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Paideia Editrice
ISBN 88.394.06Z5.5
9 Premessa
il Abbreviazioni e sigle
# 1
Parte prima
P A O L O E I SUOI SCRITTI
Capitolo 1
16 La vita di Paolo
Capitolo 11
42 Gli scritti paolini
Capitolo h i
60 Testimonianze esterne su Paolo e i suoi scritti
Parte seconda
LA C O R R I S P O N D E N Z A TESSALONICESE
Capitolo iv
94 La prima lettera ai Tessalonicesi
Capitolo v
108 La catechesi primitiva
Capitolo vi
144 La seconda lettera ai Tessalonicesi
Parte terza
LE G R A N D I LETTERE
Capitolo vii
15 9 La prima lettera ai Corinti
Capitolo vili
185 La seconda lettera ai Corinti
Capitolo ix
209 La lettera ai Galati
Capitolo x
232 La lettera ai Romani
Capitolo xi
273 Teologia delle grandi lettere:
l’antropologia teologica
8 Sommario
Parte quarta
LE LETTERE D E L L A PRIGIONIA
Capitolo XII
303 Le lettere ai Filippesi e a Filemone
Capitolo xm
321 Le lettere ai Colossesi e agli Efesini
Parte quinta
A L T R E LETTERE PAOLINE
Capitolo xiv
3 59 Le lettere pastorali
Capitolo xv
391 La lettera agli Ebrei
Ab. Abacuc. Abd. Abdia. Agg. Aggeo. Am. Amos. Apoc. Apocalisse.
Atti Atti degli Apostoli. Bar. Baruc. Cant. Cantico dei cantici. Col. Let
tera ai Colossesi. i, z Cor. Prima, seconda lettera ai Corinti, i, z Cron. Pri
mo, secondo libro delle Cronache. Dan. Daniele. Deut. Deuteronomio.
Ebr. Lettera agli Ebrei. Eccl. Ecclesiaste. Ef. Lettera agli Efesini. Es.
Esodo. Esd. Esdra. Est. Ester. Ez. Ezechiele. Fil. Lettera ai Filippesi.
Film. Lettera a Filemone. Gal. Lettera ai Galati. Gd. Lettera di Giuda.
Gdt. Giuditta. Gcn. Genesi. Ger. Geremia. Giac. Lettera di Giacomo.
Giob. Giobbe. Gion. Giona. Gios. Giosuè. Gìud. Giudici. Gl. Gioele.
Gv. Vangelo di Giovanni. i, z, 3 Gv. Prima, seconda, terza lettera di Gio
vanni. Is. Isaia. Lam. Lamentazioni. Le. Vangelo di Luca. Lev. Levitico.
1, 2 Macc. Primo, secondo libro dei Maccabei. Mal. Malachia. Me. Van
gelo di Marco. Mich. Michea. Mt. Vangelo di Matteo. Naum Naum.
Neem. Neemia. Num. Numeri. Os. Osea. 1, z Pt. Prima, seconda lettera
di Pietro. Prov. Proverbi. 1, 2 Re Primo, secondo libro dei Re. 1, 2, 3, 4
Regn. Primo, secondo, terzo, quarto libro dei Regni (LXX). Rom. Lettera ai
Romani. Rut Rut. Sai. Salmi. 1, 2 Sam. Primo, secondo libro di Samuele.
Sap. Sapienza di Salomone. Sir. Siracide (Ecclesiastico). Sof. Sofonia. 1,
2 Tess. Prima, seconda lettera ai Tessalonicesi. 1, 2 Tim. Prima, seconda lette
ra a Timoteo. Tit. Tito. Tob. Tobia. Zacc. Zaccaria.
Altre abbreviazioni
(segue)
Sigle
AAT P, Sacchi (ed.), Apocrifi dell’Antico Testamento. ABD Anchor Bible Dic-
tionary. ANRW Aufstieg und Niedergang der Ròmischen Welt. Aug Augusti-
manum. AUSS Andrews University Seminary Studies. BABC Butlleti de l’As-
sociació Biblica de Catalunya. BEvTh Beitràge zur Evangelischen Theologie.
BT Biblical Theology. BZ Biblische Zeitschrift. CBQ Catholic Biblical Quar-
terly. DENT Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento. EvTh Evangelische
Theologie. GLNT Grande Lessico del Nuovo Testamento. HThR The Harvard
Theological Review. JBL Journal of Biblical Literature. JETS Journal of thè
Evangelical Theological Society. LexTQ Lexington Theological Quarterly.
NRT Nouvelle Revue Théologique. NTS New Testament Studies. RB Revue
Biblique. RCT Revista Catalana de Teologia. RivBib Rivista Biblica. SBFLA
Studii Biblici Franciscani Liber Annuus. SHAW.PH Sitzungsberichte der Hei-
delberger Akademie der Wissenschaften, Philosophisch-Historische Klasse. SJT
Scottish Journal of Theology. SP Studia Patristica. StTh Studia Theologica.
Teol Teologia. VF Verkiindigung und Forschung. ZKTh Zeitschrift fiir Ka-
tholische Theologie. ZNW Zeitschrift fiir die Neutestamentliche Wissenschaft.
ZRGG Zeitschrift fiir Religions- und Geistesgeschichte. ZThK Zeitschrift fiir
Theologie und Kirche.
Parte prima
La vita di Paolo
1. Per citare un esempio, R. Bultmann, nella sua Teologia del N uovo Testamento , Brescia 1985,
184, senza tanti preamboli parla di «lettere paoline la cui autenticità è fuori discussione».
2. Il riassunto qui fornito può essere integrato - e a sua volta integra - dalla nostra opera Na-
cido a tiempoy Estella 1994 {traduzione di N ascili a temps 5 Barcelona 199z), d'ora in avanti
citata con il solo titolo seguito dal numero di paragrafo.
La vita di Paolo 17
1. Scritti autentici
3. Le origini di Paolo
Paolo, giudeo della tribù di Beniamino e cittadino romano, nacque a Tar
so di Cilicia, in una famiglia di credenti osservanti della legge.
La sua genealogia («della tribù di Beniamino») e l’immediata adesio-
9. Su questo quadro generale concordano opere assai divergenti come quelle di S.I. Docks,
C h r o n o lo g ie s n é o te s ta m e n ta ir e s et v ie d e l ’É g lìs e p r im it iv e , Gembloux 19 7 6 e G . Liidemann,
P a u lu s d e r H e id e n a p o s t e l, 1. S t u d ie n z u r C h r o n o lo g ie , Gòttlngen 1980.
IO Paolo e i suoi scritti
4. La giovinezza di Paolo
Come dire che un’unica «esperienza» per lui valse quanto, per «gli altri
apostoli, i fratelli del Signore e lo stesso Pietro» (v. 5), vari anni di con
vivenza con il Signore uniti alle apparizioni del Risorto. Quando elenca
queste ultime, menziona anche se stesso come un «feto abortito», P«in
fimo degli apostoli» (15,8 s.), semplicemente perché la lista delle appari
zioni, come pure quella degli apostoli, era considerata definitivamen
te chiusa. Inoltre, Paolo visse come una specie di «violenza» (la ananke
della tragedia greca: 9,16) l’irruzione di Cristo nella sua vita, proprio co
me se fosse stato «conquistato da Cristo» (Fil. 3,12,).
A tale contatto diretto corrisponde l’idea che è apostolo «non da par
te di uomini, né per intervento umano» (Gal. 1,1), e che il vangelo «non
l’ha ricevuto da uomini, né qualcuno glieVha insegnato» (v. 12).13 È pro
pria di ima comunicazione diretta, dunque inaspettata, l’idea che Dio gli
rivelasse «suo Figlio» chiedendogli di annunziarlo in mezzo ai gentili (vv.
15 s.). Si è usato il termine «inaspettata» perché difficilmente prima del
la conversione Paolo poteva essere così esperto di cristologia, e inoltre
perché, per quanto riguarda i gentili, l’ultima cosa che poteva capitare a
un uomo ossessionato dall’identità giudaica era l’offerta immediata ai
gentili della «consolazione» tanto sospirata da Israele (cfr. Le. 2,25).
Certo, in assoluto i testi potrebbero anche esprimere cose diverse. Tut
tavia, fra le ambiguità insite in ogni parola umana riteniamo sia possibi
le cogliere a cosa puntino i testi qui raccolti: a una visione di Gesù glori
ficato nella quale Cristo, presentandosi come Figlio di Dio, affidò a Pao
lo l’incarico esplicito di annunziarlo in mezzo ai gentili.
7. Soggiorno in Arabia
13. Riteniamo che con questa frase si riferisca al modo in cui si svolse la sua conversione (cfr.
N acido a tiempo 37-41) e non alle peculiarità della sua teologia - come afferma ad es. O.
Pfleiderer, D er Paulinismus , Leipzig 1890, 2 -, perché è molto più evidente la sua coincidenza
con tutta la chiesa per quanto riguarda la catechesi, come si potrà cogliere sotto, nel cap. v. La
teologia in quanto tale - ripresa in buona parte nel cap. xi - giungerebbe solo successivamente
come riflessione sulla catechesi.
La vita di Paolo 25
14 . Si noti bene che non dice «non considerai carne e sangue e perciò non salii a Gerusalem
me», ma «e non salii nemmeno (onde , come nei vv. 1.12.) a Gerusalemme».
2 é> Paolo e i suoi scritti
Per un certo periodo Paolo e Barnaba furono legati alla comunità di An
tiochia.
Secondo gli Atti, il rapporto tra Paolo e Barnaba cominciò a Gerusa
lemme, dove quest’ultimo lo presentò agli apostoli (9,2.7); la relazione tra
Barnaba e Antiochia nacque quando una delegazione apostolica inaugu
rò nella città l’evangelizzazione dei gentili (11,12-24); e i rapporti tra
Paolo e Antiochia ebbero inizio quando Barnaba si recò a Tarso per cer
carlo e lo trattenne poi per un anno presso di sé (w. 25 s.), prima di in
traprendere insieme il cosiddetto primo viaggio (capp. 13 s.).
Le lettere non confermano tutti questi punti, ma nemmeno li esclu
dono completamente. Dichiarano che Paolo, dopo la visita a Pietro, si
recò «nelle regioni di Siria e Cilicia» {Gal. 1,21), le cui capitali erano ri
spettivamente Antiochia e Tarso. Non è detto se, recandosi a Gerusalem
me {Gal. 2,1.9), Paolo e Barnaba partirono da Antiochia, come suggeri
sce il parallelo con gli Atti (14,26; 15,1 s.), tuttavia Gal. 2,13 presuppo
ne che, in occasione della visita di Pietro ad Antiochia (v. 11), Barnaba
si trovasse nella città occupando ima certa carica (v. 13: «anche Barna
ba...»), come pure Paolo.
Si può dunque affermare che il filo argomentativo di Gal. 1 s. ha in
dotto i più a credere che, nel quadro della sua permanenza in Siria e Ci
licia (1,21), l’apostolo risiedesse ad Antiochia collaborando con Barna
ba, che da lì partissero entrambi per Gerusalemme (2,1-10) e sempre in
questa città ricevessero la visita di Pietro (vv. n -14 ).16
15 . JSkm vi è opposizione di fondo tra i critici all’idea che si trattò di un periodo di accordo
tra Pietro e Paolo- cfr. D. Liidemann, Pauìus der H eìdenapostely il. Antipaulinismus im friihen
ChrUtentum , Gòttingen 19 8 3 , 72.
16. Questa coerenza si perde se si colloca il cosiddetto «concilio» di Gerusalemme tra il se
condo e il terzo viaggio di Paolo, e non tra il primo e il secondo (cfr. sotto, nr. 12).
io . Il «primo viaggio»
uno dei due passi in cui gli Atti nominano «la regione della Galazia»
{Atti 1 6,6; 18,2.3).
Parleremo di questa evangelizzazione, come di quella di Filippi, Tes-
salonica e Corinto, nel contesto delle rispettive lettere. Anche i problemi
inerenti alla possibilità di più prigionie di Paolo verranno affrontati nel
momento in cui si prenderanno in esame le lettere della prigionia. Con
viene tuttavia fare qualche breve accenno all’evangelizzazione di Berea,
Atene ed Efeso.
Tra tutte le predicazioni descritte in Atti 16-19, quella situata a Berea
(Atti 17,10-15) è l’unica priva di riscontro nelle lettere di Paolo. Nel
quadro di una visione critica, tale predicazione presenta anche altri in
convenienti. Quasi tutto l’episodio non fa che ripetere uno schema pre
ciso: predicazione nella sinagoga (vv. ios.), discreto successo (v. 12.), per
secuzione da parte di alcuni giudei venuti da fuori (v. 13), partenza (w.
14 s.). Solo un elemento è assolutamente originale. Timoteo e Sila resta
no a Berea, lasciando che Paolo si rechi da solo ad Atene. Alcuni vi scor
gono la mano di Luca, che prepara la scena di Paolo ad Atene. Berea gli
serve come «armadio» in cui riporre Timoteo e Sila.iX La scena di Paolo
nella capitale della cultura greca {Atti 17,16-3%) risulta molto più dram
matica se Paolo entra nella capitale completamente solo.
In realtà, ad Atene Paolo potè contare almeno per un certo periodo
sulla compagnia di Timoteo (1 Tess. 3,1 s.). Ma è probabile che questo
sia l’unico dettaglio fittizio nella narrazione di Luca. Infatti non tutto
ciò che Luca racconta della gente di Berea è ripetizione di uno schema. I
giudei della città sono più ben disposti rispetto a quelli di Tessalonica,
accolgono la parola con maggior prontezza e consultano le Scritture per
verificare se le cose stanno davvero così (v. 11). Non si esclude dunque
che l’apostolo possa aver evangelizzato anche Berea e nemmeno che tale
evangelizzazione possa essere stata intrapresa un po’ più tardi da Tessa
lonica o da Filippi (si ricordino gli «atleti» del vangelo e «gli altri colla
boratori» di FU. 4,2 s.), e che al tempo di Luca vi fosse in quel luogo
una comunità «paolina».
Le lettere consentono invece di dedurre alcuni elementi riguardanti la
evangelizzazione di Atene. In 1 Tess. 2,17 Paolo parla come se per un
certo periodo di tempo fosse rimasto separato dai tessalonicesi. «Una
volta, anzi due volte» (v. 18) tenta di far ritorno a Tessalonica (ove al
cune «tribolazioni» rischiano di far «barcollare» la fede dei suoi fedeli:
3,3), ma ne è evidentemente impedito dall’opera intrapresa ad Atene.
Finalmente, «non potendo resistere oltre» (1 Tess. 3,1 s.) invia a Tessalo
nica Timoteo, perché il suo operato ad Atene stava cominciando a dare
2i« Cfr. Haenchen nel commento a questo passo; riguardo ad Atene cfr. W .E. Elliger, Paulus
in Griechenland: Philippi , T bessaloniki, Athens Korinthy Stuttgart 1 9 8 7 , 1 x 7 -19 9 .
30 Paolo e i suoi scritti
22. Come propone Dibelius, Aufsàtze zur Apostelgeschichte , Berlin 1 9 5 1 , 29-70: «Paulus auf
dem Areopag».
2 3 . Semplicemente perché le lettere, unica «pietra di paragone» disponibile, non riportano la
predicazione dell’apostolo a pagani ignoranti, bensì riflessioni riguardanti esclusivamente cre
denti istruiti.
La vita di Paolo 3i
16,9). Il libro degli Atti, passando al genere aneddotico, dipinge a tinte
particolarmente vivaci i successi e le avversità di Paolo nella grande ca
pitale pagana: i miracoli {Atti 19 ,11 s.), la testimonianza - accettata da
tutti (v. 17) - che gli rendono gli spiriti cattivi (v. 15), i libri di arti ma
giche che vengono bruciati spontaneamente (v. 19) e la spettacolare ri
volta degli argentieri, che valutano da un punto di vista economico il
crollo dei culti pagani.
Come diremo a suo tempo, oltre alla prima ai Corinti, Papostolo scris
se probabilmente da Efeso anche le lettere ai Galati e ai Filippesi, come
pure una «lettera intermedia» ai Corinti detta «lettera delle lacrime» (2
Cor. 2,4.9; 7,12). Tutta questa attività lascia ipotizzare che l’apostolo
soggiornasse nella città per due o tre anni {Atti 19,8.10; 20,31).
Rivestono particolare interesse le indicazioni (desumibili con una cer
ta difficoltà) riguardanti l’esistenza di cristiani a Efeso prima dell’arrivo
di Paolo nella città. Apollo, il maestro (predicatore eloquente, origina
rio di Alessandria) che in seguito (probabilmente senza volere) farà «con
correnza» a Paolo (1 Cor. 1,12 e 3,4-7), vi esercitava il suo ministero
{Atti 18,25). A un certo punto Apollo decise di andare a Corinto e i «fra
telli» di Efeso scrissero ai «discepoli» di Corinto per raccomandarlo lo
ro (v. 27). È sufficiente pensare al prestigio di cui Apollo godeva in tale
città (j Cor. 1,12 e 3,4-7) per affermare che i «discepoli» di Corinto so
no la comunità cristiana. Lo stesso vale per i «fratelli» di Efeso (tra i qua
li figurerà nuovamente Apollo, 16,12).
L’indicazione sarebbe chiara se il libro degli Atti, asserito che Apollo
«era stato ammaestrato nella via del Signore, era fervente nello Spirito,
proclamava e insegnava esattamente ciò che si riferiva a Gesù», non ag
giungesse che conosceva solo il battesimo di Giovanni (18,25), Per cui s'
rese necessario che Aquila e Priscilla lo istruissero «con maggiore accu
ratezza» riguardo alla fede (v. 26). Deve trattarsi di una confusione (pro
babilmente voluta) con il gruppo di discepoli di Giovanni di cui si parla
in 19,1-7, allo scopo di scoraggiare l’ipotesi che l’apostolo possa esser sta
to preceduto da altri nell’evangelizzazione di Efeso.24
Se si propende per l’origine efesina della lettera ai Filippesi,25 si dispor
rà di un dato ulteriore riguardante lo stato di quella comunità. Fil. 1,14
18 riferisce che mentre Paolo era in carcere molti si fecero coraggio e
predicarono Cristo, chi con più affetto nei confronti dell’apostolo, chi
con meno. Questi ultimi potrebbero essere i rappresentanti della «vec
chia guardia», che con l’arrivo di Paolo e del suo gruppo si erano sentiti
un po’ soppiantati.
24. Cfr. Haenchen nel commento al passo. 25. Cfr. sotto, cap. xil, lll.i.
1 2 . Cronologia del «concilio» di Gerusalemme
significa che non gli vennero prescritti i duri obblighi appena menziona
ti. Di conseguenza le possibilità sono due: o Luca si è inventato ogni co
sa (circostanza che lo renderebbe un singolare «pedante»), oppure a ciò
che accadde veramente aggiunse decisioni prese in un secondo tempo,
forse dallo stesso Giacomo (il promotore dell’iniziativa secondo Atti 15,
20-29 e che ricorda in 21,25).
Quanto a Paolo, si può aggiungere che l’incidente di Antiochia con
Pietro {Gal. 2,11-14 ; eh-- paragrafo seguente) non avrebbe avuto motivo
di verificarsi se il «concilio» di Gerusalemme avesse ratificato i «decre
ti» di Atti 15,20-29.
Riguardo alle altre divergenze, come si è detto non è difficile giungere
a una «composizione»: si può prendere qualcosa da entrambe le «fonti»,
ma sempre propendendo per Galati piuttosto che per Atti. Ad esempio:
l’idea di una rivelazione particolare (Galati) può essere certa, ma non
esclude che nell’ambiente non si sentisse l’esigenza di una chiarificazio
ne e non vi fosse un accordo della comunità (Atti);
forse Paolo esagera quando parla soltanto di un incontro in privato
(Galati) con le persone più ragguardevoli (Giacomo, Pietro e Giovanni),
quasi escludendo qualsiasi altro dialogo; tuttavia non si svolse certo un
concilio con la partecipazione di «apostoli, presbiteri e tutta la chiesa»
(Atti);
rientra nello stile di Atti «conciliare» il protagonismo attribuito a Pie
tro e Giacomo, quando ad «esporre il vangelo» fu sicuramente Paolo;
affermare che gli avversari appartenevano alla «setta dei farisei» (At
ti) è assai più blando che parlare di «falsi fratelli infiltrati» (Galati), ma
in entrambi i casi si presuppone che non facciano parte del gruppo fon
datore della chiesa;
Galati e Atti concordano, poi, nell’affermare che la questione riguar
dava la non circoncisione dei gentili (cfr. spec. Gal. 2,3; Atti 15,1.5) e il
motivo per accettarla furono i risultati indubbi prodotti dallo Spirito
{Gal. 2,7 s.; Atti 15,7 s.) nei gentili non circoncisi (nel caso di Galati,
Tito ne è la dimostrazione lampante).
Vorremmo aggiungere un dettaglio non secondario: la discussione ver
te direttamente sulla necessità di «parlare» ai gentili. In quei tempi la
relazione tra credere ed essere battezzati era talmente indissolubile che,
se si parla apertamente con i gentili, è perché si è disposti ad accoglierli
anche senza circoncisione.
Quando ritenne conclusa la sua missione sulle coste dell’Egeo, Paolo si re
cò a Gerusalemme per consegnare delle offerte. Dalla Giudea, per ordi
ne del procuratore Porcio Pesto, fu condotto prigioniero a Roma.
È un fatto che la colletta «in favore dei santi che sono a Gerusalem
me» sottrasse a Paolo molto tempo e molte energie durante il suo terzo
viaggio (cfr. 1 Cor. 1 6 ,1 -4 ; 2 Cor. 8 e 9; Rom. 15 ,2 5 -2 8 ) , malgrado co
incidesse nei tempi con determinate «offensive» sferrate in Galazia, a C o
rinto e, forse, a Filippi. Alcuni hanno fornito una lettura «rassegnata»
di tale colletta: «Se proprio non possiamo concordare sulla fede, con
cordiamo almeno sull’aiuto fraterno». Una minima conoscenza del carat
gioniero Paolo se i suoi lettori avessero saputo che il viaggio si era svol
to in modo differente. D ’altra parte in tutti i documenti antichi che met
tono in relazione Paolo con Roma è presente l’idea di prigionia (2 Tim.
1 ,1 7 ) o di martirio (1 Clem. 5 ,3 ; cfr. Ign., Eph. 12,2).
Vi sono opinioni differenti sul destino di Paolo dal suo arrivo a Roma
fino al martirio in quella città.
Son passati i tempi in cui si rifiutava la testimonianza di 1 Clem . 5 ri
guardo a Paolo, perché «se la si accetta per Paolo bisogna accettarla an
che per Pietro». Oggi non vi è alcun dubbio riguardo alla morte e sepol
tura di entrambi gli apostoli nella città eterna. Inoltre è certo che Paolo
morì a Roma all’epoca di Nerone. Il problema è sapere se fu giudicato e
subito condannato a morte, oppure se dopo due anni di arresti domici
liari (Atti 2 8 ,3 0 s.) fu liberato ed ebbe così occasione di realizzare il suo
piano di evangelizzazione della penisola iberica {Rom . 15 ,2 4 .2 8 ).
Torneremo su questo tema a proposito delle lettere pastorali.36 In bre
ve diciamo che, a nostro parere, il problema nasce dalla congiunzione
«e» (kai) posta in 1 Clem. 5,7 tra le due frasi «avendo insegnato la giu
stizia a tutto il mondo» e «essendo giunto al margine estremo dell’Occi
dente». La prima si riferisce all’attività anteriore dell’ apostolo «in Orien
te e in Occidente» (n. 6). La seconda, oltre a essere separata dalla con
giunzione «e», ha un significato ovvio: visto da Roma, «il margine estre
mo dell’Occidente» non può essere altro che quello che i romani chia
mavano Hispania e Paolo chiama Spania. Il guaio è che, secondo i no
stri calcoli, la missione ispanica dovette cominciare l’anno 6 3, per cui do
vette essere di breve durata. La grande persecuzione dei cristiani ebbe
inizio l’anno successivo, il 64, in seguito all’incendio di Roma. Le noti
zie circolavano, e qualche fedele servitore di Nerone poteva certo pen
sare che se i cristiani erano perseguitati, tanto più doveva esserlo uno
che aveva portato il cristianesimo in tutto il mondo civilizzato. Perciò il
cittadino romano Paolo di Tarso dovette essere preso subito prigioniero
e inviato a Roma, verso una morte, date le circostanze, rapida e sicura.
17 . Bibliografia
Chi conosce gli altri volumi di questa Introduzione allo studio della Bibbia saprà
che per l’approfondimento è necessaria una gran quantità di strumenti e metodi,
e si sarà già allenato. Sono utilissimi soprattutto i primi due volumi di introduzio-3
36. Qualche dettaglio in più è fornito in J. Sanchez Bosch, U autor de les Cartes Pastorale.
RCT 12 (1987) 5 5 -9 5 -
40 P a o lo e i su o i scritti
ne generale, il sesto relativamente agli Atti degli Apostoli e gli ultimi due, che for
niscono la cornice letteraria nella quale rispettivamente si inquadrarono o furono
recepiti gli scritti paolini.
a) Leggere Paolo
Veniamo ora all’oggetto diretto di questo capitolo. Le opere che seguono vanno
dalla semplice biografia al «libro su Paolo», includendo introduzioni agli scritti e
alla teologia dell’apostolo.
L’opera maggiormente biografica è S. Légasse, Paolo apostolo. Saggio di bio
grafia critica, Roma 1994; interamente in linea con le norme dell’esegesi e della
critica storica, è un valido correttivo al citato saggio di Holzner.
Inevitabilmente imparentato con questo volume è il mio Nacido a tiempo.
Una vida de Pablo el apóstol, Estella 1994; 2a ed. catalana, con indici, Barcelona
1998. Insiste in particolare nel presentare tutti i testi biblici su cui deve vertere
qualsiasi discussione seria sui temi trattati, cercando di «spremerli» al massimo.
La mancanza di note nell’opera precedente può essere supplita dalla presente e
da G. Barbaglio, Paolo di Tarso e le origini cristiane, Assisi *1990: entrambe
hanno attinto alle stesse fonti, per quanto in alcuni casi le abbiano assimilate in
modo diverso.
Un altro punto di riferimento importante è G. Bornkamm, Paolo apostolo di
L a vita di P a o lo 41
Gesù Cristo. Vita e pensiero alla luce della critica storica, Torino Li98z, opera
molto seria, nella tradizione del protestantesimo liberale tedesco. In linea con la
precedente e in fondo più moderata, ma di scrittura più difficile, J. Becker, Pao
lo, l’apostolo dei popoli, Brescia 1 996.
Pubblicata in tedesco, è edita anche in italiano l’opera recente del cattolico J,
Gnilka, Paolo di Tarso. Apostolo e testimone, Brescia 1998; si tratta di un buon
distillato di parecchi anni di studio. Non meno significativo è lo studio, sempre
di un noto esegeta cattolico, dedicato alla biografia paolina: J. Murphy-O’Connor,
Paul. A Criticai Life, Oxford 1996. Un puntuale profilo storico, spirituale e teo
logico di Paolo è delineato con ampiezza e precisione da R. Fabris, Paolo. L ’apo
stolo delle genti, Milano 1997. Completa le biografie precedenti, e da un’angola
zione interessante, B.J. Malina - J.H. Neyrey, Portraits of Paul. An Archaeology
of Ancient Personality, Louisville 1996.
Capitolo il
i. Paolo scrittore
Una delle maggiori intuizioni dell’autore degli Atti, che chiamiamo Luca
anche se potrebbe non essersi chiamato affatto così, è stata quella di re
digere una sorta di vita di Paolo senza menzionare assolutamente il fat
to che abbia scritto lettere. Per quanto, come si diceva, un uomo che ab
bia raccolto una grande quantità di dati riguardanti la vita dell’apostolo
non poteva ignorare l’unico dato in possesso di tutti: che Paolo aveva
scritto lettere.
Probabilmente tale silenzio è dovuto allo schema di «vite parallele»
che l’autore impose all’opera: Paolo doveva essere sempre in cammino,
come - a quanto narrano i vangeli - era stato Cristo. N on volle mo
strarlo seduto a tavolino, intento a scrivere lettere. Forse Luca fu spinto
anche da una certa volontà di «contrappeso», perché l’apostolo non ve
nisse ricordato solo per le sue lettere, nelle quali non mancano i passag
gi difficili e polemici, ma anche per la sua azione, davvero fondamentale
per tutte le chiese del Mediterraneo.
D ’altra parte è facile scoprire una gran sintonia tra ciò che gli Atti
scrivono su Filippi (16 ,12 -4 0 ) e la lettera ai Filippesi, tra ciò che narra
no di Tessalonica (17 ,1-9 ) e le lettere ai Tessalonicesi, o tra ciò che ri
guarda Corinto ( 1 8 ,1 - 1 7 ) e la prima ai Corinti.1 Persino l’episodio di
Atene con il discorso all’Areopago ( 1 7 ,1 6 -3 4 ) diventa una spiegazione
aneddotica di ciò che Paolo afferma in 1 Cor. 1 e 1 5 . Inoltre l’informa
zione riguardante un soggiorno di tre mesi in Grecia (20,2 s.) dopo che
l’apostolo aveva concluso il suo operato sulle coste dell’ Egeo (cfr. Rom.
15 ,2 3 ) fornisce la cornice esatta per la composizione della lettera ai Ro
mani. Poi il periodo di due anni a «regime mite» per le prigionie a Cesa
rea prima e a Roma poi (rispettivamente 2 4 ,2 3 .2 7 e 28,30) offre un qua
dro coerente in cui inserire la composizione delle lettere della prigionia
(Filippesi, Colossesi, Efesini e Filemone) e della seconda a Timoteo.
Ciò che Luca non è in grado di dirci è perché l’apostolo si decise a re
digere delle lettere, cosa si riproponeva con esse, quali modelli scelse,
come le compose, fino a che punto riflettono tutto ciò che Paolo diceva
nella sua predicazione.
Tali sono i temi su cui dovremo riflettere in questo capitolo, anche se
in forma appena abbozzata.
3. Lettere o epistoleì
fica, ma non hanno motivo di figurare in una storia delia letteratura cri
stiana.3 La verità è che esse non sono un «capolavoro» dal punto di vi
sta della letteratura «professionale» che si elaborava a quell’epoca, an
che perché nelle scuole si insegnava una «purezza atticista» piuttosto
lontana dal linguaggio della strada.
Tuttavia oggi sappiamo che la lingua parlata è un linguaggio come un
altro, che può racchiudere qualità di forza espressiva e di bellezza asso
lutamente paragonabili a quelle della letteratura più elevata. Se doves
simo eliminare dalla storia della letteratura tutto ciò che è «linguaggio
familiare», metteremmo in difficoltà più di un premio Nobel. D ’altra
parte, la persona colta sa utilizzare le parole giuste, adeguate al contesto
della conversazione, anche quando parla «familiarmente».
M a Paolo era un uomo colto? N on lo si può affermare a priori, ma
considerando le parole che usa e il contesto in cui esse vengono impie
gate, si può affermare che sapeva trovare la parola giusta al momento
giusto (cosa che non tutti quelli che utilizzano parole rare riescono a fa
re). Tuttavia non era un erudito, non citava poeti e filosofi; il suo non è
un greco «tradotto», ma il greco di chi l’ ha «succhiato col latte» e capi
sce le sfumature del proprio ambiente culturale.
Un certo grado di confronto dal punto di vista del linguaggio è offer
to dalla Bibbia greca dei Settanta. Presenta più errori sintattici, proprio
perché è una traduzione (e non sempre osa tradurre ad sensum), però
riesce anche a sorprenderci spesso per la quantità di parole che usa e
per come le usa bene, all’interno di una cornice generale di linguaggio
familiare. Direttamente o indirettamente (grazie a quanti lo precedette
ro nella fede), la Bibbia dei Settanta costituisce anche il modello del lin
guaggio specificamente religioso dell’apostolo: linguaggio che non man
cherà di urtare chi si accosta ai suoi scritti partendo da qualsiasi testo
greco profano.
Opere di migliaia di pagine, come il dizionario teologico di G. Kittei,4
vanno a misurare il «peso specifico» di ogni singola parola del N .T .,
mettendone a confronto l’uso profano e l’impiego che ne fanno i L X X e
altri scritti giudaici. Certo a volte capita che mettano troppa «carica»
teologica nel significato di ogni parola, confondendo ciò che, secondo la
terminologia di Saussure, è parole (contenuto della frase) con ciò che è
langue (contributo specifico di quel termine); per usare parole della stes
sa scuola, confondono ciò che procede dal sintagma (il «composto» te
stuale) con ciò che procede dal paradigma (cumulo comune di significa-
7- Una simile scuola non poteva mancare in una città colta e potente come Tarso, visto che ce
n’era una a Gerusalemme (cfr. cap- l, n. 13),
8- Edizione con tr. ir.i A. Pellettier, Lettre d'Aristée à Philocrate., SC 89, Paris 1962; tr. it. di
L. Troiani in AAT v, 175-217.
48 P a o lo e i su o i scritti
9. Cfr. tuttavia I. Taatz, Frithjudische Briefe. D ie paulinischen Briefe im Rahm en der offiziel-
len religiósen Briefe des Friihjudentums, Gòttingen 1991.
10. A.J. Malherbe, Antisthenes and O dysseus and P a u la t War. HTR 76 (1983) 143-173; Idem,
Hellenistic M oralists and thè N e w Testamenti ANRW n, 45.1-4 (Berlin - New York 1977);
Idem, The C ynic Epistles, Missoula 1977; A. Mullach, Fragmenta Philosophorum Graecorum ,
Paris 1867; E.N, O’Neil, Tales, thè Cynic Teacher, Missoula 1977. Più in generale H. Probst,
Paulus und der Brief. D ie Rhetorik des antiken Briefes ais Form der paulinischen Korinther-
korrespondenz, Tiibingen 1991.
6. Opera di maestro e di pastore
Come si è visto, si può scrivere una lettera agli efesini per spiegare la
filosofia dei cinici o semplicemente per far pratica come «cinico». Per
ciò, oltre a interrogarci intorno al genere letterario lettera basandoci su
elementi esterni dovremo interrogarci sul suo «genere interno»: fonda
mentalmente cosa sono e che cosa si prefiggono le lettere di Paolo. La
risposta è fornita da due termini presenti in Ef. 4 , 1 1 per indicare due
ministeri esistenti nella chiesa: «maestro» e «pastore». Nello stesso ver
setto troviamo anche il ministero di «apostolo», di «profeta» e di «evan
gelista». Tralasciando il «profeta», che si presta a discussioni, vorrem
mo far notare che nelle sue lettere Paolo non si atteggia ad «apostolo ed
evangelista», ma a «maestro e pastore». Per dirla con altre parole altret
tanto conosciute, nelle lettere non troviamo propriamente il kerygma (=
«annuncio», rivolto ai non credenti) dell’apostolo, ma la sua didache (=
«dottrina», riservata ai credenti).11
Paolo fu apostolo dei gentili perché si rivolse a persone totalmente
estranee alla tradizione giudeocristiana per condurle alla fede (cfr. 1 Tess.
I , 9 s.). Tra i suoi ascoltatori, inoltre, vi erano «greci e barbari, dotti e
ignoranti» (R om . 1 ,1 4 ) . Il libro degli Atti (cfr. 1 4 , 1 5 - 1 7 e 1 7 ,2 2 - 3 1 ) of
fre alcuni esempi di come potè aver parlato loro. Tali discorsi hanno
ben poco in comune con il tipo di argomentazione a noi noto dalle lette
re, ma non è tutta colpa di Luca: in realtà i discorsi che l’apostolo rivol
geva ai pagani non potevano ricalcare quelli delle lettere. Paolo non po
teva adottare un linguaggio pieno di tecnicismi teologici, né poteva dare
per scontate nei pagani le conoscenze giudaiche e cristiane che le sue
lettere presuppongono.
Inoltre le lettere prevedono una comunità già formata, istruita nelle
verità di fede. Non si occupano di «catechismo» (cfr. Gal. 6,6; 1 Cor.
1 4 ,1 9 ; Le. 1,4 ) di primo livello, ma offrono un «insegnamento» (in gre
co didache; cfr. Rom. 6 ,1 7 ; 1 6 ,1 7 ; 1 Cor. 14 ,6 .2 6 ) destinato a confer
mare e ampliare quanto già ricevuto. Tuttavia non costituiscono neppu
re un ammaestramento superiore in senso stretto, perché non posseggo
no un piano didattico né uno stile accademico, né presuppongono un
gruppo di allievi particolarmente selezionato (cfr. 1 Cor. 2,6; 3 ,1 s.): so
no scritti tipicamente occasionali, diretti a tutta la comunità.
Il motivo che indusse Paolo a comporle dovette dunque essere l’ur
genza pastorale. Lui, che già lottava su quattro o cinque fronti (il lavoro
manuale, l’evangelizzazione di giudei e gentili, la catechesi dei converti-
II. In linea di principio avrebbe potuto rivolgersi a un uditorio di giudei, considerandoli «fra-
telli»5 ma non a un pubblico pagano. D’altra parte, basta leggere l’inizio di ogni lettera per
rendersi conto che un non cristiano vi avrebbe trovato ben poco.
50 P a o lo e i su o i scritti
14. S. Vidal, Las cartas originales de F a b io , Madrid 1996, insiste in particolar modo su questo
tema, ricostruendo - non senza un certo dogmatismo - l’ordine primitivo. Una visione com
plessiva, completa di vasta bibliografia, è offerta da G. Strecker, Literaturgeschichte, 56-121.
15. Glossen im Ròm erbrief, in Exegetìca, Tiibingen 1967, 278-284.
16. Rispettivamente B.A. Pearson, 1 Thessalonians 2,13-16. A D eutero-Fauline Interpolation:
HTR 64 (1971) 79-94 e G, Fitzer, D as W eib scbweige in der Gem einde, Miinchen 1963. Si di
rà qualcosa al riguardo trattando delle singole lettere (cap. iv, III.2 e cap. Vii, ili.x ).
8 . «Form e» e «tradizioni»
17. In breve, H. von Lips, Paulus und die Tradition. Zitierung von Schriftw orten , H errenw or-
ten und urchristlichen Traditionen: Verkùndigung und Forschung 3 6 (1991) 27-49.
18. Cfr. K. Wengst, Chrìstologische Formeln und Lieder des Urchristentums, Giitersloh 1973.
19. Cfr. R. Deichgràber, Gotteshymnus und Christushymnus in der fruhen Christenheity Gòt-
tingen 1967.
2.0. Cfr. G. Segalla, / cataloghi dì peccati in 5 , Paolo : Studia Patavina 15 (1968) 205-228.
G li scrìtti p a o lin i 53
9. Il «laboratorio» di Paolo
E.E. Ellis, Paul and His Co-W orkers: NTS 17 (1971) 437-452; quadro sinottico p. 448. Più
dubbioso W. Schmithals, Das kìrchliche Apostelam t , Gòttingen 1961, 55 s. Tuttavia un po’
più avanti, in 1 Tess. 3,1, Paolo afferma: «abbiamo deciso di restare soli ad Atene», frase che
stando al contesto (cfr. i commenti) può essere applicata soltanto a Paolo.
5 6 P a o lo e i su o i scritti
(tra parentesi: non quella della Galazia), che lo induce a scrivere la let
tera. Invece, in Rom. 1 5 ,2 3 afferma di non avere più campo d’azione in
quelle regioni, perciò considera risolto il problema di Corinto. Romani
è quindi posteriore.
6. Si discute sulla «prigionia» durante la quale furono composte le
lettere ai Filippesi e a Filemone. N on risulta che le due lettere siano con
temporanee, dato che in Fil. 4 ,2 2 vengono inviati saluti solo da parte di
«quelli della casa di Cesare», mentre in Film. 2 3 s. c’è tutta una serie di
persone che mandano saluti. In comune hanno il tema delle «catene»,
che però, come vedremo, a Paolo potrebbero essere state imposte a Efe
so, a Cesarea e a Roma. Se una delle due lettere fosse stata scritta da
Efeso, sarebbe anteriore a (parte della) seconda ai Corinti.
7. Se fosse autentica, la lettera ai C olossesi sarebbe contemporanea di
quella a Filemone. Tanto le persone menzionate quanto quelle che invia
no saluti appaiono in gran parte (con dettagli, come si vedrà, interessan
ti) sia nella lettera ai Colossesi sia in quella diretta a Filemone. Se questi
dettagli sono reali, le due lettere sono contemporanee; se in Colossesi so
no fittizi, quest’ultima sarà ovviamente posteriore.
8. In ogni caso la lettera agli Efesini è posteriore alla lettera ai Colos
sesi. La questione è chiara per chi accoglie l’autenticità di Colossesi e
non quella di Efesini. M a dev’esserlo anche sia per chi nega sia per chi
accoglie l’ autenticità di entrambe. La ragione è nel contenuto: Efesini svi
luppa e amplia una serie di temi abbozzati in Colossesi, perciò dev’esse
re posteriore.
9. Le lettere pastorali (prima e seconda a Timoteo e la lettera a Tito)
probabilmente sono posteriori agli altri scritti che portano il nome del-
Vapostolo. Il problema non si pone per chi ritiene che solo le lettere pa
storali furono scritte dopo la morte dell’apostolo. Anche quanti optano
per le «sette lettere autentiche» di solito lasciano per ultime le pastorali.
Persino quanti ne sostengono l’autenticità solitamente le collocano in un
periodo di attività e di prigionia dell’apostolo posteriore alla prigionia
alla quale si allude in Atti 2 8 ,3 0 s., dunque in un’epoca in cui le altre
lettere erano già state composte.
10 . La lettera agli Ebrei può essere stata scritta prima di qualsiasi al
tro scritto paolino, ma si distingue dalle altre lettere perché è evidente
mente opera di un autore diverso. Spesso si ritiene che la lettera agli Ebrei
sia anteriore a quella di Clemente, privilegio che non viene accordato ad
altri scritti che portano il nome dell’apostolo. Tuttavia è altrettanto evi
dente che è stata composta da un autore diverso da Paolo. Per questo
motivo si comprende perché in uno studio sugli scritti paolini essa sia
trattata per ultima.
E con questo siamo passati dai criteri di priorità storica a quelli di di-
G li scritti p a o lin i 57
Bibliografia
Questo capitolo, anche se non in tutti i suoi aspetti, funge da «introduzione gene
rale» agli scritti paolini. Può essere confrontato, e integrato, da altre introduzio
ni al N.T. che citiamo qui, per quanto interessino quasi tutti i capitoli seguenti.
Come introduzione più completa e moderata citeremmo A. George e P. Grelot,
Introduzione al Nuovo Testamento, ni. Le lettere apostoliche, Roma 19 8 1; co
me eventuale sostituto F.J. Schierse, Introduzione al Nuovo Testamento, Brescia
1987. Con spirito di dialogo, tra posizioni «avanzate», E. Lohse, Introducción al
Nuevo Testamento, Madrid 1986. Opere più radicali, anche all’interno del pro
testantesimo tedesco, W. Marxsen, Einleitung in das Neue Testament. Etne Ein-
fuhrung in ihre Probleme, Gùtersloh *1964; H. Koester, Introducción al Nuevo
Testamento, Salamanca 1988; Ph. Vielhauer, Geschichte der urchristlichen Lite-
ratur. Einleitung in das Neue Testament, die Apokryphen und die Apostohschen
Valer, Berlin 1975. Questi autori non accettano una tesi tradizionale se non quan
do ritengono sia definitivamente dimostrata; ciò per noi costituisce una garanzia,
tuttavia rifiutano in quanto non dimostrate molte delle tesi che considereremmo
più probabili. Aggiungiamo il più recente e italiano R. Fabris e a., Introduzione ge
nerale alla Bibbia, Logos 1, Leumann 1994.
Ampliando ulteriormente il campo diciamo che ogni introduzione si pone tre in
terrogativi di fondo: uno di ordine storico, uno di ordine letterario e uno ineren
te al significato. Riguardo al primo, si ricorrerà a tutto ciò che può parlarci del
mondo greco-romano, del mondo giudaico durante il 1 secolo, e della chiesa pri
mitiva. Rinunciamo ad approfondirlo in questa sede, limitandoci ad alcune indica
zioni essenziali.
Risulta semplicemente indispensabile l’opera in tre volumi di J. Leipoldt - W.
Grundmann, Umwelt des Urchristentums, 3 voli., Berlin 1965-1967, il secondo vo
lume in particolare, ricco di testi e documenti. In lingua italiana, per altri aspetti
storici, sono da segnalare R. Penna, L'ambiente storico-culturale delle origini cri
stiane, Bologna 3i9 9 i; H.G. Kippenberg - G.A. Wewers (ed.), Testi giudatei per
lo studio del Nuovo Testamento, Brescia 1987 ed E. Lohse, L’ambiente del Nuo
vo Testamento, Brescia *1993; in lingua inglese, B.J. Malina, The New Testa
ment World. insights from Cultural Anthropology, Louisville 19 81.
Per quanto riguarda le questioni di ordine letterario rimandiamo a J. Schreiner -
G. Dautzenberg, Introduzione letteraria al Nuovo Testamento, Roma 198Z; R.
Meynet, L'analisi retorica, Brescia 1992; D.E. Aune, The New Testament in its
Literary Environment, Philadelphia 1989; J.P. Tosaus Abadìa, La Bibita corno
literatura, Estella 1996.
G li scritti p a o lin i 59
I. C O N T R IB U T O D E I D O C U M EN T I PA G A N I
1. Il N uovo Testamento
•
lismo» rispetto alla legge e rispetto alle opere. Sapevano invece certamen
te dell’atteggiamento di Paolo durante il cosiddetto «concilio» di Geru
salemme (Gal. 2 ,1 -1 0 ) , perché si svolse sul loro stesso «terreno», e del
l’incidente antiocheno tra Paolo e Pietro (vv. 1 1 - 1 4 ) .
Proviamo a domandarci se tali scritti testimoniano del trionfo o del
fallimento delle idee di Paolo in quelle due occasioni. In concreto: a) se
accettano l’ingresso dei gentili nella chiesa senz’ obbligo di circoncisione;
b) se accettano la compresenza di giudei e gentili a una stessa tavola, o non
sostengono piuttosto i pasti separati.4
In favore della risposta positiva si può citare un buon numero di testi
del Nuovo Testamento. Matteo { 8 ,1 1 ) parla direttamente di sedersi a
mensa con gli stessi patriarchi e, tanto lui (2 8 ,19 s.) quanto M arco ( 1 3 ,
io ; 1 6 ,1 5 ) , di predicazione ai gentili seguita subito dopo dal battesimo,
così da escludere la tappa intermedia della circoncisione. D ’altra parte,
se gli ostacoli che impedivano di sedersi alla stessa tavola erano, come
sembra, di origine alimentare, M arco (7 ,19 ) risolve il problema alla ra
dice affermando che Gesù ha dichiarato puri tutti i cibi.
Il vangelo di Giovanni parlerà di «altre pecore» che non sono di que
st'ovile (Gv. 10 ,16 ) e di alcuni «figli di Dio» che sono dispersi (G v . 1 1 ,
5 1 s.): si tratta dei «greci» ai quali si allude in 12 ,2 0 -2 3 . Dicendo che
sono «pecore» ( io ,16 ) e «figli di Dio» ( 1 1 ,5 2 ) Giovanni esclude il pas
saggio della circoncisione; asserendo che formeranno «un solo gregge»
(10 ,16 ), esclude la separazione delle mense.
Nel resto del N uovo Testamento si riscontra che sia per la prima di
Pietro (2,9 s.) sia per l’Apocalisse (5,9 s.; 7,9 ; 1 3 s.) la maggioranza dei
credenti appartiene alle altre nazioni. Conferendo ai gentili categoria
sacerdotale (1 Pt. 2,9; Apoc. 5,10 ), essi vengono posti al di sopra della
comunità degli israeliti, ai quali non era concesso né dividere gli stessi
locali dei sacerdoti né mangiare il loro cibo. Da parte sua il testo della
prima di Giovanni (5 ,1) va fino in fondo alla questione, pur senza men
zionarla esplicitamente: chiunque crede in Cristo dev’essere amato come
si ama il Padre, non vi è alcun motivo per considerarlo inferiore.
Il risultato è dunque che, di fronte all’eventuale proposta di circonci
dere i gentili (cfr. Gal. 2 ,1-10 ) o di «separarsi» da essi durante una riu
nione di cristiani (cfr. Gal. 2 ,1 1 - 1 4 ) , tutti i testi citati condividono la
posizione di Paolo.
Un capitolo a parte meritano due testi che paiono reagire di fronte ai
possibili pericoli del paolinismo. La lettera di Giacomo combatte l’idea,
indiscutibilmente paolina, che l’uomo «si giustifica per la fede senza le
opere della legge» (R om . 3 ,2 8 ; cfr. vv. 2 0 .24 .30 ; 4 ,2 .5 ; 5 ,1 ; Gal. 2 ,1 6
4, Cfr. sopra, cap. 1,13 e 14, e in N acido a riempo 62 s. 81. 83-85 l’interpretazione che propo
niamo di questi due fatti nella storia dell’apostolo.
64 P a o lo e i su o i scritti
5. Cfr. J. Sànchez Bosch, L iei i Paraula de Déu en la Catta de Jaum e: RCT i (1976) 51-78-
T e s tim o n ia n z e esterne su P a o lo e i su o i scritti 65
Per opera di lui vi è annunziata la remissione dei peccati, di tutto ciò da cui non
vi fu possibile essere giustificati dalla legge di Mosè, perché per lui chiunque cre
de è giustificato (Atti 13, 38 s.).
2 . 1 Padri apostolici
Al di fuori del Nuovo Testamento, i primi due secoli cristiani sono fon
damentali perché precedono il momento in cui tanto gli scritti paolini
quanto gli Atti degli Apostoli sono recepiti dalla chiesa come scritti ca
nonici. Fino all’arrivo di questa «canonizzazione» è probabile che Paolo
vinca più battaglie in forma anonima che in forma esplicita. Questo può
valere per quasi tutti coloro che si allineano sulle posizioni di Paolo ri
guardo alla chiesa dei gentili e riprendono continuamente idee e frasi
dell’apostolo.
La Didachè non menziona Paolo né le sue lettere, però dipende in
larga misura dal vangelo di Matteo, di cui abbiamo già sottolineato l’a
pertura ai gentili. Composta in un momento particolarmente felice, dà
prova di un universalismo totale, auspicando che la chiesa si riunisca da
gli estremi confini della terra come i chicchi che formano uno stesso pa
ne (9,4; cfr. 1 Cor. 1 0 ,1 6 s.).
Nella raccolta detta dei «Padri apostolici» (un po’ artificiosa, ma for
mata da testi dei primi due secoli) troviamo altri quattro documenti che
non citano Paolo ma dimostrano di aver preso qualcosa da lui.
Così, ad esempio, il Pastore di Erma: la sua rappresentazione allego
rica della chiesa (curiosamente raffigurata come una donna anziana) dif
ficilmente avrebbe potuto essere elaborata senza il «precedente» della
lettera agli Efesini (si confrontino vis. 2 ,4 ,1 con Ef. 1 ,3 s.; 5 ,2 5 -2 7 ; inol
tre vis. 3 ,3 ,5 con Ef. 2 ,2 1).
La cosiddetta Lettera di Barnaba, composta in pieno n secolo, ripro
pone il tema giudaico con l’idea, se ci è consentita l’ espressione, che
l’Antico Testamento sia un treno che corre veloce verso Cristo... senza
fermarsi in nessuna stazione intermedia. Così facendo, si distacca al
quanto dal «gentilismo moderato» di Rom. 1 1 (cfr. w . 1 s . n s. 1 5 - 1 8 .
2 3 -3 2 ), tuttavia le sue espressioni relative alla vera discendenza di Àbra
mo (cfr. 1 3 ,1 - 3 ) possono basarsi su testi paolini come Gal. 3 ,1 6 .2 3 s.;
4 ,2 2 - 3 1 e Rom. 9 ,6 -1 3 . L ’autore della cosiddetta Seconda lettera di Cle
mente approfondisce l’uso cristiano dell’Antico Testamento e cita, in for
T e s tim o n ia n z e estern e su P a o lo e i su o i scritti 67
ma esplicita e come testo biblico, le parole di Gesù che sono giunte sino
a lui. N on cita espressamente Paolo, ma dimostra di averlo letto e medi
tato. Tanto per segnalare un esempio:
Ci chiamò quando non eravamo e volle che dal nulla esistessimo (1,8; cfr. j Cor.
1,28.30; Rom. 4,17).
Sono «nella carne», ma non vivono «secondo la carne» (cfr. 2 Cor. 10,3). Passa
no la vita sulla terra, ma sono cittadini del cielo (cfr. Fil. 3,20: politeuma). Ob
bediscono alle leggi stabilite (cfr. Rom. 13 ,1), eppure con la loro vita superano le
leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati (cfr. 1 Tess. 3,12 ; Rom. 12,
14). Non sono conosciuti (agnooumai, come in 2 Cor. 6,9), eppure vengono con
dannati. Sono messi a morte (thanatoumai, come in Rom. 8,3 6; cfr. 2 Cor. 6,9:
1 Pt. 3,18), eppure ricevono la vita. Sono poveri, e rendono ricchi molti (cfr. 2 Cor.
6,10: ploutizontes); sono privi di tutto, eppure di tutto abbondano (hysteroumai
e perisseuo, come in Fil. 4,12). Sono disprezzati, e nel disprezzo sono glorificati (2
Cor. 6,8). Sono calunniati, eppure sono giustificati. Insultati, benedicono (cfr. r
Cor. 4,12: loidoroumenoi eulogoumen); offesi, rendono onore. Fanno il bene, e
vengono castigati come malfattori; castigati, gioiscono come se ricevessero la vita
(5,8- 16).
La dipendenza è evidente, benché la lettera rimanga ben al di sotto
del livello teologico dell’apostolo.
Oltre a questi cinque scritti anonimi, nella raccolta figurano anche gli
scritti autentici di tre noti vescovi che coprono l’area del Mediterraneo:
Clemente di Roma, Ignazio di Antiochia e Policarpo di Smirne. Questi
menzionano esplicitamente l’apostolo, oltre ad alludere spesso ai suoi
scritti.
Limitandoci ai suoi testi espliciti, nella Lettera dì Clemente si legge:
Per invidia e discordia Paolo mostrò il premio della pazienza. Sette volte caricato
di catene, esiliato, lapidato, divenuto un araldo in Oriente e in Occidente, otten
ne la fama che la sua fede meritava (5,5 s ).
Prendete in mano la lettera del beato Paolo apostolo. Che cosa vi scrisse pri
ma di tutto all’inizio della sua evangelizzazione (en arche tou euangeliou, alluden
do a Fil. 4,15)? In verità, mosso dallo Spirito, vi scrisse di sé, di Cefa e di Apollo
perché già allora avevate formato dei partiti (47,1 s.; cfr. 1 Cor. 1,10 -12).
Voi siete la strada per coloro che furono innalzati a Dio, partecipate agli stessi
misteri di Paolo, che fu santificato, ricevette testimonianza ed è giustamente chia-
68 Paolo e i suoi scritti
mato beato, sulle cui orme vorrei trovarmi quando raggiungerò Dio; di Paolo,
che in ogni sua lettera si ricorda di voi in Cristo Gesù {Ign., Eph. 12,2).
Non vi do ordini (diatassomai, il verbo usato in 1 Cor. 7,17; 11,34; 16,1) co"
me Pietro e Paolo. Essi erano apostoli, io un condannato; essi erano liberi, io a
tuttora uno schiavo. Ma se soffro il martirio sarò un liberto di Gesù Cristo (ape-
leutheros, come in 1 Cor. 7,22) e risorgerò libero in lui (Ign., Rotn. 4,3; cfr. FU.
3,10 s.).
Policarpo fornisce tre riferimenti espliciti a Paolo e alle sue lettere:
Né io né altri simile a me può uguagliare la sapienza del beato Paolo che in mez
zo a voi, di fronte agli uomini di allora, insegnò con esattezza e vigore la parola
di verità; pur assente, vi scrisse delle lettere (3,2).
Vi esorto tutti a ubbidire alla parola della giustizia e a perseverare con tutta la
pazienza che avete ammirato con i vostri occhi non solo nei beati Ignazio, Zosi-
mo e Rufo, ma anche in altri della vostra comunità e nello stesso Paolo e negli al
tri apostoli (9,1).
Non sappiamo, come insegna Paolo, che i santi giudicheranno il mondo? Io non
ho sentito o percepito tra di voi, presso i quali operò il beato Paolo, nulla di si
mile, voi che siete nominati all’inizio della sua lettera. Di voi egli si gloria in tutte
le chiese (11,2 s.).
Nel complesso si può dunque affermare che per nessuno dei cosiddetti
«Padri apostolici» la figura di Paolo è passata invano, anche se nessuno
si è sentito obbligato a citarlo e tutti hanno recepito da lui a seconda
delle proprie capacità. La densità teologica dei tre vescovi citati (Cle
mente, Ignazio e Policarpo) è stata seguita da vicino dalle cosiddette
Lettera di Barnaba e Seconda lettera di Clemente; perseguita con minor
successo dalla Lettera a Diogneto, rimane estranea al Pastore di Erma.
Da parte sua, la Didachè recepisce da Paolo poco più di quanto recepì
Matteo, ma non vi si può attribuire un grande valore.
3 . 1 Padri apologisti
convincere un amico pagano non gli parla né della storia terrena di Ge
sù, né tantomeno di Paolo. La ragione è che l’amico attribuisce valore
solamente alle cose antiche (Ad Autolycum 3 ,1), mentre la storia cri
stiana ha meno di duecento anni. M a anche senza citarli espressamente,
l’autore dimostra di conoscere e apprezzare Gesù e l’apostolo.
Anche se non gli dedicheremo qui molto spazio, merita particolare at
tenzione l’opera del martire Giustino, risalente alla metà del 11 secolo;
essa si compone di un’Apologià, indirizzata al figlio di Adriano, Anto
nino Pio, e di un Dialogo (probabilmente fittizio) con il giudeo Trifone.
Scende molto più nei dettagli delle dottrine cristiane e cita ampiamente
(cosa che altri non facevano) i vangeli cristiani. N on menziona esplici
tamente l’apostolo, ma non tralascia di dimostrare la sua coincidenza
con i punti più personali del suo pensiero. Basti citare l’allusione, ripe
tuta più volte, ad Abramo:
Abramo stesso, quando non era ancora circonciso, fu giustificato e benedetto per
la sua fede in Dio, come mostra la Scrittura; nondimeno ricevette la circoncisio
ne come un segno, non come giustificazione (Diai. £3,4; cfr. Rom. 4,io-i2).9
4. Scritti eretici
Saturnino, come Menandro, dichiara che c’è un solo Padre e a tutti sconosciuto,
che ha fatto Angeli Arcangeli Potenze Dominazioni... Ha affermato che il Salva
tore è ingenerato e incorporeo e senza figura: e soltanto in apparenza è stato vi
sto come uomo. E il Dio dei giudei è uno degli angeli. E poiché il Padre voleva
distruggere tutti i Prìncipi, è venuto Cristo per la distruzione del Dio dei giudei e
per la salvezza dei credenti {Haer. 1,2,4,1 s.).
Ci sembra evidente che qui sia passata l’idea per cui, proprio perché
Dio è inconoscibile, si abbia bisogno di Cristo, «immagine del Dio invi-12
12. Tutti i testi in J.M. Robinson, The N ag Hammadi Library in English , Leiden 1988. Per
una traduzione italiana v. L. MoraJdi (ed.), Testi gnostici, Torino 1982. È nostra intenzione de
dicare prossimamente un articolo all'impatto di Paolo in essi.
Testimonianze esterne su Paolo e i suoi scritti 73
Quelli che si chiamano Ebioniti ammettono che il mondo è stato fatto da Dio, ma
su quello che concerne il Signore pensano come Cerinto e Carpocrate; usano so
lo il vangelo di Matteo e rifiutano Papostolo Paolo dicendo che è apostata dalla
legge (Haer. 1,26,2).
È opportuno ricordare che tanto Cerinto, che insegnò in Asia Minore
{Haer. 1,2 6 ,1 ) , quanto Carpocrate {Haer. 1 ,2 5 ,1 - 4 ) erano greci, e che i
motivi che adducono per sostenere che Gesù Cristo era un semplice
uomo sono di tipo razionalista. Negano l’autorità di Paolo, la cui cristo
logia non adozianista è palese, ma d’altra parte utilizzano il vangelo di
Matteo, che coincide con Paolo su punti fondamentali. Perciò si può
pensare che l’ebionismo possa essere non tanto una semplice derivazio
ne del giudeocristianesimo primitivo quanto una costruzione abbastan
za nuova del n secolo.13
Seguendo Ireneo si arriva a Cerdone e a Marcione, il sostenitore più
celebre di Paolo. Del primo, che insegnò all’epoca del papa Igino, è det
to soltanto che distingueva il Dio dell’Antico Testamento dal «Padre di
nostro Signore Gesù Cristo», espressione che ricalca una formula paoli
na {Rom. 1 5 ,6 ; 2 Cor. 1 ,3 ; 1 1 , 3 1 ) .
Quanto a Marcione, che giunse al culmine della sua fama al tempo
del papa Aniceto (Iren., Haer. 3 ,4 ,3 ),14 sembra che abbia voluto dare al
la chiesa alcuni modelli unici su cui basare la sua predicazione e il suo
sviluppo teologico: un solo vangelo (quello di Luca) e le lettere di Paolo
(praticamente tutte meno le pastorali) come magna charta del cristiane
simo dei gentili. Il fatto è che Marcione non avrebbe proposto la «cano
nizzazione» delle lettere di Paolo se non fosse stato convinto che la chie
sa di Roma era pronta a farlo.15 E, in realtà, il precedente stabilito dalle
lettere di Clemente, Ignazio e Policarpo gli preparavano la strada.
Si sa che la reazione non fu quella di rifiutare Paolo, ma di dimostrare
che l’apostolo sarebbe stato assolutamente contrario alla dottrina mar-
cionita sull’incompatibilità tra il Dio di Gesù Cristo e il Dio dell’A .T . 5
Nella chiesa cristiana il «canone» che può fornire le basi per qualsiasi
altro canone è quello della Scrittura: il riconoscimento di alcuni libri co-
13. Cfr. A. Orbe, En torno a los ebionitas. Ireneo , Adv. Haer. TV,33 ,4 1 Aug 33 (1993) 315-337
14. Secondo Tertulliano (De praescriptione haeretìcorum 30,2), inizialmente era in buoni rap
porti con la comunità di Roma, alla quale consegnò persino una somma di denaro dimostran
do di confidare nel fatto che la sua dottrina sarebbe stata accettata ufficialmente da quella
chiesa. Accadde invece il contrario.
15. Su eventuali raccolte anteriori a Marcione cfr. D. Trobisch, D ie Entstehung der Paulus-
briefsammlung , Gòttingen 1989. Su Paolo e le sue lettere in Marcione cfr. E. Norelli, La fun
zione di Paolo nel pensiero di M arcione : RivBib 34 (1986) 543-597.
Testimonianze esterne su Paolo e i suoi scritti 75
16. Cfr. D,L. Balas, The Use and interpretation o f Paul m Irenaeus3s Pive Books «Adversus
Haereses»: The Second Century 9 (1992) 2,7-39.
17. Così, nel libro v, G a l . in 1,1-4,15; 1 Cor. in 5,1-10,16; 2 Cor. in 11,1-12,9; Rom. in 13,1
14,11; x Tess. in 15,1-8; 2 Tess. in 16,1-7; Ef. in 17,1-18,14; Col. in 19,1-11; FU. in 20,1-7;
Film, in 21,1,
18. Riteniamo che la posizione polemica di G.M. Hahneman, The Muratorian Fragment and
thè Developm ent o f thè Canon , Oxford 1992, risulti sufficientemente confutata da P, Henne,
La datation du Canon de Muratori: RB 100 (1993) 54-75; Idem, L e Canon de Muratori. O r-
thographie et datation: Archivum Bobiense 12 (1990) 289-304.
Testimonianze esterne su Paolo e i suoi scritti 77
III. C O M M E N T I A L L E L E T T E R E D I P A O L O
1. Patrologia greca
3. La riforma protestante
loro risultati, qualora non siano stati superati dallo scorrere del tempo,
sono stati assorbiti dall’esegesi recente, più alla nostra portata. Tutta
via, persino per comprendere l’esegesi moderna continuano ad avere
grande valore le opere dei fondatori del protestantesimo.17
Le più importanti sono le due scritte da Lutero sulla lettera ai Roma
ni: Die Glosse e Die Scholien.zS Risalgono al periodo in cui ancora era
dentro la chiesa cattolica, per questo le tesi classicamente protestanti
trovano un certo contrappeso dopo qualche pagina o qualche riga. È co
munque chiaro che la preoccupazione dell’autore è palesemente teologi
ca: più per ciò che il testo dice a me che non per ciò che ha detto ai cri
stiani del I secolo.
Da parte sua, Calvino dimostra una maggiore preoccupazione di co
gliere la realtà del passato. N e è prova il fatto che commenta tutte le
lettere dell’apostolo, vedendovi un «evento comunicativo» non estraneo
alle leggi della retorica. N on per questo, però, smette di perseguire le
sue personali tesi teologiche per una specie di ragionamento scolastico
cartesiano. Qualcosa di simile si potrebbe affermare anche a proposito
di quanto scrive il grande umanista Melantone.
L ’elemento più peculiare dell’esegesi protestante, con qualche diversi
tà tra i vari autori, è indubbiamente la dottrina della giustificazione. Il
principio basilare di tale dottrina è una considerazione particolarmente
pessimista della situazione di peccato in cui l’uomo nasce e persino della
capacità rigeneratrice della grazia del battesimo. Mentre l’uomo è su
questa terra, la «carne» ha sempre il sopravvento sullo «spirito» e qual
siasi suo atto merita la condanna di Dio piuttosto che la sua approva
zione (o «giustificazione»). Tale approvazione perviene all’uomo (ades
so come nel giudizio finale) per pura grazia, mediante il cammino di fe
de, in base alla quale l’uomo ottiene una «imputazione» dei meriti di
Gesù Cristo. N on si nega l’impegno dell’ uomo giustificato ad agire in
accordo con la grazia ricevuta né il potere dello Spirito santo di «santifi
care» l’uomo; ma nell’azione dell’uomo giusto resta pur sempre qualco
sa che lo rende meritevole di condanna, obbligandolo a confidare nella
sola fede e nella sola grazia.19
Il principio della «sola grazia» doveva spogliare l’uomo delle false si
curezze fornite da determinate pratiche esteriori, prive di contenuti pro
fondi, conferendogli inoltre una sensibilità particolare riguardo al pec-2789
cato che sussiste in lui, con tutta l’umiliazione che ciò comporta, e ri
guardo al dramma di Cristo, reso maledizione perché noi potessimo ri
cevere benedizione. Le lettere di Paolo, con la sua rivendicazione della
«follia» della croce, con la sua polemica contro la legge e la sua presen
tazione drammatica dell’esistenza umana, entravano a pieno diritto nel
campo del paradosso. Il brutto è che i paradossi di un filosofo greco so
no stati sempre interpretati come qualcosa che aiuta a pensare, condu
cendo a una comprensione più profonda; nel caso di Paolo, invece, ac
colto come Scrittura a dispetto di ogni ragione e di ogni tradizione, i
suoi paradossi si elevarono a categoria suprema, a rischio di ritorcersi
contro le intenzioni dell’autore.
Da parte sua il principio della «sola fede», se si eccettua l’eventuale
svalutazione dell’ operato umano (rischio che il calvinismo seppe evitare
meglio del cattolicesimo stesso), tende a sottolineare l’elemento indivi
duale a scapito di quello sociale e l’elemento soggettivo a scapito di quel
lo oggettivo. La sua grande ricchezza restano l’insistenza sulla scelta
personale in favore di Cristo (uno non «si trova» dentro, ma deve «en
trare») e l’invito ai valori insostituibili della coscienza. Tale principio,
comunque, può contribuire all’ «atomizzazione» del pensiero cristiano
(ciascuno cammina con la propria fede) e al soggettivismo totale (l’im
portante non è che Cristo mi abbia redento, ma che io creda così).
A questi due principi si aggiunge quello già ricordato della «sola
Scrittura». In associazione con l’umanesimo imperante (si pensi a Era
smo),30 favorì l’investigazione filologica del testo greco e persino la ri
cerca dei manoscritti più antichi, consentendo così di superare molte bar
riere imposte dalla tradizione ecclesiastica precedente. Ad ogni modo i
risultati non potevano essere sempre buoni giacché, col tempo, si passò
dal «prescindere dalla» tradizione all’ «andar contro» di essa, qualora
non sia dimostrato il contrario.
Bisogna inoltre osservare che i fondatori del protestantesimo, nella
loro realtà concreta, si collocano molto più vicini alla tradizione secola
re della chiesa (ad esempio nell’accettare i primi otto concili e nell’alta
considerazione dei Padri della chiesa) di quanto potrebbero farci sup
porre i principi qui enunciati. Solamente l’elevazione di tali principi alla
categoria di verità filosofiche supreme fece sì che l’esegesi più recente (di
cui parleremo fra poco) giungesse a determinate conclusioni. Il risultato
è che oggigiorno un protestantesimo più confessionale (o evangelico)
può essere considerato tradizionale rispetto alle teologie più radicali de
gli ultimi secoli.
