Marcello Milani
In ascolto
dei profeti
e dei
sapienti
G IA N N I CAPPELLETTO
M A R C E L L O M IL A N I
IN ASCOLTO
DEI PROFETI
E DEI SAPIENTI
Introduzione a ll’Antico Testamento - II
Mg EDIZIONI
( A l MESSAGGERO
Jr~f PADOVA
4 a ed izio n e riveduta e am p liata 2 0 1 0
ISBN 978-88-250-2545-3
5
re nella fede. Si tratta infatti non semplicemente di sapere chi so
no i profeti e i sapienti e cosa hanno detto, quanto piuttosto di la
sciarsi coinvolgere nel loro cammino di credenti. Si cresce nella
fede, infatti, nella misura in cui ci si mette alla scuola di persone
che hanno saputo viverla in modo maturo e adulto, non per ripe
tere quanto loro hanno fatto e detto, quanto per poterlo interioriz
zare rendendolo motivo e ragione delle proprie scelte.
Si comprende, così, l’invito del profeta: «Venite, saliamo sul
monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indi
chi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri» (Is 2,3).
Gli fa eco quello del sapiente: «Ascolta volentieri ogni discorso
su Dio e le massime sagge non ti sfuggano. Se vedi una persona
saggia, va’ di buon mattino da lei, il tuo piede logori i gradini del
la sua porta. Rifletti sui precetti del Signore, medita sempre sui
suoi comandamenti; egli renderà saldo il tuo cuore, e la sapienza
che desideri ti sarà data» (Sir 6,35-37).
Queste convinzioni - nel presentare al lettore-studente il frut
to del nostro lavoro - ci rendono consapevoli che lasciarsi educa
re dai profeti e dai sapienti richiede un continuo rimotivare l’at
teggiamento di autentico ascolto della parola di Dio. Infine, sia
mo convinti che il riproporre la loro esperienza di fede a due voci,
se può essere segno della ricchezza con cui ci si può accostare ai
testi biblici, può anche, in qualche passaggio, creare dissonanze o
stonature. Ce ne scusiamo con quanti avranno la bontà di seguirci
nel cammino che proponiamo.
G. C a p p e l l e t t o - M . M il a n i
6
PRIMA PARTE
I PROFETI
G ia n n i C appelletto
u . AMMON
Am.N*bo
AMAL
_ECITI
NEGHEB ^ E D O /M
8
Per profeti, in ambito cattolico, si intendono sia i quattro libri
che le Scritture ebraiche denominano «profeti posteriori»1, cioè
Isaia, Geremia, Ezechiele e gli altri dodici riuniti in un unico vo
lume (Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Aba-
cuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia), sia i libri di Daniele,
Lamentazioni e Baruc collocati dagli ebrei e dai protestanti tra
gli Scritti (Ketubim).
Citati spesso dal Nuovo Testamento (NT) assieme alla Torah
(Mt 5,17; 22,40; Le 16,31; ecc.), i profeti occupano un posto di
rilievo nella primitiva predicazione cristiana, convinta che «tut
ti i profeti, a cominciare da Samuele e da quanti parlarono in se
guito, annunziarono anch’essi questi giorni» (At 3,24), cioè quelli
della morte e risurrezione di Gesù di Nazaret «profeta potente in
opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo» (Le 24,19).
Ritenuti poi dai cristiani coloro che «liberano il messaggio
della Provvidenza da tutte le inutili impalcature e formulano la ve
ra missione d’Israele» (A. Làpple) e che «delimitano e guidano
l’ascensione sicura e certa della vera religione verso l’ideale cri
stiano» (A. Robert-A. Feuillet), i profeti non godono di uguale
prestigio presso gli ebrei che considerano la Torah (Pentateuco)
la «parola di J h w h » per eccellenza. Ne può far fede il fatto che nel
la lettura sinagogale i libri profetici vengono letti nella forma di
pericopi aggiunte (haftaroth) alle sezioni della Torah {parashoth).
Nel presente lavoro - in cui si seguirà la metodologia espo
sta nel precedente2- dopo un’introduzione generale al profeti
smo biblico, ci si metterà all’ascolto di alcuni profeti cercando
di porre in risalto il loro messaggio, collocandolo il più possibile
nel momento storico in cui è stato annunciato, per coglierne tutte
le provocazioni e fame una lettura esistenziale perché il credente
di oggi possa a sua volta diventare testimone di quanto ha ascol
tato e accolto. Nella parte finale si darà uno sguardo anche all’a
pocalittica.
1Per una sintetica presentazione di quelli che gli ebrei considerano «Nebiim
anteriori» e che i cattolici collocano tra i «Libri storici», si veda G. C a p p e l l e t t o ,
o.c., pp. 311-365; T. R ò m e r , Dal Deuteronomio ai Libri dei Re. Introduzione
storica, letteraria e sociologica, Claudiana, Torino 2007.
2 Ivi, pp. 39-42.
9
Bibliografia generale
* Alla base di ogni comprensione del testo biblico c’è sempre la lettu
ra personale che può esser fatta in una delle seguenti edizioni della
Bibbia in lingua italiana, di cui sono utili pure le introduzioni e le note:
Bibbia Tob, Ldc, Leumann (TO) 2009: versione italiana della Cei e note
della «Traduction oecuménique de la Bible»; sarà citata: Tob.
La Bibbia di Gerusalemme, Edb, Bologna 2009: versione uffiiale della
Cei («editio princeps» 2008) con note e commenti di «La Bible de
Jérusalem» adattati al testo italiano; sarà citata: Bg.
La Bibbia, Piemme, Casale Monferrato (A L) 1995 (citata: Piemme):
versione Cei (1971) e commento da parte di biblisti italiani.
La Bibbia. Nuovissima versione dai testi originali, voi. I, Paoline, Cini-
sello Balsamo (M I) 1991 (citata: Nvb); versione e commento propri.
Parola del Signore. La Bibbia in lingua corrente, Ldc-Abu, Leumann
(TO) 20012 (citata: Tilc): traduzione interconfessionale secondo le
«equivalenze dinamiche», con attenzine ai lettori d ’oggi.
La Bibbia. Via, Verità e Vita, San Paolo, Cinisello Balsamo (M I) 2009,
con versione Cei 2008.
La Bibbia Ancora. La Bibbia Giovane, Ancora, Milano 2009, con ver
sione Cei 2008.
10
* Opere di introduzione al profetismo biblico possono essere:
11
Savoca G., Iprofeti di Israele, voce del Dio vivente, Edb, Bologna 1995
(citato: Savoca).
Sicre D iaz J.L., La spiritualità dei profeti, in A. F a n u li (a cura), La spi
ritualità dell’Antico Testamento, Boria, Roma 1988, pp. 333-538
(citato: F anuli).
— Profetismo in Israele. Il profeta -1profeti -Il messaggio, Boria, Ro
ma 1995: con uno stile accessibile, l’autore presenta prima la figura
del profeta biblico; traccia poi la storia del profetismo in Israele; ap
profondisce, infine, una serie di tematiche derivanti dal messaggio
dei profeti per fame emergere il valore attuale (citato: Sicre).
Spreafico A., La voce di Dio. Per capire i profeti, Studi biblici 33, Edb,
Bologna 20032.
V o ge ls W ., Iprofeti. Saggio di teologia biblica, Strumenti di Scienze
Religiose/Temi 7, Messaggero, Padova 1994 (citato: Vogels).
Zenger E. (ed.), Introduzione a ll’Antico Testamento, Queriniana, Bre
scia 2005 (specie pp. 631-882).
12
* L’esperienza religiosa delle popolazioni del Medio Oriente antico
può essere opportunamente accostata in A A .W ., L ’Antico Testamento
e le culture del tempo. Testi scelti, Studi e ricerche bibliche, Boria, Ro
ma 1990; A A . W . , Scritti d e ll’antico vicino Oriente e fonti bibliche,
Piccola Enciclopedia Biblica 2, Boria, Roma 1988; M. Cimosa, L ’am
biente storico-culturale delle Scritture ebraiche, Dehoniane, Bologna
2002; H. N iehr, Il contesto religioso d e ll’Israele antico. Introduzione
alle religioni della Siria-Palestina, Paideia, Brescia 2002.
* Le citazioni bibliche - salvo diversa segnalazione - sono tratte
normalmente da Bg. Anche i Salmi sono citati secondo la numerazione
di Bg.
In base ad accordi ecumenici il tetragramma Jhw h sostituisce la
completa traslitterazione del nome di Dio, Jahvè. Dalla tradizione ebrai
ca Jhwh è reso di solito nella pronuncia con Adonaj (Signore) o con
Hashem (Il Nome). In B g è generalmente tradotto con «Signore», men
tre «D io» rende il termine ebraico Elohim.
A b b r e v ia z io n i e s ig l e
13
T ilc Traduzione interconfessionale (della Bibbia) in lingua corrente,
L dc -Abu
T ob versione italiana (Ldc 2009) della Traduction oecuménique de
la Bible
Tm Testo masoretico, testo ebraico vocalizzato dai masoreti ebrei
c. / cc. capitolo / capitoli
V. / v v . versetto / versetti
14
C a p it o l o 1
1. I n f l u s s i d e l p r o f e t is m o e x t r a -b ib l ic o
15
espressione diffusa di un bisogno reale dello spirito umano, «alla
base del quale, per i credenti, vi è la mano sapiente di Dio che ha
posto “ semi di verità” in tutti gli uomini» ( N o b il e 76-77; anche
N dtb 1232-1236).
Inoltre, gli scavi archeologici e i documenti letterari in nostro
possesso hanno messo in luce nel vicino Oriente antico tutta una
serie di manifestazioni profetiche che presentano delle affinità
con il profetismo ebraico. Pur riconoscendo che i profeti biblici
non derivano «la loro fisionomia e l’essenza del loro messaggio
dall’una o dall’altra fase del nebiismo antico (corrente estatico-
intuitiva, culturalismo, divinazione magica, nomadismo sinaiti
co...), ci pare però molto realistico non considerarli quasi delle
meteore discese dal cielo, bensì come dei germogli sorti nel vasto
campo della millenaria esperienza religiosa d’oriente, sublimati
per un misterioso impulso a nuove dimensioni, a forme più eccel
se di ispirazione» ( S a v o c a 26).
In effetti, la Bibbia non ha il monopolio di questa attività
religiosa, ma ne condivide la ricchezza con la maggior parte del
le religioni, antiche e attuali. In generale, l’esperienza profetica è
da collegarsi:
- alla natura emotivo-razionale deWhomo religiosus: «chi ha
percepito l’esistenza di un Essere trascendente, ha sentito la ne
cessità di mettersi in contatto con lui e tenersi in ascolto dei
suoi eventuali messaggi» (S a v o c a 15);
- al senso molto vivo della precarietà dell ’esistenza del Medio
Oriente antico: nell’universo che gli serve da quadro di riferi
mento, quest’uomo si scontra con numerosi problemi insoluti e
insolubili, con una serie di mali inevitabili e opprimenti, tanto
da guardare al suo destino con una certa inquietudine. Il suo
innato e spontaneo senso religioso lo porta alla ricerca, presso
la divinità, di una risposta agli enigmi che lo turbano, una gua
rigione dei mali che lo torturano. L ’uomo si avvicina agli dèi
per questuare salute fisica e felicità. E si sforza di ottenere tutto
ciò mettendo in atto dei mezzi di persuasione o d’influenza,
la cui realtà ed efficienza dipendono dalle sue rappresentazioni
sia psicologiche che teologiche.
Tra tutti i mezzi ce n’è uno sparso e utilizzato ovunque: con
siste nello scoprire ciò che Dio vuole dall 'uomo. Infatti, conosce-
16
re il disegno divino sulla storia e agire in piena conformità ad es
so significa rendersi favorevole la divinità, è procedere nel senso
stesso delle cose, è conciliarsi tutte le fonti del benessere e della
felicità, è assicurarsi la vita, è realizzare la propria salvezza.
* Per arrivare a conoscere la volontà divina, l’uomo antico di
spone di specifiche tecniche divinatorie come gli oracoli divini
e la magia, la oniromanzia e la necromanzia, tutte esperienze co
nosciute anche dalla Bibbia (cf. Gn 44,5; Nm 22,23-35; 23,10;
Gdc 4,4; ISam 28,3-19; 2Sam 5,24; Is 47,12-14; Os 4,12 e rela
tive note in Bg, in P ie m m e o in T o b ; S ic r e 15-59).
Tecniche particolari molto utilizzate in contesto ebraico sono:
- la consultazione dei terafim: sono degli idoli domestici (Gn
31,19.34-35; ISam 18,13), probabilmente delle statuette, di di
mensioni ridotte, alle quali si chiedevano dei responsi (Ez
21,26; Zc 10,2);
- gli urim e i tummim: parole dal significato incerto, designano
una pratica divinatoria variamene interpretata, ma che sembra
riferirsi alle «21 lettere dell’alfabeto ebraico, che estratte a sor
te dall'efod davano delle parole significative» ( N d t b 1235);
- Yefod: per alcuni era un indumento sacerdotale che conteneva
in una tasca gli oggetti sacri (come gli urim e i tummim) che
servivano per interrogare il Signore e conoscere la sua volontà
(cf. nota in Bg e Es 28,6-30); per altri, invece, si tratta del ve
stito di una statua divina (non rappresentata) usato per la divi
nazione: lo si porta e lo si tiene in mano (ISam 2,28; 14,3;
23,6), viene portato davanti a Davide che vuole «consultare
J h w h » (ISam 23,9; 30,7). Viene condannato in Gdc 8,26-27 e
Os 3,4.
L ’utilizzo di queste tecniche, così pure l’interpretazione dei
segni che fornivano, erano appannaggio di uno specialista, inca
ricato di decifrare il disegno di Dio e di renderlo pubblico. Tale
persona riceveva nomi diversi secondo le sfumature che ogni
contesto aggiungeva alla funzione primaria di conoscere la vo
lontà divina. Presso gli ebrei, spesso era il sacerdote, altre volte
il profeta (cf. Ger 14,18).
In Israele, vi fu una opposizione crescente a queste modalità
di «cercare J h w h » :
17
Osea vede nzWefod e nei terafim una sorgente di corruzione di
cui Israele deve sbarazzarsi (3,4);
- Giosia, durante la sua riforma1, «fece scomparire (anche) i ne
gromanti, gli indovini, i terafim, gli idoli e tutti gli obbrobri,
che erano comparsi nella terra di Giuda e a Gerusalemme»
(2Re 23,24);
- il Deuteronomio rifiuta in blocco tutte queste tecniche, citando
in modo particolare la necromanzia (18,9.12).
Così, l’indovino diventa un ciarlatano (Dt 18,10-14) e il mo
dello del profetismo menzognero che ha condotto il popolo alla
rovina (Ger 27,9; Ez 13,9.23; 21,28.34; Zc 10,2).
* Oltre a queste tecniche divinatorie, ci sono almeno due espe
rienze profetiche importanti presenti nella cultura mediorientale
antica: quella dei profeti mesopotamici e quella degli estatici si-
rio-fenici ( S ic r e 226-259).
a) In Mesopotamia abbiamo:
il barn o veggente: vive generalmente presso il tempio e fa par
te dei suoi ministranti. Sua specialità è di annunciare l’avvenire
penetrando nei segreti della divinità attraverso modalità varie
fino a giungere alla illuminazione diretta del suo spirito grazie
alla comunicazione del suo dio. AH’interao della Bibbia, è
conservato il ricordo di uno di loro nei racconti di Balaam
(N m 22-24; cf. note in B g ; N dtb 1039 s);
- il muhìni o «estatico dotato di visione» ( S a v o c a 18): sembra
essere un professionista dell’estasi che ha il compito di comu
nicare i responsi della divinità.
Particolarmente significativa la testimonianza giuntaci dal
l’archivio del piccolo regno di Mari, archivio scoperto nel 1933
tra le rovine del palazzo reale, forse distrutto da Hammurabi nel
1750 a.C.: circa 20.000 tavolette risalenti al 1800-1770 a.C. e che
trattano di questioni della vita ordinaria. Tra di esse, i 52 oracoli
profetici riguardano se fare la guerra o no, il costruire la porta di
una città o un tempio o una casa, ecc.2.
18
L ’oracolo è pronunciato in prima persona a nome della divi
nità con lo stile del messaggero («Così dice il dio X - Il dio X mi
manda per dirti»), la protezione divina («Non temere: io sono con
te»), promesse e minacce.
b) In Siria-Fenicia-Canaan abbiamo qualcosa di simile e in
sieme diverso, grazie soprattutto all’introduzione della musica e
strumenti affini (= battito di mani, grida, danze, mutilazioni...)
come tecniche preparatorie e introduttive all’estasi e al responso
divino. Alcuni testi biblici confermano la presenza di simili «pro
feti convulsionari»:
- ciclo di Elia, specie IRe 18,20-40: durante la sfida sul monte
Carmelo, i profeti di Baal «gridarono a gran voce e si fecero
incisioni, secondo il loro costume, con spade e lance, fino a ba
gnarsi tutti di sangue. Passato il mezzogiorno, quelli ancora
agirono da profeti» (vv. 28-29);
- Is 28,7-8 \ si lamenta del comportamento di certi profeti che af
fermano di trovare nel vino il cammino per l’estasi.
* Nonostante le coincidenze strutturali e letterarie esistenti tra i
veggenti e i messaggeri extrabiblici e i profeti israeliti, ci sono
però delle differenze sostanziali, quali:
- la fede in J h w h , Dio unico e personale, creatore del cosmo e
Signore della storia;
- l’esperienza dell’alleanza (variamente espressa) come base
delle relazioni speciali tra il Signore e il suo popolo;
- il continuo richiamo alla conversione al Signore come abbando
no di ogni forma di idolatria, richiamo rivolto a tutto il popolo;
- il testimoniare, da parte del profeta biblico, la veridicità e la
fondatezza del messaggio trasmesso pagando un prezzo a volte
molto alto, quello della propria vita.
Concludendo, si può riconoscere «che la profezia in Israele,
nelle sue remote origini dei secoli XI e X, presenta dei punti di
contatto con quella presente a Mari e in Canaan; e appare persino
probabile che è lì che dobbiamo individuare il punto di partenza.
Tuttavia i profeti di Israele si allontanano più tardi da quel mon
do»; e anche se è probabile che «si siano avvalsi di spunti letterari
diffusi da altri paesi, questo non toglie originalità al loro messag
19
gio, né alla sua attuazione. In definitiva, il problema principale
non è quello della relazione tra la profezia israelita e la profezia
dell’Antico Oriente, ma quello della relazione tra i primi profeti
biblici e i suoi continuatori [...]. Fondamentalmente credo che la
differenza essenziale che distingue la profezia d’Israele sia il pas
saggio da una profezia sollecitata dalla gente a un oracolo dato
spontaneamente da Dio, una parola che abbraccia gli ambiti più
diversi della vita» ( S ic r e 259).
2. L ’ id e n t it à d e l p r o f e t a
20
fica così il profeta biblico sia come il «porta-parola» o «portavo
ce» di Dio davanti a tutto il popolo, sia come colui che a nome di
Dio parla pubblicamente di avvenimenti storici prima che avven
gano. È in quest’ultimo senso che l’apocalittica intende l’attività
profetica, seguita dal NT che a sua volta considera la profezia ve
terotestamentaria quale rivelazione che annuncia e prepara la ve
nuta di Gesù di Nazaret, il Cristo.
Tenendo conto del possibile significato dei termini utilizzati
per indicare l’attività profetica sia in ebraico che in greco e guar
dando i testi attuali in cui è narrata l’esperienza concreta dei pro
feti, si può delineare la loro identità concentrandola attorno alla
realtà della vocazione (presente in nabi) e della missione (sottoli
neata dal greco profétes).
21
Tutta la missione dei profeti si basa sull’autenticità della loro
«esperienza inaugurale» ( J . L . McKenzie): nessuno di loro si
autocandida a essere tale, ma afferrati da Dio a un certo momento
della loro vita si rendono disponibili a essere inviati ad annuncia
re solo quello che Dio ha fatto sperimentare loro. Ne sono chiara
indicazione le espressioni: «Come dice il Signore» (Am 1,3.6.9;
ecc.); «Oracolo del Signore» (Os 2,15.18; ecc.); «Il Signore mi
disse» (Os 1,6.9; ecc.); «Parole che il Signore rivolse a...» (30
volte in Ger e 50 in Ez); «Parola di J h w h » (presente 241 volte
nell’AT, in ben 221 casi indica la parola profetica). Anche alcune
immagini sono da comprendere in questa direzione: Dio che pone
la sua parola sulle labbra del profeta (Is 6,6-7; Ger 1,9), il coman
do di mangiare il rotolo della parola (Ez 3,1-3), il fatto di essere
costituito o come «fortezza e muro di bronzo» (Ger 1,18; 12,20)
o come sentinella che trasmette ciò che ascolta da Dio (Ez 3,16
21; 33,1-9; Is 21,6-11) o come «messaggero di bene che annun
cia la salvezza» (Is 52,7-8) o come semplice «voce che grida» (Is
40,1-11) trasformano il profeta in «uomo della parola» (Ger
15,16; 18,18), in testimone che conserva quanto ha sperimentato
e ne diventa «segno e presagio per Israele da parte del Signore
degli eserciti, che abita in Gerusalemme» (Is 8,16-18). E quando,
durante lo svolgimento della missione, qualcuno troverà degli
ostacoli o vivrà dei momenti di crisi, sarà invitato da Dio a ricu
perare il senso della prima chiamata (cf. Ger 1,4-19 e 15,10-21;
F a n u l i 358-364).
22
cetto astratto quanto un avvenimento storico, sperimentabile sia
dal profeta che da chi lo ascolta. La sua efficacia nella storia vie
ne presentata con immagini vive e percepibili: è un «ruggito» che
rende desolata la terra (Am 1,2); è un «fuoco» che brucerà il po
polo ribelle (Ger 5,14, 23,29) come brucia nell’intimo del profeta
(Ger 20,7-9); è forte «come un martello che spacca la roccia»
(Ger 23,29), qualcosa che «cade» pesantemente (Is 9,7-10,4); è
«gioia e letizia del cuore» (Ger 15,16), «dolce come il miele»
per chi ne fa esperienza profonda (Ez 3,3). La sua efficace azione
si estende a tutta la storia: è «fischio» che convoca i popoli lonta
ni contro Gerusalemme (Is 5,26; Ger 5,17-17; 6,22ss); «mano
stesa» che giudica tutti i popoli (Am 1-2; Is 13-23; Ger 46-51;
Ez 25-32); «pioggia e neve» che feconda di salvezza tutta la terra
(Is 55, 10-11).
Uomo di relazione
23
naccia di castigo (cf. Amos e Sofonia), consolazione nella desola
zione (cf. Is 40-55 e Ger 30-33), esortazione e intercessione nella
necessità (cf. Ger 14,7-9; anche Gn 18,23-32 e Nm 14,13-19).
24
padri (Mt 23,29-32; cf. At 7,52), e nella morte di Giovanni il Bat
tista (Mt 14,1-12), definito da Gesù «più che un profeta» (Le
7,26), e dello stesso Nazareno, «il santo di Dio» (Me 1,24). E
quanto può succedere anche oggi a ogni servitore della parola:
può essere accolto «come profeta» (Mt 10,40) o perseguitato
«come i profeti» (Mt 5,12).
All'interno del servizio alla Parola vissuto come fedeltà al Si
gnore che chiama e invia e come solidarietà con il popolo a cui
appartiene, il profeta è colui che - pur a prezzo della propria vita
- sa essere di volta in volta coscienza critica del presente per ac
crescere la responsabilità di fronte al bene da fare e al male da
evitare, uomo che radica l’esistenza del popolo alle solide radici
del suo passato, persona aperta al futuro che Dio sta attuando in
modo discreto e che sembra nascosto nei sotterranei della storia.
25
Uomo della memoria storica
Inviato a richiamare il popolo alla serietà e radicalità nel rap
porto con Dio, il profeta si fa autentico uomo della memoria
perché ha il coraggio di indicare qual è la via per un autentico rin
novamento: ritornare costantemente alle origini della propria fe
de, ricuperandone le radici e le ragioni in quegli eventi fondanti
che hanno caratterizzato la storia dei padri. E questo non per far
opera di dietrologia, quando piuttosto per smascherare tutte le at-
tualizzazioni deformanti che della fede si fanno nell’oggi e to
gliere le incrostazioni che ne diminuiscono la genuinità. Così il
profeta è anche l’uomo del passato, di un passato rivisitato per
ché possa essere stimolo autentico all’impegno di oggi. In parti
colare, egli invita a fare memoria attualizzante dei fondamenti
della fede: la centralità di J hw h il Liberatore rispetto alle forme
di idolatria cananea, l’impegno a costruire una fraternità autenti
ca basata sul diritto e sulla giustizia derivanti dall’essere famiglia
di Dio, la connessione tra celebrazioni cultuali e vita concreta. In
questi richiami, la relazione jHWH-popolo ebraico - presentata in
altri testi e da altre scuole di riflessione con il termine berit (= al
leanza) - è resa dai profeti in espressioni talmente nuove da ini
ziare una tradizione che sarà ripresa successivamente: alcuni uti
lizzano la simbologia matrimoniale (Os 1-3; Ger 2,1-7; 3,11-12;
16; Ez 16, 23; Is 50,1; 54,5; 62,4-5; N d t b 921-922), altri il rap
porto genitori-figlio (Os 11; Is 1,2; 49,14-15) o vignaiolo-vigna
(Is 5; 27; N d t b 764) oppure pastore-gregge (Is 40,11) o vasaio-
argilla (Ger 18). Ancora, delle antiche esperienze religiose ritenu
te ormai sacre tradizioni, alcuni profeti richiamano alla memoria
quella dell’esodo (Am 2,9-12; 3,1-2; Os 2; Ger 2,1-7; Is 40-55),
mentre altri si rifanno a quelle legate a Davide e a Sion/Gerusa
lemme (Am 9; Is 2,1-5; 7,1-17; 9,1-6; 11,1-9; Mie 5; Ger 23, 1-8;
Ez 17; 34; 37; Is 60; 62; 66) o all’esperienza di Abramo (Is 41,8
9; 51,2; Ez 33,24).
26
avanti il senso del progetto di Dio compreso oggi e garantito dalla
sua realizzazione nel passato. In altre parole, il profeta biblico:
- è persona aperta, che crede al cammino della storia e alla sua
possibile conversione verso il progetto di Dio;
- sa individuare gli orizzonti verso cui Dio sta facendo avanzare
la storia presente e le speranze che in esso sono racchiuse;
- non si accontenta delle piccole salvezze del quotidiano né si
smarrisce di fronte ai fallimenti che, nell’immediato, sembrano
smentire le promesse di Dio, ma è l’uomo che rilancia sempre
oltre la parola salvifica.
Tale prolungamento in avanti fino a un punto x del tempo vie
ne generalmente denominato escatologia profetica: è « “escatolo
gica” una profezia che concerne il giudizio finale di Dio nella
storia o al di fuori di essa e che mira a portare la salvezza alla
sua predeterminata pienezza. Il giudizio di Dio presenta due
aspetti: la punizione e la reintegrazione. Tale giudizio può avve
nire nella storia ed esser legato a una particolare situazione, e si
ha un’escatologia intrastorica; questo può avere origine da una
precisa situazione storica, ma può diventare una speranza a livel
lo universale diventando così escatologia ultrastorica; ovvero
può essere dissociato da ogni altra situazione contingente ed es
sere applicato a qualsiasi situazione: si tratta di una escatologia
detta “ di modello”».
Dal punto di vista letterario, la speranza escatologica è gene
ralmente indicata con espressioni del tipo «Avverrà in quel gior
no» (Is 7,18ss; Os 2,18-25), «In quel giorno» (Am 9,11; Is 4,2;
12,1; Mie 4,6), «Ci sarà un giorno del Signore» (Is 2,12), «Allo
ra»; o il verbo al futuro (Am 5,18-29; Sof 3,9; Is 65); «Verranno
giorni» (Am 4,2; 8,11 ), «Alla fine dei giorni» (Is 1,2; Mie 4,1 ). In
linea di massima, nei profeti preesilici esse indicano un’escatolo
gia intrastorica che predice la fine di quella situazione storica
specifica (Am 8,7ss; Os 9-10; Is 2,11-22; 34 e Sof); in quelli im
mediatamente prima dell’esilio, durante questo e dopo, prospetta
no un’escatologia ultrastorica, che prevede una certa idealizza
zione della restaurazione proiettata a livello universale. Poiché
«la parola di Dio resterà per sempre» (Is 40,8), «la parola profeti
ca non muore mai, ma si rivolge a ogni generazione successiva
nelle circostanze storiche che essa vive, e ogni generazione co
27
glie il messaggio che le è rivolto». Svincolata «da una ben defini
ta situazione storica» e inserita specialmente nella pratica liturgi
ca della comunità credente, l’escatologia profetica diventa esca
tologia di modello. «Essa è più una filosofia della storia che può
essere riapplicata a ogni situazione contingente simile a quella da
cui prese origine; il suo Sitz im Leben è il culto nel tempo, spe
cialmente nei periodi di tribolazione; ogni generazione sperimen
ta una parziale realizzazione di questo tipo di profezie, ma anche
questo non esaurisce l’ampiezza e la portata del modello che flui
sce nella coscienza del popolo di Israele esortandolo ad avere
sempre fiducia in J h w h , il Dio del futuro». Così, è facile che una
profezia escatologica intrastorica venga interpretata in senso ul
trastorico e poi trasformata in profezia «di modello»: il NT la ap
plicherà - pur con modalità diverse ( N dtb 465-466) - a Gesù di
Nazaret, scorgendone in lui la realizzazione piena3.
3. S v il u p p o s t o r ic o d e l l a p r o f e z ia b ib l ic a
28
(cf. Natan e specialmente Elia ed Eliseo; B le n k in so p p 62-81). I
profeti scrittori sono, invece, più legati al popolo, minacciato da
guerre e deportazioni soprattutto a opera dell’impero assiro (se
colo V ili a.C.: cf. Amos e Osea, Isaia, Michea e Sofonia) e di
quello babilonese (secolo VII e VI a.C.: cf. Geremia, Ezechiele,
Deuteroisaia). Essi prendono posizione di fronte al pericolo per
scongiurarlo o almeno ritardarlo mediante un forte richiamo alla
conversione a Dio, richiesta a tutti e non solo al re. Pur giocando
«un ruolo destabilizzante più che convalidante nella vita religiosa
dei loro contemporanei» ( B len k in so pp 9), questi profeti sono in
dubbiamente vicini alla gente comune che, anche se con il senno
di poi maturato di fronte alla catastrofe dell’esilio, farà di tutto
per riabilitarli, per averli cari come i precedenti (specie Elia) e
per conservarne le parole e attualizzarle in nuovi contesti storici,
soprattutto nel post-esilio quando i libri che portano il loro nome
saranno redatti definitivamente.
Diverso è anche il modo con cui le parole profetiche sono
giunte a noi. Dei profeti preclassici, infatti si parla da parte di altri
autori (o «profeti») specialmente nel libri denominati dalla tradi
zione ebraica «profeti anteriori»4, mentre quelli classici costitui
scono il gruppo di libri denominato «profeti posteriori». Ci soffer
meremo in modo particolare su questi ultimi, per accennare poi
alle riletture in senso profetico di alcune personalità fondanti la
storia del popolo ebraico (o «profezia retrospettiva») e terminare
con la presentazione dell’apocalittica (o «profezia impazzita»).
Profeti preclassici
Sono cosi denominati quei profeti che svolgono la loro mis
sione o prima dell’istituzione della monarchia o durante le prime
fasi dell’esperienza monarchica (secoli XI-IX a.C.), ma che non
hanno lasciato testi scritti (da qui l’espressione «profezia orale»)
e sui quali si riferisce nei libri di l-2Sam e l-2Re (cf. B l e n k in
sopp 53-81).
29
Agli inizi del movimento profetico ebraico troviamo delle
esperienze singolari, in parte simili ad altre presenti in tutto il
Medio Oriente antico e in parte differenti ( N d t b 1232-1236): si
pensi al fenomeno dei veggenti dai quali ci si reca per conoscere
la volontà di J hw h sui casi della vita (dalla profetessa Debora in
Gdc 4,4ss, o da altri veggenti/profeti m ISam 9,6-11; IRe 22,6;
2Re 4,22-25; 22,1 lss), o a quelle delle forme estatiche praticato
dai «figli dei profeti» (ISam 10; 19,18-24; IRe 22,10-12; 2Re
4,1; cf. B g nota a ISam 14,41) o di maghi e indovini (proibite in
Lv 19,31; Dt 18,9-14). Da segnalare ancora la presenza di forme
di contestazione profetica come i recabiti che rifiutano la vita ur
bana per riproporre l’ideale del deserto (2Re 10,15-24; Ger 35,1
11) e i nazirei che con le loro scelte richiamano alla fedeltà a
J hw h (cf. nota a Nm 6,1-21 in B g ).
La vera profezia inizia con Samuele: vissuto in un momento
cruciale della storia ebraica ( B o c k 61-68; M e t z g e r 99-102),
svolge la triplice funzione di giudice (ISam 7,6), sacerdote
(ISam 7,10; 13) e profeta (ISam 3,19-21) opponendosi in qual
che misura all’introduzione della figura del re (ISam 8-12). E
sintomatico che la profezia (= carisma) nasca con la monarchia
(= istituzione) e si attenui con la scomparsa di essa.
Durante la prima fase dell’esperienza monarchica si incontra
no i cosiddetti profeti di corte: «Gad profeta di Davide (ISam
22,5; 2Sam 24,11), Natan presso lo stesso re (2Sam 7,2s; 12,ls;
IRe 1,1 ls), Achia sotto Geroboamo (IRe 1l,29s; 14.,2s), leu fi
glio di Anani sotto Baasà (1 Re 16,7), Elia ed Eliseo sotto Acab e i
suoi successori (IRe 17-2Re 13 passim), Giona sotto Geroboamo
II (2Re 14,25), la profetessa Culda sotto Giosia (2Re 22,14s),
Uria sotto Ioiakìm (Ger 26,20). A questa lista, i libri delle Crona
che aggiungono Semaia sotto Roboamo (2Cr 12,15; 13,22), Iddo
sotto Roboamo e sotto Abia (2Cr 12,15; 13,22), Azaria sotto Asa
(2Cr 15,1 s), Oded sotto Acaz (2Cr 28,9s) e alcuni anonimi» ( B g
1669). Spesso appaiono come consiglieri del re negli affari poli
tici e religiosi, ma più spesso ne criticano le scelte politiche per le
conseguenze in campo religioso (come Natan in 2Sam 7; N d t b
369-370). Altre volte manifestano la loro libertà denunciando i
peccati dei re a livello umano (ISam 11-12), sociale (IRe 21) e
religioso (IRe 18). Di essi, particolare interesse suscitano le azio-
30
ni di Elia, il «profeta simile al fuoco, la cui parola bruciava come
fiaccola» (Sir 48,1): conduce una vita ascetica molto dura (IRe
17,2-6; 2Re 1,8); è difensore accanito della fede in Jhw h contro
le divinità cananee (IRe 18), conosce momenti di smarrimento
personale, ma anche di intima esperienza di Dio (IRe 19); prende
con passione le difese dei poveri (IRe 17; 21). Ampiamente ri
cordato anche nel NT in varie forme (o in rapporto con Giovanni
il Battista come in Mt 11,14 e Le 1,17, o con Gesù di Nazaret co
me in Le 4,25-26), è significativo che appaia al momento della
trasfigurazione come rappresentante della profezia (Mt 17,3 e
par.; N d tb 458-462). A lui si rifarà - in epoca cristiana - tutta la
tradizione monastica.
Profeti classici
Dall’VII al III secolo a.C., si constata nella storia del popolo
ebraico la presenza di personaggi singoli chiamati profeti che non
solo parlano a nome di Dio ma mettono anche per iscritto la loro
parola (per questo vengono anche denominati «profeti scrittori»).
Svolgono la loro missione in situazioni storiche ben precise e a
volte molto diverse tra loro: è chiaro che, essendo il profeta l’uo
mo del presente, il contenuto del suo messaggio e la sua inciden
za nella storia concreta varierà a seconda delle circostanze stori
che, pur restando ferme alcune costanti di fondo (cf. B lenkinsopp
82-294).
Seguendo il criterio cronologico, si possono suddividere in
pre-esilici (dal 760 circa al 587), esilici (dalla prima deportazione
del 597 al 538) e post-esilici (dal 538 al III secolo a.C.). Vediamo
brevemente chi sono e come si configura globalmente l’epoca in
cui svolgono la loro attività, lasciando all’esegesi l’approfondi
mento specifico di alcune parti del loro messaggio ( B g 1676
1700; N dtb alle voci dedicate ai singoli profeti).
— Pr of et i pre-esi l i ci (760-587 a . C . )
Li troviamo presenti sia nel regno di Israele che in quello di
Giuda5. Durante questo periodo prendono sempre più consisten
31
za in entrambi i regni alcuni cambiamenti già iniziati almeno dal
l’instaurazione della monarchia.
32
di far dimenticare che egli si rivela e agisce nella storia concreta
degli uomini e in esso richiede una risposta coerente: è nella sto
ria che risuona la parola di Dio, è nella storia concreta che la si
accoglie con fede.
Infine, è da tener presente che il re (quello di discendenza da
vidica che siede in Gerusalemme) è considerato come mashiah =
unto/consacrato da J hwh , suo figlio adottivo (2Sam 7; Sai 2) e
quindi suo rappresentante in mezzo al popolo. Deve essere il vero
pastore che custodisce e protegge il popolo, in particolare deve
assicurare il diritto (mispat) e la giustizia (zedaqah) specialmente
nei confronti dei poveri (Sai 72). Ma per realizzare il progetto di
J hwh - sintetizzabile nel termine shalom = pienezza di vita - de
ve imparare a vivere secondo il cuore stesso di Dio.
È ai problemi suscitati da queste novità che i profeti pongono
attenzione, pur con accentuazioni diverse e con sottolineature
specifiche.
* Cosi, nel regno del Nord, Amos (760-750 a.C.) accusa Israele
di violenze e ingiustizie (cc. 3-4; 6-9) e ricorda che il vero culto
consiste nel «cercare il Signore» nell’umiltà e nella giustizia (c.
5). Subito dopo (750-725), Osea - riflettendo sulla sua esperien
za matrimoniale - proclama la misericordia di Dio (cc. 2; 11 ; 14)
nel tentativo di far ritornare a J hwh il popolo che si è prostituito ai
Baalim (cc. 1-3), al benessere economico e alle potenze straniere
(cc. 4ss).
* Nel regno del Sud, Isaia (740-701 circa) denuncia sia gli abu
si nel sociale (cc. 1-5) come la poca fede del discendente di David
(cc. 7-8) e invita a sperare in un re fedele (cc. 9; 11), dato che
J hwh è il Signore della storia (c. 10). Il suo contemporaneo M i
chea (730-680 circa) annuncia si un severo giudizio e un castigo
contro tutti coloro che calpestano la giustizia sociale e praticano
l’idolatria (cc. 1-3; 6-7), ma promette anche per il futuro una con
solante certezza legata alla figura di un re scelto da Dio (cc. 4-5).
Più tardi, Sofonia (660-630), Naum (630-612) e Abacuc
(612-598) intervengono in un momento di profonda crisi religio
sa (cf. Ab 1-2), politica (cf. Na 1-2) e sociale (cf. Sof 1) nonostan
te la concomitante riforma di Giosia. Essi proclamano che J hwh ,
Signore del mondo, sta per intervenire con tutta la sua ira (il dies
33
ime di Sof 1,14-18) per distruggere sia le potenze straniere come
l’Assiria (Na 2-3; Sof 1-2) sia lo stesso regno di Giuda (Sof 1).
Nonostante questo, manifesterà anche la sua bontà e pazienza
nei confronti di tutti coloro che si rifugiano in lui (Na 1; Sof 3),
specialmente i piccoli, gli umili (Sof 2,3; 3,12) e il giusto che
«vivrà per la sua fede» (Ab 2,4).
Infine, Geremia (627-585 a.C.) svolge la sua missione nel
momento più difficile della storia del regno di Giuda con l’inca
rico di far comprendere ai contemporanei il senso di quanto sta
vano vivendo. Fedele alla missione ricevuta (c. 1) nonostante dif
ficoltà interiori (cc. 11; 15; 17; 18; 20) ed esterne (cc. 36-45), ri
chiama alla conversione a J hw h (cc. 2-24) e annuncia una
trasformazione interiore dell’uomo (cc. 30-34). Come Amos (cc.
1-2) e Isaia (cc. 13-23), anche il profeta di Anatot (cc. 46-51)
condanna le nazioni che circondano il popolo ebraico, colpevoli
di violenze e ingiustizie, proclamando così J hwh «Signore» della
storia.
— Pr of et i e s i l i c i (587-538 a . C . )
La gran parte della popolazione del regno di Giuda - special
mente i suo capi e le personalità più influenti - è stata deportata a
Babilonia in due tempi: nel 597 e nel 587 (B ock 99-111; M etz
ger 153-167). In esilio gli ebrei sembrano destinati alla morte ci
vile e religiosa, con la scomparsa di tutte le sicurezze precedenti:
sono in terra straniera = impura, il re davidico è in prigione, la
città santa e il tempio - dimora Dio - sono stati distrutti, J hwh
sembra incapace di difendere il suo popolo e comunque appare
perdente di fronte al dio dei vincitori.
La crisi di fede è profonda e sembra senza sbocco. Un po’ alla
volta, però, diventa un vero trampolino di lancio per la formazio
ne di una nuova coscienza religiosa e di un nuovo orientamento
di vita. A ciò contribuiscono da una parte la scuola deuterono
mistica e la tradizione sacerdotale7 e dall’altra la presenza dei
profeti.
34
* Così Ezechiele, se in un primo momento (593-587) giustifica
l’esilio come castigo meritato per i peccati commessi - specie l’i
dolatria (cc. 8-11; 14-16; 20-23) -, dopo l’arrivo della seconda
ondata di deportati proclama (586-571 circa) un messaggio di
speranza legato alla presenza di J hwh tra gli esiliati (cc. 1-3; 10
11) e al suo impegno di rinnovare il loro cuore (cc. 34; 36-37).
Per questo descrive anche come saranno il nuovo popolo e il nuo
vo tempio (cc. 40-48).
* Poco dopo (555-539), il profeta anonimo denominato Deute-
roisaia (Is 40-55) concretizzerà le speranze di Ezechiele, dei sa
cerdoti e della tradizione deuteronomistica annunciando l’immi
nente liberazione grazie alla presenza del persiano Ciro, strumen
to fedele di J hw h (cc. 42; 45). Dio appare così come il creatore e
il liberatore (c. 43) capace di realizzare un «nuovo esodo» più
stupendo di quello dell’Egitto (cc. 49; 52). Questo è il messaggio
di consolazione che il profeta è invitato a proclamare (c. 40) e di
cui sono garanzia la parola di Dio (c. 55) e la presenza di un suo
servo, fedele fino alla morte (cc. 42; 49; 50; 53).
* A portare, invece, un barlume di speranza a coloro che sono
rimasti a Gerusalemme a piangere sulle rovine della città ci pensa
l’anonimo autore del libro delle Lamentazioni: quanto è capitato
è opera del giudizio di condanna espresso da Dio per i peccati del
suo popolo infedele (cc. 1-2; 4); eppure esiste ancora una ragione
di speranza (c. 3) legata alla possibilità che egli perdoni le colpe
commesse (c. 5).
35
sacerdoti e degli scribi (gli esperti nell’interpretazione della To-
rah), per la pratica del culto al tempio di Gerusalemme. La co
munità si dà una struttura di tipo teocratico tutta centrata attorno
al tempio e al culto, all’osservanza della legge e allo zelo per la
purità della razza (Esd 7; Ne 8-10). Nasce ufficialmente il giudai
smo ( N d t b 681-707)8.
Durante questo periodo, la predicazione profetica cala di tono
e sottolinea principalmente due aspetti:
- l’importanza del tempio come criterio di unità della comunità
attorno alla dimora del suo Dio e del culto che in esso viene
svolto come espressione del servizio autentico: è la cosiddetta
profezia del tempio presente in Aggeo, Zaccaria e Malachia;
- l’attesa della venuta definitiva del Signore nel suo giorno (il
«giorno di J h w h » ) , quando egli stabilirà il suo regno di giusti
zia e di pace per i buoni, i pii e i giusti e giudicherà con severità
gli empi e i peccatori: è la profezia escatologica, preludio del
l’apocalittica.
Così, Aggeo (520-519) invita con appelli accorati a ricostrui
re il tempio (c. 1) per poter godere della benedizione di Dio il cui
arrivo è imminente (c. 2). E Zaccaria (520-518; cc. 1-8), attra
verso otto visioni, rinnova l’invito di Aggeo e annuncia l’inter
vento salvifico di Dio (c. 8), attuato anche mediante la presenza
del sommo sacerdote Giosuè e del davidico Zorobabele (cc. 3; 4;
6). Da parte sua, Abdia (510 circa) applicando la legge del taglio
ne prevede il castigo di Edom (w. 1-15) e il giudizio delle nazio
ni nel giorno in cui J h w h instaurerà il suo regno (vv. 16-21). In
questo, è seguito da Gioele (V-III secolo): il «giorno di J h w h » è
preceduto da catastrofi terribili (cavallette, siccità, incendi) che
dovrebbero indurre al pentimento e ad affidarsi al Signore. Egli,
infatti, perdonerà e darà pace al suo popolo pentito inviando su
tutti il suo spirito (cc. 1-3), ma castigherà i suoi nemici (c. 4). An
che Malachia (tra il 520 e il 400) annuncia il giudizio di Dio con
tro ogni forma di idolatria, di falsità nel culto e di infedeltà alla
legge (cc. 1-2), invitando il popolo a prepararsi per l’incontro
con il Signore che si farà precedere dal suo messaggero (c. 3).
36
Solo la profezia del cosiddetto Tritoisaia (Is 56-66; 538-510
circa) si sofferma sui problemi sociali (c. 58) e suH’idolatria (cc.
57; 65). Cerca anche di infondere coraggio ai rimpatriati, delusi
perché le promesse di Dio non si erano attuate (cc. 63-64), an
nunciando una salvezza ancora più meravigliosa (cc. 60-62; 6 5
66) a cui parteciperanno anche gli stranieri (c. 56).
Attenzione a parte merita il libretto didattico di Giona (V-IV
secolo). Con tono ironico vuol senz’altro contestare la pretesa
della comunità ebraica di avere Dio e la sua salvezza tutta per
sé, contro gli altri popoli rappresentati - nel racconto - dagli abi
tanti di Ninive. Nazionalismo e integrismo religioso non dovreb
bero trovare spazio nella comunità credente in J hwh , Dio di tutti
gli uomini. Ma soprattutto sembra voler sottolineare la libertà di
Dio di fronte alla stessa parola che ha affidato al profeta, il pro
getto cioè di distruggere i niniviti se non si convertono. Dio con
la scelta di rispondere con la misericordia al pentimento sincero e
alla preghiera accorata dei pagani, nemici per antonomasia di
Israele come erano gli Assiri, smentisce la stessa parola affidata
al profeta, mandandolo in crisi! L ’ironia sta nel fatto che mentre
i nemici comprendono la portata di tale gesto, il profeta no! Così
tra la parola profetica di condanna e la sua realizzazione (attesa
dal profeta!) si interpone la libera scelta di Dio di offrire salvezza
(invocata dai peccatori di Ninive!). Viene in tal modo aperta la
strada a un nuovo modo di intendere l’ufficio profetico, fondato
«sulla profonda e semplice convinzione che alla fine la volontà di
Dio è quella di salvare. Questa nuova forma, che potrebbe essere
chiamata profezia apostolica, ha implicazioni che non abbiamo
ancora elaborato o forse neanche pienamente afferrato» (B len-
kjnsopp 294).
37
profeti del passato vengono reinterpretati come «i “ servi di
J hw h ” , che da sempre non hanno fatto altro che spronare all’os
servanza della sua legge»9; la profezia si è impoverita centrando
si esclusivamente sulla previsione del futuro (cf apocalittica); so
no in aumento gli indovini, i maghi, i falsi profeti che gettano di
scredito sulla profezia autentica (Zc 13,1 -6); «il carisma profetico
aveva cambiato forma e si era trasferito sulla figura dello scriba
sapiente, leader del giudaismo» (N obile 81).
Nonostante questo, si sente la sua mancanza (Sai 74,9; 77,9;
Lam 2,9; Ez 7,26; Dn 3,38; IMac 4,46; 9,27; 14,41) e si vive
nell’attesa che arrivi il profeta promesso da Dio a Mosè (Dt 18,
15-18).
Riletture profetiche
La profezia è stata utilizzata anche come modello sia per in
terpretare la storia passata (è il caso della cosiddetta «storia deu
teronomistica»10) sia per ripresentare oggi come profeti alcuni
personaggi biblici. Questo sembra essere avvenuto in un momen
to in cui il profeta aveva un suo ruolo ben specifico in seno al po
polo ebraico, all’incirca tra l’800 e il 400 a.C. Si spiega così il
tentativo di spingere sempre più indietro l’inizio del movimento
profetico fino a farlo iniziare con le radici della fede in J hwh , cioè
con A b r a m o e M o s è ( « p r o f e z i a r e t r o s p e t t i v a » ) .
Così, À b ra m o è denominato espressamente nabi in Gn 20,7;
ma anche le esperienze di Gn 12,1 -4a e 15,1-6 vengono presenta
te con dei modelli presi dalla letteratura profetica. A sua volta, il
cammino di M osè è punteggiato da richiami alla profezia: è chia
mato e inviato (Es 3-4); parla «faccia a faccia» con J hwh (Es
33,11; Nm 12,8); sente il peso della sua missione (Es 5,22; Nm
11,11-15); è considerato il nabi per eccellenza (Nm 12,6-8; Dt
18,15; 34,10-12). Attorno a lui, poi, ci sono persone che ricevono
il dono della profezia, anche se solo in modo temporaneo (Nm
11,17.25-30).
38
La stessa profezia è stata reinterpretata: specialmente in epoca
post-esilica, i profeti dei secoli VIII-VI a.C. - prima spesso non
accolti né compresi - vengono riabilitati e considerati servi di
J h w h come Mosè, perché hanno costantemente richiamato il po
polo ebraico alla conversione (Zc 1,1-6) e all’osservanza della
parola del Signore presente nella legge (Zc 7,4-14). Così, in un
momento in cui lo spirito profetico sta venendo meno, si ricupera
tutto il movimento profetico considerandolo un servizio reso alla
legge di Dio (Dt 34,10; MI 3,22-24; cf. B l e n k in s o p p 200-205;
253-257).
Si tratta certamente anche di una svalutazione dei profeti, per
ché visti in stretta dipendenza dalla Torah. Questo spiega l’uso
sinagogale che legge i profeti come pericopi aggiunte alle sezioni
della Torah, e l'affermazione del Talmud che li considera come
un anello della trasmissione della Torah orale e scritta iniziata
con Mosè: «Mosè ricevette [la] Torah dal Sinai e la trasmise a
Giosuè, e Giosuè agli anziani, e gli anziani ai profeti. E i profeti
la trasmisero agli uomini della grande sinagoga»11.
L ’apocalittica
Considerata figlia della profezia e della riflessione sapienzia
le, ha - come vedremo al capitolo 5 - elementi di contatto con il
movimento profetico, anche se si distanzia da esso in molti aspet
ti (è una «profezia impazzita»),
39
ca del profeta che si presenta come denuncia molto forte (4 verbi
di distruzione) pronunciata sul presente e su parte del passato del
popolo ebraico (e delle nazioni straniere). Però il suo compito va
oltre l’accusa e la minaccia del castigo, avendo come obiettivo
ultimo edificare e piantare (due verbi di costruzione), vale a dire
promuovere la conversione, alimentare la speranza, annunciare la
salvezza e indicarne le modalità con cui si sta incarnando, co
struire il futuro. Tutto questo il profeta lo realizza con «parole»
e con «azioni».
Le parole
Il ministero profetico è stato prima di tutto un servizio orale,
poi scritto. Le principali modalità espressive (generi letterari)
utilizzate dai profeti sono le seguenti (S icre 151-171).
* L’oracolo', ha una forma prevalentemente poetica e si caratte
rizza per un suo inizio chiaro («Così dice il Signore») e una con
clusione anche se non sempre esplicita («Oracolo del Signore»),
indicando così che il profeta è un semplice messaggero che tra
smette una parola non sua.
Secondo il contenuto, può essere distinto in due tipologie:
- giudizio, come la minaccia (Am 3,12-15; Is 3,24-4,1; Ez 6,11
14; Sof 3,1-8), il rimprovero (i «guai!» di Is 5,8-30; 10,1-4; Ab
2,5-20), l’avvertimento con invito alla conversione (Is 1,18-20;
Os 14,2-4; Gl 2,12-14), l’accusa di un peccato e la condanna
corrispondente, secondo la legge del taglione (Am 1-2; Ger 2).
- salvezza, quando annuncia il cambiamento della situazione e
promette un futuro migliore (Is 35; Ger 31,31-34; Ez 39,25
29; Am 9,11-15; Mie 4,1-5).
* Il racconto della vocazione: l’incontro fondamentale con Dio
viene narrato dai profeti non per tramandare la loro «cronaca spi
rituale», quanto piuttosto per fondare e legittimare la loro missio
ne davanti al popolo (Ger 1,4-10; Ez 1-3) e alle altre istituzioni
come il sacerdozio (Am 7,10-17) e la monarchia (Is 6). Le forme
letterarie utilizzate sono diverse e manifestano il rispetto di Dio
verso la realtà di ogni singolo profeta (V ogels 30-39). Così, men
tre qualcuno sottolinea la forza che ha avuto in lui la parola di
40
J hwh utilizzando uno schema m ilitare (ordine-esecuzione, come
in Gn 12,l-4a; Am 7,14-15; Os 1,2-8; Gio 1,1-3; 3,1-3), altri si
presentano come ambasciatori di Dio usando uno schema d ip lo
m atico (con entrata in scena di Dio - affidamento della missione
- difficoltà - conferma - consacrazione, come in Es 3-4; Gdc
6,12-24; Ger 1,4-10; Ez 2,3-3,11). Altri ancora utilizzano uno
schema politico per indicare il ruolo di consiglieri della corte ce
leste (Is 6). In qualche altro caso si adopera uno schema pedago
gico per esprimere la gradualità deH’esperienza vocazionale
(ISam 3).
41
Le azioni
42
D all ’esperienza della Parola al testo scritto
E opportuno precisare, prima di tutto, il cammino attraverso
cui un profeta giunge alla elaborazione scritta di un oracolo12.
- Prima di tutto c’è l’esperienza personale del profeta di incon
tro con Dio mediante la visione (Is 6), o l’ascolto interiore (Ger
1,4-10), o un’ispirazione improvvisa (Is 7,10-17), o una spie
gazione sulla realtà (Ger 1,11-17);
- segue l’interpretazione e la spiegazione da parte del profeta
stesso, fatte sempre alla luce della propria fede in Dio; è il mo
mento dell’integrazione dell’esperienza nel proprio orizzonte
di fede e della crescita di quest’ultimo;
- il tutto viene elaborato razionalmente per essere espresso con
parole comprensibili e viene annunciato oralmente in pubbli
co, anche se si ritiene che in taluni casi sia stato prima scritto e
poi proclamato (si pensa sia il caso di Is 40-55); è facile che il
profeta aggiunga spiegazioni appropriate, motivazioni adegua
te, sottolineature specifiche inerenti alla situazione storica;
- parallelamente, si compie anche la struttura artistica che por
ta a esprimere l’oracolo in quella forma specifica con cui viene
poi scritto.
Quella che viene proclamata come «parola di J h w h » è, quin
di, un intreccio di conoscenza comunicata da Dio e di spiegazio
ne, di interpretazione e di elaborazione profetica. E una parola in
carnata in una esperienza di fede e plasmata dal linguaggio uma
no del tempo.
Il «libro profetico»
«È un dato ormai acquisito dall’indagine storico-critica che i
diversi libri profetici non sono usciti direttamente dalle mani dei
profeti di cui portano il nome, ma che si sono formati attraverso
una molteplice opera redazionale scaglionata in più secoli, a par
tire dalla predicazione fatta a viva voce, che è stata poi tramanda
ta, per lo più oralmente, nella cerchia dei loro rispettivi discepoli.
43
S’impone ora a noi il compito di identificare i diversi strati reda
zionali che si sono man mano sovrapposti nel testo e che erano
ispirati dal desiderio di attualizzare, nei momenti storici successi
vi, la loro parola iniziale»l3.
Possiamo sintetizzare nel modo seguente le tappe attraverso
le quali - pur con flessibilità - si è formato ogni singolo libro pro
fetico (S ic r e 193-222).
* Una parte dei testi è messa per iscritto dallo stesso profeta
(cf. quanto dicono Is 8,16; 30,8; Ger 51,60; Ez 43,11; Ab 2,2).
* Altri brani vengono scritti dai discepoli o immediati (cf. Is
8,16; Ger 36,5-7) o distanti nel tempo, ma che condividono la
stessa spiritualità del profeta (vedi la «scuola isaiana»). Il loro la
voro consiste nello stendere testi biografici sul maestro (come
Am 7,10-17; Os 3), nel rielaborare alcuni oracoli cercando di at
tualizzarli (così in Is 14,22-23; 28,5-6; vedi note in B g ), nel crea
re poemi nuovi (come in Ger 32; cf. nota in B g ).
* Infine, in epoca post-esilica, i testi vengono strutturati dai re
dattori finali non secondo un criterio cronologico, ma stilistico e
tematico. Troviamo così raccolte di oracoli rivolti al proprio po
polo (Am 3-9; Is 1-12; Ger 1-25; Ez 1-24) o alle nazioni straniere
(Am 1-2; Is 13-23; Ger 46-51; Ez 25-32); messaggi di consola
zione e salvezza (Ger 30-33) o visioni sul futuro (Ez 40-48); se
zioni narrative (Is 36-39; Ger 36-45).
Sempre dei redattori finali sembra essere l’attuale ordina
mento di diversi libri profetici secondo uno schema che prevede
aìVinizio gli oracoli di rimprovero e di castigo contro il popolo
ebraico (come in Is 1-12; Ez 1-24; Sof 1,2-2,3; 3,1-10), nel mezzo
gli oracoli contro le nazioni straniere che devono essere punite
per il male fatto a Israele (come in Is 13-23; Ez 25-32; Sof 2,4
15), e nella parte finale il messaggio di consolazione (come in Is
28-35; Ez 34-48; Sof 3,11-20). Scopo di simile disposizione è di
esprimere la fede dei redattori finali nella possibile restaurazione
44
di un Israele libero, mediante la liberazione dai nemici di Dio e
del suo popolo.
Esempio tipico di tale lavoro redazionale può essere visto nel
libro di Amos: il materiale, proveniente in parte dal profeta di Te-
koa (almeno le cinque visioni redatte in prima persona: 7,1-8,14;
9.1-6 e il racconto autobiografico di 7,10-17), viene prima rag
gruppato dai discepoli in raccolte tematiche con l’aggiunta di altri
oracoli tramandati oralmente (cc. 1-2: sette oracoli contro le na
zioni; cc. 3-6: sei oracoli contro Israele; cc. 8-9: cinque visioni) e
poi rivisto e attualizzato dal redattore finale, che vi inserisce, per
esempio, l’introduzione (1,1-2), l’oracolo contro Giuda (2,4-5), le
tre dossologie (4,13; 5,8-9; 9,5-6) e la conclusione (9,11-15). Nel
la forma ultima e attuale il libro appare così strutturato (cf. cap. 2):
1.1-2: introduzione storica; 1,3-2,16: oracoli contro le nazioni;
3.1-6,14: appelli e ammonimenti rivolti al popolo ebraico; 7,1
9,10: cinque visioni; 9,11-15: restaurazione di Israele.
45
Se si tiene conto, quindi, «che i vari libri profetici, sia quelli
dei cosiddetti “profeti maggiori” (Isaia, Geremia, Ezechiele, Da
niele), che quelli dei dodici “profeti minori” , sono stati forte
mente rimaneggiati dalle generazioni successive», ne consegue
che (N obile 81-82; 121-122):
* «Oggetto della ricerca non è più semplicemente l’autore, inte
so come la persona originaria che ha prodotto lo scritto, bensì il
testo nella sua complessa realtà di corpus letterario in fieri».
Così, ci si accorgerà che la parola profetica è stata continuamente
meditata e adattata agli eventi contemporanei, specie a quelli che
hanno prodotto grandi momenti di crisi nel popolo ebraico. Tra
di essi: la scomparsa del regno del Nord nel 722, la distruzione di
Gerusalemme nel 587 e l’amara esperienza delPesilio in Babilo
nia, la fatica della ricostruzione e della ricomposizione della co
munità dopo il ritorno dall’esilio (dal 538) all’interno dell’impero
persiano, la svolta conseguente alle imprese di Alessandro Ma
gno e l’accentuazione di attese escatologiche nei secoli IV-II1.
La parola profetica, globalmente intesa, «ci parla di una storia sa
cra in movimento verso orizzonti sempre più grandiosi, che tra
sfigurano via via le immagini delle tradizioni e delle istituzioni
d’Israele»; tipico può essere l’approfondimento circa la speranza
messianica (cf. più avanti Appendice).
* Non è più possibile utilizzare solamente il criterio storico
cronologico nella lettura e comprensione dei libri profetici, per
ché «è molto difficile, allo stato attuale delle ricerche, rintracciare
con sicurezza i dettagli storici che sono dietro i singoli testi e an
cor più difficile, se non impossibile, ricostruire una collocazione
storica e una biografia dei profeti. Piuttosto, i libri attuali riman
dano a una redazione complessa tardiva, che ha impresso una cer
ta uniformità stilistica e teologica ai testi letterari». Da qui la ne
cessità di una lettura anche di tipo sincronico e canonico che
aiuti a «scoprire in questi difficili scritti un’unità più grande di
quella che a volte si avverte» (S icre 222), quale può essere il ten
tativo di delineare con modalità sempre attuali l’identità del po
polo ebraico, testimone di una speranza per tutta l’umanità, e di
favorirne la continua conversione attraverso un esame di coscien
za che lo porti a rivedere le proprie responsabilità.
46
/ «lib ri profetici»
«Molti e profondi insegnamenti ci sono stati dati nella legge,
nei profeti e negli altri scritti successivi e per essi si deve lodare
Israele come popolo istruito e sapiente». Così si esprime il nipote
di Ben Sira nel prologo al libro da noi conosciuto come Siracide,
testimonianza preziosa sulla tripartizione della Sacra Scrittura in
uso nelle comunità ebraiche verso il 200-150 a.C. Ma subito do
po presso !e comunità di lingua greca che utilizzano la traduzione
dei LXX viene cambiata la successione delle raccolte, con lo spo
stamento degli scritti a prima dei profeti. E così la troviamo in
uso presso le comunità cristiane. Ecco un grafico riassuntivol4.
BE LXX BC
T O R A H (insegnamento -- i—*. Legge - — » Il Pentateuco
- legge) . Storia — — » I libri storici
N E B IIM (profeti) w Poeti — — ► I libri poetici
- anteriori /
y e sapienziali
- posteriori
K E T U B IM (scritti) Profeti — —* I libri profetici
47
derati approfondimenti della stessa Torah (cf. Sai 1,1 -2) e quale
sguardo aperto al futuro di Dio per il popolo dopo ogni catastrofe
(cf. 2Cr 36,22-23).
In particolare, poi, i Nebiim fungono da collegamento tra le
tre parti. La Torah, infatti, trova il suo punto culminante nel co
mando di Mosè al popolo: «Ascolta, Israele, le leggi e le norme
che oggi io proclamo ai vostro occhi; imparatele e custoditele per
metterle in pratica. Il Signore, nostro Dio, ha stabilito con noi
un’alleanza sull’Oreb. Il Signore non ha stabilito questa alleanza
con i nostri padri, ma con noi che siamo qui oggi tutti vivi» (Dt
5,1-3). L’ascolto obbedienziale diventa l’atteggiamento fonda
mentale che porta alla vera felicità, come afferma lo stesso Mosè
al termine della sua benedizione: «Te beato, Israele! Chi è come
te, popolo salvato dal Signore?» (Dt 33,29).
I Ketubim, a loro volta, iniziano ricordando che il compito di
ogni uomo sulla terra (e prima di tutto di ogni ebreo) è quello di
realizzare il sogno di Dio che ognuno possa essere felice mediante
l’ascolto continuo della sua parola: «Beato l’uomo che non entra
nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei peccatori e non
siede in compagnia degli arroganti; ma nella legge del Signore
trova la sua gioia, la sua legge medita giorno e notte» (Sai 1,1-2).
Nel mezzo, i Nebiim iniziano con questa raccomandazione di
Mosè a Giosuè: «Non si allontani dalla tua bocca il libro di questa
legge, ma mèditalo giorno e notte, per osservare e mettere in pra
tica tutto quanto vi è scritto; così porterai a buon fine il tuo cam
mino e avrai successo» (Gs 1,8). E terminano con questa speran
za: «Tenete a mente la legge del mio servo Mosè, al quale ordinai
sull’Oreb precetti e norme per tutto Israele. Ecco, io invierò il
profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Si
gnore: egli convertirà il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei
figli verso i padri, perché io, venendo, non colpisca la terra con lo
sterminio» (MI 3,22-24).
Compito dei profeti è aiutare a tenere a mente la Torah che è
stata rivelata a Mosè sull’Oreb! La comunità ebraica è costituita,
perciò, da «discepoli» che si mettono in ascolto della Legge (cf.
Dt 6,4-9 e Ger 31,33) interpretata dai Profeti e incarnata nella vi
ta quotidiana studiando gli Scritti. Rilievo particolare assume, in
tutto questo, Elia, prototipo di ogni profeta autentico, impegnato
48
a far sì che fra padri e figli si stabilisca una autentica relazione di
comunione che trova il suo fondamento nell’apprendimento della
Torah.
* Nell’Antico o Primo Testamento dei cristiani la disposizio
ne delle singole parti riceve una struttura quadripartita. La Torah
(o “Pentateuco”), cioè il racconto sulla rivelazione originaria fat
ta da Dio sul Sinai e le relative istruzioni, mantiene il primo po
sto: il cristiano la accoglie come «proposta di vita» da realizzare
alla sequela di Gesù di Nazaret (cf. Mt 22,24-39, alla luce di
5,17-20). Seguono poi tre parti che richiamano lo schema di pas
sato - presente - futuro. Dapprima l’entrata e la permanenza di
Israele nella terra promessa: è il passato di cui si fa memoria nei
libri storici (da Giosuè a 2 Maccabei) e che il cristiano accosta
come storia dei «fratelli maggiori» e del Dio che è comune a en
trambi. Poi la proposta di una sapienza che dia sapore e senso alla
vita quotidiana: è il presente sul quale si medita, alla luce della
Torah, nei libri sapienziali (da Giobbe a Siracide). Infine, la ri
flessione profetica sulla storia e sul suo orientamento finale per
venutaci nei libri profetici (da Isaia a Malachia).
In modo particolare questi ultimi sono aperti dal testo pro
grammatico di Is 2,1-5 che prevede (come visione del mondo e
della storia umana) l’affluire di tutte le genti a Gerusalemme per
partecipare - da autentici discepoli della Torah (= istruzione per
la vita) che in essa è presente e che da essa «esce» alla loro ricer
ca - alla «scuola della pace» il cui maestro è J hwh, il Signore. La
conclusione dei libri profetici (che è anche la conclusione del ca
none del Primo Testamento, non del TaNak\) è ancora MI 3,22
24, più volte citato nel Nuovo Testamento (cf. Mt 17,10-13; Me
9,1 lss; Le 1,17), per far comprendere che l’Elia promesso per gli
ultimi tempi è Giovanni Battista. Inoltre, il «giorno di J hwh» an
nunciato al v. 23 trova piena realizzazione in Gesù di cui i Van
geli ci tramandano la memoria. Il Primo Testamento è, in questa
prospettiva, aperto al futuro di Dio, quel futuro che - nell’ottica
cristiana - viene pienamente rivelato e realizzato nella persona
del Nazareno, il Cristo, nel quale «tutte le promesse di Dio sono
“sì” . Per questo attraverso di lui sale a Dio il nostro “Amen” per
la sua gloria» (2Cor 1,20).
49
6. La FALSA PROFEZIA
50
quello che Dio gli ha affidato (Dt 18,20), senza adattarlo alle at
tese dei re o del popolo.
★ Criteri relativi alla persona : oltre alla chiara coscienza di es
sere chiamato e inviato da J hw h e quindi di parlare solo a nome
suo (Dt 18,20; Ger 14,14), il vero profeta è disinteressato perché
non agisce per desiderio di successo, o per denaro, o per salvare
la faccia (Mie 3,5; Ger 15,10); si sforza, poi, di vivere con coe
renza, in conformità con la parola che annuncia (Ger 15,19-21),
disposto ad essere fedele anche a prezzo della vita, pur nella con
sapevolezza della propria fragilità (Ger 1,6-8).
Ogni persona chiamata da Dio ad annunciare la sua parola de
ve, pertanto, vigilare sulle scelte che fa perché si può essere in
dotti ad annunciare la propria parola piuttosto che quella del Si
gnore. Come ogni uomo di Dio, anche il profeta è infatti un Uomo
a rischio: può, prima di tutto, lasciarsi sottomettere dal potere po
litico e/o economico perché dica quello che interessa a determi
nate categorie di persone (esemplare è lo scontro tra Amos e
Amasia in Am 7,10-17). Inoltre, per paura del nuovo e dell’inedi
to, può risultare incline a un certo immobilismo interpretativo di
fronte alla realtà, mancando di coraggio e di realismo, come av
viene per Anania, incapace di leggere correttamente i segni dei
tempi, cosa che invece fa Geremia, anche a costo di non essere
creduto o di risultare impopolare (cf. Ger 28). Altro rischio è la
tentazione di adeguarsi al sentire comune, confondendo la «vox
populi» (voce del popolo) con la «vox Dei» (voce di Dio), come
fanno i cosiddetti «profeti della pace» denunciati da Michea (3,5
7), Geremia (14,13-16) ed Ezechiele (c. 13), o come stava per fa
re lo steso Geremia (cf. 15,19-21). Infine, anche l’uomo di Dio
deve stare attento a non utilizzare il ministero ricevuto come
trampolino per migliorare la propria posizione economica e il
proprio prestigio sociale, cosa che facevano alcuni al tempo di
Amos (7,12) e Michea (3,5-8).
Per completezza, possiamo aggiungere anche i criteri che in
dica il NT per saper distinguere il vero dal falso profeta: quello
dei frutti annunciato da Gesù (Mt 7,15-20: «dai loro frutti li rico
noscerete»), quello dell’amore proclamato da Paolo (ICor 13,2:
«se avessi il dono della profezia, ma non avessi la carità...»).
51
7. Il m e ssa g g io dei pro feti
52
(M. Weber, P. Berger, R. Wilson, B. Lang), ricerche interessanti
ma bisognose di affinare i loro metodi. In particolare queste ulti
me tendono a vedere nel profeta una «istituzione della società
israelitica statalizzata» che si affiancava a quella del sacerdote,
dello scriba funzionario e del re, pur mantenendo con entrambe
un rapporto dialettico di critica e spesso di contrasto (N o b ile 79).
Nella ricerca attuale si preferisce presentarli o come degli
esistenzialisti religiosi promotori di un autentico rapporto del
l’uomo con il Dio d’Israele «qui-ora» (G. Fohrer, J. Bright, P. Ze-
rafa, F. Raurell) o come dei testimoni dell’assoluto di Dio ai loro
contemporanei: partecipano al «pathos» di Dio per l’uomo e di
ventano testimoni di una «religione della simpatia» (A. Heschel,
A. Neher).
Su una linea che sintetizza le due posizioni si collocano i re
centi contributi e studi specifici (come quelli segnalati nella bi
bliografia generale). Con un esegeta italiano possiamo orientarci
come segue: «I profeti sono dei testimoni perché hanno avuto
un’esperienza affascinante di Dio e sono stati liberamente assen
zienti alla chiamata di Dio. Essi testimoniano non tanto la loro
fede e la loro esperienza, ma il Dio che ha suscitato la loro espe
rienza di fede. E hanno “ compreso” Dio perché hanno aderito a
lui nella libertà, hanno consentito cordialmente e consapevol
mente alla sua verità [...]. I profeti fanno “vedere” che non è pos
sibile testimoniare la verità di Dio senza viverla, soffrirla, gioir
ne, lasciarla penetrare in tutte le fibre della propria esistenza.
Dio è testimoniato davvero solo da chi si lascia da lui “prende
re” , come dice Amos, e plasmare»16.
53
relazioni sociali, sempre aperta a un futuro che resta comunque
in mano a quel Dio che hanno sperimentato in prima persona nel
momento della chiamata (Vogels 27-123).
54
vittime grasse come pacificazione io non le guardo. Lontano da
me il frastuono dei vostri canti: il suono delle vostre arpe non
posso sentirlo! Piuttosto come le acque scorra il diritto e la giusti
zia come un torrente perenne» (Am 5,21-24).
In terzo luogo, la colpa di questo vuoto cultuale viene fatta
ricadere soprattutto sui sacerdoti: appartengono a una istituzione
che si tramanda di padre in figlio, mentre i profeti godono di una
ispirazione carismatica. Proprio a partire da tale fatto questi ulti
mi condannano il sacerdozio non solo quando i sacerdoti non
svolgono in modo corretto il loro compito (come in MI 1,6-2,9),
ma anche quando non adempiono fino in fondo la missione loro
affidata di educare il popolo trasmettendogli in modo fedele e
corretto la Torah/ìegge di Dio (cf. Ger 18,18). A causa di ciò, af
ferma il Signore, «perisce il mio popolo per mancanza di cono
scenza. Poiché tu rifiuti la conoscenza, rifiuterò te come mio sa
cerdote; hai dimenticato la legge del tuo Dio e anch’io dimenti
cherò i tuoi figli. Tutti hanno peccato contro di me; cambierò la
loro gloria in ignominia. Essi si nutrono del peccato del mio po
polo e sono avidi della sua iniquità. Il popolo e il sacerdote avran
no la stessa sorte; li punirò per la loro condotta e li ripagherò se
condo le loro azioni (Os 4,6-9; cf. anche Ger 2,8; 6,13; Mie 3,11;
Sof 3,4).
Tutte queste accuse e critiche si comprendono se si tiene pre
sente a cosa mirano i profeti: salvare l’identità del popolo ebraico
nato da un evento di liberazione e cresciuto come popolo eletto e
alleato di Jhwh. Essi, infatti, credono nell’elezione di Israele in
quanto popolo del Signore e la difendono contro ogni forma di
compiacimento e di esaltazione nazionalistica (cf. Am 3,2; 5,18
20; 9,7). Israele è stato scelto da Dio non per il proprio valore, ma
per amore, come testimonia il celebre «canto della vigna» di Isaia
(5,1-7)! E grazie a questa scelta che il popolo vive come alleato
del Signore e come testimone del suo amore tra gli altri popoli. Il
profeta è quindi sentinella che vigila e richiama alla fedeltà all’al
leanza e alla reciprocità responsabile nella relazione (cf. Ez 3,16
21). Se i profeti (almeno quelli pre-esilici come Amos e Isaia) uti
lizzano poco il termine berit (generalmente tradotto in italiano
con «alleanza»), è vero però che ad essa alludono sempre quando
invitano tutti a vivere relazioni profonde e autentiche con Dio e
55
con gli altri. Berit = alleanza denota, infatti, una relazione che si
stabilisce tra due persone e che prevede degli obblighi reciproci.
