungere
alla risurrezione finale e quindi alla vita piena (v. 11).
Nell’insieme dei vv. 7-11, Paolo attua un transfert ben più radicale di quello
consigliato dagli autori riguardo alla periautologia; il suo vanto è completamente
trasferito in Cristo ed è motivato non sui suoi successi, ma su ciò che ha perduto
e sull’opera in lui compiuta dal Signore: il suo è dunque diventato un autoelogio
paradossale. Si tratta di un paradosso pienamente conforme alla retorica di Paolo,
la quale, basata sulla folle parola della croce (1Cor 1,18-25), sconvolge i canoni
e le convenzioni mostrando le inimmaginabili vie di Dio e la dismisura del suo
amore per l’uomo.
FILIPPESI 3,12 76
12
Οὐχ ὅτι ἤδη ἔλαβον ἢ ἤδη τετελείωμαι, διώκω δὲ εἰ καὶ
καταλάβω, ἐφ᾽ ᾧ καὶ κατελήμφθην ὑπὸ Χριστοῦ [Ἰησοῦ].
13
ἀδελφοί, ἐγὼ ἐμαυτὸν οὐ λογίζομαι κατειληφέναι· ἓν δέ, τὰ
μὲν ὀπίσω ἐπιλανθανόμενος τοῖς δὲ ἔμπροσθεν ἐπεκτεινόμενος,
14
κατὰ σκοπὸν διώκω εἰς τὸ βραβεῖον τῆς ἄνω κλήσεως τοῦ
θεοῦ ἐν Χριστῷ Ἰησοῦ.
3,12 Tutto questo – Nel testo greco c’è un’ellis- ottenuto») che precede, fornendo un suo ap-
si dell’oggetto nei vv. 12-13 per mettere in evi- profondimento. Infatti, il cambio dall’aoristo
denza il processo, ancora in divenire, espresso al perfetto e il significato stesso di teleio,w
dai verbi. Se l’oggetto si deve esplicitare, esso indicano il passaggio dal procedere della vita
consiste, in ragione del contesto dei vv. 8-11, cristiana alla condizione finale che ne risulta.
nella piena conoscenza e comunione con Cri- Per poterlo afferrare, poiché anch’io sono
sto; abbiamo scelto pertanto di rendere l’og- stato afferrato da Cristo (eiv kai. katala,bw(
getto mancante in greco con «tutto questo». evfV w-| kai. katelh,mfqhn u`po. Cristou/) – La
Abbia ottenuto (e;labon) – Il verbo è all’ao- prima frase è una nuova ipotetica di aspetta-
risto con valore globale per indicare l’insie- zione con ei; pwj come al v. 11 (alla lettera:
me del cammino di fede finora compiuto da «se mai lo afferri»). Nella seconda frase la
Paolo. Alcuni manoscritti inseriscono dopo ripetizione dello stesso verbo katalamba,nw
questo verbo h' h;dh dedikai,wmai («o già sia («afferrare») nella forma passiva è un espe-
stato giustificato»). Si tratta di un’aggiunta al diente retorico volto a sottolineare la pre-
testo originale al fine di individuare nella giu- minenza dell’azione di Cristo sul cammino
stificazione l’oggetto del verbo «ottenere». di Paolo.
Sia... stato reso perfetto (tetelei,wmai) – Il ver- [VIhsou/] – L’edizione critica attesta un’incer-
bo teleio,w al perfetto ha qui la sua unica occor- tezza riguardo al termine, perché importanti
renza nel corpus paulinum, dove però è usato testimoni lo omettono. Comunque la sua
il sinonimo tele,w. La congiunzione h; («o») lo inclusione o meno non modifica sostanzial-
pone in relazione con l’aoristo e;labon («abbia mente il senso del testo.
12
Non che tutto questo lo abbia già ottenuto o sia già stato reso
perfetto, ma proseguo per poterlo afferrare, poiché anch’io
sono stato afferrato da Cristo [Gesù]. 13Fratelli, io non ritengo
di averlo afferrato, ma considero una sola cosa: dimenticando
ciò che sta dietro e protendendomi verso ciò che sta di fronte,
14
corro verso la meta, in vista del premio della chiamata,
proveniente dall’alto, che Dio rivolge in Cristo Gesù.
3,13 Ritengo (logi,zomai) – Questo verbo al suo cammino di discepolo di Cristo.
ha nella lingua greca e nel NT due accezio- Una sola cosa (e[n) – L’espressione vuole in-
ni di base: la prima, legata al vocabolario dicare ciò che più conta rispetto al proprio
commerciale, di «contare, calcolare»; la cammino; tutto questo sarà chiarito attraver-
seconda, in relazione ai processi mentali, so la metafora agonistica dei vv. 13c-14.
di «riflettere, considerare, ritenere». Nelle Dimenticando... p ro t e n d e n d o m i
occorrenze paoline il verbo riveste entrambi (evpilanqano,menoj... evpekteino,menoj) – I due
i significati: il primo si ha, p. es., in 1Cor participi con valore modale del v. 13c dipen-
13,5; 2Cor 12,6; Gal 3,6; il secondo, p. es., dono dalla proposizione principale del v. 14.
in Rm 2,3; 1Cor 13,11; 2Cor 10,11. Nel no- In particolare il verbo evpektei,nw è un hapax
stro contesto propendiamo decisamente per legomenon biblico.
la seconda accezione (così anche in 4,8). Si 3,14 Meta – Il termine skopo,j è hapax le-
deve notare la presenza nel brano di verbi gomenon neotestamentario; viene usato per
appartenenti allo stesso campo semantico: indicare il punto di arrivo della corsa.
doke,w («pensare») al v. 4b, che esprime una Premio della chiamata (brabei/ o n th/ j ...
valutazione in riferimento ai meriti e ai pri- klh,sewj) – Il termine brabei/on indica il
vilegi giudaici, e h`ge,omai («considerare») dei premio ricevuto all’interno di una competi-
vv. 7-8 (tre volte) per la rivalutazione di essi zione. Il genitivo è soggettivo e il premio è
a motivo di Cristo. Nel v. 13a si pone così quello annunciato e promesso dalla chiama-
una terza ulteriore considerazione, dopo le ta, ed esprime complessivamente l’approdo
due dei vv. 4b.7-8, riguardo all’Apostolo e escatologico della salvezza.