3 1 . L e ip z ig 1 9 1 0 ; rist. D a r m s ta d t 1 9 5 6 .
rinti46 che, essendo piuttosto valido, viene letto alla pari di altri. L ’im
patto, provocato dagli scritti precedenti, è stato notevole su varie gene
razioni di esegeti, benché molti discepoli di Bultmann abbiano continua
to a studiare i temi e a correggere il maestro laddove era necessario. Nel
frattempo faceva la sua comparsa, soprattutto in paesi meno sviluppati,
una sorta di «bultmannesimo» dogmatico che gioiva per tutto ciò che
Bultmann aveva distrutto.
Sebbene situata su un altro livello, l’impronta di Bultmann ha avuto
conseguenze simili a quelle di Barth per chi era orientato in linea libera
le. Egli concluse che: a) le lettere autentiche di Paolo sono (alcuni aggiun
gono «almeno») sette: Romani, 1 e z Corinti, Galati, x Tessalonicesi, Fi-
lippesi e Filemone; b ) per quanto moderni si possa essere, bisogna conti
nuare a parlare di «peccato», «fede», «salvezza», «escatologia»; c) la fe
de in Cristo è qualcosa di unico che non si può scambiare con nessun’al-
tra religione al mondo. Senza negare che, per altri, Bultmann può signi
ficare il passaggio da una fede «che si tocca con mano» a un’altra fede
compatibile con qualsiasi radicalismo storico, proprio perché si colloca
«in un’altra dimensione».
I nuovi impulsi ricevuti dall’esegesi paolina dopo Bultmann possono
esser fatti rientrare in due grandi discipline: la linguistica e la sociologia.
Nella linguistica, i contributi possono essere espressi nel linguaggio di
Saussure: non bisogna confondere la langue (codice di segni accettato
sia da chi parla sia dal suo interlocutore) con la parole (uso concreto
della lingua per comunicare qualcosa), né il paradigma (norma preesi
stente) con il sintagma (risultato della composizione di più termini); oc
corre ricercare la sincronìa (il significato attuale di una parola o di un
testo) prima della diacronia (etimologia o storia precedente di un testo).
I problemi della semantica della parola furono esposti con particolare
chiarezza da J. Barr in Semantìcs o f Biblical Language, Oxford 1 9 6 1 .
Egli afferma che da sempre gli esegeti hanno fatto osservazioni di altis
simo valore teologico, ma la scienza linguistica tornerà loro utile per af
finare i loro metodi. È importante, ad esempio, non attribuire valore di
affermazione teologica (= parole) ai semplici fenomeni linguistici (= lan
gue), né considerare «significato biblico» (= langue) di una parola tutto
ciò che è stato detto per mezzo suo (= parole). Invece, tenendo conto di
tutto ciò, sarà possibile scoprire un autentico «significato biblico» (=
langue) in molte parole, ossia si potrà determinare il «cambio semanti
co» attraverso il quale esse sono entrate a far parte di un «idioletto» dei
gruppi cristiani (o paolini). In questo modo diventa anche possibile ar
ginare l’uso esegetico delle etimologie, perché queste non fanno parte di
una lingua (che è sincronia) bensì della sua storia (diacronia).
4 6 . D e r zw eite K o rin tberb rief, Gòttingen 19 7 6 .
88 Paolo e i suoi scritti
47. Cfr. sopra, cap. 11, 8 . 4 8 . L a structure littéraire de l ’Épitre aux H ébreux , Paris 1 9 6 3 .
4 9 . Galatians, Philadelphia 1 9 7 9 ; ed. ted. Munchen 1 9 8 8 .
5 0 . Cfr. D er R u f der Freibeit , Tiibingen 1 9 8 1 (tr. it. A ppello alla libertà , Torino 1 9 7 2 ) ; artico
li vari raccolti in Exegetische Versuche und Besinnungen, 2 voli., Gòttingen 1 9 6 4 (tr. it. par
ziale Saggi esegetici, Casale Moni. 1 9 8 5 ) 5 Paulinische Perspektiven , Tiibingen 1 9 6 9 (tr. it.
Prospettive paoline, Brescia 1 9 7 2 ) .
51. D er B rief an die Ròm er, 3 volt., Neukirchen/Vluyn 1982.
Testimonianze esterne su Paolo e i suoi scritti 89
Bibliografia
Il raffronto dei testi paolini con altri scritti simili (paralleli antichi o commenti po
steriori) è un tema sul quale difficilmente si potrà parlare in modo dogmatico (so
stenere se vi sia o meno dipendenza letteraria). Tuttavia aiuta a cogliere le diffe
renti sfumature tra i vari scritti e le varie epoche.
La «scoperta di paralleli» solitamente parte da alcune concordanze, relativa
mente reperibili per il Nuovo Testamento59 ma meno per altri testi.
Alle edizioni maggiori, come il Corpus Christianorum o la Patrologia Graeca
e la Patrologìa Latina di Migne, si aggiungano edizioni, sotto molti aspetti più
accessibili, che contengono anche il testo originale. È il caso delle Sources Chré-
tiennes (Paris) che contano ormai molti volumi e, tra questi, non pochi presenta
no testi cristiani antichi in relazione a scritti biblici. Aggiungiamo il benemerito
D. Ruiz Bueno, Padres apostólicos, Madrid 1993; Idem, Padres apologistas grie-
gos, Madrid 1954. In lingua italiana non sono disponibili gli scritti patristici più
antichi con testo originale e traduzione. Tuttavia segnaliamo: A. Quacquarelli, Pa
dri Apostolici, Roma 9i998; C. Burini, Gli apologeti greci, Roma 1986; F. Cec
chini: Origene, Commento alla lettera ai Romani, 2 voli., Casale Monf. 19 8 5
1986; S. Caruana - B. Fenati e a., Opere di Sant’Agostino. Alcune questioni sulla
lettera ai Romani. Esposizione della lettera ai Galati. Inizio dell’esposizione del
la lettera ai Romani, Nuova Biblioteca Agostiniana 10/2, Roma 1997 (con testo
La corrispondenza tessalonicese
Come si accennava alla fine del cap. u, questa sezione dell’ opera com
prenderà entrambe le lettere ai Tessalonicesi, sia per i molti elementi in
comune, sia perché la questione dell’autenticità della seconda va risolta
mediante un reciproco confronto. Applicheremo, comunque, il criterio
di non considerare chiuse le questioni ancora aperte e di studiare ogni
documento alla luce degli scritti che ne agevolano la comprensione.
Tra i due capitoli riguardanti le lettere ne viene inserito uno partico
lare sulla catechesi primitiva, prendendo la prima ai Tessalonicesi come
punto di arrivo di una serie di tradizioni anteriori. Questa lettera si pre
sta a tale scopo proprio perché è il primo scritto del Nuovo Testamento
che possediamo e anche perché, riteniamo, è stata scritta senza una par
ticolare volontà di «far della teologia», ma semplicemente con l’intento
di trasmettere una catechesi, per cui diventa una finestra aperta sulla ca
techesi dei primi decenni cristiani. Malgrado il rischio di ingiustizia non
attribuiamo identico valore alla seconda ai Tessalonicesi, semplicemente
perché la sua autenticità non è unanimemente riconosciuta; perciò, se
dovessimo mescolare i contributi delle due lettere, la nostra argomenta
zione ne risulterebbe compromessa agli occhi di quanti nella seconda ai
Tessalonicesi vedono uno scritto non paolino.
I capitoli concernenti ciascuna lettera avranno la medesima struttura:
i . i d a t i d e l p r o b l e m a , sezione in cui saranno affrontati i temi pro
I, I D A T I D E L P R O B L E M A
i . Comunità destinataria
Tessalonica è una città della Macedonia, capitale di uno dei quattro di
stretti dell’omonima provincia romana, unita a Roma dalla via Egnazia
che arrivava sulla costa adriatica, di fronte a Brindisi, praticamente do
ve finiva la via Appia.1 In greco moderno si è tornati ad adottare il no
me antico di Tessalonica, mentre quello di «Salonicco» è considerato un
volgarismo. L ’importanza della città è dovuta alla sua posizione nella
valle dell’Axios (o Vardar), che traccia un percorso tra il Mediterraneo
e il Danubio. All’epoca di Paolo vi risiedeva il governatore romano, ma
la città cercava di mantenere il più possibile l’apparenza di polis libera
con i suoi «politarchi» {Atti 17 ,6 .8 ) autoctoni, i quali tuttavia dovevano
vegliare per garantire l’autorità dell’imperatore contro qualsiasi princi
pio di vera indipendenza. Era quindi ovvio che si allarmassero sentendo
parlare di qualcuno che «agisce contro i decreti di Cesare, affermando
che c’è un altro re», v. 7.
In una polis normale esisteva a pieno diritto la sinagoga, «etnarchia»
dei giudei, con il suo culto, la scuola e il tribunale. Stando ad Atti 1 7 ,2
Paolo comincia ad annunciare il vangelo nella sinagoga, «come era soli
to fare». Questa «consuetudine» di Paolo era necessaria nei luoghi dove
il vangelo non era stato ancora predicato, non soltanto per la convinzio
ne teologica che ad Israele spettasse la priorità della salvezza (cfr. Rom .
1 ,1 6 ; 2,9 s.; Atti 3 ,2 6 ; 13 ,4 6 ), ma anche per la necessità pratica di pote
re contare nelle comunità su elementi adulti, educati sin dall’ infanzia al
monoteismo, alla morale dei dieci comandamenti e alle tradizioni narra
tive (piene di significato) dell’Antico Testamento.
Paolo vi giunse dopo aver evangelizzato Filippi, passando da Anfipoli
{Atti 1 7 ,1 - 1 0 ) . Due dei suoi futuri compagni, Aristarco e Secondo, pro
venivano da Tessalonica (Atti 20,4). L ’evangelizzazione di Tessalonica è
segnata dalle torture e dalle umiliazioni subite da Paolo e dai suoi com
pagni a Filippi per mano dei militari. Da esse traevano maggior forza (la
1 . C fr . W . E llig e r , Paulus 7 8 - 1 1 4 .
La prima lettera ai Tessalonicesi 95
croce di Cristo!) per continuare a predicare «tra frequenti lotte» ( i Tess.
Secondo Atti 1 7 ,2 Paolo predicò nella sinagoga per tre sabati di se
guito. Ciò non significa che si trattenne a Tessalonica solo per tre setti
mane, ma soltanto che poi scelse un altro luogo di riunione, sempre in
dispensabile per celebrare battesimi ed eucarestia: probabilmente la casa
di Giasone, dove andranno a cercarlo i giudei per imprigionarlo (v. 5).
Pare che a Tessalonica Paolo non subì persecuzioni. Stando ad Atti 1 7 ,
6 i persecutori, non trovandolo, «presero Giasone e alcuni fratelli» e li
rilasciarono soltanto in cambio di una «cauzione» (v. 9). D ’altra parte,
quando parla delle persecuzioni subite dai tessalonicesi in 1 Tess. 2, 14 ,
Paolo non include anche se stesso. Per quanto riguarda l’attività dell’a
postolo nella città, la prima ai Tessalonicesi ce la presenta come il lavo
ro paziente dell’operaio che costruisce una cattedrale pietra dopo pietra.
Siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre che cura con amore i pro
pri figlioletti. Pieni di affetto, eravamo pronti non solo a darvi il vangelo di Dio,
ma anche la nostra stessa vita, tanto ci eravate diventati cari... Come un padre i
suoi figli, esortavamo e incoraggiavamo ciascuno di voi, scongiurandovi di vivere
in maniera degna di Dio... (1 Tess. 2,7 s . i i s ).
Riteniamo dunque che Paolo dovette restare almeno mezzo anno a Tes
salonica, proprio perché un simile lavoro non si/realizza né in una setti
mana né in un mese. Doveva annunciare il vangelo e doveva istruire i
convertiti sul nuovo genere di vita che comportava l’essere cristiani, con
la pazienza e l’affetto di una madre e con la precisione tecnica di un pa
dre che vorrebbe trasmettere a ciascuno dei suoi figli tutto ciò che ha
appreso nel corso della vita. Ciò significa che Paolo non pensa soltanto
al «messaggio» (o al «regno» o alla «chiesa»), ma vede degli esseri uma
ni concreti, ciascuno con problemi diversi, e questo non soltanto mentre
li ha davanti a sé, ma anche quando pensa a loro da lontano (cfr. 2 Cor.
1 1 ,2 8 s.).
Inoltre, in 1 Tess. 2,9 vi è un dettaglio che sottende una permanenza
non breve di Paolo a Tessalonica: vi si dice che l’apostolo lavorava. Lo
gicamente, se il suo soggiorno fosse stato di poche settimane non avreb
be cercato, né trovato, lavoro. Da parte sua, la decisione di lavorare
non era dettata soltanto dalla delicatezza personale di «non essere di
peso»; lavorava per poter donare loro un «vangelo gratuito» (1 Cor. 9,
18 ; cfr. w . 1 - 1 8 ) , un «dono di Dio» che fosse tale fino alle conseguenze
estreme (2 Cor. 1 1 , 7 ; cfr. vv. 9 - 1 1 ) .
Secondo le categorie di allora, era certo umiliante non presentarsi co
me un saggio che fa «onorare» (anche noi parliamo di «onorari») la pro-
2 . C fr . J . A . U b ie ta , La Iglesia de Tesalónica ; Nacido a tiempo 1 2 1 - 1 3 6 , sp ec. 1 3 1 - 1 3 4 , su lla
co m p o s iz io n e d ella co m u n ità .
96 L a corrispondenza tessalonicese
3. Tra i vari commenti alla lettera il più valido rimane B. R igaux, Les Épitres aux Thessatoni-
cienSj Paris 19 5 6 . Dopo di lui riteniamo che il più esperto sia R .F. Collins, The Birth o f thè
N ew Testamenti N ew Y ork 19 9 3 , importante per conoscere i contributi successivi. Seguono
poi i commenti di F.F. Bruce, 1 & 2 Thessalonians, W aco, T ex. 19 8 2 ; IJHL M arshall, 1 and 2
ThessalonianSi Grand Rapids, Mich. 19 8 3 ; F. Laub, 1 . und 2. Thessalonicherbrief\ Wiirzburg
19 8 5 ; R. Jewettj The Thessalonian Correspondencei Philadelphia 19 8 6 ; T . Holtz, Der erste
Brief an dìe Thessalontker, Neukirchen 19 8 6 ; P. levino, La prima lettera ai Tessalonicesi, Bo
logna r9 9 2. 4. Su questo tema cfr. sotto, cap. v , 6.
La prima ietterà ai Tessalonicesi 97
La domanda diretta sulla venuta della parusia viene posta in 5 , 1 - 1 1 .
La risposta è: «Non possiamo saperlo» (5,2; cfr. Mt. 24 ,36 ). La comu
nità conosceva già questa risposta (v. 1), ma era importante ribadirla
per quelli che erano turbati dalle morti. A prescindere da questo turba
mento, che rappresenta un elemento nuovo, il tema della parusia ricorre
in tutta la lettera (2 ,19 ; 3 ,1 3 ; 5,2.3), con l’idea che dovremo presentarci
«davanti» al Signore (2,19 ) o davanti al Padre (1,3 ; 3 ,1 3 ) ; e la prospet
tiva non è di terrore ma di speranza ( 1 ,3 ; 2 ,19 ; 5,8).
Nella vita di Paolo anche questa lettera dovette costituire una tappa
importante. Oltre al lavoro manuale, alla sinagoga, le piazze, la forma
zione di nuovi compagni di viaggio, vari tipi di riunioni e conversazioni
individuali, da questo momento dovrà mettersi anche a scrivere, incom
benza che fin da principio non dovette entusiasmarlo. In 4,9 e 5 ,1 affer
ma: «Non avete bisogno che vi scriva». È possibile che, a lettera inizia
ta, si sia detto: «M a ce n’è davvero bisogno?».
Sino a quel momento aveva scritto ben poco, però sapeva parlare e
possedeva un buon istinto retorico (come si è detto, gli mancava l’ « ar
chitettura», perché voleva dire troppe cose in una volta): pensò che scri
vendo avrebbe potuto essere presente in qualche modo tra quelli che era
no lontani ( 2 ,1 7 ; 3 ,10 ), e si decise. Per nostra fortuna.
E non è tutto. Aveva sempre dato un’impronta personale a ciò che di
ceva, ma tutti i grandi temi gli erano stati trasmessi, nella rivelazione di
Damasco o nelle catechesi successive. Qui, invece, compie un vero e pro
prio esercizio di deduzione teologica («se..., allora...»), giungendo a con
clusioni che, in questo caso, erano note a qualsiasi giudeo (la risurrezio
ne della carne) ma partivano da Cristo, attraverso un percorso comple
tamente nuovo. E questo era un ulteriore motivo per mettersi a scrivere.
Il momento della composizione della lettera può essere determinato
in base alla sequenza: partenza relativamente recente di Paolo da Tessa-
lonica ( 2 ,17 : pros kairon boras; alla lettera «per il tempo di un’ ora»),
intenzione di farvi ritorno (v. 18 : «una, anzi due volte»), invio di Tim o
teo, «non potendo più resistere» (3 ,1 s.), e ritorno di quest’ultimo «po
co tempo fa» (v. 6). Traducendo tutto ciò in giorni, la cronologia relati
va dà almeno alcuni mesi; molto difficilmente un anno o più di un anno.
Si sa inoltre che quando mandò Timoteo l’apostolo risiedeva ad Ate
ne (3 ,1), mentre si ritiene comunemente che il luogo d’ origine della let
tera sia Corinto, ossia la tappa immediatamente successiva. E questo è
logico se si suppone che Timoteo non si fermò a Tessalonica per il tem
po di una breve visita. Probabilmente per questo la prima ai Tessaloni
cesi non parla semplicemente di Atene ma di «Acaia» ( 1 ,7 s.). L ’ipotesi
concorda con il dato di Atti 18 ,5 : «Quando Sila e Timoteo giunsero
dalla Macedonia...» a Corinto.
98 La corrispondenza tessalonicese
3. Stile e vocabolario
Come si è già detto, tutte le lettere di Paolo sono scritte nel greco popolare koi
nè. La prima ai Tessalonicesi in particolare si colloca stilisticamente al di sotto di
altre e tende a sottolineare un tipo di rapporto quasi familiare; si noti ad esem
pio l’uso eccessivo (19 volte) della designazione «fratelli». Non per questo però
Paolo cessa di essere una persona che conosce il valore di ogni parola, capace di
trovare quella giusta per esprimere un determinato concetto. Si può affermare
che l’apostolo, quanto a sapienza e forma, si colloca all’altezza dei Settanta, os
sia dei traduttori greci dell’Antico Testamento: non enfatici né ricercati, però ca
paci di trovare il termine appropriato che il tema esige.
Anche rispetto ad altre lettere l’apostolo è particolarmente consapevole di rivol
gersi direttamente a persone convertite dal paganesimo (1 Tess. 1,9). Per questo
motivo l’influenza semitica è limitatissima. Nella prima ai Tessalonicesi non com
pare affatto il termine «nome», così denso di significato nella tradizione semiti
ca. Non vi mancano tuttavia espressioni e strutture cariche del senso che attribuisce
loro la tradizione giudaica e cristiana.5 In complesso, però, si dovrà parlare più di
un linguaggio popolare che di un linguaggio specificamente semitico.
Il lessico della prima ai Tessalonicesi consta di 3 66 parole; vi figurano solo 4 no
mi di persona (Paolo, Silvano, Timoteo e Gesù) e 4 nomi geografici (tessalonice
si, Macedonia, Acaia e Filippi). Contiene zi hapax (parole presenti una sola vol
ta) neotestamentari, e 36 che potremmo definire «hapax paolini», ossia termini
non più usati nelle sette lettere autentiche di Paolo. Con questo vocabolario l’au
tore compone un’opera di 147x parole, con una media per parola - tenuto conto
della lunghezza - simile a quella delle altre lettere paoline (147X : 366 = 4,ox).
Gli hapax possono fornire un’idea delle coordinate lessicali dell’autore. Si con
siderano tali, parole composte o derivate da altre parole ricorrenti nel N.T. Al
cune compaiono nei LXX: amemptos {«irreprensibile»), anamenein («attendere»),
ataktos («irrequieto»), ekdìokein («perseguitare»), execheisthai («risuonare»), ke-
leusma («comando»), enorkizein («scongiurare»), oligopsychos («pusillanime»),
hosios («piamente»), perileipesthai («sopravvivere»), truphos («nutrice», «ma
dre»), byperbainein («oltrepassare»); altri no: theodidaktos («istruito da Dio»),
kolakia («adulazione»), holoteles («perfetto»), symphyletes («connazionale»),hy-
perekperissou («sovrabbondantemente»). Tra le forme semplici ve n’è una sola
(sainein, «turbarsi») in greco perfetto, che manca nei LXX e un’altra, sconosciu
ta nel greco profano (omeiresthai, «desiderare»), che non manca nei LXX.
Riguardo alla presenza di semitismi propriamente detti, compare soltanto il ter
mine satana, ricorrente in entrambe le lettere, e forse l’espressione tromba di Dio
(j Tess. 4,16) nel senso di «grande tromba» (cfr. Mt. 24,31). Ciò non significa
però che il linguaggio delle due lettere sia semplicemente greco. Vi sono tantissi
me parole il cui significato, a volte anticipato da quello attribuito loro dai LXX,
risulta caratteristico del linguaggio cristiano. Tra queste possiamo citare agapan,
agape («amare», «amore»), angelos («angelo»), bagiazein, hagiasmos, hagios, ba-
giosyne («santificare», «santità», «santo»),adelphos («fratello»),akatharsia («im
purità»), apostolos («apostolo», dikaios («giustamente»), diokein («perseguita
re»), dokimazein («esaminare»), doxa («gloria»), douleuein («servire»), dynamis
(«potenza»), egeirein («risuscitare»), ethnos («popolo», «gentili»), ekklesia («chie
sa»), ekloge («elezione»), euangelizein, euangelion («vangelo»), eucharistia («ren
dimento di grazie»), hemera («giorno»), thelema («volontà»), thlipsis («tribola
zione»), kairos («tempo»), kalein («chiamare»), kauchesis («vanto»), keryssein
(«annunciare»), kopian («affaticarsi»), kyrios («Signore»), lalein («proclama
re»), logos («parola»), mellein («dovere»), orge («ira», «castigo»), ouranos («cie
lo»), parakalein, paraklesis («esortare», «esortazione»), parousia («venuta»), pa
ter («padre»), peripatein («camminare»), pisteuein, pistis, pistos («credere», «fe
de», «credente»), propheteia, prophetes («profezia», «profeta»), skotos («tene
bre»), synergos («collaboratore»), sozein, soteria («salvare», «salvezza»), teknon
(«figlio» [un discepolo]), typos («modello»), hyios («Figlio» [di Dio]), philadelphia
(«amore fraterno»), bypomone («perseveranza»), pbobos («timore» [di Dio]),
phos («luce»), charis («grazia»), christos («l’Unto», «Cristo»), bora («ora»).
Abbiamo così citato termini che ricorrono in varie lettere autentiche. Per com
prendere la varietà di linguaggio dell’apostolo è opportuno anche prendere in con
siderazione quelli che abbiamo definito «hapax paolini»: termini che non compa
riranno nelle altre sei lettere autentiche (pur figurando in altri passi del Nuovo
Testamento, dando risalto alla sua unità). Alcuni di essi possiedono anche una
forte carica religiosa. Citiamone alcuni: aiphnidios («repentino»), alethinos, ale-
thos («vero», «veramente»), apantesis («incontro»), archangelos («arcangelo»),
diamartyrestbai («proclamare solennemente»), kateuthynein («dirigere», «indi
rizzare»), parangelia («comando», «direttiva»), parresiazesthai («prendere corag
gio»), peripoiesis («acquisto»), plerophoria («pienezza»).4
4. Suddivisioni maggiori
II. L E T T U R A D E L L A L E T T E R A
Nel saluto iniziale Paolo non aggiunge nessun titolo proprio e associa i compa
gni Silvano e Timoteo (cfr. 2 Cor. 1,19). Qualifica i destinatari come «chiesa in
Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo», modificando la formula «chiesa di Dio in
Cristo Gesù» (1,14). «Grazia e pace» è espressione che dà contenuto cristiano a
un saluto greco (charis per chairete) aggiungendovi il saluto ebraico {pace).
2. Primo esordio:
la realtà della comunità (1,2 -10 )
Dopo aver ricordato che «tutti» sono oggetto delle sue preghiere (v. 2.), Paolo sot
tolinea che essi incarnano l’ideale cristiano: fede, carità e speranza (v. 3). Aggiun
ge poi che l’evangelizzazione è frutto di un’elezione divina (v. 4), per opera dello
Spirito santo che agiva nell’annunciatore (v. 5) e in coloro che ascoltavano, con
vertendoli in imitatori di Paolo e del Signore (v. 6). Per questo la fede dei tessalo-
nicesi è diventata «modello» per tutta la regione ed «eco» della parola del Signo
re, affiancandosi all’attività stessa dell’apostolo (w. 7 s.). La sezione si conclude
con una definizione di conversione allora già tradizionale: conversione dagli idoli
al Dio vivo, dal castigo (detto «ira») alla speranza nel liberatore Gesù, il Figlio ri
suscitato dal Padre (vv. 9 s.).
3. Prima narrazione:
Poperato di Paolo ( 2 ,1 -1 2 )
Ha qui inizio un ampliamento di 1,5: la «venuta» di Paolo non è stata vana (2,1)
e le sofferenze precedenti lo avevano allenato dandogli la certezza del contatto
con Dio (v. 2). In contrapposizione alle motivazioni dei sofisti (vv. 3.5 s.), la sua
evangelizzazione avveniva su mandato di Dio e alla sua presenza (v. 4). Non ha
fatto «pesare» ai tessalonicesì la sua dignità di apostolo ma, proprio come una
madre, dava tutto se stesso per amore (vv. 7 s.) lavorando manualmente giorno e
notte per sottolineare la gratuità del suo vangelo (v. 9). I suoi modelli erano
piuttosto il «giusto» dell’Antico Testamento (v. io) e il padre, che usando tutti i
toni (si osservino i tre participi) cerca di trasmettere i suoi segreti a ciascuno (già
nel v. 2 si diceva «tutti voi») dei suoi figli (vv. 1 1 s.).4
4. Secondo esordio:
sofferenza dei tessalonicesi ( 2 ,1 3 -1 6 )
Paolo sottolinea la sua profonda preoccupazione nei loro confronti. Esprime con
due frasi equivalenti il desiderio fortissimo di vederli (w. 17 s.) e con altre due
ciò che essi significano per lui (w. 19 s.). Seguono quindi altre due frasi sull’invio
di Timoteo (3,1 s.5), intercalate da una parentesi, anch’essa iterativa, sull’obiet
tivo del viaggio: affinché non vacilliate, poiché sapete, e ve l’avevamo detto, e co
sì avvenne, e lo sapete (vv. 3 s.).
Altre due frasi (w. 7 e 8) sottolineano il conforto arrecato dalle notizie porta
te da Timoteo (v. 6). Negli ultimi due versetti Paolo riprende le due ultime peri-
copi: ringrazia per la loro perseveranza (v. 9) ed esprime il desiderio vivissimo di
vederli per confortarli (v. io).
Augurio rivolto a se stesso (perché possa recarsi a visitarli: v. 11) e alla comuni
tà: che abbondi nell’amore (v. 12) e si confermi nella santità (v. 13).
Questa pericope inizia con due frasi sulle fonti dell’esortazione: le tradizioni ri
cevute (v. 1) e le norme date «da parte del Signore Gesù» (v. 2).
Incorniciati tra due frasi sullo scopo dell’esortazione, che è la santità (vv.
3a.7), stanno due esempi concreti di come raggiungerla: evitando la fornicazione
(per un sacro rispetto che ci fa superare la concupiscenza: vv. 3b-5) e l’inganno
nei rapporti, perché il Signore ristabilisce la giustizia (v. 6). Viene poi presentata
l’altra faccia della moneta: la disobbedienza equivale a un rifiuto di Dio e del suo
Spirito (v. 8).
Paolo inizia come chi intenda istruire («Riguardo all’amore fraterno...»: v. 9; cfr.
v. 13; 5,1), ma con artificio retorico si ritrae subito perché i tessalonicesi hanno
già un maestro più grande di lui; inoltre mettono già in pratica questo tipo di
amore. Tuttavia li esorta a fare ancora di più (v. io). A quanto pare, infatti, la
carità degli uni ha favorito l’oziosità di altri. Li invita inoltre a vivere in pace, sen
za intromettersi dove non sono richiesti, e a lavorare per non essere di peso agli
altri, per non mettersi in cattiva luce davanti agli estranei (vv. 11 s.).
Paolo affronta il problema di quanti sono già morti fornendo una prima soluzio
ne a priori: Dio non può lasciarci «senza speranza» (v. 13), come accadrebbe se
fossimo convinti che 1’ «incontro con Cristo» è riservato a «quelli che vivono».
La prima lettera ai Tessalonicesi 10 3
Si tratta di un’istruzione di per sé superflua (v. 1); forse grazie a una frase che sol
tanto Mt. 24,36 e Me. 13,32 hanno osato riprendere, i tessalonicesi sanno esat
tamente che il giorno del Signore giungerà come un ladro (v. 2).8 Possono anche
ripensare a quelli che mangiavano e bevevano tranquillamente e furono colti di
sorpresa dal diluvio (v. 3 ):9 il «ladro» non ci sorprenderà se non viviamo nelle
«tenebre» (v. 4), ossia «nella notte». Però potremmo «addormentarci» (v. 6), re
stando così «nella notte» (v. 7). La vigilanza consiste nel «cingersi»di fede, spe
ranza e carità (abilmente introdotte nel testo di Is. 59,17). Noi non siamo desti
nati alle tenebre (v. 9) perché, secondo il kerygma, Cristo «è morto per noi»,
affinché viviamo (v. io). Vi sono dunque molte ragioni per confortarsi (come
4,18) ed edificarsi vicendevolmente (v. 11).
Dopo aver risposto alle questioni sollevate Paolo dà un rapido sguardo all’anda
mento generale della chiesa. In primo luogo bisogna ascoltare e «considerare con
amore particolare, a motivo del loro lavoro», coloro che hanno la cura spirituale
della comunità (w. 12 .13 a). Non sembra meritare particolare enfasi l’esortazio
ne perché «vi sia pace» tra tutti (v. 13 b), mentre si insiste di più sulla «pastorale
reciproca» che include quella ai «pusillanimi» (v. 14; cfr. 4,11). In tono evangeli
co10 Paolo esorta a cercare il bene e a non rendere male per male. Trasmette co
me «volontà di Dio» l’esortazione a essere lieti, pregare incessantemente e rende
re grazie in ogni cosa (w. 16-18); invita a non disprezzare le manifestazioni dello
Spirito (w. 19 s.), anche se con la dovuta prudenza (v. 21) ed esorta, infine, a evi
tare qualsiasi specie (più della semplice «parvenza») di male (v. 22).12
Tutto l’essere deve prepararsi alla venuta del Signore (v. 23), confidando nel fat
to che egli stesso si è impegnato a tornare (v. 24). Congedandosi, Paolo chiede
che preghino per lui (v. 25) come lui non cessa di fare per loro (1,2). Riceveran-
6. Cfr. Rotti. 6,3-5. 7 - Cfr. Mt. 24,30 s. par.
8. Cfr. Mt. 24,42-44 par. 9. Cfr. Mt. 24,38-40 par. io . Cfr. Mt. 5,38-42.
10 4 La corrispondenza tessalonicese
no il suo saluto salutandosi tutti con il bacio santo (v. 2 6). Preoccupandosi per
quanti saranno assenti alle riunioni, si raccomanda perché tutti ricevano la sua
lettera (v. 27). Conclude con lo stesso augurio di grazie con cui aveva cominciato
(v. 28; cfr. i ,i ).
I I I. Q U ESTIO N I A PER TE
1. D ubbi sull’autenticità
2. Unità e integrità
in Zeit und Geschicbte (in on. di R. Bultmann), Tubingen 1964, 2,95-315; fa risposta appare
in R. Jewett* The Thessalonian Correspondence, Philadelphia 1986, 33-36.
14 . B.À, Pearson* 1 Thessalonians; in favore dell’autenticità di questi versetti cfr. Jewett, Thes
salonian, 36-42; I. Broer, Der ganze Zorn ist iiber sie gekommen, in R.F. Collins (ed.)? The
Thessalonian Correspondence, Leuven 1990, 13 7 - 15 9 ; K«P. Donfried, 1 Thessalonians 2 , 1 3
1 6 as a Test Case\ Interpretation 38 (1984) 242-253.
3. Cronologia
Baur critica duramente gli Atti degli Apostoli perché celerebbero le gran
di tensioni esistenti, a suo giudizio, nella chiesa primitiva. M a per quan
to riguarda la cornice storica ha piena fiducia in Luca. N on ha dunque
dubbi (o, per meglio dire, è essenziale per la sua teoria) nel collocare
l’evangelizzazione di Filippi, Tessalonica e Galazia dopo i fatti narrati
in G a i z. Altri, invece, hanno collocato quei fatti («concilio» di Geru
salemme e incidente di Antiochia) in un momento successivo, sia facen
do coincidere Gal. z con Atti 18,22. - scelta che comunque non sconvol
ge il quadro storico di Atti - sia ritenendo, sulla base di una critica sto
rica più radicale di Atti, che la prima evangelizzazione realizzata dall’a
postolo sia stata quella di Filippi (stando a Fil. 4 ,1 5 : «all’inizio della pre
dicazione del vangelo...»).
La prima tesi, sostenuta da «cronografi» come Jewett e H yldahl15 più
che da commentatori di lettere paoline, interessa l’interpretazione della
prima ai Tessalonicesi, nel senso che non può essere presentata come
commento vivo di Gal. z. Interesserebbe anche la datazione del cosid
detto «concilio» ma non quella di 1 Tessalonicesi, che si manterrebbe
intorno al proconsolato di Gallione in Acaia.
La seconda tesi, sostenuta da Knox e Ludemann ,lé
situa 1 Tessaloni
cesi intorno all’anno 4 1 . Giustifica la «moderazione» della lettera affer
mando che è stata scritta in un periodo in cui i rapporti tra Pietro e
Paolo erano buoni (cfr. Gal. 1 ,1 8 ) . Tuttavia deve accollarsi, tra le altre,
anche una grave difficoltà di ordine teologico, perché se l’apostolo si
imbarcò per Filippi nell’ anno 38, portando il «catechismo» di 1 Tessa
lonicesi (che svilupperemo nel prossimo capitolo), a stento si potrà par
lare di evoluzione nel linguaggio teologico della chiesa primitiva.17
Contro le due tesi, tuttavia, si può presentare il problema Barnaba.
Come già si è detto, l’ipotesi più coerente, anche dal punto di vista delle
lettere, è immaginare che Paolo si sia portato in Siria e in Cilicia {Gal.
1 ,2 1 ) dove si uni a Barnaba; insieme a lui si recò a Gerusalemme per
esporre la stessa causa (2 ,1-10 ) e, sempre con lui, fece ritorno ad Antio
chia, dove ricevettero la visita di Pietro. N el caso contrario, la presenza
di entrambi sia al «concilio» di Gerusalemme sia durante l’incidente di
Antiochia sarebbe imputabile meramente al caso.
15 . R. Jewett, DatingPaul's L//e,Philadelphia 19 7 9 ,9 5 -10 4 ; N. Hyldahl, Die pauìinische Chro-
nologie, Leiden 1986, 12.1 s.
i6« Knox, Chronology 347, perché non ritiene necessario far coincidere il soggiorno di Paolo
a Corinto con il proconsolato di Gallione; Liidemann, invece, distingue due permanenze del
l’apostolo nella città e considera 1 Tess. la prima lettera da lui scritta, Chronologie, 2,72 s.
17 . Basti vedere la quantità di tesi «avanzate» che, come illustrerà il capitolo seguente, ap
paiono già in 1 Tess.
La prima lettera ai Tessalonicesi 10 7
Bibliografìa
Tanto quelli definiti «dati del problema» quanto le «questioni aperte» appena
esposte sono i temi caratteristici dell’introduzione a un libro biblico - autore, de
stinatari, data e luogo di composizione, tendenze ecc. - riscontrabili nelle opere
introduttive e all’inizio di qualsiasi commento abbastanza ampio. Per un appro
fondimento ulteriore si può ricorrere a R.F. Collins, Studies on thè First Letter
to thè Thessalonians, Louvain 1984, come pure all’opera collettiva curata dal me
desimo, The Thessalonian Correspondence, Leuven 1990.
Per una ricostruzione che illustra la natura composita della prima lettera ai
Tessalonicesi, si veda R. Pesch, La scoperta della più antica lettera di Paolo, Bre
scia 1987.
Nel nostro volume la sezione centrale del capitolo dedicato a ogni singola let
tera costituisce un tentativo di lettura attento a scoprire tutto ciò che ne mostra
l’unità, ma anche la correlazione con le altre lettere paoline. Le nostre «letture»
propongono suddivisioni, offrono interpretazioni e contengono omissioni non dif
ficili da individuare. Impegnarsi in questa direzione significa chiedersi se vi era
motivo sufficiente per ritenere che si tratti di ripetizioni superflue o di un eccessi
vo impegno concettuale che rallenta il filo conduttore.
Per l’approfondimento esegetico rimandiamo ai commenti di Rigaux, Collins,
Bruce, Marshall, Jewett, Holtz e Iovino, indicati alla n. 3 di questo capitolo. Pos
siamo aggiungere H. Schiirmann, Prima lettera ai Tessalonicesi, Roma 1968; M.
Galizzi, Una chiesa giovane. Le due lettere di Paolo ai Tessalonicesi, Leumann
1973; H. Schlier, L’Apostolo e la sua comunità. Esegesi della prima lettera ai Tes
salonicesi, Brescia 1976; A. Oepke, Le lettere ai Tessalonicesi, in H.W. Beyer e
a., Le Lettere minori di Paolo, Brescia 1980, 295-352; W. Marxsen, Prima lette
ra ai Tessalonicesi. Guida allo studio del primo scritto del Nuovo Testamento,
Torino 1988; M. Adinolfi, La prima lettera ai Tessalonicesi nel mondo greco-ro
mano, Roma 1990.
Pur meno connesso all’esegesi delle due lettere, offre un utile contributo il sag
gio di A.J. Malherbe, Paul and thè Thessalonians, Philadelphia 3987.
Più oltre troveremo gli studi monografici solitamente citati nelle note; nc ag
giungiamo ora due che rientrano nella tematica trattata nel capitolo seguente: H.
Jurgensen, Saint Paul et la Parole. 1 Thessaloniciens 4,13-5,11 dans Vexégèse mo
derne et contemporaine, Strasbourg 1992; P. Hoffmann, Die Toten in Christus,
Mùnster 1978.
Capitolo v
La catechesi primitiva
del Signore (4 ,15 ) oltreché su cose che i tessalonicesi sanno con preci
sione (5,2), poiché appartenevano a una catechesi ben strutturata.
Da un punto di vista critico, questa dipendenza dalla catechesi talvol
ta non ha certo favorito l’accettazione della lettera come autentica. Scri
ve F.Ch. Baur: «Non dice assolutamente nulla: non può essere di Pao
lo».1 Tuttavia questo può anche giocare a favore del suo apprezzamento
come testimonianza della chiesa primitiva: proprio perché «non dice
nulla», perché non aggiunge riflessioni dell’ultim’ora, può essere un ri
flesso fedele della catechesi che Paolo aveva svolto poco tempo prima ad
Antiochia insieme a Barnaba (cfr. Atti 1 1 ,2 4 - 2 6 ; 1 3 ,1 - 1 4 ,2 8 ) ,23 il quale a
sua volta proveniva dalla comunità di Gerusalemme (cfr. Atti 4 ,3 6 ; 9,
27; 1 1 ,2 2 ) .
In ogni caso si tratta di una catechesi per gentili, ma elaborata da
giudei per via del suo sfondo profondamente veterotestamentario. Con
tiene vere e proprie composizioni «d’équipe» in cui, senza sminuire il la
voro dell’apostolo, si può scorgere il contributo di altri «profeti e mae
stri» (cfr. Atti 1 3 ,1 ) della comunità antiochena, donde partì l’evangeliz
zazione dei non giudei ( 1 1 , 1 9 s.) e nella quale per la prima volta i di
scepoli furono chiamati cristiani (v. 26).
La catechesi era così definita dal verbo kat-ecbeo, «far risuonare co
me un’eco», citato in Rom. 2 ,1 8 a proposito della catechesi giudaica e
in 1 Cor. 1 4 ,1 9 ; Gal. 6,6 a proposito della catechesi cristiana. Tale no
me implica la ripetizione di determinate nozioni fino alla loro memoriz
zazione e si ricollega all’idea di un certo «modello di dottrina» {Rom. 6,
17 ) messo per iscritto e utilizzato da tutti i catechisti.
Sono risultati infruttuosi (o almeno, non hanno avuto molto succes
so) i tentativi di ricostruire tale testo.4 Rinunciamo a un nuovo tentati
vo, anche se riteniamo che uno studio di tutte le tradizioni del Nuovo
Testamento ci porterebbe molto vicini a questo manuale e la prima ai
Tessalonicesi rivestirebbe un ruolo di primo piano in simile studio, sia
per il modesto contributo teologico sia perché è il documento più antico
di tutto il Nuovo Testamento.
Senza aver troppe pretese, ma cercando la sostanza della dottrina più
che la letteralità dei presunto testo catechetico, riprenderemo i singoli
punti del cristianesimo elementare raccolti in 1 Tessalonicesi. N on rite
niamo costituisca una violenza al testo interpellarlo in seguito circa le
2. «La mancanza di un particolare interesse e di una motivazione precisa è già di per sé un cri
terio che non appoggia l’origine paolina», Paulus, 4 8 1.
3. Cfr. Aguirre, La Iglesìa de Antioquia; Hengel, Prom Damascus; Nacido a tiempo 59-63.
4. Il più criticato è quello di A. Seemann, Der Katecbismus der Urkhche, Miinchen 1966; tut
tavia è evidente il sentimento di unità di fede delle prime generazioni cristiane; cfr. J. Sànchez
Bosch, La Iglesìa universal en las Cartas de Pablo: R CT 8 (1984) 35 -8 1, spec. 44-49.
ITO La corrispondenza tessalonicese
questioni che compariranno nei «credo» e nei catechismi dei secoli suc
cessivi, se si ha cura di non fargli affermare cose che non dice. E ciò che
intendiamo fare affrontando una serie di punti che consideriamo fon
damentali. Cominciamo a svilupparli.
i . Il D io unico
«Dio» (in greco ho theos, con articolo), come nome comunemente am
messo dai giudei di lingua greca per designare Jahvé-Elohim e come es
sere accettabilmente affermato da alcuni filosofi greci (cfr. Rom. 1 ,1 9
s.), dovette rappresentare un perfetto sconosciuto per la maggior parte
dei componenti la comunità tessalonicese, di origini semplicemente pa
gane. Essi appartenevano, dice Paolo, ai «gentili che non conoscono Dio»
(r Tess. 4,5) o agii «altri che non hanno speranza» (v. 13 ).
In ogni caso, nella prima ai Tessalonicesi come nelle altre lettere del
l’apostolo il tema di Dio non compare come in una prima lezione diret
ta ai pagani, ma come in una lezione rivolta a cristiani: Dio è perfetta
mente integrato nella soteriologia e nella cristologia. Solo attraverso in
dizi (e la logica!) possiamo ricostruire la prima predicazione di Paolo e
di tutti quelli che come lui si dedicarono all’evangelizzazione dei gentili.
Dovette trattarsi di un annuncio ispirato all’Antico Testamento (il Dio
unico, sapiente e potente, giusto e misericordioso, creatore del mondo e
dell’uomo), con una critica specifica al politeismo imperante («vi siete
convertiti dagli idoli a Dio, per servire il Dio vivo e vero», 1 Tess. 1,9 ),5
che però non rinunciava alle acquisizioni più interessanti della filosofia
greca: la sua invisibilità, il suo potere eterno e la sua trascendenza
(Rom. 1,2.0). Il nome di Dio compare per ben 3 6 volte in una lettera co
sì breve: indizio sufficiente per accreditare l’importanza di questo tema
nell’insegnamento dell’apostolo. Dio è per definizione «il Dio vivo e ve
ro», in contrapposizione agli idoli che, oltre a essere inanimati (cfr. 1
Cor. 12 ,2 ) , non esistono (8,4; 10 ,19 ).
Nella prima ai Tessalonicesi si parla di un Dio presente in ogni cosa
(«Dio è testimone»: 2 ,5 ; cfr. v. io) e vicino a tutti. H a un piano di sal
vezza che consiste nel rendere gli uomini imitatori della sua «santità»
(cfr. «santo» in 5,2 6 s.; «santità» in 3 ,1 3 ; 4,3 s.7; «santificare» in 5,Z3),
piano che ha rivelato nel suo vangelo (z,z.8 s.; cfr. v. 1 3 : la sua parola)
con il quale «chiama» (2 ,12 ; 4,7) i suoi «amati ed eletti» (1,4) per costi
tuire la sua chiesa ( 1 ,1 ; z ,i4 ). Perciò gli apostoli sono suoi ministri
(3,z): egli li conferma (2,4), dirige i loro passi ( 3 ,1 1 ) , infonde loro co
raggio (2,2). Al momento della parusia sarà la sua tromba a convocarci
5. Questo versetto e il successivo figurano tra i frammenti considerati «prepaoimi»; cfr. Wengst,
Christologische, 29 s«
La catechesi primitiva 111
(4,16) e sarà Dio stesso a radunare quelli che sono morti (4,14) condu
cendoli al suo regno e alla sua gloria (2 ,12 ). Egli infatti è il Dio della
pace (5,23), che non ci ha destinati al castigo {orge, alla lettera «ira»)
ma all’acquisto della salvezza (v. 9).
Per completare l’immagine bisogna aggiungere che per la prima ai
Tessalonicesi quest’ «ira» (o castigo) esiste davvero: Cristo ha liberato
da essa quanti hanno creduto in lui (1,10 ), ma ora essa incombe in mo
do inappellabile su coloro che hanno colmato la misura dei loro peccati
( z , i 6). La domanda allora è come quest’ «ira» possa conciliarsi con l’at
teggiamento disponibile che bisogna dimostrare verso tutti gli uomini e
che traspare in certi momenti { 3 ,1 2 ; 5 ,1 4 s.). È curioso che la minaccia
concreta di 2 ,16 si riferisca ai giudei, considerati «nemici di tutti gli
uomini» (v. 15). Dunque non si può presupporre in Dio una «cattiva di
sposizione» di principio, anche se determinate circostanze possono in
durlo a manifestare la sua ira.
7. Si o sservi ch e , co n tra ria m e n te a c iò ch e su g g e riv a la scu o la di sto ria delle religion i (cfr. H .
G u n k e l, Die Wirkungen des hi. Geistes nach den populàren Anschauungen der apostolischen
Z eit und nach der Lehre des Apostels Paulus , G o ttin g e n 1 8 8 8 , rist. 1 9 8 7 ) , le fu n zio n i «in ti
m e » d ello S p irito - n e lla p re d ic a z io n e , nella fed e, l’ « in a b ita z io n e » nel fo n d o dell’ essere - fin
/ d a l p rin c ip io h a n n o p iù p e so risp e tto ai co sid d e tti « c a ris m i» .
La catechesi prim itiva 113
Cristo.8 Nessuno potrà dire lo stesso della sua motte, come si evidenzie
rà nel prossimo punto. Questo sarà sufficiente per mettere in guardia
quanti non vogliano attribuire all’apostolo l’idea di aver dato grande
importanza alla morte di una persona la cui vita non ne ebbe affatto.
Certo è che l’apostolo non poteva contare né su ricordi personali, né
su un testo «canonico» sulla vita e la parola di Cristo. Proprio per que-
— sto dovremo attribuire maggiore importanza ai testi da cui traspare l’in
dubbio rilievo che Paolo diede alla vita terrena di Gesù. Ad esempio il
nome stesso di Gesù, che nella prima ai Tessalonicesi ricorre per ben 16
volte, generalmente accompagnato da altri titoli di cui parleremo più
avanti («Cristo Gesù» in 2 ,1 4 ; 5 ,1 8 ; «Signore Gesù» in 2 ,1 5 .1 9 ; 3 , 1 1 .
1 3 ; 4 ,1 s.; «Signore Gesù Cristo» in 1 , 1 . 3 ; 5,9 .23.28 ). Inoltre, in due te
sti compare il solo nome come sintagma completo, come è costume del
la tradizione evangelica:9
Attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, che ci li
bera dall’ira che viene (1,10);
se crediamo che Gesù è morto ed è risuscitato, Dio porterà con sé per mezzo
di Gesù anche quelli che sono morti {4,14).
Questi due testi parlano della risurrezione, ma dicendo che a risorgere è
Gesù fanno capire che si tratta di una persona precisa, che ha avuto una
vita concreta. Il secondo testo parla anche della morte, di quella di Gesù
e della nostra «per mezzo di G esù ». In entrambi i casi il nome mette in
risalto il vissuto concreto di una persona concreta. Si tratta dunque di
una morte che acquista significato in quanto riassume la vita di una per
sona. N el primo testo, d’altra parte, come semplice possibilità vedrem
mo tutta la scena del battesimo di Gesù. O almeno unisce due elementi
che compaiono in tale scena: la domanda di Giovanni («Chi vi insegne
rà a sottrarvi all’ira imminente?», Mt. 3,7) e la risposta dal cielo del Pa
dre («Questi è il mio Figlio...», v. 17).
Altri due testi partono dal ricordo storico di Gesù, anche se non usa
no (o non usano soltanto) il nome «Gesù»:
Siete stati imitatori del Signore, ricevendo la parola con la gioia dello Spirito san
to in mezzo a grande tribolazione (1,6);
i quali hanno messo a morte il Signore Gesù e i profeti... e non sono graditi a
Dio e sono nemici di tutti gli uomini (2,15).
Evidentemente il primo testo non sta facendo riferimento al Gesù cele-
8. R . B u ltm a n n è c o n v in to d i segu ire P a o lo q u a n d o a ffe rm a che il c ristia n e sim o ha in izio c o n
il k e r y g m a sulla m o rte e la risu rrezio n e di C r is to : tu tto c iò ch e p reced e co stitu ire b b e dei « p r e
ced en ti s to r ic i» ; c o s ì in II cristianesimo primitivo nel quadro delle religioni antiche, M ila n o
1 9 6 4 . Si n o ti ch e d ella p re d ica zio n e d i G e s ù si p a rla nel c a p ito lo d e d ic a to a l g iu d a is m o e n o n
in q u e llo ch e tra tta d el cristian esim o p r im itiv o , p p . 8 6 - 9 2 .
ste, libero da ogni tribolazione, ma al Gesù che patì a causa della parola
(.M t. 1 3 ,2 1 ) e fu perseguitato a causa della giustizia ( 5 ,1 1 s.). U secondo
testo parla direttamente della sua morte (cfr. 1 Cor. 1 1 ,2 6 : «la morte
del Signore»), che non fu naturale ma gli venne inflitta. Questa espres
sione implica la sua vita, perché è detto che lo misero a morte quelli che
«non sono graditi a Dio e sono nemici di tutti gli uomini» e mettono a
morte anche «i profeti» a causa di un comportamento che essi non gra
discono. Alla luce di queste frasi non sarebbe diffìcile ricostruire una
immagine abbastanza tradizionale della vita di Gesù.
Inoltre tutto l’insegnamento catechetico della lettera ha qualcosa a
che vedere con Gesù. La stessa espressione grammaticale permette di
presupporre una certa consapevolezza del fatto che quando il catechista
sta istruendo è Gesù a istruire:
Quali istruzioni vi abbiamo dato per mezzo del Signore Gesù {4,2);
vi abbiamo detto questo con parola del Signore (v. 13).
Benché non in modo vistoso, questa coscienza si riflette in numerose co
incidenze con la tradizione sinottica.10 A d esempio nel tema escatologi
co, con le tribolazioni che dovremo subire (3,3 s.; cfr. Mt. 20 ,22) e con
la venuta di Cristo (4 ,16 s.; cfr. Mt. 2 4 .3 0 s.; 26,64) insieme ai suoi an
geli ( 3 ,1 3 ; cfr. Mt. 16 ,2 7 ), che ci condurrà al regno e alla gloria del Pa
dre ( 1 ,1 2 ; cfr. Mt. 1 6 ,2 7 ; 26,29). L ’escatologia di 1 Tessalonicesi è im
pregnata di espressioni nello stile inconfondibile di Gesù: nessun autore
giudeo o pagano avrebbe detto che «il giorno del Signore giunge come
un ladro in piena notte» (5,2; cfr. M t. 24,43).
N on mancano neppure paralleli (ad es. 1 Tess. 4 ,3-8 ; 5 ,14 -2 3 ) con la
tematica e lo stile del discorso della montagna (M t. 5-8), e vi sono addi
rittura curiose somiglianze con la stessa tradizione giovannea:
Riguardo all’amore fraterno, non avete bisogno che ve ne scriva; voi stessi siete
stati istruiti da Dio ad amarvi gli uni gli altri (allelous: 4,9; cfr. Gv. 13,34 s.; 15,
12.17; 1 Cv. 3,11.23; 4,7.11 s.).
Sul mistero della morte e risurrezione di Cristo non solo possiamo affer
mare che faceva parte del kerygma più primitivo, ma anche che l’annun
cio che io riguarda ci è giunto addirittura nelle sue formulazioni più an
tiche.11 Ciò vaie specialmente per 1 Cor. 1 5 ,3 s .:11
10. In opere recenti tali coincidenze vengono sottolineate, ad es. da S.J, Patterson, Paul and
thè Jesus Tradition: It is Time for another L o o k ; HTR 84 (1991) 2 3 -4 1; D. Wenham, Paul,
Follower o f Jesus or Founder o f Christianity, Grand Rapids, Mich. 1995.
1 1 . L'opera di P. Hoffmann, Z ur neutestamentlichen tìberlieferung von der Auferstehung Je -
La catechesi primitiva 115
Cristo morì per ì nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto e risuscitò il terzo
giorno secondo le Scritture.
Sempre partendo dalla prima ai Tessalonicesi diremo qualcosa a propo
sito di questi due eventi, la morte e la risurrezione.
a) Morte redentrice
Questo è il mio corpo. Questo è il sangue della mia alleanza, versato per i molti
(= tutti).
Lasciando da parte altre differenze, M t. 26 ,28 aggiunge «per il perdono
dei peccati» (eis aphesin hamartion) alle parole sul vino. Persino questa
frase può essere anteriore al kerygma di 1 Cor. 1 5 ,3 , che contiene una
espressione greca (hyper ton hamartion hemon) di per sé incoerente (non
può significare né «in favore» né «in sostituzione» dei nostri peccati),
che però può essere intesa come compendio della locuzione «in favore
nostro, per il perdono dei peccati».
Molte altre formulazioni sul valore soteriologico della morte e risurre
zione di Cristo, riprese da Paolo, probabilmente facevano parte di pro
fessioni di fede o formule sacramentali prepaoline. Le citeremo soltanto
qualora se ne trovi qualche riflesso nella lettera che stiamo esaminando.
Per quanto riguarda la morte, 1 Tessalonicesi non potrebbe essere più
scarna. In 4 ,14 Paolo afferma che Gesù è morto e i cristiani muoiono
per mezzo di Gesù; riteniamo voglia dire che, quando muore un cristia
no, muore una persona già unita alla morte di Cristo. Pertanto la morte
naturale ha cambiato segno a causa della morte di Cristo e ciò presup
pone che quest’ultima abbia valore salvifico-sacramentale.
In 5,9 s. aggiunge:
Perché Dio non ci ha destinati all’ira, ma all’acquisto della salvezza per mezzo
del Signore nostro Gesù Cristo, il quale morì per noi, affinché, sia che vegliamo
sia che dormiamo, viviamo insieme con lui.
Qui il parallelo è l’istituzione eucaristica: l’espressione «per i molti» di
Mt. 26,28 e Me. 14 ,2 4 si traduce in lingua corrente con «per noi» (cfr.
1 Cor. 1 1 ,2 4 ; Le. 2.2,19: «per voi»; Gal. 2,20: «per me»).
L ’idea di peccato (cfr. 1 Cor. 1 5 ,3 ; Rom. 4 ,2 5) è sempre presente. Il
suy Darmstadt 1988, apporta elementi decisivi per la ricostruzione di tale annuncio; cfr. anche
C.H. Dodd, La predicazione apostolica e il suo sviluppo, Brescia 2i978.
12 . In Nacido a tiempo 4 6 s. parliamo del «kerygma di Damasco... proveniente dalla Galilea».
il6 La corrispondenza tessalonicese
b) Risurrezione
13 . A favore del senso letterale si può osservare: a) è certo che i Tess. 4 ,13 - 15 ha parlato di
«dormire» (con il verbo koimao) nel senso di «morire», ma il testo in esame impiega il verbo
katheudo^ che nel contesto immediato (vv. 6 s.), significa semplicemente «dormire»; b) non è
confermato da altri esempi che «vegliare» significhi «non essere morto»; il senso della frase è
dunque quello più diretto, equivalente a «sia di giorno sia di notte».
14 . Secondo Wengst, ChristologischeJ 27, Rom. 10,9 s. rientra fra i frammenti prepaolini.
La catechesi prim itiva 117
Nella formula «il Figlio di Dio, Signore nostro Gesù Cristo», familiare a
qualsiasi «apprendista», si potrebbe veder concentrata tutta la cristolo
gia della prima ai Tessalonicesi e, in un certo senso, di Paolo.16 Come si
è visto, il nome «Gesù» come sintagma completo, secondo la consuetu
dine della tradizione evangelica, compare in 1 , 1 0 e 4 ,14 . Tuttavia in que
st’ultimo passo il sintagma viene preceduto da un titolo ben preciso,
«suo Figlio», che lo qualifica. In tutti gli altri testi della lettera il nome è
accompagnato - o sostituito - da altri titoli. Si ha dunque:
solo «Cristo» in 2 ,7 ; 3,2; 4 ,1 6 ;
solo «Signore» in 1,6 .8 ; 3,8; 4 ,6 .1 5 .1 6 .1 7 ; 5 ,2 .1 2 .2 7 ;
«Cristo Gesù» in 2 ,1 4 ; 5 ,18 ;
«Signore Gesù» in 2 ,1 5 .1 9 ; 3 , 1 1 . 1 3 ; 4 ,1 s.;
«Signore Gesù Cristo» in 1 , 1 . 3 ; 5,9-2.3.28.
L ’aspetto più interessante per una ricostruzione della catechesi primi
tiva è che nella prima ai Tessalonicesi nessuno di questi titoli si presenta
come affermazione, mà come presupposto: non si dice «Gesù è il C ri
sto» (come in Me. 8,29; Gv. 7 ,4 1 ; Atti 1 7 ,3 ) o «è il Figlio di Dio» (co
me in Mt. 1 6 ,1 6 ; 2 6 ,6 3; Me. 1 5 ,3 9 ; G v. 1 ,3 4 ; 2 0 ,3 1; Atti 9,20) o anco
ra «è il Signore» (come in Rom. 10 ,9 ; 1 Cor. 1 2 ,3 ; FU. 2 ,1 1 ) . A ll’epoca
della stesura della lettera si riteneva che l’attribuzione di questi tre titoli
a Gesù fosse ormai perfettamente assimilata.
Inoltre, mentre gli appellativi «Figlio» e «Signore» sono ancora con
1 5 . C f r . s o tto , 5 b.
1 6 . C f r . q u e sti tre a p p e lla tiv i in 0 . C u llm a n n , Cristologia del Nuovo Testamento, B o lo g n a
1 9 7 0 5 si v e d a n o p u re F . H a h n , C bristologische Hoheitstitel, G ò ttin g e n * 1 9 9 5 ; W . K ram er,
Christ, Lord, Son o f God, London 19 6 6 .
rj8 La corrispondenza tessalonicese
a) Gesù, «Cristo»
questa promessa Dio J’ha attuata per i loro figli, risuscitando per noi Gesù,
come anche sta scritto nel salmo secondo: «Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato»
{Atti 13,33).
Questi due testi non possono essere considerati citazioni letterali di una
confessione di fede primitiva (un credo non direbbe mai «che voi avete
crocifisso»!), per quanto sembrino avere la certezza circa la sostanza di
ciò che trasmettono:
a) che il ministero terreno di Gesù non potè essere considerato «re
gno» messianico, in special modo dai suoi contemporanei;
b) che la risurrezione di Gesù fu vista come un atto di intronizzazione
messianica. A partire da quel momento a Gesù vennero applicati i salmi
che gli attribuiscono i titoli di «Cristo-messia» {Sai z,z), di «Figlio» (z,
7) e di «Signore» {Sai. 1 1 0 ,1 ) .
La lettura di questi e di altri testi messianici dell’Antico Testamento
alla luce della vita, morte e risurrezione di Gesù portò la cristologia cri
stiana ad affermazioni stupefacenti per gli stessi apostoli nel giorno del
venerdì santo: Gesù è intronizzato in cielo e da lì esercita un potere pa
ragonabile a quello di Dio stesso. In un certo senso si può dunque affer
mare che il titolo di «Cristo» (messia) è alla radice di tutti i titoli cristo
logici che prendono spunto dai salmi messianici e da altre profezie. C o
me si è detto, col tempo i titoli di «Figlio di Dio» e di «Signore» diven
tarono gli unici significativi, semplicemente perché l’appellativo «Cri
sto» (messia) non diceva assolutamente nulla ai gentili. Soltanto il po
polo giudaico attendeva la redenzione in tale forma. Per questo motivo
1 Tessalonicesi, che fornisce un modello di catechismo per i gentili, non
sente la necessità di spiegare le tradizioni messianiche. In essa il termine
«Cristo» si è già trasformato in una specie di cognome di Gesù.19
La formula usuale in tutto il Nuovo Testamento è «Gesù Cristo» ( 1 ,
1 .3 ; 5,9- ì 3.2.8), ma ne esiste anche un’altra tipicamente paolina: «Cristo
Gesù» (z ,i4 ; 5 ,18 ). Può essere un indizio che nell’esperienza e forse nel
la prima predicazione dell’apostolo tale titolo era significativo: «Cristo
Gesù» {Christos Iesous) era forse un’esclamazione parallela a kyrios Ie-
sous ( 1 Cor. i z ,3 ; Fil. z , i i ; cfr. Rom. 10,9), che significa «Gesù è Si
gnore». Se così fosse, l’espressione significherebbe «Gesù è il messia».
Tuttavia la lettera non lo afferma esplicitamente. Nelle sue lettere Pao
lo non allude mai chiaramente alle tradizioni messianiche. Solo Rom.
1 ,3 , in un testo probabilmente giudeocristiano, dichiara che Gesù è di
scendente di Davide secondo la carne, ma senza aggiungere che Gesù ha
ereditato il regno promesso al suo antenato. A tale silenzio può avere
19 . La designazione di «cristiani», che ebbe origine ad Antiochia (Atti 11,2 6 ), nasce dall’uso
di «Cristo» come semplice nome. Lo testimoniano sia i testi citati di Svetonio e Tacito, sia i te
sti pagani successivi.
12 0 La corrispondenza tessalonicese
ne dai morti», in linea con Atti 1 3 ,3 3 che applica la frase «oggi ti ho ge
nerato» {Sai. 2,7) alla risurrezione, Il testo di Atti non ci porta molto
lontano, in quanto non si tratta di una trascrizione letterale di una con
fessione di fede; potrebbe essere un semplice artificio letterario di Luca,
che metterebbe in relazione «risuscitare» con «generare». Invece non vi
è da dubitare nel riconoscere in Rom. 1 ,3 s. una formulazione della fede
giudeocristiana sull’intronizzazione di Gesù come «Figlio»-messia nella
sua risurrezione. In realtà, il testo di Romani non afferma che fu costi
tuito «Figlio di Dio» tout court, ma «Figlio di Dio con potenza», frase
che rende compatibili le due «filiazioni»: Cristo fu costituito «Figlio-di-
Dio-con-potenza», con tutte le caratteristiche di salvatore e giudice del
l’umanità, a partire dalla risurrezione, mentre era Figlio di Dio fin da
prima.
Buona parte della critica replicherà sostenendo che la frase «con po
tenza» di Rom. 1,4 non fa parte della confessione di fede originaria, ma
potrebbe essere dovuta a un’aggiunta di Paolo.11 Personalmente, a parte
il peso delle tradizioni evangeliche, non ritengo «con potenza» una cor
rezione introdotta da Paolo in una confessione di fede che inizialmente
non la conteneva, e questo da due punti di vista. Dal punto di vista del
contesto messianico, la consegna di determinati poteri è caratteristica
dell’intronizzazione :
Tu sei mio figlio; io oggi ti ho generato. Chiedimelo, e ti darò in eredità le genti,
possederai il mondo da un estremo all’altro. Le spezzerai con scettro di ferro, le
frantumerai come vasi di argilla {Sai. 2,7-9).
Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi.
Che Jahvé stenda da Sion il potere {dynamis, come in Rom. 1,4) del tuo scettro.
Domina ir mezzo ai tuoi nemici {Sai. t t o , t s .).
Gli fu dato il potere, la gloria e il regno. Tutti i popoli, nazioni e lingue gli ren
deranno omaggio; il suo potere è eterno, non passerà mai; il suo regno non sarà
mai distrutto {Dan. 7,14).
Dal punto di vista del contesto paolino, riteniamo che la conclusione pos
sa essere identica. L ’apostolo colloca una confessione di fede della co
munità giudeocristiana sul frontespizio della sua lettera come segno del
la fede comune (cfr. Rom. 1 ,1 2 ) . Se infatti Paolo, aggiungendo «con po
tenza», avesse cambiato sostanzialmente il senso di tale confessione,
non avrebbe forse ottenuto un effetto contrario a quello voluto? Se in-
2 ,1. In H . Z im m e r m a n n (- K . K lie s c h ), Neutestamentliche Methodenlebre. Darstellung der hi-
storisch-kritiscben Methode, S tu ttg a r t < ^ 9 8 2 , 1 9 9 - 2 0 4 , si p arla della p o ssib ile a ttrib u z io n e
delle v a r ie frasi di Rom. 1 , 3 s. a tra d iz io n i diverse: l’ e sp ressio n e « c o n p o te n za » sa re b b e a ttri
b u ita alla re d azio n e p a o lin a ; cfr. tu tta v ia G . R u g g ie r i, Il figlio di Dio davidico. Studio sulla
storia delle tradizioni contenute in Rom 1,3-4, R o m a 1 9 6 8 , per il q u ale « l’e sp re ssio n e en
dynameì è p erfettam en te c o rrisp o n d e n te a lla co n n e ssio n e ch e tu tto il N u o v o T e s ta m e n to p o n e
tra la n o z io n e d i p o te n z a e la risu rre zio n e » (p. 9 5 ) .
1 22 La corrispondenza tessalonicese
Alla chiesa dei tessalonicesi, in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo (en theo pa
tri kai kyrio Iesou Christo: 1,1).
La speranza nel Signore nostro Gesù Cristo (tou kyriou hemon Iesou C hristou)
davanti a Dio, nostro Padre (1,3).
Per ottenere la salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo (tou kyriou
hemon Iesou Christou: 5,9).
Si conservi senza macchia per la parusia del Signore nostro Gesù Cristo (tou
kyriou hemon Iesou Christou: 5,23).
La grazia del Signore nostro Gesù Cristo (tou kyriou hemon Iesou Christou)
sia con voi (5,28).
Dio nostro Padre e il Signore nostro Gesù (tou kyriou hemon Iesou) diriga il
nostro cammino... (3,11).
Nella parusia del Signore nostro Gesù (tou kyriou hemon Iesou) con tutti i
suoi santi (3,13).
Vi esortiamo nel Signore Gesù (en kyrio Iesou: 4,1).
Le norme che vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù (dia tou kyriou Iesou:
4,2).
Si giunge infine ai tredici passi in cui il titolo di «Signore» viene impie
gato da solo (1,6 .8 ; 3 ,8 .1 2 ; 4 ,1 5 - 1 7 ; 5 ,12 .2 7 ):
Siete stati imitatori nostri e del Signore (tou kyriou), avendo accolto la parola in
mezzo a grande tribolazione con la gioia dello Spirito santo (1,6).
A partire da voi la parola del Signore (ho logos tou kyriou) riecheggia... dap
pertutto (1,8).
Ora sì, ci sentiamo rivivere, se rimanete saldi nel Signore (stekete en kyrio: 3,8).
Che il Signore (ho kyrios) vi dia pienezza e vi faccia abbondare in amore (3,12).
Che nessuno inganni il proprio fratello negli affari, perché il Signore è vindice
(ekdikos kyrios: 4,6).
gna lo stadio ultimo, non il primo, nella storia dei titoli all’interno della chiesa cristiana». Se
condo noi, invece, l’evoluzione dovette incominciare ben presto, perché in 1 Tessalonicesi ap
pare come quasi conclusa. 24. Cfr. sotto, 6.
12 -4 La corrispondenza tessalonicese
Vi diciamo questo sulla parola del Signore (en logo kyriou: 4,15).
Nella parusia del Signore (eis ten parousian tou kyriou) non passeremo davan
ti a quelli che sono morti (4,15).
Il Signore stesso (autos ho kyrios) a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al
suono della tromba di Dio... (4,1 6).
Saremo rapiti tra le nuvole per l’incontro con il Signore (eis apantesin kyriou)
e così saremo con il Signore (syn kyrio: 4,17).