Nei testi narrativi (cf. Es 19,3-8; il libro del Deuteronomio e Gs
24) la berit viene intesa e presentata in termini politici, come un
trattato tra un re (J hwh) e un suo servo (Israele), quindi tra un su
periore e un inferiore17.1 profeti preferiscono cambiare metafora:
da quella signorile del re-servo a quella nuziale di marito-moglie
(cf. Os 1-3; Is 54; 62; Ger 3,19-20; Ez 16; 20) e a quella genito-
riale di padre/madre-figlio (cf. Os 11,1-9; Is l,2ss; 22,21; 63,16;
Ger 31,9.20). Passando dal piano politico a quello familiare, i
profeti intendono affermare che la relazione tra Dio e il suo popo
lo è qualcosa che coinvolge in profondità, che si vive nella esclu
sività e nella donazione reciproca. Soprattutto vogliono sottoli
neare l’intensità dell’amore di Dio sposo-padre-madre capace di
ricuperare sempre alla relazione autentica chi l’ha infranta o atte
nuata con il peccato. La nuova alleanza, infatti, consiste proprio
nella ri-creazione del cuore delle persone - il loro centro vitale,
affettivo ed esistenziale - grazie al perdono liberamente offerto
da Dio: «Io perdonerò le loro colpe e non mi ricorderò più dei lo
ro peccati. Io, il Signore, lo prometto solennemente» (Ger 31,34;
T ilc ).
— La scelte politiche
Se è vero che i profeti sono coscienza critica del presente, ap
pare evidente che non possono essere staccati dalle scelte che
vengono fatte a livello politico dai re e dagli altri responsabili
del bene comune.
Prima di tutto sono critici verso l ’istituzione della monarchia:
non pensano di sostituirla con altre forme di governo né ritengo
no opportuno proporre stili di vita alternativi come i Recabiti (cf.
Ger 35). Sono convinti, però, che anche i re debbano convertirsi
fidandosi più delle promesse di pace e di sicurezza offerte da Dio
che di quelle che offrono le potenze umane (F anuli 441-486; Si-
cre 472-520). Con i loro interventi, i profeti intendono difendere
56
il primato di Dio, unico re e signore del suo popolo, e fare in mo
do che la sua volontà espressa nella legge mosaica non venga
soppiantata dal volere e dai decreti del re (cf. IRe 21; Am
7,10ss; Is 7,1-17; ecc.). Nei loro interventi presso i vari re di Sa
maria e di Gerusalemme, i profeti non appaiono rassegnati di
fronte al potere politico né rivoluzionari, ma testimoni disarmati
della fede nel Signore tanto da apparire ingenui, esponendosi allo
scherno e alla critica di tutti in nome del buon senso. Infatti, salvo
alcuni casi (cf. Is 20; 37; Ger 21,9; 29), non offrono quasi mai
indicazioni pratiche sul cosa è possibile fare in questa circostanza
perché proclamano sempre delle esortazioni belle in se stesse ma
alquanto generiche per gli uomini politici. Tipico può essere il se
guente richiamo di Isaia: «Nella conversione e nella calma sta la
vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza»
(Is 30,15). Bisogna, allora, precisare che compito del profeta è
di rivelare il pensiero di Dio e di smascherare i modi con cui di
esso non si tiene conto, mentre spetta ad altri tradurre la parola
di Dio in piani operativi nella vita personale e in quella pubblica.
La parola profetica è, pertanto, debole perché non possiede gli
strumenti politici per incarnarla nel vissuto. Questi sono in mano
al re che fa progetti senza tener conto dei valori religiosi (cf. Is
7,10ss), al sacerdote che spesso non conosce la legge del Signore
(cf. Os 4,6), al popolo che il più delle volte non si mette in ascolto
(cf. Is 6,9-10).
Critici verso la monarchia, i profeti hanno però riconosciuto
che attraverso di essa J hwh stava progettando cose grandi: realiz
zare la salvezza e la pace definitiva per il suo popolo. Pur senza
enfatizzarlo come succederà nelle riletture fatte dai cristiani, i
profeti (soprattutto quelli pre-esilici ed esilici) riconoscono l’im
portanza del messianismo regale davidico, vale a dire della spe
ranza - certezza che Dio sia capace di realizzare il suo «progetto
shalom» (benessere e prosperità, pienezza di vita e felicità, pace e
riconciliazione) grazie alla presenza di un re secondo il suo cuo
re. Con la sua mediazione, pertanto, il Signore porterà a compi
mento tutte le sue promesse fatte ai padri, secondo l’impegno
preso con Davide attraverso il profeta Natan (cf. 2Sam 7,1-17).
Più che esaltare il ruolo del re - messia, i profeti sottolineano la
57
potenza del Signore che agisce per suo mezzo, a differenza - per
esempio - dei «salmi regali» che invece enfatizzano il ruolo del
re (cf. tra tutti i Sai 72 e 110). Si avrà modo di ritornare sul tema
(cf. cap. 3 ,1, 3 ove si accostano alcuni testi di Isaia e VAppendice
in cui si presenta una breve storia della speranza nel messia re
gale).
— Le relazioni sociali
Se i profeti non sono politici di professione, non sono nem
meno dei riformatori sociali né tantomeno dei sindacalisti «ante
litteram». Non hanno alcuna intenzione di occupare il potere pro
mettendo di fare giustizia. Sono, invece, dei testimoni che annun
ciano a chiare lettere quello che hanno visto e capito: Dio che è
sposo fedele e padre misericordioso non tollera la violenza e l’in
giustizia tra i suoi figli! Facendo un serio discernimento sulla
realtà sociale in cui pure loro vivono, i profeti la giudicano alla
luce dell’evento esodale («J hwh ti ha liberato dalla schiavitù d’E
gitto e ha stretto una relazione profonda con te e con tutti i tuoi
fratelli») e ne denunciano tutte le forme che negano il senso di
tale evento («Non fai dono agli altri di quanto hai ricevuto gratui
tamente dal Signore ma tieni tutto per te e sfrutti gli altri»): ingiu
stizie e soprusi, ruberie e assassini, ricchezza arrogante conqui
stata con la frode e con la violenza e che è responsabile della po
vertà che così produce, benessere sfacciato che impedisce di
prendersi cura del povero e dell’oppresso (cf. Am 2,6-16; 6,1
7). Coscienza critica delle relazioni violente che si sono instaura
te tra i membri del popolo eletto e con gli altri popoli, i profeti
non fanno altro che insistere sulle virtù sociali già presenti nella
dottrina dell’elezione e dell’alleanza, grazie alle quali è possibile
costruire una «società alternativa», che non segua cioè la logi
ca della violenza e dell’ingiustizia ma quella della giustizia (ze-
daqah) e del diritto (mispat), dell’amore (hesed) e della benevo
lenza (rachamim), della fedeltà (emunah), virtù sociali indispen
sabili per realizzare quel «progetto shalom = felicità» che da
sempre il Signore ha sul suo popolo e sull’intera umanità (cf. Gn
2,4b-3,24) e che i profeti proclamano (cf. Os 2,21-22; 6,6; Is 9,1 -
6; 11,1-9; ecc.).
58
Alla base del sistema sociale violento e ingiusto ci sta, secon
do la lettura che ne fanno i profeti, il disprezzo della giustizia e del
diritto: «Essi trasformano il diritto (mispat) in assenzio e gettano a
terra la giustizia (zedaqah)» (Am 5,7; cf 5,24; 6,12; Is 5,7; ecc.).
Queste due virtù sociali che appaiono sempre in coppia «connota
no il mantenimento di un giusto ordine, di strutture sociali e di
procedure giudiziali che rispettano i diritti di tutte le classi. Una
società che non rispetta quest’ordine, anche una in cui fiorisce la
pratica della religione (cf. Am 5,21-24; Is 1,12-17), non merita di
sopravvivere» (B lenkinsopp 11). Alla denuncia radicale (cf.
Amos; Os 4,1-3; Is 1-5; Mie 1-3; ecc.) i profeti fanno seguire, pe
rò, una proposta di possibile rinnovamento sociale perché «come
le acque scorra il diritto {mispat) e la giustizia (zedaqah) come un
torrente perenne» (Am 5,24), proposta che possiamo riassumere
con il celebre detto di Michea: «Uomo, ti è stato insegnato ciò
che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giusti
zia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio» (6,8).
Praticare la giustizia {zedaqah) significa stabilire relazioni
sociali che rispettino gli altri a tutti i livelli (politico, economico,
giuridico), riconoscendo i diritti dei deboli e proteggendoli spe
cialmente nei processi giudiziari (cf. 3,1.8; Am 5,7.12.24; 6,12;
Is 1,17).
Amare la bontà {hesed) impegna ogni persona a vivere la
compassione e la solidarietà verso i bisognosi e i poveri e a sosti
tuire l’appropriazione e l’avarizia con la libera condivisione e la
gratuità; impegna, inoltre, a rispondere a Dio con fedeltà, avendo
a cuore il suo nome e il suo progetto sulla storia personale e di tutti.
Camminare umilmente con il tuo Dio equivale a fare di Dio
e della sua parola il fondamento della propria esistenza, ricono
scendo e accettando di essere creatura in mano al Creatore (umil
tà). E questo non per dovere imposto dall’esterno, ma come libe
ra risposta al dono ricevuto dal Signore che consiste nel poter abi
tare - per l’ebreo di allora - nella terra promessa ai padri, libero e
felice (P iemme 2193).
Dalla predicazione profetica in ambito sociale emerge, infine,
un tema che un po’ alla volta diviene centrale nell’Antico Testa
mento e troverà un prolungamento nel Nuovo con la proclama
zione del Regno di Dio ai poveri (cf. Mt 5,3). Si tratta dei «poveri
59
(anawim) di J hwh», vale a dire di coloro che sono socialmente
oppressi e la cui liberazione può giungere solo dal Signore. I pro
feti difendono i poveri non perché la scelta della povertà sia una
bella esperienza (come la ritiene la tradizione cristiana) quanto
piuttosto perché è la conseguenza nefasta dello sfruttamento e
dell’avidità dei ricchi (cf. Amos). Mettendo così sotto accusa il
peccato dei ricchi e dei benestanti, il profeta prende le difese del
povero e dell’oppresso, manifestando tutta la sua passione per la
giustizia di Dio, vale a dire per la sua scelta di essere difensore
del povero e del debole (cf. Sai 12,6; 34,7; 109,31; ecc.). Un po’
alla volta, però, il termine anawim = poveri viene spiritualizzato
e indica tutti coloro che, poveri di beni materiali, restano fedeli
all’alleanza con il Signore, ne osservano con impegno la legge e
attendono da lui la liberazione definitiva da ogni tipo di violenza
e di sfruttamento (cf. Sof 2,3). Il Signore, infatti, nel suo amore
fedele sarà capace di donare riposo e pace (Sof 3,13), gioia e
giorni di festa a coloro che gli sono rimasti fedeli (Sof 3,17-20;
PlEMME 2230).
60
ed eterna alleanza (cf. Ger 31,31-34; Ez 37,36-37), una nuova
Gerusalemme (come per Is 52,1-12; 54; 62) e un nuovo Davide
che instauri sulla terra il «regno di J hwh» (come per Ez 34,23 ss).
Queste sono le speranze che, assieme alle promesse di un
nuovo popolo (cf. Is 66,10-14) e di una nuova creazione (Is
66,22), costituiscono le grandi linee dell’escatologia profetica
(cf. qui pp. 151-152). Non si tratta, però, per il credente, di sem
plici utopie, vale a dire di sogni al di fuori della realtà, quanto
piuttosto di «eutopie», cioè di «buoni luoghi» nel senso che -
fondate in Dio - le speranze diventano promesse cui aggrapparsi
nella certezza che il presente può un po’ alla volta assumere le
caratteristiche di quel «buon luogo» annunciato e prefigurato.
Dio, in altre parole, si impegna a realizzare oggi quanto promette
per domani. E quel futuro che i profeti annunciano con toni so
lenni e descrivendolo a volte nei particolari non è la fotografia
di quello che succederà, né una specie di cartina geografica della
storia che riporta segnati ben bene tutti gli eventi, né tantomeno
una tele-visione, cioè una visione a distanza. I profeti non hanno
il dono della prescienza, ma vedono in quale direzione Dio, in
azione dentro ad eventi specifici, sta guidando la storia del loro
popolo e quella dell’intera umanità e lo annunciano come fondato
nel cuore stesso di Dio. Testimoniano, così, che i desideri più ge
nuini di ogni persona riguardanti l’oggi e il domani (prosperità,
pace, felicità) sono gli stessi desideri che ha Dio, i cui progetti
sono «progetti di pace e non di sventura», per concedere a tutti
«un futuro pieno di speranza» (Ger 29,11 ). Appare evidente, al
lora, come il futuro sperato dall’uomo è iscritto nel futuro deside
rato da Dio!
In quest’ottica, particolarmente significativa risulta allora
l’attesa del giorno di J hwh, vale a dire del momento in cui il Si
gnore prenderà in mano con decisione la storia e - attraverso un
giudizio con cui regola i conti con i nemici suoi e del suo popolo
- stabilisce finalmente la sua regalità (cf. più avanti, c. 5, I). In
quel giorno troverà salvezza in modo particolare il resto fedele,
formato da tutti coloro che con pazienza e nella vigilanza hanno
atteso l’avvento del regno di Dio vivendo con onestà, giustizia e
sobrietà; fedeli all’alleanza con il loro Signore, verranno definiti
vamente iscritti nel libro della vita (cf. Is 4,2-6; 6,12-13; 11,1;
61
Sof 3,13.19-20). È probabile che i profeti (senz’altro quelli pree
silici) pensassero che a breve termine Dio garantisse una possibi
lità di vita dignitosa e sicura a coloro che rispettavano la sua al
leanza. Un po’ alla volta l’orizzonte si è aperto a una dimensione
ultrastorica, facendo riferimento alla salvezza definitiva che Dio
avrebbe offerto ai suoi fedeli nel giudizio finale o escatologico
(così nei profeti postesilici). In ogni caso, appare chiaro che sco
po ultimo della speranza profetica è «che il popolo viva», anche
nelle proporzioni ridotte di un piccolo resto fedele!
Tutto ciò è presente in modo particolare nel testo dei Dodici
profeti minori considerati dalla tradizione ebraica come un solo
libro (o «rotolo»). Ciò che - nella redazione canonica attuale - li
tiene insieme e che ne dà unità non sono solo i criteri letterari (ti
toli introduttivi; ripetizione degli stessi termini; presenza di visio
ni, immagini e temi comuni) quanto anche un messaggio coeren
te che può essere riassunto nella sequenza: peccato del popolo
ebraico e degli altri popoli; punizione o castigo, specie dei «po
poli stranieri»; restaurazione o salvezza e «novità di vita» non so
lo per Israele ma per l’intera umanità. Il peccato è denunciato par
ticolarmente da Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona e Michea fa
cendo riferimento all’alleanza tra Dio e il suo popolo. Il momento
della punizione/castigo è centrale specialmente in Naum, Abacuc
e Sofonia. Aggeo, Zaccaria e Malachia, infine, fanno sperare nel
la possibilità della restaurazione/salvezza. Questa successione di
momenti diversi ma tra di loro strettamente collegati riguarda, in
una «lettura d’insieme» dei Dodici profeti minori, non solo il po
polo ebraico ma anche l’umanità intera e si realizzerà in modo
inequivocabile nel «giorno del Signore». E questa l’espressione
e l’esperienza che dà unità all’insieme dei dodici libri profetici e
li caratterizza come invito pressante al pentimento e come attesa
fiduciosa della salvezza operata da Dio «in quel giorno». Alla cri
tica della storia presente i profeti minori (al pari dei tre maggiori)
fanno seguire la speranza di un intervento radicale del Signore
che cambierà in meglio la vita del popolo ebraico e di tutta l’uma
nità. Anche se dovrà passare attraverso il giudizio (denuncia del
peccato) e gravi catastrofi (segno del castigo), la storia umana è
orientata - per tutti i profeti - a un incontro salvifico con J hwh,
il Signore creatore e liberatore.
62
8. In a scolt o di a lc u n i profeti
63
stinatario della Parola di Dio. Tra le tante modalità che si sugge
riscono oggi per favorire questo approccio personalizzato18c’è la
pratica della «lectio divina». Si tratta di quella esperienza che aiu
ta non solo a leggere il testo biblico (lectio) guidati dallo Spirito
Santo, quanto anche a meditarlo (meditatio), a pregarlo (oratio) e
a contemplarlo ( contemplano) per poi praticarlo ( actio).
Se praticata con assiduità la « lectio divina» porta a una com
prensione sempre più profonda della Parola di Dio (scriptum cre-
scit cum legente/orante) e contribuisce a far del lettore/ascoltato
re «una biblioteca di Cristo» (san Girolamo).
64
C a p it o l o 2
AMOS E OSEA:
GIUSTIZIA E MISERICORDIA
65
molta simpatia per la vita urbana di allora. Si pensa, inoltre, che
abbia viaggiato molto, perché conosce bene la situazione socio
politica del tempo, la storia dei popoli vicini, la sapienza popola
re. Viene «sradicato» (7,15) dalla potenza della parola di Dio
(3,3-8) dal suo ambiente d’origine e mandato a svolgere la sua
missione nel regno di Israele al tempo di Geroboamo II (787
747 a.C.; 2Re 14,23-29), all’incirca tra il 760 e il 750 a.C.
Il regno del Nord gode di una buona stabilità interna, di pace
con il regno del Sud e di un’espansione territoriale a danno degli
aramei di Damasco ( B o c k 87-91; M e t z g e r 134-135; B le n k in -
sopp 82-106). Ciò favorisce sia l’instaurarsi di un clima di entu
siasmo e di sicurezza nazionale, sia la ripresa economica grazie
al commercio che porta un certo benessere e una discreta «spen
sieratezza» (6,1.7). Si costruiscono, infatti, palazzi splendidi e
lussuosi e si può avere anche la doppia casa (3,15); le sale sono
tappezzate d’avorio e addobbate con splendidi divani (3,15; 6,4);
si beve vino in abbondanza, ci si dà alla pazza gioia e ci si unge
«con gli unguenti più raffinati» (6,6; 4,1). Inoltre, i santuari fun
zionano a pieno ritmo, con pellegrinaggi, offerte di sacrifici e di
decime (4,4-5; 5,21-22). Tutto questo, però, è solo per pochi: la
gran parte del popolo vive nella miseria ed è sfruttata. Infatti, i
poveri vengono venduti come schiavi, sono calpestati, non rispet
tati come persone (2,6-8; 8,4); le sentenze nei tribunali possono
essere comperate con delle bustarelle (5,10-13.15). I responsabili
del popolo badano solo agli affari, anche nei giorni festivi (8,4
8), senza curarsi della «rovina di Giuseppe» (6,1-7), istigati in
questo anche dalle loro mogli (4,1-3). Vivono in palazzi sontuosi,
frutto di «violenza e rapina» (3,9-12). E tra i popoli vicini la si
tuazione non è certo migliore (cc. 1-2).
2. I l l i b r o e i l m e s s a g g io d i a m o s
Il libro
La predicazione profetica di Amos è giunta a noi in un libro
con una struttura chiara e omogenea, anche se gli oracoli non so
no posti secondo un ordine cronologico e qualcuno sembra opera
di un discepolo (cf. qui pp. 46-47). Ecco una possibile struttura
( N d t b 64-68; Bg 2185ss).
66
★ cc. 1-2: in otto oracoli, tutti strutturati allo stesso modo, ven
gono denunciati i peccati commessi dai popoli vicini a quello
ebraico e dagli stessi Giuda e Israele. Segue il castigo, previsto se
condo la legge del taglione. Il profeta nel denunciare ipeccati de
gli altri popoli non si rifà chiaramente all’esperienza esodale co
me per Giuda (2,4) e per Israele (2,9-11; cf. sotto) quanto piutto
sto allo ius gentium, a una specie di diritto intemazionale secondo
il quale la persona umana ha una sua dignità sempre, prescinden
do dalla sua condizione etnica, religiosa, sociale o culturale. L’uo
mo è considerato persona sempre, perché creato a immagine di
Dio (cf. Gn 9,5-7), per cui Jhwh osserva, giudica e castiga i com
portamenti scorretti di ogni persona, anche se non appartiene al
popolo ebraico. Amos proclama cosi i diritti fondamentali del
l ’uomo-. a vivere, anche se sconfitto in guerra (1,3); a restare nella
propria patria e non essere venduto schiavo o deportato (1,6); al
rispetto dei trattati di fratellanza (1,9); alla pace tra nazioni confi
nanti (1,11 -12); al rispetto per le donne e per la vita che portano in
grembo (1,13); al rispetto verso i morti, anche se nemici (2,1).
Inoltre è significativo che venga castigato anche il popolo ebraico
(Giuda e Israele): è scelto da Dio, ma deve vivere con coerenza e
responsabilità questa sua identità (2,4-16; anche 3,1-2).
* cc. 3-6: sono parole infuocate rivolte al regno del Nord, sud
divise da tre «ascoltate» (3,1; 4,1; 5,1) che si alternano con dei
«guai!» (5,7.18; 6,1). Il messaggio presenta due linee che si in
trecciano continuamente:
- da una parte c’è la denuncia (pars destruens) di una società che
opprime i poveri (3,9-15; 4,1-3; 5,10-13; 6,1-7; anche 2,6-16 e
8,4-8); ha una religiosità di facciata perché il suo culto è stac
cato dalla vita (3,13-15; 4,4-12; 5,4-7.14-15.21-27); si masche
ra dietro sicurezze religiose (5,18-20 e 9,7-10); su ogni situa
zione denunciata pende minacciosamente un castigo;
- dall’altra propone (pars construens) il ritomo a Dio per poter
evitare il castigo, un ritorno formulato dai tre verbi «conosce
re» (3,2), «ritornare» (4,6.8.9.10.11), «cercare» (5,4.6.14) e
che si attua «cercando il bene e non il male» (5,14), cioè facen
do «scorrere il diritto come l’acqua e la giustizia come un tor
rente perenne» (5,24; anche 4,6-12; 5,4-7.14-15.24-25),
67
★ cc. 7-9: presentano cinque visioni, tra loro collegate, che ma
nifestano - in crescendo - la fine della nazione colpevole. Mentre
le prime due (cavallette e siccità) prevedono l’indulgenza da par
te di Dio, dalla terza in poi (piombino, canestro di frutta matura e
santuario) non c ’è più possibilità di scampo. Ciò è aggravato dal
fatto che non ci si può rifugiare neppure presso quanto era ritenu
to simbolo di sicura protezione (il santuario di Dio). Il tutto sem
bra essere finalizzato al «cercare il Signore per vivere» (5,6) fin
ché si è in tempo (8,11-14).
★ c. 9,11-15: brano inserito dal redattore finale, nel tentativo
forse di presentare anche una speranza concreta, cosa che i capi
toli precedenti sembrano escludere (ma cf. 5,15). Le promesse an
nunciano la restaurazione del regno davidico (v. 11-12, citati da
Giacomo in At 15,16-17 secondo la LXX); il benessere materiale
(v. 13-14); la permanenza stabile nella terra (v. 15). Segni chiari
dell’amore e della sollecitudine di J hwh che non abbandona il
suo popolo e lo apre a un futuro di shalom (= pienezza di vita).
Il messaggio
Sottolineiamo solo alcuni degli aspetti già emersi.
1. Protondamente convinto che J hwh sia un Dio «giusto»,
cioè capace di prendere le difese del povero e dell’oppresso,
Amos chiede al popolo scelto dal Signore tra tutti i popoli (3,1
2) di praticare il diritto e la giustizia. Diritto (mispat) è l’ordine
giuridico che proviene dall’alleanza con Dio e che mira a realiz
zare e conservare il suo progetto {shalom) nella fraternità umana.
Giustizia (zedaqah) è il comportamento pratico che corrisponde
al mispat, vale a dire è il cooperare fattivo alla crescita nel bene/
shalom della comunità alla quale si appartiene (N dtb 7 M ss). Pur
troppo - constata il profeta - il diritto è stato trasformato in vele
no e la giustizia è stata gettata a terra e calpestata (5,7; 6,12). E
allora dilaga l’ingiustizia e l’oppressione, indizio chiaro che si
è dimenticata la propria identità e le radici della propria fede, os
sia l’esperienza esodale (2,9-11).
Ciò che ha provocato tutto questo è, per Amos, il benessere
assolutizzato a scelta che fonda l ’esistenza: questo significa con
cretamente espellere Dio dall’orizzonte della propria vita, non ri
68
conoscere più la sua signoria sulla storia personale e collettiva. E
quando si elimina Dio dalla propria esistenza, gli altri diventano
concorrenti da eliminare o da sfruttare per i propri interessi.
Amos denuncia proprio un benessere frutto di continue ingiusti
zie a livello sociale: si afferma a scapito dei poveri che crea, si
maschera dietro una facciata di legalità, intorpidisce e spegne la
fede autentica rendendola pura ritualità.
2. Il culto, infatti, è stato ridotto apura facciata che tranquil
lizza la coscienza, ma non impegna nella vita. Ecco, allora, la de
nuncia di Amos: non è contro il culto in sé, quanto contro la sua
riduzione a semplice rito esterno. La sua insistenza ha come scopo
di riavvicinare il culto alla vita: il culto vero è attuare la giustizia,
cioè prendere concretamente le difese del povero e dell’oppresso.
Da qui inizia il «ritorno a Dio» (5,14-15). Così, «cercare il Signo
re» è «cercare l’uomo», favorire i «privilegiati di Dio», quelli per i
quali egli si compromette con tutta la sua fedeltà (5,4-7.14-15.21
24). Fede matura, allora, non è andare a santuari - per quanto ri
nomati (5,5)- e fare offerte per mettere a posto la coscienza (5,21
23), ma smascherare le forme di ipocrisia che si celano dietro una
pratica rituale osservante e scegliere di praticare «diritto e giusti
zia». Per arrivare a questo, bisogna saper leggere in modo auten
tico la storia per scorgervi i richiami di Dio alla conversione (4,6
12), sia accogliere i profeti che egli invia (2,12; 7,10-17).
3. Questo, però, sembra non avvenire anche perché si difen
de il proprio stile di vita ricorrendo a delle affermazioni teologi
che interpretate a proprio vantaggio, per giustificarsi: così si ritie
ne di essere a posto semplicemente perché si è popolo scelto da
Dio (3,1-2 e 9,7; note in B g ) e si pensa che il giorno del Signore
(5,18-20) sarà senz’altro salvezza! (cf. note in B g ).
Il profeta denuncia queste deformazioni teologiche e invita
alla vigilanza e all’ascolto della parola di Dio, finché si è in tem
po (8,11-14). Se questo non avviene, non resta che prepararsi
airinconiro con il Signore (4,12): sarà un giorno di tenebre per
ché si realizzerà il castigo previsto per l’infedeltà e l’incoerenza
di vita (2,13-16; 3,13-15; ecc.). Secondo 9,11-15, però non è pre
vista la distruzione totale del popolo, quanto della sua organizza
zione politica, religiosa ed economica. Dio, infatti, «rialzerà la
capanna di Davide» (9,11).
69
3. L e t t u r a e s e g e t ic a
70
17). Così Amasia, che non ha saputo riconoscere in Amos il por
tavoce della parola di quel Dio che «ruggisce da Sion» (1,2), sarà
il primo a fare esperienza della sua efficacia.
Conclusione. Da questo testo si possono ricavare gli ele
menti di fondo della vocazione profetica : (1) tutto ha inizio dalla
libera iniziativa di Dio che, mediante la sua parola, (2) strappa e
sradica dal suo ambiente l’uomo che ha scelto, (3) esigendo da lui
un’obbedienza radicale; (4) il profeta è così a servizio di Dio e del
suo progetto di far risuonare la sua parola nella storia concreta del
suo popolo; (5) restare fedele alla missione ricevuta comporta ac
cettare sia di scontrarsi con chi detiene il potere, sia di essere
frainteso, accusato, scacciato.
71
5. padre e figlio vanno dalla stessa ragazza: è condannata l’umi
liazione continua a cui sono sottoposte le ragazze di servizio.
Si tratta non tanto di un peccato sessuale quanto di una profa
nazione del nome stesso di Dio: ogni sopruso contro una perso
na umana, infatti, è anche peccato contro il suo Creatore (cf. Pr
14,31; Mt 25,31-36).
6-7. Al v. 8 si parla dello sfruttamento a volte legalizzato, perché i
ricchi se ne approfittano delle vesti avute come pegno e del vi
no delle decime: le prime alla sera vanno riconsegnate (Es
22,25-26), il secondo è offerto al tempio. I soprusi vengono
commessi nella casa di Dio, alla sua presenza: egli non sarà pe
rò uno spettatore imparziale!
* vv. 9-12: Amos fa memoria del passato, vale a dire dei bene
fìci che Jh w h ha fatto nei confronti del suo popolo. Viene così
offerto il quadro di riferimento che motiva la denuncia, cioè l’e
sperienza della liberazione dall’Egitto. Gli Israeliti ricchi e op
pressori sono così messi di fronte alla loro identità e alla respon
sabilità che ne deriva: «Siete nati da un evento di liberazione,
perché ora rendete schiavi i vostri fratelli?».
* vv. 13-16: il richiamo sembra non avere effetti, anzi lo stesso
profeta ha subito il rifiuto (v. 12). Allora non resta che il castigo,
presentato nel testo come un terremoto che «affonda» tutto e tutti
e di fronte al quale non valgono le qualità fisiche.
Conclusione. Dal testo preso in esame si possono enucleare
gli elementi che qualificano la missione profetica:
- essere (a nome di J hwh) coscienza critica nella vita quotidiana
del popolo perché non si adagi, più o meno coscientemente, su
situazioni di peccato, ma realizzi il progetto di Dio;
- denunciare quanto è in contrasto con la sua identità di popolo
libero, nato da11’esperienza esodale, una denuncia non superfi
ciale ma chiara, precisa, puntuale;
- richiamare alla coerenza che si esprime nella responsabilità per
una vita socio-religiosa impegnata a ristabilire diritto e giusti
zia per tutti, specie per i poveri;
- prospettare il risultato (castigo) del permanere di certe scelte
che pongono in primo piano le nuove idolatrie (potere, denaro,
benessere).
72
Bibliografìa
73
(8,4) e i cambiamenti di alleanze per tentare di difendersi dall’As
siria che minaccia di assorbire il piccolo regno del Nord (5,13;
7.8-11; 8,8-10; 12,2). Cosi, mentre Zaccaria (regna sei mesi nel
747) è filoassiro, Sallum (un mese nel 747) è pro-egiziano; Me
nachem (746-737) riannoda l’alleanza con l’Assiria, seguito dal
successore Pekachia (742-740). Ma Pekach (740-731) e Osea
(731-721) sono anti-assiri (B ock 87-95; M etzger 137-140; 2Re
15.8-31; 17). Dal punto di vista sociale, la situazione non è cam
biata rispetto al tempo di Amos: «Non c’è infatti sincerità né
amore, né conoscenza di Dio nel paese. Si spergiura, si dice il fal
so, si uccide, si ruba, si commette adulterio, tutto questo dilaga e
si versa sangue su sangue» (4,1-2). Ma ciò che preoccupa il pro
feta Osea è la situazione religiosa: i sacerdoti, ignoranti e negli
genti, avidi e briganti (4,4-10; 6,9), stanno conducendo - assieme
ai notabili e ai re - il popolo alla rovina (5,1-7). Questi, infatti, si
abbandona all’idolatria cananea (4,11-14; 8,4-7; 10,1-10; 12,1-2;
13,1-3), con qualche «ritorno» a J hwh inconsistente «come la ru
giada che all’alba svanisce» (6,1-6) perché il culto reso è falso e
vano (4,12-14; 5,1-7; 9,1-7).
2. I l LIBRO E IL M ESSAGGIO DI O S E A
Il libro
Gli oracoli di Osea, scritti di suo pugno (come 1,2-9 e 3,1-5)
o raccolti dai discepoli (come 2,4-25; 5,8-6,6; 8,1-14) e disposti
secondo l’affinità di contenuto, sono stati ordinati probabilmente
a Gerusalemme dopo la caduta di Samaria (721 a.C.) e sottoposti
successivamente a un lavoro di revisione e rielaborazione, fino a
raggiungere l’attuale sistemazione durante o immediatamente do
po l’esilio babilonese (P iemme 2098; B lenkjnsopp 106-116). Sin
teticamente, dopo il titolo (1,1) abbiamo (cf. Bg):
* cc. 1-3: il matrimonio di Osea e il suo valore simbolico. È la
parte più nota ma anche più discussa del libro. In particolare, ci si
chiede se si tratta di un matrimonio reale o di una semplice alle
goria; se la donna che Osea sposa è già prostituta o lo sia diventa
ta dopo; se la donna del c. 3 è la stessa del c. 1. Si può ritenere che
74
si tratti di un matrimonio reale; che la moglie di cui si parla sia
sempre la stessa; che essa fosse un’adoratrice di Baal e che si sot
toponesse liberamente alla pratica della prostituzione sacra.
* cc. 4,1-14,1: vengono denunciate vecchie e nuove idolatrie a
livello religioso e politico (cc. 5-7; 11-13) e la responsabilità dei
dirigenti (c. 4; 8-10), seguite sempre dal castigo ormai prossimo.
Lo sguardo del profeta spazia dalla situazione attuale (cc. 4-9) al
la storia di Israele (cc. 9-13).
* c. 14,2-10: è annunciata la conversione sincera di Israele e il
suo ritorno definitivo a J hwh.
Il messaggio
Prima di tutto, il profeta denuncia la situazione presente defi
nendolaprostituzione (4,12; 5,4): il popolo ha abbandonato il suo
primo marito, J hwh, e si è prostituito sia a livello politico (si ven
de al potente di turno per tentare di salvarsi, F anuli 494-504), che
sociale (si rende schiavo degli idoli del denaro e del benessere,
facendone pagare le spese ai poveri, F anuli 365-386) e religioso
(si danno alla «prostituzione sacra» e alle orge presso i santuari di
Baal, F anuli 426-429). Causa di tutto questo è sia la mancanza di
«conoscenza di Dio» (daat = esperienza profonda e coinvolgen
te: 4,1), sia una certa peccaminosità che Israele si porta dietro fin
dai tempi antichi. Osea, infatti, rilegge in modo molto critico al
cuni episodi della storia passata: 1,4 (massacro da parte di leu
della famiglia reale di Acab, giustificato in 2Re 10,30); 9,10-17
(infedeltà di Baal-Peòr e di Gaigaia; vedi i rimandi in B g); 12,3
7.13-15 (il patriarca Giacobbe non è certo un esempio edifican
te!); 13,4-8 (infedeltà nel deserto). Anche 11,1-6 è una rilettura
della storia passata (dall’Egitto alla Terra promessa).
In secondo luogo, poiché Israele non è più capace di autentica
«conversione» (sub = cambiamento di strada, cioè del centro del
la propria esistenza, intesa come «ritorno a J hwh , ricercarlo»;
7,10), Osea annuncia il castigo ormai imminente (6,1-6; 7,8
16; 8,1-2; 9-10; 13).
Eppure la sentenza non è senza appello, perché Dio è capace
di far ritornare a sé il suo popolo mediante la sua misericordia: il
75
perdono di J hwh è capace di recuperare l’uomo perché supera i
peccati del popolo (cc. 11; 14). C’è una speranza concreta di sal
vezza; per J hwh, infatti, nessuna situazione di peccato è irrecupe
rabile! E il trionfo della misericordia di Dio, descritta come he-
sed, cioè amore profondo di benevolenza che parte dal cuore
(9,15; 11,1-2; 14,5, N dtb 978), e rahamim (da rehem = viscere,
grembo materno), ossia amore di tenerezza viscerale, «come
quello di una madre che “non dimentica il suo bambino e si com
muove per il figlio delle viscere” (Is 49,15)» (N dtb 1053). E l’a
more di Dio che provocherà la conversione autentica che si
esprimerà nella hesed verso il prossimo e nella daat (= conoscen
za) di Dio (6,6).
Il profeta sembra essere arrivato a questa consolante conclu
sione e a sperimentare che «il cuore di Dio si commuove dentro
di lui e il suo intimo freme di compassione» (11,8) riflettendo
sulla sua avventura matrimoniale: ripensata simbolicamente,
diventa cifra per descrivere il rapporto tra il popolo ebraico (mo
glie infedele) e J hwh (marito fedele). Così, nei cc. 1-3 «il raccon
to di un’esperienza personale si trasforma in un “segno e presa
gio per Israele da parte del Signore degli eserciti” (Is 8,18)»
(N dtb 1053).
76
di rottura nei rapporti JHWH-Israele: Izreel denuncia le violenze
politiche (2Re 10); Non-amata (—Lo-ruhamah) indica che Dio
non ama più visceralmente ii suo popolo; Non-mio-popolo (=
Lo-ammi) «è la negazione della formula classica dell’alleanza
tra Dio e Israele; “ Sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo”
(Lv 26,12; Ger 7,23; Ez 11,20; Zc 8,8). Dio ritorna a essere un
estraneo che “non è più per voi” (v. 9 ed Es 3,14)» (N dtb 1053).
* 2,1-3: promessa di salvezza legata ai nomi dei figli, ripresi in
senso positivo (come in 2,24-25; F anuli 501-504; S icre 289
290).
* 2,4-25: lettura profetico-teologica dell’esperienza matrimo
niale dei cc. 1 e 3. Osea presenta il rapporto JHWH-Israele non
più con termini dell’alleanza politica, quanto di «tenera relazione
di due innamorati che si cercano nella gioia e nell’intimità. L’a
more umano diventa il paradigma per parlare dell’amore di Dio
per l’uomo e della risposta umana al Dio che è amore (lGv
4,8.16)» (N dtb 1053).
Il testo può essere suddiviso in due parti: w. 4-17 (rib o pro
cesso giudiziario); vv. 18-25 (rinnovo delPalleanza).
- vv. 4-17: per comprendere questo brano è necessario tener
presente il sistema simbolico che vede coinvolti più protagonisti.
77
accusa — -------- > castigo
1) v. 7: La loro madre si è vv. 8-9: Perciò, ecco, io
prostituita ti sbarrerò la strada
2) v. 10: Non capì (jada) v. 11: Perciò anch’io
che io le davo tornerò a riprendere
3) vv. 12- 15: Seguiva i suoi vv. 16- 17: Perciò, ecco,
amanti, mentre io la sedurrò
dimenticava me!
78
suo cuore»: esprime non solo un incontro intimo, quanto un ser
rato e appassionato corteggiamento da parte di Dio del cuore del
l’uomo, cioè del suo centro decisionale e affettivo, fino a conver
tirlo alla sua presenza. Infine, è previsto il rientro nella Terra: Dio
renderà al suo popolo «le sue vigne» (simbolo della fertilità della
terra) e «trasformerà la valle di Acòr», cioè la «valle della sventu
ra» (Gs 7,26s) in «porta della speranza».
- vv. 18-25: suddivisi in tre momenti dall’espressione «e av
verrà in quel giorno/in quel tempo» (vv. 18.20.23), questi versetti
sono uno sguardo sul futuro che Dio garantisce.
a) Il suo amore, infatti, è capace non solo di ricuperare a sé
l’uomo per ricominciare tutto da capo (w. 16-17), ma anche di
ricreare il suo popolo/sposa dall’intemo (v. 19): non si rivolgerà
più a Dio chiamandolo «Mio padrone» (= Baali ), ma «Marito
mio» (= Isshv. Gn 2,23) per indicare che è finita la schiavitù/ido
latria (v. 18).
b) Il rinnovamento del cuore dell’uomo, poi, ha ripercussioni
positive sul creato che vivrà un’alleanza di pace/armonia (v. 20;
Gn 2,18-23; Is 11,6-8). Il cuore dell’uomo è la fonte della pace e
della guerra; le sue scelte e le sue decisioni operano in favore di
un’armonica e costruttiva convivenza o contro di essa.
E alla moglie/popolo stesso viene ridata la sua identità reale:
«Ti farò mia sposa». Per tre volte viene utilizzato il verbo del ma
trimonio tra un giovane e una ragazza vergine. J hwh quindi «ri
sposa» Israele come si trattasse delle prime nozze. Ritorna l’intui
zione che Dio è talmente novità assoluta che anche il matrimonio
con una prostituta o con un’adultera è considerato e diviene effet
tivamente un matrimonio con una ragazza vergine. E questo sarà
«per sempre»: è un intervento di Dio gratuito e irrevocabile. Men
tre, infatti, al Sinai l’alleanza era condizionata alla risposta del po
polo (Es 19,8; 24,7), in Osea essa è senza condizioni e perenne.
I vv. 21-22 sono fondamentali perché è descritta la dote della
sposa: non più beni materiali (terra) quanto piuttosto qualità inte
riori. Diritto (mispat), cioè progetto di Dio quale senso della vita,
e giustizia (zedaqah), vale a dire la capacità di realizzare il mi
spat, sia personale che comunitario. Benevolenza (hesed) e amo
re (rahamim) quale attuazione pratica del mispat-zedaqah per
79
formare una fraternità autentica basata sull’accoglienza, la bene
volenza, l’amore viscerale che perdona e rigenera. Fedeltà (emu-
nah), ossia forza per essere fedele nel tempo e stabile nella rela
zione. Il tutto porta alla conoscenza (ciaat) di J hwh: è l’esperienza
profonda e continua del Signore, che coinvolge tutta la persona.
c) Nell’ultima parte (vv. 23-25) c’è la sintesi del nuovo ordi
ne di cose annunciato dal cambiamento dei nomi dei figli del pro
feta, che da «testimonianza della rottura d’Israele con Dio [...] di
ventano ora i simboli della comunione con Dio trasformandosi in
Ruhamah (“Amata”), in Amni (“Popolo-mio”), in Jizreel il cui
valore etimologico è “ seme di Dio”, cioè seme fecondo e bene
detto (v. 25)» (N dtb 1054). Importante è l’ultima invocazione,
Dio mio: è il massimo della relazione JHWH-Israele, relazione
che ha conosciuto questi passaggi: Baali (= padrone mio) - Isshi
(= marito mio) - Elohi (= Dio mio).
* 3,1-5: Osea si riprende la moglie adultera, riscattandola (cf.
note in Bg).
Conclusione. Due sembrano le novità del messaggio di Osea
in questi capitoli.
1. L’uso dell’esperienza matrimoniale come simbolo del rap
porto Dio-uomo: il matrimonio diventa così testimonianza della
misericordia di Dio (N dtb 980-981; 1054); il matrimonio fallito
per l’infedeltà di uno dei due coniugi può essere ricuperato se ci
si rifà all’amore che Dio ha per la sua famiglia, il popolo eletto. È
da Dio che si impara ad amare e perdonare sempre e gratuitamen
te (N dtb 921-922).
2. La proposta di una logica diversa nel rapporto peccatore
Dio: non più peccato-conversione-perdono, quanto peccato-per
dono-conversione. La conversione, cioè, non è condizione o pre
supposto per ottenere il perdono da Dio, quanto conseguenza e
risposta al suo amore misericordioso. Lo stesso concetto è espres
so in 11,1-9: dopo la triplice dimostrazione d’affetto da parte di
Dio e il triplice rifiuto di Israele (vv. 1-4) e l’annuncio del castigo
(w. 5-7) viene presentato (vv. 8-9) l’amore gratuito di J hwh, non
condizionato dalla conversione del popolo perché - dice il Signo
re - «sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non
verrò nella mia ira» (v. 9; F anuli 355-358).
80
Bibliografia
81
C a p it o l o 3
ISAIA E GEREMIA:
FEDE E SPERANZA
83
1. cc. 1-39: è la sezione in cui sono presenti oracoli che vengono
fatti risalire al profeta Isaia che operò neH’VIII secolo a.C., tra
il 740 e il 701, a Gerusalemme; è anche detto «Proto (= Primo)
Isaia» o «Isaia I»;
2 . cc. 40-55: è la parte attribuita a un profeta anonimo detto
«Deutero (= Secondo) Isaia» che operò in esilio a Babilonia
nella seconda metà del VI secolo a.C., tra il 555 e il 539; è an
che citato «Isaia II»;
3. cc. 56-66: sono capitoli assegnati a un profeta anonimo (o
più?) del post-esilio denominato «Trito (= Terzo) Isaia» o cita
to «Isaia III».
Appare dunque evidente che l’attuale libro di Isaia non è ope
ra di un solo autore e che ha subito continue aggiunte, riletture,
aggiornamenti tra l’Vili e il IV/III secolo, segno chiaro dell’at
tualità della parola profetica proclamata da Isaia I. Sembra infatti
che si possa ammettere un nucleo originario di partenza detto
« memoriale di Isaia » individuato dalla maggioranza degli stu
diosi in 6, 1 -8, 1 8 (per altri fino a 9,6 o 11 ,9). In esso sono presenti
due momenti oracolari che vengono sviluppati in seguito, e cioè
(N obile 87-94):
- il giudizio di condanna sul peccato di ingiustizia e di mancan
za di fede presente in Giuda-Gerusalemme, giudizio esteso poi
agli altri popoli idolatrici, in dimensione sia storica che escato
logica;
- la capacità di Dio di salvare il suo popolo (anche se solo un
resto) e di convertire a sé tutte le genti (con modalità e tempi
diversi) grazie alla presenza di un personaggio regale che assu
me via via nuovi connotati (è un davidico in Isaia I, ma assume
l’aspetto di profeta in Isaia II e III) e nuove prospettive (come
quella di profeta sofferente nei «Canti del Servo» e la dimen
sione escatologica nel Deutero e Tritolsaia).
Al di là quindi della genesi e dello sviluppo delle tre grandi
sezioni in cui viene comunemente diviso il libro di Isaia (cf. una
loro ricostruzione in Piemme 1672-1675), gli studiosi contempora
nei ’ndividuano un «progetto deliberato» (J. Vermeylen) soggia
cente al testo canonico attuale, progetto che - proclamato dall’I-
saia deH’VIII secolo e rivisto nel secolo VII dalla «rilettura proto-
deuteronomistica» - ha risentito fortemente prima dell'esperienza
84
esilica (secolo VI, in cui risuonano i cc. 40-55), poi delle fatiche
della ricostruzione postesilica (secolo V, specie del tempo di Nee-
mia, di cui si fa eco la terza parte, i cc. 55-66), infine delle forti
attese escatologiche maturate al tempo del Cronista (IV secolo),
per trovare una redazione definitiva tra il 300 e il 200 a.C.
Il collegamento formale tra le parti è dato dalla presenza (cf.
Logos 88-89) di:
- tematiche comuni, come la gloria del «Santo di Israele» (6,3;
47,4; 48,17; 49,7) che si manifesta su tutta la terra (6,3), su Ge
rusalemme (35,2), sugli esiliati (40,5; 42,12) e sui rimpatriati
(60,1-3; 62,2; 66,18) ora come giudizio (1,4; 5,19.24; ecc.),
ora come salvezza (41,14.16.20) e ora come glorificazione
(60,9-14);
- sviluppi di pensiero, come quello riguardante il Messia: è un re
bambino della stirpe di Davide (cc. 7; 9; 11), che assume poi le
caratteristiche di profeta sulla linea di Mosè (Dt 18,18) e di
profeta sofferente, ma vittorioso e benedetto da Dio (i «Canti
del Servo» e 61,1-3);
- richiami che scandiscono le tappe dell’intero libro, come il
consolare che chiude i primi dodici capitoli (12,1), apre la se
conda parte (40,1) e alla fine designa Dio stesso come il conso
latore (51,12; 66,13); o come la presenza di Sion/Gerusalemme
nei momenti cruciali del testo (1,8; 12,6; 40,2.9; 52,1-2; 60,14;
62,7.11).
L’insieme di questi elementi induce a ritenere che il progetto
teologico dell’attuale libro del profeta Isaia parta da «un nucleo
originario che si incontra nella pagina che narra l’esperienza di
Isaia al momento della vocazione (cf. 6,1-11 [13])» (P ie m m e
1800) che celebra la regalità di Jh w h e la sua santità (cf. più
avanti) e si concentri attorno alla dialettica «peccato-castigo/libe
razione-salvezza» per Sion/Gerusalemme e tutti i popoli (inclu
sione tra i cc. 1-2 e i cc. 65-66). Tale dinamismo intemo alla sto
ria umana (presente in 7,1-8,18; cf. più avanti) vede, alla fine, il
netto prevalere della «salvezza/redenzione» operata dal «Santo di
Israele» attraverso il suo «messia/consacrato» (re-profeta soffe
rente) e si sperimenta come «giustizia», cioè come perdono del
peccato (cf. 1,4.18; 40,2; 55,6-7; 57,17-18; 63,10-16; 64,4-8;
66,24). E questo sia in una prospettiva storica (perché Dio è il
85
«Dio con noi» [8,10], il «tuo redentore» [41,14]; il «padre no
stro» [63,16]), sia come attesa escatologica perché Dio è anche
colui che farà «nuovi cieli e nuova terra» (65,17) - (cf. Piem m e
1675-1676; 1800-1804). Appare così evidente che la «storia del
popolo di Jh w h e dell’umanità si sviluppa secondo un piano che
trascende i dinamismi delle forze intramondane e, proprio per
questo, non riflette solo un progetto umano, ma proviene dal Si
gnore ed è espressione del suo eterno disegno» (Piem m e 1803).
Conclusione. Nell’attuale libro di Isaia si intrecciano, richia
mandosi e approfondendosi:
- azione di Dio negli avvenimenti storici nazionali e intemazio
nali e prospettiva escatologica (teologia della storia)-,
liberazione dal peccato attuale del popolo ebraico (annuncio
del perdono) e ri-creazione di tutto il creato (teologia della
creazione)-,
- attenzione alla situazione socio-religiosa del popolo ebraico
(particolarismo) e apertura a tutti i popoli, chiamati a conveni
re verso Sion/Gerusalemme {universalismo)-,
- centralità di Sion-Gerusalemme e presenza del re, con funzioni
salvifiche nazionali e universali (messianismo regale e profeti
co)-,
- opera salvifica di Dio (redenzione) e apporto dell’uomo inteso
come conversione (ascolto della parola) e adesione al suo pro
getto (esperienza difede autentica), atteggiamenti capaci di su
perare ogni forma di ingiustizia sociale e politica {giustizia e
diritto), di contrastare la propaganda del l’idolatria pagana e di
evitare di costruirsi un dio su misura {religiosità fondata in
Jh w h ) .
Tutto «questo farà lo zelo del Signore degli eserciti» (9,6) per
preparare la via alla venuta del suo Figlio, Gesù di Nazaret, pro
clamato Messia-Cristo dai cristiani. Può essere applicato in modo
specifico a Isaia quanto afferma l’apostolo Pietro dei profeti in
genere: «A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiun
que crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo
nome» (At 10,43). Infatti, «l’intero libro di Isaia, che riporta testi
nati dall’VIII al V secolo, è il cuore della Bibbia e l’anello di con
giunzione fra le tradizioni risalenti all’epoca patriarcale e la pie
nezza che si realizza in Gesù di Nazaret. Costituisce pertanto la
86
più valida introduzione al mistero di Cristo, intravisto nei molti
testi messianici e illustrato dalle numerose citazioni neotestamen
tarie». La ricchezza di linguaggio, di immagini e di contenuto che
emerge dall’insieme del libro del profeta Isaia «costituisce un
pressante invito al lettore a rileggere e meditare più volte i testi
isaiani, che sono tra le pagine più belle della Bibbia»1.
1. I sa ia 1-39
La prima parte del libro di Isaia offre un aspetto antologico:
attorno a uno schema convenzionale presente anche in Ger ed
Ez (parole di giudizio sul popolo ebraico - oracoli contro i popo
lo stranieri - parole di salvezza) sono stati raccolti scritti che pro
vengono dal Protoisaia, altri che sono stati aggiunti dai discepoli,
mentre alcuni blocchi risalgono a epoche posteriori. Si possono
suddividere nel seguente modo (cf. B g e N dtb 761):
ì. cc. 1-5: oracoli quasi totalmente del primo Isaia; prevalente
mente sono dell’inizio della sua attività (740-735 a.C.); di no
tevole valore letterario, si interessano del problema sociale;
2 . cc. 6-12: sostanzialmente isaiano (eccetto 11,10-12,6), è il «li
bro dell’Emmanuele»: sono interventi a livello politico che
hanno generalmente come sfondo la guerra siro-efraimitica
(735-732 a.C.);
3. cc. 13-23: oracoli sui popoli stranieri; di paternità isaiana, pre
sentano alcuni ritocchi e inserzioni posteriori (come 13,1
14,23; 15-16; 19,16-24; 21,1-10);
4. cc. 24-27: sono chiamati la «grande apocalisse», databile a non
prima del secolo V a.C.; conosciuto è 25,6-11 (banchetto mes
sianico);
5. cc. 28-33: poemi su Israele e su Giuda, sostanzialmente isaiani;
sono collegati da sei «guai» (28,1; 29,1; 29,15; 30,1; 31,1;
33,1);
6. cc. 34-35: è la «piccola apocalisse», di sapore post-esilico (ini
zi del V secolo);
87
7. sezione narrativa di sapore deuteronomistico, ri
cc. 36-39:
prende - con varianti e aggiunte - 2Re 18,13-20,19; si parla
dell’assedio di Gerusalemme a opera dell’assiro Sennacherib
(701 a.C.).
Appare evidente che sono attribuibili a Isaia I la sostanza dei
cc. 1-12 (oracoli su Giuda); 13-23 (oracoli sui popoli stranieri);
28-33 (ancora su Giuda e Israele). Il resto, pur non essendo «au
tentico», non è meno interessante: è sempre «parola di Dio» e si
dovrebbe leggerlo in connessione con gli altri capitoli secondo lo
schema classico della profezia: accusa e minaccia di castigo (pars
destruens) - salvezza presente e/o futura (pars construens: N dtb
763-769).
Attività
La sua attività può essere suddivisa in tre momenti.
★ Durante il regno di Iotam (739-735): periodo di pace, di pro
sperità e di benessere. Isaia scopre e denuncia la mancanza di
valori spirituali (1,2-6), l’ingiustizia sociale (1,21-28; 5) e la fal
sità religiosa (1,10-20); il lusso (3,16-24) e il benessere che por
tano l’uomo all’orgoglio e al distacco da Dio (2,6-22). Efficace è
88
il «canto della vigna» (5,1-7) che termina con questa accusa:
Jhwh «si aspettava giustizia ( mispat) ed ecco spargimento di san
gue ( mispah), attendeva rettitudine (zedaqah) ed ecco grida di
oppressi (zeaqah)». Prospetta il castigo individuato in una inva
sione militare (1,7-9; 5,26-30).
Nella lettura si tenga presente che anche la profezia di Mi
chea coincide con questa prima uscita in pubblico di Isaia (B len
kinsopp 117-124). Il profeta di Morèset, infatti, denuncia - al
tempo di Iotam e subito dopo - la mancanza di responsabilità
dei capi (profeti inclusi) verso il popolo (c. 3), la corruzione che
porta all’ingiustizia sociale (2,1-2), l’idolatria verso altre divinità
(5,8-14) e la manipolazione di J hwh nella troppa sicurezza di
averlo come alleato certo (3,9-12). In modo più chiaro di Isaia
che per ora pensa prevalentemente al castigo, Michea ricorda
quanto J hwh si aspetta dal suo popolo (6,8: «praticare la giustizia,
amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio»), e poi an
nuncia una consolante certezza: pur castigando (c. 1), Dio salverà
un resto (2,12-13) che, guidato da un re davidico (5,l-4a), sarà
portatore di pace e Gerusalemme diventerà luogo di riunificazio
ne di tutte le nazioni (4,1-5 che ha un parallelo in Is 2,2-5).
* Durante il regno di Acaz (734-727): si fa sentire tutto il peso
della minaccia assira sui due regni ebraici che tentano di salvarsi
come meglio possono (guerra siro-efraimitica). In Gerusalemme
si dubita della capacità di J hwh di essere fedele alle sue promesse
sulla città santa e sulla monarchia davidica (2Sam 7). Allora il
profeta Isaia interviene denunciando la mancanza di fede e ri
chiamando alla fiducia in Dio, nella sua parola e nei segni che
egli invia (l’«Emmanuele» in 7,14; cf. sotto).
I suoi interventi a livello politico - assieme ad altri avvenuti
in circostanze diverse (cf. note in B g) - sono raccolti nel «libro
dell’Emmanuele» (cc. 6-12). Isaia mette in guardia dalle illusio
ni nell’affidarsi alle potenze umane che si è sempre tentati di ido
latrare (sono uno strumento in mano a Dio [10,5ss]) e ravviva la
speranza nel progetto di liberazione e di pace che J hwh realizzerà
mediante il suo Messia (9,1-6).
* Durante il regno di Ezechia (727-698): in un primo momen
to, quando Ezechia è ancora minorenne (727-715), il profeta
89
mantiene un atteggiamento di riservatezza, assistendo impo
tente alla progressiva ascesa dell’Assiria e alla capitolazione del
regno del Nord. Interviene poi verso gli anni 705-701 sia per
mettere in guardia dall’eccessiva speranza che si va nutrendo
verso l’Egitto (18,1-6; 20; 30,1-7; 31,1-3), sia per annunciare
che l’Assiria stessa «sarà percossa con la verga» (30,31) per esse
re andata oltre il suo compito storico. L’assedio di Gerusalemme
con Sennacherib (nel 701), infatti, non avrà successo (cc. 36-39).
L’euforia per l’inaspettata liberazione delude il profeta perché
non la si è letta come invito al cambiamento interiore (22,1-14;
I,4-9). Isaia sembra terminare la sua attività ponendo tutta la sua
speranza solo nel futuro che Dio garantisce al resto di Israele
guidato da un re che si affida totalmente al suo spirito (2,2-4;
II,1-9; 32,1-5.15-20).
Messaggio
Può essere cosi sintetizzato.
1. L’ id e n tità d i J h w h . Per Isaia, Dio è il «Santo d’Israele»
(1,4; 5,16.19.24; 6,3; 10,20; ecc.): questo titolo riassume sia la
trascendenza e la maestà di Jh w h , il Totalmente Altro, il re dell’u
niverso, sia la sua immanenza e concretezza («gloria») perché ri
siede in mezzo al suo popolo per liberarlo e salvarlo (1,24-28;
8,9-10; 9,1-6; 11,1-9).
2. La r e a lt à d e l l ’u o m o . Davanti al «tre volte Santo», l’uomo
appare come un peccatore: è salvato e redento nella misura in cui
riconosce e accetta questa sua realtà (come fa il profeta in 6,5); è
condannato quando non accetta i suoi limiti e monta in superbia
pretendendo la sua autonomia da Dio e prendendo le distanze da
lui (2,6-22; 3,16-24). Questo avviene sia quando l’uomo sminui
sce la santità di Dio rendendolo un idolo tascabile da sfruttare a
piacimento (allora la religiosità diventa puro rito ipocrita, come
in 1,10-20), sia quando non sa leggere fino in fondo i segni che
Dio stesso gli invia (allora la religione è usata come maschera
della propria incredibilità, come per Acaz in 7,1-17). Conseguen
za grave del ridimensionamento di Dio e della pretesa autonomia
dalla sua azione sono sia il disordine politico (legge del più forte
come in 1,21-23; 3,1-15), sia le ingiustizie sociali (come nel c. 5):
90
segni chiari che ci si è costruiti altri idoli come il potere, il dena
ro, il lusso. Nascono allora gli oppressi, i poveri, gli sfruttati. So
luzione indicata da Isaia è aver fede: fondare la propria vita su
J hwh e sulla sua parola (7,9; 18,4; 30,15; 32,17).
3. La storia : è il teatro di Dio, cioè il luogo in cui J hwh ma
nifesta la sua «gloria» (= se stesso in azione). Il credente allora è
colui che resta dentro la storia per rintracciarvi le azioni di Dio
e Dio in azione. E vero profeta chi sa leggere la storia in questo
modo. Così, per esempio, l’Assiria è uno strumento in mano a
Dio: «verga» che punisce il popolo ebraico per i suoi peccati
(10,4-34), ma che sarà a sua volta punita perché si erge superba
mente a giudice della storia e della vita degli altri popoli in modo
autonomo (30,27-33; 31,4-9; F anuli 462-469; Sicre 109-115).
Se la storia è in mano a Dio, allora il profeta sa guardare non solo
all’oggi, ma anche al domani: nasce la speranza in un progetto
di pace che J hwh garantisce e sta realizzando nonostante le appa
renze (2,2-4; 11,1-9).
4. La stabilità di Sion e del re\ si intende la certezza che la
città di Gerusalemme e la casa di Davide sono state scelte da
Dio per realizzare il suo progetto salvifico, e perciò stesso godo
no di una garanzia divina di sussistenza perenne e di vittoria.
Questa sicurezza non è qualcosa di magico o incondizionato, per
ché fondato sul totale affidamento a Dio: «se non credete, non re
sterete saldi» (7,9).
Per comprendere tutto ciò, si deve tener presente:
- la teologia legata alla figura del re\ l’AT presenta il re come
uomo che gode di una speciale considerazione da parte di Dio
e di una «condensazione» su di lui di doni specifici che lo ren
dono capace di attuare la missione di guida e responsabile del
benessere del popolo eletto. In particolare, il re deve garantire
due aspetti essenziali della presenza del Signore: il diritto (mi-
spat) e la giustizia (zedaqah). In altri termini, il programma po
litico del re è quello di J hwh, manifestato nella sua Parola. E la
funzione di pastore che ricopre il re, conseguenza del suo esse
re consacrato = mashiah (unto) (F anuli 487-492; Sicre 522
530).
- 2Sam 7: in questo testo Dio stipula un’alleanza con Davide,
promettendo solennemente di impegnarsi a garantire alla sua
91
dinastia il trono di Gerusalemme2. Poiché è profondamente
convinto che J hwh, il Santo d’Israele, è fedele alla sua parola,
Isaia afferma categoricamente che Gerusalemme non cadrà in
mano nemica perché è la città di Dio (7,1-8) e che si possono
riporre speranze concrete sul discendente di Davide, il Messia
che realizzerà il progetto di pace del Signore (9,1-6; 11,1-9).
5. Il resto fedele. Anche se la mancanza di fede sta provocan
do disastri a ogni livello e pur essendo previsto (in linea con altre
pagine profetiche) il castigo, Isaia è convinto che quest’ultimo,
pur rappresentando la fine della superbia umana, non significa la
scomparsa del popolo. Infatti, un resto si salverà! Magari picco
lo, quello del profeta e dei discepoli (8,16-18), degli umili, dei
fedeli, dei poveri. Coloro che vivono una fiducia radicale in Dio
saranno depositari di tale speranza (6,11-13; 10,19-21; 28,5-6; cf.
nota a 4,3 in Bg).
3. L ettura esegetica
92
della sua indegnità (v. 5). Mediante un atto di purificazione il
profeta viene ammesso al consiglio dei ministri di Dio (vv. 6-7).
Qui - dopo essersi dichiarato disponibile - Isaia riceve la missio
ne (vv. 8-9a) della quale vengono anticipati i risultati immediati
(vv. 9b-10) e futuri (vv. 11-13). Abbiamo così tre momenti.
* La teofania (vv. 1-5): l’esperienza di Dio («io vidi»: vv. 1.5)
è ambientata al tempio di Gerusalemme «nell’anno in cui morì il
re Ozia» (740 circa). Jhwh domina tutta la scena (vv. 1.3: riempi
vano - è piena) con la sua santità {qedushah\ trascendenza) e la
sua gloria (kabod; manifestazione concreta). Alla voce di procla
mazione dei serafini (cf. nota in Bg) si contrappone quella del pro
feta che sperimenta la sua realtà: prende coscienza della sua iden
tità di uomo peccatore (dimensione interiore, si oppone alla santi
tà) che vive sulla terra tra gli altri peccatori (dimensione esterna,
in opposizione alla gloria di Dio). Ogni autentica esperienza di
Dio porta infatti l’uomo a prendere maggior coscienza di sé.
* La consacrazione (vv. 6-7): il tempio terreno si trasforma in
corte celeste animata. Isaia viene purificato in profondità e reso
degno di stare davanti alla maestà di Dio mediante un gesto (v.
7). Il sincero riconoscimento della propria identità davanti a Dio
porta a una trasformazione inaspettata: ora il profeta può sia
ascoltare (v. 8a) che dichiarare la sua disponibilità ad essere in
viato a Dio (v. 8b).
* La missione: le parole di Isaia «Eccomi, manda me!» non
provengono da un esaltato che si autocandida orgogliosamente;
sono frutto dell’ascolto, ossia della partecipazione piena e co
sciente al progetto di Dio sul popolo. Isaia, infatti, facendo ormai
parte della corte (= realtà di Jh w h ), comprende se stesso e la sto
ria con gli occhi stessi di Dio e fa suo il progetto del Signore di
chiarando la sua disponibilità (v. 8). Allora gli viene dato l’inca
rico di farsi portavoce di una parola di Dio efficace nel rendere
duro e ostinato il cuore dell’uomo (vv. 9-10), ma perché possa
verificarsi il ritorno grazie a un resto santo (vv. 11-13). La paro
la profetica ha così lo strano compito di accelerare il processo di
autodistruzione scelto dal popolo che, una volta toccato il fondo,
si ricorderà della stessa parola e - alla sua luce - rileggerà la sto
ria per incamminarsi verso Dio.
93
Conclusione. Questa «esperienza inaugurale» della vita pro
fetica di Isaia contiene tutti gli elementi che saranno poi sviluppa
ti durante la sua missione e nel resto del libro che porta il suo no
me: (1) percezione della santità e gloria di J hwh, Signore degli
eserciti; (2) consapevolezza dell’identità dell’uomo davanti a
Dio: è un peccatore che, se non si riconosce tale, diventerà sem
pre più incallito nel male; (3) necessità di un castigo che l’uomo
pagherà sulla propria pelle e si attuerà nella storia concreta; (4)
eppure, una volta toccato il fondo, ci sarà la possibilità della rina
scita grazie a un «resto» che avrà imparato la lezione.
94
dice ’mn da cui deriva la parola «credere»: aver fede significa es
sere stabilmente fondati in Dio. Per Isaia questo si esprime in
questi termini: «nella conversione e nella calma sta la vostra sal
vezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza» (30,15).
Non è atteggiamento ingenuo, infantile, rinunciatario; ma quello
di chi responsabilmente sa giocare tutto sulla parola di Dio, nel
la consapevolezza che è lui il Signore della storia. Concretamen
te, per Acaz significa restare indipendente e poggiare sulla pro
messa di J hwh senza aver paura della lega anti-assira, ma anche
senza cercare protezione in Assira. Fede è allora riconoscere che
Dio sta realizzando «oggi» il suo progetto all'interno di una sto
ria piena di contraddizioni: solo questo porta speranza e sicurez
za dove c ’è paura. Non si tratta di quietismo, ma di riconoscere
che in ogni scelta (anche politica) è coinvolta la propria fede-fi-
ducia nella capacità di Dio di portare a compimento quanto pro
mette.
★ 7,10-17: come nel testo precedente, anche in questa scena
abbiamo un’introduzione che presenta i personaggi (vv. 10-13)
e un oracolo che annuncia l’impegno di Dio (w. 14-17).
Nella prima parte, come risposta al timore e all’incertezza di
fronte all’atto di fede, Dio stesso vuol offrire - per bocca del suo
profeta - un segno al re Acaz. Come in altri contesti (Es 4,1-7; Gs
6,36-40; ISam 10,2-5), anche qui il segno non è necessariamente
un miracolo speciale quanto piuttosto una realtà normale che, let
ta alla luce della fede, diventa segno chiaro della presenza di Dio.
Nel nostro caso, segno che J hwh è già in azione per realizzare
quanto promesso dal profeta. Il re Acaz, però, ostentando religio
sità e rispetto (cf. Dt 6,16 e Nm 17,1-7), rifiuta categoricamente
l’offerta di Dio. Infatti, con la sua risposta, il re cerca di impedire
che un segno da parte di Dio venga a portare scompiglio nelle sue
decisioni.
Il profeta reagisce duramente di fronte a tanta ipocrisia e af
ferma che sarà J hwh stesso a dare un segno. I vv. 14-17 sono dif
ficili: in essi ogni parola sembra ambigua e suscettibile di diversi
significati. Il modello letterario utilizzato è quello di un «annun
cio di nascita» (cf. Gn 16,1 ls; Gdc 13,7) che presenta i seguenti
elementi (N dtb 765; F anuli 501-512):
95
- la nascita: la madre viene presentata nel TM come ha-almah
(= la giovane donna) in cui l’articolo indica che si tratta di una
persona concreta e conosciuta; l’ipotesi più seguita (cf. nota in
Bg) è che si tratti di Abi, la giovane moglie del re che gli parto
rirà Ezechia (2Re 18,2);
- il nome del bambino è Immanu-El (= Dio-con-noi): così viene
salutato il nascituro (Ezechia), perché quale erede al trono, è
segno chiaro della fedeltà di J hwh alle sue promesse (2Sam
7); risuona come una specie di grido di guerra di fronte al pro
getto della lega anti-assira di eliminare la dinastia davidica da
Gerusalemme;
- la dieta del nascituro è un po’ ambigua: finché non avrà rag
giunto l’uso della ragione (12 anni; v. 16) dovrà cibarsi di latte
e miele, il cibo dei superstiti dopo l’invasione del nemico
(7,22);
- anche il futuro è un insieme di speranza (liberazione dai due
re: v. 16) e di minaccia (invasione assira: v. 17).
Così il profeta interpreta la storia alla luce del progetto di Dio
(F anuli 441-460): nonostante le reali difficoltà, J hwh è fedele al
la parola data perché è «Dio-con-noi» (8,10). Su questa certezza
si deve basare l’atto di fede del re.
Conclusione. Le domande che sorgono di fronte a questa let
tura storica sono almeno due: questo testo è messianico? E corret
ta la lettura che ne fa Mt 1,22?
C’è chi - come la tradizione giudaica - nega decisamente che
questo testo sia messianico perché il Messia è sì una figura regale
che porta la salvezza, ma con lui dovrebbe anche iniziare l’era fi
nale di pace e benessere per tutti gli uomini, cosa che qui non
sembra avvenire. Infatti, l’Emmanuele è solo segno dell’interven
to di Dio per essere fedele al suo progetto sulla casa di Davide.
C’è chi, invece, afferma categoricamente che non solo il testo
sia messianico, ma che - grazie alla versione della LXX che tra
duce ha-almah con è parthenos (= la vergine) - sia anche una
«pre-visione» chiara ed esclusiva di Maria e Gesù di Nazaret (co
sì la tradizione cattolica che propone una lettura storico-messiani
ca diretta). Si può obiettare che, secondo il contesto di Is 7, il
bambino è segno per il re nel suo presente storico difficile e non
96
riguarda esplicitamente un fatto che capiterà dopo 750 anni! (co
sa che sa e crede solo il lettore cnstiano).
C’è chi sceglie una posizione intermedia e propone un’inter
pretazione storico-messianica indiretta del testo: inserito, infatti,
nel contesto dei cc. 6-12, mediante una lettura sincronica assu
me un chiaro significato messianico di attesa della liberazione e
della pace che Dio realizzerà grazie alla presenza di un bambino
(9,1-6), virgulto di lesse (11,1-9).
Inoltre, la parola del profeta - in quanto parola di Dio - è una
parola aperta, offerta come una «testimonianza» (8,16-20) alle
generazioni future: riletta come un memoriale degli impegni di
Dio aH’intemo della comunità credente, offre sempre nuove pos
sibilità di attualizzazione. Così farà la LXX che, pur non parlan
do esplicitamente di «concezione verginale» perché potrebbe so
lamente dire che «colei che [ora] è vergine [poi] concepirà e par
torirà un figlio», sgancia il segno dalla situazione storica di Acaz
e lo proietta in un futuro che è in mano a Dio. E quando la comu
nità cristiana - dopo aver sperimentato in Gesù di Nazaret mor
to e risorto la realizzazione delle promesse di Dio - rileggerà que
sto testo, non avrà difficoltà a riconoscerlo come profezia, cioè
parola che vede nel tempo il realizzarsi del progetto di Dio. Così,
il futuro di quel testo - cioè Gesù Cristo - lo illumina e ne espri
me tutto il senso. «Non perché Isaia abbia “previsto” il concepi
mento verginale di Gesù, ma perché il concepimento verginale
getta la luce definitiva sulla promessa isaiana»3.
Vita» 33 (1988), p. 285. Ci si rifa a questo articolo per l’impostazione del pro
blema.
97
Le modalità con cui nell’AT viene descritta l’attuazione della
speranza messianica sono diverse ( N dtb 937-953). Richiamiamo
quelle dei profeti:
- messianismo regale davidico: è legato alla figura di Davide e
dei suoi discendenti, ognuno dei quali è mashiah = consacrato
(Is 7-11; Mie 5,1-4; Ger 23,5; Zc 9,9);
- messianismo profetico : legato cioè alla figura di un profeta co
me in Dt 18,15-18 o come nel Deuteroisaia («Servo di Jhwh » )
e in Is 61;
- messianismo apocalittico: prevede un rinnovamento generale
di cielo e terra operato direttamente da Dio (come in Is 65-66;
Zac 9-14) o mediante un suo intermediario (come il «Figlio
dell’uomo» di Dn 7).
A proposito del messianismo davidico, si ritiene che «duran
te il periodo monarchico non esistono oracoli messianici in senso
stretto. Soltanto a partire dall’esilio in certi ambienti (non in tutto
il popolo) sorge la speranza che Dio restauri la dinastia davidica.
Neppure questa speranza è rigorosamente messianica. Ma, col
passare del tempo senza che essa si compia, tali aspettative an
dranno crescendo e trasformandosi nell’attesa di un salvatore
escatologico. Allora, testi che in origine non erano messianici fu
rono riletti e utilizzati per descrivere la persona e l’opera di que
sto futuro e decisivo salvatore. F quanto fecero diversi gruppi
giudei e i primi cristiani» (F an u li 537-538; cf. Appendice).
Nei cc. 7-11 di Isaia abbiamo un messianismo legato alla fi
gura del discendente di Davide. Assieme a 7,1-17, altri due testi
sono significativi: 8,23b-9,6 e 11,1-9 ( F a n u l i 512-522; S icre
530-536; 552-555).
* 8,23b-9,6. Nel 732 a.C. il re Tiglat Pileser III occupa la Gali
lea e parte del regno del Nord riducendole a provincia assira (2Re
15,29). Isaia promette agli Israeliti la liberazione e la consolazio
ne dopo tale disastro militare in occasione della nascita (732/1) o
dell’intronizzazione di Ezechia (728/7): le promesse di Dio a Da
vide si estendono a tutto il popolo ebraico, nonostante sia diviso
in due regni.
98
Il testo è strutturato in tre momenti:
- annuncio di salvezza (8,23b-9,2): si tratta di liberazione dopo
l’umiliazione subita (8,23b), di luce-vita nelle tenebre-morte
(9,1) e di pienezza di gioia (9,2);
- motivazioni della gioia: scandite da tre «poiché», sono la fine
della schiavitù (9,3) e della guerra (9,4) grazie alla nascita di un
bambino (9,5);
- qualifiche del bambino', si parla della nascita e delle insegne re
gali (9,5a), del suo quadruplice nome (9,5b; cf. nota in B g) e
del suo futuro di pace (9,6).