– Con il doppio accusativo, come nel nostro 3,18 Nemici (tou.j evcqrou,j) – Prima di que-
versetto, il verbo e;cw si trova legato all’idea ste parole, il papiro Chester Beatty II (î46)
di «avere per», «ritenere come». Dei due riporta «guardatevi da» (ble,pete), lo stesso
accusativi uno funge da oggetto diretto (nel vocabolo è usato nel v. 2. Avendo solo questo
caso, h`ma/j, «noi»), mentre l’altro è il suo pre- testimone a favore, la lezione non può essere
dicato (qui, tu,pon, «modello») che modifica originaria; tuttavia è di un certo interesse,
il senso del verbo. Si tratta del paradigma perché ci mostra un’antica interpretazione
costituito da Paolo e dai suoi collaboratori del testo che probabilmente intende spiegare
nell’apostolato. che nei vv. 18-19 non siamo di fronte a un
18
Molti infatti – di loro più volte vi parlavo e ora, piangendo,
ve ne parlo – si comportano come nemici della croce di
Cristo. 19Il loro destino è la perdizione, il loro dio è il ventre
e la loro gloria è in ciò che torna a loro disonore; essi sono
coloro che pensano (solo) alle cose terrene.
nuovo gruppo di oppositori rispetto a quello e tale si rivelerà al momento del giudizio di
del v. 2. Dio (cfr., p. es., Is 45,24; Dn 12,2; Na 3,5).
3,19 Il loro dio è il ventre (w-n o` qeo.j h` Coloro che pensano (solo) alle cose terrene
koili,a) – Significa essere presi da smodati (oi` ta. evpi,geia fronou/ntej) – Come al v.
desideri di mangiare e di fare sesso. 15, il verbo frone,w è usato per indicare una
La loro gloria è in ciò che torna a loro diso- contrapposizione con quanto presentato in
nore (h` do,xa evn th/| aivscu,nh| auvtw/n) – Tutto tale versetto e delineare un modo di pensare
quanto costituisce gloria per gli avversari do- completamente chiuso alla sfera spirituale e
vrebbe invece essere considerato vergogna, trascendente.
Fil 3,17 (come anche in 1Cor 4,16; 11,1) potrebbe ancora risultare una dimostra-
zione di arrogante superiorità, dato che esso rappresenta un caso unico in tutto il
pensiero antico. In effetti, tale esortazione è comprensibile e accettabile solo in
considerazione della singolare coscienza che l’Apostolo ha della nuova identità
ricevuta. Nel confronto con il passato egli vede la propria esistenza radicalmente
trasformata ed espropriata per «vivere Cristo» (cfr. 1,21), così da poter parlare di
sé come di un-altro-da-sé e proporsi come modello per gli altri in quanto immagine
concreta del Signore stesso.
La prima motivazione a sostegno dell’appello all’imitazione di Paolo (vv. 18-
19) è costituita, in negativo, dall’incombere del cattivo esempio degli avversari.
Come già al v. 2, al v. 18 essi vengono denigrati dall’autore affinché gli ascolta-
tori – più volte avvisati dall’Apostolo e ora supplicati in lacrime (uso di pathos
retorico per indicare un’urgenza) – non ne subiscano l’influenza. Gli oppositori
sono descritti come coloro che hanno un comportamento completamente difforme
dalla croce di Cristo (cfr. 1Cor 1,18-25). Di conseguenza, al v. 19 Paolo afferma
che la loro fine è segnata nella perdizione, il loro signore è il ventre e ciò di cui si
gloriano si risolve in vergogna. Essi infatti possiedono una mentalità puramente
terrena e non quella propria dei cristiani, avente come punto di riferimento il
Cristo stesso (cfr. 2,5).
Si discute se nei vv. 18-19 sia presente o meno un secondo gruppo di avversari,
rispetto a quello del v. 2. Probabilmente nei vv. 18-19 l’Apostolo, pur non facendo
riferimento ad altri concreti oppositori, intende allargare il discorso, parlando di
tutti coloro che conducono un’esistenza in contraddizione con il Vangelo della
croce di Cristo e che potrebbero influenzare i destinatari in diverso modo.
FILIPPESI 3,20 82
20
Ciò che governa noi, in effetti, è nei cieli, da dove attendiamo
ardentemente come salvatore il Signore Gesù Cristo, 21il quale
trasfigurerà il nostro misero corpo rendendolo conforme al
suo glorioso corpo, grazie alla forza con cui egli può anche
sottomettere a sé tutte le cose.
2
Εὐοδίαν παρακαλῶ καὶ Συντύχην παρακαλῶ τὸ αὐτὸ φρονεῖν
ἐν κυρίῳ. 3 ναὶ ἐρωτῶ καὶ σέ, γνήσιε σύζυγε, συλλαμβάνου
4,1 Desiderati (ev p ipo, q htoi) – L’aggetti- tivi, pur contenendo anche una sfumatura
vo evpipo,qhtoj è, con ogni probabilità, un escatologica, descrivono prima di tutto
neologismo creato da Paolo per esprimere quello che i Filippesi sono già al presente
il desiderio di essere con i destinatari, in per Paolo.
ragione del corrispondente verbo evpipoqe,w State saldi così nel Signore (ou[twj sth,kete
che significa «desiderare, sentire la man- evn kuri,w|) – Come in 1,27, è utilizzato l’im-
canza». perativo sth,kete in quanto esprime l’orienta-
Gioia e corona (cara. kai. ste,fanoj) – Cop- mento a vivere con fermezza, in unione con
pia già utilizzata in 1Ts 2,19 riguardo ai il Signore, le indicazioni donate nel brano.
destinatari della lettera. La corona costitui- 3,17–4,1 Testi affini: Gal 5,7-12; 6,11-
va il premio e il segno d’onore dell’atleta 13;1Cor 4,16;11,1; 1Ts 1,6; 2Ts 3,9; 1Tm
vincitore (cfr. 1Cor 9,25). Questi sostan- 6,3-5
4,1 Conclusione
In corrispondenza con la transizione di 3,1, in 4,1 si trova la conclusione del
brano con un appello, dal tono molto affettuoso, affinché i cristiani di Filippi ri-
mangano saldi e fedeli a Cristo, nel modo appena mostrato nell’esempio paolino
(«così»). L’accumulazione di cinque epiteti affettivi («amati e desiderati», «gioia
e corona mia», «amati»), insieme all’apostrofe iniziale «fratelli miei», è unica
nell’epistolario paolino e intende suscitare negli ascoltatori un pathos positivo
affinché accolgano le indicazioni dell’Apostolo. Inoltre è da segnalare la ripresa
del motivo della gioia, ampiamente diffuso nella lettera e di nuovo introdotto in
3,1, cosicché esso diviene il sottofondo di tutta la pericope e della vita cristiana
proposta ai Filippesi. Complessivamente, il testo di 4,1 non costituisce un’esor-
tazione a sé stante, quanto invece un richiamo sintetico e finale delle esortazioni
precedenti, di quella a guardarsi dagli avversari (3,2) e di quella a imitare Paolo
(3,17).