Il giorno del Signore (hemera kyriou) verrà come un ladro di notte (5,2.).
Quelli che vi sono preposti nel Signore (en kyrio) e vi ammoniscono {5,12.).
Vi scongiuro per il Signore (enorkizo hymas ton kyrion) che questa lettera sia
letta a tutti i fratelli (5,2.7).
Specialmente i testi nei quali «il Signore» appare da solo hanno origina
to dall’inizio del secolo una certa speculazione riguardo alle origini del
la cristologia: «il Signore» sarebbe una nuova divinità dai contorni ete
rei, capace di relegare in secondo piano persino il Dio di Israele, intro
dotta dai cristiani gentili di Antiochia imbevuti di paganesimo e poi dif
fusa dall’apostolo Paolo.M L ’idea comprende anche una distinzione ra
dicale tra il «Gesù storico» e il «Cristo della fede». Se così fosse i ruoli
si capovolgerebbero. N on sarebbe più Paolo a essere apostolo dei genti
li, ma i gentili a essere apostoli di Paolo. Per considerare le cose in altro
modo basta ricordare che quando Paolo dice «Gesù» si riferisce al Ge
sù di Nazaret che visse e insegnò, morì e risuscitò (come abbiamo appe
na detto) e tornerà nella parusia (come diremo tra poco). Quando, in
fatti, dice «Cristo» e «Signore» si riferisce allo stesso Gesù: o unisce
questi titoli al nome di Gesù (come abbiamo visto nei testi esaminati) o
li pone in parallelo con altri in cui si parla esplicitamente di Gesù.
Per quanto riguarda l’identità tra «Gesù» e «Cristo», per limitarsi al
la prima ai Tessalonicesi basterebbe mettere in relazione 2 ,7 e 3,2 (che
parlano rispettivamente di «apostoli di Cristo» e di «vangelo di Cristo»)
con 4 ,2 («le norme che vi abbiamo dato per mezzo del Signore Gesù»),
o ancora 4 ,1 6 («i morti in Cristo») con il v. 1 4 («quelli che si sono ‘ad
dormentati’ per mezzo di Gesù»),
Riguardo all’identità tra «Gesù»-« Cristo» e il «Signore», appellativo
che compare per ben tredici volte, basti confrontare:
1,6 (sulle tribolazioni) con 4 ,1 4 («Gesù è morto e risuscitato»);
1,8 ; 4 ,1 5 e 5 ,1 2 (parola) con 4 ,1 s. (sopra);
3 ,8 .1 2 (azione salvifica) con v. n (sopra);
4 ,6 .1 5 - 1 7 ; 5 ,2 .2 7 (parusia e giudizio) con 2 ,19 ; 3 ,1 3 ; 5,2 3 (sopra).25
25, L ’autore è Bousset, Kyrios (cfr. sopra* cap. h i , nn. 33 e 35); sulla sua stessa linea I. Her
mann, Kyrios und Pneuma, Miinchen 19 6 1, 13 2 -13 9 , ritiene di aver dimostrato l’identità tra
il kyrios e il pneuma - il «Signore» e Io «Spirito» - in tutti i testi paolini sul pneuma; dovreb
be però dimostrarlo anche per tutti i testi sul kyrios, come quelli che citeremo tra poco.
La catechesi prim itiva 12 5
Vedrete il Figlio dell’uomo, seduto alla destra (kathemenon ek dexion, come nel
salmo) della potenza venire sulle nubi del cielo (Mt. 26,64 par.; cfr- Atti 7,55 s.:
hestota).
Paolo non dice che Cristo è «seduto», ma non rinuncia ad affermare che
sta «alla destra» di Dio (en dexia, Rom. 8,34) e che «verrà» (2 Tess.
1 ,1 0 ; 5,2; cfr. 1 Cor. 4,5; 1 1 ,2 6 ) «dal cielo» (1 Tess. 1 ,1 0 ; 4 ,1 6 ; cfr. 1
Cor. 1 5 ,4 7 ; 2 Cor. 5,2). Ciò rientra nell’idea di un titolo «conquistato»
(cfr. Atti 2 ,3 3 ; 5 ,3 1 ) o di un’ «esaltazione» meritata (Fil. 2,9) con la mor
te e la risurrezione. Essendo alquanto insolito, al testo di Atti 2 ,3 6 viene
solitamente attribuita l’antichità maggiore:
Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso.
Nella gran quantità di materiale prepaolino rientrano anche, come si è
già detto, Rom. 10 ,9 :
Se confesserai con la bocca che Gesù è il Signore e crederai con il tuo cuore che
Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo,
nonché F il 2 ,6 - 1 1,*7 di cui trascriviamo la seconda parte (w . 9 - 1 1 ) : 26
26. Cfr. M . Gourgues, A la droite de Dìeuy Paris 1978. 27. Cfr. sotto, cap. xii, 111,3.
rz 6 L a corrispondenza tessalonicese
Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha concesso il nome che è al di sopra di ogni
altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi - dei celesti, dei
terrestri e degli infernali - e ogni lingua confessi che Gesù è Signore a gloria di
Dio Padre.
Questa dovette essere la prima fase: Gesù Signore a partire dalla risur
rezione. i Tessalonicesi va oltre, nel senso che nella lettera il titolo «Si
gnore» è applicato a Gesù, come si è visto, persino durante la sua vita
pubblica e alla sua morte; inoltre, come si noterà a proposito della pa-
rusia, vengono «trasferiti» su Gesù alcuni testi che, nel loro significato
originale, si riferiscono a Jahvé.
L ’applicazione di questo titolo a Gesù durante la sua stessa vita terre
na ha inizio, al più tardi, durante gli anni di convivenza pacifica tra cri
stiani e giudei (intorno al 44, anno della morte di Giacomo figlio di Ze-
bedeo). In Me. 1 2 ,3 5 - 3 7 , dopo un ebraismo clamoroso (iniziare una nar
razione con apokritheis, «rispondendo»),28 si legge:
Gesù diceva, insegnando nel tempio: «Come mai dicono gli scribi che il messia è
Figlio di Davide? Davide stesso, ispirato dallo Spirito santo, afferma: ‘Disse il Si
gnore al mio Signore...’. Davide stesso lo chiama Signore: come dunque può es
sere suo figlio?».
L ’attenzione non è puntata sull’ordine di «sedersi», ma sul fatto che è
Davide stesso a chiamarlo Signore. Ciò presuppone che il titolo di «Si
gnore» non sia un semplice nomen officii, attribuito al messia a partire
da un certo momento, ma piuttosto qualcosa che interessa la stessa cre
denza tradizionale che il messia sia il Figlio di Davide, e dunque la sua
stessa natura.
Da qui, il salto alla sfera divina viene facilitato dall’avvicinamento tra
il «Signore» che parla e il «Signore» che ascolta. Tale avvicinamento ri
sulta un po’ più difficile nel testo ebraico scritto (chiamato qere), che
leggeremmo: nEium jhwh l e,ddòni; tuttavia non lo sarebbe nell’ebraico
letto (chiamato ketib), persino nella liturgia, in cui ’àdónàj sostituiva il
nome jhwh. Qui si leggerebbe: n e,um ’àdònàj l e’adóni, utilizzando en
trambe le volte lo stesso nome, cosa che facilitava il «trasferimento» da
un «Signore» all’ altro.
In una terza fase, i cui riflessi saranno presi in considerazione tra po
co, vennero utilizzati altri testi dell’Antico Testamento applicando a
Gesù ciò che tali testi dicevano del «Signore» (’àdònàj o ho kyrios). Si
giunse così all’estremo di riservare il termine «Signore» a Gesù, tranne
che in citazioni veterotestamentarie ed è ciò che avviene, come si è vi
sto, nella prima ai Tessalonicesi.
28. R. Bultmann, Geschichte der synoptischen Tradition, Gòttìngen 1 9 2 1, 145 s., contempla
la possibilità che il frammento provenga da Gesù stesso 0 dalla comunità ebraica; J, Jeremias,
Teologìa del N.T.> 247, vi scopre un tipo di dialogo caratteristico dell’ ainbiente rabbinico.
6. La parusia
Uno dei motivi che spinsero l’apostolo a scrivere la prima lettera ai Tes-
salonicesi fu la richiesta portata da Timoteo (cfr. 3,6) di esprimersi a
proposito di problemi sorti nella comunità. In 4 ,1 3 e 5 ,1 li affronta di
cendo: «Riguardo a...», come se rispondesse a questioni che gli erano sta
te poste. Tali questioni riguarderebbero il destino di quelli che sono mor
ti ( 4 ,13 -18 ) e l’arrivo della parusia ( 5 , 1 - 1 1 ) . 29
Riguardo a quelli cbe sono morti (v. 1 3 ) Paolo dichiara che non oc
corre affliggersi, perché quanti saranno ancora in vita non godranno di
alcun privilegio rispetto ai già morti, che risusciteranno per primi (vv.
14 -16 ).
Riteniamo che, in fondo, il problema fosse questo: ci si aspettava che
Cristo avrebbe «bussato alla porta» come fa un amico (1,10 ) o che sa
rebbe entrato come un ladro (5,2); quelli che «si erano addormentati»,
pertanto, non sarebbero stati lì ad accoglierlo (4,13).
La risposta di Paolo parte da due punti, che si ispirano alla confessio
ne di fede di 1 ,1 0 : colui che verrà è colui che «è risuscitato» e inoltre
verrà «dal cielo». Perciò Gesù, scendendo dal cielo (4 ,16 ), potrà radu
nare quelli che sono morti per mezzo di lui (v. 14 ), come dire che resta
no segnati per mezzo del battesimo e dell’eucaristia per il suo mistero di
morte e risurrezione.30
Nella sua risposta, quasi senza accorgersene, Paolo include anche se
stesso e la comunità tra «coloro che saranno ancora in vita» (w . 1 5 .1 7 ) .
M a questa supposizione, che ha suscitato tanti problemi, non fa parte
né della domanda («riguardo a quelli che sono morti») né della risposta
(«non resteranno indietro»). La domanda diretta sul momento in cui
avverrà la parusia è posta in 5 , 1 - 1 1 . La risposta è: «Non Io possiamo
sapere» (5,2; cfr. Mf. 24,36). La comunità conosceva già questa risposta
(v. 1), ma era importante ripeterla a quanti erano turbati per le morti.
A parte questo turbamento, che costituisce un elemento nuovo, il te
ma della parusia ritorna per tutta la lettera (2 ,19 ; 3 ,1 3 ; 5 ,2 3 ), con l’ idea
che dovremo presentarci «davanti» al Signore (2,19 ) o davanti al Padre
(r ,3; 3 ,1 3 ) ; tuttavia la prospettiva non è di terrore ma di speranza ( 1,3 ;
5 >8 ).
L ’attesa imminente della venuta del Signore è per molti il grande pro-9
1
3 1 . Cfr. H. Gese, Wisdom, Son o f Man, and thè Origins o f Christology: BT 3 (19 8 1) 13 -5 7 ;
R. Kearns, Das Traditionsgefuge um den Menschensohn. Urspriinglicher Gehalt und àlteste Ver-
ànderung im Urchristentum, Tubingen 1986.
La catechesi primitiva 12 9
32.. Cfr. D.B. Capes, Old Testament Yabweh Texts in Paul’s Christology, Tùbingen 19 9 1.
13 0 La corrispondenza tessalonicese
Per ottenere la salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo (tou kyriou
hemon Iesou Christou).
Non dimentichiamo che in 2 ,19 e 5,23 si parla solo di Gesù e che, a
quanto pare, 4,6 attribuisce allo stesso Gesù il ruolo di «vindice» (ekdi-
kos kyrios), a meno che non si voglia dare a «Signore» un significato
che non gii è mai stato dato in tutto il resto della lettera. Ciò equivar
rebbe ad attribuire a Gesù il ruolo di giudice che 1,3 e 3 ,1 3 (e, in un
certo qual modo, anche 1 ,1 0 e 5,9) riservano al Padre.33 Come dire che
quando, in un contesto escatologico, il «Signore» (Gesù) compare da
solo, riveste il ruolo di giudice; quando invece è associato al Padre rive
ste quello di avvocato (o di mediatore).
33. Cfr. la preposizione emprosthen, «davanti», sia in 2 ,19 (Gesù) sia in 1,3 e 3 ,13 (il Padre).
34. Cfr. G. Strecker, Befreiung und Recbtfertigung, in Eschaton und Historie, Gòttingen
19 75, 229-259; abbiamo già osservato (cap. iv, n. 16) che Ludemann colloca 1 Tessalonicesi
nell’anno 4 1, allo scopo di anteporla ai «disordini successivi».
La catechesi primitiva 13 1
35. Tuttavia Bultmann, Teologia, 2.17-256, tende a identificare ogni peccato con la ricerca
della giustizia propria; cfr. sotto, cap. x i3 n. 9.
i morti in Cristo (4,16);
quelli che hanno cura di voi nel Signore (5,12);
questa è la volontà di Dio in Cristo Gesù (5,18).
Una presenza superiore è, più che espressa, insinuata in 5,4 s.8:
Voi non siete nelle tenebre... Tutti voi siete figli della luce e figli del giorno... es
sendo della luce...
Ciò tuttavia non cancella Pelemento personale nella decisione di fede:
Vi siete convertiti {epestrepsate) dagli idoli per servire al Dio vivo e vero (1,9).
Nelle grandi lettere a questi verranno ad aggiungersi altri toni. Bisogne
rà vedere fino a che punto questi implicheranno anche nuovi contenuti,
poiché 1 Tessalonicesi, pur senza menzionare affatto la giustificazione,
immerge tutta la vita del cristiano nella fede e nella grazia.
8. La vita cristiana
no alia parusia, sono motivi sufficienti per ritenere che la «speranza del
Signore Gesù davanti a Dio Padre nostro» (1,3) è quella che ci dà la
perseveranza (bypomone) nell’attesa della parusia.
Questo atteggiamento di fiducia in Gesù, che contrasta con quello di
Giovanni, dà un senso alla parola «vangelo» (euangelion, «buona novel
la»), quel vangelo che si esprime nelle beatitudini, nei miracoli, nell’in
vito a tutti i derelitti:
Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi darò ristoro... impa
rate da me, che sono mite e umile di cuore (Mt. i i , z 8 s.).
In forma aneddotica questa differenza di atteggiamento trova espressio
ne in un antico apoftegma:
Gli si accostarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Come mai noi e i farisei
digiuniamo molto, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». Gesù disse loro: «Gli
amici dello sposo non possono essere in lutto mentre lo sposo è con loro» {Mt.
9,14 s.).
Nel peggiore dei casi, questo atteggiamento fiducioso dovette caratteriz
zare in modo particolare la vita nelle comunità di Palestina e della dia
spora siriaca negli anni a cavallo tra il 30 e il 40, epoca di pace per la
chiesa. E le comunità ellenistiche dovettero dare un nome a tale atteg
giamento: «speranza» (elpis).
Riguardo al tema dell’amore cristiano (agape, agapao),39 oltre al tri
nomio di 1,3 e 5,8 disponiamo di altri quattro testi espliciti; uno di essi
torna a metterlo in relazione con la fede, ma di fatto si riferiscono tutti
e quattro a un sentimento tra esseri umani.
Poco fa è tornato presso di noi Timoteo da parte vostra, portandoci il lieto annun
zio (euangelisamenou) della vostra fede e del vostro amore: che conservate sem
pre un buon ricordo di noi e che siete desiderosi (epipothountes) di vederci, come
noi lo siamo di voi (3 ,6);
Abbondare nell’amore vicendevole {allelous) e verso tutti {3,12.);
Quanto all’ «amore fraterno» (peri... tesphiladelphias) ..., avete imparato da Dio
ad amarvi gli uni gli altri (allelous) (4,9);
Considerateli [quelli che si prendono cura di voi] con amore speciale (hyperek-
perissou en agape) a motivo del loro lavoro. E mantenete la pace tra di voi (5, 13).
A causa del termine «gli uni gli altri» (allelous: 3,12. e 4,9) che, stando a
4,9, costituisce il tema dell’ «amore fraterno», includiamo anche:
Confortatevi reciprocamente (parakaleite allelous) con queste parole (4,18);
Esortatevi a vicenda ed edificatevi gli uni gli altri (parakaleite allelous kai oi-
kodomeite eis ton hena: 5 ,ri);
Cercate il bene tra di voi (allelous) e con tutti (5,15).
39 . Cfr. C. Spicq, Agape dans le Nouveau Testamenti 3 voli., Paris 1 9 5 8 - 1 9 5 9 ; riguardo a Pao
lo cfr. 11, 1 - 3 0 5 ; riguardo all’origine del trinomio cfr. 11, 3 6 5 -3 7 8 .
La catechesi primitiva 13 5
voi - della vostra presenza, non del vostro cuore (prosopo ou kardia) - , assai ab
biamo fatto per rivedervi, con grande desiderio (epitbymia). E una e più volte ab
biamo deciso di venire da voi... poiché voi siete la nostra gloria e la nostra gioia
(vv. 17 s.zo).
Né si tratta puramente di una formula quando asserisce: «Timoteo, n o
stro fratello» (3,2.: ton adelphon hem on) invece di «fratello» e basta. In
modo simile anche in 4,6 parla del «proprio» fratello; in 4 ,10 e 5,2 6 ri
badisce «tutti i fratelli».
Che nessuno offenda c inganni il proprio fratello (ton adelphon autou) (4,6);
L’amore fraterno (philadelphia) ... lo praticate già con tutti i fratelli dell’intera
Macedonia; vi esortiamo... ad abbondare in esso (4,9 s.};
Vi scongiuro per il Signore che questa lettera sia letta a tutti i fratelli (5,27).
Questo amore fraterno doveva avere effetti tangibili (dal punto di vista
economico), non solo nella comunità propria ma anche in quelle vicine
(4,10). Si tratterebbe della traduzione per i gentili di quella che è nota
come «vita dei primi cristiani»:
La moltitudine dei credenti aveva un cuore solo e un’anima sola, e nessuno con
siderava di sua proprietà ciò che possedeva, ma ogni cosa era fra loro comune
{Atti 4 , 3 z; cfr. w . 33-37; 2 ,4 2 .-4 7 ) - .
Con tale espressione Paolo si colloca sulla stessa linea della tradizione
sinottica, per la quale il concetto «È tuo fratello!» diventa motivazione
etica:
Chiunque si adira con il proprio fratello... E chi dice al proprio fratello «stupi
do», sarà colpevole davanti al sinedrio. E chi gli dice «pazzo», sarà sottoposto al
fuoco della Geenna. E quando presenti il tuo dono sull’altare (del tempio), se ti
viene in mente che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì l’offerta da
vanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello (Mt. 5,22-24; cfr. v. 47).
Perché vedi la pagliuzza nell’occhio di tuo fratello e non ti accorgi della trave
nel tuo? Come puoi dire a tuo fratello'. «Lascia che ti tolga la pagliuzza dall’oc
chio»? Nel tuo c’è una trave! Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio, e poi
ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello {Mt. 7,3-5).
Tuttavia l’idea di Dio è ancora più decisiva.41 Si è già fatto notare che
Dio viene menzionato ben 3 6 volte in una lettera così breve. Aggiun
giamo che in molte di queste menzioni egli appare come motivo di fon
do della nostra condotta. Specialmente dal punto di vista della «santità»
e della «volontà» di Dio:
Che fortifichi i vostri cuori {tas kardias) affinché si mantengano irreprensibili in
santità (amemptous en hagiosyne) davanti a Dio Padre nostro (3,13);
Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione {ho hagiasmos hymon): che
vi asteniate dalla fornicazione (porneia), che ciascuno mantenga il proprio corpo
(alla lettera «il proprio vaso»: to heautou skeuos) in santità e onore {en hagtas-
mo kai tinte) e non segua i propri desideri concupiscenti {en pathei epithymias)
come fanno i gentili che non conoscono Dio (4,3-5; cfr. 5,23; 1 Cor. 6,18-20; Rom.
Perché Dio non ci ha chiamati all’impurità ma alla santità ([ouch] epi aka-
tharsìa alVen hagiasmo) (4,7);
Il Dio della pace vi santifichi {kagiasai hymas) perché siate perfetti (holoteleis)
e si mantenga integro (holokleron) il vostro spirito e la vostra anima e il vostro
corpo (5,23).
La santità è intesa come qualcosa che riguarda l’individuo nella sua in
timità personale {tas kardias) e in tutto il suo essere («lo spirito, l’anima
e il corpo»). Vivere «alla presenza di Dio» anche nei momenti più inti
mi della vita è una delle esperienze che maggiormente conferiscono al
l’uomo il senso della santità di Dio. Ma ciò non significa che le medesi
me azioni non possano essere considerate anche dal punto di vista del
l’amore per il prossimo.
Un altro modo di esprimere la condotta determinata da Dio è affer
mare di servire {douleuein) il Dio vivo e vero (1,9), di piacere {areskein)
a Dio (2,4; cfr. v. 15; 4,1) o di vivere in maniera degna {,axios) di lui
(2,12). Non si tratta semplicemente di assecondare la volontà di Dio,
bensì di vivere, per mezzo della preghiera e dell’azione di grazie, in dia
logo costante con lui:
4 1 , Per questo anche in esegesi si parla di «teo-logia morale» o di «etica teo-logica»; cfr. C.
Spicq, Théologìe morale du Nouveau Testamenti Paris 19 6 5 ; E. Lohse, Etica teologica del
Nuovo Testamento, Brescia 1 9 9 1 .
13 8 La corrispondenza tessa lonicese
Rendiamo grazie (eucharistoumen) sempre (pantote) a Dio per tutti voi, ricor
dandovi nelle nostre preghiere incessantemente (adialeiptos) (1,2);
Per questo rendiamo grazie a Dio incessantemente (eucharistoumen adialeip
tos) (2,13);
State sempre (pantote) lieti, pregate incessantemente (adialeiptos proseuches-
the), in ogni cosa rendete grazie (en pariti eucharisteite) (5,16-18).
Pregare e rendere grazie, sempre e incessantemente, sono temi piuttosto
ricorrenti nei quali si può scorgere una catechesi ormai consolidata, so
prattutto quando in 5,18 si aggiunge che «questa è la volontà di Dio in
Cristo Gesù verso di voi». Non occorre cercare paralleli evangelici, che
sono evidenti. Si osservi soltanto che l’avverbio «sempre» (pantote : 1,2;
cfr. 5,16 ) è impiegato anche in Le. 18,1:
Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre senza stancarsi (panto
te proseuchesthai... kai me enkakein).
Di fatto, il vangelo di Luca è quello che maggiormente insiste nel pre
sentare la figura di Gesù come uomo che prega ed esorta a pregare sem
pre: si ricordi l’uso di proseuchesthai in 3 ,2 1; 5,16; 6,12; 9,18.28 s.; 18,
1.10 s.; 22,44 (<ektenesteron ). È addirittura possibile che la formula «pre
gate incessantemente» (adialeiptos ), riscontrabile due volte in 1 Tessalò-
nicesi (1,2; 5,16; cfr. 2,13), sia la traduzione di un eventuale semitismo
«vegliate e pregate» (gregoreite kai proseuchesthe : M t. 26,41; cfr. w .
42.44).
9. L a chiesa
Voi invece, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno vi sorprenda co
me un ladro. Tutti voi siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della
notte, né delle tenebre. Non addormentiamoci, dunque, come gli altri, ma veglia
mo e siamo sobri (5,4-6; cfr. vv. 8-10).
Ci si può anche chiedere che cosa significa «edificarsi gli uni gli altri» in
1 Tess. 5 ,11: come si è passati dal significato «architettonico» a quello
«spirituale»? In altri testi l’apostolo parla di «edificare la chiesa» (1
Cor. 14 ,4 .5.12) o semplicemente di «edificare», di «edificazione», in un
La catechesi primitiva 14 1
4 5. Cfr. E J . Christiansen, The Covenant in judaism and in Paul. A Study o f Ritual Bound-
aries as Identity Markers , Leiden 19 9 5 . 46. J. Sànchez Bosch, Iglesia e Iglesias, 1 3 - 1 9 .
14 2 La corrispondenza tessalonicese
4 7. Cfr. J. Sànchez Bosch, Le corps du Christ et les cbarismes dans l’Épìtre aux Romains, in L.
De Lorenzi, Dimensiorts de la vie chrétienne, Roma 1 9 7 9 , 5 1 - 8 3 , spec. 69 s.; tutto il suo cam
po di attività in Idem, Le chansme des Pasteurs dans le corpus paulinìen, in L. De Lorenzi,
Saint Paul, apótre de notre temps, Roma 1 9 7 9 , 3 6 3 -3 9 7 .
La catechesi primitiva 14 3
Bibliografia
Questo capitolo ha preso la prima ai Tessalonicesi come punto di arrivo di un’evo
luzione dottrinale nel pensiero della chiesa. Per ripercorrere tale cammino e osser
vare come si snoda successivamente lungo l’epistolario paolino e tutto il Nuovo
Testamento, l’aiuto migliore per il primo aspetto (l’evoluzione antecedente) viene
dalle due opere citate alla nota 1 6 : 0 . Cullmann, Cristologia, e Kramer, Cbrist, co
me pure dai vari studi su frammenti prepaolini cui si alludeva nel cap. 11, note 18
e 19: Wengst, Christologische; Deichgràber, Gotteshymnus.
La seconda prospettiva (l’evoluzione posteriore) ha davanti a sé un campo d’a
zione molto più vasto. Per ciò che si riferisce a Paolo ricordiamo che il cap. xi
svilupperà il paragrafo 7 di questo capitolo riguardo alle quattro grandi lettere
(Rom., r e 2 Cor., Gal.).
Le teologie di Paolo, citate nel cap. xi, possono aiutare in questa ricerca, ma è
possibile - e di per sé anche logico - che si concentrino più su ciò che è specifico
di Paolo che non su ciò che ha in comune con altri. Per quanto concerne l’apo
stolo, il contributo maggiore è offerto da opere la cui prospettiva si apre sull’in
tero Nuovo Testamento: senz’altro il Grande Lessico del Nuovo Testamento; poi
l’opera, in quattro volumi, più complessiva e centrata sul testo biblico, di K.H.
Schelkle, Teologia del Nuovo Testamento, Bologna 1965-1980; concetto per con
cetto, l’opera di X. Léon-Dufour, Dizionario di teologia biblica, Torino 5i98o,
come pure il Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento a cura di H. Balz - G.
Schneider, 2 voli., Brescia 1995. 1998.
Capitolo vi
I. I D A T I D E L P R O B L E M A
i. Autore e destinatari
1. L ’ aiuto migliore per conoscere il contenuto delle due lettere, la loro relazione reciproca e il
loro rapporto con altri scritti paolini, è senza dubbio offerto da B. Rigaux, Les Épìtres 5 cit.
Sono assai apprezzabili pure i già citati commenti delle due lettere di Bruce, Marshall, Laub e
Jewett. Può essere utile consultare anche Nacido a tiempo 3 1 7 - 3 3 4 .
La seconda lettera ai Tessalonicesi 14 5
li era diretta la prima lettera. Forse viene loro attribuito un livello più
elevato di conoscenze bibliche, visto che si impiega con naturalezza il
termine onoma («nome»; 2 Tess. 1,12 ; 3,6), assente in 1 Tessalonicesi;
inoltre si parla di «tempio di Dio» (2 Tess. 2,4) senza ulteriori spiega
zioni.
Quanto alla situazione della comunità, a parte il fermento apocalitti
co di cui parleremo tra poco, Paolo indirizza agli «oziosi» (3,6-12) pa
role molto più dure di quelle di z Tess. 4 ,1 1 s. Parliamo semplicemente
di «oziosi» perché il testo si presta meno ancora della prima ai Tessalo
nicesi a un’interpretazione «mistica» di questo atteggiamento.
3. Linguaggio e stile
stamentari. Con tale vocabolario, l’autore redige un’opera di 814 parole, con
una media di 3,29 (824: 250). Tenendo conto della lunghezza, si tratta all’incirca
della stessa media di 1 Tess. (1472 : 3 66 = 4,02) e di Filippesi (1624 :448 = 3,62).
1 9 hapax possono fornirci un’idea delle coordinate lessicali dell’autore. Nella se
conda ai Tessalonicesi come nella prima troviamo parole composte o derivate da
altre parole riscontrabili nel N.T. Alcune compaiono come tali nei LXX: ataktos
(«disordinatamente»), enkauchasthai («gloriarsi in»), periergazesthai («affaticarsi
inutilmente»), semeiousthai («segnalare»; altre non derivano dai LXX: ataktein
(«vivere disordinatamente»), endeigma («indizio»), hyperauxanein («crescere ol
tre misura»). Nessuno di questi termini giunge nuovo a chi conosce il linguaggio
paolino. Tra le forme semplici ne compare una sola (tinein), in greco perfetto, pre
sente anche nei LXX.
Quanto alla presenza di semitismi propriamente detti, non ricorre che il termi
ne Satanasyche figura anche in diverse lettere autentiche (Romani, prima e secon
da ai Corinti, prima ai Tessalonicesi); invece, tra i semitismi di significato trovia
mo le espressioni «l’uomo dell’iniquità» e «il figlio della perdizione» (entrambe
in 2 Tess. 2,3), oltre a un preciso uso di «nome» e all’espressione «tempio di Dio».
Come contropartita a quelli che vengono definiti «hapax paolini» nelle lettere
autentiche, troviamo le parole che invece nelle lettere autentiche sono del tutto
assenti: in 2Tessalonicesi sono 2 1,e costituiscono l’8,4o del lessico (gli «hapax pao
lini» in 1 Tessalonicesi sono 3 6 e costituiscono il 9,84; in Filemone sono 14, per
una media del 9,93). Tra di esse, trascurando le semplici varianti di termini pao
lini, spiccano quelle caratteristiche del linguaggio escatologico: apostasia («aposta
sia»), dike («punizione»), episynagoge («assemblea»), epiphaneia («manifestazio
ne»), throeisthai («turbarsi»), krisis («giudizio»), saleuesthaì («agitarsi»).
Tralasciando altri hapax (30 in tutto), il resto dei termini usati da 2 Tessaloni
cesi è presente tale e quale nelle lettere autentiche. E si può supporre che ciò non
avvenga semplicemente sulla traccia di 1 Tessalonicesi, visto che le due lettere
hanno in comune solo 144 termini. Restano, dunque, 76 termini riscontrabili nel
le lettere autentiche ma non nella prima ai Tessalonicesi. Tra questi, ne ricordia
mo qualcuno particolarmente significativo: adikia («ingiustizia»), aionios («eter
no»), aletheia («verità»), anomiay anomos («iniquità», «iniquo»), aparche («pri
mizie»), apokalypteiriy apokalypsis («rivelare», «rivelazione»), apollynai, apoleia
(«perdere», «perdizione»), dikaios («giusto»), doxazein («glorificare»), exousia
(«autorità»), eudokia(«decisione» [divina]), katargein («annientare»), katartizein
(«perfezionare»), klesis («chiamata»), martyrion, martys («testimonianza», «testi
mone»), mysterion («mistero»), onoma («nome»), paradosis («tradizione»), se-
meion («segno»), pseudos («menzogna»).
E certamente significativo che, quanto ad affinità, il linguaggio di 2 Tessaloni
cesi sia risultato più paolino di quello delle sette lettere autentiche. Per alcuni, ta
le è il suo difetto: imitare troppo/
z. Un’affinità letteraria tanto evidente, a fronte di una conoscenza piuttosto scarsa dell’apo
stolo durante i primi due secoli, dovrebbe indurci perlomeno a prendere in considerazione l’idea
di una «scuola di Paolo», formata dai suoi discepoli diretti; cfr. H .M . Schenke, Das Weiter-
wirken des Paulus und die Pflege seines Erbes durch die Pautusschule: N T S 2 1 ( 19 7 5 ) 5 0 5
5 1 8 ; P. Miiller, Anfànge der Pautusschule. Dargestellt an 2 Thess und Kol, Zurich 19 8 8 .
4. S u d d iv is io n e d e lla le t t e r a
II. L E T T U R A D E L L A L E T T E R A
4. Cfr. 1 T e s s . i , z s. 5. Cfr. x T e s s « 2 ,1 4 .1 9 .
6. Cfr. 1 T e ss . 4 ,5. 7. Cfr. 1 T e ss . 2 ,1 2 e 1 ,3 . 8. Cfr. 1 T e s s . 4 ,1 6 s.
15 0 La corrispondenza tessalonicese
alla gloria (vv. 13 s.). Bisogna però che si mantengano fedeli alla catechesi che
Paolo impartì loro di persona e poi tramite lettera (v. 15).
Esorta i destinatari come se emettesse una sentenza («nel nome del Signore Gesù
Cristo...», v. 6a), che fa seguito a due avvisi ben precisi: l’insegnamento già im
partito e la lettera precedente.9
L’ordine è di tenersi lontani da ogni fratello che si comporta in maniera indi
sciplinata (v. 6b) e l’indicazione è di imitare lui, Paolo (v. 7),10 che ha lavorato
giorno e notte per non esser di peso (v. 8),11 malgrado fosse suo diritto essere man
tenuto (v. 9).12
Già in precedenza aveva ordinato che lavorassero (v. io),13 non si immischias
sero in faccende che non li riguardavano (v. 11)14 e se ne stessero tranquilli (v.
12) .15
Si passa quindi all’esortazione più generale: non stancatevi di fare il bene (v.
1 3 ) l6 e attirate gli smarriti sul retto cammino (vv. 14 s.).I?
Come benedizione conclusiva augura la pace sempre e in ogni modo (v. i6a)18 e
la presenza (della grazia) del Signore (vv. i6b.i8).19
Sottolinea infine che il saluto è proprio di pugno di Paolo (v. 17).20
III. Q U E S T IO N I A P E R T E
1. Lettera imitata
In tal senso vorrei far notare alcuni paralleli paolini significativi assenti nella pri
ma ai Tessalonicesi:
gli eventi finali sono definiti «apocalisse» solo in 2 Tess. 1,7 e in Rom. 2,5; 8,
19; 1 Cor. 1,7; 1 ?t. 1,7; 4,13; ,
il giudizio di Dio sarà giusto, nel senso di rigoroso, come afferma 2 Tess. 1,5
(cfr. v. 6) con due parole: dìkaia krisis\ Rom. 2,5 si esprime analogamente con un
composto di entrambe: dikaiokrisia. Oltre a questi tre passi, soltanto 2 Tim. 4,8
attribuisce questo significato all’aggettivo «giusto»;
«annientare» (katargeìn), presente in 2 Tess. 2 ,8 , è un termine tipicamente e qua
si esclusivamente paolino (cfr. spec. 1 C or. 2,6 ; 1 5 ,2 4 .2 6 ) ;
«potenza di segni e prodigi» (2 Tess. 2,9) è espressione che compare identica
in Rom. 15,19 (cfr. 2 Cor. 12,12);
il binomio costituito da «ingiustizia» e «menzogna», che si contrappone alla
«verità» (2 Tess. 2,9), si ripresenterà con gli stessi termini in Rom. 1,18.25; z>8;
l’espressione «per quelli che vanno in rovina» appare identica in 2 Tess. 2,10
e 1 Cor. 1,18; 2 Cor. 2,15; 4,3;
il verbo «giudicare» (krino), applicato al giudizio finale, compare nei testi pao
lini in 2 Tess. 2,12 e in Rom. 2,12.16; 3,6; 1 Cor. 2,13; 6,2 s.; 2 Tim. 4,1;
infine, se 2 Tess. 1,12 (cfr. 3,6) si augura che «il nome del Signore nostro sia
glorificato tra di voi», Rom. 2,24 (cfr. 9,17) lamenta che «il nome di Dio è be
stemmiato per causa vostra tra i gentili».
La lista potrebbe continuare, anche solo limitandosi a parole della seconda ai
Tessalonicesi che, pur non comparendo nella prima, sono presenti in altre lettere
certamente autentiche.
Ipotizzando che l’autore non sia Paolo, i paralleli «extra-tessalonicesi»
ci costringono a immaginare che qualcuno, studiate accuratamente tutte
le lettere, si sia limitato a scrivere 2 Tessalonicesi disprezzando le idee e
le indicazioni che poteva trarre da tutte le altre. Siamo più propensi a
credere che sia stato l’apostolo stesso a scrivere 2 Tessalonicesi, pren
dendo spunto da quanto aveva già scritto ma tralasciando semplicemen
te certi temi che avrebbe sviluppato in lettere successive. Tanto più che
non dev’essere affatto facile adattarsi al linguaggio di qualcun altro:
coincidere per un 8 4 ,15 % con termini espliciti delle sette lettere auten
tiche e per il resto adottare una terminologia assolutamente simile a
quella precedente.
2. Escatologia dura
salonicesi guarda con gioia e speranza alla venuta del Signore, ma anche
la seconda: «la venuta del Signore nostro Gesù Cristo e la nostra riunio
ne con lui» (2,1). Alimentando questa speranza, le due lettere vedono il
gruppo cristiano come un punto luminoso circondato da tenebre. Leg
giamo in 1 Tessalonicesi:
Non affliggetevi come gli altri che non hanno speranza (x Tess. 4,13).
Il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. Quando diranno: «Pace e
sicurezza!», allora d’improvviso li colpirà la rovina, come le doglie una donna in
cinta, e nessuno scamperà (5,2. s.).
Noi che siamo del giorno restiamo sobri, indossiamo la corazza della fede e
dell’amore e, come elmo, la speranza della salvezza. Poiché Dio non ci ha desti
nati all'ira ma all’acquisto della salvezza (w. 8 s.).
Anche per 1 Tessalonicesi, dunque, siamo circondati da nemici al punto
da dover indossare «elmo e corazza» per difenderci. Ciò equivale all’e
spressione usata da 2 Tessalonicesi quando afferma che «il mistero del
l’iniquità è già in atto» (2,7).
4. Escatologie incompatibili?
5. Sospettosamente autografa?
Bibliografìa
Per la bibliografia si rinvia a quella citata alla fine del cap. ir, con i commenti di
Rigaux, Bruce, Marshall, Laub e Jewett, comprensivi di entrambe le lettere; a que
sti è da aggiungere il commento di W. Marxsen, Der zweite Thessalonicherbrief,
Ziìrich 1982, relativo alla seconda soltanto. Si veda inoltre H.-A. Egenolf, Secon
da lettera ai Tessalonicesi, Roma *1968.
Come cornice per un confronto sereno e approfondito si possono consultare
da una parte il commento di Rigaux e dall’altra la citata tesi di Giblin, The Threat.
Parte terza
Le grandi lettere
Sebbene oggigiorno, oltre alle quattro grandi lettere (Romani, i e z Co
rinti e Galati), altre tre siano considerate autentiche (i Tessalonicesi, Fi-
lippesi e Filemone), le quattro maggiori, scritte in uno stesso periodo
della vita dell’apostolo, ossia durante il cosiddetto «terzo viaggio», con
tinuano a essere il paradigma del paolinismo. Le teologie di Paolo soli
tamente illustrano la teologia di questi quattro testi, quando non espon
gono soltanto quella del più importante tra di essi. Dedicheremo perciò
capitoli relativamente ampi alle quattro lettere maggiori (capp. vn-x),
oltre a un compendio degli elementi più specifici della teologia paolina
(cap. xi) alla fine di questa terza parte.
Capitolo v ii
I. I D A T I D E L P R O B L E M A
z. Alcuni dettagli in più sull’evangelizzazione di Corinto e la comunità ivi fondata sono forniti
in Nacido a tiempo 145-1 59 ; la problematica inerente a Corinto è ben impostata nelle già ci
tate opere di Theissen, Sociologia-, Meeks, I Cristiani dei prim i secoli-, Holmberg, Paul, nonché
in R.W. Graham, Paul’s Pastorate in Corinth. A Keyhole View o f His M inistry: LexTQ 17
(198Z) 45-48.
La prima lettera ai Corinti 161
3. Cfr. J.C , Hurd, The Origin o f i Corìnthians , New Y ork 1 965; J. Sanchez Bosch, La Prima
di San Paolo ai Corinti come opera pastorale, in L. De Lorenzi, Freedom and Love , Roma
1 9 8 1 , 2 9 3 - 3 12 .
La prima lettera ai Corinti 16 3
3. Stile e vocabolario
11 greco popolare koinè come lingua base, il livello linguistico e lo stile caratteristi
co dei Settanta - non ricercato, ma assai preciso quando il tema lo richiede -, con
tinuano a essere il modello generale in questa seconda fase delle lettere paoline:
stesse premesse di una costruzione del discorso molto più greca (perché non si sta
traducendo letteralmente un testo ebraico), pochissimi semitismi lessicali, un uso
frequente di parole e locuzioni prettamente greche, anche se caricate di significa
to dalla tradizione giudaica e cristiana.
Il vocabolario di 1 Corinti si compone di 967 voci. Con esso l’autore elabora
un’opera di 6807 parole, con una media di utilizzo - tenuto conto della lunghez
za della lettera - superiore al resto delle lettere paoline (6807 : 967 = 7,04). Ro
mani, ad esempio, con un’estensione maggiore dà una proporzione minore (7094 :
1068 = 6,64). Questo è comprensibile in una lettera che affronta varie tematiche
e prende in considerazione situazioni molto concrete.
Abbondano anche gli hapax neotestamentari: sono 125 e si collocano entro le
stesse coordinate lessicali di 1 Tessalonicesi, Di essi, 96 compaiono come tali nei
LXX o in altre versioni greche. Ve ne sono poi 17 che ricorrono solo nel greco pro
fano: agenes («insignificante»),adapanos («gratuito»),adelos («all’oscuro»), ame-
takinetos («immobile»), apeleutheros («liberto»), aperispastos («senza distrazio
ni»), doulagogein («schiavizzare»), energema («intervento potente»), therioma-
chein («combattere con le belve»), hierothyton («sacrificato in un santuario» [car-
4. A . Subì, Paulus und seine Briefe. Ein Beitrag zur paulinischen Chronologie , Gutersloh 1 9 7 5 ,
3 3 3 - 3 3 8 ; concorda anche Liidemann, Chronologie, 1 9 7 s.; dissente Nacido a tiempo 2.60.
16 4 Le grandi lettere
5. Cfr. Probst, Paulus-, M . Bunker, Briefformular und rhetorische Disposition im ersten Korin -
therbrief, Gòttingen 19 8 3 .
6. Bunker, Briefformular, 5 1 -5 9 , considera i capitoli 1-4 un discorso completo; lo stesso alle
pp. 59-72. riguardo al cap. 15. Da parte sua, B. Standaert, Analyse rhétonque des chapìtres 12
à 14 de 1 Cor, in L. De Lorenzi, C harisma und Agape, Roma 1 9 8 3 , 2.3-50, concepisce i capp.
1 2 - 1 4 come un discorso unitario.
La prima lettera ai Corinti 16 7
Nei limiti del possibile cercheremo di delineare il filo argomentativo di una lette
ra assai più ampia di quelle presentate precedentemente, completando adeguata
mente lo schema proposto.
Di questi quasi quattro capitoli si può dire che sono molto simili a una lettera
completa, con un finale tipicamente epistolare in cui Paolo dice di aver mandato
Timoteo ma che poi verrà egli stesso (4,17-21). Il resto forma un discorso abba
stanza completo, che può essere Ietto in chiave di retorica latina.
Inizia con una proposizione chiarissima (1,10) in forma di esortazione: deside
ro che non vi siano divisioni.
Segue un’esposizione sullo stato della questione (vv. 11-16): le divisioni (w.
11 s.) equivalgono a sostituire Cristo con un uomo (w. 13-16). Il v. 17 consente
il passaggio a un argomento più teorico: non bisogna svuotare di contenuto la
croce di Cristo.
L ’argomentazione ruota attorno a due tesi, volutamente paradossali: «La pa
rola della croce è stoltezza» (1,18) e «Tra i perfetti parliamo di sapienza» (2,6);
entrambe si concludono con un riferimento esplicito (2,1 e 3,1: «E io, fratelli...»)
all’attività di Paolo. Il resto dell’argomentazione si svolge in modo più disinvolto
da un punto di vista sintattico. Vi compare una terza tesi (3,5-9), seguita an-
ch’essa da un rimando all’operato dell’apostolo (vv. 10-15) e da alcune conclu
sioni (3,16-4,5).
La prima tesi presenta un ampliamento: la composizione della comunità (v.
26) fa capire che Dio ha ridotto a nulla tutto ciò che è del mondo (vv. 27-29),
anche se in Gesù Cristo ritorniamo a essere qualcosa (vv. 30 s.).
Il primo episodio che si riferisce all’attività di Paolo (2,1-5) descrive la sua ri
nuncia alla sapienza umana quando giunse per la prima volta a predicare (vv. 1
4), affinché a prevalere fosse la potenza dello Spirito (v. 5).
La seconda tesi (2,6-16) approfondisce ulteriormente il tema: la nostra sapien
za non è quella del mondo né quella dei «principi» (invisibili) di questo mondo
7. In modo simile a z Tess. 1,3 .
8. Cfr. 1 Tess. 1,2 ; 2 ,1 3 . 9. Analogamente a 1 Tess. 5,24 ; z Tess. 3,3.
La prima lettera ai Corinti 16 9
(v. 6), i quali, non conoscendola, crocifissero il Signore della gloria (v. 8). È inve
ce la sapienza nascosta di Dio (vv. 7.9), che ci è stata rivelata dallo Spirito (vv.
10-12) e può essere trasmessa solo a chi è in grado di intenderla (vv. 13-16).
Il secondo episodio, introdotto da un pronunciato «E io, fratelli...» {3,1, come
in 2,1), spiega che Paolo non comunicò ai corinti tale sapienza perché erano co
me «neonati in Cristo» {vv. ib-2), e lo dimostrano le discordie esistenti tra loro
(vv. 3 s.).
Questa peiicope apre la strada a una specie di terza tesi (vv. 5-9), che si svolge
quasi in sordina (3,5: «Ma che cosa è mai Apollo?...»): in cinque frasi parallele
(rispettivamente w. jb.6.7.8.9) ripete che loro non sono niente, mentre Dio è
tutto.
Introducendo un terzo episodio con una formula diversa dalle precedenti, Pao
lo torna a parlare della propria attività, stavolta in termini architettonici (3,10):
vi è un solo fondamento, ed è Cristo (v. 11), ma gli altri devono vedere che cosa
costruiscono sopra di esso (vv. 12 s. 14.15).
Senza cambiare tono (e quasi senza punteggiatura), da quanto detto si traggo
no alcune conclusioni: voi siete il tempio di Dio (vv. 16 s.); la sapienza umana
non ha valore (w. 18-20); neanche gli uomini possono attribuirvi valore (vv. 2 1
23), né tantomeno il giudizio degli uomini (4,1-5).
Paolo passa poi improvvisamente d a l l a teoria all’imprecazione, come è tipico
della perorazione: non bisogna parteggiare per l’uno o per l’altro (v. 6), perché
tutti abbiamo ricevuto lo stesso privilegio (v. 7) e i valori non si trovano dove
molti credono (v. 8). Dio «gratifica» i suoi apostoli con ogni sorta di umiliazioni
(w. 9-13).
Cambia poi nuovamente tono per assicurare che si tratta di un ammonimento
paterno (vv. 14-16). Si tratta già di una conclusione, ma vi si aggiunge uno dei
finali epistolari più evidenti all’interno di una lettera (vv. 17-21): Timoteo vi ri
chiamerà alla memoria le mie vie (v. 17) ma, siccome c’è chi sta approfittando
della mia assenza (v. 18), sono disposto a tornare presso di voi (vv. 19-21).
Il resto della lettera si presenta come una serie di corpora indipendenti, che tut
tavia mantengono, come già si è osservato, un certo senso della disposizione. Que
sta sezione contiene, proprio all’inizio, due allusioni (quasi due parentesi) agli at
teggiamenti appena denunciati: 5,2, «E voi siete tronfi» (cfr. 4,6.18 s.), e 5,6a,
«Non è una bella cosa il vostro vanto» (kauchema; cfr. 4,7).
Esposizione (cap. 5). Per Paolo un caso di incesto non merita fioriture retoriche.
Riguardo al caso specifico, all’esposizione (v. 1) fa subito seguito la soluzione: in
forma di recriminazione (v. 2) e quindi di sentenza {vv. 3-5). Dopo la breve pa
rentesi cui si accennava prima (v. 6a), compare una riflessione in tono conclusivo
sulla nostra condizione di «azimi» (qualcosa di puro e di santo) nella pasqua di
170 Le grandi lettere
Cristo (vv. 6-8). L’allusione a una lettera precedente (5,9) ci porta a un amplia
mento (tecnica nota in retorica) del tema: precisare i limiti della nostra separa
zione dal mondo e della nostra presenza in esso (vv. 9-13).
Digressione sui processi civili (6,1-11). Il caso dei processi civili aiuta a com
prendere la stessa correlazione: poiché siamo santi (w. 1-3) e fratelli (vv. 5-8), non
possiamo sottometterci al giudizio del mondo: potrebbero farlo i più spregevo
li della comunità (v. 4). Viene ampliato il tema del contrasto tra gli ingiusti (cfr.
w . 1.7 s.) e i santi (cfr. vv. 1 s.): gli ingiusti, con i loro dieci vizi, non erediteran
no il regno (vv. 9 s.), mentre voi, lavati per mezzo del battesimo, non siete più
ingiusti ma siete diventati santi (v. n ).
Soluzione (6,12-20). Tra i vv. 11 e 12 vi è una pausa obbligata (impossibile
leggerli uno di seguito all’altro!). In una specie di perorazione (il tono si è alzato
fin dai versetti precedenti) Paolo conclude la trattazione senza ricorrere a episodi
desunti dalla propria esperienza: dal modo di pensare del mondo (vv. I2ac.i3ac)
passa direttamente alle basi stesse del pensiero cristiano, per il quale il nostro
corpo appartiene a Cristo (v. i3d) e Dio lo risusciterà (v. 14). Servendosi di in
terrogativi e di esortazioni dirette, attacca specificamente la prostituzione, poiché
siamo membra di Cristo (vv. 15 s.) e tempio dello Spirito di Dio (v. I9a). Inoltre,
siamo stati comprati a caro prezzo (vv. i9b-2o).
Esposizione (cap. 8). La «conoscenza» (gnosis) dice che gli idoli non esistono, tut
tavia un uso sconsiderato di tale scienza può finire per scandalizzare il prossimo
(8,1-4).
Contro gli idoli noi confessiamo un unico Dio, il Padre, che è origine e destino
di ogni cosa, e un unico Signore, Gesù Cristo, che è mediatore dal principio della
creazione fino a quando giungeremo presso il Padre (w. 5 s.).
Col v. 7 inizia la vera e propria replica dell’apostolo, in stile epistolare: nono
stante tutta la vostra scienza molti si perderanno (vv. 7-10), e a voi ne sarà ad
dossata la colpa (w. 11-13).
Digressione sulla libertà dell'apostolo (cap. 9). Dopo aver difeso, in stile piut
tosto retorico e con molta insistenza, la libertà dell’apostolo di ricevere sosten
tamento (w. i-iza), Paolo ribadisce con forza di avere rinunciato a tale diritto
(v. izb: «Noi però...»; cfr. 8,7). Nel v. 18 vi è una specie di conclusione, prima
che il tema si allarghi fino a illustrare la linea di condotta generale dell’apostolo
(w. 19-27).
In particolare, inizia proclamando la sua condizione di apostolo: è tale perché
è stato chiamato («Ho visto il Signore!») e perché ha portato frutti («Siete voi la
mia opera»: vv. 1-3). Ha dunque pieno diritto a ricevere sostentamento come gli
altri ministri della chiesa (vv. 5 s.12), come chiunque lavori (w. 7-11), come co
loro che servono il tempio (v. 13), secondo quanto ha disposto Cristo (v. 14).
La sua rinuncia a tale diritto (v. 12) è motivo di gloria (v. 15) e dimostra che
non lavora perché vi è costretto (vv. 16 s.) ma predica il vangelo gratuitamente
(v. 18).
Ampliando il discorso afferma che si è fatto servo di tutti per guadagnare tutti
(vv. 19-22), e lo ha fatto per il vangelo (v. 23), come si corre nello stadio (rinun
ciando a tutto per vincere: vv. 24-27).
Soluzione (10,1-11,1). Ecco Vargomentazione', in linea di principio è opportu
no astenersi dalla carne sacrificata agli idoli, come insegnano il paragone con il
popolo del deserto (vv. 1-14) e il paragone tra eucarestia e altri culti (vv. 15-22).
Le vicende dei «nostri padri» nel deserto sono viste alla luce del battesimo e
dell’eucarestia (vv. 1-4), per sottolineare nei versetti seguenti che la loro aposta
sia attirò sul loro capo ogni sorta di castighi (vv. 5-10). Quella storia fu scritta
per avvisare noi (vv. 11 s.) che, pur senza perdere la fiducia nell’aiuto di Dio (v.
13), tuttavia corriamo sempre il rischio di cadere nell’idolatria (v. 14).
Essendo persone intelligenti (v. 15), capiranno che l’idea di «comunione» può
funzionare in due direzioni: il calice della benedizione e il pane che viene spezza
to sono comunione con il sangue e il corpo di Cristo (v. 16), un unico pane fa di
noi un solo corpo (v. 17). Parallelamente, i sacrifici di Israele mettono in comu
nione con l’altare (v. 18), mentre i sacrifici fatti a dèi pagani, per quanto essi non
siano niente (v. 19), vanno a finire ai demoni (v. 20). Tentare di conciliare i due
tipi di «comunione» (v. 21) significherebbe provocare Dio (v. 22).
Il capitolo si conclude con una perorazione alquanto sui generis (10,23-11,1).
Le prime tre frasi (vv. 23 s.) compendiano l’insegnamento appena esposto (cfr.
6,12; 8,1; 9,19-23). Segue quindi l’indicazione pratica: si può mangiare di tutto
La prima lettera ai Corinti 173
(w. 25 s.) ma senza indagare (w. 2,7-2,93), per non dare scandalo agli uomini (v.
290-32), facendosi imitatori dell’apostolo (v. 33) come lui lo è di Cristo (11,1).
In 11,2 è come se, con una captatio benevolentiae, iniziasse una nuova lettera:
«Vi lodo...». Viene poi affrontato il tema del velo delle donne in alcune riunioni
cristiane, che si conclude alla meno peggio nel v. 16. Col v. 17 ha chiaramente
inizio un nuovo tema («Nel raccomandarvi questo...»), che si riallaccia al v. 2
ma in negativo: «non vi lodo». Si riferisce alle riunioni eucaristiche e prosegue
con logica ferrea sino a un finale tipicamente epistolare: «Quanto alle altre cose,
le sistemerò alla mia venuta» (v. 34b; cfr. 4,19-21; 16,5).
Il velo delle donne (w. 2-16). Si tratta di un tema collegato all’idea di «tradi
zione» (v. 2), di «consuetudine» (v. i6b) delle chiese di Dio: chi vuole continuare
a contestare ne ha tutto il diritto (v. i6a), benché l’apostolo, dando prova di gran
de ottimismo, confidi che tutti si lasceranno convincere (v. 13).
Dalla «tradizione» giudeocristiana riprende l’idea che esista una gerarchia
precisa: Dio - Cristo - uomo - donna, nella quale ciascuno è il «capo» di chi se
gue (v. 3); che l’uomo sia gloria di Dio e la donna sia gloria dell’uomo (v. 7), da
to che secondo Gen. 2,7.18.22-24 la donna è stata tratta dall’uomo (v. 8) per es
serne la compagna (v. 9). Sfuma poi tali affermazioni precisando che uomo e
donna si completano a vicenda (v. 11) perché, anche se la donna deriva dall’uo
mo (cfr. v. 8), l’uomo deriva la propria vita dalla donna (v. 12).
Dalla «consuetudine» civile (che chiama «natura») prende l’idea che sia inde
coroso per l’uomo lasciarsi crescere i capelli (v. 14), mentre non lo è per una don
na, poiché velo e chioma lunga si equivalgono (v. 15). Per questo motivo una
donna non dovrebbe mai rasarsi il capo (come fanno gli uomini romani: v. 6),
ma anzi esibire questo segno della sua dignità (exousia non ebbe mai il significa
to di «sottomissione»!), tanto più a motivo degli angeli che assistono al culto (v.
io). Importante, tuttavia, è notare che sia l’uomo sia la donna pregano e profe
tizzano a voce alta (come potrebbero farlo sottovoce?),10 il primo però a capo
scoperto (v. 4) e la seconda con il velo sulla testa (v. 5).
Le assemblee eucaristiche (vv. 17-34). Nel frammento non è difficile scorgere
un’ulteriore suddivisione, soprattutto tra un’esposizione (vv. 17-22) - che termi
na come ebbe inizio: «non vi lodo» - e una dimostrazione che si basa sulla tradi
zione di Gesù (vv. 23-26). Da qui si passa a conclusioni pratiche (vv. 27-34) ine
renti all’esposizione.
Le riunioni eucaristiche non si svolgono in modo appropriato (v. 17) perché
rispecchiano le divisioni presenti all’interno della comunità (schismata, v. 18).
Certo, alcune diversità (hairesis) debbono esserci (v. 19). Non mangiano la cena
del Signore (v. 20) perché alcuni consumano il proprio pasto e altri non mangia
no nulla (v. 21), disprezzando la chiesa di Dio (v. 22).
Paolo ricorda poi la tradizione del Signore trasmessa in ogni celebrazione (v.
2,3a). Riguardo al pane {w. 23^24) dice che venne spezzato, giungendo poi alle
parole «questo è...», «fate questo...». Per il calice (v. 25) non vi è descrizione del
l’azione. A «fate questo» si aggiunge «ogni volta che ne bevete», perché prima
non era stato espresso l’invito a mangiare e a bere. Commento realistico: così fa
cendo annunziate la sua morte (come Gesù: v. 2 6).
Nella pratica (w. 27-34), chi celebra in modo indegno si rende colpevole di
quella morte (come Giuda: v. 27). Occorre esaminare se stessi prima di mangiare
e di bere (v. 28), perché l’eucarestia è un giudizio (v. 25). La prova è fornita da
fatti concreti (v. 30), che potevano essere evitati (v. 31): si trattava di un avver
timento del Signore al fine di evitare mali peggiori (v. 32). Tornando al punto di
partenza, Paolo invita i corinti ad accogliersi l’un l’altro (v. 33; cfr. w. 18 s.) in
una cena autenticamente comune (v. 34; cfr. vv. 20-22).
e in essa Dio ha stabilito un ordine preciso (v. 28; cfr. v. 18). Vi sono infatti tre
funzioni che seguono un ordine preciso - gli apostoli, i profeti (nel v. iob si par
lava di «profezia») e i maestri - e altri cinque doni, elencati secondo un ordine
casuale: operare miracoli (come al v. ioa), guarigioni (come al v. ^b), il dono di
assistenza, di governo e delle lingue (come nel v. ioc). A sei di queste funzioni (le
prime cinque e l’ultima), alle quali aggiunge I’ «interpretazione» delle lingue (cfr.
v. iod), l’apostolo applica, in forma interrogativa, Pesempio dei w . 15 s.
donne debbono tacere durante le assemblee plenarie della chiesa (vv. 343.3 5b;
cfr. v. 2,3, in contrasto con 11,5 in cui anch’esse parlano),11 restando sottomesse
come dice anche la legge (v. 34b) e interrogando poi a casa i mariti (v. 35a). La
parola di Dio, infatti (e lo esprime con due interrogativi), non proviene da loro
né è giunta soltanto a loro (v. 3 6).
Conclusione epistolare (vv. 37-40): dopo due frasi di tipo condizionale piutto
sto enigmatiche (vv. 37 s.), l’apostolo offre il nocciolo dell’insieme: ricercare, non
impedire (v. 39); decoro, ordine (v. 40).
e) Il corpo risuscitato ( w . 3 5 -4 9 )
Pone due domande: come e con che corpo risusciteranno i morti (v. 35)? Ri
spondendo alla seconda, porta due analogie naturali: come Dio dà a ogni seme il
corpo che gli spetta (vv. 36-38) e come nella natura stessa esistono classi diverse
di corpi (vv. 39-41), così sarà la risurrezione. Comporterà una trasformazione
che assommerà le tre qualità che a quel tempo venivano attribuite ai corpi celesti
(«immortalità»: v. 42b; «gloria»: v. 43a; cfr. vv. 40 s.; «potenza»; v. 43b), più
una quarta completamente nuova, il «corpo spirituale» (v. 44a), che richiede una
spiegazione. Il corpo spirituale esiste (v. 44b): se infatti Adamo divenne un’«ani-
ma vivente», Cristo divenne spirito datore di vita (vv. 45 s.; cfr. 22b: «riceveran
no la vita»). Cristo scenderà dal cielo e noi diventeremo come lui (w. 47-49).
III. Q U E S T I O N I A P E R T E
Ad ogni modo l’unico frammento che con una certa insistenza viene
attribuito alla presunta primissima è 2 Cor. 6,14-7,1: ne parleremo nel
prossimo capitolo. Ad essa sono state attribuite anche le pericopi 6,i l
io e 10 ,1-11,1, supponendo che rispondano ai temi proposti in prece
denza. Parimenti le è stata assegnata anche 11,2-34, perché fornisce una
versione troppo «innocente» dei conflitti che covavano a Corinto.
Secondo lo schema da noi proposto, può essere che 11,2-34 costitui
sca una specie di corpus separatimi. E verrebbe da attribuire tale defini
zione anche al cap. 7, che però non apparterrebbe alla «primissima» let
tera: sarebbe infatti assai singolare che la corrispondenza con i corinti
abbia avuto inizio con una lettera inviata dalla comunità (cfr. v. 1).
In genere oggi si tende piuttosto a sottolineare l’unità della lettera,14
tutt’al più accettando l’idea che possa contenere «cibi precotti» in for
ma di discorso o di schema di discorso (tanto per citarne uno, 5,6b-8).
Ciò spiegherebbe la differente concentrazione concettuale, statura lette
raria e «aggressività» oratoria dei singoli frammenti.
c) Quelli di Apollo
d) Quelli di Pietro
Bibliografia
Rimane significativo il commento di un grande maestro di esegesi, E.-B. Allo, Saint
Paul. Première épitre aux Corinthiens, Paris *1956, che ci mostra lo sfondo dei
problemi cogliendone quasi sempre la soluzione pertinente; è bene tuttavia inte
grarlo con il commento più recente di G. Barbaglio, Prima lettera ai Corinti, Bolo
gna 1996, che merita di figurare tra i migliori. Sono da ritenersi dei classici C.K.
Barrett, La prima lettera ai Corinti, Bologna 1979; H. Lietzmann - W.G. Kum
mel, An die Korinther 1/11, Tubingen 5i969; H.-D. Wendland, Le lettere ai Co
rinti, Brescia 1976; H. Conzelmann, Der erste Brief an die Korinther, Gottingen
*1981. Eccellenti anche C. Senft, La première épitre de saint Paul aux Corin
thiens, Genève *1990; F. Lang, Die Briefe an die Korinther, Gottingen 1986; E.
Fascher, Der erste Brief des Paulus an die Korinther, 1. Teil, Kap. 1-7, Berlin
1988; Ch. Wolff, Der erste Brief des Paulus an die Korinther, 2. Teil, Kap. 8-16,
Berlin 1984; G. Voigt, Gemeinsam glauben, hoffen, lieben. Paulus an die Korin-
Witherington ili nel commento a tale passo: «Tutto questo passo non può essere diretto sem
plicemente contro Apollo o Pietro, neppure da parte di chi si trova a Corinto nel momento in
cui Paolo scrive».
18 4 Le grandi lettere
T. I D A T I D E L P R O B L E M A
3. Suddivisioni maggiori
È parere unanime che la seconda lettera ai Corinti presenti una struttu
ra intricata. Dal punto di vista della costruzione stilistica parleremo di
«lettere» differenti, senza per questo implicare (né escludere) che si trat
ti realmente di scritti inviati inmomenti diversi.
Distinguerle risulterà facile solo fino a un certo punto. Tanto per co
minciare, i capp. 8 e 9 presentano contenuti simili (esortazioni alla col
letta); il cap. 9, tuttavia, sembra ignorare quanto è stato già detto al
cap. 8: «Riguardo alla colletta in favore dei santi...» (9,1), alludendo a
1 Cor. 16,1 ma trascurando di averne già parlato nei 24 versetti prece
denti.
D’altra parte sembrerebbe logico concludere una lettera parlando del
la colletta, come avviene in 1 Cor. 16,1-4 e Rom. 15,26-28. Risultereb
be perciò stilisticamente accettabile collocare il cap. 8 nella stessa lette
ra dei capp. 1-7. Non così invece per il cap. 9, per come esordisce e per
il contenuto ripetitivo. Ancor meno logico sarebbe, dopo aver dedicato
tanto spazio alla colletta, tornare ad affrontare temi polemici per altri
quattro capitoli. Pertanto, provvisoriamente parleremo dei capp. 10-13
come di un’altra lettera.
Si distingueranno dunque:
1. lettera A, lettera della riconciliazione (capp. 1-7);
2. lettera B, prima nota sulla colletta (cap. 8);
3. lettera C, seconda nota sulla colletta (cap. 9);
4. lettera D, apologia di Paolo (capp. 10-13).
D’altro canto le connessioni di linguaggio e di situazione all’interno di
quella che la tradizione ha ricevuto come 2 Corinti sono tali e tante, che
sarebbe illogico trattare separatamente queste singole «lettere» (tra l’al
tro, anche per la mancanza di unanimità nel delimitarne i confini). Co
minciamo dunque a studiare la lettera così come si presenta, prendendo
atto via via delle differenze di livello e rimandando alla fine del capitolo
gli interrogativi cruciali: vi sono realmente più lettere? È possibile rico
struire l’ordine in cui furono inviate?
Le suddivisioni ulteriori nelle lettere B, C e D non creano alcun pro
blema e consentono di passare direttamente alla lettura della lettera. Lo
19 0 Le grandi lettere
stesso non si può dire per la lettera A. Nei primi sette capitoli non è
difficile, dopo l’introduzione (1,1 s.) e l’esordio (vv. 3-7), distinguere
una «zona» eminentemente narrativa, all’inizio e alla fine (risp. 1,8-2,13
e 7,5-16), e una zona centrale molto più «argomentativa», tanto per ri
farsi allo schema retorico. I confini delle singole «zone» sono stati prov
visoriamente fissati alla fine di 2,13 e alPinizio di 7,5, perché il primo
testo si conclude con le parole «partii per la Macedonia», mentre il
secondo esordisce dicendo: «Quando giunsi in Macedonia». Tra i due
testi non vi è il racconto di ciò che avvenne durante il viaggio. Ritenia
mo comunque che vi siano buone ragioni per ampliare le due «zone»
narrative a scapito di quella argomentativa. Pare infatti che la «marcia
trionfale» di 2,14 sia in relazione diretta con l’evangelizzazione di Troa-
de, dove gli si era aperta una porta (v. 12): ciò indurrebbe a prolungare
la prima sezione fino a 2,17.
In 3,1, inoltre, ha inizio un’autoraccomandazione dell’apostolo che,
come si vedrà, prosegue per altri quattro capitoli fino a 6,4-10, pericope
in cui l’affermazione «noi raccomandiamo noi stessi» viene precisata da
una serie di complementi circostanziali. Questa pericope formerebbe
una seconda sezione (o è una lettera indipendente?) riguardante le rac
comandazioni dell’apostolo.
Ciò che segue sino alla fine del cap. 7 comporta un singolare inciso
(forse anch’esso una lettera indipendente?) in 6,14-7,1. Tuttavia, se lo
lasciamo tra parentesi vedremo che tanto ciò che si afferma in 6,11-13
quanto i versetti 7,2-4 risultano essere una buona descrizione di ciò che
accadde a Paolo al suo arrivo in Macedonia (7,5). Ci sarebbero dunque
buone ragioni per vedere il passo di 6 ,11-13 unito a quello di 7,2-24 per
formare una seconda sezione narrativa.
Pur senza trascurare di scoprire le possibili correlazioni tra i vari
frammenti, cominceremo a dividere la prima «lettera» in cinque sezioni
differenti:
a) inizio epistolare (1,1-7)
b) prima sezione narrativa (1,8-2,17)
c) «raccomandazioni» dell’apostolo (3,1-6,10)
d) seconda sezione narrativa (6,11-13; 7,2.-16)
è) «inciso» sulla separazione (6,14-7,1)
Per il momento attribuiamo un semplice valore espositivo alla conside
razione dell’ «inciso» come un qualcosa di distinto. Non per questo tra
scureremo di valutare i possibili nessi con i testi che gli stanno a fianco.
IL LETTURA D ELLA LETTERA
Cristo ci impegna (5,11-15). Prima di parlare di Cristo come della sua ragione di
vita (spec. w . 14 s.) Paolo giustifica il suo atteggiamento di fronte agli avversari,
gente che sa argomentare ma non apre il proprio cuore (v. 1 2 C ; cfr. «cuore» in
1,22; 3,2 s.; 4,6). Paolo deve convincere quelli di fuori (v. u à ) e per far ciò for
nisce argomenti a quelli di dentro (v. i2b) come se non si trattasse di qualcosa di
evidente davanti a loro (v. n b ; cfr. 1,12 ; 2,17; 4,2), come se raccomandasse se
stesso in quanto tale (v. i2a; cfr. 3,4; 4,5; 1 0 , 1 2 . 1 8 ; 12 ,11). Si è trattato di una
«follia» (cfr. 1 1 , 1 - 1 2 , 1 1 ) necessaria per difendere la causa di Dio, però si atte
nuerà per non rendere le cose troppo difficili per loro (v. 13).