La pace (= shalom) riguarda sia l’aspetto politico («sul trono
di Davide e sul regno») che quello sociale («diritto e giustizia»):
si manifesterà come pienezza di vita e di giustizia stabile nel tem
po, e sarà realizzata dallo «zelo del Signore degli eserciti», cioè
dall’amore profondo e intenso che nasce dall’intimo stesso di
«J hwh Sebaot» (Signore degli eserciti).
* 11,1-9. E un poema parallelo e complementare al precedente,
del quale raccoglie vari motivi: il successore al trono, la giustizia,
la pace universale, i nomi personali.
E difficile datare storicamente questo testo, che per alcuni
studiosi sarebbe addirittura esilico o post-esilico. E possibile, pe
rò farlo risalire agli ultimi anni di Isaia, cioè verso il 701: il pro
feta, deluso forse anche di Ezechia e della sua politica, pone ora
la speranza in un re futuro, ideale, che realizzerà quanto non han
no saputo fare né Acaz né il figlio. Di fronte all’incapacità dei re-
messia terreni di realizzare quanto ci si attende da loro, la speran
za non perde di intensità ma si proietta in un futuro per ora solo
intuito possibile perché garantito da Dio stesso. Isaia, quindi, non
avrebbe terminato il suo ministero profetico come un solitario de
luso, ma contemplando un futuro migliore sia nazionale che in
temazionale.
Il testo può essere suddiviso in due parti (N dtb 765).
* Il germoglio di lesse e lo spirito del Signore (vv. 1-5).
J hwh, nel realizzare il suo progetto di pace, si serve di una
persona umile e fragile (= germoglio, virgulto): le sue origini so
no insignificanti (cf. Mie 5,1), il tronco della dinastia è tagliato,
però una linfa vitale (2Sam 7!) vivifica questo ceppo (v. 1).
99
Il germoglio, poi, si erge come centro dei quattro punti cardi
nali o dei quattro venti (cf. Ez 37,9), i quali si poseranno su di lui
in modo permanente garantendogli la stabilità. La pienezza dei
doni dello spirito (4 volte ruah, con tre coppie di attitudini) con
siste in sapienza e intelligenza per essere pienamente persona
umana, consiglio e fortezza per saper governare e combattere, co
noscenza e timore del Signore per avere una relazione profonda
con Dio stesso (v. 2).
Se il «germoglio di lesse» si lascerà guidare dallo spirito di
Dio, sorgerà un governo giusto: avendo, infatti, come stemma o
insegna del suo governo (v. 5) la giustizia (zedaqah) e la fedeltà
(emunah) eviterà di giudicare differentemente, a seconda delle
persone che ha davanti, ed eliminerà ogni forma di violenza e di
sopruso (vv. 3-4).
* La pace e la riconciliazione universale (vv. 6-9). La pace tra
gli uomini avrà ripercussioni positive anche sul creato intero: na
sce un nuovo ordine di relazioni nel mondo. Non più violenza ma
riconciliazione: per due volte il testo mette insieme tre animali
selvatici e tre domestici, sempre con la presenza dell’uomo rap
presentato da un bambino che si riconcilierà anche con l’animale
più diffidente, il serpente velenoso (w. 6-8, con chiaro richiamo
a Gn 2-3).
Tutto avrà un suo centro significativo: il santo monte, Sion,
da cui uscirà la «conoscenza» del Signore per riempire il paese,
come in 2,3 «da Sion uscirà la legge [torah] e da Gerusalemme
la parola [dabar\ del Signore».
Conclusione
* La prospettiva di unfuturo positivo per il popolo ebraico è le
gata, in Isaia, o a un intervento diretto di Dio, o alla presenza del
suo Messia. In entrambi i casi si tratta di modalità concrete per
ché si realizzi il regno di Jh w h inteso come riconoscimento che
Dio è «il Signore» della storia e del cosmo e concretizzato come
liberazione da ogni forma di schiavitù perché abbondino pace e
giustizia (N dtb 413-415; 1296-1322). Shalom, infatti, significa
armonia tra gli uomini e tra i popoli (2,4) e con la stessa natura
(11,6-8), assenza di malattie (35,5-6) e abbondanza di beni mate
100
riali (35,lss), presenza di «cuori giusti» (32,16) e pienezza dello
spirito di Dio (11,1-2).
Non si tratta di un sogno utopico né di una visione che si rea
lizzerà al di là della storia: è una nuova visione della storia e della
società, che si realizzerà nella storia stessa (escatologia intrastori-
ca) ed è mediata - nei testi presi in esame - dalla presenza del
Messia.
* Siamo realisti! I nostri occhi guardano la realtà e ci dicono
che le attese/promesse di Dio o non si sono avverate storicamente
o, se sono diventate realtà, non si sono però estese a tutta l’uma
nità. E inutile, affermano molti oggi, cullare sogni e farsi illusioni
per la nostra storia: le promesse dei profeti o sono delle semplici
utopie, o sono promesse che si realizzeranno solo nell’aldilà (per
chi ci crede) o - per ben che vada - riguardano la sfera privata o
l’intimo; o al massimo qualche piccolo gruppo5.
Per rispondere a simili interpretazioni, è necessario:
- riflettere sulla natura di questi testi, non esprimono semplice
mente i desideri del profeta, ma danno voce e contenuto alle
stesse attese e speranze di Dio suila storia dell’uomo; il profeta
non fa altro che ancorare le attese più belle e profonde dell’uo
mo alle stesse attese di Dio: l’uomo desidera la pace perché
Dio stesso lo fa; questi testi non sono allora utopia, ma «euto-
pia», cioè «buona cosa» perché fondati su un impegno di Dio;
- ritenere il profeta non semplicemente un cantastorie utopico,
ma uno che sa andare «oltre» l’immediato, il visibile: sa legge
re la storia dalla parte del mistero di Dio, quel Dio che sta già
ponendo in atto le sue promesse mediante la sua parola; la ve
rità di ciò che si vede è data dal mistero d’amore (9,6) in cui
esso è immerso;
- leggere questi testi da cristiani', il vero volto del mistero di Dio
è Gesù Cristo; in lui l’amore del Padre è già operante; e «già» e
«non ancora» non sono due momenti diversi nel tempo della
nostra quotidianità, quanto piuttosto due volti della stessa real
101
tà: la salvezza è già in atto nel non ancora di una vita quotidia
na che fatica a crescere perché soggetta alla libertà dell’uomo
oltre che all’impegno di Dio;
- leggere questi testi con spirito cattolico (= universale) aperto a
tutta la realtà umana, per vederne le realizzazioni - anche par
ziali - lì dove realmente esistono, e saper sperare ancora!
Bibliografia
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struttura e interpretazione teologica, Dehoniane, Bologna 2007.
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59 - 76 : sintetica e puntuale presentazione del tema.
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ra di analisi e di divulgazione.
C h ild s B.S., Isaia, Queriniana, Brescia 2005: commento a tutto l’attuale
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G r e l o t P., La speranza ebraica al tempo di Gesù, Boria, Roma 1981:
complementare all’opera del Cazelles, presenta le speranze del tar
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1998 e 2002.
M arco n cin i B., Il libro di Isaia ( 1-39), Città Nuova, Roma 1993: dopo
l’introduzione, l’autore commenta i principali testi di questa parte
del libro di Isaia.
M on tagn [n i F., Il libro di Isaia. Parte prima (capp. 1-39), Paideia, Bre
scia 19822con il metodo diacronico, inserisce nella storia ogni ora
colo del profeta, con buoni commenti.
— Isaia 1 -3 9 , Queriniana, Brescia 1990: introduzione chiara e scorre
vole alla lettura «storica» del profeta.
M o t y e r A., Isaia. Introduzione e commentario, GBU, Chieti-Roma
2002 .
102
II - GEREMIA: IL PROFETA IN CRISI
1. Il libro di G eremia
103
* Ulteriori problemi, poi, sono posti da un confronto tra testo
ebraico e greco.
- L’ordine dei capitoli è diverso nei testi: gli oracoli contro le
nazioni sono posti alla fine del libro nel TM (cc. 46-51), tra
25,13 e il c. 32 nella LXX (cf. le referenze al margine in Bg).
- La LXX presenta, poi, un testo più corto di circa un ottavo
(circa 2800 parole in meno, come 17,1-4; 33,12-26; 39,4-13)
rispetto al TM che sembra essere un ampliamento di un origi
nale breve al quale si rifà invece la traduzione greca.
* L’insieme dei dati raccolti ci porta a concludere che:
- ogni ricostruzione esatta di ciò che ha detto Geremia resta sem
pre ipotetica, perché molti testi sono delle riletture e non dei
resoconti storici;
- infatti, le aggiunte rendono parte del libro una collezione «ri
guardo» a Geremia perché sembrano contenere più ciò che egli
avrebbe potuto dire in quella situazione che quanto ha effetti
vamente detto; si tratta, però, non di invenzioni su Geremia,
ma di approfondimenti del suo messaggio che sono entrati
nel libro attuale come parola di Dio;
- tutto questo, sembra, perché Geremia veniva colto nella sua di
mensione di segno-sintesi dei richiami che la profezia rivolge
va in favore della salvezza del popolo e di modello di un pro
feta che aveva saputo incarnare nella sua esistenza concreta la
sofferenza del popolo negli ultimi anni del regno di Giuda.
104
A t t iv it à
105
e della sua parola (6,10); il falso culto (7,21-28) e la falsa sicurez
za religiosa (7,1-15; 26); l’idolatria (7,16-20.29-34; 19,3-5) e le
ingiustizie sociali (9,1-8; 12,1-5) di cui è responsabile il re davi
dico (22,13-19); le false sicurezze umane (17,5-13). Accusa un
po’ tutti come responsabili deH’allontanamento del popolo da
J hwh: il re (21,11-12; 22,13-19), i falsi profeti (14,13-16; 23,9
32), i sacerdoti (6,13; 23,11). Richiama anche con alcuni gesti
simbolici come la cintura inutilizzabile (13,1-11), i boccali di vi
no fracassati (13,12-14), l’azione del vasaio (18,1-12) e la brocca
spezzata (19,1-20,6).
Per questi suoi attacchi, Geremia non viene ascoltato dal re
che brucia il suo rotolo (c. 36). E accusato inoltre di disfattismo
e messo in prigione (20,1-6) perché dopo la sconfitta degli egizia
ni a Karchemish nel 605 a opera dei babilonesi, predica la sotto
missione a Babilonia, il «nemico del nord» (20,4-6; 25,1-13).
Di particolare importanza sono le cosiddette confessioni di
Geremia: circondato da persone ostili (15,17; 16,2) che lo male
dicono (20,10) e lo perseguitano (26,11 ), torturato e messo in pri
gione (20,1-2), obbligato da Dio a restare celibe (c. 16), il profeta
lascia libero sfogo al dramma che vive interiormente per essere
fedele alla missione ricevuta. Il volto dell’uomo Geremia appare
in particolare in 11,18-12,6 (è messo sotto accusa e obbligato al
silenzio dai suoi compaesani di Anatot); 15,10-21 (crisi della sua
attività di profeta); 17,14-18 (è deriso dagli avversari); 18,18-23
(viene perseguitato); 20,7-18 (crisi esistenziale sul senso della
vita).
Queste cinque «confessioni» hanno molte espressioni in co
mune con i salmi di lamentazione individuale per cui si deve stare
attenti a non esagerare in letture troppo emotive. Geremia si na
sconde dietro espressioni tradizionali così che l’attenzione è po
sta sul fatto che J hwh sicuramente lo libererà dalla sua terribile
situazione, perché Dio lo ama e si prende cura di lui quando pro
clama la sua parola. Questo, però, non nega che l’io profondo di
Geremia fosse in consonanza con il genere letterario del lamento
e che quindi le confessioni possano essere lette - seppur con pru
denza - come specchio del vissuto interiore del profeta (cf. lettu
ra esegetica).
106
La prudenza è suggerita dall’orientamento dell’esegesi attua
le che considera le «confessioni» come delle «creazioni stereoti
pate del tipo delle lamentazioni» (N obile 96) tendenti a rafforzare
l’immagine del profeta quale «modello esemplare» per il popolo
stesso che stava per affrontare sciagure e sofferenze molto forti,
come la perdita dell’indipendenza politica e la deportazione a Ba
bilonia. Così la vita del «personaggio Geremia», sul quale si sono
depositate riletture esiliche e postesiliche che poco avevano a che
fare con il profeta storico, «divenne per il popolo il simbolo del-
l’agire di Dio nei suoi confronti. In tal senso le confessioni rap
presentano una specie di azione simbolica, anche se in questo ca
so tale azione non è un gesto capace di stupire, ma la continua e
protratta sofferenza del profeta» (P iemme 1830).
* Durante il regno di Sedecia. Dopo la morte di Ioiakim
(597), regna per tre mesi il figlio Ioiachin, deportato poi in esilio
a Babilonia da Nabucodonosor e sostituito dallo zio Sedecia
(597-587). I primi anni di regno di quest’ultimo sono abbastanza
tranquilli. Sorge però il problema di come interpretare il fatto che
molti sono stati esiliati a Babilonia (prima deportazione nel 597):
Dio è capace di difendere il suo popolo? Si risponde dicendo che
gli esiliati erano stati puniti per le loro colpe e che i rimasti erano
senz’altro i buoni. Geremia contesta questo modo di pensare ca
povolgendo il giudizio a favore degli esiliati ai cc. 24 (visione dei
due cesti di fichi) e 29 (lettura degli esiliati per incoraggiarli).
Quando nel 593 Sedecia è tentato di partecipare a una coali
zione antibabilonese (Edom, Moab, Tiro, Sidone, Ammon), Ge
remia si oppone con forza (c. 27) scontrandosi duramente con il
profeta Anania (c. 28) che invece la sostiene. Il re alla fine desi
ste; anzi si reca a Babilonia per riaffermare la sua sottomissione,
accompagnato da un’azione simbolica di Geremia (51,59-64).
Nel 589/8, invece, Sedecia si ribella apertamente ai babilone
si che, per reazione, stringono d’assedio Gerusalemme: il profeta
allora ne annuncia la caduta (34,1-7), invitando a non nutrire inu
tili illusioni. Arrivano però in soccorso gli egiziani: l’assedio è
tolto e si spera nella vittoria. Ma il profeta, oltre che protestare
per la revoca della libertà promessa agli schiavi (34,8-20), an
nuncia la caduta della città (37,3-10). Il gesto, poi, di recarsi ad
107
Anatot viene interpretato come passaggio al nemico: Geremia
viene messo in carcere con l’accusa di alto tradimento (37,11
21). Quando ritornano i babilonesi, si hanno degli incontri se
greti tra Sedecia e Geremia (37,17-21; 38,24-28a) che resta co
munque nell’atrio della prigione (38,1-13; 39,15-18). Ha però an
cora la forza di compiere un gesto profetico di speranza compe
rando un campo ad Anatot (cc. 32-33). Dopo l’ultimo colloquio
con Sedecia (38,14-23), la città cade in mano ai nemici (metà lu
glio 587) ed è poi data alle fiamme (metà agosto; 39,1-10) e i cit
tadini esiliati a Babilonia (seconda deportazione).
* Dopo la caduta di Gerusalemme. I babilonesi lasciano al
profeta la libertà di scegliere di restare in Giudea o di recarsi a
Babilonia: Geremia decide di restare e si reca a Mizpa, residenza
del nuovo governatore Godolia (38, 28b-39,14; 40,1-6). Dopo i
disordini seguiti all’assassinio di quest’ultimo (ottobre 587;
40,7-41,8), il partito filoegiziano fugge in Egitto, a Tafni, portan
dosi dietro il profeta che desiderava invece restare (40,7-44,30).
In Egitto Geremia si scaglia ancora contro l’idolatria (c. 44); poi
scompare silenziosamente. Nel 582 la terza deportazione a opera
dei babilonesi pone fine a ogni illusione di autonomia politica da
parte degli ebrei.
Si può ipotizzare che durante quest’ultimo periodo il profeta
stesso (o alcuni discepoli) abbia ripreso in mano gli oracoli di sal
vezza dei cc. 30-31 e li abbia riutilizzati per il regno del Sud.
Messaggio
Da questa ricostruzione della vita di Geremia, possiamo rica
vare - in sintesi - alcune linee di fondo del suo messaggio, pre
scindendo «dalla distinzione tra il “pensiero autentico” del pro
feta e le integrazioni che questo pensiero ha avuto o, meglio an
cora, suggerito» (Logos 149). Si tiene presente, cioè, più il «libro
di Geremia» che il profeta storico, senza negare che vi sia conti
nuità tra i due: le aggiunte redazionali, infatti, sono considerate
dai redattori come congruenti con il dire e l’agire del profeta (cf.
anche Piemme 1894-1898).
★ Alla base di tutto sta il volto di Dio sperimentato dal profeta
come colui che ha deciso di intervenire nella storia concreta del
108
suo popolo per purificarlo tramite il castigo, inteso come «stop»
posto all’infedeltà all’alleanza e alle sue conseguenze. Dio, però,
ama talmente il suo popolo da perdonarlo e farlo sperare nella
salvezza (cc. 30-34).
* All’interno degli eventi storici, quindi, il profeta cerca di co
gliere quale sia l’azione di Dio: in certi fatti egli legge il richiamo
alla conversione (sub) prima che accada l’irreparabile. Cosi la ca
duta del regno del Nord deve ricordare ai fratelli del Sud la serietà
della fedeltà a Dio (3,1-4,4), e la prima deportazione (597) do
vrebbe segnare una svolta decisiva per il ritorno al Signore. Il te
ma della conversione (sub) è centrale in Geremia: nella prima
parte della vita del profeta (627-597), significa saper denunciare
tutte le infedeltà a livello sociale, cultuale e politico per ritornare
a Dio. Nella seconda (597-587) è sottomettersi ai babilonesi co
me segno di accettazione del progetto di Dio: realtà dura, ma uni
ca via praticabile ora. Il non accogliere questi due inviti o il non
viverli con lealtà e coerenza porterà inevitabilmente al castigo.
C’è, infatti, un limite anche alla libertà dell’uomo, anche se non
ebreo (cc. gli oracoli contro le nazioni nei cc. 46-51).
* Ma per essere capaci di fedeltà e coerenza, per vivere la liber
tà come gioiosa decisione di servire il Signore, afferma Geremia,
è necessario avere fede : si esprime nel «circoncidere il proprio
cuore» (4,4; 9,25), nell’eliminare il culto vuoto e staccato della
vita (7,1-15), nell’accettare il posto in cui la storia ti pone (c.
29), nel saper accettare la storia che Dio sta guidando anche
quando essa chiede sottomissione e schiavitù (25,1-14; 27,5-6).
Particolarmente significativo è il richiamo alle varie autorità (per
la monarchia vedi 21,11-22,30) e istituzioni che Geremia sente
ormai scricchiolanti perché vuote di valori spirituali e di senso
da offrire al popolo (vedi per i falsi profeti 23,9-40; per i sapienti
8,8-9; 9,22-23).
Il peccato che Geremia denuncia è prima di tutto l’idolatria
che ha portato gli ebrei all’apostasia e alla prostituzione (specie i
cc. 2-6): il popolo, come una moglie infedele, ha tradito e lasciato
Dio. Per questo sarà abbandonato in potere dei popoli di cui ado
ra le divinità (5,18-19). In secondo luogo, peccato è l’incapacità
di ascoltare Dio che parla e interpella mediante gli avvenimenti
109
storici presentati dal profeta: in particolare, quando indica Babi
lonia come lo strumento del castigo del Signore (25,1-11; 27,1
22). Il profeta non giustifica un sistema politico oppressore, invi
ta soltanto a saper cogliere una possibilità di salvezza anche li do
ve c’è la crudeltà, sapendo che a sua volta sarà eliminata per aver
voluto dettare legge a tutti (50,22-40; 51,61-64; F anuli 473-477;
Sicre 502-512).
* Il messaggio di Geremia è quasi sempre un «demolire e ab
battere» (1,10), un proclamare «violenza e oppressione» (20,8)
specialmente da parte del «nemico del nord» (4,5-8.13; 5,15;
6,22; 10,22) che provocherà «terrore aH’intomo» (= dappertutto;
6,25; 20,3; 46,5; 49,29) tanto che il profeta stesso si meriterà il
titolo ironico di «Terrore aH’intomo» (20,10). Eppure, anche
quando denuncia qualcosa di male {pars destruens), Geremia ha
sempre uno sguardo rivolto al futuro e sa infondere speranza
{pars construens). Così, incoraggia gli esiliati della prima depor
tazione (c. 29) e nel bel mezzo dell’assedio (587) compra un
campo al suo paese, Anatot, per far capire che dopo ci sarà ancora
vita (c. 32). Soprattutto, rivitalizza la speranza del popolo indi
cando due modalità con cui Dio interverrà: mediante il germo
glio giusto (23,5-6; 33,14-15; messianismo regale, Fanuli 526
529; Sicre 540-545) e grazie a una nuova alleanza (31,31-34)
che riannoderà il rapporto d’amore jHWH-popolo grazie al perdo
no gratuito di Dio.
★ La cosa che più sorprende in Geremia è che tutto quanto an
nuncia lo paga a caro prezzo, il prezzo della sua vita: vive sempre
«in opposizione a» per significare la realtà di Dio e della sua pa
rola emarginati dalla vita del popolo (cf. il suo celibato al c. 16); è
accusato di tradimento, fustigato e messo in prigione, condannato
a morte e condotto in esilio per incarnare la passione di Dio e del
la sua parola. E, nonostante qualche momento di comprensibile
smarrimento (cf. le «confessioni»), resterà sempre sulla breccia,
fedele fino all'ultimo a quel Dio che lo aveva «sedotto» (20,7)
con la sua parola potente (15, 16). Costituito «saggiatore» del po
polo (6,7) e sentinella per denunciare l’orgoglio e l’autosufficien
za umana, incarna quel Dio che desidera far passare al crogiuolo
il suo popolo per riannodare ancora una volta la relazione.
110
Proprio per questo il profeta di Anatot diventa simbolo e mo
dello: spesso accostato a Mosè, sembra essere (per qualche stu
dioso) l’ispiratore della figura del Servo sofferente del Deuteroi-
saia. Certamente a Geremia si ispira la tradizione successiva per
sostenere il popolo ebraico nei momenti della prova (2Mac 2,1-8;
15,12-16; Sir 49,6-7) e per alimentare le speranze messianiche
(cf. Mt 16,14).
3. L ettura esegetica
111
scelta (w. 7-8) invitando il profeta a non guardare alle sue perso
nali difficoltà, quanto piuttosto all’autore stesso della chiamata
(«io sono con te») e a saper accettare con coraggio di essere sem
plicemente il suo portavoce («andrai e dirai»).
Il successivo gesto di consacrazione (vv. 9-10) ha il compito
di rendere idoneo Geremia alla missione: avrà una risonanza in
temazionale («sopra le nazioni e sopra i regni») e, pur esprimen
dosi prevalentemente al negativo (quattro verbi di distruzione), si
proporrà anche come proposta positiva (due verbi di costruzione).
B) vv. 11-16: due visioni (= lettura della realtà a partire dal
progetto di Dio) specificano ora il senso della missione. La pri
ma si basa su un gioco di parole (paronomasia): come il mandor
lo (saqed), primo albero che fiorisce in primavera, «vigila» quan
do gli altri ancora dormono, così Jhwh si definisce «io vigilo» (=
soqed) per realizzare «oggi» la sua parola. La seconda visione
specifica il senso del vigilare di Dio: farà in modo che diventi
realtà il progetto di castigare il suo popolo mediante l’invasione
del «popolo che viene dal settentrione». Infatti, la pentola bollen
te (= armata che invade), inclinata da nord verso sud, rovescerà il
suo contenuto distruttore proprio sul piccolo regno di Giuda.
A’) vv. 17-19: a Geremia è richiesta la disponibilità («stringi
la veste ai fianchi») ad andare (v. 7), a parlare (w. 7.17), a lavo
rare (v. 10), a combattere (vv. 8.17), a resistere (v. 18), a fidarsi di
Dio (w. 8.17.19). Il Signore non si fa scrupolo di far sapere fin
d’ora al suo profeta che la sua missione sarà difficile e che si tro
verà solo contro tutti. Non gli promette vittoria, trionfi, riposo;
l’unica consolazione concessa è la sicurezza che i suoi nemici
non avranno l’ultima parola! E sufficiente per lui che riesca a
scamparla! (v. 19). Dio non promette successi, ma la costanza
della sua presenza (vv. 8.19). Come reagirà il profeta nei momen
ti di difficoltà e di crisi?
112
che provoca questo lamento, si può parlare di un particolare mo
mento di crisi desunto dal contesto immediato precedente il bra
no in esame: Dio afferma di non ascoltare la preghiera del profeta
e di aver già deciso di distruggere il popolo (14,11-15,4) median
te un’azione militare del nemico (15,5-9). Vale la pena continua
re a fare il profeta di sventura sapendo che non si è ascoltati, o
non è forse meglio fare come gli altri profeti che predicano se
condo le attese della gente (14,13)?
* vv. 10-11.15-18: si tratta di un lamento accorato (vv. 15.
18a) in cui il profeta mette sotto accusa sua madre (v. 10), i suoi
uditori (v. 10) e Dio stesso che, dopo averlo lusingato con la sua
parola (v. 16), sembra ora essersi dimenticato di lui (v. 18). Eppu
re Geremia è convinto di aver fatto il meglio possibile, sia per
non fare del male agli altri e per pregare per loro (vv. 10b-l 1),
sia per accogliere con gioia la parola di Dio (v. 16) e le conse
guenze che ne derivano. Risultato del suo impegno è di ritrovarsi
senza amicizie umane (v. 17), privo di affetti più specifici e inti
mi (16,1-13), abbandonato e tradito da Jhwh percepito come «un
torrente infido, dalle acque incostanti» (v. 18; cf. Gb 6,15-24).
È da ammirare qui la sincerità e la lealtà del profeta: si mette
in tutta la sua nudità esistenziale davanti a Dio, senza negarsi le
difficoltà che sta incontrando. Meno l’uomo si nasconde, più Dio
lo accoglie e ne copre la nudità (cf. Gn 3,7-11.21).
* vv. 19-21: la risposta di Dio non si fa attendere. Non si tratta
né di parole dolci per consolare, né di spiegazioni per far com
prendere, né di un miracolo risolutore. Più esattamente, Jhwh po
ne sotto accusa il profeta e lo rimprovera perché non è più capace
di distinguere «ciò che è vile» (l’opinione della gente) da «ciò
che è prezioso» (la parola del Signore). Si tratta di un richiamo
forte alla lealtà verso Dio e alla fiducia nella sua costante presen
za. Geremia, che aveva sempre predicato la conversione agli altri,
deve ora lui per primo convertirsi al Signore (quattro volte il ver
bo sub nel v. 19). Se non annacquerà le parole che deve procla
mare («tu non devi tornare a loro»), il Signore lo ristabilirà nella
sua identità di profeta (vv. 20-21 che richiamano 1,7-8.17-19).
Appare chiaro che anche il profeta non è esente da crisi e
slittamenti: deve sempre vigilare sulla sua condotta richiamando
113
alla memoria proprio l’esperienza iniziale della vocazione. In
questo lavoro, Geremia sembra sperimentare un Dio che se da
una parte lo scuote dentro, dall’altra si pone accanto a lui: non
lo rifiuta perché ha sbandato o è andato in crisi, semplicemente
gli ripropone la proposta iniziale invitandolo con energia alla
fedeltà e alla costanza.
114
dice il giorno in cui è nato (v. 14-15; cf. Gb 3). Neppure Dio sem
bra essere capace di aiutare il suo profeta (v. 16).
Geremia ha proprio toccato il fondo della disperazione (cf.
Sai 69): tutto è assurdo, a che serve vivere? Meglio non essere
mai nati! Di fronte a questo dramma della vita umana, il silenzio
e il rispetto sono l’unico atteggiamento possibile.
Eppure... a volte, proprio quando si tocca il fondo, si speri
menta una solidità interiore non fondata su ciò che si realizza,
quanto su una presenza silenziosa ma efficace come quella di
Dio: può essere il senso dei vv. 11-13, canto della nuova creazio
ne, della liberazione ottenuta. Ma si ricordi che non tutte le espe
rienze dell’uomo e dei credenti terminano - dal punto di vista
umano - con un canto di liberazione!
Infatti Geremia stesso dovrà soffrire ancora: vedrà la caduta
di Gerusalemme e la deportazione del suo popolo (cc. 39-40);
lui stesso subirà l’esilio in Egitto (cc. 42-45) ove morirà. «Gere
mia è il profeta che cammina con Dio nella notte, nel silenzio,
nella solitudine, su una strada stretta, costeggiata da mura gigan
tesche, senza abbaini, senza porte, senza sbocco, cioè senza risul
tati» (A. Neher).
115
(cf. un esempio in 11,1-14, di stile deuteronomistico) all’infedel
tà segue necessariamente il castigo (esilio), in quella nuova Dio
ricuce gratuitamente e sovranamente lo strappo nella relazione
(berit) mediante il suo perdono. In 31,31-34 le novità della berit
hadashah (= nuova alleanza) sono sostanzialmente tre.
1. Prima di tutto, l’iniziativa, da parte di Dio, di perdonare i
peccati del popolo (v. 34): veramente Dio perdonerà la colpa di
aver violato l’alleanza; l’amore profondo di Dio che ricupera co
munque l’uomo è la motivazione di fondo che sostiene la nuova
relazione. L’opposto di nuova alleanza non è qui «alleanza antica
= vecchia, superata» quanto piuttosto «alleanza violata, non os
servata».
2. In secondo luogo, Dio stesso - e non più Mosè o chi per
lui - scriverà questa esperienza nel cuore dell’uomo: si ha cosi
l’interiorizzazione della torah che favorisce la «spiritualità del
cuore» perché rifà l’intimo dell’uomo (v. 33). L’alleanza sarà
«nuova» perché l’uomo, interiormente purificato, obbedirà a
una nuova forza che lo porterà ad aderire alla volontà di Dio: ci
sarà una relazione nuova tra Dio e l’uomo (berit unilaterale) che
favorirà un nuovo rapporto con la legge (torah). Non si tratta, in
fatti, di una legge nuova, diversa da quella del Sinai. La novità
«non consiste né in una modifica delle direttive date al Sinai e
degli impegni assunti allora, né in un nuovo culto puramente spi
rituale: consiste piuttosto nel fatto che le direttive e gli impegni di
una volta saranno ormai scolpiti “nel fondo di loro stessi”, nel
l’essere intimo dell’uomo» (T ob 949, nota m). Si tratta di «una
situazione antropologica nuova» (N dtb 30) dell’uomo davanti a
Dio e alla sua legge.
3. Infine, grazie alla ri-creazione del centro decisionale e af
fettivo dell’uomo (v. 33) mediante il perdono gratuito (v. 34) non
ci sarà più bisogno di istruzione esterna: si obbedisce alla legge
non per dovere inculcato daH’estemo (riforma di Giosia?), ma
come adesione libera che nasce dall’intemo stesso dell’uomo.
«La struttura della personalità sarà rinnovata a tal punto che
ognuno, senza essere istruito da altri, conoscerà e adempirà la vo
lontà del Signore» (T ob). In altri termini, l’osservanza della legge
non sarà più condizione per restare nell’alleanza (berit bilatera
le), ma sua espressione libera.
116
Sorge, a questo punto, il problema di sapere «quando» si
realizzerà quanto annunciato da Geremia. Qualche sottolinea
tura.
* Sia Ger 31,31-34 («alleanza nuova») che 32,39-41 («alleanza
eterna») - come pure Ezechiele che parla di «alleanza di pace»
(34,25-31), «alleanza di pace ed eterna» (37,21-28) e in Baruc
(2,29-35: «alleanza perenne») - prevedono la realizzazione di
quanto annunciato nel momento in cui il popolo ebraico sarà fatto
ritornare in patria da Jhwh (escatologia intrastorica; cf. 30,2-3.8
11; 31,1-22).
* Nonostante il ritorno dall’esilio, il cambiamento radicale del
l’uomo non sembra essersi verificato come previsto (cf. Is 56,10
58,14; Ne 5). Non si elimina, però, la speranza, ma la si rimanda
sempre «oltre», vivendo nell’attesa (escatologia ultrastorica;
N dtb 689-691).
117
Bibliografia
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tore sviluppa in modo particolare l’esperienza di sofferenza presen
te nelle «confessioni».
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duzione generale al libro, l’autore commenta 29 brani biblici sugge
rendone l’attualizzazione.
H e r n a n d e z E.J., Mi hai sedotto, Signore! Le confessioni di Geremia,
Grafite, Napoli 1999: lettura delle «confessioni» con la tradizione
ebraica e cristiana.
M e l l o A., Geremia. Commento esegetico-spirituale, Qiqajon, Magna
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M est ers C., Il profeta Geremia, bocca di Dio, bocca del popolo, Citta
della, Assisi (PG) 1994: commento al profeta di Anatot nel contesto
deH’esperienza della Chiesa latino-americana.
M ottu H., Geremia: una protesta contro la sofferenza. Lettura delle
«confessioni», Claudiana, Torino 1990: saggio esegetico-spirituale,
con proposte di attualizzazione.
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biblici.
S t r o b e l A., Geremia. Lamentazioni. Baruc, Cittadella, Assisi (PG)
1989, pp. 5-141: presentazione del ministero e del messaggio di Ge
remia seguendo un cammino storico.
V ir g il i R., Geremia, l ’incendio e la speranza. La figura e il messaggio
del profeta, Dehoniane, Bologna 1998: pregevole e appassionata
presentazione di Geremia e del suo libro.
— Geremia, Messaggero, Padova (di prossima pubblicazione): propo
sta di lectio divina.
W e is e r A., Geremia, 2 voli., Paideia, Brescia 1987-88: un commento
ormai classico.
118
C apito lo 4
EZECHIELE E DEUTEROISAIA:
ESILIO E RITORNO
I - EZECHIELE:
IL SIGNORE DONA IL SUO SPIRITO
1. I l libro di E zechiele
119
minacce a Giuda e a Gerusalemme prima dell’assedio della cit
tà e della sua presa nel 587 a.C. da parte dei babilonesi.
- cc. 25-32: oracoli contro le nazioni che hanno partecipato in
qualche modo alla caduta della città santa,
cc. 33-48: dopo l’arrivo di altri esiliati (seconda deportazione
del 587) Ezechiele concentra la sua attenzione sulla possibilità
della rinascita del popolo (cc. 33-37), sull’intervento risolutore
di J hwh contro i nemici (cc. 38-39) e sulla descrizione di come
sarà la nuova comunità dopo che il Signore avrà fatto tornare in
patria gli esiliati (cc. 40-48).
Mentre i cc. 1-24 riguardano la prima fase dell’attività del
profeta (593-587), riassunta nel binomio «accusa-castigo» {pars
destruens), gli altri si riferiscono alla seconda (586-571 circa) e
sono tutti incentrati sulla speranza del ritorno (pars construens).
Si ritiene che gran parte degli oracoli risalgano al profeta stes
so. Ma non mancano ritocchi e aggiunte da parte dei suoi disce
poli (o della tradizione P?) in particolare nei cc. 1-3; 25-32 e spe
cialmente 40-48, mentre i cc. 38-39 sarebbero - eccetto qualche
tratto - una composizione posteriore a Ezechiele. La redazione
finale viene fatta risalire alla fine del V secolo a.C.: alla stessa re
dazione sembra si possa attribuire la sistemazione attuale del qua
dro cronologico del libro (cf. le tredici date presenti in 1,1-2; 8,1;
24,1; 26,1; 29,1.17; 39,20; 31,1; 32,1.17; 33,21; 40,1), quadro
«temporale storicamente e teologicamente rilevante» in cui «le
date hanno senz’altro un buon fondamento storico, ma non tutti
i brani possono essere ricondotti alla stessa data sotto la quale so
no messi». Appare evidente ai più, perciò, che l’ordine del libro
risponda più a un «progetto teologico» che a una preoccupazione
storica. Tale progetto consisterebbe nel giustificare la fondazione
del tempio e l’instaurazione della nuova torah (cc. 40-48), dopo
che il Signore si è impegnato a eliminare il peccato del popolo
eletto (cc. 5-24) rinnovando la relazione di alleanza con lui (cc.
33-37) e a distruggere ogni potenza che si oppone al suo progetto
(cc. 25-32; 38-39). Tutto ciò «ben risponde sia allo spirito esilico
che a quelle esigenze postesiliche di restaurazione d’Israele, dalle
quali avranno origine le tardive concezioni escatologiche di rin
novamento totale e definitivo di tutte le istituzioni» (N obile
102; B lenkinsopp 185-235).
120
Di particolare interesse è il linguaggio del profeta, che ripete
formule ed espressioni («mi fu rivolta la parola del Signore»: 50
volte su 113 in tutto l’AT; «così dice il Signore»: 130 volte; «ora
colo del Signore»: 85 volte; «e si riconoscerà che io sono Jhwh » :
72 volte; «figlio dell’uomo»: 98 volte; «casa ribelle»: 14 volte; il
doppio nome «Elohim-Jhwh » : 174 volte) e il suo stile (N dtb 532):
è a volte molto prolisso e ripetitivo, di andamento un po’ barocco,
con abbondanza di visioni (cc. 1-3; 8-11; 37,1-14), allegorie (cc.
16; 17; 23; 29; 31; 32) e azioni simboliche anche strane (cc. 4-5;
24; 37,15-28) che rendono difficile la lettura. Siamo agli inizi di
quello stile che caratterizzerà, nel post-esilio, l’apocalittica.
121
che crollasse il potere di Nabucodonosor, alle prese con rivolte
interne ed esterne (596-594). Il profeta, con più realismo, annun
cia - attraverso delle azioni simboliche - l’assedio di Gerusalem
me, la fame che si patirà in città, la morte di molti giudei e la de
portazione di altri (cc. 4-5). La catastrofe incombe non solo sulla
città santa, ma anche sui «monti di Israele» (c. 6) e su tutta la terra
promessa (c. 7).
L’anno seguente, a un gruppo di anziani in esilio recatisi da
lui per avere chiarimenti sulle sue previsioni, Ezechiele descrive
la vera causa del castigo che si abbatterà su Gerusalemme: l’i
dolatria e il sincretismo nelle sue varie forme (c. 8), la pretesa di
ritenersi a posto e la condanna degli esiliati come «peccatori ca
stigati da Dio» (11,14-21; cf. Ger 24). Per questo la «gloria di
Jhwh» (cioè la sua presenza misteriosa ma reale) abbandona il
tempio (10,18-22) e la città santa (11,22-25) e §i trasferisce a Ba
bilonia tra gli esiliati, veri depositari della speranza.
Nel luglio-agosto 591, consultato forse sulla durata dell’esi
lio, il profeta - a nome di Dio - ricorda la storia delle infedeltà
di Israele, che ai benefici del Signore (dono della libertà, della
legge, del sabato, della terra) ha sempre risposto con la ribellione
e la mancanza di ascolto sincero delle «leggi che danno la vita a
chi le osserva» (c. 30). Si possono aggiungere altre celebri requi
sitorie storiche in cui Ezechiele utilizza la simbologia matrimo
niale per descrivere lo stato dei rapporti jHWH-popolo ebraico:
cc. 16 e 22 (contro Gerusalemme - personificazione di tutta la
nazione - per il suo prostituirsi agli dèi stranieri); c. 23 (contro
le infedeltà di Gerusalemme e di Samaria, le due sorelle, denomi
nate rispettivamente Oolibà e Oolà).
Appare evidente che il messaggio globale dei cc. 4-24 ruota
attorno al tema del castigo di Giuda e Gerusalemme, giustificato
da una serie sempre più ampia di accuse. Per il profeta esilico,
Israele non ha mai conosciuto momenti di fedeltà a Dio perché
tutta la sua storia è segnata dal peccato: si manifesta prima come
infedeltà e ribellione (specie durante l’esperienza esodale), poi -
entrati nella terra - come idolatria che porta il popolo a prosti
tuirsi agli altri dèi e a vivere il culto a Jhwh in modo esteriore e
superficiale. Causa di tutto questo - ma anche suo risultato
(14,1-11 ) —è il fatto che il popolo ebraico ha, da sempre, un cuo
122
re di pietra, freddo e insensibile, una testa dura, per cui fa fatica
a sintonizzarsi con la parola di Jhwh e con l ’invito del profeta a
convertirsi.
Infatti, anche tra gli esiliati c’è chi contrasta e annulla l’effica
cia della denuncia-richiamo del profeta alla conversione al Si
gnore: o burlandosi di Ezechiele (12,22-27), o ricorrendo alla
menzogna come fanno i falsi profeti e profetesse (c. 13), o restan
do ancora attaccati all'idolatria (14,1-11), o sperando semplici
sticamente che un po’ di preghiera risolva tutti i problemi (14,
12 - 21 ).
Alla denuncia del peccato del passato e del presente, segue
l’annuncio del castigo: tutto questo stato di cose deve scomparire
(cc. 4-11), deve essere bruciato (c. 15)! Per questo, Dio si sta ser
vendo della potenza militare babilonese: sarà come un’aquila
che «svellerà dalle radici» la vite del popolo ebraico (c. 17; anche
c. 19); o come la spada di Jhwh, «aguzza per scannare, affilata
per lampeggiare» (21,1-22).
Unico messaggio positivo sembra essere quello rivolto agli
esiliati: presso di loro ha trovato rifugio la «gloria di Jhwh» dopo
aver abbandonato il tempio di Gerusalemme (10,18-22; 1 1,22
25). Ezechiele, allora, tende a dissociare i deportati da quelli ri
masti in patria, per poterli poi far ritornare quale resto che ha co
nosciuto il Signore grazie alla sua capacità di trasformare radical
mente il cuore dell’uomo (6,8-10; 9,4-8; 11,14-21; 12,16; 14,22
23; 17,22-24; 20,34-44).
Inoltre, il profeta è preoccupato anche di decolpevolizzare gli
esiliati per la situazione che stanno vivendo, cercando di elimina
re quel pericoloso pregiudizio secondo cui «i padri hanno man
giato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati» (18,2). L’esilio
è sì castigo per il peccato storico del popolo (solidarietà collettiva
nel male), però questo non elimina la responsabilità personale
(c. 18; anche 33,10-20 e Ger 31,29-30): solidarietà corporativa
non significa necessità o determinismo, perché Dio «non ha pia
cere della morte del malvagio, ma piuttosto che desista dalla sua
condotta e viva» (18,23.30-32). Il passato, quindi, non è fatalità
obbligante, perché può essere riscattato e ricuperato mediante il
perdono di Dio che porta l’uomo alla conversione (Ndtb 1326
1329).
123
Seconda fase: invito alla speranza
Dopo aver denunciato la politica sbagliata di Sedecia (21,23
32; 24,1-5.9-10), Ezechiele nei primi mesi del 587 lancia tre ora
coli contro l’Egitto (cc. 29-31). Nello stesso anno, improvvisa
mente, gli muore la moglie: il profeta è invitato da Dio a stare in
silenzio (3,25-26), ma senza fare il lutto, segno di come si devono
comportare gli esiliati perché la città santa e il santuario stanno
per essere distrutti (24,15-27). Il profeta resta muto (3,26-27) fino
alFarrivo (dicembre 587-gennaio 586) di un fuggiasco che an
nuncia la caduta avvenuta (33,21-22; cf. nota in Bg).
Dal 586 inizia così la seconda fase dell’attività di Ezechiele
che terminerà verso il 571 (29,17; cf. nota in B g ). Il profeta, quale
vera «sentinella» (33,7) deve ora annunciare la speranza del ri
torno e della ripresa della vita per il popolo esiliato.
* Prima di tutto, sembra che lanci delle violente requisitorie
contro i popoli che hanno partecipato o gioito della distruzione
della città (cc. 25-32, specie 25; 26; 32).
* Poi, si preoccupa per la situazione psicologico-spirituale
degli esiliati (cc. 33-37):
- denuncia con maggiore chiarezza i colpevoli della situazione
attuale (22,23-31 : principi, sacerdoti, nobili, profeti, proprietari
terrieri; c. 34: pastori [re] e potenti);
- invita ancora i deportati a fare delle scelte personali responsa
bili (33,12-20, che riprende il c. 18, da alcuni studiosi posto in
questo secondo periodo di predicazione);
- annuncia la radicale purificazione e il rinnovamento interiore
degli esiliati (c. 36), operato da Dio come una liberazione dalla
schiavitù dell’esilio (v. 24), dall’idolatria (v. 25) e dal cuore di
pietra (v. 26);
- rinnova la speranza in un nuovo Davide che saprà ricondurre
Israele all’antico splendore (17,22-24; 34,23-24; 37,22.24-25;
45,7-12.17; 46,8-18; N dtb 945 e F anuli 529-532);
- ravviva la fiducia del popolo, stanco e deluso per il fallimento
di tante promesse e per la situazione di morte in cui si trova: lo
Spirito del Signore lo farà rinascere (37,1-14) e riunirà Nord e
Sud (37,15-24a); allora Jhwh stabilirà anche una «nuova al
leanza» e abiterà permanentemente con il suo popolo (36,28;
37,26-27).
124
* Infine, l’annuncio di salvezza tocca il suo vertice e il suo
massimo sviluppo con altre due grandi visioni (in parte posteriori
ad Ezechiele):
- ci sarà un intervento armato di Jhwh contro tutti i nemici rap
presentati da Gog del paese di Magog (cc. 38-39; cf. nota in
Bg): il resto fedele viene liberato e può vivere felice benedi
cendo il Signore;
- il resto tornato in patria abiterà la terra: nei cc. 40-48 Ezechiele
presenta il piano dettagliato di come dovrà essere l’Israele del
futuro (cf. nota in Bg). La ripresa politica lo vedrà abitare la
terra suddivisa di nuovo fra tutte le tribù (47-48; cf. Gs 13-21),
quella religiosa lo vedrà capace di riprendere il giusto servizio
cultuale animato dai leviti e dai sacerdoti (44-46), aH’intemo di
un tempio ricostruito in modo perfetto (40-42; cf. Es 25-31 ; 35
40). Tutta la vita ruota attorno a Dio che ha preso stabile dimora
nel tempio (43,1-12: la «gloria del Signore» ritoma da Babilo
nia): da esso, infatti, uscirà l’acqua che renderà feconda la terra
o dolce il mare (47,1-13). Gerusalemme prenderà allora il nome
di «ÌHvm-shammah = Il Signore è là» (48,35).
Questi capitoli, denominati «la Torah di Ezechiele» (Bg
2085), presentano «la radicale riforma del culto, del sacerdozio
e delle strutture del tempio futuro» (N dtb 686) a cui si ispirerà il
giudaismo post-esilico (N dtb 681-707) e parte della predicazione
dei Padri nel presentare l’ideale della chiesa.
Possiamo riassumere il messaggio teologico di Ezechiele nel
modo seguente (P iemme 2036-2039): il Signore Dio, che si mani
festa nella sua gloria (kabod) e nella sua santità (qedushah), si
sceglie un interlocutore specifico, il profeta (cc. 1-3), per aiutare
il suo popolo deportato in esilio:
- a rileggere la storia passata come luogo degli interventi posi
tivi di Dio e della propria risposta negativa (idolatria) per com
prendere la dura realtà dell’esilio (cc. 4-24);
- a sperare nella promessa di un intervento salvifico di Dio che
farà ritornare a casa (cc. 33-37) dopo aver eliminato ogni av
versario storico (cc. 25-32: oracoli contro le nazioni);
- a contemplare come possibile la ricostruzione delle istituzio
ni abbattute (tempio e legge cultuale), realtà attorno alle quali
si ricomporrà l’unità del popolo stesso.
125
Se da una parte Ezechiele esalta l’azione soprannaturale di
Dio (cosa che induce ad assumere l’atteggiamento di gratitudine
e di riconoscenza), dall’altra sottolinea come questa non si realiz
zerà nella storia senza la cooperazione dell’uomo (da qui l’invito
alla conversione, all’apertura e all’accoglienza dello «spirito del
Signore»).
3. L ettura esegetica
126
AA’: invito all’ascolto (2,1-2; 3,10) e a proclamare ai deportati
quanto ascoltato (3,11).
BB’: invio a un «popolo di ribelli» (2,3; 3,9), «di fronte dura e di
cuore ostinato» (3,7); il profeta non deve temerli (tre volte
in 2,6-7; 3,9) perché è reso sicuro e coraggioso dalla pre
senza del Signore (3,8-9).
C: è l’esperienza profonda di Dio che parla anche in una situa
zione (esilio) di cui la teologia ufficiale dice: «Il Signore lì
non parla». Con il gesto simbolico di «mangiare il rotolo»
in cui sono «scritti lamenti, pianti e guai» (2,10), infatti,
Ezechiele diventa ufficialmente «bocca di J h w h » ; c o s ì si
saprà che c’è un profeta in mezzo al popolo (2,5).
* Conclusione (3,12-21): dopo un silenzio di sette giorni (3,12
15), a Ezechiele viene esplicitata ancora una volta la missione di
essere sentinella (3,16; cf. anche 33,1-9) che lancia il grido d’al
larme perché il peccatore si converta (w. 18-19: prima fase del
l’attività profetica) e il giusto continui a sperare nella salvezza
(w. 20-21 : seconda fase). Il profeta deve essere sempre fedele al
la missione affidatagli, «ascoltino o non ascoltino» (2,5; 3,11):
dovrà, infatti, rendere conto (3,17.20) a Colui che l’ha posto co
me «segno» perché il popolo sappia che egli è il Signore
(24,24.27).
127
situazione di morte che è l’esilio e del ritorno in patria: è l’auten
tica rivitalizzazione del popolo dopo l’esperienza della deporta
zione (w. 11-14).
* Particolarmente suggestivo è anche l’annuncio della restau
razione (36,16-38).
- Nella prima parte (vv. 16-21) si ha un riassunto della storia
del popolo (v. 17; cf. cc. 16; 20; 23) per motivare l’esilio come
castigo per i peccati commessi (vv. 18-19). Ma anche in esilio
gli ebrei hanno profanato il nome di Jhwh, perché i popoli pos
sono dire che il loro Dio non è stato capace di aiutarli (v. 20)!
Allora Dio decide di intervenire per salvare il suo nome (= la
sua consistenza reale) e la sua onorabilità. Il Signore decide di
riprendere in mano la storia per essere fedele a se stesso (v. 21 ).
- Nella parte centrale (vv. 22-32) vengono esposti i motivi, le
modalità e le conseguenze del progetto di restaurazione (= sal
vezza).
I motivi sono presentati nei vv. 22-23 e 32 (inclusione) e ruo
tano attorno al desiderio di Dio di agire «per amore del suo santo
nome», per «mostrare la sua santità» davanti agli occhi dei popo
li, in modo che sia ebrei che pagani «sapranno che egli è J hwh»
(v. 36; cf. 37,13-14; anche Es 7-14 in cui P espone il motivo delle
piaghe e del castigo presso il mare con gli stessi termini). Questa
formula ricorre - pur con variazioni - 72 volte in Ezechiele e sot
tolinea il fare esperienza diretta del Signore attraverso delle azio
ni concrete: non si tratta, da parte di Dio, di utilizzare la storia e
l’uomo per farsi della propaganda o della gloria personale, ma di
permettere al suo popolo e a tutti gli uomini di sperimentarlo co
me sorgente della salvezza e della vita che essi desiderano e invo
cano.
Nei vv. 24-27 sono esposte le modalità con cui J hwh «santifi
ca il suo nome» e «si copre di gloria»:
- libererà il suo popolo dall’esilio (v. 24): è la trasformazione
esterna, che richiama lo schema dell’esodo;
- purificherà i rimpatriati mediante una liturgia penitenziale di
aspersione (v. 25): è l’eliminazione di ogni forma di idolatria,
azione gratuita di Dio (come in Os 2,4-25 e Ger 31,31 -34);
128
trasformerà interiormente l’uomo, grazie alla presenza di tre
elementi che si condizionano reciprocamente: un cuore di car
ne (cioè un nuovo centro decisionale e affettivo, capace di
autentica obbedienza) e uno spirito nuovo (ossia una nuova vi
talità interiore); lo «spirito di Jhwh» ( v . 27), vale a dire la po
tenza vitale che, donata da Dio, rende l’uomo capace di obbe
dienza totale al progetto del Signore; la «nuova alleanza» (v.
28: anche se non c’è il termine, vi è la sostanza).
Le conseguenze immediate saranno le benedizioni della terra,
la sua fertilità (vv. 29-31).
* Nella parte finale (vv. 33-38) vengono descritte le prospetti
ve future della restaurazione: si prevede la fine dell’esilio e la be
nedizione della campagna e delle città. È una realtà che il profeta
vede in lontananza, autentica «eutopia», buon luogo, perché ga
rantito dalla promessa e dall’impegno del Signore.
Conclusione se da una parte Ezechiele manifesta un certo
pessimismo nei confronti dell’uomo che si fa da sé (= produce
solo il peccato), dall’altra esprime ottimismo fondato sulla consa
pevolezza che Jhwh sta per entrare nella storia dell’uomo per rad
drizzarla e ricuperarla. Questa è la sua vera «gloria»! E realizzerà
questo progetto mediante il suo Spirito: è la forza posta da Dio
all'interno dell’uomo per riorganizzarlo in modo nuovo, con più
disciplina e ascolto del Signore, capace di ispirarlo allo stile di
Dio e di ricondurlo al progetto iniziale; è il senso della creaturali-
tà e della disponibilità immesso nell’uomo e che provoca la per
sona a nuove sintonie con il volere di Dio. Vita secondo lo Spirito
è così vita spontaneamente obbediente a Dio, di una obbedienza
provocata dal Signore nell'intimo stesso dell’uomo (Ndtb 1498
1507).
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V ir g il i R., Ezechiele. Il giorno dopo l'ultimo, Dehoniane, Bologna
2000 : analisi esegetica dei brani salienti del profeta.
130
è il parente prossimo del popolo esiliato che è stato da lui creato e
formato (43,1.7; 44,2.21). Esiste quindi una solidarietà tra J hwh e
gli ebrei, con un carattere sacro, cioè vincolante moralmente.
Dio, allora, non solo crea, ma anche libera: e tutto per amore e
tenerezza! (41,8-16; 43,1-7; 44,1-5; 49,14-16; 54; N dtb 449
450).
* La liberazione viene presentata come un nuovo esodo (48,20
22)in cui Ciro, re dei persiani, ricopre il ruolo di Mosè: è stru
mento di Dio per liberare Israele, come Nabucodonosor lo era
stato per il castigo. Così, strumento in mano al Signore è anche
l’uomo che opera senza averlo conosciuto e senza aver aderito
consapevolmente a un suo progetto salvifico (44,28; 48,14-15).
Dio salva il mondo attraverso ogni operare umano. Ciro non ha
mai saputo che Dio lo ha chiamato (45,4-5), eppure entra nel
suo progetto di liberazione (41,1-3). Ciro ha deciso di occupare
Babilonia per realizzare un suo disegno di potere, ma J hwh ha de
ciso con lui e prima di lui di farne il suo giustiziere (41,2) e uccel
lo da preda (46,11), pastore che soddisferà tutti i suoi desideri
(48,28) e messia liberatore (45,1; cf. nota in Bg). E questo sem
plicemente perché lo ama (48,14; N dtb 828-829; F anuli 479
480).
* Tuttavia, per vivere in pienezza la liberazione che Dio sta
operando, bisogna aprire gli occhi, non essere sordi e ciechi
(42,18-25; 43,8). Il profeta infatti parla a un popolo che, nono
stante la precedente predicazione di Ezechiele, fa fatica a credere
a questo Dio, al suo modo concreto di manifestarsi nella storia.
Gli esiliati appaiono (Tob, 711):
- scoraggiati perché si sentono abbandonati da Dio (40,27;
49,14-15);
- insolenti: rinfacciano a J hwh di essere stato ingrato con loro
(43,22-28);
- scandalizzati, incapaci di capire il modo di agire di Dio (56, 8
10.11-13);
- alcuni si sono lasciati sedurre dalla religiosità dei vincitori,
hanno saltato il fosso abbandonando la fede dei padri e accetta
to l’idolatria (41,24; 42,17; ecc.);
131
- solo un piccolo gruppo resta fedele : a questi timorati di Dio
(50,10) che cercano il Signore (51,1 ) e hanno la legge nel cuore
(51,7) il profeta si rivolge per incoraggiarli e consolarli (40,1).
A tutti, però, il Deuteroisaia rivolge, a nome di Dio, il pres
sante invito: «O voi tutti assetati, venite all’acqua; voi che non
avete denaro, venite. Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate
e vivrete» (55,1-3). Infatti, «è finita la schiavitù» (40,2). Può ri
suonare, allora, il «vangelo» della consolazione (52,7-12) perché
«il Signore riprende le sue funzioni di pastore interrotte dalla ca
tastrofe del 587 a.C.» (N dtb 769).
132
(41,17-19; 43,19-20; 44,3-4) in cui lo stesso J hwh cammina
(40,3) per condurre e guidare il suo popolo (42,16); scompare
quindi l’idea di deserto come fatica e come prova (cf. Es 16-18).
Punto di arrivo del nuovo cammino esodale non è tanto, infine,
l’entrare nella terra, quanto un ritornare a un rapporto profondo
con J hwh (è il senso del termine «servo-servitore» con cui è chia
mato Israele, come in 41,8-10; 44,1-5.21-23): ciò si realizzerà
quando Gerusalemme sarà completamente rinnovata (44,1-5;
51,17-52,6; 54,1-17).
Come già segnalato, sorprende che il mediatore della libera
zione sia Ciro, un non ebreo perché re dei persiani (41,1-7.25
29; 44,24-28; 45,1-13; 48,12-15). Ciò suscita l’incredulità del
popolo al quale il profeta deve annunciare con forza: «Non ricor
date più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco,
iofaccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accor
gete?» (43,18-19). Dio si rivela in modo sempre nuovo e sorpren
dente nella storia, libero anche da schemi teologici cristallizzati
dalla riflessione dell’uomo. Ecco, allora, apparire il nuovo volto
di J hwh: è il Creatore dell’universo e l’unico Signore della storia
(43,8-13; 44,6-8.24-28; 45,9-13.20-25; 48,1-11). Annunciando
questo volto di J hwh, il Dtls può essere considerato il primo che
proclama in modo esplicito il monoteismo come affermazione
teoretica dell’esistenza di un unico Dio per tutto il creato e per
tutti gli uomini: «Il monoteismo è affermato dottrinalmente e la
vanità dei falsi dèi è dimostrata dalla loro impotenza» (B g
1678). Inoltre, nel Secondo Isaia, creazione e redenzione si ri
chiamano strettamente: la creazione (sedici volte il termine bara
= creare, come in 41,4; 46,4; 48,12) si attua come liberazione e la
liberazione diventa nuova creazione (cf. anche la tradizione P del
Pentateuco, datata durante l’esilio specie in Gn l,l-2,4a). Il ter
mine che riassume il volto di Dio è Goel: J hwh è il «parente pros
simo» non solo del popolo ebraico ma di tutta l’umanità; in virtù
di questa solidarietà egli deve intervenire per «liberare - riscattare
- redimere» (cf. 41,14; 44,22; 54,5; ecc.).
B’ - 49-54: in questa seconda parte - oltre a sottolineare temi già
emersi come la gioia del ritorno (49,8-26), l’elezione di Israele
(51,1-3) - viene descritto in modo particolare lo scopo e la meta
133
del nuovo cammino esodale: la restaurazione di Gerusalemme
che da città/moglie ripudiata diventa «sposa amata» (52,1-12;
54), «poiché tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciti è
il suo nome; tuo redentore è il Santo di Israele, è chiamato Dio
di tutta la terra» (54,5). Il popolo ebraico, ritornato a essere «ser
vo» di J hwh in una città rinnovata, diventa così «luce» per tutti i
popoli (45,14-25; 49,6.12.22-23; 51,4-8): questa è la «volontà»
di J hwh, cioè «edificare una società nuova fondata sulla legge
(torah): “Poiché egli voleva rendere visibile la sua giustizia, era
volontà di J hwh di stabilire un ordinamento sociale (torah) gran
de e glorioso” (42,21)» (N dtb 828). Questo messaggio sarà par
ticolarmente sviluppato nei cc. 60; 62; 65-66 dal Terzo Isaia
(N dtb 586-589; S icre 371-373).
A’ - 55: il «Libro della consolazione» di quello che viene chia
mato anche «il quinto evangelista», si chiude richiamando la ga
ranzia del messaggio annunciato, cioè la «parola di J hwh». In esi
lio Dio, che sembra il grande assente, è presente mediante la sua
parola efficace e feconda (vv. 10-11), una parola che manifesta a
tutti (w. 1 -3) il suo progetto salvifico nella storia. È richiesta una
conversione autentica intesa come abbandono di tutto ciò che
non offre senso alla vita (w. 1-3) e come accoglienza di quanto
il Signore proclama mediante il suo profeta, per quanto sorpren
dente possa essere. Infatti, dice J hwh, «i miei pensieri non sono i
vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie» (vv. 8-9). Solo
entrando in questa logica si riuscirà ad accogliere il messaggio
profetico come «lieto messaggio» (40,9), «messaggio di cose lie
te» (41,27), «messaggio di gioia e di bene» (52,8), vale a dire co
me «euanghelia —vangelo = buona notizia» (così traducono i
LXX).
Questa lettura sincronica (che non deve far dimenticare le dif
ficoltà di attribuire tutti i testi dei cc. 40-55 a un unico autore; cf.
Piemme 1674-75) mette chiaramente in evidenza i nuclei fonda
mentali del messaggio teologico del Deuteroisaia, cioè:
1. la potenza ed efficacia della Parola di J hwh , parola crea
trice non solo del passato (universo e storia del popolo ebraico)
quanto soprattutto del futuro; è quindi una parola di speranza, ca
pace di fare cose nuove;
134
2. la liberazione dalla schiavitù babilonese: è questa la sal
vezza che testimonia la capacità di Dio di essere giusto, cioè fe
dele alle promesse fatte e alla parola data. Questa salvezza viene
realizzata in tempi e con modalità diverse (Logos 152-153):
- inizia con Dio che coinvolge il persiano Ciro nel suo progetto
salvifico (40,12-42,12): è questo il modo storico-concreto con
cui il Signore riscatta (gaal ) il suo popolo (42,13-44,23);
- troverà la sua pienezza non solo con il ritorno in patria ma an
che con la ricostruzione della città santa, Gerusalemme, e il ri
conoscimento della sovranità universale di J h w h (44,24-49,13:
13 volte appare la radice ja s a ’ = salvezza/salvare): questo an
nuncio è capace di suscitare speranza nel «qui - ora» dell’esilio
e attesa della partenza immediata (49,14-52,12);
- tutto si coronerà con il rinnovo deH’«alleanza di pace» (berit
shalom), cioè della relazione profonda tra Dio e il suo popolo,
relazione presentata in termini di sponsalità e capace di susci
tare gioia ed entusiamo (54,1-55,6).
3. I l «S ervo di J hwh »
I quattro canti
Prima di affrontare qualche questione specifica, passiamo
brevemente in rassegna i diversi canti (cf. B g ; N dtb 770-771; L o
gos 297-317).
135
1 . 42,1-9: il Servo è presentato qui come profeta incaricato di
«portare il diritto (mispàt) alle nazioni» (v. 1) con fermezza (v.
3), ma anche con molto rispetto e in modo pacifico (vv. 2-3).
«Chiamato per la giustizia (zedaqah)» è stato «stabilito come al
leanza del popolo e luce delle nazioni» (v. 6): ha quindi la missio
ne «di annunziare la legge divina, cioè la rivelazione della volon
tà del Signore, alle “isole”, all’umanità tutta» (Ndtb 770).
2. 49,1-7: si parla - ispirandosi a Ger 1,5-6 - della vocazione
del Servo (Israele, come al v. 3?) in un orizzonte universale. In
fatti, pur conoscendo momenti di insuccesso (w. 4.7) è inviato a
essere «luce delle nazioni» e a portare la salvezza di Jhwh «fino
all’estremità della terra» (v. 6).
3. 50,4-11: presentato come un discepolo fedele (w. 4-5), il
Servo è sottoposto allo scherno, agli insulti e alle percosse (vv. 6
7) che egli sopporta in silenzio, con una fiducia incrollabile nel
Signore (vv. 8-9): la non-resistenza non è segno di rassegnazione
quanto di speranza posta «nel nome del Signore». Per questo il
Servo viene indicato (da Dio stesso?) quale esempio per tutti
(w. 10-11).
4. 52,13-53,12: sofferenza e morte vengono riprese in que
st’ultimo canto e presentate come elementi integranti l’esperienza
della fedeltà alla propria missione. Il testo risulta più comprensi
bile se lo si suddivide in interventi di personaggi diversi (così
Tob, 841, notaj):
- Dio (52,13-15): annuncia l’esaltazione del suo Servo che è ap
pena stato umiliato con la sofferenza-morte;
- lefolle (53,1 -6): esprimendo sorpresa per tale esaltazione, rico
noscono che «l’uomo dei dolori» è il «giusto» che «si è carica
to delle nostre sofferenze, si è addossato dei nostri dolori» (v.
4): eppure - altra sorpresa! - «per le sue piaghe noi siamo stati
guariti» (v. 5);
- il profeta (53,7-10): continua la riflessione sull’innocenza e pa
zienza del Servo descrivendo la parte finale della sua vita, vale
a dire le sofferenze accettate volontariamente (v. 8), la condan
na a morte (v. 8) e la sepoltura (v. 9); si augura che Dio renda
feconda simile sofferenza con la glorificazione (v. 10);
136
- Dio (53,11-12): il Servo viene riabilitato e reso strumento di
giustificazione per «molti» (rabbini : quattro volte nel canto,
con senso di «tutte le moltitudini»).
Il messaggio di questa esperienza di sofferenza e di morte del
Servo può essere riassunto nei seguenti punti.
* La sofferenza non sempre è una punizione per i peccati perso
nali (teoria della retribuzione): nel progetto di Dio può avere un
«valore salvifico» per sé e per gli altri. Infatti, ciò che era «di
sprezzato e reietto dagli uomini» (53,3), è trafitto e percosso a
morte «a causa delle nostre colpe e delle nostre iniquità»
(53,5.8), ma «a vantaggio nostro». È «il nostro shalom» (53,5),
cioè perdono, riconciliazione, pienezza di rapporto vitale con
Dio per tutti (53,12).
La novità presente in questo testo che suscita la meraviglia di
chi si pone di fronte all’esperienza del Servo (53,1) consiste pro
prio nella capacità di Dio di salvare attraverso la debolezza e la
sofferenza. Messaggio che non è esaltazione del dolore in quanto
tale, quanto piuttosto «vangelo = buona notizia» che Dio salva
nella e attraverso la sofferenza. Appare chiaramente un volto di
Dio diverso da quello presentato in altre pagine bibliche: a « J hwh
degli eserciti» (Is 9,6), «prode in guerra» (Es 15,3), capace di
usare la potenza per liberare il suo popolo (cf. in particolare Es
7-14) viene contrapposto un «Dio debole» che salva attraverso
ciò che gli uomini ritengono non abbia senso, cioè la sofferenza
e la morte. Jhwh è capace di farsi debole nel suo Servo e di tra
sformare la sua sofferenza in esperienza salvifica.
* Si fonda cosi la teoria della redenzione vicaria: una sola per
sona assume su di sé la colpa del popolo e dei popoli, pagando al
loro posto la pena-castigo prevista ottenendo così la salvezza. La
morte cruenta del Servo è vista come «sacrificio di riparazione»
(53.10) a vantaggio della moltitudine degli uomini, grazie alla so
lidarietà con loro ( N dtb 878-879).
* L’obbedienza radicale e convinta alla missione affidatagli da
Jhwh (53,6.10) ha come risultato non la morte quanto la glorifi
cazione del Servo: «dopo il suo intimo tormento vedrà la luce»
(53.11), «vedrà una discendenza, vivrà a lungo» (53,10). Non si
137
tratterebbe della risurrezione, idea entrata nel pensiero ebraico
solo dall’epoca dei martiri maccabei (secolo II a.C.; N dtb 1355
1357; ma 1674), quanto piuttosto o della riabilitazione del Servo
(52,13-15: farà parte dei «grandi») o degli effetti positivi che la
sua morte avrà sul popolo, permettendone la restaurazione e la
riuscita: ciò che era semplice «virgulto» e «radice in terra arida»
(53,2) diventa ora una «discendenza» feconda (53,10).
Alcuni problemi
138
quale oggi si rifa parte della tradizione ebraica - si può segnalare
quella messianica sulla quale si innesta l’interpretazione cristia
na. Si ritiene - anche da parte ebraica - che il Dtls, pur prendendo
lo spunto da una figura storica (personaggio-trampolino), descri
va un personaggio del futuro identificato o avvicinato al Messia.
Non è di tipo regale-davidico perché sostanzialmente è un profe
ta: si tratta del messianismo profetico, sulla linea di Dt 18,15-18.
In questo caso, il Servo del Dtls diventa una «figura storica em
blematica» (A. Bonora): perde i connotati di personaggio storico
ben datato per diventare semplicemente «paradigma interpretati
vo» del rapporto Dio-uomo, credente-popolo di Dio. «Là dove
c’è un membro del popolo di Dio, vi può e deve realizzarsi il
paradigma del Servo; in ogni tempo e dovunque c’è il popolo di
Dio, là si compie e si attua la figura del Servo di J h w h » ( B o n o
r a 97).
Bibliografìa
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M a r c o n c in i
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M a s in i M . ,
Isaia, Paoline, Milano 1998: «lectio biblica» dei 4 canti.
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troduzione ed esegesi dettagliata del testo.
W ie n e rC., Il profeta del nuovo esodo (Deutero-Isaia), Gribaudi, Tori
no 1980: agile strumento che presenta i cc. 40-55 di Isaia.
140
C apito lo 5
ESCATOLOGIA E APOCALITTICA:
ATTESA E GIUDIZIO
I - ESCATOLOGIA:
ATTESA DEL GIORNO DEL SIGNORE
141
biblici che presentano una qualche idea sul futuro dell’uomo e
del mondo.
Volendo affrontare il discorso sull’escatologia biblica del-
l’AT è necessario prima di tutto collocare in un secondo mo
mento la dottrina cristiana sulle «cose ultime», perché il testo bi
blico non offre nessun logos, cioè discorso sistematico e coeren
te, né adopera solamente l’ideologia messianica per parlare del
futuro del popolo ebraico e del mondo. In secondo luogo, sembra
opportuno non rid urre il campo di interesse della speranza del-
l’AT solamente alle «realtà ultime» o al «dopo» che chiude la
storia umana collettiva o individuale: ogni intervento di Jhwh
nella storia è un kairòs, cioè momento opportuno di incontro tra
la libertà di Dio e quella dell’uomo e rimando esplicito a un suo
ulteriore approfondimento e verifica, fino al raggiungimento del
telos, della perfezione nella relazione. E importante allora, in ter
zo luogo, tener presente il concetto di storia tipico della visione
biblica ( N dtb 1519-1532): è il tempo in cui Jhwh realizza pro
gressivamente il suo progetto di salvezza, la sua promessa di sta
bilire una relazione molto intima e profonda con il popolo ebrai
co («Io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo»), e questo in
funzione di un analogo rapporto con tutta l’umanità. All’intemo
della storia esiste, quindi, una forza interiore «che l’apre verso il
futuro e che rivela in essa una trascendenza che impedisce a
Israele di accontentarsi di un presente che non sia pieno. La pro
messa, allora, non si adempie totalmente in nessun momento in-
trastorico, ma spinge sempre oltre, verso il compimento ultimo di
tutte le aspettative e si proietta verso la fine, orientando il senso
della storia verso Yeschatos (tempo finale, ultimo giorno)»1.
La forza interiore che pone nella storia continui kairoi che la
orientano verso il suo compimento viene indicata dai testi biblici
dell’AT come la regalità di Dio (malkùt Jhwh ): sembra che, fin
dall’epoca pre-monarchica, la speranza dell’AT sia animata dal
l’attesa che Jhwh instauri il suo regno. Affermare «Dio regna»
non è, però annunciare l’inizio di una struttura di potere che ren
de schiavo l’uomo, quanto piuttosto affermare l’intervento salvi
142
fico di J hwh che - mediante la sua autocomunicazione - libera
l’uomo da ogni situazione di schiavitù per aprirlo alla giustizia e
alla pace come pienezza di vita. Si tratta, quindi, di una regalità
«a favore dell’uomo», specialmente del povero, del debole e del
l’oppresso: Dio, in fedeltà alla sua realtà più intima di creatore e
salvatore (goel), interviene per stabilire la sua giustizia (zedaqah)
mediante un giudizio (rib), cioè un intervento chiaro nella storia
che elimina il male lasciando campo libero al bene (N dtb 413
415; 1296-1302).
L ’escatologia profetica
In questa prospettiva possono essere collocati gli interventi
dei profeti: pienamente inseriti nella loro storia, diventano i testi
moni di quel Dio che desidera offrire sempre nuove possibilità di
vita e di rinnovamento al suo popolo. La speranza che sanno su
scitare nei loro contemporanei passa attraverso modalità differen
ti, che suppongono l’idea della regalità di Dio anche quando non
è esplicitamente affermata. Eccone alcune.
★ Nel periodo pre-esilico percepiscono chiaramente che il po
polo non è all’altezza della sua vocazione: gli annunciano allora
oracoli di castigo e di sventura perché sappia discemere bene la
strada da percorrere per ripristinare la relazione con J hwh. Dopo
il giudizio che porterà distruzione e morte, è previsto un nuovo
inizio grazie a un «resto fedele» (escatologia intrastorica). Inol
tre, alcuni prospettano la realizzazione delle promesse di Dio at
traverso la mediazione del re terreno, il Messia: così, il messiani
smo regale profetico diventa una modalità con cui J hwh realizza
la sua regalità sul popolo ebraico.
Altro modo è la certezza di un giudizio per le nazioni stra
niere: tutti i popoli dovranno riconoscere la sovranità di J hwh as
saporando sia la sua collera (cf. gli «oracoli contro le nazioni» in
Amos, Isaia, Geremia ed Ezechiele; N dtb 1 197s), sia la felicità
da lui concessa radunandosi presso la montagna di Dio (Mie
4,1-4; Is 2,2-4).
* Durante l’esilio, la speranza cambia radicalmente: si fa espli
cito annuncio di liberazione con il Deuteroisaia per il quale Dio,
re di Israele (40,9-11; 52,7-11), nel suo intervento porterà una
143
salvezza che avrà il sapore di un qualcosa di completamente nuo
vo: sarà una nuova creazione che trasformerà completamente
l’uomo e le cose (41,20; 44,24; 48,6; 51,9-11).
Mediatore della liberazione non sarà più un discendente della
casa di Davide, ma un messia profeta: il «Servo sofferente di
J hwh» (Secondo Isaia) e, più tardi (Terzo Isaia), il profeta sul
quale scende lo Spirito del Signore Dio (61,1-11). Particolarmen
te sviluppate sono anche l’idea del resto fedele (cf. B g nota a Is
4,3) e quella d ell’ apertura universale della salvezza che si
estenderà a tutti i popoli (cf. Is 45,14-19 e relativa nota in B g).