2
Esorto Evodia ed esorto anche Sintiche a essere in pieno
accordo nel Signore. 3Sì, prego anche te, fedele compagno,
4,2 Evodia... Sintiche (Euvodi,a... Suntu,ch) de alle due donne di essere tra loro unite.
– Nomi greci, diffusi nel I-II secolo e attri- 4,3 Fedele compagno (gnh,sie su,zuge) – Il
buibili sia all’uomo che alla donna. Nel no- sostantivo su,zugoj dal punto di vista eti-
stro testo i pronomi femminili, a loro riferiti mologico significa «sotto lo stesso giogo».
in 4,3, ci assicurano che si tratta di due don- Alcuni autori ipotizzano che si tratti di un
ne. I due nomi significano, rispettivamente, nome proprio, ma tale uso non è attestato
«buon cammino» e «incontro». al tempo di Paolo; quindi è meglio con-
Essere in pieno accordo nel Signore (to. siderare il termine nel senso di «compa-
auvto. fronei/n evn kuri,w|) – L’espressione gno», in riferimento a un collaboratore
rimanda chiaramente a 2,2, ma questa volta dell’Apostolo coinvolto nella vita della
si aggiunge «nel Signore». Così in base al- Chiesa di Filippi e quindi ben conosciuto
la comune appartenenza al Signore, si chie- dalla comunità.
di aiuto fraterno riecheggia 2,4; in 4,4 l’invito alla gioia rimanda a 2,18 e 3,1;
infine, in 4,9 l’imitazione di Paolo si lega chiaramente a 3,17.
Gli imperativi presentati dall’Apostolo in 4,2-9 non hanno, in linea generale,
un contenuto preciso, lasciando ai cristiani il compito di vedere come metterli in
pratica nel loro contesto. Ciò è tipico della parenesi di Paolo, che ricorda ai suoi
i valori senza imporre alcun atteggiamento, ma affidando al discernimento dei
credenti, sotto la guida interiore dello Spirito, la concretizzazione di essi. Se alcune
volte nelle sue lettere l’Apostolo dona indicazioni specifiche, lo fa perché ritiene
che in quel frangente e in tale questione i destinatari manchino di discernimento. In
fondo per Paolo più i credenti sono guidati dalla loro relazione con Cristo e dalla
mozione dello Spirito e meno hanno bisogno di ricevere delle regole operative.
Il testo di 4,2-9 è composto da tre parti: esortazione alla concordia tra Evodia e
Sintiche (2-3), appello alla gioia e alla fiducia nel Signore (4-7), invito a pensare
e agire da cristiani sull’esempio di Paolo (8-9).
4
Χαίρετε ἐν κυρίῳ πάντοτε· πάλιν ἐρῶ, χαίρετε. 5 τὸ ἐπιεικὲς
ὑμῶν γνωσθήτω πᾶσιν ἀνθρώποις. ὁ κύριος ἐγγύς. 6 μηδὲν
Hanno lottato (sunh, q lhsan) – Il verbo ovno,mata evn bi,blw| zwh/j) – Il «libro della vi-
sunaqle,w, proprio del linguaggio militare, ri- ta» potrebbe riferirsi al fatto che i Filippesi,
correva già in 1,27 e, insieme agli altri termi- essendo cittadini romani, avevano ricevuto
ni presenti nel versetto composti con il prefis- l’iscrizione nel libro (registro) dei cittadini
so sun- [su,zuge («compagno»); sulla,mbanou romani della colonia (cfr. Svetonio, Caligola
(«aiuta»)], intende sottolineare la finalità dei 8,2). Il riferimento più sicuro è però quello
vv. 2-3, cioè l’esortazione all’unità. proveniente dallo sfondo biblico e apocalit-
Clemente (Klh,mentoj) – Questo personag- tico (p. es., Sal 69,29; Ap 3,5; 1 Enok 47,3;
gio, il cui nome rivela un’origine latina non 4QParole dei Luminaria [4QDibHama] 6,14),
è menzionato in nessun testo del NT. Proba- dove il fatto di venire scritti in questo libro
bilmente è un cristiano di Filippi noto alla significa essere destinati alla vita eterna.
comunità e perciò Paolo non ha bisogno di 4,4 Sempre (pa,ntote) – Nel contesto signifi-
presentarlo. ca «in ogni circostanza», quindi anche nelle
I cui nomi sono nel libro della vita (w-n ta. difficoltà (cfr. 1Ts 5,16).
4
Gioite nel Signore, sempre; lo ripeterò: gioite. 5La vostra affabilità
sia conosciuta da tutti gli uomini. Il Signore è vicino. 6Non siate
4,5 Affabilità – L’aggettivo evpieikh,j (nel 119,151; 145,18), sia in senso temporale,
nostro versetto usato al neutro e sostantiva- riferendosi alla prossimità del «giorno del
to così da corrispondere al nome evpiei,keia) Signore» (cfr., p. es., Is 13,6; Gl 1,15; Sof
compare nella Settanta (Est 3,13b; 8,12i; Sal 1,7.14). È da collegare logicamente al ver-
85,5 [TM 86,5]; Salmi di Salomone 5,12), setto seguente e alle richieste in esso con-
nel NT (1Tm 3,3; Tt 3,2; Gc 3,17; 1Pt 2,18) tenute.
e nei filosofi e moralisti contemporanei a 4,6 Non siate in ansia per nulla (mhde. n
Paolo per denotare bontà, benevolenza e merimna/te) – Nel lessico utilizzato c’è un ri-
mansuetudine, in opposizione alla violenza chiamo soprattutto alle parole di Gesù di Mt
e all’intolleranza. 6,25 e poi anche a quelle dello stesso Paolo
Il Signore è vicino (o` ku,rioj evggu,j) – La in 1Cor 7,32-34. Un riferimento specifico
frase può essere compresa sia in senso di questo invito potrebbe essere l’ostilità
spaziale, indicando che Dio è a fianco di nei confronti dei cristiani di Filippi di cui si
chi pone in lui la sua speranza (Sal 34,19; parla in 1,27-30.
8
Τὸ λοιπόν, ἀδελφοί, ὅσα ἐστὶν ἀληθῆ, ὅσα σεμνά, ὅσα δίκαια,
ὅσα ἁγνά, ὅσα προσφιλῆ, ὅσα εὔφημα, εἴ τις ἀρετὴ καὶ εἴ τις
8
Del resto, fratelli, tutto ciò che è vero, tutto ciò che è nobile,
tutto ciò che è giusto, tutto ciò che è puro, tutto ciò che è
amabile, tutto ciò che è onorabile, qualsiasi cosa sia virtuosa e
è proprio del linguaggio militare e indica la la persona, mentre i pensieri alla facoltà ra-
difesa assicurata da una guarnigione (2Cor zionale.