Poiché (e qui entra in campo la cristologia) l’amore che portò Cristo a morire
per tutti noi ci obbliga a fare molto di più (w . I4ab.i5a): noi siamo morti con
lui (cfr. 1,9 s.; 4 ,10 -11; 11,2 3 ) e non possiamo più vivere per noi stessi (vv.
I4 c .i5 b ).
Cristo è presente in noi (5,16-21). Senza interrompersi Paolo passa ora a par
lare dell’opera di Cristo in sé e del ruolo che le compete: non tratta più nessuno
secondo criteri solamente umani (v. i6a; cfr. 1,17 ; 10,2 s.), perché così facendo
non si conosce Cristo (v. i6b) e Cristo rappresenta l’inizio di una creazione nuo
va (v. 17).2'
Variando semplicemente modo di esprimersi, i vv. 18 e 19 affermano che Dio
«ci» (cioè tutti) ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo e «ci» (ai ministri) ha
affidato il ministero della riconciliazione. Il v. 20 sottolinea il ruolo dei ministri:
in nome di Cristo vi esortiamo. Il v. 21 rivela qualcosa di più a proposito dell’o
pera di Cristo («Io ha fatto peccato», nel senso di «sacrificio per il peccato») e
del ministero apostolico: «siamo giustizia di Dio».3
Perciò assom igliam o a lui (6,1-10). Il participio iniziale segna una pausa (co
me in 3,12; 5,6.11), ma l’argomento prosegue. Il v. 1 è una riformulazione di
2. Cfr. Gal. 6, 1 5 ; Ef. 2 ,1 0 .1 5 ; 4,24.
3. Nel senso di «giustizia riconciliatrice»; cfr. Rom. 1 , 1 7 ; 3 .2 1 s.25 s.
La seconda lettera ai Corinti 195
5,20: «vi esortiamo». Il v. 2 fornisce un esempio di «parola» di riconciliazione: ci
tazione biblica applicata al momento presente. Il discorso volge al termine ram
mentando la preoccupazione di Paolo per quelli di fuori (v. 3; cfr. 5,13 b) e il si
gnificato della sua «autoraccomandazione» (v. 4a; cfr. 3,1; 4,2; 5,12) come mini
stro di Dio.
Alla luce del mistero di Cristo (cfr. 4,8-12) si vanta di varie avversità sopporta
te (vv. 4b-5), delle virtù del suo ministero (v. 6), delle armi con cui combatte (v.
7) e della posizione paradossale che ha assunto di fronte al mondo (vv. 8-10).4
credenti a rimanere in comunione (cfr. 6,14) con Cristo. Il testo invita a non con
dividere il giogo con gli infedeli {v. i4a) a causa dell’incompatibilità tra la giusti
zia, la luce, Cristo, il fedele e il tempio di Dio da una parte, e l’iniquità, le tene
bre, Beliar, l’infedele e gli idoli dall’altra (w. I4b-i8); termina quindi con l’esor
tazione a purificarci completamente (carne e spirito) da ogni macchia e a portare
a compimento la santificazione {7,1).
Come sopra si accemiava, la diversa origine dei due capitoli sulla colletta viene
solitamente ricondotta a due motivi: dicono essenzialmente le stesse cose e, inol
tre, 9,1 esordisce come se i ventiquattro versetti precedenti non esistessero nean
che. L’unica differenza che si può notare tra i due capitoli è che solo il cap. 8 ac
cenna a Tito (vv. 6.16.23), mentre di «Acaià» si parla solo nel cap. 9 (v. 2). Ne
approfitteremo per distinguere i capitoli.
Nel primo capitolo (o piccolo discorso) sulla colletta (cap. 8) è facile indivi
duare i passaggi dell’argomentazione, anche se non sempre i segnali sintattici so
no collocati in modo corretto.
L’inizio (exordium e narratio a un tempo) prende spunto dall’esempio dei ma
cedoni nella preparazione di quella che viene definita grazia-comunione-ministe
ro (ovvero la colletta, vv. 1-5). Nei versetti seguenti (vv. 6-8) si propone qualco
sa di analogo pure ai corinti, che si distinguono per fede, parola, conoscenza, ze
lo e carità (v. 7). Il v. 9 fornisce l’argomentazione teologica: il Signore nostro Ge
sù Cristo si è fatto povero per rendere ricchi noi con la sua povertà (v. 9; qui
«grazia» significa qualcosa più della colletta). I vv. 10-12 forniscono l’argomen
tazione pratica: non vi conviene esitare (v. io) perché, se si può concretamente
fare qualcosa, allora le buone intenzioni non sono sufficienti per essere graditi a
Dio (vv. 11 s.).
Un’eventuale obiezione suggerisce all’autore nuove riflessioni che culminano in
un testo della Scrittura (vv. 13-15): non si tratta di impoverirsi, bensì di ristabili
re l’eguaglianza (v. 13).
Prevenendo un’altra eventuale obiezione (sul suo impegno a portare la colletta
a Gerusalemme: vv. 190.20) elogia lo zelo dimostrato da Tito (vv. 16 s.) e da un
altro fratello, raccomandato e designato dalle chiese perché lo accompagni (vv.
18-193.22), poiché si preoccupa di comportarsi bene davanti a Dio e davanti agli
uomini (v. 21).
I w . 23 s. costituiscono chiaramente una raccomandazione finale: date questa
prova d’amore (e confermate così gli elogi da me fatti sul vostro conto) davanti a
tutte le chiese.3
Segue una concisa narratio (vv. 2-4) in cui parla dell’esempio che i macedoni
ricevettero dall’Acaia (cfr. 8,1-6) e della missione dei fratelli in quella regione (w. 3
s.; cfr. 8 ,i8 s.22).
Il v. 5 propone la colletta come una «benedizione» (in 8,4.6 s.19 era definita
«grazia») che non nasce da «cupidigia» (nel senso di «spilorceria»).
L’argomentazione teologica (vv. 6-11) può essere così riassunta: «colui che se
mina benedizione raccoglierà benedizione» (v. 6). La colletta viene definita «ope
ra di bene» (v. 8) e, alla luce del testo biblico (v. 9), «frutto della vostra giustizia»
(v. io).
I w . 12-14, sviluppando il v. 11, forniscono un argomento pratico: la colletta
sosterrà la legittimità dell’adesione dei gentili al vangelo (v. 13).
II breve discorso termina con un sentito rendimento di grazie (v. 15).
Con 10,1 ha inizio un discorso (nel senso appena detto) che abbraccia quattro
capitoli, di cui Paolo è non solo autore ma anche soggetto (si veda il nominativo
ego, «io», in 10,1; 11,13.29; 12 ,11.13.15 s.; kago, «anch’io», in 11,16.18 .21 s.;
12,20; hemeis, «noi», in 10,7.13; 11,12 .2 1; 13,4.6.73.7^9).5
Non ci vuole molto per immaginare che, dopo un’introduzione andata perdu
ta, si passi a un esordio dai toni elevati (lasciamo per il momento in sospeso se
sia andata realmente così): «Io stesso, Paolo...» (v. 1; cfr. Gal. 1,6). L’esordio si
conclude al v. 11 con un’espressione che mette a raffronto l’assenza con la pre
senza (cfr. v. 1). Seguono cinque contrapposizioni («non..., ma...», rispettiva
mente ai vv. 12.13.14.15.18) che sono un commento al detto biblico: «Chi si
vanta, si vanti nel Signore» (v. 17). Esse svolgono il ruolo della propositio.
Segue un brano dai contorni precisi: il «discorso del folle» (o Narrenrede), che
comprende i versetti da 11,1 a 12,13. Ad esso spetta il ruolo deil’argumentatio.
Si giunge quindi a due finali epistolari, che iniziano con la frase: «Vengo da voi
per la terza volta» (12,14 e I 3>1 )
Ne risulterebbe dunque questo schema:
a) esordio (10,1-11)
b) proposizione: raccomandato dal Signore (10,12-18)
c) argomentazione: «discorso del folle» (11,1-12,13)
d) prima conclusione epistolare (12,14-21)
e) seconda conclusione epistolare (13,1-13).
Di queste sezioni alcune richiederebbero un’ulteriore suddivisione, che però verrà
proposta a suo tempo.
5. Cfr. J. Sanchez Bosch, L ’apologie apostolique .- 2 Cor 1 0 - 1 1 camme réponse de Paul à ses
adversaires, in E. Lohse, Verteidigung und Begriindung des apostolischen Amtes, Roma 1993,
43-63, oltre alta bibliografia ivi citata, spec. H.D. Betz, Der Apostel Paulus und die sokrati-
sche Untersuchung zu seiner «Apologie» 2 Kor i o - 12, Tiibingen 1972.
a) Esordio ( 10 ,1-11)
11 discorso viene introdotto quasi si trattasse della sezione esortativa di una lette
ra (v. ia; cfr. spec. Rom. i2,ia), per poi passare invece all’apologià. A proposito
della lettera «impetuosa» scritta dopo una visita poco esaltante (v. ib; cfr. v.
io), Paolo afferma che non si è trattato di pusillanimità «secondo la carne» (vv.
2 s.), ma che ad assisterlo è la potenza di Dio (vv. 4 s.). Come apostolo, egli ap
partiene «a Cristo» più di qualsiasi altro (v. 7) e possiede,l’autorità per edificare,
non per distruggere (v. 8). Tuttavia, non ha intenzione di spaventarli con la sua
lettera (v. 9), ma di dimostrare che, per lettera o di persona, il suo atteggiamento
è sempre lo stesso (v. 11).
quando parla di «un Gesù diverso, un altro vangelo, uno spirito diverso»). Sa
pranno ben sopportare anche lui, che non è in nulla inferiore ai grandi apostoli
(v. 5),10 anche se ritiene di eccellere in conoscenza ma non in parola (v. 6; in os
sequio ai canoni retorici di allora).
Indipendenza economica deWapostolo (vv. 7 - 1 2 ) . L’apostolo si sente offeso
perché è stato frainteso un gesto che per lui rivestiva tanta importanza11 e oltre
tutto lo rende simile a Cristo: ha abbassato se stesso per esaltare loro {vv. 7 s.).IZ
Pur avendo ceduto in Macedonia, qui non cederà per quanto voglia loro bene
(vv. 9 s.),I? per sventare i piani di quelli che vorrebbero che lui fosse come loro
(v. 12.).
Emissari di Satana (vv. 13-15). Con espressioni molto forti si scaglia con ira
contro quanti lo hanno diffamato, dicendo che sono falsi apostoli (v. 13), imita
tori e servitori di Satana {vv. 14 s.). Riconosce che si presentano come ministri di
Cristo (v. 13; cfr. 10,7; 11,23), ma se è Paolo il vero ambasciatore di Cristo (cfr.
2,17; 5,20), quelli che si danno da fare per screditarlo in realtà lavorano per Sa
tana.
Seconda riflessione sulla follia (vv. 1 6 - 2 0 ) . L’apostolo, proprio perché ritiene
di essere «rinsavito», torna ora sul tema della «follia», pur senza affermarla a
chiare lettere («come in un accesso di follia», v. 17 !?). Ammette di essersi vantato
«non secondo il Signore» (v. i7a), ossia senza quella mansuetudine e modera
zione propria di Cristo (cfr. 1 0 , 1 ) , 14 tuttavia incolpa gli altri di aver creato una
situazione tale (cfr. 5 , 1 2 ; 1 1 , 1 2 ) da indurlo a rispondere vantandosi (v. 17 C ). In
ogni caso si nota una differenza tra il suo vanto e quello altrui: questi si vantano
secondo la carne (v. i8a),15 Paolo si vanta e basta (v. i8b).16 Conclude con una
nota sarcastica, affermando che i corinti sarebbero le persone più adatte ad ac
cettare anche lui, visto l’entusiasmo con cui accolgono altri stolti (v. 1 9 ; cfr. v.
4), i quali li riducono in schiavitù e arrivano a colpirli in faccia (v. 2 0 ).
Catalogo delle avventure (w. 21-29). Dopo un esordio alquanto aggressivo
(v. 21), l’elenco prosegue ininterrottamente dal v. 22 fino al v. 29. A partire dal
v. 23b si limita a spiegare, in evidente connessione grammaticale, il v. 1 3 a: «So
no ministri di Cristo? Io di più!». Il «catalogo» è in evidente parallelo con 6,4-10
e in linea con 4,7-12 e 1 Cor. 4,9-13.17
«Ministri di Cristo» (v. 233) è un’espressione che rientra nella serie in cui l’a
postolo si definisce anche ebreo, israelita e figlio di Abramo (v. 22). Quando si
autoaccusa di star parlando «con vergogna, come per debolezza» (v. zia), e in
un accesso di «stoltezza» (v. 2ic), non può certo riferirsi solo al v. 22 (dove al
lude alla sua condizione di giudeo),18 dato che l’espressione più forte («sto par
lando da folle», v. 23b) Paolo la impiega a proposito di qualcosa che è essenziale
per la sua autocomprensione: l’essere ministro di Cristo. Quindi l’aspetto sgra
devole per lui dev’essere proprio l’aggressività che caratterizza il confronto («Se
ardiscono gli altri, ardirò anch’io», v. 2ib).
i o . P r e fe rire m m o interpretare questa frase in linea c o n Gal. 1,17 ; 1 Cor. 1 5 , 9 s. p iu tto s to che
c o n s o tto , 1 1 , 1 3 - 1 5 . 1 1 . C f r . 1 Tess. 2.,9; 1 Cor. 9 ,15 -18 . i z . C fr . 8,9: Fit. 2,8.
1 3 . C fr. 1 Cor. 9 ,15 . 1 4 . C fr. anche Rom. 12 ,14 .17 ; 1 Tess. 5 ,15 .
1 5 . O ss ia senza verità e senza retta intenzione. 1 6 . C fr . 1 , 1 2 . 1 7 ; 1 0 , 2 s.
1 7 . C fr. anche 2 Cor. 3,6 -9 . 1 8 . C fr. Rom. 1 1 , 1 s., m a lg r a d o FU. 3 , 7 s.
2,00 Le grandi lettere
i8a) non si vanterà se non delle debolezze (v. 50; cfr. 11,30). Il v. 6 ridimensiona
le ultime due affermazioni: a) se volesse vantarsi (di altre cose) non sarebbe in
sensato, perché direbbe la verità (v. 6ab, a differenza di 11,1.17.21); b) non in
tende essere giudicato per più di quello che di lui si vede o si sente (v. 6cd)/9 os
sia non soltanto debolezza.
E propone subito un esempio di questa «debolezza»: con ogni probabilità si
tratta della stessa malattia a cui si accenna in Gal. 4,13. Paolo ne parla come di
una spina molesta che Satana gli ha conficcato nel corpo, proprio come a Giobbe
(v. 7). Il Signore non gliePha tolta, malgrado le preghiere dell’apostolo (v. 8),
perché la grazia20 c la potenza di Dio realizzano un’opera perfetta su un suppor
to debole (v. 9).zr Di questa debolezza può vantarsi perché significa che in lui
dimora la potenza di Cristo (v. 9cd; iob). Sulla scia di 11,22^ 30 e paralleli, la
debolezza si amplia fino a includere l’oltraggio, la costrizione, la persecuzione, le
ristrettezze sofferte per Cristo (v. ioa).
Riflessione conclusiva (w. 11-13). La follia in quanto tale viene ora liquidata
in meno di un versetto (v. ria), per riequilibrare la negazione del v. 6ab e i dub
bi di 11,1.17.21. Ne viene però ribadito il carattere costrittivo (v. n b )22 e la
parte di colpa che ha la comunità (v. n c; cfr. 6d; 5,12). Vengono poi ricapitolati
i temi dell’intero discorso: il confronto con i grandi apostoli (v. nd; cfr. 11,5 s.),
la pazienza (v. i2b),23 l’indipendenza economica (v. 13; cfr. 11,7.9.12). Invece di
«visioni e rivelazioni» (i2,i-4.éb), come «segni dell’apostolato» si hanno «segni,
miracoli e prodigi» (v. izac).
Il secondo finale esordisce con un altro annuncio del viaggio imminente (v. ia),
comporta altre due allusioni alla visita ormai prossima (vv. 2.10), un’ultima di
fesa della sua posizione (vv. 3 s., in forma espositiva; vv. 5-9, come apostrofe) e
si conclude con un’esortazione di carattere generale (v. 11), un saluto generale (v.
12) e una benedizione (v. 13).
Riguardo alla sua posizione, ci offre una perla teologica (vv. 3 s.): voi vi senti
te forti in Cristo, mentre vedete me debole (v. 3b).Z5 II fatto è che ora io debbo19 *
partecipare della debolezza della croce (v. 4C)/6 ma quando vivrò con lui sarò
forte come voi (v. 4d).
Nell’apostrofe {w. 5-9) compaiono un tema nuovo («non posso fare nulla
contro la verità»: v. 8)26
27 e uno già noto, la debolezza (v. 9).28
Nell’esortazione generale (v. 11) ricorrono i temi propri di una vita comunita
ria gioiosa. Alcuni sono nuovi per questa lettera: incoraggiatevi/9 abbiate gli
stessi sentimenti,30 vivete in pace.31
Il saluto vicendevole (v. iz), comprensivo anche del bacio,32- non poteva essere
più generico, mentre la benedizione finale (v. 13) è un’ultima perla: la grazia del Si
gnore Gesù Cristo,33 l’amore di Dio Padre34 e la comunione dello Spirito santo.35
2 6 . C fr , 4 , 1 0 - 1 2 . ; 1 1 , 3 0 ; 1 2 , 5 . 9 . 1 0 . 2 7 . C fr . 4 , 2 ; 6 , 7 ; 7 , 1 4 .
2 8 . C f r , v . 3 b ; 1 2 , 9 s. 29 . C fr. 1 Tess. 4 ,18 ; 5 ,1 1 . 3 0 , C fr. Rotti. 1 2 ,1 6 ; 15 ,5 .
3 1 . C fr. 1 Tess. 5 , 1 3 ; Rom. 1 2 , 1 8 . 3 2 . C fr . Rom. 16 ,16 ; 1 Cor. 16 ,2 0 ; 1 Tess. 5 ,26 .
3 3 . C fr. 8 , 9 ; Rom. 1 6 , 2 0 . 2 4 ; 1 Cor. 16 ,2 3 ; Cai. 1,6 ; 6 ,18 .
3 4 . C fr , v, 1 1 ; Rom. 5 ,5 .8 ; 8 ,39 .
Paolo invece di visitarli due volte si è recato da loro un’unica volta (1,
1 5 - 1 7 ) ; per lettera è più duro che non di persona (10 ,10 ); da loro non
vuole denaro come fanno invece altri ( 1 1 ,7 ) e se non percepisce denaro
da loro, ne riceve però da altri (vv. 9 . 1 1 ; 1 2 , 1 3 ).39
Tutto il resto è ancora meno chiaro. Ad esempio non è così evidente
che Paolo si riferisca agli avversari in due celebri frasi sui «superaposto-
li» (hyperlian apostoloi):
Ritengo di non essere inferiore in nulla ai superapostoli. E se d’altra parte (ei de
kuì) sono un inesperto (idiotes) nel parlare, non lo sono quanto a conoscenza (n ,
5 s-);
In nulla sono inferiore ai superapostoli, anche se sono un nulla (12,11).
Se il testo si riferisce agli avversari, non ci dirà granché. Paolo li pren
de in giro chiamandoli «superapostoli» e li deride ancora quando affer
ma di non essere loro inferiore, ma anzi di ritenersi molto superiore. Se
invece si riferisce ai grandi apostoli di Gerusalemme (hyperlian aposto
loi non ha motivo di essere uno spregiativo), non dirà nulla di nuovo,
ma lo dirà in modo diverso: pur stimandoli, egli non si ritiene inferiore
a loro, anche se è un nulla (in linea con 1 Cor. 15 ,9 s.). Inoltre siamo
indotti a credere che il fascino esercitato dai grandi apostoli di Gerusa
lemme avesse un ruolo non secondario nella controversia tra Paolo e i
suoi oppositori. Sappiamo che gli avversari avevano con sé lettere di rac
comandazione (3 ,1). N on si sa chi ne fossero i firmatari né se si trattas
se di lettere autentiche o false; tuttavia è probabile che, in un modo o nel
l’altro, gli avversari di Paolo coinvolgessero nella loro campagna pure i
«grandi apostoli» di Gerusalemme, anche solo dicendo: «Non c ’è para
gone tra questo vostro apostolo e i grandi apostoli di Gerusalemme, con
i quali noi abbiamo vissuto». A questi livelli, a un uomo come Paolo
che tanto aveva lavorato non si poteva contrapporre se non l’autorità di
coloro che erano diventati «apostoli prima di lui» (cfr. Gal. 1 , 1 7 s.).
Che i grandi apostoli fossero veramente implicati in questa campagna
mi sembra molto più difficile da un punto di vista storico. Dopo il suo
ultimo viaggio a Gerusalemme, Paolo si era dato da fare per oltre un
anno per organizzare la raccolta di una consistente colletta in favore di
quella comunità ed è difficile credere che i grandi apostoli gli abbiano
chiesto un aiuto e al tempo stesso dichiarato guerra. Ed è ancora più
impensabile che Paolo abbia organizzato la colletta se, nella sua ultima
visita, li avesse visti pronti a distruggere un’opera che essi stessi avevano
approvato (Gal. 2,6-9).
39. Sull’importanza sociale di tati inezie cfr. P. Marshall, Enmity in Corinth: Social Conven-
tions in Paul’s relations with thè Corinthians, Tiibingen 1987; J.A. Crafton, The Agency o f
thè Apostle. A Dramatistic Analysis o f Paul’s Response to Conflict in 2 Corinthians, Sheffield
1991.
zo8 Le grandi lettere
Bibliografia
Sebbene la seconda lettera ai Corinti richieda di essere studiata a sé, e non come
appendice della prima, è logico che chi abbia commentato una delle due affronti
anche l’altra. Così, oltre ai commenti già citati di Allo, Lietzmann, Lang e With-
erington ih, disponiamo anche di quelli di C.K. Barrett, A Commentary on thè
Second Epistle to thè Corinthians, London 1973; Ch. Wolff, Der zweite Brief
des Paulus an die Korinther, Berlin 1989; G. Voigt, Die Kraft der Schwachen. Pau-
lus an die Korinther 11, Gòttingen 1990; H.J. Klauck, 2. Korintherhrief, Wiirz-
burg 1994. La Bibliographie di Lanf, citata in calce al capitolo precedente, inclu
de anche la lettera che ci interessa.
Affrontano soltanto la 2 Corinti il già citato commento di Bultmann, oltre al
l’opera estremamente documentata di M. Carrez, La Seconde Lettre de Paul aux
Corinthiens, Ginevra 1986 e all’opera, ora conclusa, di M.E. Thrall, A Criticai
and Exegetical Commentary on thè Second Epistle of Paul to thè Corinthians, 2
voli., Edinburgh 1994 e 2000, che promette d’essere la migliore. In lingua italia
na merita ricordare K.H. Schelkle, Seconda lettera ai Corinti,31990; H.-D. Wend-
land, Le lettere ai Corinti, Brescia 1976; R. Fabris, Al servizio della comunità.
Seconda lettera di Paolo ai Corinti, Leumann 1984, e il recente B. Corsani, La
seconda lettera ai Corinzi. Guida alla lettura, Torino 2000.
Aggiungiamo il commento risultante dalla raccolta di vari colloqui paolini: L.
De Lorenzi, Paolo Ministro del Nuovo Testamento (2 Co 2,14-4,6), Roma 1987;
Id., The Diakonia of thè Spirit (2 Co 4:y-y:4), Roma 1989; E. Lohse, Verteidi-
gung und Begriindung des apostolischen Amtes, Roma 1993.
È singolare che alla seconda lettera ai Corinti, più che ad altre lettere, siano
state dedicate varie raccolte di studi. Ricordiamo i già citati Studies di Bieringer-
Lambrecht, ai quali vanno ad aggiungersi M. Rissi, Studien zum zweiten Korin-
therbrief, Zurich 1969, e U. Heckel, Kraft in Schwachheit. Untersuchungen zu
2 Kor 10-J3, Tùbingen 1993.
Quanto alla struttura e all’unità letteraria della seconda ai Corinti, ci si può
riferire a G. Segalla, Coerenza linguistica e unità letteraria della 2 Cor. Teol 13
(1988) 149-166; Idem, Struttura letteraria e unità della 2 Cor. Teol 13 (1988) 189
218.
Per un’attenta ed esaustiva analisi della teologia paolina in questa lettera si
veda J. Murphy-O’Connor, La teologia della seconda lettera ai Corinti, Brescia
1993.
Capitolo ix
La lettera ai Galati
I. I D A T I D E L P R O B L E M A
i. Comunità destinatarie
le chiese della Galazia di fare una colletta «in favore dei santi» di Geru
salemme. Ciò significa che furono evangelizzate prima di scrivere i C o
rinti. Se si aggiunge che Paolo nei primi contatti con una comunità soli
tamente non chiedeva denaro (cfr. i Cor. 9 ,1 8 ; 2 Co#*. 1 1 ,7 ) , si può de
durre che 1 Cor. 1 6 ,1 si riferisca a una seconda visita (durante la quale
raccoglie dei fondi), per cui l’evangelizzazione va collocata in un mo
mento precedente. Ciò si accorda con Gal. 4 ,1 3 che, secondo il significa
to classico della forma avverbiale to proteron, parla della «prima delle
due volte» in cui annunziò loro il vangelo; a sua volta, questo si intona
con il racconto degli Atti, secondo il quale Paolo «attraversa» la regione
per due volte (16 ,6 ; 18 ,2 3 ), benché Luca non dica che vi annunziò il
vangelo. La lettera che l’apostolo invia ai galati dice qualcosa sul modo
in cui li evangelizzò. Gal. 4 ,1 3 - 1 5 è un testo estremamente significativo:
Sapete che la prima volta vi annunziai il vangelo a causa di una malattia del cor
po. E malgrado la tentazione che per voi rappresentava la mia condizione fisica
(alla lettera: «la vostra tentazione nella mia carne»), non mi avete disprezzato né
schernito, ma mi avete ricevuto come un angelo (o un «messaggero») di Dio,
come Cristo Gesù. Dove sono, dunque, le vostre felicitazioni di allora? Vi assicu
ro che, se fosse stato possibile, vi sareste cavati gli occhi per darmeli.
1 . N o n d eve n ece ssa ria m e n te trattarsi di u n ’ in ferm ità degli o c c h i, sebbene il v. 1 5 a ffe rm i ch e i
g a lati e ra n o p ro n ti a c a v a r s i i lo ro p e r darli a lui; intende sem p licem en te dire ch e p er lui e r a n o
disp osti a fare q u als ia si sacrificio : cfr. U. H e c k e l , D er D o m itti Fleisch. D ie Krankheit des Pau-
lus in 2Kor 1 2 ,7 und G a l Z N W 84 ( 1 9 9 3 ) 65-92.
2. Q u a l c h e in fo r m a z io n e in più sulle c o m u n ità della G a l a z i a in N acido a tiempo 102-107.
La lettera ai Galati 2 11
Dopo pochi anni, quattro o cinque al massimo, questi stessi galati gli
avrebbero però dato il dispiacere maggiore di tutta la sua vita.23 Speri
mentata l’efficacia sovrumana della croce di Cristo, accompagnata per
di più da moltissimi prodigi e da carismi straordinari {Gal. 3,5), essi si
sono lasciati «ammaliare» (v. 1) da chi diceva loro che, se non si fossero
fatti circoncidere secondo la legge di Mosè, non avrebbero potuto sal
varsi (5,2 s.; 6 ,1 2 s.). Dichiarare nulla, per mancanza di requisiti legali,
quell’esplosione di doni dello Spirito, era un assurdo assolutamente in
concepibile; e che i galati fossero caduti in quella trappola era il dispia
cere più grande che l’apostolo potesse provare.
I promotori della crisi (1,7), ai quali Paolo augura cose non tanto bel
le (5 ,12 ), giunsero sicuramente da fuori, visto che vengono paragonati a
un angelo dal cielo (1,8 s.). V i è un testo assai chiaro sulle motivazioni
che li spinsero (6 ,12 s.), così come le vede Paolo; ma eventuali precisa
zioni ulteriori saranno oggetto di discussione nella sezione relativa alle
questioni aperte.
3 . C f r . U. B o rse , Der Standort des Galaterbriefes, Bonn 1 9 7 2 .
2 12 Le grandi lettere
Figlioli miei, sto dandovi nuovamente alla luce finché Cristo non abbia preso
forma in voi! Vorrei essere presente ora in mezzo a voi e parlarvi con voce muta
ta, perché provo grande angoscia a causa vostra (4,19 s.).
3 Stile e vocabolario
Sullo stile di Galati influisce soprattutto l’elemento dell’ «apostrofe», l’invettiva di
retta e appassionata che distorce persino le abitudini stilistiche dell’apostolo: figura
infatti nell'introduzione (1,1-5), nell’esordio (1,6-10), nella conclusione epistola
re (6,11-18), nonché in altri frammenti (3,1-6; 4,12-20; 5,2-12). Per il resto, ri
troviamo il consueto stile didattico, tinto di retorica, caratteristico delle altre lette
re. Di fatto questa lettera è stata variamente studiata come composizione retorica
completa.4
Il vocabolario di Galati si compone di 526 termini, dei quali 33 sono hapax
neotestamentari e 69 «hapax paolini». Con questo lessico l’autore compone una
opera di 2.220 parole, da cui risulta una media di 4,22, che possiamo considera
re ordinaria tenuto conto dell’estensione della lettera: inferiore a 1 Corinti (7,04),
Romani (6,64) e 2 Corinti (5,62), ma superiore al resto delle lettere paoline au
tentiche (1 Tessalonicesi: 2,56; Filippesi: 3,62; Filemone: 2,33).
Gli hapax ci pongono all’interno delle stesse coordinate lessicali di 1 Tessalo
nicesi e di 1 e 2 Corinti: di essi, 17 figurano nei LXX o in altre traduzioni greche
dell’A.T.; dei rimanenti, io sono conosciuti da altri testi profani e 6 sarebbero
del tutto nuovi, tranne che si tratta di composti o derivati da altre parole ricor
renti nel N.T. Stranamente nei LXX non compare il verbo allegorein («esprimer
si per allegorie») né il sostantivo allegoria. Ciò significa che il reiterato impiego
del termine da parte di Filone deriva direttamente dall’uso profano. Tra gli ha
pax assolutamente nuovi compare il composto pro-euangelizomai, di stampo in
dubbiamente paolino.
Tra gli «hapax paolini» sono particolarmente importanti o significativi i se
guenti termini: aletheuo («dire la verità»), biblion («libretto», «bibbia»), enkra-
4. Citiamo subito H.D. Betz, Galatians. A Commentary on Paul’s Letter to thè Churcbes in
Gaiatia, Philadelphia 1979; aggiungiamo V. Jeger-Bucher, Der Galaterbrief au f dem Hinter-
grund antiker Epistolographie und Rhetorik , Ziirich 1991; A. Pitta, Disposizione e messaggio
della Lettera ai Galati, Roma 1992; K.A. Morland, The Rhetoric o f Curse in Galatians, At
lanta 1995.
2 14 Le grandi lettere
Sulla base dei soli segnali visibili, risulta assai difficile individuare una
struttura convincente della lettera ai Galati. E diventa arduo anche de
terminarne i grandi blocchi, operazione che, invece, per 1 Corinti s’era
mostrata relativamente agevole. Tale lavoro va integrato, a nostro avvi
so, con osservazioni riguardanti il tono e il contenuto: se è narrativo,
polemico, esortativo, se predomina un tema piuttosto che un altro.
In tal senso diremmo che spicca una serie di frammenti caratterizzati
dd\Yapostrofe (recriminazione) diretta e relativi alla situazione concreta
della Galazia. Il più appariscente è costituito dall’esordio stesso (1,6 -10 :
«M i meraviglio che...»), cui segue a ruota la conclusione epistolare (6,
n - 1 8 : «Vedete con che grossi caratteri...»). M a appaiono connotati
dall’apostrofe anche i frammenti 3 ,1 - 6 («O stolti galati!...»), 4 ,12 -2 0
(«Siate come me...») e 5 ,2 - 1 2 («Ecco, io Paolo...»). L ’unità non risulterà
del tutto perfetta, tuttavia non sarà difficile cogliere una certa linea di
scorsiva tra i frammenti inseriti tra le varie apostrofi. A d esempio, è pa
lese il carattere narrativo del frammento che ha inizio in 1 , 1 1 («Vi ren
do noto, fratelli, il vangelo...») e prosegue con le tappe segnate dai vv.
1 8 .2 1 e 2 , 1 . 1 1 (cfr. sopra). In mancanza di segnali esteriori, bisognerà
convenire che la narrazione (il discorso di Paolo a Pietro) continua fino
al v. 2 1 , anche se al riguardo la discussione rimane aperta.
Dopo la seconda apostrofe (3,1-6 ) a dominare è la riflessione teologi
ca (3,7-29 ): un discorso sulla fede e le opere della legge, molto legato al
le figure di Abramo e Mosè. Una prima parte inizierebbe con le parole
«Sappiate dunque che figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fe
de» e terminerebbe con «Se dunque siete di Cristo, siete discendenza di
Abramo, eredi secondo le promesse». Da 4 ,1 fino all’apostrofe seguente
La lettela ai Galati z i5
a) Indirizzo ( 1 ,1 -5 )
Ha inizio con un’accusa in piena regola: avete abbandonato colui che vi ha chia
mati (v. 6), poiché non vi è un altro vangelo, neanche se ad annunziarlo fosse un
angelo (vv. 7 s.). La sentenza è l’anatema (v. 9), da cui egli si esclude con forza:
io servo soltanto Cristo (v. io).
2. Discorso narrativo ( 1 , 1 1 - 2 ,2 1 )
Parliamo di «discorsi» differenti in senso molto lato, senza per questo trascurare
di considerarne (ovviamente!) la correlazione reciproca, nonché la loro connes
sione con il tema della lettera.
L’idea di una narratio orientata a una probatio illumina in modo sufficiente
l’intento delle righe seguenti. La distinzione tra ciò che proviene «dagli uomini»
e ciò che proviene da Dio (vv. 1.10) può fornire la chiave di lettura per com
prendere ciò che è narrato dopo, riguardante cinque fatti successivi accaduti ri
spettivamente a Damasco, Gerusalemme, Siria e Cilicia, di nuovo a Gerusalem
me e infine ad Antiochia.
rendere visita agli apostoli (v. i7a).“ Si recò invece (v. 17) nel regno di Arabia in
cerca di lavoro12 e di persecuzioni/3 per poter essere riconosciuto servo di Cristo/4
«Non c’è un altro vangelo» (v. 7) significa, stando ai versetti seguenti, che Paolo
concorda con ciò che predicano gli altri/5 anche se lo ha ricevuto per tramite di
retto. Lo dichiara con forza (v. 20) narrando della sua prima visita a Gerusalem
me: Pietro gli dedicò quindici giorni del suo tempo, in un momento in cui nella
città vi erano pochissimi apostoli (w. 18 s.).
Paolo si trasferisce in Siria e in Cilicia (v. 21), ma sottolinea le sue relazioni con
le chiese cristiane della Giudea (w. 22-24): sapevano che annunziava il vangelo,
e glorificavano Dio per questo (vv. 23 s.).
e) Incidente di Antiochia ( 2 ,1 1 - 1 4 )
Nel testo si possono distinguere una narrazione dei fatti intercalata da giudizi di
valore (vv. n-i4a), e il rimprovero a Pietro da parte di Paolo (v. i4b).
Contrariamente al suo atteggiamento abituale, Pietro (v. I 2 b ; cfr. v. i4b: «vi
vi come un gentile», al presente), su istigazione di alcuni rappresentanti di Gia
como (v. i2a; cfr. v. <?b; 1,19) e per timore dei rappresentanti ufficiali della «cir-
11. Cfr. 1 Cor. 15,9. 12, Cfr. 1 Cor. 15,10. 13. Cfr. 2 Cor. 11,32 s.
14. Cfr. 1,10; 5,11. 15. Cfr. 1 Cor. 15,3.11. 16. Cfr. vv. 5.7.14; 1,6-9.11.16.23,
17. Cfr. vv. 6ad.9c; ossia escludendo altre persone: v. 4.
18. Cfr. 1 Cor. 15,10; 2 Cor. 2,14; Rom. 15,17.
19. Cfr. Rom . 15,26. 20. Cfr. 5,2 s.6; 6,11-13.15.
zi 8 Le grandi lettere
concisione» (v. i 2.d),ZI smise di prendere cibo insieme ai gentili (v. I2 c ), subito
imitato dagli altri giudei e persino da Barnaba (v. 13; cfr. vv. 1.9). Per questo mo
tivo Pietro viene giudicato «meritevole di condanna» (v. i i c ) e «simulatore», in
fatti agiva per timore (v. i2cd); gli altri vengono definiti «ipocriti» (v. i3a) e, poco
più avanti, di loro è detto che «non camminavano secondo la verità del vangelo»
(v. I4a: questa infatti esige la comunione della mensa).1* Barnaba viene accusato
di «lasciarsi attirare nell’ipocrisia» altrui (v. i3b).
Il rimprovero diretto di Paolo a Pietro consiste nel rinfacciargli: «In contrad
dizione con la tua condotta, stai obbligando i gentili a giudaizzarsi» (ossia ab
bandonandoli così alla loro sorte).
In un modo o nell’altro la figura di Pietro resta presente fino al v. 18. Poi, di col
po (vv. 19 s.) Paolo resta solo con il suo Signore, per tornare quindi al tema in
forma generale (v. 21).
Rivolgendosi a Pietro, Paolo dichiarava (vv. 15-18): nella sostanza siamo d’ac
cordo (vv. 15 s.; cfr. 2,1-10), tuttavia dobbiamo farci carico di tutte le conseguen
ze di ciò (vv. 17 s.; cfr. 2,11-14). Come dire che anche Pietro, in quanto giudeo,
non era il classico «peccatore» (v. x5),“3 però aveva capito che Cristo era morto
per i suoi peccati e (dunque) necessitava di essere giustificato dalla sua fede in
Cristo/4 Secondo la logica di Paolo, ciò sta a significare «non per le opere della
legge» (v. 16).15
Se per agire coerentemente (come stava facendo lo stesso Pietro, secondo i vv.
I2a.i4c) vengo trovato peccatore, sarà colpa di Cristo (v. 17): non posso riedifi
care ciò che ho demolito (v. 18). Dimenticandosi per un attimo del dialogo, Paolo
aggiunge (vv. 19 s.): per mezzo della legge (v. i^a)2,6io sono morto alla legge, sono
stato crocifisso con Cristo (v. i<?bd)17 per vivere esclusivamente della fede in lui,
che è morto per me (v. 2ocde)/8
Ritorna ora il tema (v. 2 1 ) : riedificare quanto è stato demolito (cfr. v. 18) equi
vale a rifiutare la grazia di Dio (v. 2ia; cfr. 1,6.15; 5 >4), far sì c^e Cristo sia morto
invano (v. 2ib;cfr. v. 1 7 C ; 1 , 4 ; 5,2.4).
3. Discorso dottrinale ( 3 ,1 - 4 ,1 1 )
A partire dal momento in cui viene nominato Abramo (v. 6), il discorso diventa
speculativo. Potrebbe trattarsi di un brano già pronto di cui l’apostolo disponeva
per giustificare l’ingresso dei gentili nella chiesa.
Seguiamo la divisione stabilita inizialmente.21
21. Ossia per timore di essere perseguitato; cfr. 6,12; 1 Tess. 2,14. Riteniamo che non si riferi
sca agli inviati di Giacomo, altrimenti avrebbe detto «di loro».
22. Cfr. 1 Cor. 10,17; 11,20-22. 23. Cfr. 1 Tess. 4,5; Rom . 9,30; Ef. 4,17.
24. Cfr. 1 Cor. 6,11. 25. Cfr. 1 Cor, 15,56; 2 Cor. 3,6 s.9.
26. Come Scrittura: cfr. 4,21; R om . 3,21; 1 Cor. 15,3 s.
27. Cfr. Rom . 7,1-4. 28. Cfr. 5,6; r Cor. 16,13; 2 Cor, 1,24; Rom . 11,20.
a) Apostrofe: esperienza dei galati (3,1-6 )
I primi cinque versetti sono interrogativi con una notevole carica drammatica, ac
centuata da un epiteto piuttosto forte (vv. 1.3: «stolti»). L’accusa è d’essere stati
incoerenti con i doni ricevuti e che continuano a ricevere (si osservino i tempi al
presente del v. 5). Lo spettacolo di Cristo crocifisso (v. i),i5> lo Spirito ricevuto e
i suoi doni (vv. 2b.5ab),3° la persecuzione (v. 4),31 tutto è avvenuto per la fede,
non certo per le opere (vv. 2b.5c). Il v. 6 spiega l’importanza della fede (vv. 2.5;
cfr. 2,16.20), ma in modo tale (grazie alla menzione di Abramo) da introdurre
all’argomento successivo.
Questo primo argomento offre una struttura interna abbastanza chiara: Abramo
porta benedizione (vv. 7-9); la legge porta maledizione (vv. 10-12); Cristo ci ri
scatta dalla maledizione e ci restituisce la benedizione (vv. 13 s.).
Riguardo ad Abramo, se la fede (secondo il v. 6) porta benedizione e, secondo
la Scrittura, in lui saranno benedette tutte le nazioni (v. 8), ne deriva che per la
fede tutte le nazioni (v. 9) saranno benedette (ossia giustificate) e potranno chia
marsi figli di Abramo (v. 7).
Della legge è detto che porta maledizione, perché bisogna adempierla tutta
quanta (v. io; cfr. 5,3; 6,13); perciò essa non ci offre il cammino della fede, pure
proposto dalla Scrittura (vv. n -i2a),}i ma quello delle opere, che ci abbandona
alle nostre sole forze (v. i2b).33
Cristo ci ha riscattati da questa maledizione assumendo su di sé una delle ma
ledizioni pronunciate dalla legge (v. 13). La fede ci unirà a Cristo e riceveremo
così lo Spirito promesso da Dio ad Abramo (v. 14).
II frammento segue la linea generale del confronto tra la promessa fatta ad Àbra
mo e la legge data tramite Mosè. Tale linea ideale si interrompe al v. 16 con l’af
fermazione che la promessa giunge attraverso Cristo, che è l’unica «discenden
za» valida di Abramo. Prima e dopo (w. 15.17 s.) si ribadisce che ciò che conta
è la promessa: la legge, venuta 430 anni dopo, non è in grado di interferire con
la sua validità. Le due obiezioni (vv. i9a.2ia) si fondono in un unico interrogati
vo: ma allora per che motivo è venuta la legge, per essere di impiccio? La rispo
sta, ripetuta per ben tre volte (vv. 19^22.23-25), è sempre la stessa: a) per darci
una coscienza del peccato che ci conduca alla fede in Cristo (v. i^b);34 b) per
rinchiuderci nella prigione del peccato, in attesa della fede in Cristo (vv. 2.2.0..
23a);35 c) per essere come lo schiavo ignorante che accompagna i bambini a scuo
la, che è Cristo (vv. 24a.25b; cfr. 4,1-5).
29. Si tratta forse del Cristo in carne e ossa che vive in lui, specialmente quando porta la croce
(cfr. 2,19 s.; 4,13 s.; 6,17)? 30. Cfr. v. 14; 4,6; 5,5.
31. Cfr. 1 Tess. 2,14; 2 Cor. 1,6 ; FU. 1,29. 32. Cfr. Rotti. 1,17; 10,6-8.
33. Cfr. Rom . 10,5. 34. Cfr. Rota. 4,15. 35. Cfr. Rota. 3,19; 5,20; 7,7-13.
zzo Le grandi lettere
A partire da 4,1 viene affrontato un tema fondamentale che rivestirà grande im
portanza sino alla fine della lettera: quello della schiavitù e della libertà. Se il
cap. 3 poteva essere l’esposizione del vangelo così come l’apostolo l’aveva fatta a
Gerusalemme (z,z), ciò che segue potrebbe essere piuttosto il sermone tenuto da
Paolo a Pietro ad Antiochia (v. 14): rispecchia la preoccupazione di chi non vuo
le riedificare ciò che si è appena demolito (v. 18). L’idea di fondo è che il cristia
no è «libero» perché è «figlio» ed «erede», come è stato dimostrato nel capitolo
precedente (vv. 7.26.29).
Come l’ «erede» ancora minorenne (4,1) è temporaneamente sottomesso a de
gli schiavi (v. z), così lo eravamo anche noi agli «elementi del mondo» (v. 3), che
si concretizzano nella legge (v. 5). La maggiore età giunse quando il Figlio di Dio
si fece vero uomo (v. 4), sottomettendosi alla legge per riscattare noi dalla sua
condanna (v. 5). Ora dunque siamo figli e lo Spirito in noi grida «Abbà» (v.
6);37 siamo liberi eredi di Dio (v. 7).38
«Eredi» lo erano certo anche i giudei ma, grazie a una singolare acrobazia teo-
logico-letteraria, la lezione verrà applicata {vv. 8-11) ai gentili: gli «elementi del
mondo» (vv. 3-9)39 sono il comune denominatore (assai difficile da ricavare!) tra
gli idoli, a cui erano sottomessi prima (v. 8),40 e le pratiche giudaiche a cui sem
brano essere «sottomessi» ora (v. 9) con l’osservanza di tutto il calendario giu
daico (v. 10).41
4. Discorso polemico ( 4 ,1 2 -5 ,1 2 )
A dire il vero l’apostrofe iniziava già al v. 9b, ma non potevamo certo separare
quelle frasi dall’argomentazione in cui erano inserite. Oltretutto è consuetudine
che il finale di una sezione introduca il tema della sezione successiva.
Il fatto è che in tutta la lettera non vi sono altri brani così diretti e personali.
Qui, più che in altri passi, domina la logica della passione: si mescolano insieme
l’esortazione (vv. 12.18), il ricordo del passato (vv. 13 s.isb), il lamento {vv. I5a.
i6a), l’attacco (v. 17) e l’imprecazione (vv. 19 s.).
Paolo ricorda che era giunto in Galazia a causa di una malattia (v. 13), pro-
36. Cfr. Rom . 8,2-4. 37- Cfr. Rom . 8,15 s.2.6 s. 38. Cfr. R om . 8,17.
39. Cfr. Col. 2,8.20. 40. Cfr. 1 Tess. 1,9; 4,5; 1 Cor. 12,2. 41. Cfr. Col. 2,16.
La lettera ai Galati 221
Paolo applica alla situazione presente la dottrina appena esposta, perché vi sono
alcuni che, volendo evitare la persecuzione da parte di coloro che meritano di es
sere scacciati, si accordano con loro (6,12; cfr. 2,12) giungendo a proporre la
circoncisione per i cristiani gentili. Ciò significherebbe che Cristo non è stato ca
pace di inserirli nella discendenza di Abramo (3,7-29): resterebbero privi della li-
42. Cfr. j Tess. 2 ,7 .11; 1 Cor. 4,15; Film. io.
43. Cfr. 2 Cor. 3,6.14. 44. Cfr. 1 Tess. 2,14-16; 2 Cor. 11,24 s-i Rom. 15 ,3 1.
45. Forse includendo anche i «falsi fratelli infiltrati» di 2,4.
222 Le grandi lettere
berta donata loro da Cristo (4,1-11), alla pari dei «figli della schiava» (4,21-31).
Ecco dunque questa seconda apostrofe (l’ultima è in 6,11-17), riguardante il
problema sorto in Galazia. Nel frammento non mancano espressioni molto forti
(cfr. w . rob.rz), ma al tempo stesso viene fornito un compendio piuttosto com
pleto (e assai equilibrato) del pensiero paolino (w. 5 s.): ciò che ci viene richiesto
(la fede che opera attraverso la carità: v. 6; cfr. w . 13.22) e riceviamo in dono,
ossia lo Spirito (cfr. 3,2 s.5.14; 4,6.29), la giustizia (2,16 s.21; 3,6.8.11.21.24) e
la speranza (v. 5).46
In precedenza aveva loro spiegato che facendosi circoncidere avrebbero fatto un
magro affare: Cristo e la sua grazia sarebbero stati inutili (w. zb-4) e oltretutto
sarebbero stati obbligati a osservare tutta quanta la legge (v. 3; cfr. 3,10.13; 4,4 s.).
L’apostrofe ricomincia al v. 7 con espressioni di fiducia (vv. 7a.ioa), con at
tacchi (vv. 7b.8 s.) e minacce rivolte all’avversario (v. iob.12), e persino con l’au
todifesa: io non cedo alla circoncisione,47 ma persevero nello scandalo della croce
(v. nb; cfr. 2,19; 3,1; 6,12.14).
La situazione concreta della Galazia non ricomparirà più fino alla conclusione
della lettera (6,11-18), e nel frattempo, forse nel tentativo di smorzare i toni, si
inaugura un discorso di semplice esortazione, adatto a qualsiasi circostanza. Esso
si ricollega non tanto al discorso polemico (4,12-5,12) quanto alla tematica della
legge e all’idea di libertà, introdotte rispettivamente in 3,10-26 e 4,1-7.
Dopo la tesi generale (5,133) si afferma che la carità consente un certo grado
di adempimento della legge (w. 13 ^ 15 ) e che lo Spirito ci libera dalla legge, ma
solo a determinate condizioni (vv. 16-26). Paolo si addentra poi in una serie di
esortazioni concrete (6,1-10) che potrebbero figurare in qualsiasi lettera e hanno
una sola peculiarità: sono definite «legge di Cristo» (v. 2).48
La legge non si intende di fede (3,12) né di promesse (v. 18), però non va nem
meno contro di esse (v. 21); certo non conduce a esse (vv. 23-25) e, mettendo in
riga il figlio immaturo, opera in nome del Padre (4,1-3). Ma una volta giunto al
la maggiore età, questo figlio agirà liberamente; certo resterà comunque figlio, per
cui dovrà sempre agire in accordo con l’intento che aveva il Padre quando aveva
promulgato la legge.
Per questo l’apostolo, che tanto aveva insistito sull’inadeguatezza della legge
(z ,i6.21; 3,2.5.11.17.21), si compiace di lasciarci un a formula, derivata dalla
fede (5,6), attraverso la quale si compie tutta quanta la legge. Libertà non signifi
ca lasciarsi andare alle passioni (v. i3b),49 ma rendersi schiavi per amore (v. 13 C ) .50
Adempiendo il precetto dell’amore, infatti, si compie tutta quanta la legge (v. 14).51
46. Cfr. Rom. 5,1 s.4 s.; 8,20.24; 12,12; 15,4.13. 47- Sarà per ciò che narra Atti 16,3?
48. Cfr. 1 Cor. 9,21. 49. Cfr. w. 16 s.19; 2,4; 4,31; 5,1.
50. Cfr. 1 Cor. 9,19. 51. Cfr. Rom. 13,10; 1 Tess. 4,9.
b) Secondo argomento generale: Spinto e libertà ( 5 ,1 6-2.6)
L’incapacità della legge di dare la vita (3,11) si rivela in tutta la sua evidenza da
vanti a un’autentica forza capace di condurci dove non vogliamo (v. iyd). Que
sta forza, tradotta alla lettera, viene definita «carne» (w. 16 s.; cfr. v. i3b), e in
clude tutta la gamma di passioni umane senza distinzioni (w. 19-21).
L’unica forza in grado di tenerle testa è lo Spirito, più volte menzionato nella
lettera (3,2 s.5.14; 4,6.29; 5,5). A differenza della legge, dimora «nei nostri cuo
ri» (4,6) e non ci impone «opere» (v. 19 );52 invece dà un «frutto» (v. 22),53 qual
cosa che sgorga da dentro di noi. La legge non ha nulla contro questi frutti (v.
23b), ma chi li possiede non ha più bisogno della legge (v. r8b).
Per comprendere le due frasi precedenti esiste una chiave ben precisa: le quin
dici opere della carne (vv. i9-2ia) in qualche modo sono tutte collegate a qual
che precetto del decalogo. Il frutto (al singolare, perché nasce come un unico fu
sto) dello Spirito, invece, che si esprime in dodici virtù tra cui la carità e la fede,
presuppone un superamento per eccesso dei comandamenti del decalogo (w. 22
233). Proprio come nel commento che ne aveva fatto Cristo {Mt. 5,21-48),
Le relazioni intracomunitarie, schematizzate nel termine allelon («gli uni degli al
tri»), sono già state affrontate quattro volte nel discorso in questione (una volta
nei vv. 13 e 15, due volte nel v. 26). Nel cap. 6 tale idea viene condensata nel v.
2 con un’immagine molto plastica (lo era di più Mt. 5,41!). Possono essere con
siderate applicazioni dello stesso principio le esortazioni a correggere il fratello
(v. 1), a portarne i pesi (v. 2), a moderare il proprio vanto (vv. 3-5) e a condivi
dere ogni bene con il catechista (v. 6).
I vv. 7-9 invitano a prepararsi alla fine dei tempi ricorrendo alla contrapposi
zione carne-Spirito (v. 8; cfr. vv. 16-24) e all’idea biologica del «frutto» (v. 7;
cfr. v. 2 z ).h
Dopo 5,14 e il suo sfondo evangelico {Mt. 22,36-40 par.), non meraviglia che
la legge sia recuperata come «legge di Cristo» (v. 2). Colpisce di più il recupero
dell’ «opera» (v. 4) e dell’ «operare» (v. io) dopo tutto ciò che è stato detto delle
«opere» (2,16; 3,2.5.10). Ma se anche le opere non possono essere origine (pre
posizione ex) della giustificazione, tuttavia ne possono essere il «frutto» (5,22).
All’interno del brano è interessante il gioco tra due impieghi diversi della paro
la «peso» (vv. 2.5) e tra due applicazioni del concetto di «ingannare» (vv. 3.7).
Pur sfiorando il paradosso, sono perfettamente spiegabili: una cosa è farsi carico
del fardello altrui (v. 2), un’altra «caricare» gli altri del proprio peso (v. 5); d’al
tra parte, un rigoroso giudizio di sé (v. 4) ci prepara al giudizio di Dio (v. 7).6
cordarsi dei poveri... cosa che stava appunto facendo (Gal. 2 ,10 )! Il
problema delle «prescrizioni», annunciate in Atti 15 ,2 0 .2 8 s. ed escluse
da Gal. 2,6, non verrebbe risolto ipotizzando che Galati sia successiva a
esse. Le grandi lettere, infatti, furono senz’altro scritte dopo il cosiddet
to «concilio» di Gerusalemme e nemmeno in esse si allude a tali «pre
scrizioni» (ad es. quando in 1 Cor. 8 e io e in Rom. 1 4 si parla della
carne immolata agli idoli);
gli Atti, tra l’andata e 1’ (eventuale) ritorno di Paolo e Barnaba a G e
rusalemme (Atti 1 1 , 3 0 e 12 ,2 5 ), narrano la morte di Erode Agrippa 1
(12 ,2 0 -2 3 ), avvenuta nell’ anno 44. Se per far coincidere Atti 1 1 , 3 0 (e
1 2 ,2 5 ) con Gal. 2 anticipiamo la conversione di Paolo di quattordici
anni, corriamo il rischio di far convertire l’apostolo lo stesso anno della
morte di Cristo. Preferiamo dunque far coincidere l’evento narrato nelle
due versioni da Gal. 2 e Atti 1 5 , spiegandone le divergenze per mezzo
della critica storica. Quanto al viaggio di Atti 1 1 ,3 0 ; 1 2 ,2 5 , ipotizziamo
che si sia trattato di un viaggio di Barnaba senza Paolo.
Fin qui, come dicevamo, si trova d’accordo la stragrande maggioran
za degli esegeti.63 Galati dovette quindi essere scritta da Efeso, durante
il terzo viaggio. In teoria potrebbe essere stata composta anche a Troa-
de (cfr. 2 Cor. 2 , 1 2 s.), più vicina alla Galazia. M a il testo citato non
permette di immaginare che l’apostolo si sia trattenuto a lungo nella cit
tà. In linea di principio, pertanto, Galati andrà situata cronologicamen
te prima della «sostanza epistolare» di 2 Corinti (in concreto, 1 , 1 - 2 , 1 3
più 7 ,5 -16 ), scritta al termine del viaggio dalla Macedonia.
Se il periodo efesino si concluse con la prigionia che si intuisce in 2
Cor. 1,8 -10 , diremo che Galati è anteriore, perché non è stata scritta
dalla prigionia. Sarebbe dunque anteriore a Filippesi, persino nel caso in
cui (cfr. sotto, cap. xn , m .i) Filippesi sia stata scritta da Efeso. Che sia
anteriore a Romani è ancora più evidente per motivi di contenuto.
A questo punto, sapere se la lettera sia anteriore o meno a 1 Corinti
rimane il solo interrogativo interessante. L ’unico dato disponibile è la
colletta in favore di Gerusalemme, «ordinata» alle chiese della Galazia
(1 Cor. 1 6 ,1 ) . N on è facile immaginare Paolo mentre «ordina» una col
letta dopo la crisi in Galazia, per cui siamo più propensi a ritenere che
Galati sia anteriore anche a 1 Corinti. Ciò tuttavia non risolve la que
stione, perché nulla vieta che l’apostolo abbia visitato la Galazia dopo
aver inviato la lettera alla comunità del posto, si sia reso conto che i
tempi erano maturi per organizzare la colletta, l’abbia realizzata e abbia
mandato il ricavato a Gerusalemme tramite emissari. Poi, vista la m a
desta entità della somma raccolta, l’apostolo potrebbe aver deciso che a
63. Cfr., ad esempio, l’eccellente opera di M.-J. Lagrange, Saint Paul. Épitre aux Galates, Pa
ris 3i9 2 6 (risL 1950).
228 L e g r a n d i le tte re
espediente per dire che stanno tornando alla schiavitù da cui erano sta
ti liberati: prima servivano gli «elementi del mondo» nell’idolatria (v. 3),
adesso, adottando le pratiche giudaiche, si porranno al servizio degli «ele
menti del mondo», perché soggetti a «realtà naturali» come lo sono gior
ni, mesi, stagioni e anni (v. io).
La tentazione di attribuire agli oppositori le «opere della carne» (5,
1 9 -2 1 ) mi sembra un caso estremo di mirror reading: non tutto ciò che
Paolo condanna dev’essere per forza teologia avversaria.65
Atteniamoci dunque a ciò che risulta più palesemente dal testo. Si trat
ta di giudaizzanti stretti che cercano di costringere alcuni gentili già bat
tezzati a farsi circoncidere. Il testo che illustra nel modo più chiaro que
sta situazione è G a i 6, 1 2 s.:
Quelli che vogliono fare bella figura nelle cose visibili (lett. «nella carne») vi co
stringono a farvi circoncidere, al solo scopo di non essere perseguitati con la cro
ce di Cristo. Perché neppure questi «circoncisi» osservano la legge, ma vogliono
la vostra circoncisione per potersi vantare nella vostra carne.
Se la descrizione dell’apostolo è corretta, non si tratta di osservanti stret
tissimi della legge, bensì di persone intenzionate a servirsi della circon
cisione degli altri per evitare la persecuzione. Non è improbabile che si
tratti di un progetto a livello locale o regionale, ma in una comunità a
maggioranza pagana la sola circoncisione non sarebbe certo bastata. Sa
rebbe poi venuto l’obbligo di inserirsi nella vita quotidiana della sina
goga, cosa nient’affatto semplice per un pagano convertito.
Per questi motivi, sebbene con sfumature diverse, gli esegeti spesso
mettono in relazione la crisi in Galazia con gli eventi narrati nel cap. 2,
non ultimo anche per analogia tra le situazioni: nella scarsa osservanza
della legge gli avversari coincidono con Pietro (2 ,14 : «vive come un pa
gano, non come un giudeo»); nel timore delia persecuzione coincidono
con Giacomo (secondo la nostra interpretazione del v. 1 2 ; cfr. cap. 1, 14 ),
e intendono contrastare l’accusa lanciata dai persecutori per i quali, con
la predicazione del vangelo, si sta «liquidando il giudaismo». N on biso
gna in ogni caso trascurare le differenze tra i promotori della crisi e gli
apostoli Pietro e Giacomo: né a Gerusalemme né ad Antiochia gli apo
stoli avevano preteso la circoncisione dei gentili. A Gerusalemme aveva
no proposto di dividersi il campo d’azione (v. 9), mentre ad Antiochia
avevano propugnato la separazione delle mense (v. 12 ). In Galazia, in
vece, gli avversari vanno a predicare a pagani che vivono lontanissimo,
costringendoli inoltre a farsi circoncidere. Assomigliano molto a quei
«falsi fratelli infiltrati» che avrebbero voluto costringere Tito a farsi cir
concidere (2 ,3-5 ; caP- L I 3 )> ben diversi dalle «colonne» (v. 9) alle
quali esclusivamente (v. 2) Paolo aveva illustrato il proprio vangelo.
65. Cfr. K. Berger, Im pliziten ,
2 3 0 L e g ra n d i le tte re
Bibliografia
La lettera ai Romani
i. Comunità destinataria
Roma aveva già parecchi contatti con il mondo giudaico il giorno in cui
Gesù di Nazaret fu crocifisso, all’epoca di Tiberio, per ordine del procu
ratore romano Ponzio Pilato. Gli interventi romani in Asia cominciaro
no nell’anno 18 9 o 19 0 a.C. con la battaglia di Magnesia, nella quale
Antioco in il Grande fu sconfitto e costretto a versare un pesante tribu
to di guerra {Dan. 1 1 ,1 8 ) . Poco tempo dopo Roma pone sotto la sua
protezione l’Egitto, impedendone la conquista da parte di Epifane (168
a.C.: Dan. 1 1 ,2 4 - 3 0 ) . I fratelli Maccabei cercano l’alleanza romana e
ottengono vari trattati, probabilmente nel 1 6 1 a.C. (1 Macc. 8 ,1 7 - 3 2 ; 12 ,
1-4 ; 14 ,1 6 -1 9 ) . L ’ultima alleanza, con Simone, estende la protezione
romana ai giudei residenti in numerose regioni dell’Asia Minore, nelle
isole, nella Grecia continentale e persino a Cirene (1 Macc. 1 5 ,1 5 - 2 4 ) .
Gli interventi romani in Siria si fanno ogni volta più energici. Nel 63
a.C. Pompeo divide tutto il paese in province. Fa da arbitro nelle con
troversie tra gli asmonei Ircano 11 e Aristobulo e impone come governa
tore l’idumeo Antipatro, padre di Erode. Questi ultimi manovrano abil
mente tra i partiti che si affrontano nelle guerre civili romane: tra Pom
peo e Cesare (49-48 a.C.), tra gli assassini di Cesare e suo nipote Otta
L a le tte ra a i R o m a n i 233
me, parecchi membri portano nomi latini, che potrebbero implicare una
relazione con qualche famiglia romana: Rufo (Me. 1 5 ,2 1 ) , Giusto (Atti
1,2 3 ), Enea (Atti 9 ,3 3 ), M arco (Atti 1 2 , 1 2 ) . . . Riteniamo comunque inat
tendibili le tradizioni secondo le quali Pietro si sarebbe recato a Roma
dopo essere uscito da Gerusalemme nell’ anno 44 d.C. (cfr. Atti 1 2 , 1 7 ) .2
Si può anche dare per certo che, nel momento in cui Paolo scrive R o
mani, Pietro non aveva ancora messo piede a Roma: la lettera, infatti,
non allude affatto a una presenza apostolica nella capitale. Dice invece,
lodando grandemente i romani, che la fama della loro fede è giunta in
tutto il mondo (Rom. 1,8). Questo rafforza l’ idea che il cristianesimo in
quella città risalisse agli anni quaranta, tuttavia non esclude che si trat
tasse del frutto quasi spontaneo della grande mobilità di persone e idee
che percorrevano il Mediterraneo in quegli anni e finivano praticamente
sempre per confluire nella capitale.3
N el capitolo ni (cfr. cap. in, 1 e 11) abbiamo raccolto una serie di testi
che illustrano i primi decenni del cristianesimo a Roma: le opere di Sve-
tonio e Tacito, la Prima lettera di Clemente, il Pastore di Erma, la Let
tera di Ignazio ai cristiani di Roma, gli apologisti, Ireneo e il Canone di
Muratori. M a sono tutti testi posteriori a Romani. L ’unico dato ante
riore possibile ci è fornito dalla lettura «cristiana» del testo di Svetonio
citato sopra (Vita di Claudio 25), quando scrive che vennero espulsi giudei
che fomentavano disordini «sotto l’istigazione di Cresto» (impulsore
Chresto assidue tumultuantes). Secondo questa interpretazione Sveto
nio, raccogliendo dati su Claudio, potrebbe essere stato informato che i
fomentatori di alcuni tumulti nella comunità giudaica di Roma erano
stati i chrestiafii (nome di fatto attribuito ai seguaci di Cristo) e aver poi
trasformato di sua iniziativa questa notizia affermando che lo stesso
Cresto era stato l’istigatore dei tumulti. Il testo di Atti 18 ,2 , già citato,
appoggia questa lettura, anche per la tendenza di Luca a lasciare in pe
nombra (cfr. persino Atti 2 8 ,1 7 - 2 2 , che si riferisce all’anno 6 1!) l’esi
stenza di cristiani laddove l’apostolo non aveva evangelizzato. Di Aqui
la e Priscilla, espulsi in seguito all’editto di Claudio, dice soltanto che
«si unirono» all’apostolo e «lavoravano» facendo lo stesso mestiere. In
questo caso, dunque, il silenzio di Luca gioca piuttosto a sfavore della
conversione degli sposi in quel momento: se fosse stato Paolo a conver
tirli, gli Atti l’avrebbero certamente riferito. Il loro rapido coinvolgi
mento nel ministero (18 ,2 6 ), quando vi sarebbero stati candidati di più
vecchia data, come pure la loro disponibilità a viaggiare in lungo e in
M a il semplice fatto che l’apostolo abbia loro inviato il cuore stesso del
la sua teologia significa che li riteneva capaci di comprendere (cfr. 1 Cor.
3 ,1 s.). Probabilmente riesce a farsi sentire più vicino allorché dalle gran
di costruzioni teoriche scende nella realtà. Quando, ad esempio, dicono:
«I rami sono stati tagliati perché vi fossi innestato io» ( 1 1 ,1 9 ) , espri
mono la medesima esperienza vissuta dall’apostolo giorno dopo giorno:
La loro caduta è stata ricchezza per il mondo, la loro diminuzione ricchezza per
le nazioni (v. 12).
3. Stile e vocabolario
Via via che studieremo la lettera nel dettaglio, lo stile di Romani spiccherà per su
blimità, composizione e persino calcolo dei contrasti, superiore al resto dell’epi
stolario. In realtà, si tratta della lettera meno «lettera» di tutte. È quasi un trac-
tatus, da quando termina 1’exordium {1,15) fino all’inizio della lunghissima con
clusione epistolare (15,14-16,27). Diremmo che nella lettera ai Romani l’aposto
lo si consacra scrittore professionista.
Ciò si riflette chiaramente nel linguaggio impiegato. Il vocabolario di Romani
comprende 1.068 parole, di cui 13 3 (12,55% del totale) sono hapax del N.T.,
mentre 2 1 1 (il 19,76% ) sono «hapax paolini». Con tale vocabolario l’autore com
pone un’opera di 7.094 parole, che dà una proporzione media di 6,64: inferiore
a 1 Corinti (7,04) nonostante la maggiore lunghezza, ma evidentemente superio
re al resto delle lettere paoline (2 Cor. 5,62; Gal. 4,22; 1 Tess. 2,56; Fil. 3, 62;
Film. 2,33). La minor varietà è dovuta all’insistenza sulle stesse tematiche, ma è
compensata dal maggior afflusso di termini nuovi in ambito paolino (344 rispet
to ai 3 1 2 di 1 Corinti e ai 2 2 1 di 2 Corinti).
Gli hapax introducono all’interno del medesimo sistema di coordinate lessicali
delle altre lettere autentiche: 90 di essi figurano nei LX X o in altre traduzioni
greche dell’A.T.; degli altri, 26 sono conosciuti da altri testi profani e 7 sarebbe-
238 L e g ra n d i le tte re
ro del tutto nuovi, ma sono composti o derivati da termini riscontrabili nel N.T.
Stranamente, vari composti di syn («con»), sconosciuti ai LXX e riconosciuti
come tipicamente paolini, sono invece attestati nel greco profano: synmartyrein
(«rendere testimonianza insieme a»), synparakaleisthai («esortarsi - o consolarsi
-vicendevolmente»), synagonizesthai («lottare insieme con»), syndoxazein («glo- '
rificare insieme»), synedomaì («compiacersi»), synodinein («patire con»), synste-
nazein («essere angosciati con»). Tra quelli assolutamente nuovi figurano quat
tro composti interessanti, di probabile conio paolino: ametanoetos («impeniten
te»), dikaiokrisia («giusto giudizio»), proaitiasthai («argomentare in preceden
za»), byperentynchatiein («intercedere»).