* Nel post-esilio, verrà esplicitamente affermata l ’estensione a
tutti i popoli della regalità di Dio, con l’abolizione di alcuni limi
ti che rendono troppo «nazionalistica» la sua realizzazione. Per di
più, il ruolo del popolo ebraico è concepito sempre più in funzio
ne del mondo intero: è posto come «luce delle nazioni» (Is 49,6),
«testimone fra i popoli» (Is 55,4). Così Is 19,16-25 prevede la
«conversione dell’Egitto e la sua riconciliazione con Assur e
Israele» (B g 1743, nota); Is 56,6-8; 60,11-14; 66,18-21; Zc
8,20-23; 14,16-19 annunciano il raduno di tutti i popoli a Gerusa
lemme; Is 25,6-11 descrive questo afflusso come un grande ban
chetto; Giona prospetta l’estensione della misericordia di J hwh
anche ai peggiori nemici (N dtb 1200ss).
Inoltre, la mancata realizzazione delle promesse proclamate
precedentemente non attenua l’attesa, ma la proietta in una di
mensione sempre più lontana: si passa a una «escatologia ultra
storica» per cui l’era nuova riguarda il momento finale della sto
ria e non più il presente. Anzi, un po’ alla volta si ritenne che il
regno di J hwh dovesse riguardare il «mondo futuro»: messia, re
sto fedele, nuova creazione si realizzeranno «dopo» la fine di
questo stato di cose. E la prospettiva dell’apocalittica.
Il «kairòs»
La speranza che Dio porti a compimento le sue promesse vie
ne sempre proiettata in un giorno particolare, detto «giorno del
144
Signore»: si tratta del momento decisivo (kairòs) in cui Dio inter
verrà per realizzare il suo regno di pace e di giustizia. Previsto
entro il tempo di una generazione nei profeti pre-esilici (escatolo
gia intrastorica), con l’esilio e il post-esilio la sua attesa è sempre
più rinviata a un futuro indeterminato (escatologia ultrastorica)
fino a diventare prospettiva che va «oltre» la storia con l’apoca
littica.
Inoltre, l’imminenza di cui sono impregnati alcuni testi è più
di tipo teologico che temporale: è la certezza che la promessa di
Dio si adempirà. Il profeta può dire «oggi - qui» perché è profon
damente convinto che Dio è fedele alla sua parola; quello che di
ce a nome di Dio è già in atto, anche se - dal punto di vista tem
porale - l’uomo ne vedrà la realizzazione «in quel giorno».
L’interpretazione cristiana, poi, che ritiene Gesù di Nazaret il
centro della storia e il realizzatore di tutte le promesse di Dio, riu
nificherà le attese previste «in quel giorno» e le leggerà - me
diante l’allegoria e la tipologia - in una prospettiva messianico-
cristologica (escatologia di modello), anche se in origine non so
no legate al Messia.
145
tiva è la visione del raduno di tutti i popoli in Gerusalemme (2,2
5). Consapevoli che «da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme
la parola del Signore» (v. 3), accettano di salire sul monte del Si
gnore dopo aver radicalmente cambiato tutti gli strumenti di
guerra in strumenti di pace: «spezzeranno le loro spade e ne fa
ranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà
più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte
della guerra» (v. 4). Naum, invece, annuncia la fine imminente
del nemico di turno del popolo ebraico, gli assiri: Ninive, loro ca
pitale, diventa simbolo di ogni potere umano che Dio condanna
perché «sanguinario, pieno di menzogne, colmo di rapine, che
non cessa di depredare» (3,1). Per Geremia, oltre che giorno in
cui verrà il nemico dal settentrione (1,14; 4,6; 6,1.22; ecc.), il
«giorno di Jhwh» sarà il momento in cui Dio realizzerà una «nuo
va alleanza» (cc. 30-31 ).
* Durante l’esilio, il «giorno di Jhwh» - pur mantenendo il suo
duplice aspetto di condanna e di salvezza (cf. Ezechiele) - viene
prevalentemente inteso come «giorno della consolazione» per il
popolo deportato. Per Ezechiele è il «giorno della risurrezione»,
cioè della rinascita e della riunificazione del popolo grazie all’in
tervento dello Spirito di Jhwh (c. 37; Ndtb 1356). Perii Deuteroi
saia è il giorno della liberazione ormai imminente, della salvezza
che il popolo ebraico dovrà testimoniare a tutte le genti, ed è an
che il giorno della «nuova Gerusalemme» (51,17-52,12; 54).
* Nel post-esilio si hanno accentuazioni diverse (Blenkinsopp
236-257; 269-287). Il Tritoisaia lo annuncia come giorno in cui
Jhwh creerà «nuovi cieli e nuova terra» (65,17) dando inizio a
una «nuova comunità» che ha fatto un «esodo spirituale» (cc.
60; 62; 65-66) e all'interno della quale troveranno asilo le genti
(cc. 56; 66). Per Gioele è «giorno di tenebra e di oscurità» (2,2)
per il popolo ebraico (cc. 1-2) e giorno di giudizio per tutte le
genti convocate nella valle di Giosafat, la «Valle della decisione»
(c. 4). Ma sarà anche il momento in cui Jhwh «effonderà il suo
spirito» sopra ogni credente (3,1-5) e offrirà la prosperità al suo
popolo (4,18-21). Zaccaria lo «vede» come giorno di benedizio
ne da parte di Dio (cc. 1-8) e come giorno in cui verranno giudi
cate le nazioni (cc. 9-14). Sarà anche il «giorno della gioia» per la
146
venuta del Messia: è un re «giusto e vittorioso, umile, cavalca un
asino. Farà sparire il carro da guerra da Efraim e il cavallo da Ge
rusalemme e annuncerà la pace alle nazioni» (9,9-10). Infine, an
che in M alachia sarà giorno di giudizio per tutti coloro che non
sono fedeli alla legge del Signore, ma anche «giorno preparato
dal Signore» (3,17) per accogliere tutti i «timorati di Dio» (3,16)
e giorno in cui egli invierà il suo messaggero (31,1-5), il «profeta
Elia perché converta il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei
figli verso i padri» (3,22-24).
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147
3. L e t t u r a e s e g e t i c a : il T r it o isa ia (Is 56-66)
148
55) annuncia la liberazione del popolo che si trova in esilio e la
caduta - in prospettiva storico/escatologica - di Babilonia e di
ogni forma di idolatria. Infine il Terzo Isaia (cc. 56-66) prevede
che Dio, il Santo di Israele (60,9.14), finalmente interverrà per
giudicare sia il suo popolo, Israele, sia tutte le nazioni del mondo
con una sentenza decisiva e definitiva (66,16.24).
* Per quanto riguarda la struttura deli cc. 56-66, al di là di una
certa frammentarietà riconosciuta da tutti gli studiosi, è possibile
(con la maggioranza degli esegeti) individuare nei cc. 60-62 il
nucleo centrale attorno al quale si è poi progressivamente svilup
pato tutto il resto, raggiungendo una sostanziale coerenza interna,
come appare dalla seguente struttura concentrica (B onora 138).
A - 56,1-8: stranieri ed eunuchi possono appartenere al popolo di
J hwh perché il suo tempio è «casa di preghiera per tutti i po
poli».
B - 56,9-57,21: severo giudizio sulla comunità ebraica, compo
sta di «figli della maliarda, progenie di un adultero e di una
prostituta», dediti all’ingiustizia e all’idolatria.
C - 58: la vera pratica religiosa (= digiuno) è «sciogliere le catene
inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppres
si, dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri,
vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti».
D -59,1-15: salmo penitenziale di confessione del proprio
peccato da parte della comunità, dopo il rimprovero del pro
feta.
E - 59,16-20: J hwh, «rivestito di giustizia», verrà come «retribu
tore» e come «redentore (goel) per Sion, per quelli di Gia
cobbe convertiti dall’apostasia».
F - a) 60: J hwh è la vera luce che risplende in Gerusalemme: ad
essa «verranno in atteggiamento umile i figli dei tuoi op
pressori».
b) 61: vocazione del profeta (o di Gerusalemme?): «consa
crato con l’unzione per portare il lieto annuncio ai miseri
[...] e promulgare l’anno di grazia di J hwh, il giorno di
vendetta del nostro Dio»,
a’) 62: Gerusalemme sarà «una magnifica corona nella mano
di J hwh»: «tutte le genti vedranno la tua giustizia».
149
E’ - 63,1-6: giudizio di Dio sui nemici del popolo ebraico, di cui
Edom è il «tipo».
D’ - 63,7-64,11 : supplica collettiva a Dio, «nostro padre e nostro
redentore» (goel), con appello alla sua misericordia perché
«squarci i cieli e scenda»!
C’ - 65: quelli che si lasciano amare da Dio saranno benedetti,
quelli che rifiutano saranno maledetti.
B’ - 66,l-18a: nonostante le attuali infedeltà, Dio darà alla «Fi
glia di Sion» (= Gerusalemme) la possibilità di generare un
nuovo popolo.
A’ - 66,18b-24: tutte le nazioni saranno «radunate» dal Signore e
«condurranno al mio santo monte di Gerusalemme [...] tutti i
vostri fratelli»: avranno così inizio «i nuovi cieli e la nuova
terra» che «dureranno per sempre davanti a me - oracolo del
Signore - come dureranno la vostra discendenza e il vostro
nome».
Da questa sintetica presentazione si possono enucleare alcune
tematiche che costituiscono il messaggio del Tritoisaia (L ogos
201-203):
- il volto di Dio, creatore (65,17) e padre (63,9.16; 64,7), capace
di amare con tenerezza materna (66,13), di essere fedele come
uno sposo e di ridonare la «verginità» al suo popolo e a Geru
salemme (N dtb 588-589), presentata come sposa «ricercata dal
Signore» (62,12), «suo compiacimento» (62,4) e madre fecon
da (66,5-18);
- la speranza della ricostruzione esteriore e interiore della comu
nità ebraica postesilica è saldamente fondata su questo volto di
Dio, «impegnato con il suo popolo attraverso un’alleanza
(59,21) confermata nella storia (63,7-9)» (L ogos 201); perciò
è inutile ogni forma di delusione e si deve gioire perché già sal
vati (60,1.19-22; 62,11-12);
- la gratuità della salvezza non dispensa dalla conversione «qui -
ora»: essa consiste nel ricostruire una vera comunità {esodo sul
posto), in cui sia ripristinata l’autentica relazione con Dio eli
minando ogni forma di idolatria (57,3-13) e si sia capaci di ac
cogliere il fratello senza sfruttarlo o emarginarlo (cc. 56; 58),
aperti ad ogni popolo che accoglie la parola del Signore e il
suo giudizio (66,18b-24);
150
- tale annuncio viene fatto a una comunità di poveri, cioè a colo
ro che hanno il loro unico appoggio in Dio (57,14-19; 61,1-3;
66,2); a questi «poveri» appartiene il «profeta», «mandato a
portare il lieto annuncio ai miseri» (61,1-3; 62, 1); molti stu
diosi riconoscono un rapporto tra questo profeta e la missione
del Servo (Is 42,1-3), confermato in Le 4,18-19 nel presentare
l’inizio della missione del «servo» Gesù (N dtb 772; 947-949);
- la comunità dei poveri-salvati è aperta anche ai popoli stranie
ri: mentre molti testi profetici presentano la relazione Isreale-
Nazioni in senso conflittuale perché prevedono la distruzione
dei popoli pagani e idolatri (cf. gli oracoli contro le nazioni in
Am 1-2; Is 13-23; Ger 46-51; Ez 25-32; ecc.), altri ne annun
ciano la conversione all’ascolto della parola di salvezza del Si
gnore (cf. Giona) e altri ancora prospettano una loro assimila
zione aH’intemo della comunità ebraica credente (come Is 2,2
5 e 56,3-7; 66,18b-21).
Bibliografia
Oltre ad alcune opere segnalate a p. 102 {Is 1-39) e alle pp.
139-140 (Is 40-66) si vedano:
B onora A., Isaia 40-66. Israele: servo di Dio, popolo liberato, Queri
niana, Brescia 1988, pp. 133-154.
M a r c o n c in i B., Il libro di Isaia (40-66), Città Nuova, Roma 1996, pp.
163-194: dopo una breve introduzione, l’autore analizza alcuni testi
del Tritoisaia enucleando «motivi di speranza in tempi difficili».
S p r e a f ic o A., La comunità dell’amore nel Trito-Isaia, «Parola Spirito e
Vita», 11 (1985/1), pp. 69-80.
W e s t e r m a n n C., Isaia. Capitoli 40-66, Paideia, Brescia 1978, pp. 353
509.
II - APOCALITTICA:
IL GIUDIZIO DI DIO SULLA STORIA
Esiste oggi - in contesti cristiani - una rinnovata attenzione
all’apocalittica sia in ambito teologico (si vedano le «teologie
del genitivo» che ad essa si ispirano, come la «teologia della spe
ranza» di Moltmann e Pannenberg o la «teologia pastorale politi
151
ca» di Metz), sia in quello pastorale (si veda il proliferare di «mo
vimenti apocalittici» come i Testimoni di Geova, gli Avventisti
del Settimo Giorno o alcune frange dei movimenti pentecostali e
carismatici). Per poter comprendere tale fenomeno, è necessario
rifarsi al modello biblico ispiratore. Si vedrà prima l’origine e la
natura del movimento apocalittico veterotestamentario, poi la
consistenza della letteratura apocalittica, cui seguirà una breve
presentazione del libro di Daniele.
1. I l movimento apocalittico
152
★ In quanto movimento socio-religioso, l’apocalittica cerca - in
situazioni di grave crisi politico-religiose e/o di persecuzione - di
infondere speranza facendo vedere quello che «sta al di là» del
l’attuale situazione, quello che «sta nascosto nel mistero di Dio»:
è Dio stesso - da qui l’ispirazione per mezzo di sogni e visioni -
che solleva il velo della storia per far vedere ciò che sta oltre.
«Apocalisse», allora, non è sinonimo - come nel lessico popolare
oggi - di «catastrofe», perché significa semplicemente «rivelare,
svelare», alzare il velo per far vedere ciò che sta al di là di quanto
appare. In particolare, viene rivelata la vittoria del bene sul male,
di Dio su Satana: il presente è allora vissuto come attesa viva
della distruzione delle potenze del male e dell’irruzione del re
gno di J hwh . Non ci si trova più smarriti nel buio del presente
perché lo si vede illuminato dalla luce che proviene dalla certezza
che, nonostante tutto, l’ultima parola sulla storia spetta ancora a
Dio e ai suoi fedeli. L’apocalittica si propone allora di tenere viva
la speranza e di suscitare il coraggio della perseveranza nella fede,
consapevoli che il futuro di Dio sta ormai irrompendo nella storia
per giudicarla in modo definitivo. E poiché si è convinti che «que
sta» storia di difficoltà e disagio non ha futuro, l’escatologia apo
calittica cambia di significato: non è più la conclusione della sto
ria, quanto piuttosto la sua condanna grazie all’irruzione del futu
ro di Dio capace di «creare cieli nuovi e terra nuova».
* Caratteristica principale di questo modo di guardare alla storia
è il dualismo, ossia l’ammissione dell’esistenza di due principi
primi e irriducibili (non semplicemente opposti) che spiegano tut
ta la realtà e si contendono il dominio su di essa. Così, c’è un dua
lismo metafisico (Dio-Satana), cosmico (luce-tenebre), spaziale
(cielo-terra), teologico (creatore-creatura), fisico (spirito-materia),
etico (giusti e buoni-peccatori ed empi), psicologico (bene-male
nell’uomo), soteriologico (accettazione-rifiuto della salvezza),
escatologico (storia attuale-regno di Dio; presente-futuro).
Per il momento, osservano gli apocalittici, il dominio della
realtà è in mano a Satana, al male, alle tenebre, ai peccatori; ma
la vittoria finale sarà certamente di Dio, del bene, della luce, dei
giusti. Il passaggio dal regno presente del male al regno futuro
del bene non avviene per superamento progressivo, ma grazie a
una «spaccatura» nella storia che porterà alla distruzione del
153
presente: «quel giorno» J hwh farà sorgere un nuovo mondo dalle
ceneri del vecchio. La distruzione avverrà grazie a un’immensa
battaglia finale tra i due mondi: sarà una battaglia a livello co
smico, in cui sono coinvolti tutti, dai cieli (regno di Dio e dei suoi
angeli) agli abissi (regno di Satana e dei suoi servitori, i demoni),
dalla terra con i suoi abitanti divisi tra giusti ed empi al creato in
tero (sole, luna; terremoti; alluvioni; ecc.).
Questa visione del mondo e della storia, da una parte, ha il
pregio di infondere nel credente una forte tensione verso il futuro
e verso il regno di J hwh: relativizza, infatti, il presente impeden
done la sua mitizzazione e spinge a un continuo impegno per una
sua liberazione verso la pienezza della vita. La fedeltà a questa in
tuizione porta a una testimonianza di fede nel presente che arriva
fino al m artirio e alla speranza che «in quel giorno» J hwh pre-
mierà i fedeli e i giusti con la vita oltre la morte, con la risurrezio
ne, certezza che rende meno amara la vita sotto il dominio del ma
le e della persecuzione. Dall’altra, però, rischia di suscitare e ap
provare una visione pessimistica sul presente considerato come
condannato e irrecuperabile. Poiché dovrà andare completamente
distrutto, è inutile l’impegno nell’oggi; anzi, si dovranno prendere
radicalmente le distanze da esso (integrismo). Si vive cosi più nel
la spasmodica attesa della fine del mondo che in un impegno coe
rente e responsabile nel quotidiano (alienazione dal presente).
* Le caratteristiche dell’apocalittica possono essere così rias
sunte, distinguendo - con K. Koch - tra elementi formali e conte
nutistici.
- Elementi formali. «Ampi cicli di discorsi chiamati visioni,
anche se si tratta di sola audizione (cf. Dn 9), relative al destino
dell’umanità svelano il mistero finora gelosamente custodito. Il
veggente è sconvolto spiritualmente, è invaso da ansia e paura,
perde i sensi e trasmette il suo stato d’animo nella durezza dello
scritto. La rivelazione del vissuto non ha di mira la manifestazio
ne della propria personalità, ma intende rivolgere una parenesi ai
lettori, una specie di etica escatoligica per sostenere nella prova i
fedeli, invitandoli a un’ulteriore costanza, espressa prontamente
in fonila diretta, talvolta attraverso racconti edificanti, come av
viene in Daniele.
154
Per dare autorità ai loro scritti, o meglio, per sottolineare una
continuità di pensiero e di tradizione, gli autori si nascondono
sotto il nome di un grande personaggio del passato (Adamo,
Èva, Enoc, Mosè, Daniele, Esdra), producendo quel fenomeno
chiamato pseudonimia, distinta da quella sapienziale che utilizza
va nomi regi (Salomone, Manasse). L’uso dei simboli, in una va
rietà e complessità crescente (dalla descrizione dei nemici come
bestie pericolose, mostri, alberi vaganti, onde spumeggianti, e
del popolo come leone, vite, alle parti del corpo umano, ai colo
ri), pur riallacciandosi lontanamente a testi profetici (cf. Is 5; Ger
5,6), rende spesso incomprensibile il discorso, soggetto a un pro
cesso di rimitologizzazione. La difficoltà è aumentata dal carat
tere composito degli scritti, per l’uso di più lingue, per l’accosta
mento di tradizioni diverse che provocano contraddizioni e illogi
cità» (M arconcini 1989, pp. 38-39).
- Elementi contenutistici. «A queste sei caratteristiche for
mali che individuano un genere letterario, il Koch aggiunge otto
elementi contenutistici che qualificano l’apocalittica come vera
corrente letteraria. Una spasmodica attesa della fine del mondo,
in seguito a una catastrofe cosmica (caduta di astri o dissoluzione
nel fuoco), nel momento prestabilito che è parte di quel tempo
universale che viene diviso in periodi fissi dai numeri 4, 7, 12, è
provocata dalla ineluttabilità degli eventi che non tolgono la li
bertà ai singoli individui.
Le vicende terrene sono il riflesso di quanto accade nella sfe
ra sovrumana popolata da angeli e demoni con nomi precisi, in
lotta tra loro, che aggregheranno i loro seguaci: i buoni a qualsia
si popolo appartengano, anche se in una concezione universalisti
ca meno pura degli ultimi grandi profeti, riceveranno la salvezza,
designata come gloria, una fusione totale tra la sfera terrestre e
quella celeste con un capovolgimento e un mutamento di tutte le
strutture sociali, spesso proiettata in un aldilà descritto con termi
ni paradisiaci come ritorno al tempo iniziale. La salvezza proma
na dal trono su cui è fatto salire il Figlio dell’uomo, quando ini-
zierà il regno di Dio, che si sostituirà a questa fase umana pessi
misticamente considerata. La realizzazione del regno avviene
attraverso un intermediario, con funzioni e nomi diversi nei vari
scritti (chiamato Messia, Figlio dell’uomo, Eletto), una figura che
155
ha relegato Dio in una lontana trascendenza» ( M arconcini 1989,
pp. 38-39).
* Risulta chiara, allora, la distinzione tra movimento profetico e
apocalittica, come appare nel prospetto sinottico alla pagina se
guente2.
Questo confronto non dovrebbe indurre a considerare l’ a
pocalittica come un movimento strano, da scartare perché su
scitatore solamente di alienazioni e di fughe dal presente. Il cre
dente, giudeo o cristiano che sia, deve tenere in giusta considera
zione le seguenti intuizioni sottolineate dall’apocalittica, almeno
per l’influsso che hanno avuto nella cultura occidentale:
- Dio non è per niente indifferente a quanto capita su questa
terra, né è incapace di intervenire per ristabilire la giustizia e
santificare il suo nome;
- ci sono, nella storia umana, momenti e situazioni talmente im
portanti e decisive in cui il credente si può legittimamente at
tendere che Dio agisca in modo nuovo e sorprendente per in
staurare il suo regno;
- è necessario credere con fermezza che la vita dell’uomo non è
abbandonata in potere del male e del demoniaco, e proclama
re con fede che la vita ha una prospettiva che va oltre la morte:
il martirio (di fede e di amore) non è cosa vana. Anzi, Dio - per
fedeltà alle sue promesse - non lascerà soccombere il giusto: è
aperta la strada alla risurrezione come fonte di vita per l’oggi;
- bisogna testimoniare una fede radicale in Jhw h , Dio della vita
e della pace, e rigettare con coraggio ogni forma di violenza e
di guerra: il futuro, infatti, è degli «operatori di pace» che spe
rano in Dio;
-il pensiero apocalittico, infine, sottolinea fortemente una attesa
appassionata sia del regno di Dio, sia del giudizio che esso
esprimerà: condanna per i cattivi e premio per i buoni. È aperta
la strada alla riflessione cristiana sia sull’impegno nell’oggi
(escatologia intrastorica), sia sull'inferno e sul paradiso (esca
tologia ultrastorica).
156
I PROFETI GLI APOCALITTICI
157
2. L a letteratura apocalittica
I testi
Tra i testi canonici dell’AT sono da considerare di stile e con
tenuto apocalittico i seguenti.
* Ez 38-39; 40-48: considerato il padre dell’apocalittica, Eze
chiele presenta la «definitiva vittoria del bene sul male nei mitici
paesi di Gog e Magog (cc. 38-39)» (Ndtb 686) e il radicale cam
biamento della struttura del tempio e delle espressioni religiose
(culto, sacerdozio, cc. 40-48).
* Gioele: questo profeta, il cui scritto «è apocalittico solo par
zialmente» (U. Vanni), legge in chiave religiosa un’invasione di
cavallette (2,1-10) che mette a soqquadro la vita tranquilla del po
polo e la interpreta sia come un forte richiamo alla conversione (2,
13-18), sia come anticipazione di quanto si attuerà nel «giorno del
Signore», quando Jhwh rinnoverà e rivitalizzerà il popolo grazie
all’effusione del suo Spirito (c. 3) e giudicherà tutti i popoli (c. 4).
* Is 24-27 (la «grande apocalisse»), databile dal V secolo a.C. e
Is 34-35 (la «piccola apocalisse»), ancor più recente (cf. note in
Bg e Ndtb 768): con molte immagini simboliche e con carattere
chiaramente escatologico descrivono sia la distruzione di quanto
appartiene al male e si oppone a Dio, sia la capacità del Signore
di capovolgere radicalmente la storia dell’uomo: «Eliminerà la
morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni
volto» (25,8).
* Zaccaria: nella prima parte (cc. 1-8, non da tutti considerati
apocalittici), attraverso otto visioni spiegate dall’angelo del Si
gnore desidera infondere coraggio ai rimpatriati perché sappiano
dare vita a una vera comunità. Nella seconda parte (cc. 9-14, ge
neralmente assegnati a un profeta anonimo del tardo post-esilio
detto «Deuterozaccaria»; Ndtb 1688), con una simbologia apo
calittica (Dio guerriero, sconvolgimenti cosmici, ecc.) presenta
la liberazione e il ritorno di Israele (cc. 9-11 ) e il suo avvenire do
po il grande intervento divino (cc. 12-14).
* Daniele: è senz’altro il testo apocalittico più chiaro e più co
nosciuto (cf. più avanti).
158
Accanto ai testi canonici, ce ne sono altri che non sono entrati
nella Sacra Scrittura, ma che sono importanti per conoscere sia il
movimento apocalittico che le attese di parte del popolo ebraico
nel periodo del tardo giudaismo veterotestamentario. Fanno parte
di quella che viene definita «letteratura intertestamentaria»3. Tra
di essi sono da ricordare il Libro di Enoc e quello dei Giubilei, il
Testamento dei XII Patriarchi e l’Assunzione di Mosè, vari testi
ritrovati a Qumràn e altri che - appartenendo all’epoca del N T -
sono di intonazione sia giudaica che cristiana (cf. N dtb 98-101).
Le caratteristiche
Ne segnaliamo solo alcune tra le tante.
* Narrazione: l’apocalittico ha il gusto del racconto, a volte an
che un po’ intricato, versatile, geniale. In pratica, generalmente si
tratta di una messa in scena in forma narrativa di un’intuizione:
«l’apocalittica racconta dei significati con il linguaggio della nar
rativa» (P. Stancari). Non si tratta, allora, di storia vera, ma di rac
conto che dice il vero perché rappresentazione scenica di signifi
cati. Nascono così, per esempio, gli atti dei martiri (come in Dn 3;
6, 13) e altri racconti edificanti o parenetici (come in Dn 1-2, ecc.).
* Visione: è il modo concreto con cui spesso viene presentato il
contenuto, anche spiegato dall’intervento di un angelo del Signo
re. Nella maggioranza dei casi la visione è un artifizio letterario
che l’autore adopera sia per sottolineare l’origine divina del mes
saggio che desidera trasmettere, sia per guadagnare autorità e
prestigio ed essere così ascoltato e creduto.
* Sogno: nella mentalità antica rappresenta una forma di rivela
zione (cf. Gn 37,5-10, Gb 4,12-21; ecc.) che ha bisogno di essere
interpretata da un sapiente illuminato, cioè guidato da Dio. Qual
che volta assume connotazioni psicologiche e sconfina con stati
psichici pretemormali, di gioia effervescente, di terrore, di incu
bo, ecc.
159
* Pseudonimia: l’autore apocalittico si nasconde dietro a un
grande personaggio del passato sia per far circolare più facilmen
te il suo messaggio in momenti di persecuzione politico-religiosa
senza destare sospetti, sia per rendere più credibile agli occhi de
gli ascoltatori l’invito alla perseveranza: oggi si avverano antiche
profezie già presenti nella vicenda di personaggi stimati per la lo
ro pietà e per il loro coraggio.
E poiché non è possibile denunciare apertamente il tiranno di
turno oggi, allora l’apocalittico proietta la situazione presente nel
passato. Presenta così tiranni ben conosciuti dal popolo (come
Nabucodonosor) e crea attorno a essi situazioni non certo stori
che, ma significative ed evocative per il lettore: com’è crollato il
loro potere, così cadrà anche quello del tiranno attuale; come a
quel tempo ci furono dei credenti che resistettero fino al martirio,
fiduciosi nell’intervento di Dio, così dovrebbe avvenire oggi.
* Simbolismo: si tratta di quel «linguaggio in codice» che
spesso costituisce il motivo dell’incomprensione dei testi apoca
littici per la nostra mentalità occidentale abituata alla realtà scien
tifica, alla precisione, alla deduzione logica e matematica. Si trat
ta però di un linguaggio altamente evocativo, allusivo e non de
scrittivo: desidera impressionare esagerando i contorni, vuol
suscitare entusiasmo di fede più che dare descrizioni scientifiche.
I principali simboli riguardano ( N dtb 103; 148ss):
- gli animali: capri = malvagi ed empi; pecore = buoni e giusti;
agnello = mansuetudine e sacrificio; drago = male; leone = re
galità; bue = forza; aquila = velocità, acutezza; ali d’aquila =
protezione divina; pantera-orso-leone = segni di voracità e
sfruttamento; corno = potenza;
- le parti del corpo umano : mani = potenza; occhi = conoscenza;
bocca = oracolo divino; gambe = stabilità; braccio destro = po
tenza e stabilità; capelli bianchi = eternità (anche vecchiaia);
- l ’abbigliamento: veste lunga = dignità sacerdotale; cintura d’o
ro = potere regale; anello = regalità; scettro e corona = potere;
- i colori: bianco = vittoria, purezza; nero = morte, empietà; ros
so = assassinio e violenza, sangue dei martiri; rosso scarlatto =
lusso;
160
- i numeri : 3 = perfezione, divinità; 3 e mezzo (o 42 mesi, o
1260 giorni, o un tempo + due tempi + la metà di un tempo) =
metà di sette, cioè tempo limitato e imperfetto; 4 = cosmo, uni
verso, storia umana; 6 = imperfezione; 7 = perfezione, definiti
vità; 10 = una certa quantità; 12 = tribù, pienezza del popolo;
1000 = quantità considerevole, tempo tra la fine della persecu
zione e quella del mondo [cf. millenarismo]; 144.000 = nume
ro completo per eccellenza (12 x 12 x 1000).
Bibliografia
161
3. I l libro di D aniele
Problemi introduttivi
162
ti. È probabile, infatti, che almeno parte delle narrazioni dei cc. 2
6 e 13-14 appartenesse a questo ciclo di leggende popolari. I no
stri autori le utilizzano per mandare un messaggio di speranza ai
loro contemporanei: pur parlando, infatti, di avvenimenti risalenti
al passato (corte babilonese del VI secolo a.C. per i cc. 1-5 e 7-8;
quella persiana per i cc. 6; 9-10; 14), fanno riferimento alla situa
zione che sta vivendo il lettore sotto Antioco IV (il passato diven
ta simbolo o tipo del presente).
Contenuti del libro
Il Libro di Daniele può essere suddiviso - nella sua forma at
tuale - in tre parti a forma chiastica, precedute da un’introduzio
ne ( L o g o s 255ss):
Introduzione (c. 1)
A - Racconti in prosa (cc. 2-7)
B - Visioni (cc. 8-12)
A’ - Racconti in prosa (cc. 13-14)
* Introduzione (c. 1): Daniele e altri tre giovani alla corte di
Nabucodonosor, sottoposti a leggi alimentari particolari, invitano
i loro compatrioti ebrei alla resistenza contro Antioco IV, che
aveva soppresso i divieti alimentari della legge giudaica per elle
nizzare con forza il popolo (cf. 2Mac 6,18-25; 7,lss).
* A - Racconti (cc. 2-7): il libretto aramaico si presenta strut
turato in forma concentrica.
A (c. 2): sogno della statua da parte di Nabucodonosor e spiega
zione data da Daniele. La professione di fede finale del re
esclude la persecuzione.
B (c. 3): Nabucodonosor chiede l’adorazione della statua d’oro,
ma i tre giovani ebrei (del c. 1) si rifiutano di farlo: aggiunta
del «Cantico di Azaria nella fornace» e del «Cantico delle
creature» da parte dei tre giovani.
C (c. 4): Nabucodonosor racconta il sogno del grande albero in
terpretato poi da Daniele come giudizio di Dio sul potere del re.
C’ (c. 5): banchetto di Baldassàr, con apparizione di una scritta
misteriosa letta solo da Daniele; dietro Baldassàr si può intra
vedere il re Antioco IV e la fine del suo regno decretata dal
Signore.
163
B’ (c. 6): Daniele nella fossa dei leoni per essersi rifiutato di ri
volgere atti di adorazione al re Dario; Daniele è salvo, e il re
fa la sua professione di fede nel Dio degli ebrei.
A’ (c. 7): sogno delle quattro bestie, del vegliardo e del «figlio
dell’uomo»: la fine del regno di Antioco IV è assicurata dalla
rivelazione di Dio a Daniele.
Come si vede, si tratta di sei racconti edificanti che, con un
linguaggio simbolico, si prefiggono sia di far capire che la reli
gione ebraica è superiore a tutte le proposte pagane, sia di susci
tare e irrobustire la fede del lettore in Jhwh capace di soccorrere e
liberare i suoi fedeli in ogni circostanza, anche la più drammatica.
Il genere letterario di questa parte (come anche dei cc. 13-14) è
quello midrashico di tipo haggadico: si tratta di racconti non sto
rici ma storicamente ambientati per dare loro uno spessore di cre
dibilità e di ascolto. Loro scopo è quello di trasmettere un deter
minato messaggio mediante il racconto («teologia narrativa»).
* B -Visioni (cc. 8-12): servendosi di tre visioni e utilizzando il
genere letterario apocalittico, l’autore vuol dimostrare come la
storia umana, nonostante gli sconvolgimenti operati dagli uomi
ni, sia in mano a Dio e sia orientata verso la pienezza del suo re
gno. Dopo il periodo della grande tribolazione, infatti, ci sarà il
regno dei «santi dell’Altissimo»: è un regno di pace e di giustizia
definitiva al quale parteciperanno tutti coloro che sono stati capa
ci di perseverare nella fede giudaica mediante la pratica della leg
ge. L’invito al lettore è allora quello di essere capace di affrontare
con coraggio il momento della persecuzione, accettando anche il
martirio al quale seguirà una risurrezione gloriosa quale segno
della giustizia che Dio rende ai suoi fedeli.
la visione (c. 8): visione del montone e del capro ambientata al
tempo di Antioco IV, di cui si annuncia in modo inequivoca
bile la caduta, con allusione probabile alla presa di Gerusa
lemme da parte di Giuda Maccabeo (autunno del 164).
2a visione (c. 9): è la celebre profezia delle settanta settimane,
un’interpretazione midrashica di Ger 25,11-12; 29,10 che po
ne la fine dell’esilio dopo 70 anni o cicli sabbatici. «La spiega
zione considera i settanta anni non nel senso di dieci periodi
sabbatici (sette anni), ma in quello di periodi giubilali (quaran
164
tanove anni) o di settimane di anni, ponendo il termine dopo
quattrocentonovanta anni, che raggiungono il II secolo (ini
ziando o dalla caduta di Ninive [612] o dal regno di Nabuco-
donosor)» (L ogos 259), cioè il tempo di Antioco IV: è assicu
rata così la fine della persecuzione! (cf. note in B g o in T ob).
3a visione (cc. 10-12): è presentata una rilettura della storia, più
dettagliata per il periodo di Antioco IV (11,21-45): al tempo
della persecuzione seguirà una vita eterna con Dio (12,1-3).
* A ’-Racconti (c. 13-14): sono narrati (solo in greco) tre rac
conti edificanti, il primo dei quali (c. 13: la «casta Susanna»)
mette in evidenza il premio che Dio riserva alle persone fedeli al
la legge e ingiustamente perseguitate, mentre gli altri due (c. 14:
Bel e il drago) sono una satira per ridicolizzare l’idolatria.
165
AA’: Daniele dal 165-164 a.C. ributta indietro al tempo di
Baldassar «re di Babilonia» (non fu mai re, ma principe governa
tore affiancato al re Nabonide, verso il 550) la visione (A) che gli
provoca un grande turbamento (A’).
BB’: c’è prima la visione delle quattro bestie (vv. 2-8) che
uscendo dal mare (simbolo delle potenze ostili a Dio) impongono
successivamente il loro dominio sulla terra. Si tratta (vv. 17-18)
dei babilonesi (leone), dei medi (orso), dei persiani (leopardo) e
dei greci: l’attenzione si sofferma particolarmente su questa
«quarta bestia», «diversa da tutte le altre» (v. 7) perché ha dieci
coma (i successori di Alessandro Magno). Il corno che ne abbatte
tre è Antioco IV Epifane (175-164 a.C.), il re seleucida persecu
tore dei giudei. Questo corno diventa «il tutto» della bestia e Da
niele lo vede non solo bestemmiare Dio, ma anche andare contro
i suoi fedeli cambiando i tempi (cf. calendario e feste) e le leggi
(sul sabato e sui cibi; si leggano i w. 19-27).
Segue la visione del «vegliardo» (vv. 9-12). Si tratta di Jhwh
presentato come «il perennemente giovane» (non solamente «il
vecchio»), l’antico di giorni, l’Eterno che viene a dire la parola
«basta!». Infatti, è scritto nei libri di Dio (v. 10) che è giunto al
termine il tempo della persecuzione (vv. 11.26) ed è arrivato il
momento in cui «il regno, il potere e la grandezza dei regni che
sono sotto il cielo saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo,
il cui regno sarà eterno e tutti gli imperi lo serviranno e obbedi
ranno» (v. 27). Dio quindi ha già da tempo formulato il suo giu
dizio sulla storia: conoscerlo è motivo di fiducia e di perseveran
za nella prova.
Qui si innesta la visione del figlio dell’uomo (vv. 13-14): l’e
spressione «figlio di» in ebraico significa «del genere di», quindi
«simile a un figlio di uomo» significa semplicemente «simile a
un uomo». Forse Daniele pensa a un angelo con sembianze uma
ne: per alcuni, sale dalla terra (sembianze umane), e va verso il
mondo divino (nubi del cielo) per essere intronizzato; per altri,
invece, appartiene alla sfera divina (nubi del cielo), ma ha sem
bianze umane. La descrizione è molto vaga per cui si presta a ul
teriori sottolineature e approfondimenti. Sembra comunque che
nel nostro testo questo essere «simile a un figlio di uomo» sia la
166
rappresentazione simbolica del regno dei «santi dell’Altissimo».
Ha quindi un significato collettivo (personalità corporativa) per
ché rappresenta i giudei fedeli ai quali viene consegnato il regno
di Jh w h .
Conclusione. Da questo brano, il più famoso del libro di Da
niele, si possono ricavare alcune indicazioni.
* Appare chiaro che l’autore apocalittico dimostra una maturità
di fede che lo rende capace di leggere la vicenda attuale del popo
lo ebraico alla luce del progetto di Dio sull’intera storia dell’uma
nità. Questa, pur essendo terreno di scontro tra le forze negative
che derivano la loro origine dal demoniaco e le forze positive che
provengono dal mondo divino, ha una sua fine ben specifica:
l’instaurazione del regno di Dio, novità talmente assoluta, defini
tiva e sorprendente da rappresentare una ri-creazione totale del
l’esistenza umana e del mondo. Si tratta di un cambiamento così
radicale da far scomparire «questo» mondo contrassegnato dal
male e dominato dagli empi per lasciare il posto a un «altro»
mondo, tutto segnato dal bene e dominato dai giusti, i fedeli di
Jhwh. Questo «nuovo mondo» sta per fare irruzione nel «vec
chio» per giudicarlo e condannarlo alla distruzione. La consape
volezza che tutto questo non è una pia invenzione consolatoria,
ma «ciò che è scritto» nei libri di Dio già da molto tempo (traspo
sizione nel passato) fa guardare con ottimismo oltre l’orizzonte
di ciò che si sta vivendo e infonde speranza a chi si trova nel
momento della prova o della persecuzione: il regno di Dio non è
una illusione, ma una realtà oggettiva stabilita fin dalle origini.
* Nel futuro di Dio trovano un posto privilegiato i giusti fedeli,
i «santi dell’Altissimo» simboleggiati da quel misterioso «figlio
di uomo». Questa espressione - già utilizzata da Ezechiele per in
dicare semplicemente l’uomo nella sua creaturalità - passerà più
tardi a indicare una persona singola e diventerà una figura mes
sianica. Nello scritto apocrifo di Enoc (I secolo a.C.) indica, in
fatti, una persona singola, denominata anche «Messia», di natura
celeste e trascendente, alla quale è affidata la funzione di giudice
finale che condanna gli empi e salva i giusti.
Questa evoluzione permetterà a Gesù di Nazaret di autodesi-
gnarsi come il «Figlio dell’uomo» (69 volte nei sinottici e 13 in
167
Giovanni): con questa espressione «Gesù richiama l’attenzione
dei suoi interlocutori sulla sua missione e sul suo destino in un
contesto di tensione e di conflitto, che alla fine sono superati dal
l’appello o rimando all’intervento decisivo di Dio» (N d tb 617;
anche 950). La tradizione cristiana, poi, con l’espressione “Fi
glio dell’uomo” «ha trascritto la sua fede cristologica che procla
ma Gesù nel suo ruolo di mediatore unico e definitivo, sottoli
neando la sua duplice relazione con il mondo storico umano e
con Dio» (N d tb 617).
Bibliografia
168
A ppendice
L A SPERA N ZA
NEL M ESSIA R E G A L E D I ISRAELE.
BREVE S T O R IA 1
169
1. P rim o st a d io : pr im a d e l l ’ V ili secolo a .C.
170
cananei di Gerusalemme, esemplificato nel sacerdote-re Melchisedek di
Gn 14,17-24. Il regno eterno universale del re - nel passato considerato
un riferimento letterario a Gesù - era, in parte, un forte desiderio di una
lunga vita e di molte vittorie e, in parte, un riflesso della permanente
grandezza promessa alla dinastia davidica.
I pii desideri nel Sai 72 possono essere l’espressione più chiara del
l’idea del re salvatore. Il re ideale governa con la giustizia che si addice
a un governatore ed è il salvatore del povero e del bisognoso. È vittorio
so sui suoi nemici che sono anche i nemici del suo popolo; è il liberatore
del suo popolo dai pericoli provenienti dall’estemo. Durante il suo re
gno la benedizione di Dio apporta fertilità alla terra. In nessun luogo,
nel salmo, il re è presentato come un futuro liberatore escatologico. E
il successore di Davide idealizzato e l’erede delle promesse, derivanti
dall’alleanza, fatte a Davide.
2. S econdo stadio :
d a l l ’V III secolo a .C. fino a l l ’esilio babilonese
Negli scritti dell1Vili secolo c’è uno sviluppo nel messianismo re
gale. Re perversi e inetti, come Acaz, avevano offuscato la gloria della
linea davidica, nonché la speranza ottimistica che ogni re sarebbe stato
un salvatore del suo popolo. Isaia, in particolare, dà voce a un’attesa più
sfumata: ci sarebbe stata un’irruzione del potere di Dio, che avrebbe fat
to rivivere la dinastia e ne avrebbe assicurato la permanenza. Dio susci
terà presto un successore di Davide, che sarà degno del nome di re davi
dico; sarà un esempio di potere carismatico, proprio come lo era stato
Davide, quando fu istituita la linea regale. Is 7,14-17; 9,5-6, in termini
poetici, annuncia che l’erede al trono nascerà durante il tempo di Isaia
(735 a.C.); probabilmente sarà figlio del perverso Acaz e di una ben co
nosciuta fanciulla della corte2. Il bambino dovrà essere un segno che
171
Dio è ancora con il suo popolo (Emmanuele), nella persona del re da
vidico. Questo erede stabilirà la giustizia, costruirà un vasto impero e
gli darà pace e sarà degno dei titoli tradizionalmente ricevuti a corte
dal monarca (9,5[6]): «Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per
sempre, Principe della pace». Benché Isaia possa aver creduto che le sue
attese si sarebbero compiute nel buon re Ezechia, il successore di Acaz,
i passi di Is descrivono un ideale di restaurazione piuttosto che una real
tà, e questo ha permesso che essi fossero usati da successive generazio
ni che pure attendevano con ansia un rinnovamento divino della mo
narchia.
Il passo 11,1 ss può provenire da un periodo successivo al tempo
della vita di Isaia; gli studiosi sono divisi. Esso guarda a un futuro più
remoto rispetto ai passi appena discussi. É chiaramente affermato il po
tere carismatico del governante modello atteso: infatti lo spirito resterà
su di lui e gli accorderà le qualità di un governante modello. Salverà il
regno dall’ingiustizia interna e dalla minaccia esterna. A confronto con
gli scritti incontestati di Isaia, l’elemento insolito in Is 11,1 ss è il ritorno
delle condizioni di paradiso che il dominio di questo re realizzerà. La
pace universale sotto il suo regno è cosmica, poiché essa deriva dalla
«conoscenza di Dio [ J h w h ] » da parte di tutti (cioè: l’esperienza della
realtà personale di Dio attraverso una rivelazione). Questa conoscenza
può essere comunicata al mondo solo mediante Israele. Queste due idee
(la restaurazione della dinastia di Davide e lo scopo universale e religio
so della salvezza di cui la dinastia di Davide è il mezzo) probabilmente
appaiono qui combinate per la prima volta nell’Antico Testamento.
Che la speranza di una rinascita della dinastia sotto un nuovo sovra
no ideale non fosse limitata a Is, si vede in Mie 5,1-6: un contemporaneo
di Isaia, Michea, vede un nuovo Davide che viene da Betlemme per dare
al suo popolo sicurezza contro la minaccia degli Assiri. Altre e succes
sive allusioni alla restaurazione della dinastia di Davide fanno eco a
questi primi motivi con piccole modificazioni. Il «ramo» o «germoglio
giusto» di cui parla Geremia (23,5) sarà il re-salvatore il cui nome affer
merà la giustizia (cioè: la volontà di salvezza) di Dio. La restaurazione
della dinastia appare anche in Ger 30,9.21. La dinastia di Davide è il
ramoscello di cedro che Ezechiele vede piantato da Dio (17,22) e nel
nuovo Israele Davide sarà ancora una volta re (34,23; 37,24). Ezechiele
tuttavia non enfatizza la funzione del re come salvatore; questa esitazio
ne può riflettere gli eventi storici a lui contemporanei, vale a dire la ca
duta della nazione e l’esilio del re davidico. La monarchia appare in
Ezechiele semplicemente perché è un’istituzione israelita, senza la qua
le il profeta non può concepire Israele. Parecchi interpreti si sono chiesti
172
se un ritomo di Davide in persona non sia implicato in questi passi di
Ezechiele, ma una tale implicazione non è immediatamente ovvia; il no
me infatti può designare la dinastia.
3. T erzo stadio :
d all ’ esilio AI TEMPI DEL NUOVO TESTAMENTO
173
mi regali, Isaia) venivano ora rilette con questa nuova comprensione
messianica nella mente.
Se il carattere definitivo dell’azione del Messia è chiaro, il carattere
escatologico è solo parzialmente discernibile. Non c’è alcuna testimo
nianza chiara che il Messia fosse pensato come una figura trascendente
la cui missione sarebbe andata oltre la realtà della storia. La sua opera
sarebbe stata una manifestazione definitiva del potere di Dio, che avreb
be reso superfluo ogni ulteriore atto salvifico di Dio. Questa azione sal
vifica non sarebbe stata opera di normali forze storiche, ma quel tipo di
visibile travolgente potere di Dio nella storia già sperimentato nell’eso
do. Per quanto sappiamo, comunque, si aspettava che quest’irruzione e
questa liberazione si compissero in circostanze storiche, anche se a volte
l’anticipazione del Messia può aver assunto alcune connotazioni apoca
littiche.
In certi passi veterotestamentari tardivi il concetto del re-salvatore
ha subito un’interessante trasformazione. Nell’ultima parte di Zaccaria
(9,9ss: scritta nel IV secolo?) spariscono i tratti guerrieri e il suo regno
porta pace universale. Egli è lo strumento della salvezza di Dio, ma la
salvezza è opera di Dio stesso. Il re ha anche perso le connotazioni della
regalità. Comunque questa non è una visione universalmente accettata
del Messia; infatti nell’opera apocrifa molto posteriore (I secolo a.C.),
I Salmi di Salomone, c’è una forte mescolanza di politico e di spirituale
nel rappresentare un Messia che porterà i Gentili sotto il suo giogo.
Dalla frequenza e dalla spontaneità con cui la questione del Messia
appare nel Nuovo Testamento (Me 8,29; 14,61; Gv 1,20; 4,25; ecc.),
nonché dalla testimonianza di antichi scritti giudaici, siamo sicuri di po
ter ritenere che, nel periodo intertestamentario, l’attesa del Messia dove
va essere nota alla maggior parte dei giudei, la condividessero o no.
L’ultima frase è necessaria, in quanto dal I secolo d.C. molti avevano
perso la fede nella dinastia davidica, che non aveva governato per cin
quecento anni. Di fatto c’erano libri giudaici che trattavano questioni
escatologiche senza neppure menzionare il Messia. Spesso inoltre l’at
tesa del Messia era accompagnata da alcune delle altre aspettative pre
cedentemente menzionate. Per esempio, a Qumran i membri della setta
aspettavano la venuta del profeta, del messia davidico («il Messia d’I
sraele») e del Sacerdote unto («il Messia di Aronne»). In realtà può es
serci stato un amalgama, in una figura composita, del Messia con altre
figure salvifiche, per esempio con il Figlio dell'Uomo.
Certamente questo accadeva nella descrizione cristiana di Gesù, ma
le testimonianze sono abbastanza incerte per determinare se questo ac
cadesse nel giudaismo pre-cristiano. La combinazione di Messia, Figlio
174
dell’Uomo, Prescelto o Eletto di Is si verificò nella sezione di «Parabo
le» di 1 Enoc; ma questa sezione della letteratura enochica, presenta
un’esasperante difficoltà per la datazione e si discute molto per stabilire
se sia stata composta o solo edita da redattori cristiani. Fino a qui non
abbiamo una chiara testimonianza di una descrizione precristiana di un
Messia sofferente (il giudaismo posteriore presenta un Messia, discen
dente da Giuseppe, che è una vittima). Il lettore cristiano deve guardarsi
da un’istintiva tendenza a interpretare l’attesa giudaica del Messia alla
luce della vicenda e della persona di Gesù. In realtà il concetto giudaico
di Messia doveva subire considerevoli modificazioni prima che potesse
essere applicato a Gesù4; da qui la riluttanza di Gesù ad accettare il titolo
senza precisazioni.
La modalità dell’avvento del Messia era un motivo di speculazione
nel giudaismo primitivo. Come lo avrebbe riconosciuto il popolo? In al
cuni passi del Nuovo Testamento (Mt 2,4-6; Gv 7,42) possiamo coglie
re l’aspettativa popolare secondo cui sarebbe nato a Betlemme, la città
di Davide, e la sua nascita sarebbe stata nota a tutto Israele. Ma in altri
passi (Gv 7,27; 1,31, Me 8,29) emerge l’idea che il Messia sarebbe stato
nascosto, poiché la gente non poteva sapere quando sarebbe venuto e lui
avrebbe potuto stare in mezzo a loro senza essere riconosciuto - un at
teggiamento nei confronti del Messia attribuito anche all’antagonista
giudeo nel Dialogo con Trifone (8,4; 110,1), un’opera di Giustino del
II secolo d.C.
* * *
175
berazione politica, lo avrebbe fatto solo in virtù del carisma e del potere
di Dio: perciò le sue azioni salvifiche non sarebbero mai state meramen
te politiche. Nel suo regno avrebbe portato a Israele il governo ideale di
Dio stesso. Il fatto che la salvezza mediata dal Messia abbia uno scopo
al di fuori di Israele è meno frequentemente menzionato ed è spesso vi
sto sciovinisticamente.
176
SE C O N D A PARTE
I SAPIENTI
M arcello M il a n i
C apito lo 1
Q U A D R O STORICO.
D A L L ’ESILIO B AB ILON ESE
AL N U O V O TESTAMENTO
1. Il r it o r n o
1 Per una bibliografia generale, si vedano le indicazioni alla fine della secon
da parte di questo capitolo, pp. 18 3 -18 4 .
179
Appare la tensione tra due gruppi rivali, la diaspora in Babi
lonia, che si ritiene l’erede legittima della tradizione religiosa, e i
residenti nella terra. La diaspora è con il re: è la fine della monar
chia, ma Geremia è per i deportati, il re è ritenuto legittimo (cf.
2Re). La tensione si accentuerà al rientro dall’esilio, mentre si
svilupperà una nuova definizione degli appartenenti alla comuni
tà: gli osservanti della legge (cf. Trito-Isaia e i proseliti). La co
munità avrà due poli stabili, Gerusalemme o la terra e la diaspora.
b) Il ritorno. Il testo dell’editto di Ciro (538 a.C.) presenta dati
contrastanti in Esd 1 e 6,3-5 (aramaico). Viene emesso dopo la
vittoria di Ciro su Nabonido, ultimo re babilonese (539). Le liste
dei rimpatriati contengono l ’idea di purezza o l’intento di definire
i puri appartenenti alla comunità; il numero dei rimpatriati dovet
te essere modesto. Due figure emergono: Sheshbatzar e Zoroba-
bele (discendente di Davide), la cui relazione non è ben definita;
entrambi erano «governatori» di Giuda e ricostruttori del tempio.
I testi parlano anche degli oppositori alla ricostruzione: il gruppo
dei sincretisti (lotta contro i puri, vengono perciò squalificati: Esd
4,1-6, cf. 2Re 17,24ss) e il governatore della regione transeufra-
tica (Esd 5,3ss).
c) Fatti nuovi verso il 520: esterni (campagna di Cambise contro
l’Egitto; vi partecipano anche ebrei, che si rendono conto della
situazione disagiata di Gerusalemme) e interni (tre forze conver
genti: profetica con Aggeo e Zaccaria, sacerdotale con Giosia, ci
vile con Zorobabele). Inizia la ricostruzione del tempio: dal 6°
mese del 520 (2° anno di Dario) all’inizio del 515.
180
- Due situazioni: diaspora e patria, con il problema dei rapporti
tra rimpatriati e residenti; vi si aggiungevano la presenza di al
tre popolazioni e forti tensioni sociali (cf. Trito-Isaia, Esd, Ne).
181
- Attività : ricostruzione delle mura (Ne 2-7); « sinecismo » (porta
in città un decimo degli abitanti della campagna, creando lega
mi di parentela tra le due parti, 11,1-3); remissione dei debiti e
della schiavitù; osservanza della legge: il sabato, proibizione
dei futuri matrimoni misti (contrasto con il sacerdote Eliashub,
che viene cacciato), obbligo tributario verso il tempio.
- Valutazione d e ll’opera. Opera su un territorio esiguo (Gerusa
lemme e dintorni, cioè Giuda, donde popolo «giudaico», giu
dei, giudaismo), ma determina un ordinamento giuridico am
m inistrativo (culto e legge, 13,10.14.28) e soprattutto dà
u n ’impronta alla vita quotidiana e sociale (osservanza della
legge), che diventerà punto di riferimento per il giudaismo po
steriore. Mantenne equità e indipendenza dalle fazioni. Non si
conosce la sua fine. Siracide lo elogia, mentre dimentica Esdra
(Sir 49,13).
3. L ’ e l l e n i s m o : c o n v iv e n z a e s c o n t r o c o n il g iu d a is m o
* I fatti:
- Verso il 300 a. C. Alessandro M agno conquista l’Oriente Anti
co. G li succedono i Diadochi che si spartiscono il territorio
(Antigono, Seleuco, Tolomeo). Si impone una nuova cultura
universalistica, l’ellenismo.
- In Israele avviene lo scisma samaritano e il libro del Cronista
rivela l ’atteggiamento nei loro confronti: esclusività di Gerusa
lemme, omette ogni stima per il Nord, centralità del tempio e
del suo culto, la gola è depositaria delle tradizioni.
- I Tolom ei sono i primi dominatori: gli ebrei in «Palestina» go
dono di autonomia; sacerdoti e nobili sono opposti agli hasi-
dim; in diaspora: inizia la traduzione della Bibbia in greco, la
L X X ; lingua, nomi e cultura greci; vincolo con il tempio, uni-
versalizzazione del giudaismo.
- I Seleucidi e il conflitto maccabaico (l-2Mac). Scoppia con
Antioco IV Epifane che vuole imporre l ’ellenismo. Rivolta
maccabaica: Giuda «maccabeo» è l’eroe principale. Seguono
Gionata, Simone, Giovanni Ircano. Sorge la dinastia degli
182
«Asmonei»: Salome Alessandra e il figlio Alessandro Ianneo
che accoglie l ’ellenismo, in opposizione a farisei e sadducei.
Persegue l ’indipendenza politica, mentre gli altri partiti si ac
contentano della pace religiosa; sacerdozio e regalità sono as
sunte nelle mani della stessa famiglia, che però non è in diretta
linea sadokita. Valutazione sugli Asmonei: da antiellenisti con
gli hasidim, a filoellenisti; prevale la linea politica. Saranno
soppiantati dalla famiglia di Erode.
B ib liogra fia
183
L iv e r a n i M., Oltre la Bibbia. Storia antica di Israele, Laterza, Bari
2 0 0 7 6.
M a ie r J., Il Giudaismo del secondo tempio. Storia e religione (Bibliote
ca di cultura religiosa, 59 ), Paideia, Brescia 1991 (l’edizione italia
na, a cura di B. Chiesa, è forse migliore e più completa di quella
tedesca: Zwischen den Testamenten. Geschichte und Religion in
der Zeit des zweiten Tempel, Echter, W urzburg 1990 ).
M e t z g e r M ., Breve storia di Israele, Queriniana, Brescia 1985 , pp. 153
167 (Babilonia), pp. 169-180 (Persia).
S a c c h i P ., Storia del secondo tempio. Israele tra VI secolo a.C. e I se
colo d.C., S e i , Torino 1994 .
— (a cura), Apocrifi dell’Antico Testamento, voi. IV: Letteratura giu
daica di lingua greca, a cura di L. T r o ia n i (Biblica. Testi e studi, 5 ),
Paideia, Brescia 1 997 .
S a u l n ie r C. - P e r r o t C., Storia d ’Israele. Dalla conquista di Alessan
dro alla distruzione del tempio, voi. Ili, Boria, Roma 1988 .
S o g g in J., Storia d ’Israele. Dalle origini a Bar Kochbà (Biblioteca di
cultura religiosa, 4 4 ), Paideia, Brescia 1984 (2 0 0 2 2).
184
C a p ito lo 2
LA SAPIENZA
I - CONCETTI G E N E R A LI
Saggi in Israele
185
eventi della storia (profeti) o il tempio e la torah (sacerdoti). Ten
teremo di definire la sapienza in maniera descrittiva, in base al
metodo, alle forme letterarie, ai caratteri che essa assume1.
Definizione di sapienza
Per sapienza si intende il complesso di valori che pervadono
la vita di ogni popolo, lo tengono unito e ne determinano l’iden
tità. Si manifestano nella cultura, nelle correnti di pensiero, nella
fede e nella vita morale di ogni comunità. Essa si propone come
via per il raggiungimento di una vita equilibrata, armonica e sod
disfacente; mira allo sviluppo di tutto l’uomo in tutte le sue di
mensioni (cfr. Pro 2,1-22). Lo scopo è dunque di conoscere e do
minare la complessità delle cose, scoprirvi regole, onde permette
re un loro uso razionale ed efficace, trame dei valori che diano
significato e ordine all’esistenza umana.
Il metodo è induttivo. Parte dal basso, dall’uomo, dal suo de
siderio di conoscere (cf. Sir 14,20-27), parte dall’esperienza, os
sia dalla riflessione sulla vita e la realtà. Oggetto di indagine so
no: l’individuo nella sua vita, morte, educazione, dolore; elemo
sina, uso della lingua, banchetti, amore, am icizia, donna,
famiglia...; i temi dell’uomo, del cosmo, della cultura2.
Nella consapevolezza, tuttavia, che la realtà rimane spesso
misteriosa e indecifrabile, enigmatica e sfuggente a una piena
comprensione (cf. Gb 28). Una nuova esperienza può contraddi
re, invalidare o relativizzare le altre. E necessaria dunque una
lunga osservazione, una verifica a lungo termine, per più genera
zioni, prima di individuare una regola o una «legge».
186
Generi letterari o forme espressive della sapienza3
I «princìpi» ritrovati mediante l ’osservazione della realtà era
no tradotti e sintetizzati in detti e testi letterari per facilitare la
trasmissione e la comunicazione della cultura. Per introdurci leg
giamo i primi versi del libro dei Proverbi (Pro 1,1-7; cf. anche Sir
1,1-10). Accanto a termini di tipo pratico e intellettuale, incon
triamo qualità morali, come giustizia, probità e rettitudine (sedeq,
mispat, mesarfm). Il testo conclude con l’aspetto religioso, quin
di precisa il compito del saggio: comprendere proverbi (mas al) e
allegorie (melisàh), le massime dei saggi e i loro enigmi (hidót,
«le cose nascoste»). Queste espressioni ci introducono ai «generi
letterari», che tentiamo di elencare4.
Il masal-proverbio
E la forma più frequente. L ’origine e il significato del termine
ebraico, masal, sono discussi; il greco traduce con paroimiai (che
potrebbe essere reso anche con «parabola», «similitudine») e il
latino con proverbia. Si riferisce comunque a detti o sentenze
brevi, ben costruite, talora condite di arguzia (il proverbio inse
gna scherzando, cf. Pro 26,13-15), di facile memorizzazione, in
187
cui è sintetizzata l’esperienza o l’osservazione. Spesso la sinteti
cità della formula sfugge a un’interpretazione precisa, il suo si
gnificato rimane aperto a seconda dei contesti in cui è inserito.
Non contiene solo descrizioni, sovente esprime un giudizio di
valore, del tipo: «è bene, non è bene, è meglio, beato, è abomine
vole», riconoscendo con ciò nell’uomo libertà e consapevolezza.
Il sacrificio degli empi è in abominio al Signore,
la supplica degli uomini retti gli è gradita.
La condotta perversa è in abominio al Signore,
egli ama chi pratica la giustizia (Pro 26,8-9, cf. Sai 11,5-7).
188
* I proverbi comparativi implicano una valutazione del tipo, «è
meglio, vale di più»:
Meglio abitare su un angolo del tetto,
che con una moglie litigiosa in una grande casa (Pro 21,9).
Meglio un amico vicino che un fratello lontano (Pro 27,10).
Meglio poco con il timor di Dio
che un gran tesoro con l’inquietudine (Pro 15,16).
189
* Ricordiamo, infine, i proverbi numerici, che forse sono la ri
sposta a un indovinello in forma di domanda. Essi esprimono una
volontà ordinatrice di cose identiche secondo un certo aspetto,
ma nettamente differenti (ad es. l’enigma), e attirano l’attenzione
sull’ultimo elemento (cf. Pro 30,15-33 e Ben Sira 25,1-2.7-11;
26,5-6.28).
La risposta è:
Che c’è di più dolce del miele?
che c’è di più forte del leone? (Gdc 14,14.18).
190
la parabola di Natan a Davide sulla «pecorella- moglie», 2Sam
12,1-12, e il Vangelo).
5 Tra le altre forme espressive sapienziali dobbiamo ricordare gli inni alla S
(cf. Gb 28; Sir 24) e a Dio che si rivela nella creazione, e il mito, in quanto tenta di
fissare le categorie fondamentali dell’uomo e della realtà. Ricordiamo poi le liste
di nomi (geografici, di famiglie, di alberi, ecc.), per catalogare la realtà; i racconti
autobiografici o confessioni: l’autore impegna la propria esperienza (cf. Qo); i
poemi alfabetici (Pro 31 e Sir 51,13ss: alla sapienza sposa); le preghiere: suppli
ca per la S (Sap 9); preghiere diverse in Ben Sira: supplica (36,lss), inni (42,15
43,33), lode (51,1-12), dossologie (39,32ss; 43,27-33). Infine, sono da segnalare
i midras storici in Ben Sira (Inno ai Padri, 44-50) e sapienza (rilettura dell’Esodo
e delle origini, 10-19).
191
Il mondo della sapienza e i suoi rappresentanti
Ambiente sapienziale è anzitutto la famiglia, che custodisce e
trasmette la sapienza «popolare» con le sue tradizioni e detti. Un
esempio può essere colto nella istruzione di Tobi al figlio (Tb
4,5ss). Si tratta di esortazioni riguardanti la propria sepoltura,
ma poi anche dell’onore dovuto alla madre, l’elemosina, l ’onestà,
la rettitudine, la scelta della moglie, l ’amore dei fratelli, il giusto
salario. Per concludere con la «regola d ’oro» in forma negativa
(«Non fare ad altri quello che a te non piace», v. 15), l’aspetto
religioso e l’ammonizione finale: «tieni a mente tutti questi avvi
si, fa’ che non si cancellino mai dal tuo cuore» (v. 19).
M a il tipico mondo sapienziale è formato dalla scuola e dalla
corte reale. La ragione è impegnata e provocata nella sua capacità
di selezione e decisione. La scuola trasmette cultura, offre gli
strumenti essenziali della conoscenza, insegna a osservare il
mondo, sia essa collegata all’ambiente sacerdotale (Mesopota
mia) o a quello regale (Egitto). Corte e sacerdozio sono i due am
bienti che maggiormente riflettono, anche in Israele, una cultura
raffinata ed estesa. Si pensi all’opera di Ezechiele e alla redazione
del Pentateuco di ambiente sacerdotale, o alla raccolta dei Pro
verbi da parte dei funzionari del re Ezechia.
Nel percorso formativo assume particolare importanza la fi
gura e il ruolo del maestro che diventa «padre» nei confronti del
discepolo, come dimostrano le numerose sezioni didattiche che
iniziano con «figlio m io», soprattutto in Proverbi e Siracide6.
Egli esercita una specie di autorità patema, perché nell’opera di
insegnamento egli «genera» il giovane discepolo, aiutandolo a
diventare adulto, capace di discernimento, giudizio e scelte. Allo
ra questi potrà accostarsi con sapienza a tutte le discipline, com
presa la Scrittura che leggerà con intelligenza e originalità, inter
pretandone e attuandone il senso. Nel suo ruolo, il maestro si pre
senta anzitutto come testimone di docilità alla sapienza ed esige
per sé ascolto e obbedienza da parte del discepolo. Si ritiene an
192
che interprete di una sapienza superiore. Perciò, nel suo insegna
mento Pro 1-9 introduce tre interventi della sapienza stessa che si
rivolge direttamente a tutti gli uomini con un messaggio di stile
profetico e sapienziale; in tal modo il maestro rivendica a sé la
stessa autorità della Torah ed esige la medesima attenzione e ob
bedienza.
Siracide offre un quadro articolato del rapporto discepolo
maestro. Egli stesso considera come suo ideale non operare per
se stesso, ma comunicare la sapienza, diffonderla lontano, nello
spazio e nel tempo, a quanti cercano l ’istruzione e trasmetterla
in tutta la sua ricchezza. Si ritiene un testimone degno di fede e
un modello per i discepoli (cf. le sezioni autobiografiche): si è
fatto discepolo della sapienza (Sir 24,28-34), più ancora, si è in
namorato di lei (51,13-21), perché essa possa giungere per suo
mezzo ai discepoli. Alla fine, esorta tutti gli inesperti a rivolgersi
a lui e a dimorare nella sua scuola, la «casa dell’istruzione» ( bét
midrash ), per acquistare gratuitamente la sapienza con la quale si
immedesima (51,23-27). Per diventare saggio occorre avere pa
zienza e costanza: con cura scegliere un maestro e affidarsi a
lui, seguirlo con zelo, alzarsi presto al mattino, attenderlo, fre
quentarlo ogni giorno, «fino a consumare la soglia» della sua ca
sa, sottomettersi a lui e attuare i suoi consigli (Sir 6,18-37); accet
tare l’inevitabile prova, usando i mezzi per superarla (2,1-18; cf.
4,11-19), e la disciplina - il «giogo» - che per mezzo di lui la sa
pienza impone (6,18-31, cf. 51,26); infine, meditare assiduamen
te e con sapienza la Torah, i suoi precetti, o il timore di Dio
(6,37). In primo piano è l’ascolto: diventa cosi importante che
Ben Sira invita i discepoli a frequentare gli anziani saggi per
ascoltare (6,23.34-35) 1. In tal modo, potranno realizzare la vita
umana e spirituale.
Il libro della Sapienza si rivolge ai potenti (Sap l,2ss), figure
fittizie per indicare i giovani delle famiglie borghesi affidati all’e
ducazione. La figura del maestro è rappresentata implicitamente
193
in Salomone adulto che riflette su come nella sua giovinezza egli
abbia ottenuto la sapienza, perché anche i giovani ottengano la
regalità della sapienza: il re è il saggio (cf. Pro 4,9; Sir 4,15;
6,30-31).
La corte reale è il luogo della diplomazia e della politica, do
ve operano i consiglieri dai quali dipende il buon governo e an
che l’esito felice o meno della guerra, e dove avviene la raccolta
delle tradizioni nazionali, dei poemi o anche della sapienza popo
lare. Tra le figure dei «saggi» emerge quella del re, soprattutto la
figura di Salomone (cf. IR e 3,4-15; 5,9-14; 10,1-13), al quale
furono attribuiti i libri di Proverbi, Qohelet e Cantico dei cantici,
e, più tardi, il libro «deuterocanonico» della «sapienza di Saio-
m one»8.
Hàkam9
I termini «sapienza» e «saggio» derivano dal latino sapere,
percepire, comprendere e assaporare, che corrispondono al greco
sophia e sophós\ in ebraico i termini più frequenti sono Hókmàh
e Hàkam.
Hàkam assume diversi significati e forme.
- Come aggettivo predicativo viene tradotto con «saggio», ma
contiene altre sfumature: «competente, abile, al corrente» in
un certo settore o in un suo atteggiamento; connota destrezza,
maestria e perizia, ossia doti di abilità pratica. In antitesi sono:
stolto, sciocco, ignorante, dissennato, incapace, inesperto, in
sensato, impudente, orgoglioso, beffardo, insolente.
194
- Come aggettivo sostantivato , «il saggio», indica semplicemen
te un comportamento, opposto allo stolto, oppure designa delle
istituzioni di tipo politico (saggi sono il re e i suoi consiglieri,
accanto ai sacerdoti e ai profeti, cf. Ger 18,18; Pro 11,14:
20,18; 24.4-5) o didattico (persone dedite all’insegnamento o
alla compilazione di proverbi didattici: il «maestro», l’erudito,
l ’intellettuale, la cui parola è «come pungolo, come chiodi
piantati», con compito pedagogico, cf. Qo 12,11).
Ben Sira offre un quadro ideale del «saggio» e della sua atti
vità (Sir 39,1-11). Riassume diverse attività e dimensioni, inte
grando l’aspetto religioso:
- attività pedagogica: è lo scriba che tramanda e attualizza la tra
dizione religiosa e civile;
- attività intellettuale, conforme al metodo della sapienza clas
sica;
- attività politica e di governo, dimensione internazionale (i
viaggi);
- profonda sensibilità religiosa.
195
tra fatto-effetto, sottolineando la trascendenza di Dio di fronte a
ogni pensiero umano al riguardo, mentre il Libro della Sapienza
assume la dottrina della vita dopo la morte come chiave per trat
tare con istanze di una retribuzione (in)giusta, dovuta ma non
presente in questa vita10.
In uno sguardo complessivo, per materia e stile, sembra utile
la descrizione di alcuni caratteri comuni: la dimensione intema
zionale, l ’attenzione all’individuo e, quanto al contenuto, la di
stinzione che Di Leila propone riguardo a Ben Sira tra sapienza
pratica e sapienza teorica e teologica11.
196
mai con il tempo essa assunse in Israele un carattere particolare a
contatto con la fede in J h w h 12.
197
tempi e le circostanze. Ricerca, riflessione, ascolto costituisco
no la richiesta fondamentale del maestro al discepolo, perché
divenga ragionevole e interiormente convinto, responsabile e
ponderato nelle decisioni.
D om inio p e r umanizzare, che si esprime nelle relazioni umane
correttamente impostate, nella solidarietà e nella ricerca del be
ne comune. Talora possiamo ravvisarvi eccessiva cautela, ma
il saggio cerca di individuare le regole del comportamento
umano. E il concetto di saddiq, colui che sa «integrarsi» nella
comunità e ne favorisce il buono sviluppo. La malvagità è in
capacità di integrazione con l’uomo e il mondo. Corrompe la
vita personale e quella della comunità. Sai 1, di stile sapienzia
le, rappresenta con efficacia la contrapposizione tra giusto ed
empio nelle immagini dell’acqua e dell’albero da una parte e
del vento e della pula dall’altra, cioè della vita e della morte,
della consistenza o inconsistenza, del ritrovamento della co
munità o del dissolvimento nel nulla e nell’isolamento.
- Utopia e realismo. F, capacità di far progetti con gradualità, va
lutando le possibilità (cf. anche la parabola del previdente co
struttore e del re che deve affrontare un esercito più forte, Le
14,28-32; il calcolo è la rinuncia a tutti i beni per divenire di
scepoli di Gesù). E pazienza (in Pro si condannano spesso gli
impazienti-irosi, «i corti di respiro!»), ricerca del «possibile»,
progressione umile e appassionata attraverso il mistero.
Si obietterà: sono troppo umani e limitati! Non si può negare
talora l’impressione di una cultura superata. Ma bisogna valoriz
zare anzitutto il metodo e lo stile. Il pensiero dei saggi si fa sem
pre più complesso, riflessivo e impegnato su diversi fronti, per
accogliere i problemi senza scansarli con autosufficienza, fatto
che nasconde spesso la paura o l’incapacità di affrontarli! I saggi
ci insegnano la fatica e la bellezza della ricerca, la verifica perma
nente e la positiva coscienza del limite.
198
di discernimento, sofferenza dell’innocente e prosperità del per
verso. Non si può accettare l ’assenza di senso, l ’assurdo o la
mancanza di speranza. Continua il metodo sapienziale che parte
dalla massa di esperienze e integra sapienza e fede mediante do
mande reciproche.
Emerge una nuova figura di «saggio», che usa il metodo sa
pienziale applicandolo ai dati di fede. Nasce il sofer, «scriba».
Egli « cerca D io » (Sai 14,2) e ama la sapienza, stabilisce con
essa una relazione d ’amore, la fa sua sposa (cf. Pro 31; Sir 6;
51; Sap 8,1-16), se l ’«acquista» gradualmente mediante un se
vero tirocinio fatto di indagine sulla realtà e sulla tradizione, di
riflessione sulla Torah e i suoi precetti (Sir 6,37; 39,1-3; Sai 1,
2), di preghiera (Sir 39,5; Sap 9).
- Riflette sui dati di fede e li giustifica razionalmente (cf. Qo
4,17-5,2): è una prassi religiosa consapevole e critica. Concen
tra la sua attenzione sul «mistero» del mondo e di Dio (Gb, Qo
e Sir).
- Si interroga sull’origine della sapienza. Diviene carismatica,
ossia una rivelazione divina, dono speciale di Dio per conosce
re il mondo e, nei suoi segni, Dio stesso (= rivelazione «natu
rale»).
Emergono nuovi aspetti della sapienza.
- E attributo divino. D io è il Saggio, l’unico saggio (Sir 1,8-9;
15,18; Pro 8,21-30): crea e governa il mondo con sapienza (Is
31.1-2; Gb 12,13; 38-40; Ger 10,12; Sai 104,24; Sir 15,18; Sap
9; ecc.), dona sapienza a ll’uomo (Sir 1,1; Gn 41,16.39; Es
31.1-11; 35,30-35; Dan 1.7; 5,14), anzitutto al re (Is 11,2;
IRe 3,4-15), la diffonde su tutte le creature (Sir 1,9; 24,lss).