11,32; Giuseppe Flavio, Guerra giudaica 4,8 Amabile (prosfilh/ ) – L’aggettivo
1,141 passim); nel NT è usato, come nel prosfilh,j qui utilizzato è un hapax lego-
nostro versetto, anche in senso metaforico menon neotestamentario, ma si trova nella
(Gal 3,23; 1Pt 1,5). Settanta (Est 5,1b; Sir 4,7; 20,13). Esso in-
Pensieri (noh, m ata) – Il codice di Augia dica qualcosa che suscita l’ammirazione e
(F) e quello di Börner (G) leggono «cor- la simpatia.
pi» (sw,mata), probabilmente perché con- Onorabile (eu;fhma) – L’aggettivo eu;fhmoj,
siderano ridondante l’uso di «pensieri» un hapax legomenon biblico, segnala ciò che
dopo «cuori» (kardi,aj). Mentre la versio- è stimato e ben reputato.
ne «pensieri e i corpi» (noh,mata kai. ta. Qualsiasi cosa sia virtuosa (avreth,) – Il so-
sw, m ata), che sembra riportare il papiro stantivo greco (alla lettera: «virtù») è un
di Oxyrhynchus 1009 (î16), è una confla- hapax legomenon paolino, ma viene usato
zione delle precedenti. Nella lezione pre- nel NT (1Pt 2,9; 2Pt 1,3.5) e ha molte oc-
ferita dal testo critico, i cuori si riferiscono correnze nella Settanta. Indica l’eccellenza
alla dimensione volitiva ed emozionale del- morale di una persona.
ticipati i beni della salvezza che superano ogni progetto e attesa umana, preparati
da Dio per coloro che in lui credono e sono uniti a Cristo (cfr. 1Cor 2,9). Inoltre,
con un probabile riferimento alla situazione della colonia romana di Filippi, Paolo
afferma che tale pace, e non la pax romana dell’imperatore, proteggerà e garantirà
i credenti filippesi avvolgendo completamente la loro interiorità, laddove nascono
i sentimenti, le intenzioni e i pensieri.
solo non impone dei contenuti precisi agli ascoltatori, affidandosi al loro discer-
nimento cristiano, ma arriva a ricordare loro determinati valori, solo dopo avere
insistito sulla attitudine profonda dei credenti (cfr. vv. 4-7), in modo che il loro
agire morale sia animato dall’interno.
Il v. 8 si pone sul piano della valutazione e del discernimento, mentre il v. 9 su
quello dell’agire e del dover fare. In ogni caso i due versetti sono consequenziali
e non in contrasto tra loro come alcuni pensano, sottolineando l’inconciliabilità
dei valori pagani con la prospettiva cristiana. Quindi, secondo Paolo, ciò che è
eccellente e degno di lode, presente nel mondo circostante, i Filippesi lo hanno
già appreso dal suo insegnamento e dal suo esempio di vita.
I destinatari, essendosi appropriati di questi valori, sono ora invitati a continuare a
metterli in pratica nel loro agire. Così sperimenteranno la presenza di Dio, che dona
la pace, in mezzo a loro. L’Apostolo, concludendo tutte le esortazioni della lettera,
si presenta nuovamente ai Filippesi come un modello da imitare (cfr. 1,30; 3,17). In
base a quello che secondo gli antichi doveva essere il maestro ideale nei confronti
dei discepoli, Paolo è un punto di riferimento per i suoi grazie alla piena coerenza
tra ciò che insegna e ciò che vive. I cristiani di Filippi hanno quindi tutti gli aiuti per
sapere come comportarsi ascoltando e guardando vivere l’Apostolo.
EPILOGO.
RINGRAZIAMENTO CON NOTIZIE AUTOBIOGRAFICHE (4,10-20)
Il testo di 4,10-20 richiama, dal punto di vista lessicale e tematico, il ringrazia-
mento iniziale di 1,3-11, prologo che precedeva il corpus della lettera. Così il nostro
brano può ben costituire l’epilogo dell’epistola dopo che il corpus si è ormai con-
cluso. I legami lessicali con 1,3-11 sono numerosi: «il mio Dio» (1,3; 4,19); «gioia»
91 FILIPPESI 4,10
10
Inoltre, ho gioito grandemente nel Signore perché ora,
finalmente, avete fatto rifiorire i vostri sentimenti per me:
ei;dete evn evmoi,) – Richiama il passo molto si- turo «sarà» (e;stai), fa parte di una promessa.
mile di 1,30: ei;dete evn evmoi. kai. nu/n avkou,ete 4,2-9 Testi affini: Rm 12,9-21; 1Ts 5,14-
evn evmoi, (alla lettera: «avete visto in me e ora 22
ascoltate in me») e la stessa finalità imitativa 4,10 Grandemente (mega,lwj) – L’avverbio è
dell’esempio di Paolo che i due passi hanno un hapax legomenon neotestamentario.
in comune con 3,17. Avete fatto rifiorire (avneqa,lete) – Il verbo
Il Dio della pace (o` qeo.j th/j eivrh,nhj) – Il avnaqa,llw, hapax legomenon neotestamenta-
sintagma è utilizzato da Paolo come un augu- rio, suggerisce l’immagine della ripresa della
rio (p. es., Rm 15,33; 2Cor 13,11; 1Ts 5,23), vita legata alla fioritura della campagna dopo
ma nel nostro contesto, in dipendenza dal fu- l’inverno (cfr. Sir 50,10).
(1,4) e «ho gioito» (4,10); «vostra partecipazione» (tē̂[i] koinōnía[i] hymō̂n, 1,5)
e «condivise» (ekoinōˊnēsen, 4,15); «Vangelo» (1,5; 4,15); «ha cominciato» (enar-
xámenos, 1,6) e «all’inizio» (en archē̂[i], 4,15); «partecipi» (synkoinōnoús, 1,7) e
«prendere parte» (synkoinōnēˊsantes, 4,14); «pensi» (phroneîn, 1,7) e «sentimenti»
(phroneîn, 4,10); «ricolmati» (1,11) e «ricolmerà» (4,19); «frutto» (karpón, 1,11),
«profitto» (karpón, 4,17); «gloria» (1,11; 4,19). Dal punto di vista tematico ciò che
nel primo testo è soltanto evocato, ossia la partecipazione anche finanziaria alla
missione di annuncio di Paolo, ora in 4,10-20 è chiaramente spiegato, riferendosi
al dono dei Filippesi ricevuto per mano di Epafrodito.