Tra i termini assenti nelle altre sette lettere autentiche, godono di una certa
importanza alcuni di quelli rinvenibili invece nelle altre cinque lettere che porta
no il nome di Paolo (ossia Efesini, Colossesi e le pastorali): anakainosis («rinno
vamento»), anakephalaiousthai («ricapitolare»), anexichniastos («irraggiungibi
le»), aoratos («invisibile»), apeitheia, apeithes («ribellione», «ribelle»), apistein,
apistia («essere incredulo», «incredulità»), asebeia, asebes («empietà», «empio»),
baptisma («battesimo»), didaskalia («insegnamento»), eklektos («eletto»), epai-
schynesthai («vergognarsi»), karpophorein («portare frutto»), homologein («con
fessare»), proetoimazein («preparare in anticipo»), prothesis («proposito»), pros-
agoge («accesso»), proskarterein («perseverare in»), prosphora («offerta»), pru-
sopolempsia («preferenza di persone»),prototokos («primogenito»), porosis («in
durimento»), synkleronomos («coerede»), synthaptein («seppellire insieme»), hy-
perephanos («superbo»). Tutti questi termini hanno una qualche connotazione
religiosa; molti, inoltre, sono abbastanza rari, così da giustificare un contatto di
retto.
Malgrado conti anch’essa sedici capitoli, con Romani non accade ciò
che era successo con 1 e 2 Corinti. A parte gli ultimi due capitoli (cfr.
sotto, ii i . i ), nessuno ha cercato di suddividerla in più lettere.10 Qui, in
ogni caso, si parlerà di «discorsi distinti» nel senso inteso fino a ora, ma
in misura maggiore rispetto alle due lettere ai Corinti, stabilirà che i va
ri temi sono tanto legati e articolati tra loro da indurre a considerare
tutta la lettera come un’unità.
Più che in qualsiasi altra lettera, gli elementi epistolari (caratteristici
di una lettera) sono concentrati all’inizio e alla fine dello scritto.
L 'indirizzo presenta l’espressione ampliata del semplice «A saluta B»
sino alla fine del versetto 7 («Paolo»: w . 1 -6; «saluta»: v. yb\ «i roma
ni»: v. 7a).
L ’esordio (1 ,8 -1 5 ) è inform a di benedizione per i progressi compiuti
b) Esordio (1,8-15)
Con un certo tono di captatio benevolentiae, Paolo rende grazie a Dio per i pro
gressi della comunità (vv. 8 s.)M ed esprime il desiderio di recarsi a visitarla (vv.
10 -15).15 Dopo aver detto che si recherebbe a Roma per porgere ai romani un
dono (v. n ) lé quasi si corregge (v. 12): in realtà Roma (vv. I3d .i5; cfr. vv. ib.7)
rientrava nella sua definizione generale di apostolato («le nazioni»: v. 13; cfr. vv.
5,éa), però non era come le altre località in cui lui aveva annunziato Cristo per
la prima volta.17 Qualcuno probabilmente riteneva che fosse un apostolo di bar
bari ignoranti e forse per questo motivo sottolinea di sentirsi in debito anche ver
so i greci e i sapienti.
L ’idea di «potenza di Dio» per la salvezza (v. réab) si riaggancia al tema del
Messia intronizzato a cui si alludeva in 1,4. La stessa virtualità salvifica è attri
buita al sintagma «giustizia di Dio» (v. i7a). Seguendo vari precedenti veterote
stamentari, Dio è giustamente quello che è quando ci salva (cfr. 3,21-26). La fra
se «il giusto-per-fede» (v. i7bc), che riassume il primo blocco dottrinale della
lettera, conferisce un’inflessione specificamente paolina al testo di Ab. 2,4.
re che si manifesta anche la sua ira castigatrice. In 3,2,1 s., invece, si introduce
una vera e propria spiegazione di quanto detto in 1,16 s. (si osservino «fede»,
«credere», «giustizia» in entrambi i contesti) con l’espressione «si rivela la giusti
zia di Dio». La sezione 1,18-3,20 ha dunque carattere di preambolo rispetto a
ciò che segue. Inizia come narrazione (anche se non puramente come tale) sui
peccati dei gentili. In 2,1-5 passa alla recriminazione diretta dei giudei, che pro
segue nei vv. 17-24. Le due accuse si mescolano a momenti di riflessione che ten
dono a equiparare giudei e gentili davanti al giudizio di Dio (vv. 6-16 e 25-29),
giungendo all’estremo di attribuire a questi ultimi rilevanti possibilità di salvezza
(vv. 14 -16 c 26 s.29).
Segue una serie di interrogativi quasi senza risposta (3,1-8), provocati dalla
resistenza del «tu, giudeo» (2,17; cfr. 3,7: «la mia menzogna... io sono giudica
to») ad accettare il proprio peccato. Quasi en passant si accenna che tale peccato
favorisce (cfr. 3,5.7) una manifestazione della giustizia salvifica di Dio.
3,9 riassume la parte rivolta ai giudei, dicendo di aver dimostrato in prece
denza (proetiasametha) il peccato sia dei giudei sia dei gentili. Questo viene con
fermato (vv. 10-18) da una serie di testi della Scrittura dai quali si deduce che
l’uomo non è in grado di giustificarsi attravèrso le opere della legge (vv. 19 s.).
Quanto alla parte positiva (3,21-4,25), considerazioni di tipo formale ci por
tano ad affermare che 3,21-26 costituisce una vera e propria proposizione, che
accoglie e amplia quanto detto in 1,16 s. (ove mancava la parte negativa). Risul
ta inoltre evidente che l’intero cap. 4 rappresenta uno sviluppo compatto riguar
dante la figura di Abramo. Tra i due blocchi (3,27-31) si colloca una serie di do
mande (vv. 27abc.29a.31a) quasi senza risposta, che definiremo obiezioni.
Ciò produrrebbe uno schema di questo genere:
a) Prime note preliminari: il peccato dei gentili (1,18-32)
b) Seconde note preliminari: il peccato dei giudei (2,1-3,20)
Prima accusa: tu abusi del dono di Dio (2,1-5)
Prima digressione: il giudizio di Dio (2,6-16)
Seconda accusa: tu predichi ciò che non pratichi (2,17-24)
Seconda digressione: la vera circoncisione (2,25-29)
Obiezioni (3,1-8)
Dimostrazione per mezzo della Scrittura (3,9-20)
c) Proposizione: la giustificazione per fede (3,21-26)
d) Obiezioni (3,27-31)
e) Dimostrazione per mezzo della Scrittura (4,1-25).
Per Gal. 2,15 il peccato dei gentili è qualcosa di scontato, come se facesse parte
della definizione di «gentile»: «Noi siamo giudei, non pagani peccatori». La no
stra lettera vi dedica quindici versetti, ma non per ripetere ciò che tutti sanno,
bensì per descrivere una manifestazione apocalittica (apokalyptetai) dell’ira di Dio
(v. i8a), preparatoria (e pertanto relativamente recente) della rivelazione della
sua giustizia salvifica (v. 17; 3,21).
242. L e g ra n d i le tte re
Prima accusa: tu abusi del dono di Dio (2,1-5). H problema del giudeo, secondo
questa pericope, non è tanto il negare la verità di Dio quanto il credere che Dio
avrà tanta misericordia nei suoi confronti (v. 4) da lasciare senza effetto l’eviden
za della sua colpa. Se poi «giudica» (ossia «condanna») coloro che cadono nel
suo stesso peccato (v. 1), ancora meno potrà sfuggire al giudizio di Dio (vv. 3.5).
Seconda accusa: tu predichi ciò che non pratichi (2,17-24). Torna la seconda
persona singolare. Questa pericope puntualizza che non si parla di ogni giudeo,
ma solo di quello che «giudica» (4 volte, nei vv. 1.3) credendosi un «maestro»
1 8 . C f r . Gal. 5 , 2 i b ; 6 , 4 . 7 - 9 .
L a le tte ra a i R o m a n i 243
quelli che sono sotto di essa, affinché tutti tacciano e il mondo intero sia ricono
sciuto colpevole davanti a Dio.
A quanto pare, Paolo non sta asserendo queste cose in riferimento a ciò che
l’uomo fa in realtà, ma a ciò che produce da solo, con le sole sue forze, senza
l’aiuto della grazia di Dio. Dice che «per le opere della legge nessuno sarà giu
stificato davanti a Dio» (v. 20),21 convinto che di per sé la legge non può dare al
tro se non la conoscenza del peccato (v. 2oc; cfr. 7,7-9).
L’idea della giustificazione per fede22 domina palesemente tutta la sezione fino al
termine del cap. 4. I sei versetti formano in concreto un’unica frase, la cui con
clusione al v. 26 si riallaccia all’inizio (da «si manifesta la giustizia di Dio», v.
21, si giunge a «per essere giusto e giustificare», v. 26). Una possibile chiave in
terpretativa del testo è ipotizzare che riprenda una confessione di fede giudeocri
stiana: Dio lo ha posto (Cristo) come propiziatorio, per manifestare la sua giu
stizia con il perdono dei peccati passati di Israele (v. 25). In essa avrebbe una
certa importanza l’allusione allo jotn kippur, durante il quale il propiziatorio
(tavola d’oro che ricopriva l’arca: Es. 25,17-22) veniva asperso con del sangue
(Lev. 16,14-19). Paolo l’avrebbe arricchita con l’idea di un peccato universale (v.
23) e di un’offerta universale di salvezza per mezzo della fede (w. 22.26).
d) Obiezioni (3 ,2 7 -3 1)
I w . 26-31 non sono che un fuoco di fila di domande quasi senza risposta, sulla
scia di 3,1-8. In un certo senso esse danno il «colpo di grazia» (v. 27: «Dove sta
dunque...?») agli argomenti della controversia con i giudei: il vanto (kauchesis)
di 3,27 corrisponderebbe al «ti vanti» (kauchasai) di 2,17.23; quando chiede se
Dio è Dio solo dei giudei (3,29), ha in mente 2,17, dove il giudeo si vanta di Dio;
quando chiede se togliamo ogni valore alla legge (3,31) si riferisce ancora al giu
deo che si vanta di essa (2,17). Crediamo che questa gloria dei giudei sia stata esclu
sa (v. 27), nel senso che «non c’è distinzione» (v. 22d). Se, come abbiamo detto,
l’uomo viene giustificato per mezzo della fede, a prescindere dalle opere della leg
ge (v. 28), i giudei restano privi del loro motivo principale di vanto. Non per que
sto, tuttavia, Paolo accetterà l’accusa di «togliere valore» alla legge (v. 31), anzi
ne favorisce il compimento più profondo, come affermerà in 8,4 e 13,9 s.
Tutto il cap. 4 ruota intorno alla storia di Abramo, nostro progenitore secondo
la carne (4,1), come direbbero gli interlocutori giudei. Solo alla fine (w. 23 s.) si
dirà esplicitamente che ciò non è stato scritto soltanto per lui; comunque, già
nella parte centrale del capitolo si diceva che egli è padre dei credenti, gentili e
2 1 . C f r . v. 2 8 ; 4 , 2 5 9 , 1 1 ; 1 1 , 6 ; cfr. Gal. 2 , 1 6 ; 3 , 1 1 .
2 2 . C f r . dikaioo nei vv. 2 4 . 2 6 . 2 8 . 3 0 ; 4 , 2 . 5 ; dikaiosyne, 3 , 2 1 s . 2 5 s.; 4 , 3 - 5 s . 9 . 1 1 . 1 3 . 2 2 .
L a le tte ra a i R o m a n i 245
Abramo e la fede (vv. 1-8 ). Abramo fu un uomo elogiato da Dio (cfr. 2,29); o al
meno risulta (Gen. 18,3) che «incontrò grazia» ai suoi occhi. Tradizione alla ma
no, non si può certo affermare che Abramo fosse un «empio», come i gentili di
1,18 -3 1. Vi sono dunque ragioni sufficienti, alla luce delPinvettiva di 3,9-20, per
ché il giudeo chieda che cosa avvenne di lui.
Paolo osserva che se si tratta di «grazia», certo non è «per le opere» (w. 2.4;
cfr. t i ,6), e cita un testo in cui si dice che ciò avvenne per la fede (v. 3). Con ciò,
tuttavia, non si giunge alla «giustificazione» dell’empio, senza la quale non po
trebbero essere giustificati tutti quelli che credono.13 Perciò il v. 5 aggiunge un
altro caso (ancora to de), che si risolve con il testo di un salmo in cui Dio giusti
fica un empio (vv. 6-8).
Abramo e la promessa (vv. 13-22). Il tema della legge, risuonato più volte nei
capitoli precedenti,15 viene richiamato senza alcun preambolo pure qui (v. 13),
non per svilupparlo (gli è dedicato solo il v. 15) ma per introdurre il tema della
promessa, cui si accede mediante la fede (vv. 14 .16 ). La promessa consiste preci
samente nel diventare erede del mondo (v. 13): si ispira ai testi {Gen. 12 ,7 ;
1 3 , x 5 ; 15 ,7 ; 24,7) nei quali ad Abramo viene promessa « questa terra», e al pas
so in cui è detto che sarà «padre di molte genti» (vv. i6e-i7a.i8b; cfr. Gen.
17,5). Senza alcuna pausa grammaticale il testo passa a una splendida descrizio
ne della fede di Abramo (vv. 17 -2 1), che gli venne accreditata da Dio come giu
stizia (v. 22): consistè nello sperare contro ogni speranza (v. i8a),16 perché cre
dette nel Dio che dà vita ai morti (v. i7b)1? e chiama all’esistenza ciò che non è
(v. 17C; cfr. Ebr. 11,3 ) . 23
Le differenze tra i quattro capitoli che seguono (capp. 5-8) e quelli che li prece
dono sono molteplici. Potrebbe essere un caso che, a partire da 5,1, non si parli
di «opere» e quasi non si menzioni la «fede». Ma a ciò si aggiunge che mentre
nei primi quattro capitoli si parla ripetutamente di «giudei» (1,16; 2,9 s. 17.28 s.;
3,1.9.29), di «gentili» (1,5.13; 2,14.24; 3,29; 4,17 s.) e di «greci» (1,14.16 ; 2,9
s.; 3>9)j nei capitoli successivi non vengono nominati né gli uni né gli altri. La
tendenza paolina all’antitesi si sviluppa ampiamente, tuttavia non si tratta di una
antitesi tra «questi» e «quelli», ma tra «Adamo» e «Cristo», tra il «peccato» e la
«grazia», la «legge», la «carne» e lo «Spirito».
Non crea problemi la divisione a metà del cap. 5 (tanto che molti fanno rien
trare 5 ,1-11 nella sezione precedente). Quanto al resto del capitolo, è evidente
che è tutto dommato dal confronto tra Adamo e Cristo. Il cap. 6 parte dalla ri
surrezione per commentare la vittoria sul peccato e sulla morte, mentre i capp. 7
e 8 sono strettamente uniti tra loro: le dichiarazioni di 8,2 s. risolvono i proble
mi posti in 7,14-25, riguardanti l’uomo reso schiavo dal peccato e dalla legge.
Inoltre, se 7,5 annunciava il resto del cap. 7, il v. 6 («serviate in novità di Spiri
to») annuncia il cap. 8.
Ricomponendo tutto ciò che si è detto e attribuendo (alla luce di quanto si di
rà tra breve) i relativi titoli, risulterebbe il seguente schema:
a) Una nuova relazione con il Padre (5,1-11)
b) Cristo di fronte al peccato e alla morte (5,12-6,23)
Adamo e Cristo (5,12-21)
Vittoria sul peccato e sulla morte (6,1-23)
c) Cristo di fronte al peccato e alla legge (7,1-8,39)
L’uomo di fronte al peccato e alla legge (7,1-25)
Lo Spirito, nuova legge del cristiano (8,1-39).
2 8 . C f r . v. 1 7 I 5 ; 1 , 4 ; 6 , 4 . 9 ; 7 , 4 ; 8 , 1 1 . 3 4 ; 1 0 , 9 ; 1 Tess. 1 , 1 0 .
Stando a 1 Cor. 15,22, Adamo portò nel mondo la morte e Cristo la risurrezio
ne. I due temi (il primo tradizionalmente giudaico, il secondo cristiano) sono
compresi, rispettivamente, nelle sezioni che seguono (5,12-21 e 6,1-23). Ad essi
viene a sovrapporsi rispettivamente l’idea che Adamo portò anche il peccato e
Cristo rende possibile (ed esige) un nuovo stile di vita, in opposizione al peccato.
3 4 . C fr . « u n o s o lo » nei v v . 1 7 d . 1 8 d . 1 9 b .
248 L e g ra n d i le tte re
la morte (v. izab) e, di conseguenza, tutti hanno peccato e tutti sono morti (v.
izcd).
All’eventuale obiezione di chi sostiene che, se non vi è legge, non si può impu
tare il peccato (v. i3b; cfr. 4,15), si replica con una dichiarazione esplicita: mori
rono anche coloro che non avevano trasgredito un precetto come Adamo (v.
i4ab). Si suppone, dunque, che avendo realmente peccato si fossero meritati la
condanna (come affermava z,i2a).
Su queste basi Paolo continua commentando l’idea che Adamo sia figura di
Cristo (v. 140): a causa di Adamo si ebbe la caduta (v. 15a.17a.20b), «i molti»
morirono (v. isbc), vi fu il giudizio di condanna (v. i6b) e regnò la morte (v.
iyb.2ib), «i molti» giunsero a essere peccatori (v. i?ab), il peccato abbondò e
regnò (vv. 2oc.2ia); a causa di Cristo «i molti» ricevettero la sovrabbondanza
della grazia e il dono di grazia (vv. 15de.16ac.17c) per la giustificazione (vv.
i6c.i8cd), il dono della giustizia per regnare nella vita (vv. i7cd.2ide), «i molti»
giungeranno a essere giusti (v. i9cd).
Nel v. 19, una traduzione errata del verbo greco (katestatbesan-katastathe-
sontai) sostenne la lezione «furono costituiti» - «saranno costituiti», come se si
trattasse di qualcosa di automatico, senza considerare l’idea dei propri peccati
personali e della fede come cammino per giungere alla giustificazione. La tradu
zione corretta è «giunsero-giungcranno a essere», che implica le due cose e con
ferisce maggiore espressività al versetto. La disobbedienza di Adamo ha prodot
to qualcosa del genere: i peccati personali. Anche l’obbedienza di Cristo ha pro
dotto qualcosa di simile: l’obbedienza della fede.35
Il v. 20 aggiunge il tema che verrà sviluppato nel cap. 7. La legge sopraggiun
se per far abbondare la caduta. Il v. 2 1 riassume in un’unica frase il senso di tut
te le comparazioni considerate: laddove è abbondato il peccato, la grazia ha so
vrabbondato.
Vittoria sul peccato e sulla morte (6,1-23). Alla morte, portata da Adamo,
corrisponde la vita eterna, in senso forte, portata da Cristo. Questa prospettiva
dell’aldilà non è esplicita in ogni versetto della lettera, ma in un modo o nell’al
tro emerge in ogni capitolo.36 In Rom. 6 - ne sarebbe la collocazione appropria
ta - appare tre volte (o per meglio dire quattro): parteciperemo alla sua risurre
zione (v. 5C), vivremo con lui (v. 8b), avete come destino la vita eterna (vv.
22d.23c). A quest’idea se ne aggiunge un’altra più originale: la forza della risur
rezione, che traspare dalla nostra vita quotidiana. Una vita nuova (v. 4d), morti
al peccato ma viventi per Dio (v. n b ), come chi passò dalla morte alla vita (v.
i3d; lett. «come vivi tra i morti»). Il capitolo inizia con un’obiezione: se la grazia
abbonda laddove è abbondato il peccato (5,2ob), conviene aspettarla comoda
m ente. Paolo solleva questa obiezione (v. 1 ; cfr. 3,5.7 s.) per darvi subito rispo
sta: ciò vale per coloro che sono nel peccato, non per quelli che «sono morti» a
esso (v. 2).
La sua risposta si svolge in un ragionamento lungo i vv. 1 - 1 1 , con riferimenti
3 5 . C fr. 1 , 5 ; 6 , 1 6 . 1 8 ; 1 6 , 1 9 . 2 6 .
3 6 . C fr . sin o a q u e sto m o m e n t o 1 , 1 6 ; 2 , 7 . 1 6 ; 3 , 6 ; 4 , 1 7 ; 5 , 9 s . i 7 d . 2 i d .
La lettera ai R om ani 249
al mistero di Cristo morto e risorto, fattosi efficacemente presente in noi nel no
stro battesimo. Il battesimo, infatti, ci unisce alla morte di Cristo (v. 3) e alla sua
sepoltura (v. 4), ci «com pianta» insieme con lui, come chicchi di grano (v. 5;
cfr. 1 Cor. 15,36.42-44), e crocifigge con lui il nostro uomo vecchio (v. 6). Inol
tre (= Infatti...) Cristo è Ubero dal peccato (v. 7) ed è morto a esso una volta per
tutte (v. io). Noi siamo dunque morti al peccato e viventi per Dio (v. 11).
Abbiamo ritenuto che sia nel v. 7 sia nel v. io «colui che è morto» si riferisca
direttamente a Cristo, perché di un morto qualsiasi non si può dire che sia libero
dal peccato (v. 7: dedikaiotai); d’altra parte il v. io commenta il versetto prece
dente, che parla chiaramente di Cristo.
Dalla nostra unione con il mistero di Cristo derivano conseguenze espresse
con l’imperativo: non dobbiamo permettere che il peccato regni in noi (v. 12) né
abbandonare a esso le nostre membra (v. 13). Ma c’è anche l’impiego dell’indi
cativo: ciò non accadrà perché non siamo più sotto la legge (che è debolezza),37
ma sotto la grazia (che è potenza).38 L ’obiezione che segue (v. 15) deriva dall’in
dicativo del v. 14 e aiuta a precisarne i limiti. La risposta è in forma metaforica:
un uomo Ubero può offrirsi a un altro come schiavo, e da quel momento diventa
tale (v. 16). Voi siete stati schiavi del peccato (v. 17), ne foste liberati (v. 18), ma
adesso siete tenuti a offrirvi a questa nuova situazione (v. 19). La libertà di pri
ma era falsa (v. 20) e portava alla vergogna e alla morte (v. 21); la libertà nuova
porta alla santificazione e alla vita eterna (v. 22).
Il v. 23, infine, riassume non soltanto l’intero capitolo ma tutto quanto detto
a partire da 5 ,12 (cfr. spec. 5,2.1). Vengono così poste le basi per l’esortazione,
che non avrà inizio prima di 12 ,1 con l’invito a «offrire» (parastenai) i nostri
corpi come sacrificio, proprio come qui venivamo esortati a «offrire» le nostre
membra al servizio di Dio (w. 13.16.19).
Nelle sezioni precedenti, da 5,12 a 6,23, il raffronto costante tra due situazioni
(Adamo e Cristo nel cap. 5; la giustizia - cfr. 6,13.16.18-20 - e il peccato nel cap. 6)
interessava quasi ogni versetto. A partire da questo momento, la contrapposizio
ne si realizza tra due capitoli messi a confronto (il cap. 7 e il cap. 8), che corri
spondono alle due situazioni: se il termine «legge» compare 22 volte nel cap. 7, il
termine «Spirito» figura 21 volte nel cap. 8.
tro la forza superiore del peccato. Proviamo a suddividere il capitolo in tre parti:
proposizione: la lettera e lo Spirito (w. 1-6); la legge non è il peccato (w. 7-12);
impotenza della legge (vv. 13-25).
Proposizione: la lettera e lo Spirito {vv. 1-6). La prima pericope inizia con un
paragone che prende spunto da due principi di diritto civile (quello conosciuto
dai romani: v. 1): la legge è vincolante per le persone vive (v. 1), e la legge sul
matrimonio «lega» solo due persone vive (vv. 2 s.). Il diritto romano non dice
che la persona morta possa sposarsi con un’altra, cosa che afferma invece Paolo
(v. 4). La spiegazione successiva chiarisce l’enigma: nella nostra vita precedente
(definita «nella carne») la legge ci «legava» alle passioni del peccato al fine di pro
durre morte (v. 5; cfr. 6,20 s.), ma questa stessa legge non può legare chi è morto
con Cristo (v. 6a; cfr. vv. 1.4); al suo posto è subentrato lo Spirito (v. 6b), che ci
unirà a Cristo affinché portiamo frutti per Dio (v. 4b; cfr. 6,22 s.).
E espressa con particolare forza l’idea che siamo morti alla legge «mediante il
corpo di Cristo» (v. 4), ossia mediante l’unione con il corpo che morì, fu sepolto
e risorse (cfr. 6,3-5). Spiccano anche le definizioni «novità dello Spirito» e «regi
me vecchio della lettera», le quali racchiudono in sé la contrapposizione tra i due
Testamenti già incontrata in 2 Cor. 3.
La legge non è il peccato (vv. 7-12). Le due pericopi che seguono hanno il
compito di chiarire le tesi esposte. Se fino al v. 4 si parlava di «voi», mentre i w .
5 s. passano al «noi» senza cambiare tema, qui si dirà ripetutamente «io» (vv. 9
s.14.17.24 s.) e in 8,2, secondo la lectio difficilior, «tu». Il tutto, riteniamo, sen
za interrompere il filo argomentativo.
L’idea che la legge ci «lega» al peccato si riduce a sostenere che ce lo fa cono
scere (v. 7b),4i dandogli così vita (v. 8).4
243 Prima esso era come morto, ma con la
legge è ritornato in vita (vv. 9-ioa). E qui ha inizio la discolpa della legge, para
gonata al comandamento di Dio nel paradiso: il peccato ha approfittato di un
comando, dato per la vita, per ingannarmi (cfr. Gen. 3,13) e darmi la morte (vv.
io b-11).44* Ciò equivale a dire che di per sé la legge è santa, giusta e buona (v.
12); soltanto una malizia come quella del serpente è in grado di trarre il male da
essa.
Impotenza della legge (vv. 13-25). La capacità di provocare la morte attraver
so qualcosa di buono dimostra la peculiare malignità del peccato (v. 13 b; cfr. vv.
8.11). Purtroppo però il peccato trova uno splendido alleato dentro di me: la
legge è «spirituale» (v. I4a),4> mentre «io» sono «di carne» (v. i4b),46 dominato
dal peccato (v. 14C).47 E qui si affaccia l’idea che l’ «io» sia d’accordo con la leg
ge (v. i6b) e possa desiderare di compierla, ma non lo fa (vv. 15b.16a.18 s.) per
ché ad agire non sono io ma il peccato (vv. i7-2ob).
A partire dal v. 21 il problema si presenta sotto forma di opposizione tra
«leggi» diverse: il mio «uomo intcriore», ovvero la «mia mente» (per il v. 23 b
«la legge della mia mente»), è dalla parte della legge di Dio (vv. 22.250), ma nel
4 2 . C f r . 1 , 3 2 ; 3 , 2 o b ; 4 , 1 5 ^ 5 , 1 3 ; Gal. 3 , 1 9 .
le mie membra abita un’altra «legge», quella del peccato (vv. 23.25C). Ovviamen
te tutto questo è esposto con l’idea che ci sarà qualcuno in grado di risolvere il
problema (vv. 24.253) e così si prepara la strada alle grandi affermazioni del
cap. 8.
4 8 . C£r. katakrima , « c o n d a n n a » , in 8 , 1 e 5 , 1 6 . 1 8 .
4 9 . C fr. 6 , 9 . 1 4 ; 7 , 1 . 5 0 . C f r . 1 , 4 . 1 6 ; 1 5 , 1 3 . 1 9 ; 1 Cor. 1 5 , 5 6 .
5 1 . C f r . vv. 6 . 1 0 . 3 8 ; 1 , 1 7 ; 6 , 1 0 s . 1 3 ; 2 , 7 ; 4 , 1 7 ; 5 , 1 0 . 1 7 s . 2 1 ; 6 , 4 . 2 2 s.; 7 , 1 0 .
5 8 . C f r . 1 3 , 1 4 ; G a i 5 , 1 6 s.
252, L e g ra n d i le tte re
cita di adempierne la legge e di essergli graditi (w. 6a..y s.; cfr. 7,14-25). Rove
sciando temi già affrontati, Paolo afferma che loro non sono sotto il dominio
della carne,59 perché lo Spirito di Dio abita in loro (w. 9-ioa).60*Di questo Spiri
to è detto che è «di Dio» (vv. 9b.ua) e di Cristo (v. 90); per mezzo suo Cristo
sarà in noi (v. ioa), il nostro corpo morirà al peccato (v. iob),él il nostro spirito
sarà «vita per la giustizia» (v. ioc)bl e Dio ci risusciterà (v. 11).63
Figli di Dio (vv. 12-17). Dopo una prima pausa viene nuovamente formulata
la quaestio iuris: «non dobbiamo nulla» alla carne (v. 12), perché siamo morti
(6,2.8; 7,4) e su di noi non incombe nessuna condanna (8,1). Segue una formu
lazione estrema riguardante la rinuncia al male: «far morire» le opere del cor
po64 per «vivere» (v. t 3; solo in 7 ,1 1 si era parlato di «dare la morte»). Riallac
ciandosi poi ai grandi temi della lettera ai Galati, Paolo si stacca dal semplice
superamento del male: lasciandoci condurre dallo Spirito (v. I4a)65 saremo figli di
Dio (v. I4b)66 e non schiavi (v. T5ab).67 Grazie a questo Spirito gridiamo «Abbà,
Padre» (v. 15C),68 sostenuti dalla sua testimonianza (v. 16); saremo eredi di Dio
insieme a Cristo (v. i7ab),69 nella passione e nella gloria (v. 17C).70
Salvati dalla speranza (vv. 18-25). H tema delle «sofferenze», dopo un’altra
pausa (v. 18), corrisponde a quello della tribolazione in 5 , 3 - 5 . Qui non si dice
che ce ne vantiamo, tuttavia sono viste nel loro aspetto positivo e messe in rela
zione con l’attesa della gloria futura (v. 18).71 Il paragone con le doglie del parto
di cui soffre l’universo intero (vv. 19-22) intende mostrare la «creazione nuova»
come frutto di un tremendo cataclisma:71 il dolore non fa altro che annunciare
l’arrivo del grande momento. Per noi, l’importante è non dubitare del possesso
delle primizie dello Spirito (v. 2^2),73 nell’attesa dell’adozione definitiva a figli (v.
23d).74 La perseveranza e la speranza in ciò che non si vede (vv. 24 s.)75 sono ele
menti essenziali della salvezza.
Sostenuti dal Padre (w. 26-30). Secondo il v. 23C, stiamo ancora aspettando
l’adozione a figli, ossia procediamo alla cieca non solo attraverso le tribolazioni
esterne, ma anche per quanto riguarda il nostro essere intelligibile. Ciò rende più
che mai necessario che lo Spirito mantenga vivo il nostro legame con il Padre: lo
Spirito prega dentro di noi con una profondità («sospiri») e una competenza («ine
sprimibili») di cui noi non saremmo mai capaci (vv. 26 s.).
La nostra sicurezza, tuttavia, va anche oltre ciò che lo Spirito ci consente di
percepire: è la certezza che Dio non abbandonerà il suo disegno di condurre ogni
cosa al bene (v. 28), rendendoci conformi all’immagine del suo Figlio (v. 29); ha
già compiuto molti passi (elezione, chiamata, giustificazione) e certamente farà
anche quelli che mancano per completarlo del tutto (v. 30).76
5 9 . C fr . 7 , 4 . 6 0 . C f r . oikein in 7 , 1 8 . 2 0 . 6 t. C f r . 6 , i o s.
6 2 . C fr . dikaiosyne in 6 , 1 3 . 1 6 - 1 8 . 2 0 . 6 3 . C fr. 6 ,5 .8 . 6 4 . C fr . 6 , 6 ; 7 , 2 4 .
6 5 . C fr . Gal. 5 , 1 8 . 6 6 . C f r . vv. 1 9 . 2 9 ; Gal. 3 , 2 6 ; 4 , 6 . 6 7 . C fr . Gal. 4 , 1 - 5 .
6 8 . C fr . Gal. 4 , 6 . 6 9 . C f r . Gal. 3 , 1 8 . 2 9 ; 4 , 1 . 7 .
7 0 . C fr . 6 , 4 - 6 . 8 ; Gal. 2 , 1 9 ; 2 C o r . 1 , 5 ; 4 , 1 0 - 1 2 . 7 1 . C f r . 5 , 2 ; 6 ,4 ; 2 C o r . 4 , 1 6 - 1 8 .
7 2 . C fr . 1 C o r . 1 5 , 2 5 - 2 7 ; 2 C o r . 5 , 1 7 . 1 9 ; Gal. 6 , 1 5 . 7 3 . C f r . 2 Cor. 1 , 2 2 ; 5 , 5 .
7 4 . C fr . 1 Cor. 1 5 , 4 4 .
7 5 . C fr . elpis al v. 2 0 e in 5 , 2 . 4 s.; hypomone in 2 , 7 ; 5 , 3 s.; 1 5 , 4 s. 7 6 . C fr. 5 , 9 - 1 1 .
L a .l e t t e r a a i .R o m a n i 253
Perorazione conclusiva (vv. 31-39). Elevando il tono retorico (vv. 31-39) Pao
lo riassume i fondamenti della nostra speranza: l’amore del Padre (vv. 310-32),77
la giustificazione (vv. 3313-343),78 la morte di Cristo (v. 34I3);79 i sette agenti sto
rici, primo tra tutti la tribolazione (w. 35 s.),8° saranno sconfìtti (v. 37); i dieci
agenti cosmici, a partire dalla morte {vv. 3 8-393),81 non potranno separarci dal
l’amore di Dio (v. 39bc; cfr. 5,5).
Possiamo ora passare a una descrizione più approfondita del filo argomentativo,
a) Esordio (9 ,1-5)
L ’esordio pone in risalto la sincerità di Paolo (v. t ) e la sua profonda tristezza (v.
2) per l’ «anatema» del popolo giudaico (v: 3), malgrado le sue nove prerogative
salvifiche (w. 4 s.): l’adozione a figli8z e la gloria (v. 4ab),8j i testamenti*4 e la le
7 7 . C fr. 5 ,8 . 7 8 . C f r . v. 3 o b ; 5 , 1 . 9 . 7 9 . C fr. 5 , 6 . 8 b .i o .
8 0 . C f r . 5 , 3 ; 2 Cor. 4 , 8 - 1 0 ; 6 , 8 - 1 0 . 8 1 . C f r . vv. 1 8 - 1 2 ; 5 , 1 2 - 1 4 .
8 2 . C f r . v. 8; 8 , 1 5 . 2 3 ; Gal. 4 , 5 . 8 3 . C fr . v . 2 3 ; 2 , 7 . 1 0 ; 3 , 2 3 ; 8 , 1 8 . 2 1 .
254 Le grandi lettere
gislazione (v. 4cd),85 il culto86 e le promesse {v. 4de),87 i patriarchi (v. 5a)88 e, in
qualche modo, Cristo (v. 5 b).89 Delle prime otto è detto che appartengono «a lo
ro» (hon); di Cristo si dice soltanto che «procede da essi» {ex hon) secondo la
carne. Una lettura sintattica ovvia applicherebbe a Cristo la frase «Dio benedet
to nei secoli», ma non mancano le ipotesi per chi volesse cercare una soluzione
diversa.90
Paolo si colloca qui nella prospettiva delle decisioni divine, benché, quando nega
tive, abbiano assai in comune con gli errori umani (w. 22.32). L ’espediente lette
rario per proseguire con l’argomentazione è fornito dalle obiezioni sollevate dal
«tu» di un interlocutore giudaico (vv. 14.19.30),91 che ben difficilmente può rap
presentare i destinatari reali della lettera.
Dio non è ingiusto (9,14-18). Alla prima obiezione relativa a un’eventuale in
giustizia in Dio (9,14) Paolo ribatte che Dio può dispensare doni non dovuti,
come nel caso di Mosè verso il quale usò particolare misericordia (vv. 15 s.i8a.
23 ),97 ma può anche trarre profitto dagli errori umani, come nel caso del faraone
che Dio induri (vv. ry.i8b). Attraverso il suo indurimento Dio ha potuto mo
strare la sua potenza e far conoscere il suo nome su tutta la terra. Tuttavia, se
condo la visione di Paolo (cfr. v. 22) Dio non fece ciò prima di aver usato grande
pazienza con lui.
8 4 . C f r . 1 1 , 2 7 ; Gal. 3 , 1 5 . 1 7 ; 4 , 2 4 ; 2 C o r . 3 , 6 . 1 4 . 8 5 . C fr. 2 , 1 7 - 2 0 .
8 6 . C f r . 1 2 , 1 ; cfr. 1 Cor. 1 0 , 1 8 . 8 7 . C fr . vv . 8 s.; 4 , 1 3 s . 1 6 . 2 0 ; 1 5 , 8 .
88 . C fr. v. i o ; 4 , 1 . 1 1 s . 1 6 - 1 8 ; 1 5 , 8 . 8 9 . C fr . 1 , 3 ; Gal. 3 , 1 6 ; 4 , 4 ; 2 Tim. 2 , 8 ; Ebr. 2 , 1 6 .
9 0 . F a v o r e v o l e M . J . H a r r i s , Jesus as G o d , G r a n d R a p i d s , M i c h . 1 9 9 2 , 1 4 3 - 1 7 2 ; c o n tr a r io M e t z -
ger, Textual , 5 2 0 - 5 2 3 . 9 1 . C f r . 2 , 1 7 ; si veda a n c h e l ’ « io » in 3 , 7 e il « n o i» di 3 , 5 . 9 .
9 2 . C f r . Gal. 3 , 1 4 . 1 6 - 1 8 . 2 1 s . 2 9 ; 4 , 2 3 . 2 8 . 9 3 . C fr. 8 , 3 3 ; 1 1 , 5 . 7 . 2 8 .
9 4 . C fr. 8 ,2 8 . 9 5 . C f r . w . 2 4 - 2 6 ; 1 , 1 6 s.; 8 , 3 0 ; 1 1 , 2 9 .
9 6 . C f r . v . 3 2 ; 3 , 2 0 . 2 7 s.j 4 , 2 . 6 ; 1 1 , 6 . 9 7 . C fr. 1 1 , 3 1 ; 1 5 , 9 .
L a le tte ra ai R o m a n i 255
vasaio che fabbrica vari tipi di vasi (v. 2,1)98 ci prepara a vedere Dio mentre at
tribuisce varie funzioni, senza andare in collera con la sua argilla e senza plasma
re oggetti per il gusto di distruggerli. Nel nostro caso si afferma che in alcuni va
si ha manifestato una collera ampiamente meritata, come nel faraone (v. 2.2.),"
mentre in altri ha rivelato la ricchezza della sua gloria, come in Mosè (v. 23).100
Nell’applicazione concreta non si conclude che i gentili sono Mosè e i giudei il
faraone, ma che tra coloro che hanno trovato grazia sono stati inclusi anche dei
gentili (v. 24),IO' i quali in adempimento della Scrittura costituiscono il popo
lo102 amato103 dei figli di Dio (vv. 25 s.).104
Tuttavia ciò non comporta la condanna di Israele (v. 2ya: hyper significa «in
favore di»): la parola di Dio si compirà (vv. zjb -z8; con il verbo synteleo viene
annunziata la nuova alleanza in Ger. 3 1 ,3 1 ; cfr. Ebr. 8,8) e questa parola inclu
de la salvezza di un resto (v. 25?).
E stato Israele a sbagliare (9,30-33). Dopo una breve pausa, che non è una
vera e propria obiezione (9,30), si spiega perché i gentili hanno conseguito ciò
che Israele voleva raggiungere: senza cercarla, hanno trovato la giustizia dalla fe
de (v. 30).105 Israele invece, che ricercava la legge, non ha raggiunto nemmeno que-
st’ultima (v. 3 1),106 perché ha scelto di mettere come fondamento le opere e non
la fede (v. 32a).,c>7 Perciò Cristo è diventato per loro la pietra d’inciampo (vv. 32b.
33ab; 1 Cor. 3,10 s.; 10,4).
In un certo senso Paolo ha detto tutto quello che doveva dire, anche se pochi lo
avranno compreso. Perciò ricomincia da capo, esprimendo il proprio profondo
coinvolgimento (v. 1), riconoscendo i meriti dei suoi avversari giudei (v. 2) e pre
sentando, sotto forma di proposizione, la sua tesi di fondo: il loro errore consiste
nel volersi costruire una giustizia propria (v. 3b; idian),loS negando che la giusti
zia di Dio si apra a chiunque crede (vv. 3ac.4b)109 e Cristo sia il «punto d’arri
vo» (telos) della legge (v. 4).110
d) Argomentazione ( 1 0 , 5 - 1 1 ,1 2 )
1 0 3 . C fr , v . 1 3 ; 1 , 7 ; 5 , 5 . 8 ; 8 , 3 5 . 3 7 . 3 9 . 1 0 4 . C f r . v . 8; 8 , 1 4 . 1 6 s . 1 9 . 2 9 .
1 0 5 . C fr. 4 , 1 1 , 1 3 ; 5 , 1 7 . 1 1 . 1 0 6 . C f r . 7 , 1 4 - 2 5 ; 1 0 , 5 - 7 ; Gal. 3 , 1 0 . 1 9 . 2 2 s.
1 0 7 . C fr . 4 , 3 s . 1 6 . 1 0 8 . C f r . FU. 3 , 9 : emen. 1 0 9 . C f r . 1 , 1 6 s.; 3 , 5 . 2 1 - 2 6 .
n o . C o m e in 9 , 3 1 a v e v a d etto ch e n o n a v e v a n o ra g g iu n to la legge; cfr. 3 , 2 i b ; Gal. 3 , 2 2 . 2 4 .
z$6 L e g ra n d i le tte re
Aperto a tutto il mondo (10,14-21). All’obiezione che la salvezza non può di
pendere da qualcosa che nessuno conosce (10,14), Paolo ribatte dichiarando che
la Scrittura parlava già di una predicazione splendida (v. 15 ) e alludeva anche al
l’incredulità di molti (vv. 1 6 s.), malgrado l’universalità dell’annunzio (v. 18) che
certamente non aveva dimenticato Israele (vv. 19-21).
Nel caso di Israele, tuttavia, si è verificata una circostanza eccezionale: Dio ha
voluto suscitare la gelosia dei gelosi (v. i9b),113 facendosi trovare - come si az
zarda a dire Isaia - proprio da coloro che non lo cercavano (v. 20; cfr. 9,30);
ciononostante non ha mai smesso di tendere la mano verso i ribelli (v. 21). -
Ma gli altri possono tornare sui propri passi ( 1 1 ,1 1 s.). La risposta giusta al
l’interrogativo posto al v. n a sarebbe affermare che non inciamparono per ca
dere; tuttavia tale risposta, corredata da testi tratti dalla Scrittura, comparirà so
lo nei w . 25-32. Prima Paolo vuole preparare l’uditorio con un esempio applica
to alla comunità romana. Per il momento fornisce i principi generali: Dio saprà
trarre il bene dal bene, se è stato in grado di trarlo dal male (vv. n b -12 ), visto
che la «caduta» dei giudei è stata ricchezza per il mondo e salvezza per i gentili
(vv. n b -i2 a ).121
i n . C f r . 1 , 3 s.; 4 , 1 7 . 2 4 s. 1 1 2 . C f r . 3 , 2 2 . 2 9 s. 1 1 3 . C fr . v. z; 9 , 2 3 s.; 1 1 , 1 1 0 . 1 4 .
1 1 4 . C fr. 8 , 2 8 - 3 0 . 1 1 5 . C fr. 9 ,4. 1 1 6 . C fr. 4 , 1 6 ; 2 C or. 1 1 , 2 2 .
1 1 7 . C f r . FU. 3 , 5 . 1 1 8 . C fr. 9 , 2 7 - 2 9 . 1 1 9 . C f r . 3 , 2 4 ; 4 , 4 . 1 6 ; 5 , 2 . 1 5 . 1 7 . 2 0 s.
1 2 0 . C f r . 1 , 1 8 . 2 4 . 2 6 . 2 8 ; 9 ,2 2 ,; 1 0 , 1 9 . 1 2 1 . C f r . v v . 1 9 s . 2 5 . 3 1 s.; 3 j 5 a . 7 a . 8 b ; 5 , 2 0 ; 9 , 1 7 .
e) Applicazione ( 1 1 , 1 3 - 2 4 )
f) Perorazione ( 1 1 ,2 5 - 3 6 )
essi si sono ribellati134 a motivo della misericordia usata verso di voi (v. 3ia), ma
alla fine anch’essi otterranno misericordia (v. 3ib) e si chiuderà il cerchio che uni
sce misteriosamente disobbedienza e misericordia (v. 32). Salvando i gentili, dun
que, Dio ha operato in favore di Israele perché percepisse con maggior intensità
la sua misericordia (w . 25-32). Come in un gran finale, Paolo aggiunge una lun
ga esclamazione in stile liturgico sulla sapienza imperscrutabile di Dio (w. 3 3
35), per concludere con una dossologia generale (v. 36).
5. Discorso esortativo ( 1 2 , 1 - 1 5 , 1 3 )
L’ultima parte spiega come dev’essere in pratica la vita del cristiano. Vi sono col
legamenti di fondo con i capp. 5-8, che spesso sfumavano nell’esortazione,135 ma
anche con gli elementi parenetici dei capp. p -n , come l’esortazione all’umiltà e
alla bontà verso gli altri (11,18.20.22). Senza precise linee di demarcazione, nei
capp. 12 s. vi è un cambio continuo di tematiche favorito dalla brevità delle frasi
(specialmente 12,7-21). Invece il tema che ha inizio in 14 ,1 sulla liceità o meno
di mangiare carne si estende almeno sino a 15 ,7 ,136 e non è difficile vederlo pro
seguire fino a 15 ,12 .
Il carattere di conclusione agevolmente attribuibile a 1 3 ,1 1 - 1 4 sarà di aiuto
nel dividere ciò che precede e segue in due piccoli discorsi: il primo di carattere
generale, con l’intento di toccare parecchi temi (12 ,1-13,14 ), il secondo incentra
to sul tema della carne che è lecito mangiare (14 ,1-15,13 ).
a) Esortazione generale (12 ,1-13,14 )
Esordio (12 ,1 s.)
Argomentazione: un nuovo mondo di relazioni (12,3-13,7)
La chiesa (12,3-8)
Diffusori del bene (12,9-21)
L ’autorità civile (13,1-7)
Ampliamento: la legge dell’amore (13,8-10)
Perorazione: prospettiva escatologica (13 ,11-14 )
b) Un problema a Roma (14 ,1-15,13 )
Accogliere il debole (14,1-12)
Non scandalizzarlo (14,13-23)
A imitazione di Cristo (15,1-6)
Per rispetto al popolo giudaico (15,7-13).
a) Esortazione generale ( 1 2 , 1 - 1 3 , 1 4 )
Ci sia consentito parlare di un certo recupero della legge nel resto della lettera. An
che la lettera ai Galati, a partire da 5,13, esortava a compiere «tutta la legge»,
riepilogata nel precetto dell’amore per il prossimo (v. 14), e poi a compiere la
«legge di Cristo» che, tra l’altro, invita a portare gli uni i pesi degli altri (6,2). La
1 3 4 . C fr. 2 ,8 ; 1 0 , 2 1 ; 1 5 , 3 1 .
1 3 5 . C f r . 6 , 1 2 s . 1 9 ; 8 , 1 2 s. 1 3 6 . C fr . proslambanein in e n tr a m b i i testi.
L a le tte ra a i R o m a n i 259
lettera ai Romani non è meno critica nei confronti della legge, ma nel momento
della verità invita anch’essa a compiere quanto nella legge è irrinunciabile.
Esordio (12,1 s.). Sotto il profilo terminologico, questo esordio si ricollega (co
me vedremo) al resto della lettera ma non ai suoi temi più celebri («giustificazio
ne», «fede», «legge», «opere»). In fondo invita i cristiani, in quanto vero Israele,
a corrispondere alla grazia di Dio.137 Non sono dunque una novità le espressioni
«offrire i vostri corpi» (v. ic),138 «culto spirituale» (v. id),139 «volontà di Dio»
(v. 2C),140 «buono» (v. 2d),HI «gradito a Dio» (v. 2e),142 «perfetto» (v. zd).143 Co
munque questa prospettiva è superata dall’idea di «rinnovamento» (dietro la quale
vi è l’idea di «creazione nuova» di 2 Cor. 5 ,17 e G ai 6,15) e di superamento del
«mondo presente» (v. 2ab).144
152. Cfr. tblipsis in 5,3; 8,35; bypom one in 2,7; 5,3 s.; 8,25.
153. Cfr. 8,26. 154. Cfr. j Pt. 2,17; Mt. 21,21 par. 155. Cfr. v. ioa.
156. Cfr. Mt. 5,43; 19,19; 22,39. 1 5 7 - Cfr. 8,4; Gal. 5,14.
158. Cfr. 1 Cor. 7,29; 2. Cor. 6, 2; Gal. 6,9. 159. Cfr. Gal. 3,27.
160. Cfr. epithymia in 1,24; 6,12; 7,7 s.; 1 Tess. 4,5; sarx spec. in 7,5.18.25; 8,3-9.12 s.; en
trambi insieme in Gal. 5,16.24.
b) Un problema a Roma ( 14 ,1-15 ,13 )
8a; cfr. 11,13 s-)> e questo non per misericordia ma per la «verità» di Dio (v. 8b;
cfr. 3,7), non per compiere ma per «confermare» le promesse fatte ai padri (v.
8c; cfr. 9,4 s.).
Il ministero di Paolo (vv. 14-21). Le spiegazioni sui motivi che lo hanno spinto a
scrivere hanno chiare corrispondenze nel prologo della lettera: elogio dei credenti
di Roma (v. 14; cfr. 1,8.12), il suo dovere di giungere a essi (v. 15 a; cfr. 1,6 s.14
s.), la missione che gli è stata affidata (vv. i5b-2i; cfr. 1,1.5).
Si dilunga su quest’ultimo punto definendo la sua «grazia» (v. i5b; cfr. 12,
3.6) una funzione sacerdotale (in 1,9 aveva usato latreuo) che santifica anticipa
tamente l’offerta dei gentili (v. 16 ; cfr. 12 ,1) , come un «vanto» (kauchesis; cfr.
5,2 s.n) il cui fondamento è in ciò che Cristo ha operato nella conversione dei
gentili (vv. 17 s.; cfr. 1,5) e si concretizza in segni, prodigi e potenza dello Spirito
(v. i9ab)lél lungo tutto il Mediterraneo (v. 19C; cfr. 1,14 ), laddove lui, Paolo, ha
gettato le fondamenta (vv. 20 s.).
Progetti di viaggio (w. 22-29). Nella parte narrativa Paolo passa continua
mente dal passato al presente e al futuro; afferma che i «fondamenti» sono stati
posti nella regione dell’Egeo (v. 233; cfr. 2 Cor. 10,15 s.) e che può apporre al
l’opera un degno «sigillo» recandosi in visita a Gerusalemme (v. 28b, sphragisa-
menos). Questa visita, accompagnata da una cospicua colletta, rappresenterà un
grande servizio per «i santi» (cfr. 12,13) e una specie di «paga» per ciò che han-
1 6 1 . Cfr. 1 , 4 . 1 6 ; 9 , 1 7 ; 1 5 , 1 3 -
L a lettera ai R o m a n i 2 .6 3
no ricevuto da essi (vv. 25-27). Immediatamente dopo potrà realizzare l’antico de
siderio {cfr. 1,11.13) ^ passare da Roma (vv. 28b; cfr. v. 24), ove.giungerà cari
co di benedizioni da Gerusalemme (v. 29; cfr. vv. 22.24.28 s.). Lì i romani lo aiu
teranno a preparare il viaggio in Spagna (vv. 24.28).
Saluti a determinati destinatari (vv. 3-16). Tra tutti i saluti, spiccano quelli ri
volti a Prisca e Aquila (w. 3-53), nonché ad Andronico e Giunia (v. 7). I primi
hanno collaborato moltissimo con l’apostolo165 e continuano a riunire una chie
sa nella loro casa (v. 5a). I secondi potrebbero far parte di quei «più di cinque
cento» che videro Gesù molto tempo prima di Paolo {1 Cor. 15,6). Degli altri,
osserviamo che di molte donne (vv. 6.12) è detto che «hanno faticato» (ekopia-
san) nel Signore, espressione di solito applicata all’operato apostolico. Alcuni
gruppi sono semplicemente nominati (vv. 10b.11b.14 s.) o di essi si dice soltanto
che sono cristiani. Potrebbe trattarsi delle varie «chiese domestiche» che costi
tuivano la comunità di Roma.
Alla fine dei saluti particolari giunge l’invito a salutarsi vicendevolmente (v.
i6a)166 e il saluto di tutte le chiese di Cristo (v. i6b).T6?
La quarta benedizione «finale» (v. 20; cfr. 15,5 s.13.33) torna per la nona vol
ta sul tema della pace.170
Saluti da parte di altre persone (w. 21-23). Salutando a nome di altri che so
no insieme a lui (vv. 21-23), Paolo ripete elogi fatti a persone citate prima. Invia
no saluti Timoteo, il «collaboratore» (v. 2ia; cfr. w. 3.92), tre «della mia razza»
(v. 2ib; cfr. w. 7b.na), colui che scrisse la lettera {v. 22), Gaio, che ospita Pao
lo e tutta la comunità (v. 23a; cfr. vv. 1 s.), Erasto, amministratore della città (v.
23b), e infine Quarto, il fratello (v. 23C; cfr. vv. 1.14). Con ciò la lettera si con
cluderebbe nel modo più prosaico che si possa immaginare.
Dossologia finale (vv. 25-27). Nella sua attuale redazione, invece, la lettera ter
mina menzionando una serie di temi già affrontati nel testo, benché non sempre
con lo stesso significato: a) fortificare (v. 25a; cfr. 1,11); b) il mio vangelo (v.
25b);I?I c) il kerygma di Gesù Cristo (v. z<yb);L71 d) la rivelazione (v. zjb);173 e) il
mistero (v. 25b);174 f) taciuto per tempi eterni (chronois aioniois sesigemenou: v.
25b);175 g) rivelato (v. 26'a);176 h) ora (v. 2é>a);177 i) per mezzo delle scritture profe
tiche (v. 2éa; cfr. 1,2); /) secondo il comando del Dio eterno (v. zéb);178 ni) fat
to conoscere (v. 26'c);179 n) a tutte le genti per l’obbedienza della fede (v. 2.6b);l8°
o) Dio, Punico sapiente (v. 27a;cfr. 11,33);^) per mezzo di Gesù Cristo (v. 27b);l8r
q) la gloria nei secoli (v. 270).182
Si tratta proprio di un ottimo lavoro, probabilmente opera di un discepolo as
sai capace, soprattutto se si considera che Paolo non era solito comporre riepilo
ghi tanto completi al termine delle sue lettere.
III. Q U ESTIO N I A P E R T E
Benché il fatto che la lettera consti di uno oppure due nuclei rimanga
discutibile, tutti gli esperti convengono nello scoprirvi tra le parti un
piano e un coordinamento tali da non eguagliare nessun altro scritto
paolino. Ecco perché, almeno per quanto riguarda i primi tredici capito
li, essi sono stati considerati come un blocco intoccabile da parte di pra
ticamente tutti gli scrittori antichi e i critici moderni.183 La discussione
diventa più vivace a proposito della conclusione della lettera e le propo
ste vanno dalla «soppressione» (o «attribuzione ad altro autore») dei tre
versetti conclusivi (16,25-27) a quella degli ultimi tre capitoli (14-16).
La seconda opzione è stata «avanzata» da F.Ch. Baur per ragioni di
contenuto.184 L ’autore era riuscito a interpretare la lettera come un at
tacco in piena regola di Paolo contro la «roccaforte» dei «petrini» a
Roma,185 ma si accorge che gli ultimi tre capitoli non si prestano a que
sta sua interpretazione: danno infatti l’impressione che i «forti» (o «pao-
lini») siano più numerosi dei «deboli» (0 «petrini») e vi si dicono cose
«scandalose» sulla posizione rispettivamente di giudei e gentili davanti a
Dio (spec. 15,8-10). I tre capitoli sarebbero un’aggiunta «protocattoli
ca», un’opera redatta nel momento in cui si volle cercare una sintesi tra
«petrinismo» e «paolinismo» (sulla scia di Luca e di molte delle lettere
che portano il nome di Paolo).
Nella tradizione manoscritta, tuttavia, mancano le basi per quest’af
fermazione e non sono molti coloro che su questo punto hanno seguito
183. Come caso veramente eccezionale citiamo W. Simonis, D er gefangene Paulus: Die Ent-
stehung des sogenannten Ròm erbriefs und anderer urcbristlicher Schriften in R om , Frankfurt
1990.
184. Baur, Paulus , 398. Affermata l’impossibilità di ipotizzare che la lettera sia stata indirizza
ta ad amici - «sembra possa essere fuori discussione che l’apostolo abbia scritto ai romani
come a una comunità amica, ma piuttosto la fa scrivere loro in quanto suoi avversari» -, dà
ragione a quanti dubitano dell’autenticità del cap. 15; sulla lettera cfr. pp. 332-416.
185. Sebbene altrove neghi che Pietro sia mai stato a Roma (Sogenannten , 71), in Paulus7
223-225 rifiuta la testimonianza di Clemente (1 Clem. 5,6 s.) perché raffigura i due apostoli
troppo amici tra di loro: «non ostili l’uno all’altro, ma fraternamente insieme».
266 L e g ra n d i lettere
t86. Cfr. Metzger, Textual, 476 s.; K.P. Donfried, A Short N ote on Romans 16 : JBL 89
(1970) 441 449; J.I.H. McDonald, Was Rom ans X V I a Separate Letter?: NTS 16 (1970) 369
372; anche Vidal ritiene che Rom . 16,1-27 costituisca una lettera indirizzata alla comunità di
Efeso, Cartas , 359-367.
L a lettera ai R o m a n i 2 .6 7
1 9 1 . S ta n d o ai due testi di S v e to n io .
270 L e g ra n d i lettere
occupando il posto lasciato libero dai giudei non credenti. A nostro av
viso la lettera sa guidare la riflessione in modo tale da portare esatta
mente a queste conclusioni.191
Tornando all’esposizione proposta alFinizio di questo capitolo, direm
mo che l’apostolo esorta il lettore presente polemizzando con un avver
sario assente: il «tu» delPinterlocutore giudaico di 2,17-24 . Fin dal prin
cipio gli attacchi ai giudei (2 ,1-5 .17-2 3; 3,9-20) sono più violenti di quelli
contro i pagani (1,2 1-3 1), ma in fondo si afferma semplicemente che an-
cb’essi sono peccatori; la questione è verificare se lo sono nella stessa mi
sura. In molti passi l’argomentazione di Paolo smonta (o sembra smon
tare) i privilegi giudaici, provocando la replica indignata di un inter
locutore giudaico immaginario (3,1.9 .2 7 .31; 4,r; 6 ,1.15 ; 7,7; 9,19; 1 1 ,1 .
11). Molte volte, però, questi interventi meritano risposte che riportano
l’equilibrio, proprio quelle che l’apostolo stava cercando. Unendo do
mande e risposte e utilizzando i testi della lettera si potrebbe comporre
il dialogo seguente:
g iu d eo Qual è dunque il vantaggio di essere giudeo e quale l’utilità della circon
cisione? (3,1).
pa o lo Molti, sotto tutti gli aspetti. Prima di tutto perché a loro sono state af
fidate le parole di Dio (v. 2).
g iu d eo Che dunque? Noi abbiamo qualche superiorità? (v. 9).
pao lo Nient’affatto! Abbiamo già dimostrato, del resto, che sia i giudei sia i
greci, tutti sono sotto il peccato (ibid.).
g iu d eo Togliamo dunque valore alla legge per mezzo della fede? (v. 31).
pao lo Nient3affatto! Anzi, confermiamo la legge {ibid.).
g iu d eo Che diremo dunque? Che la legge è peccato? (7,7).
pao lo N o certamente! Però io non avrei conosciuto il peccato se non fosse
stato per la legge {ibid.).
g iu d eo Dio ha forse ripudiato il suo popolo? (11,1).
pa o lo Nient3affatto! Poiché anch’io sono israelita, della discendenza di Àbra
mo, della tribù di Beniamino. Dio non ha ripudiato il popolo che aveva scelto
(w. 1 s.).
g iu d eo Hanno inciampato per cadere? (v. 11).
pao lo Nient3affatto! Ma la loro caduta è salvezza dei gentili per suscitare la
loro gelosia. Poiché se la loro caduta è stata ricchezza per il mondo e il loro falli
mento ricchezza delle nazioni, quanto più la loro pienezza (v. 11 s.).
Fin dall’inizio della lettera l’apostolo aveva sostenuto che il vangelo è
«forza di salvezza prima per il giudeo e anche per il gentile» (1,16), che
«Cristo è stato ministro della circoncisione per la fedeltà di Dio, per
confermare le promesse fatte ai padri; i gentili, invece, glorificano Dio
per misericordia» (15,8 s.). In altre parole, rammenta ai gentili che se,
192,. Cfr. S.K, Stowers, The Diatribae and PauVs Letter to thè Rotnans , Chico, Cai. 1986.
L a le tte ra a i R o m a n i ..... 2 7 1
convinti di essere loro adesso gli eletti, disprezzano i giudei {cfr. 11,19 ),
a maggior ragione saranno ripudiati (w. 22-24). Ed è proprio il mes
saggio che la maggioranza gentile della comunità di Roma aveva biso
gno di sentire.
Paolo aveva quindi imparato qualcosa dagli oratori greci e romani:
l’arte di guidare il pubblico ad accogliere, senza rendersene conto, le pre
messe della posizione che, presentata direttamente, sarebbe stata rifiu
tata.
Bibliografia
Nel xx secolo il numero di commenti piuttosto estesi alla lettera ai Romani è ve
ramente elevato. In genere si tratta di opere della maturità, come se ogni singolo
autore si fosse preparato per tutta la vita a produrre un tale frutto. Continuiamo
a preferire quello di Lagrange (citato) come maestro di esegesi, benché in alcune
parti (assai poche in verità!) ne sia avvertibile la matrice cattolica. Accanto a que
sto metteremmo il commento di U. Wilckens, Der Briefan die Ròmer, 3 voli., Zù-
rich-Neukirchen/Vluyn 1978-82. L’autore è un protestante, aperto e molto ben do- '
cumentato. Abbiamo citato il commento di K. Barth (ed. or. 1919) come riferimen
to storico, ma è un’opera non particolarmente utile ai fini di un’esegesi analitica.
Sono letti universalmente con grande rispetto i commenti cattolici di O. Kuss,
La lettera ai Romani, Brescia 1962-1981, incompiuto; H. Schlier, La lettera ai
Romani, Brescia 1982; R. Pesch, Ròmerbrief, Wùrzburg 1985; D. Zeller, Der
Brief an die Ròmer, Regensburg 1985; J.A. Fitzmyer, Lettera ai Romani. Com
mentario critico-teologico, Casale Monf. 1999. Tra i tedeschi protestanti O. Mi
chel, Der Brief an die Ròmer, Gòttingen 5i978, rappresenta il partito moderato,
mentre E. Kàsemann, An die Ròmer, Tubingen 1973, e O. Haenchen, Der Brief
an die Ròmer, Gòttingen 1978, si collocano su una linea più «avanzata» (benché
possano considerarsi opere della maturità rispetto ad altre opere dei medesimi au
tori). I lavori di C.K. Barrett, A Commentary on thè Epistle to thè Romans, London
- New York 2i99i; C.E.B. Cranfield, A Criticai and Exegetical Commentary on
thè Epistle to thè Romans, 2 voli., Edinburgh 1975. 1979 (commento assai com
pleto) e J.D.G. Dunn, Romans, 2 voli., Dallas 1988 fanno onore alla tradiziona
le perspicacia e moderazione anglosassone.
Tra i commenti disponibili anche in lingua italiana sono significativi P. Althaus,
La Lettera ai Romani, Brescia 1970; K. Kertelge, Lettera ai Romani, Roma
2i985; W. Schmithals, Paolo. Lettera ai Romani, Torino 1990. Recente è l’este
so commento di A. Pitta, Lettera ai Romani, Cinisello Bals. 2001.
Come per le lettere già esaminate, i volumi del Colloquio Paolino presentano
una sorta di commento «polifonico» alla lettera. Vi troviamo Foi et salut selon
Saint Paul, Roma 1970; L. De Lorenzi, Battesimo e Giustizia in Rom 6 e 8, Ro
ma 1974; Idem, The Law of thè Spirit in Rom 7 and 8, Roma 1976; Idem, Die
Israelfrage nach Rom 9-1 1, Roma 1977; Idem, Dtmensions de la vie chrétienne
(Rom 12-13), Roma 1979; Idem, Freedom and Love (1 Cor 8-10; Rom 14-15),
Roma 1981.
2.72. Le grandi lettere
Qualcosa di ciò che è stato scritto a proposito di punti specifici della lettera
sarà citato nel capitolo successivo. Proponiamo qui - come tema che può essere
ulteriormente approfondito - qualche lavoro sull’intento e/o la struttura della let
tera: L.A. Jervis, The Purpose of Romans. A Comparative Letter Structure Invest
igatane Sheffield 1991; P.S. Minear, The Obedience of Faith: The Purposes of
Paul in thè Epistle to thè Romans, Naperville 1971; B. Rossi, La struttura lette
raria di Romani: SBFLA 38 {1988) 59-133.
Capitolo xi
3. Da vari versanti si nota un cambiamento in Paolo dopo la prima lettera ai Corinti; cfr. M.
Pesce, D ue fa s i ; G. Strecker, Befreìung, 229-259.
4. Il rifiuto di accettare che Luca p o ss a essere stato compagno di Paolo e Paolo p o ssa aver scrit
to lettere come Efesini e Colossesi, ha molto a che vedere con la visione di un canone - il pao-
linismo stretto alla luce di un’interpretazione radicale di R o m . 1-4 - all’ interno del canone de
gli scritti canonici. L ’ aspetto negativo è che, procedendo in questo modo, si salverebbero solo
alcuni frammenti, persino di quelle che vengono considerate lettere indubbiamente autentiche.
5. Confidiamo di potervi attendere in un prossimo lavoro.
6. Facendo un passo in più si è giunti a porre questo dilemma: «teologia 0 antropologia», cfr.
H. Conzelmann, D ie R e c h tfe rtig u n g des P a u iu s: T h e o lo g ie o d e r A n th ro p o lo g ie ? : EvTh 28
(1968) 389-404, col rischio di fermarsi al secondo termine.
7. Bultmann, T e o lo g ia , 1 8 1 - 3 3 6 , riduce la teologia dell’apostolo a una descrizione dell’ «uomo
prima della rivelazione della p is tis » (pp. 18 4 -2 5 7 ), e «l’uomo sotto la p istis» (pp. 2 57-336 );
T e o lo g ia delle g ra n d i lettere 17 5
questi testi e a tener conto delle loro diverse interpretazioni. Faremo pe
rò in modo almeno di integrarli nel complesso delle quattro grandi let
tere, mettendoli in relazione con il resto della teologia dell’apostolo.
La visione teo-antropologica di Paolo ha il suo punto d’avvio nel pec
cato; segue un fallito tentativo di salvezza, la legge; inizia in senso pro
prio con un’iniziativa divina che è la «grazia», ripetutamente definita
«giustificazione», la quale passa per una risposta umana che è la fede.
1. Il peccato dell’umanità
a) Le lettere ai Corinti
ciò equivale a concentrarsi sui primi quattro capitoli di Rom ani, leggendo tutto il resto alla
luce di questi quattro capitoli.
8. Sappiamo che cosa avvenne di Giovanni Battista con i suoi inviti alla penitenza, ma è altresì
noto che da alcuni settori si sollevarono proteste. Anche Gesù si scontrò con quanti non vole
vano la redenzione e perciò in M t. 9 ,13 par. afferma: «N on sono venuto a chiamare i giusti,
ma i peccatori».
iqG L e g ra n d i lettere
b) La lettera ai Galati
c) La lettera ai Romani
1 1 . Detto con i termini delle teologia sistematica* non vediamo il «peccato originale» nel v.
iz d (in quo omnes peccaverunt), bensì nel v. iz a (peccatum intravit in mundum); cfr. E.
Brande nburger, Adam und Chrìstus, Neukirchen 19 6 2 ; C.E.B. Cranfìeld, On some o fth e Prob-
lems in thè Interpretation o f Rom j 3I 2 ; SJT 22 (1969) 3 2 4 - 3 4 1; F.W. Danker, Rom 5 , 1 2 : Sin
under Law\ N T S 14 (1967) 424-439; P. Grelot, Péché originai et rédem ption dans PÉp. aux
Rom ains : N R T 90 (1968) 449-478; J. Gross, Die paulinische Adam -Christus-Typologie und
die Erbsiindenlehre: Z R G G 19 (1967) 298-307; B. Harbert, Romans 5 , 1 2: O ld Latin and
Vulgate in thè Pelagian Controversy : SP x x n (Leuven 1989) 2 6 1-2 6 4 .
1 2 . Riteniamo che nel testo si parli formalmente di morte fisica, anche se tale morte non è un
elemento essenziale della dottrina ma una sorta di «controprova» dell'universalità del peccato;
cfr. J. Sanchez Bosch, Lìbertad y grada en la Carta a los Rom anos, Barcelona 19 7 3 , 1 7 - 2 1 .
1 3 . Cfr. secondo W. Bauer, Griechisch-Deutsch Wòrterbuch zum N euen Testamenti Berlin
19 8 8 , kathistemii 3. Cfr. E. Brandenburger, A dam , 2 3 3.
T e o lo g ia delle g ra n d i lettere 279
Non è concepibile una teologia di Paolo che non parli della legge. E a
buon motivo, perché sono molti i testi in cui l’apostolo la menziona. Il
problema è che non tutti tendono nella stessa direzione e noi non vor
remmo che, in omaggio a un certo «paolinismo», (dis)interpretassimo
quelli favorevoli alla legge per farli concordare con quelli sfavorevoli.18
16 . P« Althaus, P a u lu s , 9 1-9 5 , riconosce che i testi di Paolo permettono di parlare di una «li
berazione» assai profonda, anche se su questo punto Pantere è. incline a dare maggiormente
ragione a Lutero.