- Personificazione della sapienza (Pro 1; 3; 8; Sap 8; Sir 51 ;6). È
la «sposa» del saggio, testimone e collaboratrice di Dio nella
creazione e nel governo del mondo e dell’ordine sociale. Di ri
torno, impegnandosi nel mondo e contemplandolo, l’uomo
può scoprirvi i segni della sapienza di Dio. Il mondo non è
«neutrale», ma si rivolge a ll’uomo, gli parla, lo interroga e
istruisce. Anzi le creature del mondo sono veicoli di salvezza
(Sap 1,13-16; 2,21-24) e combattono per il giusto contro il
malvagio (Sap 5,14-23; 19,1 Oss).
199
—La sapienza e la Torah (Sir 24,23; Bar 4,1-4). La tradizione re
ligiosa di Israele è autentica sapienza (cf. anche Dt 6,6). Non in
contraddizione, ma premessa alla sapienza e sua epressione più
alta, rappresentazione della sapienza stessa di Dio. Viene cosi
inclusa nella sapienza la tradizione religiosa e storica di Israele
(cf. Sir 44-50). Salomone è considerato il saggio per eccellenza
(cf. Sap 7-9) a partire dalle affermazioni di 1Re 3,14-15 (sogno
di Gabaon); 5,9-14 (la sua cultura); 10,1-13 (l’incontro con la
regina di Saba).
Il Nuovo Testamento continuerà l’opera di personificazione,
ravvisando in Gesù la «Sapienza incarnata» di Dio, creatrice e ri
velatrice, educatrice (Gv 1 = lògos; M t 11,19.28; Le 7,35). La
Sapienza divina si rivela nella sua persona, nelle sue opere e nelle
sue parole (miracoli, parabole, discorsi), nella sua «Legge». La
sua morte e risurrezione è sapienza e potenza di Dio (cf. ICor
1,18-31; 2,1-16)14.
B ib liogra fìa
200
1 libri sapienziali, in P. M e r l o (a cura), L ’Antico Testamen
M il a n i M .,
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Verbo Divino, Estella 1994).
M u r p h y R.E., L ’albero della vita. Una esplorazione della letteratura
sapienziale biblica (Biblioteca biblica, 13), Queriniana, Brescia
1993 (ed. inglese, Doubleday, New York 1990).
Preub H.D., Einfiihrung in die alttestamentiche Weisheitsliteratur (Ur-
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V a n e l A., Sagesse (courant de), in «DBS», XII ( 1986), coll. 4-58.
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Z e n g e r E. (ed.), Introduzione a l l ’A ntico Testamento, Queriniana, Bre
scia 2005 (ed. tedesca, Einleitung in das Alte Testament, Kohlham
mer, Stuttgart 20055), pp. 495-629.
II - I LIBRI SAPIENZIALI
I. T e m i e m o t iv i s a p ie n z ia l i p r e s e n t i n e l c a n o n e
I profeti
201
del vocabolario sapienziale, specialmente riguardo all’agricoltura
e all’insegnamento. Anche Amos usa la forma del masal e rivela
dimestichezza con i saggi. Esprime soprattutto la sapienza popo
lare del clan. Ugualmente in Geremia incontriamo diverse rifles
sioni sapienziali (cf. 17,5-11; 9,22-23, ecc.). Anche Giona rivela
un intento didattico: una domanda conclude il racconto.
I libri storici
202
Il libro di Rut, che precede il Cantico nella Bibbia ebraica,
presenta la moglie ideale (cf. Pro 31,10-31), prepara il tema del
l’amore e si inserisce nella linea delle promesse. Così Giuditta e
il racconto di Susanna (Dn 13), sotto apparenze storiche, sono di
dattici e hanno legami con i midrashim.
I Salmi
I salmi «sapienziali» o didattici (cf. Salmi) celebrano la Torah
(Sai 1; 19B; 119), danno semplicemente delle istruzioni (37; 91;
112; 127) o riflettono sul destino dell’uomo, la brevità della vita,
il senso del limite (49; 73; 90).
2. I LIBRI SAPIENZIALI
I Proverbi
È una raccolta di «detti» che riflettono epoche e ambienti di
versi, taluni non ebraici (es. Agur, Lemuel). La raccolta intende
radunare tutta la sapienza antica come testimone e riferimento e
tracciare l'itinerario di ogni uomo che intende agire per convin
zione personale.
In Pro 1-9 si susseguono dieci discorsi didattici: (1,8-19; 2,1
22; 3,1-20; 3,21-35; 4,1-9; 4,10-19; 4,20-27; 5,1-23 [6,1-19];
6,20-35; 7,1-27); a questi si aggiungono tre interventi della stessa
Sapienza personificata che si rivolge a tutti gli uomini e interpella
ciascuno con un messaggio di stile (e autorità) profetico-sapien-
203
ziale, ma anche in termini amorosi. In tal modo il maestro si ritie
ne interprete di una sapienza superiore con la quale mette in con
tatto16.
Pro 10,1-31,9 contiene la parte centrale del libro, organizzata
in sette collezion i che sembrano richiamare le «sette colonne»
scolpite dalla Sapienza quando costruisce la sua casa (Pro 9,1).
Due sono le raccolte maggiori, entrambe attribuite a Salomone:
10,1-22,6 e 25,1-29,27. Nella prima raccolta (Pro 10,1-22,16)
confluiscono alcune tra le più antiche sentenze. Gli autori vi di
stinguono due sezioni: 10-15; 16,1-22,16; nella seconda, al capi
tolo 16, che costituisce il centro attuale del libro, si concentrano
due tematiche: sentenze sul Signore (16,1-9) e sul re (16,10-15).
Seguono due collezioni «dei saggi» in forma di «consigli» per un
retto comportamento (22,17-24,22; 24,23-34), la prima delle
quali, nella prima metà (22,17-23,1 1), è ispirata all’insegnamento
di un saggio egiziano, Amenémope, collocabile tra il 1000 e il
600 a.C. circa.
Nella seconda raccolta, per opera degli «uomini di Ezechia»
(25-29), i capp. 25-27 si distinguono da 28-29.1 primi contengo
no i proverbi più belli e puri per stile e contenuto, che si rifanno a
paragoni atmosferici o cosmici; i secondi riflettono un intento re
ligioso con allusioni al Signore e all’osservanza della Legge (cf.
28,4.7.9; 29,18). Seguono tre brevi collezioni: proverbi di Agur
(Pro 30,1-14), proverbi numerici (30,15-33), parole della madre
al re Lemuel (31,1-9).
Il libro si conclude con l’elogio della «donna-moglie perfet
ta» (Pro 31,10-31) che nel testo ebraico è in stretto contatto con
le parole della madre di Lemuel (31,1-9). Questa infatti esorta
il figlio a evitare vino e cortigiane, elementi che turberebbero il
giusto giudizio, e a scegliersi una moglie adeguata che gli sia di
sostegno e aiuto, il ritratto della quale è descritto appunto nel
poema finale acrostico (31,10-31 ).
204
Giobbe
Il problema della sofferenza del giusto e l’immagine di Dio. Il
tema è: come parlare di Dio nella sofferenza. Giobbe, consapevo
le della sua innocenza, giunge ad accusare Dio per la sofferenza
ritenuta ingiusta. Alla fine, «in mezzo alla tempesta», Dio inter
viene a ricordare a Giobbe i limiti dell’umana conoscenza e pote
re. Scosso, Giobbe si inchina e rimane in silenzio. Il libro offre la
visuale israelitica di un problema universale e mantiene questo
suo carattere, perché Giobbe non è un israelita, ma un orientale
(1,3).
Qohelet
La «vanità universale» e i problemi posti al giudaismo dalla
nuova cultura greco-ellenistica. E uno dei libri più moderni e pro
vocatori della Bibbia per il tono che assume e per le questioni esi
stenziali che solleva. La tesi generale è che «tutto è vanità» (he-
bel), la realtà è sfuggente e precaria. A dispetto dell’indagine e
del dire del saggio, l’ordine e il significato delle cose e della vita
stessa sono al di là dei limiti della ragione umana. Tuttavia, « l’i
dea della morte non relativizza la gioia, anzi la giustifica e la raf
forza» (N. Lohfink). Dio non ci opprime con il pensiero della
morte e Qohelet invita al distacco che relativizza una realtà in
consistente, per affermare il primato del timor di Dio.
205
La linea sapienziale si prolunga, tra gli altri, a Qumran, in Pir-
qé Abòt (giudaismo), in Giacomo e nei Padri apostolici (Didaché,
ecc.: sapienza cristiana).
B ib liogra fìa
206
che mette in risalto il valore letterario e linguistico, e soprattutto i
vari linguaggi convergenti nel libro; J.G. J a n z e n , Giobbe (Strumen
ti 15, Commentari), Claudiana, Torino 2003 (or. ingl. J o b , John
Knox Press, Atlanta 1985); AA.VV., Il libro di Giobbe, «Parole di
Vita» 48 (2/2003); G. C a p p e l l e t t o , Giobbe. L 'uomo e Dio si incon
trano nella sofferenza, Messaggero, Padova 2005.
Qohelet: L. Di Fonzo, Ecclesiaste, Marietti, Torino 1967; G. R avasi,
Qohelet, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1988; A. B on ora, Il libro
di Qoèlet, Città N uova, R om a 1991; V. D ’A la r io , Il libro di Qohe
let. Struttura letteraria e retorica (Suppl. R iv B ib lt 27), Dehoniane,
Bologna 1992; N. Lohfink., Qohelet, Morcelliana, Brescia 1997 (ed.
tedesca 1980: commentario con interpretazione positiva d ell’auto
re); J. V ilc h e z Lindez, Ooèlet, Boria, R o m a 1997 (ed. spagnola
1994: il più sviluppato commentario esistente in italiano; posizione
interpretativa m edia, con am pia panoram ica delle interpretazioni
dei singoli versi); R. L a v a to ri - L. Sole, Qohelet. L'uom o dal cuore
libero, Edb, Bologna 1997; G. B e llia - A. Passaro (a cura), Il libro
del Qohelet. Tradizione, redazione, teologia, San Paolo, Cinisello
Balsamo (MI) 2001 ; L. M azzinghi, Ho cercato e ho esplorato. Studi
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Pont. Istituto Biblico, R om a 1975; A . M inissale, La versione greca
del Siracide (Analecta B iblica 133), Pont. Istituto Biblico, R om a
1995; Idem, Siracide. Le radici nella tradizione (LoB 1.17), Q ueri
niana, Brescia 1988; A. N icacci, Siracide o ecclesiastico. Scuola di
vita p e r il popolo di Dio (La B ibbia nelle nostre mani, 27), San Pao
lo, Cinisello Balsamo (M I) 2000 (sintetica presentazione del libro);
N. Calduch-Benages, Un gioiello di sapienza. Leggendo Siracide 2
(C a m m in i nello Spirito, B ib lica 45), Paoline, M ilan o 2001; A A .
W . , Il libro del Siracide, «Parole di V ita» 48 (4/2003); M .C . P a l
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36H J -17 (Analecta Biblica 163,) Pib, Rom a 2006.
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Rilettura e attualizzazione (Suppl. RivBiblt 15), Edb, Bologna
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ghi, Notte di paura e di luce. Esegesi di Sap 17, 1- 18,4 (Analecta
Biblica 134), Pont. Istituto Biblico, Roma 1995; M . G ilb e r t, La
207
sapienza dì Salomone, Adp, Rom a 1995 (divulgativo, ma con otti
me osservazioni di un competente); cf. Idem, Sagesse de Salomon
(ou liv re d e la Sagesse), « D B S » X I ( 1986 ), pp. 5 8 - 119 ; G. Scarpat,
Libro della Sapienza, 3 voli, Paideia, Brescia 1 989 . 1994.1999 (vo
lum inoso com m ento che contiene m olti testi di confronto con il
m ondo ellenistico, soprattutto con Filone; l ’autore sposta la data
d ell’opera molto in alto, a ll’epoca cristiana); A. Schenker, Il libro
della Sapienza (Guide spirituali a ll’Antico Testamento), Città N u o
va, R o m a 1 9 9 6 ; L. M a z z i n g h i , Il libro della sapienza (La B ibbia
nelle nostre m ani), Paoline, Cinisello Balsam o (MI) 1 9 9 7 ; M .V.
Fabbri, Creazione e salvezza nel libro della Sapienza. Esegesi di
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libro della sapienza. Tradizione, redazione, teologia (Studia B ib li
ca 1), Città Nuova, R om a 2 0 0 4 .
Ili - TESTI, T E M I,
P R O B L E M I D E L L A S A P IE N Z A 17
A) C O N O SC E N ZA E T IM O R E DI D IO
208
1. Le fo rm u le
Pro 1,7:
Il timoredi Jhwh è inizio della conoscenza (re ’s it da ’at)
sapienza (hokmà) e disciplina (musar) gli stolti disprezzano.
Pro 9,10:
Inizio della sapienza (fh illa t hokmà) è il timore di Jhwh
e conoscenza del Santo (da ’at qedósim )n è intelligenza (bina).
Pro 15,33:
Il timore di Jhwh è educazione19 alla sapienza (musar hobnà)
e davanti alla gloria sta l’umiltà ( 'anàwà).
Sai 111,10:
Inizio della sapienza (resti hokmà) è il timore del Signore,
ha una sana ragione chiunque la pratica;
la sua lode dura per sempre.
Gb 28,28:
E disse [Dio] all’uomo:
Ecco: il timore del Signore è sapienza (hokmà)
ed evitare il male è intelligenza (bina).
Sir 1,14.16.18-19.20 G:
Inizio della sapienza (arché sofias) è temere il Signore,
essa fu creata con i fedeli nel seno materno.
Pienezza- apice (plesmoné) di sapienza è temere il Signore, essa ine
bria di frutti i propri fedeli.
Corona (stéfanos) di sapienza è temere il Signore;
essa fa fiorire pace e buona salute.
Radice (riza) di sapienza è temere il Signore,
e i suoi rami sono abbondanza di giorni.
18(Tdósìm è plurale excellentiae per indicare «il Santo» per eccellenza (cf.
30,3: «la conoscenza del Santo [non] conosco»; Os 12,1; Is 6,3; Sai 99).
19Testo discusso: L X X sembra leggere musar wehokmà cf. 1,7 e 1,3 che
hanno però i termini invertiti: hokmà iimùsar, Bhs propone mùsad hokmà cf. Is
28,16 o mósad hokmà cf. Pro 8,29, «fondamento, base» della sapienza. E prefe
ribile il testo originale, intendendo con musar «insegnamento, educazione, scuo
la» (cf. Von Rad: «insegnamento della sapienza» o Alonso-Vilchez: «scuola di
saggezza»).
209
2. A n a lis i e s ig n ific a t o
210
dal secondo euristico: la precedenza dell’umiltà o moderazione o
misura ( ‘anàwà, da intendersi come virtù religiosa, in parallelo
con «timore del Signore») sulla gloria (cf. Pro 18,2). La medesi
ma cosa sembra affermare Sai 111,10, che considera gli effetti:
quanti mettono in pratica il timore del Signore acquistano una sa
na ragione e una gloria stabile, nel senso di una continua capacità
di misurarsi e di riconoscere il proprio posto di fronte a Dio. La
gloria è il risultato del proprio equilibrio (cf. anche la lode del
saggio e degli uomini probi in Ben Sira, Sir 39,1 -11 ; 44,1 -11 ).
Gb 28,28. Il verso conclude l ’inno alla sapienza (= ordine o
senso del mondo), che solo Dio conosce. L ’autore pone in risalto
il valore dell’uomo religioso su quello tecnico e su quello econo
mico. Rinuncia a definire «sapienza» le attività umane, per quan
to abili e preziose, perché non raggiungono la sapienza nascosta
di Dio. Non identifica sapienza e timore di Dio, ma afferma che
essa consiste in un atteggiamento giusto di fronte a Dio e in un
retto atteggiamento morale (star lontano dal male). La soluzione
è pratica non teoretica.
Sir 1,14-20 sembra voler riassumere l’insieme dei dati. Nel
capitolo centrale (Sir 24) egli offre l’interpretazione globale del
suo pensiero. Ma sin dall’inizio (c. 1) unisce i dati tipicamente
sapienziali (sapienza cosmica) con quelli religiosi (sapienza sto
rica e tradizione di Israele). Per immagini afferma che il timore
del Signore è inizio (v. 14 arche), pienezza (v. 16 plesmonè), co
rona (v. 18 stéfanos) che porta frutti e guarigione nell’uomo, ra
dice (v. 20 riza) o fondamento della sapienza. In qualche modo,
egli tende a concentrare tutti i possibili significati di r e ’sit. La
formula è premessa a tutto il discorso che l’autore svilupperà nel
corso del libro.
Suo contrario sono la superbia e l’insolenza (g a ’àwà e za-
dón). E il peccato, in quanto allontanamento da Dio.
2 11
Il messaggio è concentrato sul tema del «cuore ostinato», op
posto al «cuore saggio». È un processo che conduce alla morte
per la falsa condotta religiosa (superbia come empietà) e morale
(peccato, malizia). L ’effetto continua nei vv. 14-17, nella dimo
strazione storica: le «radici» (rizas ) dei popoli sono strappate.
Mentre la sapienza inizia dal timor di Dio, pone radici, produce
rami e frutti (cf. 24,12-17) e offre all’uomo il successo, la super
bia con il suo corteo di violenza, vendetta e insolenza, allontana
da Dio e produce morte. Ambedue i brani hanno nel «timor di
Dio» il culmine del ragionamento.
Conclusione. «Inizio» è espresso in ebraico con due parole:
r e ’sit (Pro 1,7) e tehillà (9,10, che si può supporre anche in Sir
1,14, dal confronto con 10,12). Il secondo termine sembra dare
al primo il significato di ciò che «inizia», «introduce»22 alla sa
pienza, designa la funzione più che l’«essenza» della sapienza,
anche se re ’sit potrebbe contenere tale significato; né ha il signifi
cato di «compendio» o «prim izia»23. «La formula significherà
quindi che il timore di Dio conduce alla sapienza. Esso dispone
ad acquistarla e la insegna»24. Pro 15,33, nel TM, sottolinea che
il timore di J h w h non è solo il punto di partenza, esso educa alla
sapienza: musar indica l’educazione, la paideia (attività costante).
Affrontare il tema del timor di Dio significa anche porre il
problema ultimo dell’educazione alla sapienza. E una realtà che
precede in valore ogni sapienza, ne è la condizione, vi conduce
e la insegna. La formula pone dunque una questione di principio,
il fondamento ultimo della sapienza: Israele attribuisce alla fede
in Dio una funzione essenziale per la conoscenza umana.
D i conseguenza, ogni conoscenza di sé e ogni conoscenza
umana sfociano nel problema delFesperienza e conoscenza di
Dio. «Solo la conoscenza di Dio e del suo regno riusciva a porre
l’uomo in un giusto rapporto con gli oggetti della sua conoscenza
e lo rendeva capace di porre con più competenza i problemi, di
212
scoprire con più perspicacia i veri rapporti tra esseri e cose, di co
noscere meglio la realtà»25. Nel senso che: a) rivolgersi a J h w h
facilita la delicata distinzione tra il giusto e l ’ingiusto (ambito
m orale); b) la fede non impedisce la conoscenza, al contrario, la
emancipa (ambito epistem ologico ), le permette di giungere cor
rettamente all’oggetto e le mostra la posizione esatta nel campo
delle numerose e svariate attività umane. Altrimenti: «I saggi sa
ranno confusi [...]. Hanno rigettato la parola del Signore. Quale
sapienza possono avere?» (Ger 8,9).
Ben Sira supera ogni separazione della sapienza dalla rivela
zione, e sottolinea la centralità del timor di Dio come espressione
privilegiata della sapienza. Le due realtà nella pratica possono
coincidere, si implicano vicendevolmente (c f 19,20; 21,11). Egli
aggiunge perciò sin dall’inizio: «Ogni sapienza è da Dio e rimane
sempre presso di lui» (1,1). La si acquista attraverso l’osservanza
dei comandamenti, allora Dio la concede come dono (1,26-27).
Valore e limite dell’espressione. E importante per la sua
formulazione significativa, cioè per l’interesse teorico in mezzo
a tante pratiche particolari, per il suo concentrarsi su una que
stione di principio. La sapienza, di fatto, ha sempre interpretato
il dato religioso, la formulazione di quel patrimonio resta in qual
che modo sempre legata a una qualche sapienza. Tuttavia, la ten
sione tra i due poli, fede e sapienza, permane. Da parte sua la fe
de indica alla ragione il senso ultimo e la spinge a cercare e fon
dare le ragioni della fede. La presenza della sapienza nella fede
determina una dialettica che da un lato favorisce una recezione
universale del dato religioso storico, dall’altro ne consente una
giusta comprensione critica, ne riconosce anche i limiti. Il pro
blema può essere trasportato nell’ambito della tradizione teologi
ca cristiana, contribuendo a definire i termini del dibattito dei
rapporti tra ragione e fede, ma dovrebbe anche essere giudicato
(ir)risolvibile26.
25Ivi, p. 69.
26Cf. G.L. P r ato , sapienza fondatrice e sapienza ermeneutica: componente
dialettica essenziale dell'Antico Testamento, in M . M ilani (a cura), La via “sa
pienziale " e il dialogo interreligioso (Pubblicazioni dell’Istituto di Scienze Reli
giose di Trento, 23), Edb, Bologna 1996, pp. 11-39, spec. p. 37.
213
B) LA R IV E L A Z IO N E D A L M O N D O
E L A SAPIEN ZA PERSONIFICATA
Analizziamo alcuni testi, forse i più noti, che sono serviti per
un’ulteriore interpretazione nel NT, per comprendere il significa
to e il messaggio che gli autori intendono trasmettere e l’ambito
(o gli ambiti) culturale che li ha ispirati: Gb 28; Pro 8; Sir 24.
1. L a S a p ie n z a im m a n e n t e n e l m o n d o . E s a m e d e i testi
214
esprime l’inaccessibilità della sapienza. L ’uomo si inchina al m i
stero (cf. la diversità con Pro 8).
Struttura. Il poema è composto di tre strofe separate da un
ritornello (vv. 12.20). Ciascuna presenta un’analoga successione
di motivi: luogo, limitazione, attività. Il TM, diverso da L X X , ri
vela all’analisi un buon ordine:
- l a strofa, vv. 1-11: l'homo faber, che equivale all'homo sa
piens. Sapienza è anzitutto «abilità, saper agire» (cf. «introdu
zione»), Nella sua audacia egli esplora le miniere, scava galle
rie, porta alla luce ciò che è nascosto, misterioso, prezioso. Ma
la sapienza rimane fuori della sua portata: «da dove viene, do-
v ’è?» (cf. Rit. v. 12).
- 2a strofa, vv. 13-19: l'homo ceconomicus. Per ottenerla tenta
un’altra strada, acquistarla. Offre tutto quanto possiede (cf. la
domanda di Salomone in IRe 3,9-10), ma essa non ha prezzo.
Né l’abisso più profondo, né il mare e neppure il regno della
morte (cf. 3a strofa) possono dire di possederla o di conoscerla.
- 3a strofa, vv. 21-28: risponde alla domanda del ritornello. Sol
tanto Dio la conosce, ne conosce il luogo (v. 23) perché egli la
pose e la domina (v. 27). La conclusione è che l’uomo si deve
inchinare al mistero. Il v. 28 aggiunge una correzione, che av
vicina Gb 28 alla sapienza tradizionale: ciò che è impossibile
all’uomo faber ed ceconomicus è possibile all 'homo religiosus.
Esegesi
215
vv. 5ss: il v. 5 pone in risalto il contrasto tra i due piani della
terra. Sopra, terra del pane, pacifica e feconda; sotto, terra agitata,
sconvolta dal fuoco. Anche questa l’uomo sconvolge e attacca
con capacità, e quindi sapienza, superiore a quella degli animali:
cf. ai vv. 7-10, il contrasto tra il leone che non «batte» le strade né
le attraversa e l’uomo che porta la mano, attraversa scoprendo; tra
l’uomo che posa l’occhio e l ’aquila che non scorge. Già nel du
plice uso della terra l’uomo scopre una sapienza enigmatica, che
vede ma non sa spiegare. Al v. 9 la «radice delle montagne» se
gnala l’ingresso allo Sheol (cf. UT 51, V ili, 1-9).
v. 11 : chiude la l a strofa ripetendo in ebraico le «radicali» dei
vv. 1 e 5: «fa uscire-libera» e il motivo deH’oscurità. «Quel che vi
è nascosto porta (lett. fa uscire) alla luce», ossia le sorgenti oscu
re, nascoste, dei fiumi. Alle «sorgenti dei due fiumi, in mezzo ai
corsi dei due abissi» abitava il dio E1 di Ugarit (UT 51, IV, 20). Il
verso esprime la gioia e l’esaltazione per la scoperta e rivelazio
ne, premio dell’impegno e dell’attività dell’uomo. È l’entusiasmo
per le capacità tecniche e il progresso umano che supera i confini
del mondo.
v. 12: Rit., cf. v. 20. Oltre le capacità tecniche rimangono de
gli enigmi. E quanto esprime la domanda insidiosa sull’origine o
«sorgente» («donde viene») e sul luogo della sapienza e intelli
genza (cf. v. 1). Il progresso tecnico non risponde alle domande
più profonde dell’uomo.
216
vv. 15-19: la sapienza non ha prezzo. L ’atteggiamento è
molto diverso da Pro 3 e 8. Là la sapienza è accessibile all’uomo,
anzi essa stessa riempie i forzieri di quanti la possiedono (8,18
19.21; cf. IR e 3, preghiera di Salomone) e prende l’iniziativa,
perciò l’uomo la può incontrare. Sir 14,20-15,10 presenta l’attivi
tà reciproca tra saggio e sapienza fino all’incontro.
29 Diversi sono i contatti con altri testi biblici: v. 24 cf. Sai 65,6; v. 25 cf. Is
40,12-14; 36,27-33; v. 26 cf. Sir 1,8-9.19.
217
l ’atto divino, non suo aiuto nella creazione. La sua età risale al
l ’imposizione dell’ordine nella creazione. Non è Dio dunque, né
un suo attributo, e neppure una personificazione.
D i quale sapienza si tratta? - Si tratta dell’ordine del mondo
o del suo «senso» che rimane misterioso. Non è la sapienza uma
na tradizionale che riflette sulla vita, ma una sapienza cosmica,
trascendente, che supera l’uomo, di cui l’uomo non può disporre
né impadronirsi, nonostante tutti i suoi sforzi. Si tratta della sa
pienza divina dispiegata nell’azione creatrice: ne farà riferimento
Dio stesso nei discorsi ai cc. 38-42 che vengono in qualche modo
anticipati (cf. Pro 8: Dio crea per prima la sapienza, poi la utilizza
riversandola nelle sue opere e la comunica all’uomo).
Non si oppone alla sapienza umana. M a le è superiore e per
ciò inaccessibile. Così mentre l’uomo trova una strada per posse
dere tutte le ricchezze, non trova la via che lo porta al mistero del
la creazione: essa incarna il «mistero» delle vie di Dio. Va cercata
nel cosmo, ma nello stesso tempo è a una certa distanza dalle
opere della creazione30.
Nessuna può contenerla o spiegarla. Perciò rinuncia a definire
«sapienza» le attività umane, per quanto abili, perché non rag
giungono la sapienza nascosta di Dio.
218
Proverbi 8: discorso della Sapienza31
Contesto. Pro 8-9 chiude la prima parte del libro, il «Prologo»
(Pro 1-9), che comprende una serie di «discorsi» sotto forma di
«raccomandazioni» del padre al figlio. La Sapienza è personifica
ta come in Pro 1,20-32. Essa pronuncia un discorso-invito, pre
sentandosi con caratteri opposti alla «donna straniera» di Pro
7,4ss e offrendo i suoi beni. Appare come «maestra di vita».
Struttura
Introduzione : vv. 1-3, presentazione dell’oratore.
I. Invito all ’ascolto :
vv. 4-5, i destinatari delle sue parole;
w . 6-11, difesa della propria credibilità.
II. Autoelogio della sapienza:
A) w . 12-21, sezione terrena: sapienza regale;
B) vv. 22-31, sezione cosmica: sapienza e creazione.
C onclusione : w . 32-36, esortazione con forme antitetiche.
Esegesi
Introduzione (w . 1-3)
La Sapienza è presentata come donna: richiama Pro 5 e 31,
che vedono nella donna saggia, oltre che un ideale femminile o
la moglie (la donna della giovinezza), l’immagine della sapienza
stessa. Essa parla in pubblico al contrario della «straniera» (cf.
7,8ss), di giorno, a voce alta, nei vari luoghi strategici della città,
cosicché tutti la possano ascoltare: in cima alle mura, nei luoghi
di passaggio, tra le vie, presso le porte. Il v. 3 dà tre designazioni
219
dello stesso luogo come il v. 2: siamo nella piazza, davanti a una
delle porte nella parte alta della città, fuori delle mura. Sono i luo
ghi di incontro, del commercio, della giustizia, della piccola poli
tica. Essa parla all’uomo dove egli vive in società. Lo stile richia
ma il venditore ambulante o il venditore d ’acqua, che propone la
sua mercanzia (cf. Pro 1,20 e Is 55,lss).
I n v i t o a l l ’ a s c o l t o (vv. 4-11)
Notiamo la caratteristica «io-voi», con insistenza su quest’ul
timo.
a) vv. 4-5: destinatari. Parla a tutti gli uomini, inesperti: non si
tratta, forse, di una categoria precisa, i giovani. Non per ingannar
li, come la donna antagonista, ma per istruirli o renderli assenna
ti; si offre come salvezza, insegna a vivere (cf. sotto, il savoir/ai
re).
b) vv. 6-11: la Sapienza presenta i motivi di credibilità dei
suoi detti, vanta le sue qualità morali, non solo pratiche. Sinceri
tà, verità, giustizia si oppongono a tortuosità, inganno e seduzio
ne, caratteristiche dell’antagonista. Non è dimostrazione, si ap
pella bensì all’esperienza (v. 9). Il valore di tali qualità si rivela
quando sono accolte e praticate.
I vv. 6-8 insistono sugli organi della parola: labbra, palato,
bocca. I vv. 10-11 affermano la superiorità della Sapienza (c f
Gb 28,25-29 e Pro 3,13-15; 16,16).
220
Significato: si tratta di una Sapienza «universale» umana, con
virtù «pratiche», oltre che riflessive: è consigliere regale, possie
de il savoir fa ire, buon senso o accortezza, prudenza, consiglio,
potenza (vv. 12.14).
Prevede anche un ordine morale (v. 13bc). Siamo verosimil
mente in un contesto di non contestazione del potere regale: lo si
suppone consigliato da, ed espressione della Sapienza (ideologia
regale).
b) w . 17-21 : la Sapienza descrive il risultato della sua azione.
- v. 17, relazione personale (cf. Pro 2,10-11 e Sir 4.11-19): è uno
scambio d ’amore.
- v. 18, ricchezze e tesori che essa porta e offre (cf. IRe 3; Sap
7,7-12): gloria, ricchezza, benessere o stabilità ed equità o or
dine. Forse nei tesori di v. 21 si indica ciò che essa stessa è:
savoir fa ire, validità, ecc. (vv. 12.14).
221
za dei verbi32. Appare come la primogenita', tema che offrirà lin
guaggio e simbolo alla cristologia. Traduzione: «M i ha generata
primizia/inizio (r e ’Sit) della sua opera».
vv. 24-26, non si tratta, sembra, di una «cosmogonia» (crea
zione del mondo), quanto di una semplice descrizione rudimenta
le del mondo, «cosmologia». La Sapienza è anteriore a questo
mondo presente, che l’uomo vede e che è il suo.
222
mondo. In un secondo momento (v. 31), la Sapienza afferma la
sua funzione mediatrice presso gli uomini: sua delizia è stare
con essi. E Sapienza infusa da Dio in loro, li aiuta a cogliere la
Sapienza nel mondo e a riconoscervi il segno della Sapienza di
vina creatrice.
223
Q ual è l ’ origin e d e ll’ im m a g in e ?
Nei vv. 22-31 gli studiosi hanno ravvisato nelle qualità della Sa
pienza affinità con la Maat egiziana, intesa come il «diritto», la «giusti
zia», l’«ordine primordiale». E figlia del sole, discesa tra gli uomini dal
«tempo delle origini» come ordine perfetto di tutte le cose. Si presenta
con discorso solenne in prima persona. Il Dio suo padre si fa abbracciare
da lei, la bacia, dopo essersela posta «sul suo naso». Il parallelo con Pro
8,22-31 è sorprendente. Il testo biblico, personificando, riprende lo stile
di proclamazione (vv. 22-29) e la concezione egiziana di una divinità
innamorata della verità (vv. 30-31). Però rivela una sua originalità. La
Sapienza non ha una condizione divina, né è un attributo di Dio perso
nificato; è creata con una funzione da compiere tra gli uomini. Ha una
posizione a parte: è distante dal mondo, ma ad esso immanente; è la pri
mogenita, la creatura che supera le altre creature.
Una particolare interpretazione è data da B. Lang nell’edizione in
glese di Frau Weisheit. Si concentra sulla personificazione della Sapien
za nella ricostruzione del «monoteismo» dell’AT (un tema oggi molto
discusso). Egli afferma che il giudaismo postesilico è monolatrico, non
monoteistico, e ha un passato politeistico. In questo contesto esisteva
una «dea della scuola» simile a Nisaba (Sumeri) e Seshat (Egitto). L ’e
ditore di Proverbi demitizza questa dea ed essa diviene un espediente
retorico e poetico35.
Possiamo aggiungere, con A lonso36 (Proverbi, pp. 36-38), che il
piccolo sostantivo è cresciuto fino a diventare un’impressionante perso
nificazione poetica. Tale visione racchiude un potenziale significativo
non attualizzato che, entrando a sua volta in interazione con nuove con
cezioni e scoperte, può liberare le valenze significative depositate nel
testo in forma non tematizzata, lontana dall’enunciato esplicito e inten
zionale. Questa capacità si rivelerà a contatto con i fatti e le concezioni
del Nuovo Testamento.
224
insistenza: essa prova che chi l’ascolta, mediante la sua educazio
ne, troverà rettitudine, nella «verità» e «giustizia».
In un secondo tempo essa dimostra che effettivamente l’ordi
ne esistente dipende da essa: essa agisce come consigliere per ec
cellenza presso i grandi; s’impegna per un ordine giusto anche
verso i poveri e i deboli. Cioè i rapporti tra gli uomini, quando
sono giusti e veri, sono opera della Sapienza.
In un terzo tempo tenta di provare che essa è abilitata a mag
gior ragione a realizzare quest’ordine tra gli uomini perché pri
mogenita: sorta da Dio per «prima», presente presso Dio al m o
mento della creazione. In altre parole, l’ordine del mondo non è
indipendente dalla Sapienza.Essa assicura, inoltre, una specie di
legame tra Dio e gli uomini: è mediatrice. La sola condizione,
continuamente formulata, è di ascoltarla, accoglierla, amarla.
L ’uomo vi troverà la vita.
225
Struttura. È discussa. Riteniamo quella di Gilbert, non assoluta,
cercando di individuare soprattutto le immagini:
Esegesi
- Introduzione (w . 1-2)
La Sapienza parla al suo popolo (in terra) e nell’assemblea
dell’Altissimo (in cielo? cf. v. 22 che indica l’assemblea cultuale
terrena). Qualche autore ritiene che si tratti di un discorso pro
nunciato nel tempio dove sta il trono di Dio. Effettivamente i se
gni cultuali in questo brano sono numerosi.
226
Il v. 3 richiama la parola creatrice che esce dalla bocca di Dio
di Gn 1,1 -3 e ricopre come nube la terra (cf. Gn 2,6). Essa discen
de per «posare la sua tenda» (kataskenó, w . 4.8) nelle quattro di
mensioni del cosmo: cielo-abisso (verticale), mare-terra (orizzon
tale, vv. 5-6a). La Sapienza non si ferma in cielo, ma cerca dimo
ra nel regno degli uomini (v. 7) e riceve dal Creatore l ’ordine di
stabilirsi in Israele (v. 8).
v. 4b la colonna di nubi era nell’esodo segno della «gloria» di
Dio che proteggeva e accompagnava il popolo in cammino.
L ’indicazione temporale (v. 9) fa da cesura: uno sguardo al pas
sato e uno al futuro con espansione all'infinito; fino all’eternità non
vien meno. Essa è la prima creatura (cf. Pro 8 e Sir 1) e anche l’ul
tima. Si delimita quindi (vv. 10-12) il luogo di residenza della Sa
pienza allargando progressivamente lo sguardo in un movimento di
espansione: il tempio o Sion (v. 10), la città di Gerusalemme (v.
11), il popolo (v. 12). Il «radicarsi» e l’espansione anticipano le im
magini vegetali che seguiranno (w . 13ss). Siamo qui a livello sto
rico. L ’elezione di Gerusalemme è una conclusione storica: in forza
del popolo unificato da Davide, dell’arca depositata nel tempio.
La Sapienza assume a livello storico due funzioni, eredità e
culto.
- vv. 7b.8.12b, prende «possesso della sua eredità». E termine
teologico frequentissimo che definisce la «terra» per il popolo
e il popolo per Dio: il popolo riceve in eredità la terra, il popolo
è eredità di Dio. La Sapienza dopo il suo «esodo» attraverso il
cosmo riceve in eredità la terra e il popolo di Israele (v. 7), vi
stabilisce la sua dimora (vv. 8.10), per riversarvi se stessa.
- Assume poi la funzione liturgica. E presente nel culto del popo
lo (v. 10, «ho officiato»), che nella terra promessa, nella città
eletta, nel tempio, risponde all’elezione divina. Il culto esprime
la perfezione, è segno di sapienza, è codificato nella legge. Se
condo Hayward, qui Siracide dà la risposta alla domanda di
Giobbe 28: il luogo della Sapienza è in Gerusalemme e nel tem
pio considerato il centro del mondo (cf. Ez 38,12). Il tempio di
Gerusalemme è autentico perché vi abita la Sapienza che è più
antica dell’universo e dà ordine e disciplina a tutto quanto esiste.
Sapienza e popolo compiono dunque cammini paralleli: eso
do, eredità della terra, culto.
227
* Im m agini vegetali - crescita, aroma e fru tti della Sapienza :
vv. 13-17. Si accumulano in questi versi paragoni di ordine vege
tale, già anticipati al v. 12 («ho posto le radici»): è un verso cer
niera con i due motivi, eredità-porzione e immagine vegetale. Si
riconoscono tre piccole unità (vv. 13-14.15.16-17) che sviluppa
no in altre immagini le due funzioni storiche della Sapienza.
- vv. 13-14: Sapienza albero-sua crescita-Israele «p a ra d i
s o ». N ell’elenco delle sei specie di alberi tra i più prestanti (cf.
Is 2,13; 37,24; 14,8; 9,9; 41,19; 44,14), l ’«abitare» della Sapien
za è concepito non come conclusione, ma come un nuovo inizio
di crescita ed espansione: cf. tre volte il verbo «sono cresciuta».
L ’immagine ricalca il movimento dei vv. 10-12. Le indicazioni
geografiche stanno a indicare le frontiere del paese occupato da
Israele dove la Sapienza ha posto le sue radici (v. 12): è un altro
modo per indicare la «presa di possesso». Ne risulta una specie di
parco o «paradiso» esteso a tutto il paese. «Come la gloria del Si
gnore trasforma il deserto in paradiso (sette specie di piante in Is
41,18; 49,19), così la Sapienza trasforma in paradiso l’eredità del
Signore» (Alonso).
- v. 15: Sapienza aroma - sua funzione cultica-Israele tem
pio. Ritorna il tema cultico del v. 10 (cf. nota in Bg). Il verso pa
rafrasa successivamente Es 30,23-25.34. Cinnamomo, balsamo,
ecc., sono aromi impiegati nella composizione dell’incenso, usati
dunque nel culto. L ’aroma dell’incenso diletta e placa Dio, l’un
guento consacra. In certo qual modo si afferma che tutto il terri
torio di Israele, dove la Sapienza sparge il suo aroma d ’incenso,
diventa un tempio, il tempio. Del resto, seguire la Sapienza è dar
culto a Dio (cf. Sir 4,14; 39,14). Il verso lascia intendere che la
Sapienza procura un certo piacere, simile a quello che si prova
aspirando un gradevole profumo (cf. 2Cor 2,15).
- 16-17: Sapienza terebinto e vigna - suoi frutti. Prima il di
scorso insisteva sulla crescita, ora sui rami, fiori e frutti; frutti
della Sapienza sono gloria e ricchezza (cf. Pro 3,16 e 8,18). Il te
rebinto è caratteristico dei luoghi sacri (cf. Es 15,13-17; Sai
78,54; 114,2), comprese le «alture» pagane (Is 1,29-31; Dt
12,2). In Is 6,13 e Esd 9,2 rappresenta il popolo di Israele. Anche
la vite è un classico simbolo del popolo: Is 5,1 ss; 27,2-6; Ez 17,8;
Sai 80,9-17.
228
In conclusione, la Sapienza nel suo «radicarsi» in mezzo al
popolo estende e comunica se stessa e i suoi doni38.
38 II testo greco lungo aggiunge i vv. 18 e 24. Ulteriori varianti sono nella
Vulgata latina.
229
nelle assemblee liturgiche («eredità», cioè possesso tramandato,
delle assemblee sinagogali di Giacobbe). Esso mostra come Dio
crea il mondo e l ’uomo, elegge e libera concedendo a Israele una
terra al cui centro è il tempio in cui si celebra la liturgia di J hwh e
donde proviene la legge, la parola di J h w h . Tutto questo è la sa
pienza.
- 25-29: la legge trabocca di Sapienza-acqua-attività c o
stante. Ritorna una nuova immagine del «paradiso». Ai fiumi
dell’Eden (Gn 2,10ss) si accostano due fiumi della storia del po
polo: Nilo e Giordano. Sono i due fiumi dell’esodo che segnano
l’uscita dall’Egitto e l’entrata nella terra. I dati stanno forse a in
dicare tutta l’ampiezza della terra promessa: essa è il paradiso (cf.
vv. 13-14). Là la «sapienza-legge» fa abbondare «sapienza», dà
fecondità (cf. Sai 1).
- I fiu m i perenni, che assicurano a ogni stagione, primavera,
mietitura e vendemmia, in cui si celebrano le tre grandi feste di
«pellegrinaggio», abbondanza di acqua, rappresentano l’attività
costante della Sapienza. Mare e abisso (vv. 28-29) allargano ulte
riormente il raggio della sua azione, ne sottolineano l’inesauribi-
lità e l’insondabilità.
* I l saggio parla di sé (vv. 30-34).
Il riferimento autobiografico è stile frequente in Ben Sira al
termine o all’inizio dei suoi insegnamenti (cf. 34,9-12; 39,12
15; 50,27-28; 51,1 ss). Ora egli si proclama discepolo e maestro
di sapienza, canale e fiume. Continua l’immagine acquatica.
La legge è la Sapienza che fa abbondare come un fiume la sa
pienza nell’uomo. Ben Sira che vi attinge non è che un canale (al
trove dice di essere l’ultimo saggio, l’epigono, «come spigolatore
dietro i mietitori», 33,16). Egli stesso però cresce fino a diventare
fiume e mare39 e trova nel tempio e nel culto il suo punto di par
tenza.
Lo scriba, il maestro di Sapienza, diventa profeta, successore
dei profeti (v. 33), il cui messaggio si prolunga nello spazio (vv.
230
32-34) e nel tempo. Esso è diretto probabilmente a tutta la dia
spora , alla quale il libro tornerà utile accolto nella versione del
nipote.
In conclusione, Ben Sira si ritiene l’ultimo rappresentante di
una lunga tradizione sapienziale e considera se stesso un succes
sore dei profeti: profezia è la rilettura attualizzante della Torah.
Suo compito è trasmettere alle successive generazioni ciò che
egli stesso ha appreso. In tal modo realizza l’ideale di essere non
«saggio per sé», ma «saggio per il popolo» (cf. 37,16-26).
Conclusione
- Sir personifica la Sapienza: è soggetto che invita; il saggio
ne è l ’interprete «profetico». Il processo di personificazione si
estende ad altre pericopi (4,11-19; 14,20-15,10: Sapienza madre
e sposa) fino al canto finale di 51,13-22, un poema alfabetico
ispirato a Pro 31, che celebra, con l’entusiasmo del Cantico dei
cantici, l’amore e la scoperta della Sapienza sposa.
- La identifica con la legge, la rivelazione di Mosè, che egli
considera la forma migliore della Sapienza e che abitualmente
veniva letta nelle assemblee liturgiche. La Sapienza non si rivela
solo nella creazione, nel cosmo (vv. 3-6), ma anche, e special
mente, nella storia del popolo di Dio (cf. cc. 44-50).
- Sottolinea il carattere cultico della Sapienza: la sua osser
vanza e adempimento è offerta gradita a Dio, ricca di frutti e por
tatrice di successo. Chi «serve/venera» la Sapienza è ministro del
santuario («servire» è termine cultico, cf. Sir 4,14; 49,14). Cosi,
cercare la Sapienza è, in pratica, cercare Dio (cf. Sir 4,11-19).
- Di conseguenza: a) integra il dato religioso (sapienza e cul
to, tempio e Dio) con quello storico (esodo) e intellettuale (sa
pienza umana); b) trasforma il saggio in profeta per il popolo e
dà alla sapienza un aspetto «carismatico», ispirato. Questo aspet
to verrà ulteriormente sottolineato nel libro della Sapienza: rifles
so, specchio e immagine di Dio, «entrando nelle anime sante, for
ma amici di Dio e profeti» (Sap 7,26-27); c) la «nazionalizzazio
ne» della Sapienza ha lo scopo di «universalizzare»: egli
rivendica alla tradizione e cultura di Israele un posto nella cultura
intemazionale.
231
Confronto e interpretazione dei testi
Altri testi parlano di una forza ordinatrice che Israele ha per
cepito presente nel mondo. E questa la nuova formulazione di
una realtà già percepita implicitamente, l’interpretazione rinno
vata di un’idea antica. Si veda ad es. l’inno didattico di Sai
104,24: «Tutte le tue opere, hai fatto con Sapienza», a indicare
«destrezza e abilità, perizia e maestria, talento e mano esperta»
(cf. Ger 10,12; Sai 136,5). In Pro 3,19-20: con sapienza e intelli
genza J hw h ha fondato la terra, stabilito i cieli, scavato gli abissi,
per la sua scienza le nubi stillano rugiada40. Così Sir 1,9-10: «Dio
ha diffuso la Sapienza in tutte le sue opere; / la divise tra i viventi
secondo la sua generosità; / la donò a coloro che lo amano». La
creazione è Vopera d ’arte di Dio: in Gn 1 egli contempla l’insie
me e riposa soddisfatto, perché ogni opera è perfetta (tób). L'or
dine saggio è dunque qualità del mondo, realtà inserita da Dio
nella creazione.
Il fatto nuovo è lapersonificazione', l’ordine si rivolge all’uo
mo come una persona. Non è quindi qualità di Dio, attributo di
vino oggettivato, ma una «qualità del mondo, cioè questo miste
rioso elemento per mezzo del quale l’ordine cosmico si volge
verso l’uomo per ordinare la sua vita»41. È una personificazione
solo figurata: per dire che si rivolge all’uomo, lo provoca e porta
in sé un messaggio per lui, l’elemento personale diventa indi
spensabile.
I tre brani esaminati comportano tre accentuazioni: Gb 28
sottolinea l’aspetto razionale dell’ordine cosmico; Pro 8 l’aspetto
mediatore ed estetico (la Sapienza, «prediletta» di Dio, ne fa le
«delizie», «gioca» e il suo «diletto» è stare con gli uomini); Sir
rivela l’aspetto storico-religioso', il suo schema mostra un legame
con Gv 1. Ravvisiamo due aspetti tipici, la chiamata e l’amore
spirituale.
40 Può essere attributo divino, ma anche una qualità della terra: è creata nello
stato di sapienza o razionalità da Dio. Pro 3, 19-20 è inserito nella pericope 3, 13
26 : vv. 13-18 esaltano la sapienza; nei vv. 21 -26 è una nuova chiamata a seguirla;
il centro, vv. 19-20 , considera la funzione della sapienza alle origini.
41 V o n R a d , o .c ., p. 144.
232
2. L a c h ia m a t a e l ’a m o r e s p ir it u a l e 42
233
Poiché vi ho chiamati, ma avete rifiutato...
anche io riderò delle vostre sventure...
Mi chiameranno, ma non risponderò,
mi cercheranno sin dall’aurora, ma non mi troveranno.
234
za. Splendido il canto d’amore di Sir 51,13-20, che assume la for
za del Cantico.
Ero giovane, prima di viaggiare,
sin dalla mia giovinezza desiderai la sapienza e la cercai.
Essa mi venne appresso e io la seguii fino a casa [...].
Decisi di amarla [...] fremetti di gioia senza pentirmi.
Arsi di desiderio per lei [...].
La mia mano apri la sua porta,
da lei sono entrato e l’ho contemplata.
Tesi le mie palme verso di lei
e la trovai integra.
Le ho concesso la mia vita
e mai più mi ritirerò da lei [...].
Le mie viscere ardevano come un forno nel contemplarla;
perciò l’ho acquistata, fu un buon acquisto (passim).
Sviluppo dell’idea
Le radici sono antiche (cf. P«inno», che cantava le lodi di Dio
nel cosmo). Ma ora la Sapienza diventa un Io che si rivolge al
l’uomo, all’individuo, in modo personale, e gli offre la vita. Essa
dipende non solo da un atteggiamento saggio, ma dall’aver «tro
vato la sapienza»; essa mette in ordine tutta la vita di fronte a Dio
(per mezzo suo l’uomo trova il «favore di J h w h » , Pro 8,35). L’e
sistenza dell’uomo aperto alla conoscenza nel mondo è nel segno
di un rapporto amoroso con il mistero dell’ordine. Ne riceve in
235
dono i beni della salvezza: ricchezza, onore, rettitudine e prote
zione della vita, conoscenza di Dio e riposo.
Un passo decisivo è operato dal libro della Sapienza, dove la
Sapienza è concepita come presenza di Dio, anima del mondo. Si
annuncia una teologia pneumatologica e cristologica che troverà
sviluppo nel NT.
In conclusione, amore e chiamata della Sapienza: 1) afferma
no il bisogno di farsi trovare dalla Sapienza che è nel mondo, di
accoglierla; 2) rivelano che il mondo non è neutro, ma è favore
vole all’uomo, ha in sé una volontà benefica; 3) occorre guardar
lo con atteggiamento di amore, contemplazione e collaborazione.
La personificazione non è mitizzazione, ma diviene uno stru
mento utile per esprimere le sensazioni dell’incontro con l’ordine
primordiale, nel sentirsi provocati da esso. L’ordine primordiale
rimane nell’ambito della creazione.
Appare un nuovo mediatore nella rivelazione, il cui destina
tario non è Israele, ma l’uomo, ogni uomo, personalmente come
individuo. Va oltre la storia di Israele, è tema più universale, an
che se la dimensione storica è recuperata da Ben Sira (cf. Sir 24 e
l’elogio dei Padri, Sir 44-50) e nel libro della sapienza (rilettura
dell’Esodo e della Pasqua, come «opera della Sapienza», Sap
10-19). Israele «ha scoperto il mistero di un mondo rivolto verso
di lui per aiutarlo, che si trova già in cammino per incontrarlo, è
già seduto alla sua porta e l’attende»44. E la coscienza di essere a
casa propria nel mondo, anche se questo porterà spesso a delle
grosse problematiche (cf. le pagine seguenti).
C) FIDUCIA E PROBLEMATICHE
DELLA SAPIENZA, GIOBBE E QOHELET
1. F id u c ia e risposte a l d o l o r e
44 V o n R a d , o . c ., p. 161.
236
va di indicare ciò che serviva o distruggeva la vita. I motivi di tale
fiducia erano due: la fiducia in Dio, espressa in modo diretto da
talune sentenze (cf. Pro 3,5; 14,26; 16,3.20; 18,10; 28,25; 29,25),
e il riconoscimento di alcune regole valide in base alla lunga
esperienza e osservazione, all’evidenza maturata in più genera
zioni. La tradizione didattica riconosce un reale ordine che pre
siede la vita, come nel binomio condotta-remunerazione; e rico
nosce in esso la volontà ordinatrice e garante di Dio stesso (cf.
Gb 8,8; 15,17-18; 20,4-5).
Al problema del dolore i maestri rispondevano con alcune
teorie45, che partivano dalla massa di esperienze, senza una visio
ne globale del mondo (sistema), portandosi piuttosto sul terreno
delle circostanze della vita. Notano le esperienze contraddittorie,
senza perciò porre in crisi la fede.
- Peccato-sofferenza', non è sufficiente, ne è l’unica possibile
spiegazione.
- Educazione salutare o correzione (vicina all’idea di prova) at
traverso la sofferenza: Dio persegue intenti positivi agendo al
l’interno di sofferenze non provocate da colpe facilmente rico
noscibili (cf. Gb 33,15-16.19ss). In tal modo l’uomo «ritorna»
a Dio purificato mediante la confessione cultuale; ristabilisce
cioè la precedente comunione con Dio (cf. gli amici di Giobbe
- Elifaz in 5,21 -26). In Sir 4,17-18, dapprima la sapienza si na
sconde all’uomo, lo conduce per un cammino tortuoso, lo tor
menta con la sua disciplina, lo prova con le sue esigenze, poi lo
riconduce sul cammino retto e gli rivela i suoi segreti. Anche
Giuseppe legge le vicende della famiglia e la sua sofferenza
come via per la salvezza di molta gente (Gn 45,7).
- Un’ulteriore istanza è la capacità di attendere, di «sperare in
J h w h » . Emerge il tema della «fine» o «avvenire», ’aìfriv. non
si può giudicare la vita secondo l’apparenza del momento, oc
corre considerare l’esito globale, il termine di un processo nel
quale si pone una certa speranza. Il tema è presente in Proverbi
e in Siracide.
237
a) Pro 24,19-20:
Non adirarti per i malvagi;
non invidiare gli empi (cf. Sai 37,1);
poiché per il malvagio non ci sarà avvenire ( ’alfrit, cf. Sai 37,38)
e la lampada degli empi si spegnerà
(cf. Gb 18,5; 18,6; 21,17; Pro 13,9).
Il testo richiama una serie di passi paralleli. Il problema viene
inquadrato nella prospettiva dell’esito finale, senza però determi
narne il contenuto. Sembra una prospettiva non escatologica, ma
storica.
b) Ben Sira al termine della pericope 1 l,10cd-28, esortando
alla fedeltà, ribadisce a suo modo il pensiero, culminante nel
l’attenzione alla «fine»:
Non ammirare le azioni del perverso,
confida nel Signore e spera nella sua luce,
perché è facile agli occhi del Signore,
in un momento, all’improvviso, arricchire un povero... (v. 21 H).
Perché è facile per il Signore nel giorno finale
rendere all’uomo secondo la sua condotta (v. 26 Gr).
Un tempo di sventura cancella il piacere
e la fine (swp) di un uomo lo manifesta (vv. 27.25c H).
Prima della morte non proclamare felice nessuno,
poiché alla fine (be’aìfrìtó) si riconosce un uomo (v. 28cd).
Non proclamare beato un uomo prima di esaminarlo,
poiché alla sua fine (be[a 'ha]ntó) un uomo
potrà esser dichiarato felice (v. 28ab)46.
238
Il problema viene riproposto nei tre Salmi: 37; 49; 73 a partire
dalla dialettica empio felice-giusto sofferente. Essi pure si con
centrano sullafine come soluzione del problema. Tuttavia il sen
so di ’alfrìt non è facilmente definibile.
In conclusione, se qualche testo può anche alludere alla spe
ranza in un aldilà, sembra che il mondo della Bibbia sia interessa
to a illuminare, in contesto logico, la vita precedente alla morte; a
cercare l’esperienza che giustifichi e dia senso alla sofferenza e a
un agire coerente. La risposta più complessa resta lo sguardo al
futuro ( ’alfrìt ) come apertura a un significato dell’esistenza non
esauribile in facili assiomi. In questo tentativo si inserisce la cri
tica di Giobbe prima e di Qohelet più tardi.
2. G io bb e
Premessa
Giobbe è il rappresentante di una inquietudine sulla vita del
l’individuo, che tenta soluzioni nuove e proprie. Il rapporto con
Dio si fa complesso. Egli rifiuta la soluzione semplicistica di eli
minare Dio o l’uomo per risolvere il problema del rapporto tra i
due, cioè il dilemma: o Dio domina e l’uomo scompare, o Dio
non esiste e solo allora l’uomo è libero.
- Gb si ribella a Dio e si sottomette allo stesso tempo, non lo
nega. Lotta contro i difensori della limpidezza delle vie di Dio,
gli amici, venuti per consolarlo secondo una tradizione che si ri
vela insufficiente, ma lo angustiano ulteriormente.
- Tutti, amici e Gb, sperano in una risposta da parte di Dio,
che avviene, ma in modo oscuro (Gb 38-42), perché il taglio del
discorso è ironico e richiede interpretazione.
Buche Sirach, B b b 1 ( 1950), pp. 86ss: «fine, distruzione, futuro, morte». Egli
nega ogni idea di retribuzione con la speranza nell’aldilà in Ben Sira. Alcuni pas
si hanno posto il problema, ad es. 1, 13; 2 , 3 ; 7 ,36 ; 9, 11; 11,26-28 ; 16, 12; 17,23 ;
18,24 . La soluzione appare più chiara nell’edizione greca lunga, presente nel Ms
248 (Gr II), ma anche nella versione del nipote; nel frattempo il dibattito si fa
esplicito. Dobbiamo però chiederci anzitutto se all’autore primitivo interessava
quel problema o avesse altre prospettive, e quale metodo argomentativo abbia
voluto scegliere e condurre fino in fondo, cioè il metodo sapienziale, che parte
dall’esperienza.
239
Contenuto e forma
- S t i l e e f o r m e (generi)
Il libro è articolato in prosa (cornice: inizio e conclusione) e
poesia; vi appare un duplice Gb contrapposto: paziente e ribelle.
- Prosa: è un racconto didattico. Una voce fuori scena intro
duce (e poi conclude) il dramma e rivela la pietà disinteressata
del protagonista. Indirettamente, Gb avverte che Dio è «garante»
per lui di fronte al «tentatore», satàn 48(lo sa il lettore, Gb non lo
sa!). Egli rifiuta di «maledire» il suo Signore, accetta la prova.
- Poesia: è un dramma con discorsi e dialoghi. Al c. 28 ab
biamo anche un «inno», ma i brani ricordano i salmi di lamenta
zione con parti di fiducia.
- Dramma: presenta in tensione i tre protagonisti, Gb, gli
amici e Dio. La prima parte è posta tra due lamenti: c. 3 la conso
lazione si tramuta in contesa; cc. 29-31 è l’ultimo appello di Gb a
Dio perché scenda a giudizio con lui.
240
- Salmi di lamentazione', è l’elemento dominante, che rivela
l’aggressività, ma anche la fiducia (cf. Gb 3,9-31); è lamentazio
ne diversa da quella per le persecuzioni dei nemici o per il lutto.
Diviene linguaggio giuridico, vi appartiene anche l’accusa a Dio
presente in tutti i lamenti del protagonista: è accusato e arbitro in
sieme, colui che deve decidere nella contesa con gli amici.
- Discorsi : rappresentano la parte centrale del poema, ma
mancano di progressione; sono a cerchi concentrici, in un quadro
intellettuale circoscritto (praticamente gli interlocutori continua
no a ripetere la loro tesi, senza recepire il contraddittorio dell’av
versario). Si susseguono tre serie di dialoghi (cc. 5-14; 15-21;
22-27: a ogni intervento degli avversari Giobbe replica con le
sue tesi); nel 4° atto si inserisce, dopo l’ultima lamentazione di
Giobbe, il discorso di Elihu (quasi un libero intervento dalla pla
tea, che di fatto intende mediare tra le varie posizioni)49; i due
«discorsi» divini, che racchiudono la tesi dell’autore, concludono
il dramma.
241
Significato e contenuto dei dialoghi
Tesi comune
a) La sofferenza è da Dio, in qualche modo lo coinvolge.
b) La sofferenza ha un significato. Ma quale? Nasce lo scon
tro, che si esplica in due diversi generi letterari: confessione sacra
(amici); lamentazione (Gb).
Gli amici
Sono rappresentanti della tradizione. Partono dal presupposto
di percepire delle regole, delle leggi nel rapporto uomo-Dio. Pre
suppongono un Eloah (il titolo più frequente di Dio in Gb) incon
testato e incontestabile; non può commettere ingiustizia. Essi af
fermano:
- Nessun uomo è senza peccato, perciò tutti devono soffrire (cf.
Gb 32,1); è un pensiero comune in Israele.
- La ribellione è peccato: l’uomo non può far domande a Dio. La
sua «vanità» e il suo peccato non lo permettono.
Dio punisce il peccatore, cioè la retribuzione è una regola di
vita fondamentale stabilita da Dio (cf. sopra: fiducia). Da que
sta premessa derivano le indicazioni pratiche:
a) arrenditi al castigo di Dio ed evita la ribellione;
b) convertiti e confessa il peccato. Richiedono la «confessione
sacra», che riconosce la sofferenza come giudizio salutare.
Allora Dio sospenderà il processo contro Gb, forse ritornerà
in grazia e sarà reintegrato nella comunione.
Giobbe
Non accetta di «confessare», ma risponde con il lamento, che
apre (c. 3) e chiude (cc. 29-31) i dialoghi. Diviene querela davan
ti (per essere difeso dalle accuse dei nemici) e contro Dio (diven
ta accusa contro di lui in quanto creatore del mondo e dell’uomo,
cc. 9-IO50). Riconosce il «giudizio» divino, ma reagisce diversa
mente:
242
- Protesta la sua innocenza (tummà). È Dio che ha rotto la rela
zione, che egli sentiva molto personale51.
- Propone la necessità di un dialogo e confronto con Dio (cf. Gb
31). Lo chiama in giudizio, si appella a lui come ultima istanza,
accusandolo e rimettendo la causa interamente nelle sue mani.
- Ma ritiene il confronto impossibile, poiché egli avverte la li
bertà di Dio come «arbitrarietà»: non si cura dell’appello uma
no e stabilisce da sé il proprio diritto; non può essere citato in
giudizio, perché non vi può essere un arbitro tra lui e l’uomo.
Risultato, se Dio non vuole, l’uomo è impotente.
Anche se avessi ragione, non potrei rispondergli,
al mio giudice dovrei implorare pietà.
Se lo chiamassi perché mi dia risposta
non credo che presterebbe ascolto alla mia voce;
mi travolgerebbe nella tempesta,
mi caricherebbe di ferite senza motivo (9,15-17).
mondo (vv. 4 - 13) per cui nessuno può essere giusto di fronte a lui, ritoma sull’ a
zione distruttrice del Signore (vv. 5- 7 . 12- 13). Nel c. 10, riconoscendo la libertà
divina, ne manifesta il potere terrificante: è un tiranno che può distruggere l’ uo
mo. Nei cc. 12-14 si rivolge direttamente a Dio con una citazione giudiziaria: con
quale diritto agisce cosi colui che è il Signore della storia? Gb fa rimostranze,
espone il suo caso; al c. 14 manifesta il desiderio di morire, rivela però l’ incondi
zionata fedeltà nonostante le accuse (vuole un po’ di pace prima di morire). Il
punto cruciale è ai cc. 15-21, che rivelano però anche i momenti più alti di fede:
Dio è accusato di essere il suo «nemico». I cc. 22-23 e 24-27 non hanno un’ accu
sa chiara; c. 31 contiene il lamento conclusivo con il «giuramento di innocenza»
e l’ invocazione: «che Dio ascolti!» ( 31,35-37). La risposta avviene nei cc. 38-41 .
51 Non si ritiene impeccabile, ma non avverte in sé un peccato così grave da
spiegare l’ eccesso di sofferenza e l’ aggressione di Dio.
243
ancora come il «suo» Dio, ritrovare la sua protezione, entrare in
dialogo con lui a qualunque costo52. Esige una risposta nonostan
te tutte le premesse; tale pretesa diviene accorata nella perorazio
ne finale (31,35-37). La risposta divina (e dell’autore) avviene
nei discorsi finali. Gb ha un’esperienza nuova e saprà di essere
stato esaudito; il suo appello è stato accolto. Il suo lamento si pla
ca. Si tratta di interpretare quei discorsi.
La risposta di Dio nella tempesta.
Sottomissione di Giobbe (38,1-42,6)
La risposta tanto attesa alla fine viene. Dio deve rispondere
perché Gb l’ha accusato e potrebbe sembrare che si possa impu
nemente offenderlo; d’altra parte è stato chiamato in causa diret
tamente, non potrà essere neutrale. Interviene per dirimere la que
stione e rispondere alle diverse attese, degli amici e di Gb (forse
anche dei lettori!). Gli uni si attendono un fulmine che faccia ta
cere lo spergiuro (cf. 20,23-28), l’altro invoca un incontro dram
matico (la tempesta fa da ottima cornice), per stabilire la propria
innocenza e di conseguenza la colpa di Dio53. Ma questi respinge
le accuse di Gb e confuta le tesi degli amici sulla retribuzione, ri
conoscendo l’innocenza di Gb.
Il testo è articolato in due discorsi (cc. 38-41) e nell’atto di
sottomissione da parte di Gb (42,1-6). Dio nella tempesta, segno
della sua potenza e sovranità, non travolge l’interpellante come
questi temeva (cf. 9,17). Lo stile è ironico, con ripetute domande,
difficile da decifrare. E forse aperto a più interpretazioni legitti
me. Ci lascia con molte delle nostre domande, ma nello stesso
tempo conduce e invita a una ricerca più profonda, oltre lo scon
tato. Il discorso è concentrato a partire dalle due domande inizia
li, che suonano come rimprovero a Gb: 38,2(3) [la risposta in
42,3 = 38,2a considera come unità i cc. 38-41] e 40,8.
52 Cf. V o n R a d , o .c ., p. 200 .
53 Alonso afferma che anche il lettore e il commentatore hanno forse preso
parte per Gb o per Dio, sia pure con dubbi ed eccezioni; in un’ ambiguità indecisa.
Lo confermano le molteplici interpretazioni di queste pagine, riportate dall’auto
re nel commentario, cf. L. A l o n s o S c h ò k . e l - J.L . S i c r e D i a z , Giobbe, Boria, Ro
ma 1985, pp. 598-600 .
244
I discorso: la Sapienza creatrice. Dio elenca la creazione del mondo
con tutti i suoi elementi, dal cielo alla terra. La creazione e conservazio
ne degli esseri con la conoscenza di quanto è a loro necessario. Gb ac
cenna a una prima risposta in 40,3-5.
II discorso: Dio controlla tutte le forze, anche le più potenti e nega
tive. Particolarmente spettacolare la descrizione di behemót [plurale di
«bestia», «bestiame», la bestia per eccellenza, a indicare una realtà
«mostruosa» di forza straordinaria], identificato in Ugarit con l’elefante
0 con un mitico bufalo e qui con P«ippopotamo», e dei mostri marini,
particolarmente leviatan, un mostro del caos primitivo, qui identificato
con il «coccodrillo». La risposta finale di Gb è in 42,1-6.
1 discorso: Gb 38,2-3
Chi è costui che denigra il mio piano {mizeh mahsik ‘esa)
con parole senza conoscenza?
Cingiti i fianchi se sei uomo:
10 t’interrogherò e tu mi renderai conto.
245
Ecco mi sento piccolo, che cosa posso replicare?
Pongo la mia mano davanti alla bocca.
Una volta ho parlato, non replicherò,
due volte, ma non insisterò (40,1-5).
II discorso: Gb 40,8
Dio trae le conseguenze del primo discorso e lancia la sfida a
Gb. Il nuovo discorso prolunga il dibattito, affrontando il proble
ma del male. Gb aveva ottenuto una prima vittoria: aveva fatto
intervenire Dio senza essere fulminato. La risposta divina lo ha
ammutolito. Ma Dio ha ancora dell’altro da fargli comprendere
e ammettere. Ora affronta un problema giuridico:
ha ’ap taper mispati/ tarsi'eni lema ‘an tisdaq
Osi violare il mio decreto (o annullare la sentenza),
condannare me per essere tu assolto?
Si tratta di un processo, dove Gb aveva capovolto il ruolo:
aveva accusato di ingiustizia il Dio giudice, perché senza motivo
lo castigava. La proclamata innocenza di Gb esige la colpevolez
za di Dio? Dio respinge questa impostazione, introduce nei vv. 9
14 l’elemento del malvagio e propone a Gb di prendere il suo po
sto, lo sfida a governare meglio di lui: prenda le redini del mon
do, appaia in una teofania e annienti i malvagi. Sarebbe una solu
zione, una vittoria? Di fatto, Dio non elimina gli animali nocivi,
behemót e leviatan (vv. 15ss), né ha eliminato satàn. Gb vuole
farlo, sarebbe possibile, ne uscirebbe vincitore? Il culmine dell’i
ronia è al v. 14; Gb farà da Dio e Dio gli canterà un inno di lode:
«Allora anch’io ti darò lode: “ la tua destra ti ha dato vittoria!”».
Perciò continua la perorazione della propria causa e dei propri
«decreti» come giusti. Alla fine Gb si sottomette (42,1-6). Rico
nosce l’onnipotenza di Dio: per questo egli può tollerare anche il
male; confessa la propria ignoranza e presunzione e accetta di
aver detto cose senza senso negando un piano divino sulla crea
zione; aggiunge la sua nuova esperienza di Dio raccolta nei due
verbi: dalla conoscenza per «aver sentito» all’esperienza perso
nale, «vedere». Non spiega, contempla.
Per sentire d’orecchio ti ho conosciuto,
ma ora i miei occhi ti vedono (v. 5).
246
Nella teofania e nella parola Gb si è incontrato con il Signore,
lo ha compreso più profondamente. Nel lungo intervento il Si
gnore ha descritto la sua potenza e la sua tenerezza nei confronti
di tutta la creazione allentando l’angoscia di Gb. Il mistero persi
ste, ma ora egli ha il coraggio di affrontarlo e di addentrarvisi:
«Solo un uomo in ricerca può avere la lealtà di riconoscere che,
pur non comprendendo appieno, si è potuto affacciare sull’abisso
del mistero»54.
Perciò rifiuto e sono consolato
su cenere e polvere (v. 6 )55.
La conclusione finale esprime la duplice esperienza antitetica
del rifiuto della sua situazione, che lo gettava nel lutto, e della
consolazione, perché sa che, nonostante tutto, Dio è dalla sua par
te. Il lettore lo sapeva sin dall’inizio, ora anche Gb ne è consape
vole. La coscienza che Dio gli è vicino è più grande della malattia.
NeWepilogo (42,7-17) l’autore ha voluto riprendere i dati tra
dizionali del racconto antico e rispondere ad alcune questioni ri
maste in sospeso. I vv. 7-9 rappresentano la sentenza del proces
so, sentenza assolutoria per Gb, non per gli amici, nei riguardi dei
quali Dio chiede al protagonista di diventare «intercessore» soli
dale (v. 10) per liberarli dal male: esige da lui un ultimo sforzo,
rinunciare a ogni rancore e assumere la loro causa davanti a lui.
Gb infatti aveva detto la nekónà, «cose valide, ben fondate», nei
confronti di Dio, aveva cioè assunto un atteggiamento corretto,
quello del credente che non si rassegna al non senso di Dio. La
sua passione veemente e i suoi discorsi paradossali non erano do
minati da volontà di rottura, ma intendevano affermare la «giusti
zia» di Dio. Gli amici invece, non avevano detto cose altrettanto
valide. Non erano in causa le loro parole, tratte dalla tradizione,
quanto piuttosto Vintenzionalità dei loro discorsi: avevano parla
to a favore di Dio contro l’uomo, si erano situati accanto a Dio
247
per meglio accusare Gb. In questo avevano irritato Dio; era una
caricatura e un attentato alla sua giustizia.
L’ultima parte dell’epilogo (vv. 10-17) conclude il libro con
la restituzione dei beni. Non si tratta della semplice ripetizione
della teoria tradizionale. Infatti, Dio rende i beni a Gb dopo aver
lo qualificato come «intercessore» e dopo che lo stesso Gb ha ri
conosciuto che esistono «cose meravigliose più grandi di me»
(nipla ’ót mimmenni). La restituzione è un atto della divina bontà,
della sua fedeltà e generosa gratuità. L’iniziativa infatti non viene
da Gb, ma da Dio «che decide di non restare adirato con i suoi
amici, di fare intervenire Giobbe, di avere riguardo per lui, e infi
ne di gradire l’olocausto degli amici unicamente a causa dell’in
tercessione di Giobbe»56.
Interpretazione
Il volto di Dio
Il problema che assillava Gb era il volto di Dio, su cui aveva
dibattuto con gli amici. Qual è questa nuova esperienza? Il discor
so divino rappresenta il punto cruciale dell’opera. Rivela la tesi
dell’autore e il volto di Dio. Riteniamo utili in proposito le osser
vazioni di Alonso che parte dalle attese di Gb nel corso del libro.
a) Voleva incontrare Dio (Gb 13,15s; 23,3). Dio si manife
sta e Gb lo riconosce: «i miei occhi ti vedono» (42,5). Giunge
all’incontro, in compagnia di Dio. Richiama Sai 73: Dio invita
ad ascendere per intravedere in lontananza il destino dei malvagi,
ma soprattutto invita il salmista all’incomprensibile e incompara
bile compagnia di Dio. Anche in Gn 32 Giacobbe vede ed è sal
vo; il fatto ripetuto con Gb è già un’importante giustificazione.
b) Voleva discutere con Dio, dialogare direttamente con lui:
lo sfida e accusa (13,20-24). Dio non risponde all’accusa («quan
ti sono i miei peccati»), ma, contro gli amici (42,7-8), riconosce
248
valido il giuramento di innocenza di Gb. Rimprovera solo di cen
surare il piano divino senza comprenderlo57.
c) Chiedeva una tregua dal dolore prima di morire (Gb
10,20). La ottiene pienamente. Il tono ironico e condiscendente
di Dio mostra che non vi è ostilità. A Dio è sufficiente un tono
persuasivo e capace di rasserenare. E una fermezza comprensiva
che a noi suona patema. La felice tregua lascerà il passo a una
tappa di ristabilimento. Gb trova in Dio la compassione, la com
prensione, le ragioni persuasive, che chiedeva agli amici
(6,14.24-25).
d) Chiedeva la colpevolezza del rivale per ricevere la propria
giustificazione e assoluzione (40,6-14, spec. v. 8). Questa impo
stazione Dio rifiuta: la proclamata innocenza di Gb non esige la
colpevolezza di Dio. Respinge il dilemma:
- va condannato l’uomo per giustificare Dio = la sofferenza è ca
stigo; è il tema degli avvocati di un Dio senza misericordia (le
gato a leggi meccaniche);
- o va condannato Dio per giustificare l’uomo = la tesi di Gb.
Nella replica Dio presenta la relazione in modo più comples
so. L’impostazione «giuridica» va usata con cautela. Come prin
cipio generale è ingiusta contro Dio e contro l’uomo. Anche fra
gli uomini il diritto reciproco è soddisfacente come unica impo
stazione? Nelle relazioni con Dio non vi sono altre impostazioni
come la lode, la fiducia e l’amore, la misericordia, la gratuità?