Sin dall’inizio del nostro brano si è sorpresi dal fatto che l’Apostolo non rin-
grazi esplicitamente la comunità di Filippi per l’aiuto ricevuto, ma parli più che
dei sussidi della sua capacità di adattamento e di autosufficienza, fornendo notizie
riguardanti se stesso. L’atteggiamento di Paolo è innanzi tutto da comprendersi
sullo sfondo della cultura greco-romana, secondo la quale attraverso un dono
fatto e ricevuto si contrae un obbligo sociale basato sul principio della reciprocità,
tipico anche delle relazioni amicali. Egli intende sottrarsi a un rapporto siffatto
con i suoi e, nello stesso tempo, renderli consapevoli della gratuità caratteristica
del donare cristiano.
La pericope è da dividere in tre unità tematiche che presentano: la gioia di Paolo
per il dono (10-13), il vero valore del dono dei Filippesi (14-17), la ricompensa
di Dio (18-20).
ἠκαιρεῖσθε δέ. 11 οὐχ ὅτι καθ᾽ ὑστέρησιν λέγω, ἐγὼ γὰρ ἔμαθον
ἐν οἷς εἰμι αὐτάρκης εἶναι. 12 οἶδα καὶ ταπεινοῦσθαι, οἶδα καὶ
περισσεύειν· ἐν παντὶ καὶ ἐν πᾶσιν μεμύημαι, καὶ χορτάζεσθαι
καὶ πεινᾶν καὶ περισσεύειν καὶ ὑστερεῖσθαι· 13 πάντα ἰσχύω ἐν
τῷ ἐνδυναμοῦντί με.
Vi mancava l’opportunità (hvkairei/sqe) – Il hapax legomenon del NT, mentre è usato nella
verbo avkaire,w, qui usato alla forma media, Settanta (4 Maccabei 9,9; Pr 30,8; Sir 5,1) per
è un hapax legomenon in tutta la Bibbia ed è connotare indipendenza, l’avere a sufficienza
molto raro nella lingua greca prima di Paolo. per vivere, l’essere soddisfatti di ciò che si ha.
4,11 Per bisogno (kaqV u`ste,rhsin) – Il so- 4,12 Vivere nella privazione – Il verbo
stantivo u`ste,rhsij è presente altrove nella tapeino,w (tradotto: «umiliò») era stato già
Bibbia soltanto in Mc 12,44; esso designa impiegato a proposito di Cristo in 2,8. Nel
la condizione di chi è nell’indigenza a causa nostro versetto è da collegare a una situazio-
della mancanza dei beni necessari. ne di povertà economica e all’umiliazione
Autosufficiente (auvta,rkhj) – L’aggettivo è un che ne consegue.
zia e della vicinanza dei Filippesi. Egli non si ferma al dono stesso, che non
menziona, bensì a ciò che questo esprime dell’atteggiamento della comunità
nei suoi confronti. Si tratta di un «sentire» (phronéō) che non consiste solo
nell’affetto, ma che dipende dallo stesso «sentire» di Cristo che i Filippesi
sono chiamati a riprodurre nelle loro vite (cfr. 2,5). Inoltre, dalle parole uti-
lizzate dall’Apostolo, si desume che per un certo tempo i cristiani di Filippi
non gli hanno fatto pervenire i loro aiuti. Tuttavia Paolo, tenendo unicamente
a sottolineare che non ha mai dubitato dei sentimenti dei destinatari ai quali
mancava l’occasione per palesarli, non chiarisce le circostanze che avrebbero
impedito l’invio di tali aiuti. Unico indizio potrebbe essere quello presente nel
testo di 2Cor 8,1-3, dove si narra della grande prova subita dalle Chiese della
Macedonia e della loro conseguente profonda povertà, situazione che non ha
comunque impedito la loro attiva partecipazione alla colletta in favore della
Chiesa di Gerusalemme.
Sebbene Paolo apprezzi l’aiuto dei Filippesi, nei vv. 11-13 interviene per
impedire che la sua reazione sia mal compresa dai suoi ascoltatori (in termini
retorici si tratta di una correctio). Così nel v. 11 chiarisce che la sua gioia non
è dovuta alla soddisfazione di un bisogno materiale, perché ha appreso a essere
indipendente in qualsiasi circostanza si trovi. L’Apostolo, parlando della sua
autosufficienza, utilizza un termine e un concetto tipicamente stoici: secondo
questa corrente filosofica, l’autárkeia costituisce la virtù per eccellenza del
saggio che, svincolato da tutto e da tutti, è giunto a contare solo su se stesso,
93 FILIPPESI 4,13
Sono stato iniziato (memu,hmai) – Il verbo giunto la parola Cristw/|. In ogni caso, visto
mue,w è un termine tecnico utilizzato per che la preposizione evn nella nostra lettera è
l’iniziazione degli adepti dei culti misterici. sempre legata a ku,rioj o Cristo,j, la lettu-
La forma passiva, qui utilizzata, e la conno- ra in chiave cristologica dell’espressione è
tazione religiosa del vocabolo concorrono molto attendibile. Il verbo evndunamo,w («da-
nel segnalare l’azione di Dio. re forza») si lega all’azione del Risorto nei
4,13 In colui che mi dà forza (evn tw/| evnduna- confronti dei credenti (Ef 6,10; 1Tm 1,12;
mou/nti, me) – Alcuni copisti hanno sentito il 2Tm 4,17), agire designato con il sostantivo
bisogno di esplicitare l’espressione riferen- du,namij («potenza») in 3,10 e con il verbo
dola a Cristo e per questo alla fine hanno ag- du,namai («potere») in 3,21.
accettando ogni condizione di vita e giungendo quindi alla vera libertà (cfr. Se-
neca, La vita beata 6,2). Paolo, come appare dal contesto del brano, si distanzia
evidentemente dalla visione stoica dal momento che la sua indipendenza dalle
circostanze esterne è tutta basata sulla sua dipendenza da Dio. Tuttavia qui
viene ribadita la prospettiva positiva dei vv. 8-9 riguardo ai valori filosofici e
morali del tempo: così l’Apostolo senza rigettarli li motiva a partire dalla sua
esperienza «in Cristo».
Il v. 12 è un’amplificazione e un’esplicitazione del v. 11, intendendo spiegare
che cosa significhi per Paolo essere indipendente. A partire dalla propria esperien-
za, egli sa come vivere sia nelle situazioni di indigenza sia in quelle di abbondanza.