17 . Mi pare insufficiente una spiegazione del testo di Paolo con il solo aiuto della psicologia
del profondo, semplicemente perché anche Papostolo «gioca» con i concetti; cfr. G- Crespy,
E x é g è s e et p sy c h a n a ly se: R o m 7 ,7 - 2 5 {in on. di F J . Leenhardt), Genève 19 6 8 , 16 9 -17 9 .
18 . Cfr. J.M . Diaz Rodelas, F a b io y la L e y , Estella 19 9 4 , eccellente monografia sul tema della
legge che negli ultimi due decenni ha destato molto interesse. Concordiam o con lui sul punto
di arrivo, Romani, anche se so sta n zia lm en te scorgeremmo una dottrina analoga anche nei testi
a) Testi fa v o re v o li alla legge
più semplici: «volere il bene è nelle mie possibilità, ma farlo no» (v. 1 8 b;
cfr. v. 2 1 b). In 8,3 afferma: «ciò che era impossibile per la legge a causa
della debolezza della carne»; al v. 7 conferma: «il pensiero della carne è
inimicizia con Dio, poiché non si sottomette alla legge di Dio e neanche
può».
Andando ancora più a fondo, diremmo che qui l’apostolo ha operato
una dicotomia, proprio come aveva fatto con Adamo e Cristo. Da una
parte vi è ciò che Adamo (cioè l’uomo senza la grazia) è in grado di da
re; dall’altra ciò che Cristo (cioè la grazia) può dare. Paolo, inoltre, ha
attribuito un nome a queste due visioni: «la lettera» e «lo Spirito»
(Rom. 2,27.29; 7,6). Nella sua realtà concreta, così come la vivevano gli
israeliti pii (cfr. Sai. 118 !), la legge rientrava in un piano di Dio nel qua
le dominavano le promesse e la fede (cfr. Rom. 4 ,13 s.), ma qui l’inten
to era di parlare di ciò che la legge può donare in quanto «lettera», cioè
prescindendo dalla provvidenza che sempre le si accompagna.
2 1 . Per evitare un’interpretazione troppo letterale del testo è opportuno leggere il v. 1 2 alla
luce del v. io ; stando al contesto, a essere criticata è la giustificazione «per le opere» (ex er-
g o n : 2 , 1 6; 3 ,2 .5 .10 ), ossia ottenuta con le proprie forze, e non qualsiasi genere di «opera» -
neppure la circoncisione, in determinate circostanze (2,7 s.; cfr. R o m . 2,25).
3. L ’iniziativa divin a
Abbiamo visto il paradosso per cui qualcosa che proviene «da Dio»,
come la legge, possa essere sconfìtto da qualcosa di tanto umano come
il peccato. Tale paradosso, tuttavia, può essere concepito solo come an
nunzio di un’iniziativa divina che vincerà il peccato su tutti i fronti. A
tale iniziativa vengono attribuiti, tra gli altri, anche i nomi di «grazia» e
«giustificazione» :
La legge è sopraggiunta perché abbondasse la caduta, ma laddove è abbondato il
peccato ha sovrabbondato la grazia. Perché come il peccato aveva regnato nella
morte, così regni la grazia per mezzo della giustizia per la vita eterna, mediante
Gesù Cristo nostro Signore (Rom. 5,2,0 s.).
a) Le lettere ai Corìnti
22. In 2 Corinti trova ampio spazio lo scontro con gli avversari, ma non bisogna leggerne ogni
frase alla luce di questo scontro. Appropriatamente R . Bultmann {D e r z w e ite K o rìn th e r b rie f,
Gòttingen 19 7 6 , a d /oc.), afferma che «strateia di Paolo è... il suo operato apostolico».
23. Possiamo qui ricordare che, al di là del tema soteriologico, Dio è colui «dal quale proviene
ogni cosa» {e x h o u ta p a n ta : R o m . 1 1 , 3 6 ; r Cor. 8,6; 1 1 , 1 2 ) .
b) Iniziativa divina in Galati e Romani
Ora abbiamo le idee un po’ più chiare per capire che cosa intende dire
Paolo in Gal. e Rom. quando parla di «giustificazione» (il verbo dikaioo
e suoi derivati), termine che, a nostro parere, ha più di un significato.
T e o lo g ia delle g ra n d i lettere 289
24. Sebbene le realtà annunciate dalla «giustificazione» cristiana abbiano invece dei precedenti
nell’Antico Testamento, cfr. H .G . Reventlow, R ec h tfertig u n g im H o riz o n t des A .T ., Munchen
19 7 1.
zy o L e g ra n d i lettere
Per quanto riguarda la lettera ai Romani, cominciamo col dire che oc
corre attribuire un significato biblico poco frequente all’espressione «giu
stizia di Dio» di Rom. 1 ,1 7 ; 3,5.2 1 s.25 s.; 10,3. Parleremo infatti di «giu
stizia salvifica», distaccandoci dal senso solitamente attribuito a questa
espressione dai nostri catechismi quando interpretano la «giustizia divi
na» come «severità», concetto che nella lettera ai Romani è reso con i
termini orge {lett. «ira»: 1,18 ; 2,5.8; 3,5; 4 ,15 ; 5,9; 9,22; 12,19 ) o di-
kaiokrisia («giusto giudizio»: Rom. 2 ,5 )/ 7
25. H.W. Heidland, D ie A n re c h n u n g des G la u b e n s zur G erec h tìg k eit. U n tersu ch u n gen zur
B e g rìffsg e sc h ic h te voti «h a sb a b » u n d « lo giz esth a i », Stuttgart 1 9 3 6, ammette che il significato
protestante di «imputazione» non ha fondamenti in testi noti: «Se dunque si vuole parlare del
la sottomissione dell’ uomo all’ azione salvifica, anche sottolineandone esclusivamente il conte
nuto, allora il significato greco di lo giz esth a i dovrebbe essere escluso» (p. 1 1 7 ) .
26. J. A. Ziessler, T h e M ea n in g o f R ig h teo u sn ess in P a u l, Cambridge 19 7 2 , concede ampio
margine a un significato «normale» di giustizia (= «vita onesta») nei testi di Paolo; cfr. A .J.
M attili Jr.> T ra n sla tìo n o f W o r d s w ith thè Stem « D ik » in R o m a n s : AUSS 9 (19 7 1) 89-109.
27. Se si confrontano tra loro 1 , 1 7 e 1 , 1 8 , come pure 3,5 e 3,8, si vedrà che «giustizia» e «ira»
vanno in direzioni opposte: se l5«ira» è la severità, la «giustizia» è piuttosto la bontà - come
I’ «uomo giusto» è l’ uomo buono - , comunque sempre di D io; in tal senso P. Stuhlmacher, G e -
re c b tìg k e it G o ttes b e i P a u lu s, Gòttingen 19 6 6 ; G. Herold, Z o r n u n d G e re c h tìg k e it G o ttes b e i
P au lu s. R in e U n tersu ch u n g zu R o m 1 ,1 6 - 1 8 , Bern 19 7 3 ; A. Pluta, G o tte s B u n d e stre u e . E in
S c h liis s e lb e g riff in R o m 3,25*2, Stuttgart 1969; Pluta-Messerschmidt, G e re c h tìg k e it G o ttes b ei
P a u lu s, Tiibingen 19 7 3 . L ’altra possibilità è intendere che n o i sia m o «giustizia di Dio» (come
letteralmente si afferma in 2 Cor. 5,2.1), nella cornice di un’ «interpretazione esistenziale»; cfr.
T e o lo g ia delle g ra n d i lettere 2 .9 1
2.8. L a d in a m ica del p a ra lle lism o p u ò a v e r fa tto sì ch e 8 , 3 0 c o llo c a sse nel p a s s a to la « g lo r ific a
z io n e » , o v v ia m e n te a p p a rte n e n te a l fu tu r o (cfr. 8 , 1 8 - 2 5 ) ; ten iam o c o m u n q u e c o n to ch e si sta
p a r la n d o del p ro g e tto d i D io , nel q u a le n o n vi è fu tu ro . D ’ a ltra p arte, 3 , 3 0 c o n te m p la la re a l
tà cristia n a a p artire d a ll’ A . T .: co lu i ch e è sem p re sta to « D io dei g iu d e i» ad e sso giustificherà
an che i gen tili. 2 9 . C fr . W . G . K u m m e l, Paresis und endeixis: Z T h K 49 (19 52 ) 15 4 -16 7 .
Bundestreue, 6 2 - 7 0 ; è c iò ch e a ffe r m a n o i Settan ta q u a n d o
3 0 . C fr . A . P lu ta , tr a d u c o n o i term i
kpr {« c o p r ir e » ) co n p a r o le attin en ti al c a m p o se m a n tico del
ni d ella ra d ice p erd on o : hilasko-
mai, hilasterion. 3 1 . B asti leggere Rom. 1 1 , 2 5 s -
3 2 . T r a g li esegeti p ro te sta n ti o d iern i e m e rg e , in una m a n ie ra o n e ll’ a ltra , l’ id ea di u n a « d i
ch ia ra z io n e » q u a lific a ta ; c fr. P. S tu h lm a c h e r, Gerechtigkeit, 2 2 2 : «P e r P a o lo , la g iu stifica zio n e
è p re cip u a m e n te in te rve n to p o te n te , c r e a tiv o e lib era n te , di D io n ella v ita c r is tia n a , c o n s e
Befreiung; a n c h e U.
g u e n za e a p ice della s o te r io lo g ia » ; le g g e rm e n te s fu m a to , G . S tre ck e r,
Sch n elle, Gerechtigkeit und Christusgegenwart. Vorpaulinische und paulinische Tauftheolo-
gie, G ò ttin g e n 1 9 8 6 ; U - W ilc k e n s , Rechtfertigung als Freiheit. Paulusstudien, N e u k ir c h e n
1 9 7 4 , spec, 7 7 - 1 0 9 ; W . K la ib e r , Rechtfertigung und Gemeinde. Etne Untersuchung zum pau-
linischen Kirchenverstandnis, G ò ttin g e n 1 9 8 2 ; D .O . V i a J r . , Justification and Delìverance: Ex-
ìstential Dialectic: Stu d ie s in R e lig io n 1 ( 1 9 7 1 ) 2 0 4 - 2 1 2 .
294 Le grandi lettere
b) La lettera ai Galati
de» compare ben 22 volte, mentre nei 26 capitoli di 1 e 2 Corinti non fi
gura che 9 volte.35
Non è, tuttavia, che per 22 volte Galati affermi che l’uomo si giustifi
ca ek pisteos, «per la fede» (con una preposizione che indica ^«origi
ne»). In primo luogo la «fede» può avere il significato oggettivato di «il
gruppo cristiano», «la religione cristiana»: «predico la fede che prima
avevo perseguitato» (Gal. 1,23; 3,23.25; 6,10); «prima che venisse la
fede, la legge ci teneva rinchiusi» (Gal. 3,23.25); «quelli della famiglia
della fede» (6,10). In senso analogo, si parla di «circoncisione» e di «in
circoncisione» (2,7-9). Anche l’espressione boi ek pisteos può avere va
lore di sostantivo nel senso di «i credenti» (3,7.9), così come boi ek pe-
ritomes (2,12) significa i circoncisi. Forse anche la frase piuttosto singo
lare di 3,12 - «la legge non proviene dalla fede» - ha qualcosa a che ve
dere con questa serie di espressioni oggettivate.36
D’altra parte possiamo ribadire che «dalla fede» (ek pisteos) non pro
viene solo la giustificazione, ma anche altri beni salvifici: «avete ricevu
to lo Spirito» (3,2), «colui che vi concede lo Spirito e realizza opere po
tenti in mezzo a voi» (v. 5), «la promessa è data ai credenti» (v. 22), «at
tendiamo la speranza della giustizia» (5,5). La fede compare anche uni
ta ad altre preposizioni: «Vivo nella fede del Figlio di Dio» (2,20), «ri
ceviamo la promessa dello Spirito per mezzo della fede» (3,14), «siete
figli di Dio mediante la fede» (v. 26). Senza preposizioni, si parla del
la «fede che opera per mezzo dell’amore», la sola a contare (5,6; cfr. 6,
15); la fede compare anche tra i frutti dello spirito (5,22) ed è curioso
che in quest’ultimo testo sia al settimo posto dell’elenco.
Ci sono poi altri cinque versetti in cui l’apostolo parla della giustifica
zione per fede (ek pisteos). Si tratta di due frasi paoline e due testi tratti
dalla Scrittura:
«essere giustificato per la fede» (2,16; 3,24);
«Abramo credette in Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia» (3,6
con citazione di Gen. 15,6);
«Dio giustifica i pagani per la fede» (3,8);
«il giusto per fede vivrà» (3,11 con citazione di Ab. 2,4).
A mio avviso, l’unica cosa non deducibile da questi testi è la fede qua
le vera origine della giustificazione (il che equivale a dire che la preposi
zione ek non è impiegata del tutto propriamente), nel senso che è Dio a
giustificare e il credente è il semplice destinatario dei suoi doni. In 3,8
Dio è evidentemente il soggetto attivo. Nei primi due testi (2,16; 3,24)
riteniamo sia opportuno interpretare i verbi passivi come «passivi divi
ni», mentre quest’interpretazione è più evidente nel terzo (3,6), poiché lì
la giustizia proviene da un’accoglienza della fede di Abramo in Dio («gli
fu accreditata»), che solo Dio può operare. In 2,16 (cfr. 3,24) è detto
esplicitamente che crediamo in Cristo ai fini di essere giustificati (che si
tratti di essere giustificati «davanti a Dio» si deduce forse meglio dal te
sto parallelo, Rom. 3,20, che cita Sai. 143,2.). In un contesto sintattica
mente analogo {Gal. 3,21) osserviamo che rifiutare la giustificazione per
la fede equivale a rifiutare la grazia di Dio. A ciò si aggiunge che gli altri
doni, ritenuti provenire «per la fede» (abbiamo citato 3,2.5.14.26), so
no palesemente doni di Dio.37
Il collegamento tra il dono di Dio e la fede dell’uomo è esplicato in
3,14.22 con l’idea di «promessa». Dio concede i doni promessi a chi
crede in essi, dunque non li accorda a chi non li riconosca come tali.
Ne dedurremmo quindi che, esclusivamente in Galati e Romani, Pao
lo ha applicato alla fede una preposizione di origine (ek pisteos) trat
ta direttamente da Ab. 2,4, basandosi sul parallelismo con l’espressione
«non per le opere» (cfr. sopra, 3b), in cui la preposizione figura con il
suo pieno significato. Potrebbe forse risultare più appropriata la prepo
sizione dia («per mezzo di»), incontrata innanzitutto in 2,16 ma anche
in 3,14.26 e in Fil. 3,9.
c) La lettera ai Romani
La lettera ai Romani può offrire un po’ di luce sul conflitto tra le due
preposizioni (ek e dia), entrambe presenti in un unico testo: «Dio, che
giustificherà la circoncisione dalla fede (ek pisteos) e l’incirconcisione
per mezzo della fede» (dia tes pisteos: Rom. 3,30). In ambedue i casi,
evidentemente la fede non è la vera e propria «origine», perché è Dio a
giustificare (verbo alla forma attiva). Ai pagani sembra chiaro che Dio
debba dare loro prima la fede e poi la giustificazione; nel caso, invece,
di un giudeo già in cammino «sulle orme di Abramo» (cfr. 4,12), Dio
potrebbe prendere quella fede come punto di partenza, facendo eco a
una formula di Filippesi: «la giustizia che viene da Dio basata sulla fe
de» (ek theou dikaiosynen epi te pistei: Fil. 3,9).
Oltre al testo citato (Rom. 3,30), soltanto in 5 ,11 si accenna all’ «es-
sere giustificato per la fede» con la formula dikaioustbai ek pisteos. La
frase che più le si avvicina è Rom. 3,26 (dikaiounta ton ek pisteos, «che
giustifica quello della fede»), benché l’articolo interposto, come nel caso
3 7 . C fr . J, S à n c h e z B o sc h , Libertad, 4 5 - 5 9 : « L a c h ia m a ta alla fe d e » , in cu i si rib a d isce ch e la
fed e stessa è un d o n o di D io .
Teologia delle grandi lettere 297
di Gal. 3,7.9, ci induca a vedere in «quello della fede» una locuzione so
stantivata che non designa altri che colui che crede, come «quelli della
circoncisione» (Rom. 4,12) o «quelli della legge» (4,14.16) sono espres
sioni indicanti semplicemente i giudei.38 Con questa formula sostantiva
ta si afferma che Dio giustifica «quello della fede» (3,26) o la promessa
è stabile per lui (4,160), in senso analogo all’espressione per cui a «colui
che crede» (0 pisteuon) viene annunziata la salvezza (1,16) o la manife
stazione della giustizia di Dio (3,22); similmente, a «colui che crede»
(;pìsteonti) viene accreditata la fede come giustizia (4,5.24), viene consi
derato figlio di Àbramo (v. ri), gli si promette che «non sarà deluso»
(9,33; 10,11) e a lui sarà data la giustizia (10,4). L’una e l’altra formula
esprimono il medesimo concetto della proposizione condizionale: «Se
credi... sarai salvato» (10,9) o «si crede in ordine alla giustizia» (v. io).
Si attribuisce maggior causalità alla fede, senza porla direttamente in
relazione con la giustificazione, quando si afferma che «per la fede» (ek
pisteos: 1,17) o «per mezzo della fede» (dia pisteos: 3,22) «si manifesta
la giustizia di Dio»; che Cristo è stato stabilito come propiziatorio «per
mezzo della fede» (3,25); che la promessa giunge «dalla fede» {ek pisteos:
4,16) e che «dalla fede» (con un semplice dativo, pìsteì: 5,2) abbiamo avu
to accesso al Padre.
Da parte sua, anche il verbo dikaìoumai, «essere giustificato», va uni
to ad altre formule: «dalla sua grazia» {te autou cbariti: 3,24), «per il
suo sangue» (en to haìmati autou: 5,9) o «dalla fede», quest’ultima espres
sa da un semplice dativo {pistei: 3,28).
Quanto al sostantivo dikaiosyne, «giustizia», si dice che i gentili l’han
no ricevuta «dalia fede» {ek pisteos: 9,30; cfr. v. 32). Si parla anche di
rettamente di un «giusto» (dikaios) e di una giustizia «dalla fede» {ek
pisteos: risp. 1,17 e 10,6 [origine]), «della fede» {tes pisteos, qualità: 4,
11.13). L’unico elemento chiaro è che la fede è necessariamente coinvol
ta nel processo che porta alla giustizia. Resta da vedere come ciò si con
cili con il fatto indubitabile che la «giustificazione» è un dono di Dio.
La risposta è generosamente fornita dalla lettera ai Romani: la fede
viene definita «obbedienza» {hypakoe: 1,5), ossia «ricettività» a quanto
Dio ci dà.39 Da 3,2 s. si deduce che la fede è risposta alle «parole di
38. Non si può affermare senz’altro che «quello della fede» (Rom. 3,2.6; 4,i 6c ) significhi, per
definizione, «colui che della fede fa il principio fondamentale della sua vita», poiché «quelli
della circoncisione» (4,12: ek peritom es ) sono 1 primi figli di Abramo e «quelli della legge» (v.
16: ek tou nomou) sono anch’essi i primi a ricevere una promessa stabile (in entrambi i casi si
aggiunge «non solo loro, ma anche»,., i gentili). Nel v. 14 - in mezzo alle due espressioni cita
te! - il significato sostantivato risulta piuttosto forzato: «Se Dio avesse deciso che solo quelli
che hanno la legge possono ereditare, non avrebbe parlato di fede e di promessa»; è possibile
che qui la preposizione ek prenda le difese dei suoi privilegi: «Se la promessa derivasse dalla
legge, sarebbero vane la fede e la promessa».
39. Cfr. G.N. Davies, Faith and O bedience in Romans. A Study in Rom . 1-4 , Sheffield 1990.
298 Le grandi lettere
Dio». La stessa conclusione ritorna se, nella frase «per mezzo della fede
di Gesù Cristo» di 3,22 o «di Gesù» (v. 26), il genitivo lesou (Christou)
viene interpretato come genitivo oggettivo, ovvero «fede in Gesù Cri
sto», colui che ha manifestato la giustizia salvifica di Dio (v. 21), porta
la redenzione (v. 24) ed è stato posto da Dio come «propiziatorio» (v.
25).40 È certo più chiaro che Abramo crede «in Dio» (4,3) ed è Dio ad
accreditargli questa fede come giustizia, secondo la sua grazia (v. 4). Lo
stesso avviene per chi «crede in colui che giustifica l’empio» (v. 5). Il v.
14 afferma che la fede è accettazione della promessa divina, perché se
gli eredi fossero diventati tali in forza della legge, la fede risulterebbe va
na e la promessa nulla. Quest’idea è espressa in forma solenne nel v. 16:
«Lo si diventa per la fede, perché ciò sia per grazia {dia touto ek pis-
teos, bina kata charin), affinché la promessa sia stabile». La fede, si spie
ga, portò Abramo a sperare contro ogni speranza (v. 18: par’elpida ep’ri
pidi episteusen), a «disprezzare» (v. 19: katenoesen) ciò che è visibile, a
sentirsi «forte» (v. 20: enedynamothe), «sicuro» (v. 21: pleropboretheis)
che «quanto ha promesso è in grado di portarlo a compimento». E ciò
che accade a quanti «credono in colui che ha risuscitato dai morti Gesù
nostro Signore» (v. 24), poiché «è stato risuscitato per la nostra giustifi
cazione» (v. 25).
Se ce ne fosse ancora bisogno, 5,2 conferma che «mediante la fede
possiamo accedere a questa grazia» {te pistei eis ten charin tauten). Dun
que l’elemento veramente attivo è la grazia di Dio: la fede permette sem
plicemente di accedere a essa. Sebbene racchiuso in formule molto più
complicate, il messaggio, sia diretto sia indiretto, è quello trasmesso an
che da 9,30-10,11. Si tratta di un messaggio indiretto, giacché ricercare
una giustizia «che derivi dalle opere» (9,32) significa volere «stabilire
una giustizia propria», «non volersi sottomettere alla giustizia salvifica
di Dio» (10,3).
La giustizia «per la fede», invece, consisterà nel «sottomettersi alla
giustizia salvifica di Dio», che ben si adatta alla definizione della fede
come «obbedienza» (v. 16; cfr. 1,5; 15,18; 16,26). Ma il messaggio si fa
diretto nella spiegazione del v. 6: si tratta di non desiderare «scende
re nell’abisso» o «salire al cielo» per proprio conto, in quanto già Cri
sto vi è disceso e vi è salito per noi. È quindi necessario lasciare che Cri
40. CJè chi sostiene che «fede d i Gesù Cristo» (o «di Gesù») intenda la fede personale di Gesù;
cfr. M.D. Hooker, Pistis Khristou: NTS 35 {1989) 321-341. Non ci sembra dimostrato che
Paolo parli mai di questa fede; nel caso in questione, insisteremmo nel dire che ad avere la
«fede d i Gesù (Cristo)» nei vv. 22.26 sono i «credenti», citati immediatamente dopo nel v. 22
e nel testo parallelo del v. 25: «per mezzo della fede». Se il soggetto è costituito dai credenti,
Gesù Cristo è necessariamente l’oggetto della fede. Cfr. tuttavia R. Vignolo, La fede portata
da Cristo. «Pistis Christou» in Paolo , in G. Canobbio (ed.), La fede di G esù , Atti del conve
gno tenuto a Trento il 27-28 maggio 1998, Bologna 2000, 43-67.
Teologia delle grandi lettere 299
sto adempia il suo compito, senza interferire nel suo operato ma apren
doci semplicemente a esso.41
Bibliografia
Possiamo rinviare a quanto si è detto nelle letture di Galati e Romani (sopra, capp.
ix, 11 e x, 11). Punto di riferimento obbligato per il tema è il più volte citato capi
tolo su Paolo nella Teologia di Bultmann, per il quale ogni cosa va ricondotta al
l’antropologia. Una visione diversa, più teologica, compare nell’opera di L. Cer-
faux, Il cristiano nella teologia di San Paolo, Roma 1970.42 A ciò si aggiunga la
bibliografìa citata alla fine del cap. v, sia le opere d’insieme sia i dizionari, non
ché la bibliografìa relativa a ognuna delle grandi lettere (capp. vi-x). Una quanti
tà sicuramente ragguardevole di informazioni si può desumere dallo studio di ter
mini come «peccato», «giustizia», «fede», «opere», «legge», «grazia» (rispettiva
mente hamartia, dikaiosyne, pistis, erga, nomos, charis) nel Grande Lessico del
Nuovo Testamento o in altri dizionari teologici.
Come integrazione e, in un certo senso, come contropartita alle rispettivi voci
del GLNT, possiamo citare nuovamente Pablo y la Ley di J.M. Diaz Rodelas e Glo
riarse di J. Sànchez Bosch.
Consentono significativi approfondimenti le opere di K. Kertelge, «Giustifica
zione» in Paolo. Studi sulla struttura e sul significato del concetto paolino di giu
stificazione, Brescia 1991 e J.D.G. Dunn, La teologia dell’apostolo Paolo, Bre
scia 1999, 101-178. 337-389. 603-644. Per altri temi paolini di rilievo, special
mente in Romani, cfr. J.-N. Aletti, La lettera ai Romani e la giustizia di Dio, Ro
ma 1997; H. Hiibner, La legge in Paolo. Contributo allo sviluppo della teologia
paolina, Brescia 1995; Idem, Teologia biblica del Nuovo Testamento, 11. La teo
logia di Paolo e la storia dei suoi effetti nel Nuovo Testamento, Brescia 1999,
67-394; R. Penna, Una fede per vivere seguendo il filo della lettera ai Romani,
Cinisello Bals. 1992.
4 1 . Cfr. A . Dobbeler, Glaube als Teìlbabe. Historiscbe und semantische Grundlagen der pau-
linischen Theologie und Ekklesiologie des Glaubens, Tubingen 19 8 7 .
4 2. Quest’opera forma una trilogia con Cristo nella teologia di San Paolo e La teologia della
Chiesa secondo San Paolo, Roma 19 6 9 e 196B.
Parte quarta
nizione oggi meno usata perché non è chiaro se tutte provengano dalla
medesima prigionia e neppure se tutte siano state scritte direttamente
dall’apostolo. I dubbi, com’è noto, riguardano soprattutto Colossesi ed
Efesini, lettere che, d’altra parte, hanno molto in comune tra loro. Il ca
pitolo che segue si occuperà dunque delle ultime due lettere sicuramente
autentiche, anche se, come vedremo, a esclusione dell’assonanza del no
me e della condizione di prigionia che presuppongono, esse hanno ben
pochi elementi in comune.
Possiamo indicare già ora che, trattandosi di lettere minori, faranno
pensare più alle lettere ai Tessalonicesi che alle quattro grandi lettere,
non solo a motivo dell’estensione ma soprattutto per la loro mancanza
di impegno nel cercare di dire di più, di dimostrare di più, di sorprende
re con paradossi. Proprio per queste ragioni F.Ch. Baur, che si limitava
a considerare Paolo dal punto di vista della polemica, non ammise che
le quattro grandi lettere, negando persino l’autenticità di i Tessalonice
si, Filippesi e Filemone, attualmente considerate autentiche. Quanto col
pisce è che in Filippesi tornano ad affacciarsi i temi classici del paolini-
smo e il confronto con i giudaizzanti. Ma la posizione dell’apostolo, as
solutamente inequivocabile in FU. 3, risulta molto meno «argomentata»,
mentre in Efesini e Colossesi bisognerà parlare di una posizione piutto
sto «addomesticata».
Capitolo xn
Le lettere ai Filippesi
e a Filemone
I. I D A T I D E L L E L E T T E R E
a) Filemone
denaro e gli aveva causato qualche altro danno (v. 18). Alla luce di Col.
4,9 si può supporre che padrone e schiavo vivessero a Colossi. D’altra
parte, la maggioranza dei nomi propri presenti in Filemone appaiono
anche in Colossesi.1 Di più non sappiamo. Il resto di questo capitolo sa
rà dunque riservato a Filippi e ai filippesi.
b) Filippi e i filippesi
La città di Filippi sorge nei pressi della costa settentrionale del Mar Egeo,
di cui costituisce una sorta di retroguardia. Anticamente denominata
Krenides, ricevette il nuovo nome e la propria categoria da Filippo, pa
dre di Alessandro Magno, il quale diede grande impulso alla grandezza
della Macedonia. Attualmente il suo nome è Filibah, vicino a Kavala,
cittadina insignificante se paragonata alle bellissime rovine archeologi
che su cui sorge/ Fu conquistata dai romani nel 168 a.C. insieme a tut
ta la provincia. Nel 42 a.C. gli assassini di Cesare, Bruto e Cassio, furo
no sconfitti da Ottaviano, il futuro Augusto, nella pianura vicino alla
città. Dieci anni dopo Filippi fu ripopolata da veterani, trasformandosi
in colonia di diritto italico con il titolo di Colonia Augusta Iulia Philip-
pensium. Gli scavi hanno riportato alla luce, sopra il foro, suggestive
iscrizioni latine in onore di antichi militari delle legioni. Nella città si
erano ben sviluppati l’agricoltura e anche un certo commercio, grazie
alla sua vicinanza al mare e alla Via Egnazia che l’attraversava, condu
cendo a Roma quanti preferivano viaggiare via terra piuttosto che per
mare. Grazie alla posizione strategica, Filippi era un’ottima base per l’e
sercito romano che lì era «di casa» (possedeva persino le terre). Oltre ai
legionari veterani vi si incontravano macedoni e traci. Come vedremo, i
giudei non avevano sinagoghe nella città.
Il libro degli Atti (16,12), stando alla variante più probabile, l’anno
vera al primo distretto della Macedonia, ma non come capitale; aggiun
ge che era una «colonia», come confermano altri dati, e per cinque vol
te definisce i suoi governanti strategoi, ossia militari (w. 20.22.35 s.38).
Lascia però intuire che nella città i giudei godevano di meno diritti che
altrove (cfr. vv. 20 s.: «sobillano la nostra città; sono giudei... a noi ro
mani...»).
Appare logico che non vi fosse una sinagoga. Luca, che ha parlato di
«sinagoghe» a Gerusalemme, a Damasco e durante tutto il primo viag
gio (risp. 6,9; 9,2.20; 13,5.14.43; 14,1), di Filippi non menziona altro
che «la preghiera» (in greco, proseucbe: 16,13.16). Questa «preghiera»
può indicare un vero e proprio luogo di riunione cultuale (v. 16: «men-
1. Sotto, cap. xin, v.ia e Nacido a tiempo 2.97 s. trattano delle diverse persone menzionate
nelle due lettere. 2. Cfr. W.E. Elliger, Paulus , 23-77-
Le lettere ai Filippesi e a Filemone 305
tre andavamo alla preghiera»), però si intuisce che qui i giudei non ave
vano la struttura «nazionale» che possedevano altrove, con scuola e tri
bunale. Questo è confermato da altri dettagli, come le espressioni «fuori
dalle mura» e «presso il fiume» (v. 13), che ricordano gli ebrei che si
raccoglievano «sui fiumi di Babilonia» (Sai. 137,1).
Come d’abitudine, la lettera non parla della predicazione in quanto
tale, ma fornisce un dato significativo, da cui si deduce che si è trattato
di uno dei maggiori successi di Paolo:3 fin dal primo giorno l’apostolo
ha accolto la partecipazione materiale della comunità alla diffusione del
vangelo (Fil. 1,5; cfr. 2,12: quando ero presente; 4,15: alVinizio della
predicazione). Si tratta di un fatto assai significativo, se si pensa che per
l’apostolo era d’importanza vitale che la predicazione fosse gratuita (cfr.
1 Cor. 9,15-18) e pertanto non poteva accettare nulla da persone che
considerava semplici «evangelizzati»; tutt’al più gradiva qualcosa da co
loro che riteneva partecipi del suo stesso carisma (cfr. 1,5.7). Se in così
breve tempo i filippesi passarono in questa seconda categoria significa
che la predicazione di Paolo ebbe un successo pieno e immediato.
Della permanenza a Filippi, Paolo evoca direttamente soltanto la con
clusione, quando dovette vivere sulla propria pelle la situazione partico
larmente esposta propria di una colonia romana (1 Tess. 2,2). Il colore
locale della lettera si evidenzia nell’impiego del concetto di «cittadinan
za», di cui si parla per due volte (1,27: politeuesthe; 3,20: politeuma; si
tratta di due hapax neotestamentari), in un luogo in cui esibire la citta
dinanza romana poteva costituire un’autentica necessità.
A questi dati possiamo aggiungere il contributo degli Atti degli Apo
stoli, che anche il critico più reticente ammetterà almeno come la sce
nografia più appropriata per i pochi elementi di cui disponiamo.
In primo luogo gli Atti antepongono alla predicazione a Filippi un
prologo comprendente parecchie centinaia di chilometri: Paolo e i suoi
compagni percorrono la Frigia e la regione della Galazia, evitano sia
l’Asia (si intende Efeso) sia la Bitinia (in direzione del Bosforo) perché
lo Spirito santo non lo permette loro, attraversano la Misia e discendo
no a Troade (16,6 s.). Tralasciando il caso della Galazia, di cui si è già
parlato (sopra, cap. e x , 1.2), appare evidente che Paolo giunse a Filippi
dopo aver percorso centinaia di chilometri per terra e per mare. A quan
to pare l’apostolo si era prefissato di evangelizzare il territorio tra le due
coste del Mar Egeo, ma doveva aver saputo che sulla costa occidentale
si stava già muovendo qualcosa; aveva così deciso di recarsi prima di
4. Si è già parlato (sopra, cap. i, n. 9), del possibile valore indicativo delle sezioni con il «noi».
5. Cfr. N acido a tiempo no. 113. 116 s.
2. Occasione delle due lettere
Tornando a parlare delle due lettere, si può dire che entrambe furono
scritte in occasione di una prigionia: sia FU. 1,7.13 s.17, sia Film. 1.9
s.13 parlano di «catene». Non si tratta certo della celletta buia e fredda
evocata da Atti 12,7; 16,24; in tali condizioni non vi è luce, né la possi
bilità di firmare documenti, tantomeno è consentito dettare lettere a qual
cuno. Si tratta piuttosto di una prigionia in regime di semilibertà, come
quella scontata dall’apostolo a Cesarea (24,23), oppure della custodia
in una casa presa a pigione, come è narrato in 28,30.
Il motivo concreto della lettera è, nel caso di Filemone, la restituzione
di Onesimo, con la speranza che sia liberato dalla condizione di schiavi
tù (w. 15-17). Egli era giunto dove si trovava Paolo e questi lo aveva
convertito nel carcere stesso (v. io: «che ho generato in catene»); per un
certo periodo Onesimo era rimasto a servire Paolo (w. 11-13), ma poi
l’apostolo aveva cominciato a insistere perché regolarizzasse la sua situa-
6
zione.
■
non avrebbe un posto migliore dove rifugiarsi; oltre alle infinite occa
sioni di spendere quei soldi, potrebbe contare sulPanonimato. Nel caso
di Filippesi, si fa riferimento al «pretorio» di 1,13 e alla «casa di Cesa
re» di 4,22.
Non si tratta comunque di elementi così decisivi. Quanto a Filemone,
innanzitutto ignoriamo se Onesimo fosse realmente uno schiavo fuggiti
vo oppure uno schiavo in cerca di un amico del suo padrone per rappa
cificarsi con lui. Tra l’altro, anche perché un vero schiavo fuggitivo non
si sarebbe prestato così facilmente a trascorrere tanto tempo insieme a
un «prigioniero», cioè in un luogo in cui vi sono delle guardie. D’altra
parte, l’ipotesi romana ha un suo prezzo: immaginare che Paolo, dopo
l’attesa liberazione, avesse in progetto di tornare verso Oriente (secondo
Film. 22) e non verso Occidente (secondo Rom. 15,24.28). Non tutti ac
cetterebbero quest’ipotesi. Quanto a Filippesi, è un dato di fatto che ovun
que potevano esservi «pretorii» e «case di Cesare». Ciò tuttavia non sta
a dimostrare che la lettera non fu scritta da Roma: semplicemente oc
corre prendere in considerazione anche altre ipotesi, come vedremo a
suo luogo.
3. Stile e vocabolario
Più nello stile che nel vocabolario le due lettere denunciano un minor impegno
letterario e ideologico da parte di Paolo. Non vi sono grandi inizi né grandi fina
li, al contrario una sorta di flusso continuo nel quale ogni cosa è in stretta rela
zione con ciò che precede, ma (è questa l’impressione) senza sapere molto bene
che cosa seguirà.
Q u a n t o a l v o c a b o la r io , tro v ia m o g li sta n d a rd p re v e d ib ili: F ilip p e s i presenta
4 4 8 te rm in i d iv e rsi in u n o scritto d i 1 .6 2 4 p a ro le in tu tto ; F ile m o n e 1 4 1 su 3 3 5 .
L a m e d ia risu lta o r d in a ria in F ilip p e si ( 1 .6 2 4 : 4 4 8 = 3 ,6 2 ) e a lta in F ile m o n e
( 3 3 5 : I 4 I = 2 >37)> m a c iò n o n deve stu p ire in u n o scritto c o sì breve.
I l n u m e ro d i hapax legomena risu lta p iu tto sto e le v a to . Se si e sclu d o n o i n o m i
p r o p r i, F ilip p e si ha 39 hapax neo te stam e n tari e 4 6 d i q u e lli d e sig n ati co m e «ha
pax p a o lin i» ; F ile m o n e , in ve ce , o sp ita so lta n to 4 hapax n eo te stam e n tari e 7 ha
pax p a o lin i. N e s s u n a delle due, c o m u n q u e , ra p p re se n ta u n filone n u o v o n e lla
lessico g rafia p a o lin a . V a rre b b e forse la p e n a p o rre in ris a lto il « su o n o » e van g eli
co d i p aro le com e genea («g e n e ra zio n e » ), chortazein (« s a z ia r e » ), pharisaios ( « f a
ris e o » ), n o n ch é il « su o n o » p o stp a o lin o di te rm in i co m e episkopos (« v e sc o v o » ),
arete (« v ir tù » ) , soter (« s a lv a to re » ). Per il resto, in genere si tratta d i c o m p o sti o
d e riv a ti p re v e d ib ili, a lm e n o in P a o lo . A d e sem p io tre c o m p o sti co n syn, che p o s
so n o valere co m e hapax a sso lu ti n ella lette ra tu ra greca an terio re a ll’a p o sto lo :
synpsychos (« c o n u n a stessa a n im a » ), symmimetes (« c o -im ita to r e » ), symmor-
phizesthai («p re n d e re la stessa fo rm a » ).
4 - Suddivisioni m aggiori
Non si possono certo fare grandi suddivisioni nella lettera a Filemone.
Stabiliamo allora una possibile struttura, che svilupperemo nel paragra
fo successivo.
a) In tro d u zio n e e p isto lare (vv. 1 - 7 )
Indirizzo (vv. 1 s.)
Esordio (vv. 3-7)
b) Corpo della lettera (vv. 8-2.0)
Esposizione (vv. 8-14)
Soluzione (vv. 15-2,0)
c) Conclusione epistolare (vv. 21-25).
Benché concisa, la lettera ai Filippesi mostra una struttura più perce
pibile. Le divisioni sono a tal punto evidenti da indurre parecchi esege
ti a scorgervi un mosaico di lettere diverse. Per affermare questo, una
qualche base devono pur averla.
Una dissonanza (più che «divisione» in senso letterario) evidente è nel
passaggio da 3,1 al v. 2. Paolo ha appena finito di invitare i filippesi a
essere lieti e improvvisamente si mette a parlare in termini durissimi dei
giudaizzanti. Se, però, riteniamo che con il v. 2 inizi un nuovo corpo,
non sarà facile stabilirne la fine. Se infatti includiamo 4,1, malgrado la
dissonanza avremmo potuto benissimo includere anche 3,1, che dice le
stesse cose. Lasciando aperta l’eventualità che Filippesi possa essere un
«conglomerato» di tre lettere diverse (cfr. sotto, 111.2), diremmo che
tanto 3,1 quanto 4,1 stabiliscono una specie di confine prima di alcune
esortazioni concrete. Potrebbero essere opera del redattore, ma deter
minano la struttura della lettera così com’è.
Basandoci sul testo attuale e considerando più i contenuti delle linee
di demarcazione sintattiche, potremmo suddividere la lettera nel modo
che segue:
a) In tro d u zio n e e p isto lare ( 1 , 1 - 1 1 )
Indirizzo (1,1 s.)
E s o r d io : elogio dei filip p e si ( 1 , 3 - 1 1 )
b) Notizie sull’apostolo: esperienze dal carcere (1,12-26)
c) Prima esortazione: l’esempio di Cristo (1,27-2,18)
d) P rim a c o n clu sio n e ep isto lare : n o tizie relative a T im o t e o ed E p a fr o d ito
(2,19-30)
e) S e co n d a e so rtazio n e ( 3 , 1 - 4 , 9 )
Attenzione ai giudaizzanti (3,1-21)
E s o r ta z io n i v arie ( 4 , 1 - 9 )
f ) Se co n d a co n clu sio n e e p isto la re : rin g ra zia m e n to per l’a iu to ric e v u to
(4 ,io-2 3 ).
II. LETTU R A D E L LE D UE LETTERE
1. La lettera a Filemone
a) Introduzione epistolare (vv. 1-7)
Indirizzo (vv. 1 s.). A quanto pare, il padre, la madre e il figlio accolgono una
«chiesa» in casa loro (v. 2).
Esordio: elogio di Filemone (vv. 3-7). Se ne mettono in risalto, quasi confonden
dole, la carità e la fede (v. 5), insistendo perché la fede si traduca in carità (v. 6).
2. La lettera ai Filippesi
a) introduzione epistolare (1,1-11)
Indirizzo (1,1 s.). Ampliando lo schema usuale, include coloro che «si prendono
cura» dei santi: i «vescovi» e i «diaconi» (v. i).7
Esordio: elogio dei filippesi (vv. 3-1 r). Questi hanno collaborato (vv. 5.7) e
meritano il suo amore-da-Cristo (v. 8). Prega perché siano perseveranti (v. 6) e
ottengano il discernimento per le cose divine (vv. 7 s.).
sto: v. zia), in quanto il suo lavoro produce frutti (v. zz) necessari per loro (v.
Z4). Conta dunque di restare in vita ancora per un po’ (w. Z5 s.).
Avendo inserito anche se stesso nel discorso, aggiunge di essere pronto a ver
sare il proprio sangue in libagione sacrificale (w. 17 s.).
ricorda che per molto tempo aveva continuato ad avere (echon, al participio pre
sente, per sottolineare la durata) fiducia in realtà visibili (concretamente, «la car
ne»): quanto aveva ricevuto dagli antenati (che rammenterà anche in altri momen
ti: Rom. 1 1 ,1 ; 2 Cor. 11,2 2 ) unito alle sue prerogative personali: essere «fariseo»,
10 «zelo» per la legge, la persecuzione della chiesa e la «giustizia» che la legge gli
riconosceva ampiamente (amemptos, irreprensibile). Tutto ciò è interpretato nel
v. 9 come una giustizia «mia... derivante dalla legge» (emen... ek nomou);10 tutta
via in essa non si vede altro che «lettera» (Rom. 2,27.29; 7,6; 2 Cor. 3,6) e non
tutto ciò che la legge può contenere.11
Tutto questo è stato demolito dalla conoscenza superiore di Cristo (vv. 7 s.;
come la pace che «supera ogni intelligenza»: 4,7) e quanto prima era considerato
un guadagno è apparso come una perdita. Il termine fortissimo (skybala, «spaz
zatura»: v. 8) con cui viene definita la realtà precedente chiarisce la portata del
cambiamento prodottosi in lui. Il momento vero e proprio è descritto nel v. 12
come un «essere conquistato da Cristo» (katelemphthen), avvicinandosi così ad
altre descrizioni dell’episodio di Damasco (Gal. 1 ,1 .1 1 s.15 s.; 1 Cor. 9,1; 15,8).
La situazione successiva è descritta con termini che implicano attività: «guada
gnare Cristo» (v. 8e), correre con tutte le forze come chi tema di perdere il premio
(w. 12-14), ma soprattutto con termini che implicano passività: essere «trovato»
in lui, con una giustizia che deriva da Dio basata sulla fede (v. 9: ek theou... epi
te pistei), conoscere la potenza della sua risurrezione... diventandogli conforme
nella morte (v. io: symmorphizomenos). Si tratta del mistero già espresso in 2,
12 s. e presente, in qualche modo, pure in Rom. 8,28-30.
Qui il passaggio alle invettive avviene in modo estremamente lieve, preparato
dall’idea di restare fedeli ai sentimenti che si portano dentro (vv. 15 s.) e dall’e
sempio dell’apostolo e di quanti sono come lui (v. 17). L ’invettiva supponiamo
descriva i medesimi personaggi del v. 2: gente che, per motivazioni terrene, pone
11 proprio vanto in cose di cui dovrebbe vergognarsi (con allusione anche alla
circoncisione) allo scopo di evitare la croce di Cristo (vv. 18 s.). Come in Gal. 6,
12, si tratterebbe di persone che, per non essere perseguitate con la croce di Cri
sto, preferiscono propagandare la circoncisione.
Il contrasto (vv. 20 s.) è espresso in termini di «cittadinanza» (politeuma): non
la cittadinanza giudaica, che si ottiene tramite la circoncisione, e neanche quella
romana, così ambita a Filippi, ma quella del cielo. Da lassù si attende una «glo
ria» che non risiede nel corpo ma lo trasforma completamente, grazie al potere di
Cristo di sottomettere a sé ogni cosa - lo stesso potere che «abbatté» l'apostolo.
io . Cfr. Rom. 9,31 s.; 10,3. 11, Cfr. Rom. 3,21; Gal. 2,19; 2 Cor. 3,14.
3 14 Le lettere della prigionia
(cfr. 2,2.5). Si insiste poi (v. 4) sulla necessità di essere lieti sempre, gioia che de
ve manifestarsi in atteggiamenti gradevoli (epieikes, «moderazione» più che «mo
destia»). Nella radice di questa gioia albergherà una pace indescrivibile (v. 7)
grazie alla quale nulla ci preoccuperà (v. 6). Nella descrizione di «tutto ciò che è
buono» (v. 8) si impiegano termini di risonanza più greca che giudaica: ciò che è
«amabile», «onorato», «la virtù». La pace di Dio ci rende davvero universali.
III. Q U E S T IO N I A P E R T E
1. Quale prigioniaì
Come abbiamo già ricordato, nell’interpretazione tradizionale non vi è
che un’unica prigionia, dalla quale provengono cinque lettere di Paoloi
Filippesi, Filemone, Efesini, Cólossesi e 2 Timoteo. Si tratterebbe della
prigionia romana e in favore di Roma quale luogo di prigionia vi è una
sola testimonianza esplicita: quella di 2 Tim. 1,17 , compresa nella peri-
cope finale di Atti (28,30). Istintivamente tutti gli scritti dalla prigionia
venivano inseriti in questa cornice conosciuta. Nel caso di Filippesi si
citava inoltre il «pretorio» di 1,13 e la «casa di Cesare» di 4,22, mentre
di Filemone si sottolineava l’idea generale che Roma fosse la meta idea
le per uno schiavo fuggitivo.
Si è già osservato che possono essere prese in considerazione anche
altre ipotesi. Dal punto di vista del dato esplicito si può cominciare con
Le lettere ai Filippesì e a Fìlemone 3 15
Cesarea: qui l’apostolo dimorò per due anni in una prigionia abbastan
za confortevole (Atti 24,23.27). Siccome non tutti coloro che si erano
recati a Gerusalemme con Paolo si fermarono con lui, quelli che rientra
rono in patria poterono informare i cristiani di Filippi e della regione di
Efeso che l’apostolo era prigioniero a Cesarea. E dunque sia Epafrodito
(Filippesi) sia Onesimo, che «cercava Paolo» (Filemone), avrebbero po
tuto recarsi a trovarlo dove stava, fornendo così l’occasione per le due
lettere oggetto del nostro studio. Prima di poter accogliere positivamen
te tale ipotesi, però, occorrerebbero motivazioni ulteriori.
Vi è ancora un’altra possibilità, alla quale si perviene grazie a certe
allusioni indirette delle lettere di Paolo ai Corinti: la città di Efeso. Du
rante il primo anno della sua permanenza in questa località, l’apostolo
dovette sostenere una «lotta contro le belve» (si legga «tortura»), come
afferma in 1 Cor. 15,32, alludendovi come a un fatto noto a tutti. A no
stro parere bisogna distinguerla dalle altre «tribolazioni», di cui ci parla
in 2 Cor. 1,8-10 come di cosa recente, non a conoscenza dei destinatari:
queste sarebbero culminate in una sentenza di morte «pendente su di
lui», ossia non pronunciata ma esistente come possibilità.11 In teoria po
tremmo collocare le nostre due lettere in uno qualsiasi di questi momen
ti. Di fatto, Efeso si trova in una posizione abbastanza prossima a Filip
pi e, com’è evidente, molto vicina a Colossi, ove risiedeva Filemone. Chi
opterà a favore di questo periodo per datare le due lettere o anche una
sola delle due, dovrà anche decidere se preferire la prima o la seconda
tribolazione. Però sarà già molto se riuscirà a dimostrare che tale lettera
fu scritta da Efeso.
Contro l’ipotesi romana, gli elementi più negativi provengono, secon
do alcuni, dal semplice, fatto che questa si basa su fonti considerate me
no affidabili: gli Atti degli Apostoli e 2 Timoteo. In tal senso ha avuto
buona accoglienza la teoria secondo la quale Paolo fu giustiziato nel
momento stesso in cui giunse a Roma: ciò escluderebbe la possibilità che
possa aver scritto lettere da questa località. Si è anche considerato che
sarebbe opportuno abbreviare il più possibile la prigionia dell’apostolo
a Cesarea (contro l’interpretazione tradizionale di Atti 24,27), eventua
lità che escluderebbe anch’essa la possibilità che Paolo abbia scritto let
tere da questa città.1213
Per quanti accettano questi ultimi due punti è chiaro che sia Filippesi
sia Filemone furono scritte da Efeso, probabilmente durante la prigionia
cui si allude in 2 Cor. 1,8-10, includendo un «pericolo di morte» che
giustifichi FU. 1,21-25; 2,17. In questo caso, la difficoltà non sarà certo
L ’ipotesi che lega Filemone a Cesarea dipende in gran parte dal credi
to che si attribuisce agli Atti, a Colossesi e a 2 Timoteo, perlomeno co
me «fonti generalmente ben informate». Su questa base, l’ipotesi di Ce
sarea spiega meglio la presenza dei compagni che, stando a Film. 24, ac
compagnano Paolo: Marco, Aristarco, Dema e Luca.
Se Marco è lo stesso di Atti 12,12.25; 15,37.39, diffìcilmente Filemo
ne potrà essere stata scritta da Efeso, perché Marco, la cui madre dimo
rava a Gerusalemme (12,12), resta nella cerchia di Barnaba e non parte
cipa né al secondo né al terzo viaggio di Paolo. Considerazioni analoghe
valgono per Aristarco; se è il tessalonicese di Atti 19,29; 20,4; 27,2,
perché non accompagna l’apostolo fino alla fine del terzo viaggio? Si po
trà pensare la stessa cosa a proposito di Dema, che secondo 2 Tim. 4,10
se ne tornò a Tessalonica. Quanto a Luca, menzionato in Col. 4,14 e 2
Tim. 4 ,11, rimane il dubbio che sia il «noi» narratore di Atti. Se è così,
non si unisce a Paolo fino al viaggio a Gerusalemme (Atti 20,16). Dun
que nemmeno lui poteva essere a Efeso.15
Tuttavia si intuisce che tutti questi erano con Paolo a Cesarea e non è
improbabile che lo accompagnassero poi a Roma: certamente Dema e
Luca, e forse anche Marco, stando a 2 Tim. 4,10 s. (cfr. 1 Pt. 5,13).
La discussione si limiterebbe dunque a Cesarea e Roma. La seconda
costituirebbe una meta migliore per uno schiavo fuggitivo. Bisognerebbe
tuttavia sapere se Onesimo era davvero uno schiavo in fuga oppure sta
va cercando un amico del padrone per riappacificarsi con lui. L’ipotesi
romana resta invece valida per quanti ritengono che Paolo, dopo l’atte
sa liberazione, si diresse a Oriente (secondo Film. 22) e non verso Occi
dente (secondo Rom. 15,24.28). Noi non condividiamo quest’idea.16
La soluzione che proponiamo, infatti, è che Filippesi sia stata scritta
da Efeso e Filemone da Cesarea.
3. Un inno prepaolino
Bibliografia
Disponiamo di commenti a Filippesi, interessanti ma non definitivi, in francese, co
me quello di P. Bonnard, L’Épitre de Saint Paul aux Philìppiens, Neuchàtel 1950, e
in castigliano, come quello di J.M. Gonzàlez Ruiz, Cartas de la Cautividad, Ma
drid 19 5 6.
In tedesco spicca l’eccellente commento a Filippesi di E. Lohmeyer, Der Brief
an die Philipper, Gòttingen 1974; Vl si possono aggiungere i commenti più com
pleti ed equilibrati di J. Gnilka a entrambe le lettere: La lettera ai Filippesi, Bre
scia 1972, e Der Philemonbrief, Freiburg i.Br. 1982, come pure il testo già citato
di Egger. Sulla stessa linea di equilibrio troviamo E. Lohse, Le lettere ai Colosse-
si e a Ftlemone, Brescia 1979, 329-368 e i commenti inglesi di R.P. Martin, Phil
ippians, Grand Rapids, Mich. 1980; Idem, Commentary on Colossians and Phil-
emon, Grand Rapids, Mich. 19 8 1; F.W. Beare, The Epistle to thè Philippians,
London 1959; F.F. Bruce, The Epistles to thè Colossians, to Philemon and to thè
Ephesians, Grand Rapids, Mich. 1984. Su una linea più polemica, G. Friedrich,
La Lettera ai Filippesi, in Aa. Vv., Le lettere minori di Paolo, Brescia 1980, 17 7
245; Idem, La Lettera a Ftlemone, in op. cit., 353-370. Si vedano inoltre J. Ernst,
Le lettere ai Filippesi, a Filemone, ai Colossesi, agli Efesini, Brescia 1986, 27-164.
165-190; R. Fabris, Lettera ai Filippesi. Struttura, commento e attualizzazione,
Bologna 1983; G.D. Fee, Paul’s Letter to thè Philippians, Grand Rapids, Mich.
1995; R. Lehmann, Epìtre à Philémon. Le christianisme primitif et Vesclavage,
Genève 1978 e le opere citate di Pesch, Mengel e Schenk, incentrate rispettivamen
te sulla comunità, la situazione e la composizione di Filippesi. Per la lingua ita
liana, si aggiunga infine il recente commento di R. Fabris, Lettera ai Filippesi. Let
tera a Filemone, Bologna 2001.
Capitolo x i i i
L e le tte r e a i C o lo s s e s i
e a g li E f e s in i
1. Comunità destinataria
Colossi, nella valle del Lieo, è una città dell’ «Asia», ossia della regione
di Efeso, in stretto contatto con Laodicea (cfr. Col. 2,1; 4,13.16) e Ge-
rapoli (cfr. 4,13). Giunse a rivestire una certa importanza soprattutto
per la sua industria tessile, ma fu distrutta da un terremoto nell’anno
61, probabilmente mentre Paolo era ancora in vita.1 Colossi non viene
più menzionata in tutto il Nuovo Testamento, mentre Laodicea ricom-
1 . Cfr. ABD i, 10 8 9 , ove si ritiene che il cataclisma sia potuto avvenire nel 6 0 o nel 64,
322 Le lettere della prigionia
pare come una delle sette chiese dell’Apocalisse (Apoc. i , i i ; 3,14). L’at
tribuzione della lettera proprio a questa comunità, pertanto, non si spie
ga facilmente né con allusioni letterarie né per interesse personale di
qualcuno che vivesse lì dopo le date citate. Negli anni ottanta, è proba
bile che della città non restassero che pochi sopravvissuti e forse qual
che ricordo dell’ «eresia di Colossi»; infatti, come vedremo, pare non si
trattasse di un’eresia inventata.
La lettera afferma con grande naturalezza che i colossesi «hanno ap
preso» il cristianesimo da Epafra (1,7); in 4,12. s. questi viene ricordato
un’altra volta e messo in relazione con le comunità di Laodicea e Gera-
poli. Come accompagnatore del latore della lettera figura un certo One-
simo, «uno dei vostri» (v. 9). Viene inoltre nominato Archippo, che sta
svolgendo un «ministero» (v. 17) ma forse non in modo ineccepibile.
Questi tre nomi figurano anche in Filemone ed è difficile ritenerlo casua
le. Nell’ipotesi di autenticità (di Colossesi, perché Filemone non è messa
certo in dubbio), risulterebbe che Archippo [Film, z) esercita il ministe
ro nella «chiesa» che si riunisce a casa di Filemone... a Colossi; che One-
simo, partito da quella città, è proprio lo schiavo che fa ritorno dal suo
padrone (v. io) ed Epafra viene menzionato con particolare rilievo (v.
23) in quanto fondatore della comunità.
Nell’ipotesi della non autenticità, è evidente che l’autore non presenta
solo queste coincidenze con Filemone; i nomi di Aristarco, Marco, De
ma e Luca, infatti, compaiono sia in Col. 4,10.14 sia in Film. 24. Chi ri
tenga che l’autore di Colossesi abbia tratto tutti questi elementi da Fi
lemone, dovrà aggiungervi anche un’altra fonte in cui si parli di «Colos
si», perché Filemone non la menziona affatto. Tuttavia si può ben sup
porre che, nel quadro di quest’ipotesi, chi aveva trasmesso la lettera a
Filemone all’autore di Colossesi gli avesse comunicato anche l’informa
zione relativa al luogo in cui risiedeva il suo destinatario. Ad ogni modo
la comunità di Colossi esisteva veramente, unita (probabilmente) a quelle
di Laodicea e Gerapoli (Col. 4,13.16). Tutt’e tre, com’è ovvio, sarebbe
ro comprese tra le «chiese dell’Asia» che inviano saluti in 1 Cor. 16,19.
Dalla lettera a Filemone si può dedurre qualcosa di più rispetto alla
comunità di Colossi. Per prima cosa, che il suo fondatore Epafra era un
«uomo di Paolo» perché, malgrado i molti elementi che si ricordano a
proposito delle tre comunità, preferì restare con l’apostolo, prigioniero
insieme con lui (riteniamo nella linea di Atti 24,23). Anche Filemone do
vette mantenere uno stretto rapporto personale con Paolo; per averne la
misura, basti osservare l’uso dei pronomi della seconda persona singola
re in quasi ogni versetto della lettera (vv. 4-8.11-14.16.18-21), nonché
l’affermazione secondo cui Filemone è «debitore di se stesso» a Paolo
(v. 19). Questi due elementi fanno capire che l’apostolo doveva essersi
Le lettere ai Coiossesi e agli Efesini 3 23
3. Stile e vocabolario
Sullo stile di Colossesi si è già scritto abbastanza.1 Partendo di qui e dall’osser
vazione diretta possiamo dire che Colossesi mostra tutti i difetti di Paolo e, anzi,
qualcuno di più (soprattutto per il gusto moderno): la mancanza di una compo
sizione elaborata e di segni di punteggiatura, la presenza di frasi che non giun
gono a concludersi perché vi si vanno ad aggiungere sempre nuovi elementi, l’im
pressione che da un tema si passi inopinatamente a un altro. Ciò si riscontrava
in discreta misura in tutte le lettere, in particolare in quelle non comprese tra le
quattro maggiori. Qui vi si aggiunge una maggiore ieraticità (stile liturgico), fra
si più ampie, espressioni piu barocche, un accumularsi di sinonimi e di genitivi,
oltre ad altri difetti non così frequenti (ma neppure del tutto assenti!) nelle lette
re autentiche. In Colossesi manca inoltre l’impronta dialettica e argomentativa
che distingueva le quattro grandi lettere, ma in questo coincide interamente con
Tessalonicesi e Filippesi.
D’altra parte esibisce anch’essa le qualità di Paolo: uno stile denso, diretto, emo
tivo, originale quanto a idee ed espressioni, con una serie di punti culminanti a
livello di parole e frasi. A tal proposito diremo qualcosa di più al momento di op
tare per l’autenticità o meno della lettera.
Quanto al linguaggio, osiamo dire che rientra perfettamente entro gli (ampi) pa
rametri determinati dalle sette lettere considerate autentiche.
Il vocabolario di Colossesi è costituito da 4 31 parole; nomi propri a parte, pre
senta 34 hapax neotestamentari e 50 parole non ricorrenti in nessuna delle sette
lettere autentiche. Con questo vocabolario l’autore compone un’opera di 1.577
parole, con una media - considerata l’estensione - affine al complesso delle lette
re paoline (1.577 : 4 3 1 = 3,66). Ricordiamo che Filippesi, simile per estensione
(1.624), presentava una media di vocabolario analoga (1.624:448 = 3,62), un nu
mero leggermente maggiore di hapax neotestamentari (39) e un numero lieve
mente inferiore di «hapax paolini» (46). Nelle grandi lettere tutti questi valori era
no sia assolutamente sia relativamente maggiori.
Per quanto riguarda gli hapax neotestamentari, ne abbiamo citati già quattro,
probabilmente presi dall’eresia colossese: sylagogeo («abbindolare»), philosophia
(«filosofia»), neomenia («novilunio»), katabrabeuo («defraudare del premio»),
embateuo («penetrare»). Può dunque trattarsi di citazioni implicite, non ricon
ducibili al lessico dell’autore. Anche l’inno cristologico (1,15-20) è ritenuto una ci
tazione letterale. Vi figurano, per quanto ci riguarda, due hapax del Nuovo Te-
z. Cfr. sotto, v . i b.
Le lettere ai Colossesi e agli-Efesini 3 2 .5
4. Suddivisioni maggiori
II. I D A T I D E L P R O B L E M A . L A L E T T E R A A G L I E F E S I N I
Fin dai primi secoli in Occidente, per non parlare dell’Oriente, l’entu
siasmo per l’apostolo Paolo ha dovuto molto alle espressioni illuminate
della lettera agli Efesini. Certo, la massima considerazione è riservata
principalmente alla lettera ai Romani, però è un dato di fatto che que-
st’ultima abbia servito più per la polemica e la tragedia che non per l’en
tusiasmo e la mistica.
Non sarebbe corretto parlare oggi della lettera agli Efesini senza ri
cordare i dubbi, certamente attendibili, che circondano la sua autentici
tà paolina. Ma non sarebbe corretto neppure trasformare questi dubbi
in sentenza inappellabile né, tantomeno, trascurare per causa loro uno
dei messaggi che maggiormente hanno influito sulla storia del cristiane
simo. Il messaggio infatti esiste, anche se a elaborarlo non è stato altri
che un discepolo di Paolo.
Come per Colossesi, inizieremo raccogliendo i dati certi sul proble
ma, soprattutto ciò che la lettera afferma di se stessa; procederemo
quindi nella lettura del testo, per poi passare a mettere insieme le due
lettere e, senza trascurarne le differenze, ad affrontare le questioni che
rimangono aperte: autenticità, fonti, relazioni reciproche.
x. Comunità destinataria
Non si sa con certezza se, nella redazione primitiva, l’indirizzo della let
tera riportava le parole «in Efeso», assenti in manoscritti autorevoli
come il Papiro 46 e la prima mano dei codici Vaticano e Sinaitico.4 E
4. Cfr. Metzger, T e x t u a l , 5 3 2 .
Le lettere ai Colossesi e agli Efesini 327
5. O, Pfleiderer, P a u lin is m u s , 377-39 2,, ritiene che la lettera ai Colossesi sia stata scritta «sotto
^influsso delPellenismo», mentre Efesini (pp. 4 33-4 6 4 ) rientra già nel «passaggio al cattolice
simo»; sulla sua scia, ad esempio, W .G . Kummel, E in le it u n g in d a s N e tte T e s t a m e n t i Heidel
berg 19 8 3 , è tanto categorico nell’accogliere l’autenticità di Colossesi {pp. 19 8 -3 0 5 ) come lo è
nel negarla a Efesini (pp, 3 14 -3 2 0 ).
3Z 8 Le lettere della prigionia
3. Stile e vocabolario
È curioso che chi adduce importanti motivi stilistici quando si tratta di dimostra
re la non autenticità paolina di Colossesi, se ne dimentichi improvvisamente al
momento di chiedersi se Efesini e Colossesi debbano essere attribuite a un mede
simo autore. Efesini, infatti, presenta tutti i limiti di Paolo (mancanza di ordine e
di segni di punteggiatura), oltre a tutti i difetti di Colossesi (espressioni più ba
rocche, accumulo di sinonimi e genitivi), ma vi compaiono anche, e in alto gra
do, le qualità di entrambi.
33° Le lettere della prigionia
Quanto al linguaggio, che risulta un po’ più «calcolabile», rientra anch’esso ne
gli (ampi) parametri stabiliti dalle sette lettere autentiche. Il vocabolario di Efesi
ni consta di 529 parole; 39 di esse sono hapax neotestamentari e 79 sono termini
non riscontrabili in nessuna delle sette lettere autentiche. Con questo vocabola
rio, l’autore stila un’opera di 2.42.5 parole, con una media di 4,58 (2,425 : 529),
che si avvicina molto a quella della lettera ai Galati, la quale è anche la più vici
na per estensione (4,23 per 2.225 parole). Ricordiamo che la proporzione di vo
cabolario era di 3,66 (1.577 : 4 31 ) per Colossesi e di 3,62 (1.624 : 44**) per Fi-
lippesi, entrambe di estensione simile. Quanto agli hapax, Galati presentava 37
hapax neotestamentari e 64 hapax paolini (parole che non compaiono nelle altre
sei lettere autentiche). Si tratta di proporzioni simili a quelle esistenti tra Colos
sesi e Filippesi, rispettivamente 34/50 e 39/46.
Vorremmo aggiungere ancora una considerazione sulla paolinità di Efesini. Vi
compare un’intera serie di termini, quasi tutti significativi, presenti soltanto in que
sta lettera e in alcune delle lettere protopaoline (dunque, con esclusione di Colos
sesi). Accanto alla parola e al suo significato segnaleremo la sigla della lettera (o
delle lettere) in cui essa compare. Si tratta dei seguenti termini: aletheuo («realiz
zare la verità», in Gal.), anakephalaiousthai («ricapitolare», in Rom.), anexich-
niastos («imperscrutabile», in Rom.), arrabon («caparra», in 2 Cor.), epichore-
gia («distribuzione», in FU.), euodia («profumo», in 2 Cor.), thalpein («dare ca
lore», in 1 Tess.), kamptein («piegare», in Rom. e FU.), parorgtzein («provocare
l’ira», in Rom.), pepoithesis («fiducia», in 2 Cor. e Fil.), perikephalaia («elmo»,
in 1 Tess.), pleonektes («avido», in 1 Cor.), poiema («opera ben fatta», in Rom.),
preshenein («rappresentare come ambasciatore», in 2 Cor.), proetoimazein («pre
parare in anticipo», in Rom.), prosagoge («accesso», in Rom.), protithesthai («col
locare», in Rom.), hyiothesia («adozione a figlio», in Rom. e Gal.), hyperballein
(«superare», in 2 Cor.), hyperekperissou («oltre ogni misura», in 1 Tess.).
Nessuna di queste osservazioni risolve anticipatamente la questione dell’auten
ticità, però bisognerà tenerne conto al momento di affrontarla.4
4. Suddivisioni maggiori
L’idea che, senza pregiudizio su chi possa esserne stato l’autore, Efesini
possa costituire una «rilettura» di Colossesi ha dei precedenti nelle due
lettere ai Tessalonicesi e nel confronto tra Galati e Romani. Osiamo tut
tavia affermare che in questo caso la relazione è ancora più stretta: più
letterale e, soprattutto, più legata alla struttura della lettera. In linea ge
nerale si possono individuare gli stessi blocchi, quasi nel medesimo or
dine. Risulterebbe infatti:
1. Introduzione epistolare (1,1-23)
a) Indirizzo (1,1 s.)
b) Primo esordio: il piano eterno di Dio (1,3-14)
c) Secondo esordio: elogio dei destinatari (1,15-23)
2. Le basi del cristianesimo: dalla morte alla vita (2,1-22)
3. Il ministero apostolico (3,1-21)
4- Esortazione generale: la risposta cristiana (4,1-5,10)
5. Esortazioni particolari: la famiglia cristiana (5,21-6,9)
6. Conclusione della lettera (6,10-24)
a) Esortazione finale (6,10-20)
b) Saluti e benedizioni (6,21-24).
La grande differenza rispetto a Colossesi è che anche Efesini si ispira
all’inno cristologico, senza tuttavia trascriverlo. Il «sapore di eternità»
che l’inno conferiva viene audacemente reso da Efesini con l’esordio-be
nedizione che inizia la lettera. Il cap. 2 di Efesini, riguardante il passag
gio dalla morte alla vita, si ispira piuttosto a quanto afferma Colossesi
riguardo all’eresia diffusa nella città (2,4-23), ma con una differenza ra
dicale: invece di combattere un’eresia esalta l’unità alla quale è giunta la
chiesa. Riguardo al ministero apostolico, all’esortazione generale e alle
esortazioni particolari sulla famiglia cristiana, esistono notevoli paralle
lismi tra le due lettere. Le differenze si riaffacciano verso la fine, dove la
gran quantità di riferimenti a persone conosciute di Colossesi è rimpiaz
zata da un’esortazione assolutamente generale e da una notizia conclu
siva ( 6 , 2 t s .) che, come accennavamo prima, potrebbe essere copiata.