57Von Rad, a sua volta (o.c., pp. 203ss), osserva che Dio afferma l’esistenza
di un suo piano nel mondo, ma rinuncia a dire qualcosa che lo spieghi. Tuttavia,
non esige da Gb un’assoluta rassegnazione né provoca agnosticismo, ma ne sol
lecita la riflessione. Rispondendo con domande che partono dalla creazione, pre
senta dei fatti quotidiani: «E la creazione che fornisce a Dio la possibilità di ren
dersi testimonianza». Essa testimonia la serenità di Dio nel volgersi verso un
mondo che sfida tutti i criteri della razionalità umana. Dovrebbe aiutare l’uomo
a ritrovare la propria serenità di fronte alle aporie insolvibili.
58 W estermann, o . c ., pp. 33-48.
249
zione», il racconto sottolinea la fiducia di Gb «pio e paziente».
Tuttavia, nonostante la tensione e la non convergenza delle due
unità, il redattore dovette ritenere possibile la connessione tra il
racconto preistorico (cf. Ez 14,14.20) e il dramma.
Nel racconto scopriamo che Dio mette alla prova Gb (come
Abramo e Isacco, Gn 22): egli unisce sofferenza e fedeltà (indi
rettamente, come dice Von Rad, egli coglie la protezione e il pen
siero di Dio); è un pio esemplare. Anteponendo il racconto, il re
dattore vuole mostrare che Gb era un uomo pio, timorato di Dio;
desidera che il Gb ribelle non dia una falsa impressione: è sempre
il Gb fedele. Il poeta era convinto che i due atteggiamenti erano
del tutto possibili in una stessa persona. Infatti, esaminando la
querela fatta a Dio, Gb continua a lodare Dio anche se non lo
comprende (cf. cc. 9-10); e la fiducia permane, anche se il motivo
è poco usato (16,19-21 e 19,25-27).
In conclusione. Dio accetta anche il linguaggio della dispera
zione di un sofferente che dubita della divina giustizia, se questi
continua a tenersi saldamente a lui legato. Pio e ribelle sono la
stessa persona, possono coesistere. Gb è ribelle contro gli amici:
Dio tacendo sembra stare dalla loro parte, ma egli risponde. L’au
tore offre il suo messaggio in un tempo di sconvolgimenti, non
mette assieme la teoria del Dio che benedice e maledice con la
teoria della retribuzione. Per Gb tale dottrina non è realistica; egli
rimette in questione che significa affermare Dio di fronte alla sof
ferenza incomprensibile e inspiegabile.
3. Q o h e le t o E c c le s ia s t e
Introduzione
Autore e ambiente
Il titolo - Qohelet - è nome femminile (da qahal, «assem
blea»), ma con significato maschile, a indicare probabilmente la
professione dell’autore (maestro di scuola) o la lettura in comuni
tà, oppure si tratta di un soprannome, «colui che riunisce», per
indicare il fondatore di un circolo o di una scuola filosofica. Se
condo Lohfink Qohelet «è il libro più mediterraneo dell’AT e su
250
bisce il fascino dell’ellenismo»59, intendendo con il termine la
cultura dei grandi autori e dei filosofi, come Omero, Eschilo e
Sofocle, Platone e Aristotele, recepita a livello popolare. «Il libro
di Qohelet può essere inteso solo come un tentativo di ricavare
dall’interpretazione greca del mondo quanti più elementi possibi
le, senza costringere la sapienza israelitica a rinunciare contem
poraneamente alla sua autonomia. Da un lato infatti l’antica sa
pienza di Israele, anzi dell’Oriente, costituisce nel libro lo sfondo
ovvio, per contenuto e forma; dall’altro il discorso prende le mos
se dalla nuova realtà così come essa si è ormai imposta, e l’ispi
razione proviene chiaramente dalla cultura greca»60. Infatti, nello
stile, sembra citare proverbi antichi per vagliarli criticamente, as
sentire o dissentire o ironizzare nei loro confronti.
Per quanto riguarda la lingua, l’autore scrive in un ebraico
tardivo, vicino a quello della Mishnd, un ebraico sui generis che
presta attenzione all’idioma del popolo, che parlava aramaico
(numerose sono infatti le parole aramaiche), e sviluppa concetti
filosofici a partire dal linguaggio commerciale (cf. salario, van
taggio, ecc.). Sintassi greca e stereotipi del linguaggio della cul
tura greca penetravano allora nell’ebraico, come oggi molte paro
le in inglese.
La data di composizione dell’opera sembra perciò da porsi,
più logicamente, nell’epoca ellenistica, verso la fine del terzo se
colo (220-200 a.C.), a Gerusalemme: qui si può comprendere
meglio il fatto che il libro sia scritto in ebraico61.
251
L’ambiente d’origine, anche dal ricorso alle citazioni, rivela il
mondo della «scuola» e quello della borghesia mondana aperta,
tipica del periodo tolemaico, con lingua e stile di vita greci, pre
senti anche a Gerusalemme.
L’autore del libro di Qohelet è dunque un filosofo ebreo del
III secolo a.C. che tenta un dialogo tra la fede e la cultura giudai
ca con la filosofia greca soprattutto popolare, cinica, stoica, epi
curea, scettica.
Genere letterario
Per il genere letterario gli autori hanno proposto diverse ipo
tesi. «Testamento regale» diffuso in Egitto (Von Rad, seguito da
Moria Asensio), unito attorno ad alcune nozioni fondamentali, ed
es. «vanità», «inseguire il vento», «pena», «parte», ecc. «Diario
di riflessioni» o «pensieri»: «nessun giorno il tema è prestabilito,
nessun tema impone uno sviluppo prefissato; un tema può ritor
nare in variazioni e metamorfosi, senza escludere interferenze te
matiche» (Alonso)62. «Diatriba fdosofica dei cinici»: riconosce il
duplice influsso ideologico-formale della filosofia popolare (cini
ca, cirenaica, scettica e, in parte, anche stoica ed epicurea) unita
al principio della disposizione simmetrica, eredità della retorica
semitica e biblica (Lohfink); più che un genere indica un procedi
mento. Il fatto mostra la difficoltà di classificare il materiale. For
se il «diario» corrisponde all’impressione più comune; l’autore
prende del materiale già esistente e, da buon maestro esigente,
lo sottopone alla critica per considerarne la consistenza o la «va
nità». Il problema si riflette sulla struttura.
252
Struttura e contenuto
La struttura è dibattuta. È difficile stabilirla dato il carattere
dell’opera stessa e l’intreccio dei temi. L’intero libro è percorso
della tecnica della Leitwort, che trova corrispondenza nell’Antico
Oriente. Essa fa sì che tutto sia intrecciato insieme con il tutto in
una misteriosa rete, e ogni interprete che cerchi un procedimento
lineare del pensiero, sarebbe senza speranza di salvezza, immi
schiato in questo sottile mondo linguistico. Tuttavia l’insieme
ha una sistemazione63.
Nei dodici capitoli tutto confluisce verso una struttura ciclica
dell’opera. E la sapienza degli opposti che si esprime per antitesi e
polarità : la logica di Qohelet non è dimostrativa, ma «dialettica»
(stile della diatriba: cinica?). Due sono i temi dominanti: il senso
dell’agire umano, del suo affaticarsi; il valore della sapienza inte
sa come capacità di riflessione e come sapienza tradizionale.
Quattro poemi attirano l’attenzione sulle problematiche del li
bro: a) 1,4-11 (cosmo e uomo); b) 3,1-8 (i tempi); c) 7,1-8 (ciò
che è meglio, tób); d) 11,7-12,7 (vecchiaia e malattia o morte).
Si possono riconoscere due parti con corrispondenze stilistiche e
tematiche64.
1,1.2-3: titolo e motto di un autore anonimo che intende tramandare i
detti di Qohelet: hebel habalìm hakkol hebel - quale vantaggio dal-
l’affannarsi dell’uomo?
I - 1,4-6,9: ricerca di ciò che è bene per l’uomo e senso del suo agire
A) 1,4-3,15: Io (le esperienze del protagonista alla ricerca della feli
cità).
Cosmologia (1,4-11), antropologia e teologia (1,12-2,26); tempi
(3,1-15). Di fronte al dominio della morte ogni possibilità e riuscita
65Cf. N. L o h f in k , Introduzione.
64 Mi ispiro alle proposte di V. D ’A la r io , Il libro di Qohelet (Supplementi
alla Rivista Biblica 27), Edb, Bologna 1992, che si appella a Lohfink, o.c., e a
P. Rousseau, Structure de Qohelet 1,4-11 et pian du livre, «VT» 31 (1981), pp.
200-217: Qo 1,4-11 costituisce una premessa sviluppata nel libro in una struttura
ciclica. Alcune note sono anche in J. Coppens, La structure de l'Ecclésiaste, in
M.G ilb e r t (a cura), La sagesse de 1'Ancien Testament. Nouvelle édition (B e tl
LI), Louvain 1990, pp. 288-292, che tratta più delle varie fasi o motivi della com
posizione.
253
si rivelano hebel\ sotto il profilo teologico, la felicità umana è già do
nata da Dio all’uomo, questi non la crea da sé. Tutto ciò che accade è
agire di Dio, opera perfetta, eterna, ma l’ordine del mondo è al di là
della conoscenza umana. A ll’uomo rimane il timore di Dio che lo
mette in sintonia con l’azione divina e gli fa accogliere, di volta in
volta, il dono ricevuto e riconoscere il suo limite, perché la totalità
del mondo gli resta impenetrabile. L’azione umana da sola è puro fal
limento (hote’, 2,24-26), ma la gioia non è irraggiungibile, è parte
dell’agire bene (3,12).
B) 3,16-6,9: tób - ciò che è bene per l ’uomo. Qohelet esamina il
mondo, se c’è il bene. È approfondimento critico a partire dal sociale.
L ’analisi è severa: corruzione del diritto, oppressione delle classi in
feriori, concorrenza spietata tra i ricchi, solitudine dei potenti, volubi
lità della piazza, intricata burocrazia impiegatizia, fallimenti nel com
mercio, destino da schiavi di chi un tempo era ricco. E riconferma
dello hebel e del timore di Dio.
In una specie di «intermezzo» (4,17-5,6), vi è anche la critica della
religione che denuncia le forme esteriori di una religiosità solerte,
ma non vissuta seriamente, alla quale Qohelet contrappone il timore
del Signore.
Il -7,1-11,6: la sapienza tradizionale
6 , 1 0 -1 2 : passaggio (cf. gli interrogativi al centro)
254
12,8-14: Epilogo. Un anonimo redattore presenta ai lettori attività e testi
di Qohelet che la tradizione ha identificato nel re Salomone, ideale di
sapienza.
255
bile quantificarlo o inutile definirlo; resta oltre l’uomo come l’or
dine del mondo. Egli rifiuta risposte semplicistiche e introduce
un ragionare «dialettico», per insegnare ad affrontare la realtà
complessa, senza semplificazioni. Anche se, a dire il vero, il pen
siero è abbozzato più che compiuto e, talora, contiene più doman
de che risposte.
Ricorda il Creatore aiuta a ritenere che tutto il bene che si po
trà sperimentare sarà comunque dono, non frutto della tua «fati
ca», in sé deludente e destinata al fallimento (cf. 2,24-26)66: que
sto significa «temere o rispettare Dio». Ciò comporta una risposta
pratica, con l’impegno ad agire bene, e l’accoglienza della gioia
gustata come frutto del proprio lavoro, considerandola dono di
Dio. Egli non si rassegna al «fato», ma appella alla liberto. Così,
nel giorno lieto si deve stare allegri e nel giorno amaro riflettere :
Dio li ha creati entrambi perché l’uomo non trovi nulla di ciò che
verrà dopo di lui (7,14). L’atto di fede non è «fideismo», ma ca
pacità di accogliere l’opera di Dio, che è comunque sempre all’o
pera, mettersi in sintonia con il suo agire e attendere da lui l’espe
rienza della gioia (8,12); perché «la vita del giusto e del saggio e
le sue opere restano nelle mani di Dio» (9,1).
In sintesi, il libro è finalizzato a cercare «ciò che è bene» nella
vita di un uomo. Esso consiste nel vivere gioiosamente, sapendo
gustare la vita come dono, nel ricavare soddisfazione dal proprio
lavoro e nell'operare il bene, agendo secondo il principio del ti
more del Signore. Sorretti dal timore di Dio e coscienti del pro
prio limite, bisogna allenarsi ad accettare i «tempi» inevitabili
del nascere e del morire, della malattia e della guarigione (3,1
8), a vivere con gioia e distacco, sapendo che tutte le realtà uma
ne sono inconsistenti, cioè hebel. Tuttavia, alcune cose non risul
tano hebel: il timore di Dio, fare il bene e gustare la gioia, l’ami
cizia solidale. Paradossalmente potremmo dire che per Qohelet
tutto è hebel e insieme dono.
256
Tematiche fondamentali e interpretazioni di Qohelet
La difficoltà di una dottrina non conclusa, e forse anche i pre
giudizi del lettore, non facilitano l’interpretazione di un autore
come Qo. A cominciare dalla parola chiave, hebel, che taluni tra
ducono «vuoto» (Ravasi, quasi sempre) o «assurdo» (Fox), ma
che forse potremmo tradurre, in senso meno negativo, con «sof
fio», cioè realtà impalpabile, senza una precisa consistenza, che
subito sfuma ed è votata a una veloce dissoluzione (cf Ravasi
su 11,10). Raccogliamo le tre linee interpretative67.
257
- L'uomo non può conoscere l’opera di Dio nel mondo. Il
tempo è fissato per ogni atto (3,9-11); non può adattarvisi né di
fendersi. Cieco e incosciente, come le bestie che si gettano nella
rete, è improvvisamente assalito dalla «disgrazia», dal «tempo
cattivo» (9,12).
- Ne derivano inquietudine e tormento creati dalla frontiera
invalicabile alla volontà di conoscere dell’uomo. L’uomo, so
prattutto quello attivo, non riesce a padroneggiare la propria vita;
il «vantaggio» (yitrón) del suo impegno-affaticarsi è solo la tribo
lazione, non può mai afferrare l’opera di Dio (3,9-11).
Gli resta una possibilità: la disponibilità ad accogliere ciò
che Dio gli garantisce. Approva perciò la letizia (cf. 7,14-15;
8,14-15). In altre parole, ciò che dà senso alla vita è la possibilità
di riconoscere una volontà di Dio favorevole all’uomo. L’uomo
può rallegrarsi di questo: può cogliere la gioia (9,7.8.9-IO)68.
E lo scacco di fronte alla morte, l’inconoscibilità di Dio, l’ar
bitrarietà del cosmo e di Dio, la mancanza di un dialogo dell’uo
mo con Dio, la mancanza di un senso ultimo soddisfacente, l’as
senza di certezze e sicurezze. In questo contesto la «gioia di vive
re» non ha valore decisivo.
68 Su questa linea è W . Z im m e r li, The Place and Limit o f thè Wisdom: in thè
Framework o f thè Old Testament Theology, «The Scottish Journal of Theology»
17 (1964), pp. 156-159: «Qo impedisce alla sapienza di varcare i confini per an
dare alla ricerca del significato delle azioni della vita». Cf. anche C r e n s h a w e J.T.
W a l s h , Despair and Theological Virtue in thè Spirituality o f Ecclesiastes, «Bi
blical Theological Bulletin» 12 (1982), pp. 46-49: Qo sceglie di accettare rasse
gnatamente la mancanza di un senso ultimo della vita; è «disperazione», tuttavia
pacificante.
258
Non essere troppo giusto (saddiq, legato alla legge)
né farti troppo saggio (hithakam):
perché vuoi rovinarti?
Non essere troppo malvagio (ras a)
e non essere sciocco (sakal):
perché vuoi morire anzitempo? (7,16-17)
259
Vi è un tempo per ogni cosa (Qo 3,1-15)
Il tema dei «tempi» e del «tempo» è uno dei più affrontati da
gli studiosi di Qo. Lo stesso tema è presente in un altro autore,
affrontato con metodo e significato diversi, Ben Sira (Sir
39,12ss). Che cosa intende l’autore quando parla di un tempo
per ogni cosa?
Testo
1Per tutto c’è un tempo (zeman),
un tempo ( ‘et) per ogni faccenda sotto il cielo:
2un tempo per nascere -un tempo per morire,
un tempo per piantare -un tempo per sradicare,
3un tempo per uccidere - un tempo per guarire,
un tempo per distruggere - un tempo per costruire,
4un tempo per piangere - un tempo per ridere,
un tempo per far lutto - un tempo per danzare,
5un tempo per gettare pietre - un tempo per raccogliere pietre,
un tempo per abbracciare - un tempo per astenersi dall’abbraccio,
6un tempo per cercare -un tempo per perdere,
un tempo per custodire -un tempo per gettare,
7un tempo per stracciare -un tempo per cucire,
un tempo per tacere - un tempo per parlare,
8un tempo per amare -un tempo per odiare,
un tempo per la guerra - un tempo per la pace.
9Quale vantaggio trae chi lavora, da ciò per cui si affatica?
10Ho considerato (ra ’itì) la fatica
che Dio ha imposto ai figli degli uomini per affaticarli:
11tutto egli ha fatto bello a suo tempo (be 'ittó);
anche ha ‘ólam ha imposto nel loro cuore,
senza che l’uomo possa scoprire l’opera
che ha compiuto Dio dall’inizio alla fine.
12Ho compreso (yada ‘tf) che non vi è bene più grande di questi:
gioire e compiere il bene nella propria vita;
13e anche (che) ogni uomo che può mangiare e bere
e godere il bene di tutta la sua fatica è dono di Dio.
260
14Ho compreso (yada ‘ti) che qualunque cosa Dio faccia,
essa è eterna (le ’ólam),
non vi è nulla da aggiungere, nulla vi è da togliere;
e (che) Dio ha operato perché ci sia il timor di lui.
15Ciò che è stato era già, ciò che sarà già c’era;
ma Dio ricerca ciò che fu ingiustamente procacciato.
261
3,1-8 raccoglie le opposizioni in una serie di 14, a indicare la
totalità (7 + 7). Vi convergono aspetti diversi: individuali e collet
tivi, di sentimento e azione, di attività o passività dell’uomo. In
comune hanno il carattere polare - estremi od opposizioni - e lo
sviluppo nel tempo. All’inizio sono gli estremi della vita in cui si
inseriscono tutti gli altri: nascita e morte. Dall’inizio alla fine la
vita umana è posta sotto il controllo e lo scorrere del tempo; l’uo
mo non può fare che una cosa alla volta. E dopo di lui scorre
un’altra generazione (cf. 1,4): «una generazione va e un’altra vie
ne»70.
Il testo presenta alcuni termini di significato incerto e di diffi
cile interpretazione.
* Anzitutto la categoria di «tempo»: ‘et, che corrisponde al kai-
rós greco. E il «tempo opportuno», «tempo fissato», «momento»,
ma anche, in senso più largo, «la possibilità, l’occasione». La vita
è fatta di occasioni; tra la vita e la morte ognuno, più o meno, le
incontrerà. L’uomo deve saperle riconoscere e accogliere quan
do capitano. La possibilità di riuscita dipende dall’istante favo
revole.
L’esperienza conferma che nulla ha valore assoluto: l’elenco
pone il problema della dipendenza enigmatica di ogni evento dal
«tempo opportuno» (e l’autore sembra indicare che l’uomo non è
in grado di prevederlo in anticipo). Il tema è frequente nella sa
pienza dell’Antico Oriente. Lo scopo dell’insegnamento sapien
ziale era in gran parte quello di conoscere il tempo giusto, il luo
go giusto, la misura giusta dell’azione umana. Un esempio signi
ficativo è in Ben Sira 39,12ss; ma anche l’idea dell’albero che
porta frutto «a suo tempo» (Sai 1; Sir 24: i frutti della sapienza),
gli uccelli che emigrano «al loro tempo» (Gb 5,26; Ger 8,7 cf. Gn
31,10), il tempo per le nozze della ragazza (Ez 16,8).
70 Ben Sira ha un tema simile sullo scorrere delle generazioni: «Come cresco
no le foglie su un albero frondoso, / una muore e l’altra spunta, / cosi le genera
zioni di carne e sangue: / una muore e l’altra nasce»; e conclude con uno stile
degno di Qo: «Tutte le sue azioni imputridiscono, / ciò che le sue mani hanno
guadagnato se ne andrà con esse» (Sir 14,18-19).
262
* Alcune opposizioni risultano oscure. «Uccidere», si può in
tendere «lasciar morire», riferito forse alla guerra o a sentenze di
condanna a morte. «Gettar “pietre” - raccogliere “pietre”» (v.
5), può contenere delle glosse (cosi «allontanarsi “ dall’abbrac
cio”»). Una tradizione esplicativa giudaica suppone qui un’allu
sione alla relazione sessuale; in tempo di guerra si riempiva un
campo di pietre, rovinandolo (2Re 3,19.25); si allude al tumulo?
o si tratta di un’eco dei vv. 2b.3b: piantare-svellere, distruggere-
costruire, con riferiento alla casa? «Strappare-ricucire» (v. 7) al
lude probabilmente all’inizio e alla conclusione del lutto (cf. v.
4b: lamento e danza). «Cercare-disperdere» (v. 6) allude all’atti
vità economica, intendendo fortuna o sfortuna?
* Dio ha dato all’uomo ha ‘ólam (v. 11). Il termine è oggetto di
discussione tra gli autori. Von Rad rende con «eternità». Il signi
ficato è «tempo lontano». Di per sé indica ciò che è «oscuro»,
perché antico o perché futuro; infatti, alla fine si parla di ciò che
Dio «ha fatto dall’inizio alla fine», cioè tutto. Loretz riporta le di
verse interpretazioni71; Dahood mi sembra tradurre bene con
263
«ignoranza»72. L’uomo di fronte all’opera «eterna» di Dio è se
gnato dal «tempo» e vinto da una «invincibile ignoranza». Il pro
blema è epistemologico non teologico.
* Problematico è anche l’ultimo stico: weha’elohim yebaq-qes
'et nirdap. Accanto a: «Dio fa tornare il passato»73, si può inten
dere: «Dio ricerca-punisce ciò che è stato ingiustamente procura
to» (Loretz74). Un’analoga espressione è in Sir 5,3 ebraico: kCyy'
mebaqqes nirdàpim, che le versioni greca («Dio sicuramente pu
nirà») e siriaca («Egli è un vendicatore per tutti gli oppressi») in
terpretano come punizione per gli ingiusti. Lo stico risponde a Sir
5,3a che ammonisce a non confidare nella propria potenza. Si
può supporre un significato analogo in Qo 3,15. Ogni azione-fa
tica umana (3,10) ritorna davanti a Dio per essere vagliata e giu
dicata, anche se l’uomo non riesce a percepire tutta l’opera divi
na. La risposta di Qo sull’impegno dell’uomo non sembra essere
del tutto negativa.
L’opera umana deve, però, porsi in sintonia con l’opera divi
na. Ciò è attuato mediante il timore di Dio: esso è frutto della
contemplazione dell’attività divina e della constatazione del limi
te dell’uomo. Da parte sua, Dio rivela una volontà benefica nei
confronti dell’uomo; il segno è il «dono» di poter usufruire dei
frutti (il «bene») della propria attività e fatica.
Conclusione. Qo oppone l’attività dell’uomo all’opera di
Dio. L’uomo è legato al «tempo», a cose che si susseguono, non
può fare che una cosa alla volta. Deve attendere il tempo, l’occa
264
sione propizia, e l’opera di Dio gli resta nascosta. Al contrario,
ogni opera di Dio è eterna e perfetta, anche se si rivela e manife
sta «a suo tempo». Nulla lascia passare, ma tutto ricerca e giudi
ca. Così, per ogni cosa c’è il suo tempo di fronte a Dio (3,1).
All’uomo rimane una possibilità per superare il limite delle
sue azioni: il «timore di Dio». Con esso riconosce le opere di
Dio e si pone in linea con il suo agire. In tal modo tutto ciò che
compie riottiene in dono (natan) da Dio, e dono rimane. Temere
Dio equivale a far fruttificare l’attività e impegno-fatica nel mon
do, «a suo tempo». E operare perché il kairós si realizzi non in
forza della sola fatica umana, ma del dono di Dio. L’impegno
dell’uomo, da solo, diventa affanno inutile, frustrazione. Ritorna
il tema di Qo 2,26 che oppone il «buono» al «fallito» (hóte non
significa qui «peccatore») con diverso risultato: costui ammassa
e si affatica inutilmente, mentre il «buono», cioè chi è gradito a
Dio, riceve il dono di poter gustare i propri beni. L’ultima parola
rimane a Dio, sperimentato mediante il suo «timore»: questo è
l’argomento risolutivo delle opposizioni o polarità in cui la vita
umana è costretta a vivere.
D) BEN SIRA.
UN LIBRO ALLA FRONTIERA DEL CANONE75
Ben Sira o Siracide è l’unico libro dell’Antico Testamento di
cui conosciamo l’autore, ricordato nel prologo del nipote (riga 6)
e alla fine dell’opera. Molto probabilmente il suo nome fu Ge
sù76. Ben Sira è dunque un appellativo - nome patronimico o no
me di famiglia - che in greco viene letto «Sirach», donde la de
nominazione di Siracide. La tradizione antica lo chiamava Eccle
siastico, forse per la sua lettura in «comunità», la scuola o la
comunità religiosa. Il libro ebbe varie vicende. Stimato e letto
265
nell’antichità e citato dalla tradizione giudaica (una copia fu tro
vata tra i libri degli zeloti di Masada e alcuni frammenti a Qum-
ràn), non fu inserito nel canone ebraico mentre rimase in quello
greco. Fu la tradizione cristiana a tramandarne il testo, l’originale
ebraico andò perduto e per lungo tempo rimase sconosciuto. In
pratica fu un libro «alla frontiera del canone»77. D’altra parte,
proprio Ben Sira ci ricorda la presenza nel suo tempo di un grup
po di libri «sacri», anche se non è possibile delincarne l’ampiezza
e i contenuti precisi: «Legge, Profeti e altri scritti o libri» che mo
strano come Israele sia un popolo ricco di dottrina e di sapienza
(Prologo 2.10.25).
266
1. C h i e r a B en S i r a 78?
267
la» («casa dell’istruzione») nella quale invitava a prendere dimo
ra chi era senza istruzione, per acquistare sapienza (51,23-30).
Nell’appello a farsi suoi discepoli, egli sembra identificarsi con
la sapienza stessa (con richiami a Is 55,1-3 e Pro 1,20-13; 8,1-6).
Da buono scriba cita poche volte la Bibbia alla lettera, ma
tratta in maniera originale l’antica istruzione per adattarla ai suoi
uditori in un’epoca ormai aperta a tutti gli influssi stranieri. In po
chi versi talora concentra testi e motivi dell’Antico Testamento
con una straordinaria capacità sintetica e interpretativa; attingen
do alla tradizione sapienziale, invia un messaggio ai contempora
nei, applicando le sentenze alla storia del suo tempo (cf. Sir 5
passione e ricchezza; 10-11 sul potere, con allusione ai Tolomei).
Egli si ritiene erede e continuatore della linea sapienziale
(33[36],16-18) e di quella profetica (24,32-33, cf. 39,8). Perciò
il sapiente riceve lo spirito da Dio (39,6). Ben Sira rilegge la tra
dizione profetica attribuendo alla sapienza ciò che i profeti dice
vano dello Spirito81.
268
egli offrirà un esempio del suo insegnamento in un «inno didatti
co» (39,12-35).
L’ideale non consiste nell’essere «saggio per sé», ma «per il
popolo» (37,19-26). Egli mette il suo sapere a servizio di tutti,
effonde la sua istruzione redigendo un libro. L’intento nasce dal
senso stesso della vita: il nome di questo saggio sopravviverà alla
sua morte, perché gli viene quella lode e memoria positiva e uni
versale, che ne perpetua la presenza in mezzo al suo popolo (la
ekklesia) e tra i popoli (37,25-26; 39,8-10).
269
racchio, ma il discernimento avviene nel riferimento alle tradizio
ni bibliche»82. L’integrazione con i nuovi elementi serve a ribadi
re la propria identità.
Intellettuale credente
Infine, l’ideale del saggio in Ben Sira è la sintesi tra fede e
ragione, tra teologia e cultura, come a dire che egli intende la sa
pienza in senso religioso. Il saggio sin dall’aurora rivolge a Dio la
sua mente e prega, perché la sapienza è un dono che occorre im
petrare dal Signore, carisma che introduce nei misteri di Dio (Sir
39,5-8). Ciò non significa che tutto sia comprensibile; egli con
fessa, come Qohelet, la impossibilità di decifrare il modo di agire
di Dio nella varietà delle situazioni in cui l’uomo cerca la felicità.
Ci sono delle cose che non possono essere affermate, l’opera del
l’uomo e di Dio restano entrambe oscure a loro modo. Tuttavia,
Ben Sira canta e afferma la fede. Per lui le prove non si possono
riconoscere senza la fiducia in Dio che salva. Perciò, sapienza,
Torah e timore del Signore sono strettamente collegati, al punto
che in qualche caso praticamente coincidono o sono interscam
biabili. Il timore del Signore aderisce alla Torah e l’adempie
(19,20; 21,11; 1,15-16; 23,27), ma anche tutta la sapienza impli
ca l’osservanza della Torah (19, 20; 33,2).
Tutta la sapienza è timore del Signore
e in ogni sapienza è la pratica della legge (19,20).
270
Il timore del Signore™
Il «timore del Signore» caratterizza tutta la relazione tra uomo
e Dio. È uno dei temi centrali del libro. Per Ben Sira è «vita» (Sir
50,29 ebraico) o «forza» (ivi, greco), è il valore che lo ha salvato
da pericoli mortali (34,13-17), è «inizio e culmine, corona e radi
ce» della sapienza (1,16-20). Non c’è sapienza senza timor di
Dio. Il concetto classico (obbedienza e rispetto della volontà di
Dio) acquista in lui nuovi accenti ed emotività, è materia di espe
rienza con coscienza, sentimenti, volontà.
E un valore interiore: cerca Dio, è orientato a lui, lo ama (2,
15-16), confida in lui, si abbandona al suo volere e fugge il male
(26,6-11; 32,14-15). I suoi frutti, pace e salute, scienza e cono
scenza intelligente, lunga vita e benedizione nel giorno della
morte (1,14-20), danno pieno valore e significato alla vita.
Il timore del Signore è gloria e vanto,
gioia e corona di esultanza.
Il timore del Signore allieta il cuore
e dà contentezza, gioia e lunga vita.
Per chi teme il Signore andrà bene alla fine,
sarà benedetto nel giorno della sua morte (1,11-13).
271
Quanto è grande chi ha trovato la sapienza,
ma nessuno supera chi teme il Signore;
il timore del Signore è superiore a ogni cosa;
chi lo possiede a chi potrà essere paragonato?
(25,10-11, cf. 40,26-27).
Sapienza e Torah 85
La sapienza resta la via maestra verso Dio e un autentico cul
to (Sir 4,11-19). Il Siracide la identifica con la Torah, nel senso
che la considera Vespressione privilegiata della sapienza divina.
Per Torah intende la rivelazione storica data da Dio al popolo
eletto o la presenza di Dio nella storia di Israele e consegnata nel
«libro» sacro. E la sapienza di Dio offerta al suo popolo. Il saggio
vi fa riferimento perché vi scopre una funzione specifica nell’am
bito della sapienza: la Torah rappresenta l’interprete originaria
dell’ordine della creazione (24,3-6); e i grandi eventi o le opere
di Dio arricchiscono le riflessioni del saggio in una specie di filo
sofia della storia (Sir 44-50 e 16,7-10; 16,26-17,14). Ben Sira
prosegue così una tradizione già presente in Dt 4,6-8 e Esd
7,14.2486: la Torah è autentica sapienza.
A sua volta la Torah definisce e interpreta la nozione di timor
di Dio nel senso che, per il suo tempo, la volontà di Dio si espri
me per mezzo della Torah. Ma il timor di Dio non è provocato
esclusivamente dalla riflessione e meditazione sulla Torah: nasce
anche dalla riflessione e dalla contemplazione del mondo (c. 43).
272
In primo piano è la figura del saggio, lettore contemplativo.
Così Ben Sira argomenta non a partire dalla Torah, ma dalla sa
pienza: legge la Torah con gli occhi del saggio, la legittima e in
terpreta sulla base del pensiero sapienziale; così l’azione del let
tore prolunga la verità della Scrittura e la attualizza. E quando
tratta dei precetti, mantiene lo stile sapienziale dell’insegnamen
to, dimostrando che è cosa saggia osservarli. In definitiva, egli re
sta un saggio che fa appello all’esperienza e alla lunga tradizione
di osservazione della realtà complessa del mondo, dell’uomo e di
Dio.
2. L ’o p era le t t e r a r ia di B e n S ir a
Scopo e metodo
Il libro di Ben Sira, con i suoi 51 capitoli, si ispira al libro dei
Proverbi e riflette, nella struttura generale, il curriculum di uno
studente di sapienza. Come in Proverbi, il primo capitolo presen
ta la sapienza, e l’ultimo capitolo conclude con il poema acrosti
co sulla ricerca della sapienza (Sir 51,13-30, cf. Pro 1-9 e 31,10
31). Nel suo progetto pedagogico intende aiutare a riconoscere
un ordine nascosto nel mondo, scopo della sua attività è la signo
ria del contingente che si presenta ambiguo e sfugge a classifica
zioni.
Come metodo oppone la realtà polare o bivalente del creato
per operare il discernimento. Poiché le cose scivolano costante
mente tra il bene e il male, occorre riconoscere il loro valore in
ogni tempo e situazione: Ben Sira insegna la difficile arte di tro
vare e scegliere ogni volta il giusto aspetto. Perciò si porta al pia
no dell’esperienza e indaga il «duplice aspetto» della creazione e
la funzione del tempo (33,7-15 e 39,16-35). Polarità e alternanza
creano comprensione e possono essere ricondotte alla comune
origine in Dio87.
273
Il duplice aspetto della creazione (Sir 33,7-15)
Accanto al male sta il bene
E accanto alla vita la morte;
accanto al buono è il malvagio
e accanto alla luce sono le tenebre.
Contempla tutte le opere di Dio,
tutte a due a due, l’una di fronte all’altra (33,14-15).
Egli cerca una soluzione per ciò che appare «storto»: l’uomo
non può dare una risposta specifica, ma solo tener presente che
gli aspetti negativi e positivi non si distinguono quanto a origine,
perché tutto ha creato Dio, e accogliere momento per momento
ciò che Dio dà. L’opera dell’uomo e quelle di Dio, a loro modo,
sono entrambe oscure.
274
zionalità bivalente della creazione. Intende mostrare come Dio
diriga gli avvenimenti, e aggiunge che questa direzione è valida
in ogni circostanza: «Tutto è buono a suo tempo» (vv.
16.21.30cd-31.33). Egli non interpreta l’azione di Dio global
mente, a partire da una norma definita, ma dall’analisi delle cir
costanze, a partire dall’esperienza differenziata, per risalire alle
origini e ritrovare l’unità. La bontà non è colta in base a un siste
ma di valore o grazie a uno schema interpretativo, ma partendo
dall’istante in cui un fenomeno si manifesta e dalla sua necessità.
Perciò fenomeni in apparenza negativi sono buoni a suo tempo.
Il termine «tempo» nel testo greco (kairós come momento fa
vorevole) ricorre 60 volte. La nozione è molto importante in Ben
Sira e fondamentale per conoscere i fenomeni: l’uomo saggio ri
conosce il tempo. In questo quadro sapienza e stoltezza si oppon
gono come opportunità e inopportunità. Occorre ricordarsi della
funzione che il tempo assume ed esservi preparati. Egli introduce
una novità: è Dio che accorda all’uomo il «suo tempo». E un di
scorso teologico, non la semplice esperienza del cambiamento.
In definitiva, egli crede che tutto abbia un senso a suo tempo e
che non ci sia un tempo superiore, migliore o peggiore di un altro
(39,12a). Con Qohelet anch’egli afferma che Dio agisce al «tem
po opportuno» (il concetto di tempo - kairós - è il medesimo89);
ambedue confessano l’impossibilità di decifrare il modo di agire
di Dio nella varietà delle situazioni in cui l’uomo cerca la sua fe
licità. Ci sono delle cose che non possono essere affermate. Tut
tavia, diversamente da Qohelet, che riflette come se Dio non gli
fosse vicino, Ben Sira canta la fede. Perciò, può affermare quanto
appartiene alla tradizione religiosa. Egli non raggiunge la profon
dità drammatica di Qohelet, ma da buon maestro di sapienza rie
sce a «conciliare quanto non può essere affermato perché oscuro
e misterioso con quanto invece è affermabile in base alla tradizio
ne religiosa israelitica»90.
275
Contenuto e struttura
276
Di Leila) o, più genericamente, dal primo secolo a.C. (G.L. Prato) ci fu
rono delle aggiunte (Hb II) la cui origine è discussa. Tra il 150 e il 200
d.C. avvenne la traduzione di Gr II basata sul nuovo testo Hb II (dovette
avvenire prima di Clemente d’Alessandria che cita le aggiunte di Sir
1,2la, 22a; 19,5b e 26,22). La Vetus Latina sembra testimoniare questa
seconda edizione, ma ha aggiunte proprie. La Vulgata contiene dei pas
saggi che potrebbero essere di origine cristiana.
Nel testo greco vi è l’inversione dei capitoli 33,25-33,16a e 33,16b-
36,16a. É posteriore alla versione latina che conserva l’ordine dell’e
braico (mss B e E); questo, anche per la sua coerenza, deve ritenersi ori
ginale92.
Struttura
Nel libro appare una duplice sapienza, pratica e teorica9*.
Nella prima, l’intento è prevalentemente pedagogico-pratico con
i temi classici della tradizione: ricchezza e povertà, vera e falsa
sapienza, vero e falso onore, vera e falsa vergogna, l’educazione,
la famiglia con il rapporto tra uomo e donna o tra padre/madre e
figlio/a, l’amicizia, la moderazione e il dominio della passione e
della lingua, il comportamento pubblico e privato, l’umiltà, il po
tere e la superbia, ecc. sono i capisaldi su cui ritorna il saggio.
277
Nella seconda prevale una riflessione di tipo filosofico e teologi
co, in cui sono affrontati i grandi problemi dell’esistenza e della
storia.
Nello stile, il libro raccoglie serie di proverbi, che hanno alla
base la forma del distico, accumulandoli per argomento', sono
questi a determinare la struttura del libro. Le istruzioni alternano
spesso esortazioni al negativo e al positivo; vi intervengono an
che i proverbi numerici o i confronti di valore tendenti a mettere
in risalto l’ultimo e culminante, spesso il «timore» o rispetto di
Dio. Fa uso anche della strofa, ma in modo vario e mobile94. Ele
mento interessante è il frequente riferimento autobiografico, in
cui l’autore interviene coinvolgendosi in prima persona, soffer
mandosi a narrare la sua esperienza; essa diventa parte dell’argo
mentazione come l’esempio storico. Sovente l’insegnamento è
introdotto da domande che mettono in risalto le antinomie pre
senti nella realtà cosmica o antropologica. Una particolare fun
zione nella struttura del libro acquistano i canti alla Sapienza,
spesso personificata e identificata nella funzione di educatrice,
moglie o madre. Inoltre, ampie sezioni risultano collegate per sti
le, tema o procedimenti analoghi nell’argomentazione95.
Una serie di studi ha tentato di cogliere la struttura organica
del testo e la sua origine. L’organizzazione dei proverbi secondo
tematiche determina la struttura del libro che, tuttavia, nell'insie
me resta complessa. Si è ancora lontani da un accordo nel defini
94Sulla poesia di Ben Sira, cf. A. A. Di L e l la , The Poeti-y o f Ben Sira (Fs H.
O rlin sk y), «Eretz-Israel» 16 (1982), pp. 26*-32*; e nel commentario P.W . Ske-
h a n - A. A. Di L e l la , The Wisdom ofBen Sira, pp. 63-74; W. R o th , On thè Gno-
mic-discursive Wisdom o f Jesus Ben Sirach, «Sem eia» 17 (1980), pp. 59-79; W.
B a u m g a rtn e r, Die literarische Gattungen in der Weisheit des Jesu s Sirach,
«QAW» 34 (1914), pp. 161-198; S. M ow in ckel, Die Metrik bei Jesu s Sirach,
S T 9 (1955), pp. 137-165; F. Bòhmisch, Die Textformen des Sirachbuches und
ihre Zielgntppen, «Protokolle zur Bibel» 6 (1997), pp. 87-122. Sugli aspetti les
sicali, in specie nomi e verbi, cf. A. H u rvitz, The Linguistic Status ofBen Sira as
a Link between Biblical and Mishnaic Hebrew: Lexicographical Aspects, in T.
M oltraoka - J.F . E w o ld e (a cura), The Hebrew o f thè Dead Sea Scrolls and Ben
Sira: Proceedings o f a Symposium held at Leiden University 11-14 December
1995 (STDJ 26), B rill, Leiden/New York/Cologne 1997, pp. 72-86.
95In questa linea si collocano J. H a s p e c k e r , Gottesfurcht bei Jesus Sirach, e
G.L. P r a t o , Il problema della teodicea in Ben Sira.
278
re la logica globale dell’opera probabilmente redatta in più tappe.
Il libro risuona però di armonie di una grande coerenza.
Buona parte degli studiosi, partendo da Roth96, ha individua
to otto sezioni, ponendo l’accento sui poemi alla sapienza. Talora
si considerano due grandi sezioni, ciascuna divisa in quattro uni
tà, oppure se ne riconoscono tre, dando un posto speciale all’ulti
ma: la gloria delle opere del Signore nella creazione e nella storia
di Israele (42,15-43,33; 44,1-50,29)97. Utili indicazioni sono con
tenute nella rassegna di Marbòck, utile per il panorama dell’opera
e per individuare ampie unità tematiche e stilistiche: la ricerca ha
concentrato l’attenzione su alcuni modelli e caratteristiche tema
tiche e letterarie fondamentali, come le pericopi sulla sapienza, la
tendenza a più ampie e più compatte unità verso la fine (da
38,24), l’enfasi sulla storia di Israele al centro (c.24) e alla fine
(cc. 44-50), la lode della sapienza e di Dio, la centralità di Sir
24. Mi limito a segnalare ampie sezioni per far emergere i temi
ricorrenti98.
279
1.1-2,18: i primi due capitoli possono essere considerati il portale intro
duttivo del libro:
A. La sapienza in Dio, nel mondo e nell’uomo (timor di Dio 1,1-10
e 1,11-30). B. Ma la prova che purifica attende inevitabilmente
il discepolo che deve confidare nel Signore (2,1-18)".
51.1-30: epilogo o conclusione che trova corrispondenza con l’introdu
zione in forma di chiasmo.
B’. Ringraziamento per la liberazione da una calunnia: è il supera
mento delle prova prevista all’inizio; A ’, elogio acrostico della sa
pienza, a cui Ben Sira si è dedicato e legato come a una sposa (51,1 -
12.13-30); cosi il saggio profeta avverte il compito di effonderla nel
cuore dei suoi discepoli che invita alla sua «casa dell’istruzione»
identificandosi praticamente con la sapienza stessa (w. 23-30). Egli
ha realizzato la sua missione e il suo ideale: non ha lavorato per se
stesso, ma per tutti coloro che cercano la sapienza.
3.1-4,10: all’introduzione segue un primo insegnamento sulle relazioni
soprattutto familiari (3,16.30-31; 4,10): la parola chiave è «padre-
madre» (3,1; 4,10).
1. 4,11-6,17: al poema sulla sapienza maestra di vita, che impone fati
ca e prove a chi la cerca (4,11 -19), segue un’ampia unità sul duplice
aspetto (4,20-6,17). L ’insegnamento si conclude con una positiva
esposizione su\Vamicizia (6,5-17).
Research (BZAW 225), Berlin 1997, pp. 61-79, offre un’ampia panoramica cri
tica sui tentativi e sui metodi usati per cogliere l’unità globale del libro e di alcune
ampie sezioni. Originali sono le osservazioni di W. J u n g l i n g , D er Bauplan des
Buches Jesu s Sirach, in J. H a i n z - H.-W. J i ' n g l i n g - R. S e b o t t (a cura), «Den
Armen eine fr o h e Botshaft» (Fs F. K a m p h a u s ) , Knecht, Frankfurt am Main
1997, pp. 89-105: dà particolare valore alle note autobiografiche che ritiene «ini
zi» di sezione, cosa non sempre convincente, soprattutto ai cc. 24 e 51 in cui
l’appello autobiografico di Ben Sira è conclusivo, e divide il libro in tre parti,
ciascuna formata di due sezioni: Prologo', I. p a r t e 1,1-24,29: a) 1,1-16,23; b)
16,24-24,29; II. p a r t e 24,30-39,11: a) 24,30-33,15; b) 35,16-39,11; III. p a r t e
39,12-50,26: a) 39,12-43,33; b) 44,1-50,26; Epilogo : 50,27-29 (Sir 51 ). Sui passi
in prima persona, cf. anche J. L ie s e n , First-Person passages in thè Book o f Ben
Sira, «PIBA» 20 (1997), pp. 24-47 (esamina Sir 24,23-29 in unione con la sa
pienza che parla in prima persona e le note autobiografiche di Ben Sira stesso; e
Sir 31,1 OHb con 34,1 OGr).
99 Su questo capitolo, cf. N. C a l d u c h - B e n a g e s , Un gioiello di sapienza. Leg
gendo Siracide 2 (Cammini nello Spirito, Biblica 45), Paoline, Milano 2001; at
tinge alla sua tesi: En el crisol de laprueba. Estudio exegético de Sir 2, 1-18 (As-
sociación Biblica Espanda 32), Editorial Verbo Divino, Estella (Navarra) 1997.
280
2. 6,18-14,19: accanto al timore del Signore (6,37; 7,29; 9,16; 10,19
24) vengono i temi della transitorietà della vita e della morte
(7,17.36; 10,9-11; 11,25-26; 14,11-19) in relazione alla superbia e
all’arroganza. Sir 6,18-37 inizia con la ricerca e apprendimento del
la sapienza. La sezione conclusiva ritorna al tema della ricchezza e
amicizia (avarizia e solidarietà: beneficare Vomico, 14,3-10.11-19).
3. 14,20-15,10: il poema sul legame tra saggio e sapienza (madre e
sposa) è premessa alla lunga sezione sulla teodicea, 15,11-18,14.
L’autore assume due possibili obiezioni di un discepolo: la prima
ritiene Dio responsabile del peccato dell’uomo (15,11-16,14); la se
conda nega la provvidenza o giustizia di Dio, che non si cura dell’a-
gire buono o cattivo dell’uomo (16,16-17,14). Nella risposta, Ben
Sira afferma la libertà umana, appellandosi all’intenzione di Dio
manifestata sin dalle origini e al suo sguardo che giudica e retribui
sce castigando i colpevoli (15,11-20; 16,17-17,23). Quindi argo
menta richiamando la posterità inutile degli empi, la storia e il giu
dizio di ricompensa (16,1-16). Dopo le questioni di principio o dot
trinali (il ricorso alle origini), per evitare la disperazione
dell’interpellante, parla della misericordia divina ed esorta alla con
versione (17,15-18,14).
La lezione si conclude esortando alla generosità e alla previdenza
(18,15-29), al dominio delle passioni, in particolare quella sessuale
(18,30-19,3), e con una ulteriore sezione su\Yamicizia (cautela e di
scernimento nel parlare, 19,4-19, cf. 5,1-6,4 e 6,5-17).
4. 19,20-23,27: il tema sapienza-legge e timor di Dio è articolabile in
tre grandi sezioni (indizio stilistico: «è meglio» come giudizio di
valore in 19,24; 20,31; 23,27). A) 19,20-20,31: il principio «tutta
la sapienza è il timor di Dio e in ogni sapienza è la pratica della leg
ge» ( 19,20-24) riprende 1,1-10.25-30 e sviluppa il tema della vera
sapienza opposta al comportamento stolto, specialmente nel parlare
(20,1-8.9-17.18-26.27-31; 19,20 fa inclusione con 20,31 sul tema
sapienza; particolarità di questa sezione sono anche i detti «c’è
chi»)100; B) 21,1-22,26: dopo avere stabilito il senso del peccato, il
lustra il timore di Dio e la legge (21,1-10.11), sapienza e follia
(21,12-22,18), e conclude con un’altra pericope sull "amicizia
(22,19-26); C) la terza sezione contiene i due temi dell’uso deprava
to della parola e della passione sensuale, con una duplice preghiera
100 Per l’ unità del brano cf. P.C. B eentjes, «Full Wisdom is F ea r o f thè Lord».
Ben Sira 19, 20- 20,31 : Context, Composition and Concept, «EstBib» 47 ( 1989),
pp. 27-45 . -
281
(22,27-23,6) e l’istruzione sull’uso della parola e sull’adulterio
(23,7-15.16-27).
5. 24,1-32 è il centro del libro, solenne conclusione di quanto precede
e apertura della nuova parte101: l'inno alla sapienza-legge, ossia alla
rivelazione consegnata nella Bibbia che rappresenta il culmine della
sapienza. Essa non cessa di offrire se stessa, come i frutti della terra
nella loro stagione, e rende possibile l’accesso all’albero della vita
impedito in Gn 3,22: chi accoglie la rivelazione si apre alla vita.
25,1-32,13: la sezione potrebbe essere catalogata come istruzione
antitetica su ciò che fa vivere o danneggia'02. A) 25,1-26,18 e
26,19-28,26 prima serie, in due riprese che iniziano con i proverbi
numerici (25,1-2 e 27,19); centro tematico: la buona e la cattiva mo
glie, l’uso della parola (parlare falso e vero 27,19-27,3 + 27,4
10.11-29, la persona pia opposta all’ingannatore, con considerazio
ni degli effetti sull'amicizia: svelare i segreti la rovina irreparabil
mente); B) 27,30-30,13: collera, vendetta e perdono (27,30-28,26);
uso del denaro: generosità e cautela nel prestito, elemosina e ospi
talità (29,1-28); educazione e disciplina dei fig li (30,1-13103); C)
30,14-32,13 la salute: riflessione generale (30,14-25), buono o cat
tivo uso del denaro (31,1-11), equilibrio e uso gioioso del cibo, spe
cie nei banchetti (31,12-30; 31,31-32,13).
6 . 32,14-38,23. Sir 32,14-33,19 sembra iniziare una nuova serie con il
timore del Signore - legge e amore per la sapienza (32,14-33,6, cf.
101 Sir 24 fa inclusione con l’ inizio del libro ( 1, 1- 10. 11-30) mediante il ricor
do delle origini della sapienza e la sua relazione con la creazione, ed è collegato
con Sir 51 per la ricerca della sapienza considerata la meta fissa dell’ agire umano
(in ambedue segue l’ invito ad accostarsi alla sapienza). Tra questi due archi, Ben
Sira mostra sempre la natura e il significato della sapienza: essa, che sta all’ inizio
del mondo e della creazione, vive in molti luoghi e percorre il mondo (Sir 1),
trova il suo luogo stabile nel tempio di Gerusalemme (Sir 24 ) e indica, alla fine,
a coloro che la cercano, il futuro (G. S a u e r , o.c., p. 180). Il capitolo è inserito tra
le pericopi 22 ,27 - 23,27 e 25 , 1-11 ben collegate per temi e parole chiave (cf.
23 , 16. 22-23 e 25 , 1. 2.7 inclusi i proverbi num erici; temi e parole chiave:
23 , 19.27 con 25 , 6 . 1; 23,16 e 25,2 , 23,23 c e 25 ,2d, 23, Ib e 25 ,4 b.5b, 22, 27d e
25 , 7b.8b, 23 ,2° e 25 , 5b); ci sono legami tra 23 ,25-26 e 24 , 12. 16.20 e tra 23,12
e 24 , 8 .23 .
102G. S a u e r , o.c., p. 187, classifica Sir 25, 1-42,14 come «insegnamento sul
comportamento, in modo particolare come membri del popolo e nella storia».
103II tema dei figli è ripreso in 3, 1- 16; 7, 27s; 22, 3-6 ; cf. anche 16, 1-5; 23 ,24s;
40 , 15- 17; 41 , 15-17 malvagità e discendenza: l’utilità dei figli si ha nel caso della
buona fama, la speranza nei figli è possibile se hanno le stesse buone qualità del
padre.
282
1.1-30), seguita dall’istruzione sul «duplice aspetto» del creato
(33,7-15).
L’appello di Ben Sira alla propria esperienza (33,16-19) apre a quat
tro istruzioni: A) La famiglia (amministrare il patrimonio e trattare
la servitù, 33,20-33); B) L'autentica esperienza religiosa che deve
guidare l’esistenza (34,1-36,17), non i sogni, ma la legge e l’espe
rienza (i viaggi) guidate dal timore del Signore; C) Discernimento
del cibo, della donna, degli amici, dei consiglieri (36,18-20.21-27;
37.1-6.7-15); conclude con l’esortazione alla preghiera (37,15); D)
Vera efalsa sapienza - vero e falso saggio (37,16-26), salute (cau
tela nei cibi, 37,27-31, il medico, 38,1-14) e il lutto per il morto
(38,16-23) che sembra anticipare i temi della sofferenza e della
morte.
7. 38,24-42,14: la preferenza per l’impegno del saggio rispetto ai lavo
ri manuali (38,24-39,11) è seguita dall’inno didattico sulla tunzio-
nalità bivalente della creazione (39,12-35). In sintonia con questa
bivalenza seguono: A) le antitesi dell’afflizione umana (40,1-17),
il confronto dei beni per cercare quello superiore (40,18-27) e una
istruzione sulla mendicità; B) l’antitesi sulla buona o cattiva morte
(41,1-13) e sulla vera e falsa vergogna (41,14-42,8); chiude la serie
l’istruzione sull’educazione di una figlia (42,9-14).
8 . 42,15-50,26: le due grandi parti hanno un identico tema, celebrare
le opere del Signore nella creazione (42,15-43,33) e nella storia
(44,1-50,26). In uno sguardo di speranza e universalità, Ben Sira
collega i Padri a un unico piano di salvezza dell’umanità; la lode ai
Padri ha come scopo ultimo la glorificazione delle grandi opere di
Dio nella storia più che l’encomio dei grandi eroi del passato; il poe
ma è diviso in due parti che si concludono entrambe con un invito a
lodare Dio (45,25e-26 e 50,22-24)l04.
3. La s a p ie n z a
104 Cf. A. N ic a c c i, La lode dei Padri. Ben Sira tra passato e futuro, in R.
(a cura), Initium Sapientiae, Fs. F. F e s t o r a z z i, E d b , Bologna 2000 ,
F a b r is
pp. 199- 225 . Sir 44 , 1-14 ha molti contatti con il ritratto ideale del saggio in
39, 1- 11.
283
vari aspetti ereditati dalla tradizione. La sapienza è anzitutto qua
lità divina, impenetrabile: Dio la possiede eternamente (1,1-3) e
la concede agli uom ini, solo a quelli che lo temono o l’amano
(1,10), dei quali Ben Sira si ritiene parte, e si identifica in pratica
con il timore di Dio. È dunque creatura di Dio e suo dono. Egli la
effonde nel mondo come ordine primordiale, primogenita di ogni
creatura (1,4-9; 24,9; cf. Pro 8,22-31): «esce» dalla bocca di Dio
con una funzione creatrice e sovrana nel cosmo, e una funzione
rivelatrice e cultuale nella storia; nella tenda ha officiato, ha posto
la sua dimora stabile e si è radicata in Sion e in Israele (24,1-8.12
17) ed è effusa in abbondanza e in modo costante come l’acqua
dei fiumi del paradiso terrestre e dell’Esodo e i frutti della buona
stagione (24,23ss). Essa diventa allora la fonte inesauribile e in
sondabile, «l’albero di vita» il cui accesso, impedito in Gn 3,22,
diviene possibile: chi accoglie la rivelazione si apre alla vita.
L’antica idea dei saggi di Proverbi che la sapienza rappresenti
l’ordine nel mondo e nelle relazioni umane (cf. Pro 8,1-31) per
Ben Sira si manifesta anche nella rivelazione di Dio presente nel
la storia di Israele e consegnata nella Bibbia, la Torah (Sir 24).
Essa rappresenta l’espressione più alta e migliore della sapienza
e ne è l’autentica interprete nella creazione e nella storia. Perciò,
egli legge anche la storia di Israele dal punto di vista della sapien
za e del saggio (cf. Sir 44-50), aprendola a dimensioni universali.
La sapienza si rivolge a ll ’uomo come persona, come madre e
amante (Sir 15,2) e come educatrice (4,11-19): in questo ruolo gli
parla, esige docilità e sottomissione, gli impone un severo tiroci
nio, perché si entra gradualmente in suo possesso. Il maestro in
dica perciò le condizioni per cercare e trovare la sapienza. Chi la
desidera, egli avverte fin dall’inizio, deve prepararsi all’inevitabi
le prova (2,1-18), avere il coraggio di seguirla su percorsi impra
ticabili, affrontando le difficoltà che essa pone sulla sua strada
(4,17-19), ma alla fine diventa liberante (15,1-6; in 51,1-12 Ben
Sira mostra che concretamente la sapienza lo salvò dalla calun
nia). Il folle non la raggiunge, perché ritiene troppo ardua la fati
ca, mentre l’accoglie proficuamente il fedele (6,18-22). Occorre
una docilità attiva : farsi incontrare, accettare il suo giogo, amarla
e cercarla con assiduità, tenacia e perseveranza (6,23-31). Per
conquistarla il discepolo deve possedere l’abilità del cacciatore e
284
la passione dell’amante (14,20-15,10). In concreto, chi vuole di
ventare saggio deve cercare la compagnia dei saggi, scegliersi un
maestro da seguire ogni giorno con zelo e passione, quindi riflet
tere lungamente sulla Torah secondo il metodo sapienziale (6,18
37), contemplare il mondo (42,15-43,33), osservare i precetti (è
mettere in pratica la sapienza, 19,21) e pregare fin dal mattino
perché essa è dono di Dio (39,5ss, cf. Sap 9). In tal modo si ac
quista il favore di Dio.
Ma c’è qualcosa di più grande: amare e cercare la sapienza è
amare e cercare D io, diventa un atto liturgico. Non si può pene
trare il mistero del Dio che si rivela e ci chiama a sé se non me
diante una attenzione amorosa continua. Ci incoraggia non solo il
pensiero che Dio al termine si rivelerà totalmente, ma anche che
fin dai primi passi la sapienza di Dio si fa nostra compagna (Sir
4,17-18). Il saggio è quindi assimilato alla sapienza stessa che
«ha officiato nella tenda santa» (Sir 24,10) e riceve la gloria del
sommo sacerdote: i legami della sapienza diventano una cintura
di porpora violetta (6,29-31) e riflettono le vesti sacerdotali (cf.
Es 28,39; Sir 45,7-13). Allora si conoscerà la pienezza della gioia
nell’unione perfetta con la sapienza di Dio. Tutto ciò che poteva
sembrare un giogo o un ostacolo al nostro cammino, è in realtà
ciò che costruisce la nostra dignità', il cammino, per quanto au
stero, non è un percorso da schiavi, bensì da sacerdoti che rendo
no a Dio il culto dovuto105.
Ben Sira ci comunica l’ esperienza personale della sapienza
in termini di passione, scoperta, stupore. Il poema alfabetico fina
le dedicato alla sapienza (Sir 51,13-22) mostra come egli stesso
sia stato preso dalla sapienza, l’abbia perseguita come un inna
morato e si sia legato a lei con fedeltà. Allora, dandole voce e
identificandosi in un certo modo con essa, egli avverte il compito
di invitare alla sua scuola quanti la cercano per prolungarne l’in
segnamento (51,23-30)l06. Così, divenuto un saggio eminente e
un modello per i discepoli, realizza il suo ideale di lavorare non
105Cf. M. G ilb e rt, La sequela della sapienza. Lettura di Sir 6, 23-31 , «PSV»
2 ( 1980), pp. 53- 70, in specie, p. 70 .
106II tono con cui si rivolge ai discepoli richiama la sapienza di Sir 24, 19ss e
Pro 8 , 1- 3 ; riflette anche il linguaggio profetico di Isaia 50, 1-3 .
285
solo per sé, ma anche per quanti cercano la sapienza e l’istruzione
(24,34; 33,18; 39,6-8.12-13). Offrendo ai discepoli la sua istru
zione, insegnando loro le condizioni per accedere alla sapienza e
le caratteristiche di colui che la scopre, egli giunge allo scopo ul
timo della formazione: la gioia di lodare Dio107.
Pericopi sulla sapienza108
A illustrazione del pensiero di Ben Sira sono selezionate alcu
ne pericopi da leggere con Sir 24 già trattato nell’ambito del te
ma: «La rivelazione del mondo e la sapienza personificata».
286
forza creatrice e con potere regale su ogni realtà del cosmo e su
ogni popolo e cultura (vv. 3-6); la identifica poi con la Torah, la
rivelazione di Dio al suo popolo (v. 23), in mezzo al quale assu
me una funzione cultuale e di possesso (eredita Israele, Israele
eredita la sapienza come sua tipica eredità).
È sapienza umana, di ordine diverso dall’ordine primordiale:
corrisponde all’atteggiamento umano di fronte a Dio, il timore
del Signore (vv. 10.11-30l09).
287
8,32ss), la gloria e la benedizione stabile (riposa nella benedizio
ne, testo Hb), l’amore di Dio. La sapienza appare la via maestra
verso Dio.
vv. 15-19: parla la sapienza. Il v. 15 introduce appellando ai
risultati: il retto giudizio in tribunale (cioè un corretto rapporto
sociale; o allude al tribunale sacro?) e la dimora nei suoi «atri»
(testo Hb, che allude probabilmente al tempio, mentre il Gr è ge
nerico: «dimorerà sicuro»). Il motivo si incontra in alcuni salmi,
ma in Sir 24,10-11 la sapienza stessa parla della sua abitazione e
azione privilegiata nel tempio e nel culto, al quale indirettamente
accenna anche in 24,15 (gli elementi usati per l’incenso). Viene
dunque sviluppato il concetto precedente dei vv. 13-14: la sa
pienza è via a un autentico culto.
vv. 16-18.19 sviluppano il discorso in due parti, positiva e ne
gativa. La prima riflette i caratteri dell’Esodo: l’itinerario verso la
sapienza è una marcia nel deserto con accompagnamento discreto
nello stile di Dio, con i «segni» («di nascosto camminerò con
lui»), con prove e tentazioni, ma anche con la guida e le rivelazio
ni, come insegna Dt 8,2-5 sul cammino del popolo di Dio. Così il
percorso del saggio diventa un cammino spirituale che si svolge
in parallelo con il percorso di Israele (in Sir 24 la sapienza stessa
compie un «Esodo»). Il v. 19 minaccia il ripudio («lo respinge
rò») e la prigione (è allusione all’esilio?), il rigetto e la rovina.
La terminologia richiama la predicazione deuteronomica sulla
legge.
In questo poema incontriamo diverse risonanze che ritorne
ranno nel corso del libro: il legame tra l’Esodo e la sequela della
sapienza, il rapporto tra la sapienza e la legge (non solo nella di
chiarazione del suo valore sapienziale, come in Dt, ma nel pre
sentare gli stessi effetti legati all’osservanza-sequela o al rifiuto
che altrove sono collegati alla legge). Emerge un concetto reli
gioso della sapienza: è la via maestra verso Dio e un autentico
culto, la via essenziale verso la libertà (cf. Sir 15,10-20).
288
pe può essere divisa in strofe di tre distici (18-19.20-22.23-25.26
28.29-31.32-35.36-37), raccolte in tre unità, che iniziano con la
formula «figlio mio» e rivelano una struttura simmetrica: 1) vv.
18-22 (6 vv. x 2 strofe); 2) vv. 23-31 (9 vv. x 3 strofe); 3) vv.
32-37 (6 vv. x 3 strofe).
1 . I due quadri opposti: il saggio e lo stolto (vv. 18-22). - La
ricerca della sapienza si estende a tutta la vita, dalla gioventù alla
vecchiaia (v. 18). Il saggio la ricerca con compito responsabile,
mentre lo sciocco e insensato (lett. «senza cuore») la rifiuta come
una imposizione insopportabile. Il saggio si avvicina come arato
re e mietitore (la sapienza appare come un seme o una pianta, cf.
Sir 24,12-16; 14,26; Gc 5,7): deve coltivarla, come la legge, il
cuore e la vita morale (cf. 27,6; 37,18), ma riceve frutti abbon
danti e a breve termine (Hb «domani»). Per lo stolto è invece «fa
ticosa» («una via impercorribile»?): non riuscendo ad adattarvisi,
mal la sopporta come una grossa pietra di cui disfarsi, «perché la
disciplina {musar) è come il suo nome», alla massa non si mani
festa (il testo gioca su «2«sar-disciplina e miistar-nascosto?),
«non a tutti è facilmente percorribile o diritta» (v. 22).
2. Durezza e impegno d e ll’apprendimento: il giogo della sa
pienzer110 (vv. 23-31). - 1 vv. 23-25 attingono alPimmagine dello
schiavo o prigioniero in catene (cf. Aboth 3,6; Ger 2,19b-20; i vv.
23-24 mancano in Hb), per segnalare la docilità alla sapienza e la
fatica, ma anche l’alleanza: porre i piedi sul ceppo, sottoporre il
collo al giogo, curvare le spalle per portarla, non rifiutare le sue
catene (Hb lacci-legami). Si tratta dei legami dell’alleanza, del
giogo dell’insegnamento, in una sottomissione libera: è servizio
non asservimento. Anche Sir 51,26 dà il medesimo consiglio:
Sottoponete il collo al suo giogo,
accogliete l’istruzione (51,26).
Matteo 11,29 riferisce l’immagine a Cristo: «Prendete il mio
giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuo
re». Ma già Lamentazioni suggerisce che «è bene per l’uomo por
tare il giogo fin dalla giovinezza» (Lam 3,27). Il giogo dell’inse
289
gnamento e della paideia-disciplina (musar) è pesante solo per
l’insensato che non capisce e pensa di riuscire meglio facendo di
testa sua:
Ceppi ai piedi è la disciplina per l’insensato
e come manette nella sua destra (Sir 21,19).
Gli stessi strumenti, visti oltre la prova, saranno tramutati in
un giogo di gloria (vv. 29-31 ).
- la sua rete-lacci diverrà una fortezza (Gr potente protezione);
- le sue catene o i suoi ceppi diverranno vestiti dorati;
- il suo «giogo» (‘ólah) è un ornamento d’oro - una collana111;
- i suoi «legami» (mósroteha che fa eco forse a musar) una cintura di
porpora:
La indosserai come una veste splendida (lett. «di gloria»)
e come di corona con diadema ti incoronerai.
290
verbi richiamano la ricerca della Parola come midrash. È soprat
tutto ricerca amorosa.
26A v v ic in a ti,
segu i il cam m in o [= le sue tracce];
cerca (d a ra s ) e sc a v a , in segui (b iq q e s ) e trova;
27afferrala e non lasciarla.
28P oich é dopo potrai trovare riposo presso di lei
e si trasform erà p er te in piacere.
291
Conclude indicando due vie concrete e collegate per ottenere
la sapienza. La compagnia e la scuola dei saggi che insegnano la
sapienza: è l’attività dello stesso Ben Sira nella sua bét midrash,
la sua scuola (cf. 51,23); la tradizione ebraica invita a cercarsi pri
ma un solo maestro. Di conseguenza, dopo aver appreso una let
tura sapienziale, riflettere sul timor di Dio e meditare i comanda
menti (cf. anche Sir 24,25ss):
Guarda chi è intelligente, cercalo sin dall’alba;
il tuo piede consumi la sua soglia.
Rifletti (fatti saggio) sul timore dell’Altissimo
(Gr i comandamenti)
e medita sempre i suoi precetti;
ed Egli renderà perspicace (Gr saldo) il tuo cuore-mente
e come tu desideri ti renderà saggio (w. 36-37).
ti a lui (Vg “ e alla loro saggezza aderisci” , recepito da Ziegler)»; sembra ispirato
a 8,9 : «Non disprezzare le tradizioni degli anziani / che essi hanno ricevuto dai
loro padri; / con esse tu acquisterai intelligenza, / per replicare una risposta, quan
do sia necessario».
292
15,1 : il timor di Dio = al centro: è un verso cerniera tra quanto precede
e quanto segue;
- 15,2-9: attività della sapienza = i versetti celebrano e lodano i benefici
della sapienza (posit.-negat.: 2-6.7-9);
15,10: finale = raccomanda l’attività del saggio (inclusione e affer
mazione positiva).
293
- L’immagine dell 'albero continua il tema dell’abitazione,
nella tensione tra abitare e dimorare-trovare rifugio (vv. 26-27)
che fa riferimento contemporaneamente al tempio e alla sapien
za-albero.
La scena finale allude al tempio dove si pratica il culto e il di
ritto di asilo; sapienza e culto sono riassunti nella Legge (Sir
24,10.15.23). L ’ultima immagine può orientare le precedenti nel
la linea dell’arca con la Legge che trova dimora nel tempio. In v.
27b, anziché «nella sua dimora» (= Hb), il testo greco ha doxa,
«g lo ria ». E una falsa lettura, oppure si tratta di una interpretazio
ne voluta inerente al tempio dove abita la «gloria» del Signore,
celebrata nel culto e narrata nel Pentateuco. Un riferimento alla
gloria del Signore e al tempio era anche in Sir 4,12-14: servire la
sapienza è servire nel tempio e ricevere la Gloria del Signore. La
«dimora» stabile resta per l’ebreo nomade la speranza che troverà
il suo compimento in Dio. Qui Ben Sira applica il tema alla sa
pienza, che si manifesta nel culto, nella Torah, nella tradizione
di Israele.
15,1. Il testo ebraico è chiaro: la conquista della sapienza si
ottiene, in concreto, nel timore del Signore e mediante l’osser
vanza della Legge: chi prende in mano la Torah raggiunge la sa
pienza. Questa prepara l’azione della sapienza nei confronti del
saggio, il quale, di conseguenza, imparerà a leggere la vita e la
stessa Legge con sapienza (cf. pane di buon senso e acqua di pru
denza, v. 3).
294
ria positiva (cf. Sir 39,9-10; 44,13-15). Negativamente, essa si ri
fiuta ad alcune categorie di uomini: falsi, arroganti, cinici, ingan
natori, cioè a ogni malfattore (vv. 7-9), che rappresentano l’oppo
sizione alla sapienza e al timor di Dio (cf. ad es. 10,6ss).
I vv. 9-10 concludono la pericope con un’antitesi nel segno
della lode. Il v. 9, alludendo al v. 1, ribadisce che la sapienza è
dono di Dio a chi possiede il timore del Signore e, in concreto,
osserva la legge. E negata perciò al malvagio che non può esaltar
la perché non la possiede. Chi si è legato alla sapienza ne canta la
lode e la insegna agli altri (v. 10). Il verso, che forma inclusione
con l’inizio della pericope, è come la firma di Ben Sira, come in
Sir 24 dove l’autore fa appello all’esperienza personale: legge
profeticamente la Torah e la tramanda nel tempo e nello spazio
(24,32-34).
II testo, nella sposa e madre, accentua Vefficacia, accompa
gnando l’immagine della tenda-dimora-tempio e dell’albero: il
saggio pianta la tenda (14,24-27) - la sapienza lo accoglie in casa
(15,2ss). Le immagini anticipano un raccordo con Sir 24: alla sa
pienza che ha posto la tenda e si diffonde come albero in Israele,
il saggio chiede protezione e sostegno, ponendo la sua tenda ac
canto alla sua casa nel tempio e cercando rifugio tra i suoi rami.
Rimane il problema di identificarla. Sir 15,1 inizia l’accosta
mento tra la sapienza diffusa nel mondo (cf. Sir 1) e la sapienza
presente nella Torah (Sir 24). In 17,11 Ben Sira farà un accosta
mento tra legge, sapienza e creazione. Quale è il loro rapporto?
Presupponendo i cc. 24 e 51, unire legge e creazione significa ri
conoscere alla legge una funzione e un valore «originali»: poiché
risale alle origini (è la prima creatura, Sir 24,8; 1,4), è considerata
la vera interprete della sapienza nella creazione e nella storia.
Appare così l’intento dell’ultima parte del libro: dopo aver lodato
la sapienza nella creazione e nella storia (42,15-43,33; 44-50),
conclude con la grande celebrazione del sacerdote Simeone e
con l’inno alla sapienza fidanzata e sposa (Sir 51). Anche i rabbi
ni uniranno sapienza, Torah e creazione, forse riflettendo Pro
8,22-31: «Dio guardò alla Torah e creò il mondo»117.
117 Cf. V. H a m p , Das Buch Sirach oder Ecclesiasticus (Echter Bibel), Echter
Verlag, Wùrzburg 1959, su Sir 1,4.
295
E) IL L IB R O D E L L A S A P IE N Z A
1. D e s t in a t a r i - D a t a - A m b ie n t e
2. G e n e r e l e t t e r a r io : e l o g io o e n c o m io
296
- Esordio :
invito e breve presentazione del tema;
validità del discorso, con opposizioni;
breve descrizione del tema (cf. 6 ,2 2 : origine, natura, attività).
- Elogio + preghiera (sapienza in sé e in Salomone).
- Synlcrisis: paragone, per confermare con esempi noti, con digressioni.
- Conclusione, breve: ricapitola-trae la lezione morale-ultimo attacco
agli avversari-conclusione (19,22).
3. S t r u t t u r a e c o n t e n u t o
297
Alle estremità si trova un ’esortazione rivolta direttamente ai
potenti della terra: a cercare Dio, che si fa trovare dal fedele; a
cercare la sapienza, che si fa trovare da coloro che danno prova
di zelo; si ricordino che il loro potere non è assoluto, che essi
stessi saranno soggetti a un’inchiesta divina; non cerchino la
morte: la sapienza conviene alla regalità e conduce all’incorrutti
bilità.
Esortazione necessaria contro un altro modo di concepire e
vivere l’esistenza: perseguitare e uccidere il giusto, mentre Dio
non vuole la morte, ma ha creato l’uomo per l’incorruttibilità.
La verità è percepibile dal credente, non è controllabile quaggiù,
ma è vera: Dio è giusto con il povero giusto, prenderà le armi per
punire gli empi; la creazione che Dio aveva fatto per l’esistenza e
la vita fornirà le armi del combattimento finale vittorioso contro
gli empi.
Al centro l’autore espone in tre dittici il suo punto di vista di
credente nell’aldilà su tre situazioni sconcertanti dell’esistenza: la
morte del giusto sofferente abbandonato dagli empi; la sterilità
virtuosa in contrasto con una progenie nata da adulterio; la morte
prematura del giusto, mistero per i folli empi.
298
d) 7,22b-8,l: elogio della sapienza: natura, origine, funzione (21 attri
buti).
c’) 8,2-8: Salomone decide di prendere in sposa la Sapienza; essa porta
ogni genere di beni, sua superiorità su ogni virtù,
b’) 8,9-16 (discorso interiore di Salomone): con la sapienza egli diviene
un grande re come giudice e in guerra,
a’) 8,17-21: la sapienza, sebbene Salomone sia di nobile origine, deve
essere richiesta come dono; egli si decide a domandarla (annuncio
della preghiera).