In effetti, riprendendo e sviluppando la sua affermazione, l’Apostolo sostiene che
Dio stesso gli ha insegnato ad adattarsi a tutte le condizioni opposte ed estreme e
a trarre giovamento da ciascuna.
In fondo, come mostra conclusivamente il v. 13, Paolo riceve dal suo Signore la
forza per affrontare ogni situazione senza esserne condizionato, ma, al contrario,
rimanendone indipendente. Questa interpretazione cristologica della sua vita, con
le diverse vicende che la contraddistinguono, è da collegare ad altri passi delle
lettere dove i missionari del Vangelo sono esposti a sofferenze e privazioni (1Cor
4,9-13; 2Cor 6,4-10; 11,23-29), ma proprio nella loro debolezza si manifesta tutta
la potenza di Dio per mezzo di Cristo e della sua risurrezione (2Cor 4,7-11; 12,9-
10). L’autosufficienza di Paolo sta dunque nella sua dipendenza esclusiva da Dio
mediante la sua comunione con il Risorto.
FILIPPESI 4,14 94
14
πλὴν καλῶς ἐποιήσατε συγκοινωνήσαντές μου τῇ θλίψει.
15
οἴδατε δὲ καὶ ὑμεῖς, Φιλιππήσιοι, ὅτι ἐν ἀρχῇ τοῦ εὐαγγελίου,
ὅτε ἐξῆλθον ἀπὸ Μακεδονίας, οὐδεμία μοι ἐκκλησία
ἐκοινώνησεν εἰς λόγον δόσεως καὶ λήμψεως εἰ μὴ ὑμεῖς μόνοι,
16
ὅτι καὶ ἐν Θεσσαλονίκῃ καὶ ἅπαξ καὶ δὶς εἰς τὴν χρείαν μοι
ἐπέμψατε. 17 οὐχ ὅτι ἐπιζητῶ τὸ δόμα, ἀλλὰ ἐπιζητῶ τὸν καρπὸν
τὸν πλεονάζοντα εἰς λόγον ὑμῶν.
4,14 Prendere parte alla mia tribolazione 4,15 Filippesi (Filipph,sioi) – Il termine
(sugkoinwnh,sante,j mou th/| qli,yei) – Il deriva dal latino Philippenses. Viene usata
verbo sugkoinwne,w è usato altrove nella questa forma invece dell’usuale Filippei/j
Bibbia solo in Ef 5,11 e Ap 18,4 per in- o Filipphnoi,,, probabilmente per mettere
dicare una partecipazione a qualcosa con in rilievo la cittadinanza romana dei desti-
qualcuno. In precedenza, nel testo di Fil natari.
1,3-11, erano state impiegate due espres- All’inizio dell’annuncio del Vangelo (ev n
sioni simili: evpi. th/| koinwni,a| u`mw/n eivj to. avrch/| tou/ euvaggeli,ou) – Si parla dal punto
euvagge,lion («a motivo della vostra parteci- di vista dei Filippesi, riferendosi a quando
pazione al Vangelo») in 1,5 e sugkoinwnou,j essi accolsero per la prima volta il Vangelo.
mou th/j ca,ritoj («partecipi della mia gra- Condivise (evkoinw,nhsen) – Il verbo koinwne,w
zia») in 1,7. Questi richiami denotano che denota una partecipazione finanziaria come
la vicinanza dei Filippesi alla situazione di in Rm 12,13 e Gal 6,6.
sofferenza di Paolo prigioniero è un segno Un conto di dare e avere (lo,gon do,sewj kai.
della loro partecipazione all’annuncio del lh,myewj) – Espressioni proprie del linguag-
Vangelo. gio commerciale, che evocano un registro
14
Tuttavia avete fatto bene a prendere parte alla mia
tribolazione. 15Del resto sapete anche voi, Filippesi, che
all’inizio dell’annuncio del Vangelo, quando partii dalla
Macedonia, nessuna Chiesa condivise con me un conto di dare
e avere se non voi soli, 16poiché anche in Tessalonica più di una
volta mi avete inviato ciò di cui avevo bisogno. 17Non cerco il
dono, cerco piuttosto il profitto che si accresce sul vostro conto.
del dare e avere (cfr. Sir 42,3.7; Tucidide, (Mt 7,11; Lc 11,13; Ef 4,8) e nella lingua
Storie 3,46,4). Ma tutto ciò viene usato greca è usato per indicare un’ampia gamma
anche per descrivere la reciprocità nelle re- di doni e di servizi, soprattutto in un contesto
lazioni, soprattutto quelle amicali (cfr. Sir di amicizia.
41,21; Epitteto, Discorsi 2,9,12). Nel testo Profitto (karpo,n) – Il termine karpo,j era
il sintagma si riferisce sia all’aiuto dei Fi- stato già utilizzato, con valenze diverse,
lippesi, sia a quanto hanno ricevuto dal loro in 1,11.22. In 4,17, in collegamento con
evangelizzatore. l’espressione «sul vostro conto» (eivj lo,gon
4,16 Più di una volta (kai. a[pax kai. di,j) u`mw/n), assume un significato commerciale,
– Formula idiomatica (alla lettera: «e una legato al guadagno acquisito in una transa-
volta e due volte»), utilizzata anche in 1Ts zione. Si tratta di un profitto per l’oggi, visto
2,18, che indica l’insistenza e la continuità il participio presente pleona,zonta («che si
dei Filippesi nel sovvenire alle necessità di accresce») al quale karpo,n si riferisce nel
Paolo. contesto. Ma in ragione dell’uso di karpo,j
4,17 Dono (do,ma) – Il vocabolo presenta in 1,11.22 non è da escludere una sfumatura
solo tre altre occorrenze neotestamentarie escatologica.
pletando al v. 16 la storia dei suoi rapporti con i destinatari, l’Apostolo ricorda che
anche quando era a Tessalonica – e quindi ancora in Macedonia – essi lo hanno
continuamente aiutato (cosa di cui non si fa alcuna menzione né nel testo degli
Atti, né nella corrispondenza tessalonicese).
Nel complesso, questi versetti non sono delle “notizie”, visto che i Filippesi
conoscono già i fatti narrati, ma si configurano come una “ripetizione”, volta a
sottolineare la continua generosità dei destinatari nei confronti dell’Apostolo.
Inoltre il linguaggio commerciale utilizzato nel testo evoca il fatto che l’aiuto
ricevuto dall’Apostolo è di natura economica, ma indica, anche attraverso un uso
metaforico dei termini, il rapporto di amicizia tra Paolo e i Filippesi che non è
basato semplicemente su una relazione di reciprocità ma sulla comune parteci-
pazione nel e per il Vangelo.