III. L E T T U R A D E L L A L E T T E R A A I C O L O S S E S I
cristiano relativo alla sapienza dello Spirito (v. 9: pneumatike)10 e ai frutti in ope
re buone (v. io )11*per la potenza della sua gloria {v. 1 1 ) / 2,
Il prologo all’inno considera l’esistenza cristiana come un passaggio dalle tene
bre alla luce (vv. 12 s.),13 ossia al regno di suo Figlio/4 L’inno in quanto tale {w.
15-20) racchiude elementi già accolti da Paolo e altri nuovi, almeno quanto alla
forma. Paolo aveva affermato che Dio è invisibile (Rom. 1,20) e Cristo ne è l’im
magine (2 Cor. 4,4; cfr. 3,18), il primogenito (Rom. 8,29), superiore ai principa
ti e alle potenze (Rom. 8,38; 1 Cor. 15,24) e mediatore della creazione (1 Cor. 8,
6: dVhou ta panta). Aveva anche detto che è «capo» (1 Cor. 11,3) e gli aveva at
tribuito la riconciliazione (Rom. 5,10 s.; 1 1 ,1 5 ; 2 Cor. 5,18-20). Paolo parla an
che (Rom. 1 1 ,1 5 ; 2 Cor. 5,19) di riconciliazione «del mondo», e per lui la stessa
creazione materiale è in attesa di liberazione (Rom. 8,19-21), ma il contesto mo
strerà sempre che l’apostolo intende la redenzione dell’uomo. L ’inno, invece, ha
una prospettiva molto più apertamente cosmica: «tutta la creazione» (Col. i,i5b),
«nel cielo e sulla terra» (w. i6b.2oe), «ciò che è visibile e ciò che è invisibile» (v.
i6c); inoltre parla non solo di «principati e potenze» (v. i6e), ma anche di «tro
ni e dominazioni» (v. i6d). Afferma, poi, non soltanto che ogni cosa è stata crea
ta «per mezzo di lui» (v. i6f: ta panta di’autou, come 1 Cor. 8,6), ma anche «in
lui» (v. i6a, quasi ampliando l’espressione paolina «in Cristo»); aggiunge anco
ra che ogni cosa è «destinata a lui» {v. i6f: eis auton) e «sussiste» in lui (v. I7b:
en auto synesteken). Rimandiamo alle questioni aperte l’interrogativo se, nell’in
no originale, mancavano i riferimenti alla «chiesa» (v. i8a) e l’allusione alla mor
te redentrice di Cristo (v. 2ob: «per mezzo del sangue della sua croce»). Di fatto,
entrambi questi elementi compaiono nel contesto successivo (risp. vv. 24 e 22),
indubbia aggiunta dell’autore della lettera.
Nel commento all’inno (vv. 2 1 - 2 3 ) riconciliazione avviene «per mezzo della
sua morte» (v. 2 2 b ) , 15 però «nel corpo della sua carne», frase che unisce l’idea di
«incarnazione» del Figlio a quella della nostra «incorporazione» nel suo miste
ro /6 Tale riconciliazione ci costringe a «presentarci» a lui (v. 22C )17 e a rimanere
«fondati» (v. 2 3 )l8 nella fede e nella speranza.
con la forza che viene da Dio (v. 2.9), del «mistero nascosto da secoli» (v. 2.6:
mysterion, apokekrymmenon, aionon, come in 1 Cor. 2,7), che è Cristo (v. 27).
Come in una sorta di postilla, in 2,1-3 Paolo proclama apertamente per chi ha
dovuto patire (v. 1) e aggiunge qualcosa a proposito di Cristo: mistero di Dio (v.
2), nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza (v. 3, a
imitazione di Rom. 11,33).
me «osservare mesi, stagioni e anni» (v. io) o come venerare falsi dèi {v. 8). Nel
la realtà colossese (se ne riparlerà nelle «questioni aperte») questi «elementi» (vv.
8.20) potrebbero essere assimilati agli angeli, ma allora dovrebbero essere sottesi
nel paragrafo che precede. Noi, invece, preferiamo vedere in essi la mera dipen
denza (Col. 2,20: dogmatizesthe) da prescrizioni tipo «non prendere, non gusta
re, non toccare» (v. 2 1; cfr. v. i6a), o dall’osservanza di «feste, noviluni, sabati»
(v. iéb; cfr. Gal. 4,10), pratiche delle quali si può dire che sono, tutt’al più,
l’ «ombra» di ciò che deve venire (v. 17; cfr. Ebr. 10,1).
In ogni caso si tratta di pratiche esistenti e a loro riguardo è detto che: a) sono
«tradizioni degli uomini» (vv. 8c.22b), disapprovate da Cristo (Mt. 15,2 par.);
b) con le loro «prescrizioni» (cfr. 2ob) costituivano un documento contro di noi,
che Cristo ha inchiodato sulla croce (v. 143; cfr. Gal. 3,13); c) non danno nulla
di quanto promettono (v. 23).
sua, questa persona deve ricercare la felicità di coloro che le sono stati affidati
(w. 19 .zi), poiché anch’essa ha un padrone lassù in cielo (4,1).
Viene quindi affrontato il tema della preghiera (v. z; cfr. 3,16), che si tramuta
poi in richiesta di preghiere (vv. 3 s.).31 La pericope si conclude poi (w. 5 s.) con
Pimmagine del condire con il «sale» le relazioni con quelli di fuori, suggerendo
l’idea che in questo modo compenserebbero il cattivo esempio dato in passato.
IV . L E T T U R A D E L L A L E T T E R A A G L I E F E S IN I
38. Cfr. w . 6 .14 ; Fil. 1 , 1 1 . 39 . Cfr. Col. 1 ,3 ; Rom. 1,1 0 . 40. Cfr. Rom. 8,34.
4 1 . Cfr. 1 Cor. 15,2.4. 42. Cfr. Fil. 2,9. 4 3. Cfr. 1 Cor. 1 5 ,2 7 . 44. Cfr. 1 Cor. 1 1 ,3 .
4 5. Cfr. 1 Cor. 1 5 ,2 8 . 46. Che può certo evocare Rom. 3,9 -20 ; cfr. orge in 1,18 -2 0 .
4 7. Cfr. 1 ,7 .1 8 ; Rom. 9 ,23 . 48. Cfr. v. 1 5 ; 4 ,24 ; 2 Cor. 5 , 1 7 ; Gal. 6 ,15 .
49. Cfr. 2 Cor. 4,7. 50. Cfr. Rom. 3,20 ; 4 ,2. 5 1 . Cfr. Col. 2 , 1 1 . 1 3 ; Rom. 2 ,2 7 s.
52. Cfr. Rom. 9,4. 53. Cfr. 1 Tess. 4, risp. vv. 13 e 5.
Le lettere ai Colossesi e agli Efesini 337
58. Cfr., quasi alla lettera, 1 Tess. 2 ,1 2 e FU. 1,2.7: «del vangelo»; Col. 1,1 0 : «del Signore».
59. In linea con Col. 3 , 1 2 - 1 4 e Rom. 1 2 ,3 .8 - 2 1 . 60. Tema di j Cor. 1 2 ,4 .8 -1 3 .
6 1. Quattro di questi tipi di «unità» (vv. 4-6) si ritrovano esplicitamente in Paolo: «un solo
corpo» e «un solo Spirito» è la sequenza di r Cor. 1 2 , 1 2 s.; il parallelismo tra «un solo Signo
re» e «un solo Dio [e] Padre» è il grande contributo di 1 Cor. 8,6; l’unità della speranza, della
fede e del battesimo è invece implicita nel modo in cui ne parla (cfr. 1 Cor. 1 5 , 1 1 ; Gal. 1,6-8).
62. Anche Rom. i o ,6 s. vincola la salvezza a una «discesa» e a un’ «ascesa» di Cristo. D ’altra
parte, Rom. 1 2 ,3 parla di una «misura» dei doni, che però vengono attribuiti a Dio, come pu
re 1 Cor. 12 ,2 8 ne attribuisce a Dio la distribuzione. Il passaggio, favorito dalla citazione del
Salmo, si basa su una grande unità tra il Signore e Dio Padre.
6 3. Sono inclusi anche i tre ruoli che nell’elenco di 1 Cor. 12 ,2 8 seguivano un ordine preciso
(«primo..., secondo..., terzo...»), però gli «evangelisti» e i «pastori» sono posti tra i «profeti»
e i «maestri»; vengono tralasciati quelli che potrebbero essere definiti «carismi di azione»
(miracoli, soccorso) o «di contemplazione» (il dono delle lingue).
64. Cfr. diakortia, «ministero», in Rom. 1 1 , 1 3 ; oikodome, «edificazione», in 1 Cor. 14 ,
3 .5 .1 2 .2 6 . 65. Cfr. Gal. 4 ,19 . 66. Cfr. 1 Cor. 1 2 ,2 4 s-
Le lettere ai Colossesi e agli Efesini 339
V. QUESTIONI APERTE
fatto, alla luce del problema relativo all’autenticità delle lettere ripren
deremo ciò che è stato detto sinora riguardo alle circostanze persona
li concomitanti a ciascuna lettera, al loro linguaggio e stile, e ad altri
quattro punti concernenti tematiche trattate in entrambe le lettere: la
«giustificazione», la chiesa universale, le relazioni tra giudei e gentili,
l’escatologia.
a) Le circostanze personali
Occorre distinguere chiaramente tra le circostanze che accompagnano la
lettera ai Colossesi e quelle relative a Efesini, perché riteniamo che men
tre nel primo caso esse depongano positivamente in favore della sua au
tenticità, nel caso di Efesini il problema è la possibile mancanza di cir
costanze personali.
Per quanto riguarda Colossesi ricordiamo che, a eccezione di Tichico,
Barnaba, Gesù il Giusto e Ninfa (risp. 4,7.10 .11.15}, tutti i personaggi
che compaiono nella lettera figurano anche in Filemone. Non è tuttavia
così facile spiegare tutte queste allusioni di Colossesi semplicemente co
me frutto della lettura di una lettera tanto breve. Tra l’altro, se l’ipotesi
della non autenticità fosse vera, ci sarebbe da porsi alcune domande:
come potè pervenire al presunto autore uno scritto brevissimo destinato
a un cittadino di Colossi, città ormai sul punto di essere distrutta? E co
me potè pensare, lui che conosceva tutte le lettere paoline, di andare a
cercare dati personali esclusivamente nella lettera a Filemone, quella
che maggiormente correva il rischio di essere dimenticata dalla storia?
Da un lato, l’autore di Colossesi dimostra di conoscere direttamente
le notizie che presumibilmente aveva ricavato da Filemone. In concreto:
a) aggiunge che fu Epafra a evangelizzare Colossi {Col. 1,7), circostanza
non menzionata in Filemone ma che spiegherebbe perché Epafra viene
nominato a parte in Film. 23; b) l’ammonimento rivolto ad Archippo in
Col. 4,17 («Considera il ministero che hai ricevuto») è del genere che si
può rivolgere a una persona giovane (non certo a una più anziana) e ciò
corrisponde alla situazione ipotizzabile in base a Film. 2, in cui Archip
po è presentato quale «compagno d’armi» (anche questa una definizione
che si attaglia di più a un giovane), ma dopo Filemone e una «sorella»
qualsiasi. Deve dunque trattarsi del figlio, nominato dopo la madre (un
figlio che doveva avere una vocazione inferiore a quella del padre!).
Dall’altro lato, Colossesi non dice chiaramente, ma suggerisce ciò che
Filemone afferma, e cioè che Onesimo è lo schiavo restituito al suo pa
drone {Film. io). Ciò spiegherebbe come mai, in Colossesi, non sia lui il
latore ufficiale di notizie, ma solo un accompagnatore {Col. 4,9; cfr. w .
7 s.). Egualmente, a pochi «compilatori» verrebbe da pensare che un sem
Le lettere ai Colossesi e agli Efesini 343
b) Linguaggio e stile
c) La «giustificazione»
Si è detto che queste due lettere non presentano più l’essenza del paoli-
nismo e contengono persino frasi contrarie a esso. Vi è tutta una serie di
7 2 . Chi mette in relazione la lettera agli Ebrei con Cesarea - come noi in un capitolo successi
vo - avrà una conferma dal parallelismo tra Efesini ed Ebrei, secondo quanto mostra A. Van-
hoye, U É p ì t r e a u x É p h é s ie n s e t l'É p it r e a u x H é b r e u x : Biblica 59 (19 78 ) 19 8 -2 30 .
73 . L ’opera più celebre è W. Bujard, S tila n a ly tis c h e U n te r s u c h u n g e n z u m K o lo s s e r b r ie f , Gòt-
tingen 1 9 7 2 . Contempla più aspetti A. Kenny, A S t y lo m e t r ic S t u d y o f t h e N e w T e sta m e n ti O x
ford 19 8 6 , per collocarsi piuttosto a favore dell’autenticità; cfr. anche E. Percy, D ie P r o b le m e
d e r K o lo s s e r - u n d E p h e s e r b r ì e f e , Lund 19 4 6 , 16 -66 , e A. van Roon, T h e A u t h e n t ìc it y o f E p h e -
sianSi Leiden 19 7 4 , 1 0 0 - 2 1 2 , entrambi riguardanti questioni di stile, favorevoli all’autenticità.
74 . Cfr. E.P. Sanders, L it e r a r y D e p e n d e n c e in C o lo s s ia n s : JB L 85 {19 66 ) 28 -4 5.
7 5 . In ogni caso, visto che fino alla seconda metà del 11 secolo non vi è traccia di «studi paoli-
ni», bisognerebbe dunque attribuire questo lavoro di «montaggio» alla «scuola di Paolo» pro
priamente detta; cfr. P. Mùller, A n fà n g e .
Le lettere ai Colossesi e-agli Efesini 345
Per molti suona estremamente grave che Col. 1,2.4 sembri collocare il
suo autore (coinvolgendo anche Efesini, che dipende da Colossesi) agli
antipodi della dottrina paolina quando fa dire all’apostolo: «completo
nella mia carne ciò che manca alle tribolazioni di Cristo». L’antipaolini-
smo del testo risulterebbe evidente se, come afferma l’autore, l’apostolo
giudicasse insufficienti i meriti di Cristo davanti al Padre e decidesse
perciò di aggiungervi qualcosa. Tuttavia, noi siamo del parere che il te
sto non intendeva dire questo; parla piuttosto delle tribolazioni inerenti
alla predicazione del vangelo. Cristo patì mentre era ancora in vita e
adesso gli apostoli debbono sopportare i patimenti che egli lasciò loro
in eredità e che, secondo 2 Cor. 1,5, vengono definiti «sofferenze di Cri
sto in noi».80
d) La chiesa universale
80, j. Kremer, Was an den Leiden C hristi noch mangelt, Bonn 1 9 5 6 , affronta la questione in
modo esaustivo; cfr, spec. 18 9 -19 5 sulle sofferenze «di Cristo», tou Christou ,
8 1, Cfr. J. Sanchez Bosch, Iglesia u n iv e r s a 4 1-4 4 ; Percy, Probleme , 1 2 7 - 1 3 4 .
82, È il caso di E. Schweizer, citato in bibliografia.
83, Insiste sulle differenze, ad es.> il commento di R. Schnackenburg, D er Brief an die Ephesery
Neukirchen 19 8 2 , 26-30. Per la nostra opinione cfr. sotto, v .3.
Le lettere ai Colossesi e agli Efesini 347
Non bisogna poi trascurare il fatto che l’autore delle due lettere non si
mostra affatto favorevole alla legge, intesa come l’insieme delle «prati
che giudaiche» (cfr. Col. 2,14.16.20-22; Ef. 2,15). Tuttavia è molto più
urgente chiedersi se Paolo, la cui vita era segnata dalla polemica, poteva
vedere le relazioni con Israele nei termini idilliaci proposti da Ef. 2,14
(cfr. vv. 15-17): «ha fatto dei due una cosa sola e ha abbattuto il muro
che li divideva».84
La verità è che anche Paolo vedeva l’unità di giudei e gentili nell’in
tento di Cristo («in Cristo Gesù non vi è giudeo né greco»: Gal. 3,28;
cfr. 1 Cor. 12,3), come pure nel futuro («un indurimento parziale ha in
teressato Israele, finché non saranno entrati tutti i gentili»: Rom. 11,25),
malgrado negli ultimi anni avesse egli stesso sperimentato concretamen
te parecchi scontri e molte preoccupazioni.
Eppure, qualcosa c’era che poteva dimostrare a Paolo, prigioniero a
Cesarea, che il muro era stato abbattuto: l’esistenza di un cristianesimo
aperto ai gentili in terra di Giudea e di Galilea, consapevole delle proprie
radici giudaiche (ricordiamo 1 Cor. 9,20; 12,13) nel resto del mondo.
loro le immagini paoline del «capo» e del «corpo» (Col. 2,19; cfr. 1 Cor.
11,3; 12,12-20.22-24.27).
Ef. 4,16 segue la linea «biologica» di Col. 2,19. L’unica differenza è
che i legami (e le giunture) che, per Colossesi, erano semplici canali at
traverso i quali la «pienezza» passava dal capo alle membra, in Efesini
«coordinano» tra di loro tali membra «nella misura di ciascun mem
bro». Notiamo però che in questo Efesini si ispira a tematiche paoline:
a) anche Paolo mette in scena il lavoro di «coordinamento» tra le mem
bra del corpo (1 Cor. 12,2.1-26); b) «nella misura di ciascun membro»
rispecchia una visione di fede (cfr. Rotti. 12,5 e 1 Cor. 12,27), Per la
quale ciascun membro ha una sua collocazione.
Riguardo all’immagine di Dio «agricoltore», Colossesi ed Efesini co
incidono con 1 Cor. 3,6-9: uno pianta l’altro irriga, ma è Dio a far cre
scere (si confronti con Col. 2,19: «la crescita di Dio»). Ma anche qui
Efesini concorda con Paolo nel considerare le relazioni tra i «dipenden
ti»; «colui che pianta e colui che irriga sono la stessa cosa» (1 Cor. 3,8).
Sviluppando ulteriormente il tema della chiesa, Efesini dà prova di
un’originalità maggiore rispetto a Colossesi. Questa originalità, tutta
via, il più delle volte consiste nel recuperare frammenti vari dall’eredità
paolina. In tal senso si mettano a confronto Ef. 5,22 e 1 Cor. 11,3 sul
«capo» dell’uomo e della donna. Lo stesso avviene se si confrontano Ef.
4,4 s. e t Cor. I2,i2d -i3 sulla formazione di «un solo corpo... in un so
lo Spirito», nonché Ef. 4 ,11 e 1 Cor. 12,28 su coloro che hanno una po
sizione fissa (e secondo una gerarchia precisa!) nella chiesa: gli apostoli,
i profeti e i maestri. Anche Efesini presenta un identico ordine, ma in
troduce gli «evangelisti» e i «pastori» tra il «secondo» e il «terzo» livel
lo, probabilmente per soddisfare le esigenze della realtà del momento.
Riprendendo la metafora di 1 Corinti, anche Efesini paragona la chie
sa a un edificio (1 Cor. 3,9; Ef. 2,21). Se in 1 Cor. 14 ,12 si auspica che
ogni cosa sia fatta «per l’edificazione della chiesa», in Ef. 4 ,12 è «per
l’edificazione del corpo di Cristo». Se in 1 Cor. 8,2 si afferma che «l’a
more edifica», in Ef. 4 ,16 si parla di «edificazione per mezzo dell’amo
re». Si è già ribadito che il grande difetto di Efesini è stato di porre gli
«apostoli e profeti» a fondamento della chiesa (2,20), mentre secondo 1
Cor. 3,11 non si può avere altro fondamento che Cristo. Quanto al raf
fronto tra le due lettere, diciamo che Colossesi ricorre all’idea dell’ «es
sere fondati» in perfetto parallelismo con Efesini (cfr. Col. 1,23; Ef. 3,
17) e se Colossesi non dice di più a proposito della chiesa, può essere
che sia perché non intendeva approfondire ulteriormente il tema.
Non scordiamo che, quanto allo stile, nessuno ha riscontrato diffe
renze rilevanti tra le due lettere. Lo stesso vale per il linguaggio, a parte
il già menzionato uso diverso nelle due lettere dei termini «economia»
3 50 Le lettere della prigionia
(Ef. 1,10; 3,2.9; Col 1,25) e «mistero» [Ef. 1,9; 3,3 s.9; 5,32; 6,19; Coi
1.2.6 s.; 2,2; 4,3).
È stato detto che in Col. 1,25 «economia» intende definire semplice
mente il «ministero» dell’apostolo, mentre, soprattutto in Ef. 1,10, indi
ca un progetto eterno assai ambizioso. «Mistero», invece, secondo Ef.
3.6 sarebbe semplicemente l’inclusione dei gentili, mentre secondo Col
1,27 è «Cristo in voi, la speranza della gloria», e secondo 2,2 è «Cri
sto». Certo è singolare che, nelle due lettere, 1’ «economia» si spieghi col
«mistero» e il «mistero» con 1’ «economia». Si confrontino rispettivamen
te Ef. 1,10; 3,2.9; Col 1,25 con Ef. 1,9; 3,3 s.9; Col. 1,2 6 s.
D’altra parte, in Col. 1,25 «economia» non si riferisce semplicemente
al «ministero» dell’apostolo; è detto infatti che egli è m in is t r o «secondo
l’economia di Dio», che si concretizza nel «mistero» dei w . 26 s. E nem
meno questo «mistero», secondo Ef. 3,6, è semplicemente l’inclusione
dei gentili, ma comprende tutto ciò che è appena stato detto (w. 3-5),
alla luce di 1,9 s. e di tutta la lettera, specialmente 2,15: «Creare in se
stesso, dei due, un solo uomo nuovo». Come dire che, tanto per Efesini
quanto per Colossesi, pure il «mistero» è «Cristo», ovvero «Cristo in
voi, la speranza della gloria».
Se per via di queste differenze risulta giustificata l’ipotesi dei due au
tori diversi, ritengo più congrua la rinuncia al tentativo di dimostrare
che le due opere sono di uno stesso autore. Altrimenti faremmo dell’au
tore di Efesini un tipo piuttosto singolare: un autore che ricorre a Co
lossesi come sua fonte principale (sia per quanto riguarda le tematiche
che lo stile e la struttura), malgrado disponga di ima conoscenza pro
fonda e diretta delle sette lettere autentiche, come dimostra il resto dei
temi trattati e delle espressioni usate. Vale a dire che, nel peggiore dei
casi, l’autore della lettera agli Efesini ci fornisce una testimonianza at
tendibile, perché antica, dell’autenticità di Colossesi. Tuttavia preferia
mo porre in modo diverso la questione e affermare che l’unica ragione
per cui l’autore di Efesini può preferire Colossesi a qualsiasi altra lettera
paolina, per quanto nota, risiede semplicemente nel fatto che è egli stes
so l’autore di Colossesi e redige le due lettere a non molta distanza l’una
dall’altra.
Se è evidente che le due lettere sono dello stesso autore, allora non ci
sarà da preoccuparsi per un altro problema specifico posto da Efesini: la
mancanza di destinatari e di circostanze storiche chiare. Proprio perché
questa lettera non riguarda direttamente alcuna situazione concreta,
può essere stata composta dall’autore di Colossesi (a nostro giudizio,
Paolo) senza un destinatario preciso, con la sola idea di esprimere un
pensiero, semplicemente perché in Colossesi erano espressi concetti che
meritavano una maggiore diffusione (come quando l’apostolo scrisse Ro
Le lettere ai Colossesi e agli Efesini 351
3. L'inno cristologico
lui... per mezzo di lui e in vista di lui», che costituisce uno degli elemen
ti più caratteristici dell’inno cristologico.
All’inno cristologico, inoltre, si avvicina maggiormente Efesini che
non Colossesi, allorché in più testi impiega l’espressione «ogni cosa» (ta
panta) nel senso di «l’universo»: 1,10.2,2,-23; 3,9; 4,6- Con ciò l’autore
(supponendo che si tratti della medesima persona) rende giustizia all’in
no cristologico che, oltre a parlare di «tutta la creazione» (Col. 1,15),
usa sei volte l’espressione «tutte le cose» (vv. i6[bis]. 17.20: ta panta; v.
17: prò panton; v. 18: en pastn) nel senso di «l’universo».
A differenza poi del resto di Colossesi, che parla di redenzione in ter
mini di creazione, ma con una certa reticenza (Col. 3,10: «che si rinno
va... a immagine di colui che lo creò»), in 2,10.15 e [n 4>2 4 Efesini parla
apertamente di una nuova creazione. L’espressione più originale compa
re in 2,15, che attribuisce a Cristo l’atto creativo pur all’interno della
creazione nuova. Gli altri due rimandi, insieme all’intero contesto della
lettera (si ricordi il «Benedetto sia Dio» di 1,3, e «sono doni di Dio»,
2,8), pongono in evidenza Dio come principale protagonista. Resta pur
sempre vero che, anche se in misura limitata, Efesini ha sfruttato un te
ma che nel resto di Colossesi non veniva neppure sfiorato: la partecipa
zione di Cristo alla creazione.
Saremmo dunque propensi a concludere che tanto Colossesi quanto
Efesini sarebbero state scritte sotto l’impatto dell’inno cristologico. Co
lossesi, che ce ne fornisce il testo, costituirebbe comunque un’elabora
zione modesta dei contenuti dell’inno, mentre Efesini ne rappresente
rebbe uno studio più elaborato.
Quanto all’inno vero e proprio, a prescindere dalle sue presunte ag
giunte e dalla sua interpretazione nella lettera stessa, abbiamo già detto
che in due punti esso supera la cristologia espressa in 1 Cor. 8,6, secon
do la quale Cristo era colui «per il quale tutto è stato fatto» (panta di'
autou). È detto infatti che «ogni cosa è in vista di lui» (Coi i,i6f) e
«tutte le cose sussistono in lui» (v. i7b). Riteniamo che queste due af
fermazioni avanzate siano possibili all’interno di una logica cristiana:
equivalgono a dire che il Figlio eterno non si mise tranquillo dopo aver
partecipato alla creazione, ma cominciò a comportarsi da Signore sulle
cose invisibili, prima di essere costituito tale anche su quelle visibili, do
po la sua risurrezione. Quanto a un’eventuale origine giudaica della pri
ma parte dell’inno (vv. i5-i8a), diremmo che le speculazioni a proposi
to della sapienza e del logos vanno a sostegno dell’idea di un mediatore
nella creazione, anche se difficilmente si giungerebbe ad affermare che
ogni cosa è stata fatta in vista di lui; la caratteristica di Israele, infatti, è
quella di rendere culto al Dio invisibile e non alla sua immagine.90
90. Ci riferiamo all’inno come testo completo; altro è che le speculazioni intorno a Gen* r ,z 6
354 Le lettere della prigionia
Nel mondo pagano sarebbe più facile che il dio supremo lasci tran
quillo l’universo e tutto il culto sia riservato a una sua emanazione. Né
sarebbe così inconcepibile, sulla scia dei w . i8b-20, pensare a un mito
di morte e risurrezione e a una riconciliazione tra cielo e terra. Ma diffi
cilmente tali faccende meno importanti sarebbero lasciate a un’entità in
cui abiti tutta la pienezza della divinità. In ambiente cristiano, invece,
non è sconvolgente pensare che colui «per il quale ogni cosa è stata fat
ta» possa diventare primogenito dei mortali, prima di esserlo «tra i
morti», e ricevere tutta la pienezza della divinità per riconciliare con es
sa il cielo e la terra.
Bibliografia
C h i in ten d a rip ren d ere la d iscu ssio n e su ll’ even tu ale au ten ticità di C o lo ssesi ed E fe
sini con tutti gli a rg o m e n ti, tro v e rà nelle n ote a p iè di p a g in a i riferim en ti a p p ro
p ria ti. C h iu n q u e a b b ia m eno pretese p u ò a ffro n ta re (a lm en o in parte) il co m p ito
d i m ettere a c o n fro n to testi delle due lettere co n testi p a ra lle li di P a o lo , g iu n g en
d o m a g a ri a lla c o n clu sio n e ch e si tratta di u n ’o p e ra a lq u a n to o rig in ale di un p ro
fo n d o co n o scito re di P a o lo , certo senza esclu d ere la so lu zio n e che a b b ia m o p r o
p o sto so p ra . A . P itta , Sinossi paolina, C in isello B a ls. 1 9 9 4 , c o stitu isce un b u o n su s
sid io p er l’in d iv id u a z io n e d i tali p ara lleli. D ’ a ltra p a rte , q u a lsia si co m m en to se
rio delle lettere, a p rescin d ere d a lla p o sizio n e d e ll’ a u to re rig u a rd o alla lo ro au ten
ticità o m en o, so litam en te rip o rta i testi p a o lin i che p iù si p re sta n o a co m p re n d e r
le. C h i, in oltre, a b b ia la p o ssib ilità di acced ere a testi p a g a n i, giud ei o g n o stici,
ta lo ra citati co m e p a ra lle li a qu elli in esam e, ve rific h e rà l’ a sso lu ta assen za d i c o n
fro n to tra i d u e tipi di a ffin ità , sen za che c iò sign ifich i d isp rezzare l’u n a o l’a ltra .
C o m e co m m en ti, o ltre a q uelli g ià citati, u n o dei m ig lio ri a E fesin i rim an e H.
S ch lier, L a lettera agli Efesini, B rescia ^ 1 9 7 3 ■ P iù recen ti e di rilievo so n o J .N .
A le tti a C o lo sse si, Lettera ai C o Mossesi, B o lo g n a 1 9 9 4 , e R. P enn a a E fe sin i, L a
lettera agli Efesini, B o lo g n a 1 9 8 8 , en tram b i su p erati in p ro fo n d ità e sig n ificato
p e d a g o g ic o d a F . M o n ta g n in i, Lettera agli Efesini, B re sc ia 1 9 9 4 . In lin gu a ita lia
n a è o ra d isp o n ib ile an ch e il recente (l’edizion e o rig in a le in glese è del 19 9 8 ) c o m
m en to di E. B est, Lettera agli Efesini, B rescia 2 0 0 1 , ric c o di e x cu rsu s e app en d ici
(del m ed esim o a u to re è sta ta e d ita an ch e u n a ra c c o lta di artic o li sulla lettera ag li
E fe sin i: Essays on Ephesians, E d in b u rg h 1 9 9 7 ) .
T r a i com m en ti in lin gu a in glese si seg n ala in p a rtic o la re M . B a rth , T he Epistle
to thè Ephesians, 2 v o li., G a rd en C ity , N .Y . 1 9 7 4 , n o n ch é la gran d e con o scen za
di M a rtin nel co m m en to a C o lo ssesi e i co m m en ti di B ru ce alle due lettere (en
tram b i am b ed u e).
In ted esco so n o d a se g n alare il g ran d e co m m e n to , g ià c ita to , di L o h se a C o
lo ssesi e q u ello n o n m en o im p o rtan te di R. Sch n ack en b u xg a E fesin i (citato).
C o n la co n su eta m a e stria J. G n ilk a ha co m m e n ta to en tra m b e le lettere, D er K o -
abbiano potuto ispirare la speculazione cristologica. Cfr. H .M . Schenke, Der G oti «Mensch»,
Gòttingen 1 9 6 1 ; F.W . Eltester, Eikon im Neuen Testamenti Berlin 19 5 8 .
Le lettere ai Colossesi e agli Efesini 355
Le lettere pastorali
nimo delle sette lettere sicuramente autentiche) e con altri scritti del Nuo
vo Testamento.
Considerando che attualmente si conviene nel ritenere che le tre lette
re siano dello stesso autore, le tratteremo, in generale, in modo piutto
sto unitario definendole «pastorali», anche se talora evidenzieremo le
differenze tra l’una e l’altra.
L ’articolazione del capitolo è il solito: a) i dati del problema; b) lettu
ra delle lettere; c) questioni aperte. La prima parte seguirà lo schema dei
capitoli precedenti, con la differenza che non si parlerà di «comunità
destinatarie» e della loro evangelizzazione, bensì di destinatari in gene
re. Neppure per l’occasione delle lettere, per il tempo e il luogo della lo
ro composizione, si prenderanno per il momento in considerazione le
coordinate reali all’interno delle quali le lettere furono scritte, ma sem
plicemente le circostanze a cui alludono, a prescindere da critiche ulte
riori. Nella terza parte, riservata alle questioni aperte, non solo affron
teremo il problema dell’autore ma anche, fin quanto è possibile, le ra
gioni e le circostanze all’origine di questi scritti.
I. I D A T I D E L P R O B L E M A
Alla luce del testo delle pastorali e di altri scritti del Nuovo Testamento,
cercheremo di ricomporre la realtà all’interno della quale i dati espliciti
collocano le lettere.1*3 Lo schema sarà quello indicato: i. destinatari; z.
occasione delle lettere; 3. stile e vocabolario; 4. suddivisioni maggiori.
1. Destinatari
Timoteo compare per la prima volta in Atti 16 ,1. Nato a Derbe (cfr. zo,
4), era figlio di madre giudea e di padre pagano. L ’apostolo, trovandosi
a passare per la seconda volta in quella regione, volle che lo accompa
gnasse nella sua missione, ma prima lo fece circoncidere per non dare
scandalo ai giudei abitanti in quella zona (v. 3). Durante il secondo
viaggio dell’apostolo, dopo l’evangelizzazione di Berea, Paolo lo lasciò
nella città con l’ordine di raggiungerlo quanto prima (17 ,14 s.). L ’apo
stolo deve evangelizzare Atene da solo, ma Timoteo si ricongiunge a lui
insieme a Sila all’inizio della missione a Corinto (18,5). Stando a 19 ,zz,
Paolo lo invia da Efeso in Macedonia prima di iniziare il giro di com
miato che lo porterà a Gerusalemme; Timoteo figura anche nella comi
tiva che si formò a Corinto, disposta a recarsi con l’apostolo fino alla
città santa.
3. J. Sànchez Bosch, A u to ry 59-62.; presentazione un po’ diversa in S. De Lestapis, L ’én ig m e
des P asto ra les d e Saint Paul\ Paris 19 76 .
Le lettere pastorali 361
Ricostruiremo in primo luogo l’occasione delle tre lettere alla luce delle
pastorali, per confrontare poi i dati acquisiti con quelli forniti da altri
scritti.
a) S e c o n d o l e p a s t o r a l i
Salvo differenze innegabili, è evidente che alla luce delle altre fonti co
nosciute (Atti e lettere) l’attività incentrata in Efeso e la prigionia a Ro
364 Altre lettere paoline
4< In particolare Colossesi ed Efesini (cfr. C o l . 1 , 1 2 ; 3 , 1 ; E f. 2,6; 5 ,14 ) asseriscono che siamo
stati risuscitati con Cristo, ed è il vangelo di Giovanni, comunemente situato a Efeso, a parlar
ci della «vita eterna» come di una realtà presente (cfr. G v , 3 ,15 s.36; 5,24.39 ; 6,40.47.54;
10 ,2 8 ; 1 7 ,2 s.). Gli eretici menzionati vanno ancora più in là, affermando che «la risurrezione
è già avvenuta», nel senso che non c’è bisogno di attenderne un’altra.
Le lettere pastorali 365
16 ,1) Paolo ordinò alle chiese della Galazia di predisporre una colletta
in favore di Gerusalemme e di farla giungere a destinazione tramite dei
delegati, ai quali poi si sarebbe unito egli stesso (w . 3 s.). Uno di loro
potè forse restare insieme al gruppo di Paolo, separandosi da lui quando
l’apostolo era già a Roma. Si tratterebbe di quel Crescente di cui riferi
sce 2 Tim. 4,10. Anche gli Atti menzionano Troade come luogo di pas
saggio (Atti 16 ,8 .11) e località in cui si formò la comitiva (20,5 s.), at
torniata da una comunità cristiana (20,7-11). Anche 2 Cor. 2 ,12 parla
di una visita evangelizzatrice (coronata da un certo successo) di Paolo a
Troade. Una buona cornice per 2 Tim. 4,13.
A questo periodo corrispondono due delle tre puntate di Paolo a Co
rinto (2 Cor. 12 ,14 ; 13 ,1). Per la terza, stando ad Atti 19,22, viene pre
ceduto da Erasto e Timoteo. Paolo si ferma a Corinto tre mesi (Atti
20,2 s. dice «in Grecia»), durante i quali scrive la lettera ai Romani (cfr.
Rom. 16,1). In essa compaiono appunto saluti da parte di Timoteo (v.
21) e di Erasto, «amministratore della città» (v. 23). Si capisce che Era
sto si trattenne a Corinto (2 Tim. 4,20). Mileto non compare nelle lette
re, ma figura in Atti 2 0 ,15 .17 . Se durante il viaggio 1’ «asiatico» Trofìmo
(v. 4) cadde ammalato, è logico che si fermasse a Mileto (2 Tim. 4,20).
Per quanto riguarda la prigionia, Atti 28,16.30 s. riferiscono di una
carcerazione di Paolo a Roma in regime di libertà vigilata, proprio come
leggevamo in 2 Tim. 1 ,1 7 ; 4 ,10 s.16 .21. Durante questa prigionia po
trebbero (come si è visto, questa non è la nostra opinione) essere state
composte le lettere a Filemone, ai Colossesi, agli Efesini e forse anche
quella ai Filippesi. Di fatto, le pastorali mostrano punti di concordanza
con tutte queste lettere.
Riguardo a Timoteo e Marco, avevamo dedotto (in base a 2 Tim. 4,
1 1 .2 1 ) che erano stati entrambi in compagnia di Paolo, erano partiti du
rante la sua prigionia e ora l’apostolo ne reclamava il ritorno. Di Marco
si parla in Film. 24 e in Col. 4,10 , ove è detto: «fategli buona accoglien
za se verrà». Timoteo appare come mittente in Filemone, Colossesi e Fi
lippesi, ma non in Efesini. Inoltre, in FU. 2,19 si parla di una missione
di Timoteo a Filippi, che concorderebbe con l’idea di richiamarlo a sé in
un momento successivo.
Infine, Luca appare come «collaboratore» in Film. 24 e come «caro
medico» in Col. 4,14; forse è compreso anche nel collettivo «noi» di At
ti 28,15. Secondo 2 Tim. 4 ,1 1 è l’unico a essere rimasto con Paolo.
Tutto ciò non basta per conoscere quando e dove sono state scritte le
pastorali, però rappresenta un insieme di dati da tenere in considerazio
ne se si vuole affrontare seriamente il problema.
3. S t ile e v o c a b o la r io
lo che non tra di loro. Per compensare in qualche modo questo paradosso, tut
tavia, è da osservare che nelle pastorali si dà un certo risalto ad alcuni termini
estranei all’area (proto)paolina, come ad esempio arneisthai («negare», 6 volte),
diabolos («diavolo», 6 v.), epiphaneia («manifestazione», 5 v.), eusebeia («pie
tà», io v.), presbyteros («anziano», «presbitero», 5 v.),prosechein («dedicarsi a»,
5 v.), hygiainein («essere sano», 8 v.),
4. Suddivisioni maggiori
8. Cfr. Tit. 1,7 ; 1 Cor. 4 ,1 ; Col. 1,2 5 ; Ef. 1 ,1 0 ; 3,2.9 . 9. C fr. 2 Cor. 4,4,
io . C fr. Fil. 4 ,1 3 ; Ef. 6 ,io . 1 1 . Cfr. Atti 9 ,1 ; 22,4 ; 2 6 , 1 1 . 12 . Cfr. Rom. 5,20.
1 3 . Come in 1 Tim. 3 , 1 ; 4,9; 2 Tim. 2 , 1 1 ; Tit. 3,8 ; anche Tit. 1,9 .
14 . Cfr, Gv. 1,9 ; 3 ,19 . 1 5 . Cfr. Rom. 8,3; Gal. 4,4.
16 . Cfr, Rom. 3 ,25 s.; Ef. 2,7. 17 . Cfr. 4 ,14 ; Atti 1 3 ,1 - 3 . 18 . Cfr. 2 ,1 5 ; 2 Tim. 4,7.
19 . C fr. 4 ,1 ; 5,8; 6 ,1 0 .2 1 ; 2 Tim. 3 ,18 ; anche Rom. 1 1 , 2 0 ; 1 C o r 1 6 , 1 3 .
Le lettere pastorali 371
Nel v. 20 deve trattarsi di quello stesso Imeneo che dichiarava già avvenuta la
risurrezione (2 Tim. 2,17) e di quell’Alessandro, fabbro, che aveva arrecato mol
to danno a Paolo e aveva opposto resistenza alle sue parole (4,14 s.).
una seconda analogia tra cristianesimo e competizione faticosa (v. izab)s8 e un ter
zo accenno al rito dell’ordinazione (v. i2cd):58 59 una bella professione di fede fat
ta davanti a molti testimoni. Davanti a colui che ha dato la sua testimonianza da
vanti a Ponzio Pilato (v. 13), Timoteo viene scongiurato perché la conservi sino
alla seconda venuta di Cristo (v. 14). Si scopre una certa eco pagana nell’uso di
epiphaneia,60 «manifestazione» (v. 14),61 come sostituto di parousia o apokalyp-
sis. Un’analoga apertura alla sensibilità pagana traspare dall’inno su Dio nei ver
setti che seguono, che potrebbe benissimo essere sorto nel giudaismo ellenistico.
Sull’esempio di Filone, che si ispirava a modelli pagani, qui Dio è detto «beato»
(;makarìos; cfr. 1,11), mentre per tutta la Bibbia beati sono solo coloro che gli si
avvicinano.61*È inusuale anche l’appellativo «sovrano» (dynastes)63 attribuito a
Dio, mentre non lo sono «re» (basti pensare al «regno di Dio») e «signore». Non
è diffìcile neanche associare Dio alla luce64 e parlare allo stesso tempo della sua
invisibilità.65 II problema sorge quando il titolo di «signore» viene «passato» a Cri
sto, con la specificazione «un solo Signore» (1 Cor. 8,6; Ef. 4,5), e Cristo stesso
è anche chiamato «Re dei re e Signore dei signori» (Apoc. 17,14). L’alternanza66
è il modo tipico delle pastorali per parlare della divinità di Cristo e si rende ne
cessaria per quanti non hanno ben chiara l’idea del Dio unico.
Dei ricchi {6,17-15). Sono versetti molto meno duri rispetto ai w. 5 s., forse
perché l’autore non pensa tanto a coloro che «si arricchiscono» (v. 5) quanto a
quelli che sono già ricchi: bisogna riporre la speranza in Dio, l’unico che essendo
ricco (v. 17) può donarci la vita vera (v. 15). La sola cosa che possiamo fare con
il denaro è arricchirci di opere buone (v. 18).
Epilogo (6,zo s.). Restando in tema, l’eredità di Paolo è considerata un «de
posito» (paratheke, che riecheggia diatheke, «testamento») rispetto alla futilità
della falsa conoscenza (gwosis) di cui tanti si vantano.
fiamma che occorre tener viva;69 non è spirito di timore (v. 7)70 e pertanto esclu
de la vergogna nel predicare (v. 8 )7 TLa chiamata di Dio non è merito nostro ma
dipende da una decisione eterna (v. 9),71*manifestata ora per mezzo del vangelo
di Gesù morto e risorto (v. io);73
l’apostolo parla di sé (vv. 11-14). Egli è apostolo e araldo di questo vangelo
(v. 11)74 e perciò è tenuto a soffrire (v. 12; 1 Cor. 4,9; 2 Cor. 1,5). Ma Timoteo de
ve prenderlo a modello (v. 13)75*affinché lo Spirito garantisca la sua missione (v.
14);7é
riferimenti personali (w. 15-18). L’abbandono da parte del gruppo dell’Asia
(cfr. 4,16) risulta compensato dal buon esempio della famiglia di Onesiforo (w.
16-18), a cui si uniscono Aquila e Priscilla (4,19), assai presenti nella vita dell’apo
stolo.77
La tesi (2,1-7). Il «deposito» della fede dev’essere «trasmesso» (v. 2).78 Questa fun
zione è vista come un servizio militare (vv. 3 s.),79 una competizione atletica (v.
5)80 e una dura fatica (v. 6).81
Il kerygma di Gesù (2,8-13). La formula «secondo il mio vangelo» (v. 8)8z ram
menta Rom. 1,3 s., testo prepaolino in cui la discendenza davidica viene affian
cata alla risurrezione.
Tuttavia la passione manca. L’autore prepara il tema rammentando le proprie
catene (v. 9)83 e il motivo per cui le porta (v. io).84 Esse si uniscono alla morte
(v. 11)85 e alla sofferenza (v. i2a)86 di Cristo. I vv. i2b e 13 a, che riprendono que
sto stesso argomento, hanno paralleli rispettivamente in Mt. 10,33 e 3,3-
Gli atteggiamenti che lo contrastano (2,14-21). Come in 1 Tim. 1,4; 6,3-5.20,
i falsi maestri si distinguono perché provocano discussioni interminabili (vv.
14.16 s.23). Tra i responsabili vengono menzionati Imeneo e Fileto (v. 17),87 i
quali sostengono che la risurrezione è già avvenuta e non se ne deve attendere
un’altra (v. 18).88 Contro costoro si erge il fondamento «di Dio»,89 che conosce 1
suoi e allontana quanti non lo sono (v. 19). Il brutto è che «in una casa grande»
vi sono vasi di vario tipo (v. 20):90 ciascuno dovrà dimostrare di essere un vaso
nobile prendendo le distanze da quelli spregevoli (v. 21).
69. Cfr. 1 Tess. 5,19 . 70. C fr. Rom. 8 ,15 . 7 1 . Cfr. Rom. 1 ,1 6 .
72. Cfr. jRom. 8,29 s.; 9 , 1 1 s.; Ef. 1,4 s.i i ; 2,8. 7 3. Cfr. Rom. 1 ,1 6 s.; 4 ,2 5 .
74. Cfr. 1 Tim. 2,7; Rom. 1 ,5 ; Gal. 1 , 1 5 s. 75. Cfr. 1 Tim. 1 ,1 6 ; 1 Cor. 1 1 , 1 ; Fil. 3 ,17 .
76. Cfr. Rom. 1 5 ,1 8 s.; 1 Cor. 2,4 s.; 1 Tess. 1,5 .
77. Cfr. Rom. 16 ,3 -5 ; 1 Cor. 1 6 ,1 9 ; Atti 1 8 ,1 8 s.26.
78. C fr. 1 , 1 2 . 1 4 ; r Tim. 6,20; 1 Cor. 1 1 , 2 . 2 3 ; I 5 >3 - 7 V- Cfr. 1 Tim. 1 ,1 8 .
80. C fr. Fil. 4,3. 8 1. Cfr. 1 Tim. 4 ,10 . 82. Cfr. Rom. 2 ,16 .
83. C fr. Fil. 1 ,7 .1 3 s .17 ; Film, io ; Col. 4 ,18 . 84. Cfr. 2 Cor. 1,6 ; Col. 1,2 4 .
85. C fr. Rom. 7,8. 86. Cfr. Rom. 8 ,17 . 87. Cfr. 4 ,14 ; 1 Tim. 1,2 0 .
88. Assai diversamente Col. 2 ,1 2 ; 3 , 1 ; Ef. 2,6; 5 ,14 .
89. Cfr. 1 Tim. 3 ,15 : la casa «di D io», «colonna e sostegno della verità».
90. Cfr. Rom. 9 ,2 1.
376 Altre lettere paoline
Risposta di Timoteo (2,22-25). Timoteo dovrà ricercare l’unità con i vasi no
bili (v. 22) e astenersi dal combattere con quelli spregevoli (v. 23), tentando di
conquistarli con la mitezza (vv. 24-26).
La tesi (3,1-9). In teoria «gli ultimi tempi» (v. 1) sono piuttosto lontani, tuttavia
se ne parla al presente, come se i «falsi maestri» futuri fossero gli stessi di oggi.
Ad essi vengono attribuiti (vv. 2-4) gli stessi vizi che ai pagani di Rom. 1,29-31;
la loro pietà, inoltre, è vuota di contenuto (v. 5).9r Tra le altre cose, possono conta
re su un discreto gruppo di discepole (vv. 6 s.).9 192, L’autore li paragona a Iannes e
Iambres, che si opposero a Mosè (vv. 8 s.).93
Le virtù deWapostolo (3,10-17). Sono sette virtù, di carattere eminentemen
te pastorale (v. io), che culminano nelle persecuzioni subite insieme da Paolo e
Barnaba (v. n ).94 Tali persecuzioni, tuttavia, rappresentano la situazione nor
male del seguace di Cristo (v. 12).95 Timoteo deve conservarsi fedele a ciò che ha
appreso (v. 14), a cominciare dalla dottrina imparata nell’infanzia (v. 1 5a):96 la
sacra Scrittura, ispirata da Dio nel passato giudaico per risultare utile nel presen
te cristiano (v. 16 s.), poiché essa insegna «la salvezza per mezzo della fede in
Cristo» (v. 15!?) 97
Per rafforzare l’impressione di essere stato abbandonato da tutti (v. 16; cfr.
1,15) Paolo cita un caso recente di abbandono (Dema: v. ioab) e la ribellione di
Alessandro (vv. 14 s.; cfr. 1 Tim. 1,20). La partenza di Crescente e Tito (v. iocd;
riteniamo di dover integrare con «è andato», non con «mi ha abbandonato»)
può essere giustificata, come quella di Marco (w. nb; cfr. Film. 24) e di Tichico
(v. 12; cfr. Ef. 6,zi) e come l’assenza di Erasto (v. 2oa; cfr. Atti 19,22) e di
Trofimo (v. 2ob; cfr. Atti 21,29). H fatto è che Luca si trova con lui (v. ir) e
«tutti i fratelli» del v. 2ib non debbono poi recarsi molto lontano. Per l’inverno
imminente richiede la presenza di Timoteo (vv. 9.2ia) e di Marco, che gli è «uti
le per il ministero» (v. nb); gli serviranno anche il mantello e alcune pergamene
(v. 13). Ciò significa che per il futuro prevede di continuare a vivere e a operare.
Riguardo alla sua situazione processuale (vv. 16-18), a parte l’abbandono di
qualcuno, riferisce di aver avuto una prima difesa della causa (v. i6a: apologia),
e di essersela cavata molto bene (v. iyd: «fui liberato dalla bocca del leone»), al
punto da potere «completare» la predicazione (v. iyb)110 che, anzi, fu ascoltata
da «tutte le nazioni» (v. 1 7 C ) . 111
Invia saluti specifici a Prisca e Aquila (cfr. Rom. 16,3 s.) e alla famiglia di One-
siforo (v. 19; cfr. 1,16). Aggiunge i saluti di quattro membri della comunità, cui
si uniscono tutti i fratelli (v. 2ib), e conclude con un saluto individuale (v. 22).111
3. La lettera a Tito
a) Introduzione epistolare (1,1-16 )
Indirizzo (1,1-4). In linea con Rom. 1,1-7, questa pericope accumula temi teolo
gici noti da lettere precedenti: «gli eletti di Dio» (v. ic),113 «la conoscenza della
verità» (v. id).114 Nel v. 3brI5 recupera in modo originale l’idea di essere aposto
lo, per poi continuare normalmente con l’indirizzo (v. 4).
Esordio epistolare (1,5-16). Possiamo individuare due parti ben distinte:
istituzione di presbiteri-vescovi (1,5-9). In parallelismo con 1 Tim. 1,3, Tito si
trattiene a Creta come rappresentante dell’apostolo con l’incarico di istituire dei
presbiteri.116 In modo impercettibile i «presbiteri» del v. 5C si trasformano nel
«vescovo» del v. 7.117 II suo «elenco» dei doveri118 sottolinea che dev’essere «giu
sto» (v. 8),119 e risultano ampliati i suoi doveri «didattici» (v. 9);110
dei falsi maestri (1,10-16). Prosegue sulla linea polemica precedente, persino
quando li accusa di agire per interesse materiale (v. 11 alla fine),111 e va addirit
tura oltre sostenendo che della pietà loro hanno soltanto la «forma» (2 Tim. 3,
5): con le opere negano ciò che confessano con la bocca (v. 16). Il v. 12 riporta
n o . Cfr. R o m . 1 5 ,1 9 . i n . C fr. R o m . 15 ,2 0 .2 4 .2 8 .
1 1 2 . In contrasto con 1 T im . 6 ,z i b; T it. 3 ,15 6 . 1 1 3 . Cfr. R o m . 8 ,3 3 ; C o l. 3 ,12 .
1 1 4 . Cfr. P i i 1,9 ; Film . 6. 1 1 5 . Cfr. R o m . 1,5 . 1 1 6 . Cfr. A tt i 14 ,2 3 .
1 1 7 . Cfr, A tti 2 0 ,17 .2 8 . 1 1 8 . Cfr. 1 T im . 3,2-7.
1 1 9 . Cfr. 1 Tim . 1,9 ; R o m . 6 ,1 3 .16 .18 - 2 0 .
12 0 . Cfr. 1 Tim . 3,2 alla fine. 1 2 1 . Cfr. 1 T im . 6,5 alla fine.
378 Altre lettere paoline
una citazione assai sprezzante nei confronti dei cretesi: questi disgraziati, che ave
vano portato la civiltà a Micene e da lì ad Atene, si trovavano ora a un livello
decisamente inferiore rispetto alle loro antiche tradizioni. Sorprende l’indifferen
za con cui l’autore parla dei «miti giudaici», certamente riferendosi non alla Scrit
tura111 ma ai «precetti di uomini» (v. 14).123 Aggiunge che «tutto è puro per i
puri» (v. 15).124
L’argomento vero e proprio parte dal v. 4 con una pericope parallela a 2,11-14:
anche qui si dice che cosa si manifesta, ma non come, benché sia abbastanza age
vole intravedere la vicenda di Cristo dietro termini come la «bontà» di Dio (v. 4)136
e il suo «amore per gli uomini» (termine nuovo, appropriatamente tradotto nella
versione latina con humanitas). Le nostre opere, anche quando ci sono,137 non so
no origine della nostra salvezza (v. sa).138 Questa viene dal battesimo, un «lava
cro» (v. jd: loutron, come Ef. 5,26) in cui vengono dati lo Spirito santo per mez
zo di Gesù Cristo e la «giustificazione» (w. 5d.6 s.).139
Esortazione a Tito (3,8-11). Proseguendo, l’autore definisce i cristiani «quelli
che hanno creduto» e li esorta a distinguersi in «opere buone» (v. 8), come chi
parla della «fede che opera per mezzo della carità» (Gal. 5,6). Aggiunge poi che
è meglio evitare le discussioni vane (v. 9: zeteseis),140 benché sia giusto offrire al
la persona («l’uomo eretico») un paio di occasioni per convertirsi (v. io).141
A quanto pare a Creta, oltre a Tito, vi erano un dottore della legge (v. 13: nomi-
kos)14Z chiamato Zena e il celebre Apollo,143 Ad essi sta per aggiungersi Artema
(sconosciuto) o Tichico,144 affinché Tito possa tornare sul continente (v. 12). Mal
grado la lettera abbia un unico destinatario, i saluti non potrebbero essere più ge
nerici, come pure la benedizione finale.
I I I . Q U E S T IO N I A P E R T E
Nella prima parte abbiamo visto che i dati circostanziali (solitamente de
finiti personalia) delle pastorali avevano dei paralleli negli Atti degli Apo
stoli e in altre lettere che portano il nome di Paolo. Questi paralleli ba
stano a chiarire la situazione accennata nelle lettere, tuttavia lasciano
aperte parecchie questioni relative alla situazione in cui esse furono re
almente scritte.
I due blocchi ci parlano di un periodo di attività dell’apostolo con ba
se a Efeso e di una prigionia a Roma. Tuttavia, a prescindere da questo,
ritengo che le coincidenze siano più numerose per chi guardi a distanza
che per chi osservi da vicino. A parte questioni di valutazione (ad esem
pio, per 2 Timoteo questi sembrerebbe più un successore che un sostitu
to temporaneo) e questioni che si risolvono ipotizzando più persone con
Le lettere pastorali 3 83
1 7 Eusebio {Hist. Eccl. 2,22,1 -6) deduce che l’apostolo fu liberato e po
tè dedicarsi a portare a compimento la sua missione, predicando a tutte
le nazioni. In tal caso Paolo scriverebbe la lettera da una seconda prigio
nia. Ma ciò ci allontanerebbe troppo dal periodo di permanenza dell’a
postolo nella regione di Efeso e renderebbe decisamente impossibile che
le sue lettere possano trascurare tanta storia intermedia. A meno che la
prima lettera a Timoteo non appartenga proprio a questa storia inter
media, per cui l’apostolo, dopo la liberazione, avrebbe fatto ritorno in
tutte le località della sua attività precedente oltre a quelle indicate nel
la lettera a Tito. Ciò includerebbe perlomeno Efeso e la Macedonia (1
Tim. 1,3), Troade (2 Tim. 4,13), Corinto, Mileto (v. 20), varie città di
Creta (Tit. 1,5), Nicopoli (3,12) e magari anche qualche altra (2 Tim. 4,
io). Ma allora, perché informare Timoteo di quanto è accaduto durante
la sua prima prigionia (w. 16 s.)?
Quest’ipotesi di una seconda attività dell’apostolo, successiva alla pri
gionia riferita in Atti 28,30 s., è attualmente sostenuta dai difensori del
l’autenticità delle pastorali con lievi differenze relative ai dettagli. Ha il
vantaggio di collocare le pastorali negli anni 60, anni in cui le chiese
potrebbero ormai trovarsi in una situazione nuova che favorirebbe l’in
teresse verso determinati temi, la cautela verso altri e uno spostamento
generale del «carisma» verso l’istituzione.153
La questione resta aperta, ma dobbiamo ammettere che non ci con
vince storicamente né la nuova attività dell’apostolo né la seconda pri
gionia presentata da 2 Timoteo, in condizioni di semilibertà. Per neces
sità cronologica giungiamo agli ultimi anni del regno di Nerone. Non ci
sembra credibile che, proprio quando il cristianesimo viene pubblica
mente riconosciuto come «superstizione malefica», si conceda tanta li
bertà di viaggiare a colui che è stato il massimo diffusore di tale super
stizione, accordandogli anzi un regime carcerario in cui (nonostante le
lamentele di 1 ,1 5 ; 4 ,10 s.) chiunque può fargli visita e portargli regali
(cfr. v. 21). Né tantomeno si può pensare gli sia concesso di trascorrere
un inverno svolgendo il suo «ministero» e ricevendo nuove visite e let
ture (w . 9 .11.13 ) . Pare più credibile che un buon conoscitore della sto
ria di Paolo abbia potuto «aggiustarla» un po’ per i suoi interessi, co
struendo l’opera letteraria nota sotto il nome di «lettere di Paolo a Ti
moteo e Tito».
Se l’autore delle pastorali non è Paolo, può comunque essere qualcu
no più o meno vicino a lui. E, in realtà, esistono ipotesi per ogni gusto.
1 5 3 . Con sfumature diverse, si tratta della posizione difesa nei commenti di C. Spicq, L es É p i-
tres P a sto ra le s, Paris ^1969; T, Holtz, D ie P a s to ra lb rie fe , Berlin i i9 7 2 ; J . Jeremias - H, Strath-
mann, L e L ettere a T im o te o e a T ito . L a L ettera a g li E b r e i , Brescia 19 7 3 . Lestapis, E n ig m e 7 pro
pone una teoria intermedia, a nostro avviso carente per altri aspetti; cfr. riferimenti critici alla
sua opera in Sànchez Bosch, A u t o r , nn, 1 3 , 14 , 18 , 30, 3 1 , 4 1 ; favorevoli, cfr. nn. 69, 72.
Le lettere pastorali 385
8 ,1.7 s-)j l’idea che non vi sia risurrezione per i morti o, ed è lo stesso,
che la risurrezione è già avvenuta (2 Tim. 2 ,17 s.; cfr. 1 Cor. 15 ,12 ), la
ricerca di un «rivestimento» di conoscenza per la parola di Dio (1 Tim.
6,20; cfr. 1 Cor. 8,1). Ci avviciniamo maggiormente all’ambiente che
favorì le pastorali con l’eresia colossese {Col. 2,8 .16 -18 .2 1-2 3), la quale
innalza anch’essa i vessilli della filosofia e dell’ascetica.
La differenza tra i due blocchi di lettere risiede nel fatto che Colossesi
ed Efesini «indossano» per così dire «l’abito» della sapienza cristiana,
affermando (in senso ortodosso!) che siamo risuscitati con Cristo (Col.
2 ,12 ; 3,1; Ef. 2,6; 5,14) e Cristo ha riconciliato il cielo e la terra (Col.
1,20; Ef. 1,10) trionfando su principati e potestà (Col. 2 ,15 ; Ef. 3,10 ; 6,
12). Le pastorali, invece, temono piuttosto che i loro ascoltatori si arren
dano davanti al fiume di chiacchiere oziose di falsi maestri (caso estre
mo: 2 Tim. 3,6 s.), perciò insistono nell’evitare discussioni, «aggrappan
dosi» alla successione apostolica, «colonna e fondamento» della verità
(1 Tim. 3,15).
Grazie a questa «strategia» esse vanno oltre il problema di qualche
eresia concreta e affrontano il problema della continuità del ministero
nella chiesa. Paolo, infatti, parla certamente dell’operato apostolico e del
l’unico vangelo ma, date le circostanze, ne parla come del vangelo che
io predico (cfr. Gal. 1,8) e della grazia che mi è stata data (cfr. Rom. 15 ,
15 s.). Nelle pastorali, questo vangelo è fissato in modo molto più stereo
tipato, si è trasformato in «deposito» (1 Tim. 6,20; 2 Tim. 1,12 .14 ), men
tre il compito di proclamare il vangelo è visto come un incarico che l’apo
stolo lascia e tocca ad altri assumere: lo fa certamente Timoteo (2 Tim.
4,1-4), ma anche i suoi successori (1 Tim. 5 ,17; 2 Tim. 2,2; Tit. 1,9).
Quanto al genere letterario, solo 2 Timoteo è un discorso di commia
to di uno che sta per morire, ma anche le altre due lettere possono esse
re considerate tali. Entrambe iniziano parlando degli incarichi affidati
dall’apostolo (j Tim. 1,3 ; Tit. 1,5) e, nel caso di Tito, è evidente che pen
sa di non far più ritorno a Creta. Stando invece a 1 Tim. 3 ,14 s.; 4 ,13 , è
chiaro che Paolo spera di ricongiungersi presto al discepolo, tuttavia prov
vede a regolamentare sistematicamente tutta la vita della chiesa come se
non dovesse più far ritorno.
L ’atteggiamento di base di questi testi è analogo a quello di Atti 20,
18 -35 e 1 Pt- 5,1-5, e contraddistingue un’epoca palesemente preoccu
pata per il futuro. Ciò spiega anche il fatto che tutti questi testi parlano
di «presbiteri» (1 Tim. 5 ,1.17 .19 ; Tit. 1,5; Atti 20,17; 1 Pt. 5,1), men
tre le sette lettere autentiche non vi fanno alcun cenno. Lo stesso vale
per il rito dell’imposizione delle mani (j Tim. 4,14; 5,22; 2 Tim. 1,6;
Atti 6,6; 13,3), sconosciuto alle sette lettere autentiche, tantomeno co
me mezzo per trasmettere un carisma (1 Tim. 4,14; 2 Tim. 1,6).
388 Altre lettere paoline
Bibliografia
Il confronto tra le lettere paoline considerate autentiche e quelle controverse ri
sulterà certamente utile per formarsi anche solo un’idea del tema dell’autenticità.
Dato che le singole posizioni debbono molto a problemi di collocazione storica,
sarà buona cosa insistere sui frammenti più dottrinali per poterne apprezzare l’e
levato grado di paolinità.
La bibliografia citata nelle note può fornire un orientamento rispetto ai temi con
creti. Rammentiamo che il lavoro parola per parola è presente nelle opere di N.
Harrison, Problem e Paulines, il quale, detto en passante ritiene che gli argomen
ti addotti portino a sostenere l’autenticità di Efesini e Colossesi, mentre A. Ken-
ny, Stylometric, se tenesse conto soltanto dello stile giungerebbe ad ammettere
l’autenticità di dodici lettere, tutte eccetto la seconda a Timoteo.
3^0 Altre lettere paoline
I. QUESTIONI GENERALI
i. Autore suggerito
Nelle tredici epistole precedenti la questione era: tutti sanno chi è il Pao
lo apostolo che le indirizzava, anche se in alcune di esse egli poteva ri
entrare nella categoria di autore solo suggerito. La lettera agli Ebrei,
tuttavia, non ha un indirizzo noto, benché, nel caso in cui si tratti vera
mente di una lettera - e anche questa è una questione aperta - dovesse
averne uno. Ebr. 13,23 s. potrebbe essere un dato relativo all’autore o
un modo di alludere a un autore: chi scrive riferisce della liberazione di
Timoteo e promette che «se arriva presto, verrò insieme con lui a veder
vi». Non dice: «suppongo che vorrà accompagnarmi», poiché non dubi
ta delia propria autorità su Timoteo. Logicamente si può pensare che si
tratti di Paolo o almeno che si presenti come tale. I saluti da parte di
«quelli d’Italia», nel versetto successivo, possono suggerire anch’essi che
si trovano entrambi a Roma, ove è certo che l’apostolo si trovava pri
gioniero. L’appellativo «fratelli» (3,1.12; 10,19; 13,22) potrebbe andare
nella medesima direzione e, d’altronde, non è caratteristico di Paolo, vi
3^z Altre lettere paoline
offrire loro anche la «fede in Dio» in senso lato, poiché persino ai cri
stiani è possibile dire: «guardate che non vi sia in voi un cuore perverso
di incredulità (apistias) e non vi allontaniate dal Dio vivente» {Ebr. 3,
12; cfr. v. 19; 4,2; 10,22). D’altra parte non si può neppure formulare
un giudizio sul significato primitivo di uno scritto partendo da un’unica
parola: in 6,1, ove si legge «Dio», originariamente potrebbe esserci sta
to «Cristo» o «il Signore».
A parte questa parola, il testo si applica piuttosto bene a una situa
zione di giudeocristianesimo, soprattutto se si tien conto degli Atti degli
Apostoli in cui l’insegnamento riguardante i battesimi diviene necessa
rio dal momento che vi è stato il battesimo di Giovanni (cfr. baptizo in
Atti 1,5; 19,3-5; baptisma in Atti 1,22; 10,37; 13,24; 1 8,2.5; 19,3 s.) ol
tre ad altri battesimi giudaici (cfr. Ebr. 9,io). D’altra parte ^«imposi
zione delle mani», stando ad Atti 8,17; 19,6, completa l’iniziazione cri
stiana con il conferimento dello Spirito santo.
L’epoca in cui i destinatari si convertirono fu, secondo Ebr. 10,32-34,
un tempo piuttosto difficile, poiché dovettero sostenere «una grande lot
ta di sofferenza»: furono infatti «esposti pubblicamente a insulti e tribo
lazioni», «incarcerati» e spogliati dei loro beni. A questo punto è lecito
ricordare la «violenta persecuzione» (Atti 8,1) scoppiata dopo la morte
di Stefano, durante la quale non mancò chi entrasse «nelle case pren
dendo uomini e donne per metterli in prigione» (v. 3). In simili circostan
ze non deve stupire che vi fossero anche razzie di beni; inoltre è opinio
ne comune che tale «violenta persecuzione» interessò solamente i giudeo
cristiani ellenisti.
Anche nell’ipotesi in cui l’autore si rivolga a tutti i cristiani in genera
le, ci sembra evidente che ha dato alla sua opera una certa «sfumatura»
di chiesa primitiva, che coincide perfino in piccoli dettagli con l’unica
fonte narrativa disponibile sul tema, gli Atti degli Apostoli.
Riguardo alla situazione presente (ossia quella cui si allude) dei cristiani
destinatari, la lettera non fornisce dati incoraggianti. Non sono matura
ti nella fede, anche se dopo tutto il tempo passato in essa dovrebbero
ormai essere diventati dei maestri (Ebr. 5,12).
Non sono nemmeno assidui nell’assistere alle riunioni: certuni «han
no l’abitudine» di disertarle (10,25). E, a quanto pare, non sono perse
veranti. Dal punto di vista sociologico, passati i primi entusiasmi questo
atteggiamento è normale, tuttavia può risultare fatale se tornassero i tem
pi in cui bisogna «resistere fino al sangue nella lotta» (12,4). Anche que
sto elemento si inserisce bene nella storia conosciuta del giudaismo elle
394 Altre lettere paoline
Qualunque cristiano può ritenere che «non abbiamo quaggiù una cit
tà stabile, ma cerchiamo quella che deve venire» (v. 14). Ma i destinata
ri della lettera si sentono dire questa stessa cosa in termini sovraisraeliti
e sovragerosolimitani: «vi avvicinate al monte di Sion..., alla Gerusa
lemme celeste e all 'assemblea dei primogeniti iscritti nel cielo» {12,22
s.). Così facendo l’autore ha accostato, come tanti giudei facevano men
talmente, due monti: quello di Sion, su cui sorgeva il tempio, e quello
del Sinai, su cui si riunì 1’ «assemblea (ekklesia) dei primogeniti», ossia
quelli che uscirono dall’Egitto.