299
10: inizia richiamando brevemente i principali eroi del libro
di Genesi, ma senza nominarli. Essi devono la loro salvezza alla
sapienza, chi invece l’aveva abbandonata è perito (cf. Sir 44-50;
IMac 2,51-64; Eb 11).
11-19: dal c. 11 la struttura del libro è complicata. Gli autori
vi distinguono un sistema-sette e un sistema-cinque, secondo due
linee: la prima separa tutti i paralleli descrittivi delle piaghe e del
le benedizioni (sistema sette), la seconda congiunge i due tipi di
piaga-insetti con le ultime due (l’intervento della creazione).
Tre princìpi sembrano guidare la descrizione: 1) gli stessi ele
menti furono per gli uni castigo, per gli altri benedizione (11,5;
19,9); di conseguenza, tutta la creazione combatte per il giusto
(cf. 16,17; 19,10-12.18-21); 2) le realtà adorate divengono stru
mento di castigo per gli idolatri (11,16; 12,23); 3) clemenza e pe
dagogia divina (11,15-12,27). 19,10-22 serve da conclusione.
I. 1 : 11,6-14: acqua del fiume-acqua della roccia;
II. 11,15-16,14: 11,15: presentazione
[11,15-12,27; 13-15: due digressioni];
2: 16,1-4: rane-insetti-quaglie;
3: 16,5-14: mosche e cavallette-serpente di bronzo;
III. 4: 16,15-29: tempesta e grandine (fuoco)-manna;
IV. 5: 17,1-18,4: tenebre-\\ice\
V. 18,5-19,9: 18,5: presentazione;
6: 18,6ss: morte dei primogeniti-Israele risparmiato;
7: 19,1-9: annegamento nel Mar Rosso-passaggio.
300
La seconda (13-15) si sofferma sull’adorazione delle creatu
re: del mondo e dei suoi elementi (naturismo, 13,1-9); degli idoli
(13,10-15,13); degli animali (15,14-19). Sono i tre principali tipi
di religione praticata dai pagani contemporanei; l’ultima, secola
re in Egitto, è la deviazione peggiore e più degna di biasimo. Per
ciò D io usa ciò che g li egiziani adorano p e r punirli.
4. I n t e r p r e t a z io n e e t e o l o g ia
Giusti ed empi
301
La loro riuscita si fonda dunque sulla fedeltà a Dio, sulla vir
tù e sulla sapienza (3,11; 4,17; 3,15 e 4,9) e si percepirà nell’al
dilà, dove il giusto vivrà la prossimità di Dio: «Coloro che sono
fedeli nell’amore {en agàpe u9) dimoreranno presso Dio» (3,9b,
cf. 6,19). Ammessi nel numero dei figli di Dio, essi condivide
ranno la sorte dei santi (= gli angeli, 5,5), riceveranno dal loro
Re il potere sui popoli e la corona (3,8; 5,16). La loro beatitudine
(3,13) non sarà solamente un giusto salario della loro virtù, ma
una grazia da parte di Dio (3,9; 4,15). Dio li visiterà (3,7.9.13;
4,15) e saranno integrati nella sua corte (5,5) al rendiconto finale
(4,20).
302
121 attributi della Sapienza (7,22b-26)
* Natura e attività della sapienza. L ’autore sembra ricercare dei
termini che definiscono il «pneuma » superiore al mondo materia
le con un’attività anche di ordine morale122.
- Natura. E una realtà oggettiva stabile in massima relazione con
Dio: relazione coniugale (8,3), effluvio (àtmis), emanazione
(apórroia), riflesso (apaugasma), specchio (ésoptron), imma
gine (eikón) (7,24-26)...
Ne deriva l’attività = universale presenza. E attestata fin dall’i
nizio (1,7); è lo Spirito del Signore che riempie l’universo e as
sicura la coesione e l’ordine del cosmo (7,24; 8,1). L’autore at
tinge alla nozione stoica di pneuma spiritualizzandolo. L ’eco si
avverte soprattutto nella lode della Sapienza:
Per la sua purezza penetra e riempie ogni cosa (7,24).
Si stende vigorosa da una estremità all’altra della terra
e governa bene ogni cosa (8 , 1 ).
122Sono stati paragonati con la definizione del «bene» dello stoico Cleante
(cf. E. D es P l a c e s , Épithètes et attributs de la "Sagesse ”, «Bib» 57 [1976], pp.
414-419); G. S c a r p a t , Libro della Sapienza, voi. 2, pp. 112-113.
123Avviene cosi la identificazione tra Sapienza e Spirito: sono entrambi il
principio interno della vita fisica e morale, compiono le stesse azioni (9,17 per
conoscere il disegno di Dio; 7,17 entrando nelle anime la Sapienza forma amici
di Dio e profeti, ciò che in campo profetico era attribuito allo Spirito), sono inter
scambiabili (1,4-6; 9,17; 7,22-24, principio di vita dei giusti, penetra in essi), mo
stra e comunica le virtù, le produce (7,27; 8,7cd, 9,18; 6,25). Sapienza e Spirito
nell’azione cosmica (= natura divina): 7,22 azione cosmica dello Spirito, già ab
bozzata in 1,4-7, come la Sapienza.
303
* Accessibilità e ricerca -Condizioni:
- E accessibile a tutti. Chiunque la desidera deve però implorarla
(c. 9).
- La amartia impedisce alla sapienza di entrare nell’uomo
(l,4ss). Tuttavia, non è totalmente impotente di fronte al pec
cato.
- Essa stessa prende l’iniziativa, si fa trovare (6,12-21, cf. Pro 1;
8; 9; Sir 15,2ss) e non si rifiuta a chi la cerca. Quando un uomo
la desidera e la accoglie (6,16) si avvicina a Dio, ottiene ogni
bene, in specie, l’eternità (6,18-19; 8,17). La sua attività nel
mondo non può che dare bene alle persone.
304
moderazione o misericordia non è impotenza o ignoranza o timo
re di uno più grande (11,17-20; 12,9-14), ma manifestazione del
la misura di Dio, perché ha tutto stabilito con misura (11,20d), ivi
compreso il castigo (12,22a).
- Insegnamento della moderazione (12,19-22): se Dio agisce
così verso i pagani, tanto più si regolerà con Israele. Ne deriva un
duplice insegnamento: da una parte Israele deve agire con la stes
sa moderazione e bontà verso tutti i peccatori; d’altra parte quan
do pecca deve sperare nella misericordia divina che concede la
conversione.
La critica delle religioni pagane (13-15). Interessante è so
prattutto l’argomentazione contro la religione cosmica (13,1-9).
Il Dio della rivelazione, «Colui che è» (Es 2,14 Lxx), è lo stesso
che i filosofi chiamano l’Artigiano o l’Artefice. Il loro errore non
riguarda l’esistenza di Dio ma la definizione della sua natura.
L ’errore dipende dal non aver applicato la loro teoria àoW^ana-
logia di proporzionalità» nella ricerca del divino; avrebbero evi
tato di divinizzare il cosmo. E il primo caso conosciuto del ricor
so all’analogia in teodicea nella storia del pensiero.
F) IL CANTICO
E IL «DECALOGO» DELL’AMORE
305
Il libro fu attribuito a Salomone, in base a una finzione lette
raria fondata sulla notizia della sua sapienza (cf IRe 5,12), così
come Proverbi e Qohelet (e, più tardi, il libro della sapienza). Fu
ritenuto il saggio ideale, anche nell’arte dell’amore. Nei tre libri
egli rappresenterà le tre età della vita: la giovinezza e le canzoni
d’amore (Ct), l’età adulta e le massime di vita che nascono dall’e
sperienza (Pro), la vecchiaia che riconosce la vanità delle cose
(Qo).
La lettura ha avuto diverse interpretazioni. Senza asso-
lutizzare l’una o l’altra, ci sembra che si possano unire due lettu
re. Anzitutto occorre partire daWamore umano, pensare al para
digma dell’amore tra marito e moglie. Poi, senza mai dimenticar
lo, entrare nella dimensione simbolica, già insita nell’amore
umano, e riconoscervi il segno dell’amore di Dio per l’uomo.
L’amore attinge infatti la sua potenzialità simbolica dal concreto,
dalla realtà vissuta. L ’amore stesso di Dio, che già il redattore
probabilmente legge sullo sfondo (segno dell’Alleanza), si svela
a partire da una coppia che si ama. Allora il Cantico apparirà «il
manuale della Rivelazione sull’affetto, sull’amore e sulla sessua
lità» (G. Krinetzki).
Come orientamento per la lettura del libro e la recezione del
suo tema, ci sembra utile ricordare lo schema, la ricchezza dei
simboli, le caratteristiche dell’amore che tentiamo di riassumere
in una specie di «decalogo» per fame risaltare le sfumature e le
potenzialità.
306
l’amore puro, celebra le nozze dell’anima con Dio e un’allegoria che
descrive i compimenti escatologici di Israele), a quella (3) letterale tipi
ca o intertestuale, per un significato ulteriore derivante dall’inserimento
nel nuovo contesto della Bibbia secondo la quale l’autore biblico vede
sullo sfondo l’invito a cercare l’amore autentico, che è anzitutto l’amore
di Dio per Israele (D. Colombo, LoB e Nuovissima Versione della Bib
bia; T. Lorenzin): cosi il Cantico è letto nella linea sponsale dell’allean
za presente nei profeti e nel NT. La rassegna di altre interpretazioni è in
M.H. Pope, Song ofSongs (Anchor Bible 7C), Doubledav & Company,
New York 1977, pp. 89-229.
A lcuni titoli: G. G a rro n e - H. G o llw itz e r, Il poema biblico dell’a
more tra uomo e donna. Il Cantico dei cantici, C la u d ia n a , Torino
20042: interpretazione letterale senza escludere quella simbolico-allego-
rica dell’amore di D io per l ’umanità; L. A lo n s o S chòkel (traduzione di
B. C o s ta c u rta ): Cantico dei cantici. La dignità dell'amore, Piemme,
Casale Monferrato (A L ) 1993; D. B e rg a n t, Il Cantico dei cantici, Città
Nuova, Rom a 1998; E. Bosetti, Cantico, San Paolo, Cinisello Balsamo
(M I) 1999; T. Lorenzin, Cantico dei cantici. Introduzione e commento,
Messaggero, Padova 2001 (Lectio divina)', due i registri fondamentali,
amore umano e amore divino, privilegiando quest’ultim o come punto
di arrivo; A . L u z z a tto , Una lettura ebraica del Cantico dei cantici,
Giuntina, Firenze 1997: la protagonista è una sola, la donna; il suo so
gno, contenuto in un ritornello (cf. 2,7; 3,5; 8,4), è che l ’amore deve co
ronare un desiderio, non essere un atto cerimoniale formale.
Tre opere antiche interessanti: J. Guyon, Commento mistico al Can
tico dei cantici, Marietti 1820, Genova 1997 (a cura di Lisa Ginzburg),
riflette il misticismo seicentesco in declinazione quietistica; Rashi (Rab
bi Shelomò ben Jizchaq) di Troyes, Commento al Cantico dei cantici,
Qiqajon 1997 (Introduzione, traduzione e note a cura di A. Mello): ri
porta l’esegesi del grande maestro ebraico medievale in chiave filologi
ca e allegorica (primo innamoramento ma anche segno della «vedovan
za», cf. Chouraqui); L. de Leon, Commento al Cantico dei cantici, Città
Nuova, Roma 2003: originale commentario spagnolo, filologico ed ese
getico, poetico e mistico, della 2a metà del ’500.
Commentari attuali: G . G arbini, Cantico dei cantici, Paideia, Bre
scia 1992: una lettura soprattuttofilologica tesa a ricostruire il testo; so
stiene essersi avverata un’opera de-erotizzante allo scopo di cantare il
rapporto amoroso tra Dio e Israele; rileva il rapporto con il poeta greco
Teocrito; G. Ravasi, Il Cantico dei cantici. Commento e attua lizzazio-
ne, Edb, Bologna 1992: dopo il commento divulgativo: Cantico dei
cantici, Ed. S. Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1985 (19904), lavoro più
307
complesso, assumendo l’interpretazione letterale e simbolica, ma scon
finando talora in quella allegorica, offrendo una «miniera» di materiali
che vanno dalla poesia moderna ai Padri; interessante appendice sulla
vita del Cantico nelle tradizioni cristiana e giudaica, letteraria e liturgi
ca; G. B arblero, Cantico dei cantici (I libri biblici, Primo testamento
24), Paoline, Milano 2004: introduzione essenziale con commentario
dettagliato e ben documentato; Idem, Non svegliate l ’amore. Una lettu
ra del Cantico dei cantici, Paoline, Milano 2007; V. M o r la , Poemi d'a
more e desiderio. Cantico dei cantici, Boria, Roma 2006: interpretazio
ne letterale.
308
3,6-11 conclusione: il corteo nuziale con invito: «uscite, vedete,
figlie di Sion!»; il mondo vitale è coinvolto.
III. 4,1-5,1 bellezza: (Eccoti, bella) contemplazione del corpo e de
siderio riassunto nel dialogo: «vieni-sono venuto»; nel grido
conclusivo: «mangiate, amici, bevete!», il mondo vitale è ancora
coinvolto.
II Parte: 5,2-8,7.
È dominata dai canti del corpo: 1) 5,10-16 Lei vede lui; 2) 6,4-12 Lui
vede Lei; 3) 7,1-17 il corpo di Lei nella danza (coro). I poemi si con
cludono con la discesa nel giardino-corpo della ragazza o la salita.
I. 5,2-6,3 dialogo (domanda e risposta- Io) con l’amore perduto e
ritrovato; contemplazione del corpo maschile; l’azione si conclu
de con il diletto che «scende» nel suo giardino: emerge l’unicità e
il dono reciproco (6,3).
II. 6,4-12 A. visione del corpo femminile dall’alto al basso; azione:
«sono sceso»;
7,1-11 B. visione del corpo femminile dal basso all’alto (nella
danza); azione: «salirò», con desiderio e ulteriore dono di sé
(7,11).
III. 7,12-8,7: Epilogo - i luoghi deH’amore:
Dal desiderio-sogno alla realizzazione dell’incontro con scene
tra esterno e interno, campagna («uscire») e casa («entrare-intro-
durre»): è l’esodo della coppia (cf. Gn 2,18-23); continua il dono
nel ripetuto verbo natan-dare.
Ct 8,1-4 fa inclusione con 1,2-4 (assonanza tra verbi in ebraico:
baciare-attirare-dar da bere o irrigare).
8,5-7: L’amore sopito si risveglia e si imprime (sigillo e fuoco -
amore forte come la morte).
309
che suppone la strabiliante riuscita della tensione tra il desiderante e
l’alterità del desiderio». Allora «il desiderio, tensione lancinante del
l’attrattiva di una congiunzione sempre differita, esplode con poten
za. Esso diviene la forza invincibile che fa esplodere ogni spirito di
possessività, sia nell’ordine sociale delle proprietà dei proprietari che
nell’ordine dell’unione degli amanti»125.
2. I l sim bolism o
310
sguardo entusiasta come nella carrellata di un fotografo o nella
pennellata di un artista che ne fa risaltare plasticamente i contor
ni. E sguardo senza vergogna e senza paura. Come nell’Eden
l’uomo e la sua donna «erano nudi e non ne provavano vergo
gna», così nel Cantico l’amata avverte verso di sé lo sguardo e
la «brama» dell’amante e si sente sua. Emergono, via via, il volto
(la bocca e la voce, le labbra, la lingua, i denti, il palato; il naso, le
guance, gli occhi, i capelli e il color della pelle), poi il collo con i
gioielli, i seni e i fianchi, il bacino e il ventre, le gambe forti e
slanciate; quindi l’interno: il cuore rapito e fremente, vegliante
anche nel torpore degli occhi, carico di gioia o teso nel timore. È
la sublimazione dei sensi: odorato e gusto, tatto e contatto, vista.
3. Il simbolo cosmico, che inserisce nelle vicende personali
il palpitare del mondo. La luna e il sole; le aurore, le notti e il
giorno; il vento e le piogge, la rugiada. Le stagioni, soprattutto
la primavera che fiorisce e si esalta, dà vita ai giardini e ai frutteti
(gli amanti si immergono tra viti e alberi, fiori e frutti). Tutto il
mondo vegetale partecipa e commenta la vicenda dell’amore.
Così la vita animale: pecore e caprioli, tortore e colombe, cerbiat
ti e gazzelle... Infine, anche la morte, che l’amore non teme: «for
te come la morte è l’amore». E il contrappunto universale a quan
to avviene nell’intimo: solitudine e ricerca, attesa e scoperta, per
dita e ricongiungimento, gioia e sofferenza.
4. Anche la vita quotidiana ritma le diverse fasi degli incon
tri: le città o i villaggi con le strade, le case, le porte, le guardie;
il mondo pastorale con le tende, i pascoli e le soste; i vestiti e le
feste, i cortei e le grida di gioia.
311
È lo strano uscire da sé, estasi, per incontrare l’altro; avvertire
se stessi attraverso l’altro, lui o lei (cf. 4,1-5,1). Così i due amanti
divengono i protagonisti unici di tutto il libro.
2. E forza creatrice, potere fecondo rappresentato nelle im
magini. Il Cantico non tratta direttamente della fecondità dell’a
more (cf. anche Gn 2,18-25), vi allude come cosa ovvia nelle me
tafore di sorgenti e di rivi, di giardini, germogli e frutti (4,12
14.15-16; 6,2). La sposa è «fontana che irrora i giardini, pozzo
d’acque vive e ruscelli sgorganti dal Libano», è «vigna» (8,11 -
12) simbolo della fecondità (cf. Sai 128,1-3). I suoi germogli so
no «un giardino di melograni» (segno di fertilità) con profumi
inebrianti (4,13s), e, d’altra parte, il giovane scende nel giardino
dei noci (allusione evidente all’atto coniugale) «per vedere il ver
deggiare della valle, / per vedere se la vite metteva germogli, / se
fiorivano i melograni» (6,11). La donna è svegliata dall’amante
sotto il melo, «là dove ti concepì tua madre, là dove la tua geni
trice ti partorì» (8,5), forse allusione a una maniera primitiva di
dare alla luce e alla speranza di una maternità. Si ricorda il profu
mo delle mandragore (7,14 dùdà’im , che ricorda l’amore dódfm)
alle quali erano attribuite qualità afrodisiache e di fecondità (cf.
Gn 30,14-16).
3. E sfida dei tempo, sapore di eternità: nell’estasi dell’a
more gli amanti sembrano raggiungere l’istante eterno. E deside
rio e piccola esperienza, ma esigenza e intuizione profonda, come
quella di Mosè che desidera «vedere» il Signore: è impossib le,
ma nel passare fuggitivo di Dio, nel breve volgere di un istante,
avrà la sensazione della presenza; nell’oscurità del mistero ottie
ne una intensa esperienza (cf. Es 33,18-23).
Forte come la morte è l’amore,
tenace come gli inferi la passione.
Le sue vampe son vampe di fuoco,
una fiamma inestinguibile (lett. fiamma del Signore).
Le grandi acque non possono spegnere l’amore,
né i fiumi travolgerlo (8,6-7).
312
vole non è più occasione di possessività che strumentalizza la
persona, come avvenne nell’Eden (Gn 3,16: è frutto del peccato),
ma di gioia e donazione gratuita. Il clima può essere colto nella
serena fiducia del dialogo seguente:
Venga il mio diletto nel suo giardino
e ne mangi i frutti squisiti
[dice la sposa. Lui risponde:]
Son venuto nel mio giardino, sorella mia, sposa,
e raccolgo la mia mirra e il mio balsamo... (cf. 4,16-5,1).
313
L ’ultima immagine sottolinea la fedeltà: non si tratta di un ge
sto saltuario, di sollazzo e appagamento momentaneo, ma di co
municazione stabile che lascia il segno, diviene «sigillo» impres
so «nel cuore». Non nasconde il desiderio (7,11), sovente indica
to nei profumi inebrianti o nelle bevande aromatiche: «Ti farei
bere vino aromatico, del succo del mio melograno» (8,2), o nella
potenza del fuoco segno di passione inestinguibile (8,6-7). Essa
non è, tuttavia, forza irrazionale: è piuttosto scelta di vita che
non si può comprare per denaro (come la S: Pro 8,10-11) e non
si lascia travolgere dalle difficoltà, ma resiste anche alla morte e
alla forza delle acque (come Gerusalemme, cf. Sai 46).
7. E unione che trasfigura il mondo, elevandolo a congiun
gimento dell’amore umano: primavera, stagione dell’amore (4,4
5), in cui gli amanti si invitano a uscire nei campi (7,12-14), fron
de, fiori e frutti, boschi e giardini, uccelli, valli, montagne. L ’a
more li nomina e, nominandoli, li rende concentrici a sé.
Così le diverse ore del giorno. Il fascino della notte : nel buio
si cerca e incontra l’amato (3,1-5), si aspira libertà (7, 11), si nu
tre timore e desiderio (5,2-8). L 'aurora primaverile invita a uscir
nei campi e nelle vigne: con lo sbocciar delle gemme e del giorno
fiorisce l’amore... «là ti darò le mie carezze» (7,13). Le ore del
mezzogiorno ardenti e luminose, ore di pausa per il gregge, sono
occasione di fervidi e costanti incontri tra gli amanti (1.7-8)126.
8. Amore che sintetizza i piaceri, soprattutto aromi e sapo
ri. Aromi di boschi e di giardini, di viti e fichi in fiore, di melo
grani, frutti e vino, profumi di mirra e incenso. Sapori: gusti di
frutti, di uva, mele, datteri...
Le tue tenerezze son più dolci del vino (1,2);
il profumo del tuo respiro come di mele (7,9);
c’è miele e latte sotto la tua lingua
e il profumo delle tue vesti è come il profumo del Libano...
i tuoi germogli sono un giardino di melograni
con i frutti più squisiti,
126 Gli ebrei leggono questo libro a Pasqua e durante la successiva settimana
degli Azzimi, per celebrare le nozze (= alleanza) tra Dio e il suo popolo, e la pri
mavera che in quel periodo esplode in tutto il suo splendore. Così l’amore fecon
do e liberante dell’alleanza divina si incontra con l’esultanza della natura.
314
alberi di Cipro con nardo,
nardo e zafferano, cannella e cinnamomo
con ogni specie d’alberi da incenso;
mirra e aloe con tutti i migliori aromi (4,11.13-14).
315
C a p it o l o 3
I SA LM I
I - NOTIZIE GENERALI
Nome
Ebraico tehillim (halal), cf. tehillah, lode; greco psalterion,
dallo strumento di accompagnamento.
Attori e linguaggio
a) Tre sono gli attori nei salmi.
- Dio, «il Santo», trascendente, «separato», ma riconosciuto vi
cino; santità è il suo amore (santità etica): santità aperta verso
l’umanità, dialogica. Perciò il salmista può nominarlo, invocar
lo, chiamarlo in causa.
317
- L ’uomo: deve essere santo (eticamente, cf. Lv 11,45; 17,1;
19,2; 22,32). Emerge la fiducia e consonanza con Dio. Spesso
anche la tensione con lui, con gli altri (i nemici) e con se stesso
(sofferenza e tenebre): esprime «il dramma».
- Il cosmo: rappresenta la coreografia e lo spazio dell’incontro-
scontro tra Dio e l’uomo; commenta spesso la situazione uma
na (consonanza o avversità). Il cosmo «santificato» esprime la
santità delle realtà terrestri (Sion, Gerusalemme, la «terra», e
anche oltre: Madian, Sinai, ecc.). La tensione insorge con ciò
che è alienazione, male, peccato, nemico.
b) Linguaggio o lessico della preghiera. Si passa dal settore sacro
liturgico, al coinvolgimento di tutta la vita, adeguandosi ai pro
blemi vitali dell’uomo, gioia e drammi (lode e supplica). Sarà
esplicitato nelle singole parti.
Generi letterari
318
Salmi di liturgia: a) ingresso; b) penitenziali; c) pellegrinag
gio («delle ascensioni»).
Salmi sapienziali o di Torah o didattici.
I salmi e il culto
La liturgia è lo sfondo costante di quasi ogni salmo, il suo am
biente naturale (cf. il «linguaggio» nel genere salmi liturgici).
- Alcuni salmi seguono i diversi momenti della liturgia e, quindi,
la presuppongono (cf. Sai 118; 100; 15; 24 = entrata; ma an
che Sai 95 [94] è salmo liturgico: venite, accostiamoci = entra
ta; venite, prostrati adoriamo = nel tempio; ascoltate, oggi, la
sua voce = oracolo con invito ad ascoltare la «parola» di Dio:
è un’attualizzazione liturgica, il momento della catechesi nella
sinagoga?). Sono dei riti da compiersi, con molta probabilità
nel recinto del tempio (cf. Sai 48; 65; 95; 118); accompagnano
taluni riti (cf. Sai 20; 26; 27; 66; ecc.).
- Altri accennano al pellegrinaggio al tempio (cf. Sai 84; 120
134).
- Taluni esprimono o sottendono una liturgia penitenziale (es.
Sai 50-51 da leggere insieme: requisitoria divina [50] e confes
sione di Israele o del penitente in prima persona [51]).
- Altri rivelano adattamenti liturgici, come le aggiunte di benedi
zioni (125; 128; 129; 131).
- Molti salmi contengono nel titolo indicazioni musicali o litur
giche.
- Inoltre si nominano gli autori o i cantori che li eseguivano nel
tempio, nelle feste e durante i sacrifici, con danze e cori accom
pagnati da strumenti musicali (i figli di Core, Asaf, Davide,
ecc.).
Autori e data
Davide appare come il riferimento ideale, senza che ne sia il
vero autore (cf. Salomone per la sapienza); altri autori: Asaf, i fi
gli di Core furono autori o esecutori. Furono composti in ogni
epoca, spesso è impossibile stabilirla; il loro uso rivela adatta
menti o aggiunte.
319
Formazione
Fu lenta, cf. 3-41 e 42-72 = due gruppi «davidici», Asaf, Co
re, Hallel, Salomone. L ’attuale composizione divide il salterio in
cinque libri, ciascuno dei quali termina con una dossologia: 1-41;
42-72; 73-89; 90-106; 107-150. Con quale criterio? Un midrash
su Sai 1 dice: «Come Mosè ha dato a Israele i cinque libri della
legge, così Davide ha dato a Israele cinque libri dei Salmi: il libro
dei Salmi intitolato Beato l ’uomo (Sai 1,1), il libro intitolato Per
la guida: Maskil (Sai 42,1 ), il libro Un salmo di A saf (Sai 73,1 ), il
libro Una preghiera di Mosè (Sai 90,1), e il libro Dicano i redenti
del Signore (Sai 107,2)».
L ’ordine e la composizione del Salterio sono tardivi e rispon
dono all’esigenza della preghiera personale. La Parola di Dio ivi
contenuta è considerata «come spada» nelle mani dei «poveri del
Signore» per nutrire la speranza di Israele (Sai 149,6-7). In parti
colare, i Salmi 1-2 rappresentano il grande «portale» con le «due
vie» e l’appello all’alleanza impersonata dal re. I salmi regali so
no distribuiti in punti strategici con l’evidente funzione di soste
nere la speranza.
320
II - GETTIAMO UN PONTE
Difficoltà
Ce ne sono in abbondanza. «Il ruolo dell’avvocato del diavo
lo nel processo ai Salmi è facile. Chi non ha acquisito, a forza di
studi e ragionamenti, un certo numero di riflessi correttivi, prova
necessariamente un certo disagio a pregare i salmi»2. Elencare al
cune difficoltà è facile: espressioni lontane per contenuto e lin
guaggio; formule già preparate e...sorpassate; deficienze dottri
nali e morali (fede nella risurrezione, immagine di Dio, maledi
zioni, ecc.).
Cavarsela con allegorie o sensi accomodatizi o, peggio, con
tagli di fronte a testi difficili o scandalosi? Il realismo moder
no esige che i Salmi siano accettabili nel loro senso letterale e
storico.
321
ta, ma, nutrita dalla tradizione biblica, intesse di reminiscenze la
sua preghiera. Usa i salmi come una lingua rispettosa delle regole
e nel contempo sovranamente creatrice» (Lack). Infatti, i Salmi,
prima che formule offrono una grammatica per far pregare; ci
fanno entrare in profondità nella relazione tra Dio e l’uomo. Inol
tre, ci insegnano che la vera preghiera è sempre corale. Per quan
to essa sia personale, si fonde con il coro della comunità e della
tradizione.
* Gesù
- Li ha pregati e... vissuti. Per es. i «salmi delle ascensioni» o di
pellegrinaggio (Sai 120-134), quando saliva a Gerusalemme;
al termine dell’ultima cena, i salmi dello Hallel (113-118, cf.
Mt 26,30: «dopo aver cantato l’inno»); al Getsemani (Sai 42
43: «la mia anima è triste», Mt 26,38, cf. Gv 12,27) e sulla cro
ce (Sai 22: «Dio mio, Dio, mio...», cf. Mt 27,46; Me 15,34; Sai
31: «Padre, nelle tue mani...», cf. Le 23,46).
- Li ha interpretati con autorità. Le 24,44: «Bisogna che si com
piano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Pro
feti e nei Salmi»; Sai 110, cf. Mt 26,64; riferimenti e allusioni:
Mt 5,4 = Sai 37,11 ; Mt 5,35 = Sai 48,3, ecc.
* La chiesa
- Gli apostoli andavano ogni giorno nel tempio a pregare (At
2,46; 3,1; Le 24,52).
- Inoltre convalidavano la loro predicazione con testimonianze
scritturistiche. Il Salmo 22 divenne la chiave di lettura della
passione e risurrezione. Inizia con: «Dio mio... perché mi hai
abbandonato?», e diventa: «ma io vivrò per lui, lo servirà la
mia discendenza» (v. 31). Altre citazioni servivano a mostrare
la solidarietà di Cristo con ogni sofferenza umana: «Egli ha
preso le nostre infermità» (Mt 8,17).
- I Salmi poi son divenuti preghiera rivolta a Cristo. La chiesa ha
la tradizione di riferire a Cristo passi del salterio. Perché lodare
Cristo è lodare Dio. E un’usanza autorizzata dal NT: Eb 1,3 =
Sai 104,29s; Ef 4,8 - Sai 68,19; lPt 2,3 = Sai 34,9. Del resto,
Gesù stesso ha considerato rivolte a Dio le acclamazioni rivolte
alla sua persona (Mt 21,16, cf. Sai 8,3).
322
Concludendo, la ragione decisiva per cui i Salmi rimangono
la preghiera della chiesa, è il posto che occupano nella coscienza
di Cristo e nella predicazione della chiesa apostolica. Sono un
mezzo di espressione privilegiata. Sono preghiera di Cristo e pre
ghiera rivolta a lui e, attraverso di lui, a Dio stesso.
Obiezione. - E i salmi di imprecazione, li lasciamo cadere?
Esiste la possibilità di non censurarli semplicemente. «I salmi di
imprecazione sono là per ricordarci che in ogni tempo e in ogni
luogo si elevano verso il Signore grida simili, scaturite da un ec
cesso di sofferenza. Il cristiano, lungi dal turarsi le orecchie, ripe
terà quelle imprecazioni non per rivolgerle verso Dio, bensi per
dirigerle verso la propria coscienza. Si domanderà in che misura
ha contribuito a provocarle con le sue mancanze e con i suoi com
promessi con un mondo oppressore. Cercherà di unirsi a ogni
azione che tende a restaurare un ordine di giustizia. Quando quel
le imprecazioni avranno cessato di risuonare sulle labbra degli
uomini, allora sarà tempo di cancellarle anche dal libro dei sal
mi» (Lack)3.
La sofferenza è anche tentazione per il giusto (Sai 49; 73). Le
provocazioni degli empi che attentano alla vita, sono tentazioni
che mettono in crisi l’adesione a Dio.
Non riposi lo scettro degli empi sul possesso dei giusti,
perché i giusti non protendano le loro mani verso il crimine
(Sai 125,3)
323
(= la razione di cibo necessaria).
Che io non diventi sazio e ti rinneghi
e dica: «chi è il Signore?»,
oppure, ridotto all’indigenza, non rubi
e abusi del nome del mio Dio (Pro 30,7-9).
Inoltre, invocare vendetta è chiedere giustizia (il linguaggio è
giuridico) e nel contempo affidare a Dio la propria causa, consa
pevoli che la vendetta umana tende alla violenza, e che il perdono
rimane dono di Dio.
324
il senso storico; 4) allegorica : personaggi ed eventi diventano
simboli di realtà del NT; 5) prosopologica : i Salmi sono pronun
ciati ekprosopon Christou / ex persona Christi; è Cristo che parla
e prega nei Salmi, se ne appropria nei vari momenti della sua vita
o li recita in persona ecclesiae, come capo del suo corpo, come
ricorda sant’Agostino.
L ’esegesi medievale è dominata dalla dottrina dei quattro
sensi ereditati dai Padri: letterale, allegorico (che afferma Cristo
come centro della storia), tropologico o morale, anagogico o
escatologico. Nella Scolastica i Salmi vengono usati per le dispu
te teologiche. Ma vanno ricordati anche i grandi commentari
ebraici di Abraham Ibn Ezra, Rashi e Kimchi, le cui opere, tuttora
edite, sono attente alla lettura filologica e grammaticale del testo,
al senso letterale.
Con l ’affacciarsi dell’umanesimo fiorisce una rinnovata at
tenzione agli strumenti di lavoro (grammatiche, dizionari, testi).
Nell’epoca moderna, merita la nostra attenzione anzitutto F. De-
litzsch, che abbina l’abilità del filologo all’afflato spirituale: egli
pone al centro della sua interpretazione la categoria del messiani
smo. In secondo luogo, H. Gunkel adotta come metodo sistema
tico di interpretazione il «genere letterario», che pone in risalto il
contesto vitale o la situazione di origine e di uso dei Salmi, so
prattutto il culto; egli vi cerca le situazioni sociali tipiche, ripeti
bili. Da parte sua, il norvegese S. Mowinckel con molti altri ri
vendica il valore del culto e il radicamento cultuale e liturgico
dei Salmi.
Nelle nuove ricerche, accanto alla lettura per generi letterari
(tra gli altri, cf. il commentario di G. Castellino) che continua
con rettifiche e precisazioni (talora frantumazioni), gli autori pre
stano attenzione all’organizzazione interna di ogni poema, visto
nella sua individualità. Procedono perciò allo studio sincronico,
letterario retorico o poetico (J.N. Aletti), fanno attenzione all’a
nalisi delle strutture (M. Girard, P. Auffret), al linguaggio delle
immagini e dei simboli (L. Monloubou, cf. anche G. Ravasi), alle
formule (Culley), al funzionamento linguistico e all’analisi poeti
ca e stilistica (R. Lack e L. Alonso Schòkel). Alonso Schòkel cer
ca di coprire anche un campo aperto, quello di delineare le conce
zioni teologiche, i sentimenti e i linguaggi. «Sempre più si presta
325
attenzione all’esperienza religiosa, personale e collettiva, veico
lata dai salmi» (L. Manicardi).
Il metodo rivela la sua validità anche per cogliere la dimen
sione teologica e spirituale dei Salmi. Questa attenzione emerge
in alcune buone introduzioni e in H.-J. Kraus, che nel suo grande
commentario dedica un volume alla « Teologia dei Salmi»5.
Altri studiosi, infine, dedicano attenzione all’edizione del sal
terio, cioè al salterio come libro, inteso come unità di composi
zione, arricchendo così ulteriormente la teologia del Salterio (cf.
i lavori di Wilson, Howard, Lohfink, Fiiglister, Zenger, Barbiere,
Lorenzin, ecc.); oppure cercano di seguire la vita dei Salmi nella
storia', nel NT, nelle interpretazioni patristiche, nelle utilizzazioni
liturgiche (Holladay)6. Risalta così in modo concreto come il sal
terio resti un libro vitale che continua a nutrire la vita spirituale
dei credenti lungo i secoli.
326
no preghiera ispirata, cioè parola di Dio. Partendo dunque dalla
constatazione che essi sono «poesia e preghiera ispirata», artico
liamo i tre punti della trattazione: generi letterari, funzionamento
linguistico, lettura cristiana.
/ generi letterari
Sono funzionali, offrono una tecnica, lo schema, una gram
matica perché la comunità si esprima. Riflettono anche gli ele
menti culturali, consentono perciò di ricostruire Vambiente so
cio-religioso in cui i Salmi sono nati, i bisogni che hanno spinto
alla loro composizione, le caratteristiche letterarie che ne deriva
no. Offrono dunque un primo punto d’incontro tra la nostra vita e
il passato.
Il primo ad applicare in modo sistematico l’analisi dei generi
letterari alla Bibbia e, in particolare, ai Salmi è stato H. Gunkel
(1862-1932)7. Egli enumera tre criteri per riconoscere un genere
letterario:
- una situazione specifica nella vita di un popolo (Sitz im Leben)',
- un patrimonio comune di formulazioni o schemi e di motivi
(ambiente letterario);
- un’atmosfera spirituale identica.
Gli appelli, che partono dalla vita, creano e modellano tutta la
produzione letteraria (per l’elenco dei generi letterari, cf. sopra).
Il funzionamento linguistico
a) I Salmi sono preghiera e poesia. L ’affermazione opera un im
portante accostamento. Indica un metodo. La preghiera chiama in
causa tutto il nostro essere umano: sensi, sensibilità o estetica,
fantasia che le immagini rendono sollecita. Il messaggio poetico
attira l’attenzione sull’wso delle parole prima di condurre al sen
so, così la preghiera deve passare attraverso la «contemplazio
ne», che coinvolge intelletto e corpo, per raggiungere il suo mes
saggio.
327
b) Di conseguenza, se i Salmi sono poesia e preghiera, dobbia
mo mettere in opera le tecniche poetiche di analisi. L ’analisi lin
guistica e poetica pone in risalto Veterno umano, ciò che è comu
ne a ogni uomo e che la poesia esprime. Essa è dunque un secon
do strumento di comunicazione tra lettore antico e moderno. In
particolare, la tecnica poetica ci rivela le tre forme e funzioni del
linguaggio con cui l’uomo si esprime ed emette un messaggio:
- La lirica, in cui l’uomo esprime se stesso, i suoi desideri: pre
vale l’io.
- Il dramma, in cui l’uomo si affronta e confronta, si sollecita
con il suo simile: prevale il dialogo, io-tu. Tale forma ha per
oggetto i comportamenti.
- Infine, l’epica, nella quale l’uomo racconta, riferisce: prevale
la terza persona, egli. Suo oggetto è il racconto, l’informa
zione.
L ’applicazione di queste informazioni al linguaggio (= parole
e immagini) dei Salmi ci offre un primo risultato. Esprimono i
sentimenti (lirica): fiducia, umiltà, speranza, timore, ecc. La pre
ghiera è anche lotta drammatica, che mette l’uomo alle prese con
Dio: da una parte l’uomo in tensione tra fede e dubbio, accetta
zione e ribellione; dall’altra Dio, la cui voce si fa via via pressan
te, invitante, minacciosa. E un dialogo colto nel vivo di un dram
ma in pieno svolgimento. Infine, i Salmi hanno un aspetto narra
tivo: il popolo racconta le gesta di Dio e le comunica, quasi si
trattasse di un «vangelo», alle nuove generazioni.
c) Concretamente, le tecniche poetiche tendono a valorizzare
linguisticamente il messaggio, a tradurlo in immagini. Per es.
Isaia 11, non si limita ad annunciare il messaggio di pace, lo rive
ste di immagini: l’acqua, lo spirito, la giustizia e soprattutto gli
animali ammansiti, la vipera innocua e giocosa. Il linguaggio
poetico non si riduce a trasmettere informazioni, ma ritorna in
cessantemente su se stesso. La ripetitività costituisce, infatti, l’es
senza del discorso poetico, che riceve spessore attraverso l’accu
mulazione di equivalenze.
La chiave interpretativa consiste dunque nel fare l’inventario
di tutti i fenomeni di ricorrenza (o stilistici: le ripetizioni, le anti
nomie, le rotture di modelli o schemi, ecc.) e nell’esaminare co
328
me essi nel loro insieme costituiscano un sistema organico; cioè
nell’interpretare le varie immagini mettendole in relazione.
d) Salmo 131 (130): esemplificazione8.
1Canto delle «ascensioni».
Signore, non si inorgoglisce il m io cuore
e non si leva con superbia il m io sguardo;
non vado in cerca di cose grandi,
superiori alle mie forze.
2 Io sono tranquillo e sereno
come un bim bo svezzato in braccio a sua madre,
come un bim bo svezzato su di me è l ’anima mia.
3 Speri Israele nel Signore,
ora e sempre.
329
vanile e dopo dure lotte nelle tempeste della vita passata, adesso
ha trovato la pace nella comunione con Dio» (voi. II, pp. 853
854).
Queste annotazioni permettono di riconoscere nell’orante un
«povero di Dio» nella sua maturità, forse anche una madre (v. 2).
Possiamo tentare forse un accostamento con la vedova del vange
lo, che sale al tempio per offrire il suo obolo di due spiccioli, ma
che «nella sua povertà ha messo tutto quello che ha, tutto quanto
aveva per vivere» (Me 12,39; Le 21,1-4).
La struttura poetica rivela un primo paradigma o schema.
Appaiono quattro termini in relazione: cuore -sguardo -«non va
do in cerca» (equivalente di «piede») -anima. Lo schema di cui il
salmista si serve è la costituzione dell’uomo: schema antropo
logico.
Il movimento parte dall’intimo: cuore, sede della riflessione
(Dt 29,3; Pro 10,8). Giunge agli occhi, frontiera tra l’esterno e
l’interno, attraverso i quali il soggetto si apre al mondo, si infor
ma, è influenzato nel giudizio e nella decisione (cf anche Gn 3,1
7). Il cammino/piede indica l’attuazione esterna (in Gn 3 è la ma
no: «lo prese... e ne mangiò»). Nella Bibbia il cammino è sinoni
mo di condotta morale. Dopo la riflessione e il giudizio, ecco
dunque l’azione. Il salmista nega di essersi lasciato andare a qual
che atto sconsiderato di vanità e di orgoglio. Non ha oltrepassato
i limiti, si accetta con umiltà. Al contrario di Èva, che non si ac
cetta e diffida di Dio, il salmista è misurato interiormente e nei
gesti esterni. A questo punto il movimento inverte la direzione e
ritorna verso l’intimo, il centro de\Vanima: equivale alla coscien
za psicologica, al cui livello si succedono pensieri e sentimenti,
che non intaccano l’equilibrio profondo.
In definitiva, i quattro elementi sono le parti di un tutto. Indi
cano la persona del salmista sotto i diversi aspetti del pensiero,
del giudizio, dell’azione e della riflessione unificante. E la descri
zione di un’esperienza riflessa e matura. Sinteticamente, il salmi
sta parla della pace spirituale, che risulta dall’unità interiore della
persona. L ’immagine del bambino «svezzato» lascia intuire che
tale unità e fiducia sono frutto di una crisi superata, non acquisita
senza lotte. Profondamente riconciliato con i propri limiti, l’uo
mo rimane nella sua situazione di creatura. Infatti il salmo co
330
mincia e temiina con la menzione di J h w h -Signore. Tutto lo sfor
zo di unificazione si è svolto sotto lo sguardo del Signore. Nasce
l’«infanzia spirituale»: l’uomo accolto dalla presenza «materna»
di Dio. Cosi, mentre Castellino e Weiser operavano una ricerca
nell’ambito sociale e storico, qui emerge lo schema antropologi
co: persona, bambino, madre.
Nel salmo appare anche un secondo sistema di termini, che
quadra perfettamente con il primo, il paradigma dell’orgoglio:
inorgoglirsi - levarsi - grandi cose - superiori. Il nemico della
pace è l’orgoglio. Essere se stessi davanti a Dio, ecco la felicità.
Una volta reperiti con l’analisi gli elementi determinanti che
sorreggono il movimento del testo, il salmo riprende vita nella
meditazione attualizzante. Il lettore moderno, dimenticando la
formulazione precisa e arcaica, avanza nella propria riflessione
lungo gli assi di significato, che il salmo gli ha fornito, e traduce
le immagini. Questi forniscono il punto di connessione, cioè i
contenuti, superando le parole antiche. Chi ha letto attentamente
il salmo non trova difficoltà ad arricchire i termini chiave incon
trati con nuovi significati, a reinvestire le immagini traducendole
per l’oggi. Sono possibili domande sollecitate dalla vita: ad es.
quali sono le tentazioni che oggi gettano l’uomo fuori misura e
gli fanno perdere la sua identità?
331
«Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo...vi dia uno spirito di sa
pienza e rivelazione... possa egli davvero illuminare gli occhi del
vostro cuore» (Ef 1,17-18). Dal giudizio all’azione, il cammino:
la vita cristiana è chiamata «cammino» o «via» (At 9,2; 18,25;
24,22), di cui Cristo è la guida. 'L'unità interiore : «La pace di
Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vo
stri pensieri» (Fil 4,7). Per il tema dell’orgoglio basti citare Le
1,51: «Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore». Riguar
do al bambino, cf. Mt 18,3-4; 19,3.
Inoltre il cristiano si dice «figlio» del Padre. Ma dal Padre
prendono nome e somiglianza altre paternità e maternità: Cristo
chiama i suoi discepoli «figlioli» [come del resto ogni antico
maestro di sapienza] e promette di non lasciarli orfani. La chiesa
riceve da Cristo una missione materna, e Maria, tipo e madre del
la chiesa, offre pure la sua maternità al cristiano; e lo educa al
l’abbandono e alla fiducia (Alonso).
Nel Magnificat Maria appare la perfetta realizzatrice e inter
prete di questo salmo per la coscienza serena della debolezza
umana e la visione piena di stupore della grandezza divina. An
che se non ci sono dirette dipendenze letterarie, i due testi si ricol
legano in un medesimo mistero di fede. Ecco perché i Padri della
chiesa hanno saputo unire le pagine più disparate.
Bibliografia
Ci limitiamo a fornire una scelta di sussidi utili.
* Introduzioni (oltre ai commentari e introduzioni generali)
G ilbert M., ISalm i, in AA.VV., La spiritualità dell’Antico Testamento
(Storia della spiritualità 1), Boria, Roma 1988, pp. 540-580.
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Balsamo (MI) 1979 (a cura di S. D e F iores -T. G offi).
M onloubou L., I Salmi, in AA.VV., I Salmi e gli altri Scritti (Piccola
enciclopedia biblica 5), Boria. Roma 1991.
R avasi G ., I canti di Israele. Preghiera e storia di un popolo, E db , Bo
logna 1986.
— La spiritualità del Salterio, in AA.VV., La spiritualità dell’Antico
Testamento (Storia della spiritualità 1), E d b , Bologna 1987, pp.
275-327.
332
* Introduzioni con intento esemplificativo
B eauchamp P., Salmi notte e giorno, Cittadella, Assisi (PG) 1983.
Cox D., I Salmi, incontro con il Dio vivente, Paoline, Cinisello Balsamo
(MI) 1986.
M annati M ., Per pregare con i Salmi (Bibbia-Oggi, strumenti per vive
re la Parola 7), Gribaudi, Torino 1978.
M asini M ., I Salmi. Preghiera di un popolo in cammino, Queriniana,
Brescia 1982.
R avasi G., Salmi, Ancora, Milano 1975 (riedizione 1986).
W estermann C., Salmi. Generi ed esegesi, P iemme , Casale Monferrato
(AL) 1990.
* Commentari
A lonso S chòkel L., Salmi, Marietti, Torino 1981 (sintetico, ma prezio
so per la sensibilità poetica, la cultura biblica, l’avviamento alla let
tura «gustosa» e cristiana del testo).
A lonso S chòicel L. - C arniti C., ISalmi, voi. I-II, Boria, Roma 1992-93
(scientifico).
— Salmi e cantici, Boria, Roma 1996 (commento sintetico che racco
glie la traduzione e l’essenziale dei due volumi precedenti).
B eaucamp É., Dai Salmi al «Pater». Commento teologico-spirituale al
Salterio, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1991.
C astellino G., Libro dei salmi (La Sacra Bibbia), Marietti, Torino
1963/5 (ancora valido filologicamente).
D eissler A., I Salmi, Città Nuova, Roma 1986 (ed. ted. 1966).
H olladay W.L., La storia dei Salmi. Da 3000 anni poesia e preghiera,
Piemme, Casale Monferrato (AL) 1998 (ed. inglese: The Psalms
through Three Thousand Years, Augsburg Fortress, Minneapolis
1993).
Lack R., Mia forza e mio canto il Signore. I Salmi e i cantici di lodi e
vespri, Paoline, Roma 1981 (un gioiello nel suo genere per metodo
e sensibilità poetica e pastorale).
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L orenzin T., ISalmi (I Libri biblici, Primo Testamento 14), Paoline, Mi
lano 2000 (segue il Salterio come opera, recepita in unità).
M ello A., Leggere e pregare i Salmi, Qiqajon, Magnano (BI) 2008.
333
Q uesson N., Il messaggio dei Salmi, 2 voli., Boria, Roma 1980 (procede
secondo il triplice schema: lettura con Israele, con Gesù, con il no
stro tempo).
R a v a s i G., Il libro dei salmi, 3 voli., E d b , Bologna 1981-84;
* Teologia
K raus H.-J., Teologia dei Salmi, Paideia, Brescia 1989.
A) LA LODE
Il linguaggio
- halal, yadah = lodare, ringraziare; sir, barak = cantare, bene
dire;
- sabah, rum, gadal = celebrare, esaltare, magnificare;
- sipper, nagad, yada ', zakar - narrare (le mirabilia Dei); cono
scere, riconoscere, far conoscere; far «memoria», ricordare;
- gii, pazah = gioire, gridare di gioia, cf. anche: zamar, nagan;
ranan e sahaq = inneggiare (con strumenti); danzare;
- rùa \ terùa: ’alas, sahal = acclamazione entusiasta;
- salam (nedarim) = adempiere i voti.
334
1. G li inni
Struttura dell’Inno9
* Modulo essenziale:
invitatorio
spesso in tono coortativo-imperativo;
con apparato musicale (lira, cetra, tamburo, cf. Sai 150);
con apparato rituale (applauso, prostrazione, canto);
corpo dell'I :
aperto da un ki (poiché): motivazione della lode;
indirizzato a Dio: tu (canti recenti), egli (canti antichi);
lode: descrittiva generica, narrativa su precise azioni divine;
conclusione della lode spesso con inclusione con l’invitatorio.
* Duplice motivazione della lode:
- al Dio creatore (teofania, storicizzazione della creazione; aper
ti a diverse dimensioni, es. Sai 8: Dio-uomocosmo): la lode
che sale dal tempio diventa cosmica, il cosmo si concentra nel
tempio (cf. «I. cosmico al creatore», Ravasi);
al Dio salvatore nella storia (esodo, cf. 77, 105, 106; festa del
l’alleanza? Weiser; «I. storico al salvatore», Ravasi): la base
comune è la certezza della hesed eterna di Dio (cf. Sai 136;
106,1-2).
YR
Esaltano la signoria universale di J hwh , ricorrendo anche a
elementi tipici della liturgia e dei CS. Ricordiamo le diverse in
terpretazioni: mitologica (Gressmann), cultuale (Mowinckel),
335
escatologica (Gunkel, Lagrange, Féuillet, Schnackenburg, Cop-
pens), storico-escatologica (Von Rad). Elemento caratteristico è
l’acclamazione J h w h malak, « J h w h diventa re», o « J h w h esercita
la sua regalità» (senso dinamico). L ’accento è posto sul soggetto,
J h w h , per cui il senso globale è: «E J h w h che regna e nessun al
tro» (Kòhler).
CS
Esaltano Sion «città, tempio e monte di Dio», che sostituisce
la sacra montagna del Sinai. Gerusalemme concentra in sé le lodi
di Israele, gli atti di culto e la protezione divina. Vi possiamo an
noverare i salmi di «pellegrinaggio» (o «delle ascensioni») e «di
entrata» al tempio, con le allusioni frequenti alla liturgia, perché a
Sion, cuore spirituale di Israele, convergono gli atti di culto (cf.
Sai 122 e «l’intronizzazione dell’arca» in Sai 132).
Caratteri: invocano o celebrano la protezione dai nemici della
città «incrollabile»; esaltano la sekinah -presenza di Dio in mezzo
al suo popolo. Egli appare con i titoli di «santo, altissimo e tre
mendo (soprattutto contro i nemici), grande, fedele e misericor
dioso», accoglie i fedeli, ma li invita alla conversione (cf. Sai
15). Riportano anche motivi arcaici, mitici e preisraelitici; assu
mono un tono escatologico.
Cf. anche Is 2,2-5 = Mie 4,1-5; Is 26,1-3 e 25,6-12; Tb 13,2
16; Sir 36.
Genere letterario
Il salmo è un inno a Dio creatore (cf. inizio e corpo). Un I ori
ginale che pone in rapporto Dio-uomo-cosmo, con alternanza tra
solista e coro (rit. all’inizio e alla fine). Ha ovunque paralleli mo
derni e antichi, religiosi e non, ma soprattutto riflette Gn 1. Forse
allude a una liturgia notturna, v. 4 (cf. Sai 134,1; Is 30,29; lCr
9,33). Jacquet lo considera messianico, davidico, ma il salmo ap
plica piuttosto la regalità a ogni uomo (cf. Gn l,26s).
La datazione è controversa, si riscontrano paralleli con la let
teratura ugaritica, ma sembra recente per il rapporto con Gn 1.
336
Sistema e movimento del pensiero
- St r ut t ur a
- Antifona liturgica, v. 2a = acclamazione del nome: mah 'addir;
- vv. 2b-5: universo-uomo/concentrazione-contemplazione e lode;
- vv. 6-9: uomo-universo / espansione-dominio.
- Antifona liturgica, v. 10 = acclamazione, atto di fede: mah 'addir.
Nota bene - Cf. i tre mah, esclamativo (vv. 2.10), interrogativo (v.
5). Dio è quasi sempre soggetto; impostazione triangolare: Dio-uomo-
cosmo. II nome di Dio è agli estremi, l’uomo al centro, mediatore tra
Dio e il cosmo.
- Esegesi
v. 2a: mah ’addir simkà, «quanto è grande il tuo Nome». E
l’antifona liturgica che proclama il Nome divino (vv. 2a.l0), la
sua «gloria e splendore» (Sai 76,2-4; 93,4); analogamente si dice
dei re e principi (Sai 136,18; Gdc 5,13). «Su tutta la terra»: è una
specie di teodicea (Sap 13,5-9), dal cosmo al creatore e dal crea
tore al cosmo.
Iscena: dall’universo a ll’uomo (vv. 2b-5: contemplazione)10.
- v. 2b: apertura con invito alla lode (testo corretto). Adora
la maestà di Dio «sopra i cieli»: Dio è oltre il baluardo, che è il
firmamento, segno della trascendenza (cf. Ez 1).
- vv. 3-4: lode e sguardo (labbra e occhi).
3a: «con labbra di bambini e di lattanti». È balbettio, ma an
che spirito di infanzia: scoperta, stupore, simpatia, lode e gioia. In
Sap 10,21 la sapienza apre la bocca dei muti, scioglie la lingua
degli infanti.
3b: Dio pone le fondamenta di una fortezza ( oz) a difesa dai
nemici definiti «i nemici e il ribelle». Quest’ultimo, mit-naqqem,
designa un vendicativo e aggressivo; sono coloro che pretendono
337
di usurpare il potere di Dio e far giustizia nel mondo (Castellino).
La fortezza è «sopra i cieli», cioè oltre il raqia ', il «firmamento»,
a indicare la trascendenza. Il salmista sembra contrapporre bimbi
e ribelli (cf. il gioco di parole in ebraico sorerimi/'olelfm [nemi
ci, bambini], yoneqim/mit-naqqem [lattanti, ribelle]).
4: «Quando (ki temporale) vedo». Verso i cieli l’uomo con
templa. Accanto alla bocca (lode) emergono gli occhi. La luna e
le stelle sono «opera delle dita» (connotazione artistica) e «fissa
te» (connotazione di stabilità).
- v. 5: mah interrogativo, «che cosa?». È il centro e lo speci
fico del salmo: l’interrogativo dell’uomo e sull’uomo. La doman
da, che sorge da uno sguardo trascendente, è rivolta a se stesso.
Pone l’uomo come intermediario, forse ambiguo: contempla le
opere (v. 4), domina e usa (vv. 6ss). «Uomo», due espressioni:
’enós, connota fragilità, caducità, indica il limite creaturale; ben
’adam, connota terrenità, l’origine dalla terra ( ’adamà), indica
un appartenente alla specie umana, nato da donna, nella sua sto
ricità. Due verbi caratterizzano l’attenzione divina: zakar, «ricor
dare», è azione divina (Gn 8,1: Dio si ricorda di Noè, è segno di
salvezza) e umana (l’uomo celebra nella memoria, soprattutto
nelle feste, le opere del Signore); paqad, «visitare», in senso po
sitivo, «prendersi cura». Perché Dio si interessa dell’uomo (cf.
Sai 144,3; Gb 7,17-19)?
338
- v. 10: conclusione. L ’uomo ritorna a Dio nella lode e pro
fessione di fede. «L ’esclamazione finale, apparentemente identi
ca all’esclamazione iniziale, assume una portata più ricca, non
avendo cessato la terra, per l’intromissione dell’uomo, di attirare
il cielo, se ci si permette di esprimerci così»11.
— S i nt esi r i f l e s s i v a
339
Dio. Il suo nome è sulla terra, la sua maestà nei cieli, a indica
re la signoria universale unica; è caratterizzato per le dita (v. 4) e
le mani (v. 7), segno della sua attività creatrice. Infatti è soggetto
di quasi tutte le azioni che sono otto: hai fondato, hai fissato, ti
ricordi, ti prendi cura, lo hai fatto, lo hai coronato, gli hai dato
potere, hai posto. Il primo è verbo di fondazione, il secondo an
nuncia l’istituzione (in forma di gerundio è espressa la repressio
ne dei ribelli). Due verbi hanno per oggetto l’uomo: zàkar, pa-
qad; esprimono una relazione personale. Stelle e animali sono
cose «fatte»; dell’uomo Dio «si ricorda» e «si prende cura».
L ’uomo non ha valore in sé, ma per l’interesse di Dio. I quattro
verbi successivi articolano questa cura di Dio, sottolineandone
iniziativa. È una specie di rito di investitura: hasar (rendere infe
riore), ‘atar (coronare), masal (dominare), sit (porre). Rende
l’uomo partecipe della propria gloria e regalità.
L ’uomo è al centro del salmo. Alcuni schemi ne precisano
ruolo e possibilità.
a) Il corpo riassume le sue azioni. È caratterizzato per la boc
ca (loda), gli occhi (guarda-contempla), i piedi (tutto è posto sotto
i suoi piedi, terra e cielo, rappresentati nei loro abitanti; è reso
mosel-« dominatore», partecipando della signoria divina, della
sua gloria e splendore). Congiunge così le due estremità del co
smo (cielo e terra) e del salmo: si vedano, stilisticamente signifi
cativi, i due mah (esclamativi) riferiti a Dio all’inizio e alla fine
del salmo (ritorno a Dio) e il mah (interrogativo) al centro riferito
all’uomo.
b) Il movimento. Va dai cieli all’uomo e dall’uomo ai cieli,
nella duplice direzione di concentrazione ed espansione mediante
la contemplazione e la lode, la domanda, il dominio, lo stupore e
la confessione di fede (mah 'addir). L ’uomo fa dunque converge
re in sé il movimento grande-piccolo, alto-basso. La sintesi è
l’uomo. Fa parte della terra (ben- ’adam), ma sale al cielo.
c) Le età. L ’uomo è colto nelle due età più costruttive, come
fanciullo e adulto. L ’infanzia apre lo sguardo fresco e meraviglia
to sulle cose; l’età adulta domina e assoggetta il mondo, partecipa
delle qualità divine.
340
d) Emergono due atteggiamenti contrapposti: bimbi e ribelli.
Sembrano esistere due classi di uomini (v. 3 l2): chi si sostituisce a
Dio e ne usurpa il potere con aggressività e chi, invece, presta il
servizio della lode, fatica a parlare, ma è capace di stupore e do
mande, accetta con semplicità e riconosce, sa gioire della scoper
ta. L ’uomo può essere un «Prometeo» ribelle o un bambino che
loda.
Lettura cristiana
Il NT cita più volte Sai 8. Mt 21,16 descrive l’entrata messia
nica di Gesù a Gerusalemme citando il v. 3 di questo salmo. La
fede che gli rifiutano i farisei gli viene accordata, con vivacità e
spontaneità, dai fanciulli. In Eb 2,6.10; ICor 15,26-27; Ef 1,22 è
citato il v. 7 per affermare la regalità universale di Gesù Cristo,
capo e modello dell’umanità riscattata. Quando Pilato presenta
ai Giudei il Cristo oltraggiato, coperto di sudore e di sangue, dice
loro: «Ecco l’uomo!» (Gv 19,6). E questa forse la più bella defi
nizione di Cristo. Lui, e soltanto lui - perché anche Dio - è l’uo
mo vero. In Gesù Dio è entrato a far parte della storia dell’umani
tà e, come uomo, è divenuto il suo «soggetto», uno dei miliardi e,
in pari tempo, Unico (Lack).
La creazione, soprattutto il cielo stellato, rivela Dio e obbliga
l’uomo a porsi domande su se stesso. L ’uomo è precisamente
questa terra ( ’adam) capace di guardare e comprendere il cielo,
questa coscienza inquisitiva. Il salmo, che ci presenta l’uomo
che si interroga, lascia aperta la domanda: «Che cosa è l’uomo?».
Il cristiano, che ripete la sua lode in forma di domanda, può dare
la risposta: l’uomo è immagine di Cristo, al quale si sottomette
tutta la creazione, perché egli la sottomette al Padre (Alonso
Schòkel).
341
Salmo 29: teofania e gloria di YR nel tuono
Genere letterario
E un inno a Y R (vv. 2.10) con teofania celeste e cultica (cf.
Sai 18; 68; 77,14-20 e Dt 33; Ab 3). Elementi innici: inizia con
4 imperativi (manca il motivo della lode); il corpo dell’inno esal
ta il Dio signore della natura (cf. Sai 104), la sua potenza e gloria
significata nel settuplice tuono.
La simbologia è arcaica. Inno cananeo (Gingsberg, Dahood)?
Esempi e paralleli sono stati individuati nella letteratura antica
(Babilonia, Ugarit). Israele compie un adattamento liturgico: mu
tazione del nome e demitizzazione; il tuono diviene «voce di
J h w h », con allusione alla liturgia del tempio (w . 2.9c.l 1).
— Esegesi
Introduzione (vv. 1-2) - Contesto cultuale. Forma innica
con ripetizioni = parallelismo ripetitivo: ABC, ABD, ABE, vv.
1 ab-2a. E tornare indietro per un ulteriore passo, risonanza pro
lungata come nel «tuono» (cf. vv. 3.5.8.10).
1 : i 4 imperativi danno un tono particolarmente solenne. Un
anonimo liturgo invita gli esseri celesti, «figli di Dio» (bené
’elim ): anticamente divinità minori del mondo cananeo (cf. UT
342
51:111:14), ora demitizzate per indicare la corte celeste (cf. Sai
89,7; Dt 32,8 «figli di Israele»), Si fa, forse, riferimento alle stel
le, cf. UT 76:1:3-4 bn il ! hr kkbm [assemblea delle stelle]; Gb
38,7: «quando le stelle del mattino cantano / e i figli di Dio esul
tano di gioia». La «g loria » è la manifestazione esterna di Dio. La
«potenza» si rivela nel tuono.
2a: la «gloria del suo Nome (seni)»: se ’elohim sembra indica
re la «natura» divina, il «Nome» (è Jhw h) indica la persona. Tutto
il salmo ripete instancabilmente il Nome di Dio per 18 volte; alla
fine lo acclama con il titolo di «Re» (v. 10).
2b: al canto segue l’adorazione. «Prostratevi» è la reazione di
fronte a YR. «In santi ornamenti» (Cei), ebr. haderat (cf. v. 4 qól
J hwh behadar), è riferito ai paramenti sacri usati nel culto.
I sette tuoni (vv. 3-9) - Il poeta cerca di ricreare una tormenta
come segno della teofania: nell’uragano l’uomo esperimenta la
presenza di D io fo rte. Egli riduce al mondo familiare ciò che
non è esprimibile per farlo sperimentare e comunicare. A questo
genere di tentativo simbolico si possono assimilare Sai 19 (il so
le); Sai 65 (il muratore cosmico); Ab 3 (il guerriero); Gb 38ss. La
descrizione è fortemente stilizzata.
- Nella sonorità: concentra la sua forza in «7 tuoni», qól J hwh,
che si succedono irregolarmente. L’autore crea un effetto ono
matopeico, come l’eco che si propaga; prevale il suono impo
sto da qól, voce-tuono, che si diffonde in molteplici echi.
- Nel movimento geografico simbolico o immaginativo: parte
dall’oceano («le grandi acque», riferito al Mediterraneo, o al
l’oceano celeste, cf. mabbul, v. 10; si forma dal mare o dal cie
lo), invade poi la terra (Libano con le montagne e i cedri), fino
al deserto di Kades e ai boschi (Bashan o il centro). E un movi
mento nord-sud, che abbraccia tutta la terra di Canaan (nell’al
lusione al Mediterraneo si intravede anche il movimento ovest-
est). Il fragore dei tuoni raggiunge i luoghi più remoti, a signi
ficare che Jhw h prende possesso della terra.
- Negli effetti: sono resi con alcune immagini della natura scon
volta. L ’uragano determina vibrazioni, tronca, contorce, scuo
te. La sua energia sembra distruttiva. Le scene sono vuote di
343
animali (querce o cerve?, v. 9) e di uomini. Solo alla fine si ode
il grido dell’assemblea che celebra la «gloria» del Re.
w . 3-4: la voce di J hwh sulle acque. La voce è il tuono, cf.
Sai 18,8-16: teofania e tuono; Es 19,16-19; Sai 68,34; 46,7;
77,18; Am 1,2; Ger 25,30, ecc. UT 1 Aqht: 46, «la pioggia con
la voce di Baal»; 51,V:70, «emette la sua voce dalle nubi». Ebla:
Dagan, il capo del pantheon, è invocato come tì-lu ma-tìm, «ru
giada del paese», il nome sembra significhi «nube o pioggia».
La teologia jahvista demitizza l’antica concezione. Le acque
oceaniche o cosmiche, che potrebbero contenere un antico riferi
mento mitico - la lotta di Baal contro le acque caotiche (Baal e
Yamm) - danno una connotazione cosmica. Il v. 4 opera un cre
scendo sonoro: l’esplosione potente unita al bagliore accecante
del fulmine.
w . 5-6: i cedri del Libano-Sirion. Il Sirion è lo Hermon per i
fenici (Dt 3,9; Sai 89,13; UT 51 :VI:20-21: si marcia «fino al Li
bano e i suoi alberi / fino al Syrion, ai suoi cedri più maestosi»).
«Balzare» o «danzare» indica lo scuotimento dei monti, il terre
moto. Si ravvisa un’allusione antiidolatrica: vitello e toro sono
simboli di Baal, mentre sui monti avvengono i culti idolatrici;
sul Syrion vi era un santuario di Baal. Sarebbe una rilettura jahvi
sta con rimando al «vitello d’oro» (cf. Es 32,34).
vv. 7-9: il deserto di Kades. Il v. 7, «lancia frecce di fuoco»,
allude probabilmente alle raffigurazioni delle divinità orientali,
munite di un arsenale di fulmini: Baal (Ugarit), Hadad (Siria: Ar-
slan Tash) il dio mesopotamico della tempesta, Zeus. Si veda Is
29,6: la terra «è visitata con tuoni, rimbombi e rumore assordan
te, con uragano e tempesta e fiamma di fuoco divoratore». La let
teratura rabbinica leggerà allegoricamente il passo vedendovi la
descrizione della Parola di fuoco, mentre esce dalla bocca di Dio
e incide sulle tavole di pietra la legge divina (Mekhiltà su Es
20,18).
v. 8: la steppa (midbar) di Kades è a sud. La tormenta teofa-
nica si proietta su tutta la terra di Israele, a significare che Dio è il
Signore di tutto il paese; anche nel deserto semina il «tremore».
L ’antico salmo cananeo, legato originalmente a raffigurazioni
mitiche, viene riletto nella comunità ebraica e storicizzato, ripor
tando all’esperienza dei Padri nel deserto.
344
v. 9: le foreste. Il terrore di Dio si estende alla natura che si
«contorce»: ’élót, «terebinti» (TM ’ayyalót, «cerve», «fa partori
re/contorcere») e yesarót, «querce» o «boschi». I grandi alberi,
qui e al v. 5, possono essere simbolo degli orgogliosi nemici di
Dio (cf. Is 2,13; 10,18.33, ecc.). L ’immagine completa la rasse
gna geografica.
— S i nt esi r i f l e s s i v a
Il salmo è caratterizzato dal movimento (schema geografico):
la Gloria di J h w h va dal santuario dei cieli al santuario della terra
(Lack). Al movimento geografico corrisponde la lode, dai «figli
di Dio» alla comunità liturgica.
345
- La glorificazione inizia dai «figli di Dio», la corte celeste de
mitizzata, le stelle, nelle sfere superiori: non più oggetto di
adorazione, essi riconoscono J h w h . D ’altra parte, il Signore
tuona anzitutto sulle acque (= l’oceano celeste), parla da sovra
no (teofania, cf. Es 19,18s).
- Dai cedri del Libano al deserto di Kades: nord-sud, dalla mon
tagna alla pianura, al deserto, alla foresta. Il territorio dominato
dal Panteon cananeo è ora dominio di J hw h (v . 10).
- «Nel tempio tutti dicono: “gloria”» (v. 9). La gloria è ricono
sciuta non più nelle luci sfolgoranti, ma nella liturgia e nell’ac
clamazione del popolo.
- La potenza è comunicata al popolo (v. 1la), l’uragano si con
clude con la pace (v. 1lb). Il dato della lode è restituito in be
nedizione. Cielo e terra sono uniti in una comune liturgia.
Lettura cristiana
La voce di Cristo impone silenzio al mare tempestoso (Mt
27,46-50; Me 15,37), la sua voce potente sulla croce è descritta
come teofania (Mt 14,39). La voce del Padre proclama dal cielo:
«Questi è il Figlio mio prediletto» (Mt 3,17). E anche la voce del
lo Spirito nel giorno della Pentecoste (At 2,1-11). E, infine, la vo
ce dell’Apocalisse: «Avendo posto il piede destro sul mare e il
sinistro sulla terra, gridò a gran voce come leone che ruggisce. E
quando ebbe gridato, i sette tuoni fecero udire la loro voce»
(10,2-3).
Risponde la voce dei credenti e dei salvati con acclamazioni o
dossologie di carattere liturgico: «Tu sei degno, o Signore e Dio
nostro, di ricevere la gloria, l’onore e la potenza» (4,11; cf. 5,12;
19,1). «Queste voci ci invitano ad acclamare la gloria e la potenza
del Signore; ma ci insegnano anche ad ascoltare nella tempesta
l’eco e la risonanza della potenza del Signore» (Alonso).
L’incarnazione è il movimento che conduce dal santuario dei
cieli al santuario della terra. Come già la sapienza cosmica scen
deva dal cielo e compiva il suo esodo per posare la sua tenda in
Dio e prendere possesso della terra e del popolo di Israele (Sir
24), cosi si muove il «Verbo fatto carne». Egli è il tempio vivente
di Dio (Gv 2,11). Prima della passione esclama: «Padre, glorifica
346
il tuo Nome» (Gv 12,28). Nella Pasqua dà ai discepoli la pace
(20,20-21) promessa (15,27).
I Padri del medioevo vedevano nel salmo l’immagine dei set
te doni dello Spirito. Bellarmino quella dei sette sacramenti della
nuova alleanza.
Genere letterario
E un CS. Infatti pone al centro Sion, «città di Dio» (v. 5), san
ta dimora, giardino di Dio con acque feconde (linguaggio mitico
per indicare la fonte di Gihon e il canale di Siloe). Vi avviene lo
scontro decisivo tra Dio e i nemici suoi e del suo popolo, 1'«Al
tissimo» trionfa ed estende il dominio e la pace su tutta la terra.
Ne deriva un quadro escatologico.
Sfondo storico. Con Sai 48 e 76 allude, come Isaia 7-12, al
l’assedio di Sennacherib (701 a.C.) o alla guerra siroefraimitica
(635/34). Celebra liturgicamente la liberazione, appena avvenuta,
iniziando con la «narrazione» dell’evento, seguita da una proces
sione rituale (cf. Sai 46,9; 48,13s; 76,3-7).
L’episodio è sublimato: diviene simbolo della battaglia e vit
toria escatologica di J hwh sui «popoli». Caratteristici sono il mo
tivo della distruzione delle armi (simbolo inverso della guerra), il
linguaggio mitico nella descrizione della battaglia e il sottofondo
delle tradizioni isaiane.
Gli autori hanno sottolineato diversi elementi con differenti
interpretazioni o accentuazioni: la tinta messianico-escatologica
(Gunkel); il carattere cultuale, non escatologico, con linguaggio
mitologico (Kraus); l’universalità della vittoria di J hwh (M o -
winckel); i motivi degli oracoli della guerra santa (Airoldi); l’a
spetto metaforico (Weiss) e protologico (Kelly).
13 Cf. M. M ilani, Salmo 46. Uno studio strutturale sulle immagini di guerra e
di giudizio, «Studia Patavina» 28 (1980), pp. 513-537.
347
Sistema e movimento del pensiero
— S t r u t t ur a
Due parti separate da un ritornello ( w . 8.12)
I. due scene antitetiche: vv. 2-8 (narrazione )
a) vv. 2-4: visione mitico-cosmica
ribellione/insidia-maremoto ( Chaoskampf)]
b) vv. 5-7: visione idealizzata («surrealista»),
Sion-battaglia contro i popoli;
II. visione epico-drammatica: w . 9-11 (processione rituale), armi di
strutte-pace messianica.
— Esegesi
Iparte (vv. 2-8): Narrazione
Terra e mare insidiano la stabilità del cosmo (maremoto, lin
guaggio mitico), i popoli minacciano la tranquilla sicurezza di
Sion. Dio in persona assume il compito della difesa e del contrat
tacco: «tuona» richiama l’urlo di guerra (è guerra santa).
Stile: terza persona; «terra, popoli, regni, monti» sono senza
articolo; predominano i verbi di movimento: mur (tremare), mùt
(vacillare), hamah (fremere), hamar (gonfiarsi), ra ’as (tuonare),
mùg (sgretolarsi).
v. 2: è l’atto di fede che sostiene il salmo. «Dio rifugio e for
tezza (immagine di edificio), liberatore ( ‘azar) dagli assedi (im
magine del guerriero)». Viene ripreso nel ritornello: «Il Signore
degli eserciti è con noi, nostro rifugio è il Dio di Giacobbe». E il
Dio della guerra santa, impegnato a rovesciare la guerra contro i
potenti.
vv. 3-4: visione cosmica - linguaggio mitico. La «Chao-
skampf.» contro l’oceano primordiale (cf Baal e Yamm). E il pe
ricolo di un ritorno al caos. Terra-'eres è allusione al mondo in
fernale, la città di Mot-Morte. Il Mare rappresenta le forze ostili
personificate.