Il v. 17 è volto a prevenire un malinteso derivante dai versetti immediata-
mente precedenti (in termini retorici si tratta di un’altra correctio): esaltando
la costante e unica generosità dei Filippesi, Paolo non intende ingraziarseli per
ottenere altri aiuti. Anzi, l’Apostolo afferma che accettando il loro dono egli cerca
di incrementare il loro cammino di fede. Con il nuovo utilizzo di una metafora
FILIPPESI 4,18 96
4,18 Ho tutto (avpe,cw pa,nta) – Nel linguag- Sacrificio accetto (qusi,an dekth,n) – Questa
gio commerciale l’espressione equivale a coppia è presente nella Settanta (p. es., Lv
una quietanza, ma è usata anche nel con- 19,5; Sir 35,6; Is 56,7) per indicare un’offer-
testo della filosofia stoica per affermare la ta appropriata a Dio e quindi, come specifica
propria autosufficienza (Epitteto, Discorsi, nel nostro versetto euva,reston («gradito»), di
3,24,17). cui lui si compiace. Da notare che nel NT,
Profumo soave (ovsmh.n euvwdi,aj) – Il sintag- come già in Sap 4,10; 9,10, l’aggettivo
ma è utilizzato una cinquantina di volte nella euva,restoj descrive soprattutto la condotta
Settanta e indica l’aroma che sale dall’offer- che Dio desidera dal credente (p. es., Rm
ta sacrificale bruciata al cospetto di Dio. La 14,18; Col 3,20; Eb 13,21).
sola altra occorrenza del NT è in Ef 5,2, in 4,19 Ricolmerà (plhrw,sei) –. Alcuni testi-
connessione con l’autodonazione per amore moni occidentali e altri manoscritti leggono
di Gesù. «ricolmi» (plhrw,sai), ma questa lezione
finanziaria, Paolo mostra paradossalmente che ciò che i Filippesi pensano di fare
per suo vantaggio in realtà lo fanno per il loro. Infatti, l’assistenza dei destinatari
nei confronti del prigioniero a causa del Vangelo contribuisce a una presente e
costante crescita spirituale, in vista anche del compimento escatologico. Tale
ragionamento indica che i rapporti tra l’autore e gli ascoltatori sono veramente
buoni, perché, facendo leva su queste parole, chi volesse fare la parte del conte-
statore potrebbero accusare Paolo di accampare false ragioni di ordine spirituale
per approfittare dei Filippesi.
Il fatto che i cristiani di Filippi abbiano più volte inviato all’Apostolo i loro
aiuti sembra in aperta contraddizione con la normale prassi paolina di indipen-
denza economica dalle sue comunità. Nella corrispondenza con i Corinzi, Paolo
sostiene, a fronte delle critiche rivoltegli, che per lui, a differenza degli altri
missionari cristiani, è una scelta di fondo non accettare alcuna rimunerazione
(1Cor 9,1-27; 2Cor 11,7-10; 12,13-18). La stessa linea è poi da lui adottata anche
a Tessalonica, dove l’Apostolo ha provveduto alle sue necessità con il lavoro
personale (1Ts 2,9). Perché dunque c’è stata un’eccezione a Filippi? Anzitutto il
contesto doveva essere sicuramente diverso da quello di Corinto e di Tessalonica.
Infatti, in questi due casi c’era sia il serio pericolo di riprodurre nel rapporto tra
l’Apostolo e la sua comunità una logica relazionale di patrono-cliente, tipica della
mentalità greco-romana, sia la necessità da parte di Paolo di distinguersi da altri
missionari cristiani e predicatori itineranti, talvolta a lui ostili, che, bisognosi di
un sostegno economico, non raramente diventavano abili sfruttatori del buon
97 FILIPPESI 4,20
18
Ora ho tutto e ho in abbondanza. Sono stato ricolmato, avendo
ricevuto da Epafrodito i vostri doni: profumo soave, sacrificio
accetto e gradito a Dio. 19E il mio Dio ricolmerà ogni vostro
bisogno, secondo la sua ricchezza gloriosa per mezzo di Cristo
Gesù. 20Al nostro Dio e Padre la gloria nei secoli dei secoli. Amen.
non può essere quella originale perché l’altra è sia al presente sia ai tempi escatologici).
ha un’attestazione di gran lunga superiore, 4,20 Nei secoli dei secoli (eivj tou.j aivw/
soprattutto per qualità. Così nel versetto il naj tw/n aiv w,nwn) – Formula di eternità
verbo introduce una promessa e non una propria del NT (p. es., Eb 13,21; 1Pt 4,11;
preghiera di domanda. Ap 1,6); in questa forma è presente soltanto
La sua ricchezza (to. plou/toj auvtou/) – Il due volte nella Settanta (4 Maccabei 18,24;
concetto è legato all’agire salvifico di Dio a Sal 83,5 [TM 84,5]).
favore degli uomini (p. es., Rm 2,4; Ef 1,18; Amen (avmh,n) – Termine ebraico e aramaico
Col 1,27). che suggerisce l’idea di realtà e di fermezza;
Gloriosa per mezzo di Cristo Gesù (ev n esprime l’assenso ed è usato, come nel no-
do,xh| evn Cristw/| VIhsou/) – Dio agisce nei stro versetto, a conferma di una dossologia
confronti dell’umanità e manifesta la sua da parte dell’assemblea.
gloria per mezzo di Cristo (il riferimento 4,10-20 Testi affini: 2Cor 8,1-5; 9,7-15
cuore degli ascoltatori. Invece, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, il
rapporto tra l’Apostolo e i destinatari filippesi è sicuramente positivo e scevro da
possibili malintesi, così l’accettazione del loro aiuto economico non crea problemi
particolari. In ogni caso il contributo dei Filippesi non rientra nello schema di una
rimunerazione o del rapporto patrono-cliente, ma rappresenta, anche nella sua
continuità, una libera e spontanea partecipazione al ministero di annuncio di Paolo.
4,21 Salutate (VAspa, s asqe) – Il verbo Kai,saroj oivki,aj) – L’espressione greca riprende
avspa,zomai è tipico dei saluti presenti alla fine quella latina familia Caesaris, presente in iscri-
delle lettere del NT, a differenza di quanto zioni e testi letterari. Non si tratta dei membri
avviene nei postscripta classici. Come in Rm della famiglia dell’imperatore, bensì di schiavi
16 e in 1Ts 5,26, si utilizza l’imperativo di o liberti a servizio nel palazzo dell’imperatore
seconda plurale di avspa,zomai senza specifi- o nell’amministrazione imperiale (compresa la
care il riferimento del «voi». gestione del suo patrimonio), che potevano ri-
4,22 Quelli della casa di Cesare (oi` evk th/j siedere a Roma e nelle varie province.
sito del servizio, visto come atto di culto a Dio, compiuto nei confronti di Paolo
da Epafrodito, rappresentante della comunità. In altre parole, i Filippesi hanno
pensato di donare a Paolo, ma in effetti hanno donato a Dio stesso.