Tutto questo può dire qualcosa a chi conosca l’Antico Testamento,
ma molto più a quanti hanno lasciato la patria di origine per trasferirsi
nella terra delle promesse e ora si vedono allontanati dalla città santa e
dal suo tempio che ancora esiste. Se dunque l’autore non scrive realmen
te a loro, dimostra di aver saputo cogliere in pieno la situazione, sfrut
tandola come simbolo dell’esistenza cristiana.
Il tempo della presunta redazione della lettera, nella sua interpreta
zione più realistica, è indicato in modo implicito: abbastanza dopo la mor
te di Stefano, e un po’ prima della guerra giudaica e della distruzione
del tempio. Si colloca dunque tra gli anni 50 e 60, ma probabilmente
più vicino al 60.
Il finale epistolare ci fornisce un’indicazione geografica: Italia {Ebr. 13,
24). Grammaticalmente tale informazione può ammettere anche un’al
tra interpretazione: certi emigrati dell’Italia che sono con me salutano la
comunità che invece in quel paese risiede. In tal caso Italia sarebbe il
luogo di destinazione. Ma se risultassero vere le allusioni al giudeocri-
La lettera agli Ebrei 395
4. Stile e vocabolario
Alla fine giungiamo a uno scritto privo dei classici difetti dello stile di Paolo. Vi so
no un piano d’insieme ben preciso, oltre a una simmetria e ad alcune caratteristi
che che ci aiutano a scoprire tale piano, nonché una serie di periodi ben costruiti
in cui spesso si preferisce la subordinazione alla giustapposizione. Non mancano
i segni di punteggiatura né le frasi di semplice passaggio da un tema all’altro.
L o g ic a m e n te , in più d i un p u n to l’ a u to re com m ette l’ erro re di cu ra re tro p p o la
fo rm a o il c o n tra sto estetico a sc a p ito d ella den sità di p en siero . C io n o n o sta n te n o n
m a n c a n o i p en sieri p ro fo n d i o estrem am en te o rig in a li, com e p u re i m o m en ti di
g ra n d e e m o tiv ità , grazie ai q u a li si co m p ren d e che q ui il co n ten u to è m o lto più
im p o rta n te d ella fo rm a .
Q u a n to a l lin g u a g g io , l’ a u to re si d istin gu e per il liv ello cu ltu ra le e le v a to e per
la g ra n d e v a rie tà e ricch ezza. T u tta v ia , se ci m ettiam o a co n ta re e m isu ra re le p a
ro le , sc o p ria m o che n on h a rin u n c ia to in asso lu to a l lin g u a g g io d el N u o v o T e s ta
m en to e m an tien e una n o te v o le p ro ssim ità al lin g u ag g io di P a o lo .
Il lessico di Ebrei è composto da 1.038 parole; se si escludono i nomi propri,
vi sono 249 hapax neotestamentari e 1 5 7 termini che non figurano nelle sette let
tere paoline sicuramente autentiche. Con questo vocabolario l’autore compone
un’opera di 4.942 parole, con una media di vocabolario di 4,76 (4.942 : 1.038).
Tale media è inferiore a quella di 2 Corinti, la quale, pur essendo meno estesa,
ha una media di 5,61 (4.448 1792). Ciò significa che Ebrei è un po’ più ripetitiva,
forse perché sviluppa maggiormente i temi e rinuncia ad accumulare sinonimi.
È impressionante anche il numero elevato di hapax del Nuovo Testamento e
di hapax rispetto a Paolo. Si rammenti che Romani, con un numero simile di sin
gole parole (1.068), offre 1 1 4 hapax neotestamentari e 185 hapax paolini. Per
quanto concerne gli hapax neotestamentari un dato è significativo: 44 di essi non
compaiono nei LX X e solo 7 nella letteratura greca profana. Ciò significa che si
compie un passo ulteriore verso il linguaggio atticista, ma senza allontanarsi dai
LXX. Il maggior atticismo di Ebrei è dovuto dunque più alla costruzione delle
frasi che alle parole usate.
Riprendiamo, infine, i termini estranei all’area (proto)paolina più usati dalla let
tera agli Ebrei: a r c h ie r e u s ( «sommo sacerdote», 17 volte), doron («dono», 5), erein
(«dire», 6), hiereus («sacerdote», 14), katapausis («riposo», 8), kataskeuazeìn
(«preparare», 6), Melchisedek («Melkisedeq», 8), metochos («partecipe», 5), ho-
then («da dove», 6), omnyein («giurare», 7), proserchesthai («accostarsi», 7),
prospherein («offrire», 20), skene («tenda», io).
5- S u d d i v i s i o n i m a g g i o r i
(dice «di Dio» e non «suoi angeli»). Il Sai. 103,4 (v. 7) ha lo scopo di sottolinea
re che gli angeli appaiono soltanto in qualità di «servitori» (leitourgoi). In Sai
44,7 s. (w . 8 s.) un certo personaggio viene chiamato per due volte «Dio» {ho
theos, vocativo): è evidente che si tratta di Cristo, poiché viene unto (christos si
gnifica «unto») e vi è una distinzione tra questo «Dio» e «il tuo Dio».
I vv. 10-12. proiettano le idee dei vv. 2 s. sul Sai. 101,26-28, letteralmente ap
plicato a Dio soltanto perché vi compare il titolo di «Signore».11 Il v. 13 cita Sai.
110 ,1, cui si alludeva nel v. 3d. La conclusione (v. 14) è anche un ampliamento:
gli angeli sono servitori non solo di Cristo, ma anche di tutti quelli che «eredite
ranno»12 la salvezza.
munità (v. 12, citando Sai. 21,23), che confida in Dio, il quale gli ha «dato» al
cuni figli (v. 13, che cita Is. 8,17 s.) della sua stessa «carne» (v. i4a). Cristo ne è di
venuto pienamente partecipe (v. i4b),1T giungendo a morire (v. 14C)22 per riusci
re a vincere la morte e colui che la domina (v. i4d)23 e a liberare coloro che non
vivevano per timore della morte (v. 15).
Cristo, nostro sacerdote (2,16-18). Fino a questo momento si era parlato sola
mente di angeli e di uomini. Qui gli angeli vengono menzionati per l’ultima volta
(in 12,22; 13 ,2 vi si accenna solo incidentalmente), mentre gli uomini diventano
i «figli di Abramo» (v. 16);24 già il v. 12 aveva parlato di «fratelli... in mezzo al
la comunità», cioè Israele. Il fatto è che l’autore sta per affrontare il tema del sa
cerdozio e questo, di norma, presuppone una comunità esistente. Comunque,
l’uomo continuerà a occupare l’orizzonte.25 La «somiglianza» con gli uomini (v.
i7a)z6 era necessaria per istituire il sacerdote misericordioso (v. I7b; cfr. 4,14-5,
io) e fedele (v. 17C; cfr. 3,1-6), che si occupa delle cose di Dio (v. i7d: ta pros
ton theon; cfr. 5,1; Rom. 15,17 ) e purifica dai peccati (hilaskomai: v. i7d).27 Ba
sandosi sulle tradizioni evangeliche, il v. 18 cita un caso estremo di tale somi
glianza: la tentazione.28
c) Esortazione (3,7-4,13)
Il rischio è che i cristiani non mantengano la fedeltà di Gesù. Questa pericope for
ma una breve omelia in tre parti: storia (w . 7-19), applicazione (4,1-10), esorta
zione (vv. 11-13).
Storia (3,7-19). La citazione di Sai 9 5 ,7 -11 (vv. 7 -11) diventa subito attuale
grazie a questi elementi: l’«oggi» permanente (a patto che diciamo «oggi») dell’av-
1 1 . Cfr. 5,7; 10 ,20 ; Rom. 1,3 ; 8,3. 22. Cfr. v. 9; 5,7; 9 ,1 5 s.; cfr. Fil. 2 ,7 s.
23. Cfr. R o m . 5,12.. 1 4 .1 7 .2 1 ; j Cor. 15,2.6.54 s.; 2 Tini. 1,10 .
24. Cfr. 6 , 1 3 ; 7 ,1.4 -6 .9 ; 1 1 , 8 . 1 7 .
25. Cfr. antbropos in 5 ,1 ; 6,16; 7 ,8 .28 ; 8,2; 9 ,2 7 . 26. Cfr. homoioma in R o m . 8,3; Fil. 2,7.
27. Cfr. hilasteriotty 9 ,5; Rom . 3 ,2 5 ; bilasm os : 1 G v. 2,2; 4,10.
28. Cfr. 4 , 1 5 ; 5,7 s.; Mt. 4 , 1 - 1 1 par.; 26 ,3 8 -4 4 par.; 2 7 ,4 6 par.; G v. 1 2 , 2 7 ; I 3 »2 1 -
29. Cfr. 1 Tim. 6 ,13 . 30. Cfr. 2 Cor. 3 , 7 - 1 1 . 3 1 . Cfr. Mt. 16 ,1 8 .
32. Cfr. 1,2.5.85 4 , 1 4 ; 5,8; 6,6; 7 ,3 .2 8 ; 10,29, 33- Cfr. 1 Tim. 3 ,1 5 . 34. Cfr. R om . 5,2-5.
400 Altre lettere paoline
vertimento (w. 7b.13ab.15a); la tentazione che li sfiorò (vv. 8b.ga, alla luce di 2,
18) malgrado avessero visto le opere di Dio (v. gb), proprio come ora sono di
ventati partecipi di Cristo (v. 14); l’indurimento e la ribellione dimostrati da al
cuni {vv. 8a.13b.15b.16);35 l’ira di Dio, che fece cadere molti nel deserto (vv.
ioab.17);3^ il giuramento per cui ribelli e increduli non sarebbero entrati nel suo
riposo (vv. 1 1 .1 8 s.).
Applicazione (4,1-10). Le promesse che ci sono state fatte (4,1) potrebbero non
realizzarsi; neppure a essi, infatti, giovò la buona novella ricevuta, perché non per
severarono nella fede (v. 2). Solo noi che abbiamo creduto entreremo nel suo ri
poso (cioè, «se credono entreranno»: v. 3 ab). Si tratta del riposo che Dio si era
concesso da tutte le sue opere (v. 3C).37 Davide (il salmo citato!) proclama un’al
tra opportunità, un altro «oggi» (v. 7). E non è questione dell’ingresso nella ter
ra d’Israele, perché questo «riposo» lo aveva già ottenuto Giosuè (v. 8),38 bensì
del «sabato» del popolo di Dio (v. 9), che comporterà anch’esso un riposo da
tutte le nostre opere, come Dio riposa dalle sue (v. io).39
Esortazione (4 ,11-13). Se desideriamo entrarvi, dobbiamo gettar via la ribellio
ne (v. 11) dagli angoli piu nascosti della nostra anima, perché la parola di Dio
penetra fin laggiù (v. 12) e nulla può nascondersi davanti a lui (v. 13).
e sacrifici» (vv. ic.3; cfr. capp. 9 e io). Neppure Cristo ricercò questa gloria (v.
5a):44 i salmi (2,7 e 110,4) attestano che fu chiamato (vv. 5b.fi). D’altra parte, i
suoi lamenti nel Getsemani sono un segno di debolezza (v. 7a; cfr. Mt. 26,38-46
par.); inoltre, se ha valore una nota ipotesi, non fu ascoltato (v. 7 alla fine):454
6im
parò così a dominare la propria volontà (v. 8; cfr. Mt. 26,39.42 par.). Nel v. 7 si
accennava già alla morte e il contesto kerygmatico lascia intendere che 1’ «ordina
zione sacerdotale» di Cristo (v. 9a: teleioo)a6 consistè nella sua stessa morte. Gra
zie a essa, Cristo diventa causa di salvezza per coloro che gli obbediscono, come
lui aveva obbedito (v. ^b).47
Melkisedeq è già stato menzionato tre volte in vista di questo capitolo; a partire
da 7 ,17 non verrà più nominato perché ha ceduto il passo a Gesù. L’argomenta
zione procede come segue: Melkisedeq, «tipo» di Gesù (w. 1-3); inferiorità del
sacerdozio levitico rispetto a quello di Melkisedeq (w. 4-10); inferiorità intrinse
ca del sacerdozio levitico (w . 11-19 ); superiorità intrinseca del sacerdozio di Cri
sto (w. 20-25); conclusione (vv. 26-28).
Melkisedeq, «tipo» di Gesù {7,1-3). Melkisedeq è il re di Salem che andò incon
tro ad Abramo al ritorno da una battaglia con altri re. Di lui si ricorda che era
«sacerdote del Dio Altissimo» (v. ib; cfr. Gen. 14,18), benedisse Abramo (v. rd;
cfr. Gen. 14,19) e Abramo gli offrì la decima del suo bottino (v. 2a; cfr. Gen.
14,20). La lettera aggiunge (v. 2bc) che «Melkisedeq» significa «re di giustizia» e
«Salem» {probabilmente Gerusalemme) «pace».
Inoltre, di norma, nella cronaca riguardante un re si menzionano anche il pa
dre e la madre nonché l’inizio e la fine del suo regno;6a nulla di tutto ciò avviene
per Melkisedeq. In lui l’autore scorge {v. 3) una «somiglianza» con il Figlio di
Dio (cfr. 1,10 -12) e lo definisce «sacerdote per sempre» (Sai. 110,4).
Sacerdozio levitico e sacerdozio di Melkisedeq (7,4-10). Quanto doveva essere
grande Melkisedeq, quando il patriarca gli consegnò la decima (vv. 4-6a; cfr. 2a;
Gen. 14,20)! I leviti, invece, la ricevono dai figli di Abramo (v. 5); inoltre sono
dei mortali, mentre Melkisedeq, pur «senza genealogia», vive (vv. 6a.8b; cfr.
3b). Lo stesso Levi, ancora nei lombi di Abramo, pagò quella decima (vv. 9 s.).
Se poi Melkisedeq ha benedetto Abramo (v. 6b; cfr. id; Gen. 14,19), se ne dedu
ce che gli era superiore, dato che è l’inferiore a essere benedetto da chi gli è supe
riore (v. 7).
inferiorità intrinseca del sacerdozio levitico (7,11-19). Se il sacerdozio levitico,
che ha la legge dalla sua parte, conferisse una vera consacrazione (teleiosis; cfr.
w . 19.28; 2,10; 5,9), non si passerebbe a un sacerdozio «secondo l’ordine di
Melkisedeq» (v. n ) ,él perché cambiando il sacerdozio bisogna cambiare anche
la legge (v. 12). Il nuovo sacerdozio viene attribuito (vv. 17 .2 1: Sai. 110,4) a uno
della tribù di Giuda, alla quale Mosè non affida alcuna funzione sacerdotale (vv.
13 s.). Egli è sacerdote a somiglianza di Melkisedeq (v. 15; cfr. w . 3.8), ossia (v.
1 6) non per il «comandamento»61 di una legge «carnale»,63 ma per la potenza64
di una vita indefettibile. Il comandamento precedente risulta abrogato perché
debole e inutile65 (v. 18): esso non era che 1’ «introduzione» (epeisagoge)66 di una
speranza migliore (v. 19).
Superiorità intrinseca del sacerdozio di Cristo (7,20-25). Il sacerdozio levitico
è introdotto senza giuramento (v. 20), mentre quello di Cristo avviene con un giu
ramento (v. 21, che cita Sai. 110,4; C^L- r 3 -18), per portare a noi un «testamen
to» migliore (v. 22).67 I sacerdoti di Aronne sono tanti perché mortali (v. 23),
Cristo invece rimane per sempre (v. 24)68 e intercede sempre per noi (v. 250).69
Conclusione (7,26-28). Elogio di Cristo, soprattutto alla luce di 5,1-4: separa
to dai peccatori (v. 26c; cfr. 4,15), innalzato sopra il cielo (v. 26d),7° non ha bi
sogno di offrire sacrifici per sé (v. 27; cfr. 5,3; «ogni giorno» è eccessivo), poiché
ha offerto se stesso una volta per tutte (v. 27 alla fine)71*e, sebbene fosse indotto
in tentazione e desse segni di debolezza (cfr. 2,18; 4,15; 5,7 s.), non ha debolezza
(v. 28). In breve, Cristo è il Figlio (v. 280; cfr. 1,2.5.8) ed è stato consacrato defi
nitivamente (v. 28d). Questo tema verrà sviluppato nel capitolo seguente.
Deut. 10,5) ed era sovrastata dai cherubini che facevano ombra al propiziatorio
(v. 5; cfr. Es. 25,20), oggetto d’oro che copriva l’arca ed era come il luogo d’in
contro tra Dio e gli uomini.80
La separazione delle tende era necessaria all’autore per affermare che una re
sta sulla terra, mentre l’altra sale al cielo. Nella prima si celebrano i tanti sacrifi
ci ordinari (v. 6; cfr. 8,4-53) del tempo presente, non idonei a santificare la co
scienza (v. 9), perché si tratta di cibi, bevande e battesimi che danno una giusti
zia puramente esteriore (v. io).81*Nella seconda tenda entra soltanto il sommo sa
cerdote una volta all’anno, dopo essersi purificato con il sangue (v. 7; cfr. Lev.
16 ,2.14 s.18 s.): ciò indica che, finché sussiste la prima tenda, Dio tiene chiusa ai
fedeli la via che conduce a lui (v. 8).
Il sacrificio di Gesù (9,11-14). Nel tempio di Gerusalemme, il santo dei santi è
non solo imitazione (cfr. 8,5) ma anche segno della nostra impotenza (9,7 s.).
Cristo, invece, è entrato nella tenda vera, quella «non costruita da mano di uo
mo» (v. n ) , 8i per introdurci in essa,83 come aveva mostrato, al momento della
morte di Gesù, lo squarciarsi a metà, dall’alto in basso, del velo del tempio (Mt.
27,51). L’ingresso del sommo sacerdote nel santo dei santi era preceduto da un
sacrificio di vitelli e capri (9,i2a; cfr. Lev. 16,2.6-11). Con il sangue del vitello ve
niva asperso il propiziatorio (Lev. 16,14) e P°i «santificato» il popolo, e il risul
tato era una purezza meramente rituale (v. 1 3; cfr. Lev. 16,18 s.). Cristo è entra
to una sola volta e ha ottenuto una redenzione eterna (v. i2b), perché il suo sangue
ha un valore infinitamente superiore (v. i4a):84 rappresenta infatti P«offerta» to
tale di se stesso, capace di «purificare» la coscienza fino in fondo (v. 14C).85
La morte del testatore (9,15-22). Dal testo di Geremia (citato in 8,8-12) non
risulta né che vi sia un mediatore né che debba intervenire il sangue. Lo si ricava
solo dalle parole dell’istituzione eucaristica: «il sangue del mio testamento» (Mt.
26,28; Me. 14,24) o «il nuovo testamento nel mio sangue» (Le. 22,20; 1 Cor.
11,25). Il kerygma di 1 Cor. 15,3 attesta che Cristo «morì» per i nostri peccati;
Rom. 3,25 («propiziatorio nel suo sangue») aggiunge il paragone con il rito an
nuale dell’espiazione, al quale alludeva Ebr. 9 ,11-14 , sottolineando che in questo
modo si otteneva la «redenzione» (apolytrosis) dei peccati passati (Rom. 3,24).
Tutti questi elementi, cui si aggiungono la «promessa» e l’ «eredità» (cfr. 1,14 ; 6,
u s .) , confluiscono nel v. 15.
Ciò che invece figura nel testo greco di Geremia è il termine diatheke, che si
gnifica «testamento» e traduce in modo improprio l’ebraico berit, «alleanza». La
traduzione «testamento» serve all’autore per dire che la morte del «testatore» era
necessaria (vv. 16 s.).86 D’altronde l’antica alleanza venne anch’essa sigillata con
il sangue (vv. 18-22; Es. 24,6-8; 29,12.16), con una serie di aspersioni che culmi
nano con le parole: «Questo è il sangue del testamento» (v. 20, che cita Es. 24,
8). Quest’espressione ci riconduce direttamente alle parole citate a proposito del
l’istituzione eucaristica.
e) Esortazione (10,19-39)
Con una lunga preparazione della frase, l’autore giunge a constatare l’esistenza
di qualche spaccatura all’interno della vita comunitaria (vv. 19-25); mette quindi
seriamente in guardia dai pericoli cui sono esposti i fedeli (vv. 26-31) e infine li esor
ta a perseverare, memori delle antiche vittorie (vv. 32-3 9).
Spaccature nella vita comunitaria {10,19-25). I fedeli penetrano nel santuario
a viso scoperto, come fanno i discepoli di Gesù (v. I9a),94 «nel sangue di Cristo»
(v. 190): come se potessero prendere quel sangue con le mani. Per questa loro
«via» (v. 20; cfr. 9,8) attraversano il «velo» (cfr. 6,19; 9,3), che è la «carne» di
Cristo (altra allusione all’eucaristia), poiché Cristo è sommo sacerdote nella casa
di Dio, che siamo noi stessi (v. 2 1; cfr. 3 ,6).
87. Cfr. G a l. 4,4. 88. Cfr. M t. 26,28; M e . 1 4 ,2 4 ; R o m . 5 , 1 5 s.
89. Cfr. R o m . 8 ,1 9 .2 3 .2 5 . 90. Cfr. 8,5; C o l. 2 , 1 7 . 9 1 . Cfr. 9 ,7 .2 5 ; G a l. 4,9 s.
92. Cfr. M t . 3 , 1 1 par. 9 3. Cfr. G v . 1 1 , 2 7 ; 6,38. 94. Cfr. 2 Cor. 3 ,12 .
La lettera agli Ebrei 407
9 5. Cfr. 8,10, che cita G e r. 3 1 , 3 3 . ' 96. Cfr. 5,2 s.; 7,2 7 s.; 9,7; L e v . 1 6 , 6 . 1 5 s-
97. Cfr. L e v . 16,4: lo u s e ta i h y d a t i p a n to s o m a ; E z . 36,25.
98. Cfr. 6,2; cfr. 1 C o r . 6 , 1 1 ; E f . 5,26 ; T ìt. 3,5. 99. Cfr. 3,6; 6 , 1 1 . 1 8 ; 7 ,1 9 ; 1 1 , 1 .
100. Come in 1 Cor. 1 3 , 1 3 ; 1 T e ss. 1 ,3 ; 5,8.
1 0 1 . Cfr. R o m . 1 3 , 1 2 . 1 4 ; G a i. 3 ,2 7 s.; r T e s s . 5,8.
10 2 . Cfr. Lev. 16 ,5: p a r a tes s y n a g o g e s to n b y io n Is ra e l.
10 3 . Cfr. 1 C o r . 1 1 , 1 8 . 2 0 . 3 3 s-: s y n e r c h o m e n o n b y m o n .
104. Cfr. 1 T im . 2,4; 2 T im . 2 ,2 5 ; 3 ,7 ; T ìt. 1 , 1 .
10 5. Cfr. r T e ss. 2 ,1 5 . 106. Cfr. M t. j , 6 . 10 7 . Cfr. v. 19 ; M e . 14 ,2 4 .
10 8 . Cfr. M t. 1 2 , 3 2 par.;Ef. 4,30.
10 9 . Cita D e u t . 3 2 ,3 5 secondo R o m . 1 2 , 1 9 . n o . Cfr. FU. 1 ,2 7 ; 4,3.
408 Altre lettere paoline
dibrio, come in un teatro (v. 33a);IIZ furono solidali con gli «incatenati» (v. 34a)iri
e subirono la confisca dei beni (v. 34b).113 Bisogna dunque mostrare «coraggio»
davanti agli uomini (v. 3 5a; cfr. 3,6) e compiere la volontà di Dio (v. 3óa),114
poiché ci è stato promesso {v. 36I); cfr. 6,13) un grande premio (v. 35b).IIS
L ’adempimento della promessa è annunciato (vv. 37 s.) mediante la citazione
di Ab. z,3cd.4 (modificata con il ricorso a Js. 26,2.0). Il v. 38 inverte l’ordine di
Abacuc mettendo alPinizio l’elemento positivo (fede-salvezza) per poter conclude
re con quello negativo (v. 39: paura-condanna). Nella fede viene ribadito l’aspet
to di «resistenza» davanti al pericolo,116 l’opposto di una «ritirata» causata dal ti
more (hypostello-hypostole: vv. 38b.35>a),ri7 come pure il suo proiettarsi verso la
salvezza futura. Anche Paolo si era servito del medesimo testo di Abacuc (Rom.
1,17 ; Gal. 3 ,1 1 ; cfr. Rom. 10,5), aggiungendovi una sfumatura di giustificazione-
per-fede assente invece in questa lettera.
4. «La fede» ( 1 1 ,1 - 1 2 ,2 9 )
Nessun altro documento del Nuovo Testamento dedica quaranta versetti di se
guito al tema della fede, come accade nel cap. 1 1 di Ebrei. Nel contesto della let
tera il sostantivo pistis compare 32 volte (92 volte nelle sette lettere sicuramente
autentiche); il sostantivo contrario, apistìa, figura 2 volte (4 in Paolo); il verbo
pisteuo appare 2 volte (42 volte in Paolo). In un modo o nell’altro anche Ebrei
mette sempre in relazione la fede con la parola di Dio (cfr. 3,7 s.12 .15 s.19; 4,2
s.). In 12,2, l’esortazione che abbraccia tutto il paragrafo vincola, infine, esplici
tamente Cristo con la fede, ma tale vincolo non potrebbe essere più totale: lo ri
troviamo infatti all’inizio e alla fine della pericope.
La fede di Abele (v. 4) è provata dai suoi sacrifici migliori (rinuncia infatti a
ciò che è visibile per cederlo all’invisibile), dal gradimento divino {Gen. 4,4), e
dal fatto che, sebbene morto, parla ancora, phone haimatos: Gen. 4,io.1:11 Se par
la è perché è entrato nell’immortalità; se è riconosciuto «giusto» è perché ha cre
duto, poiché non è concepibile una «giustizia» senza la fede.
Di Enoc si sa solo che non morì perché era risultato gradito a Dio (v. 5),111
cosa che non sarebbe avvenuta se non avesse creduto che Dio esiste113 e ricom
pensa quanti lo cercano (v. 6).
Noè (v. 7)114 è colui che meglio risponde alla definizione di fede del v. 1: co
struisce l’arca malgrado un ciclo senza nuvole e si salva come erede della giusti
zia secondo la fede.115
Epoca di Abramo ( 1 1,8-zz). Il credente per antonomasia116 è considerato il mo
dello dell’obbedienza per fede (v. 8a),117 perché partì dal suo paese senza sapere
dove sarebbe andato (v. 8)IlS e visse come straniero nella terra stessa delle pro
messe (v. 9a);li? inoltre abitò sotto le tende (v. 9b) perché aspettava una città co
struita da Dio (v. io).130 Sempre per fede ebbe una discendenza (vv. 1 1 s.),131
come avvenne anche per Isacco e Giacobbe (v. i3a; cfr. vv. 9c.n a). Abramo stes
so si definisce «straniero e forestiero» (v. 13; cfr. Gen. 23,4): l’autore ne deduce
che era alla ricerca di una nuova patria (v. 14)131 nel cielo (v. i6a),133 perché non
pensava più di far ritorno in quella di prima (v. 15). Per questo Dio li ha onorati
chiamandosi loro Dio.134
Nei w . 13-16 la riflessione si estende a tutti i patriarchi dell’antichità. Nel v.
17 ricompare Abramo con il sacrificio del suo «unico» figlio (v. i7b: monoge
nesi'I3S Se era pronto a sacrificare colui che doveva dargli la discendenza pro
messa (v. 18),136 era perché aveva fede in colui che fa risorgere dai morti (v. 19).137
Perciò riebbe nuovamente il figlio come annuncio della risurrezione di Cristo (en
parabole: v. i9b; cfr. 13,20). Tanto le benedizioni di Isacco (v. 20; cfr. Gen. 27,
27-29.38-40) e di Giacobbe (v. 2 1; cfr. Gen. 48,14-20), quanto le profezie di
Giuseppe prima di morire (v. 22; cfr. Gen. 50,24 s.) derivano dalla fede in Dio
come signore del futuro (v. 2oa: peri mellonton).
Epoca di Mosè (11,2 3-31). Tenendo nascosto Mosè appena nato, i suoi geni
tori dimostrarono una fede in Dio superiore alla paura del faraone (v. 23; Es.
2,2 s.) e degna di essere ricordata in tempo di persecuzione. Andandosene alla ri
cerca dei suoi fratelli (vv. 24-26; cfr. Es. 2,11) Mosè rinuncia a onori (v. 24b), a
piaceri (v. 2 5b) e a ricchezze (v. z6a), preferendo essere perseguitato insieme al
popolo di Dio (v. 253), dunque preferendo 1’ «obbrobrio di Cristo» (v. 26b) in
1 2 1 . Cfr. 1 2 , 2 4 >Mt. 2 3 ,3 5 Par- 1 2 2 . Cfr. Gen. 5 ,24 ; Sir. 4 4 ,16 .
1 2 3 . Cfr. Giac. 2,19. 1 2 4 . Cfr. Gen. 6,7 s.1 3 - 1 8 ; Is. 54,9; Sir. 4 4 , 1 7 s.; M t. 2 4 ,3 7 -3 9 .
1 2 5 . Cfr. Ez. 1 4 ,1 4 .2 0 ; FiL 3,9. 12 6 . Cfr. Rom. 4 , 3 . 9 . 1 1 - 1 3 . 1 6 - 2 1 ; Gal. 3,6 -9 .14 .
1 2 7 . Cfr. Rom. 1,5; 1 0 ,16 . 12 8 . Cfr. Gen. 1 2 ,1 .4 ; Atti. 7 ,2 s.
12 9 . Cfr. 6 , 1 3 ; Gen. 1 3 , 1 2 . 1 4 - 1 8 ; Atti 7 ,4 -7. 130 . Cfr. 9 , 1 1 . 2 4 ; 2 Cor. 5 ,1 s,
1 3 1 . Cfr. Gen. 1 1 ,3 0 ; 15 ,6 ; 1 7 , 1 7 ; 1 8 , 1 0 - 1 2 ; Rom..4 , 1 6 - 2 1 ; 9,8 s.; Gal. 4 ,2 2 s.
1 3 2 . Cfr. E f. 2 ,1 9 ; 1 Pt. 1 , 1 7 ; 2 , 1 1 . 1 3 3 , Cfr. 3 , 1 ; 1 2 , 2 2 ; 2 Cor. 5,2.
1 3 4 . Cfr. Gen. 26,24; 2-8,13; 3 I >5 3 * E s - 3 ,6 .1 5 s.; 4,5; 1 R e 18 ,3 6 ; 1 Cron. 2 9 ,18 ; Sai. 4 6 ,10 ;
Mt. 2 2 , 3 2 par.; Atti 3 , 1 3 ; 7 ,3 2 . 1 3 5 - Cfr. Gen. 2 2 ,2 .1 6 ; Rom . 8,32.
13 6 , Citazione di Gen. 2 1 , 1 2 , come in Rom . 9,7. 1 3 7 . Cfr. R om . 4 ,17 -
4 10 Altre lettere paoline
considerazione della ricompensa eterna (v. z6c). Rinunciò alla vista del faraone
per la visione di Dio nel roveto ardente (v. 27; cfr. Es. 2,15; 3,3-6). Celebrò la
pasqua e asperse il sangue come difesa dallo sterminatore (v. 2,8; cfr. Es. 1 2 ,2 1
23). La fede permise che il Mar Rosso diventasse passaggio per gli uni e tomba
per gli altri (v. 29; cfr. Es. 14,10-30). La fede fece sì che crollassero le mura di
Gerico (v. 30; cfr. Gios. 6,15 s.20) e si salvasse la donna che aveva scelto di stare
dalla parte dei conquistatori (v. 31; cfr. Gios. 2,1.9-13)
Esempi vari (11,32-38). In tutto l’Antico Testamento l’autore avrebbe potuto
trovare esempi di fede in quantità tale da riempire parecchi capitoli, eppure non
rammenta che gli episodi più vicini all’ingresso nella terra promessa (Giudici e 1
Samuele) e quelli più prossimi alla sua epoca.
L’elenco inizia (v. 32) con una serie di nomi propri: Gedeone (Giud. 6,11-8,
33), Barac {Giud. 4,6-5,15), Sansone {Giud. 13,24 -16 ,31), Iefte {Giud. 1 1 ,1 -1 2 ,
7), Davide e Samuele (cfr. 1 Sam. 16 ,1-13) e i profeti (cfr. Deut. 18,15-22). Nel
l’elencazione che segue non mancano allusioni, perlomeno probabili, a fatti con
creti: Sansone che lotta con il leone (v. 3 3d; cfr. Giud. 14,5 5.), i giovani nella for
nace (v. 34a; cfr. Dan. 3,23-25), la risurrezione compiuta da Elia (v. 35a; cfr. 1
Re 17,20-23), le torture inflitte a Eleazaro (v. 3 5b, cfr. 2 Macc. 6,19.28), scherni,
flagelli, catene e prigionie in epoca maccabaica (v. 36),138 la lapidazione di Stefa
no (v. 37a),139*il martirio di Isaia (v. 37b),T4° l’ascetismo dei profeti (v. 37d)T4T e
di Giovanni Battista {Mt. 3,4 par.), le fughe nel deserto in epoca maccabaica (2
Macc. 5,27; 6 ,11; 10,6). È inoltre possibile intravedere la storia di Davide nel v.
33abc (cfr. spec. 2 Sam. 7,5-17; 8,15). Tuttavia ciò che importa davvero è scor
gere come, aneddoto dopo aneddoto, gradualmente compaiono la fede e la giusti
zia (v. 33; cfr. w . 4.7; 10,38), la forza e la debolezza (v. 34; cfr. vv. 1 1 .1 7 ; 1,3;
7,16), la redenzione finale (v. 35C; cfr. 9,15) e la risurrezione (v. 35ad; cfr. v. 19;
6,2; 13,20).
Conclusione (11,39 s.). Eppure tutti costoro non conseguirono subito le pro
messe (v. 39): la «consacrazione» finale (cfr. 10,14) giungerà per loro insieme al
la nostra, perché era prevista per noi (v. 40).142
b) Esortazione (12,1-29)
È possibile che i primi lettori della lettera si vedessero «ritratti» nelle descrizioni
del capitolo precedente (è la grande «questione aperta» di Ebrei); comunque sia,
il capitolo presente e, in un certo senso, anche tutte le sezioni parenetiche esorta
no i credenti a seguire gli esempi ricevuti.
Nel cap. 12 si possono distinguere pericopi più dichiarative e solenni e altre
più pratiche e dirette. Proponiamo la suddivisione che segue: immagine della cor
sa (12,1-4), immagine della disciplina paterna (vv. 5-11), conseguenze (w. 1 2
17), immagine del monte santo (vv. 18-24), conseguenze (vv. 25-28).
Immagine della corsa (12,1-4). ha grande lezione impartita dagli esempi ripor
trebbe anche esservi chi si «prostituisce» (peccare per denaro) per interessi mate
riali, perdendo la primogenitura (v. 1 6; cfr. v. 13: «la chiesa dei primogeniti») co
me Esaù, che si giocò definitivamente la benedizione (v. 17).156
L’immagine del monte santo (11,18 -14 ). L ’accostamento tra il Sinai e il mon
te Sion (ov’era situato il tempio) riepiloga i temi dottrinali della lettera. Sul Sinai
Dio tracciò il confine tra il sacro e il profano (l’aggettivo bebelos appariva nel v.
1 6) servendosi di fenomeni meteorologici (vv. i8-i9a),IS7 di una voce terrificante
(v. I9)is8 e dell’ordine di uccidere qualsiasi animale si fosse avvicinato (v. 10),159
al punto che Mosè stesso era spaventato (v. 21).160 Noi, invece, non dobbiamo
aver paura, perché siamo stati introdotti sul «monte» ove è eretta la vera tenda
(v. u à ; cfr. 8,5) e nella «città» celeste (v. n b ; cfr. 11,10 .16 ; 13,14 ), chiamata
anch’essa Gerusalemme.161 Qui si trovano la chiesa dei primogeniti (v. i3a; cfr. v.
16; i,é>),l6z iscritti nel Libro di Dio (v. 13 b),163 oltre a Dio stesso, ai giusti «con
sacrati» (v. i3d; cfr. 10 ,14; x i j40)j al mediatore della nuova alleanza (v. i4a; cfr.
9,15) e al suo sangue, più efficace di quello di Abele (v. i4b; cfr. 9,14; 11,4).
Per contrasto l’autore sta alludendo alla Gerusalemme attuale (Gal. 4,15), co
me pure agli altri fratelli che un giorno possedevano la primogenitura (v, 16) e
adesso sono stati cancellati dal Libro (cfr. Apoc. 3,5) da parte di Dio, giudice di
tutti (v. 2.3C; cfr. 4 ,12 s.; 6,2; 9,2.7; 10,27.30; 13,4).
Conseguenze (12,25-28). Ma Dio c giudice di tutti e forse più per quelli che
erano maggiormente vicini a lui; se non ebbero scampo quanti avevano ricevuto
soltanto oracoli, tanto più quelli che erano nello stesso cielo con lui (v. 25; cfr. v.
23; 10,28 s.). Dio infatti sta per «scuotere» il cielo stesso (v. 2 6, che cita Agg. 2,
6.21), poiché ora in esso si trovano creature «che possono essere scosse» (v. 27).
Il «regno» in quanto tale è incrollabile (v. 28a; cfr. 1,8): in esso troviamo grazia
(v. 28b)164 e possiamo rendere un culto gradito a Dio (v. 28C),165 il quale è un fuo
co che consuma (v. 29).166
5. Conclusione epistolare ( 1 3 ,1 - 2 5 )
te (vv. 7-17), inquadrandoli tra due riferimenti ai «capi» (vv. 7.17), introduce
temi specificamente ecclesiali, in stretta relazione con il contenuto della lettera.
Nella morale classica, l’esortazione generale rientrerebbe nell’ambito di com
petenza del quinto comandamento (vv. 1-3), del sesto (v. 4) e del settimo (vv. 5
s.); tuttavia la lettera punta più al perfezionamento della virtù che non a evitare
il peccato. Per prima cosa si invita all’amore fraterno (v. 1),167 che si esprime
nell’ «ospitalità» (v. 2; cfr. 6,io)168 e nella solidarietà con chi è prigioniero o mal
trattato (v. 3; cfr. 10,34; 11,2,5).169 All’unione coniugale vengono attribuite gran
de dignità e purezza (v. 4a), che ovviamente non si estendono alla fornicazione e
all’adulterio (v. 4b; cfr. jlz , i 6).170 I «capi» (hegoumenoi: vv. 7.17.2 4 )171 sono
quelli che avevano annunziato la parola (v. 7a), ossia, secondo 2,3, ex discepoli
del Signore. Bisogna obbedire loro (v. i7a),I?1 poiché stanno in pena per noi (v.
i7b)173 come chi abbia da rendere conto delle nostre anime (v. 17C). Nel v. 24
raccomanderà di salutarli tutti. Mischiati con le allusioni ai «capi» troviamo un
buon numero di «pensieri» (vv. 7-9 e 14-16) ed esortazioni (vv. 11-13 ).
In breve: Cristo durerà per sempre, mentre l’Antico Testamento sta per estin
guersi (v. 8; cfr. 8,13); non possiamo sostituire la grazia di Dio con il «vigore»
offerto da un certo tipo di alimenti (v. 9; cfr. 4,16; 9,10; 12,15), poiché posse
diamo un cibo molto superiore a quello che potevano mangiare soltanto i sacer
doti (v. io).17'
L ’esortazione centrale (vv. 1 1 - 1 3 ) prende spunto da un particolare, tratto dal
rito del giorno dell’espiazione: i corpi degli animali il cui sangue era portato nel
santo dei santi (dunque i più vicini a Dio) venivano bruciati fuori dall’accampa
mento (v. 1 1 ; cfr. Lev. 16,27). Perciò anche Gesù morì fuori dalle mura della cit
tà (v. 12) e noi siamo esortati a uscire dalla Gerusalemme attuale portando l’ob
brobrio di Cristo (v. 1 3 ).175 Da questo si deduce (vv. 14-16) che siamo in cam
mino verso la città definitiva (v. 14)176 e offriamo un sacrificio di lode a Dio con
fessando il suo nome (v. 15 )177 e restando in comunione con gli altri (v. 16).178
b) Commiato (13,18-25)
Come si è detto, la lettera non mostra nulla di prettamente epistolare nell’intro
duzione, come invece accade nel commiato. Oltre a una benedizione un po’ più
solenne (vv. 20 s.) offre alcune allusioni alla situazione personale dell’autore (v.
18), alla sua speranza di rivedere i destinatari (v. 19), al tipo di lettera che ha lo
ro scritto (v. 22) e al suo compagno Timoteo (v. 23). La lettera si conclude con i
saluti (v. 24) e una benedizione che funge da sigillo (v. 25). Bisogna riconoscere
- e le «questioni aperte» ne diranno qualcosa di più - che si tratta del frammen
to più paolino di tutta la lettera.
16 7 . Cfr. R o tti. 1 2 , 1 0 ; 1 T e s s . 4,9. 16 8 . Anche G e n . 1 8 ,2 s.; 1 9 , 1 - 3 ; R o tti. 1 2 , 1 3 .
16 9 . Anche M t. 2 5 ,3 6 .3 9 s. 17 0 . Anche 1 C o r . 6,9 s.; G a l. 5 , 1 9 - 2 1 ; E f. 5,5.
1 7 1 . Cfr. appellativi paralleli in R o m . 1 2 ,8 ; 1 T e ss. 5 ,1 2 ; 1 C o r . 1 2 ,2 8 ; G a l. 6,6; FU. 1 , 1 .
1 7 2 . Cfr. 1 T e ss. 5 , 1 2 s.; 1 Cor. 1 6 ,1 6 .
1 7 3 . Cfr. 2 C o r . 1 1 , 2 8 . 1 7 4 . Cfr. 6,4; E s. 2 9 ,3 2 ; L e v . 8 ,3 1.
1 7 5 . Cfr. 1 0 ,3 3 ; 1 1 , 2 6 ; 1 2 ,2 . 1 7 6 . Cfr. 1 1 , 1 0 . 1 6 ; 1 2 ,2 2 .
1 7 7 . Cfr. 3 ,1 ; 4 ,1 4 ; 1 0 ,2 3 ; 2 ,11. 17 8 . Cfr. 1 0 ,3 3 ; R o m . 1 2 , 1 ; FU. 4 ,1 8 .
4 14 Altre lettere paoline
L’ampia benedizione (w. 20 s.) ha varie parentele: il Dio della pace (zoa)179 ha
risuscitato Cristo (v. zob),l8° pastore delle pecore (v. 20C),181 con il sangue del te
stamento eterno (v. 2od).181 Egli deve farci «maturare» (v. zia)183 perché com
piamo la sua volontà (v. zib)184 e siamo a lui graditi (v. zie)185 per mezzo di Gesù
Cristo, al quale sia gloria nei secoli (v. zid).l8é
Infine la lettera è definita una breve parola di esortazione (v. 22);187 l’autore
comunica ai destinatari che Timoteo è stato liberato e spera di recarsi a trovarli
insieme con lui (v. 23). Saluta quindi i capi (v. Z4a; cfr. w . 7.17) e tutti i «santi»
(v. 24I3).188 Anche quelli d’Italia si uniscono al suo saluto (v. 24), espresso nella
forma più classica possibile (v. 25).
IH . Q U E S T I O N I A P E R T E
«un solo Signore» (1 Cor. 8,6). Tutto ciò nel contesto di un’identifica
zione di Gesù con la sapienza di Dio, all’interno di una scuola sapien
ziale riservata ai cristiani più maturi:
Tra i perfetti parliamo di sapienza... una sapienza di Dio, misteriosa, nascosta,
che Dio ha predestinato prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei princi
pi di questo mondo l’ha conosciuta. Se l’avessero conosciuta, infatti, non avreb
bero crocifìsso il Signore della gloria (1 Cor. 2,6-8).
Se in FU. 2,8 è detto che fu «obbediente fino alla morte», anche Ebr. 5,8
mette in relazione la passione e l’obbedienza:
Pur essendo figlio, imparò l’obbedienza attraverso ciò che patì.
4 18 Altre lettere paoline
Non manca neppure l’accenno agli esseri celesti che sono tenuti ad ado
rarlo, come in Fil. 2,10:
Tutti gli angeli di Dio si inginocchino davanti a lui (Ebr. 1,6).
(.di’autou) è comune a j Cor. 8,6; Col. 1,16 ed Ebr. 1,2; 2,10. L’espres
sione «riflesso della sua gloria e impronta della sua sostanza» (1,3) ren
de in modo originale il medesimo concetto di «immagine del Dio invi
sibile» {Col. 1 , 1 5 ) . Tuttavia Ebrei riprende due elementi dell’inno privi
di corrispondenza specifica nelle lettere che portano il nome di Paolo:
con «sostiene tutte le cose con la parola della sua potenza» {Ebr. 1,3)
esprime in altre parole che «tutto sussiste in lui» {Col. 1,17 ). D’altra
parte, Ebrei 2,10 unisce «per mezzo del quale» (<di’hou) a «per il quale»
(1di’hon), come anche Col. 1,16 unisce «per mezzo di lui» {di’autou) a
«in vista di lui» {eis autori), sebbene il testo di Ebrei sembri riferirsi a
Dio e non a Cristo.
Sfortunatamente non siamo in grado di datare con precisione la lette
ra ai Colossesi. Ciononostante, il solo fatto che con l’inno di questa let
tera avvenga lo stesso che con l’inno di Filippesi (più approfondito in
Ebrei che dall’autore della lettera) combacia perfettamente con l’idea di
un’origine comune dei due inni e dell’esistenza di buoni rapporti tra Pao
lo e la scuola giudeocristiana ellenistica che li elaborò.
Questa scuola potrebbe aver avuto sede a Cesarea, ove l’apostolo tra
scorse varie stagioni; rimase addirittura due anni prigioniero in questa
città, pur potendo mantenere ima certa libertà (anesin: Atti 24,23). Dai
cristiani di Cesarea, capeggiati da Filippo, l’apostolo potrebbe aver ri
preso in epoca precoce l’inno di Filippesi e altri brani prepaolini. Insie
me a essi, nei due anni di prigionia «mitigata» potrebbe aver elaborato
le lettere ai Colossesi e agli Efesini. Si spiegherebbero così, in qualche
modo, le differenze tra queste due lettere e il resto degli scritti paolini.
Ciò può essere confermato in parte dai numerosi paralleli tra Ebrei, Co
lossesi ed Efesini,190 soprattutto per chi ritiene la lettera a Filemone
scritta da Cesarea e Colossesi inviata insieme a essa.
Chi invece desideri camminare più sul sicuro obietterà che le corri
spondenze non sono perfette e non è dimostrata la dipendenza letteraria
di Ebrei dagli inni citati. Ciononostante i parallelismi sono sufficienti
per stabilire che determinate idee (e determinate espressioni) esistevano
già nel momento in cui veniva scritta la lettera ai Filippesi (che i più da
tano intorno agli anni 50). Ritengo che il raffronto basti per affermare
che Paolo e l’autore di Ebrei avevano accesso a tradizioni simili e per
reputare (dato che molte sono le opinioni contrarie) che la «cristologia
avanzata» non è argomento sufficiente per far risalire la lettera agli Ebrei
alla fine del secolo.
19 0 . Ricordiamo A. Vanhoye, É p it r e .
b) L a l e t t e r a a g l i E b r e i e i l p a o l i n i s m o
La legge non ha portato nulla alla perfezione, ma ha introdotto una speranza mi
gliore (v. 19).
La legge istituisce per gli uomini sacerdoti fragili, ma la parola del giuramento
che giunse dopo la legge, ci dona il Figlio, perfetto per sempre {v. 28).
Questi due versetti possono essere collegati rispettivamente con due te
sti di Galati:
La legge è stata nostro pedagogo fino a Cristo, perché fossimo giustificati per la fe
de {Gal. 3,24).
Quando giunse la pienezza del tempo Dio mandò suo Figlio... perché ci riscat
tasse dalla legge, affinché ricevessimo l’adozione a figli (4,4 s.).
Chi ritiene che Ebrei sia uno scritto posteriore alle grandi lettere paoline
(nel paragrafo che segue affronteremo proprio questo tema), dovrà ri
conoscere che la sua posizione è più a favore di Paolo che contro di lui.
Chi, come facevamo osservare poco fa, ritiene che Ebrei sia frutto di
una riflessione teologica iniziata prima della stesura delle grandi lettere
paoline, e a cui attinse lo stesso Paolo durante la sua permanenza a Ce
sarea, potrà accogliere anche quest’intuizione: che l’apostolo non solo
imparò alcune cose, come appunto dicevamo, ma anche che i cristiani
ellenisti impararono da lui. Per questo motivo l’apostolo potrà essere
considerato un po’ il padre della lettera agli Ebrei.
Nella Lettera di Clemente, scritta verso la fine del i secolo, sono stati
accertati più di venti paralleli con Ebrei, fatto che ha indotto quasi gene
ralmente a ritenere che la nostra lettera sia anteriore. Leggiamone uno:
«Egli, splendore della sua maestà, tanto è superiore agli angeli, quanto è eccel
lente il nome che ha ereditato». Così, infatti, è scritto: «Egli fa i suoi angeli come
venti e i suoi servi come fiamma di fuoco». Di suo Figlio così dice il Signore: «Tu
sei mio figlio, oggi ti ho generato: domanda e io ti darò in eredità le nazioni e in
proprietà i confini della terra». E ancora gli dice: «Siedi alla mia destra, finché io
faccia i tuoi nemici sgabello dei tuoi piedi» (36,2-5).
L ’affinità di questo passo di Clemente con Ebr. 1,3 s.7.5.13 ci sembra
evidente quanto la risposta al quesito su chi sia il maestro e chi il disce
polo in un ragionamento di questo tipo. Certo, è possibile che la lettera
agli Ebrei provenga dall’Occidente come scritto timidamente pseudo-
paolino. A favore di questa eventualità solitamente si rammenta che:
a) tra i «fondamenti» dell’iniziazione cristiana essa pone la conver
sione dalle opere morte e la fede in Dio (6,1), elementi caratteristici più
della conversione di un gentile che di un giudeo;
b) l’autore non mostra una buona conoscenza del culto del secondo
tempio, poiché parla di «tenda» e non di «tempio», ignora che l’arca del
l’alleanza era ormai da tempo andata perduta e confonde i sacrifici quo
tidiani col sacrificio del giorno dell’espiazione {Ebr. 7,27; 10 ,10 -12);
c) la comunità destinataria professava dottrine particolarmente strane:
ad esempio confondeva la diserzione dalle riunioni liturgiche con un’apo
stasia imperdonabile (se si legge Ebr. 10,26 alla luce del v. 25); reitera
va i battesimi (6,2), ma rifiutava l’eucaristia (infatti non se ne parla) per
evitare qualsiasi sospetto di «ripetizione» del sacrificio di Cristo.
Nessuno di questi tre punti risulta convincente. Riguardo ad a, la col
locazione tra i fondamenti della fede della «conversione dalle opere
morte» e della «fede in Dio» non ci pare un indizio così decisivo che i
destinatari fossero dei gentili. L ’elemento «conversione» (metanoia) non
era estraneo né alla predicazione di Giovanni (cfr. Mt. 3,2) né a quella
di Gesù (cfr. 4,17) né a quella degli apostoli (Atti 2,38). Pure la «fede in
Dio» può essere un modo per dire «fede nel vangelo - o nella parola -
di Dio». Di fatto, Ebr. 3 ,12 parla dell’apostasia del vangelo come di una
apostasia «del Dio vivente» e 5 ,12 dell’iniziazione cristiana come dei
«primi elementi delle parole di Dio». D’altra parte, il giudizio che ci si
forma su uno scritto di tredici capitoli non dovrebbe dipendere da una
singola parola («Dio» invece di «Cristo» o «il Signore»), perché tale pa
rola potrebbe essere stata introdotta nel momento in cui il testo veniva
adattato a un uditorio diverso.
Riguardo a b, ritengo che le «sviste» della lettera sulle questioni ritua
li si spieghino meglio ammettendo un artificio letterario (sovrapposizio
La lettera agli Ebrei 423
ne del piano «storico-biblico» con la realtà del cielo e la realtà del culto
attuale) che non l’ignoranza di quest’ultima. Per questo non si parla sol
tanto di «tenda» ma anche di «accampamento» ( 1 3 ,1 1 .1 3 ) provvisto di
«mura» (v. 12,), senza dimenticare le allusioni a Sion e a Gerusalemme
(12,22). Ad artificio oppure all’ardore della polemica può essere attri
buito anche l’equivoco di 7,27, in cui ai sacrifici quotidiani viene affian
cato il sacrificio offerto dal sacerdote per i propri peccati nel giorno del
l’espiazione {Lev. i6 ,6 .i5 ).I9i
Riguardo a c. e alle «strane dottrine» della comunità, diremmo che non
ci vuole molto per vedere la persecuzione che fa capolino in vari punti
della lettera (ricordiamo gli esempi di 1 1 ,3 2 -3 7 e le conseguenze che se
ne traggono in 12,1-4). Questo ci induce a pensare che in 6,6 e in 10,26
l’autore si riferisca alla vera apostasia e non a un «peccato veniale»
qualsiasi. D’altra parte egli ricorre più volte alle tradizioni che si ispira
no all’istituzione eucaristica (cfr. spec. «sangue dell’alleanza» in 9,20; io,
29; 12,24 ; i 3 j 2‘° e m Me. 14,24 par.; «gustare il dono celeste» in 6,4;
«mangiare dell’altare» in 13,10 ); non è cosa facile dimostrare che vi ri
corre prescindendo dall’eucaristia in quanto tale.
L ’argomento principale a favore dell’origine occidentale della lettera
(e dunque di un certo carattere fittizio) è costituito dai versetti conclu
sivi (13,23-25): l’allusione a Timoteo e alla visita da parte dell’autore,
come pure i saluti di «quelli dell’Italia». Perciò il prezzo che deve paga
re l’ipotesi «realista» (che colloca la lettera in Palestina durante gli anni
Sessanta) è ammettere che, nel momento in cui lo scritto veniva adatta
to a un uditorio occidentale, all’inizio vennero soppressi alcuni versetti
e alla fine si aggiunsero questi.
La questione resta aperta ma, come si è detto, propendiamo per l’ipo
tesi realista. Si tratterebbe dunque di una lettera genuina (consideriamo
autentica la pericope 1 3 ,1 - 2 1 e riteniamo che i versetti iniziali vennero
soppressi), scritta e destinata a giudeocristiani ellenisti dopo il passaggio
di Paolo da Cesarea e prima della guerra giudaica (nei primi anni 60).
Come possibile autore propendiamo per «Filippo evangelista» (Atti 2 1,
8), secondo dopo Stefano (6,5; 8,5 s.12 s.26.29-31.34 s.38-40) e proba
bile continuatore della sua polemica rispetto alla legge e al tempio (6,
1 1 . 1 3 s.). Ma è un nome che riteniamo semplicemente «emblematico»
di un movimento da cui lo stesso Paolo trasse insegnamenti. La tradizio
ne ne ricorda la fuga da Cesarea al momento dello scoppio della guerra
giudaica e la morte a Efeso, città in cui aveva trovato rifugio anche Gio
vanni evangelista. Tutto ciò che abbiamo detto in favore del «paolini-
smo» della lettera appoggerebbe quest’ipotesi.19 2
Bibliografia
La lettera agli Ebrei è una sorta di paradiso per chi desideri ricercare corrispon
denze verbali e strutture a tutti i livelli; il modello di questo tipo di lavoro è sen
z’altro A. Vanhoye, La structure littéraire de l’Épìtre aux tìébreux, Paris 2i976.
Per un’esegesi approfondita di Ebrei si dispone di sussidi di tutto rispetto. Ri
cordiamo nuovamente l’opera in due volumi di C. Spicq (già citata). Non richie
dono minor impegno le opere, anch’esse già menzionate, di Weiss e Braun (forse
più radicale), come pure i commenti di O. Michel, Der Briefan die Hebràer, Gòt-
193. In questo senso meritano considerazione particolare le letture giudaiche della lettera, cfr.
D. Flusser, «Today if You WìU Lìsten io this Voice». Creative Exegesis in Hebrews 3-4, in B.
Uffenheimer, Creative Biblìcal Exegesis, Sheffield 1988, 55-62; lo stesso dicasi per i paralleli
con documenti di Qumran; cfr., ad esempio, H. Loehr, Thronversatnmlnng und preisender
TempeL Beobachtungen am hìmmlischen Heiligtum im Heb und in Qumran, in M. Hengel
(ed.), Kònigsherrschaft Gottes, Tiibingen 19 9 1, 185-205.
194. Tra i sostenitori del realismo troviamo il commento di C, Spicq, U Èpitre aux Hébreux, 2
voli., Paris *19 5 3, e A. Vanhoye, Situation du Christ, Paris 1969, 48-60.
La lettera agli Ebrei 425
1. Opere d'insieme
Allo, E.B., Saint Paul: Première épitre aux Corinthiens, Paris 1956.
-, Saint Paul: Seconde épitre aux Corinthiens, Paris 1956.
1. Oltre ad alcune opere particolarmente importanti, se ne elencano altre, spesso citate.
2. L’elenco di commenti è più esteso nei paragrafi dedicati alla bibliografia che compaiono alla
fine dei rispettivi capitoli {iv, vi, v ii , vili, ix, x, x ii , xiv, xv).
428 Bibliografia generale
3. Temi specifici
7 Sommario
9 Premessa
ii Abbreviazioni e sigle
Parte prima
P A O LO E I SU O I SC R IT T I
Capitolo I
16 La vita di Paolo
17 1. Scritti autentici
19 2. Cornice cronologica
19 3. Le origini di Paolo
zo 4. La giovinezza di Paolo
22 5 „Paolo persecutore
23 6. La conversione di Paolo
24 7. Soggiorno in Arabia
2-5 8. Prima visita a Gerusalemme
26 9. Paolo e Barnaba ad Antiochia
2*7 10. Il «primo viaggio»
28 11. Altre località evangelizzate
32 12. Cronologia del «concilio» di Gerusalemme
33 13. Decisioni prese a Gerusalemme
34 14. L’incidente di Antiochia
37 15. Ultimo viaggio di Paolo a Gerusalemme
39 1 6. Fine della vita di Paolo
39 17. Bibliografia
40 a) Leggere Paolo
40 b) Vite di Paolo e opere generali
Capitolo 11
42 Gli scritti paolini
42 1. Paolo scrittore
43 2. Tredici lettere più una
43 3. Lettere o epistole?
44 4. Linguaggio parlato, linguaggio religioso
e convenzioni retoriche
47 5. Modelli greci e giudaici
49 6. Opera di maestro e di pastore
50 7. Unità e integrità delle lettere
52. 8. «Forme» e «tradizioni»
432. Indice del volume
53 9. Il «laboratorio» di Paolo
54 10. L’aspetto materiale delle lettere
55 11. L’ordine delle lettere
58 Bibliografia
Capitolo ih
60 Testimonianze esterne su Paolo e i suoi scritti
60 1. Contributo dei documenti pagani
62 il. Testimonianze cristiane dei primi due secoli
62 1. Il Nuovo Testamento
66 2 . 1 Padri apostolici
68 3 . 1 Padri apologisti
7i 4. Scritti eretici
74 5. La «canonizzazione» delle lettere di Paolo
77 ili. Commenti alle lettere di Paolo
77 1. Patrologia greca
78 2. Commenti cattolici latini
79 3. La riforma protestante
82 4. L’esegesi «attuale»
89 Bibliografia
Parte seconda
LA C O R R I S P O N D E N Z A TESSALONICESE
Capitolo iv
94 La prima lettera ai Tessalonicesi
94 I. 1 dati del problema
94 1. Comunità destinataria
96 2. Occasione della lettera
98 3. Stile e vocabolario
99 4. Suddivisioni maggiori
100 11. Lettura della lettera
101 1. Indirizzo (1,1)
IOI 2. Primo esordio: la realtà della comunità (1,2-10)
IO I 3. Prima narrazione: l’operato di Paolo (2,1-12)
101 4. Secondo esordio: sofferenza dei tessalonicesi (2,13-16)
102 5. Seconda narrazione: eventi precedenti la stesura della lettera
(2-,i7 ~3 ,io)
102 6. Prima conclusione della lettera (3,11-13)
102 7. Prima esortazione: Dio vuole santità (4,1-8)
102 8. Prima istruzione: sull’amore fraterno (4,9-12)
102 9. Seconda istruzione: sui defunti (4,13-18)
IO3 io. Terza istruzione: sul giorno e l’ora (5,1-10)
103 II. Seconda esortazione (5,12-22)
103 12. Seconda conclusione della lettera (5,23-28)
104 h i . Questioni aperte
104 1. Dubbi sull’autenticità
104 2. Unità e integrità
106 3. Cronologia
107 Bibliografia
Indice del volume 433
Capitolo v
io 8 La catechesi primitiva
no 1. Il Dio unico
in 2. Dio Padre e lo Spirito santo
IIZ 3. Cristo sulla terra
114 4. Morte e risurrezione di Cristo
nj a) Morte redentrice
116 b) Risurrezione
117 5. Gesù, «Cristo», «Figlio di Dio» e «Signore»
118 a) Gesù, «Cristo»
120 b) Gesù, «Figlio di Dio»
122 c) Gesù Cristo, «il Signore»
127 6. La parusia
130 7. L’ingresso nella fede
132 8. La vita cristiana
138 9. La chiesa
143 Bibliografia
Capitolo vi
144 La seconda lettera ai Tessalonicesi
144 1.1 dati del problema
144 1. Autore e destinatari
J 45 2. Occasione della lettera
146 3. Linguaggio e stile
148 4. Suddivisione della lettera
148 11. Lettura della lettera
149 1. Indirizzo (1,1 s.)
149 2. Primo esordio: la comunità perseguitata (1,3-12)
149 3. Prima esortazione (2,1-12)
149 4. Secondo esordio (2,13-15)
150 5. Prima conclusione (2,16-3,5)
150 6. Seconda esortazione (3,6-15)
150 7. Seconda conclusione (3,16-18)
150 ih. Questioni aperte
151 1. Lettera imitata
152 2. Escatologia dura
153 3. Escatologia legata al mito
153 4. Escatologie incompatibili?
155 5. Sospettosamente autografa?
156 Bibliografia
Parte terza
LE GRANDI LETTERE
Capitolo v i i
159 La prima lettera ai Corinti
159 1.1 dati del problema
159 1. Corinto e la sua evangelizzazione
161 2. Occasione della lettera
434 Indice del volume
Capitolo vili
185 La seconda lettera ai Corinti
185 I. 1 dati del problema
185 1. Occasione della lettera
185 a) La crisi a Corinto
187 b) Occasione immediata della lettera
188 2. Stile e vocabolario
189 3. Suddivisioni maggiori
191 II. Lettura della lettera
19 1 1. Lettera A, lettera della riconciliazione (capp. 1-7)
191 a) Inizio epistolare (1,1-7)
191 b) Prima sezione narrativa (1,8-2,17)
192 c) Le «raccomandazioni» dell’apostolo (3,1-6,10)
195 d) Seconda sezione narrativa (6,11-13; 7,2-16)
195 e) «Inciso» sulla separazione (6,14-7,1)
196 2. Lettera B, prima lettera sulla colletta (cap. 8)
196 3. Lettera C, seconda lettera sulla colletta (cap. 9)
Indice del volume 435
Capitolo X
Z$Z La lettera ai Romani
232 1.1 dati del problema
232 1. Comunità destinataria
235 2. Occasione della lettera
237 3. Stile e vocabolario
238 4. Suddivisioni della lettera
24O 11. Lettura della lettera
24O 1. Introduzione della lettera (1,1-17)
24O a) Indirizzo ( t , t - 7 )
24O b) Esordio (1,8-15)
24O c) Proposizione generale (1,16 s.)
240 2. Primo discorso dottrinale: la giustificazione (1,18-4,25)
241 a) Prime note preliminari: il peccato dei gentili (1,18-32)
242 b) Seconde note preliminari: il peccato dei giudei (2,1-3,20)
244 c) Proposizione: la giustificazione per fede (3,21-26)
244 d) Obiezioni (3,27-31)
244 é) Dimostrazione per mezzo della Scrittura (4,1-25)
24 6 3. Secondo discorso dottrinale: la vita cristiana (5,1-8,39)
24 6 a) Una nuova relazione con il Padre (5,1-11)
247 b) Cristo di fronte al peccato e alla morte (5,12-6,23)
24 9 c) Cristo di fronte al peccato e alla legge (7,1-8,39)
253 4. Terzo discorso dottrinale: i giudei e il vangelo (9,1-11,36)
2-53 a) Esordio (9,1-5)
254 b) Argomento preliminare (9,6-33)
*55 c) Proposizione (10,1-4)
2-55 d) Argomentazione (10,5-11,12)
2-57 e) Applicazione (11,13-24)
257 f) Perorazione (11,25-36)
258 5. Discorso esortativo (12,1-15,13)
258 a) Esortazione generale (12,1-13,14)
26 r b) Un problema a Roma (14,1-15,13)
262 6. Epilogo della lettera (15,14-16,27)
262 a) Primo commiato (15,14-33)
263 b) Secondo commiato (16,1-27)
264 hi. Questioni aperte
265 1. Unità e integrità della lettera ai Romani
z68 2. «Avversari» a Roma
271 Bibliografia
Capitolo xi
2-73 Teologia delle grandi lettere: l’antropologia teologica
275 1. Il peccato dell’umanità
275 a) Le lettere ai Corinti
276 b) La lettera ai Galati
276 c) La lettera ai Romani
280 2. La legge, proposito di salvezza fallito
281 a) Testi favorevoli alla legge
282 b) Testi sfavorevoli alla legge in Romani
Indice del volume 437- -
Parte quarta
LE LET T ERE D E L L A P R IG IO N IA
Capitolo x i i
303 Le lettere ai Filippesi e a Filemone
3°3 1.1 dati delle lettere
3°3 1. Destinatari: Filippi e Filemone
303 a) Filemone
304 b) Filippi e i filippesi
307 2. Occasione delle due lettere
308 3. Stile e vocabolario
309 4. Suddivisioni maggiori
3.10 11. Lettura delle due lettere
310 1. La lettera a Filemone
310 a) Introduzione epistolare (vv. 1-7)
310 b) Corpo della lettera (vv. 8-20)
310 c) Conclusione epistolare (vv. 21-25)
310 2. La lettera ai Filippesi
310 a) Introduzione epistolare (1,1-11)
310 b) Notizie sull’apostolo: esperienze dal carcere (vv. 12-26)
3 11 c) Prima esortazione: l’esempio di Cristo (1,27-2,18)
312 d) Prima conclusione epistolare:
notizie relative a Timoteo ed Epafrodito (2,19-30)
312 è) Seconda esortazione (3,1-4,9)
314 f ) Seconda conclusione epistolare:
ringraziamento per l’aiuto ricevuto (4,10-23)
314 iti . Questioni aperte
314 1. Quale prigionia?
31 7 2. La composizione della lettera ai Filippesi
318 3. Un inno prepaolino
320 Bibliografia
Capitolo x i i i
321 Le lettere ai Colossesi e agli Efesini
321 1. 1 dati del problema. La lettera ai Colossesi
321 1. Comunità destinataria
323 2. Occasione della lettera
438 In d ice del v o lu m e
3M 3. Stile e vocabolario
3Z 5 4. Suddivisioni maggiori
3 26 11. 1 dati del problema. La lettera agli Efesini
326 1. Comunità destinataria
328 2. Occasione della lettera
329 3. Stile e vocabolario
330 4. Suddivisioni maggiori
331 ni. Lettura della lettera ai Colossesi
331 1. Introduzione epistolare (1,1-8)
331 2. Le basi del cristianesimo (1,9-23)
332 3. Il ministero apostolico (1,24-2,3)
333 4. L’eresia colossese (w. 4-23)
334 5. Esortazione generale: la risposta cristiana (3,1-17)
334 6. Esortazioni particolari: la famiglia cristiana (3,18-4,6)
335 7. Finale epistolare (4,7-18)
335 iv. Lettura della lettera agli Efesini
335 1. Introduzione epistolare (1,1-23)
336 2. Le basi del cristianesimo: dalla morte alla vita (2,1-22)
337 3. Il ministero apostolico (3,1-21)
337 4. Esortazione generale: la risposta cristiana (4,1-5,20)
33 9 5. Esortazioni particolari: la famiglia cristiana (5,21-6,9)
340 6. Conclusione epistolare (w. 10-24)
341 v. Questioni aperte
34i 1. Autenticità delle lettere ai Colossesi e agli Efesini
342 a) Le circostanze personali
343 b) Linguaggio e stile
344 c) La «giustificazione»
346 d) La chiesa universale
347 e) Le relazioni tra giudei e gentili
348 f) L’escatologia
348 2. Efesini e Colossesi, opera di un medesimo autore
351 3. L’inno cristologico
354 Bibliografia
Parte quinta
ALTRE LETTERE PAOLINE
Capitolo XIV
359 Le lettere pastorali
360 I. 1 dati del problema
360 1. Destinatari
361 2. Occasione delle lettere
362 a) Secondo le pastorali
363 b) Corrispondenza con altri scritti
3 66 3. Stile e vocabolario
367 4. Suddivisioni maggiori
370 II. Lettura delle lettere
370 1. La prima lettera a Timoteo
370 a) Introduzione epistolare (1,1-20)
Indice del volume 439
ISBN 88-394-0625-5
9 788839 406255
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