348
vv. 5-7: visione «surrealista» - Sion città ideale-battaglia
con i popoli. Dagli elementi mitici della strofa precedente si pas
sa alla idealizzazione di Siloe e Gihon (cf. Is 8,5ss). Lo scenario è
ora storico ma idealizzato, umano, con qualche allusione mitica e
la sovrapposizione delle due battaglie, dei popoli e del mare. Il
fenomeno infatti è descritto mediante la ripetizione degli stessi
verbi e sostantivi: «vacillare» detto dei monti (v. 3b) e dei regni
(v. 7) contrapposto alla città che «non vacilla» (mùt); «fremere» è
detto delle acque (v. 4) e dei popoli (v. 7a); la sconfitta dei popoli
è nel... «tremare» di «terra» (vv. 7 e 3a), cioè nella forma del ter
remoto.
vv. 4-5: sospensione, nel simbolo opposto dell’acqua: di
struttiva prima, serena e vitale poi.
Si noti la sequenza dei termini nei vv. 3-7: terra, monti, ac
que/città/popoli, regni, terra. Tutto ruota e si agita attorno alla cit
tà caratterizzata, per contro, da termini di riposo: dimora, abitare,
non vacillare. Sion è il centro cosmico14.
349
v. 9: «Venite, vedete le mip ‘alót (opere) e sammót (prodigi o
portenti)». E l’invito liturgico a constatare, per fame memoria,
l’intervento liberatorio di J h w h . Rivolto all’assemblea, di fatto
ha come obiettivo gli avversari perché riconoscano la vittoria di
J h w h ( v . 11).
v. 10: oggetto dello «sguardo» è la fine della guerra simbo
lizzata nella distruzione delle armi (cf. Os 1,5; 2,20; Ger 49,35;
Mie 5,9-13; Zac 4,6; Sai 76,4 e anche Is 2,7s; 9,lss; Gdt 16,2),
che riprende il motivo profetico della polemica antimilitarista.
Tutte le anni divengono inutili. Dietro l’annientamento delle ar
mi si intravede un grande ordine, la pace messianica, preceduta
dall’intervento di J h w h nei più lontani recessi della terra (v.
IOa), là dove abita una forza nemica (cf. Is 2,3 = Mie 4,3; Is 9,1
6; 11,6-9). Solo le armi sono oggetto di distruzione. Dio propone
se stesso come unico rifugio e fortezza; intende eliminare il biso
gno di altre fortezze. Il suo intervento diviene giudizio contro
ogni violenza (cf. Gl 4,19-21). Sai 76,3-4, che contiene lo stesso
motivo, accentua il senso giocando sull’assonanza salem-salóm
(pace): Dio fa abitare il suo Nome (sem), là (sam), a Salem (cf.
Gerusalemme, ‘ir salóm, «città di pace» in Sai 122).
v. 11: nuovo invito rivolto ancora all’assemblea e ai popoli.
J hwh impone il silenzio e invita a riconoscerlo e a proclamarlo
Dio di tutti i popoli («esaltato tra le genti, eccelso sulla terra»).
La giustizia si attua dunque in un duplice momento: distruzione
delle armi ed esaltazione di Dio. Emerge lo schema del «resto»
profetico (purificazione-restaurazione), ma applicato ai popoli:
la vittoria diventa celebrazione della salvezza universale. Il salmo
mira al superamento della violenza e della disgregazione per una
superiore unità escatologica, nel riconoscimento dell’unico Dio,
creando ovunque le condizioni della «città di Dio».
— Si nt e s i
a) Edificio-spazio/persona-dinamismo - Due schemi rappre
sentano Dio. La fortezza, schema di edificio: pone in risalto la
stabilità; e il guerriero, schema antropologico: pone in risalto il
dinamismo, l ’azione-movimento, che libera e vince (vv.
6.7.9.10: aiuta, libera; grida; stupisce; spezza le armi). Il primo
350
si accorda all'immagine della città «che non vacilla» (vv. 5-6), il
secondo si allinea con la battaglia, che privilegia lo scontro e il
dinamismo. Troviamo dunque un duplice sistema opposto nella
linea stabilità/movimento.
_______ guerriero_______ rocca
azione liberante -battaglia città liberata
Città e battaglia richiamano rocca/guerriero, edificio/persona.
La tensione della metafora dipende dall’enunciato: Dio è una for
tezza vivente, una fortezza che cammina o fortezza mobile. Scon
figge il nemico, ne distrugge le armi e lo insegue fino ai confini
della terra. In questo fatto percepiamo anche l’allargamento dello
spazio di Sion fino ai confini della terra. In un certo senso, tutto
lo spazio viene ora occupato dalla città di Dio.
Uguale corrispondenza incontriamo nel campo avversario:
«terra» e «popoli». La ’eres-terra è la forza distruttiva contrappo
sta alla «rocca» e città di Dio. Ha una duplice valenza: spaziale
(nel linguaggio reale, ultima strofa: denotazione) e personale
(nel linguaggio mitico, vv. 2-4; il fatto è confermato dal parallelo
terra-popoli al v. 7: connotazione). La ere? rappresenta inoltre la
forza antagonista di Dio; essa tenta di conquistare lo spazio della
città per distruggerla. In conclusione, notiamo una tendenza alla
personificazione, non solo nell’esercito dei popoli, ma anche nel
la metafora del caos, rappresentato come la mitica «città di Mot
Morte», il dio degli inferi. Lo schema delle opposizioni si com
pleta:
rocca città di Mot/ di Dio acqua caotica/Siloe
guerriero aggressione/liberazione tumulto/gioia
ritirata/vittoria _________distruzione/stabilità_________
tremore/esaltazione terra sottomessa-riconoscimento di Dio
Nell’ultima equivalenza l’antagonismo è superato, nasce un
nuovo equilibrio. Tra i due schemi, di edificio e antropologico,
si inserisce quello di spazio.
b) Movimento - Lo spazio comporta il movimento. Esso è anzi
tutto convergente: verso la città di Dio, segna lo scontro. Segue
un movimento divergente: ai confini di 'ere* nella traiettoria del
351
la conquista divina, che realizza dovunque le condizioni ideali
della città nella pace universale.
Vi corrisponde un movimento verticale e orizzontale a partire
dalla città, posta al centro del cosmo. E «il centro mitico-geogra-
fico della creazione od ombelico dell’universo: qui è il punto ver
ticale di contatto dove VAltissimo supera Vabisso caotico; oriz
zontalmente questo è il punto dove le nazioni della terra sono
vinte e la pace è stabilita fino ai confini della terra»l5.
c) Schema temporale - Il salmo contiene un unico avverbio di
tempo (v. 6), a indicare l’intervento favorevole di Dio, al momen
to opportuno e con sicurezza (cf. Es 14-15). Su tale convinzione è
fondata la fede del salmista e del popolo orante. Il fatto storico
diventa atto di fede, l’avvenimento contingente rivela una costan
te che va al di là del tempo e prospetta una condizione stabile,
definitiva.
Del resto, l’uso dei verbi (continuo passaggio dal perfetto al
futuro) dà l’impressione che il tono sia atemporale, tipico di una
sentenza o di un atto di fede. Tutto è proiettato verso un futuro
escatologico. «La prova di Israele si prolungherà ben al di là di
una semplice invasione, quella di Sennacherib in particolare. Co
sì per sostenere la fede in una vittoria finale che si fa attendere, si
sentirà il bisogno di sottolineare che le distruzioni, sempre pre
senti sotto gli occhi, costituiscono il primo pannello dell’opera
di J hwh (v . 9b) e che il seguito non tarderà a venire» (Beaucamp).
d) Carattere simbolico della guerra - Un primo elemento che
risalta dal salmo è il rapporto guerra-giustizia. Il potenziale guer
riero si riversa nell’azione della giustizia divina. Esso appare, in
direttamente, nella pace messianica, nella distruzione delle armi,
nella centralità di Dio e nel titolo: «Dio sebaót», che nel contesto
richiama gli interventi in favore della giustizia (più diretto è l’ac
costamento nei paralleli Sai 48 e 76). Nella mente dell’autore una
traduzione esistenziale e concreta della battaglia può diventare
l’impegno per la giustizia. Ogni intervento «bellico» del Dio guer
riero sta a significare la «lotta» per la giustizia verso i «poveri»
352
della terra. Anzi, se vogliamo cogliere l’elemento dinamico, ogni
suo intervento è l’indicazione della via da percorrere per realizzar
la. La presenza di Dio nella sua «dimora» e «rocca» di Sion è un
appello a «camminare» con lui per promuovere la giustizia.
Un secondo elemento, che sottolinea il carattere simbolico
della terminologia bellica, è il linguaggio mitico o cosmico e li
turgico. Suppone la ricerca di un tono epico nel cantare le salvez
ze storiche, tende a idealizzare e universalizzare. L ’autore comu
nica delle esperienze spirituali attraverso immagini che attinge
dalla tradizione, usandole per il suo scopo. La concentrazione su
Gerusalemme, salvata e liberata, ha lo scopo di rendere credibile
Vescatologia a p artire dalla sua anticipazione localizzata. La
promessa vale per tutti i poveri, la minaccia concerne tutti i re
della terra. Dio fortezza-guerriero è presente in ogni angolo della
terra, là dove un povero invoca liberazione e giustizia.
Va ricordato un terzo particolare: il risultato della battaglia
prepara e realizza la pace universale. Il concetto di «resto» è ap
plicato ai popoli! Di conseguenza, il motivo della «guerra santa»
pone in risalto l’inconciliabilità tra J h w h e la prepotenza umana.
Spezzando la guerra egli trionfa su ogni ingiustizia : è questa la
risposta che il salmo offre a una domanda esistenziale.
Lettura cristiana
353
2. Salm i di fid u c ia
Elenco
La distinzione in salmi di fiducia individuali e comunitari non
ha gran valore. Nell’io è la coscienza di tutta la comunità. Vi ap
partengono alcuni tra i salmi più noti. Sai 4: canto notturno di fi
ducia («in pace mi corico e subito mi addormento»); 11 : fiducia
incrollabile in J hw h rifugio del giusto; 16: J hw h «unico bene»,
«eredità e calice», «gioia piena», «dolcezza senza fine» del fede
le, «nelle tue mani è la mia vita»; Sai 23: Dio «pastore e ospite»;
27: misto tra la fiducia trionfale (inno, vv. 1-6: si guarda a Dio,
sicurezza) e la supplica (7-11: si guarda all’uomo di fronte a
Dio, timore); 62: Dio unica speranza e riposo, «rupe e salvezza»;
63: esperienza profonda di Dio mediante la liturgia; 121: sguardo
al vigile «custode» di Israele; 125: il Signore «cinge» Israele, sta
bilità perenne di chi confida in lui; 131: fiducia del bimbo svez
zato in braccio alla madre.
Struttura
Non esiste uno schema rigoroso, facilmente sconfina in altri
generi. Ricaviamo piuttosto alcune costanti, in particolare: l’e
sperienza esistenziale di fiducia e un’adesione libera e spontanea
a Dio; una fede fortemente personale, pur nell’uso della terza per
sona. Li distinguono l’atteggiamento e il linguaggio, che rivelano
fede matura, speranza e attesa, desiderio e abbandono, intimità. È
la gioia di credere. «L’orante non sollecita da Dio alcun bene par
ticolare, ma esprime semplicemente la sua fiducia in Dio solo,
fonte di quiete e gioia» (Lipinsky).
Genere letterario
È uno dei salmi più conosciuti, usati nella pietà popolare, nel
le raffigurazioni e nella musica. Un canto di fiducia, «forse desti
nato ai pellegrini a causa del viaggio e dell’approdo a Sion e al
culto nel tempio» (Ravasi, p. 112). È espressione di una fede
tranquilla e interiore che traspare dalle immagini (pastore e ospi
354
te), dalle motivazioni («a motivo del suo nome», v. 3; «poiché tu
sei con me», v. 4) e dalla serenità delle affermazioni («non manco
di nulla», v. 1; «non temo alcun male», v. 4; «felicità e grazia...
abiterò», v. 6). Sono 9 versi (distici o tristici) suddivisi in due
strofe, composti nel ritmo della qinà (accenti 3 + 2), sviluppati
in simboli elementari.
- Esegesi
Iparte (vv. 1-4): Dio Pastore - Il salmo inizia con il titolo di
vino: «Il Signore è il mio pastore». E la professione di fede
del salmista davanti alla comunità con appello all’alleanza
(«mio», cf. Sai 100,3: «Egli è il nostro Dio, noi il suo popolo»).
Tema del pastore
- Nell’AT è riferito a Dio e al capo (Davide pastore, cf. 2Sam 7;
Sai 78,70-72), collegato soprattutto alle tradizioni dell’esodo e
del nuovo esodo: il Signore è il pastore che guida il suo popolo
attraverso il deserto (cf. Sai 77; 100,3; 107; Is 40, ecc.). Al con
trario, per i malvagi Mot-Morte è loro pastore nello Sheol, li
conduce alle acque di morte (Sai 49,15, cf. UT 52,8).
- Per il NT basti ricordare Gv 10 e 21; At 20,28-29; lPt 5,2-4.
- E presente in tutta l’area culturale orientale per indicare «il ca
po» (il re pastore).
Nel piano antropologico, l’uomo «addomestica» l’animale:
«Gli era cresciuta in casa insieme con i figli, mangiando il pane
di lui, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno» (2Sam
12,3). Nel salmo l’uomo si dichiara perfettamente «addomesti
cato» da Dio, cioè in relazione intima con lui.
355
Sviluppo della metafora
La metafora è sviluppata nel salmo con immagini elementari,
captando alcuni momenti privilegiati e selezionando alcuni verbi
precisi e concreti: il verde dei pascoli, le fonti per riposare e risto
rarsi, il giusto cammino. E, poi, il cammino e il riposo sereno: mi
conduce, mi guida, vado/tu vieni; mi fa riposare, ristora le mie
forze, con la connotazione dei pascoli erbosi, delle acque tran
quille e del bastone-sostegno che dà conforto. L ’ultima immagi
ne («non temo alcun male») supera anche la paura del pericolo
più temibile, l’oscurità.
«Il piano immaginativo si fonde con il piano reale a un livello
profondo di esperienza religiosa pacifica. Il tema unitario, la pre
sentazione rapida delle immagini, il tono emotivo convergono in
un significato simbolico profondo» (Alonso).
Precisazioni terminologiche e stilistiche'.
- napsiyesóbeb: «mi ristora o fa ristorare», fa riferimento alla
«gola» (nepes) per indicare poi tutta la persona. Altri traduco
no: «Mi raccoglie o raduna». L ’acqua disseta, i pascoli sazia
no, il riposo offre sollievo.
- Interessanti sono le motivazioni della fiducia, v. 1 contiene una
semplice affermazione: «non ho alcun bisogno», v. 3 appella al
Nome, cioè alla persona, all’onore e fama di Dio: «per far onore
al suo nome» connota la hesed, fedeltà di Dio all’alleanza, v. 4
appella alla presenza di Dio che accompagna: «perché tu sei
con me». In considerazione dei verbi di movimento l’espressio
ne contiene un senso dinamico: mi conduce, mi guida, vado, mi
accompagni. E tutta la vita sotto lo sguardo e la compagnia di
Dio. Dio è pastore e guida, ristoratore e compagno di viaggio.
- begé’ salmawet, «in valli oscure». Il secondo nome è compo
sto, «ombra di morte», in cui l’espressione mawet, «morte», è
intesa da Dahood con funzione superlativa e traduce: «sebbene
io cammini in mezzo a una totale oscurità». Il termine allude
allo Sheol, il regno dei morti per indicare situazioni umane ne
gative (cf. Gb 10,12; 12,22; 24,17; 28,3; 38,16-18; si veda an
che Is 9,1; Ger 13,16; Am 5,8; Sai 107, 10.14; 44,20, ecc.)16;
356
- v. 4b è di transizione: unito a quanto precede per le immagini,
si accompagna a quanto segue per la seconda persona.
IIparte (vv. 5-6): Dio ospite - Al v. 5 si delinea una nuova im
magine con mensa e calice (banchetto), olio (profumo e clima di
festa, in una cultura definita), l’abitare (casa/tenda, focolare). So
no i segni delVospitalità, che danno sicurezza di fronte agli av
versari. Dalla generica oscurità si passa alla descrizione di un pe
ricolo concreto, mentre nella metafora si sovrappone un piano
più spirituale («bontà e fedeltà»).
La nuova scena è comprensibile in due contesti, nomade e re
ligioso. Il contesto nomade fa pensare che oltre la tenda è il deser
to, la morte; l’ospitalità offre asilo e salvezza, come la guida del
pastore protegge dall’«ombra di morte». Ma è soprattutto il tem
pio che offre il contesto dell'immagine: l’orante vi trova rifugio
dal nemico che attenta alla sua vita (cf. Sai 11 e l’ordinamento
delle città rifugio alle quali il tempio è equiparato, Es 21,13; Nm
35,16-34; Gs 20,1; IRe 2,20-34), partecipa al banchetto sacro, ri
ceve l’unzione che lo consacra, fa festa con la comunità.
Il tema dell’ospitalità connota la compagnia o comunità, sia
per l’abitazione che per la «bontà e fedeltà» che «seguono» il cre
dente per tutta la vita.
La nuova immagine è pure sviluppata in simboli elementari:
il banchetto, la festa con unzione e aroma, la casa con la compa
gnia e il focolare.
Nel v. 6 è in primo piano la figura di Dio; il verso sembra rias
sumere i temi precedenti nell’immagine dell’andare e del riposo
(abitare).
- 6a: «bontà e fedeltà»17, tób wehesed sono qualità divine perso
nificate (cf. Sai 43,3; 85,14-15). Divengono la scorta del salmi
sta, guida e protezione. Forse è un adattamento del motivo dei
due paggi che accompagnavano la divinità (cf. Ab 3,5), o un
dignitario. Esse «seguono» il fedele: se unito al v. 5, «davanti
a me» (la mensa), sembra emergere lo schema dell’esodo, dove
Dio fa da avanguardia e retroguardia18:
17Si può intendere la «tua» bontà e fedeltà (cf. LXX) o «sua», se unito a 6b.
18Cf. anche Is 35,10, che descrive il ritorno dall’esilio: «verranno a Sion con
giubilo, letizia perenne alla loro testa, gioia e letizia li seguiranno».
357
- 6b: tutta la vita è «abitare» nel tempio del Signore. Si notino le
due espressioni temporali: «tutti i giorni, per lunghi giorni». Il
nome divino che apre il salmo, ritorna alla fine per dare il senso
di questa continua presenza19.
Il riferimento al tempio («casa di J h w h » ) appella alla liturgia
di pellegrinaggio che si conclude con il banchetto e una nuova
coscienza. È spiritualizzazione: la bontà e la fedeltà di Dio saran
no compagne di cammino del credente, per tutta la vita, oltre il
tempio; ciò equivale a una vita lunga e tranquilla. Corrisponde
forse al contenuto della benedizione con la lunga vita, dono divi
no ai giusti. Il concetto centrale è, dunque, che tutta la vita, rias
sunta nell’andare e nel riposare, nel cammino e nell’abitare, è sot
to la protezione di Dio.
- Sintesi e simboli
a) Movimento e riposo - I due schemi si intersecano nelle im
magini. Nella prima parte prevale il movimento, il cammino, ma
non viene meno il clima del riposo attorno alle fonti e nel verde
dei prati: è un movimento tranquillo e sereno, con le pause che
ristorano e danno vita.
Nella metafora dell’ospitalità, accanto al tema della dimora,
ritorna il cammino con la garanzia e la protezione della bontà e
fedeltà divina. È il cammino per «tutti i giorni della mia vita».
Tutta la vita è cammino e riposo all’ombra del Signore.
Emerge tensione e integrazione tra l’abitare nel tempio e la
condotta di vita, oltre il tempio, ma non meno, per questo, sotto
lo sguardo e la presenza di Dio.
b) L ’esodo - Attorno a questo simbolo si possono radunare le
due immagini ritrovate. E guidato da un medesimo modello men
tale (Alonso).
- Dio guida il popolo nel deserto, procurando acqua e cibo (cf.
Sai 77,21 : «guidasti come un gregge il tuo popolo»).
- Giunto alla terra lo riceve come ospite, proteggendolo e pian
tandolo (cf. 2Sam 7); «lo conducesti...alla tua santa dimora»
(Es 15,13); e il tuo popolo abitò nel paese (Sai 68,11).
358
Nella tradizione sacerdotale l’esodo è pellegrinaggio verso la
terra. Così è per il Secondo Isaia il ritorno dall’esilio a Gerusa
lemme. Nelle Cronache l’esodo continua fino alla costruzione
del tempio.
c) Il pellegrinaggio - Anche questo schema è espressivo di tutto
il salmo inserito tra i «canti delle ascensioni» (120-134); d’altra
parte, pellegrinaggio ed esodo hanno assunto nella storia elemen
ti comuni. Già Weiser nota che l’ambiente vitale del salmo va ri
cercato in una esperienza liturgica particolarmente interiore. Ag
giungiamo, con Ravasi, che le due metafore possono richiamare
il santo viaggio al tempio (pastore) e la celebrazione del sacrificio
di comunione con il banchetto comunitario (ospite).
Il pellegrinaggio appare il luogo del cammino comunitario
(cammino di gregge, salita delle tribù, Sai 122), della comune e
fraterna (Sai 133) celebrazione nella «casa» del Signore, unico ri
fugio di fronte a tutti i nemici (Sai 11 e 26,4-5).
La tensione tra abitare e camminare si risolve nella vita come
appare in Sai 84 che equipara «coloro che abitano» nel tempio (v.
5) a «coloro che passano» (vv. 6-7): non si tratta di abitare sem
pre nel tempio, né di camminare sulla via di Gerusalemme, ma su
quella che conduce alla perfezione (w . 12-13). Lo scopo ultimo
del pellegrinaggio è di maturare la coscienza di una vita condotta
sotto la guida e lo sguardo, cioè la protezione di Dio, nell’alter
nanza di movimento o riposo.
Lettura cristiana
359
Anche il tema del tempio può essere sviluppato: è Cristo il
tempio vivo, che invita ad andare da lui; è la fonte che invita a
bere; è il pane di vita eterna che ci viene donato (Gv 6).
3. S a lm i d i r in g r a z ia m e n to
Divisione ed elenco
Si distinguono in «individuali» e «nazionali» o comunitari,
anche se non sempre tale distinzione è soddisfacente:
- ringraziamento individuale: 9, 10, 30, 32, 34, 40,2-12, 41, 92,
107, 116, 138 (si aggiungono anche: 18, 57,1-11; 63, 111,
126);
- ringraziamento collettivo: 65-68, 118, 124.
Struttura tipo
Invitatorio-, appello alla lode in contesto spesso liturgico:
- assemblea ufficiale di Sion;
- assemblea privata per un sacrificio di todah a Sion;
- assemblea dei «pii» (hastdim);
- assemblea cosmica (mondo, pagani, avversari...).
Corpo dell’inno: la vicenda della liberazione
- passato amaro e presente gioioso;
- appello alla «solidarietà», annuncio nell’assemblea;
- libera manifestazione della gioia.
Conclusione con sacrificio (Sai 116,17), scioglimento dei voti o sempli
ce lode.
Esiste un intimo legame di questi salmi con l’inno e la suppli
ca: quest’ultima termina con il ringraziamento anticipato (un par
ticolare sviluppo in Sai 22,23-27; Giona 2,3-10; Is 38). Particola
360
re è il «ringraziamento del re»: parla a nome della comunità nella
forma dell’«io». Sai 18, posto in bocca a Davide in 2Sam 22, è un
ringraziamento regale che impersona tutta l’assemblea (cf. anche
Is 25,1-5, collegato all’azione storica di Dio, ora attualizzata per
Israele). A tale gruppo possono essere assegnati anche Sai 66, 67;
85,2-4; 118, 124, 126 e, forse, 111.
Le benedizioni
361
Per completezza si devono aggiungere la benedizione nuziale
(Gn 24,60; Tb 8,5-8, cf. anche la benedizione dichiarativa in
8,15-17) e la benedizione-maledizione, che è un aspetto di quella
costitutiva (Dt 27,14-26; 28; Gn 9,25-26; Sai 5,11, cf. 35,4-6;
40,15). Ogni trattato di vassallaggio comprendeva una serie di
maledizioni o benedizioni. Sono simili alle «imprecazioni» pre
senti nelle suppliche, espressione di un animo esacerbato.
Genere letterario
È un salmo di ringraziamento individuale per la guarigione da
una malattia mortale (cf v. 3). I vv. 8ss sembrano alludere anche
a una colpa: dimenticanza del favore divino nella prosperità. La
situazione sembra la seguente. Un lungo periodo di prosperità
ha ingenerato l’illusione e la presunzione di una sicurezza inde
fettibile (v. 7) attribuita alle proprie forze anziché alla benevolen
za di Dio. Una malattia ridona all’orante la coscienza dei propri
limiti. Egli invoca pietà. Il perdono e la guarigione determinano
il ringraziamento.
Vi riconosciamo gli elementi caratteristici dell’azione di gra
zie: la tódà (ringraziamento) gioiosa con l’esposizione del caso a
due riprese (vv. 2-4.7-12) e il vocabolario innico: esaltare (rum,
v. 3), cantare inni (zumar, vv. 5.13), il memoriale (con allusione
al sacrificio: zeker, v. 5; altra allusione al v. 12), proclamare (v.
lOb) e, soprattutto, celebrare o rendere grazie (yadah, tódà, vv.
5b. 1Ob. 13). Prevale la prima persona, eccetto ai vv. 5-6.
Ambiente. Il titolo fa allusione alla festa della Hanukkà o De
dicazione del tempio, che sembra confermata dal trattato talmudi
co Soferim (18,2). Tuttavia, l’inciso deve essere stato aggiunto al
titolo più antico, «Salmo, di Davide». In precedenza fu usato in
altre circostanze.
362
a) Azione di grazie (vv. 2-6):
- w . 2-4: il salmista esorta se stesso a lodare, esponendo il suo caso
(lode, supplica, liberazione);
- vv. 5-6: invito a ll’assemblea.
b) Pace ritrovata (vv. 7-13):
- w . 7-8: il caso = presunzione-umiliazione;
- vv. 9-11: invocazione (cf. vv. 3.9) con motivazione (v. 10);
- w . 12-13: preghiera esaudita (cf. v. 4), lode (cf. vv. 2.5).
I vv. 7 e 13, che formano inclusione mediante le‘olam, «in
eterno», segnano il passaggio dalla presunzione alla lode: «io
non vacillerò in eterno» / «Jhwh, mio Dio, ti loderò in eterno».
Il v. 8 rammenta il passato doloroso ormai superato, ma nei vv.
9-11 ritorna la supplica: può essere evocazione dell'invocazione
passata, il cui esaudimento avviene in v. 12, ma anche nuova im
plorazione per non ricadere nella medesima situazione (cf. Sai
126,4).
Esegesi
I parte: azione di grazie (vv. 2-6) - La motivazione (vv. 2-4)
precede l’invito alla lode (vv. 5-6) contrariamente all’uso cor
rente.
- w . 2-4. La lode del Signore è motivata con: «mi hai libera
to» (dalah, lett. «trarre il secchio [deli] dal pozzo»). Il verbo pre
para l’immagine dello scendere e del risalire dal regno dei morti
(v. 4). Il plurale «i nemici» è da intendere probabilmente (con
Dahood) come un plurale excellentiae, a indicare «il Nemico»,
cioè la Morte, l’ultimo nemico a essere sconfitto (ICor 15,26).
Infatti, «ho gridato», «mi hai guarito» (i due verbi nei salmi di
ringraziamento ricorrono al passato mentre nelle suppliche sono
invocazioni al presente) sembrano alludere a una malattia grave
con pericolo di morte. Il dato è confermato dai richiami alla di
mora dei morti: lo Sheol (gli «inferi») e «Fossa» (ebr. bór, v. 4,
cf. anche v. 10).
- vv. 5-6. Invito all’assemblea per la lode e il banchetto:
- v. 5: «cantate inni» (zammerù), «ringraziate» (hódù) sono tipi
ci verbi della lode. «Al suo santo nome», lett. «alla memoria
363
della sua santità» o «alla sua santa memoria»: zeker è la «me
moria», che avviene mediante l’invocazione del «Nome», cioè
della persona stessa di Dio.
- v. 6: motivazione della lode, «perché la sua collera è un istante,
una vita il suo favore». Il contesto sottolinea la brevità della
prova: è solo momentanea, mentre la benevolenza dura una vi
ta. È la legge del perdono (cf. Is 54,7; Es 34,6; Sai 86,15; 103,8
= 145,8; Gl 2,3; Giona 4,2). Il pensiero è ribadito nell’opposi
zione sera/mattino: l’angoscia umana scompare appena sorge il
sole. L’alba è il momento degli interventi salvifici di Jh w h (cf.
Es 15; Sai 46,6; 90,14; Lam 3,23; Is 17,14).
364
- w . 12-13: preghiera esaudita. Ritorna la lode.
- v. 12: «hai mutato» (cf. v. 4.6b). I segni di lutto, lamento (ebr.
misped, «battersi il petto») e vestito di sacco, si mutano in
gioia: danza, parte integrante del rito di ringraziamento, e abito
da festa (cf. Ger 31,13, per l’inverso cf. Lam 5,15);
- v. 13: canto senza posa, lode perenne (cf. vv. 2.5). La presun
zione è superata nella dossologia che riconosce Dio come colui
che guarisce (v. 3) e fa vivere (v. 4), usa misericordia (8a.l 1),
ritira la collera (6a.8b).
— Si nt esi e s i m b o l o g i a (cf. La ck )
Il salmo colpisce per la serie delle antitesi. Per dire che si è
salvato, il poeta concentra la nostra attenzione su una serie di ter
mini negativi annullati dai loro contrari positivi. Il tutto si con
centra attorno a due espressioni, morte e vita, precisate sin dal v.
4: «Mi hai fatto risalire dallo Sheol, mi hai fatto vivere perché
non scendessi nella Fossa». Lungo questo asse semantico possia
mo raccogliere i termini opposti, che rivelano una corrisponden
za tra il quadro fisico, spirituale e cosmico:
Morte discesa nello Sheol collera di un istante
Vita risalita dalla Fossa bontà per tutta la vita
365
Il movimento del salmo è dunque il seguente: la vita umana
conosce alternanze estreme di sofferenza e di gioia (già la nascita
ci inserisce in questo ritmo di vita e di morte). Esse non sono se
gno di un destino capriccioso e incontrollato, ma si inseriscono
nel quadro di un disegno coerente e positivo. Tuttavia, quel che
la vita comporta di negativo rivela il proprio valore soltanto dopo
che la crisi è stata superata.
Lettura cristiana
Il tema fondamentale della morte e della vita, la notte e il mat
tino, fiducia e sgomento, lutto e festa, permettono di trasportare
questo salmo nel momento culminante di questa opposizione,
quando la morte giunge all’estremo della sua audacia, e la vita al
l’estremo della sua esaltazione: nella morte e risurrezione di Cri
sto. Nella Pasqua egli ha superato e riconciliato morte e vita nel
l’unico mistero della risurrezione.
Tutta la vita di Cristo (i «misteri» della sua vita) diviene ritmo
della vita del credente. Infatti, egli ha preso su di sé la vita umana
nelle sue antitesi più acute: gioia estatica e tristezza mortale. Non
esiste stato della coscienza o del corpo che non possa essere vis
suto in Cristo. Il cristiano che vive «in lui», partecipa con lui di
questo lutto e festa, che formano il ciclo liturgico e l’essenza del
la nostra vita in Cristo.
B) LA SUPPLICA
Nasce dall’esperienza del male e del limite, del dolore e della
povertà. E la preghiera più frequente, forse la più sentita. Si pre
senta in molteplici forme e sottoforme.
Linguaggio
- sa’al, daras, baqas = domanda (consultazione oracolare), ri
cerca amorosa del volto di Dio;
- sawa sa ‘aq = grido, grido implorante; vi si può accostare
anche ’anah e sa ’ag - il sospiro e gemito amaro. Prossimi a
questi:
366
- hamah, bakah, safak, ’anaq = fremere (dell’animo, inquietudi
ne); piangere e versar lacrime; lamento quasi animale;
- siah, hagah, hagag = riflessione e dialogo o il discorrere riflet
tendo; sussurrare meditando;
- paga = avanzare per la richiesta; halah = accarezzare il volto,
placare la collera; hanan = richiesta di misericordia.
Struttura elementare
- Invocazione o appello, specificato dal contenuto.
- Oggetto : è molto vario, da cose più materiali (salute, vittoria,
liberazione) ad altre più spirituali (liberazione dalla passione,
salvezza, ecc.). Attesta in ogni caso la sincerità dell’orante.
- Motivo : si appella alle qualità divine (bontà, misericordia, fe
deltà, Nome), alle sue promesse e agli interventi storici di libe
razione (le «mirabilia», le «gesta», la «destra»).
Attori
Sono tre.
- Il nemico: spesso si tratta del male e della sofferenza perso
nificati, soprattutto la morte (il Nemico); è dunque un compendio
simbolico di queste realtà. Si tratta di una malattia mortale, con
siderata segno di maledizione (cf. il talora semplificato concetto
di retribuzione: delitto-castigo, giustizia-premio), o di un peccato
che fa sperimentare il silenzio di Dio, di una tragedia nazionale o
di persecuzioni di avversari (nemici, falsi testimoni, amici rinne
gati, descritti come incarnazioni demoniache) o del popolo stesso
che ripudia l’interessato (cf. Geremia e le «confessioni»), F rap
presentato in simboli negativi teriomorfi (mostri, leoni, tori, bufa
li, cani) o bellici (cf. Sai 22).
- Dio: è chiamato in causa come in un processo con appello
o sfida o atto di accusa protestando la propria innocenza (cf. Gb;
Sai 6,4; 35,17) oppure con appello alla sua misericordia e fedeltà,
al suo «buon nome» e agli interventi passati.
- L’orante, il singolo fedele o la comunità, si appella al pas
sato felice e al tragico presente, alla speranza per il futuro. Que
st’ultimo atto esprime la certezza della liberazione (perfetto pre-
367
cativo), anticipando il ringraziamento (sciogliere i voti). La sup
plica, anche la lamentazione più angosciata, rimane perciò aperta
alla speranza.
Supplica nazionale
Protagonista è l’intera comunità (talora sottintesa nell’«io»
personale) colpita dall’abbandono di Dio o da un esercito nemico
o da calamità naturali (siccità, cavallette, terremoti), in cui vede
un segno di Dio e un richiamo alla fedeltà all’alleanza. Ricono
scendo il castigo e operando l’espiazione collettiva, con funzione
pedagogica e liberatoria (cf. Dt 8,2-5), «ritorna» a Dio.
— El enco
12, 44, 58, 60, 74, 77, 79, 80, 83, 85, 90, 106.
Anche questi formulari sono rintracciabili un po’ in tutta la
Bibbia; lo schema non esiste allo stato puro. Un esempio è il la
mento di Israele schiavo in Egitto (Es 2,23-34). Ci sono modelli
in cui il re implora a nome della nazione (IRe 8,33-34: Salomo
ne; 2Cr 14,10: Asa; 2Cr 20,6-12: Giosafat), oppure il profeta
(Mie 7,7-20; Ez 9,8; Is 26,7-13 e 51,9-11). A ll’epoca giudaica
appartengono la preghiera retorica e battagliera di Giuditta (9,2
14), la supplica di Giuda (2Mac 15,22-24) e quella di Siracide per
Gerusalemme e le genti (36,1-17). Esempi di preghiera nella sic
cità o altre calamità naturali sono in Gioele (1-2) e in Geremia
(14,1-18, i w . 19-22 suppongono anche la sconfitta militare e la
fame conseguente).
368
Le Lamentazioni sono elegie nazionali. Lam 1 rappresenta la
città desolata, che «nessuno consola». In Lam 4 un sopravvissuto
narra l’assedio e la caduta di Gerusalemme con la deportazione
dei cittadini, la fuga e la cattura del re; una imprecazione contro
Edom e una benedizione per Sion concludono la composizione
(vv. 21-22). Lam 5 è una supplica in occasione di una calamità
nazionale (la cosiddetta «preghiera di Geremia»): dopo la rievo
cazione della sofferenza e delle sue cause (vv. 1-18), l’invocazio
ne e il lamento (vv. 19-21.22) concludono aprendo alla speranza.
369
d) La supplica del voto e del segno. È una preghiera che si impe
gna con un particolare gesto, un sacrificio o un atto liturgico, ri
velando una visione quasi «economica» nella domanda rivolta a
Dio; rivela però anche la fiducia in Dio. Tale particolare è presen
te alla fine dei salmi di ringraziamento: l’orante si impegna a
sciogliere i suoi voti. Esempi sono in Sai 61,6; 56,13, ma anche
Gn 28,10-22 (Giacobbe: contiene una condizionale, «se», unita
alla richiesta, il voto e il suo contenuto - offerta della decima -
e una caparra - la stele - che anticipa la costruzione del futuro
santuario); Num 21,1-3 (voto con promessa di un herem, cioè di
distruggere, offrendolo a Dio, tutto il bottino di guerra); ISam
(preghiera di Anna che chiede un figlio con la promessa di consa
crarlo a Dio come nazireo). La ricerca del segno non è negativa.
E il sigillo offerto spontaneamente da Dio o a lui richiesto per una
garanzia nel proprio agire. E un elemento portante nelle vocazio
ni profetiche: cf. Is 6,1-12; Gdc 6,11-24 (Gedeone).
370
g) La supplica imprecatoria. È senz’altro la più problematica di
fronte al perdono evangelico, ma assai diffusa (anche nel «mite»
Geremia, cf. 11,20; 12,3; 17.18; 18,21.23). È espressione di ani
mi esacerbati, che meritano attenzione. Riflette una forte esigen
za di giustizia, intesa e attuata anche nel programma della «mitez
za» del Cristo. Le imprecazioni vanno quindi superate, ma non
dimenticate, ascoltate e rivolte alla propria coscienza. Rivelano
la sofferenza umana, che è sempre degna di rispetto, anche se
espressa in atteggiamenti che non condividiamo. Possiamo anche
considerare che le provocazioni degli empi sono tentazioni con
tro l’adesione a Dio stesso. Ciascuno deve scegliere tra adesione
e solidarietà od opposizione e denuncia, impedendo alla violenza
di nascondersi dietro l’indifferenza o le sue molte maschere.
h) La supplica penitenziale. La liturgia penitenziale celebra la
misericordia divina e segna l’itinerario della conversione: confes
sione del peccato (talora preceduta dall’accusa divina, che rivela
le cause del male, cf. Sai 50), richiesta di perdono e grazia, asso
luzione e riconciliazione. Rivela il senso e il peso del peccato. Il
Salterio e la Bibbia si muovono costantemente in questa coscien
za legata al credo storico dei benefici di Dio dimenticati o di
sprezzati. La supplica penitenziale sembra essere fiorita soprat
tutto nel periodo postesilico (cf. Gl 1-2). I testi rivelano atti sin
goli e comunitari. Famosi sono i Sai 51 e 130. Sai 50 e 51
riflettono il rito penitenziale: l’accusa divina (50) e l’umile (ma
anche gioiosa e consolante) confessione della colpa (51), che de
termina una «nuova creazione», nel cuore. L ’assoluzione e ricon
ciliazione, non esplicite, sono presupposte.
Genere letterario
È supplica individuale, riflette però l’esperienza di tutto il po
polo (v. 5). Presenta una minaccia, ma in termini generici. La ter
za parte assume carattere escatologico messianico allargando la
dimensione del dramma. Lo schema della supplica è evidente
nell’invocazione, nella contrapposizione tra l’esperienza passata
positiva e il presente angoscioso, nella descrizione dei nemici,
371
nella finale, con la certezza di essere esaudito e la promessa dei
voti (riferimento al rituale di ringraziamento).
Datazione incerta. La tradizione giudaica sembra aver ricono
sciuto nel salmo Israele stesso (v. 23) schiacciato e morente, ma
che ritoma a vivere e lodare Dio davanti a tutti i popoli. Il salmo,
riletto in epoche diverse, fu reinterpretato e completato con ag
giunte attualizzanti: l’esperienza individuale divenne emblemati
ca, tipica di ogni giusto e di tutto Israele. L ’evento vissuto dal
singolo manifesta una verità per tutto il popolo.
- Il poema ha offerto motivo di fiducia a Israele in esilio.
- La restaurazione postesilica ha aggiunto l’indirizzo alle nazio
ni (vv. 28-29) riconoscendo nella liberazione la potenza di
Jh w h .
- Il giudaismo pio (husidfm) raccoglie l’insegnamento e, nella
visione di uno Jahvismo più spirituale, polarizza l’attenzione
sulla persona dei «poveri di J h w h » , compagni ed emuli del
«servo» sofferente e trionfante di Isaia (vv. 30-32). Incarnano
l’ideale religioso: l’abbandono in Dio; la loro fedeltà affretta
l’avvento del regno di Dio; scoprono il ruolo provvidenziale
della prova; sperimentano la virtù escatologica di una sofferen
za accettata e offerta per arrestare la collera di Jh w h . Il salmo
acquista una portata messianico-escatologica (sotto questa for
ma alimentava ancora la pietà dei fedeli di Qumràn). L’avven
tura trova il suo ultimo stadio pedagogico nel familiarizzare gli
israeliti con il duplice mistero: delle sofferenze del giusto tolle
rate da Dio; dell’eco inaudita della liberazione con cui Dio be
nefica a suo tempo il fedele (cf. Is 52,13-53,12).
- Il NT assimila il dramma di Gesù a quello del salmista nella
rilettura liturgica, applicando le metafore e i dati trasformati
(vv. 10.11.17c.27.30.32) od oggettivati (vv. 7-9. 17ab.
18.19.28.29) nella sua storia, al suo livello di Figlio unigenito
di Dio, restauratore e modello insieme dell’uomo riscattato.
Mette in luce la portata messianica del salmo: Gesù, posto nel
rango degli scellerati, offre volontariamente la sua morte come
sacrificio espiatorio; condensa e completa in sé tutta l’espe
rienza religiosa di un mondo pieno di enigmi, intrapresa dai
profeti e dai salmisti.
372
Sistema e movimento del pensiero
- Strutt ura
Il salmo si compone di due parti e un’aggiunta:
- lamento-supplica: vv. 2-22;
- ringraziamento o todah : vv. 23-27;
- aggiunta attualizzante (prospettiva messianico-escatologica): vv.
28-32.
- Esegesi
Lamentazione-supplica: solitudine/solidarietà (vv. 2-22). E
organizzata sull’angoscia per il «Dio lontano» (vv. 2.12. 20): i
vv. 2-3.12.20-22 (inizio, centro, fine) sono in stretto contatto te
matico e verbale. Nell’abbandono di Dio ogni lotta è vana e di
sperata, quando Dio è lontano l’angoscia è vicina (v. 12).
All’abbandono divino si aggiunge quello degli uomini: ostili
tà e dubbio sull’innocenza o sul suo compito (v. 9) pesano sul sal
mista. Il fatto provoca disagio, solitudine, isolamento: è l’espe
rienza di Geremia. Tuttavia, la lontananza non impedisce il grido
senza posa per la salvezza, fondato sulla passata esperienza posi
tiva, dei padri, prima (vv. 4-6), e personale, poi (w . 10-11: im
magine della levatrice e del padre).
Possiamo distinguere due blocchi: vv. 2-12.13-22.
- Il primo si conclude con una rinnovata invocazione al «Dio
lontano». E un dialogo drammatico tra il «tu» di Dio che salva e
fa nascere (vv. 4-6.10-11) e l’«io» deluso e abbandonato al suo
destino (vv. 2-3.7-9). Il culmine del lamento è la scoperta di es
sere nati per un destino di frustrazione (elemento psicologico).
- Il secondo blocco o quadro (vv. 13-22) si caratterizza per
una duplice simbologia evocatrice di morte.
- Simbologia teriomorfa, che si trasforma in scena di caccia (v.
17). L’immagine ha probabili risvolti demoniaci, rappresenta
quasi l’incarnazione storica delle forze malefiche. Nei w . 13
14 i nemici sono come animali feroci; ugualmente, ma in ordi
ne inverso, nei vv. 17.21.22:
tori ( 13), leoni (14), cani ( 17), malvagi ( 17) = descrizione
spada (21), cane (21 b), leone (22), bufalo (22) = invocazione.
373
- Simbologia corporea. La morte si introduce a poco a poco nel
coipo devastandolo e togliendo ogni protezione. Appare una
duplice simbologia dell’acqua: riduzione allo stato acquoso,
prenatale (l’essere scompare, si discioglie), o aridità desertica
(scompare l’acqua, l’elemento vitale):
15 Sono come acqua versata - le ossa slogate
cuore fuso come cera in mezzo alle viscere
arido come coccio il vigore
lingua incollata al palato (cf. v. 3 grido senza parole)
su polvere di morte deposto
mani e piedi forati - ossa contate
divisione delle vesti (= corpo nudo, assenza di protezione).
374
è definita con una serie di termini positivi: fratelli, timorati, fede
li, poveri, quanti cercano il Signore, dove può «narrare» che Dio
l’ha ascoltato e non ha tenuto nascosto il volto (25): è tornato vi
cino.
La supplica si muta in ringraziamento (23-27) e inno (28-32).
Sullo sfondo dei vv. 23-27 si intravede il rito liturgico «eucaristi
co»;
- dialogo tra solista e coro: la «narrazione-lode» pubblica (soli
sta: 23.26), davanti all’assemblea dei fedeli, che risponde con
il canto (coro: 24-25);
- adempimento dei voti (26);
- sacrificio e banchetto di comunione (27).
Inno a Y R - aggiunta attualizzante (vv. 28-32). La prospettiva
escatologico-messianica (postesilica e pietistica degi hasidfm)
esalta la regalità di Jh w h in un panorama universale, che supera
le frontiere dello spazio (tutti i confini, tutti i popoli, 28-29), della
vita (quanti scendono nella polvere, 30) e del tempo (le genera
zioni successive, 31-32).
Gli ultimi versi propongono la dimensione catechetica ed
esperienziale: la tradizione trasmette di padre in figlio l’opera,
cioè gli interventi salvifici del Signore, che dovranno alimentare
la speranza, oltre le crisi momentanee.
- Si nt esi
Il tema di fondo del salmo è la solitudine e la solidarietà con
Dio e gli uomini. L’abbandono e il silenzio di Dio gettano nello
sconforto: con Dio lontano l’angoscia è vicina, con Dio vicino
l’angoscia si allontana. A livello umano la sofferenza è acuita
dall’assenza di ogni aiuto, dallo scherno e incomprensione che
gettano il dubbio sulla missione e innocenza del salmista, dalla
persecuzione.
La duplice solitudine è superata nella preghiera. La comunità
dei fedeli è il luogo del superamento della crisi. La solidarietà ri
trovata nell’esperienza concreta diventa «tradizione» di fede che
si trasmette alle diverse generazioni. L’insieme offre uno schema
antropologico raccolto nelle diverse età dell’uomo: nascita -mor
te -risurrezione.
375
Particolarmente significativo è lo schema di tempo. Si avver
tono tre momenti.
- Il passato: fonda e alimenta la speranza; giustifica l’invocazio
ne, testimonia la vicinanza di Dio.
- Il presente', è prova di fede; la disperazione non impedisce l’in
vocazione. Oltre il silenzio di Dio si attende una risposta, si
cerca una presenza.
- Il futuro: è già presente come promessa; l’esperienza passata e
le scelte attuali lo illuminano; induce la lode.
Lettura cristiana
Il NT ha letto in questo salmo il paradigma della passione di
Cristo. Numerose citazioni interpretano il suo atteggiamento di
fronte alla morte: superata in un atto di fede l’angoscia dell’ab
bandono, il Cristo «trafitto» si offre al Padre e rientra festosamen
te tra gli uomini, che riconosce come fratelli (Eb 2,12), per cele
brare la vittoria sulla morte. In lui il credente affronta il paradosso
della sofferenza e della gloria:
- abbandono filiale nella sofferenza (Mt 27,46.47; Me 15, 34);
- la sofferenza: «La mia anima è triste fino a morire» (Me 14,34
e parr.); «Ho sete» (Me 15,36 e parr.; Gv 19,28-29; cf. w . 15
16);
- Le 23,46: «Rimetto la mia anima nelle tue mani», è tratta da
Sai 36,6, ma riflette i vv. 20-22;
- la derisione dei passanti e dei magistrati (vv. 8-9; cf. Mt 27,39
43 e parr.);
- la divisione dei vestiti (v. 19; cf. Mt 27,35s; Gv 19,23s);
- solidarietà del sofferente con i fratelli riscattati mediante la
prova (Cristo «fratello», Eb 2,10-12; cf. v. 23).
La tradizione cristiana ha perciò riletto il salmo come «mes
sianico»: Giustino ( Diai. con Trifone 97-106), Agostino (PL 33,
coll. 558ss; 36, coll. 167ss; 41, col. 551). Contro questa interpre
tazione è Teodoro di Mopsuestia.
376
C) SALMI REGALI
Elenco
2, 18, 20, 21, 45, 72, 89, 101, 110, 132, 144.
Struttura e schema
Al centro è la figura del re, la sua funzione nella storia di
Israele e neH’alleanza. Ruotano, perciò, attorno a elementi ideo
logici e teologici tipici, taluni comuni ad altri popoli.
* L’alleanza davidica, cf. 2Sam 7 commentato in Sai 89 e 132.
La promessa della stabilità dinastica è collegata alla storia della
salvezza. La figura del re è al centro delle promesse, è il rappre
sentante qualificato del popolo, il mediatore dell’alleanza, in par
ticolare relazione con Dio («figlio», 2,7; 89,27-28), da lui «con
sacrato» (masiah) ed «eletto» (bahar) per essere il suo luogote
nente (il vero unico Re rimane Jh w h ).
* Si evoca il protocollo regale con l’intronizzazione, la procla
mazione «profetica» (oracolo) della investitura e i titoli ideali ad
esso connessi (cf. Is 9,5-6).
* La dimensione escatologica. Lo «stile di corte», encomiastico
e iperbolico, rischia la caricatura: re universale, governo perfetto
di giustizia e diritto, sovranità eterna, re liberatore e salvatore. Ma
è occasione per proiettare l’attesa verso una dimensione escatolo
gica. La promessa dinastica si orienta sempre più verso il futuro,
verso un re ideale, che verrà alla fine, per inaugurare il regno di
Dio: il «Messia» o «Cristo» porterà a compimento le promesse di
Davide e realizzerà l’alleanza perfetta e definitiva. Dopo la cadu
ta della monarchia i salmi regali continueranno il clima «messia
nico»: «Più che il re, che non è più, si celebra il futuro figlio del
re Davide. Egli è oggetto solo di speranza»20.
* Si incontrano diversi modelli o generi: salmi di intronizzazio
ne (2; 72; 110), centrati sul «decreto» di filiazione divina; canti
del re, da lui pronunciati (18,32-35; 144 ringraziamenti pubblici;
60,11-12 supplica nazionale; 27,1-6 preghiera di fiducia del re?;
377
51 uso regale di tale salmo?); canti al re (20 per la campagna mi
litare; 21 e ISam 2 augurio di vittoria; Sai 45 canto per le nozze
del re; 101 ritratto del sovrano ideale; 72; 89; 132 rilettura dell’o
racolo di Natan); canti perii re (acclamazioni, cf. 20,10; preghie
ra più sviluppata in 132; 72,lss; 84,9-10; 61,7s; 99,2-5.20-38).
Genere letterario
Il salmo ha per sfondo il rituale di intronizzazione e di consa
crazione di un re davidico, celebrato con titoli ideali. In tale am
bito è da ricercare, pertanto, l’occasione della composizione. L ’e
lemento più caratteristico è l’ideale rapporto del re con la divini
tà: depositario della promessa e dell’alleanza, re per grazia di
Dio, consacrato con l’unzione, protetto e garantito dalla parola
profetica pronunciata su di lui. E un rapporto di pratica identità.
Nella forma si presenta come un «oracolo profetico», che
sfrutta il motivo letterario, comune a tutto l’oriente, della ribellione
dei popoli, impersonati nel loro re, al potere superiore che li aveva
sottomessi, approfittando di un interregno. Tale motivo si presenta
di solito con il seguente schema: a) annuncio della ribellione (cf.
w . 1-2); b) parole di ribellione in forma diretta (cf. v. 3); c) dichia
razione del fallimento del tentativo («invano», v. 12I). Dall’ambito
profetico la formulazione si è trasferita a quello liturgico. Si tratte
rebbe di un oracolo «ideale» più che storico, che riassume il com
plesso degli sviluppi della dinastia davidica, di cui Davide era con
siderato il prototipo. Una occasione storica, tuttavia, non è da
escludere, anche se il linguaggio iperbolico ha portato a valorizza
re la dimensione messianica (cf. in parallelo Sai 110).
La datazione rimane difficile, molti dettagli sono ritenuti sim
bolici. Tuttavia, sembra che la monarchia sia insediata, mentre il
carattere arcaico e le formulazioni stereotipe lo farebbero ritenere
antico e hanno fatto pensare a una composizione di origine cana
nea con adattamenti. D ’altra parte, diversi motivi richiamano
2Sam 7 e Is 7,l-922.
378
Per meglio comprendere i riferimenti del salmo è opportuno
premettere qualche nota sul rituale di intronizzazione23.
- R i t u a l e di i n t r o n i z z a z i o n e
cf. Gn 14, 17-20. Sembra riflettere l’epoca postesilica, in cui il sacerdote assume
anche le funzioni del re (cf. Zc 6,9-14 e il sacerdote Giosia con la corona e la
piena pace tra sovrano e sacerdote).
23 Cf. R. D e V a u x , Le istituzioni d e ll’Antico Testamento, Marietti, Torino
19722, pp. 109- 113.
379
Nel palazzo reale. Il corteo trionfale accompagnava il re ver
so il palazzo dove avevano luogo gli altri due momenti della ce
rimonia.
- Intronizzazione (cf. IRe 1,46; 2Re 11,19). È la presa del pote
re, l’inizio del regno, con l’insediamento in trono e la consegna
dello scettro (segno del potere e arma): «Il tuo trono sarà stabi
le per sempre» (2Sam 7,16). Siede sul trono, riceve lo scettro, è
proclamato figlio (Sai 110, cf. Is 9,5). Il trono regale è il «trono
di J h w h » (lCr 29,23; 28,5; Sai 89,15; 97,2).
- Omaggio dei notabili e dei rappresentanti dei popoli alleati o
vassalli (cf. IRe 1,47; 2Sam 5,1-13; lCr 11,1-5).
— Esegesi
A. Ribellione dei re (w . 1-3) - Il salmista si stupisce che qual
cuno voglia contestare la sovranità universale di Jh w h e del suo
re (concezione teocratica): sono destinati al fallimento («invano»,
v. 1, cf. 10-12: atto di sottomissione). La lotta contro il re è di fat
to una lotta contro il Signore-Re (cf. salmi a YR); il suo «Messia»
(allusione alla «consacrazione» nel tempio) incarna concreta
mente la salvezza che Dio va realizzando nel corso della storia
(v. 2b). E una pratica identificazione, che rischia la caricatura.
Ma questa dialettica tra ideale e reale ha sviluppato la speranza
messianica escatologica.
I «re della terra» (v. 2a) erano all’origine, forse, i vassalli del
380
la «regione» sottomessi alla dinastia davidica, che nell’interregno
tendevano all’indipendenza. L ’espressione acquistò un senso co
smico (cf. v. 8; Sai 72,7: da un oceano all’altro; testi egiziani, ba
bilonesi, assiri). È il «linguaggio di corte» (Hofstil24; cf. Sai
89,28; 2Sam 7,9-11: fama eguale ai massimi della terra, libera
zione da tutti i nemici).
381
v. 8: signoria cosmica sulle nazioni e i confini della terra. La
«domanda»: «chiedi a me», è formula del rituale regale giudaico.
Occorre invocare, come Salomone prega per ottenere la sapienza
(IRe 3,5, cf. Sap 8,21-9,18). Il potere supera i confini storici di
Giuda verso un orizzonte illimitato. L ’iperbole diviene speranza
e illusione del popolo, costituirà la grande speranza e attesa spiri
tuale di coloro che attendono il regno di Dio. E la verità adempiu
ta in Cristo, soprattutto a partire dalla risurrezione (Rm 1).
v. 9: promessa di vittoria sui ribelli. Lo scettro di ferro (cf. Sai
110,3) è segno di giustizia e potere (Is 11,3-5), ma anche arma
con cui spezzare gli avversari. Il salmo allude forse a un rituale
di esecrazione compiuto durante l’intronizzazione, consistente
nell’infrazione di una brocca su cui erano scritti i nomi dei nemici
(in Ger 19 il gesto è rivolto contro Giuda).
382
— Si nt esi
Nello svolgimento del salmo riconosciamo gli atti del rito di
intronizzazione: l’unzione, il decreto di investitura, equivalente
alla «testimonianza» data a Ioas (2Re 11,12) e all’«alleanza»
conclusa con la stirpe di Davide (2Sam 7,8-16), l’omaggio dei
re e governatori vassalli.
Interagiscono tre attori: Dio, il Messia, i re della terra. Si in
tessono le relazioni orizzontali e verticali.
- Orizzontali: re della terra-re di Sion. Sono caratterizzate da
antìtesi tra movimento e stabilità espresse nei verbi «congiurare,
cospirare» (movimento). I ribelli sono invitati a sottomettersi in
forza della relazione verticale del re con Jh w h , che «siede» (sta
bilità) sul trono celeste.
- Verticali. Negativa tra Dio e i popoli. Allo scetticismo del
l’incredulo si oppongono il riso e l’ira «dal cielo», la parola effi
cace di Dio. All’agitarsi dei popoli, che diviene sgomento (v. 5) e
sconfitta (v. 9), si oppone la stabilità di Dio, che «siede» e domi
na dall’alto. Positiva tra Dio e il re: Dio insedia, genera («fi
glio»), fa erede il suo Messia; questi domina e spezza (vittoria)
in suo nome e con la sua forza. La stabilità dell’uomo non è do
vuta alle sue energie fisiche e spirituali, ma all’inserimento nel
piano divino. Il salmo riporta all’essenziale. Il progetto umano
opposto al piano divino è fragile. Solo un atteggiamento di fede,
che si inserisca nel piano divino e si ponga a sua disposizione,
può accordare stabilità alle imprese umane (cf. Is 7,9b).
Lettura cristiano-messianica
Il titolo di «Messia» riferito al re è applicato in tempi diversi
al sacerdote o altri personaggi. Nel giudaismo una attestazione si
cura dell’uso messianico di Sai 2 è in Qumran nel cosiddetto
«Florilegio» 4Q 174, dove è abbinato a 2Sam 7,11-14. Sai 2,1-2
è riferito all’assalto escatologico dei popoli «alla fine dei giorni...
contro gli eletti di Israele» (che, naturalmente, sono i membri del
la setta). Altri riferimenti in senso messianico a Sai 2 sono in Tal
mud bab. Sukkah 52a (cf. v. 7) e, forse, nel midrash sui Salmi,
Tehillim. L’interpretazione messianica è tipica del NT, che sotto
linea la natura spirituale del regno messianico, continuando l’in
383
terpretazione profetica più che quella dominante nelle sette giu
daiche del tempo:
- vv. 1-2. At 4,25-26, nella preghiera degli apostoli durante le
persecuzioni, cita i due versi ascrivendoli a Davide. «I re e i
principi» sono identificati con Erode e Pilato, i congiurati del
l’epoca escatologica, appena iniziata, contro Dio e il suo Unto
Gesù.
- v. 7. At 13,33b riporta il verso applicandolo a Gesù risuscitato.
Le 3,22, Cod D, lo riferisce al battesimo di Gesù. Eb 5,5 con
esso afferma la superiorità di Cristo sul sommo sacerdote: egli
ha ricevuto la propria dignità direttamente da Dio; vengono qui
accostati Sai 2 e 110, collocandoli nella medesima prospettiva
messianica. Eb 1,5 e lClem 36,4 riferiscono il verso a Gesù
contro la pretesa superiorità degli angeli.
- v. 9. Ap 12,5 (il figlio della «donna»); 19,5 (la parola di Dio
inizia la campagna escatologica contro i pagani) e 2,26-27 (il
premio del vincitore), interpretano messianicamente il verso.
Con la venuta di Gesù Cristo questo salmo acquista il suo pie
no significato, fino allora in germe e in simboli non chiarificati.
D) SALMI LITURGICI
Questi salmi sono imparentati con i CS. Riflettono la liturgia
del tempio dove i pellegrini salgono ad adorare e «cercare il vol
to» del Signore, nell’ambito dei diversi rituali, come processioni,
sacrifici, acclamazioni.
Linguaggio
- palai (cf. tefillà, preghiera), incidere, giudicare, pregare;
- sarat, ‘abad, servire, ministero liturgico in particolare;
- ‘azar, sht, sacrificare, sgozzare per sacrificio;
- qara . invocare;
- hawah, prostrarsi (forma histafel), sala’= inchinarsi.
- Elenco
a) Possiamo ascrivere a questa categoria, anzitutto i salmi in
titolati «Canti delle ascensioni» (ma ‘alót, «salita» a Sion-Gerusa-
384
lemme), ossia «di pellegrinaggio»: 120-134; 42, 84, 91. Sono
composizioni brevi con forte carica emotiva e spirituale, nei quali
possiamo riconoscere alcuni elementi del rituale.
- Sai 122,1-2 descrive l’entusiasmo della partenza e dell’am'w,
mentre Sai 84,7-8 abbozza il cammino.
- Seguivano la salita processionale, il rito di accoglienza da par
te del sacerdote - che esaminava le intenzioni degli oranti (Sai
15; 24) e ammetteva all’ingresso -, i sacrifici e le preghiere
(Sai 84; 91; 118).
- Particolari sentimenti accompagnavano il rito: desiderio e gioia
(Sai 84), fiducia e speranza (soprattutto degli umili, dei poveri,
dei perseguitati, 123-125; 126-127; 131), implorazione per il
perdono dei peccati (130), serenità e cordialità per l’incontro
con i fratelli (133). Emerge una pietà serena, dolce e penetran
te, ricca di teologia, fede e tensione morale.
b) Tipiche sono le liturgie di ingresso: Sai 15 e 24, presenti, in
forma più o meno schematica o con allusioni, in altri salmi e testi:
Sai 118; Ger 7,1-15; Is 33. Sai 134 è il commiato all’inizio della
veglia notturna, con benedizione.
Struttura
E semplice e dialogica:
- il fedele domanda di accedere al tempio;
- il coro sacerdotale risponde con le condizioni di accesso: «chi
cammina con integrità, pratica la giustizia...». La condizione
previa non è la purità rituale, ma quella etica ed esistenziale.
Esempi
Sai 15. Alla domanda rituale la risposta elenca una serie di
precetti positivi e negativi sullo stile del decalogo. Si tratta di 11
enunciati riguardanti il prossimo (vv. 2-5ab). L ’ultimo (v. 5cd) è
riassuntivo: «Chi fa questo non vacillerà mai». Il simbolismo cor
poreo usato conferisce concretezza al discorso.
Sai 24. L ’azione liturgica prevede due cori: un gruppo si av
vicina in processione alle porte del tempio, l’altro lo accoglie e
apre le porte.
385
- Il salmo inizia con un inno: è il canto della processione.
- Giunti alle porte si interroga sulle condizioni per entrare. L’in
caricato (cf. Ger 7,1 ss) risponde riassumendo in quattro condi
zioni (due positive e due negative) l’atteggiamento morale che
deve accompagnare l’azione liturgica: mani innocenti = opera
re; cuore puro = intenzione; lingua sincera («non pronuncia,
non giura»). E purezza morale di fronte a Dio, se stessi, il pros
simo.
- v. 6 deve essere la presentazione che il gruppo fa di sé: vengo
no a «cercare Dio», «il suo volto-presenza» nei segni del culto.
- Segue un duplice dialogo tra la folla e i sacerdoti (vv. 7-8.9
10), forse con allusione all’entrata dell’arca nel tempio, che
rammenta i titoli «guerrieri» legati alla «guerra santa»: maesto
so, Dio guidava il popolo e sconfiggeva il nemico; sull’arca
siede, invisibile, la maestà di Dio.
Sai 118. È il salmo che chiude il grande hallel (Sai 113-118):
una liturgia di ringraziamento al «Salvatore di Israele», che scan
disce i diversi momenti della celebrazione. Il ringraziamento ap
pare nell’introduzione (invito alla lode), nella presentazione del
caso negativo superato, nel rito di ringraziamento (21-25) seguito
dalla preghiera (25-26).
- vv. 1-16: accoglienza-narrazione. Accompagnata da una pro
cessione, una persona importante (solista, forse il re) viene a
rendere grazie per la liberazione e la vittoria (espresse in termi
ni generici), nell’ambito di una festa (le capanne, cf. vv. 15
16.25.27). Il racconto si alterna con gli interventi del coro: lo
de (vv. 1-4), professione di fede, testimonianza e insegnamen
to per l’assemblea (8-9), acclamazione (15-16).
- vv. 17-25: rito di entrata, alla porta-dialogo. L ’orante invita ad
aprire la porta; i custodi del tempio espongono le condizioni
per entrare. Il solista inizia il ringraziamento proclamando Dio
«mia salvezza» (19-20); il coro riprende a celebrare il Dio vit
torioso (22-25); 25a: hosia'-na «salvaci», equivale al nostro
hosanna.
- vv. 26-29: entrata processionale. Il coro dei sacerdoti accoglie
(«benedetto») colui che entra invocando il nome del Signore;
poi «benedice» i gruppi dei fedeli (26, cf. la benedizione di
386
Aronne, Num 6,25) e proclama Dio «nostra luce». La guida in
vita la processione ad avanzare (27); questa prosegue nella
danza alternando il dialogo con il solista (28-29).
Elenco
Vi appartengono i seguenti salmi di torah o didattici: Salmo
1: la via della vita e la via della morte, con la discriminante della
«legge»; il salmo è una meditazione sulle opzioni fondamentali
ed evoca nei simboli lo scenario dell’esistenza umana: terra, ac
qua, vento (= spazio); giorno, notte, stagioni (= tempo); pianta
gione, frutto, foglie, pula (= le manifestazioni della vita); infine,
il cammino, simbolo di opzione e progressività.
I salmi acrostici o alfabetici: 34 (sapienziale con elementi di
azione di grazie), 37 (riflessione sulla sorte dei giusti e dei malva
gi), 111, 112, 119, 145 (con invito alla lode e descrizione dell’on
niscienza divina). Salmo 49 è una meditazione sapienziale sul de
stino di morte riservato a poveri e ricchi, oppressori e oppressi:
sono incapaci di salvarsi; superamento della crisi nell’esperienza
religiosa della salvezza.; Salmo 73 riflette sulla retribuzione dei
buoni e dei cattivi: il bene è stare presso Dio; il 90 medita sulla
brevità della vita, supplica per l’equilibrio e la gioia; 133 (canto
e riflessione sull’amore fraterno); 139: «tu mi scruti e mi cono
sci» è un inno alla saggezza e onniscienza divina.
Numerose sfumature sapienziali sono presenti anche in altri
salmi.
387
Struttura
Non si danno precise strutture formali, quanto delle temati
che.
- La torah nel senso generico di «insegnamento» o in senso pro
prio: la legge, come rivelazione e scuola di vita.
- «Beatitudini o macarismi» ( ’asré) rivolti al giusto che vive se
condo la legge, benedetto da Dio: sguardo positivo e ottimista
sull’uomo.
I limiti della vita umana (sguardo negativo) con il nonsenso e
la sofferenza. La preghiera diventa protesta, lotta, persino sfida
quasi blasfema a Dio (cf. Gb7,16-21; 9,34-35; 14,6.13-15, che
tuttavia si conclude con l’incontro, cc. 38-42). Particolarmente
dolorosi sono Sai 37 e 49 con l’angoscioso tema della morte e
del trionfo scandaloso del perverso. Sai 39 e 90 sottolineano
l’inconsistenza radicale dell’esistenza umana: il primo criterio
di saggezza è perciò prendere coscienza dei propri limiti con
cuore rassegnato (90,12).
- I canti alfabetici o acrostici contengono molti temi sapienziali,
anche se non organici.
Sai 119 è l’esempio più tipico e sviluppato: inno e insieme
meditazione sulla «legge» e la «parola» del Signore. Inizia con
due beatitudini (vv. 1-2; ’alep = ’asré). Ogni strofa è composta
di 8 distici, ognuna delle quali inizia con una lettera alfabetica.
È l’aspirazione alla totalità, perfezione e ordine. L ’artificio lette
rario «significa la pienezza: daWalef al tau, dal principio alla fi
ne, l’autore recita e ama i comandamenti. Ciascuna delle venti-
due strofe ha 7 + 1 versetti, il che significa la perfezione consu
mata. Ogni strofa o lettera enumera otto sinonimi di legge:
precetti, decreti, mandati, comandamenti, parole, consegne, leg
gi, volontà» (Alonso). Limitato dall’acrostico il salmo non svi
luppa organicamente un tema; raggruppa frasi di diverso genere
talora ispirate a formule più antiche, talora coniate per l’uso im
mediato. Lo stile sconfina in altri generi letterari.
388
C o n c l u s io n e
389
IN D IC E
Premessa............................................................................................. pag. 5
PRIMA PARTE
I PROFETI
(G ianni C appelletto)
Capitolo 1
VOCAZIONE E MISSIONE DEI P R O F E T I.................................... » 15
1. Influssi del profetismo extra-biblico.............................................. » 15
2. L ’identità del profeta..................................................................... » 20
La vocazione dei profeti: afferrati dallaP arola ........................... » 21
La missione dei profeti: a servizio dellaParola............................. » 22
Uomo di relazione.......................................................................... » 23
Servitore fedele fino al m artirio ................................................... » 24
Coscienza critica del presente....................................................... » 25
Uomo della memoria storica......................................................... » 26
Persona aperta al futuro di D io ................................................... » 26
3. Sviluppo storico della profezia biblica.......................................... » 28
Profeti preclassici.......................................................................... » 29
Profeti classici.............................................................................. » 31
Riletture profetiche........................................................................ » 38
L ’apocalittica................................................................................ » 39
4. Il linguaggio della profezia............................................................. » 39
Le p a ro le ....................................................................................... » 40
Le azioni......................................................................................... » 42
5. Formazione dei libri profetici......................................................... » 42
D all’esperienza della Parola al testoscritto ................................. » 43
Il «libro profetico» ........................................................................ » 43
I «libri profetici»................................................................. » 47
391
6. La falsa profezia............................................................................ pag. 50
7. Il messaggio dei profeti.................................................................. » 52
Criteri di lettura dei p ro fe ti......................................................... » 52
Principali temi profetici............................................................... » 53
8. In ascolto di alcuni profeti............................................................. » 63
Capitolo 2
AMOS E OSEA: GIUSTIZIA E M IS E R IC O R D IA ....................... » 65
Capitolo 3
ISAIA E GEREMIA: FEDE E S P E R A N Z A .................................. » 83
392
II - Geremia: il profeta in c risi......................................................... pag. 1 03
1. Il libro di Geremia.......................................................................... » 103
2. Il profeta: attività e messaggio....................................................... » 104
A trività ........................................................................................... » 105
M essaggio ..................................................................................... » 108
3. Lettura esegetica............................................................................ » 111
Profeta delle nazioni ( 1,4-19)....................................................... » 111
La crisi vocazionale del profeta (15,10-21)................................ » 112
La crisi esistenziale del profeta (20,7-18).................................... » 114
C ’è una speranza! (31,31-34)......................................................... » 115
- Bibliografìa..................................................................................... » 118
Capitolo 4
EZECHIELE E DEUTEROISAIA:
ESILIO E R IT O R N O ........................................................................ » 119
Capitolo 5
ESCATOLOGIA E APOCALITTICA:
ATTESA E G IU D IZIO ...................................................................... » 141
393
2. Attesa del «giorno del Signore»..................................................... pag. 144
Il «k airòs» .......................................................................... » 144
Significato del «giorno di J hwh» ................................................. » 145
- Bibliografia ..................................................................................... » 147
3. Lettura esegetica: il Tritoisaia (Is 56-66)...................................... » 148
L 'autore e il suo tempo.................................................................. » 148
Il libro e il suo messaggio................................................... » 148
- Bibliografìa ..................................................................................... » 151
II - A pocalittica: il giudizio di D io sulla storia............................. » 151
1. Il movimento apocalittico............................................................... » 152
2. La letteratura apocalittica............................................................... » 158
I te s ti.................................................................................. » 158
Le caratteristiche.......................................................................... » 159
- Bibliografìa ..................................................................................... » 161
3. Il libro di Daniele............................................................................ » 162
Problemi introduttivi.................................................................... » 162
Contenuti del lib ro ........................................................................ » 163
4. Lettura esegetica: il Figlio dell’uomo (Dn 7 ) ................................ » 165
- Bibliografia ..................................................................................... » 168
Appendice
LA SPERANZA NEL MESSIA REGALE
DI ISRAELE. BREVE STORIA....................................................... » 169
1. Prima dell’V ili secolo a.C............................................................... » 170
2. Dall’V ili secolo a.C. fino all’esilio babilonese.............................. » 171
3. Dall’esilio ai tempi del Nuovo Testamento.................................... » 173
SECONDA PARTE
I SAPIENTI
(M arcello M ilani)
Capitolo 1
QUADRO STORICO. D A LL’ESILIO BABILONESE
AL NUOVO TESTAMENTO........................................................... » 179
1. Il ritorno......................................................................................... » 179
2. La ricostruzione: Esdra e Neemia................................................... » 181
3. L ’ellenismo: convivenza e scontro con il giudaismo..................... » 182
- Bibliografia ..................................................................................... » 183
394
Capitolo 2
LA SAPIENZA.............................................................................. pag. 185
I - C oncetti generali.......................................................................... » 185
Saggi in Israele........................................................................ » 185
Definizione di sapienza........................................................... » 186
Generi letterari o forme espressive della sapienza................... » 187
Il mondo della sapienza e isuoi rappresentanti.............. » 192
Caratteri della sapienza ........................................................... » 195
- Bibliografìa..................................................................................... » 200
395
2. G io b b e ........................................................................................... » 239
Premessa.................................................................................. » 239
Contenuto e form a.................................................................... » 240
Significato e contenuto dei dialoghi........................................ » 242
La risposta di Dio nella tempesta. Sottomissione di Giobbe . . . » 244
Interpretazione.......................................................................... » 248
3. Qohelet o Ecclesiaste...................................................................... » 250
Introduzione ............................................................................ » 250
Tematiche fondamentali e interpretazioni di Qohelet............... » 257
Vi è un tempo per ogni cosa (Qo 3,1-15)................................ » 260
396
Capitolo 3
I SALM I........................................................................................ » 317
I - N otizie generali............................................................................ » 317
Nome ....................................................................................... » 317
Attori e linguaggio.................................................................... » 317
Generi letterari.......................................................................... » 318
I salmi e il culto........................................................................ » 319
Autori e d a ta ............................................................................ » 319
Formazione.............................................................................. » 320
La numerazione dei S a lm i....................................................... » 320
Conclusione......................................................................................... » 389
397
Finito di stampare nel mese di marzo 2010
Villaggio Grafica - Noventa Padovana, Padova
Gianni Cappelletto, francescano co n
ventuale, licenziato in esegesi biblica pres
so il Pontificio Istituto Biblico di Roma, at
tualmente è ministro provinciale dei frati
minori conventuali. Ha scritto e pubblicato
numerosi libri.
wtmedizionimessaggero.I
In ascolto
dei profeti
e dei sapienti