Per questo al v. 19 l’Apostolo annuncia, ancora con un linguaggio commerciale
e attraverso una dichiarazione profetica rivolta al futuro come quelle dei vv. 7.9,
che sarà Dio a ricompensare i destinatari per la loro generosità nei confronti del
prigioniero a causa del Vangelo. Infatti i Filippesi hanno provveduto («sono stato
ricolmato», v. 18) alle necessità («ciò di cui avevo bisogno», v. 16) di Paolo e
allora spetta a Dio colmare («ricolmerà», v. 19) le loro esigenze («ogni vostro
bisogno», v. 19). Dio interverrà, al presente e nel futuro prossimo ed escatologico,
come sempre fa nel suo operare salvifico, cioè ben aldilà dei desideri dei cristiani
di Filippi colmando ogni loro bisogno e non solo quelli di natura materiale. Tro-
viamo quindi una corrispondenza con l’inizio della lettera e in particolare con 1,9-
11, dove l’Apostolo dice di aver pregato affinché i Filippesi siano riempiti delle
benedizioni divine (in ordine a una crescita nell’amore), visto che ora, sicuro della
generosità di Dio, egli sostanzialmente dichiara che esse di certo si realizzeranno.
In questo contesto, da una parte, Paolo richiama l’eredità biblica che afferma
come Dio ridoni con generosità quello che è stato dato in aiuto ai poveri (cfr., p.
es., Dt 15,9-10; Tb 4,8-11 [secondo il codice Vaticano]; 2Cor 9,8-10); dall’altra,
si distacca dal principio della reciprocità del mondo greco-romano, trasferendo
al suo Dio l’onere di ricompensare la prodigalità dei Filippesi.
La pericope si chiude al v. 20 con una dossologia che consta dei tre tipici
elementi: colui al quale è diretta, il contenuto della lode, un sintagma temporale
(cfr., p. es., Rm 16,25-27; Gal 1,5; Ef 3,20-21). Non si tratta soltanto della giusta
celebrazione della generosità di Dio nei confronti dei Filippesi, di cui si è appena
parlato nel versetto precedente, ma dell’appropriata chiusura della lettera appena
prima del postscriptum. Infatti le esortazioni dell’epistola, in particolare quelle di
3,1–4,1, invitavano i destinatari a fare della propria vita, seguendo l’esempio di
99 FILIPPESI 4,23
4,23 Col vostro spirito (meta. tou/ pneu,matoj allo Spirito Santo. In diversi e importanti
u`mw/n) – La variante «con tutti voi» sostitui- manoscritti il v. 23 termina con amen (avmh,n),
sce tou/ pneu,matoj con pa,ntwn, ma non è ma probabilmente si tratta di un’aggiunta in
considerata originale perché la sua attesta- accordo con la pratica liturgica e in ripresa
zione è di valore notevolmente minore ri- dello stesso vocabolo del v. 20.
spetto all’altra. Come nei postscripta di Gal 4,21-23 Testi affini: Rm 16,1-24; 1Cor
6,18; Fm 25; 2Tm 4,22, Paolo si riferisce 16,19-24; 2Cor 13,11-13; Gal 6,11-18;
allo spirito di ciascuno dei credenti e non 1Ts 5,25-28; Fm 21-25
Paolo, una lode del Signore che, in quanto tale, è resa manifesta nella dossologia.
Infine l’«amen», proprio della risposta assembleare, ci ricorda come le lettere
paoline siano destinate alla pubblica lettura di fronte a tutta la comunità.
Al termine di 4,10-20 è possibile comprendere meglio quanto già accennato
in precedenza riguardo all’atteggiamento dell’Apostolo nei confronti dei sussidi
ricevuti dai Filippesi. Egli non intende minimizzare il loro dono; desidera piuttosto
che non vengano fraintese le motivazioni della sua reazione a esso. In effetti, Paolo
desidera che i suoi vedano la loro generosità come un puro frutto del Vangelo e
come un vero atto di culto a Dio. Concludendosi il dettato epistolare con alcune
riflessioni sugli aiuti dei Filippesi, questi manterranno particolarmente a mente
l’elogio che l’Apostolo ha fatto della loro generosità e vi vedranno un ultimo
segno di amicizia e di sostegno per rimanere fedeli al Vangelo che essi hanno
ricevuto proprio da lui.
POSTSCRIPTUM (4,21-23)
Paolo segue le regole dell’epistolografia antica e, avendo aperto in 1,1-2 con
il praescriptum, chiude in 4,21-23 con il postscriptum. Nell’antichità quest’ul-
timo elemento non ha la funzione di aggiungere quanto è stato dimenticato nel
corpus della lettera, secondo quello che avviene per noi oggi. In epoca classica il
postscriptum riveste valore giuridico di autenticazione della lettera, scritta nor-
malmente da un segretario. Così accade, con ogni probabilità, anche nelle lettere
paoline, poiché alcune volte, alla fine delle medesime, l’Apostolo segnala il suo
intervento autografo (cfr. 1Cor 16,21; Gal 6,11; Col 4,18; 2Ts 3,17; Fm 19). Di
regola nell’epistolario antico si termina brevemente con un arrivederci e con un
augurio di buona salute, sintetizzati in un’unica espressione come «sta’/state
bene», alla quale si può aggiungere «buona fortuna», oppure «prego che tu stia
bene». Nell’epistolario paolino il postscriptum è notevolmente più ampio e include
altri elementi, tra i quali i più frequenti sono i saluti, con mittenti e destinatari
FILIPPESI 100
di Gaetano Comiati
Scorriamo ora, con uno sguardo più ampio, l’intero ciclo delle
domeniche del tempus per annum. Ci accorgiamo che a offrir-
FILIPPESI NELLA LITURGIA 104
Presentazione pag. 3
Introduzione » 9
Titolo e posizione nel canone » 9
Aspetti letterari » 10
Articolazione della lettera » 10
La lettera nel suo contesto culturale » 12
Linee teologiche fondamentali » 14
Destinatari, autore e datazione » 17
La città e la comunità cristiana di Filippi » 17
Autore ed epoca di composizione » 19
Testo e trasmissione del testo » 21
Bibliografia » 24
Commenti » 24
Studi » 24
Ai Filippesi » 27